MANUALE WRITING THEATRE Volume II

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MANUALE WRITING THEATRE Volume II
LLP-LDV/TOI/09/IT/0405
MANUALE WRITING THEATRE
METODI E TECNICHE DI SCRITTURA TEATRALE
Volume II
APPROFONDIMENTI, ESERCIZI, ESEMPI
ITALY
GREECE
ROMANIA
Institutul de Ştiinţe ale Educaţiei
Coordinamento editoriale: Federica D'Armini
Contenuti: Federica D’Armini, Daniela De Lillo, Lidia Giansanti, Claudia Lauricella, Vittoria Rossi, Alessandro
Spadorcia, Valeria Stanziale.
Grafica: Gianfranco Pintus
Si ringraziano l'Agenzia Nazionale per il Programma di Apprendimento Permanente - Programma settoriale
Leonardo Da Vinci e la Commissione Europea - DGEAC
MANUALE WRITING THEATRE
METODI E TECNICHE DI SCRITTURA TEATRALE
Volume II
APPROFONDIMENTI, ESERCIZI, ESEMPI
INDICE
APPROFONDIMENTI
VOL. I - SEZIONE 1 - RIFERIMENTI TEORICI DEL METODO WRITING THEATRE
7
( VOL. I - SEZIONE 1 - rif. 1. METODOLOGIA E PRASSI)
1. ESPERIENZE DI LABORATORIO
8
1.1 Introduzione
8
1.2 Esperienze di laboratorio interno
8
1.2.1 I laboratori del mattino
8
1.2.2 Le produzioni
11
1.3 I laboratori del pomeriggio
12
1.4 Progetti Speciali
13
1.4.1 Laboratori integrati nella Scuola
13
1.4.2 La produzione del laboratorio di scrittura
15
1.5 Teatro e Carcere
2. UNA RIFLESSIONE AUTOREVOLE: JOSÉ JORGE CHADE
17
22
( VOL. I - SEZIONE 1 - rif. 1. METODOLOGIA E PRASSI - ARGOMENTO CORRELATO: TEATRO E DISAGIO - Scheda 1.c
METODI DI TEATRO CREATIVO)
3. DRAMMATERAPIA E PSICODRAMMA di C. Valmori Bussi
25
4. IL TEATRO DELL'OPPRESSO
28
APPROFONDIMENTI
VOL. I - SEZIONE 2 - DIDATTICA TEATRALE E TECNICHE DEL METODO WRITING THEATRE
31
( VOL. I - SEZIONE 2 - rif. 3. TECNICHE SCENICHE E ARTE TERAPIA)
5. COUNSELLING A MEDIAZIONE ARTISTICA E VIDEO TERAPIA A SCUOLA
32
6. RISZARD CIESLAK : SULL'IMPROVVISAZIONE di T. Richards
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( VOL. I - SEZIONE 2 - rif. 3. TECNICHE SCENICHE E ARTE TERAPIA - ARGOMENTO CORRELATO: TECNICHE DI
LABORATORIO)
7. IL LABORATORIO TEATRALE: UNA NUOVA METODOLOGIA di G. Oliva
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( VOL. I - SEZIONE 2 - rif. 5. LEZIONI DI SCRITTURA)
8. SUL MONOLOGO di E. Erba
51
9.RACCONTO di S. Benni
54
ESERCIZI ED ESEMPI
VOL. I - SEZIONE 2 - DIDATTICA TEATRALE E TECNICHE DEL METODO WRITING THEATRE
57
( VOL. I - SEZIONE 2 - rif. 2. AREE DELLA FORMAZIONE TEATRALE)
 E2.1 INTERPRETAZIONE
58
E2.2 MOVIMENTO
58
E2.3 VOCE
58
E2.4 DRAMMATURGIA
58
E2.5 REGIA
59
( VOL. I - SEZIONE 2 - rif. 3. TECNICHE SCENICHE E ARTE TERAPIA)
E3.1 ESERCIZIO WARM UP
59
E3.2 - ESERCIZI DI IMPROVVISAZIONE TEATRALE
60
E3.3 ESERCIZI MUSICALI
60
E3.4 ESERCIZIO IMMAGINAZIONE COLLETTIVA
61
E3.5 RACCONTO POP/ROCK/RAP
62
( VOL. I - SEZIONE 2 - rif. 3. TECNICHE SCENICHE E ARTE TERAPIA - (AC) ARGOMENTO CORRELATO: TECNICHE DI
LABORATORIO)
G3.1 - GIOCHI DI CONOSCENZA
67
G3.2 - GIOCHI DI FIDUCIA
68
G3.3 - GIOCHI DI CONTATTO
69
G3.4 - GIOCHI DI CONCENTRAZIONE
70
E3.6 IMPROVVISAZIONE CORPOREA
71
E3.7 IMPROVVISAZIONE EMOTIVA
73
E3.8 IMPROVVISAZIONE IMMAGINATIVA
73
E3.9 IMPROVVISAZIONE NARRATIVA
74
E3.10 RILASSAMENTO
75
G3.5 - GIOCHI DI RUOLO - ROLE PLAYING
78
( VOL. I - SEZIONE 2 - rif. 5. LEZIONI DI SCRITTURA)
E5.1 COM’È FATTA UNA STORIA
79
E5.2 INTERVISTARE CON LE STORIE
79
E5.3 LA SCRITTURA CREATIVA
79
 E5.3 .1 Ghotam Writers’ Workshop
80
E5.4 SCRITTURA DRAMMATURGICA E SCRITTURA SCENICA
80
E5.5 IL PROPRIO UNIVERSO DRAMMATURGICO
81
 E5.6 DAL RACCONTO AL MONOLOGO
81
E5.6.1 Il Racconto
81
E5.6.2 Il Racconto Comico
81
E5.6.3 Il Monologo
83
E5.6.4 Dal Racconto al Monologo
83
E5.7 L'INCIPIT
84
E5.8 LA DESCRIZIONE
84
E5.9 IL DIALOGO
84
E5.10 LO STILE
84
APPROFONDIMENTI
 Vol. I - Sezione 1 - Riferimenti teorici del metodo Writing Theatre
7
Vol. I - Sez. 1 - 1. METODOLOGIA E PRASSI
1. ESPERIENZE DI LABORATORIO
1.1 Introduzione
Di seguito presentiamo le esperienze più significative realizzate sulla base delle tecniche e metodologie del Teatro di Inclusione
Sociale:
-
lo spettacolo teatrale “SOGNO-BI-SOGNO “ realizzato dalla Compagnia “Il riso sorriso mi vien da ridere”, (Compagnia
di ragazzi disabili nata da un’esperienza di laboratorio teatrale della Coperta di Linus) e dagli allievi della Scuola di
Teatro-danza “L’Albero di Minerva”;
-
la performance musicale a cura del gruppo di laboratorio musicale della Coperta di Linus “I Fracassoni”;
-
Il cortometraggio “CI SARAI!” realizzato dal gruppo di animazione della Coperta di Linus: una presa in giro di tutti i vari
“Saranno famosi” che offrono ai giovani di oggi miti da raggiungere spogliando i miti stessi della loro natura di sogni
inafferrabili;
-
“AGGIORNALINUS”, laboratorio di scrittura realizzato dagli operatori del centro d’arte e spettacolo “La coperta di
Linus”, che ha portato alla realizzazione di un giornalino.
La Coperta di Linus, centro sperimentale d’arte e spettacolo, nato nel 2000 in collaborazione con la cooperativa H Anno Zero, ha
collaborato e collabora con strutture che, attraverso progetti specifici, hanno investito sui ragazzi del Centro consentendo la
nascita di una compagnia teatrale, una band musicale, un atelier d’arte, un laboratorio artigiano un laboratorio di scrittura. Tra
queste citiamo: la Cooperativa Moiselle Le Blanc, l’Albero di Minerva, Zero in Condotta, A.R.P.A., Teatro 91, Maschera d’oro
Eventi, il Teatro dell’Opera di Roma. È un'avventura nata dalla ferma consapevolezza di alcuni professionisti dello spettacolo di
poter coinvolgere i ragazzi disabili all’interno di progetti che producessero arte e cultura di qualità, professionisti determinati a
dimostrare che disabilità non vuol dire incapacità di costruire.
1.2 Esperienze di laboratorio interno
Durante l’esperienza sono stati programmati laboratori di attività di animazione culturale, realizzati all’interno del Centro
stesso per trasformarlo da luogo di semplice aggregazione in spazio formativo globale. Altri laboratori sono nati invece senza il
coinvolgimento dei ragazzi delle scuole ma come puro esercizio di espressione dei nostri ragazzi. Ogni singolo laboratorio ha
prodotto dei risultati significativi e funzionali, di seguito presentati.
1.2.1 I laboratori del mattino

La scrittura
I ragazzi si sono cimentati con la resa teatrale di un testo, o meglio hanno fatto i conti con la creatività; parte del testo di
Sezione H, lo spettacolo che è stato in tournèe per diversi mesi della Compagnia degli In-super-abili, è appunto il risultato tanto
atteso, ma non previsto, a cui i ragazzi della mattina, Sara, Fabrizio, Manuela, Adriana, Carmela, Rosa, Daniele, Fabio, Patrizia,
Simone, Elena, sono arrivati coadiuvati dagli insegnanti, Antonio Costantino, responsabile Laboratorio di scrittura, ma
soprattutto con la voglia di far proprio uno strumento a cui spesso non si dà molta importanza: la scrittura. Le parole dei nostri
ragazzi sono diventate, quindi testo teatrale.
8
Sezione H parla di una classe dove noi recitiamo la parte di alunni con problemi, però l’unico normodotato è Gianfranco che
prendiamo in giro, perché è quello che sa tutto. Io penso che noi della compagnia veniamo chiamati così, perché al pubblico
vogliamo far capire che il teatro è un gioco fatto oltre che di concentrazione, anche e soprattutto di divertimento. Saremo
formidabili, soprattutto quest’anno e avremo un grande successo.
Daniele
Ma cos’è la normalità?
GIANFRANCO
Guarda che non ho fatto niente e poi fatti gli affari tuoi. Comunque vi ho già detto mille
volte che non si dice normale, si dice normodotato.
ADRIANA
Ma dotato de che?
MANUELA
Ma scusa, che vuol dire normale?
GIANFRANCO
Normale è ciò che è conforme a una regola o all’andamento consueto di un determinato
processo.
ROSA RIDE
GIANFRANCO
Insensibile
ROSA
Zitto tu!
FABIO
Ma che vor dì?
FABRIZIO
Uno normale è uno che non ha problemi!
FABIO
Io sono normale!
DANIELE
Perhè?
SIMONETTA
Già…perché?
FABIO
(alzandosi) perché cammino! Aho! Passami il bastone!
FABRIZIO
pure chi sta in carrozzina è normale!
ALESSANDRA
Secondo voi io sono normale?
ELENA
No, c’hai un’età! Sei sposata e ancora non c’hai i figli!
Non sei normale!
ADRIANA
I normali pensano solo ai soldi!
ELENA
A me mi stanno antipatici i normali! Non si sanno divertire!
FABRIZIO
Mica come noi che facciamo teatro, arte, canto…
SIMONETTA
(ammiccando con Daniele) e secondo voi Gianfranco è normale? Che ne pensi Patrizia?
PATRIZIA
Non lo so e neanche lo voglio sapere!
GIANFRANCO
Allora? Qual è la differenza fra persone normali e non?
ADRIANA
Ma non si può distinguere! C’abbiamo tutti un sacco di casini!
ALESSANDRA
Ma in questa stanza c’è qualcuno di normale?
TUTTI
Nooo!

L’arte
Alla scrittura si è affiancato il laboratorio di arte che merita uno spazio a sé, avendo avuto in Tiziano Fario, scenografo di
Carmelo Bene, un insegnante eccezionale. Il progetto a cui si è giunti a conclusione dell’anno, si chiama “Angeli” e ha dato voce
a quella realtà che va oltre il mondo terreno, verso ciò che è rassicurante, buono e bello in un connubio che pone i ragazzi oltre
9
la differenza e la discriminazione, dando alla cruda situazione che ci circonda una pennellata di grande speranza. Da qui uno
studio della figura degli Angeli nella storia della pittura italiana, la rappresentazione degli stessi con acrilici, pennarelli, pastelli e
matite e un’opera finale con tecniche di collage; tutto ciò anticamera di un video installazione con la Favola degli Angeli oltre
che mostra delle opere con asta pubblica e catalogo. (16 giugno c/o Linux club)
Gli angeli volano nel cielo
Gli angeli sono belli
Gli angeli sono simpatici
Camminano gli angeli.
I bambini vanno a scuola
Gli angeli sono belli
Volano sul prato
Gli angeli volano
Nell’acqua, nel mare
Gli angeli mettono allegria
E gli angeli sono belli
Gli angeli sono la mia vita
Gli angeli sono il mio mondo
Gli angeli parlano di tutto
Gli angeli girano tutto il mondo
Giocano, camminano, parlano.
Gli angeli sono bravi
Gli angeli cantano, giocano.
Sono vestiti di tutti i colori
(Rosa)

Teatro
Al laboratorio d’arte si affianca quello di teatro; e se nell’esperienza dei laboratori integrati, cioè con bambini di alcune scuole,
il laboratorio d’arte è stato utilizzato per creare scenografie per gli spettacoli scolastici (Aulularia di Plauto/Scuola Fratelli Cervi;
Giocando sognando/Scuola Ponte Galeria), gli spettacoli presentati dalla Compagnia degli In-super-abili sono stati prodotti
interamente all’interno del Centro; si è provveduto infatti ai costumi (Filostorto), al testo e alle musiche. Il laboratorio di teatro
risulta forse quello più complesso da portare avanti, per l’utilizzo di parola e movimento contemporaneamente; è in ogni modo
tra i più soddisfacenti se si pensa a quanto esso possa aiutare nella gestione del corpo e della voce. Con Daniela De Lillo, attrice
e insegnante di teatro da più di venti anni, la produzione teatrale interna al Centro è molto intensa. Daniela ha tirato fuori la
capacità e la forza d’espressione, attitudini fino ad oggi represse nei nostri ragazzi, creando un connubio di mondi che sono
apparentemente lontani ma in realtà accomunati dal reciproco bisogno. È stata capace di saper dare magia ad esperienze
comuni.
“Voglio raccontarvi di un incontro e di un grande amore, di risate e lacrime, di fiducia e dedizione” – queste invece le parole di
Lucia di Cosmo, regista teatrale, che ha prestato la sua esperienza a La Coperta di Linus, stupendosi lei stessa dei risultati a cui
in breve sono arrivati i nostri ragazzi.
10
…e da qui è nata la Compagnia degli In-super-abili…che ad oggi conta tre spettacoli, cresciuti e realizzati sotto la guida di forti
professionisti dello spettacolo all’insegna dell’integrazione delle diverse arti. Importante infatti il connubio di parola, musica e
arte. Moiselle le Blanc, H anno zero, La Coperta di Linus, hanno pertanto creduto negli In-super-abili, nel teatro sociale
integrato, come l’altra possibile faccia della realtà.
1.2.2 Le produzioni
Sfoghi
Sfoghi è uno spettacolo che parla di libertà. Uno spettacolo pensato, scritto ed interpretato dagli allievi del laboratorio teatrale,
che si ‘sfogheranno’ appunto con ironia di tutto ciò che non va bene: scuola, genitori, cibo, abbigliamento. Dal monologo
teatrale, basato su emozioni ed esperienze, sviluppato in chiave comica, è nata la messa in scena, in una pièce brillante in cui si
susseguono tutte le ‘lamentele’ dei protagonisti, che per una volta hanno la possibilità di raccontare, tra risate e rimproveri,
cosa proprio non gli sta bene della loro vita. Uno spettacolo divertente in cui la sincerità ha un forte valore didattico e creativo.
In Sfoghi si sono riscontrati anche i risultati positivi de "I Fracassoni" nel cimentarsi con la musica live e l’elettronica.
Sogno-bi-sogno
Sogno-bi-sogno è uno spettacolo basato su sogni e desideri, raccontati da bambini di tutto il mondo; è un lavoro costruito su
persone nate con problemi mentali o fisici, dove l’impegno e il piacere di fare sono fondamentali e dove la trama è fantasiosa
ma nello stesso tempo, dura e reale… La storia parla di una ragazza che riceve anonimamente un biglietto d’invito: questa si
presenta e aspetta, aspetta seduta su una panchina l’arrivo del mittente dell’invito. Di fronte a lei, un uomo sdraiato su una
panchina, coperto da scatole di cartone che si scopre essere ‘Sogno-bi-sogno’, un ragazzo capace di realizzare i sogni di ogni
bambino…E da qui partono i sogni e i desideri di tutti i bambini del mondo, dimostrando che chiunque ha bisogno di un ‘sognobi-sogno’ reale che aiuti a superare le difficoltà della vita e andare avanti. Non mancano l’ironia data dalla simpatia dei ragazzi
de La Coperta di Linus che conoscono bene le storie degli altri coetanei. Hanno visto filmati, incontrato giornalisti, studiato
forme artistiche e artigianali, conosciuto artisti....
Era uno spettacolo sui colori del mondo, parlava della guerra, delle favelas, della povertà. E’ nato, che noi abbiamo visto un
filmato sulle favelas, c’erano bambini che non andavano a scuola, non avevano cibo ne giocattoli, non avevano niente, ma
proprio niente perché erano poveri. Io ero uno di loro ma non avevo una casa, ero molto triste.
Fabrizio
Abbiamo parlato di questi bambini perché sono tristi e poveri. Io sono Jamila, che giocava con il suo aquilone ma per colpa della
guerra non poteva andare sui prati, perché c’erano i pappagalli verdi, questi pappagalli verdi sono le mine e lei non poteva
giocare perché scoppiavano.
Elena
Lei era una bambina povera, andava in giro e chiedeva i soldi, incontra un signore che gli dice: vorresti venire a lavorare nel
circo, e così diventa clown. Alexandra è rumena, vive con i suoi amici nei sotterranei nei tombini. Incontra degli amici e quando
andava a comprare qualcosa prendeva del pane e delle patate.
Adriana
Io dormivo nel sogno, stavo andando dei miei genitori invece ho incontrato dei principi e delle principesse che erano i miei amici
Elena, Fabio, Adriana, Sara, Patrizia, Romina e tutti gli altri.
Manuela
La Coperta di Linus ha partecipato al Festival “I colori del mondo” con lo spettacolo Sogno-bi-sogno, le cui musiche sono state
scritte dal maestro Lorenzo Mazzoni e raccolte in un Cd intitolato appunto Sogno-bi-sogno.
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Sezione H
Sezione H è la storia di una classe, appartenente appunto alla sezione H, formata dai ragazzi della Compagnia; sono proprio
loro i protagonisti, non si discostano dalla realtà ma vivono sulla scena la loro quotidianità con i ‘normali’ problemi di tutti gli
alunni: interrogazioni, compiti in classe, professori, bidelli… Ogni episodio presenta delle situazioni divertenti vissute o
immaginate e raccontate dai ragazzi de La Coperta, rielaborate per offrire, oltre ad un momento di svago, anche uno spazio di
riflessione più serena. Tutto rivisitato in chiave assolutamente iper-reale e comica e il ribaltamento della prospettiva riesce ad
evidenziare e a denunciare atteggiamenti stereotipati di cui loro, i disabili, risultano molte volte vittime inermi.
Sezione H è uno spettacolo venuto dopo Sogno-Bi-Sogno. Prima facevo il lustrascarpe, quest’anno faccio me stesso, a scuola.
Fabio
1.3 I laboratori del pomeriggio

Il riciclaggio
I risultati del laboratorio di riciclaggio sono molti degli oggetti che si usano nelle mostre; una sorta di riutilizzazione fantastica
con l’uso di diversi materiali usati per realizzare cornici, oggettistica e lavori di piccolo restauro. Come risultato del riciclaggio
anche parte della mostra degli Angeli. Entrambi i laboratori esaltano la piccola manualità e l’artigianato dimostrando che la
gestualità supera, nel sistema della comunicazione, le barriere culturali e geografiche.

