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la Biblioteca di via Senato mensile, anno iii Milano n.7 – luglio/agosto 2011 UTOPIA G. Camillo: e il teatro della memoria di gianluca montinaro SETTECENTO Una pittoresca metafora umana: i miti dell’asino di annette popel pozzo ILLUSTRANDO La Nausikaa di G. de Latenay una (ri)scoperta di mauro nasti CARTEGGI “Aria d’Italia” tra Malaparte e Daria Guarnati di laura mariani conti e matteo noja IL SAPERE Buffon, un ricercato naturalista di arianna calò la Biblioteca di via Senato - Milano MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO III – N.7/25 – MILANO, LUGLIO/AGOSTO 2011 Sommario 4 L’Utopia: prìncipi e princìpi “L’IDEA DEL TEATRO”, UTOPIA DELLA MEMORIA di Gianluca Montinaro 12 BvS: dal Fondo Antico L’ASINO PITTORESCO DEL SETTECENTO di Annette Popel Pozzo 19 BvS: dall’Archivio Malaparte DARIA GUARNATI E LE SUE EDIZIONI “ARIA D’ITALIA” di Laura Mariani Conti e Matteo Noja 26 BvS: il libro illustrato GASTON DE LATENAY, UN ARTISTA DA SCOPRIRE di Mauro Nasti 33 IN SEDICESIMO - Le rubriche IL TEATRO DI VERDURA, CATALOGHI, SPIGOLATURE, L’INTERVISTA D’AUTORE, RECENSIONI, MOSTRE 50 BvS: un editore dell’Ottocento L’ELVETICA DI CAPOLAGO E QUELLE EDIZIONI “ALLA MACCHIA” di Beatrice Porchera 55 BvS: rarità per bibliofili L’ELEGANTE HISTOIRE NATURELLE DEL CONTE DI BUFFON di Arianna Calò 60 BvS: dal Fondo Impresa “CIVILTÀ DELLE MACCHINE” DALLA RICOSTRUZIONE AL BOOM di Giacomo Corvaglia 66 BvS: un editore del Novecento SCHEIWILLER, DUE GENERAZIONI DI EDITORI A MILANO di Paola Maria Farina 72 BvS: una Storia editoriale I SALANI, EDITORI FIORENTINI CON LA PASSIONE PER DANTE di Valentina Conti 76 BvS: nuove schede RECENTI ACQUISIZIONI DELLA BIBLIOTECA DI VIA SENATO 80 La pagina dei lettori BIBLIOFILIA A CHIARE LETTERE Consiglio di amministrazione della Fondazione Biblioteca di via Senato Marcello Dell’Utri (presidente) Giuliano Adreani, Carlo Carena, Fedele Confalonieri, Maurizio Costa, Ennio Doris, Fabio Pierotti Cei, Fulvio Pravadelli, Miranda Ratti, Carlo Tognoli Segretario Generale Angelo De Tomasi Collegio dei Revisori dei conti Achille Frattini (presidente) Gianfranco Polerani, Francesco Antonio Giampaolo Fondazione Biblioteca di via Senato Elena Bellini segreteria mostre Arianna Calò sala consultazione Valentina Conti studio bibliografico Sonia Corain segreteria teatro Giacomo Corvaglia sala consultazione Margherita Dell’Utri sala consultazione Paola Maria Farina studio bibliografico Claudio Ferri direttore Luciano Ghirelli servizi generali Laura Mariani Conti archivio Malaparte Matteo Noja responsabile dell’archivio e del fondo moderno Donatella Oggioni responsabile teatro e ufficio stampa Annette Popel Pozzo responsabile del fondo antico Beatrice Porchera sala Campanella Gaudio Saracino servizi generali Stampato in Italia © 2011 – Biblioteca di via Senato Edizioni – Tutti i diritti riservati Direttore responsabile Angelo Crespi Ufficio di redazione Matteo Tosi Progetto grafico e impaginazione Elena Buffa Coordinamento pubblicità Margherita Savarese Direzione e redazione Via Senato, 14 – 20121 Milano Tel. 02 76215318 Fax 02 782387 [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it Bollettino mensile della Biblioteca di via Senato Milano distribuito gratuitamente Fotolito e stampa Galli Thierry, Milano Referenze fotografiche Saporetti Immagini d’Arte Snc, Milano L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte Immagine in copertina: Illustrazione di Nausikaa di Gaston de Latenay, Parigi 1899 Organizzazione Mostra del Libro Antico e del Salone del Libro Usato Ines Lattuada Margherita Savarese Ufficio Stampa Ex Libris Comunicazione Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Reg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009 Editoriale Q uesto bollettino va in vacanza con un numero doppio arricchito di pagine e diversi interventi che riguardano anzitutto il tema dell’Utopia, caro a questa Biblioteca, poi il fondo Malaparte che si sta sempre più svelando pieno di veri e propri inediti. Ancora una puntata sul mito dell’asino nel Settecento che precede l’ultima e conclusiva indagine bibliografica sul curioso tema. Si aggiunge l’opera vasta e ricca di illustrazioni sulla storia naturale del grande Buffon, qui nella mitica edizione originale; la presentazione in chiave storica della tipografia svizzera di Capolago; la civiltà delle macchine ripresa dal nostro fondo dell’Impresa italiana e dalla storia dell’industrializzazione e infine quell’iniziativa degli Scheiwiller, esempio raffinato e colto ma purtroppo estinto del nostro panorama editoriale, accompagnano il lettore in questa strana estate che nel Teatro della Biblioteca di Via Senato continua tuttavia tra piogge e caldo tropicale ad allietare le serate di chi resta in città. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 5 L’Utopia: prìncipi e princìpi “L’IDEA DEL TEATRO”, UTOPIA DELLA MEMORIA Giulio Camillo e l’arte mnemotecnica rinascimentale GIANLUCA MONTINARO n un celebre racconto, Isidoro Funés, o della memoria, Jorge Luis Borges immagina una mente, quella del protagonista, il giovane Funés, capace di ricordare tutto: dalle nozioni più complesse ai fatti più insignificanti. Dietro questa fantasia ossessiva si cela l’interesse del bibliotecario Borges per l’arte della memoria, o mnemotecnica, cioè quel sistema generale e insieme di tecniche volte a sostenere la memoria per farle acquisire il più ampio sapere possibile. Su quest’arte quasi magica, capace di elevare un insieme nozionistico a sistema gnoseologico, esiste un corpus abbastanza discreto di trattati, fin dall’epoca romana. Molti fra essi si possono annoverare fra i testi componenti il canone dell’utopia per la tensione allo sguardo complessivo che li anima, per la forza innovativa che li sottende, per la convinzione di poter sussumere tutto il sapere nell’Uno. Nell’ambito delle collezioni antiche conservate presso la Biblioteca di via Senato I A sinistra: Frontespizio di Giulio Camillo, L’idea del theatro dell’eccellen. M. Giulio Camillo. In Fiorenza 1550 (Stampato in Fiorenza appresso Lorenzo Torrentino impressor ducale del mese d’aprile l’anno 1550. Con privilegi ...). A destra: Tiziano Vecellio (1488/901576), L’orazione di Alfonso d’Avalos, 1540, Museo del Prado, Madrid spicca un testo mnemotecnico importantissimo: L’idea del theatro di Giulio Camillo («stampato in Fiorenza appresso Lorenzo Torrentino impressor ducale del mese d’aprile l’anno 1550», con la curatela di Lodovico Domenichi). La ricerca e gli studi sulla memoria erano materia di interesse già presso gli antichi i quali ponevano grande cura nell’esercitare l’arte del ricordo. Anche i trattati di retorica dedicavano a essa una particolare