Nel Tunnel della Morte - Estro

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Nel Tunnel della Morte - Estro
DIRITTI RISERVATI - SIAE
Nel Tunnel della Morte
il Labirinto della Vita
Romanzo
Elisabetta Errani Emaldi
SOTTOTITOLO
Premonizione di un incontro e contatti
telepatici con un giovane passionale
che teme il suo passato. Quando il
destino ci guida verso un'esperienza
che servirà alla nostra crescita interiore
Prendi prima coscienza di te stesso all'interno, poi pensa ed agisci. Ogni
pensiero vivente è un mondo in preparazione; ogni atto reale è un pensiero
manifestato. Il mondo materiale esiste perché un'idea cominciò a giocare nella
coscienza divina
AUROBINDO
Raccontando una delicata storia che alterna
due forze che ci sono connaturali, i sentimenti e
fra essi anche il pietismo e il razionale dal quale
scaturisce la domanda: "Ma chi me lo fa fare"?
l'autrice intreccia la volontà imbevuta di emozioni
della donna che ama con la paura, della stessa
donna, di essere coinvolta in qualcosa più grande
di lei.
La natura porta sempre a vivere l'intensità dei
sentimenti contrapposti al nostro raziocinio che ci
costringe al calcolo egoistico.
In questo eterno dualismo si svolge la storia.
Una storia che non desidero anticipare, se non
per asciugare una piccola lacrima che scende,
lenta, sulla guancia, aspettando di essere
asciugata dalla consapevolezza che se cerchiamo
di fare del bene con amore, al di là dei nostri
meriti e delle nostre forze, quel bene arriva.
Questa consapevolezza, la donna, la possedeva.
Nei suoi sogni premonitori aveva già vissuto
la storia e ne aveva visto la fine.
Dogimer
----------------------------INDICE
PRIMO CAPITOLO: INCONTRO ANNUNZIATO
SECONDO CAPITOLO: PREMONIZIONI
TERZO CAPITOLO: LA TRAGEDIA
QUARTO CAPITOLO: IL NATALE
QUINTO CAPITOLO: L'ULTIMA NOTTE DELL'ANNO
SESTO CAPITOLO: UNA NOTA DI CHITARRA NELLA NOTTE
EPILOGO
PRIMO CAPITOLO
INCONTRO ANNUNZIATO
Quella notte del mese di dicembre 1989 ero a letto, sentivo che la potenza del
vento non avrebbe permesso che la pioggia cadesse, immaginavo le nuvole nel
cielo correre e disperdersi all’infinito.
Quel fischiare acuto del vento, contro i muri della mia casa, e il continuo
scricchiolare degli alberi, mi facevano pensare alle onde del mare che si
cullavano violente contro i rami. Sotto il peso di quelle raffiche, mille cigolii si
tramutavano in misteriosi lamenti che fuggivano lontano. Vivevo sola da alcuni
anni e quella notte vedevo la luce dell'abat-jour tremare ad ogni colpo di vento
che si abbatteva contro le finestre. Andai a letto e sotto le coperte ascoltavo,
senza paura, i rumori che si perdevano intorno e trascinavano i miei pensieri in
un labirinto di fantasie, che galoppavano senza limiti. Spensi l’abat-jour e i raggi
delle luci dei lampioni sulla strada entrarono violenti a disturbare l'oscurità.
Tentai di dormire, ma ancora quei rumori che sembravano dissolversi
lentamente nel silenzio, rubavano la mia attenzione impedendomi il sonno. Il
fischiare del vento si sentì dileguare sempre più lontano, il silenzio era ancora
disturbato da piccole folate di vento, che sembravano accarezzare quegli alberi,
che poco prima erano stati aggrediti.
Al sopraggiungere della quiete, mi sentii scivolare in un vortice e sprofondare
all'infinito, lungo un tunnel dove persi conoscenza. Quel mattino, quando mi
svegliai, una nota di chitarra galleggiava nella mia memoria, vibrando di dolore
come se fosse stata suonata in quel preciso momento; sapevo che la nota, nel
sogno, mi svegliava all'improvviso nella notte fonda, trasmettendomi un
messaggio di dolore. La melodia l'avevo sentita nell'aria a pochi passi da me.
Scattai sul letto per analizzare e capire l’eventuale messaggio di quel suono
arcano. Avevo spesso sogni premonitori, cercavo di trovare un significato,
sapevo che la misteriosa nota di chitarra celava una verità che non riuscivo a
captare. Sentivo in ogni caso, che un giorno l'avrei svelato, ma quando? Riuscivo
di solito a prevedere gli eventi più importanti della mia vita, nei messaggi dei
sogni, che si avveravano a volte nel giro di pochi giorni e in altri casi nel periodo
d'alcuni mesi o anni.
Passarono settimane ed io me ne dimenticai. La mia compagnia di Venezia
mi chiamò d'urgenza, m'imbarcai su una nave che faceva crociere nelle isole dei
Caraibi. Circa nove mesi dopo sbarcai per avvicendamento.
Ero felice di ritornare a casa dopo tanti mesi di mare, avrei dormito nel letto
d'ottone, nella mia bella casa grande, altro che quella cabina così stretta, che mi
faceva pensare ad una prigione, dove mi sentivo mancare il respiro tanto era
piccola. Al pensiero di farmi il caffè verso l’una e di guardare il telegiornale, una
forte emozione mi riscaldava il cuore.
Era il ventisei di settembre del 1990, verso le diciotto, quando tornai a casa
da Venezia in compagnia delle mie sorelle, che erano venute a prendermi
all’aeroporto. La mamma ci aspettava a casa mia: aveva preparato un pranzo
speciale per festeggiare insieme il mio ritorno.
Durante quei mesi di lontananza, mia madre si era occupata della mia casa e
del giardino. Al mio arrivo tutto era in perfetto ordine. Ero partita in gennaio e
avevo lasciato le piante di banano con le grandi foglie che cadevano bruciate dal
gelo, ora erano ricresciute belle, imponenti, di un verde così tenero, che mi
facevano vibrare il cuore di felicità. Tornare a casa alla fine di settembre era
quello che avevo desiderato. L'autunno era per me come una primavera dai
colori violenti, per la bellezza e gli effetti delle luci del sole sulle foglie, che
nell'attesa della morte, regalavano l'espressione più bella, per un addio all'estate.
Da alcune notti, il meraviglioso silenzio che circondava la mia casa mi faceva
scivolare in un sonno ristoratore e profondo, lontano dai rumori continui di una
nave sempre in navigazione. Mi svegliavo di mattino, al dolce cinguettio degli
uccelli, ospiti degli alberi del mio giardino, ero felice, rilassata e lontana dalla
confusione dei croceristi in baldoria.
Erano trascorsi due mesi e le mie amiche protestavano perché mi rifiutavo di
uscire con loro. Mi chiedevo perché non capissero il mio disperato bisogno di
restare a dipingere, a scrivere, a fare tutto quello che mi era mancato in quei
mesi di navigazione. Mi facevano ridere quando scherzando brontolavano:
- Insomma, vuoi piantare le radici in casa, specie d'eremita? Viola un giorno affermò:
- Scusami, ma se continuerai a rifiutare i miei inviti, dovrò pensare che tu
non vuoi più uscire con me. Naturalmente non potevano capire cosa significasse per me essere ogni
giorno in paesi diversi e conoscere continuamente croceristi di tutte le
nazionalità. Era chiaro che, alla fine d'ogni imbarco, avevo bisogno di stare sola
con me stessa.
Ho sempre avuto un gran rispetto per le persone e amo la gente in generale,
ma so che per me è di vitale importanza restare sola ogni tanto.
Ripresi così ad uscire con Viola e a frequentare lo “Stork Club” di Milano
Marittima. Naturalmente ero destinata ad incontrare uomini sposati: ero
diventata una volpe, riuscivo a farmi confessare, nel giro di pochi minuti, la loro
posizione di sposati in cerca d’avventure e continuavo così la mia parte di
scocciatrice, informandoli che il matrimonio é sacro e che il resto è soltanto
un'illusione per stolti ed egoisti. Insomma, mi limitavo a fare la paternale a
quelli che tentavano di fare i furbi, tentando di farmi credere che non erano
sposati, quando invece lo erano, e cadevano come stupidi nei miei tranelli,
studiati con cura.
L'inverno si era presentato prepotente e freddo. Le nebbie avevano ricoperto
dì un manto grigio i giorni, ma tutto questo non mi rendeva malinconica. L'aver
trascorso molti inverni nei paesi caldi mi aveva insegnato ad amare anche i
periodi più tristi delle stagioni. Molto spesso mi erano mancate le nebbie, che a
mio parere rendevano i paesaggi misteriosi e avevano il potere di trasportare la
mia fantasia negli angoli più remoti del pensiero. L'aver vissuto per lunghi
periodi sul mare attraccando quasi sempre nei porti di grandi città, mi aveva
portato a capire quanto fossero preziosi per il mio spirito gli eventi della natura,
nei suoi continui mutamenti.
Il lunedì della prima settimana di dicembre del 1990, mi svegliai verso le
9.30. Raggi di luce filtravano attraverso le persiane del balcone, e mentre giravo
le spalle, ecco riaffiorare nella mia mente delle immagini confuse.
Sapevo come fare per ricordare quel sogno, così chiusi gli occhi, mi rilassai
profondamente e tutto riapparve, come ad un tocco di bacchetta magica. Ecco,
entravo in una chiesa dove sapevo che qualcuno mi stava aspettando, poi
m'indicarono il Papa e capii che il Pontefice doveva comunicarmi qualcosa. Mi
avvicinai lentamente a Lui con un fazzoletto in testa, stupita e sorpresa di avere
l'onore di essere ricevuta dal Papa.
M'inginocchiai in una panchina a pochi passi dall'altare, di fronte a sua
Santità, che mi sorrise dolcemente e alzando la mano destra affermò:
- Devo informarti che ci sarà un giovane, che farà un voto per sposarti! Incredula e stupita risposi sorridendo:
- Voglio sperare che lo chiederà anche a me. Dopo una pausa il Papa serio aggiunse:
- Ricordati, vivrai esperienze paranormali! Tutto questo mi lasciò perplessa, anche perché non frequento la chiesa. La
cosa che mi sembrava più incredibile, era il fazzoletto che portavo in testa: mi
sconvolgeva, proprio perché non avevo mai messo un fazzoletto in testa. Questo
mi dimostrava la realtà del messaggio. Anche se non tutti i sogni sono
premonitori, il sognatore può intuire i significati di tutti i suoi sogni solo se
conosce bene se stesso, quindi se io avessi avuto l'abitudine di andare a messa e
mettere il fazzoletto in testa, tutto questo poteva essere un riflesso della realtà
che si ripresentava attraverso il ricordo dell’inconscio nel sogno, ma poiché non
avevo quelle abitudini, per me si trattava di un sogno premonitore.
Capii che, ben presto, avrei incontrato un giovane, che avrebbe chiesto in
voto al Papa o a Dio di sposarmi. Si poteva dedurre che avrei incontrato un
uomo che si sarebbe innamorato di me. Mi domandai perché il Papa e i Santi
m'inviavano i loro messaggi di lunedì; anni prima avevo avuto due sogni
premonitori con Gesù Cristo nel primo giorno della settimana. Naturalmente mi
faceva pensare che, nel mondo spirituale, aveva senza dubbio un significato
importante.
Ero solita raccontare i sogni alle mie sorelle e alle amiche. Viola mi ascoltava
senza troppo interesse, anche se sapeva che io avevo sogni premonitori. Marzia
era interessata e si discuteva insieme sul significato probabile. Mia sorella
Ornella s’interessava e mi domandava se avessi sogni da raccontarle, poiché
avevo previsto alcuni eventi della sua vita: non aveva dubbi sulla realtà del
sogno premonitore. Rossana aveva avuto significativi sogni telepatici e
quell'esperienza le era bastata per capire che la mente umana è misteriosa e può
rivelare ad ognuno di noi le prove dell'esistenza del grande architetto Divino: se
necessario per la crescita interiore, ci contatta direttamente attraverso la nostra
mente.
Quattro giorni dopo, il giovedì di quella stessa settimana, Viola mi comunicò
per telefono che saremmo andate a ballare allo Stork Club. Così quella sera,
arrivò a casa mia verso le 21.30; quando mi affacciai dalla finestra del balcone la
vidi intenta a fumarsi una sigaretta; per lei non importava morire dal freddo,
ma rinunciare al fumo mai, allora dissi:
- Suona il campanello, quando hai finito di fumare! Va bene! - rispose lei infastidita, sapendo che non avrei permesso a nessuno
d’inquinare l'aria di casa. Ad ogni modo, Viola col freddo, il gelo, la tempesta,
non avrebbe rinunciato al suo veleno, perciò passeggiava avanti e indietro ad
inalare il suo nettare mortale. Poco dopo quando le aprii la porta, ella mi
rinfacciò arrabbiata:
- Insomma, Elisabetta, se continui di questo passo io non vengo più a casa
tua. Ridendo ammisi: - Va bene, se per te é più importante la tua sigaretta
dell'amica, allora fai pure. - Ok, tanto hai sempre ragione tu! Dittatrice del cavolo! - ribatté arrabbiata.
- Tu non capisci: chi si sforza di vedere la verità, non inganna se stesso per
convenienza. - brontolai seria.
- Allora, che cosa vuoi insinuare con questo? - Non sono io la dittatrice, se ci pensi un attimo! - Ah si, e chi sarebbe allora? - gridò Viola pensierosa. Le risposi calma:
- Tenti di ricattarmi mettendo in gioco la nostra amicizia per un difetto che
hai tu e, oltre a nuocere alla tua salute, fai del male anche a tutti quelli che
respirano il tuo fumo velenoso passivo e poi pretendi di inquinare l’aria di casa
mia. Io sarei una dittatrice se ti obbligassi a smettere di fumare in casa tua. Ad
ogni modo, sai bene che non mi sono mai permessa di farlo e non lo farò mai.
Insomma, se vuoi continuare ad avvelenarti fai pure, ma non hai il diritto
d’imporlo agli altri. - Va bene, va bene mamma, hai ragione tu! – rispose Viola seccata,
insinuando che rompevo allo stesso modo di sua madre.
- Ok, significa che avrò parlato ai muri, ma non importa, dimentichiamo
tutto. - brontolai delusa.
Poi, ridendo, Viola gridò:
- Sei pronta “bisbetica domata?” - capii che non c'erano più risentimenti.
Quella sera Viola era molto elegante, indossava un vestito rosso con nastrini
di velluto nero, fermati con degli strass che luccicavano nel buio. Portava capelli
lunghi e mossi, come il pelo della volpe, altezza media, corporatura robusta.
Poco dopo, quando salii a bordo della sua auto, cercai di capire lo stato
d’animo in cui si trovava e mi sembrò abbastanza allegro, nonostante le mie
battutine piccanti. Sapevo che dovevo stare molto attenta, perché non sempre
Viola era in grado di accettare la verità che le sbattevo in faccia: spesso
cambiava d'umore e diventava triste e silenziosa e si faceva divorare dalla
depressione. Non potevo far a meno di pensare che era una creatura molto
strana e piena di problemi psicologici. Aveva spesso tentato di fare una dieta
senza risultati, avrebbe voluto uscire dal suo labirinto di pensieri negativi che la
torturavano, ma per lei era impossibile.
Cercavo con tutte le mie forze di tirarla fuori da quell'oscuro inferno in cui si
cacciava, ma i miei tentativi sembravano vani. Intanto aveva inserito una
cassetta di musica romantica, interruppe i miei pensieri gridando per superare il
volume della musica:
- A cosa pensi? Immagino che stai fantasticando sul tuo principe azzurro. - Certo, al principe dei miei stivali, perché tu lo sai che per me è
un'allucinazione per le illuse! Giunte allo Stork, il cameriere ci accompagnò ad un tavolo, vicino alla pista
da ballo. Dieci minuti dopo, un giovane senza chiedere il permesso, si sedette
accanto a me e fissandomi negli occhi affermò:
- Credimi, se te lo dico, che una donna di classe come te non s'incontra tutti i
giorni. Ti prego, concedimi un pò del tuo tempo! Lo guardai sbalordita, perché dal tono della voce intuivo un'implorazione
sofferente e triste. Non avrei potuto dirgli di no. Il viso e gli occhi sembravano
indossare una maschera dì dolore. Lo fissai, con l'intenzione di leggergli dentro
le cause di quella sofferenza. Poi con un lieve sorriso sulle labbra continuò:
- Ti ho visto scendere dall'auto, nel piazzale dello Stork e non ho potuto
trattenermi da un'esclamazione d'ammirazione, per la tua figura e quel modo di
camminare che mi fa impazzire. Mi parlava, mentre lo guardavo negli occhi, percependo emozioni di dolore e
amore che mi esplosero nel cuore, come per magia, e in quel momento avrei
voluto piangere disperatamente. Io che credevo di saper accettare le tragedie
della vita, superando il dolore con la mia fede interiore, mi rendevo conto che in
quel momento partecipavo a quella sua sofferenza così radicata da stampargli il
marchio in tutte le sue espressioni. Allora con tono scherzoso, coll’intenzione di
fare una risata, affermai:
- Scusami, ma mi stai trascinando in un vortice di “feelings” terribilmente
tristi. Non avrai venduto la tua anima straziata al demonio? - Io avrei venduta l'anima al diavolo? Beh, non ti nascondo che, se avessi
potuto, l’avrei fatto! Dimmi, come si fa ad invocarlo? - Quelle parole mi
raffreddarono di colpo, era come se fossi stata congelata. Avevo tentato di
scherzare, ma lui diceva sul serio, lo capivo dal tono di voce, che era così chiara
nelle sue espressioni, da non avere dubbi su quello che intendeva. Allibita
borbottai:
- Tu venderesti veramente l'anima al principe dell'oscurità? - Certo che lo farei, così lui mi darebbe tutto quello che gli chiedo: col suo
aiuto potrei avere anche te. - Senti, non ti chiamerai disperato, per caso? - No, mi chiamo Gabriele. -
Mi stupiva sempre più, sembrava anche ingenuo, mi aveva risposto come se
lo avessi chiamato con un nome qualunque.
- Allora Gabriele, ascoltami bene. Vendere l'anima al demonio vuol dire
rimanergli schiavo per l'eternità. Ti sembra il caso di poter fare tale sacrificio,
per dei beni materiali? - Certo, perché no! - Se vuoi un consiglio, il pensiero è energia che si realizza:se non vuoi finire
nei pasticci e pentirtene amaramente, respingi quel pensiero negativo con tutte le
tue forze. Mi fissò intimidito, come un bambino curioso e ribatté:
- Insomma, perché dovrei pentirmene amaramente? - Non mi stancherò mai di ripetere che il pensiero è una potenza che ci spinge
a fare quello che desideriamo. Per esempio, se ti metti in testa di rapinare una
banca, e cominci a fantasticarci sopra pensando che col denaro rubato potrai
fare tante cose, che non puoi permetterti, finirai col fare una rapina. Ecco perché
io insisto coll’affermare che il male va sradicato prima che metta radici nella
nostra mente e ci renda infelici e senza pace. - Tu credi che io abbia bisogno d'amore e pace? - Vedi, ognuno di noi porta stampato nel viso e nei movimenti, la vera essenza
di se stesso. Non per caso, un attento osservatore può leggere nei lineamenti la
cattiveria, l'odio, l'egoismo, la bontà, i pregi, ecc.. - Mi stupisci, non avrei mai pensato che questa sera allo Stork, avrei
incontrato una ragazza come te. Mi fai paura sai! - Non capisco perché tu hai paura di me, non sono io il demonio! - domandai:
- È quel tuo modo di parlare del bene e del male, che m’impressiona. - Gabriele, non dovresti aver timore della verità, ma preoccuparti dei tuoi
pensieri negativi che, sommati con tutti quelli d'ogni essere umano, creano i mali
del mondo. Stupito Gabriele asserì:
- Mi credi se affermo che mi sto innamorando di te, anche se sarebbe quello
che non vorrei che mi succedesse, perché non é il momento giusto? - Non possiamo certo innamorarci quando lo vogliamo noi, ma solo al
momento opportuno, per permettere che certi disegni si compiano e per farci
evolvere attraverso lo scambio delle nostre conoscenze nell'esperienza della
materia. - Lo sai cara, che quasi ci credo, perché mi stai sconvolgendo. Devi sapere
che la cosa più strana è che questa sera sono uscito, perché il mio amico mi ha
trascinato fuori di casa. Pensa che non ho dormito e mangiato e sono stato male
per quattro giorni. - Dio Santo, ma che cosa ti è capitato di tanto grave? - domandai curiosa.
- La mia donna mi ha lasciato per tornare dal marito. Pensa, che qualche ora
fa, mi chiedevo come avrei fatto a dimenticarla, e ora che ho incontrato te, di lei
non me ne importa più niente! -
Lo guardavo con stupore, sentivo che non stava mentendo e questo mi
turbava profondamente, perché anch'io ero terribilmente attratta da lui. Lo
fissai per avere una conferma dei miei pensieri, e capii che lui era ancora più
sconvolto di me. Naturalmente, non mi bastavano quelle certezze, così con
l'intenzione di studiare ancora più a fondo i suoi sentimenti interrogai:
- Hai intenzione di prendermi in giro per caso? - Ti prego, credimi, fino a poche ore fa ho sofferto terribilmente, per una
donna che ha quattordici anni più di me. Abbiamo vissuto due anni insieme,
l'amavo molto. Sono stato chiuso in casa per quattro lunghi giorni a disperarmi,
bevendo e ubriacandomi nel dolore. Per questa ragione trovo strano il nostro
incontro e soprattutto quello che provo per te, perché non sono il tipo che perde
la testa per una donna che ho appena incontrato. Ripensai al sogno avuto quattro giorni prima, e mormorai:
- Che strano, quattro giorni fa la tua donna ti ha lasciato, mentre io ho avuto
la premonizione di un incontro. Gabriele alzò lo sguardo e domandò:
- Che cosa? Sorrisi poi sussurrai: - Non importa. Intanto Gabriele mi fissava trascinandomi in una spirale di sentimenti a me
sconosciuti e ubriacandomi d'emozione. Lui era un bel giovane, alto, magro,
molto fine, con movimenti eleganti, vestiva con gusto.
Una cosa che mi colpì subito furono le sue mani con dita lunghe, affusolate e
bianche. La sua voce, dai toni delicati e dolci, svelava un tremendo bisogno
d'amore e comprensione. Mi chiedevo che cosa egli avesse da nascondere dietro
quel suo sguardo colmo di tristezza. Leggevo nei suoi occhi scuri il peso di colpe
da espiare. Sembrava che avesse il timore che potessi scoprire i suoi segreti, che
teneva con tutte le forze sigillati nella sua essenza più profonda. Era come se
sapesse, che prima o dopo, gli avrei strappato quelle verità che mi nascondeva
con tanta forza. Una cosa che non mi piaceva erano i suoi capelli neri: gli
cadevano sulle spalle, li teneva tirati indietro alla Rodolfo Valentino. Sapevo che
un bel taglio corto gli avrebbe dato più personalità, mostrando quel tocco
d'uomo vero che gli mancava. Percepivo in Gabriele un'umiltà e una modestia
che m'inondavano di vibrazioni piacevoli. Naturalmente sapevo che quelle
qualità si raggiungono attraverso la sofferenza, provocata da gravi errori
commessi nella vita. Sentivo che Gabriele aveva molto da nascondere, il mio
animo intuitivo me lo suggeriva con prepotenza. Incominciai a tempestarlo di
domande:
- Spiegami, che lavoro fai tu? Dopo un attimo d'indecisione rispose: - Lavoro all’ospedale, guido
l'autoambulanza! - È un lavoro interessante, perché un bravo autista può salvare tante vite. - Si, però è terribile, a volte ti trovi in situazioni disastrose. Per questa
ragione vorrei cambiare lavoro. - Non capisco, tu hai la possibilità di aiutare le persone che si trovano in
gravi situazioni e vuoi cambiare lavoro. -
Lui mi guardava con curiosità, come per chiedersi se avessi capito quello che
intendeva, poi ribatté:
- Mi chiedo se hai la minima idea di cosa significhi vedere tutti i giorni gente
in difficoltà. Io, ogni volta soffro molto, tu capisci cosa intendo? - Certo che deve essere molto triste, ma con la tua forza puoi dare molto, se
soltanto tu hai un pò di cuore. - Si lo so, ma ogni volta sto male, sono debole in queste cose e mi commuovo
subito. - Cambiamo discorso, non vorrei rompere, facendoti parlare di lavoro. Una luce illuminò di gioia i suoi occhi, un lieve sorriso apparve sulle labbra,
poi domandò:
- Posso sapere come ti chiami? - Indovina! - Si, adesso faccio l'indovino! Va bene, fammi tentare: che nome può avere
una ragazza misteriosa come te, dai lineamenti del viso orientali, con gli occhi
neri a mandorla, capelli nerissimi, con un corpo magro e ben fatto come quello
di una sirena, che si muove come una Dea. Ho capito, ti chiamerai Dea
dell'amore! Scoppiai in una risata fragorosa e commentai:
- Hai una fantasia creativa, complimenti! - Sorridendo divertito ribatté:
- Sei tu la mia Musa ispiratrice, il tuo potere arcano sveglia le mie modeste
vene poetiche. - Ok mi arrendo, mi chiamo Elisabetta! - esclamai sorridendo.
- Hai un nome bellissimo, degno di te! – ammise sorpreso.
- Sei molto carino, ma ti comporti sempre così con tutte? - Soltanto con quelle che hanno occhi espressivi come i tuoi, che mi
coinvolgono in un vortice di sensazioni indescrivibili. - Gli occhi sono lo specchio dell'anima, in cui si legge la vera essenza
dell’essere. - Lo sai che mi sorprendi sempre più, sei la ragazza più misteriosa che io
abbia incontrato. In quel mentre apparve Viola brontolando:
- Scusate, ma è tardi, domani mattina devo andare a lavorare! Alzandosi in piedi, Gabriele gridò:
- Elisabetta, ti aspetto qui sabato sera, non mancare ! - Non mancherò! - risposi felice e, mentre lo salutavo con la mano, Viola mi
suggerì con tono sarcastico:
- Non avrai per caso già incontrato l'uomo che ti chiederà di sposarti, come ti
ha predetto il Pontefice nel tuo sogno. - Immagino che se saranno rose fioriranno! - È un bel ragazzo, direi anche molto fine, complimenti! - La guardai
sorpresa, di solito era molto difficile di gusti, allora con tono scherzoso ammisi:
- Veramente i complimenti li dovresti fare al Papa, che me l'ha inviato! Viola disegnò una smorfia sul viso e con espressione cupa brontolò:
- Certo che sei incredibile, con questi sogni che si avverano. Sono curiosa di
sapere se questa è la volta buona. - Insomma Viola, non è poi così importante che finisca bene. Tu lo sai come
la penso, quello che importa è apprendere dall'esperienza, l'essenza che nutre lo
spirito di conoscenza. Viola mi fissò seria, poi annoiata ribatté:
- Elisabetta finiscila di appesantirmi il cervello con questi discorsi filosofici
alle due di notte. In silenzio attraversammo il parcheggio ricoperto di brina, e tremando
salimmo in automobile. Prima di avviare il motore si accese una sigaretta, poi
inserì una cassetta di Lucio Battisti, infine partimmo lungo la strada costeggiata
da campi ricoperti di un manto bianco, che brillava sotto i raggi della luna. Le
strade a quell'ora tarda erano deserte, così in poco tempo mi trovai davanti a
casa mia. Un cenno di saluto e Viola partì nella notte.
I giorni trascorsero in fretta e quel sabato sera, mentre ci recavamo allo
Stork, pensavo a Gabriele e al suo modo di soffocare le delusioni d'amore,
ubriacandosi di sofferenza e d’alcol. Mi stupiva che sentisse la necessità di
chiudersi in una stanza, per quattro giorni, senza dormire e mangiare, mi
sembrava la follia di un bambino capriccioso che faceva le bizze, perché aveva
perso il suo giocattolo preferito. Mi chiedevo che uomo fosse, colui che non
rispettava le scelte e i sentimenti dei suoi simili. Ho sempre pensato che, quando
un uomo s’accorge di non amarmi più, devo accettare la sua scelta e sparire
senza alimentare il mio egoismo nella pretesa che torni da me. Credo che se lo si
é veramente amato, e si continua ad amarlo, si deve accettare che sia felice senza
di noi. Ho sempre creduto in quel detto cinese che afferma:
“Quello che ti è destinato, tornerà a te, anche se lo getterai via, ma ciò che
non t'appartiene, non lo avrai mai, anche se lotterai per averlo”.
Vedere gli esseri umani ribellarsi con prepotenza contro gli eventi del
destino, lo giudico poco saggio. Non si potrà mai avere quello che gli altri non
possono darci. Pensare che avrebbe venduto l'anima al demonio per dei beni
materiali, mi faceva capire quanto bramasse nell'illusione. Viola vedendomi
pensierosa sghignazzò:
- Mi chiedo chi è quello, che ha il potere di farti pensare tanto, al primo
incontro! Non sarà stato un amore a prima vista? - Veramente sono attratta dalla sua anima straziata dal dolore, voglio
aiutarlo ad imparare ad essere felice. - Certo che anche tu sei strana, solo le anime in pena riescono a colpirti tanto.
Non ti capisco, tu stai sola degli anni interi, come un eremita, poi ti fai fulminare
da un disperato, mi domando quando lo incontrerai uno degno di te. Scoppiai a ridere divertita , poi risposi:
- Niente succede per caso, tutto ha ragione d’essere. Non esiste su questa
terra, per la maggior parte degli esseri umani, l’anima gemella, perché siamo qui
per crescere interiormente, quindi incontreremo sempre e soltanto l’anima che
ci servirà per evolvere; credo che l’amore perfetto crescerà nel cuore di coppie
evolute, che devono affrontare assieme enormi difficoltà per aiutare il progresso
evolutivo dell’uomo. Viola era intenta alla guida, rallentò, e girandosi brontolò:
- Ci risiamo con i tuoi discorsi, insomma, tu lo sai che non la penso come te! - Certo che lo so, ma se tu mi fai certe domande, ti rispondo con la mia verità.