La musica
Il laboratorio di musica è stato seguito dal maestro Lorenzo Mazzoni. Il laboratorio ha dato risultati inattesi; è infatti nata la
banda dei Fracassoni di cui fanno parte: Carmela, Gioia, Alessio, Vanessa, Simone, Giuliana, Raffaella, Roberta, Laura, Fabio,
Erika, Alessandro, Giordana. Il gruppo è ormai collaudatissimo ed abituato ad esibizioni di ogni tipo; le loro percussioni
(maracas, grancassa, legnetti, triangoli, piatti e tamburelli) creano atmosfere particolari arricchendo i musicisti normodotati,
come infatti è accaduto in Pierino… e il loop.
Pierino…e il loop
Pierino…e il loop è una nuova elaborazione della fiaba di Prokofiev che prevede il cambiamento degli strumenti ‘protagonisti’
con quelli della musica contemporanea con l’introduzione del ‘loop’ (frammento ritmico/melodico, tipico della musica
elettronica)… Dalla celebre fiaba di Prokofiev si passa alla strada; il grande coraggio di Pierino è l’insegnamento della miseria e
degli stenti ad un piccolo scugnizzo; l’incoscienza intrepida dell’uccellino è la vivacità, è l’irrequietezza del più piccolo Luigino; la
stupida superficialità dell’anatra diventa la vanità sfrontata di Mariannella; la fluida movenza del gatto si ritrova in Alberto
innamorato geloso e opportunista; la feroce aggressività del lupo si ripete in Artiglio. Unico personaggio immutato, il nonno
Peppino: un personaggio costruito su un modello umano al di fuori delle regole sociali e della vita comune. Gli elementi reali di
questa morale contemporanea rappresentano i disagi esistenziali con cui oggi convivono anche i bambini causa le difficoltà
della vita quotidiana. Irreale, ma necessario, alla fine della storia, il trionfo della giustizia sociale, celebrato con una grande,
gioiosa festa di cui la protagonista assoluta è la musica.
12
1.4 Progetti Speciali
1.4.1 Laboratori integrati nella Scuola
I protagonisti
Io ci sono andato perché volevo conoscere i ragazzi che erano nelle scuole *…+ mi sono emozionato di stare insieme a tutti i
ragazzi delle scuole. (Fabio)
Stavo bene con loro tutti loro erano simpatici. Mi hanno detto meno male che stai con noi. (Rosa)
L’emozione che sento dentro di me quando vedo i bambini mi sento una roccia quando facciamo lezione e pittura con i
bambini. Mi piace esprimermi (Adriana).
…volevo stare per conto mio non stavo molto bene con i bambini. A me piace fare solo il teatro, la mia passione e il teatro non
mi sentivo di stare in compagnia con i bambini avrei preferito stare in un angoletto per conto mio…i bambini ti mettono allegria
e ti fanno passare tutti i problemi che hai nella vita. (Elena)
…quando andavo a scuola io tutti handicappati. Qui nessuno. Ho fatto gli esami, sono promosso io sono il primo della classe.
(Gianni)
…ero contenta di stare con i bambini e con i miei compagni che amo e che voglio bene, loro per me sono la mia vita invece gli
operatori sono delle persone che io voglio bene e mi danno la possibilità di stare insieme ai bambini. (Manuela)
Le comparse
A me è piaciuto molto questo laboratorio. Purtroppo c’erano ragazzi handicappati. A me dispiaceva che erano handicappati e
mi dispiace ancora adesso. Io mi sono divertito soprattutto con Manuela e Simone, che ogni quarto d’ora gli dovevo alzare la
testa. In questo laboratorio ho scoperto che ragazzi come loro (con handicap) possono fare grandi cose, come l’altra volta che
hanno fatto il teatro. (Paolo)
Il laboratorio mi è piaciuto molto, ho fatto dei disegni e ho colorato. Ci sono stata solo una volta ma quella volta era come se ci
fossi già stata. Abbiamo fatto un cartone animato. I ragazzi sono stai gentilissimi e io sono stata gentile con loro e anche bravi.
Non me lo scorderò mai. Mi ha fatto proprio piacere stare con loro ed ho lavorato con molta serenità. (Sara Manzone)
Nei due giorni di laboratorio mi sono divertita molto. La cosa bella era la forza di volontà di quei ragazzi: Daniele che colorava
ed esprimeva i suoi pensieri sulla storia, Patrizia che colorava i suoi disegni ed Elena “l’eterna bambina” che scriveva e
disegnava. Vorrei tanto poterlo rifare per rivedere il sorriso dei ragazzi. (Gloria Orczyk)
Il teatro che abbiamo fatto con gli attori della Coperta di Linus è stato molto istruttivo per me. Mi è piaciuto lavorare con le
altre classi spero tanto di rifarlo in futuro. (Matteo Ferreri)
A me è piaciuto lavorare quei due giorni, perché abbiamo detto ed inventato una storia degli alieni un po’ strambi del pianeta
Banana, un abitante si chiamava Edgard Lecca Lecca Luigi Banana. Dopo l’abbiamo scritta in tre pezzi, il mio gruppo ha scritto
l’ultima parte e c’è chi la prima e chi la seconda. Invece il secondo giorno abbiamo disegnato tutte le scenette. Noi abbiamo
lavorato con tre classi e ci siamo divertiti tanto. (Daniele Deiana)
Per me il laboratorio di disegno è stata una grande avventura, mi sono trovata tanto bene con i miei compagni erano molto
simpatici ed è stato bellissimo, vorrei tanto ritornarci anche se ho avuto un po’ di paura. (Giulia)
13
….Riflettendo
Emozione, felicità, appartenenza; questi gli stati d’animo di Fabio, Rosa, Adriana, Elena, Gianni. “Perché andavo a scuola con
tutti handicappati” - come dice Gianni -, o parlare di “miei compagni” - come dice Manuela; la realtà dell’handicap è molto più
complessa di quello che può sembrare. In una società di definizione di ruoli, di normalità esasperate, di velocità incontrollate, il
disabile con i suoi tempi e le sue “carenze” non riesce purtroppo a trovare una giusta ed integrata collocazione. Ed è infatti da
questa riflessione che nasce la necessità dei laboratori integrati, del Teatro Integrato, di un nuovo concetto di collaborazione
dove le parole, le facce, le risate, ma anche i problemi dei nostri ragazzi, diventano quotidiana ricchezza per i bambini più
fortunati. Molte le scuole che, aderendo con entusiasmo al nostro progetto e arricchendolo di nuove sfaccettature e nuovi
stimoli culturali, hanno contribuito alla diffusione di un messaggio di concreta integrazione, lavorando insieme a noi per
l’educazione al rispetto della persona. I laboratori consistono in attività di animazione culturale realizzati all’interno della
scuola stessa per trasformarla stessa da luogo di studio in luogo di aggregazione e di spazio formativo globale. In particolare,
segnaliamo un laboratorio di scrittura creativa realizzato dal gruppo dei ragazzi della Coperta di Linus e dagli alunni della Scuola
Elementare Guttuso di Roma: in 14 incontri, partendo dalla favola del Brutto Anatroccolo, hanno saputo creare, in sintonia con
i nostri In-super-abili, fumetti e favole che sono state raccolte in un'agenda diffusa in molte scuole di Roma. Dall'esperienza è
nato anche un cortometraggio sul valore dell'integrazione attraverso l'arte.
Il Brutto Anatroccolo
Dall’incontro con la Scuola elementare Guttuso di Roma sono stati prodotti poesie, testimonianze, favole, racconti, disegni,
testi drammatizzati, pensieri che trasmettono le emozioni dei ragazzi stimolandone la fantasia. La scelta del tema è ricaduta sul
Brutto Anatroccolo, in occasione dell’anniversario del duecentenario della nascita di Hans Christian Andersen. Il testo è stato
analizzato sia dal punto di vista della scrittura che del disegno. Dalla favola, riportata qui di seguito, sono partite delle lezioni di
disegno di animali, divenuti poi i protagonisti di un fumetto e di un corto di animazione. Si è passati quindi dal simpatico gioco
di similitudine tra uomo e animale, alla creazione di vere e proprie strisce animate; la scrittura creativa è diventata altre storie
di imminente pubblicazione. Le varie fasi di realizzazione del laboratorio sono state accompagnate e documentate da un
backstage fotografico e da video da cui è stato prodotto un cortometraggio della durata di 15 minuti.
Il materiale di scrittura creativa è stato raccolto in una AGENDA SCOLASTICA.
21 marzo
Daniela ci ha spiegato la storia del Brutto Anatroccolo e ci ha fatto fare dei disegni a strati con disegni alla lavagna. Con i
bambini abbiamo lavorato tanto, la favola è stata molto bella, i bambini sono stati belli, la scuola mi fa essere a stare insieme
con i bambini, i bambini ti mettono allegria e ti fanno passare tutti i problemi che hai nella vita.La pittura è una cosa bella che
serve nella vita, con i bambini abbiamo fatto gli indovinelli e poi il bambino ci ha fatto fare un disegno.
Elena Gabiati
Le mie esperienze con le scuole le trovo meravigliose facendo la favola del Brutto Anatroccolo, la stiamo scrivendo di una favola
che si svolge in uno stagno, mamma anatra covava, la mattina seguente la mamma vede che stano schiudendo le uova dei
piccoli anatroccoli. Vide un uovo grande che non si schiudeva, gli dice una vecchia anatra te lo covo io, dopo averlo covato si
schiude ed esce un anatroccolo diverso, grigio brutto tutti lo prendevano in giro dentro lo stagno, non teneva un amico. Mi
piace dentro di me le cose che penso che loro per me mi sei stato simpatico la tua vita ti porti lontano anatroccolo. L’emozioni
che sento dentro di me quando vedo i bambini, mi sento una roccia quando facciamo lezione e pittura con i bambini. Il bello è
che continueremmo ad andare alle scuole a fare pittura e scrittura con Matteo. Mi piace esprimermi.
Adriana Mattioli
14
1.4.2 La produzione del laboratorio di scrittura
Di seguito la favola di Gelsomina scritta dai ragazzi; una poesia composta da Adriana; la rivisitazione della favola del Brutto
Anatroccolo e la favola banana.
Poesia Adriana
Il sole potrebbe diventare cioccolato,
le stelle dormono fatte di riso verde,
i rami di liquirizia,
i nostri bambini sono come degli ometti blu che cercano la luce azzurra,
i bambini sono meravigliosi,
la loro vita è agli inizi della loro vivenza;
quando stiamo insieme ci sentiamo forti grintosi;
ci sentiamo per lavoro;
coi piccoli ci divertiamo.
Adriana Mattioli
LE 3 FAVOLE
La Favola del Brutto Anatroccolo
…C’era una volta una palude vicino al ruscello dove vivevano delle anatre.
Mamma anatra covava le uova tutte si erano schiuse meno che una che era grossa e grigia.
Mamma anatra: come sono belli!!! Ma questo uovo non vuole aprirsi
In seguito da quell’uovo usci un anatroccolo brutto e grigio
Mamma anatra: come è strano!!! Però voglio vedere se sa nuotare!!
Tutti quanti lo prendevano in giro e lo trattavano male
Anatroccolo: tutti mi prendono in giro e ora scappo via!!
Nel bosco vide una casetta dove vivevano una vecchietta, un gatto e una gallina
Anatroccolo: finalmente mi sono trovato una nuova casa e una nuova famiglia
Anatroccolo: ma che stanno dicendo! Io sono piccolo e non so fare le uova e nemmeno la ruota. Forse questa casa non va bene
per me!
Dopo essere stato scacciato anche da loro trascorse l’inverno al freddo e al gelo venne la primavera e si trovò vicino a uno
stagno dove vide dei cigni bellissimi!
Anatroccolo: perché non sono bello come loro? Vi prego uccidetemi!!!
Si rispecchiò nello stagno e ….
Anatroccolo: ma sono un cigno! Come sono diventato bello! Sono proprio come loro.
La Favola di Gelsomina (foto Guttuso)
…Gelsomina è una bambina di 10 anni si è trasferita da Palermo a Roma per questioni di lavoro del padre.
Gelsomina ha un fratello minore di nome Giammarco e una sorella maggiore di nome Eva.
Il fratello e la sorella si prendevano cura di lei perché i genitori erano molto occupati per il lavoro.
Gelsomina è una bambina diversamente abile, si muove con la sedia a rotelle.
Il suo carattere non risente di questo problema, infatti, ha una grande immaginazione e fantasia.
Gelsomina è una bambina solare ed è sempre molto gentile.
Gelsomina ha un mondo tutto suo ma circondato dal affetto dei suoi cari.
Gelsomina è una bambina molto graziosa con lunghi capelli biondi raccolti due mollette e occhi grandi e verdi e un nasino alla
francese, due guance rosse e paffute come due mele, in famiglia la chiamavano riccioli d’oro, il suo sorriso arriva nei cuori.
Gelsomina sta per entrare per la prima volta a scuola e nel suo cuore spera di essere accettata dai compagni ed instaurare un
rapporto di amicizia.
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I primi giorni di scuola furono molto duri per Gelsomina provava a fare amicizia ma tutti la prendevano in giro dicendole che
non poteva stare con loro perché non era capace a fare le stesse cose.Un giorno tutta la classe andò in palestra, tutti
scendevano le scale, ma Gelsomina non poteva, Francesco il simpaticone le disse “noi andiamo a fare ginnastica e tu no!”
fortunatamente la maestra Caterina Gentilina le disse: “non ti preoccupare abbiamo l’ascensore anche tu puoi venire”
Gelsomina vedeva i bambini correre e saltare alla corda e si sentiva molto giù di morale, Aurora la schizzinosa le disse: “Sai
correre più veloce di me?” Gelsomina pensò, questa è tonta e le rispose: “Sono allergica alla corsa”. Betti Spaghetti aggiunse:
“Come sei spiritosa!”
Arriva la ricreazione!!!! Gelsomina come tutti i suoi compagni finalmente può uscire e provare a fare amicizia e trovare
qualcuno con cui parlare e giocare anche se sta su una sedia a rotelle. Molti dei suoi compagni la guardano con diffidenza, con
occhi perplessi e stupiti, e non la fanno partecipare ai loro giochi e non viene subito accettata rimanendo sola. Solo un
gruppetto si avvicina formato da Eddy, Carolina e i gemelli Howlin. Questi sono ragazzini che spesso sono stati esclusi perchè
anche loro un po’ diversi, infatti provengono da altri paesi. Eddy è nato in India e vive in Italia da molti anni, mentre Carolina è
Rumena e purtroppo, anche se più grande di età, è stata inserita nella classe inferiore. I gemelli sono invece cinesi e
difficilmente parlano italiano. Tutto il gruppetto variopinto, colpito da Gelsomina che se ne stava sola soletta in un angolo, le si
sono avvicinati per conoscerla. Anche loro erano stati isolati dagli altri e sapevano che questo era molto triste, spesso erano
stati presi in giro e umiliati. Con Gelsomina cominciano a chiacchierare rivolgendole le solite domande per rompere il ghiaccio:
“quanti anno hai?” “come ti chiami?” DRIIIIIIN!!!!! La campanella della ricreazione suona. Bisogna rientrare in classe. Dopo
qualche mese i bambini, riflettendoci bene, decisero finalmente di integrarla perché capirono che lei era aveva dei sentimenti,
delle emozioni da condividere con gli altri. I giorni seguenti per Gelsomina furono molto belli. Non importa come si è
esteticamente ma è importante come uno è dentro. Le persone si amano aldilà dell’aspetto fisico.
La Favola Banana
…Sul pianeta Banana a forma di banana vive Edgar Luigi Banana Lecca Lecca. Il pianeta è abitato da tanti bananesi. Lecca
Lecca visto che si era stufato di magiare le solite banane Lecca Lecca “Banana, Banana = basta banane, voglio andare a fare
una gita sulla terra. Sì, ma come?…Idea, con la banana-sprint di mio padre!”.
Durante la notte scappa, prende il casco di banane, lascia un bigliettino su cui c’è scritto: “Banana, Banana = mi sono stufato di
queste banane e di questo pianeta. Non cercatemi, vado sulla terra”.
Durante il viaggio è molto allegro perchè cerca di immaginare il pianeta Terra. Purtroppo Lecca Lecca sbaglia strada e va sul
pianeta Pomodoro, il pianeta rivale. Gli abitanti incominciano a tirargli pomodori e strillare “Pomodoro, Pomodoro = ma
vattene a casa!” E visto che lui parlava più lingue li capisce e risponde: “Pomodoro, Banana, Pomodoro = ok, ok!” e scappa.
Riparte e finalmente arriva sulla terra. Arrivato sulla terra esclama: “Banana, Banana = finalmente!”. Vede un cartello stradale
che indica la scuola. Incuriosito entra. Entrando si scontra con il direttore e cadono, entrambi gridano: “Che botto!”. Il direttore
alzandosi, lo guarda e perde il parrucchino per la paura gridando: “Santi numi, quanto sei brutto!”. Dopo poco arriva tutta la
classe con l’insegnante spaventati incominciano ad insultarlo: “Testa di bananan, sei più brutto di un gatto morto, non hai sale
nella banana, sei più marcio di una banana e puzzi più di un carciofo”. Lecca Lecca si rialza e tristemente scappa per la
vergogna dicendo: “Banana, Banana = questo pianeta è davvero crudele, non mi capisce nessuno e non mi vuole bene
nessuno”.
Lecca Lecca decide di andarsene da scuola e andare a fare un giro per Roma quando all’improvviso si trova al Colosseo. Appena
entra “Quant’è grande!”. Lecca Lecca prova a chiedere ad un signore: “Scusi ma come si chiama questo posto, come si
chiama?” Ma il signore si allontana spaventato. Ma Lecca Lecca non si arrende e chiede ad una vecchiettina: “Scusi signora può
dirmi come si chiama questo posto?” e la vecchia rimane impietrita e dopo qualche secondo sviene. Lecca Lecca decide di fare
un giro per il Colosseo. “Quanto sei brutto!” gli grida un signore. “Vattene via!” gli dice un altro. “Farai crollare il Colosseo!” dice
un vecchio. “Aiuto, un mostro!” dice un bambino. E mentre lo dicono scappano tutti. E Lecca Lecca rimane tutto solo e avvilito.
Lecca Lecca si accorge di avere un po’ di fame. Vede da lontano un chiosco e allora si avvicina. Arrivato al chiosco vede una
vecchietta un po’ ceca e due bambini, uno che assomiglia ad un gatto ed uno che assomiglia un po’ ad una gallinella: “Ciao!
Come stai?” chiede Lecca Lecca. “Oh, che bella pianta di banana!” dice la padrona del chiosco che non vedeva molto bene.
“Come sei brutto!” dice il figlio. “Sai fare le banane?” dice la figlia. Ma Lecca Lecca non capisce niente e rimane immobile e
muto. Allora i due bambini gli dicono: “Vattene via brutto mostro! Non farti più vedere! Non ti vogliamo qui!”. Allora Lecca
Lecca offeso e con un bisogno urgente di andare in bagno, se ne va nel bosco a fare il suo frullato. “Su questo pianeta nessuno
mi vuole bene!” dice Lecca Lecca avvilito “mi disprezzano tutti!” continua triste: “in questo momento vorrei tornare a casa” e
così rimane nel bosco triste, avvilito, abbandonato e solo.
Un mattino di sole, Lecca Lecca udì delle voci provenienti dal buio: “Passami il vino!” “Suona un’altra canzone”. Lecca Lecca
incuriosito da vicino dietro un cespuglio si mise ad osservare. Lecca Lecca si chiede: “Cosa faccio?” Decide di farsi vedere. Dal
cespuglio tirò fuori una gamba gialla facendo vedere una scarpa con le stelle. La prima ad accorgesene fu Adriana: “Guardate,
c’è qualcuno dietro il cespuglio!” E con stupore chiamò gli altri per far vedere la gamba. Lecca Lecca si fece coraggio e usc ì allo
scoperto. Rimasero tutti scioccati. Adriana disse: “Chi sei? Da dove vieni?” Sara disse: “Oddio che paura!” Elena disse: “Cosa fai
qui?” Lui disse: “Mi chiamo Lecca Lecca e vengo dal pianeta Banana. Io sono venuto qui per conoscere altri pianeti e vedere
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cose diverse perché il mio pianeta è giallo e vorrei conoscere altri colori.” Lecca Lecca disse: “Mi potete aiutare? Avete paura di
me? Sono così brutto!” Il gruppo rispose tutto in coro: “No, nessuno è brutto! Ti aiuteremo noi Lecca Lecca. Perché non ti fermi
a fare merenda con noi?” Lui rispose: “Sì volentieri, grazie”. Lecca lecca con questo incontro imparò l’italiano. Il giorno dopo
Lecca Lecca ritornò a scuola e fu accettato da tutti i compagni. Jacopo gli chiede: “Quanti anni hai?”. 9450 anni sul suo pianeta
che corrisponde a 9 anni sulla terra.
1.5 Teatro e Carcere
Progetto speciale per il sostegno alla Scrittura, Memoria e Drammaturgia penitenziaria. Premio Annalisa Scafi per gli autori di
Teatro Civile.
Fra le esperienze analizziamo anche quella fatta dalla cooperativa Moiselle Le Blanche in carcere in collaborazione con TEATRO
91 per l’organizzazione e diffusione del Premio Nazionale “Annalisa Scafi” per la scrittura drammaturgia carceraria. Il Progetto
nasce con il sostegno del Ministero della Giustizia -Direzione Generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria e del Ministero dei Beni e Attività Culturali. L'obiettivo è stato quello di offrire uno spazio di
visibilità alle produzioni di drammaturgia penitenziaria, dimostrando quanto il teatro, in ambito penitenziario, possa a buon
diritto considerarsi un importante strumento di trattamento e rappresentare una reale occasione professionalizzante per i
detenuti. Il modello di teatro di inclusione sociale è stato applicato favorendo l'espressione drammaturgica, attraverso la
scrittura di un testo teatrale. Dopo l’elaborazione di un bando di concorso per la scrittura creativa rivolto alla popolazione
penitenziaria sono stati selezionati dei testi da parte di una giuria di esperti. Si dà avvio così ad un percorso formativo rivolto ai
detenuti vincitori sulle tecniche teatrali e di scrittura drammaturgica per arrivare, a fine percorso, ad un adattamento,
redazione, pubblicazione e messa in scena del testo (con la partecipazione di ex-detenuti).
Il progetto speciale per il sostegno alla Scrittura, Memoria e Drammaturgia penitenziaria nasce nel 2006 dalla collaborazione
della Compagnia Teatro 91 con la Direzione Generale Detenuti e Trattamento Ufficio IV del Ministero della Giustizia, allo scopo
di realizzare un concorso nazionale di
scrittura creativa
e drammaturgia penitenziaria indirizzato esclusivamente alla
popolazione detenuta nell’ambito del premio “Annalisa Scafi per gli autori di Teatro Civile”, grazie al finanziamento ottenuto
dalla Cassa delle Ammende. L’iniziativa ha dato avvio ad un‘esperienza qualificata ed innovativa che ha trasformato il carcere
in uno dei luoghi della drammaturgia contemporanea, fornendo un palcoscenico di assoluto prestigio nell’ambito del Festival I
Solisti del Teatro, tradizionale appuntamento dell’Estate Romana. La particolarità del progetto nasce dalla consapevolezza che
l’esperienza del Teatro in un ambiente chiuso come il carcere offre alle persone in esecuzione di pena la possibilità di
conoscere e sperimentare molteplici modelli comportamentali fondati sulla dimensione fisico – emozionale, la sola in grado di
valorizzare l’unicità di ciascun individuo attraverso la poetica della parola e del gesto ed il recupero di quelle percezioni ed
emozioni messe a rischio dall’esperienza di isolamento e separazione proprie della condizione detentiva. Attraverso il
linguaggio teatrale è, infatti, possibile far emergere la creatività dell'individuo come atto propositivo e autonomo e, dunque,
come occasione per sperimentare ed approfondire le diverse possibilità del "sentire " e del "comunicare" attraverso forme di
espressione artistica solitamente considerate lontane ed inconciliabili con il vissuto esistenziale di soggetti portatori di una
condizione di disagio personale e/o sociale e, sotto questo profilo, ai detenuti autori dei testi vincitori è stata offerta la
possibilità di vivere un’esperienza formativa particolarmente significativa all’interno del difficile percorso di ricostruzione di
una propria dignità personale e sociale. Il progetto tuttavia - oltre a momento puramente creativo - è stato anche occasione di
valutazione professionale e di sostegno produttivo mediante la messinscena del testo vincitore - a cura della Compagnia Teatro
91- nella prestigiosa cornice dei Giardini della Filarmonica Romana, con il successivo impegno a sostenere la promozione e la
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diffusione dell’opera sulla scena nazionale, in particolare all’interno della programmazione ufficiale del Teatro Piccolo Eliseo
Patroni Griffi di Roma. Conseguentemente, le opere vincitrici delle edizioni 2006 e 2007 del Premio Annalisa Scafi,
rispettivamente il testo Sette Mandate - frutto della selezione dei materiali più interessanti tra quelli partecipanti alla prima
edizione del concorso e dell’opera Via Tarquinia 20: biografie di un sogno, lavoro di scrittura collettiva nato dal laboratorio di
scrittura creativa attivo nella Casa di Reclusione di Civitavecchia ed il testo La corsa di Monciccì, una riflessione autobiografica
scritta a quattro mani da due detenuti della Casa di Reclusione di Fossombrone, sono stati rappresentati al Festival I Solisti del
Teatro ed
al Teatro Piccolo Eliseo nell’ambito della normale programmazione, con un rilevante successo di pubblico.
Nell’edizione del corrente anno il premio è stato assegnato ad un testo elaborato nella Casa Circondariale di Sassari dal titolo
“Il ragazzo e la sua betoniera” che sarà rappresentato nella prossima rassegna dei Solisti del Teatro. Quale considerazione
finale, si può osservare che l’esito più significativo, al di là del risultato artistico, è stata la grande partecipazione della
popolazione detenuta sia per quanto riguarda la “scrittura creativa”, ovvero composizioni brevi spesso caratterizzate da un
linguaggio poetico denso di emozioni, sia riguardo la produzione di testi teatrali, esperienza quest’ultima che ha consentito
l’emergere di una creatività frutto di uno spaccato esistenziale autentico, prodotto dagli stessi protagonisti del mondo recluso i
quali, per una volta, hanno potuto rivolgersi al pubblico con la propria “voce”, ponendo lo spettatore nella condizione di
osservare la diversità e la marginalità con uno sguardo libero da pregiudizi e stereotipi”.
Marzia Fratini – Ministero della Giustizia
TRE I TESTI REALIZZATI E PRODOTTI IN FORMA SCENICA (di seguito proposti), con tre diverse realtà carcerarie: Casa di
reclusione di Civitavecchia, Carcere di Fossombrone, Casa Circondariale di Sassari.
VIA TARQUINIA 20 – biografie di un sogno
Drammaturgia: Francesco Immobile, Giuseppe Miraglia, Luigi Paladino, Costantino Raia, Pasquale Ruggiero, Guido Severini,
Miguel Villarubio.
Con: Mimoun El Baroni Fabrizio Coniglio, Giuseppe Gaudino Frédéric Lachkar, Stefano Mereu Yaser Mohamed, Fabrizio Odetto
Salvatore Striano
Adattamento e Regia: Emanuela Giordano
La storia
Il testo, vincitore del Premio Annalisa Scafi per gli autori di teatro civile ed. 2006, nasce da un laboratorio di scrittura
coordinato da Valentina Giacchetti nella Casa di Reclusione di Civitavecchia diretta da Silvana Sergi. Viene presentato oggi in
forma di atto unico della durata di un’ora, grazie ad una serie di incontri di lavoro avvenuti con i detenuti autori ed Emanuela
Giordano. Via Tarquinia 20 è l’indirizzo della Casa di reclusione di Civitavecchia dove è stato scritto il Canovaccio e
successivamente la stesura completa di questo atto unico per nove uomini e un canarino, virtualmente ospiti della stessa cella.
Sono uomini di estrazione sociale ed etnia diversa. Per passare il tempo iniziano a raccontarsi episodi di vita vissuta, “ viaggi ”
tanto improbabili quanto reali, ma Zazà, il più evoluto, un francese dispotico, elude la curiosità degli altri lasciando il suo
racconto senza un finale. Dichiarandosi sazio di storie prive di fantasia chiede che sia fatto silenzio, per poter dormire in pace.
Pepè e Rachid, un peruviano e un egiziano, inizialmente per provocare Zazà, ma prendendoci poi gusto, iniziano allora ad
immaginare una partenza per Las Vegas, attraverso un rocambolesco itinerario in cui coinvolgono, volente o nolente, il
compagno francese. Alla catena di avventure si aggregano anche gli altri. Roberto, che sogna esperienze erotiche a bordo di
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una barca da lui costruita, coinvolge Alì , un marocchino malinconico e Pietro, un ragazzo fragile, impegnato a sopravvivere sul
filo del delicato equilibrio che lo lega ad un canarino, vero o immaginario, non sappiamo. Poi ci sono Antonio e Alfonso due
napoletani che sembrano usciti dalle commedie di Totò e Peppino. I due, abbandonato l’eterno gioco di carte, improvvisano
un brogliaccio che li vede protagonisti di una roccambolesca avventura all’ombra delle piramidi. Di spalle, in disparte,
coerentemente muto, c’è “ basso”, il più giovane, che suona appunto un basso elettrico ispirandosi ai racconti degli altri
compagni. Infine c’è il canarino, interlocutore privilegiato di Pietro ma soprattutto presenza legata fino all’ultimo istante alla
speranza o all’illusione . Speranza o illusione di cosa? Sicuramente di abbandonare al più presto l’isola in cui sono naufragati.
Che l’isola sia il carcere, una palude mentale, una difficoltà oggettiva di superare la soglia dell’illegalità, una incapacità di
divenire altro da quello che si è diventati ? Ciascuno di loro, affiderà al canarino il proprio segreto.
Note di Regia
Scrivere “fuori”, a volte, è pratica inflazionata, esuberanza narcisistica di un mondo che si celebra e si compiace. Scrivere “
dentro” credo sia in ogni caso, al di là dei risultati, un tentativo di ricostruire la trama della propria esistenza, dare corpo ai
pensieri che sfuggono, combattere la perdita di senso, di identità, di futuro. Scrivere diventa una necessità concreta come
l’aria, strumento di fantasia collettiva e anche sorprendente esercizio di autoironia, come in questo caso. Via Tarquinia 20 –
Biografie di un sogno è un interessante tentativo di scrittura collettiva, fusa in un unico stile leggero e popolare che transita
con disinvoltura tra iper realtà e surrealismo. Ha saputo raccontarci la necessità imprescindibile di ogni essere umano di
immaginarsi un futuro. Certo più che un desiderio di “ redenzione” emerge dal testo una palese voglia di “ evasione” ma è
raccontata con un candore talmente spudorato che per forza di cose mi ha coinvolto. Questo testo ha bisogno di immobilità,
scandita da un tempo che non passa mai, sono solo i cervelli che non si fermano, che mandano a sorpresa impulsi, che
provocano, che non si arrendono, cervelli che coabitano forzatamente in spazi limitati, producendo di tutto: suoni, schiamazzi,
risate, farsa, sogno, poesia e disperazione. Le poche battute introduttive a Via Tarquina 20, che faccio “ lanciare” in mezzo al
pubblico, nascono dal ricordo dei cento e più copioni arrivati dalle carceri italiane per il Concorso di Teatro civile Annalisa Scafi
nel 2006. Sono epigrammatici stralci di quei testi. Li ho voluti ricordare e credo si integrino perfettamente con tutto ciò che
seguirà. (Emanuela Giordano)
LA CORSA DI MONCICI’
di Antonio Salvatore Antonuccio e Carmelo Gallico
Adattamento e regia di Emanuela Giordano
Cast: Lucia Sardo, Claudia Gusmano, Laura Gusmano
Appunti a margine
Il teatro che nega la possibilità di una condivisione, di un riavvicinamento delle solitudini, di un tentativo di ascolto, che bolla
per “ buonista”, parola insopportabile, tutto quello che non è descrizione dell’irrevocabilmente mostruoso, nefasto e suicida,
tutti quelli che non sanno che il “cattivismo” è inutile e noioso quanto il troppo ”politicamente corretto” si negano l’utile
esercizio di sperare, esercizio che sarà anche banale, se volete, o forse inutile, se volete, ma non ha mai frenato il mondo,
semmai l’ha aiutato a procedere. Il nichilismo ad oltranza è sospetto quanto le improvvise riscoperte di fede. In mezzo c’è
un’umanità piena di dubbi che non smette di guardare al futuro. Il teatro, per quanto mi riguarda, ha che vedere con tutto
questo. Il sangue, le sodomie, gli urli, i vomiti già ampiamente e ripetutamente interpretati sul palcoscenico non hanno più
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molto da raccontarci, le messe nere hanno concluso, credo, ormai da tempo, il loro ciclo di provocazione. Guaine di pelle,
stivali, cappotti militari e mutande panterate è bene che vengano riposti nei bauli. Per quanto mi riguarda ho bisogno più che
altro di interpreti dallo sguardo vivo, capaci di ironie disperate ma anche di sguardi che sanno posarsi sull’altro, cercando
nell’altro anche la parte di noi che meno amiamo conoscere. Un teatro se volete semplice, che non tenta di imbrogliare le
carte, riempiendo con “ idee di regia” quello che a volte, perdonate, mi appare solo vuoto di pensiero. E’ forse per questo che
cerco e propongo idee come questa, che in scena hanno bisogno di poco.
Com’è nato il testo
La Corsa di Moncicì, scritta nel Carcere di Fossombrone, è una storia che non ci dimostra nulla ma che ci suggerisce tanto.
Che per esempio, a volte, forse, si può voltare pagina. Trae spunto da una storia vera, un detenuto l’ ha raccontata ad un
altro, scoprendo esperienze comuni. Insieme hanno deciso di scriverla. Uno degli autori ora si sta laureando in Giurisprudenza,
ha scritto altri racconti e poesie, pubblicate e premiate, l’altro, in carcere per un omicidio commesso a 18 anni, ha imparato a
studiare, a scrivere, a leggere romanzi, ma soprattutto a riflettere su ciò che ha commesso. In carcere si parla di tutto, politica,
calcio, donne, ma raramente si parla delle ragioni vere della pena detentiva. Questa volta è accaduto ed è stato elaborato in
forma di racconto. Il racconto, successivamente, dopo una serie di colloqui con gli autori, è stato trasformato in un atto unico
per il teatro.
La storia
Una bambina di nove anni, Laura. La bambina è nata e vive in Germania In estate Laura trascorre qualche giorno nel paese
d’origine della madre, che si trova nella provincia di Gela, in Sicilia. Ad accogliere Laura ci sono la sorella e la zia della mamma.
Il resto dei parenti dove sono? Sono morti? Sono in carcere? Sono andati a cercare lavoro lontano? La corsa di Moncicì è il
viaggio di una bambina nel passato, nel presente e nel difficile futuro della sua famiglia, legata al doppio ceppo di un dolore e
di una vergogna. C’è un ragazzo ucciso e ce n’è un altro che, per vendicarlo, è diventato un assassino. Un doppio omicidio
ancora la zia e la sorella della madre alla memoria di un figlio/ cugino morto e di un nipote/ fratello omicida.La corsa di
Moncicì ci racconta le conseguenze di un crimine sull’esistenza non solo e non tanto di chi entra in carcere ma di chi ne resta
fuori, ad aspettare, a sostenere, a subire colpe non commesse. Non ci sono che due possibilità: o dimenticare, rimuovere,
fuggire lontano o accettare, cercare di capire e mantenere un legame con chi sconta la pena. Un legame che costa in tutti i
sensi, soldi , energie, tempo, orgoglio ma che da la possibilità a chi è in carcere di poter credere che c’è qualcuno, fuori, che
non lo dimentica e non lo rinnega. La corsa di Moncicì interseca tre generazione, tre lingue, tre punti di vista. C’è il tedesco,
lingua della rimozione e di un nuovo decoro cercato altrove, c’è l’italiano televisivo e globalizzato, c’è un siciliano che sembra
un estremo tentativo di ancoraggio al passato, quando l’assassinato e l’assassino non erano che due cugini legati dalla prima
infanzia ad un patto di amicizia e di mutuo soccorso.
Note degli autori
Quando si è in carcere per omicidio non si parla del proprio reato. Al più si può far accenno ai fatti processuali, ma quanto
accaduto realmente, le emozioni, le motivazioni che hanno portato ad uccidere sono un segreto da custodire gelosamente
nella sfera del proprio privato, dell’intimo più nascosto. La corsa di Moncicì, pur essendo un racconto autobiografico scritto a
quattro mani, non sfugge a questa regola: nasce, infatti, non dalla confidenza di un momento, ma da flash, frammenti di
ricordi, frasi sussurrate a denti stretti, malinconie e nostalgie raccolte da Carmelo in otto anni di detenzione comune con
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Antonio. E quando i muri della diffidenza, le barriere che ogni detenuto costruisce intorno a se, sono venuti meno, Carmelo ha
accompagnato Antonio in un viaggio della memoria, quasi un viaggio catartico, che come in un puzzle ricompone i tasselli di
una vita, una corsa verso un baratro che ha inghiottito tanti giovani, una corsa con la morte dentro il cuore, perché in quel
delirio di violenza non era importante la distinzione tra chi giaceva a terra in una pozza di sangue e chi stringeva in mano una
pistola fumante: in realtà quei giovani erano in qualche modo tutti morti. La corsa di Moncicì, però, trova infine nel suo tassello
conclusivo un pensiero verso la vittima che allo stesso tempo vuole essere un accenno di speranza verso la rinascita, un
riaffacciarsi alla vita nonostante il passato di morte (Carmelo Gallico e Antonio S. Antonuccio).
IL RAGAZZO E LA SUA BETONIERA ovvero MEGLIO LA GRAMMATICA DELLA PRATICA
Commedia in tre atti di Giovanni Pietro Asara, Luca Michele Falchi, Marco Lucariello, Bachisio Montesu, Salvatore Nurra,
Massimo Perandria, Salvatore Piana, Giovanni Angelo Piras, Sergio Pischedda, Salvatore Tuccio
La Storia
Giuseppe è un ragazzo nulla facente con l’unica passione di collezionare abiti ed accessori firmati. Viene mandato a lavorare in
un cantiere edile da un padre abbrutito dalla fatica e poco propenso al dialogo. L’esperienza è disastrosa. Giuseppe scappa dal
cantiere ma non dice nulla in famiglia. Ogni mattina esce e fa finta di andare a lavorare. I genitori si illudono che abbia trovato
la sua strada e cominciano a fare castelli in aria. Intanto il tempo passa. A scadenza settimanale Giuseppe è visitato nel sogno
da Zirulìa, severa professoressa che lo ha bocciato. La donna assume alternativamente il ruolo di fata turchina ( poco incline al
pietismo ) e di fata morgana tentatrice. Sono naturalmente le due anime contrapposte del ragazzo, incapace di scegliere quale
strada percorrere: quella della bugia, del nichilismo senza uscita, dello sfruttamento protratto delle scarse risorse famigliari, o
quella più faticosa che necessita rigore e fatica, un investimento su se stessi, sulle proprie capacità. Un incubo finale costringe
Giuseppe a prendere una decisione. Dopo qualche settimana la finzione viene scoperta. Giuseppe si scontra con il padre, si fa
picchiare, senza difendersi. Ammette di aver abbandonato il cantiere ma svela di essere tornato a scuola, e di aver recuperato i
brutti voti. I genitori increduli davanti ad una pagella di sufficienze non possono che capitolare e sperare in una svolta sincera e
duratura. Anomala ma originale è la presentazione dei personaggi, descritti nel dettaglio anche quando si tratta di semplici
figure di contorno. Si avverte così la voglia di raccontare ognuno qualche parte di se, della propria esperienza umana senza
però prevaricare sulla storia principale, la storia di una famiglia dove nessuno si parla ma tutti urlano o minacciano, dove
l’amore si misura con i regali che i figli pretendono e con un lassismo sconfortante alternato ad impennate di inutile
autoritarismo. La famiglia Sganau non ha più nulla a che fare con lo stereotipo della Sardegna pastorale. Assomiglia più alla
Famiglia Simpson, a quell’universo senza confini: miseria culturale, falsi miti e poche speranze. Non deve sorprendere la scelta
di un lieto fine, o almeno di un finale aperto. Un autore intellettuale e a piede libero molto probabilmente avrebbe scritto un
finale senza via di uscita. Gli autori del Il ragazzo e la sua betoniera , che liberi non sono e intellettuali neanche, hanno
preferito invece affidare al loro racconto la speranza che quotidianamente viene loro a mancare.
Regia e Drammaturgia
Il testo originale, affidato a dieci cartelle di racconto, è stato successivamente sviluppato in riunioni collettive con gli autori. Il
ragazzo e la sua betoniera, in seguito, è stato ulteriormente verificato e limato lavorando con gli attori. Ha acquisito così la
struttura di atto unico compiuto. In procinto di adattare questo canovaccio teatrale, popolato da piccoli e grandi personaggi,
velocissimi e improbabili cambi di scena ( casa, cantiere, scuola, strada ) ho proposto agli autori di privilegiare la famiglia come
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protagonista e la cucina come unico spazio evocato. In scena quindi abbiamo solo quattro attori, quattro seggiole e un tavolo.
I due interpreti maschili non si “ scollano” mai dal loro ruolo di padre e di figlio ma contribuiscono con un intervento ritmico a
sostenere “ il coro” la storia narrata dalle donne. In sardo “ su coru, vuol dire anche “ il cuore”. Su coru fa sentire la sua voce
perché gli altri sappiano, “ su coru “ partecipa e rende partecipi, imprescindibile necessità. Su coru è affidato a un’inedita
coppia di affabulatrici, che interpretano via via tutti i ruoli chiave , in un divertito e continuo gioco di parti. Il sardo (un sardo
composto dai tanti sardi possibili ) è la lingua guida del racconto, citata, ma non abusata, per limiti oggettivi di comprensione
e per pudore. Questa lingua, aspra e molto bella, si presta , come tutti i dialetti, alla sferzata ironica di cui non potevamo fare a
meno. Nessuno in questa storia è un eroe positivo: la madre è depressa, il padre abbrutito, la figlia ossessionata dalla musica in
cuffia, la fidanzata dai piercing e Giuseppe, il protagonista, dalle marche dei vestiti. Ci vuole l’intervento di una fata, di
un’apparizione notturna quanto mai improbabile per ridare speranze al sogno, sogno anche questo contaminato da troppi
desideri indotti: ville, piscine, gazebo, moto di grossa cilindrata, macchine sportive, soldi troppo facili. Il racconto è partecipe,
la realtà no, è quasi anestetizzata, come se ormai fossimo tutti personaggi di un fumetto da cui non sappiamo “evadere”.
 Vol. I - Sez. 1 - 1. METODOLOGIA E PRASSI
2. UNA RIFLESSIONE AUTOREVOLE: JOSÉ JORGE CHADE
Professore Ufficiale, Cattedra di Pedagogia Speciale, Facoltà di Scienze della Formazione dell’Alma Mater Studiorum,
Università di Bologna. Insegna Pedagogia Speciale al Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università di
Modena e Reggio Emilia. Insegna Disturbi del linguaggio e della Comunicazione. Comunicazione interpersonale, nell’area di
Pedagogia Speciale, nel Corso di Specializzazione per Insegnanti di Sostegno, presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione
dell’Università di Bologna. Consulente Pedagogico e Formazione e Management del Centro Protesi INAIL di Vigorso di Budrio,
dal 1996 al 2004. Supervisore scientifico del progetto “A Casa con Sostegno” del Comune di Parma. Consulente Scientificopedagogico Progetto Horizon “Diverse Abilità” Teatro ed Handicap. Unione Europea, Regione Lazio, Associazione Laziale
Motulesi. Roma. Collabora con diversi Comuni e con la Regione Emilia- Romagna in Progetti nazionali ed europei sulla
riduzione dell’handicap.
Arte creatività e integrazione
Le manifestazioni artistiche costituiscono uno sfondo integratore molto forte e parallelamente un momento ideale per
attivare una vera relazione d’aiuto. Dal punto di vista pedagogico- scientifico e medico- tecnico queste attività coprono due
importanti funzioni della riabilitazione. Bisogna porre l’accento qui in che modo concepiamo la riabilitazione, oppure meglio,
quali sono i punti di vista che abbiamo sulla riabilitazione. Bisognerà guardare la riabilitazione da tre punti di vista ben
definiti:
1.
Riabilitazione come Scienza Medica
2.
Riabilitazione come processo
3.
Riabilitazione come filosofia
Questi punti di vista della riabilitazione si possono collegare direttamente con le determinanti dell’handicap:

La determinante biologica

La determinante socioculturale

La determinante psicologica individuale
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Tutti i modelli d’arte e creatività sviluppate in modo integrato fanno parte del processo e della filosofia della riabilitazione, di
una riabilitazione non rivolta soltanto alle persone in situazione di handicap, ma di una riabilitazione sociale. In questo modo
si può affermare che il lavoro artistico integrato ha un forte filo conduttore verso l’umanizzazione e la qualità della vita in cui
solamente sono possibili sensi e significati. Si può pensare a Tolstoj e al suo metodo pedagogico quando insegnava ai figli dei
contadini nella scuola-laboratorio di Ismania Poiana e utilizzava la creatività e la fantasia in tutte le sue forme per suscitare
l’interesse degli scolari. Una situazione ricorrente è quella del rapporto non casuale ma di scelta tra maestri e allievi, il non
dare tecniche ma farli nascere come bisogno e come interesse. Nodi centrali sono anche la conquista del valore formativo del
gioco, l’attenzione al corpo, e il rispetto della psicomotricità innata che ogni bambino porta con sé. L’improvvisazione e
l’utilizzo di ogni possibilità espressiva sono in fondo le grandi linee pedagogiche del teatro dell’900 perché il bisogno di fare
teatro si proietta non solo sullo spettacolo ma sul processo creativo dell’attore che ha imparato a esprimersi. Nella pedagogia
e ancora di più nella pedagogia teatrale c’è in fondo un valore: imparare a costruire nel presente il futuro per inserirsi, e
conservare nel presente il passato .
Arte, creatività ed handicap
Noi sappiamo che oltre al deficit, (determinante biologica dell’handicap), lo stato di handicap o disabilita è tale in relazione
alle altre persone; da qui l’importanza dei valori sociali esistenti a loro volta condizionati dagli ordinamenti istituzionali della
società. Gli atteggiamenti e le reazioni dei non handicappati giocano un ruolo centrale nel modellare il concetto di sé e nel
definire le possibilità di un individuo che è potenzialmente handicappato. L’handicap è caratterizzato da una dissonanza tra
efficienza e condizione dell’individuo e le attese di quel particolare gruppo di cui egli è parte. (l’handicap pertanto è un
fenomeno sociale).
Per muoversi ancora all’interno di una visione dell’handicap in positivo ci accostiamo alla
drammatizzazione, dove ogni ostacolo è l’occasione di una sfida, dove ogni ostacolo diventa risorsa. La volontà di entrare in
un percorso di ricerca e di rischiare ne fanno un luogo del possibile. Ciò permette di non arrestarsi ad una visione statica del
limiti o dell’handicap. Inoltre non esiste un teatro, anche se di figura, senza relazione: tra le attori o tra un autore e le
strutture di una scenografia, tra regia drammaturgia, tra attori e spettatori. Ciò costituisce una possibilità di integrazione nel
senso di restituire interezza e di avvicinare la collettività che vive l’esperienza dalla platea. Permette il riconoscimento di
quelle “parti” della persona handicappata che spesso sono coperte dal silenzio. La rappresentazione teatrale ed altre
manifestazioni artistiche possono perfino sconvolgere quegli a-priori che accompagnano la visione del limite o
dell’handicappato. E’ stato verificato già il fatto che in un laboratorio misto ci si ritrovi a difendere la propria normalità fra
etica ed estetica.
Laboratori
Quali sono gli obiettivi didattici che dovrebbero raggiungere i laboratori?

Sviluppare attraverso il tocco la sensazione cinestesica.

Rafforzare il concetto di schema, immagine e coscienza corporea.

Sviluppare la percezione visiva (forma, colore, grandezza, direzione, posizioni).

Sviluppare la percezione uditiva.

Sviluppare il senso di saper distinguere tra percezione visiva tridimensionale e percezione globale di un corpo
comprensivo di forma, peso, consistenza ed altre caratteristiche.