attenzione. Cicerone e Quintiliano consigliavano di collegare mentalmente le “cose” precise da ricordare a loci (luoghi fisici veri e propri) dei quali chiaramente si distinguano parti e sezioni (per esempio edifici architettonici, con le loro diverse e ordinate strutture) entro cui collocare una serie di immagini capaci di richiamare, tramite associazione, gli “oggetti” al posto dei quali esse compaiono. E’ l’anonimo manuale di retorica Ad Herennium a contenere la descrizione più completa di tale tecnica, essenziale soprattutto agli oratori per tenere a mente i discorsi; altrettanto importanti risultano altri due testi: il De oratore di Cicerone e l’Institutio oratoria di Quintiliano. Durante il Medioevo, invece, la mnemotecnica si orientò secondo una prospettiva combinatoria e, più che uno strumento per facilitare il 6 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Dedica del curatore Lodovico Domenichi al diplomatico spagnolo Diego Hurtado de Mendoza ricordo, divenne un momento di sintesi di tutte le forme e contenuti del sapere. Fu soprattutto al filosofo catalano Raimondo Lullo (1235-1315) che si deve quest’indirizzo, chiaramente ispirato alla cabala ebraica. Ma è nel Rinascimento che l’arte della memoria raggiunge il suo massimo splendore, incontrandosi e fondendosi con le correnti neoplatoniche ed ermetiche che percorrevano le sofisticate corti europee. Nel 1482 Jacopo Publicio pubblica, a Venezia, il suo Oratoriae artis epitome a cui è annessa, come appendice un’Ars Memorativa. Seguono, negli anni successivi, la Phoenix sive artificiosa memoria (Venezia, 1491) di Pietro da Ravenna e la Congestorium artificiosa memoriae (1520 e poi, tradotto da Ludovico Dolce, Venezia 1533) di Johannes Romberch. Fra i testi pubblicati nella seconda metà del Cinquecento vale la pena ricordare il Thesaurus artificiosae memoriae di Cosmo Rosselli (Venezia, 1579), la Plutosofia di Filippo Gesualdo (Padova, 1592) e l’Ars reminiscendi (Napoli, 1602) di Giovan Battista Della Porta. An- che Giordano Bruno si interessa alla mnemotecnica, con due trattati stampati durante il primo soggiorno parigino, nel 1582: il De umbris idearum e il Cantus Circaeus («Quest’arte non serve soltanto ad acquisire una semplice tecnica mnemonica, ma apre anche la via e introduce alla scoperta di numerose facoltà» scrive Bruno). Per Bruno l’architettura mentale alla quale occorre dar vita è articolata in una serie di cinque ruote concentriche (ispirate a Lullo), ciascuna delle quali, divisa in trenta parti, reca lettere dell’alfabeto latino, greco ed ebraico, suddivise a loro volta in cinque settori. Su esse vanno distribuite mentalmente le immagini dei trentasei decani dello zodiaco, dei quarantanove pianeti, del Draco Lunae e delle ventotto mansiones della luna, oltre a altre trentasei immagini sparse. L’insieme rappresenta la volta celesta con i relativi influssi astrologici. Il girare delle ruote permette ogni possibile intreccio (per la cifra astronomica di oltre 505 milioni di permutazioni). Il mago che si impadronisse di questo sistema non solo aumenterebbe la propria capacità di ricordare, ma avrebbe impresso in sé, controllandolo, (secondo il principio d’unità che tutto è in tutto e che il caotico mondo subceleste degli elementi è governato dal mondo sovraceleste) l’intero insieme delle forze celesti in tutte le sue forme sempre cangianti. Insomma la mnemotecnica assurge, nelle intenzioni, a divenire «non una semplice tassonomia del mondo ma lo strumento essenziale per la sistematizzazione del sapere, il palinsesto generale della percezione cognitiva, la cifra che schiude il più recondito segreto dell’universo»1 e quindi i significati segreti nascosti, l’essenza delle cose, la conoscenza stessa. Dell’autore de L’idea del theatro - Giulio Camillo Delminio - non si conosce molto. La sua figura e le sue gesta sfumano nella leggenda: le fonti sulla sua vita sono due biografie scritte nel XVIII secolo da Federigo Altan e Giorgio Liruti. Nato probabilmente a Portogruaro nel 1480, e morto a Milano nel 1544 in circostanze misteriose (forse assassinato), Giulio Camillo è una figura poliedrica: filosofo e letterato, umanista ed erudito, noto anche come buon rimatore, commentatore e autore luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 7 L’Idea del Theatro di Giulio Camillo di vari scritti (alcuni ancora inediti) fra cui un trattato sull’imitazione nell’arte. Dopo aver studiato presso l’università di Padova, si dedica a insegnare eloquenza e logica. Nel 1508 fonda a Pordenone l’Accademia Liviana. In seguito si trasferisce a Venezia ove stringe amicizia con Pietro Bembo, Pietro Aretino e Tiziano, conoscendo anche Erasmo da Rotterdam il quale lo ricorda nella sua opera Ciceronianus, attribuendogli eccellenti doti di oratore. Imbevuto dal clima cabalistico-esoterico che si respira a Venezia si dedica ad approfondire lo studio della lingua ebraica e delle lingue orientali, del pitagorismo e del neoplatonismo. Nel 1519, in occasione di un viaggio a Roma, conosce il cardinale Egidio da Viterbo, uno dei più grandi cabalisti cristiani e probabile autore della celebre e misteriosa Hypnerotomachia Poliphili. In questi anni matura, sulla spinta dei suoi interessi retorico-oratori, mnemotecnici ed ermetico-cabalistici, dapprima l’idea d’una enciclopedia delle scienze organizzata secondo l’armonia del corpo umano e, infine, l’idea di un teatro, di un vero teatro ligneo - in scala ridotta - di stile vitruviano, come proiezione reale dell’arca della memoria. In esso Giulio Camillo intende rappresentare, per “luoghi” materiali, una vera topica o alfabeto universale comprensivo di tutte le arti e le scienze, che, visualizzate per mezzo di simboli e memorizzate in cartigli distribuiti in sette ordini o gradi, avrebbero costituito una summa paradigmatica dello scibile e una via spedita a cogliere e impossessarsi di ogni più minuta nozione. Questo “edificio della memoria” avrebbe dovuto rappresentare in una visione unitaria la serie organica e armonica dell’universo, cabalisticamente suddiviso in mondo sovraceleste, celeste e sublunare. Sefirot e idee platoniche avrebbero costituito i “luoghi eterni” della memoria, i veri modelli primordiali della retorica garantiti dalla ontologia misterica. Come si vede, Giulio Camillo insegue il sogno di unificare cose parole e arti in una enciclopedia del sapere, ch’egli intende proiettare ad extra in una memoria materializzata nelle forme d’una “fabrica” artificiale e organizzata in un sistema di luoghi ri- gorosamente ordinati. Questa sistemazione dello scibile, condotta secondo i principi della retorica classica e della memoria artificiale, deve costituire per Giulio Camillo la novità mirabile ed arcana, la