Le luci dello Stork apparvero in lontananza fra i rami nudi dei pioppi che lo
circondavano. Viola, mentre parcheggiava, sghignazzò:
- Fra poco rivedrai il tuo Romeo che salirà sul balcone, arrampicandosi su
per le piante di glicini, e quando si accorgerà che non è il balcone di Giulietta,
disperato com’è, si lascerà cadere nelle mani della Dea morte. - Non vorrai farlo morire adesso, che l'ho appena incontrato. Ad ogni modo,
se burlarti di me ti fa felice, fai pure, purché ti veda sempre allegra. - Sentila lei, la donna felicità! - Dimmi quando mi hai visto triste o giù di morale. - In questo momento non ricordo, ad ogni modo non ho voglia di perdere
tempo a pensare. Io sorrisi divertita e risposi: - Mi hai dato la risposta che conferma i fatti,
grazie mille! Intanto ero scesa dall'auto e i miei piedi al contatto del ghiaccio, sparso in
tutto il parcheggio, scivolarono, ma grazie a Dio i miei riflessi pronti mi diedero
la possibilità di scattare in piedi. Mi chiusi il cappotto, tremando per il freddo
tagliente che entrava prepotente facendomi battere i denti. Corsi all'entrata, e
subito mi trovai al caldo al solito tavolino. Poco dopo Gabriele mi venne
incontro, con un sorriso che gli illuminò il viso di felicità, poi sussurrò:
- Sai, ho avuto paura che tu non venissi! Avevo tanta voglia di vederti. - Lo desideravo anch'io! - Trasportato da sensazioni piacevoli si sedette
accanto a me, sussurrando dolcemente:
- Sei la donna che ho sempre sognato, tra l’altro anche bellissima. Spero, con
tutto il cuore, che anche tu senta quello che sto provando io. - Le sue parole mi
colpirono direttamente al cuore, sapevo che egli affermava la verità.
Commossa gli sorrisi, poi continuò:
- Non ti ho ancora conquistato, non so nemmeno se ce la farò, ma credimi,
tremo dalla paura di perderti, e questo mi fa soffrire. - Vedi Gabriele, dovresti accettare il tuo destino, perché avrai solo ciò che ti
servirà per la tua crescita interiore, quindi devi accettare gli eventi, senza fare
prepotenza a te stesso, con la paura e la sofferenza. Tanto le cose andranno
comunque come devono andare per il nostro bene. Vedi, mi sono arresa a questa
realtà, così la vita per me non è più un inferno, ma una straordinaria esperienza
che mi fa crescere interiormente. Lo guardavo, mentre sentivo che avrei potuto amarlo con tutta me stessa e,
se possibile avrei voluto eliminare in lui quei sentimenti negativi che lo facevano
soffrire tanto. Mi chiedevo come si potessero provare certe emozioni, con una
persona che avevo appena conosciuto. Poi, sulle note di una canzone romantica,
Gabriele sorridendo timidamente si alzò in piedi e afferrandomi per mano,
domandò:
- Ti andrebbe di ballare con me? - Hombre, que buena idea! - Magnifico, parli spagnolo! Sai che io ho vissuto otto mesi a Barcellona? - Otto mesi! Spiegami che cosa hai fatto tanto tempo in Spagna? - Sono partito con un amico per fare le vacanze, poi abbiamo finito il denaro
e siamo stati costretti a rimanere. - Hai voglia di prendermi in giro? - Non potrei farlo! - Allora raccontami che cosa hai fatto laggiù in quelle condizioni disperate. - I primi giorni sono stati terribili, poi degli africani ci hanno ingaggiato per
vendere ricordini di Barcellona ai turisti italiani, sai le palle di vetro con
all'interno i monumenti spagnoli che, se le agiti, sembra che cada la neve?
Quando abbiamo guadagnato abbastanza denaro per il viaggio abbiamo deciso
di restare ancora, perché laggiù io ci stavo bene. - Spiegami perché non hai chiesto aiuto ai tuoi genitori. - Io ero già maggiorenne, avevo 28 anni, non sapevano niente di me, perché
non ho mai telefonato e tanto meno scritto. - Spero tu stia scherzando! - Non sto per niente scherzando, non andavo molto d'accordo coi miei
genitori, perciò partivo quando volevo e tornavo quando n'avevo voglia. - Spiegami chi sei tu. Parti per le vacanze, finisci il denaro, resti in Spagna
per otto mesi senza avvisare tua madre. Scusa, ma penso che tutto questo sia
mostruoso e mi chiedo se hai pensato al dolore che le hai procurato. - Hai ragione, vorrei essere migliore, tento di diventarlo, però non è così
facile. Devi stare attenta con me, perché se potessi ti porterei via anche il tuo
denaro, capisci cosa intendo quando ti dico che vorrei davvero essere migliore. Stupita risposi cercando di calmarlo: - Se tu desideri veramente cambiare, sei
già sulla buona strada!. - Davvero? - Dopo una pausa consigliai:
- Tu però, devi stare attento quando parlo. Se ti ricordi, giovedì scorso ti ho
spiegato che il pensiero è un’energia che spinge l'uomo a fare quello che pensa;
quindi se desideri cambiare, devi fare un piccolo sforzo e respingere con tutto te
stesso i pensieri negativi e vedrai che raggiungerai gli obiettivi che ti sei prefisso.
- Certo che parli come un libro stampato. Quell'affermazione mi fece ridere di gusto, ma ora sapevo chi era Gabriele.
Mi erano bastati quei discorsi per capire che era come un bambino che, dopo
aver combinato grossi guai, era assalito dai sensi di colpa. Quello che avevo
temuto fin dal primo incontro ora si realizzava. Sentivo dentro di me che egli era
sicuramente un ex- tossico dipendente. Questa verità mi balenava nella mente
con una certezza che mi deludeva profondamente. Allora domandai nervosa:
- Non ti sei mai drogato, in quei mesi trascorsi in Spagna? -
Rimase senza parole, mentre un sorriso indeciso si disegnò sul suo viso.
Avevo capito che dovevo tentare di sapere la verità, con più intelligenza, così
affermai:
- Sai, vorrei comprarne per provarla! - Allora deciso rispose:
- Non credo ti sarà difficile trovarla! Quella risposta mi confermò la certezza che già avevo intuito. Pensai che, se
Gabriele nella sua vita non si era drogato, si sarebbe scandalizzato alla mia
affermazione. Credo che, poiché non si era scomposto nella sua risposta, ciò
dimostrava che per lui era normale che la gente volesse provare nuove sensazioni
con la droga. Dovetti in ogni caso ammettere che le mie deduzioni erano ipotesi
confermate dai suoi discorsi. Avrei voluto chiederglielo ancora una volta, ma
sentivo che mi avrebbe mentito, perciò decisi di rimandare il tentativo ad
un'altra volta.
- Raccontami altre avventure vissute in Spagna! - chiesi, pensando che per
conoscere gli uomini a fondo, bisognava farli parlare molto.
- Devi sapere che avevo incontrato una bella ragazza, che mi piaceva molto,
così la invitai a mangiare qualcosa in una di quelle taverne dove si spende poco.
Non avevo altro che mille pesetas, era tutto ciò che possedevo, ordinai due
“hamburger” con patatine fritte e caffè. Poi, quando il proprietario della
taverna mi portò il conto, ebbi la bella sorpresa di dover pagare 1200 pesetas.
Allora mi offrii come lavapiatti, ma quello si arrabbiò e strappò l'orologio dal
polso della mia amica e poi ci buttò fuori del locale. - Insomma, perché non chiedi il prezzo prima di ordinare se sai di avere poco
denaro? - Neanche il proprietario della taverna è stato corretto! Ad ogni modo un pò
di comprensione ci voleva, invece si è preso un orologio di valore solo perché mi
mancavano duecento pesetas. - Certo che non si è comportato meglio di te! Dopo, che hai fatto? - Sono tornato dai miei amici africani e ho raccontato loro la storia. Così mi
hanno detto che quello stupido meritava un lezione e una notte gli hanno
spaccato la vetrina del negozio. - Non ti capisco Gabriele, sei stato il primo a sbagliare, perciò credo che non
avresti dovuto fargli spaccare la vetrina dai tuoi amici. Non sarebbe stato meglio
che i tuoi amici ti avessero prestato le duecento pesetas? senza dubbio il
proprietario ti avrebbe restituito l'orologio. - Non volevo, ma i miei amici hanno assicurato che anch’egli si era
comportato male, poteva pure chiudere un occhio. In fondo gli dovevo solo circa
duemila lire. Gabriele continuava a stupirmi per la leggerezza con cui agiva di fronte agli
eventi della vita e addirittura raccontava le sue avventure con orgoglio
sentendosi un eroe. Mi sembrava di essere di fronte ad un bambino ingenuo, che
non aveva un briciolo di senso di responsabilità di fronte alla vita.
- Quanti anni hai? - Ora ne ho trentaquattro, ma allora ne avevo solo ventotto. - Scusami, ma a ventottanni uno dovrebbe essere responsabile delle proprie
azioni, tu invece sembri comportarti come un bambino di dieci anni. -
- Hai ragione! Ti prego, aiutami a cambiare! - Posso tentare, ma ricordati che sarò terribilmente severa. Penso che un
uomo di trentaquattro anni avrebbe dovuto imparare da molto tempo a vivere a
contatto con la società. - Devi sapere che sono molto cambiato in questi anni; se tu conoscessi tutta la
storia della mia vita, forse adesso saresti orgogliosa di me. È vero, non sono felice
di me, però t'assicuro che vorrei essere migliore. Tu sai che ci vuole del tempo a
cambiare. Sai, vorrei essere come te. Non ti cambierei con nessuna, credimi! - Noi c'innamoriamo della persona che ha le qualità che ci servono per la
nostra crescita interiore, ecco perché siamo attratti l’uno dall’altro. Sento che
nella tua vita ne hai combinato di tutti i colori, quindi vorrei aiutarti a
perdonarti per spegnere quel gran dolore che continua a roderti dentro. Gabriele serio mormorò: - Sei un angelo. Sorrisi e continuai: - La vita è una causa-effetto e, quando si sceglie il male,
non si sfugge alle proprie responsabilità, perché la scintilla Divina che è in noi ci
farà riflettere attraverso il rimorso della coscienza e sofferenze terribili. La pace
è una pietra preziosa, che si guadagna soltanto quando avremo estirpato le
influenze negative dal nostro pensiero. - Sai Elisabetta, quello che dici é meraviglioso. Ad ogni modo non é facile
metterlo in pratica, per questa ragione ho paura di me stesso. Mi chiedo se potrò
farcela. - Ti sembra tutto così difficile perché sei confuso, ma poi vedrai che, se
t'impegni sinceramente, riuscirai a respingere le illusioni che ti impediscono di
vederci chiaro e la tua mente s’illuminerà. - Tu non sai quanto bene mi fanno le tue parole! - Scusa se cambio discorso, ma sono curiosa e vorrei sapere dove sei andato a
dormire, le prime sere quando eri in Spagna. - Non avevamo denaro, si dormiva nelle panchine dei parchi e nei giardini
pubblici della città. C'erano delle persone che erano più disperate di noi; una
notte, mentre passeggiavo per la città, passando vicino ad un mucchio
d'immondizia, per gioco ho dato un calcio in mezzo al pattume e ho sentito che
c'era qualcosa di morbido, ho udito un lamento e quando ho guardato sotto gli
stracci umidi e sporchi, c'era una poveraccia che dormiva. Mi sono sentito male,
le ho chiesto scusa due volte, e regalato un pò di denaro. Credimi, quella notte
non ho dormito, perché ero sconvolto. - Credo che questo tipo esperienza rimanga impressa tutta la vita. Avete poi
trovato un posto per dormire? - Si, in una lurida pensione, dove si pagava 300 pesetas al giorno e, ogni volta
che si doveva fare la doccia, si scendeva giù al primo piano e si pagavano
cinquanta pesetas a una signora, che abitava lì. Mi guardò per studiare il mio pensiero, credo che cercasse di capire che cosa
pensassi di lui, poi sospirando domandò:
- Mi darai il tuo numero di telefono? - Eccome no! Ora siamo amici! - Posso telefonarti domani? -
- Telefona quando vuoi! - Vedi, se dipendesse da me, uscirei con te domani sera, ma forse hai degli
impegni più importanti. - Tu prova e vedremo. Ok!. Era tardi, lo salutai e Viola ed io tornammo a casa. Il giorno dopo mi telefonò
Anna, per chiedermi se andavo a mangiare una pizza con lei. La mia amica
passò a prendermi verso le 18. Quella sera aveva deciso di portarmi in una
pizzeria molto rinomata, situata in mezzo alla campagna. Mi spiegò che, in una
vecchia fattoria restaurata, avevano costruito una pizzeria tipica campagnola,
dove facevano una pizza squisita. Anna era per me come una sorella, con lei non
avevo segreti, ma neanche lei con me.
C'inoltrammo in stradine strette di campagna. La pioggia cadeva violenta sui
vetri, intanto raccontavo ad Anna il sogno premonitore del Pontefice, e
dell'immediato incontro con Gabriele. Ero sicura della sua comprensione,
perché anch'ella aveva avuto sogni incredibilmente significativi e premonitori.
Ogni tanto le luci che illuminavano le case di campagna correvano danzando, fra
il luccichio della pioggia che cadeva. Quella sera Anna era elegantissima e
sapevo che, quando uscivo con lei, passavo in secondo piano, perché gli uomini
non mi vedevano, gli sguardi erano rapiti dalla sua bellezza.
Alta, magra, capelli lunghi e scuri, un viso che esprimeva intelligenza. Nei
suoi occhi scuri s’intravedevano bontà e gentilezza. Vestiva sempre molto bene,
per quel suo gusto raffinato che le impediva di sbagliare nella scelta. Col vento
che fischiava rumoroso e la pioggia, mi sembrava di udire un orchestra dai suoni
sgarbati, che si avvicinavano e allontanavano nella serata buia e fredda. Poi le
luci della fattoria, che brillavano confuse nella serata burrascosa, apparvero fra
gli alberi che combattevano contro un vento violento e prepotente. Anna
parcheggiò l'auto e ci avviammo di corsa verso l’entrata. Per fortuna c'erano
ancora alcuni tavoli liberi.
Dovevo ammettere che era una pizzeria molto raffinata: luci soffuse con
tovaglie gialle e fiori sul tavolo. Un gran camino nell'angolo della stanza, tutto
rifinito in legno dello stesso colore dei tavoli e delle travi del soffitto. Alle finestre
tendine all'uncinetto bianche come i muri del salone. Ordinammo una bottiglia
di Sangiovese e due pizze ai funghi.
- Ti piace questo posticino? - domandò Anna felice.
- È davvero molto accogliente! - Scommetto che Gabriele ti avrà telefonato e ora sarà triste perché non ti ha
trovato a casa. - Sento, purtroppo, che ha uno strano potere su di me, e recepisco il suo
desiderio di amarmi con tutte le sue forze. In ogni caso, so che sarebbe meglio
lasciarlo andare, per il mio bene. - Insomma Elisabetta, una volta che incontri qualcuno che ti piace, dovresti
smetterla di fare tante storie. Ecco, non ti capisco! - Il problema è che so con sicurezza che nel suo passato si nasconde qualcosa
di terribile. - Mi sembra di capire che non hai prove, sono solo presentimenti che hai
recepito dai suoi discorsi. Vero? -
Pensierosa risposi: - Scusa un attimo, ora mi ricordo un discorso che avevo
dimenticato. Giovedì scorso, quando ci siamo incontrati, Viola parlava di una
banca che era stata svaligiata, non mi ricordo molto bene i discorsi; comunque,
ho chiesto a Gabriele, scherzando, se non gli fosse mai passata per la mente
l'idea di rapinare una banca ed egli ha risposto che, se fosse sicuro che il colpo
gli andasse bene, lo farebbe. Credimi, mi sono scandalizzata, perché questo
dimostra che è un uomo di facili costumi. Seria Anna ribatté: - Forse ha scherzato e tu pesi sempre troppo i discorsi
della gente. Voglio sapere quando smetterai di studiare sempre così a fondo le
persone che incontri. Brontolai preoccupata: - Cara Anna, la verità si scopre anche ascoltando con
attenzione. Secondo te, che uomo è colui che parte per le vacanze e sparisce per
otto mesi, senza preoccuparsi di avvisare i genitori?
- Non voglio giudicarlo, ma devo ammettere che tale comportamento è
crudele. - Lo capisci allora che ho ragione di riflettere su quello che mi ha raccontato?
Mi ha lasciato a bocca aperta quando mi ha confessato che devo stare attenta
con lui, perché se potesse mi deruberebbe del mio denaro. Mi ha detto tutto
questo, nel modo più innocente e spontaneo, chiedendomi di aiutarlo a diventare
migliore. Anna mi guardava preoccupata, poi disse convinta:
- Probabilmente è soltanto una persona disperata, che ha bisogno di un
indirizzo e credo che abbia incontrato la persona che può aiutarlo. - Ad ogni modo non è possibile aiutarlo, per la semplice ragione che credo si
sia infatuato di me dal primo momento che mi ha visto. Vorrei tentare di far
qualcosa, ma non sarà facile. Non ho intenzione di farlo soffrire, sai quanto sono
difficile ad innamorarmi, perciò so che non vuole solo il mio aiuto, vuole anche
me. Per questo motivo mi sarà difficile innamorarmi di lui per quel suo deviare
dai principi basilari della vita. Insomma, ho lo strano presentimento che
Gabriele sia un ex tossico dipendente. - Hai troppi presentimenti, mia cara. L’unico modo per scoprirlo sarebbe
frequentarlo e indagare come sai fare tu. - So già cosa farò. Vedrai che, quando mi telefonerà, gli racconterò una
bugia. Vedi, sono dell'idea che, se una bugia può alleviare sofferenze o fare del
bene, si può raccontare. Così gli dirò che sono tornata con il mio ex ragazzo, e
che l’aiuterò, se egli vorrà. - In verità, da quello che mi hai raccontato devo ammettere che egli è molto
strano. Vorrei sapere perché credi che, raccontandogli una bugia, tu puoi fargli
del bene. - Insomma, non vorrai che gli dica che non voglio più frequentarlo, perché
credo sia un uomo senza principi. Sento che devo essere molto cauta con lui,
visto che è appena uscito da una storia traumatica. Ho paura che un'altra
delusione possa farlo cadere in una forte depressione. Capisci ora perché sono
preoccupata? - Quanti problemi ti fai, in fondo i tuoi sono solo dubbi. Dimmi piuttosto se ti
è piaciuta la pizza. - Veramente molto buona, ci ritorneremo, se tu vuoi. -
Ordinammo il caffè e, una volta pagato il conto, ci avviammo ad affrontare il
temporale, che ancora continuava imperterrito, senza posa. Abbassai il viso,
contro quel vento che sembrò schiaffeggiarmi violento. Anna corse a rifugiarsi
sull'auto e, appena salii. mi disse:
- Questo vento è freddo e tagliente, per un attimo ho pensato che la sua forza
potesse strapparmi i vestiti. Scoppiai a ridere immaginando la scena, poi risposi:
- Certo che, se tu fossi sulle montagne del Tibet, questo potrebbe anche
succedere. Ho letto in un libro d'alcuni monaci che, trovandosi sulle montagne in
una giornata di maltempo, hanno avuto la macabra esperienza di vedere il vento
entrare sotto le vesti di un loro compagno, facendolo precipitare in un burrone. - Immagino che tu stia scherzando! Allora hai voglia di prendermi in giro! - Figurati se ho voglia di burlarmi di te, anch'io non ci credevo, ma sembra
che sia vero. Dopo tutto si sa che il vento del Tibet è così forte, da far volare i
tibetani sui loro aquiloni speciali. - Ho paura che non ci siamo più, non sarà stato il sangiovese che ti ha dato
alla testa? - Guarda che l'ho letto nel libro di T. Lobsamp Rampa, “Il terzo occhio”.
Comunque, il nostro vento, tuttalpiù potrà strapparti i vestiti, ma non credo che
potrà mai farti fare un giretto per aria. - Fortunatamente non mi sono mai ritrovata per la strada denudata dal
vento. - Meno male, altrimenti nelle giornate di vento gli uomini si piazzerebbero
vicino alle strade con cannocchiali, e una decina dei tuoi spasimanti si
nasconderebbero davanti a casa, ad aspettare che tu esca, per vedere lo “striptease” a tempo di vento. - Senza dubbi deve essere l'effetto del vino che ti fa raccontare tante
sciocchezze. In ogni caso, ci penserebbe mio marito con la lupara, a sfollare gli
intrusi nascosti fra gli alberi. Elisabetta, questa sera mi fai dire un sacco di
stupidaggini. - Sono certa che il vino rosso ha fatto effetto anche su di te. Non bevo molto,
mi basta un bicchiere per farmi diventare più allegra del solito e dire un po' di
stupidaggini. Anna fermò l'auto davanti a casa mia. Erano appena le 21.10 perciò la invitai
in casa per un “drink”. Eravamo appena entrate nel giardino, quando udii
un'automobile rallentare; mi girai appena in tempo, per vedere l'auto di
Gabriele passare davanti alla mia casa. Anna mi sorrise e disse:
- Sii pronta a recitare la tua commedia, perché fra poco Gabriele ti
telefonerà! - Non bisogna mai studiare quello che si deve dire, perché comunque, si
finirà coll’affermare quello che non si è pensato. C'è un detto che dice: “Quando
sarà il momento, le parole giuste usciranno da sole”. Ti va bene una vodka
fredda alla pesca? - Va benissimo, grazie! -
- Ne berrò un po' anch'io, con la speranza che mi dia il coraggio per
raccontargli una bugia. - Tu sai che di solito non mento, ma quando si deve, si deve. Poi, mentre sorseggiavo la mia vodka, il telefono squillò e Anna intervenne
gridando: - Lasciami rispondere! - No ti prego non andare, lascialo squillare! - Per quale ragione? - Guarda che non è facile raccontare bugie! - Tu lascia fare a me! - Pronto... Mi dispiace non sono io, lei ha sbagliato numero. Anna mise giù la cornetta, ed esclamò: - Ha una bellissima voce! Non ti
preoccupare, fra un pò ritelefonerà! Lo squillo ricominciò, presi la cornetta in mano e dall'altra parte del filo
Gabriele domandò:
- Sei tu Elisabetta? - Si, si sono io, dimmi! - Sai, ho sbagliato numero, mi ha risposto una signora gentile, solo che
pensavo di parlare con te, così ho detto: qui parla il demonio, e lei si è fatta una
risata e mi ha risposto che ho sbagliato numero. - Scoppiai a ridere divertita, poi
dissi scherzando:
- È meglio che ci scherzi sopra e preghi Dio, perché il demonio non decida di
ronzarti attorno, altrimenti vedresti i sorci verdi, poi avresti bisogno d’un
esorcista, per poterti liberare della sua corte spietata. - Una risata fragorosa
giunse alle mie orecchie, e ne fui contagiata e Anna pure, così Gabriele aggiunse:
- Spero di non disturbare, ho sentito le risa di qualcun' altro. - Non ti sbagli, c'è una mia amica. - Sei uscita con lei, vero? Ti ho telefonato verso le diciannove, e tu non c'eri.
Volevo invitarti a mangiare una pizza. - Si, sono uscita verso le diciotto. - Sono deluso, perché sognavo di uscire con te! Vieni a bere qualcosa con me
se ti vengo a prendere adesso? Nella sua voce sensuale e dolce, intuivo quel desiderio bramoso che mi faceva
rabbrividire, mi sembrava di sentire un bambino, che supplica la madre, per
avere il suo giocattolo preferito. Mi era difficile dire di no, ma dovevo scuoterlo
da quella passione che lo stava trasportando in un baratro di disperazione.
Allora gli dissi:
- Non vorrai che mandi via Anna? Devo informarti che è raro che mi
innamori di qualcuno, quindi uomo avvisato mezzo salvato. Poi c’è un’altra cosa
da non sottovalutare, il mio ex mi ha invitata a cena e credo che ritornerò con
lui. Dopo alcuni sospiri Gabriele brontolò:
- Ecco, se avevi intenzione di demolirmi, ci sei riuscita! Spero, in ogni caso,
che non torni con lui. Ho sempre pensato che non ha senso ricominciare una
storia finita. Tu sei troppo intelligente per non averlo capito. Ti telefonerò a
metà settimana, per sapere com'è andata. - Naturalmente stai tentando di tirare l'acqua al tuo mulino, ma ti prego,
promettermi di riflettere su quello che ti ho detto. - Non te lo posso promettere, perché nella mia mente ci sei solo tu e non
voglio perderti, adesso che ti ho incontrata. - Fai come vuoi, ma non mi ritenere responsabile se poi dovrai soffrire. Ciao!
Anna mi guardò preoccupata, poi affermò: - Mi sembra che stia facendo sul
serio! È un bugiardo però, mi aveva solo scambiato con te, al telefono. Non mi ha
parlato del demonio, come ha raccontato lui .- Certo, ma anche noi lo siamo! Mi sembra che ci siamo raccontati una bugia
ciascuno! Non ti pare? - Hai ragione, vediamo solo le bugie degli altri. Dimmi, che lavoro fa
Gabriele?- Mi ha assicurato che guida l’autoambulanza! - Vedi allora che i tuoi dubbi sono infondati. Un drogato non lo lascerebbero
guidare, sarebbe troppo pericoloso. - Hai ragione, ma potrebbe anche avermi mentito. Sono comunque felice di
averlo messo in guardia, così si dovrà difendere per forza. - Anna scoppiò a
ridere, poi scherzando ghignò:
- Già, così se dovesse un giorno suicidarsi per te, tu non ti sentiresti in colpa.
Non è vero? - Scoppiamo a ridere divertite, poi brontolai:
- Credimi Anna, hai una mente machiavellica e nello stesso tempo
imprevedibile. Anna prese il cappotto e mentre si avviava all’uscita disse:
- Ora devo tornare a casa, devo mettere a letto mio figlio. Tanti auguri e
spero che tu riesca a far luce in questo mistero. Fammelo sapere se riesci a
scoprire l'intrigo. Ridemmo assieme, poi la salutai. Ero felice di aver informato Gabriele di fare
attenzione con me, ora mi sentivo meglio. Tentavo di respingere quella tristezza
che mi si presentava ogni tanto, come se captassi l'amarezza e la delusione che
provava e questo mi faceva soffrire.
Non avevo voglia di vedere la televisione, l'unica cosa che volevo, era
dormire, così da poter spegnere quel dolore che mi assillava. Andai a letto e,
dopo vari tentativi, riuscii a rilassarmi e ad addormentarmi.
SECONDO CAPITOLO
PREMONIZIONI
Mi svegliai il giorno dopo con la strana sensazione di essermi addormentata
cinque minuti prima, eppure la luce che filtrava dalla finestra del balcone
m'indicava che era sorto il sole. Presi la sveglia dal comodino, erano le ore otto.
Mi rilassai un attimo, qualcosa nella mia mente cercava di venire a galla,
chiusi gli occhi, poi come in flash back vidi Gabriele che imbarazzato
camminava nudo, intanto avevo una fetta di torta in mano, avrei voluto
assaggiarla, ma mi rifiutai e la rimisi sul piatto, perché sapevo che quel dolce mi
avrebbe delusa. Infine cedetti alla tentazione e ne presi una fetta.
Assaporavo quella torta dolcissima, vedevo fuori della finestra davanti a me,
nel buio, un buco pieno d'immondizia, dall'aspetto multicolore. Capii
immediatamente il messaggio di quel sogno. La torta che mi tentava era
Gabriele e ciò che provavo nei suoi confronti, le immondizie nel buco,
rappresentavano le malefatte che avrei scoperto sul suo passato, frequentandolo.
Gabriele spogliato dei suoi segreti si sarebbe vergognato.
Ora che avevo interpretato il sogno, dovevo però fare un'altra analisi più
profonda dei miei pensieri, per capire se questo sogno era stato provocato dai
miei presentimenti. Dovetti ammettere a me stessa che l'intuire o il credere che
forse era un ex drogato e un uomo di pochi principi, poteva aver condizionato la
mia mente, durante il sonno. Un'altra cosa che mi aveva rattristato, era il fatto
di avergli raccontato una bugia.
Dopo queste riflessioni, capii che c'era la possibilità che il sogno fosse stato
provocato dalle mie certezze e dai desideri inconsci e comunque, scrutandomi
dentro, capii che quel sogno m'indicava che i miei presentimenti erano veri e che
avrei accettato di conoscerlo meglio, attratta dalla sua passione per me. Avrei
così scoperto il suo terribile passato, che equivaleva a dei rifiuti da seppellire in
una buca profonda. Decisi di riferire a Gabriele che ero definitivamente tornata
con il mio ex ragazzo. Pensai che sarebbe stato meglio soffrire un attimo ora,
dandogli un taglio netto, piuttosto che mettermi con un tipo come lui. Il giorno
dopo venne a farmi visita Viola: mi raccontò che sabato notte, dopo avermi
portata a casa, si era fermata nel bar di Manara a bere, incontraando Gabriele
che stava chiacchierando con Ambrogio e bevendo l'ultimo “drink” della serata.
Le raccomandò di non dimenticarsi di salutarmi:
- Chi sarebbe Ambrogio? - domandai curiosa
- È una “gracula” nera che parla! - rispose Viola ridendo.
- Una dracula!? Cos’è, una draculessa? - Ignorante, è una gracula maschio! - Certo che di notte, voi due insieme, non potete altro che incontrare
Dracula! Non mi venire poi a raccontare che avete bisogno di una trasfusione di
sangue, perché siete diventati anemici! –
Viola, fuori di sé, protestò:
- Sei scema! La gracula é un uccello nero parlante! Capisci ora? - Insomma Viola, non si può nemmeno scherzare che mi prendi sempre sul
serio. Avevo voglia di ridere. Sai, Lucia voleva comprarne una e mi ha assicurato
che costano sui due milioni. Ho pensato che doveva essere pazza a pagare tanto,
anche perché sono uccelli delicati e potrebbero morire. Mi ha spiegato che il
volatile gli avrebbe fatto compagnia e che era un uccello meraviglioso. Ho
assicurato a Lucia che si sarebbe sentita meglio con un uomo. Lei mi ha risposto
che un uomo sarebbe stato troppo invadente, mentre una gracula nera era di
sicuro più comprensiva. Ridendo Viola ammise: - Intelligente Lucia. - Certo che gli uccelli parlanti, se ti fanno una scenata di gelosia si limitano
solo a parlare e a gracchiare, invece l'uomo, se è in preda alla rabbia, non si sa
cosa combini. - Io preferirei un uomo alla dracula nera! - assicurò Viola
convinta.