Stimolare l’analisi- sintesi visivo e uditivo.
23

Arricchire la coordinazione oculo-manuale e la coordinazione dinamica delle mani nel rapporto con gli oggetti e con
gli altri e sviluppare l'osservazione degli effetti prodotti sui materiali dai vari e diversi interventi.

Sviluppare ed arricchire il proprio bagaglio di creatività e inventiva allontanandolo dagli stereotipi.

Sviluppare il senso estetico personale e sensibilizzare alla concezione artistica.

Stimolare al gioco e favorire le relazioni interpersonali e arricchimento dei linguaggi espressivi individuali.

Integrare e stimolare la relazione interpersonale.
Durante lo sviluppo dei laboratori di arte e creatività compaiono diverse funzioni educative- riabilitative, sia rispetto
all’educazione del fare teatro, dell’essere attori, attori mediatori, sia relativamente alle dinamiche di interrelazione che si
sono evidenziate, testimonianza della difficoltà di un gruppo integrato in cui tutti si ritrovano ad essere attori, in un percorso
di esplorazione e di ricerca teatrali alla pari. Non vanno sottovalutati i rischi di un’ulteriore idealizzazione e ideologizzazione
di queste esperienze artistiche. E’ opportuno soffermarsi sull’oggetto di recenti dibattiti sulla scena culturale italiana ed
europea.
La distinzione tra arte vero e proprio e arte terapia.
Il pericolo di una classificazione, di una marcatura, della costituzione di una riserva dell’arte della diversità, degli esclusi,
piuttosto che una valutazione della scoperta di un nuovo campo, portatori di un rinnovamento delle pratiche artistiche e di
messa in discussione del mestiere della persona, oltre che degli atteggiamenti nei confronti dell’handicap. Tutto ciò ci fa
capire che questo ha una dimensione creativa e questo fa sì che sia facilitata la scoperta delle proprie possibilità, di risorse
che si conoscevano e non emergevano. In questo modo il progetto si rivela progetto riabilitativo, educativo, integratore
nell’ambito della cultura della diversità verso la cittadinanza, gli spettatori che assistono. Lasciando aperta sempre una
riflessione …
Lo spazio teatrale diventa un vero spazio teatrale perché non è solo fisico, ma emotivo, si possono capire i sentimenti, le
relazioni, le posizioni nel gruppo, diventa uno strumento per prendere maggiore consapevolezza delle proprie difese, delle
proprie paure, delle resistenze di ogni persona nei confronti di se stessa e degli altri. Non parlo soltanto degli attori, ma di
tutti, perfino delle persone che guardano nascoste dietro le quinte. L’arte come ausilio terapeutico costituisce uno spiraglio
dove visioni diverse possono riprendere a dialogare, non solo come sintomo di disagio, ma come rinascita. L'attività
espressiva rappresenta un'esperienza significativa dal punto di vista socio-educativo nei riguardi delle persone in situazione
di svantaggio. Questa attività concede loro la possibilità di sviluppo sia di esprimere la propria individualità in un contesto di
gruppo, che potenziare le capacità di relazione, sia per stimolare il desiderio e il piacere di fare, elaborare, creare. Gli
educatori, i coordinatori devono avere una “capacità di ascolto” e di “relazione”, nonché la funzione di “aiuto a pensare” e
fare attraverso la presenza attenta al bisogno e alle capacità.
Chi sa esprimersi non ha paure né angosce; in questo consiste il significato di liberazione che queste attività artistica
possiedono. Ho già detto all’inizio e lo ripeto ancora, che una buon’integrazione non può ridurre un deficit, e se vi fosse
quest’illusione, sarebbe un motivo di grande delusione. Invece una buona integrazione deve poter ridurre gli handicap.
Occorre quindi ridurre insieme, dialogando, programmando e quindi conoscendo.
24
 Vol. I - Sez. 1 - 1. Metodologia e Prassi
(AC) Argomento Correlato: TEATRO E DISAGIO
SCHEDA 1.C METODI DI TEATRO CREATIVO
3. DRAMMATERAPIA E PSICODRAMMA
Chiara Valmori Bussi
Articolo pubblicato sulla rivista Artiterapie 2-3, 2003
Evidentemente, drammaterapia e psicodramma sono “frutti dello stesso albero”. Si tratta di un albero antico, le cui radici
risalgono alla connessione tra creatività e cura presente nell’esperienza umana, da sempre. Psicodramma e drammaterapia
hanno riscoperto la vitalità e l’efficacia del dramma/teatro come modello primario di cura ed entrambe richiamano la
funzione terapeutica dei rituali sciamanici. Nei rituali di cura sciamanici possiamo vedere delle protostrutture sia della
psicoterapia sia del teatro: "la funzione principale dello sciamano nell’esorcismo del malato è psicoterapeutica; il suo metodo
è drammatico" (Charles, 1953, p.97). Inoltre, negli esorcismi sciamanici sono presenti le componenti essenziali del teatro:
scene, costumi, scenografia, effetti luminosi, trucco, maschere, pupazzi, narrazione, dialogo, monologo, coro, role-play e così
via. Diversi autori (Bates, 1987; Cole, 1975; Kirby, 1975; Schechner, 1973) hanno chiaramente identificato in tali rituali
drammatici le origini del teatro. Le stesse pratiche rituali sono state, inoltre, citate come fonte sia della drammaterapia
(Pendzik, 1988) sia dello psicodramma (McNiff, 1979). Allo scopo di costruire una teoria generale unificata del potenziale
terapeutico del dramma, Kedem-Tahar e Kellermann (in Snow, 1996) ritengono necessario compiere un’impegnativa
esplorazione delle continuità tra tutti i modelli culturali e storici del “dramma come terapia”, per articolare ciò che
Ellenberger (1970) descrive “psicoterapia comparata”, iniziando così a tracciare la mappa di un campo altamente
specializzato. Drammaterapia e psicodramma, essendo “frutti dello stesso albero” ed avendo una gran somiglianza, rendono
molto difficile effettuare un’analisi comparata; il teatro è la loro fonte d’ispirazione comune e ciò permette di descriverle
come “differenti rami di un unico albero”. Entrambi i metodi attingono all’uso di forme artistiche per dare forma e stimolare
il processo terapeutico. Terapeuta e cliente utilizzano le loro risorse creative interne e condividono fonti culturali nella
terapia. Il messaggio implicito è che, nello stato di salute, siamo esseri creativi. Il mondo drammatico è un mondo in azione,
dove i partecipanti agiscono e sono attivi. Drammaterapia e psicodramma utilizzano metodi che comprendono l’azione, e che
coinvolgono i partecipanti nell’azione; in contrasto con le psicoterapie verbali, non attive (Chesner, 1994).
La presenza di movimenti fisici e la possibilità di un contatto fisico nelle sessioni terapeutiche ha un potente impatto. C’è una
profonda connessione tra il corpo e i sensi, gli stati emozionali e mentali. Essendo coinvolto a livello fisico il cliente ha un più
facile accesso al proprio mondo emozionale ed interiore. I clienti possono esprimersi in modo più completo rispetto a quello
abituale e gli viene offerta la possibilità di adottare nell’azione ruoli nuovi ed alternativi. Lo spazio terapeutico corrisponde
alla scena teatrale. È lo spazio dove illusione e gioco sono accettati. Quando andiamo a teatro accettiamo che l’azione sulla
scena abbia un tipo di realtà differente da quella che si svolge nella strada o nel foyer del teatro. Lavorando con la
drammaterapia o con lo psicodramma i clienti sono invitati a portare il mondo della memoria, della fantasia, del mito, nella
scena terapeutica, dove il contesto dell’illusione e del gioco permette una maggiore libertà d’esplorazione e d’espressione
(Chesner, 1994). La particolare qualità della realtà consentita dallo spazio teatrale può essere descritta nei termini derivati
dall’antropologia e dai riti di passaggio come “liminale”, esistente tra uno stato e l’altro. Winnicott (1974) parla di uno “spazio
25
transizionale” la cui particolare qualità è quella di trovarsi in uno spazio intermedio, tra il mondo interiore e la realtà esterna
del bambino, in cui si trovano gli “oggetti transizionali”: spesso un orsacchiotto, una coperta. Oggetti che esistono realmente
nel mondo esterno, ma che acquistano significati particolari nel mondo interiore, cui è permesso esistere ad un livello di
realtà tra “me” e “non me”, creando un ponte tra oggettività e soggettività. Qualità che rappresenta una potente spinta nei
processi trasformativi. Così nella drammaterapia e nello psicodramma lo spazio terapeutico è transizionale ed opera come un
ponte tra il mondo interno/esterno.
Il linguaggio teatrale legato all’esperienza del gioco e la materializzazione attraverso la recitazione del mondo fantastico,
facilita l’esplorazione ed il cambiamento sia negli adulti che nei bambini. Inoltre, il teatro del mondo interiore ci è reso
familiare dall’esperienza del sogno. È interessante notare come l’inconscio scelga di parlare, non solo attraverso le parole, ma
attraverso modi di comunicazione essenzialmente teatrali. Nel sogno troviamo elementi teatrali come la storia, il luogo, la
trama, i cambi di scena, le relazioni spaziali, i personaggi e il dialogo. Il significato è espresso sia da ciascuno di questi
elementi sia dall’atmosfera da essi creata nel suo insieme. Le storie che hanno la loro origine nell’immaginazione, nella
fantasia o nella memoria possono essere esternate e messe in atto attraverso il dramma. Diversamente dallo psicodramma
che rappresenta il primo tentativo significativo di vedere la recitazione come metodo formalizzato di psicoterapia, fondato da
Moreno, formidabile pioniere nel campo della psicoterapia di gruppo, la drammaterapia non ha un singolo fondatore. Ciò ha
condotto ad una multivocalità all’interno di questa disciplina. Pertanto, negli ultimi due decenni, la drammaterapia è
diventata sempre più sofisticata in ambito clinico e teorico ed è riconosciuta a livello internazionale come arte terapia
creativa unica e di valore peculiare rispetto allo stesso psicodramma. Essendo giovane come disciplina accademica e clinica e
non avendo un singolo fondatore, la drammaterapia sta seguendo una lunga strada per arrivare a produrre una teoria
generale unificata, che includa i vari modelli sviluppati dal lavoro dei singoli autori.
Sorgono alcune questioni allora, per cercare di identificare le differenze cruciali tra le due discipline, considerando inoltre che
entrambe, sono membri della National Coalition of Arts Therapies Associations (NCATA) statunitense: "lo psicodramma è
realmente un’arte terapia creativa? Se no, perché no? C’è un uso minore di mezzi creativi nello psicodramma? La
drammaterapia è più allineata con la poetica del dramma/teatro, mentre lo psicodramma è più fissato alle inerenze
terapeutiche del dramma/teatro? La drammaterapia è più evocativa e lo psicodramma più provocativo?" (Snow, 1996,
p.202). Anna Chesner (1994) evidenzia come drammaterapia e psicodramma si distinguono per i metodi usati: la
drammaterapia utilizza qualsiasi aspetto dell’intera estensione dell’attività drammatica come fonte terapeutica, lo
psicodramma utilizza le tecniche particolari sviluppate da Moreno per dirigere il percorso terapeutico. Cercando di essere
ancora più puntuali in tale distinzione, possiamo affermare che lo psicodramma non utilizza un impianto metodologico
teatrale e non ha un paradigma artistico, ma utilizza il teatro come metafora e scenario, ereditando fondamentalmente solo
il lavoro con i ruoli, quindi possiamo decisamente affermare che non è un’arte terapia, al contrario della drammaterapia che
assume nella sua interezza e complessità l’impianto teatrale: ruoli, personaggi, tecniche del corpo e della voce,
improvvisazione, rappresentazione. Nella drammaterapia, infatti, è presente una vera e propria costruzione teatrale che
prevede la ripetizione, le prove, al contrario dello psicodramma che utilizza l'espressione spontanea dei contenuti; inoltre,
mentre la drammaterapia lavora indirettamente sui vissuti autobiografici e sui contenuti inconsci ed emotivi della persona,
modulando la distanza estetica, lo psicodramma lavora direttamente sui contenuti. Mentre al centro del viaggio
psicodrammatico s’identifica un solo membro del gruppo, il protagonista ed i ruoli assunti dagli altri membri del gruppo
riflettono il suo mondo interiore, la drammaterapia può concentrarsi su un individuo per la maggior parte della sessione, ma
26
è preferibile che l’attenzione si sposti liberamente all’interno del gruppo. Inoltre, nella drammaterapia è presente lo statuto
di una messa in atto: lo spettacolo, durante il quale il pubblico assume la qualità di testimone esterno contrariamente a
quanto avviene nello psicodramma dove manca il vertice estetico ed il rapporto pubblico-performer, in quanto il pubblico è
inteso come facente parte del gruppo stesso. Il gruppo drammaterapeutico è un gruppo performativo e differisce da un
gruppo non performativo in quanto il pubblico viene visto, sin dall’inizio, parte del gruppo terapeutico e la rappresentazione
segna l’apice della vita del gruppo (Emunah, Johnson, 1983). In drammaterapia vengono utilizzate tecniche
psicodrammatiche che riguardano la costruzione del setting e le varie fasi di strutturazione delle sedute, ma in più vengono
usate tecniche proiettive (oggetti, bambole, burattini, pupazzi, maschere, make-up, fotografia, video…) per amplificare il
vissuto della distanza emotiva. Utilizzando la tecnica del distanziamento di origine brechtiana (separazione tra attore e
ruolo), in contrapposizione al naturalismo di Stanislavskij, che prevede una completa identificazione con il personaggio, si
permette agli individui di rivivere un conflitto della propria esistenza senza essere sopraffatti dall’immedesimazione nel
problema. Ciò significa vivere contemporaneamente la propria realtà e quella della finzione teatrale, infatti, attraverso la
distanza estetica che paradossalmente permette di esprimere a realtà ad un livello molto profondo, il soggetto vive
un’esperienza psicosensoriale intensa, e contemporaneamente la modula dall’esterno.
Gli attori non diventano i personaggi che stanno interpretando, ma avvicinano se stessi e le proprie esperienze alla
performance sperimentando entrambe le realtà, quella soggettiva ed oggettiva attraverso la distanza estetica del teatro. Il
concetto di “matrice” può aiutare a chiarire ulteriori differenze tra questi due metodi. Tale concetto è utilizzato da Foulkes
(1964) per indicare il terreno comune da cui è stato generato un gruppo, in questo senso il termine matrice viene usato in
sostituzione del termine madre. La matrice è anche l’elemento comune che permette la comunicazione tra i membri di un
gruppo: "il gruppo rappresenta una situazione sociale in cui i pazienti entrano in contatto inter-reagendo fra di loro: la
dinamica del gruppo opera all’interno di una comune matrice interpersonale" (Foulkes, 1964, p.104). Qualsiasi cosa venga
comunicata nel gruppo, verbalmente o non verbalmente, provoca una risonanza negli altri membri del gruppo e nel
conduttore. I temi diventano evidenti e vengono affrontati dal gruppo. La “matrice” quindi, riguarda il gruppo in qualsiasi
momento che sia un gruppo analitico, psicodrammatico o drammaterapeutico. La “matrice” del gruppo è esplorata in modo
libero e fluttuante in drammaterapia, mentre nello psicodramma viene definita nei primi cinque minuti di una sessione ed
informa la scelta del protagonista (Chesner, 1994).Un altro punto importante è il ruolo del terapeuta. La natura e l’andatura
del processo tendono a guidare verso una presenza terapeutica più direttiva da parte dello psicodrammatista piuttosto che
del drammaterapeuta, che può avere una presenza più facilitante. Kellermann (1992) cita quattro funzioni fondamentali dello
psicodrammatista: analista, regista, terapeuta e leader digruppo; Stephen Snow (1996) mette in evidenza che le stesse
quattro funzioni sono ugualmente vere per il drammaterapeuta. Il drammaterapeuta è in grado di valutare le condizioni
psicologiche dei clienti, siano essi con disturbi schizofrenici, bipolari, autistici, borderline e simili, ed è in grado di analizzare
accuratamente il paziente per determinare il miglior approccio necessario al suo trattamento.
Inoltre, il drammaterapeuta possiede le capacità di creare in modo creativo uno spazio transizionale dove il cliente può
sentirsi libero di recitare in una scena o di intraprendere un’azione drammatica, così il drammaterapeuta è certamente anche
un regista. Anche il drammaterapeuta, come lo psicodrammatista, è uno psicoterapeuta che utilizza mezzi drammatici per
permettere la guarigione del cliente. Infine, anche il drammaterapeuta si basa sulle dinamiche di gruppo e sui metodi
psicoterapeutici di gruppo, in modo da essere effettivamente un leader di gruppo.Kedem-Tahar e Kellermann nel loro
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articolo “Psychodrama and Drama Therapy: AComparison” cercano d’identificare una differenza fondamentale tra
psicodramma e drammaterapia: "nello psicodramma l’“anima” (psiche) è lo scopo e l’“azione” (dramma) è lo strumento,
l’opposto è vero per la drammaterapia in cui il dramma stesso (come arte pura) è lo scopo e la psiche è lo strumento (di
espressione)" (in Snow, 1996, p.203). In definitiva, mi sembra che la definizione di drammaterapia data dalla Emunah
riassuma la sua peculiarità nell'accento dato all'uso sistematico del linguaggio teatrale: "la drammaterapia è l’uso
intenzionale e sistematico di processi drammatico/teatrali per raggiungere una crescita psicologica e un cambiamento"
(Emunah, 1994, p.3).
 Vol. I - Sez. 1 - 1. Metodologia e Prassi
(AC) Argomento Correlato: TEATRO E DISAGIO
SCHEDA 1.C METODI DI TEATRO CREATIVO
4. IL TEATRO DELL'OPPRESSO
Il Teatro dell'oppresso (TdO) nasce negli anni '60 in Brasile, ad opera di Augusto Boal, direttore del Teatro Arena di Saõ Paulo.
E' un metodo teatrale che usa il teatro come mezzo di conoscenza e come linguaggio, come mezzo trasformazione della
realtà interiore, relazionale e sociale. E' un teatro che rende attivo il pubblico e serve ai gruppi di "spett-attori" per esplorare,
mettere in scena, analizzare e trasformare la realtà che essi stessi vivono. Ha tra le finalità quella di far riscoprire agli individui
la propria teatralità quale strumento per comprendere la realtà e per rendere gli spettatori protagonisti dell’azione scenica,
affinché lo siano anche nella vita. Si basa sull’ipotesi che "tutto il corpo pensa", in altre parole su una concezione "globale"
dell’uomo visto come interazione reciproca di corpo, mente, emozioni. Il metodo fornisce strumenti d’analisi, liberazione e
coscientizzazione attraverso un approccio non direttivo basato sulla creazione di una relazione dialogica, che annulli gli
aspetti di violenza. La finalità è sviluppare le capacità intuitive e sensoriali dei singoli, oltre che razionali. Proprio in virtù dei
principi e delle finalità che lo sostanziano, il metodo prende posizione a favore degli "oppressi". Per conseguire questo scopo,
Boal elaborò varie tecniche (teatro giornale, teatro forum, teatro immagine, teatro invisibile...) in grado di valorizzare la
cultura dei contadini. Tutte, a vari livelli, cercano di de-professionalizzare il teatro, rompendo la barriera attore-spettatore.
Usato come strumento maieutico, e non come catarsi, questo metodo teatrale - da cui deriva una vera e propria forma di
teatro e rappresentazione - promuove l'emersione dei grandi problemi sociali e collettivi. Aspetto peculiare resta comunque
il lavoro sul corpo per sciogliere le maschere muscolari ("un generale cammina come un generale") e l'attivazione di un
pensiero "per immagini". Il TdO si basa sull'esplicitazione di conflitti interpersonali e sociali, ricercando soluzioni al conflitto: è
il gruppo stesso che le ricerca e le mette in pratica, seppure in uno scenario teatrale. L'ipotesi è che la "recita" di una
soluzione può stimolare ad agire anche nella vita quotidiana; il conflitto viene così valorizzato perché permette all'oppresso
di " liberarsi dall'oppressione". Dall'influenza del pensiero di Freire il TdO prende l'atteggiamento non indottrinante ma
maieutico: non dà risposte ma pone domande e crea contesti utili per la ricerca collettiva di soluzioni. Partendo dalla nozione
del "corpo pensante" giunge alla concezione dell'essere umano come globalità di corpo, mente ed emozione, dove
l'apprendimento/cambiamento vede necessariamente coinvolti tutti e tre questi aspetti, in stretta relazione tra loro. In
questo quadro, il TdO si muove ai confini tra teatro, educazione, terapia, intervento sociale e politica. Fulcro del lavoro è
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l'analisi finalizzata alla trasformazione delle situazioni oppressive, di disagio e conflittuali, proprie della vita quotidiana. Il
metodo si avvale di esercizi e giochi che mirano a sciogliere le "meccanizzazioni" del nostro corpo/mente/emozione e che
sono cristallizzate nella cosiddetta "maschera sociale". Pur toccando aspetti personali ed emotivi, il TdO non si pone come
terapia, ma come strumento di "liberazione" collettiva che poggia sulla presa di coscienza autonoma delle persone, sullo
"specchio multiplo dello sguardo degli altri". Ogni diversa situazione critica può essere affrontata usando tecniche e metodi
appropriati: giochi ed esercizi, appunto, quali ad esempio: il Teatro Forum, il Teatro Immagine, il Teatro Invisibile, il Flic-dansla-tete (Poliziotto nella testa), il Teatro Giornale. L'ultima tappa del TdO è attualmente il Teatro-Legislativo, esperienza
inizialmente svolta a Rio de Janeiro dal 1993 al 1996 dove Boal, eletto deputato della Camera dei Vereadores, ha coordinato
un progetto tramite cui gruppi sociali organizzati (donne, senza terra, disoccupati, etc.) potevano esprimere i loro bisogni
attraverso la pratica teatrale, traducendoli poi in proposte di legge discusse alla Camera. Viceversa, Leggi già presenti - ma
non rispettate - venivano rafforzate tramite azioni di Teatro-Invisibile che mettevano in luce le inadempienze. E' questa
un'esperienza che Boal chiama di "democrazia transitiva", né diretta né delegata, obiettivata a connettere maggiormente il
legiferare e le Istituzioni coi bisogni chiave dei cittadini organizzati. Oggi il TdO è diffuso in tutto il mondo, ma i suoi centri
"storici" sono uno a Rio (Centro do Teatro do Oprimido) e uno a Parigi (Centre du Theatre de l'Opprime').
I Principi del TdO
* Lo scopo base del TdO è umanizzare l'Umanità.
* Il TdO è un sistema di Esercizi, Giochi e Tecniche basate sul Teatro Essenziale, per aiutare uomini e donne a sviluppare ciò
che loro già hanno dentro se stessi: il teatro.
* Ogni essere umano e' teatro!
* Il teatro è definito come l'esistenza simultanea - nello stesso spazio e contesto - di attori e spettatori. Ogni essere umano e'
capace di vedere la situazione e di vedersi nella situazione.
* Il Teatro Essenziale consiste in tre elementi: il Teatro Soggettivo, il Teatro Oggettivo e il Linguaggio Teatrale.
* Ogni essere umano è capace di recitare-agire (acting): noi dobbiamo necessariamente produrre azioni e osservare queste
azioni e i loro effetti sull'ambiente. Essere Umano vuol dire essere Teatro: la coesistenza dell'attore e dello spettatore nello
stesso individuo. Questo è il Teatro Soggettivo.
* Quando gli essere umani limitano se stessi nell'osservare un oggetto, uno persona o uno spazio, rinunciando
momentaneamente alla loro capacità e necessità di agire, l'energia del loro desiderio di agire e' trasferita a quello spazio,
persona od oggetto, creando uno spazio nello spazio: uno Spazio Estetico. Questo e' il Teatro Oggettivo.
* Tutti gli esseri umani usano, nella loro vita quotidiana, lo stesso linguaggio che gli attori usano sul palco: le loro voci, i loro
corpi, i loro movimenti e le loro espressioni; essi traducono le proprie emozioni e desideri nel Linguaggio Teatrale.
* Il TdO offre a ognuno lo strumento estetico per analizzare il proprio passato, nel contesto del proprio presente e
conseguentemente inventare il proprio futuro, senza attenderlo. Il TdO aiuta gli esseri umani a recuperare un linguaggio che
già possiedono - noi impariamo come vivere nella società facendo teatro. Noi impariamo come sentire per mezzo del sentire;
come pensare pensando; come agire agendo. Il TdO è una prova per la realtà.
* Gli oppressi sono quegli individui o gruppi che sono socialmente, culturalmente, politicamente, economicamente,
razzialmente, sessualmente o in ogni altro modo, deprivati del loro diritto al Dialogo o in ogni modo danneggiati nell'esercizio
di questo diritto.
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* Il Dialogo e' definito come un libero scambio con gli altri, come persona e come gruppo, nel partecipare alla società umana
come eguale, nel rispettare le differenze ed essere rispettato. Il TdO è basato sul principio che tutte le relazioni umane
dovrebbero essere di natura dialogica: tra uomini e donne, tra razze, famiglie, gruppi e nazioni, il dialogo dovrebbe prevalere.
In realtà tutti i dialoghi hanno la tendenza a diventare monologhi, che creano la relazione oppressi-oppressori. Riconoscendo
questa realtà, il più importante principio del TdO è di aiutare a restaurare (to restore) il dialogo tra gli esseri umani.
* Il TdO è un movimento mondiale non-violento ed estetico che cerca la pace, non la passività.
* Il TdO cerca di attivare la gente in un tentativo (endeavor) umanistico espresso dal suo vero nome: teatro di, da, e per
l'oppresso. Un sistema che rende capace la gente di agire nella finzione del teatro per diventare protagonista, cioè soggetto
attivo, della propria vita.
* Il TdO non è né un'ideologia né un partito politico, non è dogmatico né coercitivo, ed è rispettoso di tutte le culture. E' un
metodo di analisi e un mezzo per sviluppare società più felici. A causa della sua natura umanistica e democratica, esso è
largamente usato in tutto il mondo, in tutti i campi di attività sociale come: educazione, cultura, arte, politica, lavoro sociale,
psicoterapia, programmi di alfabetizzazione e salute.
* Il TdO e' ora usato in circa metà delle nazioni del mondo, elencate nell'allegato, come uno strumento per forgiare scoperte
circa se stessi e circa l'Altro, per chiarificare ed esprimere i nostri desideri; uno strumento per il cambiamento delle
circostanze che producono infelicità e pena, e per l'intensificazione di ciò che porta pace; per rispettare le differenze tra gli
individui e gruppi e per includere tutti gli esseri umani nel Dialogo; e infine uno strumento per ottenere giustizia economica e
sociale, che è il fondamento della vera democrazia. In sintesi, l'obiettivo generale del TdO è lo sviluppo dei Diritti Umani
fondamentali.
L'organizzazione internazionale del TdO (ITO) è un'organizzazione che coordina e intensifica lo sviluppo del TdO in tutto il
mondo, secondo i principi e gli obiettivi di questa Dichiarazione. L'ITO fa ciò connettendo chi pratica il TdO in una rete
globale, favorendo lo scambio e lo sviluppo metodologico; facilitando la formazione e la disseminazione delle tecniche
esistenti; concependo progetti su scala globale; stimolando la creazione di Centri di TdO locali (CTO); promuovendo e
creando condizioni per il lavoro dei CTO e di chi pratica il TdO e creando un punto d'incontro internazionale su Internet. L'ITO
è della stessa natura umanistica e democratica tanto quanto i suoi principi ed obiettivi; essa incorporerà ogni contributo da
quelli che stanno lavorando secondo questa Dichiarazione di Principi. L'ITO si impegnerà (to assume) affinchè chiunque usi le
varie tecniche del TdO sottoscriva questa Dichiarazione dei Principi.
(http://www.utopie.it/formazione/teatro_dell'oppresso.htm)
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APPROFONDIMENTI
 Vol. I - Sezione 2
Didattica teatrale e Tecniche del metodo Writing Theatre
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 Vol. I - Sez. 2 - 3. TECNICHE SCENICHE E ARTE TERAPIA
5. COUNSELLING A MEDIAZIONE ARTISTICA E VIDEOTERAPIA A SCUOLA
Pubblicato sulla rivista "Informazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia" n° 2, settembre - ottobre 2003, pagg. 76-83, ed.
IGF. Roma - Oliviero Rossi, Katia Botticelli, Daniela Cardamoni, Serena Rubechini
KEYWORDS: dispersione scolastica, pedagogia professionalizzante, narrazione creativa, sceneggiatura, cortometraggio
Il progetto è nato come applicazione delle nostre riflessioni sulle cause della dispersione scolastica. Alla base dell’abbandono
scolastico c’è un disagio dello studente che è sempre il risultato dell’interazione tra le caratteristiche dell’alunno (cognitive,
affettive, comportamentali, sociali e culturali) e le caratteristiche relative all’ambiente scolastico all’interno del quale è inserito
(didattiche, organizzative, socio relazionali …). Fra le principali variabili di tipo individuale, la mancanza di motivazione al
successo scolastico, difficoltà a livello di socializzazione, incapacità di esprimere i propri bisogni e carenze emotivo-affettive nel
processo di apprendimento. L’eccessiva distanza che si viene a creare tra ciò che viene insegnato e ciò che appartiene alla vita
e agli interessi dello studente fa sì che il ragazzo non riesca a trovare né la giusta motivazione né la giusta collocazione
all’interno della scuola. Combinandosi tra loro, tali fattori determinano una grande varietà di situazioni problematiche che
espongono l’adolescente al rischio di insuccesso e di disaffezione nei confronti della scuola, contesto all’interno del quale si
incrociano esperienze ancora in fieri necessarie per la costruzione della futura identità. Creare un intervento mirato su queste
problematiche significa creare un contesto all’interno del quale sia possibile per i ragazzi elaborare tali vissuti. E’ importante
lavorare sia sullo sviluppo delle risorse dell’individuo sia su quelle dell’intero gruppo classe. All’interno della classe, infatti, lo
studente problematico esprime non solo un disagio personale ma anche un disagio dell’intero gruppo. Utilizzare le risorse del
gruppo classe significa utilizzare la pluralità dei vissuti e dei punti di vista, e favorire la loro integrazione. “La promozione del
benessere reciproco in classe è la più vantaggiosa strategia contro la dispersione scolastica e la demotivazione. Il benessere
fornisce una base solida per sviluppare il bisogno di apprendere” (Spalletta, E; Quaranta,C., 2002, pag.183). Lo scopo diventa,
quindi, sia quello di recuperare l’affezione alla vita scolastica, sia la riorganizzazione dell’interazione all’interno del gruppo
classe e tra gruppo classe e insegnanti.
Fasi del progetto
Il progetto prevede delle fasi all’interno delle quali si sviluppa il lavoro che porta alla creazione di un cortometraggio:
I Fase. Proponiamo ai ragazzi un circle time nel quale presentiamo noi stessi e il progetto “Il teatro delle emozioni”. Parliamo
del lavoro che verrà svolto durante l’anno, del fatto che saranno loro a decidere l’intero percorso (storia, attori, riprese
montaggio, musiche …) e che il nostro compito sarà quello di facilitare tale percorso. Discutiamo, inoltre, delle diverse
aspettative su quello che si farà.
II Fase - Esempio di creazione di una storia. I ragazzi vengono suddivisi in piccoli gruppi. Ad ogni gruppo si propone di utilizzare
la fantasia e di scegliere un eventuale prodotto da pubblicizzare. E’ importante questo momento perché rappresenta per i
ragazzi un primo contatto con il mondo del lavoro. Parliamo con loro delle competenze necessarie per la nascita di
un’operazione creativa, del ruolo svolto dai pubblicitari, dei vari passaggi necessari per la creazione di un prodotto destinato al
pubblico.
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III Fase - Creazione della storia. Partendo dal brainstorming, iniziamo a mostrare ai ragazzi le competenze e i passaggi di una
operazione creativa tesa alla realizzazione di un audiovisivo. Proponiamo loro di tirare fuori tutto quello che gli viene in mente,
senza limiti né censure. Li invitiamo a pensare a un tema, a un’emozione, ecc. Facciamo in modo che si sentano legittimati a
parlare di tutto quello che vogliono. Dopodiché si lavora insieme, raccogliendo il materiale emerso e sottoponendolo agli
aggiustamenti necessari per trasformarlo in una storia. Il nostro compito, come psicologi, è principalmente quello di facilitare
queste operazioni.
IV Fase - Somministrazione del questionario iniziale. Costruito a misura della situazione, il questionario fornisce utili
informazioni riguardo alla motivazione dei ragazzi nei confronti della scuola in generale e del progetto in particolare.
V Fase - Creazione della sceneggiatura. Spesso la sceneggiatura nasce dall’improvvisazione, soprattutto se nei ragazzi
osserviamo una scarsa disponibilità ad applicarsi alla scrittura. Per ogni ripresa la segretaria di edizione deve compilare il foglio
di scena in ogni sua parte (regia, titolo, sinossi, numero di scena, attori, costumi, …) mentre lo storyboarder deve disegnare le
diverse inquadrature. E’ un momento che offre importanti informazioni sui ragazzi. Consideriamo infatti carenze della
sceneggiatura, ad esempio salti logici, come indicazioni di carenze nello sviluppo socio-affettivo e relazionale.
VI Fase - Compilazione dell’organigramma. I ragazzi sperimentano le loro capacità organizzative e la motivazione a lavorare in
gruppo suddividendosi i diversi ruoli. Servono attori, operatori, registi, segretari di edizione, fonici, ciakkisti, truccatori,
scenografi, montatori, addetti alle musiche, storyboarders. Ognuno sceglie i ruoli che trova di maggiore interesse, ma è
importante che ciascuno sperimenti il maggior numero di ruoli possibile. Questo perché, tra gli obiettivi del progetto, c’è anche
quello di creare un “laboratorio di ruoli”, di mostrare cioè ai ragazzi come tutti i ruoli debbano essere tenuti in considerazione,
in quanto essenziali per la realizzazione dell’audiovisivo (il ciakkista, al pari del regista, scopre di avere una funzione che anche
gli altri gli riconoscono).
VII Fase - Lavoro sul personaggio. Attraverso role playing, improvvisazioni e discussioni di gruppo, si scelgono gli attori e si
lavora sul profilo e le sfaccettature dei diversi personaggi. Una volta scelti gli attori, si comincia a provare alcune le scene.
Anche in questo caso, aree mancanti nella rotondità del personaggio vengono prese in considerazione come aree mancanti e
problematiche nello sviluppo individuale del ragazzo.
VIII
Fase - Realizzazione delle riprese. A turno, ogni ragazzo ricopre i ruoli scelti in precedenza durante la stesura
dell’organigramma. Lo scopo è quello di non creare una fissità, dal momento che diventa sempre più complesso mantenere
alta la soglia di attenzione dei ragazzi e soprattutto mantenere vivo il loro interesse che può essere tanto intenso e
coinvolgente quanto fugace e discontinuo. Facendo sperimentare diversi ruoli è inoltre possibile far emergere diverse
potenzialità di espressione, dando spazio alla possibilità di mettersi in gioco attivamente. La possibilità di agire le situazioni è
stato l’elemento che ha, a nostro avviso, maggiormente emozionato gli studenti. Continuamente alla ricerca di un proprio
spazio, di un contenitore dove potersi esprimere, hanno potuto dire questo l’ho fatto io, sono diventati consapevoli di quanto
spettava alla propria soggettività all’interno di un gruppo di pari.
IX Fase. Ri-somministrazione del questionario sotto forma di re-test
X Fase. Montaggi
XI Fase. Visione del cortometraggio ultimato e circle-time finale con la classe
Laboratorio di creatività
Il laboratorio di creatività rappresenta l’asse portante del progetto e si basa su un presupposto fondamentale: essere l’autore
delle proprie azioni di libertà espressiva. Viene promosso nei ragazzi:
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“l’utilizzo della creatività e della fantasia, generalmente sacrificate allo sviluppo del pensiero logico *…+ La nostra fantasia,
infatti, si atrofizza molto facilmente lungo percorsi di pensiero più o meno stereotipati che, come la fantasia, hanno la
capacità di allontanarci dal presente ma, al contrario di essa, non sanno fornirci alcun nuovo elemento creativo o
innovativo” (Rossi, O., 2000-2001, pag. 79).
“Dare ai ragazzi la possibilità di esprimersi liberamente, creando qualcosa di completamente loro, significa permettergli di
vivere e di esprimere il proprio spazio interiore, le proprie emozioni, e contemporaneamente di far affiorare alcuni nodi
conflittuali senza dover necessariamente vivere conseguenze spiacevoli e poco gestibili, perciò inaccettabili. Significa
suscitare negli alunni la voglia di capire e di creare, dare valore alla dimensione concreta sia della loro capacità riflessiva
che della loro immaginazione. Offrirgli cioè, un’esperienza di gioco all’interno della quale poter concretamente elaborare i
contraddittori vissuti emotivi ed affettivi tipici di questa età” (Coppelli, C., 2001).
“Noia, disaffezione, abbandono scolastico possono scolorire di fronte alla possibilità di introdurre nella routine scolastica
un concreto addestramento alla creatività” (Rossi, O., 2000-2001, pag.81).
A tale scopo, l’intervento si svolge all’interno delle ore di lezione vere e proprie, nel suo palcoscenico naturale, ore che si
trasformano presto in un laboratorio di creatività e di empatia. Il progetto prevede anche la collaborazione di alcuni docenti
allo svolgimento del laboratorio di creatività, in modo tale da favorire un positivo atteggiamento dei ragazzi nei loro confronti.
E’ indispensabile che qualunque intervento finalizzato alla ristrutturazione della vita scolastica e che voglia promuovere
l’affezione alla scuola sia inserito nelle ore curriculari. Un reale cambiamento dell’atteggiamento dello studente nei confronti
della scuola, infatti, può avvenire solamente se i progetti vengono vissuti come parte integrante del processo di
apprendimento e non come episodi isolati, sostanzialmente estranei alla vita scolastica e alla propria. Se così non fosse, si
andrebbe ad allargare ulteriormente la forbice tra didattica standard (percepita, soprattutto dai ragazzi a rischio di abbandono
scolastico, come poco coinvolgente) e una didattica di sperimentazione, più dinamica e interattiva. Il punto di partenza è la
creazione, da parte dei ragazzi, di una storia. Tale storia, nei primi mesi, viene sviluppata e trasformata nella sceneggiatura di
un cortometraggio che saranno loro stessi, nell’intero arco dell’anno scolastico, a creare, filmare, montare. E’ importante che la
storia ospiti i contributi di tutti i ragazzi in modo che ognuno possa riconoscerla come propria. A tal fine si utilizzano alcune
tecniche di intervento che mirano a dare competenze sull’uso del brainstorming e di modalità creative di lavoro. La creatività è
il passo successivo al contatto con la fantasia, da cui si distingue per il suo essere tesa a concretizzarsi in un’opera/prodotto.
In questo senso parliamo di “pedagogia professionalizzante”: elementi appartenenti al mondo professionale vengono fatti
diventare elementi giocosi e, allo stesso tempo, necessari alla creazione di un prodotto. Ciò che è professionale viene cambiato
di segno e diventa pedagogico. “Giochiamo a fare i professionisti!”. Si mostra ai ragazzi come ciò che quotidianamente
imparano sui banchi di scuola può diventare strumento e competenza per la realizzazione della loro storia. L’obiettivo
principale è quello di promuovere un’educazione alla narrazione creativa, di stimolare cioè i ragazzi a raccontare se stessi
utilizzando un linguaggio artistico espressivo e a tradurre le proprie emozioni nel linguaggio prescelto:
“Il linguaggio artistico-creativo risulta particolarmente adatto alla comunicazione delle emozioni dell’adolescente
impegnato nel processo di costruzione della propria identità” (Rossi, 2000).
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I prodotti che ne derivano, la storia e successivamente il cortometraggio, vengono utilizzati dagli psicologi come “interfaccia”
che consente di lavorare indirettamente sulle dinamiche personali e interpersonali rimanendo nei limiti di una distanza
mediata dal lavoro “artistico” dei ragazzi. Agiamo sul prodotto ma in realtà stiamo lavorando sui loro disagi. Per fare questo
viene chiesto ai ragazzi di trasformare le loro fantasie in qualcosa di concreto. Questa operazione di trasformazione rende
l’audiovisivo una metafora di ciò che essi realmente vivono tutti i giorni. Compito degli psicologi è facilitare la comunicazione
emotiva nel gruppo classe ed evitare la formazione di coalizioni emarginanti. Questo processo di facilitazione si muove
attraverso diverse strategie, quali l’ascolto partecipante, l’assenza di giudizio, l’accoglienza attiva di tutto ciò che avviene nella
classe che viene sempre restituito ai ragazzi sotto una valenza positiva. Ad esempio, quando è capitato, durante un lavoro sulla
costruzione della storia, di notare un ragazzo taciturno, forse distratto o timido, il suo silenzio è stato proposto come possibile
elemento utile per la crescita della storia. Il silenzio, da mera connotazione non partecipativa e comunque negativa, è
diventato lo spunto per riflettere sull’importanza di un personaggio taciturno all’interno di una situazione narrativa troppo