chiave universale con cui attingere con somma facilità ogni linguaggio e ogni scienza. Alla costruzione e al perfezionamento, mai concluso, di tale “fabrica” Giulio Camillo impegnerà tutta la vita, alla ricerca continua del concreto patrocinio di un mecenate.2 Nel 1521 è a Bologna, da dove intrattiene rapporti epistolari con Bembo e quindi a Genova dove, secondo la testimonianza di Sebastiano Fausto da Longiano, nella casa di Stefano Sauli, posta «in quel piacevolissimo colle sopra il mare», che Giulio Camillo «ritrovò, principiò, e terminò con la scorta del giudizio di V. S. la Fabrica del suo Teatro».3 Negli anni successivi viaggia fra Venezia e Bologna (ove assiste anche, nel 1530, alla inco- 8 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 “Il secondo grado del Theatro havera le porte sue dipinte di una istessa imagine, & questa sara un convivio” millo si sentirà legato non si spiega se non con la precisa richiesta di prelazione sul “brevetto” da parte di Francesco I, a cui una questione di “scienza curiosa” dovette apparire del più grande interesse.4 ronazione di Carlo V), sempre alla ricerca di fondi per la costruzione materiale dell’edificio mnemotecnico. Il progetto, ormai noto negli ambienti intellettuali, gli attira lode ma anche invidia e derisione. Francesco I di Francia, informato dal suo ambasciatore presso la Serenissima, si dimostra interessato al progetto e chiede a Giulio Camillo di raggiungerlo oltralpe per mostrargli un modello in scala dell’edificio della memoria. Giunto a Parigi in compagnia di Girolamo Muzio, in mezzo a sospetti e intrighi, ottiene udienza, promettendo al sovrano, a patto del riserbo più assoluto, di renderlo sia in greco sia in latino oratore e poeta pari ai più celebri antichi, impiegando una sola ora al giorno per brevissimo tempo, il tutto per 2.000 scudi d’oro annui. Di fatto, dopo due incontri, Giulio Camillo ne ottiene 600 per ritornare in patria, con l’impegno di portare a termine il teatro ad esclusivo godimento del re. Il forzato silenzio a cui in seguito Giulio Ca- Tornato quindi a Venezia, e coinvolto in una spiacevole polemica con Erasmo da Rotterdam, continua nel suo lavoro, iniziando la stesura dell’Idea del Theatro, un trattato apologetico in difesa dei propri studi e delle proprie scoperte. Nel 1534 riparte per la Francia, circondato sempre da un’aurea di riverenza, mista ad accuse, neppure troppo larvate, di ciarlataneria. Nella capitale francese è protagonista di un episodio celebre. Un giorno, in compagnia di altri gentiluomini (fra cui Luigi Alamanni e il cardinale Giovanni di Lorena), si reca in visita a un serraglio. All’improvviso, da una gabbia fuoriesce un leone. Nel generale parapiglia, Giulio Camillo rimane immobile di fronte all’animale il quale, invece di assalirlo, «lo prese senza nocumento per le coscie, et con la lingua lo andava leccando».5 La sua fama di mago, capace di ammansire anche le fere, cresce enormemente. Di quegli anni è anche un’opera intitolata De transmutatione. In essa Giulio Camillo scrive significativamente di una triplice trasmutazione: «la Divina, quella delle Parole et quella ch’è pertinente alli Metalli». Tornato in Italia conosce, grazie a Girolamo Muzio, il governatore di Milano Alfonso d’Avalos il quale lo convince a entrare al suo servizio. E’ lo stesso Muzio a narrare i monologhi di Giulio Camillo col suo nuovo mecenate. Quando narra del suo teatro appare come «rapito in Spirito», posseduto da «una specie di furore quale descrivono i Poeti della Sibilla, o della Profetessa de’ tripodi d’Apolline». Alcuni mesi dopo, a Milano, muore misteriosamente (forse assassinato), lasciando tutte le sue opere inedite. L’Idea del Theatro, unica testimonianza di tutti i suoi studi mnemotecnici, sarà pubblicata sei anni più tardi. Nell’Idea del Theatro Giulio Camillo non comunica il segreto dell’effettivo funzionamento del sistema, rivelato al solo Francesco I. Le parole di Camillo, suonano oscuramente allusive. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 9 Mercurio Trismegisto dice che il parlar religioso e pien di Dio viene a esser violato quando gli sopravviene moltitudine volgare. Laonde non senza ragione gli antichi in su le porte di qualunque tempio tenevano, o dipinta, o scolpita, una sphinga; et da cabalisti Ezechiel vien chiamato propheta villano, per haver alla guisa d’huomo di villa scoperto tutto quello ch’egli havea veduto. […] Passiam col nome del Signore a ragionar del nostro Theatro.6 tinuo gli ha fatto quasi perdere l’uso della parola. Si dice, comunque, che sia di un qualche valore nell’uso del volgare, che ha insegnato in un certo periodo a Bologna, a quel che dicono. Quando gli ho fatto delle domande circa il significato dell’opera, e il piano e i risultati - parlando con reverenza e come attonito davanti a quel miracolo - mi ha messo innanzi certi scritti, e li ha letti in modo che dava risalto a numeri, clausole e a tutti gli artifici dello stile italiano, sia pure con qualche disuguaglianza a causa del suo impedimento nel parlare. Si dice che il re gli faccia premura perché torni in Francia con la sua magnifica opera. Ma poiché era desiderio del re che tutto il materiale latino fosse tradotto in francese, e per questo già egli aveva messo al lavoro un interprete e uno scrivano, disse di pensare che avrebbe differito il viaggio piuttosto che esibire un’opera imperfetta. Egli chiama questo suo teatro con molti nomi, dicendo ora che è una mente e un’anima artificiale, ora che è un’anima provvista di finestre. Pretende che tutte le cose che la mente umana può concepire e che non si possono vedere con l’occhio corporeo, possono tuttavia, dopo essere state raccolte con attenta meditazione, essere espresse mediante certi simboli corporei in modo tale che l’osservatore può, all’istante, percepire con l’occhio tutto ciò che altrimenti è celato nelle profondità della mente umana. E appunto a causa di questa percezione corporea lo chiama un teatro. Quando gli domandai se aveva scritto qualcosa a sostegno della sua opinione, poiché ci sono molti, oggi, che non approvano questo zelo nell’imitazione di Cicerone, rispose che aveva scritto molto, ma aveva per il momento pubblicato poco, salvo alcune cosette in italiano dedicate al re. Intendeva però pubblicare le sue opinioni sull’argomento, quando avesse potuto godere di qualche tranquillità e fosse terminata l’opera a cui stava dedicando tutte le sue energie. Dice che ci ha speso già 1500 ducati, benché il re sinora gliene abbia dati solo 500. Ma attende dal re ampio compenso, quando abbia sperimentato i frutti del lavoro.8 L’idea di Delminio è quella di raccogliere con un’unica visione, diretta verso un unico luogo, tutto lo scibile. Del