- Certo che hai fatto una scoperta eccezionale! Mi sembri Cristoforo
Colombo. - Lascia stare le mie scoperte e pensa piuttosto alle tue, pretendi di aver
scoperto chissà quali cose su Gabriele, solo perché hai sognato una buca con dei
rifiuti; sfortunatamente hai una bella fantasia, che ti fa vedere i fantasmi dove
non ci sono. Povero Gabriele, è diventato un Cristo in croce. - Una risata
fragorosa echeggiò intorno, poi ribattei:
- Chi vivrà vedrà! - Non vorrai farmi morire prima del tempo! Vero? Parli come se dovessi
attendere un secolo per vedere i fatti! - Non ti preoccupare, tutto si realizzerà alla svelta. Viola aggiunse scherzando: - Senti selvaggia, ora me ne vado e mi
raccomando, informami su ciò che succederà, perché sono curiosa di sapere chi
ha ragione. - Vedrai, vedrai. - conclusi.
Viola giunse fuori della porta, si accese l'ennesima sigaretta e, fumando
nervosamente, salì sulla sua auto e partì.
Alcuni giorni dopo, mentre ero intenta a addobbare l'albero di Natale, sentii
con certezza che, entro pochi secondi, Gabriele mi avrebbe telefonato. Uno
squillo del telefono mi fece sobbalzare in piedi, alzai la cornetta:
- Pronto! - Elisabetta, sono Gabriele, vorrei sapere com'è andata la cena – domandò
Gabriele, mentre volevo dimostrare a me stessa che potevo ribellarmi agli eventi
predetti dal sogno, così contro i miei sentimenti gli risposi:
- Credimi, tu mi hai inviato un messaggio telepatico, ero qui a addobbare
l'albero di Natale, quando ho sentito che mi avresti telefonato. - Incredibile! Però se tu sapessi quanto ti ho pensato in questi giorni,
sperando che tu non torni col tuo ex, allora capiresti perché succedono certe
cose. Poi sono geloso di lui! - Ascoltami bene, non sono ancora andata a cena con lui, ma tu devi sapere
che io penso di tornare con lui. Questo ti aiuti a farti capire che tu non devi più
pensare a me. Ok? - Tu non sai quanto dolore mi stai provocando, dicendomi questo. Non ti
cercherò più, ma promettimi in tutta sincerità che, se avrai voglia di vedermi,
non esiterai a telefonarmi. - Pensai un attimo, poi assicurai:
- Va bene, te lo prometto! Ad un patto però, che se anche dovessi farlo, devi
lo stesso sapere che non è facile farmi innamorare, perciò ti prego di stare
attento con me. - Tu non ti preoccupare per me, pensa a te, che a me ci penso io. Ciao. Ciao! Mi chiedevo perché gli avevo fatto quella promessa. Forse aveva capito che
c'era qualcosa che mi legava a lui, così sapeva che non era tutto perduto fra di
noi. Mi promisi allora che avrei resistito al suo richiamo telepatico, che
incominciava ad assillarmi. Era passata circa un'ora dal nostro contatto
telefonico, ma il suo richiamo penetrava il mio cuore e l'anima.
Mi chiedevo come faceva ad avere tanta energia, da riuscire ad inviare fino a
me quel dolore che m'investiva con prepotenza.
Avevo sempre saputo che il pensiero era un’energia potente, ma non mi era
mai capitato di captare in continuazione i sentimenti di un'altra persona al
punto da coinvolgermi in quel modo. Era mai passibile che mi pensasse così
intensamente da farmi partecipe del suo dolore?
So che la telepatia esiste, perché l'ho scoperto da molti anni sulla mia pelle.
Molto spesso, sento chi mi sta telefonando prima di rispondere. A volte
percepisco l’arrivo di parenti prima della loro visita, vedo in sogno un dono che
ricevo il giorno dopo, oppure capto qualcosa a proposito di qualcuno che diventa
realtà poco dopo. Mi chiedevo se, con le sue malefatte, Gabriele non avesse
veramente venduta l'anima al demonio, per aver tale potenza da trascinare
anche me nella sua rete di passione. Dopo questa riflessione, mi rimproverai di
voler condannare Gabriele senza prove. Naturalmente, anche Rossana e le mie
amiche affermavano che non potevo fidarmi troppo del sesto senso, ma
continuavo a credere che il mio intuito non avrebbe mai sbagliato.
Mi sentii in ogni modo colpevole, perché chiunque fosse Gabriele, dovevo
cercare d’aiutarlo, per la semplice ragione che egli mi aveva chiesto di farlo. Mi
correvano per la mente le affermazioni di mia sorella Ornella, quando mi
gridava:
- Insomma, credi di essere una santa? Siamo qui sulla terra a romperci le
corna per imparare, proprio perché nessuno è perfetto. Ella mi accusava sempre di non aver il coraggio di buttarmi nella mischia,
per paura dì soffrire. Ornella però non ha mai capito che il mio intuito mi
svelava in poco tempo la personalità in tutti i suoi particolari, degli uomini che
incontravo. Ornella avrebbe voluto vedermi felicemente sposata, ero sempre
intenta a difendere la mia libertà proprio perché capivo che non valeva la pena
di perderla per i soggetti che incontravo.
In quel momento avevo la sensazione che qualcuno che meritava ancora
meno degli altri mi stesse imprigionando in una rete di fili invisibili. Trascorsi
alcuni giorni a ribellarmi al desiderio di telefonare a Gabriele, per sentire la sua
voce così dolce e appassionata. Poi pensai che, neanche con la mia testa dura,
sarei potuta andare contro il piano divino, che era stato preparato per
illuminare di luce le lacune dei nostri spiriti. Ad ogni modo, che lo vogliamo
oppure no, siamo trascinati dal destino nel vortice della conoscenza, attraverso le
esperienze della vita a contatto con la materia. Così decisi di arrendermi. Digitai
il numero di telefono, poi una voce di donna rispose: - Pronto. - Scusi signora, c’è Gabriele? - Chi lo desidera? - Elisabetta, grazie. Al di là del filo sentivo strani rumori, sembravano grida di un pappagallo,
poi dei passi si avvicinarono; rumori e fruscii, poi un sospiro tremante, capii che
Gabriele era emozionato. Borbottò euforico:
- Non ci credo, sei tu Elisabetta? - Si, sono io e come vedi ho mantenuto la promessa! -
- Avevo chiesto a mia madre di chiamarmi solo se telefonava una certa
Elisabetta, ma ti assicuro che non ci credevo. Sono così felice che, se tu me lo
permettessi, volerei da te, per abbracciarti con tutto me stesso. Solo qualche
minuto fa, me ne stavo nel mio appartamento e suonavo la chitarra, per non
pensarti. Ma per me è difficile eliminarti dai miei pensieri, adesso che so che
esisti. - Quando Gabriele pronunciava quelle frasi piene d’amore, mi faceva
sentire avvolta in un manto d’energia dolcissima, che mi faceva vibrare in un
labirinto di piacere che mi sollevava all’infinito.
Allora dissi: - Mi sei mancato molto e avevo voglia di sentire la tua voce, ora
mi sento meglio, perché avevo bisogno di dirtelo. - Ti prego, vediamoci questa sera, allo Stork. Ho tanta voglia di vederti! - Ok, ci vediamo là, allora. Ciao, a questa sera. Ancora mi sembrava di percepire la sua felicità che mi penetrava nel cuore,
riscaldandolo di una fiammata d'amore. E, nello stesso tempo, mi pareva di
amare il mondo e tutti, con molta più forza del solito, perdendomi in un mare di
piacere infinito, che mai avevo provato.
Quella sera Viola arrivò in ritardo, un colpo di clacson mi avvisò del suo
arrivo. Indossai la pelliccia e la raggiunsi velocemente. Notai una grigia nebbia
che m'impediva di vederci, domandai a Viola se se la sentiva di affrontare il
viaggio in quel le condizioni. Mi guardò sorridendo e brontolò:
- Tu lo sai che la nebbia non mi fa paura! Poi, se non avessi voluto
accompagnarti, ti avrei telefonato. Sapeva che amavo la nebbia, perché mi faceva provare emozioni arcane.
Sapeva anche che non avrei mai guidato attraverso quei muri bianchi.
Naturalmente, quando avevo guidato con la nebbia, mi era capitato di sentirmi
alla guida di un aereo, perché la mia mente danzava e vacillava, come se mi fossi
trovata in mezzo alle nuvole, perciò avevo sempre rinunciato, per evitare il
peggio a me e a tutti quelli che mi fossero capitati a tiro.
Dopo una ventina di chilometri, verso il mare, la nebbia sembrò diradarsi
sempre più, ed infine incontrammo solo banchi che sfumavano verso il cielo. Poi
lo Stork, avvolto in una nuvola di nebbia, sembrò essersi tramutato nel castello
delle streghe, lasciando intravedere forme arcane dove grappoli di luci
brillavano contro i pioppi dai rami neri, alti e nudi, che facevano pensare a
braccia spettrali che s’innalzavano nel cielo.
Era bello vedere quelle nebbie che salivano volando come se lo Stork fosse
svestito della sua veste color grigio perla, che si perdeva nel nulla, a contatto col
cielo plumbeo e scuro.
- Eh! Ti sei per caso addormentata? Non hai fiatato, mi hai lasciata sola a
combattere questo mostro grigio! - Volevo che ti concentrassi sulla guida, per essere certa di giungere sana e
salva, all'incontro col mio principe del dolore. - Viola stava parcheggiando,
quando scoppiò in una risata frenetica, poi brontolò:
- Sei terribilmente tragica, questa sera! Spiegami perché lo chiami così. - Gabriele non ha mezze misure, non riflette sulle cose, si lascia sprofondare
nel dolore più totale, senza ragionarci sopra e, così facendo, riesce a coinvolgere
anche me, attraverso la telepatia, nelle sue pene e passioni. -
- Insomma, non vorrai forse farmi credere che hai incontrato “Super Man?”.
- Come al solito non hai capito. Intendevo affermare che Gabriele riesce a
trasmettermi il suo stato d'animo attraverso il contatto telepatico. Comunque
per una scettica come te, non c'è niente da capire. Ci fissammo per un attimo, incominciai a ridere e Viola ne fu contagiata, così
mentre raggiungevamo l'entrata brontolò:
- Tu sei pazza da legare, ma quando la smetterai d’inviarmi frecciatine? - Finché non aprirai il tuo cuore ai miracoli divini che ti sbocciano intorno, le
mie frecciatine ti colpiranno sempre. Ricordati che la verità colpisce sempre nel
segno. - Ecco, Santa Maria Goretti mi ha spedito un’altra frecciata! - Scoppiammo
in un’altra risata fragorosa e notai due ceffi che ci fissavano interessati, poi uno
affermò divertito:
- Guarda come ridono le due pollastrelle! - L’altro sghignazzò:
- Penso che, se mettessimo le mani nella loro scatola nera, riderebbero ancora
di più.- Poi risero di gusto, allora brontolai:
- In un primo momento ho pensato alla scatola nera dell’aereo, poi ho capito
che ci troviamo di fronte a due volgari artigiani dell’amore! Scoppiammo a ridere divertite, mentre i due uomini ci fissavano senza
parole, e Viola esclamò:
- Ride ben chi ride ultimo! – Mentre i due ceffi ci fissavano delusi , noi gli
girammo le spalle ed entrammo nel dancing.
Intanto il cameriere c'indicò un tavolo libero, vicino all'orchestra. Erano
circa le 23.00 e la sala era piena di tipi strani, alla ricerca di ragazze, che
potessero soddisfare la loro voglia d'avventura. Osservavo quei giovani andare e
venire, quando sentii delle mani che mi toccavano i capelli dolcemente: era
Gabriele intento ad accarezzarmeli in silenzio, mi prese le mani, m’invitò ad
alzarmi e andammo a ballare nella pista. La musica romantica ci stimolò il
cuore, trasmettendoci un'emozione inebriante. Gabriele mi strinse dolcemente in
una morsa di piacere che mi fece rabbrividire. Poi, mentre mi cullava tra le sue
braccia, sussurrò:
- Amore mio, mi sei mancata in questi giorni terribili d’attesa! In questo
momento sono l'uomo più felice, anche se la paura di perderti mi tortura
continuamente. Lo ascoltavo in silenzio e pensavo quanto sia difficile la vita, vissuta nella
paura di perdere quello che si brama con tanta disperazione. In quel momento
ringraziavo Dio per avermi dato la possibilità di capire che si deve saper
accettare l'esperienza della vita nel bene e nel male, perché niente succede per
caso ma per la nostra maturazione interiore, quindi non dovremmo bramare
quello che non ci é destinato. Poi, con l'intenzione di farlo ragionare, affermai:
- Dovresti arrenderti al destino, accettando con fiducia il disegno Divino che
ti serve per la tua crescita interiore, così non soffrirai più tanto intensamente.
Poi devi ricordarti che non tutto il male viene per nuocere; quindi viviamo ora e
per il tempo che ci sarà concesso, le emozioni che ci trasmettiamo. La paura non
serve a niente, anzi blocca la tua crescita, facendoti perdere tempo e impedendoti
di evolvere. Finché non avrai compreso che in fondo il tuo è solo egoismo poiché
non rispetti le scelte degli altri e pretendi che tutto appaghi le tue brame, non
capirai che anche gli altri hanno dei sentimenti. - Riesci sempre a farmi capire quanto sono stupido! Ora mi vergogno delle
mie pretese. – Sorrisi e aggiunsi:
- Rilassati ora e accetta gli eventi che non puoi cambiare, perché niente
succede per caso. Gabriele mi fissò stupito e dopo una pausa ammise:
- Sei sicura che non hai sbagliato mestiere? Ti vedrei meglio in un convento! - Non sono nata per stare reclusa! Amo troppo la luce del giorno, il cielo, il
mare, la natura, il sole, il vento, la nebbia e tutto il creato. Un velo di tristezza gli apparve in viso, poi con un lieve sorriso che cancellò
quell'espressione oscura, sussurrò:
- Sei eccezionale! Mi piaci sempre più! Vorrei credere con la tua forza e la
tua fede, brilli come un diamante prezioso; tu hai il potere di trasmettere voglia
di vivere. Sorridendo risposi: - Anche tu riesci a trasmettermi qualcosa di
meraviglioso! - Ma cosa mai posso farti provare? - Riesci a trasmettere il tuo amore direttamente dentro il mio cuore. Credimi,
questo non è poco! Mi strinse forte a sé e mi baciò sulla guancia sussurrando: - Puoi anche non
credermi se vuoi, ma non ti cambierei con nessun’altra donna. Seria risposi: - Sai essere caro! E quello che mi affascina di te è la tua
modestia, così dolce e sicura che ti fa brillare di spontaneità! Queste sono le due
qualità che hai saputo conquistare attraverso la sofferenza. - Insomma! Voi due, la volete finire di tubare! È ora di ritornare verso casa, brontolò Viola alzandosi in piedi di scatto.
- Sentite ragazze, perché non andiamo a mangiare una pizza? - Buona idea - gridò Viola con l'acquolina in bocca.
Così ci avviammo verso l'uscita dello Stork. Seguimmo Gabriele che girò con
l'auto sulla strada che portava verso il mare. Dopo alcuni chilometri,
parcheggiammo vicino ad una pizzeria circondata da bellissimi alberi, che
s'innalzavano verso il cielo nero privo di stelle. Le luci uscivano dalle finestre e
danzavano sui rami, che brillavano come giade scure, nella notte fredda e buia.
Mi ricordai che avevo solo cinquemila lire e non potevo chiedere un prestito
a Viola, perché di solito aveva solo il necessario per lei. Non era un problema per
me, infatti a quell'ora non mi andava di mangiare. Così ordinarono una pizza ed
io solo un carcadè, che non avevano; mi vidi costretta a non consumare, visto che
non desideravo altro. Viola, mentre Gabriele si stava lavando le mani alla
toilette, domandò:
- Dimmi perché non bevi qualcosa con noi. C'è forse qualcosa che non va?
- Credo che tutto vada bene se tu hai abbastanza denaro da pagarti la tua
pizza e la birra che hai ordinato. Per quanto mi riguarda, mi sono dimenticata di
prelevare altro denaro. –
- Oh! Dio mio, aspetta che controlli quanto ne ho! Viola incominciò così a prendere della borsetta delle mille lire stropicciate e
vecchie, e stirandole un po', cercò di metterle una sopra l'altra, mentre
contavamo. Ella mi fissò negli occhi, poi brontolò seria:
- Ho solo diecimila lire! Ho paura che non basteranno! - Con le mie cinquemila lire arriviamo a quindicimila. Penso che sarà la
somma che serve! - Oh Dio, sta arrivando Gabriele! - esclamò Viola nascondendo il denaro
nella borsa.
- Non ti preoccupare per lui, è meglio che creda che siamo delle spiantate,
anzi facciamo in modo che lo creda! Nel frattempo Gabriele si sedette di fronte a me, era felice come mai lo era
stato da quando l'avevo incontrato. Arrivarono le pizze e mi domandarono se ne
volevo assaggiare, ma risposi:
- Grazie, ma non sono abituata a mangiare a quest’ora di notte. Intanto Gabriele raccontava a Viola le sue esperienze vissute in Spagna, in
maniera così pomposa da rendersi ridicolo; pensai che avrebbe fatto meglio a
starsene zitto. Mi chiedevo come mai Gabriele non capiva che, raccontando le
sue storie, rivelava tutti i suoi difetti. Lo vidi posare gli occhi sugli anelli di Viola,
che ne portava uno ogni dito della mano. Si fermò con la forchetta a mezza via
ed esclamò:
- Voi due dovete essere molto ricche, con tutto quell'oro che portate. Scoppiammo in una risata fragorosa ed esclamammo:
- Noi ricche, ma se non abbiamo nemmeno il denaro per pagare la pizza! - Allora laverete i piatti! Sapeste quante volte ho dovuto farlo io, quando non
avevo denaro per pagare. Seria affermai:
- Senti, caro Gabriele, questa sera ti trovi in compagnia di due poveracce e
non credo che ti rifiuterai di aiutarci, se ci mancheranno alcune mille lire,
perché noi, a quest'ora di notte, non abbiamo voglia di lavare piatti. Intervenne Viola decisa: - Dimmi, che tipo d'uomo sei che abbandoni due
signorine in difficoltà? - Non é una questione d'essere uomo o non esserlo, qui si tratta di averlo il
denaro. - Oh Dio mio! Scommetto che il padrone ci strapperà via dal polso i nostri
orologi, come fece quello spagnolo con la tua ragazza. - Mi dispiace Elisabetta, ma non hai capito niente. Vedi, gli italiani ti
mandano in galera, altro che strappare gli orologi o lavare i piatti - urlò Viola
ridendo.
- Quanto sei tragica - dissi - non succederà niente di tutto ciò, vedrai che ci
farà lo sconto. -
Mi girai e chiamai il cameriere, che venne subito. - Signore, vuole per
cortesia portarci il conto? Strappò un foglio dal suo blocchetto, me lo consegnò, si allontanò, buttai il
conto sul tavolo e sbottai:
- Avanti disperati, svuotate le tasche e pagate! Credo che per questa volta ve
la caverete! Tirai fuori le mie cinquemila lire e continuai: - Mi dispiace Gabriele, ma
questo è tutto quello che ho io! - Ah! Allora è vero che non avete il becco di un quattrino Viola intervenne mentre mi faceva l'occhiolino: - Te l'ho confessato che
siamo due spiantate, però sono più ricca di lei, infatti ho diecimila lire. - Allora va benissimo, con le venti che ho io gli lasciamo anche mille lire di
mancia. Meno male che non dovrò lavare piatti! Poi Gabriele gettò il denaro sul tavolo e corse ad aiutarmi ad infilare la
pelliccia, mi prese sotto braccio e, mentre Viola ci seguiva, gli chiesi: Scommetto che nella tua vita hai fatto anche il lava piatti! Vero? - Nella mia vita ho fatto di tutto! Sarei voluto diventare un chirurgo, ma non
mi sono impegnato troppo nello studio, così attualmente lavoro al centralino
dell'ospedale. - Allora mi hai raccontato una bugia! Tu mi hai assicurato che sei un autista
e che guidi l’autoambulanza - brontolai delusa.
- Certo, ho fatto l'autista all'ospedale per alcuni anni, poi mi sono stancato e,
quando il centralinista è andato in pensione, ho occupato il suo posto. Capisci
ora? - Scusami, ma nei tuoi discorsi c'è qualcosa che non va! - Beh, hai ragione, la verità è che vorrei tornare a fare l'autista, ma ora è un
po' difficile tornare indietro. - Credo che tu non abbia le idee chiare! Chissà, forse un giorno riuscirai a
capire te stesso e allora troverai la via - assicurai seria. Intanto il freddo ci stava
congelando, così dopo aver salutato Gabriele, noi ci rifugiammo veloci a bordo
dell'auto. Viola avviò il motore per riscaldare l'interno e si accese la solita e
immancabile sigaretta, che l'avrebbe accompagnata durante la guida. Partimmo
nella notte fonda, Gabriele ci seguì, perché per tornare a casa, doveva
percorrere la stessa strada. Giunte ad Alfonsine, Gabriele suonò il clacson due
volte, per salutarci e s'allontanò verso Ferrara.
- Credimi Viola, c'è qualcosa in lui che mi attira terribilmente, forse perché
egli è l’opposto di me. Sono certa che mi nasconde qualcosa di terribile, lo
capisco dai discorsi che fa, che non è un uomo di cui ci si possa fidare
ciecamente. - Ti prego di stare molto attenta. Non vorrei che ti facesse del male. È
simpatico, ma c'è qualcosa che non va in lui, lo capisco anch'io. Frenò, perché parlando stava oltrepassando la mia casa, fece marcia
indietro, ci augurammo la buona notte e lei ripartì. Avevo lasciato la luce accesa
nel giardino, i suoi raggi si spargevano sugli abeti, contro le foglie d'edera
bagnate dalla brina, che luccicava tutto intorno, dandomi la sensazione di essere
circondata da mille brillanti incastonati ovunque.
Mi soffermai un attimo ad osservare gli effetti meravigliosi della natura, in
quella notte d'inverno; aprii la porta velocemente e mi trovai avvolta in un
manto di calore che mi ridiede il respiro che avevo trattenuto fuori al freddo.
Salii le scale e, dopo aver depositato la borsa e la pelliccia nell'armadio, mi
svestii. Avevo appena indossato il pigiama quando notai la sveglia: erano le
quattro meno cinque. In quel mentre il telefono squillò, mi venne subito in mente
Gabriele. Corsi dall'altra parte del letto ed alzai la cornetta:
- Pronto. - Ciao! Spero di non disturbarti a quest'ora di notte, ma desideravo tanto
sentire la tua voce e parlarti un pò, così quando andrò a dormire, ti sentirò qui
vicino a me e ti sognerò. Esclamai felice: - Sei dolcissimo! Grazie per la sorpresa! - Non sai quanto felice mi fai! Vengo da te adesso, se tu lo vuoi, ho tanta
voglia di stringerti forte. - Mi dispiace Gabriele, non ti sembra di chiedere troppo? - Hai ragione, scusami, non volevo offenderti, ma vedi non posso trattenermi
dal chiedere quello che desidero. - Va bene, ti perdono, perché sento che sei sincero e ti prego d'esserlo
sempre, costi quel che costi, d'altronde devo ammettere che la tua spontaneità
m’attrae, perciò fai in modo di non nascondermi niente. Dopo un sospiro domandò: - Dimmi perché adesso mi chiedi queste cose. Mi
fai star male! - Non c’è ragione di star male, se non hai niente da nascondere. Non voglio in
ogni modo rovinare la serata, quindi ti prego di scusarmi e spero di cancellare
quel dolore che ti ho procurato e t'invio un bacio su quella parte del cuore che è
stata colpita. - La tua dolcezza mi ha strappato via il dolore, e ora sento di volerti ancora
più bene di prima. Spero che tu possa sentire quello che provo io per te. - Se sono rose fioriranno! Buona notte tesoro! –
- Scusami, ma prima di chiudere volevo invitarti per domani sera a mangiare
una pizza con me, nel bar ristorante dove spesso suono la chitarra con i miei
amici. - Rimasi in silenzio a pensare, allora Gabriele continuò:
- Ti prego, non mi dare una risposta negativa, altrimenti sto male; pensaci
prima, domani pomeriggio quando ti telefonerò mi dirai quello che hai deciso. - Va bene piccolo demonio! Gabriele scoppiò a ridere, poi concluse: - Buona notte, principessa! Mi piaceva quella sua spontaneità, il suo fare d'impulso quello che sentiva.
L'avermi telefonato a quell'ora di notte, solo per assicurarmi che aveva voglia di
sentire la mia voce, mi fece sprofondare in un'emozione che mi permise di
avvolgermi tra le lenzuola, con la presenza del suo pensiero che mi cullava in un
sonno dolce e profondo.
Il giorno dopo, mi svegliai con la sua presenza che s'imponeva nei miei
pensieri, accompagnandomi tutta la giornata in ogni luogo. La domenica
pomeriggio mi telefonò per sapere cosa avevo deciso. Quando gli dissi che ero
felice di vedere i luoghi e gli amici, con cui trascorreva molte notti a suonare
allegramente, esultò dalla gioia.
Verso le 21 udii il rombo dell'automobile fermarsi davanti casa mia. Accesi la
luce nel giardino, mentre stava aprendo il cancello. Percepii, dall'espressione del
suo viso, un filo d'emozione che mi fece rabbrividire di freddo, come una scossa
elettrica che ti fa sobbalzare al contatto. Gabriele s’avvicinò, mi baciò
delicatamente sulla guancia e mi sussurrò:
- Avevo tanta voglia di vederti! Credimi, è stato difficile aspettare fino a
questa momento, per vederti! Se dipendesse da me, starei sempre con te. - Per me è il contrario, da quando ti ho incontrato non mi hai mai lasciata
sola un attimo, sei sempre con me. - Che cosa intendi? - Possibile che tu non capisca che il tuo pensiero costante su di me penetra la
mia mente per mezzo telepatico, quindi ti sento sempre accanto a me? - Cara, continui a stupirmi! Soffrirei meno, se solo anch'io potessi sempre
sentirti così vicino. - Sei troppo concentrato a pensare a me, perciò non permetti alla tua mente
di ricevere messaggi telepatici. Entrai in casa e Gabriele mi seguì ammettendo: - Sei incredibile, se non ci
fossi bisognerebbe inventarti. Intanto s’incantò ad osservare le marionette indonesiane appese al muro, ed
esclamò:
- Tu possiedi una casa bellissima! Questi oggetti sono tutti orientali, vero? - Quasi tutti. Sai, amo molto la filosofia, la cultura, l’arte, gli oggetti, per me
l’Oriente è la mia pietra miliare. - Poi mi farai vedere la tua casa? - domandò mentre mi aiutava ad infilarmi
la pelliccia.
- Certamente, ti farò anche da cicerone, se vorrai! - Tu adesso stai scherzando, ma la tua casa è come un museo per me, e dovrai
veramente farmi da guida. Dovetti ammettere che non aveva torto: tutti gli oggetti li avevo acquistati in
giro per il mondo durante i miei viaggi sulle navi da crociera. Fuori un brivido
di freddo mi fece rabbrividire e Gabriele mi strinse a sé delicatamente, come per
ripararmi dal gelo.
Mi aprì lo sportello della sua auto e partimmo verso Ferrara. La voce di
Califano, in sottofondo, era accompagnata da una musica dolce e romantica, così
restammo in silenzio ad ascoltare.
- Ti dispiace se fumo una sigaretta? - domandò gentilmente.
- A bordo della tua auto puoi fare quello che vuoi! A casa mia non puoi! - Certo che sarà un sacrificio per me, non poter fumare a casa tua. - Siete tragici voi fumatori! Farai anche tu come fa Viola, se proprio non
resisti. Gabriele curioso domandò: - Spiegami che cosa fa. -
- Piuttosto che rinunciare al fumo, va fuori nel giardino, col freddo, il gelo e
la tempesta. T'assicuro che non rinuncerebbe al suo veleno, nemmeno a morire. - Tu non lo sai, ma per noi il fumo è la vita! - Mi dispiace, ma per voi il fumo è la morte! Preferite rischiare la vostra vita
e anche quella degli altri, piuttosto che rinunciare ai vostri vizi. Pensa quanto
siete egoisti! - Non hai torto! Il fumatore è come un drogato che non riesce a
disintossicarsi – ammise serio.
- Almeno tu ragioni! Forse se t'impegni riuscirai a smettere. Gabriele rallentò, poi si fermò in un bar sulla strada e m'invitò a bere un
aperitivo. Era un posticino semplice e accogliente, ci sedemmo ad un tavolo, in
una piccola stanzetta attigua al bar. Tutto intorno era rifinito in legno chiaro,
che illuminava ancor di più l’ambiente, dando una luce viva al luogo, tanto da
far pensare che fosse giorno.
Una giovane donna stava telefonando al suo amore, proprio dal telefono a
gettoni, situato nell'angolo della stanza. Parlava sottovoce, ci guardava male e
traspariva dal suo viso la rabbia che le provocava la nostra presenza. Mi sentii di
troppo, cosi bevemmo in fretta il nostro aperitivo, poi domandai a Gabriele di
andare via. Gabriele, dopo aver pagato, domandò:
- Hai molta fretta, perché? Forse non ti piace il posto? - Non hai capito che stavamo disturbando la ragazza che sta telefonando?
Forse non hai notato che ha fatto di tutto per farci andare via. - Ho notato che era un pò nervosa, ma non avrei certo pensato che
disturbavamo. Mentre salivamo sulla vettura, ammisi: - Dopo tutto è anche comprensibile!