rumorosa. Il proposito pedagogico è quello di trasmettere ai ragazzi stessi tale processo di facilitazione, affinché ciascuno possa
diventare il facilitatore dell’altro. Questa nostra azione facilitante rappresenta il vero e proprio start (il ciak) dell’azione scenica.
Si potrebbe parlare di un “interfaccia creativo dell’azione” ossia di un’interfaccia che diventa movimento relazionale in grado di
accogliere e veicolare il lavoro creativo dei ragazzi. E’ il nostro interfacciarci attraverso un mediatore artistico che promuove la
relazione con i ragazzi. Attraverso la narrazione della storia l’adolescente, impegnato nel processo di costruzione della propria
identità, non solo comunica le proprie emozioni, ma “favorisce la riconciliazione di parti frammentate del sé; il nominarle e il
definirle produce l’acquisizione di consapevolezza, punto iniziale per una evoluzione che coinvolge l’intero sistema sé attraverso
un ri-orientamento .… Attraverso l’organizzazione narrativa dell’esperienza ricaviamo l’unità di una storia e il senso coeso della
nostra identità a partire da un pulviscolo di eventi ed episodi” (Cavallo, M., 2001).
E’ importante che i ragazzi possano sbagliare senza essere giudicati o criticati per questo: chi ha accettato di diventare
soggettista o sceneggiatore in genere non sa da che parte iniziare. Si tratta allora di accogliere con interesse e attenzione tutto
ciò che viene proposto dai ragazzi, “cambiandone il segno”, riorganizzandolo all’interno di una originale produzione creativa
che ha bisogno, per essere realizzata, del contributo dei compagni di classe. Ciò che all’inizio è sbeffeggiato, osteggiato o
liquidato, viene accolto invece di essere lasciato cadere (Cfr. Rossi, O., 2000- 2001). Nel momento della produzione creativa ciò
che interessa non è tanto il risultato estetico del prodotto quanto il processo, che offre la possibilità di rivedere i propri
comportamenti inconsapevoli e stereotipati e di aprire, quindi, nuove relazioni con se stessi e con gli altri. Educare alla
riattivazione dell’espressione di sé all’interno del processo creativo significa educare anche a una creatività relazionale.
Attraverso l’esperienza artistica il processo di socializzazione viene attivato o potenziato dalla condivisione e dal
coinvolgimento del gruppo, facendo spazio ai bisogni di appartenenza e affiliazione. La presenza di uno scopo che l’intero
gruppo condivide - la creazione del cortometraggio - diventa motore di cambiamento dei rapporti sociali all’interno della
classe. Il processo si muove da una fase in cui la composizione del gruppo non permette alcun tipo di attività costruttiva
condivisa, ad una fase in cui ognuno trova una collocazione all’interno di una squadra che lavora in vista di obiettivi comuni. E’
quasi impossibile che un soggetto resti del tutto fuori dalle dinamiche di gruppo se succede qualcosa di costruttivo intorno a
lui. Ecco allora che, se il racconto individuale viene inteso come mezzo attraverso il quale dare forma alle proprie emozioni, la
storia raccontata dai ragazzi diventa contenitore dell’essere in gruppo e delle dinamiche che intercorrono all’interno di esso.
“Aiutando i ragazzi a scrivere una sceneggiatura, li aiutiamo a capire il loro modo di relazionarsi” (Rossi, O.,2000-2001). Proprio
su questo livello acquistano particolare valenza le parti mancanti nel racconto di una storia. Spesso la trama dei soggetti
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presentati dai ragazzi presenta vuoti carichi di significato. Le cosiddette aree mancanti cui abbiamo accennato sopra altro non
sono che spazi ancora compressi o non svelati delle loro incerte individualità emergenti. Anche qui interviene il ruolo
facilitatore degli psicologi per dare visibilità e valenza a questi vuoti, per restituirli ai ragazzi densi di senso. Non appena viene
abbozzata una storia, ogni ragazzo viene coinvolto in un piccolo stage di improvvisazione teatrale che ha il fine di creare la
sceneggiatura e di dare spessore ai personaggi. Questa fase, in cui si tratta di “indossare” i diversi personaggi, coinvolge l’intera
classe in un gioco di drammatizzazioni e role-playing. Tramite questi giochi di ruolo si dà ai ragazzi la possibilità di sperimentarsi
in panni diversi da quelli che si sono strutturati nella classe sia tra loro sia con i professori, permettendo l’avvicinamento e la
conoscenza reciproca. La classe diventa, in questa fase, un vero e proprio “laboratorio di empatia”, innanzitutto nei confronti
dei propri compagni, poi anche nei confronti degli insegnanti (una volta che si riesca a coinvolgerli) e persino degli psicologi
(figure, agli occhi dei ragazzi, assolutamente spaventose). Spesso i ragazzi proiettano sugli altri aspetti di sé negati;
attribuiscono ai compagni, o agli insegnanti, ruoli o parti di sé che non accettano.
“Attraverso il role-playing, attraverso cioè il loro coinvolgimento in azioni e situazioni che richiedono loro di comportarsi
“come se”, si può agevolare l’integrazione di aspetti di sé negati o proiettati” (Giusti E., Ornelli C.,1999.
“In questo modo il personaggio del diverso (spesso il compagno emarginato) entra a far parte della narrazione, diventa
parte unica di una identità collettiva e viene non solo integrato ma riconosciuto come elemento indispensabile alla
narrazione stessa” (Rossi, 2000).
Drammatizzazione e role-playing rappresentano, all’interno di un percorso arte-terapeutico, strumenti di una strategia
integrativa in grado di promuovere consapevolezza, empatia e capacità di cooperare, attraverso cui i ragazzi, ma anche gli
insegnanti, possono sperimentare e ridefinire i loro rispettivi ruoli. Anche la fase delle riprese rappresenta un momento molto
importante del processo creativo. A questo punto del lavoro, infatti, i ragazzi, hanno la possibilità di attingere alle loro capacità
artistiche. Nel momento della scelta delle scene migliori, gli adolescenti interagiscono con le loro immagini proiettate dal video,
hanno la possibilità di rivedersi, di essere spettatori di se stessi, di criticarsi o di elogiarsi. Soprattutto di sentirsi “padroni” del
messaggio che stanno inviando. Di fronte all’obbiettivo, il modo di percepirsi dei ragazzi si amplifica: si trovano a doversi
“presentare”, a provare il rischio/piacere di raccontarsi. Nello stesso tempo il video diventa mezzo per sperimentare se stessi in
maniera diversa rispetto al quotidiano, per concedersi di essere altro, e comunque pienamente e visibilmente soggetti del
copione condiviso. Attraverso il montaggio i ragazzi danno forma al proprio messaggio, sottolineando gli elementi salienti del
cortometraggio. Spesso è proprio a questo livello del lavoro che i ragazzi si trovano a dover fare i conti con la distanza estetica
che viene a crearsi tra il personaggio e la persona. Ora hanno la possibilità di guardarsi dall’alto e di vedere da una diversa
angolazione le proprie passioni; possono comprenderle o anche rielaborarle in maniera diversa. Quanto alle reazioni dei
ragazzi di fronte al prodotto finale, di frequente ci è capitato di notare il fastidio di alcuni di loro per la propria interpretazione
estremizzata o esagerata, o anche, al contrario, per l’eccessiva timidezza o una visibile goffaggine. L’esperienza estetica genera
una distanza che consente di comprendere e ri-vedere il proprio modo di presentarsi agli altri. In questa strategia di intervento
si lavora a più livelli contemporaneamente. Da una parte lavoriamo cognitivamente, sia fornendo gli strumenti per affrontare e
superare le difficoltà che costellano il processo di realizzazione di un prodotto artistico (“pedagogia professionalizzante”), sia
utilizzando tecniche che facilitano l’espressione creativa. Dall’altra interveniamo sul contenitore stesso dell’azione creativa,
l’edificio scolastico, che abbiamo cura di far entrare nei racconti dei ragazzi allo scopo di cambiare la valenza del modo in cui
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viene vissuto. Il lavoro creativo modifica il rapporto tra lo studente e l’ambiente fisico della scuola in quanto non si svolge
esclusivamente in classe, ma offre l’opportunità di sfruttare, in modo radicalmente nuovo, tutti gli spazi. La scuola diventa
qualcosa di più di un semplice luogo di studio: se la scuola diventa il set del proprio film, diventa il luogo e lo strumento della
propria creatività. Lo stratagemma è semplice. L’edificio scolastico, degradato e trascurato come quello di qualsiasi scuola
professionale più o meno di frontiera, viene indicato come la scenografia da utilizzare per rappresentare la storia dei ragazzi.
Questo trasforma luoghi trascurati, che spesso ospitano o favoriscono comportamenti bullistici o emarginanti, in elementi
scenici necessari alla realizzazione del proprio prodotto creativo. La scuola diventa il teatro all’interno del quale i ragazzi
sempre più consapevolmente imparano a mettere in gioco azioni ed emozioni. Per quanto riguarda la parte più “diagnostica”,
vengono somministrati, sia a inizio che a fine anno, dei questionari in grado di fornire utili informazioni riguardo alle
motivazioni dei ragazzi nei confronti della scuola in generale e del progetto in particolare, e di dare una visione complessiva di
molti dei fenomeni che agiscono nel gruppo classe.
Bibliografia
Cavallo, M., (2001), Identità narrativa, Artiterapie, vol. 5/6, pag. 5-6..
Coppelli, C. (2001), Arteterapia e scuola: un rapporto da sviluppare. Artiterapie, vol.5/6, pag.26.
Giusti, E. (1999), Videoterapia. Sovera Editore.
Giusti, E., Ornelli, C. (1999), Role play. Sovera Editore.
Rossi, O. (2000-2001), Il teatro delle emozioni: un intervento di counseling scolastico. Informazione Psicologia Psicoterapia
Psichiatria, vol.41-42, pag. 78-81, ed. GRIN- Roma.
Rossi, O. (2000), Narrazione creativa e disagio scolastico. Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, vol.40, pag.58-67, ed.
GRIN- Roma.
Rossi, O. (1997) Il teatro del sogno come flusso della condotta. Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, Vol.31, pag. 6 13 ed. GRIN- Roma.
Spalletta, E., Quaranta, C., (2002), Counseling scolastico integrato. Sovera Editore.
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 Vol. I - Sez. 2 - 3. TECNICHE SCENICHE E ARTE TERAPIA
6. RISZARD CIESLAK : SULL'IMPROVVISAZIONE
di Thomas Richards
Da “Al Lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche” di Thomas Richards, Ubulibri, pagg 23-2. Published in Il Quaderno di Nessuno:
saggi, documenti e letteratura teatrale, novembre 2004, Volume 3, No. 16
KEYWORD: improvvisazione, metodo delle azioni fisiche
…Quando frequentavo l’ultimo anno alla Yale University (1984), Ryszard Cieslak venne a condurre un seminario di due
settimane al dipartimento di teatro…avevo appena letto Per un teatro Povero. Le idee di Grotowski, i metodi di lavoro e l’etica
che avevo trovato nel libro mi impressionarono profondamente…il lavoro con Cieslak mi aprì gli occhi ed il corpo…Un giorno ci
propose di preparare un’improvvisazione da soli e di mostrargliela il giorno dopo. Prima di andarsene ci disse di preparare un
abbozzo preliminare. Non dovevamo improvvisare senza una struttura, dovevamo prima tracciare una trama di base. Questo ci
avrebbe dato i punti di riferimento, come dei pali del telegrafo, che chiamava "repairs"; senza questa struttura ci saremmo
perduti. Poi ci lasciò lavorare da soli. Inventammo la storia di un matrimonio, coinvolgendo ogni studente della classe.
Discutemmo i nostri personaggi, le loro relazioni reciproche, e creammo un profilo per l'improvvisazione. Il giorno dopo,
tuttavia, quando la facemmo, con Cieslak che guardava, qualcuno ruppe la struttura. Ne risultò un gran caos. Il nostro flusso
non aveva più un canale in cui scorrere: eravamo completamente perduti. Cieslak cercò di farci capire quanto lavoro fosse
necessario per creare uno spettacolo a partire da improvvisazioni. Disse che se volevamo trasformare quell'improvvisazione in
uno spettacolo, ognuno di noi doveva prendere il suo quaderno, dividere ogni pagina in due colonne, e scrivere in una colonna,
con la maggiore precisione possibile, tutto quello che aveva fatto; e nell'altra le associazioni che aveva avuto mentre
improvvisava, le sensazioni fisiche, le immagini mentali e i pensieri, le memorie di luoghi e persone. Capii che, quando parlava
di "associazioni" intendeva che, mentre stai compiendo le tue azioni, nello stesso tempo l'occhio della tua mente vede
qualcosa, come se ti balenasse di fronte un ricordo. Cieslak disse che, tramite quel che avevamo scritto, avremmo dovuto
ricostruire e memorizzare l'improvvisazione appena fatta. In seguito, avremmo potuto lavorare sulla struttura, alterandola e
perfezionandola fino a che non fosse divenuta uno spettacolo.
Questo fu il solo momento del seminario in cui Cieslak parlò della disciplina che è necessaria nel mestiere dell' attore, una
disciplina da lui evidentemente dominata. Non parlò mai di azioni fisiche…Forse qualcuno potrebbe dire che questo lavoro non
ci aveva posto di fronte a esigenze tecniche, rinforzando così una sorta di dilettantismo preesistente; ma penso si proponesse
di farci intravedere qualcosa di molto prezioso, che evidentemente ci mancava…Ricordo che Cieslak un giorno disse che un
attore deve essere capace di piangere come un bambino, e domandò se qualcuno di noi potesse farlo. Una ragazza si sdraiò
per terra e provò. "No, non così!", disse lui, e prendendo il suo posto sul pavimento si trasformò di fronte ai nostri occhi in un
bambino che piangeva. Solo adesso, dopo molti anni, capisco la chiave del successo di Cieslak in quella trasformazione: trovò la
fisicità esatta del bambino, il processo fisico vivente che sosteneva il suo grido. Del bambino non cercò lo stato emozionale, ma
con il corpo ne ricordò le azioni fisiche. Anche Stanislavskij diceva: "Non mi parlate di sentimenti, non possiamo fissare i
sentimenti. Possiamo fissare e ricordare solo le azioni fisiche"…
…Un giorno, verso la fine del seminario, Cieslak lavorò a lungo con un ragazzo su un esercizio. Vidi che Cieslak possedeva una
vasta conoscenza tecnica del mestiere dell'attore. Quel ragazzo doveva ricordarsi del volto della sua ragazza di fronte a sé:
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senza un partner reale doveva ricreare il modo in cui le aveva toccato il viso, come se lei fosse presente e loro due fossero soli.
Per l'attore doveva esistere solo lei, il suo partner invisibile, non noi, gli spettatori. Il giovane attore ripeté l'esercizio più volte,
ma mai in modo vero. "Recitava", provando a mostrarci quanto le voleva bene. Il risultato era forzato, non credibile.
Cieslak gli domandava di provare e riprovare, dicendogli qualcosa come "No, non ti concentrare sui sentimenti. Cosa facevi?",
Cieslak dirigeva l'attenzione del ragazzo sui dettagli fisici: "Non recitare. Com'era il tocco della sua pelle? In che momento
preciso tocchi il viso della tua ragazza? È caldo o freddo? Come reagisce lei? Come reagisci tu alla sua reazione?". Il giovane
attore non arrivò alla verità nel ricordare malgrado gli sforzi instancabili di Cieslak. Ma quando giunse al suo momento più vero
Cieslak lo interruppe immediatamente, evidentemente affinché questo momento rimanesse l'ultima impressione.
Se ripenso a quel tempo, mi accorgo che questo è stato il mio primo sguardo sul "metodo delle azioni fisiche" di Stanislavskij.
 Vol. I - Sez. 2 - 3. Tecniche sceniche e arte terapia
(AC) Argomento Correlato: TECNICHE DI LABORATORIO
7. IL LABORATORIO TEATRALE: UNA NUOVA METODOLOGIA
Gaetano Oliva (materiale in fase di stampa)
Il valore educativo
I metodi teatrali del Novecento, fanno emergere insegnamenti e principi, utili e preziosi per chi desidera intraprendere
un’esperienza teatrale con valenze educative. In particolare, i grandi registi-pedagoghi, consideravano il laboratorio un
momento e un luogo determinante in cui concretizzare il processo creativo, dove l’attore poteva prendere coscienza della
propria dimensione creativa, a volte senza avere uno scopo ben preciso, quale poteva essere la produzione di uno spettacolo.
Il teatro del Novecento, in definitiva, tende ad essere prima che spettacolo, training, ricerca della pre-espressività e della
espressività dei diversi linguaggi, realizzata non tanto sul piano della manifestazione ma della elaborazione. Un teatro di ricerca
che privilegia una nuova metodologia di lavoro, quella cioè del laboratorio teatrale, luogo per eccellenza protetto dove l’attore
può sperimentare e proporre ad altri la sua umanità, dopo aver pazientemente e autenticamente lavorato su se stesso,
attraverso il proprio corpo, la propria voce, e il proprio movimento. Un luogo in cui non spetta più solo al regista o al
commediografo trasmettere emozioni e passione ma dove la creatività e capacità degli attori si fanno doti concrete, atte ad
esprimere emozioni e a dare vita ai personaggi. Evidenziati questi aspetti, che sono la base degli obiettivi del laboratorio
teatrale, si può giungere ad affermare che nella nostra società lo spazio scenico, inteso quale luogo di improvvisazione creativa
è, senza dubbio, un’occasione per ridare validità al processo teatrale rispetto al prodotto: grazie ad esso infatti, l’attore, che
vuole fare un percorso teatrale, può ricercare la propria potenza espressiva, valorizzando le proprie qualità individuali.
La metodologia usata nel laboratorio teatrale può essere proposta a chi intende dedicare tempo per avvicinarsi ai luoghi della
rappresentazione per fuggire alla monotonia e alla routine della vita quotidiana. In questo senso, nella società
dell’informazione, la possibilità di trascendere il senso comune per riscoprire l’impulso creativo dell’anima di ciascuno, assume
una forte connotazione pedagogica per qualsiasi persona che intende avvicinarsi al mondo del teatro come “attore”. Una
metodologia, quella del laboratorio, che fa della diversità di ciascuno un elemento fondamentale dal quale trarre spunto, per
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perfezionare il proprio rappresentarsi in eventi poco codificati ma densi di significato. In questa direzione, diventa sempre più
necessaria e importante nella società, sempre più anonima e spersonalizzata del duemila, la proposta di luoghi identificabili
con quelli di un laboratorio teatrale, momento per eccellenza dove l’intervento “con” le persone e non “sulle” persone, é la
condizione indispensabile per riconsegnare, attraverso un percorso progettuale, un’esperienza di protagonismo ai giovani, nei
quali i processi di decisione e responsabilità occupano un posto marginale.
I presupposti teorici
Nel laboratorio l’allievo-attore compie un processo di sviluppo della propria persona, nella direzione di un cambiamento. Sono
le tappe principali del processo dinamico di sviluppo della persona, che si compie attraverso la pratica teatrale, e nello
specifico, attraverso il laboratorio:
 frantumare la maschera fissa e stereotipata. Ciò per l’attore equivale a fare vuoto interiore per giungere alla possibilità di
mettersi nei panni di un nuovo personaggio;
 liberare il linguaggio del corpo, il suono della voce, il contatto autentico con se, gli altri, la natura. Ovvero, il coraggio
dell’attore a fare vuoto dentro di se e la bravura nell’immedesimarsi in altro da se, nasce dal tenere il suo corpo in costante
allenamento, con un training particolare. Ciò gli permette di conservare sempre viva la sorgente creativa interiore e di
avere sempre aperto il canale delle pulsioni;
 improvvisare più personaggi con spontaneità e creatività;
 interpretare la nuova identità sapendo di essere molteplici personaggi.
La metodologia del laboratorio, inoltre, é un processo organico che si sviluppa attraverso l’acquisizione, da parte dell’allievoattore, di linguaggi e strumenti specifici, i quali, a loro volta, rispondono a due fondamentali presupposti.
Ovvero, nel laboratorio teatrale, l’allievo compie un percorso di:
 scoperta di sè e delle proprie qualità naturali: avvicinandosi al laboratorio, l’allievo sceglie di mettersi in gioco e di togliersi
ogni maschera, al fine di riscoprirsi portatore di un messaggio personale, quasi unico. Gli esercizi proposti nel laboratorio
teatrale hanno lo scopo di contribuire all’acquisizione della conoscenza e della fiducia nella propria fisicità: l’agire sulla
scena richiede infatti che l’atto fisico non sia separato dal proprio essere soggetto, ma sia invece ricco di consapevolezza nel
momento stesso in cui viene compiuto. Questo lavoro é possibile solo se il soggetto si mostra agli altri nella sua nudità e
nella sua capacità di trasmettere fiducia e di fidarsi. In pratica lo spazio teatrale rappresenta il velo di pudore che permetta,
a chi vi lavora, di vedersi e di raccontarsi oggettivamente, lontano dalla realtà quotidiana, lontano dai giudizi e dalle regole
della convivenza, e sempre più vicino al mondo dell’inconscio e della fantasia; un mondo quest’ultimo più vero e più
comunicativo di quello che la quotidianità impone di creare artificiosamente;
 completamento del sè attraverso il confronto con l’altro: nel laboratorio, l’allievo costruisce un incontro e confronto
costruttivo con i compagni, attraverso la forma del dialogo teatrale. Il gruppo di lavoro osserva e fornisce dei rimandi che
servono agli individui per avere consapevolezza della propria esperienza.
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L’allievo apprende, attraverso il percorso laboratoriale, delle tecniche fondamentali per il suo lavoro: per ciò che concerne il
monologo esse sono la concentrazione, l’osservazione, la respirazione, il rilassamento, l’immaginazione, l’improvvisazione, la
memoria; mentre nella fase del dialogo esse sono la condivisione dello spazio, l’equilibrio di due corpi nello spazio, il contatto,
il saper ascoltare e comunicare e l’intesa tra due individualità. In generale, le diverse tecniche, hanno lo scopo di stabilire un
contatto cosciente e comunicativo tra la persona e il suo spessore emotivo e il compagno di scena. La difficoltà consiste proprio
nel fatto che, dall’essere di ciascuno e dalla creatività dei singoli deve prendere forma la rappresentazione: in pratica occorre
che nel gruppo di lavoro si sviluppino quelle regole che diventeranno poi i presupposti della scena stessa, che faranno nascere
automatismi senza ridurre il livello dell’improvvisazione. Ciò é possibile solo laddove ognuno ha la massima fiducia nell’altro e
quindi conosce profondamente il compagno con cui sta lavorando e permette all’altro di farsi conoscere al meglio. Non è
difficile riscoprire in questa reciproca e necessaria fiducia che si instaura tra i partecipanti del laboratorio, un aspetto
prettamente educativo che consiste nella profonda conoscenza di se e nel serio rispetto dell’altro. In questo senso il lavoro del
conduttore del laboratorio diventa fondamentale: infatti spetta a lui creare i presupposti affinché i soggetti vivano all’interno
del laboratorio un clima di aperta condivisione, in un rapporto, non fondato tanto sulla competizione, pur ammessa, ma sulla
cooperazione creativa.
I linguaggi e gli strumenti
L’individuo nella sua globalità, corpo e voce, razionalità e sentimento, è il protagonista del percorso laboratoriale. In esso,
attraverso esercizi mirati, l’obiettivo principale è proprio quello di indagare tutti gli aspetti relativi alla suddetta globalità,
affinché l’attore possa sperimentare le sue possibilità e nello stesso tempo crescere come professionista e come uomo. In
particolare, nel contesto del laboratorio, l’allievo si allena a sviluppare particolari abilità che appartengono a due determinate
dimensioni espressive: quella legata al suono, sia esso parola o verso, e quella relativa al corpo, inteso come movimento e
staticità. In questo senso, corpo e voce, principali veicoli di espressione dell’attore, danno vita a un linguaggio che trova, nella
sua composizione duale, la propria unicità individuale. All’interno del laboratorio teatrale, lo studio da parte dell’allievo del
linguaggio verbale, ha come presupposto l’acquisizione della capacità di pronunciare le parole in modo chiaro e comprensibile,
eliminando eventuali cantilene o inflessioni dialettali, meta a cui si giunge attraverso esercizi di lettura. E ancora in laboratorio
l’allievo impara a coltivare la sfera vocale, attraverso un accurato esercizio di respirazione, e di recupero della naturalità della
voce, la quale deve essere allenata perché diventi robusta e potente, tale da poter passare da un tono all’altro per esplicitare i
diversi stati d’animo del personaggio interpretato. Gli strumenti essenziali, finalizzati all’esercizio della sfera vocale sono i
monologhi, in cui l’allievo sperimenta le proprie capacità verbali concentrando la sua attenzione solo su se stesso, e i dialoghi,
in cui egli entra in relazione con l’altro, sviluppando una preziosa capacità di ascolto e di scambio comunicativo. Il laboratorio
teatrale, inoltre, inserisce nel suo progetto formativo, l’apprendimento da parte dell’allievo, di un linguaggio non verbale,
finalizzato alla conoscenza approfondita dei meccanismi e delle caratteristiche della comunicazione umana, agita non
attraverso l’uso della parola, ma dello sguardo, della postura, dei gesti e della mimica. Il ruolo che l’espressività del corpo gioca
nel lavoro dell’attore, fu riconosciuto all’inizio del secolo. Già con Stanislavskij si sottolinea l’importanza di un mirato
allenamento in sede laboratoriale, finalizzato a una corretta padronanza del corpo; poi con Mejerchol’d si delinea una
peculiare ricerca sul grado di espressività del corpo e dei suoi movimenti. Per quest’ultimo é importante studiare le possibilità
insite nel corpo dell’attore, affinché, grazie a un particolare allenamento, lo stesso diventi capace di affrontare molteplici
situazioni che, con diverse variabili, possono proporsi sul palcoscenico. La sua idea è sintetizzabile nella seguente affermazione:
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L’arte dell’attore consiste nell’organizzare il proprio materiale, cioè nella capacità di utilizzare in maniera giusta i mezzi
espressivi del proprio corpo.
Anche Copeau dedica un attento studio alle possibilità espressive del corpo umano attraverso la costante osservazione delle
posture e del loro significato profondo. L’allievo del Vieux Colombier fà esperienza e conoscenza del proprio corpo con
l’obiettivo di padroneggiarlo e di decidere come muoversi o assumere una posizione statica in funzione dell’espressione che
vuole ottenere. Da qui la pratica di esercizi acrobatici, giochi di forza, destrezza e danza ginnica. In pratica, il laboratorio
teatrale può essere visto come uno spazio privilegiato in cui all’allievo é offerta la possibilità di soffermarsi a sperimentare tutti
quegli atteggiamenti e comportamenti abituali per cogliere il loro significato espressivo, spesso poco focalizzabile nel momento
reale in cui si manifesta. In altre parole lo spazio scenico rappresenta l’ambito specifico in cui l’allievo ha l’occasione di
osservarsi e prendere coscienza del livello di comunicazione che può raggiungere il proprio corpo. Dentro il contenitore
costituito dallo stesso spazio temporale e fisico in cui si svolgono le sedute laboratoriali, l’allievo può permettersi di
raggiungere gradualmente una condizione di rilassamento, tale per cui può percepire il grado di espressività del proprio
linguaggio silenzioso, ossia del proprio corpo. La grande importanza data alla forza comunicativa del corpo, si fonda sulla
convinzione che non solo la stessa può rappresentare per lo “spettatore” un modo di rivedere gesti ed espressioni quotidiane
ma che da essa possono venire alla luce nuove modalità comunicative in grado di produrre forme espressive inedite e
inaspettate. Gli strumenti di cui si serve la comunicazione non verbale, sono costituiti prevalentemente dal volto, dallo
sguardo, dalla postura e da svariati movimenti e gesti delle mani, braccia e del capo.
Attraverso questi strumenti l’allievo esterna i suoi stati d’animo completando spesso quanto già detto o da dire attraverso il
linguaggio verbale; e talvolta sostituendo quest’ultimo in situazioni che non ne consentono l’uso. Infine, la comunicazione non
verbale può essere considerata, a tutti gli effetti un linguaggio di relazione, in quanto strumento primario per segnalare i
mutamenti di qualità nell’intreccio di rapporti interpersonali, e mezzo principale per esprimere e comunicare emozioni. Infatti
gesti, sguardi, e movimenti esprimono qualcosa di essenziale in qualsiasi relazione: lanciano messaggi. Saperli cogliere e
decodificare diventa un aspetto importante della relazione e presuppone che i soggetti attivino la massima attenzione,
reciprocamente, in quanto essi rappresentano un importante canale di comunicazione e materia prima per l’improvvisazione
teatrale.
Improvvisazione ed educazione alla teatralità
Fra le tecniche apprese nel laboratorio, l’improvvisazione di movimento, drammaturgica e d’interpretazione, é ritenuta, da
diversi studiosi, materia essenziale per l’attività di recitazione. Il tema dell’improvvisazione, nel corso del tempo é stato un
argomento molto complesso da definire e circoscrivere. Tutte le filosofie della creatività hanno cercato una definizione sul
tema dell’improvvisazione:
 Improvvisazione: tecnica dell’attore che recita qualcosa di non previsto, non preparato prima e inventato nell’entusiasmo
dell’azione.
 *... + l’improvvisazione mette in scena l’autore, lo impegna nell’azione e rappresenta il processo stesso di creazione,
ponendosi come un caso di teatro nel teatro.
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Grazie all’attenzione accordata alle condizioni deva creazione, cioè al margine di casualità ma anche alle difficoltà concrete,
tale genere rivela i fattori estetici e, al tempo stesso, socioeconomici dell’attività teatrale. In generale, si possono distinguere
diversi gradi e usi dell’improvvisazione in ambito teatrale. In questo senso l’improvvisazione può essere intesa come:
 invenzione di un testo come nella commedia dell’arte, dove ogni attore, presa conoscenza di uno schema direttivo generale,
il canovaccio, improvvisava, tenendo conto dei lazzi caratteristici del proprio ruolo e delle indicazioni del pubblico. Tale tipo
di recitazione affascina anche i registi e gli attori di oggi, per il tipo di virtuosismo e finezza che essa comprende: l’attore che
oggi fà uso dell’improvvisazione, intesa come invenzione di un testo, deve essere sempre in grado di ricondurre al punto di
partenza tutto ciò che egli improvvisa, per lasciare spazio al compagno di interagire e assicurarsi che la propria
improvvisazione non si allontani troppo dal canovaccio;
 gioco drammatico a partire da un tema o da un’indicazione: il lavoro drammatico, sia nella fase di preparazione del
momento spettacolare, in cui si tratta di scoprire la soluzione più adeguata rispetto al messaggio che si intende comunicare,
sia nella fase di realizzazione durante la rappresentazione, si pone l’obiettivo di catturare dalla vita di ogni giorno la
spontaneità delle reazioni umane di fronte a situazioni inaspettate, utilizzandole successivamente in condizioni controllate,
allo scopo di cogliere l’essenza dei problemi in esame. Rappresentando scene di vita quotidiana, problemi e situazioni
esistenziali, si risponde all’esigenza da parte dell’allievo di penetrazione, comprensione e mediazione della realtà,
favorendo un’apertura verso se stesso e gli altri. In alcuni casi, tale espressione personale, può giungere a costituire il tema
di rappresentazioni teatrali.
 l’espressione corporea, intesa come invenzione gestuale e verbale totale, cioè senza modello, praticata con la finalità di
ricercare un nuovo linguaggio fisico.
Proprio su questi due ultimi punti si soffermò lo sguardo dei registi del Novecento, per i quali l’improvvisazione non
rappresentò un rinnovamento della forma artistica della Commedia dell’Arte, ma un modo originale per insegnare la teoria e la
pratica della recitazione drammatica. Ecco che l’improvvisazione, in questo secolo, centrato sulla figura e sulla formazione
dell’attore-persona e improntato sulla ricerca di un sistema pedagogico, diventa uno degli strumenti metodologici più utili
all’interno del laboratorio, per penetrare situazioni umane e teatrali, e per condurre l’allievo all’espressione spontanea di gesti
ed azioni. Essa era considerata una tecnica fondamentale per il lavoro che l’attore doveva compiere su se stesso: secondo
Stanislavskij e Vachtangov, l’improvvisazione serviva, durante le esercitazioni in laboratorio, come materiale espressivo ed
emotivo da accumulare nel bagaglio di esperienze personali di ogni allievo; per Copeau l’improvvisazione aveva un valore
altamente formativo nell’ambito dello studio del movimento corporeo, e la considerava una componente primaria del
processo creativo in quanto essa contribuiva a sviluppare nell’attore sia possibilità espressive verbali e non verbali, sia la
capacità di reagire agli imprevisti. Il metodo di improvvisare per Copeau non sul testo ma su un semplice canovaccio, era
ritenuto da lui un modo per allontanarsi dal dettato del testo e di metterlo al riparo dalla memoria e dalle abitudini; ciò
avrebbe aiutato attori e registi a ritrovare il movimento che aveva presieduto la creazione di una commedia.
A tal proposito lo stesso Copeau nei suoi scritti afferma:
*...+ Fare improvvisare sul ricordo di una lettura a titolo di esercizio é praticare il metodo più capace di troncare all’attore tutta
l’ispirazione di cui é capace. Cercherà solo di ricordarsi, e per nulla affatto di inventare. Sarà intimidito in partenza dal ricordo
del testo. Lembi di frase ritorneranno all’attore, bloccandogli la mente *...+
[...] Copiare, imitare é ciò che non si deve fare mai [....].
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[...+ L’umore dell’improvvisatore, la sua disposizione personale nel momento in cui entra in scena e getta il suo primo sguardo al
pubblico, questo ha una grande importanza [...].
Infine, per Grotowski l’improvvisazione, se realizzata attraverso la spontaneità del movimento, era un punto di partenza per
introdurre un elemento nuovo e imprevedibile negli esercizi, costituiti invece dallo studio profondo e dall’indagine, di dettagli
conosciuti e controllati, tratti dalla scomposizione delle singole azioni umane. Dal prezioso contributo dei registi del Novecento
emerge l’importanza attribuita all’improvvisazione teatrale, considerata strumento privilegiato per alimentare e coltivare la
fantasia dell’allievo-attore e per obbligare chi sta imparando l’arte del recitare a scoprire i propri mezzi espressivi.
Percorsi e finalità dell’improvvisazione nell’ambito di un laboratorio teatrale
Data la validità dell’uso dei metodi teatrali sopra descritti, quali principi ed insegnamenti possono essere ereditati da coloro
che oggi desiderano lavorare con tali tecniche nel contesto di un laboratorio teatrale? Analizzando a fondo le molteplici teorie
esposte, si nota come tutte facciano perno sull’improvvisazione, vero o proprio fondamento di qualsiasi lavoro di chi voglia
intraprendere un percorso laboratoriale. Essa può assumere la valenza di semplice esercizi pratico per acquisire spigliatezza,
naturalezza e senso dell’opportunità, oppure può essere concepita come veicolo d’introspezione e fonte di meditazione sui
propri problemi, per favorire lo sviluppo della personalità di ogni allievo, portandolo ad avventurarsi nella graduale scoperta
dei propri mezzi espressivi..Attraverso l’improvvisazione, l’allievo impara a creare una parte, a trovare cioè il comportamento
adatto ad essa, a confrontarla con varie situazioni, a trovare il proprio ritmo e soprattutto a riconoscere la sua funzione in
rapporto ad altre parti, riuscendo gradualmente a muoversi nella storia del personaggio che interpreta, in modo coerente,
preciso e comprensibile. L’improvvisazione é uno strumento d’apprendimento dei processi creativi, che conduce al messaggio
teatrale: ogni azione scenica infatti, per quanto prevista e premeditata, dà luogo a diversi spazi d’improvvisazioni, come un
incidente di scena, un ritardo del partner, una risposta del pubblico. Giocando con la sua fantasia e inventiva, combinata con
una corretta disciplina, l’allievo giunge a comunicare al mondo esterno, messaggi appartenenti al suo mondo interiore.
Le lezioni di improvvisazione, si basano essenzialmente su esercizi pratici, attraverso cui l’allievo impara sia a conoscere i vari
livelli di spontaneità, sia ad applicare liberamente l’insieme delle sue esperienze personali, trasponendole successivamente
nella finzione, attraverso la recitazione drammatica. Le esercitazioni pratiche di improvvisazioni, formano gli stadi conducenti
dall’atto spontaneo alla creazione di una forma che rende chiaro, e dunque trasferibile e comunicabile, il messaggio interiore e
il personaggio che si desidera interpretare. In questo senso, prendendo spunto da un semplice pretesto, situazione,
personaggio o ambiente, l’allievo che fà uso dell’improvvisazione nell’ambito del laboratorio teatrale, crea una serie precisa di
fotogrammi memorizzati nel suo corpo e nella mente del regista. La sequenza d’improvvisazioni da proporre agli allievi di un
laboratorio, scomponendola nelle seguenti fasi di lavoro potrebbe essere:
 descrizione e spiegazione del regista della situazione da rappresentare, la quale tuttavia può essere inventata dagli spunti
degli allievi stessi. Un esempio di “consegna” potrebbe essere: “ sei un bambino di dieci anni, questa é tua nonna, siete nei
giardini pubblici sotto casa ”;
 prova e ripetizione delle azioni più significative che compongono la situazione;
 ripetizione delle azioni precedenti, creando una geografia precisa nello spazio;
 ripetizione delle azioni con aggiunta di dialoghi;
 aggiunta di un inizio e una fine alla performance.
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Per facilitare e stimolare al meglio la capacità inventiva dei soggetti che si cimentano in un’improvvisazione, la storia da
sviluppare deve presentare un carattere di estrema concretezza e precisione. Gli allievi devono, quindi, tenere presente che le
scene rappresentate abbiano una struttura ben definita e composta da tre parti fondamentali: un inizio, uno svolgimento e una
fine. L’inizio di una storia é la parte in cui viene introdotta la vicenda, fissata l’ambientazione della storia e presentata la
situazione che spinge il protagonista all’azione. Lo svolgimento invece é la parte in cui vengono delineate le caratteristiche dei
personaggi e in cui viene creata la tensione dell’azione, attraverso gli ostacoli e i conflitti che i protagonisti devono superare nel
corso della vicenda. Per concludere, la fine rappresenta l’ultima parte della storia, quella cioè che contiene l’apice o il climax
della vicenda. Tale finale dunque deve mostrare se l’eroe o eroina ha raggiunto o meno l’obiettivo fissato nella prima parte.
L’avviamento allo scioglimento di tutti i problemi evidenziati nello svolgimento della storia, può avvenire in modo lento e
graduale, oppure con una conclusione improvvisa a sorpresa o anche attraverso una sospensione, ovvero un finale che lascia
aperte al pubblico le soluzioni alla vicenda.
Da tutto ciò deriva il fatto che improvvisare non significa lasciare tutto al caso, bensì avere ben chiara la struttura e lo sviluppo
scenico di quello che si vuole esprimere, al fine di inserirli in un insieme definito di regole che, solo se rispettate, sfociano in
una possibile rappresentazione.
L’improvvisazione come dinamica relazionale
L’improvvisazione é un momento creativo reso possibile solo da una conoscenza approfondita dei materiali su cui si lavora;
appare dunque evidente come essa presupponga un lavoro preliminare metodico di presa di contatto con questi materiali, che
porti a una padronanza degli stessi: da una parte, l’attore e i suoi mezzi espressivi personali (corpo, voce, suoni, lingua),
dall’altra la realtà drammatica, che é la storia raccontata attraverso il comportamento di persone che si muovono nello spazio
e che agiscono in rapporto ad altre figure ed oggetti dell’ambiente circostante. La realizzazione delle azioni scaturite dalle
improvvisazioni, sono collegate ai motivi, alla causa e alla fine dell’azione stessa. In pratica l’allievo impara ad esplorare da se le
motivazioni, a scoprire e inventare il passato, il presente e il futuro del personaggio che andrà a rappresentare, a darsi degli
impulsi per idee ed azioni e ad esprimere gli stessi, armonizandoli tra loro, attraverso il corpo, i gesti, l’ intonazione.
Fondamentale nel lavoro dell’attore che improvvisa é la ricerca di una corrispondenza interiore del suo comportamento alla
scelta della forma che lo rende comprensibile e comunicativo agli altri: ciò avviene attraverso un adeguato utilizzo del corpo,
voce, spazio, ritmo ed eventuali accessori. Si possono delineare tre aspetti fondamentali dell’improvvisazione, ovvero:

l’oggetto, inteso come ogni supporto per la recitazione, reale o Immaginario, con cui avviene uno scambio fittizio e che
provoca un rapporto. L’allievo in una prima fase impara a definire con precisione l’oggetto reale o inventato,
attribuendogli un valore fittizio e mettendosi in rapporto con esso;

la finalità con cui si muove l’attore che improvvisa, cioè l’invenzione e la creazione di storie, e dunque la ricerca costante
di diversi elementi che costituiscono la sostanza, il contesto e i significati della trama;

i legami affettivi, che l’attore improvvisando crea con altre persone o con gli oggetti che lo circondano: egli impara cioè a
penetrare nel processo di interiorizzazione e dunque a controllare, mantenere e sviluppare gli effetti del rapporto
inventato, finché i sentimenti suscitati lo conducano a realizzare le sequenze di azioni della recitazione.
Da ciò risulta evidente che un’improvvisazione si realizza quando uno o più individui possono dare luogo ad un’azione, verbale
o non verbale, stabilendo tra loro una relazione significativa. Solo in un clima di sicurezza e di fiducia nel gruppo di lavoro,
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l’allievo, come individuo singolo, é nelle condizioni di scoprire se stesso e le sue peculiarità in relazione agli altri, e ancora, solo
interagendo e cooperando con i compagni e con il pubblico, costruisce una memoria comune al gruppo stesso tale da rendere
omogeneo l’insieme. In questo senso gli esercizi di improvvisazione servono da esperienza, da vissuto comune, e favoriscono il
passaggio dall’io al noi, senza sacrificare nessuno dei due termini, attraverso un percorso parallelo da cui nasce la creatività
collettiva. Più specificatamente, molti ricercatori hanno osservato come l’improvvisazione teatrale sia, a tutti gli effetti, uno
strumento importantissimo per instaurare e migliorare le relazioni umane e per favorire il senso della collettività.
L’improvvisazione é un’attività di gruppo e la conoscenza raggiunta entro una situazione di gruppo, mette in rilievo sia
l’indipendenza dell’uomo, sia la sua interdipendenza. L’improvvisazione si propone di insegnare all’individuo a entrare in
rapporto con altre persone e di portarlo a conoscenza delle situazioni che possono aver origine in caso di scioglimento di tali
rapporti. La cooperazione e il rispetto dei tempi e delle modalità interpretative altrui, é ciò che l’improvvisazione insegna a chi
la pratica: essa infatti permette ai soggetti più timidi di agire e acquisire sicurezza a fianco di quelli più forti, in una situazione
non competitiva ma fortemente collaborativa. Attraverso la partecipazione e il senso di solidarietà che nasce dal sentirsi
membri di una stessa collettività, gli individui che improvvisano, riescono gradualmente a scoprire in loro capacità
insospettate, e a rivelarsi, favorendo, nello stesso tempo, lo sviluppo della propria personalità. Dunque, oltre ad agire come
individuo con altri individui, ogni singolo partecipante di un’improvvisazione, reagisce nel gruppo e al gruppo nel suo insieme.
Per recitare, come del resto per vivere, é indispensabile che l’individuo sia sensibile al gruppo, e avverta come necessaria la
presenza dell’altro. Per permettere all’individuo di diventare sempre più consapevole del gruppo, é importante che il
conduttore proponga all’interno del laboratorio esercizi mirati. A tale scopo si illustrano diversi esercizi, sia finalizzati ad aiutare
gli allievi a entrare coscientemente in contatto fisico con i compagni, sia mirati ad acuire la sensibilità e la consapevolezza
reciproca: in particolare si suggerisce indicativamente, l’esecuzione di scene semplici e abituali come, un parrucchiere che
pettina una persona, un commesso che misura un cappello a una cliente, oppure la realizzazione di scene collettive più
complicate, allargate alla partecipazione di un gruppo più numeroso. In quest’ultimo caso, si suggerisce di proporre agli allievi
scene in cui devono reagire collettivamente a un immaginario incidente stradale, o al lavoro di un gruppo di operai in una
strada, o alla vista di una persona ritta sul davanzale di una finestra di un edificio. In questo modo, con l’aumentare delle
proprie possibilità interpretative attive all’interno del gruppo di lavoro, l’individuo impegnato in un’improvvisazione acquista
sempre più coscienza delle proprie capacità collaborative e cooperative, nonché dei risultati ottenuti. Così agendo, infine, il
soggetto si fà interprete di un teatro “humus” di relazioni, nel quale e attraverso il quale, ritrova se stesso e le propria intimità
nel rapporto con l’esterno, con l’altro. Oggi, nell’attuale società, risulta concreto e fondamentale la scoperta del valore
relazionale ed emozionale dell’esperienza teatrale, nella cui direzione, l’improvvisazione può guidarci, rivelando il suo profondo
significato pedagogico.
Concentrazione, spontaneità e immaginazione: ingredienti fondamentali dell’improvvisazione
L’improvvisazione teatrale si gioca sulla padronanza e sullo sviluppo, da parte dell’allievo, di tre componenti essenziali dell’arte
interpretativa: la concentrazione, la spontaneità e l’immaginazione.
La concentrazione é l’elemento che permette al soggetto impegnato in un’improvvisazione di superare il nervosismo e il
timore del giudizio altrui, favorendo l’immedesimazione necessaria per rendere veritiera la sua recitazione. Da un punto di
vista tecnico, la concentrazione é essenziale per l’allievo, in quanto attraverso questa egli può sostenere ogni tipo di
caratterizzazione e di interpretazione, aderendo adeguatamente a ogni tipo di situazione. Durante un’improvvisazione la
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mancanza d’attenzione, un ridotto interesse verso l’argomento proposto, uno stato generale di ansia o di stanchezza
psicofisica sono elementi che impediscono la giusta concentrazione e che minano il risultato che si vuole raggiungere. E’
necessario quindi che il soggetto prenda in considerazione la sua predisposizione alla concentrazione disponendo con calma i
tempi e i modi entro cui imparare ciò che é ritenuto importante al fine di ottenere la qualità scenica desiderata: sapersi
rilassare é condizione essenziale per svolgere al meglio qualsiasi attività mentale o fisica. Si possono indicare una serie di
esercizi relativi alla concentrazione basati sulle sensazioni percepibili con i cinque sensi dell’individuo:

nel training visivo l’allievo, esercitandosi, impara a focalizzare l’attenzione su quanto vede ed osserva nei particolari,

nel training uditivo gli esercizi conducono l’individuo a percepire sempre più nitidamente quanto ascolta per riservarsi
di interpretare in un secondo momento, il significato dei singoli suoni;

nel training tattile attraverso l’uso esclusivo delle mani l’allievo impara a riconoscere la diversa densità, dimensione,
ruvidità e struttura di quanto tocca;

nel training olfattivo la percezione dei diversi odori e dei molteplici profumi e della causa che li genera, è l’obiettivo
che vuole raggiungere l’allievo;