modello mostrato al re di Francia non rimane traccia ma sappiamo che lo spettatore entrava materialmente dentro un teatro ligneo: nella posizione di attore, dal palcoscenico, doveva guardare verso le gradinate, gremite di figure e immagini. Uno spettatore, Viglio Zwichem, lo descrive nei seguenti termini, scrivendo a Erasmo da Rotterdam: Dicono che quest’uomo ha costruito un certo anfiteatro, un lavoro di mirabile ingegno, dove, chiunque vi sia ammesso come spettatore, sarà in grado di discorrere di ogni argomento con loquela non meno fluente di quella di Cicerone. Pensai dapprima che si trattasse di una favola finché non appresi su ciò di più da Battista Egnazio. Si dice che questo architetto abbia raccolto su certi luoghi determinati tutto ciò che su ogni argomento si trova in Cicerone... ed abbia disposto certi suoi ordini e gradi di figure... con stupendo lavoro e divino ingegno.7 E continua in una lettera successiva: L’opera è in legno, segnata con molte immagini e gremita, in ogni parte, di piccole cassette; e vi sono diversi ordini e gradi. Egli ha assegnato il suo posto ad ogni figura ed ogni singolo ornamento, e mi ha mostrato una tal quantità di carte che, sebbene io abbia sempre sentito che Cicerone è la più ricca fonte dell’eloquenza, difficilmente avrei pensato prima che un autore potesse contenere tanta roba o che dai suoi scritti si potessero mettere assieme tanti volumi. Ti ho scritto in precedenza il nome dell’autore, che si chiama Giulio Camillo. È balbuziente assai, e parla latino con difficoltà, scusandosi col pretesto che lo scrivere con- Probabilmente articolato in sette ordini, tagliati da altrettante corsie, il modello di Giulio Camillo poneva nel primo i sette pianeti. «L’intero sistema poggia, cabalisticamente, sui sette pilastri della Casa dalla sapienza di Salomone, sette “misure” destinate a ripetersi nel 10 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Tiziano Vecellio (1488/90-1576), Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza, c. 1565, National Gallery, Londra mondo sopraceleste delle sette Sefirot, dei sette angeli e delle idee platoniche, nel mondo celeste dei sette pianeti (posti al primo ordine dei gradi e ognuno in corrispondenza a una corsia) e nel mondo terrestre-elementare, che si svolgeva dal secondo al sesto grado». In tal modo sarebbe stato rappresentato «in ordine ascendente il procedere e l’espandersi della creazione dell’universo nei successivi stadi, dalle eterne idee primigenie al mutevole esplicarsi delle attività umane».9 Quest’alta et incomparabile collocazione fa non solamente officio di conservarci le affidate cose, parole, et arte, che a man salva ad ogni nostro bisogno informati prima le potremo trovare; ma ci da anchor la vera sapienza, ne’ fonti di quella venendo noi in cognition NOTE 1 F. A. YATES, L’arte della memoria, Torino, Einaudi, 1993, p. 101. 2 G. STABILE, Camillo, Giulio, detto Delminio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto Nazionale dell’Enciclopedia Italiana, Roma. delle cose dalle cagioni et non dalli effetti. Il che, più chiaramente esprimeremo con uno esempio. Se noi fossimo in un gran bosco et havessimo desederio di vederlo tutto, in quello stando, al desiderio nostro non potremmo soddisfare: percioché la vista intorno volgendo, da noi non se ne potrebbe veder se non una piccola parte, impedendoci le piante cirocnvicine il vedere delle lontane: ma se vicino a quello vi fosse una erta, la qual ci conducesse sopra un alto colle, del bosco uscendo, dall’erta cominciaremo a veder in gran parte la forma di quello; poi sopra il colle ascesi tutto intiero il potremmo raffigurare. Il bosco è questo nostro mondo inferiore, l’erta sono i Cieli, et il colle il sopraceleste mondo. Et a voler bene intendere queste cose inferiori è necessario di ascendere alle superiori: et di in alto in giù guardando, di queste potremo haver più certa cognitione.10 L’aspetto più destabilizzante, che probabilmente i detrattori di Giulio Camillo hanno scambiato per ciarlataneria, è il ruolo che dovrebbe assumere lo spettatore una volta dentro il “teatro della memoria”. L’edificio, in realtà, non si limita a ricostruire nella forma una visione globale e complessiva della natura, del globo, e quindi delle stelle e di tutto l’universo. Il Teatro vuole cogliere l’atto stesso Dio, attraverso la ricostruzione dell’azione della divina sapienza, ovvero di tutto ciò che è fluito dalla Sua mente: il creato. E allo spettatore, sul palco, tocca vestire proprio i panni dell’attore unico e principale: i panni di Dio. CICERONE, Orationi, II, a c. di S. Fausto da Longiano, Venezia, 1556, p. 4 (nella dedicatoria a Stefano Sauli). 4 G. STABILE, Camillo, Giulio, detto Delminio, cit. 5 G. CAMILLO, L’Idea del Theatro, Firenze, Torrentino, 1550, p. 39. 3 IBIDEM, pp. 8-9. E. DA ROTTERDAM, Epistolae, a c. di P. S. Allen, Oxford, Clarendoniano, 1992, IX, p. 479. 8 IBIDEM, X, pp. 29-30. 9 G. STABILE, Camillo, Giulio, detto Delminio, cit. 10 G. CAMILLO, L’Idea del Theatro, pp. 11-12. 6 7 luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 11 1 luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 13 BvS: dal Fondo Antico L’ASINO PITTORESCO DEL SETTECENTO Jean-Baptiste Oudry illustra le Fables di Jean de La Fontaine ANNETTE POPEL POZZO L a figura dell’asino – come accennato in un contributo apparso nello scorso numero sul genere letterario dell’Encomium Asini e l’elogio paradossale dell’animale nella letteratura cinquecentesca italiana (N. 6, giugno 2011) – è stata oggetto di particolare attenzione fin dai tempi più lontani, soprattutto perché tra l’uomo e l’asino vi è evidentemente una contiguità che investe le radici stesse della natura umana. Di conseguenza l’asino occupa un posto di primo grado nella favola, il genere letterario (in prosa o in versi) che ha come obiettivo il presentare una verità morale o un insegnamento di saggezza pratica facendo ricorso agli animali – talvolta assieme a uomini e dèi – investiti di tipizzazioni e quasi stilizzazioni di vizi e virtù umani, al contempo istruendo e divertendo: Fabula docet et delectat. Universalmente note sono le favole del greco Esopo e del latino Fedro, che del genere istituirono i tratti principali e che misero assai sovente in scena l’asino con delle caratteristiche spiccatamente antropomorfe, facendo leva su un sapiente gioco di ambivalenza e ambiguità. Molto apprezzata nel Medioevo – si pensi all’epopea animalesca del Roman de Renard – così come tra Umanesimo e Rinascimento, la favola vede la sua età aurea nella seconda metà del Seicento con le Fables di Jean de La Fontaine (1621-1695; con varie edizioni, dal 1668 al 1694, raggiunse complessivamente dodici libri)1 e nel Settecento, che trasforma