Ti sentiresti disturbato anche tu, se mentre mi stai telefonando, arrivano degli
intrusi. - Hai ragione! Specialmente se ho voglia di dirti quello che sento per te. Sai,
penso che abbiamo fatto bene a lasciarla sola. - Gabriele poco dopo parcheggiò
l'auto vicino ad una costruzione rettangolare. Spiccavano violente le luci dalle
grandi finestre della strana pizzeria. Si capiva che era un luogo terribilmente
semplice e privo di lusso. Tutto all'intorno era privo di vegetazione, l'insieme
sembrava incolto e triste. Poi mi prese sotto braccio, dandomi un brivido
d'emozione in quella desolazione priva di verde.
Mi dava la sensazione che lui si sentisse orgoglioso di entrare con me
sottobraccio in quel posto poco piacevole. Entrammo, ed un coro di saluti si alzò
dai tavolini situati vicino ad un armadio a vetro che conteneva strumenti
musicali. Subito mi presentò ai suoi amici ed al barista, il quale assicurò che più
tardi avrebbero suonato quegli strumenti e cantato insieme.
Il proprietario ci fece scegliere il tavolo nella sala attigua al bar.
Ordinammo due pizze ai funghi e rucola e una bottiglia di vino rosso di
montagna. Mi abbandonai un attimo ad osservare quell'insieme di colori allegri
che ravvivavano la stanza, dando una luce accogliente e festosa. Le tovaglie rosse
con i piatti bianchi m'inviavano una nota di vivacità. Mi sentii a mio agio in quel
luogo che, in un primo momento, mi era sembrato tanto negletto. In quel mentre
arrivò il barista con una bottiglia di vino rosso. Gabriele m'invitò a gustarne un
pò per sapere se mi piaceva:
- È il tipo di vino che piace a me! - esclamai soddisfatta.
- Sono felice di aver indovinato il vino che ti piace! – ammise compiaciuto,
mentre s’apprestava a fare un brindisi con me. Il barista giunse dalla cucina con
le pizze, spuntavano le foglie di rucola cruda e il profumo ci stimolò l'appetito.
Avrei voluto iniziare a mangiare, ma il cameriere, con le sue battute simpatiche,
c'intrattenne a parlare. Era un bell’uomo alto, attraente, con baffi, capelli e
occhi neri.
- Buon appetito! - gridò allontanandosi da noi, sorridendo allegro.
- Molto carino quel tuo amico! – dissi mentre prendevo le posate in mano.
- Sai quante notti abbiamo trascorso insieme suonando, cantando, ridendo,
bevendo fino all’alba? È anche molto generoso, perché ad una certa ora della
notte ci offre il vino. Affermai scherzando: - Immagino che di solito sarete tutti ubriachi al
mattino, e il barista non sarà più in grado fare i conti, quindi diventa generoso. Gabriele rise divertito, affermando: - Potrebbe anche essere, ma non credo
perché lui è un vero amico. - Ti sei mai ubriacato? Egli sorrise: - Dimmi chi non si è ubriacato almeno una volta nella vita! - Beh, qualche volta potrà anche essere normale, ma poi se ci si abitua si
diventa alcoolizzati e diventa come una droga.- Veramente la droga è molto peggio! - rispose Gabriele preoccupato. Rimasi
di ghiaccio e lo fissai negli occhi.
Immediatamente sul suo viso apparve una maschera di dolore. Capii che
quelle parole gli erano sfuggite di bocca.
Poi Gabriele immaginò ciò che gli avrei chiesto e in quel momento percepii le
sue paure emergere con prepotenza.
Naturalmente mi faceva male vederlo così, ma lo stesso non rinunciai al mio
desiderio disperato di sapere la verità, perciò curiosa, domandai: - Ti prego
d'essere sincero e dirmi se ti sei mai drogato nella tua vita. Mi resi conto che quella domanda era stata per lui come una pugnalata al
cuore. Muovendosi nervosamente sulla sedia, emise un lungo sospiro, poi
domandò: - Vuoi veramente saperlo? Capivo il conflitto che lo torturava, avrebbe voluto dirmelo, ma la paura di
perdermi lo tratteneva con forza. Non potevo sopportare di tenerlo sulle spine,
soffrivo con lui, per il suo dolore che mi faceva soffrire, così risposi:
- No, non dirmelo! Non è più necessario. Un sorriso gli irradiò lo spirito resuscitandolo da quella morte apparente, che
per un attimo l'aveva paralizzato sulla sedia. Felice mi prese una mano, la baciò
appassionatamente e sussurrò dolcemente: - Vorrei essere l'uomo migliore del
mondo, solo per te. Credimi, lo vorrei con tutto me stesso. - Il desiderio è potere. Lo diventerai, se ti sforzerai e continuerai a
desiderarlo. -
- Desidero con tutto il cuore di stringerti forte, allora anche questo si
avvererà? - Dovrebbe, perché il tuo gran desiderio potrebbe coinvolgermi nella tua
spirale di passione, che è certamente contagiosa. - Veramente? - Per essere amati, bisogna prima di tutto dare se stessi e gli altri saranno
coinvolti nella tua passione. Come vedi sono già contagiata dal tuo morbo
disperato! - Una risata fragorosa attirò l'attenzione dei clienti, che si girarono
tutti e ci osservarono curiosi.
- Sai che sei anche simpatica, oltre a tutte le qualità che hai? - Svengo, se continuerai a farmi tanti complimenti! - Sarebbe bellissimo! Così potrei farti la respirazione con un bacio. - Soltanto con un bacio, senza il respiro, mi faresti morire. - Gabriele rimase
per un attimo senza parole, poi ridendo assicurò:
- Svieni e vedrai che ci penso io a farti risuscitare! - Scoppiai a ridere.
Poco dopo il barista ci informò che gli strumenti musicali erano pronti e che
ci aspettavano per dar inizio alla serata. Nel frattempo si udirono note di
chitarra vibrare nell'aria. Dopo il caffè, raggiungemmo gli aspiranti musicisti,
che già stavano strimpellando euforici motivi di cantautori italiani.
Si era formato un circolo di persone che ascoltava con interesse i tre
personaggi che cercavano di fare del loro meglio fra grida e urla allegre di
giovani che si agitavano in tempo di musica. Gabriele mi stringeva a sé, nella
morsa di quel cerchio umano che si serrava sempre più. Era circa mezzanotte,
quando i clienti del bar pizzeria iniziarono ad andarsene. Rimanemmo un
piccolo gruppo, che cambiò genere suonando “Country music”. Il più giovane
dei tre imitava molto bene l'intonazione delle canzoni “Country”, ma mi
chiedevo dove fossero finite le parole in inglese, perché non si capiva niente.
Poi fecero una pausa e il giovane Marco mi domandò se mi piaceva quel tipo
di musica, quando Gabriele intervenne:
- Elisabetta conosce molto bene l’inglese, e anche la musica Country. Lavora
da molti anni sulle navi da crociera ed è stata anche in Alaska. - Marco arrossì,
ed esclamò preoccupato:
- Santo cielo! Allora avrai capito che io non parlo inglese. - Non ti nascondo che nelle tue canzoni non ho capito una parola d’inglese,
peerò hai un buon orecchio, perché il tono è quello giusto ma di parole non se ne
capisce una. Tutti scoppiarono in una risata fragorosa, Marco si vergognò terribilmente,
arrossendo ancor di più. Capii che dovevo toglierlo da quell'imbarazzo, perciò
affermai::
- Non c’è niente da ridere, anzi Marco si merita un applauso, perché riesce a
cantare le canzoni Country, senza conoscere l’inglese. - Un forte applauso
esplose nella sala, seguito da grida e urla, poi io iniziai a raccontare:
- Dovete sapere che, quando si attraccava con la nave “Daphni” nel porto in
legno di Skagway in Alaska, andavo a bere un drink e ad ascoltare “Country
Music” con gli amici nel saloon di quel tipico paesino, costruito nello stesso stile
d’allora, dove le cameriere e i barman vestivano ancora con i costumi che
andavano di moda ai tempi dei cowboy per incentivare il turismo. Entrando in
uno di quei saloon era come se si tornasse indietro nel mondo del Far West
perché tutto sembrava perfetto come a quei tempi. Marco sorridendo esclamò eccitato: - Deve essere stupendo poter viaggiare il
mondo come fai tu! Gli misi una mano sulla spalla e, sorridendo, domandai ai presenti: - Adesso,
se me lo permettete, vorrei ascoltare Gabriele suonare e cantare da solo. Gabriele prese la chitarra che aveva posato poco lontano e annunciò
allegramente:
- Canterò “Hey Jude” dei Beatles. Un boato di urla e grida rimbombò nella sala, Gabriele iniziò a suonare e
cantare il suo pezzo. Dopo alcune strofe, sorpresa applaudii e tutti m'imitarono
urlando: - Bravo! Bravo! Dopo alcuni brani, visto l’ora tarda, lasciammo il gruppo che ci salutò
festosamente. Fuori il freddo mi trapassava con prepotenza ed un brivido mi
fece tremare, mentre correvo per ripararmi a bordo; Gabriele mi aprì
velocemente lo sportello, accese il motore e scaldò l'interno. Partimmo e, appena
fuori del paesino di campagna, mi domandò se mi ero divertita. Gli assicurai che
avevo trascorso una serata simpatica e diversa dal solito e che ora sapevo dove
egli trascorreva le sue serate a suonare.
Felice mi prese una mano e me la strinse forte; mentre mi fissava, fu preso
dall’emozione e tolse anche la mano sinistra dal volante avvicinandosi a me,
quando vidi che stava per investire un auto che procedeva nel senso opposto.
Feci appena in tempo ad urlare di prestare attenzione, che riuscì a prendere il
controllo dell'auto. Mi chiedevo come fosse possibile farsi trasportare al punto
da trascurare la guida a quel modo, perciò urlai arrabbiata:
- Spiegami come fai a guidare con tale leggerezza, sei forse impazzito? - È tutta colpa tua! Sei tu che mi fai perdere la testa! - Ti prego di fare attenzione! Altro che perdere la testa, qui si finisce all'altro
mondo, se non stai attento! Dopo un attimo di silenzio, intuii che Gabriele aveva capito e ora stava
riflettendo sulla sua imprudenza. Poi si girò verso di me e, mentre mi supplicava
di scusarlo, gli sbocciò un sorriso sulle labbra. Mi colpiva quel suo modo di
implorarmi con tanta passione e delicatezza. Poco dopo incredula, lo vidi per
l’ennesima volta alzare le mani sul volante e lasciarsi inebriare dalla passione.
Allora preoccupata sbottai:
- Metti le mani sul volante, per favore! – Gabriele scoppiò a ridere
affermando:
- Hai una bella paura! Non vedi che la strada è deserta? - Credevo tu lo sapessi che sulla strada non si scherza! Se non farai
attenzione, io non salirò mai più con te! - risposi arrabbiata.
Gabriele rimase in silenzio, poi rallentò e fermò l’auto vicino alla strada sulla
banchina. Poi mi strinse tra le sue braccia baciandomi con ardore. Scivolai in
una spirale di emozioni sconosciute ed indescrivibili. Poco dopo riaccese il
motore dell’auto e proseguimmo in silenzio su strade costeggiate da campi e da
case contadine, nei cui giardini brillavano le luci colorate degli alberi natalizi.
Una musica dolce ci accompagnava mentre Gabriele si fumava una sigaretta,
assorto nella guida. Approssimandoci al paese, ci apparve una lunga sequela di
alberi natalizi che si accendevano e si spegnevano ripetutamente sui balconi e nei
giardini delle case, nella notte buia. Giunti davanti a casa, Gabriele mi baciò
sulla guancia e mi assicurò che mi avrebbe telefonato il giorno dopo, per sentire
la mia voce. Lo salutai e rientrai in casa. Accesi la luce nell'entrata, chiusi la
porta a chiave e mi avviai su per le scale.
Sentivo la forte presenza di Gabriele che sembrava essersi radicata nella mia
mente. Era inutile tentare di pensare a qualcos’altro. Lo sentivo lì, aggrappato
dentro di me, con tutta la sua forza. Percepivo i suoi pensieri che sprofondavano
nella mia anima, come radici che affondavano sempre più nella carne.
Un’amarezza dolorosa mi confermava quello che avevo sempre saputo. Per
alcuni giorni ero riuscita a non pensarci, ma ora il problema mi si presentava
con prepotenza: lui era un ex tossicodipendente. Indossai il pigiama velocemente
e mi arrotolai fra le coperte, avevo solo voglia di dormire, per dar termine a quel
“feeling” doloroso che mi consumava nella veglia.
Dovevo riuscire a dormire, perciò mi ribellai a quei pensieri violenti che
combattevano contro di me, e tentai di raggiungere la fase del vuoto mentale.
Riuscii a sconfiggere i pensieri e scivolai in un sonno profondo. Riaprii gli occhi,
e vidi la luce del giorno che irradiava la stanza, il mio corpo era immobile:mi
sentivo fluttuare in una sensazione di piacere sconosciuto e rilassante; sapevo
che al minimo movimento avrei distrutto quella magica armonia. Riaffiorarono
nella mia mente i ricordi della sera prima. Scattai seduta sul letto, e le immagini
di un sogno incominciarono a comporsi l'una con 1'altra, costruendo davanti
alla mia mente questo messaggio: vedevo Gabriele prendermi in braccio e
trasportarmi con sé correndo veloce lungo un tratto di strada. Poi appariva
all'improvviso la Morte, rappresentata da una vecchia scheletrica, vestita di
stracci e arrabbiata che s’arrestava in mezzo alla strada, bloccandoci il
passaggio e imprecando infuriata con parole senza senso e un bastone alzato
contro di noi. Gabriele mi lasciava andare, lo lasciavo solo e mi vedevo
camminare in una bella strada bianca, larga e dritta. Vedevo Gabriele
sofferente, mentre s’arrampicava faticosamente su di una roccia che saliva a
picco.
Questo sogno m'indicava che Gabriele sarebbe riuscito a trascinarmi nella
spirale della sua passione, ma l'intervento di qualcosa di molto grave sarebbe
riuscito a spezzare quel forte legame che ci teneva assieme. Dopo tutto avevo
imparato ad arrendermi a quei fili divini che guidavano il mio destino. Sapevo
dentro di me che non si poteva combattere contro i mulini a vento, perché
n'avrei pagato le conseguenze.
Capivo che Gabriele era l’artefice delle sue sofferenze, perché si gettava
senza riflettere nelle sue illusioni e pretendeva a tutti i costi che gli eventi della
vita andassero per forza come desiderava lui. Quando i suoi sogni si
sgretolavano, si crogiolava nel dolore e nell'orgoglio. Capivo che la sua
immaturità ed ignoranza la pagava soffrendo. Ritenevo inutile tutto quel dolore,
perché bastava accettare gli eventi e capire che tutto serve per la propria
crescita interiore. Dì fronte alle difficoltà avevo sempre esclamato: “Sia fatta la
tua volontà, Padre Celeste e non la mia”. Mi vestii e, prima di andare in bagno,
tirai su le persiane e uscii sul balcone a rinfrescarmi nel freddo tagliente di quel
mattino nebbioso. Era magnifico vedere le punte degli alberi e le case sfumate in
colori pallidi, che sembravano danzare lentamente in quel mare grigio che
limitava lo sguardo. Il freddo pungente di quel mattino penetrò violentemente
nelle mie vesti, svegliando così il corpo, con un brivido di freddo, allora mi
rifugiai in casa.
TERZO CAPITOLO
LA TRAGEDIA
Mi resi conto che dovevo sapere tutto sul passato di Gabriele, perché con la
droga non si scherza, da essa può scaturire l'AIDS. Credo che l’uomo abbia dei
doveri verso Dio e se stesso, per questa ragione deve salvaguardare il tempio
della sua anima, che Dio gli ha donato con tanto amore. Sentivo in quel momento
una forma di disprezzo e repulsione, che s'impossessava della mia anima con
prepotenza.
Le parole di Gabriele mi martellavano nella mente, quella sua espressione,
“Vuoi veramente saperlo”? confermava quello che avevo sempre saputo. Attesi
con impazienza la sua telefonata e, mentre aspettavo, sentivo che quella sera non
avrei voluto incontrarlo.
In quel momento lo detestavo con tutta me stessa e pregavo Dio, nello stesso
tempo, perché non mi telefonasse, sapevo che se non mi calmavo sarei riuscita a
ferirlo. Improvvisamente il telefono squillò, era lui, lo sapevo, sentivo il suo
spirito di là del filo, impaziente di parlarmi. Presi su la cornetta con rabbia e
decisa a strappargli la verità. Poi la sua voce calma e appassionata sussurrò con
dolcezza:
- Ho tanta voglia di vederti, se potessi lascerei il lavoro e correrei da te! Tu
non sai quanta felicità mi dai. Stasera verrò da te. La sua voce mi calmò di colpo, ma dovevo affrontare il problema, quindi gli
domandai:
- Ti prego Gabriele, dimmi la verità, ti sei mai drogato in passato? Per un attimo il silenzio ci divise, poi si udì un respiro profondo, e la sua voce
prepotente tuonò:
- Spiegami chi nella vita, per una volta, non si è ubriacato, non ha fumato,
non si è drogato! Aveva pronunciato quelle frasi come se drogarsi e ubriacarsi fossero la cosa
più normale del mondo; il suo tono di voce sembrava volermi dire: “ Possibile
che tu non sappia che nella vita queste cose si devono provare almeno una
volta”? Mi chiedevo come si potesse essere così poco responsabile, in quel
momento sentii un forte disprezzo mescolarsi ad una compassione profonda, che
egli percepì immediatamente, poiché udii la sua voce addolorata implorarmi:
- Ti prego, non mi lasciare, ho bisogno di te! - Non risposi e lui continuò
disperato:
- So già che questa sera non potrò vederti, perché tu non vuoi vedermi! Quella frase espressa con tanta infelicità mi colpì direttamente al cuore, ma
in ogni caso sapevo che avevo bisogno di riflettere e capire che cosa veramente
volevo, perciò risposi sicura:
- Hai ragione Gabriele, ho bisogno di restare sola questa sera, ti prego di non
insistere! - Posso almeno telefonarti? Tu sai che ho bisogno di sentire la tua voce, non
mi dire di no, ti supplico! Non volevo farlo soffrire, perché sapevo che aveva già sofferto troppo, allora
affermai:
- Non ti sto lasciando, se vuoi puoi telefonarmi. Dall’altra parte del filo si udì un sospiro di sollievo, accompagnato dal grido
del suo pappagallo, che sembrò accompagnarlo.
- Non senti che anche il mio pappagallo sta soffrendo con me, ricordati ti
prego, che quando vorrai, saremo qui ad aspettarti - esclamò tristemente
Gabriele, mentre scoppiavo a ridere divertita. Udii il rumore delle ali del volatile
sbattere contro la gabbia, mentre fischiava allegramente, allora domandai:
- Non sarai per caso dentro la gabbia, perché mi sembra di sentirlo al
telefono con te? - La mia piccola è a due passi dal telefono, ecco perché la senti così bene.
Almeno lei mi ama sempre, non ha tanti dubbi come hai tu. Poi non mi fa
soffrire, come fai tu. - Ascoltami bene Gabriele, sarebbe bene che cercassi di non innamorarti di
me, perché non è facile conquistarmi. Credimi, voglio che tu possa difenderti da
me. Ricordati che l’uomo avvisato è mezzo salvato! - Credi forse che non abbia capito, lo so che non è facile conquistarti, ma ci
devo provare con tutte le mie forze, poiché tu mi hai stregato dal primo giorno
che ti ho visto scendere dall’auto con la tua figura sinuosa, il modo di
camminare, i movimenti. Credimi, era tutto quello che volevo in una donna. Lo
vuoi capire che non ti cambierei con nessuna donna al mondo? - Tu mi lusinghi con tutti questi complimenti, ma ti prego di fare un piccolo
sforzo scacciandomi dal tuo cuore, finché sei in tempo. - Ho tanta paura di perderti, credimi e quando mi parli così tu mi torturi! - È tutta colpa tua, perché prendi le cose con prepotenza e ti fai prendere
dalla passione, al punto da coinvolgere anche me. Nella vita però, si devono
anche rispettare le decisioni degli altri, visto che non si può sempre avere ciò che
desideriamo. Dopo un sospiro brontolò: - Ora ti saluto, visto che diventi sempre più cattiva
ed io non ho parole per combattere la tua guerra. Ricorda però, che sarai
sempre nei miei pensieri e, se tu lo vorrai, potrò darti tanto amore. Infine Gabriele lasciò cadere la cornetta del telefono ed un'emozione di
tristezza s'impadronì di me: mi sembrò di percepire il suo dolore e disperazione.
Avrei voluto telefonargli per assicurargli che anch’io avevo bisogno di lui, ma
non lo feci, poiché pensavo che sarebbe stato meglio lasciarlo.
Sapevo che Gabriele aveva molto da nascondere, le tragedie della sua vita lo
avevano trasformato, ma non abbastanza da farlo diventare un vero uomo.
Senza dubbi aveva imparato ad essere umile e gentile, ma le sue debolezze non si
nascondevano e l'ingenuità a volte sembrava quella di un bambino poco
intelligente. Molto spesso aveva comportamenti anomali e mi chiedevo se la
droga non gli avesse lesionato il cervello.
Non aveva nemmeno capito che era riuscito a coinvolgermi nella sua grande
passione, perché il dolore, la disperazione e tutti i suoi sentimenti m'aggredivano
trasmettendosi a me attraverso la telepatia. Non avrei voluto ricevere i suoi
messaggi, perché mi legavano sempre più a lui, e sentivo che non potevo
abbandonarlo, ma dovevo colmare quella sua mancanza d'affetto che tanto
bramava. In quei giorni la confusione s'impossessò di me.
Dovetti ammettere a me stessa che, mai nella mia vita, avevo provato
sentimenti tanto sconvolgenti. Gabriele aveva affermato che l'avevo stregato, ma
credo che senza rendersene conto anch’egli faceva opera di malìa su di me,
attraverso la comunicazione telepatica. Nei giorni successivi mi telefonò più volte
e gli spiegai che non saremmo più usciti insieme e che non aveva senso che egli
mi telefonasse, giacché non potevo dargli quello che cercava.
Gabriele rispose che si sarebbe chiuso in casa ad aspettare che lo chiamassi,
avrebbe ordinato un’altra volta alla madre di rispondere al telefono e di
disturbarlo solo in caso telefonasse una certa Elisabetta. Mi assicurò anche che
non mi avrebbe più cercato, se non lo avessi fatto e che lui, il suo cane Plutarco e
il pappagallo non avrebbero perso la speranza e avrebbero atteso che mi facessi
viva.
I giorni trascorrevano lenti, le sue telefonate mi mancavano disperatamente,
ed il dolore sembrava straziare il mio cuore coi suoi continui richiami, che
m'impedivano di pensare ad altro. Il Natale era vicino e il mio albero di Natale
s’illuminava mentre passeggiavo vicino al telefono con la speranza di sentirlo
squillare. Sapevo comunque che Gabriele avrebbe mantenuto la sua parola.
Parlai con mia sorella e, quando Rossana capì che anch'io avevo bisogno di
lui ma non volevo ammetterlo, affermò che ero stupida, perché anche se si era
drogato qualche volta, non era una tragedia. Spesso le persone che hanno
sofferto molto evolvono più in fretta di altre che non si sono mai drogate.
Nonostante il suo consiglio, mi trattenevo sia pure contro la mia volontà.
Il giorno dopo digitai alcune volte il suo numero di telefono, ma prima che
squillasse agganciavo la cornetta e fissavo l'albero di Natale; mi sembrava di
sentire la voce di Gabriele che m'implorava di chiamarlo. In quel momento mi
sentii perseguitata dalla sua passione e dai pensieri che non mi permettevano un
attimo di respiro, perché mi sentivo prigioniera della sua mente.
Sapevo che l'unico modo per liberarmi da quel legame invisibile che mi
tormentava era telefonargli. Distolsi lo sguardo dalle luci dell'albero di Natale e
m’avvicinai alla porta di vetro che si affacciava sul giardino e mi accorsi che era
sceso il buio. Le ombre degli abeti immobili tra la nebbia, sembravano fantasmi
dalle forme scure e minacciose. Un brivido di freddo mi colpì alla schiena, tornai
al telefono e digitai il numero di Gabriele. Il cuore mi batteva forte, una voce di
donna rispose e mi pregò di aspettare un attimo, che lo avrebbe chiamato. Si
sentirono dei passi allontanarsi di là del filo, si udirono anche i fischi del
pappagallo, e Gabriele senza fiato sussurrò:
- Oramai non ci speravo più, anche se pregavo Dio che mi concedesse questa
grazia! - Strana la vita, vero, io stessa non ci credevo, ma eccomi qui, a far si che la
tua grazia si avveri. Scusami un attimo, non mi hai sempre detto che tu non
credi? - Si, è vero, non credo in Dio, ma quando soffro mi ritrovo ad invocarlo. -
- Non posso fartene una colpa, questo è il tipico comportamento maschile,
agite così perché l’orgoglio sovrasta la vostra intelligenza. - Probabilmente sarà così. Ora però ho tanta voglia di vederti, va bene alle
otto a casa tua? - Mi chiedo se hai visto quanta nebbia è scesa ! - esclamai preoccupata.
- Non c'é nebbia che tenga, verrei da te anche se ci fosse il maremoto! - Allora ti prego di fare attenzione, perché morirei se ti succedesse qualcosa. - Starò attento, perché ho tanto bisogno di vederti e stringerti forte, forte a
me. Ciao, a fra poco. Ero emozionata, entro poche ore lo avrei rivisto, il cuore palpitava di piacere
e felicità, ma mi sentivo anche nervosa ed impaziente, sapevo che gli avrei
chiesto di confessarmi tutta la verità, e questo mi rendeva terribilmente
irrequieta.
Decisi di farmi un bagno con sali rilassanti per calmarmi. Salii al piano
superiore, aprii il rubinetto e, mentre l'acqua scorreva, versai i sali nella vasca.
Tirai la tenda rosa e dalla finestra vidi piccoli bagliori di luce, che tentavano di
penetrare la nebbia che era scesa fra le case dei vicini. Incominciai a svestirmi,
poi entrai nell'acqua calda e profumata.
Mi rilassavo mentre osservavo le piante di ciclamino rosa disegnate sulle
piastrelle del bagno. I rubinetti d'ottone brillavano come se fossero d'oro
zecchino, il bianco ed il nero del rivestimento tutto intorno e le pedane rosa si
mescolavano alle mie emozioni, che sembravano esprimersi in note allegre e poi
tristi, combinandosi in un cocktail che mai avevo provato. Attorno regnava il
silenzio, mentre nella mia mente la rivoluzione si stava trasformando in una
fredda danza di guerra.
Qualcosa dentro di me si ribellava prepotentemente, dovevo sapere a tutti i
costi, ora sentivo che l'avrei obbligato a raccontarmi tutto, mi ero stancata di
stare sulle spine per un dubbio che sentivo divamparmi in una verità lampante.
Mi chiedevo perché un sentimento così profondo dovesse rischiare di essere
distrutto dal suo passato. Questa realtà mi faceva male, poiché sapevo che poteva
non esserci rimedio.
Cercavo di sdrammatizzare la cosa con mille pensieri mescolati alla
confusione, intonando una canzone romantica per eliminare così la disperazione.
Con sorpresa riuscii anche a fischiettare, cosa strana che non avevo mai fatto,
perciò pensai che forse stavo uscendo di senno, giacché non mi riconoscevo più.
Naturalmente dopo i sogni che avevo avuto e che reputavo premonitori, ero
certa che fosse stato un tossico dipendente. Lentamente uscii dalla vasca da
bagno, mi asciugai nervosamente, guardai tra gli specchi dell'armadietto bianco
e i miei occhi apparvero avvolti in un’espressione triste e senza speranza. Non mi
piacevo con quella maschera che sembrava aver cancellato la mia vivacità,
ripresi a cantare una canzone allegra con smorfie e ghigni che mi fecero
sorridere divertita.
Pensai che amavo troppo la mia ilarità, perciò niente e nessuno doveva avere
il potere di trasformare il mio buonumore. Avrei affrontato Gabriele con
tranquillità e senza drammatizzare. Poi mi resi conto che avevo esagerato; nella
mia vita avevo affrontato qualsiasi problema con forza, sapendo che tutto quello
che mi capitava, serviva al mio spirito per crescere interiormente. Dovetti
ammettere a me stessa che Gabriele era quasi riuscito a farmi andare in tilt. Ora
però, grazie a Dio, ritornavo sui miei passi.
Dovevo anche riconoscere che se i sogni che avevo avuto erano premonitori,
come credevo, allora dovevo accettare l’esperienza fino alla fine con intelligenza,
poiché non doveva preoccuparmi che la storia venisse interrotta e finisse, ma era
d’estrema importanza ciò che avremmo imparato, in quel tratto di strada
percorso insieme. Accesi la luce nella mia stanza da letto, il bagliore del
lampadario brillò di colpo, contro la tenda di raso, che dall'altezza del soffitto
cadeva in una cascata di scintillii dorati sulla spalliera del letto d’ottone.
Aprii lo sportello dell’armadio e scelsi un vestito rosso, perché so che i colori
hanno un'importanza vitale sullo spirito umano e volevo così presentarmi a
Gabriele con una nota d’allegria. Ero quasi pronta, quando sentii il rombo di
un'auto spegnersi davanti a casa mia; udii lo sportello dell’auto sbattere e dei
passi avvicinarsi al mio cancello. Allora in fretta mi passai il rossetto sulle
labbra, terminai di vestirmi e scesi le scale.
Poco dopo accesi la luce nel giardino e lo vidi venirmi incontro felice.
Gabriele era molto elegante e i colori scuri che indossava facevano risaltare il
suo viso particolare. I suoi occhi brillavano di gioia mentre mi salutava in
silenzio, baciandomi le mani. Notai immediatamente le occhiaie scure, che
dimostravano le notti di veglia trascorse a soffrire nell’attesa della mia
telefonata. Entrammo in silenzio nel salotto, Gabriele osservò con stupore i due
ventagli indonesiani appesi alle pareti, poi corse con lo sguardo al caminetto
bianco rifinito in marmo nero e mormorò:
- Stupefacente, la tua casa è misteriosa quanto te. Gabriele si muoveva qua e là nella stanza, guardando con curiosità gli oggetti
che avevo comprato in giro per il mondo, alzò lo sguardo verso di me e
avvicinandosi mi prese le mani e con ammirazione sussurrò: - Dimmi, porterai
anche me, qualche volta, nei tuoi viaggi? Non ci fu tempo per la risposta poiché mi strinse a sé e mi baciò
appassionatamente. Il fuoco mi bruciò dentro, non avevo mai provato tanti
“feelings” insieme da farmi sentire mescolata alla sua essenza. Gabriele mi
strinse ancora più forte e sospirando ammise: - Amore mio, sei bellissima!