nel training gustativo: infine, I’allievo, impara a concentrarsi sui sapori di quanto assaggia.
Proseguendo in questa direzione, l’allievo automaticamente arricchirà gli esercizi di concentrazione, lavorando sulla
combinazione di più sensi, giungendo a svilupparli in una sequenza articolata rappresentativa, costruita attraverso
l’improvvisazione. Perfezionate le tecniche di concentrazione, occorre che venga dato ampio spazio alla spontaneità: tanto
maggiore sarà il livello di spontaneità raggiunto quanto migliore sarà il livello qualitativo delle improvvisazioni successive. Per
stimolare la spontaneità occorre evitare di censurare le proprie reazioni istintive derivanti da particolari stimoli e di prestabilire
le proprie azioni; cioè più il soggetto si lascerà assorbire da quanto sta succedendo durante un’improvvisazione, tanto più
troverà semplice affrontare con naturalezza e immediatezza la situazione che si sta delineando sul palcoscenico. Solo dopo
aver raggiunto un buon livello di concentrazione e spontaneità, l’allievo é nelle condizioni ottimali per cercare di stimolare la
propria immaginazione, partendo dalle analisi condotte precedentemente sui cinque sensi: dopo aver provato una sensazione,
egli potrà riprodurla o descriverla, oppure collegarla ad altro, attraverso una libera associazione del momento. Per ampliare la
propria attività immaginativa l’attore non può prescindere dall’osservazione di cose, eventi e persone reali per poi introdurvi
elementi derivanti da un’attenta ricerca creativa, come ad esempio inventare nuovi modi di usare oggetti comuni in spazi e
situazioni immaginarie per sconfinare, poi, nella creazione di vere e proprie situazioni neo-narrative. Se infatti ad ognuna delle
idee scaturite dall’immaginazione dell’allievo, si aggiungono elementi di tensione o di conflitto, e se si completa il quadro
immaginativo dando un’identità e un ruolo preciso alle cose, ecco che ciò che ne nasce é una vera ed articolata
improvvisazione.
Dal training allo spettacolo
Superata la fase laboratoriste in cui si mira a sviluppare le fondamentali facoltà necessarie all’improvvisazione e a portare gli
allievi-attori a possedere una certa disinvoltura ed elasticità interpretativa, può nascere, da parte dei partecipanti del
laboratorio stesso, l’esigenza di organizzare il lavoro secondo uno schema più formale, dotandolo di una struttura e di una
comunicabilità, spendibili di fronte al pubblico. In sè il passaggio che conduce dal laboratorio alla rappresentazione non è
indispensabile. A detta di molti teorici esso non è niente più di un extra facoltativo al lavoro laboratoriste sviluppatosi; lavoro
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quest’ultimo non orientato al rendimento, alla produzione e al successo, ma concentrato e impostato sul training e su modalità
processuali. L’idea di tali teorici, non nega la validità di un prodotto, ma la pone in secondo piano rispetto al processo: in
questo senso, lo spettacolo invece di rappresentare il fine primario del lavoro di laboratorio, diventa la conclusione di un
percorso di formazione e di un itinerario ricco di occasioni di crescita. Ovvero, lo spettacolo ha senso se emerge da un bisogno
naturale all’interno del gruppo di lavoro, se é una realtà in continuità con quella del laboratorio e infine, se rappresenta l’esito
visibile di un percorso. Solo rispettando gli obiettivi prefissati in fase laboratoriale, la rappresentazione diviene la sintesi
perfetta dei contributi creativi di ciascun allievo-attore. Una rappresentazione concepita in questo modo, contiene in se
elementi altamente educativi per chi la pratica: essa dà al lavoro svolto in laboratorio, un momento di compimento, in quanto
il progetto di rappresentazione non si estende per tempi indefiniti, inoltre, premia gli attori del loro prodotto, frutto della
propria creatività, e ancora, consolida il livello di collaborazione e autodisciplina raggiunto, limitando le aspirazioni personali a
favore del risultato di gruppo.
Dall’improvvisazione libera alla creazione articolata di un progetto creativo in vista di uno spettacolo
Costruire uno spettacolo attraverso l’improvvisazione significa contenere e limitare ciò che nell’improvvisazione in fase
laboratoriste é privo di regole, libero e senza codici preordinati, se non quelli scaturiti dal soggetto creativo. Lo spettacolo
rappresenta il risultato di un’impresa complessa frutto dell’approfondita conoscenza che l’attore ha dei propri processi creativi
e degli specifici strumenti teatrali, che lo rendono cosciente delle origini su cui si fonda la costruzione dell’opera da prodursi. In
merito a ciò, si può delineare e illustrare le fasi principali per giungere alla rappresentazione del prodotto laboratoriale.
La prima fase é rappresentata dall’idea che scaturisce dai partecipanti: essa può essere centrata su un paradosso, un evento
significativo, un’ambiguità, una favola o semplicemente un’azione o gesto particolare sperimentato nella situazione di
laboratorio. La seconda fase é la stesura di un semplice canovaccio: dopo aver raccolto tutte le idee ed aver mentalmente
ripercorso le situazioni precedentemente “provate” durante il training, occorre definire l’ordine e la struttura da dare agli
spunti rappresentativi, e ciò perché diventa indispensabile trovare un ritmo generale sul quale inserire i diversi eventi che
possano sorprendere il pubblico. La terza fase è lo studio dello spazio dell’improvvisazione, e di tutti gli oggetti necessari alla
messa in scena. La quarta fase é il racconto orale: si tratta in questa fase di sviluppare il canovaccio delle precedenti
improvvisazioni, attraverso il racconto e la descrizione ripetuta tra i partecipanti, dei particolari sempre più dettagliati della
vicenda da rappresentare. E’ questo il momento più creativo dell’intero processo, in quanto l’attore si diverte a capovolgere gli
eventi e le situazioni, stupendo anche se stesso, mentre racconta i particolari inventati della scena. La quinta fase é data dalle
correzioni: in essa si scelgono le parole giuste per definire meglio ciò che la mente ha prodotto, prestando attenzione agli
aggettivi che sostengono le scene e alle battute che sottostanno al ritmo del dialogo. Tali specificazioni e dettagli rispettano
tuttavia la spontaneità delle azioni. La sesta fase é rappresentata dalla costruzione dei personaggi: é la fase in cui si ripensa al
carattere di ogni personaggio per dargli un vestito credibile, una luce adeguata e una caratterizzazione precisa. Solo ora l’attore
può togliere le descrizioni gratuite, ponendosi invece quesiti su ogni particolare scenico. Infine, la settima fase é data dalla
verifica: questa richiede all’attore-autore di rileggere quanto prodotto in chiave critica, visualizzando lo spettacolo dalla parte
del pubblico.
Dall’analisi delle fasi di lavoro che, dalla libera improvvisazione, conducono alla rappresentazione, emerge chiaramente quanto
sia fondamentale per l’attore, rafforzare gradualmente la struttura della propria azione, della situazione e del dialogo, allo
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scopo di comunicare allo spettatore il messaggio di cui é portatore. Lo spettatore infatti subisce l’impatto teatrale, non solo
ascoltando le parole del testo e seguendo l’azione, ma anche e soprattutto osservando i particolari dei personaggi presenti in
scena, e i rapporti tra di loro nello spazio che li ospita. A tale fine, per favorire una migliore comunicazione visuale durante una
rappresentazione, é importante che gli allievi siano guidati all’apprendimento di alcune indicazioni fondamentali, relative alla
costruzione del personaggio che andranno a interpretare, alla posizione che terranno in scena durante la rappresentazione, e
ai movimenti che eseguiranno durante lo spettacolo. Nel processo di caratterizzazione del personaggio durante la
rappresentazione, l’allievo potrà sia attingere alle proprie disponibilità e risorse mentali, fisiche ed emozionali esercitate
durante il training, sia far tesoro di alcuni semplici assunti teorici, appresi in fase laboratoriale. In particolare, a riguardo della
costruzione del personaggio, le regole basilari da tenere presente in fase rappresentativa sono quelle suggerite da un padre
fondatore del teatro del Novecento: Stanislavskij. Secondo il regista il processo mentale mediante il quale l’attore si cala
direttamente nelle condizioni del personaggio é rappresentato dal “magico se”. Esso costituisce una raffinata combinazione di
immaginazione ed azione, allontanando l’attore dalla dimensione più propriamente intellettuale, riconducendolo invece alla
propria logica individuale.
Si tratta, secondo Stanislavskij, di attivare all’interno di se stessi quanto é patrimonio personale che conserva una sua energia
da sfruttare, per dar vita a un’espressione autentica, libera cioè da costrizioni e condizionamenti, perché adeguata e
corrispondente al proprio mondo interiore. Un modo per affrontare un avvicinamento corretto al personaggio da interpretare,
é dunque dato da un’approfondita conoscenza di se: ciò significa osservare ed astrarre dalla propria interiorità e intimità una
serie di vicende che appartengono al proprio vissuto, al proprio patrimonio personale, il quale contiene in se una forte energia.
Da qui, l’espressione esterna che l’attore produrrà sarà tanto più autentica, tanto più sarà adeguata e corrispondente al
proprio mondo interiore.
I principi presi in prestito dal metodo stanislavskijano, possono riassumersi in questi tre punti:
1. ritrovare in se stessi la vita del proprio personaggio: restando fedele alla propria vita, l’attore scopre dentro di se bisogni ed
esperienze diverse. Essi sono messaggi importanti scaturiti dalla vita, dalla storia, dagli altri, dalla trascendenza; vanno
dunque interpretati e rappresentati attraverso il personaggio;
2. utilizzare la propria logica e non quella del personaggio: in questo caso l’attore deve saper vedere e cogliere quello che
avviene fuori e dentro di lui, e agire di conseguenza, adeguatamente rispetto alla circostanza data;
3. agire come se: in questo caso, all’attore é chiesto di comportarsi come se si trovasse in determinate situazioni o particolari
contesti.
Alla luce di quanto detto, risulta evidente che l’allievo riuscirà tanto più a interpretare il personaggio scaturito
dall’improvvisazione durante la rappresentazione, quanto più si sarà esercitato nella finzione dell’immaginazione, giocando sul
proprio mondo interiore, adeguandolo alle caratteristiche del personaggio da interpretare: una volta terminato il processo di
caratterizzazione, l’attore dovrà essere certo di avere integrato ed arricchito nei particolari il personaggio da rappresentare, in
modo che quanti divideranno con lui la situazione teatrale potranno reagire su tutti i livelli, in accordo con la concezione
unitaria della personalità inventata. Una buona caratterizzazione del personaggio da interpretare, deve tuttavia essere
accompagnata da particolari accorgimenti scenici, da non sottovalutare e trascurare ai fini di una rappresentazione e,
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soprattutto, necessari per comunicare al pubblico nel modo più corretto possibile. Innanzitutto, é fondamentale che l’attore
acquisisca una sempre più approfondita consapevolezza del proprio corpo, imparando a conoscere gli infiniti movimenti che
esso può eseguire, le posture che può assumere, l’energia che può emanare, i messaggi che può inviare. In questo senso,
possono essere suggeriti da parte del regista all’attore, molteplici posizioni e rapporti spaziali che egli può assumere sul
palcoscenico, da adeguare successivamente alle diverse situazioni interpretative. Attraverso le differenti posizioni assunte
nello spazio, infatti, l’attore comunica e invia messaggi sia ai compagni che al pubblico, in molteplici modalità: avvicinandosi al
compagno, allontanandosi dal centro del palcoscenico verso la periferia, stando semplicemente in piedi immobile, o sedendosi
di fronte al proprio interlocutore. Alla luce di quanto detto, é dunque importante che l’attore impari gradualmente a
comprendere la “grammatica” di ogni suo spostamento nello spazio, in base alle esigenze di ogni situazione e insieme si
addestri alla comunicazione corporea e spaziale con altri corpi che con lui in scena interagiscono. In particolare, durante
un’improvvisazione, i movimenti compiuti dagli attori sul palcoscenico sono fondamentali al fine di una corretta comunicazione
visiva: occorre evitare la staticità d’azione o il semplice movimento fine a se stesso.
Il movimento, per dare varietà e interesse all’azione, deve avere una buona motivazione, intesa come causa della reazione
interiore dell’attore espressa nel movimento, e un preciso significato, inteso come contenuto del messaggio comunicato
dall’attore al pubblico attraverso l’impatto visuale. Le condizioni che rendono significativo un movimento, sono strettamente
legate al modo di eseguirlo: non solo deve esserci un motivo perché una persona si muova da un punto all’altro del
palcoscenico, ma questo passaggio deve avvenire con un certo grado di velocità, di leggerezza e di immediatezza. Movimenti
particolarmente significativi, sono le entrate e le uscite sul e dal palcoscenico: la loro importanza é tale che, se eseguite male,
impoveriscono o annullano il valore del messaggio dell’attore, e dell’intera improvvisazione. In questo senso l’attore deve
sempre sapere perché entra in scena e da dove sta arrivando, perché esce dalla scena e dove sta andando; per raggiungere
questo livello di consapevolezza e prontezza di movimento, inoltre, egli deve insistere sulle proprie capacità di scioltezza,
immediatezza e velocità.
Tali accorgimenti, suggerimenti ed apprendimenti tecnici, risulteranno vantaggiosi per l’attore che vuole cimentarsi in una
rappresentazione d’improvvisazioni, nella misura in cui egli saprà abilmente integrarli con la propria dimensione creativa ed
immaginativa. Solo così lo spettacolo diverrà uno sfondo integratore, capace di valorizzare ed intrecciare i diversi percorsi di
apprendimento con i vari piani dell’esperienza dell’attore, unificandoli in una dimensione di crescita armonica e completa per
la sua persona.
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 Vol. I - Sez. 2 - 5. LEZIONI DI SCRITTURA
8. SUL MONOLOGO
di Edoardo Erba
Mettersi a scrivere un monolgo è come partire per un viaggio senza saper bene la destinazione. Intanto bisogna fare la valigia.
Si vorrebbe portare dietro una marea di cose, per sentirsi più protetti. Invece no, l'esperienza insegna che bisogna essere
selettivi. Molto selettivi. Non cercare di metterci dentro tutto. Prima regola: poche cose ma essenziali perché il viaggio può
essere lungo: scarpe, maglietta della salute, rasoio, spazzolino, maglione se fa freddo... e poi un libro. Uno solo. Quello non si
può lasciarlo a casa. Anche se pesa. Diceva Che Guevara: un uomo deve avere sempre sigari da fumare e libri da leggere. Io non
fumo. Peccato, perché i sigari terrebbero meno posto. Il libro va scelto con cura, bisogna evitare di portarsi quello sbagliato,
sennò è una tragedia. Tragedia per tragedia, mettiamo che decida di portare "Nascita della tragedia" di Nietzche. Lo guardo. Ha
l'orecchia a pagina venti. Cinque anni che sono a pagina venti. Magari è la volta che vado avanti. Però quelle venti pagine dovrò
rileggerle, mi sa che a pagina venti la tragedia è già nata. Meglio se lo lascio casa. Shakespeare. "Tutte le tragedie". Questo ha il
vantaggio che in un libro solo ci sono tutte. Ma pesa una cifra. A casa. "Il Bagavara... gita". Sapienza Indiana. Questo l'ho
comprato e non sono neanche arrivato a leggere tutto il titolo. A casa. "Minchia Sabri". Littizzetto. No, non posso. Non è
coerente scartare Shakespeare e portare Littizzetto. Anche se mi tenta. Guarda qua, un vecchio Topolino. Pesa un cazzo, ci
sono anche le barzellette di Cip e Ciop... porto quello. Valigia fatta. Ah no, manca il K-way. Non si usa mai ma si porta sempre.
Il mio è chiuso dal 1982. Dice: perché lo porti sempre? Perché può piovere all'improvviso. Dice: ma perché non porti
l'ombrello? Perché li perdo, gli ombrelli. Dice: ma poi perché deve piovere all'improvviso, è un viaggio immaginario, non vai
mica a Londra... Ma chi cazzo sei tu che dici tutte 'ste cose? Poi non è neanche un K-way. E' una sottomarca. Ahi ahi ahi. Sta
prendendo una brutta piega. Non il K-way, quello è spiegazzato dall'82, avrà dentro anche i funghi. Parlo del pezzo. Non vi sa
tanto che quello che sto facendo sia già un monologo teatrale? Cioè, io senza volerlo sono caduto nel monologo. E io odio
cadere nei monologhi. Soprattutto in quelli ingiustificati. Quelli dove uno parla da solo così, per convenzione. Ma senza
convinzione. Un monologo, per conto mio, deve sempre essere giustificato da qualcosa che succede in scena. Situazione
canonica del monologo giustificato: squilla il telefono. Il personaggio va a rispondere e dice: Pronto - poi fa una pausa - No,
guardi, qui non c'è nessuna Giuliana - altra pausa - Eh sì, mi sa tanto che ha sbagliato numero. Qui io immaginario spettatore
intuisco che l'immaginario interlocutore dell'immaginario personaggio chieda: c'è Giuliana? E appena dopo: mi sa tanto che ho
sbagliato numero. In questi casi il personaggio ha il comportamento del pappagallo, perché per far capire allo spettatore cos'ha
detto l'immaginario interlocutore gli ripete tutte la battute. E questo è un esempio cretino di monologo giustificato.
A parte il telefono, per giustificare il monologo un personaggio potrebbe parlare... che so a... un pesce rosso. In questo caso
nelle indicazioni per la messa in scena ricordatevi di mettere anche il modulo per la richiesta dell'accompagnatore dell'animale,
che è obbligatorio per legge. Oppure l'attore potrebbe essere un avvocato che prepara l'aringa per il giorno dopo. E qui
bisogna ricordarsi di far mettere sul palco il fornello per friggere l'aringa. Come? Ah, aringa con due R. Ecco un altro tipico
espediente da monologo: fingere di sentire dal pubblico una voce che non c'è. Come? Ah, quello che stavo facendo io è
un'aringa con una R sola? Vabbè, non s'arrabbi, può dire il personaggio. Spegniamo il gas.
Un altro modo di giustificare il monologo è mettere un personaggio da solo in una stanza. Uno da solo in una stanza fa un
monologo. Punto e basta. E' come se dicesse: lasciatemi fare 'sto monologo e non chiedetemi troppe giustificazioni. Sono solo
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in una stanza, che cazzo devo fare, un dialogo? Il dialogo mi disturba. Questo fatto che tutti e due devono esprimere il loro
parere... Se parlo è perché voglio esprimere il mio, di parere. Se si parla in due già non riesco, mi confondo. A volte commetto
persino l'errore di ascoltare. Se ascolti l'altro il tuo pensiero si perde. Finisce che magari alla fine ci ha ragione quello là. E non è
bello. Perché quando ero partito ero sicuro di aver ragione io. Quindi da qualche parte mi deve aver fregato. E quando ci
ripenso e mi rifaccio tutto il discorso, cazzo se ci ho ragione! Poi tutto sommato le cose che mi dicono gli altri non mi
interessano. L'ultimo dialogo interessante l'ho fatto nel... boh, forse quando ero piccolo e non sapevo ancora parlare. E adesso,
scusate, me ne vado.
Qui il personaggio immaginario sta per lasciare il palcoscenico immaginario ed ecco che si sente un'immaginaria voce
all'altoparlante.
Commissario: Dove sta andando?
Non è nient'altro che un altro espediente del monologo. La voce registrata. Espediente di serie B. Che tuttavia un autore non
può ignorare.
Commissario: Le ripeto la domanda: dove sta andando?
Personaggio: Io? Da nessuna parte.
Commissario: E allora la valigia che stava facendo?
Personaggio: Io non stavo facendo nessuna valigia, la faceva l'autore. Anzi, nemmeno lui, era una metafora.
Commissario: Sì, una metafora... verificheremo. Professione?
Personaggio: Attore.
Commissario: Sulla carta d'identità leggo studente.
Personaggio: E' per via delle facilitazioni.
Commissario: Quali facilitazioni?
Personaggio: Massì, anche nei musei. Se leggono attore ti guardano male. Fanno le battute. Attore? Strano, non ti ho mai visto.
Se invece scrivi studente, non te lo chiedono. E anche se dicessero. Studente? Strano, non ti ho mai visto. Be', segno che
studio.
Commissario: Professione del padre e della madre.
Personaggio: Basta, voce registrata! Eri un esempio...
Commissario: Che esempio? Io sono qui. Mi hanno pagato. Sono un professionista serio. Doppiatore. Mi chiamo Fabio Degrada.
Costo un tot all'ora che non è neanche poco. Sono qui per fare il commissario. Sono anche vestito da commissario e voglio fare
il commissario.
A questo punto il personaggio immaginario sconsolato allarga le braccia. Non sa cosa fare. Dall'altoparlante arriva il rumore di
una porta che si apre.
Commissario: Oh! E' arrivata anche la dattilografa.
Molly: Hallo!
Commissario: Come mai così in ritardo, signorina Molly?
Molly: Ho bucato una gomma.
Commissario: Ma se viene in tram....
Molly: Non dica così.
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Commissario: La nostra professione è una missione, signorina Molly.
Molly: Non dica così.
Commissario: Stupido io che tutte le volte che mi chiamano dico: dattilografa? Mandatemi la Molly. Come se non sapessi che
lei ha una doppia vita. Che per noi doppiatori diventa quadrupla. Vuol sapere perché è in ritardo? Lei doppia i porno, signorina
Molly.
Molly, piangendo: Come ha fatto a indovinarlo, commissario?
Commissario: Si rivesta, signorina Molly. E' completamente nuda.
Il personaggio immaginario a questo punto insorge: Scusate. E' il mio spettacolo, non il vostro. Non fatemi perdere il filo. Stavo
rispondendo alla domanda sui genitori. Allora: impiegato e casalinga. Cioè papà impiegato. Mamma casalinga. Anche se a papà
piace cucinare. E alla mamma piace fare i conti. Così è facile vedere papà col grembiulino e le mani sporche di farina. E la
mamma con la calcolatrice, un cicchetto e la pipa in bocca...
Commissario: Si ritiene un piccolo borghese?
Personaggio: No.
Commissario: In prova aveva detto sì. Si rende conto che certe risposte possono essere usate contro di lei?
Personaggio: In che senso?
Commissario: Collabora o non collabora?
Personaggio: Ma a cosa?
Commissario: Ci dica perché stava facendo la valigia. Io non l'ho capito. Non l'ha capito nessuno qui dentro. Glielo chiediamo in
coro.
Si sente un coro greco che recita all'unisono: Perché stai facendo la valigia? Perché stai facendo la valigia?
Il personaggio si sovrappone al coro e si irrigidisce: Basta! L'ho già spiegato prima. La valigia non era la mia. Ma non è questo il
punto. Il problema, l'ho capito adesso, è che voi vi aspettate qualcosa da me.
Qualcosa che ha a che fare con la vita personale e col modo di scrivere dell'autore che mi sta inventando. Ma perché io dovrei
star qua a parlarvi dell'autore? Scordatevelo. Io non sopporto i personaggi monologanti che parlano dei loro autori, del loro
modo di scrivere... e il suo lavoro lo fa così perché la mia mamma era cosà, e il papà era costì... ma perché io spettatore dovrei
ascoltare i resoconti della vita di un altro? Uno dice: adesso mi racconta la sua, dopo toccherà a me, come dagli alcolisti
anonimi. Ti ho ascoltato sui tuoi drammi, sui tuoi preconcetti e suoi tuoi segreti? Adesso tocca a me. Ce ne ho anch'io una
montagna, di problemi. Invece no, luci in sala, applausi, fine. Io non ci sto. Io sono contrario a questo andazzo. I cazzi di un
autore io non li voglio riferire. A me i cazzi se non sono miei, vi giuro, non è per cattiveria, ma non mi interessano. Io mi annoio.
L'unica cosa che a me interessa veramente, è parlare dei cazzi miei. Lì sono veramente interessato. Anzi, se c'è qualcuno di voi
che vuole parlarmi dei cazzi miei, io lo ascolto. Di altre cose, per favore, non discutiamo nemmeno!
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 Vol. I - Sez. 2 - 5. LEZIONI DI SCRITTURA
9. LA STORIA DI PRONTO SOCCORSO E BEAUTY CASE
(IL RACCONTO DELL’UOMO CON GLI OCCHIALI NERI)
Da “Il bar sotto il mare”
di Stefano Benni
Il nostro quartiere sta proprio dietro la stazione. Un giorno un treno ci porterà via, oppure saremo noi a portar via un treno.
Perché il nostro quartiere si chiama Manolenza, entri che ce l’hai ed esci senza. Senza cosa? Senza autoradio, senza portafogli,
senza dentiera, senza orecchini, senza gomme dell’auto. Anche le gomme da masticare ti portano via se non stai attento: ci
sono dei bambini che lavorano in coppia, uno ti dà un calcio nelle palle, tu sputi la gomma e l’altro la prende al volo. Questo
per dare un’idea. In questo quartiere sono nati Pronto Soccorso e Beauty Case. Pronto Soccorso è un bel tipetto di sedici anni.
Il babbo fa l’estetista di pneumatici, cioè ruba gomme nuove e le vende al posto delle vecchie. La mamma ha una latteria, la
latteria più piccola del mondo. Praticamente un frigo. Pronto è stato concepito lì dentro, a dieci gradi sotto zero. Quando è
nato, invece che nella culla l’hanno messo in forno a sgelare. Fin da piccolo Pronto Soccorso aveva la passione dei motori.
Quando il padre lo portava con sé al lavoro, cioè a rubare le gomme, lo posteggiava dentro il cofano della macchina. Così
Pronto passò gran parte della giovinezza sdraiato in mezzo ai pistoni, e la meccanica non ebbe più misteri per lui. A12 anni,
Pronto costruì la prima moto truccata, la Lambroturbo. Era una comune lambretta ma con alcune modifiche faceva i
duecentosessanta. Fu allora che lo chiamammo Pronto Soccorso. In un anno si imbussò col motorino duecentoquindici volte,
sempre in modi diversi. Andava su una ruota sola e la forava, sbandava in curva, in rettilineo, sulla ghiaia e sul bagnato, cadeva
da fermo, perforava i funerali, volava giù dai ponti, segava gli alberi. Ormai in ospedale i medici erano cosi abituati a vederlo
che se mancava di presentarsi una settimana telefonavano a casa per avere notizie. Ma Pronto era come un gatto: cadeva,
rimbalzava e proseguiva. (la voce va addolcendosi sempre più)
Beauty Case aveva quindici anni ed era figlia di una sarta e di un ladro di Tir. Il babbo era in galera perché aveva rubato un
camion di maiali e lo avevano preso mentre cercava di venderli casa per casa. Beauty Case lavorava da aspirante parrucchiera
ed era un tesoro di ragazza. Si chiamava così perché era piccola piccola, ma non le mancava niente. (prima che la voce diventi
completamente femminile torna normale)
Era una sera di prima estate, quando Pronto Soccorso gironzolava tutto pieno di cerotti e croste sulla lambroturbo e un
chilometro più in là Beauty mangiava un gelato su una panchina. Aggiungo tre particolari. (rullo di tamburo) Uno: in estate
Beauty portava delle minigonne che la mamma le faceva con le vecchie cravatte del babbo. Con una cravatta gliene faceva tre.
(rullo di tamburo) Due: quando Beauty si sedeva, accavallava le gambe come neanche la più topa delle top model, le
accavallava che una faceva le carezze all’altra, e aveva delle bellissime gambe con la caviglia snella e scarpini rossi con un tacco
che ti si infilzava dritto nel cuore. (rullo di tamburo) Tre: quando Beauty leccava un gelato, tutto il quartiere si fermava. Avete
presente il film quando Biancaneve canta nella foresta, e si ritrova intorno tutti i coniglietti e i daini e le tortore e i pappataci
che cantano con lei? Bene, la scena era uguale, con Beauty al centro che leccava il suo misto da mille e tutto intorno ragazzini,
ragazzacci e vecchioni che muovevano la lingua a tempo, perché venivano tutti i pensieri del mondo, dai quasi casti ai quasi
reato. Allora, dicevamo che era una sera di prima estate quando si udì da lontano la famosa accelerata in quattro tempi
andante mosso allegretto scarburato e poi Pronto arrivò nel vialetto dei giardini guidando senza mani e con un piede che
strisciava per terra, se no non era abbastanza pericoloso. Vide Beauty e cacciò un’inchiodata storica. L’inchiodata per la verità
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non ci fu perché, per motivi di principio, Pronto non frenava mai. La prima cosa che faceva quando truccava un motorino era
togliere i freni. “Così non mi viene la tentazione”, diceva. Quindi Pronto andò dritto e finì sullo scivolo dei bambini, decollò
verso 1’alto, rimbalzò sul telone del bar, finì al primo piano di un appartamento, sgasò nel tinello, investì un frigorifero, uscì nel
terrazzo, piombò giù in strada, carambolò contro un bidone della spazzatura, sfondò la portiera di una macchina, uscì dall’altra
e si fermò contro un platano. (si toglie l’impermeabile il cappello e gli occhiali; è truccato per metà da donna e per l’altra metà
da uomo)
Beauty – Ti sei fatto male?
Pronto – No, tutto calcolato.
Beauty fece “ah” con la lingua mirtillata in bella vista. Restarono alcuni istanti a guardarsi, poi Pronto disse:
Pronto – Bella la tua minigonna a pallini. Vuoi fare un giro in moto?
Beauty ingoiò il gelato in un colpo solo, che era il suo modo per dire di sì. Mentre saliva sulla moto, roteò la gamba
interrompendo la pace dei sensi di diversi vecchietti. Poi si strinse forte al petto di Pronto e disse:
Beauty – Ma tu la sai guidare la moto?
A quelle parole Pronto fece un sorriso da entrare nella storia, sgasò una nube di benzoleone e parti zigzagando contromano.
Chi lo vide, quel giorno, dice che faceva almeno i duecentottanta. La forza dell’amore! Arrivato a casa, si stese sul letto e
dichiarò a quattro scarafaggi: “Sono innamorato.” “E di chi?”, chiesero quelli. “Di Beauty Case.” “Bella gnocca!”, dissero in coro
gli scarafaggi, che dalle nostre parti parlano piuttosto colorito. La sera dopo, Pronto e Beauty uscirono di nuovo insieme. Dopo
trenta secondi Pronto chiese se poteva baciarla, Beauty ingoiò il gelato. Iniziarono a baciarsi alle nove e un quarto e stando ad
alcuni testimoni il primo a respirare fu Pronto alle due di notte. “Baci bene, dove hai impara…”, voleva dire, ma Beauty gli si era
incollata di nuovo e finirono alle sei di mattina. Quando tornò a casa e la mamma chiese “Cos’hai fatto con quel ragazzo del
motorino?”, Beauty disse: “Niente mamma, solo due baci.” Non mentiva, la ragazza. (si rimette impermeabile, cappello e
occhiali)
Così, l’amore tra i due illuminò il nostro quartiere, e ci sentivamo così felici che quasi non rubavamo più. Sì, eravamo tutti dei
cittadini modello o quasi, finché un brutto giorno non arrivò nel quartiere Joe Blocchetto, l’asso degli agenti della Polstrada.
Arrivò con la divisa di cuoio nera, stivali sadomaso e occhiali neri. Sopra il casco portava la scritta: “Dio sa ciò che fai ogni ora, io
quanto fai all’ora”. Ogni motorizzato della città tremava quando sentiva il nome di Joe Blocchetto.
Non c’era mezzo al mondo che lui non avesse multato. Quando capitava in una strada dove c’erano auto in sosta vietata,
estraeva il blocchetto e sparava multe come un mitra. Così colpiva veloce e invisibile Joe Blocchetto, 1’uomo che aveva multato
un carro armato perché non aveva i cingoli di scorta.
Joe arrivò una sera nel quartiere sulla sua Mitsubishi Mustang blindata, posteggiò davanti all’incrocio di via Bulganin con la
quarantaduesima e si mise ad aspettare. Dopo essere andato a prendere Beauty, tutte le sere Pronto attraversava il grande
incrocio. Passava col rosso a una velocità vicina ai centocinquanta, con Beauty dietro che sventolava come un fazzoletto. A
quell’incrocio era in agguato Joe Blocchetto. Quella sera, come tutte le sere, Pronto Soccorso passò sotto la finestra di Beauty e
la chiamò con un fischio. Beauty si lanciò dalla finestra atterrando sulla moto. Erano ormai abilissimi in questa manovra.
Quando arrivarono all’incrocio, il semaforo era rosso. Appena Pronto lo vide, lanciò la moto a tutta manetta. Mancavano meno
di cento metri all’incrocio. Pronto vide Joe attenderlo coi due blocchetti di multe puntati e non esitò. Frenò con i piedi e fece
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girare la Lambroturbo su se stessa. Mentre la moto ruotava vertiginosamente e mandava scintille, continuava a frenare con
tutto: con le mani, con la borsetta di Beauty, con le chiappe, con un cacciavite che piantava nell’asfalto, con i denti. Uno
spettacolo impressionante: il rumore era quello di una fresa, volavano in aria pezzi di strada e brandelli di moto. Ma Pronto
Soccorso fu grande. Con un’ultima sbandata azzannò 1’asfalto e si fermò esattamente con la ruota sulla striscia pedonale. Joe
Blocchetto ingoiò la bile e si avvicino lentamente. La moto fumava come una locomotiva e le gomme erano fuse. Joe
Blocchetto girò un po’ intorno e poi disse; “Su questa moto non si può andare in due.” “E mica siamo in due.” Era vero. Non
c’era più traccia di Beauty. Joe Blocchetto la cercò sotto il serbatoio, ma non la trovò. Beauty si era infilata nella marmitta. Ma
non resistette al calore e dopo un po’ schizzò fuori mezzo arrostita. Joe Blocchetto lanciò un urlo di trionfo: “Duecentomila di
multa, più il ritiro della patente, più le responsabilità penali con la signorina minorenne. Hai chiuso con la moto, Pronto
Soccorso!” Dal cavalcavia dove osservavamo la scena, rabbrividimmo. Pronto senza moto era come un fiore senza terra.
Sarebbe avvizzito. E con lui, quell’amore di cui tutti eravamo fieri.
Che fare? Joe aveva già appoggiato la penna sul blocchetto fatale quando sentì un rumore di clacson. Si voltò e… Tutta la strada
era piena di auto. Alcune erano posteggiate contromano, altre sul marciapiede: c’era chi 1’aveva messa verticale appoggiata a
un albero, chi sopra il tetto di un’altra. Due auto erano posteggiate a sandwich intorno alla moto di Joe Blocchetto, una stava a
ruote all’aria in mezzo al ponte con la scritta “Torno subito”. Due camionisti facevano a codate con i rimorchi in mezzo allo
svincolo dell’autostrada. I vecchi del quartiere erano usciti con biciclette anteguerra e guidavano chi senza mani, chi con un
piede sul manubrio, chi in gruppi piramidali di cinque: sembrava il carosello dei carabinieri. Completavano il quadro una
vecchietta che guidava una mietitrebbia e sei gemelli su una bicicletta senza freni. Joe Blocchetto prese a tremare come se
avesse la malaria. Era in aspra tenzone con se stesso. Da una parte c’era Pronto in trappola, dall’altra la più spaventosa serie di
infrazioni mai vista a memoria di vigile. La mascella gli andava su e giù come un pistone. Ed ecco che gli passò vicino un cieco su
una Maserati rubata senza marmitta, gli sgasò in faccia e disse: “Ehi pulismano, dov’è una bella strada frequentata da far due
belle pieghe a tutta manetta?” Joe Blocchetto si portò il fischietto alla bocca, ma non riuscì a cavarne alcun suono. Stramazzò al
suolo. Avevamo vinto. Ora Joe Blocchetto è stato dimesso dal manicomio e dirige un autoscontro al Luna-Park. Pronto e Beauty
si sono sposati e hanno messo su un’officina. Lui trucca le auto, lei le pettina.
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ESERCIZI ED ESEMPI
 Vol. I - Sezione 2
Didattica teatrale e Tecniche del metodo Writing Theatre
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 Vol. I - Sez. 2 - 2. AREE DELLA FORMAZIONE TEATRALE
 E2.1 INTERPRETAZIONE
Scegliendo un brano teatrale e non, di qualunque genere (comico, satirico, drammatico, tragico, ecc.), l’esercizio consiste nel
raccontarlo cinque volte di seguito in cinque modi diversi, cambiando la struttura interna, se è il caso, o addirittura lo
sviluppo drammaturgico. L’allievo, nell’esecuzione di tale esercitazione, dovrà cercare di dare il più possibile ogni volta una
“intenzione” diversa, accentuando o, al contrario, tenendo in secondo piano i momenti della storia che rappresentano degli
snodi nello svolgimento della trama. Se sceglie di parlare per bocca di un personaggio specifico, l’allievo dovrà interpretarlo,
appunto, in modo sempre diverso dando ad esso una “lettura” personale e di volta in volta originale.
Lo scopo dell’esercizio è quello di stimolare le capacità creative e interpretative dell’allievo che si avvalerà di una buona dose
di improvvisazione nella realizzazione dello stesso. In una fase successiva è prevista anche una lettura critica del personaggio
in base allo studio analitico del testo e alla personale preparazione culturale dell’allievo.
E2.2 MOVIMENTO
Usando anche soltanto un semplice scioglilingua, l’allievo dovrà recitarlo dapprima attraversando la scena in diagonale da un
angolo all’altro del palcoscenico camminando naturalmente, poi via via accelerando o diminuendo l’andatura a secondo del
ritmo con cui sceglierà di recitarlo: velocemente, lentamente, a scatti, a balzi con piedi uniti, a grandi falcate o addirittura a
testa in sotto per chi sia in grado di camminare sulle mani. Il ritmo dell’andatura va di pari passo, è proprio il caso di dirlo, con
quello della recitazione e obbliga l’allievo a sincronizzare battuta e respirazione al movimento. Questa esperienza motoria
darà cognizione all’allievo di come una frase si possa dire in condizioni diverse, e lo aiuterà poi, nel momento della scrittura, a
saper adattare la singola battuta al relativo momento drammatico.
E2.3 VOCE
L’allievo sceglierà una frase o una battuta a suo piacimento e la enuncerà prima una volta, poi due, poi tre e via via
aumentando di una unità fin quando il fiato glielo consentirà. Dopo aver inspirato ed espirato lentamente, ripeterà l’esercizio
cercando di aggiungere una unità a quelle precedenti mantenendo però sempre lo stesso ritmo. Una seconda fase, da far
eseguire a discrezione dell’insegnante, prevede l’utilizzo della voce proprio come uno strumento musicale: una volta
cantando, un’altra sussurrando, un’altra ancora articolando la battuta e scandendola in modo che ogni sillaba sia emessa da
una nota musicale diversa. L’allievo imparerà così a conoscere le possibilità del proprio registro vocale e scoprirà le molte
possibilità espressive ad esso legate. Con la voce, poi, lo spazio all’improvvisazione è pressoché inesauribile. L’allievo potrà
usarla come meglio crede e quanto più possibile le sue caratteristiche psico-fisiche, unitamente a quelle emotive, glielo
consentiranno.
E2.4 DRAMMATURGIA
Il corso di writing theatre è rivolto a insegnanti, educatori e operatori culturali per specializzarli nelle discipline di
drammaturgia e spettacolo e consentire loro di sperimentarne sul campo la validità applicando le conoscenze apprese su un
gruppo di ragazzi già fuoriusciti dai circuiti educativi obbligatori o a rischio di abbandono scolastico, al fine di ridurre la loro
condizione di marginalità, contribuire al loro reinserimento nel contesto sociale, migliorare il loro rapporto con la realtà e le
regole che la governano.
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Se dunque il nostro allievo è un ragazzo a rischio di emarginazione sociale proviamo a stimolare questa sua diversità
trasferendola in un esercizio, diciamo così, autobiografico: immaginare cosa accadrebbe se un mattino al risveglio si scoprisse
diverso da ciò che sa di essere. Basta il colore degli occhi differente, oppure l’altezza, o ancora un mestiere, la famiglia, fino
ad arrivare, perché no?, al colore della pelle, a un altro credo politico e religioso, a un’altra morale. Insomma: “METTIAMOCI
NEI PANNI DI…” . Quale esercizio migliore per chi voglia avvicinarsi al Teatro?
 L’ALLIEVO SCRIVA E DESCRIVA

narrazione – l’emozione, la sensazione, il pensiero, le intenzioni che prova scoprendosi diverso da ciò che
era fino a ieri;