il genere alla stre- Antiporta contenente il busto di La Fontaine circondato dai molti animali protagonisti delle favole gua di una propedeutica all’Illuminismo e l’adorna spesso di un ricco apparato illustrativo. Tra i più pregiati e costosi esempi settecenteschi (ci vollero cinque anni per finirne la stampa) figurano le Fables choisies, mises en vers par J. de La Fontaine, stampate a Parigi da Durand, Desaint & Saillant nella tipografia di Jombert, tra il 1755 e il 1759, in quattro sontuosi volumi in folio. L’edizione, con una tiratura limitata, fu stampata su quattro differenti tipi di carta; l’esemplare conservato nella Biblioteca di via Senato si presenta su grand papier de Hollande (Ray, The Art of the French Illustrated Books, p. 16-20; Cohen-Ricci, Guide de l’amateur de livres à gravures du XVIIIe siècle, coll. 548-550; Huntington Library, Great Books in Great Editions, 21; Després, Bibliographie des livres de fables de La Fontaine illustrées, 1892, 12/XX). Oltre all’antiporta contenente il busto dell’autore circondato dai molti animali protagonisti delle varie favole (fig. 1), l’opera - “the most heroic enterprise in the history of the rococo illustrated book”2 - contiene 275 tavole a piena pagina, eseguite, su disegni del pittore francese Jean-Baptiste Oudry (1686-1755), da una pleiade d’incisori quali Aubert, Aveline, Baquoy, Cochin, Dupuis, Fessart, Flipart, Legrand, Lemire, Sornique, Surugue e Tardieu. Allievo del pittore di bottega rubensiana Nicolas de Largillière (1656-1746), Oudry deve la sua notorietà alle raffigurazioni di animali, nature morte e scene di caccia. Dal 1722 è pittore ufficiale delle “cacce reali” di Luigi XV. Direttore della manifattura di arazzi di Beau- 14 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 2 3 Da sinistra: il mugnaio e suo figlio che portano l’asino “le quattro gambe in mazzo legate all’agnellino” devono supportare le critiche delle persone che incontrano “Dei tre la più gran bestia non è quella che pare”; scena che accompagna il mugnaio seduto sull’asino “Guarda se c’è giustizia, - esclaman tutte in coro, - se c’è pietà che zoppichi a piedi quel fanciullo, e faccia invece l’asino sull’asino il citrullo, superbo, trionfante in groppa all’animale” vais dal 1734 e ispettore della manifattura di Gobelin dal 1736, Oudry idea diverse serie di cartoni dedicati a Le cacce di Luigi XV (1733-1738). La genesi dell’edizione delle Fables di La Fontaine (dedicata ovviamente a Luigi XV) è complessa se si considera che Oudry ne aveva già realizzato i disegni tra il 1729 e il 1734 (dunque ben vent’anni prima della stampa), tavole poi vendute - nel 1751 - all’amante di opere d’arte Charles-Philippe de Monthenault d’Égly (il futuro editore dell’edizione parigina), che a sua volta, per adattare i disegni alla stampa, li fece ridisegnare da Charles-Nicolas Cochin (1715-1790), membro della famiglia di incisori divenuta famosa per il suo contributo all’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.3 Nel suo Avertissement, a proposito del ruolo parti- colare e distinto di Oudry (definendolo il La Fontaine della pittura), Monthenault osserva appunto che: “Les Fables de la Fontaine vinrent saitisfaire à cette espece de besoin […] C’est alors qu’il [i.e. Oudry] étudia ces Fables, & qu’il sçut si bien s’approprier dans ses desseins les idées du Poëte, que l’on diroit, en quelque façon, que la même Muse s’est servie du crayon de M. Oudry pour nous les tracer d’une maniere aussi poëtique qu’ingénieuse & naturelle. Aussi peut-on à juste titre l’appeller lui-même, le la Fontaine de la Peinture; puisque personne n’a mieux sçû faire agir & parler les animaux qu’il l’a fait dans ses tableaux, & particulièrement dans les desseins que nous annonçons”.4 L’asino appare in verità in numerose favole fontainiane: Les voleurs et l’âne (Livre premier, fable XIII), luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 15 4 5 L’âne chargé d’éponges & l’âne chargé de sel (Livre second, fable X), Le lion et l’âne chassans (Livre second, fable XIX), Le meunier, son fils et l’âne (Livre troisième, fable I), L’âne et le petit chien (Livre quatrième, fable V), L’âne portant des reliques (Livre cinquième, fable XIV), L’âne vêtu de la peau du lion (Livre cinquième, fable XXI), Le vieilliard et l’âne (Livre sixième, fable VIII), L’âne et ses maitres (Livre sixième, fable XI), Le cheval et l’âne (Livre sixième, fable XVI), L’âne et le chien (Livre huitième, fable XVII), Les deux chiens e l’âne mort (Livre huitième, fable XXV), Le lion, le singe & les deux ânes (Livre onzième, fable V). Da sinistra: l’asino che porta reliquie “Alla croce, al grado, al titolo, illustrissimi cretini, non a voi sono gli inchini”. L’Asino vestito della pelle del Leone “Un Asino, sebben asino tondo, vestito della pelle del Leone, il terror divenuto era del mondo” Del resto Oudry non si accontenta di illustrare ogni favola con una sola tavola, ma spesso la arricchisce di illustrazioni aggiuntive, come nel caso delle cinque tavole di Le meunier, son fils et l’âne (figg. 2 e 3), nelle quali non solo coglie l’esatta intenzione di La Fontaine (la morale della favola è l’impossibilità di piacere a tutti), ma ne migliora l’arguzia e l’intento moralistico pro- prio grazie all’invenzione iconica. Raramente, come in questo caso, la ricchezza dell’apparato illustrativo è prova che la figura va ben al di là del semplice accompagnare il testo. “C’est, en France, à la fin du règne de Louis XIV, qu’apparurent les symptômes d’une illustration qui s’émancipe de l’écriture, lorsque, par exemple, l’image ose rivaliser avec le texte pour être drôle […] Sous la Régence se produisit la rupture, à l’occasion de la production exemplaire de ce qui devait devenir le prototype de la bibliophilie moderne, livre de luxe et de plaisir, òu l’illustration s’étale avec complaisance et raffinement, flattant à la fois le goût du pittoresque et l’imagination”.5 6 luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 17 A sinistra: l’asino in una tipica scena rococò nella favola L’Asino e il Cagnolino A destra: l’Asino e i suoi Padroni In questa prospettiva, anche la figura dell’asino acquista nuove valenze, come peraltro accade a quasi tutti i protagonisti di La Fontaine rappresentati da Oudry. Resta certamente invariato l’uso ambiguo dell’asino (in veste ora positiva ora negativa). Può capitare, però, che La Fontaine modifichi l’interpretazione della tradizione. In L’âne portant des reliques (fig. 4), la figura dell’asinus portans mysteria, che si radica nell’antica consuetudine di usare l’asino per il trasporto di divinità misteriche, viene trasformata dalla bestia umile e docile della tradizione in una vanesia e sciocca che è convinta che