Sapessi quanto mi sei mancata, ho tanto bisogno di te e ti desidero con tutto me
stesso, anche se la paura di perderti mi consuma. - Tesoro, dobbiamo saper accettare il nostro destino, perché comunque andrà
come deve andare per il nostro bene. Fidiamoci quindi del disegno divino creato
per la nostra crescita interiore. - Forse hai ragione, ma non posso fare a meno di soffrire, lo capisci questo? Dopo una pausa risposi: - Il dolore serve a far riflettere e a capire che
soffriamo tanto solo perché spesso siamo egoisti e vogliamo solo ciò che ci fa
piacere. Dopo una pausa ammise: - Lo sai che hai ragione! Scherzando esclamai: - All’improvviso, mi diventi un illuminato! Scoppiammo a ridere divertiti, poi aggiunsi: - Gli eventi futuri si creano con i
nostri desideri, che si realizzano attraverso le azioni, che avranno una relazione
di causa effetto; quindi ognuno di noi é responsabile del suo futuro, ragione per
cui non dobbiamo lamentarci se le cose vanno male, o sentirci dei martiri. -
Serio Gabriele ammise: - Allora non ci siamo. Continuai imperterrita: - Perciò credo che le tue paure vengano dal tuo
passato, pieno d'errori e ricordi terribili e, dal momento che inconsciamente sai
che non puoi sfuggire alla conseguenza delle tue azioni, ti fai prendere dal
panico. Gabriele mi guardava in silenzio, mentre mi avvicinavo all'armadietto per
prendere una bottiglia di Porto e due bicchieri; sembrava sapesse che stavo per
interrogarlo, mi guardava come se stessi per condannarlo a morte. Versai del
Porto nei calici, mentre mi fissava negli occhi preoccupato, poi allungò una mano
e si portò il bicchiere alla bocca, allora gli domandai a bruciapelo:
- Per quanti anni ti sei drogato? Alzò il viso verso di me e tossendo esclamò: - Per circa otto anni ! Lo fissai inorridita e senza parole; mentre si avvicinava tentando di decifrare
i miei pensieri, percepivo la sua paura di avermi perso per sempre, allora
borbottai: - Bravo, dopo tutto sei sincero. - Ti ho detto la verità, ma ora so che ti perderò! - esclamò sospirando.
- Se tu continuerai a essere sincero con me, le cause effetto saranno buone,
perciò calmati e dimmi se ti droghi ancora. Non potevo certo raccontargli che avevo visto in sogno la separazione e che
sapevo che il nostro amore non sarebbe stato eterno. Poi Gabriele sospirando
rispose: - Si vede che non t’intendi di droghe, altrimenti non mi avresti fatto
questa domanda. - Con ciò cosa vuoi dire? - Vedi, se io mi “facessi” ancora, te ne accorgeresti subito, perché sarei
talmente “preso” da non accorgermi di te; un uomo drogato è incapace d'amare,
poiché è finito in un’altra dimensione... - Da quanto tempo hai smesso? - Da circa tre anni. - Dimmi perché hai incominciato a “farti” - A quei tempi andava di moda, noi giovani eravamo tutti fans dei grandi
musicisti inglesi e americani d’allora, seguivamo l’esempio dei nostri idoli. Così
ci si drogava con l'illusione d’imitarli. La mia passione per la chitarra mi è
venuta dal famoso chitarrista Jimmy Endrix. Ero un suo accanito ammiratore Lo guardai con disprezzo, non potevo credere alle mie orecchie, distruggere
la propria vita per una moda. Un forte desiderio di mollargli due schiaffi
s'impadronì di me. Naturalmente non sarei mai arrivata a tanto, ma disprezzavo
con tutte le mie forze quella leggerezza ed incoscienza con cui aveva agito nel
passato, senza pensare al male che faceva a se stesso e agli altri. Con uno scatto
di rabbia brontolai:
- Certo che a quei tempi eravate un branco di fanatici senza materia grigia. Gabriele mi puntò i suoi occhi tristi pieni di vergogna e dolcemente sussurrò:
- Ora so che tu hai ragione, ma allora eravamo come ipnotizzati da questi
idoli dello spettacolo, che ci facevano sognare ad occhi aperti. - Purtroppo, l’ignoranza trascina l’uomo nell’illusione. -
Avevo imparato a dire quello che pensavo, perciò gli risposi con tono duro.
Intanto aveva parato il colpo dicendo:
- Bisogna anche saper incassare, quando si sa di aver torto marcio. Quell'espressione dimostrava la buona volontà ad espiare le sue colpe e
quindi mi liberò dal malumore. Intanto Gabriele mi sorrideva con ingenuità e
sembrava immerso nella sua innocenza più pura. Era certamente un’illusione,
poiché otto anni nella droga l'avevano senza dubbio trascinato nella delinquenza
e chissà quanti furti egli aveva commesso. Mi era molto difficile digerire tutto
questo, ma il suo amore colmava il mio cuore carente d’affetto. Poi curiosa
domandai:
- Raccontami come guadagnavi il denaro per comprare la droga Emise due lunghi sospiri e, senza nascondere l'imbarazzo, si lasciò andare sul
divano ed esclamò:
- Ho incominciato a Salsomaggiore come gigolo! - La cosa mi fece ridere,
perché non me l’aspettavo, allora chiesi:
- Stai scherzando? - Tu credi che potrei scherzare su queste cose? - Insomma, che ne so, a volte parli del tuo terribile passato come se ti sentissi
un eroe. - Sei incredibile, non mi risparmi niente, in ogni modo me lo merito. - Dopo tutto non ti puoi lamentare, stai raccogliendo i frutti di ciò che hai
seminato nel tuo passato, se non altro li sai accettare con intelligenza. Questo
indica che la lezione che hai avuto è servita a qualcosa. Ora vuoi raccontarmi
come svolgevi la tua professione di gigolo? - Beh! Corteggiavo le vecchie racchie, che mi pagavano con dei regali, che io
poi vendevo per comprarmi la droga. - Certo che ci vuole uno stomaco da leone per fare del sesso con qualcuno che
non ami. Gabriele mi guardò indeciso, non sapeva se piangere o ridere, poi con tono
allegro aggiunse:
- Ero di stomaco buono, poi quando uno si trova intrappolato nella ragnatela
della polvere bianca, é disposto a tutto pur d'averla. C'è chi prostituisce la sua
donna, per guadagnare il denaro da comprarla. - Tu l’hai mai costretta? - No, ero più furbo. Avevo una ragazza stupenda, la mandavo a adescare
qualcuno, poi con la scusa che molta gente dopo il rapporto scappava senza
sborsare, si faceva pagare subito. La seguivo e quando vedevo che aveva
intascato in anticipo, intervenivo con fare aggressivo, facendo la scena del marito
tradito: il malcapitato, preso dal panico, scappava a gambe levate senza pensare
al denaro. Avevo ascoltato in silenzio il piano che aveva studiato; comunque mi colpì
l’orgoglio con cui Gabriele raccontava le sue miserie, perciò con tono sarcastico
sghignazzai:
- Veramente un trucco da professionisti del crimine. -
- Dopo tutto riuscivo a far funzionare la baracca, senza prostituire la mia
ragazza e tutto questo non era poco. - Spiegami, quando non era possibile far cadere qualche fesso nel vostro
tranello, che cosa combinavate? Gabriele mi fissò e dopo una pausa rispose:
- Spesso organizzavamo dei furti, i nostri ricettatori compravano la merce
rubata. Egli mi raccontava le sue terribili avventure, senza battere ciglio, pareva
raccontasse le malefatte di un altro. Nel suo viso non si leggeva la minima
espressione di vergogna e, nonostante lo guardassi allibita, aveva anche il
coraggio di riderci su. Mi chiedevo se Gabriele fosse così furbo da volermi far
credere che ogni tanto si sentiva colpevole solo per farmi notare che non era più
lo stesso. Dopo alcune risate, infatti, il suo viso si trasformò in una maschera di
dolore, mi prese una mano e stringendola forte esclamò:
- Ora ho tanta paura di perderti! Credimi, io sto male da morire! - Beh, se morirai andrai nell’altra dimensione, così almeno finiranno le tue
sofferenze a contatto con la materia. Con quella battuta riuscii a raffreddare il suo impetuoso turbamento, poi
cambiando espressione disse:
- A questo proposito posso raccontarti un evento strano che mi è capitato
durante un incidente stradale. Poco fa ti sei presa gioco di me, ma so che credi
nell'aldilà, per questo vorrei che mi spiegassi che cosa mi capitò quella sera
maledetta. - Sono curiosa, racconta. - Una domenica sera stavo andando al mio primo appuntamento con Rosa e,
mentre correvo all'appuntamento a tutta velocità, la mia auto sbandò verso il
centro della strada e andò a sbattere contro una vettura che veniva in senso
contrario. L'impatto fu terribile, mi resi conto che stavo osservando la scena
dall'alto, non riuscivo a capire come potessi vedere il mio corpo svenuto fra
quelle lamiere contorte, quando mi trovavo sopra alla scena.
Poi un brivido di strane sensazioni si impossessò di me all'improvviso,
sentivo d'essere leggero come l’aria, quando il mio sguardo cadde per la seconda
volta sul mio corpo imprigionato fra i rottami dell'automobile. Mi chiedevo che
senso avesse sentirmi per aria senza alcun dolore, avvolto da un piacere
indescrivibile, quando il mio corpo sembrava senza vita imprigionato da una
massa di lamiere. Un attimo dopo, mi sentii risucchiare da una spirale d'energia,
che mi trascinò contro la mia volontà, verso il mio corpo, e da quel momento
finii di esistere. Quello è l'unico ricordo di quell'attimo. Mi svegliai quattro
giorni dopo in un letto d'ospedale. - Straordinario ! - mormorai felice, mentre Gabriele riprendeva a parlare:
- Poi mia madre mi assicurò che ero stato quattro giorni in coma e che la
ragazza che avevo coinvolto nell'incidente doveva sposarsi l'indomani di quel
terribile scontro, ma che per colpa mia, n'avrebbe avuto ancora per un mese.
Ora però spiegami che cosa mi accadde dopo l’incidente. - Avrai senza dubbio sentito parlare del Dr. Raymond A. Moody - Veramente non ne ho mai sentito parlare. -
- Ci si accorge facilmente che leggi poco! Ad ogni modo il Dottor Moody ha
scritto una serie di libri, a proposito di ricerche che ha fatto su persone morte
per qualche minuto, dopo un infarto, oppure durante incidenti stradali. - Intendi, forse, che quella sera ero morto? - Se non eri morto per qualche minuto, eri in coma, altrimenti il tuo spirito
non sarebbe uscito dal corpo. Gabriele mi guardò pensieroso, poi affermò: - Ora capisco! Vuoi spiegarmi
come fai tu a sapere tutte queste cose? - Anch’io ho avuto esperienze fuori dal corpo. Ci sono comunque delle
tecniche di respirazione, che riescono a liberare lo spirito dalla prigione del
corpo. A volte però, esce quando meno te lo aspetti, nella maniera più naturale
possibile, per esempio quando il corpo è totalmente rilassato e durante il sonno. Gabriele, con occhi sgranati, interrompendomi, domandò: - Spiegami com’è
possibile. - Ci sono momenti di stanchezza che permettono di rilassarsi profondamente,
così da permettere la fuori uscita dello spirito dal corpo; in altri casi ci sono
individui dotati che possono uscire dal loro corpo quando vogliono. In quattro
occasioni anch’io sono fuoriuscita, ma la prima volta quando ho capito che
fluttuavo con lo spirito sopra il mio corpo, mi sono emozionata terribilmente,
provocando un violento rientro. Credo che riuscirò a vivere tale esperienza, solo
quando sarò capace di sopportarla nel modo più naturale possibile, senza essere
traumatizzata dall'emozione. Dopo una pausa Gabriele ammise:
- Certo che se non avessi io stesso vissuto quell'esperienza, ora penserei che
tu sei pazza. Devo ammettere che tutto questo ha dell'incredibile, anche se credo
che la tua ipotesi sia la più probabile. - Scusami, ma non ho parlato d'ipotesi, ma di realtà, anche se non è facile
crederci; queste cose sono nate con l’uomo e al riguardo esistono molte
testimonianze che sono state tramandate ai posteri, ma nonostante tutto, l’uomo
rimane cieco. Sono convinta, ad ogni modo, che un giorno la scienza potrà
provare l'esistenza dell'anima.
- Non ci credo! Non è facile provare ciò che non si vede. - I limiti e la cecità esistono solo nelle menti poco evolute, quindi quando il
progresso scoprirà i misteri divini, a quel punto si potrà inventare macchine che
raggiungeranno la velocità della luce. - Vuoi spiegarmi che cosa c'entrano le macchine con lo spirito? - domandò
Gabriele curioso.
- Lo spirito, quando esce dal corpo, può raggiungere velocità immense da
toccare pianeti lontani nell’universo in pochi minuti, così quando gli scienziati
scopriranno come funziona, creeranno astronavi che trasporteranno gli uomini
in altri pianeti, in pochi mesi. - Certo che sei incredibile, con le tue teorie. - L’evoluzione è lenta su questa terra, purtroppo, ma si arriverà a scoperte
sensazionali, infatti credo che esistano altri pianeti nell’universo, dove sono stati
raggiunti livelli d’evoluzione impensabili.-
- Spiegami come fai tu a saperlo - Non crederai che siamo soli nell'universo, altrimenti devo pensare che sei
un limitato presuntuoso. Credi forse che tutti gli avvistamenti d'ufo, di cui si
legge sui giornali di tutto il mondo, siano solo fantasie? Intendo affermare che
quando si asserisce qualcosa d'incredibile, lo si fa per due ragioni. - E quali sono le ragioni? - domandò impaziente Gabriele girandosi di scatto
verso di me.
Dopo una pausa continuai: - Probabilmente perché si è veramente pazzi,
oppure perché quando si dice la verità si ha la forza e il coraggio di ammetterla a
qualunque costo: la verità contiene un’energia che conduce l’uomo evoluto a
riconoscerla, mentre la confusione e la cecità nascono nelle menti che devono
ancora percorrere un certo percorso, per poterla riconoscere. - Il tuo discorso non fa una piega, ad ogni modo, se gli uomini non vedono,
non credono. - Se la loro anima è giovane, non hanno ancora raggiunto il giusto livello
evolutivo per distinguere, quindi anche se vedono non credono. Per esempio, se
tu mi racconti una bugia, a livello intuitivo lo saprei. Gabriele diventò triste e cupo e dopo alcuni sospiri ammise:
- Non posso non riconoscere che sei molto saggia! Ho ancora molte cose da
confessarti, però ti prego di aspettare ancora qualche giorno, perché ora non me
la sento e poi è tardi, devo andare a casa. A questo punto Gabriele si alzò dalla poltrona, allungò una mano, prese il
calice, lo portò alla bocca, sorseggiò velocemente il resto del Porto, e si avviò nel
corridoio. Lo seguii in silenzio, mentre prendeva il cappotto dall'attaccapanni e
lo indossava ammettendo:
- Il mio passato mi fa paura, è come un fantasma che mi perseguita ovunque,
senza la speranza di poterlo cancellare con un colpo di spugna. Credimi, è una
tortura che mi presenta il conto ogni volta che m'innamoro, perché il mio è il
marchio del disonore, e così tremo dalla paura di perderti. Le sue parole sembravano frecce che mi colpivano al cuore ferendomi
profondamente, in quel momento sentivo il suo disperato dolore che mi assaliva
in ogni parte del mio essere. Mi chiedevo come potevo percepire i suoi sentimenti
e vivere le sue emozioni con la stessa intensità che egli provava. Probabilmente si
trattava di percezione extrasensoriale, qualcosa di raro, che mi capitava per la
prima volta nella mia vita. In quel momento sentii di amarlo disperatamente, i
nostri occhi si parlarono in silenzio e ci trovammo stretti l'uno all'altro in una
morsa di emozioni indescrivibili. Mi baciò appassionatamente, e sussurrò: - Ti
amo. Non avevo parole per rispondere, lo seguii con lo sguardo, mentre apriva la
porta e si allontanava tra la nebbia. Rimasi immobile fra la porta ed il giardino,
tentando di seguire la sua ombra mentre si accendeva una sigaretta, poi la luce
dell'accendino si spense, lo sportello dell'auto si chiuse, il rombo del motore
freddo intervenne a disturbare il silenzio della notte. L'umidità m'avvolse in un
brivido di freddo, allora indietreggiai all'interno del corridoio.
Avevo incontrato Gabriele all'inizio di dicembre, erano appena trascorse due
settimane e qualche giorno, mi sentivo immersa fino ai capelli in una palude che
mi sommergeva in una miriade di “feelings” che sembravano stringermi e
legarmi sempre più a lui, senza via d’uscita.
Mi preparai per andare a dormire, quando sensazioni strane mi violentarono
la mente, senza darmi un attimo di pace. Gabriele mi trasmetteva
ininterrottamente i suoi mille pensieri mescolati a paura, dolore e passione.
Tentai con tutte le mie forze di bloccare questo flusso di sentimenti che
s’imponevano con la forza di un uragano. Il mio tentativo fu inutile, mi nascosi
sotto le lenzuola cercando di spazzare via quella confusione che mi torturava. Mi
ritrovai a vivere le amarezze, le paure ed il dolore di Gabriele.
Immersa in quel temporale che mi tormentava la mente, sentivo che dovevo
aiutarlo a dimenticare il suo terribile passato; dovevo capire che tutto gli era
servito per maturare la sua conoscenza interiore. Poi all’improvviso lo squillo
del telefono interruppe i miei pensieri. Accesi l’abat-jour, l'orologio sul
comodino segnava le tre meno dieci, a quell’ora poteva essere soltanto Gabriele.
Alzai la cornetta in tempo per sentire un respiro affannoso, mi stesi sul letto e
domandai: - Vuoi dirmi che cosa ti sta succedendo? - Niente di grave, ho appena fatto le scale di corsa, spero di non disturbare,
ma prima di andare a letto, ho bisogno di sentirmi dire che non hai intenzione di
lasciarmi, altrimenti non riuscirò a chiudere occhio. Sapevo che non mentiva e n'avevo avute le prove, così risposi:
- E di conseguenza nemmeno io dormirei, perché mi trasferisci le tue pene,
perciò rilassati e cerca di essere felice, non ho intenzione di lasciarti, ora vai a
dormire ed io verrò col mio spirito accanto a te. Riuscii a strappargli una risata, e a dargli un po' di serenità. Intanto sentivo
danzarmi dentro all'anima qualcosa di terribile. Avrei voluto chiedergli di dirmi
tutto in quel momento, ma non potevo innervosirlo ora, che ero riuscita a
tranquillizzarlo.
- Tu sei veramente incredibile, è la prima volta che una donna afferma di
percepire il mio dolore, non sarai per caso una strega? Altrimenti ti chiedo di
insegnarmi a non soffrire più e anche come fare per farti innamorare di me. - Non hai bisogno di una megera per eliminare il dolore, devi solo saperti
perdonare e dimenticare gli errori commessi, concentrando tutti i pensieri e le
azioni future sull’amore e il bene per il prossimo, così potrai trovare la pace
interiore. - Quello che dici non fa una grinza, ma non sarà facile metterlo in pratica. - Senza sforzi e sacrifici nulla cambierà, resterai sepolto nella tua tomba di
dolore e paura. - Tu lo dici a me, cosa credi che io non abbia imparato? Ho dovuto chiudermi
in casa per dei mesi per smettere di bucarmi. - Beh! Dopo tutto hai vinto una delle battaglie più difficili, e ora puoi esserne
orgoglioso. - Tu hai ragione, però mi rimangono sempre i fantasmi del passato, che mi
danzano attorno, nell'attesa del momento buono per torturarmi. - Scusami se sono schietta, ma non si può sbagliare e credere poi che non si
pagheranno le conseguenze. In fondo è stata una tua scelta, ed ora non dovresti
lamentarti, ma subire in silenzio. -
- Elisabetta non posso darti torto, ma non sono un santo, come ti aspetti che
io diventi. - Senti Gabriele, lo so bene che non sei un santo e tanto meno mi aspetto che
tu lo diventi, perché io non sono Gesù Cristo, che fa miracoli. Una risata contagiosa arrivò vibrando attraverso i fili del telefono, e così ci
trovammo a ridere insieme, avvolti da sensazioni piacevoli. Intanto si svegliò il
pappagallo, lo udii attraverso il filo sbattere le ali contro la gabbia, con garriti
nervosi. Allora Gabriele aggiunse:
- Questa notte lascerò il mio corpo sul letto e volerò da te con il mio spirito e
nel buio ti stringerò forte, forte, poi in un vortice di passione mi mescolerò alla
tua essenza. - Senti Romeo, sarà meglio se porti con te lo “shaker”, altrimenti non sarà
facile mescolarti al mio spirito. - Ti assicurò che non ne avrò bisogno, mi hai già scombussolato abbastanza,
per ora, e dato che non ne posso più, ti auguro la buona notte, a domani amore. - Sogni d'oro - mormorai agganciando la cornetta.
Infine mi stesi sul letto e nel silenzio della notte fonda, mi sentii cadere in
vortici sempre più profondi, finché il sonno mi rapì totalmente. L'indomani
telefonai a mia sorella Rossana e le raccontai di Gabriele e del suo terribile
passato con la droga, cercando di capire che cosa pensava di un ex
tossicodipendente. Le sue parole m'incoraggiarono molto e mi spinsero a
continuare nella mia decisione di aiutarlo a crescere, ed ad amarlo senza
pregiudizi. Rossana fu comprensiva e condivise con me l'idea che spesso gli
uomini che riescono a superare il terribile incubo della droga possono diventare
uomini migliori di tanti altri che non si sono mai “fatti”.
Quel pomeriggio, quando Gabriele mi telefonò, mi confessò che era stato
male, pensando che forse non avrei voluto rivederlo. Per calmarlo dovetti
convincerlo, facendogli capire che anch'io avevo bisogno di lui e che ci saremmo
rivisti quella sera stessa.
Quella sera verso le ore ventuno qualcuno suonò il campanello, corsi ad
aprire la porta e mi ritrovai davanti Giovanna, una mia vecchia amica, che
alcuni giorni prima mi aveva assicurato che sarebbe venuta a farmi visita,
poiché voleva vedere chi era l'uomo che era riuscito a stravolgermi così.
Giovanna era per me come una sorella e mi aveva sempre aiutato nelle mie
investigazioni private. Quando incontravo qualcuno che non conoscevo, lei
faceva delle indagini, per scoprire se l’uomo che avrei frequentato era sposato.
Giovanna sosteneva sempre che lei era la mia detective privata. Le dicevo
spesso, scherzando, che era sprecata a fare la cuoca e che avrebbe dovuto fare
l’investigatrice privata. Questa mia affermazione la faceva ridere, anche perché
sapeva bene che non lo pensavo veramente. La cosa più eccezionale della mia
amica era quella sua allegria sfrenata, accompagnata da una schiettezza
particolare. Giovanna era di corporatura robusta, ma i suoi movimenti erano
aggraziati. I suoi capelli biondi e ricci riuscivano a far risaltare i suoi occhi verdi.
Quel viso pieno di vitalità esprimeva una salute di ferro. Così mentre entrava in
salotto, col sorriso sulle labbra borbottò: - Ascoltami bene, quando arriva
Gabriele, non gli spifferare che sono venuta apposta per vederlo. Insomma, fai
finta che sono capitata qui per caso, hai capito? -
- Ho capito, non parli mica arabo. - Mi fissò per un attimo, poi gesticolando
allegramente rispose:
- Certo che se parlassi arabo, tu mi capiresti meglio, perché con tutte le
lingue che parli, hai dimenticato l'italiano. Le mollai una pacca sulla spalla e ammisi: - Senti piccola selvaggia, l’arabo
non lo capisco. Giovanna aveva sempre una risposta ad ogni battuta, così rispose ridendo:
- Sarò una selvaggia, ma tu con tutti i mari del mondo che hai solcato sei
diventata un pirata. Dammi piuttosto il cognome di Gabriele, così fra qualche
giorno ti saprò dire se è sposato. - Veramente, so già tutto. Ti ringrazio, per la gentilezza. Mi fissò incredula, poi aggiunse: - Non dirmi che credi a quello che ti ha
raccontato! - Devo per forza crederci, perché mi ha raccontato cose terribili! - Vuoi spiegarti? - Mi ha confessato di essere un ex tossicodipendente, ha smesso di drogarsi
da tre anni. Giovanna si alzò in piedi e incominciò a camminare avanti e indietro
preoccupata, poi alzando le braccia verso l'alto brontolò:
- Stai attenta, perché questi poveri disperati raccontano un sacco bugie. - Purtroppo quando uno si è drogato per otto anni, non ha molto da
confessare, perché si sa che ne ha fatte di tutti i colori. Nonostante tutto mi sento
legata a lui da fili invisibili, che mi coinvolgono in sentimenti così forti da
stupirmi. Giovanna ammise seria: - Ci credo, mi sembri stralunata! Io però, sono del
parere che ti meriti di meglio. Poi, non ci pensi che potrebbe essere contagiato
dall’Aids? - Non me ne parlare, ti prego, penso sarà quella la ragione per cui dovrò
lasciarlo.
- Cosa intendi? - Ho avuto un sogno, dove una vecchia scheletrica interrompeva la nostra
corsa. Giovanna ribatté sghignazzando: - Certo che hai un bel culo, se da lassù ti
mandano uno scheletro per salvarti la vita. - Scoppiammo in una risata
fragorosa, poi Giovanna aggiunse seria:
- Già, dimenticavo che di solito hai sogni premonitori. Intanto si udì il rombo d’un auto fermarsi davanti a casa mia, poi uno
sportello chiudersi e dei passi avvicinarsi al cancello, allora Giovanna esclamò:
- Il tuo eroe è arrivato! Vai ad aprire Scoppiai a ridere divertita per l’ennesima volta, poi mi alzai e raggiunsi il
corridoio e vidi dalla porta di vetro Gabriele mentre tentava di nascondere
qualcosa dietro di sé. Dopo un giro di chiave aprii la porta e me lo trovai di
fronte, che mi sorrideva dolcemente, poi con un gesto veloce mi porse un mazzo
d'orchidee rosa, bellissime. Felice lo baciai sulla guancia, ringraziandolo di
cuore.
Gabriele imbarazzato spiegò: - Ho visto che c'è qualcuno, perciò ero un po'
indeciso, avrei voluto lasciarle sull’auto e dartele più tardi. - Non devi vergognarti di un pensiero così nobile! Sono orgogliosa di
mostrare alla mia amica quanto sei carino. - ammisi, mentre mi avviavo verso
Giovanna per mostrarle lo splendore di quelle orchidee.
Non nascondo che mi aveva colto di sorpresa. La mia amica, quando le vide,
esclamò eccitata: - Sono bellissime! Poi si girò verso Gabriele e, fissandolo negli occhi, ammise: - Pensavo che
non esistessero più uomini così gentili, che regalano fiori. - Scusami, ma allora hai incontrato solo cafoni! - sussurrò Gabriele
scherzando.
- È probabile, ma t’assicuro che non ce ne sono molti d'uomini così fini. - Non hai torto! - risposi, mentre sistemavo le orchidee sul tavolino, poi
Gabriele si girò verso la finestra, nel tentativo di nascondere il suo imbarazzo.
Giovanna non percepì l’impaccio che gli aveva procurato e cominciò a
tempestarlo di domande, chiedendogli dove abitava, che lavoro svolgeva,
eccetera. Rispose timidamente, restando ad una certa distanza, come se si
trovasse di fronte ad un inquisitore.
A Giovanna si era svegliata la natura di detective, immagino che cercasse di
capire con chi mi ero impegolata, poiché continuava ad interrogarlo
imperterrita, con una schiettezza che avrebbe impressionato chiunque. Possiamo
immaginare che cosa poteva provocare quell’interrogatorio su di un povero ex
tossicodipendente, ancora prigioniero delle sue paure.
Mi aspettavo di vederlo crollare da un momento all’altro. Dopo tutto fu
discreta, non domandò niente sul suo passato da drogato. Giovanna, in ogni
caso, mi piaceva, perché non aveva peli sulla lingua e si azzardava a chiedere
tutto quello che voleva sapere, senza esitare. Chiuse il suo interrogatorio con
intelligenza, perché con una battuta simpatica cancellò la tensione, facendoci
scoppiare in una risata contagiosa. Infine si alzò in piedi e aggiunse:
- Ciao, bell'uomo! Il viso di Gabriele s’illuminò di colpo, mentre la salutava con stupore.
L’accompagnai alla porta divertita, per quel suo coraggio sfacciato e tranquillo,
che conoscevo bene. Si allontanò gesticolando, strizzando l'occhio destro per
farmi capire, in silenzio, che dopo tutto egli non era male.