drammaturgia – un incontro a due (o anche tra più personaggi) tra chi ha subìto il cambiamento e qualcuno
che gli è vicino: un caro amico, un parente stretto oppure soltanto il panettiere sotto casa…
E2.5 REGIA
Scelto un testo, un brano musicale, un elemento di scenografia (basta una sedia, una scala o anche, avendone disponibilità,
qualcosa di fantasioso come un cavallo a dondolo) e uno di sartoria (un cappello, un mantello, ecc.), l’allievo ne proponga tre
versione differenti. Mantenendo come costante il rispetto drammaturgico del testo sui cui si esercita, l’allievo dovrà provare
a disegnare tre diverse linee registiche lavorando sulle variabili interpretative. Per esempio, una lettura più introspettiva che
metta l’accento sulle caratteristiche psico-sociologiche di ogni personaggio; un’altra più allegorica che miri a esaltare il
contenuto più intrinseco del testo; una terza infine che decontestualizzi i personaggi trasportandoli in un àmbito più
universale. Nell’eseguire questa esercitazione l’allievo potrà “inventare”, dunque creare, lo spettacolo dando una lettura
prettamente soggettiva del testo su cui lavora, la propria personale interpretazione.
Lo scopo di questo esercizio è quello di abituare l’allievo ad andare oltre il semplice approccio analitico dell’Opera cercando
di darne una propria interpretazione critica che lo renda “sua” e di nessun altro.
 Vol. I - Sez. 2 - 3 . TECNICHE SCENICHE E ARTE TERAPIA
E3.1 ESERCIZIO WARM UP
L’esercizio comincia quando un gruppo si riunisce in cerchio ed ogni membro mette al centro le proprie scarpe. Tutti
focalizzano l’attenzione sulle scarpe e uno alla volta parlano delle scarpe da un punto di vista distaccato, in terza persona,
iniziando con: ”Queste scarpe sono…” A ciascun partecipante al gruppo è data la facoltà di parlare dell’aspetto esterno delle
scarpe – il tessuto, la forma, il colore ecc. Finisce poi descrivendo le proprie scarpe. Nella seconda parte dell’esercizio, ogni
partecipante aggiunge associazioni e proietta sentimenti su ogni paio di scarpe. Infine, ad ogni membro del gruppo è richiesto
di pensare ad una persona rappresentata da ogni paio di scarpe. Il conduttore può partecipare o meno.
Durante una dimostrazione, il conduttore scelse di indossare degli stivali da cowboy che attirarono delle proiezioni piuttosto
intense da parte dei membri del gruppo. Dopo il warm-up iniziale, egli si tolse gli stivali e chiese ai partecipanti di fare lo stesso
con le proprie scarpe. Poi chiese ad ognuno di recitare un dramma non verbale usando solo le scarpe. Chiese ad ogni membro di
scegliere il paio di scarpe che gli stava più vicino e di rappresentare una scena in dialogo con le scarpe del conduttore. Così il
warm-up li condusse subito all’azione.
59
E3.2 - ESERCIZI DI IMPROVVISAZIONE TEATRALE
Esercizio 1
Un partecipante prende un indumento di vestiario e lo indossa, poi lo passa a un altro membro del gruppo, che, a sua volta, lo
passa a un terzo e così via: l’esercizio consiste nel far cambiare la funzione dell’oggetto ad ogni passaggio.
Esercizio 2
I partecipanti si dividono in coppie e incominciano ad eseguire una serie di movimenti suggeriti dall’ultimo gesto del proprio
compagno di coppia.
Esercizio 3
Uno dei componenti di un piccolo gruppo dice una parola a caso, e, a turno, tutti gli altri rispondono immediatamente con
un’altra parola (esercizio basato sulle tecniche semplici del flusso di coscienza).
Esercizio 4
I vari gruppi interpretano scene diverse separatamente. Le scene vengono unificate e i partecipanti cercano di reagire il più
spontaneamente possibile alla nuova situazione.
Esercizio 5
Il gruppo interpreta una scena e improvvisamente deve reagire a un nuovo elemento immaginario introdotto in un punto
qualsiasi (un soffitto che si abbassa misteriosamente, un telegramma che arriva, degli uomini che portano via il mobilio, un
paio di pantaloni che scivolano di dosso, la temperatura che raggiunge i 40°, l’ambiente che si è trasformato in un’isola deserta,
o in paesaggio lunare, ecc…).
Esercizio 6
Un membro di un piccolo gruppo mette un oggetto immaginario in una valigia. Viene raggiunto da un secondo individuo che
prende la valigia e ne tira fuori un oggetto del tutto diverso. Sopraggiunge un terzo individuo che lo raccoglie e mette nella
valigia un terzo oggetto: la sequenza potrà svolgersi con o senza parole, ma la reazione successiva dovrà sempre essere
suggerita dall’ultimo oggetto.
E3.3 ESERCIZI MUSICALI
Esercizio 1
Scegliendo musiche molto famose e orecchiabili, (es. colonne sonore di pubblicità), fare chiudere gli occhi e dare ai ragazzi un
tema. Si possono inventare mille varianti, per esempio, possono immaginare di essere un fiore che sboccia e viene mosso dal
vento, o di essere essi stessi il vento, o il mare, un fiume, esprimendo tutto attraverso i movimenti corporei. Questi esercizi
possono avere più fasi. All’inizio si eseguono individualmente, poi i ragazzi possono farlo in coppia, poi a gruppi e alla fine
anche in un gruppo unico, tutti in cerchio e tenendosi per mano. Di solito io non cambio mai la musica per tutta la serie di
esercizi che hanno lo stesso tema.
Esercizio 2
Una variante molto divertente è quella degli animali. Ogni ragazzo immagina di essere il proprio animale preferito. Per evitare
di scatenare una battaglia tra gli animali, cosa molto frequente, per la verità, dare ai ragazzi delle limitazioni, per esempio non
possono toccarsi tra di loro, o non possono andare oltre una determinata linea immaginaria.
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Esercizio 3
Altri esercizi con la musica, molto semplici, sono quelli da fare dando soltanto delle semplici regole per muoversi nello spazio.
Per esempio indicare una parte del corpo che deve rimanere incollata al pavimento (es. uno o tutti e due i piedi), mentre con
tutto il resto del corpo si può ballare in modo scatenato, oppure immaginare di ballare sopra un filo come gli equilibristi, o di
muoversi come le marionette, o di ballare nell’acqua, o sulle nuvole, ecc. Anche questi esercizi possono essere fatti in coppia.
Per esempio i ragazzi possono ballare liberamente nello spazio ma devono scegliere una parte del corpo che deve rimanere
incollata all’altro durante tutto l’esercizio.
Esercizio 4
Un esercizio che di solito diverte molto i ragazzi è quello delle storie con la musica. L’insegnante mima una storia ballando
davanti ai ragazzi, e loro devono imitare alla perfezione tutto quello che lei fa. Si può cominciare dalle cose più semplici, per
esempio dai gesti quotidiani: alzarsi, lavarsi, uscire, salutare la gente per strada, ecc. Quando i ragazzi hanno imparato il
meccanismo del gioco, possono farlo da soli, senza l’insegnante, ma comandando loro stessi, a turno.
E3.4 ESERCIZIO IMMAGINAZIONE COLLETTIVA
L’esercizio consiste nel diventare personaggi di una storia, attraverso le indicazioni del conduttore.
Prendere una storia popolare. Partire dalla storia tradizionale e inventare storie sui personaggi, attraverso dettagli immaginati
che non esistono nella storia di partenza. Il conduttore comincia a raccontare la storia e fa un ex-cursus: ad esempio com’erano
i protagonisti y e x della storia prima di incontrarsi? Qualcuno li aveva mai incontrati prima? Il conduttore indica un ragazzo e
gli dice: tu che abitavi nello stesso condominio del personaggio y, ti ricordi come si comportava da piccolo? Oppure il
conduttore chiede se in aula sia presente l’ex moglie del personaggio x, e via dicendo. Se nessuno prende la parola
spontaneamente sarà il conduttore ad indicare via via chi può parlare. Di solito, quando entrano nel meccanismo, i partecipanti
si sentono coinvolti e se tutto va bene si divertono ad inventare sempre più dettagli. Ogni tanto il conduttore interrompe la
storia immaginaria e ritorna alla storia di partenza, portandone avanti il racconto, per poi interromperlo nuovamente e
ricominciare ad inventare.
Se non si vuole utilizzare una storia tradizionale si può provare a partire da un’esperienza completamente immaginaria. Il
conduttore comincia dicendo: vi ricordate di quando siamo andati tutti insieme in gita a Parigi (o ai castelli, o al mare, o nella
Palude Misteriosa)? Dai, ricordate, eravamo tutti noi, c’era la prof di lettere, il preside, il bidello, e/oppure il parrucchiere,
Francesco Totti, o chi ci pare. Una volta che i partecipanti entrano nel meccanismo del ricordo immaginario è facile andare
avanti.
Esempi: Francesca, ti ricordi a che ora siamo partiti? Che tempo c’era? Hai notato niente di strano nel comportamento della
Prof? Oppure: ricordate che quali strani animali abitano nella palude misteriosa? E’ in aula il grande esperto dott. De Animalis
che può descriverci le caratteristiche del cane Paludoso e della Gazzella di fango, leggendarie creature che abitano solo là? E
via dicendo. E’ importante costruire una trama della storia che si vuole raccontare, per dare un minimo di coerenza alla
narrazione. Come al solito è bene darsi un inizio, un centro e una fine, anche se spesso la storia stessa può completamente
ribaltarsi.
Oppure ancora: l’immaginazione può partire da una storia che il conduttore dichiara vera dall’inizio e che i partecipanti
dovranno ricostruire, un po’ come un giallo. Il conduttore dice che avrà bisogno dell’aiuto di tutti, che a poco a poco
diventeranno protagonisti della storia stessa. Esempio: conduttore: oggi vi racconto una storia che è veramente successa ad
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una bambina di nome Valeria, che ho incontrato dieci anni fa in un luna park. Ero andata là una domenica insieme a mio
fratello e avevamo notato Valeria perché indossava uno strano vestito. Qualcuno di voi era per caso là quella domenica? Tu, ad
esempio, mi ricordo di te! Tu vendi lo zucchero filato proprio davanti all’ingresso del Luna Park, ti ricordi di una bambina con
una gonna lunghissima rossa? – E il ragazzo-venditore potrà aggiungere particolari, per esempio che la bambina aveva un
cappello enorme o i tacchi a spillo, etc. Conduttore: insomma, questa bambina aveva un aspetto straordinario e ci
avvicinammo per conoscerla. Ci disse che era figlia del domatore di leoni e che per questo sapeva parlare con gli animali. Noi
non ci credemmo, ma lei fece un suono con la bocca e arrivarono alcuni scoiattoli… etc… dopo una settimana sul giornale uscì
una terribile notizia: la bambina era scomparsa. Corremmo al Luna Park e trovammo i poliziotti che indagavano; vedo che in
aula c’è l’ispettore Rossi che ha condotto le indagini…etc oppure la sorella di Valeria, oppure …
E’ fondamentale che il conduttore abbia sempre ben chiaro dove vuole arrivare e che spinga i ragazzi a non mettere freni
all’immaginazione. Ad esempio anche nell’ultimo caso la storia “vera” può essere arricchita di particolari fantastici (animali
inventati, super poteri, etc).
Il tutto dovrà essere riportato in forma scritta, scegliendo le varie forme di narrazione (giornalistica, storica, in dialogo,
monologo etc), in classe o a casa. Ancora, la storia può essere disegnata.
E3.5 RACCONTO POP/ROCK/RAP (ESPERIMENTO LETTERARIO) di MAUSS – MAURO SIMEONET
(Tratto dal forum di WRITERS MAGAZINE-. Inviato: Lun 15 Feb 2010 - www.writersmagazine.it)
Mi esalta la commistione di arti, il cocktail tra musica, letteratura, pittura. Essendo però una schiappa in musica e pittura, ho
pensato di declinare un racconto in due versioni, rock e rap. Ora posterò 3 racconti; il racconto Pop è quello originale, scritto
come qualsiasi altro racconto. Il Racconto rock è la versione rockeggiante del racconto pop e il terzo (racconto rap) è le versione
rappeggiante sempre del primo.
RACCONTO POP
Il geometra Bidini rincasò in apnea, accese la luce dell'ingresso e soltanto lì riuscì a riprendere fiato con due profondi respiri.
Sulle scale aveva avuto una visione e ne era rimasto turbato: non aveva visto un fantasma col velo bianco e nemmeno un ladro
con la calzamaglia a coprirgli il volto. Aveva visto Ginevra, occhioni cangianti e un metro e settanta di cosce accarezzate da una
minigonna striminzita.
Anf anf...
Sulla mensola, tra vecchie biro senza cappuccio, c'era un foglio che gli aveva portato l'amministratore del palazzo, un signore
cogli occhiali che sembrava un tipo a posto. Luca Bidini lo afferrò, lo spiegò e poi si mise a leggerlo su una poltrona che lui
preferiva considerare un divano monoposto
Egr. Sig. Bidini,
si porta a conoscenza di tutti i condomini, degli usufruttari e dei nudi proprietari che l'assemblea del condominio di Via Velletri
numero 12 viene convocata alle ore 06,00 del giorno 18/02/2010 in prima convocazione e, nel caso non si raggiunga il numero
legale, alle ore 19,00 del giorno 20/02/2010 in seconda convocazione...
Luca cambiò espressione; era la prima volta che veniva convocato in un'assemblea condominiale da quando era andato a
vivere da solo e, sebbene per molti questa fosse solo una scocciatura, gli sembrò un'altra conferma che era diventato adulto.
Eppoi, potrebbe esserci lei. Se sarò fortunato la incontrerò di nuovo e lì, forse, troverò il coraggio di parlarle – pensò.
62
Dell'ordine del giorno non gliene fregava niente; avrebbe lasciato litigare gli altri condòmini su cani che pisciavano in cortile,
avrebbe tollerato chi raccomandava una ditta di pulizie, non avrebbe discusso sulle spese extra. In quel Mississippi di parole
avrebbe però trovato la fonte d'ispirazione per dichiarare a Ginevra la purezza del suo sentimento.
E se dovessi fare una figura da becco, non m'importerà.
Il diciassette febbraio andò a dormire prima del solito, puntò la sveglia alle cinque meno un quarto, voleva apparire fresco e
riposato agli occhi di Ginevra, nonostante la levataccia.
Quell'amministratore del cavolo, ma come gli è venuto in mente di convocare un'assemblea alle sei di mattina? Buonanotte! –
e mandò un bacio platonico verso l'alto, destinato a quella ragazza mora che era un angelo che non abitava in Paradiso ma
appena qualche metro più giù, al quarto piano.
Mani che spingono, una chiede aiuto – E' la mia!.
Ragazzi selvaggi viaggiano su un'auto, forse hanno commesso un crimine e adesso se la ridono sotto i baffi di un padre severo –
Eccolo, è lui!, la parola “infingardo” che significato ha?, quando quell'uomo era un adolescente gli piacevano i Duran Duran, in
lontananza la sirena della polizia che si avvicina, s'avvicina di più, sempre di più.E' la sveglia!
Luca si alzò di scatto, non era più abituato a quel suono e si mise anche un po' paura; si stropicciò gli occhi e abbandonò sul
cuscino i trascurabili resti di un sogno confuso e spezzato a metà, poi fece una doccia fredda per tonificare il fisico e indossò il
miglior maglione, quello di Harmont & Blaine.
Scese le scale ancora assonnato, per precauzione fece due lunghi respiri prima di entrare nella saletta consiliare, una stanza
umida dove si stava appiccicati in sedici in quarantadue metri quadri. Eh sì che l'occhio per le misure, da geometra qual era, ce
l'aveva.
Aprì la porta ma dentro non c'era nessuno.
Forse è ancora presto - pensò.
Si accomodò su una sedia cigolante in fondo alla sala e attese lì l'arrivo di Ginevra. In quel sottoscala non c'erano finestre e
calcolare il trascorrere dei minuti dall'aumento della luce solare non era possibile. Tese le orecchie per captare un pur minimo
suono che provenisse da fuori, si sentì certo che avrebbe distinto un passo leggiadro da un altro pesante e volgare.
Traccheggiò con i fili di stoppa che uscivano dallo schienale, si dondolò all'indietro come faceva a scuola quando si annoiava.
I doppi vetri non permettevano di ascoltare nemmeno il cinguettìo di uccellini felici per l'arrivo di un nuovo giorno, e Luca
cominciò a credere che non era quella la circostanza nella quale si sarebbe dichiarato.
Si girò i pollici, poi si alzò a misurare con i passi il battitacco di una canalina fatta con sufficienza.
Peccato – farfugliò abbandonando la sala umida e, quando giunse in casa, si tolse con cura il maglione delle belle occasioni, per
fortuna nessuno lo aveva visto e avrebbe potuto indossarlo di nuovo per la seconda convocazione senza passare per un
poveraccio che non poteva permettersi neppure due bei maglioni.
Il giorno venti l'ansia da prestazione fu meno violenta; Luca uscì dall'ufficio con una mezz'ora d'anticipo e, senza cambiarsi,
tornò in quella saletta che l'aveva visto unico spettatore del niente.
Da fuori già si udivano accuse e rimproveri, ma l'istinto di scorgere Ginevra magari seduta in disparte, era troppo forte per
temporeggiare.
Entrò, distribuì un paio di sorrisetti di cortesia qua e là e poi si accomodò sempre lì: in fondo a destra.
Un tizio con la scoppola inveiva contro una signora che, a prescindere, dimostrava più anni di quanti ne avesse; Luca non se la
sentì di prendere una posizione, in fondo erano soltanto tre settimane che viveva in quel condominio e aveva sospeso il
giudizio su chi fosse simpatico e chi stronzo.
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Poi c'era un uomo che faceva di tutto per sembrare distinto ma lanciava sputacchi involontari ogni volta che sentiva il bisogno
di rivendicare il suo diritto di parcheggiare dove volesse, un'altra signora che sghignazzava insieme a una sua comare e altre
persone arrabbiate. Ginevra no, non c'era.
La sala era diventata un pollaio, Luca rimpianse il silenzio di poche ore prima e fu deluso nel constatare che pure l'assemblea
condominiale entrava di diritto nella logica delle cose, che in un batter d'occhio, da affascinanti diventano insopportabili.
A un certo punto provò a intervenire, giusto così per ingannare l'attesa dell'arrivo di Ginevra ma un tipo basso e irascibile lo
zittì prima che potesse prendere la parola.
Allora si alzò, frustrato dall'incapacità di definire la giusta distanza tra il silenzio assoluto e il fracasso assordante, salì la tromba
delle scale e contò i gradini necessari ad arrivare in un luogo magico, dove ti senti accettato per quel poco che sei in grado di
esprimere.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Cinque.
Sei.
Sette.
...
Settantasei.
Luca si ritrovò lì sul pianerottolo, di fronte a Ginevra che proprio in quel momento stava rientrando in casa dopo il lavoro. Capì
di essere andato oltre, di aver osato troppo, di aver sbagliato piano, casa, vita.
Tuttavia abbozzò un sorriso, sincero stavolta, e riuscì perfino a esprimere la giusta distanza tra il silenzio e il fracasso:
Tu mi piaci.
Lei lo afferrò per un braccio e lo tirò dentro, dove successero cose censurate da una imponente porta in legno massello, tirata
su a opera d'arte.
RACCONTO ROCK
C'era un tipo okay, si chiamava come si chiamano tutti i grandi, si chiamava Luca. Quando quella sera rientrò in casa dopo il
lavoro c'aveva un fiatone assurdo, sembrava Ozzy Osbourne dopo un concerto. Questo Luca avrebbe vomitato l'anima di
fronte a quel pezzo di figa che era Ginevra, una tipa da infarto che abitava al piano di sopra.
Luca, il nostro Luca, si ricordò che di lì a pochi giorni ci sarebbe stata un'assemblea condominiale, una di quelle riunioni per far
passare un po' di tempo ai vecchi mentre i giovani non ci vanno perchè si rompono i coglioni.
Manco a Luca gliene fregava un cazzo però ci voleva andare perchè, magari lì, avrebbe incontrato 'sta tipa veramente giusta e
le avrebbe detto qualcosa, qualsiasi cosa pur di rimorchiarla e portarsela a letto.
E se mi piscia, chissene fotte! Vorrà dire che ci proverò con un'altra – urlò.
C'è da dire che Luca non stava bene; innanzitutto perchè era un geometra e, da che mondo è mondo, i geometri sono tipi tristi
che al massimo sanno tirare su un muro o prendere la misura di un inframezzo.
Eppoi era schizzato, faceva dei sogni assurdi che non capiva manco lui. Infine, ma questa è la colpa più grave, indossava
maglioni da fighetto figlio di papà.
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La notte prima della riunione tra sfigati andò a dormire dopo essersi mangiato un pipistrello di scamorze e tartufo e infatti fece
un incubo assurdo:
in una gara clandestina tra fricchettoni, col volume a palla di una Blaupunkt che manda i Led Zeppellin, ce scappa tipo il morto
e allora la polizia li insegue, una cosa del genere, ma brutta!
Comunque Luca si alzò di botto, pure spaventato da quel sogno orribile. Si fece una doccia fredda, di quelle che ti tirano un
brivido sulla schiena e zompetti nella vasca come un ragno che balla al ritmo dei Motley Crue.
E' l'alba del giorno rock!
Si scapicollò giù nello scantinato, magari la tipa già stava lì e, prima dell'arrivo dei vecchi, ci poteva scappare una limonata
giusta.
Però non c'era, era tutto buio e tutto silenzioso, sembrava la sala di registrazione di un gruppo che, al massimo, può suonare al
funerale di uno dei suoi componenti. Non si sentivano urlare nemmeno i pipistrelli, incazzati neri e a testa in giù per la fine
della notte.
Luca si stufò e se ne tornò a casa, per uscire dopo qualche ora e andare a fare il lavoro più sfigato che c'è al mondo: il
geometra.
Poi vabbè, siccome c'è la storia che alle assemblee condominiali ci si va due volte, che tra l'altro è una cosa veramente assurda
perchè lo fanno apposta per farti rompere i coglioni il doppio, è un meccanismo per istupidirti, è la strategia messa in atto dai
colletti bianchi per impadronirsi del mondo. L'assemblea condominiale, sì!
Luca andò alla seconda manche e manco qua c'era la tipa ganza. Però tutti si insultavano, pogavano, grossi spintoni al centro
della sala, veramente una figata. Luca, essendo uno sfigato totale, non ballò e non menò nessuno, e infatti se ne andò via
infastidito. Che misero!
Come un deficiente si mise a contare i gradini per arrivare a casa (Oh, è proprio un geometra!).
One.
Two.
Three.
Four.
Five.
Six.
Seven.
…
Seventysix.
Alla fine del palazzo, 'sto Luca s'accorse che era arrivato di fronte all'appartamento di quella topa di Ginevra. Lei allora lo fissò
con uno sguardo troppo da acchiappo, lo portò dentro e se lo rivoltò come un calzino.
Grande Luca!
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RACCONTO RAP
A te che hai un nome da Principessa,
io non ho un castello eppure no, non voglio farti fessa.
Quando ti vedo mi manca il fiato,
vorrei parlarti e da Dio essere aiutato,
c'è l'assemblea il giorno dì e, davvero, vorrei essere lì.
Tu ci sei? Non ci sei? Ma se...vuoi.
Prima convocazione, seconda convocazione, mettiamoci d'accordo e non prendo l'ascensore.
Lo sai, ho paura della notte,
sogno cose brutte e se i nostri vicini mi vedessero
mi riempirebbero di botte.
Usciamo in compagnia, la notte mi porta via, metto la sveglia alle sei
ma, ti prego, dimmelo se non ci sei.
Vesto bene, vesto meglio, il miglior maglione è quello che non metto,
l'aula è piccola e scura,
davvero piccolina, è meglio che torni a letto.
Domani è un altro giorno, quello dopo è quello dell'incontro,
se non vieni neanche là,
lascia stare resto qua,
il mio lavoro non mi piace,
ma se ti vedo mi metto l'anima in pace,
ecco che sento parole e scuse, scusa e scuse. Scusa.
Scuse accettate,
delitti d'arrabbiate, penne all'arrabbiata e le nostre anime che non si sono mai baciate
e conto il ritorno a casa:
Un..
Due.
Trè..
Quattro.
Cinque.
Gimme five.
…
All right!
Il sole si affaccia sul tuo pianerottolo,
chiamami pure “mio bambolotto”,
e la rima adesso stenta,
fammi entrare se la cosa ti tenta,
ho finito le parole, baciami adesso, che non posso più parlare.
Slam.
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 Vol. I - Sez. 2 - 3. Tecniche sceniche e arte terapia
(AC) Argomento Correlato: TECNICHE DI LABORATORIO
G3.1 - GIOCHI DI CONOSCENZA
Gioco n° 1
“Chi è?”
Descrizione - Ci si mette a coppie e si lasciano cinque minuti per lavorare. Le coppie dovranno farsi due chiacchiere dandosi
informazioni sulla propria persona. Allo scadere del tempo messo a disposizione si torna in gruppo e uno alla volta i
partecipanti dovranno dire quello che sanno della persona con cui erano in coppia.
Utilità - Per evitare il naturale iniziale imbarazzo questo gioco prevede che non ci sia il singolo di fronte ad un gruppo che
ascolta ma che si sia protetti dall’intimità della conversazione che si svolge mentre tutti gli altri sono intenti nella propria
conversazione e poi che non sia la persona a parlare di sé ma che al suo posto lo faccia qualcun altro
Gioco n° 2 “Chi sei?”
Descrizione - Ci si mette in cerchio e si parla uno alla volta. Si descrive il compagno alla propria sinistra non solo fisicamente. Si
dice, pur non sapendolo, quali sono le sue passioni, dove abita, quali sono i tratti principali del suo carattere, dove ama andare
in vacanza,…
Utilità - Per conoscersi è importante capire anche qual è l’immagine di noi che trasmettiamo e per conoscere gli altri è bene
anche osservarli e cercare di capire attraverso l’atteggiamento e l’aspetto fisico cosa potrebbero avere dentro
Gioco n° 3 “La Maschera”
Descrizione - Si distribuiscono a tutti i componenti del gruppo delle maschere di cartone o semplicemente un cartone ovale
con elastico, e si mette a disposizione di tutti delle forbici, pennarelli, carta colorata, graffettatrici... .Con questi materiali ogni
ragazzo costruisce la sua maschera per presentarsi agli altri, cercando di esprimere nella maschera le proprie caratteristiche, i
propri interessi, oppure il suo modo di presentarsi agli altri in una particolare circostanza della vita (vacanze, scuola, casa,
amici...). Poi insieme o a coppie si cerca di decifrare ciò che ha voluto rappresentare nella maschera, il compagno commenta,
specifica, rettifica... fa capire al gruppo ciò che voleva esprimere attraverso quella maschera.
Utilità - Questo gioco, adattato, può essere anche usato per riflettere sulle maschere che indossiamo e che ci separano dagli
altri, non ci fanno essere veri.
Gioco n° 4 “Gli Spot”
Descrizione - Si colloca un faretto o una lampada a circa un metro da un muro e si invita i membri del gruppo a passare tra il
muro e la lampada ad uno ad uno. Intanto un altro componente o l’animatore con un pennarello o una matita tratteggiano su
un foglio appeso al muro il profilo del soggetto. Così per tutti i membri del gruppo. Poi ogni proprietario del profilo ritaglia il
proprio e scrive su di esso il nome. Si può aggiungere anche l’indirizzo, l’hobby preferito, il soprannome... . Si mette poi in
comune il frutto del lavoro.
Utilità - Questo gioco permette di conoscersi e di ornare la sala dove si fa abitualmente riunione.
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Gioco n° 5 “La Valigia dei Cappelli”
Descrizione - Ci si pone in cerchio e si pone al centro una cesta o scatola o valigia piena di cappelli e altri indumenti particolari
come scialli, veli, fazzoletti... . A turno ogni membro del gruppo va al centro della sala e prende un indumento che gli sembra
rappresentare la sua personalità al meglio e si presenta così agli altri magari spiegando le ragioni della scelta.
G3.2 - GIOCHI DI FIDUCIA
Gioco n° 1 “Treno con il conducente cieco”
Descrizione - Si formano due gruppi che si mettono in fila posando le mani sulle spalle del compagno davanti, tutti chiudono gli
occhi tranne l’ultimo della fila che condurrà il treno dando segnali attraverso il battito delle mani sulle spalle del compagno che
dovrà passare il battito a chi ha davanti che lo passerà a chi ha davanti e così via sino ad arrivare al primo della fila. Il battito è
continuo. Si batte la mano sinistra per andare a sinistra, la destra per andare a destra, tutt’e per andare dritto e si alzano le
mani per fermare la fila in caso di pericolo.
Utilità - Molto semplicemente attraverso questo esercizio si comprende quanto ogni singolo elemento sia fondamentale per il
funzionamento e la sopravvivenza del gruppo. Per far sì che il gruppo funzioni l’unica soluzione è fidarsi ciecamente dei propri
compagni. Se tutti lo faranno e si sentiranno responsabili non solo di sé stessi ma anche di tutto il gruppo il gioco funzionerà.
Allo stesso tempo ci si renderà conto che in un gruppo il passaggio di un’informazione necessita di un tempo ben preciso e
quindi si imparerà a coordinarsi per far sì che il messaggio arrivi nel momento giusto.
Gioco n° 2 “Guidare il compagno”
Descrizione - Ci si mette a coppie. Uno dei due chiude gli occhi, l’altro mette la mano sulla schiena del compagno e con la
pressione della mano lo guida, se vuole farlo fermare leva la mano dalla schiena. Tutte le coppie lavorano
contemporaneamente. Inizialmente i movimenti saranno molto semplici ma ripetendo questo gioco nel tempo si cerchi di
stimolare varie tipologie di movimento, andare indietro, in basso, fare dei salti,…
Utilità - Questo esercizio è molto simile al precedente ma in questo caso il rapporto è più intimo. Una sola persona a coppia è
responsabile della sopravvivenza del proprio compagno. Il compagno dovrà certo fidarsi ma chi guida dovrà meritare la fiducia.
Gioco n° 3 “Cadute”
Descrizione - Ci si mette a coppie, uno dei due si butta a peso morto sul compagno facendo attenzione a rimanere
perfettamente rigido. L’altro dovrà mettere le gambe una davanti ed una dietro in maniera da poter facilmente piegare le
ginocchia per accogliere il corpo del compagno. Ci si butta prima di fronte poi di schiena. Ci si alterna con il compagno. Quando
tutte le coppie lo hanno fatto un po’ di volte ci si mette in cerchio, una persona rimane al centro e ad occhi chiusi si butta in
avanti, indietro, di lato.
Gioco n° 4 “Tapis Roulant”
Descrizione - Due righe di giocatori si dispongono faccia a faccia ad una distanza tale che tra le due file possa passare una
persona. Ognuno dei giocatori piega le braccia all'altezza del gomito, in modo che tra braccio ed avambraccio si formi un
angolo retto. Ogni giocatore deve alternare le sue braccia con quelle del giocatore che gli sta di fronte. Si formerà così fra le
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due file una specie di "tappeto", costituito dalle braccia di tutti i giocatori. Un giocatore, fuori dalle righe, si dispone in piedi su
una sedia, all'inizio del tappeto e, ad un segnale convenuto, si lascia cadere sulle braccia dei compagni. A questo punto il tapis
roulant costituito dalle braccia dei partecipanti, comincerà a trasportare il giocatore facendolo scorrere fino alla fine del
percorso. Colui che si fa trasportare resterà passivamente abbandonato, lasciando che i compagni di gioco abbiano cura di
trasportarlo facendolo scivolare in avanti. Il giocatore che decide di farsi trasportare, prima di lasciarsi cadere, può chiedere ai
compagni il modo con cui vuole essere trasportato. Se, ad esempio, dirà "frullato", il movimento delle braccia dovrà cercare di
riprodurre il movimento del frullatore. Il giocatore che si lancia, può anche sperimentare il lancio ad occhi chiusi o lasciandosi
cadere di spalle o aumentare l'altezza del lancio stesso.
Utilità - Gioco di fiducia, di rispetto e di conoscenza; niente forzature; niente inviti; partecipazione libera. Eseguire questo gioco
solo in presenza di un gruppo affiatato e che abbia maturato le condizioni di fiducia e di rispetto necessarie per mettere a
proprio agio e in piena libertà i partecipanti al gioco.
Gioco n° 5 “Questo mi dà sicurezza”
Tratto da: K. Vopel, Giochi di interazione per bambini e ragazzi, Editrice Elledici, Rivoli 1996
Descrizione - In gruppo. Tutti prendono carta e penna e scrivono, come titolo: Questo mi dà sicurezza.
I partecipanti elencano tutto ciò che gli viene in mente, ad esempio: le mie mani, il mio fratello maggiore, la vista acuta,
l'agilità, mio padre, ecc. (10 minuti di tempo).
Leggere attentamente ciò che è si è scritto e ricavarne altri due elenchi: uno di cose che dipendono soltanto da voi e uno di
quelle che dipendono dagli altri. (Altri 5 minuti di tempo).
Formare gruppi di tre e parlare assieme delle diverse scoperte (15 minuti).
Qualche domanda:
Mi è piaciuto questo gioco?
Qual è la persona che mi dà più sicurezza?
Qual è la cosa che mi dà più sicurezza?
Con chi, in questo gruppo, mi sento più sicuro?
Quando mi sento insicuro?
Utilità - Nel corso di questo gioco i partecipanti possono sperimentare quanta sicurezza hanno in se stessi e in che misura essa
dipenda dagli altri. Si tratta di un gioco piuttosto semplice. molto adatto per introdurre il tema della fiducia in se stessi.
G3.3 - GIOCHI DI CONTATTO
Gioco n° 1 “Il verme di Sant’Antonio”
Descrizione - I partecipanti si dispongono in fila indiana; ognuno dà la mano sinistra al compagno che sta dietro di lui,
passandola tra le gambe divaricate. La mano destra invece sarà data al compagno davanti, il quale porgerà la propria mano
sinistra. Quando tutti avranno assunto la posizione di partenza, l'ultimo partecipante si sdraierà per terra, costringendo il
gruppo a retrocedere; ciascun giocatore, non appena occuperà l'ultimo posto della fila, si sdraierà a sua volta. Alla fine tutti
saranno sdraiati.
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Gioco n° 2 “Rotolone”
Descrizione - Ci si distende sul ventre, vicini, vicini, uno all'altro, le braccia allungate lungo il corpo. L'ultimo della fila, sdraiato,
passa sopra agli altri rotolandosi e si metterà all'altro capo del percorso. Così di seguito fino all'ultimo concorrente. Dopo che
tutti hanno eseguito l’esercizio si ricomincia ma questa volta sarà il gruppo a rotolare e la persona che è sopra arriverà alla fine
del percorso mossa dagli altri.
Gioco n° 3 “Le statue e gli scultori”
Descrizione - Si divide il gruppo in due gruppi, uno farà le statue ed uno gli scultori. Le statue si dispongono nello spazio e gli
scultori camminando dall’una all’altra ne cambiano le forme. Dopo un po’ si cambiano i ruoli, chi era statua diventa scultore e
viceversa.
Gioco n° 4 “L’albero e il vento”
Descrizione - Ci si mette a coppie. L’esercizio prevede tre fasi:
1. Una persona è il vento, l’altra l’albero. L’albero si mette in una posizione comoda, stabile, se vuole anche seduto a terra. Il
vento cercherà di spostarlo con tutti i suoi mezzi e l’albero farà di tutto per resistere
2. L’albero pian piano comincia ad opporre meno resistenza, cede alle spinte del vento ma torna sempre nella posizione
iniziale
3. L’albero si fa muovere dal vento e cominciano una danza durante la quale l’albero non potrà mai staccare le radici dal
terreno.
Gioco n° 5 “ La bolla”
Descrizione - I partecipanti si riuniscono in un angolo della sala, mettendosi tutti vicini e stretti uno all'altro . Il conduttore
stabilisce un altro angolo della sala verso il quale il gruppo compatto si dirige. Bisogna muoversi "come se si fosse tutti dentro
una stessa bolla", ognuno guardando in direzione della meta. L'attenzione è rivolta a trovare un ritmo collettivo, un medesimo
passo, una medesima respirazione. E' importante essere in equilibrio e sicuri individualmente all'interno del gruppo, affinché
l'intero gruppo possa essere in equilibrio e muoversi con sicurezza.
Variante: l'esercizio può essere accompagnato da una musica dolce.
Utilità - Questo esercizio stimola la concentrazione di tutto il gruppo, il contatto tra i partecipanti, la ricerca di un ritmo
collettivo.
G3.4 - GIOCHI DI CONCENTRAZIONE
Gioco n° 1 “ Contare insieme”
Descrizione - Ci si mette in cerchio seduti per terra, con le spalle verso il centro, con gli occhi chiusi e con le spalle che toccano
quelle dei compagni. Si cerca il silenzio e l’attenzione. Qualcuno dice uno, chi vuole dice due, poi un altro tre e così via, ci si
interrompe tutte le volte che si dice insieme un numero e si ricomincia da capo.
Utilità - Attraverso questo gioco all’apparenza molto semplice si dimostrerà ai partecipanti quanto invece sia difficile fare una
cosa banale come contare se non si è concentrati e disponibili all’ascolto.
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Gioco n° 2 “ Lo specchio”
Descrizione - I partecipanti si dividono in coppie ponendosi uno di fronte all'altro. In silenzio si concentrano e si guardano negli
occhi. Un componente della coppia inizia a proporre movimenti del viso, della testa, della braccia, delle mani, di tutto il corpo.
Il compagno dovrà ripetere esattamente e in sincronia, movimenti, gesti e ritmi. E opportuno iniziare da gesti molto semplici,
complicandoli gradatamente quando tra i due partner si sarà consolidata una certa intesa. Il gioco continua alternando i ruoli.
Col tempo é possibile che l'alternanza dei ruoli avvenga in modo spontaneo senza che sia necessario interrompere il gioco per
annunciare il cambio.
Gioco n° 3 “ Stop and Go”
Descrizione - Camminare liberamente nello spazio cercando di non scontrarsi . Quando una persona si ferma tutto il gruppo si
ferma, quando una persona ricomincia a camminare tutto il gruppo riparte.
Utilità - Questo esercizio aiuta a sviluppare l’ attenzione a quello che succede attorno a noi, su quello che stanno facendo gli
altri membri del gruppo e dove sono.
Gioco n° 4 “ Stop and Go 2”
Descrizione - Quando una persona si ferma tutto il gruppo si ferma, una persona ricomincia a camminare con una camminata
caratterizzata, tutti ricominciano a camminare imitandola.
Utilità - La concentrazione e l’improvvisazione è un mix che in scena sarà molto utile. Significa che bisogna tendere a lasciare
libero il proprio io per esprimersi, per creare, ma bisogna sempre avere sotto controllo dove ci si sta esprimendo, qual è la
scatola in cui ci si sta muovendo per non fare cose fuori luogo.
Gioco n° 2 “ Stop and Go 3”
Descrizione - Una persona si ferma, tutto il gruppo si ferma, la persona che si è fermata ne indica un’altra e suggerirà il modo
in cui dovrà camminare poi tutto il gruppo riparte camminando in maniera naturale tranne chi ha avuto già il suggerimento.
Alla fine tutti avranno dovuto cambiare camminata almeno un paio di volte.
Utilità - Sul palco succederà spesso che un attore sia più determinante di un altro in una scena ma questo non significa che chi
è in scena con lui non abbia ugualmente un ruolo fondamentale.
E3.6 IMPROVVISAZIONE CORPOREA
Esercizio n° 1 - “Camminata neutra”
Descrizione - Si cammina liberamente nello spazio concentrandosi sulla propria camminata e cercando di capire cosa la
caratterizza. Una volta individuate le peculiarità si accentuano al massimo, si porta il movimento all’estremo per poi tornare a
camminare normalmente sapendo bene cosa dobbiamo eliminare affinché la camminata sia neutra.
Finalità - Per interpretare un personaggio il corpo deve essere libero ed aperto all’interpretazione della camminata del
personaggio che si deve mettere in scena. Prima di tutto bisogna conoscere gli automatismi che il nostro corpo ha e che
quando dobbiamo interpretare un personaggio che non li ha facciamo fatica ad eliminare.
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Esercizio n° 2 - “Re e buffone”
Descrizione - A coppie, uno è il re l'altro il buffone. Il re cammina davanti al buffone con un portamento austero, conforme alla
sua posizione. Il buffone lo segue facendo tutte le smorfie e i gesti possibili, senza fare rumore. Quando il re si gira, il buffone
deve farsi trovare sempre impassibile, con un'espressione neutra sul volto e una posizione composta ( in piedi, braccia lungo il
corpo). Se il buffone viene sorpreso dal re in una posizione sconveniente, i due si invertono i ruoli.
Finalità - Attraverso l’interpretazione corporea di due personaggi classici ed opposti, uno posato, serio, elegante, l’altro
disordinato, scomposto, ineducato, si comincerà a comprendere quanto un gesto, una postura, una camminata possano dare
l’idea di un carattere
Esercizio N° 2 - “L'oggetto Misterioso
Descrizione - Avendo in mano un oggetto lo si deve utilizzare come se fosse qualcos’altro. Un ragazzo va sul palco con un
oggetto qualunque. Mimando un azione che coinvolge quell’oggetto dovrà far capire agli altri che cos’è secondo lui l’oggetto
che ha in mano. Chi indovina va sul palco e mima la sua scena.
Finalità
Sul palco nulla può essere lasciato al caso, ogni movimento deve essere qualcosa, deve descrivere una parte della storia o del
personaggio
Esercizio n° 3 - “Descrivere lo spazio con il proprio corpo”
Descrizione - Uno alla volta gli attori saliranno sul palco e racconteranno solo con il corpo il luogo in cui si trovano. E’ uno
spazio ampio, ci sono degli ostacoli, bisogna stare tranquilli o ci si può scatenare, fa freddo, è buio,….
Finalità - Il teatro è un’arte altamente evocativa, non sempre viene mostrato concretamente quello che c’è, quasi tutto è in
mano all’attore che dovrà, tramite le sue emozioni, guidare lo spettatore e fargli capire dove ci si trova
Esercizio n° 4 - “Lo stregone”
Descrizione - Un attore è lo stregone. E’ al centro della scena, rialzato. Comanda gli altri facendoli diventare ciò che lui vuole,
può farli diventare animali, personaggi, piante, ma anche vento invernale, pioggerellina estiva, montagne innevate o campi di
grano al tramonto.
Finalità - Non solo un personaggio può essere interpretato fisicamente ma anche una suggestione, un’immagine
Esercizio n° 5 - “Gli opposti”
Descrizione - Analizzare le possibilità di espressione corporea attraverso gli opposti. Leggero/pesante, grande/piccolo,
rigido/morbido, tondo/spigoloso, e poi provare a fare dei cambi leggero/piccolo leggero/grande. Portare degli oggetti di cui
poter osservare il movimento, delle piume, delle palle.
Finalità - Il nostro corpo ha miriadi di possibilità, può esprimere un sentimento un concetto, un’emozione ma anche il suo
opposto. Molto spesso è proprio tramite gli opposti che le cose si capiscono più a fondo
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E3.7 IMPROVVISAZIONE EMOTIVA
Esercizio n° 1 - “La sedia”
Descrizione - A fondo palco una sedia. Si sceglie una frase che sarà uguale per tutti tipo Oggi ho mangiato la pizza. Un
partecipante va sul palco avendo già in mente il sentimento che vuole esprimere (paura, felicità, rabbia,…), si siede sulla sedia e
dice la frase in maniera neutra, si alza, sposta la sedia un po’ più avanti, si siede e dice la frase con un minimo
dell’intenzione/sensazione/sentimento che vuole esprimere, poi si alza di nuovo, sposta la sedia più avanti, si siede e dice la
frase intensificando il sentimento e così via, in tutto quattro volte, sino ad arrivare alla massima espressione di quel
sentimento.
Finalità - E’ bene capire le modulazioni che si possono dare ad un sentimento. Il sentimento deve essere comprensibile e
credibile anche quando è solo accennato ma deve anche riuscire ad esprimersi al massimo della sua intensità
Esercizio n° 2 - “I quattro cantoni”
Descrizione - Si decidono quattro punti sul palco, quattro angoli, ad ogni angolo si assocerà un sentimento. Odio rabbia paura
amore, per esempio. Si consegna ad ogni partecipante un monologo o una poesia o un racconto. Si va sul palco uno alla volta e
si dovrà leggere il testo muovendosi tra i quattro cantoni interpretandolo di volta in volta con il sentimento in cui ci si trova.
Finalità - Non c’è un solo modo di interpretare un monologo, è il sentimento dell’attore che ne determinerà il sapore. Questo
esercizio aiuta a scoprire sfumature inaspettate in un testo.
E3.8 IMPROVVISAZIONE IMMAGINATIVA
Esercizio n° 1 - “La lingua comune”
Descrizione - Si forma un cerchio e ci si rivolge al compagno alla propria destra in una lingua inventata che però abbia suoni e
cadenza precisa. Si dovranno usare le pause e le intenzioni in maniera cosciente. Si fa un giro di chiacchierate folli.
Esercizio n° 2 - “La sfera la piramide”
Descrizione - Ci si muove liberamente nello spazio cercando di immaginarsi dentro una sfera. I movimenti dovranno essere
quindi morbidi, rotondi, sinuosi. Pian piano la sfera si rimpicciolisce sempre di più e poi pian piano si allarga. Si fa lo stesso
percorso nella piramide ma questa volta i movimenti saranno spigolosi, bruschi, secchi.
Esercizio n° 3 - “La foto o il quadro”
Descrizione - Si mostra ai ragazzi una foto di un’opera pittorica e si chiede di improvvisare fisicamente e/o vocalmente
cercando di non pensare a come muovere il proprio corpo ma lasciandolo libero di seguire le sensazioni che l’opera aveva
suggerito. In questo esercizio non sono ammesse per nessun motivo le imitazioni di qualsiasi cosa, non si può far finta che una
cosa ci sia, non si può mimare un’azione definita: non si raccontano azioni ma sensazioni.
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Esercizio n° 4 - “1 2 3”
Descrizione - L’esercizio prevede tre fasi:
1) Ci si mette a coppie uno di fronte all’altro guardandosi negli occhi e si comincia a contare sino a tre, una delle due persone
comincia e dice uno, l’altra persona dice due, poi chi aveva cominciato dice tre, a questo punto tocca all’altra persona
cominciare e dire uno. Si va avanti in questo modo sino a che non si è preso un buon ritmo, si conta velocemente e non ci si
sbaglia più.
2) Lentamente al posto dei numeri si sostituiscono dei gesti. Quando il ritmo è buono uno dei due partecipanti invece di dire
uno fa un gesto che abbia la stessa durata del tempo che ci si mette a dire uno cosicché il ritmo non si perda. A questo punto
quel gesto è diventato il numero uno e tutte le volte che lui o il suo compagno avrebbero dovuto dire uno fanno il gesto. Pian
piano si sostituiscono anche il numero due ed il numero tre. Alla fine ogni coppia avrà tre movimenti, uno per il numero uno,
uno per il due ed uno per il tre. Si va avanti sino a che non si è preso un buon ritmo e non ci si sbaglia più.
3) In questa parte dell’esercizio non si lavora tutti insieme ma tutto il gruppo guarda l’esercizio di una coppia alla volta. La
coppia ripropone il punto 2) E prende un buon ritmo. Lentamente cerca di drammatizzare i tre movimenti, cerca di raccontare
una storia con i gesti che ha a disposizione. Ovviamente tali gesti possono essere leggermente modificati, ingranditi,
rimpiccioliti e possono essere fatti contemporaneamente al compagno, si possono alternare in maniera differente dall’uno due
tre, la stessa persona può farne uno dopo l’altro senza aspettare risposta. Insomma: rimanendo
all’interno dei tre gesti la
modalità è totalmente libera.
E3.9 IMPROVVISAZIONE NARRATIVA
Esercizio n° 1 - “Perché”
Descrizione - Un ragazzo racconta una storia che può essere cappuccetto rosso come quello che ha fatto il giorno prima. Gli
altri potranno interromperlo chiedendogli Perché? Il narratore dovrà allora rispondergli per poi continuare la sua narrazione
Esercizio n° 2 - “La storia a pezzi”
Descrizione - Ogni partecipante è un personaggio. Il concetto di personaggio può essere inteso in maniera molto ampia: si può
essere Amleto come una caffettiera, un raggio di sole, un animale. Uno comincia a raccontare una storia in cui il suo
personaggio è protagonista, il suo personaggio ad un certo punto incontra un altro di quelli che sono presenti. A questo punto
la persona che interpreta quel personaggio continua a raccontare. A mano a mano vengono coinvolti tutti i personaggi.
Esercizio n° 3 - “Tre domande”
Descrizione - Ci si mette in cerchio, seduti, ci si immagina un personaggio che può essere inventato ma anche un personaggio
dei fumetti, dei cartoni animati, dei telefilm, un cantante famoso, il proprio pittore preferito,… Due ragazzi si alzano e vanno al
centro del cerchio, dal momento in cui si alzano saranno quel personaggio che hanno pensato già nel modo di muoversi, si
mettono uno fronte all’altro e si fanno tre domande: Come ti chiami? Quanti anni hai? Che lavoro fai? E si risiedono. Questa
presentazione va fatta da tutti i personaggi. Si ricomincia chiedendo Da dove vieni? Dove vai? Dove abiti?
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Esercizio n° 4 - “Le manine”
Descrizione - Ci si distribuisce in due coppie. Ogni coppia rappresenta un’unica persona formata dalle mani di una persona e
dal corpo dell’altra. Chi utilizza le mani deve nascondersi bene dietro il compagno e far vedere solo le braccia, chi utilizza il
resto del corpo deve nascondere le mani dietro alla schiena. Si dà una situazione semplice, due persone che non si vedevano
da molto tempo si incontrano al bar, per esempio. I gesti delle mani devono corrispondere alle parole.
Esercizio n° 5 - “Il vagone del treno”
Descrizione - Quattro ragazzi sono seduti una coppia fronte all’altra, come in un vagone di un treno, di profilo rispetto al
pubblico. Ad ognuno di loro è stato detto all’orecchio il proprio carattere (nervoso, innamorato, triste, felice,..). Si dà un
argomento di conversazione (le vacanze, il natale, il lavoro) dal quale volendo i personaggi possono anche distaccarsi.
L’importante è esprimere il proprio carattere. I partecipanti pubblico dovranno indovinare il carattere dei personaggi nel
vagone del treno.
E3.10 RILASSAMENTO
Esercizi Inferiori. Primo Livello
Ambiente: il più calmo e tranquillo possibile, lontano da rumori improvvisi e adeguatamente riscaldato.
Abbigliamento: comodo, niente scarpe, cintura, orologio, tutto ciò che può dare sensazione di costrizione.
Postura: a) supina – la migliore (letto, materassino, divano ..). Gambe leggermente divaricate, punte dei piedi verso l'esterno,
spalle rilassate, braccia distese lungo i fianchi, leggermente flesse, mani con le palme rivolte verso il basso, dita distese, testa
diritta; mandibola rilasciata, cascante. b) poltrona – corpo aderente allo schienale, testa appoggiata con la nuca allo schienale
alto, braccia abbandonate sui braccioli, mani penzoloni, gambe divaricate, piedi ben appoggiati a terra.
Esercizio 1. Pesantezza
I miei occhi si chiudono e faccio due respiri profondi.
Tutti i miei pensieri, le mie preoccupazioni scivolano via dalla mia mente.
Porto l'attenzione al mio braccio destro, alla mano, alle dita, ai polpastrelli. Con il pensiero dai polpastrelli risalgo lentamente
lungo le dita, la mano, il polso, l'avambraccio, fino ad arrivare al gomito, poi al braccio fino alla spalla.
Immagino il mio braccio destro nella sua interezza e può darsi che senta il mio braccio farsi pesante.
Ed ora, dalla spalla, scendo lentamente lungo il braccio, per tornare al gomito, all'avambraccio, al polso, alla mano, alle dita, ai
polpastrelli. Il mio braccio destro è pesante ed io sono calmo e disteso.
Porto l'attenzione al mio braccio sinistro, alla mano, alle dita, ai polpastrelli. Con il pensiero dai polpastrelli risalgo lentamente
lungo le dita, la mano, il polso, l'avambraccio, fino ad arrivare al gomito, poi al braccio fino alla spalla.
Immagino il mio braccio sinistro nella sua interezza e può darsi che senta il mio braccio farsi pesante.
Ed ora, dalla spalla, scendo lentamente lungo il braccio, per tornare al gomito, all'avambraccio, al polso, alla mano, alle dita, ai
polpastrelli. Il mio braccio sinistro è pesante ed io sono calmo e disteso.
Entrambe le mie braccia sono pesanti, rilassate, distese.
Porto ora l'attenzione alle gambe, ai piedi, alle dita dei piedi.
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Con il pensiero, dalle dita dei piedi risalgo lungo i piedi, le caviglie, le gambe, fino alle ginocchia, poi ancora più su, lungo le
cosce, fino all'inguine.
Immagino le mie gambe, nella loro interezza.
Ridiscendo ora mentalmente lungo le cosce, per tornare alle ginocchia, alle gambe, alle caviglie, ai piedi, alle dita dei piedi. Le
mie gambe sono pesanti ed io sono calmo e disteso.
Le mie gambe e le mie braccia sono pesanti, e questa pesantezza si propaga al tronco, e via via a tutto quanto il mio corpo.
Tutto il mio corpo è pesante, disteso, rilassato ed io sono calmo e sereno. Se lo desidero, porto per qualche istante,
liberamente, il mio pensiero ad episodi piacevoli e distensivi della mia vita o a desideri che vorrei realizzare.
Inizierò poi gli esercizi di ripresa. Respiro profondamente. Apro gli occhi. Mi giro su di un fianco, mi siedo, mi alzo con calma.
Esercizio 2. Calore
I miei occhi si chiudono e faccio due respiri profondi.
Tutti i miei pensieri, le mie preoccupazioni scivolano via dalla mia mente.
Porto l'attenzione alle braccia, le immagino e sento che sono pesanti, rilassate.
Porto l'attenzione alle gambe, le immagino e sento che sono pesanti, rilassate.
Penso a tutto il corpo, lo immagino e sento che è pesante. Io sono calmo e disteso.
Porto ora l'attenzione alla mia mano destra. Cerco di immaginare i vasi sanguigni (arterie, vene , vasi capillari) che si dilatano e
si restringono secondo il mio ritmo cardiaco.
Immagino il mio sangue che scorre ed affluisce con abbondanza alla mia mano destra: avviene una vasodilatazione e la mia
mano destra diventa calda. Io sono calmo e disteso.
Porto ora l'attenzione alla mia mano sinistra. Cerco di immaginare i vasi sanguigni (arterie, vene , vasi capillari) che si dilatano e
si restringono secondo il mio ritmo cardiaco.
Immagino il mio sangue che scorre ed affluisce con abbondanza alla mia mano sinistra: avviene una vasodilatazione e la mia
mano sinistra diventa calda. Io sono calmo e disteso.
Porto ora l'attenzione ai miei piedi. Cerco di immaginare i vasi sanguigni (arterie, vene , vasi capillari) che si dilatano e si
restringono secondo il mio ritmo cardiaco.
Immagino il mio sangue che scorre ed affluisce con abbondanza ai miei piedi: avviene una vasodilatazione e i miei piedi
diventano caldi. Io sono calmo e disteso.
Ora avverto che dalle mie mani e dai miei piedi il calore si espande a tutto il mio corpo.
Tutto il mio corpo, esclusa la testa diventa caldo e immagino che sia immerso in acqua calda e profumata.
Rimango ad assaporare questo stato di calma, di piacevole distensione. Sento il mio corpo pesante, caldo, rilassato e tutto
funziona regolarmente.
Quando lo ritengo opportuno, inizio gli esercizi di ripresa.
Esercizio 3. Cuore
Posizione. Respiro. I miei pensieri se ne vanno sono calmo disteso rilassato.
Porto l'attenzione al mio corpo. Il mio corpo è pesante, il mio corpo è caldo. Io sono calmo disteso rilassato
Porto ora l'attenzione al mio cuore. Mi concentro per sentire i suoi battiti.
Sento che il mio cuore batte regolare secondo il mio ritmo cardiaco. sono calmo disteso rilassato.
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Rimango fino a quando lo desidero ad assaporare questo stato di calma, di quiete, mentre il mio organismo funziona
regolarmente, ritmicamente.
Prima di iniziare la ripresa, porto il mio pensiero ad episodi piacevoli o a desideri che vorrei realizzare.
Esercizio 4. Respiro
Posizione. Respiro. I miei pensieri se ne vanno sono calmo disteso rilassato.
Porto l'attenzione al mio corpo. Il mio corpo è pesante, il mio corpo è caldo. Io sono calmo disteso rilassato.
Porto ora l'attenzione al mio cuore. Mi concentro per sentire i suoi battiti.
Sento che il mio cuore batte regolare secondo il mio ritmo cardiaco. sono calmo disteso rilassato.
Al ritmo del cuore si associa il ritmo del mio respiro. Percepisco il mio torace che si alza e si abbassa ritmicamente: all'interno
del torace i miei polmoni si dilatano e si restringono regolarmente.
L'aria penetra nei polmoni e mi porta energia. L'aria esce fuori e porta via tutte le scorie.
Io respiro calmo e regolare, con la stessa regolarità con la quale l'aria entra ed esce dai miei polmoni, che si dilatano e si
restringono ritmicamente. Io sono calmo, pesante, caldo, disteso.
Rimango fino a quando lo desidero ad assaporare questo stato di calma, di quiete, mentre il mio organismo funziona
regolarmente, ritmicamente.
Prima di iniziare la ripresa, porto il mio pensiero ad episodi piacevoli o a desideri che vorrei realizzare.
Esercizio 5. Plesso Solare
Il plesso solare si trova nella regione addominale, subito sotto il diaframma e regola la funzionalità di questa regione (fegato,
pancreas, stomaco, intestino, reni, gonadi).
Posizione. Respiro. I miei pensieri se ne vanno sono calmo disteso rilassato.
Porto l'attenzione al mio corpo. Il mio corpo è pesante, il mio corpo è caldo. Io sono calmo disteso rilassato.
Porto ora l'attenzione al mio cuore. Mi concentro per sentire i suoi battiti.
Sento che il mio cuore batte regolare secondo il mio ritmo cardiaco. Sono calmo disteso rilassato.
Il mio respiro è ritmico e regolare e io sono calmo disteso rilassato.
Porto l'attenzione al plesso solare. Mi concentro su questa zona ed è come se dentro il mio stomaco ci fosse un piccolo sole
che scalda, che sprigiona ed irradia calore.
Ed ora questo calore si diffonde agli altri organi interni, scende nel mio ventre, riscaldando l'intestino.
Scende fino agli organi genitali, portando energia.
Io sono calmo, pesante, caldo, disteso, rilassato.
Rimango fino a quando lo desidero ad assaporare questo stato di calma, di quiete, distensione.
Prima di iniziare la ripresa, porto il mio pensiero ad episodi piacevoli o a desideri che vorrei realizzare.
Esercizio 6. La Fronte Fresca
Posizione. Respiro. I miei pensieri se ne vanno sono calmo disteso rilassato.
Porto l'attenzione al mio corpo. Il mio corpo è pesante, il mio corpo è caldo. Io sono calmo disteso rilassato.
Porto ora l'attenzione al mio cuore. Mi concentro per sentire i suoi battiti.
Sento che il mio cuore batte regolare secondo il mio ritmo cardiaco. sono calmo disteso rilassato.
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Il mio respiro è ritmico e regolare.
Il mio plesso solare scalda, irradia calore e io sono calmo disteso rilassato.
Porto ora l'attenzione alla mia fronte.
Mi concentro ed immagino di trovarmi all'aperto, nel luogo da me preferito.
Comincia a spirare un'aria fresca e piacevole che sfiora la mia fronte; un alito di vento accarezza la mia fronte.
La mia fronte è fresca e io sono calmo, disteso, rilassato.
Rimango fino a quando lo desidero ad assaporare questo stato di calma, di quiete, distensione.
Prima di iniziare la ripresa, porto il mio pensiero ad episodi piacevoli o a desideri che vorrei realizzare.
G3.5 - GIOCHI DI RUOLO - ROLE PLAYING
Come si costruisce
L'impiego del Role playing in un contesto di ricerca richiede di selezionare i soggetti da interpellare e proporre loro un
canovaccio entro il quale recitare una determinata situazione connessa ai temi della ricerca (una seduta del Consiglio di classe,
i colloqui tra docenti e genitori, la gestione di una determinata attività educativa, ...). Può essere necessaria una fase di
"riscaldamento", nella quale favorire il coinvolgimento dei soggetti nella proposta di lavoro.
Il canovaccio deve limitarsi a fissare alcuni paletti all'espressione dei soggetti, precisando i ruoli che devono essere presenti e
tratteggiando in modo non troppo analitico il contesto in cui svolgere l'azione. Ogni soggetto è invitato ad impersonare un
determinato ruolo in base alla propria esperienza diretta nella scuola in cui si svolge l'indagine; ciò che interessa è proprio
l'interpretazione che i singoli soggetti forniscono al ruolo proposto.
A conclusione della recitazione è previsto un momento di de-briefing in cui riflettere con i partecipanti in merito allo
svolgimento del gioco di ruolo ed ai significati che i diversi comportamenti veicolavano. Tale momento è particolarmente
cruciale in una prospettiva di ricerca proprio per esplorare le relazioni tra la situazione rappresentata e l'esperienza reale dei
soggetti.
Esempi
In un istituto scolastico, nell'ambito di una ricerca sugli stili di insegnamento, gli alunni a turno hanno recitato la parte
dell'insegnante in tutta una serie di situazioni, tra cui:

due alunni che chiacchierano mentre l'insegnante spiega;

un allievo che ha difficoltà in qualcosa;

un'alunna che si rifiuta di fare quanto le è stato chiesto.
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 Vol. I - Sez. 2 - 5. LEZIONI DI SCRITTURA
E5.1 COM’È FATTA UNA STORIA
a) Scrivete dieci cose che potrebbero servire come fonte d’ispirazione pensando a cose accadute – persone, emozioni,
pensieri, situazioni. Poi osservate la lista e scegliete l’idea che sembra più promettente. Successivamente elencate diversi
modi. In cui questa idea può essere trasformata in una storia. L’idea può anche non diventare una bella storia ma
scoprirete così quanto possono essere proficue le idee.
b) Scegliete un’opera di narrativa che vi piace particolarmente. In una sola frase, provate a spiegare la ragione per cui vi
piace leggerla. Poi fate una lista dei vari modi in cui pensate che l’autore abbia ottenuto questo effetto.
E5.2 INTERVISTARE CON LE STORIE
Scegliere una persona da intervistare e preparare prima di incontrarla 10 domande da sottoporle, scegliendo il tipo di
argomento da trattare (la sua infanzia o adolescenza, un avvenimento particolare della sua vita, un episodio curioso
ecc.). Al termine dell’intervista scrivere due cartelle provando ad elaborare una vera e propria storia.
E5.3 LA SCRITTURA CREATIVA
a) A RUOTA LIBERA: Chiedere ad ogni partecipante di dare uno sguardo alla stanza e fuori dalla finestra, lasciando che la
mente si posi sugli oggetti, finché qualcosa stimola un’associazione con un evento, una persona o un luogo familiare. I
partecipanti scrivono tutto quello che viene loro in mente e se ciò suscita in loro altri ricordi, scriveranno anche questi,
continuando così per tutto il tempo consentito.
b) UN MATTINO SPLENDIDO: I membri del gruppo immaginano di essere in campagna. È una splendida mattina di
primavera e hanno riposato bene durante la notte. Si odono gli uccellini cantare, forse si scorge anche un cervo che si
scalda al sole mattutino. I partecipanti descrivono il mattino, cosa vedono, sentono, odorano e provano mentre
camminano nella campagna.
c) CONVERSAZIONI: I partecipanti immaginano di incontrare un personaggio storico o della letteratura, come ad esempio
Cleopatra, Martin Lutero, Dante Alighieri, Napoleone, Mussolini ecc. e di scrivere la conversazione che nasce, tenendo a
mente cosa ha fatto in vita quel personaggio e perché viene ricordato.
d) COSA FANNO GLI ALTRI: In questo esercizio i partecipanti immaginano che succeda qualcosa mentre il gruppo è ancora
riunito e descrivono l’accaduto come se fosse già successo. Invitate a :

citare i nomi

descrivere brevemente le persone

riportare le parole e le azioni di ciascun membro del gruppo

GRAZIE: Ciascuno scrive una lettera ad un amico ringraziandolo per un favore, un invito o un regalo, dicendogli
quanto questo favore, invito o regalo gli sia stato d’aiuto, quanto sia stato apprezzato e che cosa significhi
avere un amico come lui.
79
 E5.3 .1 Ghotam Writers’ Workshop
I PERSONAGGI: Pensate ad un personaggio. Immaginate che sia un attore, un cantante, oppure un genitore che ha
problemi con un figlio o viceversa. Poi pensate ad un desiderio specifico per questo personaggio. Fate in modo che sia
qualcosa di concreto, soldi, fama, la vicinanza di una persona, invece che desideri astratti come l’amore o la crescita
personale. Una volta delineati personaggio e desideri provate a scrivere una piccola storia.
LA TRAMA: Immaginate un protagonista che apparentemente abbia tutto: successo, soldi, amore. Date a questa persona
un nome e alcune caratteristiche, poi trovate un obiettivo astratto per lui (per esempio l’amore). Associate quindi
all’obiettivo astratto uno concreto che possa dare il via ad una storia. Ad esempio, se questa persona desidera
l’avventura, potrebbe desiderare di fare il giro del mondo. Una volta fatto questo, fate una lista di ostacoli alla
realizzazione del suo obiettivo e fate una Domanda Drammaturgica Principale (il personaggio riuscirà nel suo obiettivo?)
rispondendo con una risposta secca, si o no.
DESCRIZIONE: Scegliete una persona che conoscete, e dategli un nome di fantasia che vi consenta di modificare anche
altre caratteristiche, volendo. Adesso descrivete questa persona nella maniera più vivida che potete.
DIALOGO: Cercate di ricordare una conversazione che avete avuto di recente. Trascrivetela cercando di rimanere fedeli
all’originale. Non cancellate le parti noiose, fate conto di sbobinare una conversazione registrata. Scrivete i nomi di chi
parla, come in una sceneggiatura, poi riscrivete il dialogo, questa volta rendendolo coinciso e interessante. Potete dare
anche ai personaggi nomi di fantasia e abbellire le frasi.
SPAZIO E TEMPO: Prendete una delle vostre opere di narrativa preferite e leggete le primissime pagine. Fate attenzione
alla rapidità con cui venite a sapere dove e quando è ambientata la storia, e in che modo lo spazio e il tempo sono inseriti
nell’azione e nelle descrizioni. Se volete divertirvi, provate a rivisitare l’inizio di una storia usando un luogo o un tempo
drasticamente diverso. Per esempio, mettere Rossella O’Hara nella Los Angeles dei nostri tempi e vediamo come se la
cava.
E5.4 SCRITTURA DRAMMATURGICA E SCRITTURA SCENICA
Diamo inizio ad una fase di scrittura partendo assieme al gruppo, scegliendo un'idea di base, compiendo un lavoro
collettivo di improvvisazione e trovando, sempre in gruppo, un contenitore per la storia, tenendo presente la fisicità dei
personaggi.
Scegliere una struttura semplice (es. una favola), in cui la storia ci venga raccontata da un solo punto di vista e il
linguaggio si concentri su un solo personaggio. Avvalersi di tutti gli strumenti necessari per la stesura di un copione;
conflitto, struttura, ritmo, tempo scenico, linguaggio del personaggio, contesto e pretesto.
Tramite questi strumenti, i partecipanti costruiranno la storia secondo i principi della scrittura scenica e la trascriveranno.
Per facilitare la scrittura finale, è bene registrare le varie improvvisazioni sul tema o la storia scelti.
80
E5.5 IL PROPRIO UNIVERSO DRAMMATURGICO
Scrivere dieci parole (non di più) che possano caratterizzare il tuo Universo drammaturgico (es: innocenza, amore,
diversità, infanzia negata, castrazione, falsità, ma anche amici, famiglia, sessualità, ecc.) nonché uno spazio fisico, uno
stato d’animo e un periodo temporale in cui intendi ambientare la tua pièce (es: il confessionale di una chiesa, una sala
d'attesa, un tappeto, la cella di una prigione, un ascensore, un'isola deserta, una camera specifica di un appartamento, il
pontile di una nave, i cessi della stazione, Carnevale, notte di Natale, la tolleranza, la paura, ecc.). Familiarizzare e
individuare subito uno spazio scenico, teatralmente funzionale, ti aiuterà molto nelle fasi successive della scrittura.
 E5.6 DAL RACCONTO AL MONOLOGO
E5.6.1 Il Racconto (Jack M. Bickham - “Come scrivere un racconto” - Dino Audino Editore – 2008)

Su una scheda scrivete tra le 35 e le 75 parole che descrivano (con una frase completa) un qualche evento, un'attività
specifica o un incontro che vi abbia portato grande felicità nel passato.

Su una scheda scrivete tra le 35 e le 75 parole che descrivano (con una frase completa) un qualche evento, un'attività
specifica o un incontro che vi abbia portato grande grande tristezza.

Su una scheda descrivete un momento o un luogo che vi abbiano fatto arrabbiare.

Su una scheda descrivete un momento o un luogo che vi abbiano spaventato.
E5.6.2 Il Racconto Comico
Gli esercizi che seguono servono a “scaldare” la nostra mente: svolgeteli senza pensare alle parole, non abbiate paura,
stiamo sperimentando.
Primo esercizio: scrivete dodici nomi e affiancate ad ognuno di essi una parola buffa o divertente. Scrivete proprio i
primi dodici che vi vengono in mente.
Io ho scritto di getto questi:
1. Sara la Tana
2. Laura che scala
3. Sole, che vole?
4. Ermenegildo da Bon insegna
5. Edo, lo vedo
6. Luca in buca
7. Semo lo Scemo
8. Gioia che noia
9. Sara in Bara
10. John le bon
11. Deborah da sotto
12. Samantha da sopra
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Giocate e divertitevi dozzina di nomi, dopo dozzina di nomi: provate a fare questo esercizio ogni giorno per una o due
settimane, cercando sempre nuovi nomi buffi e divertenti.
E ora… il secondo esercizio: prendete un foglio di carta e una penna e scrivete sei sostantivi singolari (comprensivi di
articolo) e numerateli da 1 a 6.
Io ho scritto:
1. Il cane
2. La mucca
3. La stella
4. La stalla
5. Il divano
6. Il gigante
Lasciate qualche riga di spazio e poi scrivete sei verbi transitivi a caso tutti in terza persona e numerateli sempre da 1 a 6.
1. mangia
2. beve
3. vede
4. suona
5. fonde
6. raccoglie
Per finire sotto qualche riga, scrivete altri sei sostantivi singolari (comprensivi di articolo) e numerateli sempre da 1 a 6.
1. Il pesce
2. La piovra
3. La pistola
4. La lattuga
5. La donna
6. Il sale
Ora prendete un dado, tiratelo tre volte e scrivete la frase selezionando il numero relativo da ogni colonna.
Ad esempio, io ho ottenuto la terna 254, quindi: La mucca fonde la lattuga
Cosa vi fa venire in mente questa frase? Cosa fa questa mucca? Perché fonde? Perché proprio la lattuga?
Ora tocca a voi: sperimentate, se la prima combinazione non vi piace, rilanciate i tre dadi. Se non riuscite a trovare una terna
che vi piace, provate a riscrivere da capo le tre liste.
Scrivete un paio di righe massime per ognuno di questi punti:
1.Chi è il protagonista?
2.Cosa vuole? Cosa cerca?
3.Cosa succede?
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4.La fortuna aiuta il protagonista
5.La sfortuna colpisce il protagonista
6.Il protagonista tocca il fondo
7.Il protagonista gioca il tutto per tutto
8.La ricompensa: cosa ottiene il protagonista?
Non abbiate paura di sbagliare, lasciate da parte il giudizio, pensate solo a divertirvi, pensate solo a seguire queste istruzioni, il
resto verrà da sé un passo alla volta.
E5.6.3 Il Monologo (a cura di Silvano Sbarbati)
Monologo interiore
Scrivere monologhi interiori e flussi di coscienza su incipit diversi che contengano sempre la negazione "non".
Scrivere una lettera d'amore ad un soggetto qualsiasi.
Scrivere una lettera "di odio" e di 'rabbia".
Tema: un uomo ha mangiato un'automobile. Ci ha messo un anno a digerirla. Svolgimento (almeno quindici righe - il
testo deve essere concluso).
Un personaggio diverso da sé
Diventare un personaggio diverso da sé:
Scrivere monologhi e/o flussi di coscienza diventando qualcun'altro. Le proposte vanno fatte dal conduttore sulla base
della sua conoscenza dello studente.
Altri spunti per scrivere un monologo
Distribuire una carta da gioco a ogni partecipante, formare le coppie; ognuno, singolarmente, deve comporre un testo
contenente le due carte.
Dopo aver ricevuto una fotografia, scrivere un monologo che contenga le parole scritte dietro la fotografia (2-4 parole)
e che si riferisca all'immagine fotografata.
E5.6.4 Dal Racconto al Monologo
Scrivete un racconto che coinvolga più personaggi. Leggetelo a voce alta, immaginando che ci sia un pubblico.
Riscrivete il racconto in forma di monologo, scegliendo il punto di vista di uno dei personaggi protagonisti. Imparatelo
a memoria e provate a interpretarlo di fronte ad uno specchio.
83
E5.7 L'INCIPIT
Scrivete un incipit di racconto a vostra scelta. Non scrivete un testo lungo.
E5.8 LA DESCRIZIONE

Descrivete la stanza in cui state leggendo.

Descrivete in tre testi un ambiente, un paesaggio, un personaggio a vostra scelta
E5.9 IL DIALOGO
Usate un registratore per dettare un dialogo che poi trascriverete e rileggerete cercando di interpretarlo.
Seguendo uno schema di Roberto Cotroneo, basatevi su questi elementi:
Luogo: una spiaggia deserta
Ora: il tramonto
Stagione: estate
Personaggi del dialogo: un uomo di mezza età, una ragazza poco meno che trentenne
Altri dettagli: si sono conosciuti pochi giorni fa, ma è la prima volta che si incontrano per una passeggiata, da soli. Lui
pensa di essere innamorato di lei. Lei è perplessa. E' molto più giovane e soprattutto ha avuto una grande delusione
sentimentale e non ha intenzione di sbagliare ancora. Da un bar di legno, deserto, arriva una musica che sceglierete voi.
Tutto il resto che vi verrà in mente, potrete aggiungerlo.
E5.10 LO STILE
Ecco due testi di base su cui costruire due modi di scrivere.
Traccia 1. Raccontate un matrimonio, religioso, in una chiesetta con molti invitati, tradizionale, paesano. Lo sposo è
cinquantenne, la sposa ha diciannove anni. Si dice che la sorella della sposa sia stata l'amante del futuro sposo.
Traccia 2. Un matrimonio in un luogo mondano. Due trentenni. Lui è un giovane imprenditore, lei è una scrittrice. Pochi
invitati. Qualche vip. C'è un cronista per scrivere un articolo: è molto triste. Per anni è stato innamorato della sposa.
Scrivete entrambe le tracce in due modi, quello sintetico e asciutto, pochi aggettivi, lineare. Poi riscrivetele entrambe in
modo avvolgente, onirico e magico.
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La scrittura ha trasformato la mente umana,
più di qualsiasi altra invenzione
… è essenziale allo sviluppo più pieno dei potenziali umani,
innalza il livello di consapevolezza di sé
Walter J. Ong
(Oralità e Scrittura. Le tecnologie della parola, 1982)
Il presente progetto è finanziato con il sostegno della Commissione Europea. L'autore è il solo responsabile
di questa pubblicazione e la Commissione declina ogni responsabilità sull'uso che potrà essere fatto delle
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