la gente ammiri lui e non le reliquie. Ma la peculiarità più importante nelle illustrazioni di Oudry è l’integrazione dell’animale protagonista della favola in vasti paesaggi caratterizzati da una natura selvatica, tra fiumi, boschi, rocce, pascoli, intercalata da ambienti umani e personaggi settecenteschi. “The appeal that La Fontaine made to Oudry was at least as much in the open-air settings of his Fables as in the doings of his animal actors. Indeed, it has been shown that Oudry led a campaign to replace conventional landscape painting with the picturesque rendering of country scenes based on direct observation […] So it came about that Oudry’s best designs are often those in which the presence of animals is subordinated, sometimes, […] present creatures so tiny as to be barely noticeable. In the foreground are farmyards, roads, gardens, or meadows, in the background towns, rivers, valleys, and hills, these last often of fantastic configuration”.6 Spiccano l’immensa struttura rocciosa con il mulino e diverse figure distanti d’ambientazione fantastica in L’âne vêtu de la peau du lion (fig. 5), come saltano all’occhio l’accuratezza dei legumi posti in primo piano in L’âne et ses maitres (fig. 7) e l’interpretazione fedele della scena ancora quasi notturna, dato che la favola è ambientata sul far del giorno. Certo, se non si conosce il contenuto della favola e il suo intento moralistico, non è facile interpretarla sulla base della sola illustrazione. 7 Il momento pittorico predomina sull’aspetto moralistico. Del resto l’illustrazione ha come fine il presentare la natura ed essere accurata nel dar conto degli aspetti anatomici e naturalistici degli animali. Basti vedere l’asino che cerca di imitare il salto del cagnolino in L’âne et le petit chien (fig. 6), ma risulta un asino imbizzarrito, o l’asino che nuota in L’âne chargé d’éponges & l’âne chargé de sel. Oudry definisce i suoi disegni proprio sul fiorire del genere delle “storie naturali”, e infatti la Histoire naturelle di Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1788), vede la sua realizzazione in princeps dal 1749 al 1783. Né si può ignorare la dimestichezza del segno di Oudry nel raffigurare gli animali domestici, mentre i tratti degli animali esotici (ad esempio il leone e la scimmia) sono assai meno precisi (fig. 8). Prevalgono gli ambienti pittoreschi, dove la natura si presenta opulenta in gran ricchezza di linee curve, serpentine e spirali d’impronta rococò. 18 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Il Leone, la Scimmia in primo piano con i due asini sullo sfondo Secondo il modello anacreontico, la cornice ideale per qualsiasi cosa piacevole va vista in una natura del tutto spontanea, anche se poi non è difficile vedere che si tratta pur sempre di una natura addomesticata. Oudry anticipa le messe in scena degli idilli pastorali di Marie-Antoinette che sembrano naturali, ma sono completamente costruiti. 8 NOTE 1 Il Musée Jean de La Fontaine nella casa natale del poeta a Château-Thierry tra Parigi e Rheims dispone di un bel sito contenente utili informazioni su La Fontaine e la sua opera ( h t t p : / / w w w. m u s e e - j e a n - d e - l a fontaine.fr/accueil.php?lang=fr; aperto 0807-2011). 2 Owen Holloway, French Rococo Book Illustration, New York, Transatlantic Arts, 1969. Sui disegni originali Cohen-Ricci indica: “Les dessins originaux d’Oudry […] réunis en deux volumes reliés en maroquin vert. Ils ont figuré en 1853 à la vente J.-J. De Bure, où ils furent vendus (n. 344) 1,800 fr. au comte Thibeaudeau, puis à la vente Solar (n. 627: 6,100 fr. à Cléder pour le baron Taylor). Achétés par M. E. Pereire, ils ont été depuis revendus 30,000 fr. à Louis Rœderer de Rheims […] Les dessins des figures retouchées par Cochin ont 3 L’aspetto moralistico sparisce a favore dell’attimo fuggente, diciamo dell’attimo fuggente artificiale e costruito. In Oudry, la polarità tra artificiale e naturale si presenta in maniera evidente e con cariche simbolico-poetiche precise. Finanche nelle favole, compaiono le “rovine” di edifici antichi: una statua, un pezzo di colonna, un frammento architettonico. Pittoresco e rovine diventano ingredienti inseparabili, che ritorneranno nell’arte romantica dell’Ottocento; e gli asini, fedeli, restano centrali nel paesaggio. (fine seconda parte) été dispersés. Un certain nombre se trouvent dans la collection Rodrigues” (col. 548). Nel 1946 i disegni vengono acquistati da Raphaël Esmérian che li rivende nel 1973. 4 Avertissement au lecteur, p. iii-iv. 5 Michel Melot, L’illustration. Histoire d’un art, Ginevra, Skira, 1984, p. 117. 6 Ray, The Art of the French Illustrated Books, New York, The Pierpont Morgan Library, p. 16 e 19. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 19 BvS: dall’Archivio Malaparte DARIA GUARNATI E LE SUE EDIZIONI “ARIA D’ITALIA” Il rapporto tra Curzio e l’audace imprenditrice: un carteggio LAURA MARIANI CONTI E MATTEO NOJA «F orse vi ricorderete anre del Petit Palais; lei stessa vi ha cucora di me – donna dai rato la collezione Dutuit sino dal capelli rossi – cono1912. Al Petit Palais ha addirittura sciuta un giorno alla Giustiniana o abitato con il marito, Giacomo del libro di mio marito sulle stampe, Francesco, studioso d’arte e grande Bianco e nero o di qualche grido di esperto di stampe e incisioni. ammirazione lanciatovi attraverso Nel 1936, alla morte prematulo spazio (guardate che tra i suoi [sic] ra del marito, Daria si trasferisce a appassionati ammiratori c’è colui Milano, prima in via dell’Annunciache ha innalzato la roccaforte della ta e poi dal maggio ’39 in via DelleaMontecatini, Gio Ponti, col quale ni, angolo Correggio. Amica di Niparlo spesso di voi)». Così incomincodemi1, Bardi2, Arrigoni3 e Palluccia una delle prime lettere di Daria chini4, non fatica a inserirsi nei saGuarnati a Curzio Malaparte, tra lotti buoni della città e in breve temquelle custodite nell’Archivio Mapo diventa una della animatrici delle laparte della Biblioteca di via Senaserate culturali meneghine. to. È datata 22 agosto 1939, diciasMalaparte in una foto della fine degli settesimo dell’era fascista; nelle ’40, scattata per la ristampa di Kaputt Con il marito aveva costituito precedenti loda lo scrittore e lo rinuna cospicua collezione di opere grazia dell’avere benignamente acd’arte: De Nittis, Gemito, Rosso, colto il libro del marito e di avere Modigliani, Louis David, Utrillo, De Pisis, De Chirico intenzione di parlarne su “Prospettive”. Nel seguito della lettera, con molta deferenza, e molti altri maestri, anche antichi. Oltre ai quadri, aveDaria Guarnati chiede un articolo per la rivista che, asvano raccolto sculture, disegni e stampe antiche e mosieme all’amico architetto