Ritornai nel salotto, Gabriele si era seduto sulla poltrona di pelle nera, di
fianco al caminetto, poi alzando lo sguardo verso di me ammise: - Un po' pesante
la tua amica, ma simpatica però. - Intendi pesante di peso per la corporatura robusta, o perché è invadente? chiesi scherzando, per spingerlo a confessare quello che aveva dentro. - Sai benissimo che fa troppe domande! - Giovanna mi vuole bene, così ha tentato di capire chi sei, ad ogni modo, io
ammiro le persone come lei, perché fanno quello che sentono, senza pregiudizi. -
- Mi ha tempestato di domande, mi sono sentito scoperto, non le avrai
confidato che sono un ex tossicodipendente? Avevo i suoi occhi arrabbiati puntati contro, allora confessai:
- Certo, ma non puoi farmene una colpa, perché avresti dovuto riflettere
prima di combinare guai. Un'espressione triste di delusione apparve sul suo viso, poi seccato aggiunse:
- Va bene, ma questa potevi anche risparmiarmela. - Devi sapere che ci sono cose che non si possono evitare. Insomma, lei è come
una sorella, e ci siamo sempre raccontate tutto. Capisci cosa voglio dire? - Sì, capisco, scusami. Per calmarlo un attimo e per ringraziarlo dei fiori, accesi lo stereo e scelsi
una cassetta del pianista Richard Clayderman, gli versai un “drink” poi sorrisi,
si avvicinò e mi strinse forte a sé e sussurrò:
- Ad ogni modo, anche se mi fai arrabbiare, ti desidero tanto e ho un
disperato bisogno di averti. Dimmi, quando mi permetterai di darti tutto il mio
amore? Non nascondo che il fuoco che gli bruciava dentro riusciva a trascinarmi e
imprigionarmi nella sua rete di passione. Naturalmente la ragione prevaleva,
perché sapevo del rischio che correvo, perciò combattevo e vincevo ogni suo
attacco disperato. Infine, quando non ne potevo più, gli gridai che, se egli voleva
continuare a vedermi, doveva darmi il tempo di capire meglio i miei “feelings”,
si rassegnò a malincuore e m'assicurò che se continuavo ad insistere su quel tasto
l’avrei fatto morire.
Gabriele non aveva capito che ero io a rischiare e non lui. Così mi decisi a
chiedergli se avesse fatto il test dell’Aids, poiché egli era un caso a rischio. Mi
fissò preoccupato e rispose:
- Tu credi che sarei qui, se avessi l'Aids? Se vuoi posso mostrarti gli esami a
cui io mi sono sottoposto il mese scorso, sono nell’automobile. - Scusami, ma per me i tuoi certificati non mi dicono nulla, perché mi è stato
detto che col tempo, se sei stato infettato, puoi anche diventare positivo all’Aids.
Spero comunque, con tutto il cuore, che tu non abbia mai contratto quella
terribile malattia. - Improvvisamente la rabbia s'impadronì di lui, allora scattò
in piedi, camminò su e giù per la stanza, poi brontolò:
- Ecco, mi arrabbio quando i medici raccontano delle storie, solo per far
evitare dei rischi che non esistono. Lavoro all'ospedale, e le cose le so bene, i
medici mi hanno spiegato che non è più necessario che mi faccia il test
dell'A.I.D.S. così spesso, perché fortunatamente non sono stato contagiato. Quel suo modo prepotente di esprimersi mi fece innervosire, perché pur di
difendere se stesso e i suoi istinti sessuali, avrebbe messo a rischio la mia vita.
L'amore vero non lo vedevo sotto quella forma, poiché i sentimenti veri
dovrebbero annullare le proprie voglie egoistiche, per non rischiare la vita
dell'altro, in fondo si trattava solo di un atto sessuale, non valeva niente di fronte
al rischio della morte. Così, dopo questa mia riflessione, domandai:
- Spiegami, quando hai incontrato Rosa, dopo quanto tempo le hai confessato
che sei stato un ex tossicodipendente? -
Gabriele pensò un attimo, poi con gli occhi puntati a terra rispose: - Circa
due mesi dopo! - Avevate già avuto rapporti sessuali a quei tempi? - Certo, abbiamo fatto all'amore subito, la sera stessa che ci siamo incontrati.
Mi chiedevo come si potesse essere così incoscienti, da pensare soltanto ai
propri istinti egoistici, senza dare la possibilità all'altro di fare le sue scelte.
Prima di permettermi di sfogare la mia rabbia, domandai:
- Che fretta, si direbbe una attrazione fatale! Spero comunque, che avrai
avuto il buon senso d’usare il preservativo. Mi fissò deluso, poi rispose fuori di sé: - No! Io non l'ho mai usato e non lo
userò mai, perché non sono infetto e poi, col preservativo, non si provano le
stesse sensazioni. Era proprio vero che per scoprire l'indole dell'uomo bastava farlo parlare, in
effetti la sua natura negativa stava uscendo allo scoperto. Allora arrabbiata
sbottai:
- Insomma, chi pensi d'essere che credi di dover provare tutti i piaceri della
vita, anche a costo di sacrificare gli altri? Lo sai chi sei? Te lo dico io, se non lo
sai, sei un grande egoista, che pensi solo a godere senza pensare ai contagi a
catena che potresti lasciare dietro di te. Gabriele si liberò della sua prepotenza, costringendo se stesso ad un silenzio
forzato, fissando il tappeto nervosamente, mentre io ripresi a parlare: - Io voglio
sapere, quando ti saresti deciso a raccontarmi la verità, se non lo avessi scoperto
da sola? Con un filo di voce, rispose: - Tu hai ragione, ma se io ti avessi raccontato
tutto subito, tu non avresti voluto conoscermi, lo capisci questo? - Senti, vorrei che capissi quanto male potresti fare col tuo comportamento
egoistico. Dopo tutto ti ci sei messo tu in questi pasticci, perciò, come minimo,
dovresti dare la possibilità agli altri di scegliere, se rischiare oppure no. Non ti
chiedo di svelare tutto subito, ma se hai un po’ di cuore, quando avrai rapporti
sessuali. Serio Gabriele brontolò: - Hai ragione, scusami, ma non riesco a mettere il
preservativo, è più forte di me, non ci riesco. Capisci! Fuori di me gridai: - Capisci un corno! Le tue non sono ragioni valide, e non
lo saranno mai, soprattutto quando si tratta di rischiare la vita altrui. Starò
vicino a te fin quando potrò, ma il nostro sarà un rapporto platonico. Sia ben
chiaro. E guai a te se scoprirò che mi hai nascosto qualcosa del tuo passato. Gabriele non rispose, rimase in silenzio, mentre il suo viso si trasformava in
una maschera di dolore. Capii subito che c'era ancora qualcosa di molto grave
che non sapevo.
Poi si girò verso di me, i suoi occhi luccicavano di paura, mentre
m'implorava di capirlo, con quello sguardo disperato. Il sudore, che gli
grondava dalla fronte, mi fece intuire quanto grave fosse la cosa. Allora cercai di
risollevarlo da quella disperazione che lo rodeva, doveva parlarne subito, così si
sarebbe liberato del peso che lo soffocava.
Dissi: - Ho capito, c’è qualcosa di grave che ancora non so! Me ne devi
parlare subito, credimi, è l’unico modo per eliminare quel peso dal tuo cuore. - So già che, se te lo dirò, ti perderò per sempre! - Che ne sai, potrei sopportare anche il resto, d'altronde non hai scelta, devi
rischiare! Respirò profondamente, poi rispose con voce tremante:
- Hai ragione, è troppo il peso che porto dentro, non ce la faccio più a
sopportarlo da solo. Ancora una volta il silenzio ci divise, poi un colpo di tosse risuonò nella
stanza, un sorriso triste apparve tra i lineamenti del suo viso e, con tono dimesso,
riprese a parlare:
- Ecco! La mia ragazza è morta d'Aids! Stranamente non ho mai usato la sua
siringa per farmi. I medici mi hanno assicurato che sono fortunato perché non
sono stato contagiato. Ci fu una pausa, non riuscii a parlare, cercai di calmarmi, non volevo che
intuisse l'improvviso dolore che aveva colpito il mio cuore con violenza, così
cercai d'essere il più tranquilla possibile, fortunatamente continuò a parlare:
- Ora sono felice, mi sembra di essermi liberato da un grosso macigno che mi
pesava sul cuore. Dimmi qualcosa, ti prego, non avrai deciso di lasciarmi? Dopo tutto quello che mi aveva confessato, non potevo certo lasciarlo, l’avrei
ucciso moralmente e poi gli volevo bene anch'io, avevo bisogno di lui, così
risposi:
- Calmati Gabriele, non potrò lasciarti finché non sarà il momento, ma non
dimenticare mai che niente succede per caso, ma per una ragione ben precisa,
che riguarda l’evoluzione interiore dell’uomo Il suo viso si rasserenò di colpo e, come un fanciullo felice per aver ritrovato
il suo giocattolo, domandò: - Allora, spero di trascorrere l'ultima notte dell'anno
insieme con te. - Contaci pure! - La sua improvvisa beatitudine m'irradiò il cuore d'energia
dolcissima, che sembrò colmarmi l'animo d'allegria. Ci trovammo abbracciati
appassionatamente, poi percepii la mia essenza fondersi con la sua. Il mio cuore
batteva forte, ma immaginavo sapesse che non avevo scherzato, quando avevo
affermato che il nostro sarebbe rimasto un amore platonico.
Poi mi apparvero le immagini di quel mio sogno, probabilmente
premonitore, dove mi allontanavo da lui e lo lasciavo solo, mentre Gabriele si
arrampicava faticosamente su rocce irte di pericoli ed io soffrivo terribilmente.
Sarebbe stato bello vivere insieme, in quello stato di piacere continuo, che
riusciva ad annullare anche le tragedie più gravi, come se tutti gli eventi più
tragici appartenessero agli altri e non a noi. Poi Gabriele si allontanò da me,
spiegandomi che la notte di Natale era di servizio all'ospedale, ma che era felice
di trascorrere capodanno con me.
La cosa non mi rattristò, poiché avrei trascorso il giorno di Natale nella villa
di mio fratello, sulle colline di Riolo Terme in compagnia dei miei familiari.
Poco dopo Gabriele si alzò in piedi, il suo orologio segnava le tre, ci
avviammo a braccetto all'uscita e sulla porta di casa mi disse, mentre mi
abbracciava delicatamente:
- Credimi, non vorrei mai lasciarti, anche se ci vediamo tutte le sere, mi
sembra che il giorno non trascorra mai senza di te. Non risposi, lo baciai sulle labbra e le nostre mani si lasciarono, mentre si
allontanava, poi si girò e sorridendo concluse: - Ti sognerò. QUARTO CAPITOLO
IL NATALE
Quel mattino di Natale passai a prendere mia madre e ci avviammo verso
Riolo Terme, lungo la strada circondata da colline ricoperte di campi
addormentati tra le nebbie che salivano lentamente verso il cielo.
La luce del giorno si spandeva veloce sul paesaggio ricoperto dalla brina,
regalando la sensazione di vedere diamanti di ghiaccio, incastonati sui rami degli
alberi nudi, che ravvivavano la natura pietrificata. Sui rami degli alberi sempre
verdi, la brina luccicava come tanti smeraldi ricoperti da fili d’argento.
Gli alberi nudi, che si allungavano verso il cielo, davano l’impressione di
vedere gruppi di scheletri in movimento contro il sole pallido, che penetravano
fra le nebbie vaganti del mattino. Ogni tanto apparivano violente, in quel
paesaggio delicato, le luci degli alberi natalizi nei giardini delle casette di
campagna.
La mamma si era incantata ad osservare il paesaggio avvolto in quel
mantello invernale e misterioso. Arrivai in paese e passai di fianco al vecchio
castello vicino alla piazza dove spuntava un enorme albero di Natale, pieno di
luci, che brillavano festose in mezzo alla gente e tra le grida dei fanciulli eccitati,
che correvano intorno allegri. Infine imboccai la stradina bianca che portava
sulla collina, dove si ergeva la villa di mio fratello. Dalla collina si ammirava la
bellezza completa di Riolo Terme.
Da quando ero tornata dall'ultimo imbarco, non avevo ancora visto mio
fratello e la sua famiglia, quindi ero entusiasta di trascorrere il giorno di Natale
insieme con loro. Nell'enorme cortile davanti alla villa, delle centinaia di alberi
sempre verdi spuntavano qua e là e tra le cime si vedevano i tetti rosati che si
allargavano nella vallata sottostante. Dai campanili, i rintocchi delle campane a
festa correvano fin quassù, portando un messaggio di pace e tranquillità.
Umberto apparve sulla soglia di casa e c'invitò ad entrare, un coro di saluti
echeggiò nella grande stanza. C'era anche mia sorella Ornella con il marito.
Ci avvicinammo all'enorme camino acceso, dove un grosso ceppo di legno
ardeva, e la fiamma brontolava scoppiettando. Il grosso tavolo di legno era
apparecchiato per sei persone. Mi scaldavo davanti al fuoco, quando Ornella mi
confessò di aver raccontato ai presenti il mio sogno premonitore del Papa, e
l'incontro con Gabriele.
- Chiacchierona! - brontolai - Ti soprannominerò “spiffera tutto!” Così ci
penserai prima di riferire cose che non ti riguardano!
Mentre tutti scoppiavano in una risata, Ornella sbraitò seria:
- Come sei cattiva, oggi è Natale!
Inevitabilmente ci mettemmo a discutere del passato di Gabriele con la
droga. Naturalmente, non svelai a nessuno che la sua ragazza era morta d’Aids.
Si dimostrarono tutti molto comprensivi, e affermarono che a volte il tunnel
della droga trasforma il drogato in un vero uomo, perché la sofferenza è
l'energia che purifica l'essenza. Poi Antonietta intervenne esclamando:
- Il pranzo è pronto, tutti a tavola! Tra stridii di sedie ognuno prese il suo posto nel lungo tavolo, e iniziammo a
servirci cappelletti in brodo e a mangiare. Intanto Umberto affermò sorridendo:
- Forse Gabriele è l’uomo del tuo destino! Sorrisi, poi risposi: - Certo, ma solo per poco, per scambiarci una lezione. Mia madre si era seduta a capo tavola e tra un boccone e l’altro mi osservava
preoccupata, poi affermò seria:
- Nel frattempo non aver paura di salvarti la vita, pretendendo il test
dell’aids, perché otto anni nella droga sono troppi. Sorridendo ammisi: - Tranquillizzati mamma, il nostro rimarrà un amore
platonico e, se proprio non dovessi resistergli, per i suoi continui richiami
sessuali che m’invia per mezzo telepatico, allora accetterò di morire con lui. I parenti scioccati rimasero in silenzio, allora Ornella sghignazzò: Splendido! Non vi pare romantico lasciarsi contagiare dall’Aids per amore?Nessuno fiatò, allora Ornella mangiò un cappelletto, poi aggiunse seria:
- Non ho ancora capito bene, se sei un aliena oppure un’alienata. Una risata collettiva esplose intorno e Ornella aggiunse:
- Tra l’altro, nel caso che tu fossi un aliena saresti fortunata, perché saresti
virus resistente! Un’altra risata echeggiò intorno, poi aggiunsi: - Visto che siamo in tema, che
ne direste se vi racconto un incontro ravvicinato con alieni, capitatomi nel 1987,
a bordo della nave Danae, della Costa Line? I parenti mi fissarono stupiti, poi Ornella brontolò: - Che vi avevo detto, se
non è alienata poco ci manca. Un’ennesima risata rimbombò intorno, poi alcuni ricominciarono a
mangiare e, fra i tintinnii dei cucchiai, Ornella domandò:
- Racconta, sono curiosa. Iniziai il mio racconto: - A quei tempi io lavoravo nel duty free di bordo in
qualità di Shop manager. Un mattino d’estate, verso le 11, mentre la nave
navigava nell’Adriatico, me ne stavo a lavorare in negozio e tra un passeggero e
l’altro percepii delle presenze invisibili intorno. In un primo momento mi dissi
che dovevo essere impazzita, ma poi quelle sensazioni diventarono più forti, era
come se qualcuno m’assicurasse per mezzo telepatico che si trattava di presenze
extraterrestri ben intenzionate, quindi mi sentii tranquilla. Alle dodici e trenta
chiusi il negozio e andai a pranzo dimenticandomi di quelle strane percezioni.
Verso l’una e trenta andai in cabina per il riposo pomeridiano e,
stranamente, mentre mi preparavo per andare a dormire, per l’ennesima volta
percepii tre presenze amichevoli, minute e molto basse. Nonostante queste forti
percezioni, andai a dormire pensando che non dovevo preoccuparmi. Vedendo che tutti stavano ascoltando ammutoliti, senza mangiare, scoppiai
in una risata.
- È tutto qui? - brontolò mia madre, mentre i tintinnii dei cucchiai ripresero.
Ripresi a raccontare:
- Stavo dormendo profondamente, quando in sogno ricevetti un richiamo
telepatico che mi invitava a recarmi in negozio; d’impulso il mio spirito uscì dal
corpo, ubbidendo all’insistente richiamo, e mi ritrovai di fronte ad un uomo alto
circa due metri. Notai appena in tempo che, nonostante il caldo che faceva fuori,
l’alieno indossava lunghi stivali, guanti neri, un cappotto grigio e una maschera
nera con righe perpendicolari variopinte, insomma tutto il suo corpo era
completamente coperto.
L’extraterrestre allungò un braccio e il mio spirito svenne e cadde sul suo
arto, come fossi stata un velo, perdendo coscienza. All’improvviso mi ritrovai
dentro al mio corpo, che mi parve pesante come un macigno, poi mi resi conto
che non potevo muovermi, ero come paralizzata sul letto e ogni mio tentativo era
vano.
Infine sentii che qualcuno estraeva velocemente l’intestino nel lato sinistro
della mia pancia e capii che mi stavano facendo un operazione, mi venne
asportato qualcosa; in quel momento pensai che stavo morendo, perché mi venne
meno l’ossigeno, feci un grosso sforzo e gridai: “ Mamma!” Poi percepii un forte
calore entrare dal centro della mia testa e percorrermi il corpo procurandomi un
piacere infinito. Quando mi alzai dal letto mi tirai su la camicia da notte per
controllare la cicatrice, ma non c’era nulla che facesse pensare ad un'operazione.
- Un sogno stupefacente! - esclamò Umberto serio.
- Gli aborigeni - aggiunsi - sostengono che il sogno è più reale della realtà
stessa. Quindi certi alieni potrebbero operare in condizioni a noi sconosciute,
senza lasciare tracce nella materia, perché probabilmente conoscono i misteri
divini. Ornella domandò curiosa: - Spiegami perché l’alieno era completamento
coperto. Dopo una pausa, risposi: - Secondo il racconto sotto ipnosi di alcuni rapiti
dagli alieni, studiati dallo psichiatra americano John Mack, pare che noi umani
siamo contagiati da un’energia negativa, da cui essi non vogliono essere
contaminati. - Ma per quale motivo - domandò mia madre - avrebbero dovuto operarti?
- Probabilmente perché - risposi - finché ognuno di noi non ha portato a
termine la sua missione e imparato la sua lezione, non può lasciare questa terra.
- Antonietta si alzò in piedi e raccolse tutti i piatti vuoti. Umberto domandò:
- Intendi affermare che ognuno di noi è controllato dagli extraterrestri
perché non muoia prima del tempo? - Credo comunque si tratti di esseri speciali che controllano che l’uomo porti
a termine il suo compito, perché se morisse prima del tempo, andrebbe a
discapito dell’evoluzione umana. - Interessanti le tue teorie! - ammise Ornella. Poi si alzò e andò a dare una
mano ad Antonietta a servire l’arrosto.
Dopo pranzo ci radunammo tutti intorno al fuoco e, tra una risata e l'altra,
trascorremmo le ultime ore della giornata. Verso sera, prima che scendesse la
nebbia, ci avviammo verso casa. Durante il viaggio, il cielo diventò grigio, banchi
di nebbia danzavano intorno e ogni tanto s'intravedevano le prime luci che
spuntavano dalle finestre delle case dei villaggi che ci passavano davanti veloci.
Tra il bagliore dei fari dell'auto, mille ombre fuggivano lontano nelle vallate,
scomparendo in un mare di nebbia, mentre il campo visivo diventava sempre più
impenetrabile.
Finalmente raggiunsi Fusignano, così lasciai mia madre sulla porta di casa e
ripartii velocemente; quando raggiunsi la mia strada, la nebbia mi avvolse in un
muro sempre più grigio, infine d'istinto arrivai a casa mia e entrai con l'auto nel
cortile. La porta del garage era aperta, mi bastarono alcuni minuti, chiusi la
porta e, tremando dal freddo entrai in casa. Andai in cucina, l’orologio a
pendolo scoccò le diciannove, presi un'arancia dalla fruttiera e tornai in salotto,
mi stesi sulla poltrona e, dopo aver mangiato il frutto, il mio corpo diventò
pesante come una pietra, poi mi sentii leggera, in uno stato di completo
rilassamento.
Ero felice d'essere sola quella sera, per la prima volta le sofferenze e le paure
di Gabriele erano cessate come per incanto, sentivo che era tranquillo e questo
mi rendeva appagata. Ci conoscevamo da circa venti giorni e mi sembrava di
essere stata travolta da un uragano che finalmente si era acquietato. Sentivo di
essere finalmente uscita come da un naufragio, le onde e la furia del vento erano
rimasti solo un ricordo lontano. Naturalmente ora sapevo con certezza che
Gabriele riversava su di me i suoi sentimenti, per mezzo della telepatia.
Certo, tutto questo era straordinario ed incredibile nello stesso tempo, ma
era qualcosa d'eccezionale, che stava capitando a me. Verso le ventitré mi
preparai per andare a dormire; quando mi stesi sul letto, sentii la stanchezza
pervadermi tutto il corpo, ma non volevo addormentarmi, sapevo che Gabriele
mi avrebbe telefonato, avevo appena preso un libro in mano che il telefono sul
mio comodino squillò. Allungai la mano, alzai la cornetta e sussurrai: - Ciao,
piccolo selvatico, come stai? Le sue risate giunsero fragorose, poi domandò: - Allora, come hai trascorso il
Natale sulle colline? - Benissimo, grazie! E come te lo stai trascorrendo al centralino
dell'ospedale? - Ho appena finito di festeggiare con i medici di turno. - Di là del filo si udì lo
squillo di un telefono, Gabriele mi chiese di attendere un attimo, intanto
echeggiarono suoni e voci, e dopo alcuni minuti riprese a parlare:
- Scusami, ho dovuto passare la linea ad un medico. Non ci crederai, ma per
la prima volta nella mia vita, ho sentito il Natale. Tu sai che io non credo, ma
questa sera mi sono lasciato coinvolgere da un'atmosfera magica e mi sono
sentito in contatto con Dio, a tal punto che ho pregato. - Non ci posso credere. - Dovrai crederci, perché avrei anche qualcosa da confessarti, ma non so se lo
capirai. - Fidati e troverai in me una sacerdotessa che saprà ascoltarti e assolverti da
tuoi peccati - affermai seria, mentre Gabriele aggiunse ridendo: - Bene, mi
confesserò allora, ma credimi, non c’è niente da ridere, probabilmente ti
arrabbierai. - Avanti confessa, una sacerdotessa deve solo ascoltare, senza giudicare! - Ho paura, perché tu non lo sai, ma per me sei peggio di una leonessa; con
quelle parole taglienti riesci a sbranarmi - brontolò serio.
Quelle frasi, espresse con sincerità, mi fecero capire che la verità esercitava
un certo potere su di lui, quindi la sua essenza addormentata si stava svegliando.
Infine curiosa, domandai:
- Hai ragione, scommetto che stai dissanguandoti per le lacerazioni che ti ho
lasciato Gabriele continuò a ridere, poi rispose dopo un attimo: - Mia cara leonessa,
ora confesso il reato, ma ti prego, abbi pietà di un povero scapestrato che ha
finalmente trovato la via. Gabriele mi stupiva, riusciva anche ad essere simpatico e scherzava sulla sua
tragica esperienza.
Allora brontolai: - Smettila di giocare, mi sembri un prete in disgrazia! Io mi feci prendere dalle convulsioni per le risate e Gabriele era nelle stesse
condizioni, poi dopo lo sfogo di quell'allegria sfrenata, spiegò con tono serio:
- A parte gli scherzi, volevo che tu sapessi che mi sei mancata molto, così
mentre pregavo ho fatto un voto a Dio, perché faccia in modo che tu mi possa
amare per sempre. Stupita rimasi in silenzio e pensai al sogno del Papa, che si era avverato fin
nei particolari. Gabriele preoccupato domandò:
- Mio Dio! Non ti sarai arrabbiata con me? - No! Devo solo spiegarti alcune cose. Devi sapere che, quattro giorni prima
d'incontrarti, ho avuto un sogno premonitore, dove ero ricevuta da1 Papa il
quale m’informava che un giovane avrebbe fatto un voto per sposarmi e con lui
avrei vissuto esperienze paranormali. - Strana coincidenza, veramente non avevo il coraggio di dirtelo, ma ho
chiesto a Dio di poterti sposare. M’affrettai a spiegare: - Non è una coincidenza, è un sogno premonitore! - Allora mi sposerai? - Ti prego, non dire sciocchezze! Il Papa, in sogno, m’informava che un
giovane avrebbe fatto un voto per sposarmi, ma se ti sposerò oppure no, questo
dipenderà dagli eventi futuri. Immagino che il Sommo Pontefice volesse
comunicami che il tuo amore sarebbe stato sincero. Mentre in quell'attimo di silenzio sentii il suo respiro sollevarsi, Gabriele
aggiunse:
- Di certo non si è sbagliato il tuo Sommo! Scoppiai a ridere, con quell'espressione manifestava tutta la sua comicità.
Quel pazzo mi fece venire il mal di stomaco, infine scherzando gridai: - Guardati
dall’essere blasfemo nella notte di Natale, ricordati che hai appena fatto un voto.
- Hai ragione, scusami principessa, ti prometto che cercherò di migliorare
sempre più, perché so che non ti merito. Buona notte, amore. - Buon lavoro, ciao! - Misi giù la cornetta e, mentre andavo dall’altra parte
del letto, sussurrai:
- Caro Pontefice, mi hai veramente sorpresa! -
Mi rifugiai sotto le coperte, poi vidi l'orologio sul comodino segnare l'una e
un quarto, spensi l'abat-jour e mi addormentai profondamente.
La sera dopo, Gabriele arrivò a casa mia verso le venti, con l'intenzione di
portarmi fuori a cena, ma non avevo voglia di uscire, così lo convinsi ad aiutarmi
a preparare una cena a casa mia. Alcuni giorni prima, il mio vicino di casa mi
aveva regalato dei tartufi, perciò decisi che li avrei usati da condimento per gli
spaghetti; come secondo optai per il pollo al vino bianco.
Al centro del tavolo sopra la tovaglia bianca di pizzo, avevo messo il vaso con
le bellissime orchidee. Ogni tanto Gabriele m'abbracciava appassionatamente,
bastava fissare i suoi occhi per essere coinvolta in quell'ardore, che mi entrava
nelle vene facendomi rabbrividire di piacere. Lui non parlava, ma il suo grido
interiore mi si stampava dentro al cuore come un marchio arroventato dal fuoco.
Ad ogni modo non volevo rischiare la mia vita, quindi mi staccai dall'abbraccio
focoso e presi il parmigiano e la grattugia, ma Gabriele per calmare i suoi istinti
me li tolse di mano e si mise a grattugiare. Poco dopo si ferì ad un dito e spuntò
una goccia di sangue. Gabriele con uno scatto nevoso si girò, tentando di
nascondere l'incidente, poi d’istinto portò il dito alla bocca. Feci finta di non
vedere, poiché recepii quel suo “feeling” di paura ed imbarazzo che mi colpirono
perforandomi dentro come una freccia imbevuta di veleno.
Infine prese un pezzo di scottex e si coprì la ferita, rimasi immobile senza
parole e preoccupata, speravo che il formaggio non fosse rimasto contaminato.
Nel frattempo Gabriele rimase in silenzio, mentre ceercavo di nascondere il mio
turbamento affermando:
- Si vede che non sei abituato a grattugiare! Sorrisi quando si girò verso di me, poi mi avvicinai al piatto di formaggio
grattugiato e controllai che non ci fossero gocce di sangue, presi la grattugia e la
misi nel lavandino, quindi sussurrai: - È abbastanza, grazie per la
collaborazione! Gabriele continuava a fissarmi in silenzio, cercando di capire cosa pensassi
veramente, allora scherzando dissi:
- Non tutti hanno la possibilità di assaggiare spaghetti al tartufo, carne
umana grattugiata e parmigiano! Mi accorsi troppo tardi che, nel tentativo di farlo ridere, avevo esagerato.
Allora Gabriele, mentre si sedeva a tavola, esclamò:
- Il cannibale ha fame! - Scoppiammo a ridere, poi scolai gli spaghetti in
silenzio e mi preparai a condirli. Infine mi sedetti di fronte a lui e lo invitai a
servirsi. Il profumo del tartufo giunse fino alle mie narici, facendomi venire
l’acquolina in bocca. Gabriele impaziente assaggiò gli spaghetti e ammise: - Sai
che sei una brava cuoca? Sono squisiti! Non sapevo d’avere una carne così
saporita! Lo fissai ammettendo: - Non sei solo gustoso, sei anche dolcissimo! - Dimmi chi ti ha insegnato a “sviolinare” così. - Veramente amo la musica, ma non so “sviolinare.” Dopo avermi versato del vino bianco, Gabriele domandò curioso: - Tu non
racconti mai bugie, vero? - Spiegami perché dovrei. -
- Spesso serve a coprire le proprie vergogne - rispose timidamente,
conoscendo bene cosa voleva dire mentire. Cercavo di immaginare quante volte
aveva dovuto farlo per tentare di sfuggire alle conseguenze delle sue azioni.
Naturalmente ci s'illude sempre di poter sfuggire al rapporto di causa - effetto
delle nostre scelte sbagliate, ma non si potrà evitare di raccogliere ciò che si é
seminato. Dopo tutto, se non pagassimo a caro prezzo i nostri errori, non
potremmo imparare. Dopo questa riflessione la curiosità mi spinse a
domandare: - Ti dispiace rispondere ad alcune domande personali? - Puoi chiedermi ciò che vuoi, oramai tra me e te non ci sono più segreti. - Vorrei sapere che cosa provavi quando ti drogavi. Mentre sulle sue labbra si disegnava un sorriso, Gabriele pensieroso rispose:
- Veramente non si sente niente d'eccezionale, si diventa schiavi della polvere
bianca, solo perché hai la sensazione di diventare più forte e, quando t’accorgi
che non puoi più farne a meno, è troppo tardi per tornare indietro perché se non
ti “fai” stai male da morire con crisi isteriche indescrivibili. Era incredibile pensare che migliaia di giovani finissero per diventare
prigionieri della droga, solo per debolezza.
Sconvolta domandai: - Allora è vero che la maggior parte dei giovani si
droga per curiosità? - Si certo, ma anche con la presunzione che la droga possa farti provare
sensazioni incomparabili; purtroppo è solo una grande illusione che ti trascina
all'autodistruzione. Mentre assaggiavo il pollo dissi: - Già, un drogato purtroppo non é più se
stesso, diventa un robot che corre, come dici tu, verso 1'autodistruzione. - Pensa che, quando ero in astinenza, ho perfino picchiato i miei genitori, poi
scappavo da casa, rubavo, insomma ne facevo di tutti i colori per avere il denaro
con cui farmi una “pera”.Gabriele assaggiò il pollo, poi aggiunse serio: - Se potessi, direi a tutti i
giovani che la dipendenza dalla droga è l'esperienza più crudele e disastrosa che
ti possa capitare. Certo che sentirlo parlare così mi commuoveva, perché capivo che la
dolorosa lezione gli aveva lasciato un solco aperto, dove le cicatrici sarebbero
rimaste per sempre. Intanto avevo notato che Gabriele si era bevuto una
bottiglia di vino.
Poi mi prese una mano e l'accarezzò delicatamente, per l’ennesima volta
percepii il suo desiderio sfrenato di fare all'amore con me. Naturalmente speravo
si calmasse, altrimenti sapevo che non sarebbe stato facile stargli vicino e
probabilmente avrei dovuto lasciarlo. Terminata la cena, Gabriele andò fuori al
freddo a fumarsi una sigaretta. Era la prima volta da quando veniva a casa mia
che mostrava il suo forte attaccamento al fumo, infatti uscire al freddo in una
notte d'inverno solo per inquinarsi i polmoni, dimostrava che era un accanito
fumatore.
La cosa cominciò a preoccuparmi e pensai che, dopo essersi drogato per otto
anni, quell’attaccamento al vino e al fumo potevano soltanto continuare a
deteriorare il suo corpo, naturalmente non volevo essere pedante, ma se mi
amava veramente, doveva tentare di smetterla con quei vizi. Stavo lavando i
piatti, quando Gabriele tornò in casa e, mentre asciugavo le stoviglie, si avvicinò
da tergo e mi strinse a sé; era freddo come un morto, incominciai a
massaggiargli le mani, poi gliele baciai, mi girai e ci fissammo
appassionatamente dritto negli occhi, poi Gabriele sussurrò:
- Amore, ho tanto bisogno di te e ti desidero con tutto me stesso. Mi staccai da lui e risposi decisa: - Ti prego, Gabriele, non insistere,
altrimenti potrei pensare che sei un egoista che pensi solo a te stesso. Poi dovresti
capire che non vale la pena mettere la mia vita a repentaglio per una “scopata” e
sciupare il nostro meraviglioso amore platonico... - È tutta colpa dei medici che vogliono terrorizzare la gente raccontando solo
storie. All’ospedale, dove lavoro, mi hanno detto di smettere di fare il test,
perché oramai sono fuori pericolo - brontolò arrabbiato.
- Potrebbe anche essere, ma poiché si tratta della mia vita, voglio delle
certezze - urlai indignata.
Intanto mi guardava con sorpresa e vergogna, poi sussurrò : - Mi sembra che
stia esagerando. Nervosa chiusi lo sportello dello scolapiatti sbattendolo con rabbia, poi
sbottai: - Dovresti vergognarti, perché per paura di mettere a rischio il tuo
orgasmo, non vuoi nemmeno usare il preservativo. Credimi, non so ancora come
faccio a crederti quando affermi che mi ami. Sul suo viso si era impressa una tempesta di dolore, mi guardava muto,
sembrava aver perso la parola, poi con voce dimessa rispose: - Spiegami cosa
posso farci, se non sono capace di usare il preservativo! Era certamente una risposta che non mi aspettavo, e mi chiedevo se fosse
possibile essere così irresponsabile. Capii che non era il caso di rodersi il fegato
con qualcuno che non voleva intendere, così gli presi le mani e brontolai:
- Ti supplico, smettila di desiderarmi tanto, perché capto i tuoi desideri, che
già mi sconvolgono. Se per ora, finché non avremo certezze, tu accetterai di
vivere quest’amore platonico, potremo stare insieme, altrimenti dovremo
separarci. Mi lanciò un'occhiata furtiva, poi alzandosi in piedi di scatto, urlò: Assurdo! Vorrei sapere che rapporto sarà il nostro, senza sesso! Dimmelo tu!
Certo che parlare ad un muro era inutile, ma dovevo tentare di fargli capire
quello che rifiutava di accettare, così gridai:
- Hai un bel coraggio, non c'è che dire! Per colpa delle tue scelte sbagliate
dovrei rischiare la mia vita, credimi, è meglio che sopporti in silenzio senza
lamentarti, perché non ne hai nessun diritto. Gabriele ritornò vicino a me, e con occhi tristi implorò: - Perdonami,
perdonami, ti supplico, ho bisogno di te, non mi lasciare, altrimenti ne morirei! Mi domandai se la droga che lo aveva divorato per otto anni, lo avesse fatto
ritornare bambino. Mi sembrava di essere una madre che sgridava il figlio che
faceva i capricci. Così mi sentii in dovere di suggerirgli una sentenza di un
famoso Maestro orientale, quindi sussurrai: - Confucio disse: “ Il saggio non
cerca niente e non rifiuta niente; egli si consacra solamente alla saggezza.
L'uomo nobile ama la virtù interiore, mentre il volgare ama le cose terrene;
l'uomo nobile ama la legge, mentre il volgare ama il favore.” -
Gabriele rimase in silenzio per un attimo, riflettendo su quello che gli avevo
detto, poi sospirando come se fosse stato condannato a morte, rispose:
- Non sono un uomo saggio, perciò non puoi pretendere che agisca come tale.
So che non ti merito, per questa ragione ho tanta paura di perderti, ecco perché
ti chiedo di aiutarmi. Sospirai, dopo una pausa aggiunsi: - Ascoltami bene; se sono insieme con te è
perché così deve essere. La nostra unione continuerà finché non avremo esaurito
lo scambio di conoscenza che ci serve… Gabriele interruppe il mio discorso domandando: - Che cosa vuoi mai che
possa insegnarti io?- Lasciami finire per favore, ecco perché Confucio dice di non cercare niente
e di non rifiutare niente, poiché tutti gli eventi fanno parte di un piano
universale, per fare evolvere lo spirito. Se noi fossimo già evoluti, non saremmo
sulla terra, ma in una dimensione adatte alla nostra conoscenza interiore. - Scusami ma sono un po' confuso. Se, come dici, tutto fa parte di un piano
divino, allora dovevo drogarmi perché così era scritto nel mio destino, quindi noi
non abbiamo il libero arbitrio. Versai dell'acqua nei bicchieri e, dopo aver bevuto, risposi: - Al contrario,
abbiamo il libero arbitrio, dalle nostre azioni nasce un seme, dal quale germoglia
la pianta, che produrrà frutti buoni e cattivi, che verranno mangiati nel futuro
dal coltivatore. Insomma, il destino di domani è il risultato delle azioni di oggi. Gabriele si massaggiò le tempie, poi brontolò: - Mi fischiano le orecchie,
immagino che il tuo discorso sia un po' pesante per me. - Sorrisi, poi dopo una
pausa continuai: - In parole più semplici, quando l’uomo arriverà a capire che il
male che fa agli altri, in realtà lo fa a sé stesso, a causa di una giustizia divina a
cui nessuno sfugge, allora si trasformerà in fonte d’amore. Gabriele sorridendo esclamò: - Interessante! - La verità è dentro la nostra coscienza, se sappiamo ascoltarla, infatti
Tehung - Yung affermava: “La legge del cielo si chiama coscienza. Seguire la
coscienza significa compiere il proprio dovere.” Gabriele mi fissò senza capire e aggiunsi: - La coscienza rappresenta la
scintilla divina che è in noi, che se l’ascoltiamo c'indica la retta via, ma troppo
spesso non vogliamo ascoltarla, quindi ci perdiamo per la via; quando avremo
raggiunto una certo grado d’evoluzione agiremo con coscienza, allora ci
trasformeremo in fonte d'amore e luce. - Già, la mia voce interiore spesso mi ha parlato, ma non l’ho ascoltata brontolò Gabriele serio.
- Bene, sono contenta che le tue orecchie non fischino più e spero che da
questo momento ascoltino la voce interiore della tua coscienza. Gabriele incantato ammise: - Certo che sei incredibile, non finisci mai di
stupirmi. Sei la donna che ho sempre cercato e non ti cambierei con nessun'altra.
Mi alzai in piedi chiedendo: - Che ne diresti se andassimo a fare una
passeggiata a Ravenna? Gabriele si alzò in piedi rispondendo felice: - Buon'idea, andiamo! -
Mezz’ora dopo, mentre passeggiavo in Via Cavour, Gabriele continuò a
complimentarsi con me, allora brontolai:
- Ti prego, smettila di adorarmi come fossi una dea. Sono anch'io qui per
imparare la lezione e pagare le mie colpe. Tanto per farti un esempio, la tua
ragazza ha pagato con la morte i suoi errori. Vedi, nessuno sfugge alla legge
della causa ed effetto. Gabriele mi guardò preoccupato, poi raccontò: - Quando venni a sapere che
Demetria era all’ospedale con l'Aids, rimasi di ghiaccio, perché sapevo che aveva
smesso di drogarsi da circa due anni, perciò non mi aspettavo quell’orribile
notizia. Sfortunatamente, quando corsi all'ospedale, si era già presa la
polmonite, non avendo più anticorpi. Quel giorno, quando la vidi, rimasi
psicologicamente distrutto, il suo viso bellissimo si era trasformato in una
maschera di sofferenza e il suo corpo in uno scheletro. Quando mi vide,
borbottò, con una debole voce: - Ciao, come stai? Capii immediatamente che faceva fatica parlare, quindi rimasi in silenzio.
Capisci, non aveva neanche la forza per rispondermi. Pochi giorni dopo la visita,
seppi della sua morte. Poi Gabriele si spostò dietro l’edicola in fondo a via Cavour e scoppiò in
singhiozzi, gli passai un fazzoletto: quando ebbe finito di asciugarsi, lo strinsi a
me, allora aggiunse:
- Era bellissima, ti porterò la sua fotografia e la vedrai. Sapessi, é molto
doloroso sapere che é morta quando aveva finalmente vinto l'incubo della droga.
Ti farò leggere le poesie che scriveva quando avrebbe voluta uscire dal labirinto
della polvere bianca. Non avevo parole per confortarlo, lo abbracciai e lo baciai teneramente sul
viso. Tra le sue braccia sentii il cuore battere, e il corpo fremere disperatamente,
le sue labbra bagnate di lacrime si posarono sulle mie, e con voce tremante
sussurrò: - Ti amo! Ti amo! Ti amo! Ancora una volta percepii il suo desiderio disperato di fare all’amore con me.
In quel momento mi sentii prigioniera della sua forte passione tentatrice, ma poi
quel sentore di morte che lo circondava mi staccò da lui e brontolai:
- Gabriele è tardi, andiamo fino a piazza del Popolo, poi torniamo a casa,
perché domani devi andare a lavorare.- Veramente domani non devo andare al lavoro, ho un mese di ferie! Mentre entravamo in piazza del Popolo, curiosa domandai: - Vuoi
spiegarmi? - Sono tutte le ore di straordinario che io ho maturato durante l'anno.
Potremo stare insieme anche durante la giornata, se vorrai. - Osservai la
suggestiva piazza, poi mentre tornammo in Via Cavour per raggiungere l’auto,
spiegai:
- Tu lo sai che non é possibile, io e Viola dobbiamo terminare il libro che
stiamo scrivendo insieme, prima d’imbarcarmi. - Ti prego, non ricordarmi che un giorno dovrai partire, ma se lo farai, ti
aspetterò e ti sarò fedele fino al ritorno. Ad ogni modo, se tu deciderai di non
partire più, io sarò l'uomo più felice del mondo, perché vorrei stare sempre
insieme con te. -
Con tono scherzoso affermò: - Tu non mi vuoi, questa notte dormirò col mio
cane Plutarco, lui sì che è felice di stare con me, quando lo lascio fuori della mia
stanza da letto graffia la porta e piange. Tu dovresti vederlo, è bellissimo, ha il
pelo morbido e, quando lo accarezzo, mi fa impazzire. Quel suo affetto per Plutarco m'intenerì il cuore. Allora sotto l’arco, alla fine
di Via Cavour, scherzando brontolai:
- Che delusione! Pensavo di essere l’unica a farti impazzire! Adesso sono
diventata gelosa anche del tuo cane e soprattutto del pappagallo! Scoppiammo a ridere insieme, poi mentre si allontanava ammise:
- Sarei un uomo fortunato se tu fossi gelosa anche dei miei animali. Il giorno dopo era il trentuno dicembre 1990 , le mie amiche vennero a farmi
visita e si lamentarono perché da quando stavo con Gabriele non mi vedevano
più. Infatti durante il giorno scrivevo il libro “I volgari artigiani dell'amore” e
tutte le sere le trascorrevo con Gabriele, che non mi lasciava prima delle tre di
notte. Anna non nascose la sua preoccupazione e mi pregò di prestare attenzione
a Gabriele, perché poteva regalarmi la morte su un piatto d’argento. Marzia mi
disse apertamente che, da quando mi ero messa con lui, ero finita in un labirinto
d'esaltazione e che nessun uomo era riuscito a colpirmi così al cuore, quindi il
mio era un gioco molto rischioso.
Giovanna non faceva altro che ripetermi che non mi riconosceva più, e non
avrebbe mai creduto che mi sarei innamorata di uno come Gabriele. Mi
difendevo affermando che quell'esperienza faceva parte del mio destino, perché
mi era stato annunciato l'incontro attraverso sogni che si erano rivelati
premonitori. Sapevo che si sarebbe avverato anche l'ultimo, che prevedeva la
nostra separazione.
Naturalmente non potevo sapere quanti giorni o mesi sarebbe durata la
nostra relazione. Ad ogni modo, anche se avessi voluto, non avrei potuto
lasciarlo; qualcosa di misterioso mi teneva legata a lui, ne ero felice, perché
dentro di me provavo qualcosa di sconvolgente che mai avevo provato.
Immaginavo che, poiché nulla succede per caso, la nostra relazione sarebbe
terminata nel momento in cui sarebbe finito anche lo scambio di conoscenza che
ci serviva per la nostra crescita interiore.
QUINTO CAPITOLO
L'ULTIMA NOTTE DELL'ANNO
Dalla sera precedente Gabriele mi aveva perseguitato col suo insistente
desiderio di fare all'amore con me, così durante la giornata mi sentivo aggredire
da misteriose ondate frizzanti, che mi scuotevano come una scossa elettrica.
Sapevo con certezza che tutto questo proveniva dall’ossessivo desiderio di
Gabriele, che si concentrava su di me, inviandomi per mezzo telepatico i suoi
stimoli sessuali. Non nascondo che ero continuamente tentata e questo mi faceva
soffrire; se continuava così, non avrei potuto stargli vicino per aiutarlo.
Certo che mi si presentavano problemi cui non avevo pensato, ma che mi
facevano capire che probabilmente non avrei potuto aiutarlo, anzi forse gli avrei
fatto del male involontariamente.
Quel pomeriggio del trentuno dicembre 1990, verso le diciotto Gabriele mi
telefonò per comunicarmi che i suoi genitori volevano conoscermi. La notizia mi
sconvolse, quella fretta mi faceva capire che Gabriele stava tentando di mettermi
davanti ad un fatto compiuto. Gli spiegai che avevo bisogno di pensarci e che gli
avrei telefonato entro mezz'ora. Ero felice di vedere i suoi genitori, ma non avrei
sopportato d’essere presentata come la sua ragazza, poiché ero certa che il sogno
della nostra separazione era premonitore, quindi non volevo accreditare false
apparenze. Telefonai a mia sorella Rossana e le chiesi di darmi un consiglio; lei
mi disse di andare e di presentarmi come un’amica, ciò avrebbe chiarito tutto.
Quella sera Gabriele fu puntualissimo, si udirono i suoi passi avvicinarsi alla
porta. Accesi la luce nel corridoio, poi lo vidi venirmi incontro. Era
elegantissimo, il blu gli stava molto bene e la camicia bianca illuminava il suo
viso; i capelli neri tirati all'indietro mi ricordavano Rodolfo Valentino. Mi prese
una mano e me la baciò teneramente, quindi alzò i suoi occhi neri e mi fissò
felice, infine esclamò: - Amore, sei stupenda! Indossavo una bellissima giacca in pelle scamosciata, nera, con applicazioni
di fiori dorati, che avevo comprato ad Istambul, durante i miei viaggi. Gabriele
mi baciò sulla guancia, poi mi aiutò ad indossare la pelliccia e, quando
raggiungemmo l'automobile, aprì lo sportello e mi fece salire. Dopo tutto ci
sapeva fare con le donne, aveva un certo “savoir faire” che non era da tutti.
Prima di partire, inserì una cassetta di Fred Bongusto e le note romantiche di
“Una rotonda sul mare” attirarono la mia attenzione. Durante il viaggio verso
casa sua, mi domandò se poteva fumare e gli risposi che, a bordo della sua auto,
era libero di fare ciò che voleva. Era una sera fredda e buia, con banchi di
nebbia che apparivano e scomparivano velocemente. Dentro di me speravo che
quei banchi si dissolvessero e sparissero, perché dopo la visita ai suoi genitori noi
saremmo partiti alla volta di Bologna per festeggiare la notte di capodanno in
Piazza Maggiore, dove sarebbe stato bruciato il pupazzo di legno che
rappresentava l’anno vecchio.
Giunti davanti al cancello, in ferro battuto, della casa di Gabriele, vidi
Plutarco che scodinzolava felice. Quando entrammo nel giardino, alcuni scoppi
di petardi innervosirono il cane, che cercò di fuggire, ma Gabriele riuscì ad
acciuffarlo in tempo. Curiosa domandai: - Perché non lo chiudi in casa, così
almeno sta tranquillo? - Non è così semplice, fra poco i miei genitori usciranno, noi pure, e se lo
lasciassi dentro, impaurito dagli scoppi dei petardi farebbe la pipì in casa, poi
cercherebbe di fuggire raspando nella porta. Salimmo le scale della villetta e, quando la madre di Gabriele ci aprì la porta,
Plutarco riapparve all’improvviso e veloce come un fulmine passò tra le gambe
della donna fuggendo in casa a nascondersi. La signora mi sorrise felice e,
stringendomi la mano, m'invitò ad entrare in casa. Intanto il padre di Gabriele
mi venne incontro affermando:
- È un piacere conoscerla. La prego, si accomodi. Mi sentii immediatamente a mio agio, i genitori di Gabriele portavano
stampato nei lineamenti del viso dolcezza e sensibilità, anche se i loro occhi non
nascondevano le tracce del dolore. Mi prepararono un caffè, poi la signora si
scusò con me insistendo che non era venuto bene. Il padre mi disse chiaramente
che il figlio era un poco di buono, ma che fortunatamente aveva smesso di
drogarsi e che ora aveva bisogno di una donna che sapesse dargli un indirizzo.
Gabriele ascoltava in silenzio, con lo sguardo fisso contro il pavimento.
Dissi che ormai il peggio era passato e che, ora che aveva ritrovato la via,
sarebbe diventato migliore di tanti altri che non si erano mai drogati. La madre
interruppe la discussione affermando che era stato un miracolo che il figlio fosse
riuscito ad uscire in tempo da quel tunnel della morte.
Tentai di portare un po' d'allegria e cambiai discorso domandando
sorridente come avrebbero reagito se un giorno Gabriele fosse tornato a casa
rapato. Scoppiarono in una risata, poi il padre rispose che mi avrebbe regalato le
forbici, perché anche lui non lo sopportava più con quei capelli lunghi. Gabriele
assicurò che nessuno avrebbe potuto tagliargli la chioma, poiché era la cosa che
amava più di se stesso. Poi i genitori si scusarono ma erano attesi ad una festa,
così si prepararono e, salutandomi affettuosamente, uscirono lasciandoci soli.
Gabriele m'invitò a seguirlo e mi mostrò il suo pappagallo, che mi fece
rabbrividire, quando lo vidi con una parte del corpo senza penne. Mi spiegò che
da anni si era ammalata e quel morbo misterioso le faceva cadere le penne,
anche perché lei tentava di grattarsi beccandosi e questo peggiorava la malattia.
Mi raccontò che aveva tentato parecchie volte di legargli il becco, ma era
troppo triste vedere il pappagallo in quelle condizioni, così aveva deciso di
lasciarlo libero. Mi afferrò per mano e scendemmo lungo una scaletta a
chiocciola e ci trovammo nell'appartamento dove Gabriele era stato rinchiuso
per parecchi mesi, quando aveva accettato di smettere di distruggere se stesso
con la droga.
Un brivido mi colse, mi sentii per un attimo attraversare il tunnel della
sofferenza che aveva percorso Gabriele, mille sensazioni sgradevoli mi
violentarono l'animo, mi misi una mano sul cuore e sentii il mio corpo irrigidirsi
per un attimo come se fossi diventata una statua di marmo.
Gabriele mi spinse all'interno di una stanza da letto, dove notai subito la sua
chitarra, perché la luce accesa all'improvviso fece brillare le corde musicali.
Sedetti sull'enorme letto in cui dormiva e mi guardai intorno pensando che
quella mobilia era appartenuta ai suoi nonni, poiché mi sembrò molto vecchia.
Intanto Gabriele aveva aperto il cassetto del comodino e n'aveva estratto alcuni
fogli e delle fotografie, si piegò verso di me e mi mostrò la foto di una bellissima
ragazza dalla pelle scura, con i capelli lunghi, legati a coda di cavallo.
In un primo momento pensai ad una ragazza mulatta, poi Gabriele spiegò: Era la mia ragazza! Sai, quella che é morta. Non risposi, continuai a fissare la fotografia e provai una profonda
compassione nel vedere una ragazza di tale bellezza che si era regalata la morte,
solo per aver voluto, un giorno, provare quella maledetta polvere bianca.
Gabriele cercò nel mucchio di foto e brontolò: - Stavo cercando una foto che
volevo farti vedere, credo sia sopra nel soggiorno, te la farò vedere dopo. Sussurrai: - Se ci tieni, la vedrò molto volentieri. Gabriele mi allungò un foglietto affermando: - Queste erano alcune delle
poesie che Demetria scriveva, quando si rendeva conto di non avere la forza di
uscire dal tunnel della droga. Notai subito una calligrafia dai movimenti deboli e disperati, mi sembrava
che le parole tentassero di fuggire dalle righe. Incominciai a leggere: Aiutatemi! Aiutatemi voi! Perché io non ho la forza di alzarmi e camminare
lungo la via della luce. Perché queste catene? Perché mi sento prigioniera?
Perché la mia anima gronda sangue? Aiutatemi! Aiutatemi voi! Perché io non ho
la forza di alzarmi e camminare lungo la via della luce. Alcune lacrime mi scesero sulle guance, mi asciugai velocemente con le mani
e non parlai per non far notare il mio dolore.
Intanto lui camminava avanti e indietro nella stanza a testa bassa e non si
accorse di nulla, allora lessi la seconda poesia: -Terrore. Terrore, disperazione,
sofferenza, é la via che mi sono scelta incatenandomi ad un'illusione, che mi
distrugge lentamente. E tu amore mio, che cosa fai per liberarmi dall'inferno?
Conducimi, ti prego, ad assaporare quella dolce pace, che nel mio dolore sembra
un sogno lontano. Mi schiarii la voce con un colpo di tosse, poi fissando Gabriele domandai: - E
tu che cosa hai fatto per aiutarla? - Beh, dopo aver tentato assieme di smettere, capimmo che da soli non ce
l’avremmo mai fatta, ci separammo, così con l’aiuto dei suoi genitori, Demetria
vinse la sua terribile battaglia, mentre io uscii dall’inferno un anno dopo di lei. Gabriele sospirò, smise di camminare, fissò il pavimento angosciato, poi
aggiunse:
- Hai ragione quando affermi che esistono cause ed effetto per ogni nostra
scelta sbagliata, che poi ci aggrediscono, quando ormai si pensa d’aver superato
l’insuperabile. - Già! Non dimenticare, però, che esistono anche le cause ed effetto delle
azioni positive, che dovrebbero essere le tue scelte immediate, per poter
raccogliere buoni frutti, nel futuro prossimo. Dopo una pausa rispose: - Ci proverò, perché sono stanco di soffrire come un
cane e sentirmi trattare come un poco di buono, per le cause ed effetto delle mie
azioni da tossicodipendente. Mentre riflettevo su quella terribile realtà notai sul letto un altro foglio di
poesie; lo presi e vidi che non era la stessa calligrafia, allora alzai lo sguardo
verso Gabriele, ma prima che aprissi bocca egli ammise:
- Quelle sono le poesie che scrivevo a Demetria! Le lessi, erano le stesse espressioni di passione, disperazione, solitudine e
dolore che avevo imparato a conoscere bene, da quando l'avevo incontrato.
Dovevo ammettere che quando impegnava se stesso in un nuovo amore,
usava gli stessi ingredienti, iniettando quel misto di sentimenti sull'amata,
stordendola nella passione. Allora pensai che probabilmente per Gabriele questa
era un'espressione capricciosa del suo forte egoismo per possedere, a tutti i costi,
l'oggetto dei suoi desideri.
Intanto Gabriele aspettava con impazienza il mio giudizio, allora affermai: Sono poesie ispirate dalla passione! Ti riconosco! - Allora seccato brontolò: Insomma, che cosa ti aspettavi che esprimessi quello che non sono? - Intendo dire che non mi hai sorpresa! Gabriele mi afferrò per mano, mi portò nel corridoio, salimmo le scale, poi
entrammo in un salotto e si mise a frugare in un cassetto dell'armadio ad angolo,
prese delle foto d'amici con cui aveva trascorso i suoi anni nel vizio e
depravazione. Poco dopo allungandomi una foto eccitato, gridò: - Eccola qua,
era quella che cercavo! -
Quando la vidi mi sentii inorridire e mi chiesi come potesse essere così
orgoglioso di un passato tanto orribile, che avrebbe piuttosto dovuto nascondere.
Vedevo quel suo corpo scheletrico disteso a terra, con addosso una tunica
bianca. L'espressione del suo viso scarno, con quei capelli lunghi che gli
coprivano le spalle, dava la sensazione d’essere stato fotografato in un momento
in cui era in preda agli effetti distruttivi della droga. Non nascondo che ebbi
l’impressione di vedere uno zombi e dissi:
- Che orrore! Questa foto repellente mi rimarrà per sempre impressa nella
memoria! Inorridita gettai la foto sul mucchio, poi mi allontanai. Egli si affrettò a
mettere le cose a posto e mi raggiunse nel corridoio, dove il pappagallo
impaurito volò nervoso dentro la gabbia, intanto arrivò anche Plutarco,
scodinzolando felice.
Pensai che probabilmente Gabriele cercava solo un pò di comprensione,
invece non capiva che con i suoi tentativi poco piacevoli mi faceva provare solo
disgusto. Mi sforzai d'essere me stessa, ma sentivo una forma di repulsione che si
espandeva dentro di me contro la mia volontà. Infine Gabriele prese il cane per
il collare e lo mise fuori dalla porta.
Gentilmente mi aiutò a mettere la pelliccia e ci avviammo verso l'automobile.
Intanto si udirono gli scoppi di alcuni petardi, allora Plutarco fuggì nel giardino
a nascondersi. Quando mi girai trovai lo sportello aperto, così salii a bordo, poi il
motore si accese e partimmo per Bologna.
Quella sera la nebbia sembrava giocare con noi, perché andava e veniva e
Gabriele accelerava e frenava all'improvviso in continuazione come se fosse una
danza obbligatoria di cui non si poteva fare a meno. Quando un'ora dopo
arrivammo in centro, non fu facile trovare un parcheggio, girammo tutta la città
ma invano, poi trovammo una viuzza dove c'era uno spazio libero, così
finalmente scendemmo dall'auto e c'incamminammo verso piazza Maggiore.
Gabriele si avvicinò e, a braccetto in silenzio, osservavamo grappoli di luci,
che ad ogni passo splendevano contro il cielo buio.
Man mano che ci avvicinavano all'enorme piazza, i disegni delle luci, appese
ad ogni contrada, apparivano sempre più luminosi e fantasiosi, dando una nota
di festa e allegria. Infine, sbucando da una viuzza stretta vedemmo davanti a noi
le due magnifiche torri degli Asinelli e Garisenda, che puntavano verso il cielo
stellato, illuminate da migliaia di lampadine che splendevano come diamanti
dorati nella notte. I ragazzi a gruppi correvano qua e là tirando petardi e
gridando euforici. Lentamente penetrammo quel muro di folla che circondava
tutta piazza Maggiore.
Le luci illuminavano a giorno tutti i vecchi palazzi, ricordandomi qualcosa
d'arcano che lentamente si risvegliava dentro di me. La musica classica
penetrava l'anima, facendomi provare una malinconia che mi accompagnò,
mentre guardavo la forma di quel vecchio di legno che emergeva tra l'enorme
folla rumorosa. Poco dopo il falò fu acceso e le fiamme si allungarono
scintillando sopra i palazzi, la sagoma di quel vecchio lentamente si trasformò in
fumo bianco, che si alzò nel cielo e si perse lontano nel buio della notte.
La folla che spingeva sempre più mi strinse tra le braccia di Gabriele, che
continuò a sussurrarmi che mi amava; stordita fra quella gente curiosa, mi sentii
soffocare in una morsa che mi lasciava senza respiro, lo presi per mano e,
spingendo, riuscimmo ad allontanarci da quella confusione. Poi, dal campanile
della città rintoccò mezzanotte, la gente vicino a noi aveva portato bottiglie di
Champagne e brindava al nuovo anno, Gabriele ed io ci scambiammo gli auguri
baciandoci, mentre mille grida, urla di felicità e petardi scoppiavano ovunque
tra la folla, illuminando per un attimo il luogo dove cadevano, provocando
panico e mettendo in fuga la gente.
Infine anche i fuochi d’artificio sfrecciarono verso il cielo nero, come mille
pietre preziose che esplodevano nell’immenso e si perdevano nel nulla. Sentivo la
città tremare sotto i miei piedi, allo scoppio continuo di quei fuochi colorati, che
facevano esultare in coro i presenti.