Gio Ponti, ha in animo di derne, tappeti persiani: il tesoro dei coniugi Guarnati pubblicare. Si tratta al momento di un numero unico, viene ora venduto per finanziare la casa editrice “Daria per il Natale di quell’anno. Le occorrerebbe averlo per Guarnati Edizioni” che nel giro di una ventina d’anni, il 5 settembre e lo invita a segnalarle l’argomento. La ricompreso il periodo bellico, sfornerà una cinquantina vista si chiama “Aria d’Italia”. Sarà poi riconosciuta codi titoli, quasi tutti dedicati alle arti d’ogni epoca, oltre me una delle più belle riviste italiane di quegli anni. agli 8 numeri della rivista (compreso quello intitolato Daria Guarnati è una signora poco più che quaEspressione di Gio Ponti, uscito nel 1954). Oltre naturalrantenne, arrivata da poco a Milano dalla natia Parigi. mente alle opere di Malaparte che usciranno con la sigla Suo padre, Henri Lapauze, è stato per anni conservatoAria d’Italia, di cui parleremo dopo. 20 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 A sinistra: Malaparte sul fronte francese in divisa da capitano degli Alpini. Sotto, la copertina della prima edizione di Kaputt. Nella pagina accanto, i primi libri della casa editrice Aria d’Italia La rivista deve essere curata in ogni particolare e si rivolge a un pubblico simile a quello di “Harper’s”, di “Verve” o dei “Cahiers d’art”. Le ingenti spese cui va incontro nel pubblicarla, costringono Daria a cercarsi anche un lavoro al di fuori della sua normale attività di editrice. Glielo offre Bompiani, pregandola di occuparsi della impaginazione e della stampa di “Civiltà”, rivista bimestrale (dal secondo anno, n. 3, trimestrale) dedicata all’Esposizione Universale di Roma e diretta da Luigi Federzoni. Alla rivista – di cui escono 11 fascicoli, tra il 21 aprile del ’40 e il 21 ottobre ’42 – collaborano, tra gli altri, Corrado Alvaro, Emilio Cecchi, Cipriano Efisio Oppo, Guido Piovene, Giovanni Gentile e Massimo Bontempelli5. Per il primo numero di “Aria d’Italia”, dal titolo Inverno 1939, Malaparte scrive il racconto Guardiani di Maremma, che in un primo tempo doveva intitolarsi Gli stupendi cani della campagna romana. Daria, che da tempo ammira incondizionatamente “il genio sregolato e sensibilissimo” di Malaparte, gli scrive «Gentilissimo per quanto illustre Malaparte, avuto ieri mattina prestissimo il vostro espresso, ho letto il vostro articolo andando a lavorare da Pizzi… e ho pianto in tram! È forse un po’ ridicolo. Ma so che voi mi capirete. Piangevo per la bellezza dello stile e piangevo su quelle bestie che ho sempre tanto amate. Raramente ho letto pagine così commoventi e così nobili, e così interessanti. Si sente che avete scritto con piacere anche perché l’argomento vi “andava”. Vi sono molto grata di aver avuto fiducia in una pubblicazione della quale non sapevate niente e spero penserete fra qualche settimana che non avete sciupato le ore che le avete consacrate»6. Uscito il primo fascicolo della rivista, Daria Guarnati all’inizio del 1940 si rimette subito in moto per preparare il secondo: il titolo è L’Italia attraverso il colore. Primavera 1940. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 21 E in febbraio, il 21, scrive a Malaparte: «Se m’ascoltassi vi scriverei spessissimo: ma non m’ascolto per non disturbare inutilmente il vostro spirito sempre in atto di creare meraviglie. Quel vostro “mare ferito”7: immaginare e scrivere una così bella cosa! Abbiatevi la mia umile gratitudine per le sensazioni piacevoli e dolorose avute nel leggervi. Dunque avrei tante cose “refoulées” da dirvi […] In terzo luogo che vi avrei chiesto, anzi pregato, supplicato di darmi una cosa vostra per il mio secondo fascicolo (colore delle case d’Italia, colore di terre italiane, colore di acque italiane, qualunque cosa. Almeno una poesia smarrita in un cassetto, tra una gemma e l’altra); ma che non posso perché sono in debito con voi e qualche notte non ci dormo». lazzo e il colore cangiante dei suoi marmi. Unisco qualche appunto per facilitarvi il compito e vi manderei molte fotografie per il caso non l’aveste presente». Il “grande maestro nell’arte dello scrivere” (così lo chiama Daria, ringraziandolo in una lettera del 18 aprile) non si smentisce e dedica al palazzo di Gio Ponti, che intanto è diventato suo amico, un lungo scritto, illustrato dalle fotografie della stessa Guarnati e di Federico Pallavicini8, dal titolo Un palazzo d’acqua e di foglie. «Quasi a rifare Monet, [le foto] riprendono in diversi momenti della giornata quella “facciata di marmo di un verde chiarissimo e sensibile, che varia d’intensità secondo le ore del giorno e le stagioni”»9. E mentre lo scrittore si prepara a raggiungere il fronte – richiamato alle armi come capitano degli alpini viene inviato sulle Alpi al confine con la Francia –, Daria gli scrive ancora, il 14 giugno: «Ho riletto in “Aria d’Italia” pronta, almeno per la terza volta, le poetiche pagine sullo strano palazzo-giardino. Ponti gliene è molto più grato di quanto può immaginare. Non parliamo di me! Preparo un numero sul Mediterraneo». A questo terzo fascicolo, Estate mediterranea. Estate 1940, Malaparte non invia nulla. In marzo si fa più ardita ed esplicita: «Per il prossimo numero di Aria d’Italia il quale uscirà ai primi d’aprile, vorrei un articolo che illustrerò con grandi fotografie a colori (le prime) del Palazzo della Montecatini di Milano, il più bel palazzo moderno d’Italia e il più bel building d’Europa internamente ed esternamente. Vorrei data l’importanza del soggetto e la mia amicizia per Ponti, fare una cosa completamente diversa dal solito articolo su simili soggetti, e cioè vorrei si facesse in un modo che chiamerei lirico se non temessi fosse ridicolo, con spirito e fantasia. Il soggetto, anche se non sembra apparentemente, si presta con la forma insolita del pa- Il quarto numero di “Aria d’Italia” si intitola Bellezza della vita italiana. Autunno 1940. Per tempo, in agosto, la Guarnati chiede allo scrittore un brano sulla 22 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 bellezza della sua vita di soldato. In realtà sarà poi Giancarlo Vigorelli a dedicare all’amico un brano scherzoso, nel quale gli augura di scrivere un libro che possa “deludere” tutti, intimi inclusi. A illustrarlo, una fotografia del “capitano” in divisa sul Monte Bianco. Anche il quinto fascicolo, Bellezza delle arti italiane. Inverno 1940, parla di Malaparte, ancora indirettamente, riportando la fotografia della sua casa a Capri, sul capo Massullo. E sicuramente Malaparte è presente anche negli ultimi due fascicoli della rivista, seppure solo “in spirito”. Il sesto (Arte dei giovani) ricalca, infatti, in qualche maniera l’impaginazione di “Prospettive” (è abbastanza