Erano molti anni che non trascorrevo un capodanno in Italia e quella festa,
anche se terribilmente rumorosa, mi aveva incantata e riportato alla memoria
vecchi ricordi ormai dimenticati. Verso l'una di notte la gente si disperse per le
viuzze strette del centro, lasciando dietro di sé rifiuti e disordine, così anche noi
lasciammo la piazza e raggiungemmo l'auto e ci avviammo verso casa mia, dove
avevo preparato una cenetta coi fiocchi.
Giunti davanti a casa mia scendemmo dall’auto, Gabriele gettò a terra la
cicca della sigaretta che stava fumando e la spense con un piede, attraversammo
il giardino in silenzio, aprii la porta ed entrammo.
Gabriele si tolse il cappotto e l’appese, poi si girò verso di me e mi mise le
mani sotto la pelliccia ed iniziò a baciarmi, su viso, naso e capelli, mi fece cadere
la pelliccia e la borsetta per terra e mi baciò appassionatamente su bocca, collo,
petto.
Capii che, se non me ne andavo in cucina, rischiavo di farmi stendere sulla
pelliccia nel corridoio, con uno strattone mi staccai da lui e corsi in cucina.
Intanto prese la mia pelliccia e la borsetta, le appese sul suo cappotto, mi
raggiunse e si sedette. Avevo apparecchiato il tavolo su una stupenda tovaglia
bianca, ricamata a mano.
Accesi due candele rosse e spostai le meravigliose orchidee rosa che mi aveva
regalato, poi accesi il fornello per scaldare la cena, notai che mi osservava pieno
di desiderio, feci finta di niente, presi una bottiglia di vino bianco dal frigo e la
misi sul tavolo. Egli si versò subito un bicchiere di vino, poi sussurrò estasiato:
- Amore, ti muovi come una dea, ti desidero da morire! Sorrisi compiaciuta, poi risposi: - Baltasar Graciàn affermava: “La passione
tinge dei propri colori tutto ciò che tocca”. Perciò ti prego, smettila di tentarmi. Gabriele sospirò nervoso, io misi sul tavolo delle tartine farcite e involtini con
funghi. Egli si servì, bevve un po’ di vino, poi brontolò serio: - Tu non sai che
cosa mi chiedi! Dopo una pausa aggiunsi: - Cicerone diceva: “ Nulla è difficile per chi ama.”
È logico che tu pensi solo ai tuoi istinti sessuali, ma la tua è solo bramosia. Egli mangiò avidamente una tartina, tossì, bevve un sorso di vino e infine
sbottò:
- Già, intendi che il mio sarebbe solo un istinto animale? Poi si riempì un altro bicchiere di vino, lo svuotò e lo riempì ancora. Io notai
che la bottiglia era già vuota, ne presi un’altra dal frigo, la misi sul tavolo e
risposi: - Il vero amore è un'energia di piacere infinito, che si rivela attraverso la
pazienza ed il rispetto, perché se si ama davvero, basta la presenza dell’amato
per renderci felici. Gabriele si scolò il bicchiere, lo riempì ancora e pentito sussurrò: Perdonami, ti prego! Bevvi un goccio di vino, lo fissai, poi alzandomi in piedi, dissi: - Ok, sei
perdonato! Ora mangiamo il dolce, poi andiamo nel soggiorno a brindare con lo
champagne. Gabriele sorridendo si bevve un altro bicchiere di vino, poi lo riempì, infine
aggiunse: - D’accordo, così dopo vado fuori a fumarmi una sigaretta. Mangiammo il dolce in silenzio, Gabriele svuotò la bottiglia, poi si alzò in
piedi dicendo:
- Intanto che tu prepari la bottiglia di champagne, esco a fumare. Nel frattempo accesi il caminetto nel soggiorno e preparai lo champagne.
Poco dopo entrò in casa tremando, allungò le mani sopra le fiamme, mi alzai e
andai a massaggiargli la schiena brontolando: - Sei uscito senza cappotto, sei
matto, vuoi ammalarti? Egli non rispose ed incominciò a baciarmi per tutto il corpo, tentai di
sfuggirgli scivolando in ginocchio sul tappeto, ma lui mi si gettò addosso e ci
ritroviamo abbracciati vicino al fuoco. Gabriele mi tolse la giacca e mi baciò sul
petto sopra la maglietta di pizzo nera, infine me la tolse e la gettò sulla poltrona,
allora riuscii a sfuggirgli, mi alzai, presi la maglietta e me la infilai, poi
sussurrai:
- Tesoro, beviamo un po’ di champagne. Gabriele si alzò in piedi brontolando: - Io preferivo mangiare te! Scoppiai a ridere dicendo: - Senti, piccolo cannibale, mangiare me significa
rompersi tutti i denti, poi sdentato sarai poco desiderabile. Gabriele scoppiò a ridere, poi venne a sedersi accanto a me nella poltrona,
presi lo champagne dal secchiello, stappai la bottiglia, riempii i bicchieri e
facemmo un brindisi. Impressionata guardai Gabriele che si bevve il contenuto
del bicchiere in un colpo solo, se lo riempì di nuovo e continuò a bere, infine mi
baciò sul collo e brontolò serio:
- Sono sicuro che, prima d’averti, mi farai morire con una sincope! - Scoppiai
a ridere, poi affermai divertita:
- Non andresti male, Wilhelm von Humboldt affermava che la morte non è
un periodo di chiusura dell’esistenza, ma soltanto un intermezzo, un passaggio
da una forma ad un’altra dell’essere infinito. Gabriele stupito si versò un altro bicchiere di champagne, poi brontolò serio:
- Ma io voglio stare qui con te, non voglio andare nell’altra dimensione. - Allora rilassati e finiscila di eccitarmi! Egli continuò a bere, poi domandò: - Ma tu credi nella reincarnazione? Seria ammisi: - So che esiste, perché dalla mia ottava coscienza ho attinto
una dozzina di sogni, che ho riconosciuto come “flashes” di mie vite precedenti. Gabriele mezzo brillo domandò: - Scommetto che anche tu ritieni di essere
stata una regina, oppure una principessa. -
Sorrisi divertita, poi risposi: - Niente affatto, nelle mie vite precedenti a volte
sono stato uomo, a volte donna, in una ero un selvaggio all’età della pietra, in
un’altra una schiava romana, in un’altra ancora un indio… Gabriele prese la bottiglia e versò nel bicchiere le poche gocce che erano
rimaste, scherzando fece finta di strizzare la bottiglia come di solito si fa con uno
straccio bagnato, poi borbottò: - Non c’è niente da fare, è finito! Brontolai: - Ora basta, non ti sembra di aver bevuto abbastanza? Gabriele serio posò la bottiglia sul tavolo e sbottò: - Tre bottiglie di vino in
due, è più che normale l’ultima notte dell’anno. Mi alzai in piedi domandando: - Te la senti di tornare a casa in quelle
condizioni? Gabriele si alzò in piedi, barcollò un attimo, poi asserì: - Se devo essere
onesto, preferirei tuffarmi nel tuo letto, con te, ma visto che mi spedisci, andrò a
casa. Scoppiai a ridere, poi aggiunsi: - Forse dovrei davvero spedirti come pacco
postale, perché in quelle condizioni potresti smarrirti per le stradine di
campagna. Gabriele raggiunse il corridoio senza barcollare, si mise il cappotto, mi baciò
sulle labbra, poi concluse:
- Non ti preoccupare per me, sono abituato a bere vino. Buon anno, amore
mio, a stasera! Gabriele si aprì la porta ed uscì, rimasi sulla soglia a guardarlo, si fermò, si
accese una sigaretta, si girò e m’inviò un bacio, poi sali sull’auto e partì. Allora
io chiusi la porta e andai a dormire.
SESTO CAPITOLO
UNA NOTA DI CHITARRA NELLA NOTTE
Il primo giorno dell'anno fui perseguitata, per via telepatica, dal continuo
desiderio di Gabriele di fare all'amore con me. Non era un “feeling” nuovo: mi
ero sentita pervasa da quella sensazione da alcuni giorni, ma diventava sempre
più potente e mi stupiva. Quella sera, quando Gabriele arrivò, si rivelò un
uragano di passione, in piena evoluzione. Cercai di raffreddarlo facendogli
capire che non sarebbe stato possibile e che mai avrei rischiato la mia vita, ma
quella disperata dolcezza mi trascinò in una spirale di sentimenti che ci pervase
senza limiti.
Così Gabriele si svestì, gettò gli indumenti qua e là nel salotto, si alzò in piedi,
mi afferrò per mano, uscimmo in corridoio e ci trovammo abbracciati sul mio
letto. Cominciò a svestirmi, ma all’improvviso una sensazione sgradevole mi
lasciò di ghiaccio: per un attimo mi sembrò di abbracciare un corpo scheletrico e
distrutto dalla droga e un odore asfissiante mi bloccò il respiro. Il mio corpo
sotto il suo si pietrificò e mi sentii una statua di marmo. Lui aveva percepito il
terrore che paralizzava il mio corpo, mi lasciò e spostandosi domandò:
- Amore, che ti succede? - Al momento non riuscii a rispondere, quel terribile
odore m'impediva il respiro, ma immediatamente capii che mi ero
improvvisamente svegliata da un sogno e mi rendevo conto che a due passi da me
c'era uno sconosciuto che mi si rivelava un'illusione svanita per sempre nel
nulla. I miei “feelings” erano sfumati, e mi domandai come potesse succedere
tutto ciò, era come se avessi spinto l'interruttore della corrente e questa si fosse
spenta.
Gabriele sembrò leggere i miei pensieri, perché con la voce tremante
sussurrò: - Non importa se non te la senti, abbiamo tanto tempo davanti a noi.
Sai, a volte succedono queste cose, ma non devi preoccuparti, perché ti sposerò.
Non subito, quando me lo potrò permettere; ora guadagno solo un milione e
mezzo e non mi bastano per me. Chissà perché si sentiva in dovere di farmi tutte quelle promesse, proprio
adesso che mi ero svegliata da uno strano gioco del destino. Non potevo certo
comunicargli quella mia scoperta così a bruciapelo, allora risposi:
- Scusami Gabriele, ma é più forte di me, non ci riesco! - Non ti preoccupare, ti ho già detto che sono cose che succedono. Ci rivestimmo, tornammo giù in salotto e gli allungai gli indumenti che aveva
gettato sul tappeto. Gli offrii un porto che sorseggiammo in silenzio. Sapevo che
era tutto finito, ma ora la cosa più difficile era saperglielo dire nel modo
migliore. Allora pensai che gli avrei raccontato la verità l'indomani sera. Così,
finito il drink, gli chiesi d'essere comprensivo e di lasciarmi sola, perché avevo
bisogno di riflettere su tante cose. Abbassò lo sguardo e, addolorato brontolò:
- Va bene, allora vado, perché credo che hai bisogno di pensare, ma ti prego
non farne un dramma, non è successo niente di grave, tu sai che in queste cose ci
vuole il suo tempo, ed io so aspettare. Mi baciò sulla fronte e se n'andò preoccupato, a testa bassa.
Il mattino dopo decisi di andare a fare un giretto, e quando uscii sulla strada
incontrai Marzia in bicicletta.
- Dove stai andando? - domandò curiosa.
- A fare una passeggiata in bicicletta sul rivale del fiume. Vieni anche tu? Mentre ci avviavamo pedalando verso il fiume, Marzia domandò: - Allora,
hai telefonato a Gabriele? - No, aspetto che lo faccia lui. Ci fermammo all’incrocio, mentre un’auto passava veloce.
- Già, non è facile dirgli la verità. - aggiunse Marzia seria.
Mentre attraversavamo l’incrocio, risposi:
- Ieri sera mi sono come svegliata da un sogno, trovandomi fra le braccia di
un perfetto sconosciuto. - Certo, perché hai un sacco di angeli in paradiso che hanno fatto salti
mortali per svegliarti in tempo, prima che tu annegassi in un mare di guai. Mentre salivamo la rampa che portava sul ponte, risposi:
- Gabriele è riuscito a trascinarmi nel suo labirinto di passione, perché per
mezzo telepatico mi ha fatto assaporare il suo incredibile mondo di desiderio. Lasciammo le biciclette sul rivale e ci incamminammo lungo il fiume.
- Per me sei una miracolata - aggiunse Marzia seria - perché eri talmente
coinvolta, che mai avrei creduto ti saresti svegliata così in fretta. -
- Hai ragione, è la prima volta che vengo travolta da un tale uragano di
passione, ma lui ha voluto farmi vedere quell'orribile foto che mi ha stravolta;
l'ha cercata con interesse, ma se solo avesse saputo l'effetto che mi avrebbe fatto,
probabilmente l'avrebbe strappata. - Come dici sempre tu, se niente succede per caso, probabilmente qualcuno
dall'alto, forse tuo padre, ti ha salvata la vita spingendo Gabriele a mostrarti
quella foto, che sapeva ti avrebbe stravolta svegliandoti all'improvviso. - Già, mi chiedo come farò a fermare un tale uragano in azione. Preoccupata fissai il fiume sotto di me.
- Se sei riuscita ad uscire da questo pasticcio, calmerai anche l'uragano. - Cercherò di essere il più crudele possibile - ammisi seria - così lui si renderà
conto che faccio sul serio. Non nascondo però che mi dispiace molto, non vorrei
farlo soffrire. Marzia pensierosa fissò il fiume che si perdeva lontano davanti a lei e
augurò: - Buona fortuna! - Prega per me - dissi - ne ho bisogno! Verso le 18.00 Gabriele mi telefonò per chiedermi come stavo e stabilire a che
ora ci saremmo incontrati.
Naturalmente non volevo più vederlo, così decisi che era ora di rivelargli le
verità. Quando mi assicurò che sarebbe arrivato verso le nove, risposi:
- Gabriele, ti prego di ascoltarmi: ho qualcosa da spiegarti, cerca di capirmi,
non ti amo e questo l'ho scoperto ieri sera, credimi se vuoi, ma per me è stato
come svegliarmi da un incantesimo. Io so che ti sarò sempre amica, se lo vorrai,
ma non potrà esserci nient'altro. Ora che sai la verità, puoi anche risparmiarti di
venire a casa mia. Dopo alcuni lunghi sospiri, Gabriele nervoso affermò:
- Non ci credo, tu mi amavi, non posso convincermi che ora tu mon mi ami
più. Vengo subito per parlarne, il ferro bisogna batterlo finché è caldo. - La sua
espressione mi fece quasi ridere e, per dimostrargli che ero decisa, risposi:
- Insomma Gabriele, anche se il ferro è caldo come dici tu, non riuscirai a
cambiare i miei sentimenti, che ormai sono stati cambiati da troppe cose che non
accetto. È troppo tardi e non c'è niente che possa farmi cambiare idea. Non avevo voglia di vederlo, ma sapevo che probabilmente la mia freddezza
lo avrebbe convinto a capire la verità e a dimenticare. Poi la sua voce tremante
riempì quel vuoto che si era creato per un momento:
- Va bene, se è come dici tu, devo capirlo da solo, perciò lascia che ti veda per
l'ultima volta. - OK. Ti aspetto, ma ti prego, vai piano, a fra poco. Sapevo con certezza che il mio amore si era trasformato in un affetto
fraterno, quell'incredibile notte mi aveva completamente cambiata. Mi venne in
mente il sogno e capii che anche quello si stava avverando nei particolari.
Speravo con tutto il cuore che Gabriele sapesse capire e accettare di buon grado
la mia decisione.
Presi una mia catenina d’argento ed alcuni ciondoli portafortuna che avevo
comprato in giro per il mondo, poi preparai un pacchettino regalo. Credo nella
forza del pensiero positivo, quindi lo strinsi fra le mani e mi concentrai con tutta
me stessa, sperando di trasferire su di lui energia nei momenti difficili.
Mezz’ora dopo sentii l’auto fermarsi davanti a casa mia, accesi la luce nel
corridoio e gli andai incontro; notai subito il suo viso cupo e preoccupato e mi
ritrovai davanti a qualcuno che non mi trasmetteva più quei “feeling” che
avevano avuto il potere di mescolare la mia essenza alla sua.
Speravo che non soffrisse tanto come di solito faceva alla fine di un amore.
Certamente non avrei potuto cambiare quel suo modo di chiudersi nel dolore,
vivendo la storia come un attore di teatro avrebbe recitato il dramma della
morte del suo grande amore.
Presi dall’armadio una bottiglia di porto e due bicchieri, li riempii e mi
sedetti accanto a Gabriele, immerso ad osservare le orchidee sul tavolo davanti a
lui, che ammise:
- Ti sento fredda e lontana, ma chi ti ha trasformato così? - Gabriele, ti ricordi quando ti raccontai quel sogno, dove tu mi portavi in
braccio correndo lungo una strada, poi interveniva una vecchia scheletrica, che
arrabbiata… Gabriele mi interruppe, sbottando: - Certo che mi ricordo, ma io non credo
nei sogni premonitori! - Non ha nessuna importanza quello che credi tu, spesso il sogno premonitore
serve a prepararci ad affrontare il nostro futuro, così l’impatto con la realtà sarà
meno tragico, perché il nostro inconscio è già preparato. Gabriele ammise: - Comunque non sono alla tua altezza, altrimenti capirei e
non mi farei assillare dai pensieri negativi. Dopo una pausa risposi: - Combatti e riuscirai a vincere il tuo sé inferiore,
così verrai a contatto col tuo sé superiore e capirai molte cose che ora ti sono
incomprensibili. - Ti rendi conto che mi stai chiedendo la luna? - Non capisci che anche adesso stai lasciando agire il tuo sé inferiore,
altrimenti saresti più ottimista, perché il limite esiste solo nell’uomo poco
evoluto. - Spiegami come potrò diventare più saggio. Sorrisi poi spiegai: - Il sé superiore prevede il futuro, in base alle nostre
scelte del passato e del presente, quindi per mezzo del sogno e dell’intuizione ci
invia messaggi per aiutarci a cambiare i nostri atteggiamenti sbagliati e
diventare più saggi. Gabriele sospirò più volte, poi a malincuore ammise: - Probabilmente sarà
così, ma per me è difficile da comprendere. - In conclusione, noi due siamo arrivati a questa situazione, attraverso il
risultato delle nostre azioni. Sbuffando Gabriele brontolò: - Non capisci che ho bisogno di te, altrimenti
non potrò più vivere, mi toglierò la vita se mi lascerai. Rimasi in silenzio, sapevo che avrebbe tentato il ricatto, e tranquillamente
risposi:
- Credo che quest'esperienza dovrà servirti per incominciare a rispettare le
scelte degli altri e lasciare da parte il tuo egoismo, perché bisogna essere in due
per amarsi. Gabriele mi fissò con rancore, poi prese il bicchiere e bevve un sorso di porto,
allora aggiunsi:
- Altrimenti devo pensare che la tua sensibilità è così misera da obbligare una
donna a stare con te contro la sua volontà. - Gabriele posò il bicchiere, poi
borbottò: - Non sarà facile per me, ti amo, lo capisci? Ripresi a parlare seria: - Se tu saprai rispettare i miei sentimenti, non sarà
difficile, altrimenti sarai libero di fare le tue scelte, non sarò certo io ad impedirti
di suicidarti, se questo è quello che vuoi. Gabriele impallidì, poi aggiunse: - Non ti riconosco più. Sorrisi e risposi: - Dovresti invece accettare gli eventi, senza rancore,
sapendo che nulla succede per caso, ma per la crescita interiore dell’uomo. Solo
così potrai dare pace alla tua anima. Gabriele arrabbiato mi fissò senza parole, presi il sacchetto con la catenina e
gliela porsi dicendo:
- Pregherò per te e sarò qui quando avrai bisogno; ricordati che ti voglio
bene e sarò felice di aiutarti, se lo vorrai. Lui intanto aveva preso in mano il sacchetto di pelle e curioso domandò: Cos’è? - Apri il sacchetto! Mi fissò stupito, poi fece scivolare la catenina tra le dita e, sorpreso,
domandò: - Cos'è, d'argento? - Certo! Ti porterà fortuna, perché lo desidero con tutta me stessa! - Elisabetta, sei molto gentile, lo accetto volentieri. Grazie! Mi alzai in piedi e chiesi a Gabriele di aspettare un attimo, poi salii le scale e
raggiunsi la mia libreria, presi il libro di un monaco tibetano “La mia vita” e
ritornai mentre si era versato un bicchiere di porto e lo stava sorseggiando. Gli
porsi il libro affermando:
- Vorrei che lo leggessi, c’è un messaggio che servirà per la tua crescita
interiore. Gabriele lo prese in mano: - Va bene, appena lo avrò letto te lo porterò
personalmente. - D’accordo! Poi si alzò in piedi brontolando: - Ora vado, non ha senso che resti ancora
vicino ad una mummia di ghiaccio. Si avviò alla porta a testa bassa con rabbia e rammarico, lo seguii in silenzio,
e prima di uscire, mormorò: - Ciao! Risposi al saluto e richiusi la porta dietro di lui. Un forte dolore mi colpì al
cuore all’improvviso, andai a sedermi sulla poltrona e angosciata borbottai: - Ti
prego, Gabriele, smettila di inviarmi il tuo dolore! lasciami in pace! Poi pregai Dio perché lo aiutasse, ma sapevo dentro di me che sarebbero
bastate poche settimane e il peggio sarebbe passato, era una questione di tempo e
la sua passione sarebbe sfumata come nuvole di fumo che si perdono nel cielo
allo stimolo del vento.
Quella sera, quando andai a letto, mi sentii leggera come una piuma: mi
sembrava di essermi liberata di un peso che altrimenti mi avrebbe soffocato.
Percepivo, purtroppo, il suo dolore che mi pungeva dentro l’anima e questo
mi ricordava la sua reazione. M’addormentai, ma l'inquietudine mi seguì nei
miei sogni. A notte fonda, una nota di chitarra mi svegliò di soprassalto vibrando
a lungo nella mia mente, allora confusa mi sedetti sul letto, sussurrando:
- Ti supplico, Gabriele, smettila d’inviarmi il tuo dolore accompagnato dal
suono della tua chitarra! Rimasi a riflettere a lungo su quella nota, così violenta da svegliarmi
all'improvviso nel mezzo della notte. Sicuramente, a quell’ora tarda, Gabriele
stava suonando la sua chitarra, pensandomi intensamente così da inviarmi per
mezzo telepatico una nota accompagnata dal suo dolore.
Tutto questo era veramente eccezionale, poiché circa un anno prima avevo
sognato che una nota di chitarra, accompagnata da un forte dolore, mi avrebbe
svegliato nella notte e mai avrei immaginato che si trattasse d’un sogno
premonitore che preparava il mio inconscio a ricevere un messaggio telepatico
nel futuro.
Meditai un pò, poi mi avvolsi tra le coperte pregando Dio di aiutarlo a
ragionare e capire che soffriamo sempre e soltanto per colpa del nostro egoismo,
in quanto non sappiamo accettare e rispettare la volontà altrui.
EPILOGO
Quattro giorni dopo, mentre guidavo lungo la strada che portava allo Stork
Club, dissi a Viola:
- Sono sicura che allo Stork ci sarà Gabriele. Viola sorrise e rispose: - Sono sicura che lo troverai distrutto, perché sono
trascorsi solo quattro giorni da quando lo hai lasciato. Vedrai, lui sarà là con la
speranza di vederti. Fissai la strada, preoccupata, e aggiunsi: - Spero di vederlo, ho intenzione di
verificare se la notte del tre gennaio era davvero nella sua stanza a suonare la
chitarra, mentre pensava a me, come credo sia successo. Viola felice esclamò: - Sia lodato il cielo! Curiosa domandai: - Per quale motivo? - Ho avuto paura che volessi tornare con Gabriele. Sorrisi poi ammisi: - La storia è finita e poi presto mi chiameranno per
imbarcarmi. Viola seria ammise: - Già, c’era da aspettarselo! Poco dopo parcheggiai l’auto davanti allo Stork ed infine entrammo nel
locale e ci sedemmo in un tavolino vicino alla pista da ballo. Dieci minuti dopo,
vidi fra la gente davanti a me Gabriele che mi guardava da lontano, ma non
aveva il coraggio di avvicinarsi. L’orchestra suonava un brano romantico,
quando Viola domandò: - L’hai visto? Ha due occhiaia spaventose! Comunque
se non lo chiami tu, Gabriele continuerà a fissarti da lontano. -
Allora mi alzai in piedi e lo chiamai: mi raggiunse sorridendo. Mi resi conto
che i suoi occhi brillavano di felicità e speranza, questo mi rattristò
immensamente, poi il vedere da vicino quelle occhiaia scure e il suo viso stanco
mi addolorò ancor di più.. Naturalmente la mia curiosità era forte, quindi
curiosa domandai:
- Scusami se ti disturbo, ma vorrei chiederti qualcosa che é d’estrema
importanza per la mia ricerca personale: ti prego, sii sincero... Egli serio domandò: - T’ho mai mentito? Lo fissai, poi ammisi: - No, non l'hai mai fatto, ma poi ti spiegherò perché ho
bisogno che tu sia sincero. Raccontami che cosa hai fatto la notte tra il due e il
tre gennaio. Gabriele sospirò, poi raccontò: - Sono ritornato a casa, poi mi sono rifugiato
nella mia stanza da letto con il mio cane Plutarco, e ho bevuto e suonato la
chitarra tutta la notte pensando a te. Se ti fa piacere sapere il resto... Interruppi Gabriele: - Mi basta! Ma lui, incurante di ciò che avevo detto, continuò: -….sono quattro giorni
che non dormo e questa sera sono venuto qua con la speranza di vederti. Ecco,
adesso sai tutto. In quel momento la luce della speranza s'impossessò di lui, allora lo invitai a
sedersi vicino a me, dovevo convincerlo a rassegnarsi: - Gabriele, ti ho chiamato
solo per verificare ciò che già sapevo. Sei riuscito a svegliarmi nel mezzo della
notte, trasmettendomi, via telepatica, il tuo dolore, accompagnato da una nota
della tua chitarra. Gabriele mi fissò incredulo, poi domandò: - Per caso ti stai prendendo gioco
di me? Lo fissai nervosa, poi brontolai: - Insomma Gabriele, quando ti ci vuole a
capire che svolgo una ricerca personale sulle mie esperienze paranormali? Gabriele, scosso, sussurrò: - Scusami, non ho parole, mi hai lasciato
stupefatto! In quel mentre iniziarono i lenti con un motivo dolcissimo, e Gabriele ansioso
domandò:
- Mi fai fare un lento? Nervosa brontolai: - Ti devi arrendere al destino: se ballassi con te ora, ti
farei del male perché ti illuderei; non ha senso. - Addolorato Gabriele borbottò: Forse per te non ne avrà, ma per me sarebbe la fine del mondo! Sorrisi a quell'espressione così spontanea, poi mormorai: - Ti voglio bene, è
vero, ma non posso darti quello che desideri da me. Scusami se insisto su questo
tasto, ma lo faccio perché tu possa capire e difenderti. Deluso Gabriele si alzò in piedi, borbottando: - Va bene, ho capito, non ci
sono più speranze. Ciao! Lo guardai allontanarsi distrutto fra la gente, ma sapevo che a modo suo
sarebbe riuscito a dimenticare.
Una decina di giorni dopo, verso le venti e trenta, il campanello di casa
suonò, andai ad aprire e, con sorpresa, mi trovai davanti a Gabriele, con un
libro in mano; felice esclamai: - Che sorpresa! -
Sorridendo domandò: - Posso entrare? Lo feci entrare e lo invitai ad accomodarsi nel salotto. Gabriele posò il libro
sul tavolino, poi affermò: - Sono venuto a riportarti il libro, come avevo
promesso. - Ti ringrazio, come stai? - Non c'è male, grazie - rispose guardandosi in giro.
Quando vide le orchidee che mi aveva regalato circa venti giorni prima,
brontolò:
- Non sono più con te, ma le mie orchidee si. Poi mi fissò in silenzio, con occhi tristi e rassegnati. Capii ad ogni modo che il
peggio era passato, e questo m’incoraggiò. Gli offrii un liquore, che mandò giù in
un colpo solo, poi aggiunse: - Non sapevo che le orchidee si mantenessero tanto
tempo. - Sono i fiori che resistono di più in acqua! Gabriele borbottò rassegnato: - Almeno qualcosa di me è ancora con te, se
non altro, quando le vedi, ti ricorderai di me. Mentre si alzava in piedi, risposi: - Per ricordarmi di te non ho bisogno delle
orchidee, con te ho vissuto un’esperienza straordinaria, che non dimenticherò
facilmente. Gabriele scettico ribatté: - Si è visto il risultato! Mi alzai in piedi e aggiunsi: - La penso come il saggio Inayatkhan, che
affermò: “Nessuno esperimenterà nella vita ciò che non gli è stato destinato”. Gabriele mi fissò pensieroso, poi aggiunse: - Può anche essere, ma non ci
credo! - Comunque, presto scriverò un libro sulla nostra incredibile storia. Gabriele scoppiò a ridere, poi con aria canzonatoria sbottò: - Mi fai ridere,
vuoi scrivere un libro, ma che storia è la nostra, se non abbiamo nemmeno fatto
all'amore!? Scioccata brontolai: - Sei incredibile, a volte i sentimenti più profondi si
vivono proprio con l'amore platonico. Scoppiò in un’ennesima risata, si avviò all'uscita senza ribattere, poi si fermò
sulla porta e domandò:
- Toglimi una curiosità, ma di che religione sei? Sorrisi e risposi: - Tutte le religioni sono importanti, quando insegnano
l’amore e la fratellanza, ad ogni modo cerco di mettere in pratica gli
insegnamenti del Cristo e del Buddha. Gabriele sorpreso esclamò: - Interessante! Gli posai una mano sulla spalla e aggiunsi: - Ricordati, Gabriele, che per
restare nella luce bisogna collegare il cuore alla mente. - Mi fissò serio, poi
concluse: - Ci proverò! Ad ogni modo sono venuto solo per restituirti il libro,
quindi non ha senso che resti ancora. Ciao! Mi sorrise, raggiunse il cancello, si girò, mi salutò con un cenno di mano e
sparì nella strada, dietro agli alberi.