palese nell’indice, che per la prima volta non “buca” una immagine sottostante, ma scorre a epigrafe su due colonne, in caratteri Bodoni) e il settimo, dedicato al cinema italiano (Stile italiano nel cinema), si ispira alla rivista malapartiana, che aveva dedicato al cinema il suo secondo fascicolo (1937), dove compariva un lungo articolo dello scrittore pratese, dal titolo Verità sul cinema. In questo articolo, dopo aver affermato il (passato) primato del cinema italiano e la necessità di riconquistarlo attraverso una politica di confronto diretto con gli aspetti più avanzati del cinema americano, preso come costante punto di riferimento, polemizzava con quanti, anche in Italia, intendevano il cinema come una nuova religione e il film come una «preghiera collettiva». puramente commerciali. […] L’americano medio, il Babbitt10 in tutte le sue varie gradazioni, è assolutamente impermeabile al virus dell’estetismo e dell’intellettualismo. Il suo buon senso e la sua ignoranza rozza e cordiale, il suo ottimismo di natura e di educazione, corretto da un fondo di sentimentalismo di vaga origine puritana lo salvano da qualunque pericolo di ordine intellettualistico. Il suo ideale cinematografico non è perciò il film d’arte, il film d’eccezione […], ma il film di serie». Questa digressione cinematografica, apparentemente inutile, ci permette invece di proseguire nella storia dell’amicizia tra Daria Guarnati e Curzio Malaparte. Anche perché il cinema sarà un argomento ricorrente nelle loro lettere. Malaparte si schierava quindi contro l’avanguardia e l’estetismo, a favore di un’arte concretamente attenta alla dimensione politica e sociale (dello stesso anno era uno slogan mussoliniano, ricalcato su uno analogo di Lenin, «La cinematografia è l’arma più forte»). Lo scrittore celebrava i fasti della produzione media e del cinema d’evasione fabbricato in serie con i metodi della più avanzata industria culturale. Riferendosi al cinema americano, con una sconcertante lucidità e lungimiranza, scriveva: «Ciò che si salverà del cinema americano, è il film di produzione in serie, il film di livello medio, prodotto con criteri Dal giugno 1942 a novembre 1945, vi è una brusca interruzione delle missive. Daria, che ha passato il periodo più brutto della guerra a Venezia, a San Samuele, scrive per comunicargli che ha letto e riletto (solo però alcune parti) Kaputt; gli scrive notizie di De Pisis, comune amico. L’aprile successivo, gli scrive da Roma: «Se non sbaglio sono cinque anni che non ci vediamo e se non ho – et pour cause – i capelli grigi che lei annuncia alla nostra Margherita, troverà su di me le tracce di questi tremendi anni. Non vorrei riviverli per tutto l’oro del mondo. […] E sto cercando un libro sensazionale ma non scandaloso da lanciare strepitosamente in Italia e all’estero. Una specie di Kaputt!?!». Il 10 marzo del 1947 da Parigi, Daria si sbilancia: «La sig.ra Manteau mi scrive che ha avuto con piacere la nuova copia di Kaputt. (Perché non le hanno comperato almeno il titolo per un film?) […] Per le poesie risponderei, come dice lei “in massima” di sì». Si tratta di un approccio reciproco, un tentativo tra i due di collaborare editorialmente, cominciando dalla pubblicazione di alcune poesie, probabilmente in forma di libro d’arte, magari con illustrazioni di Federico Pallavicini. Ma è anche di un primo accenno a una trasposizione cinematografica del romanzo di Malaparte, idea fissa di Daria per qualche tempo: «Caro luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 23 Sopra: alcune lettere di Daria Guarnati a Malaparte. Nella pagina accanto, Malaparte a Chamonix nel 1949 Malaparte, due righe (perché alla fine non abbiamo più parlato di Kaputt cinema) per dirle che me ne occupo subito. Tengo molto alla mia idea e credo potrebbe venir fuori una bella cosa. Non ne parli con nessuno!». Nel gennaio 1948, Daria scrive, ancora da Parigi: «Ho avuto ier l’altro la sua lettera con l’opzione per il film e la lettera di Casella e la ringrazio tanto di tutto. Anche Isa Miranda11 e Guarini12 ringraziano. Guarini la prega di scrivere, appena le sarà possibile perché gli occorre per combinare tutto quanto presto e bene, quelle dieci pagine, specie di novella, che contengano il sog- getto del nostro film, raccontato come lei sa raccontare (anche solo parlando!) ma si capisce senza preoccuparsi del modo come è scritto. Che ne venga fuori la figura della donna e come si svolgono le cose per lei e intorno a lei. […] Non so se ha visto Zaza13 fatto da Miranda. Era una cosa meravigliosa. Molto bella anche in Malombra14, ma è un film non molto interessante». La Guarnati insisterà per avere queste poche pagine che spieghino il soggetto del film tratto da Kaputt. L’amicizia con la Miranda e, soprattutto, con il marito, Alfredo Guarini, produttore legato agli americani, la rende ottimista per il buon successo di una pellicola che abbia per soggetto il libro di Malaparte, suc- 24 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Sopra: Malaparte e Raf Vallone sul set del film Il Cristo proibito. Nella pagina accanto la locandina del film. cesso che sarebbe stato anche economico, quindi utile per tutti. Gli introiti del film, che lei stessa avrebbe partecipato a finanziare, avrebbero una volta per tutte risolto i problemi della sua casa editrice e le avrebbero permesso di stampare tutti quei libri che le sarebbero piaciuti. Ma lo scrittore non aveva ancora deciso di cimentarsi con il cinema. È il momento in cui a Parigi, tutti calcano i palcoscenici: da Sartre a Camus – coloro che Malaparte visceralmente soffre e sente come usurpatori della scena intellettuale di una città che ormai non gli appartiene più –, tutti scrivono per il teatro. Anche lui, tra i tanti e con discussa fortuna, scrive due pièce: Du côté de chez Proust e Das Kapital. Andranno in scena, più con polemiche che con successo, tra il 1948 e l’anno successivo. Il cinema, intanto, può attendere. Mentre gli domanda del soggetto tratto dal suo libro, Daria pensa anche a ristampare Kaputt, emendandolo da tutti quegli errori e imprecisioni che avevano costellato – forzatamente, dato il drammatico momento in cui era stata pubblicata – l’edizione di Casella. Per farlo ha costituito una società con Giovanni Olivotto, suo legatore da anni e proprietario di un importante stabilimento a Vicenza15 (direttore amministrativo della piccola società, «uno di quegli italiani meravigliosi che battono la gente di qualunque paese per onestà e amore del lavoro»), il dottor Emanuele Almansi di Milano16, i marchesi Gagliardi di Roma e il marchese Antonio Roi17. In data 13 febbraio 1948, il contratto viene inviato allo scrittore mentre è in vacanza a Chamonix e qui lo sigla il 26 febbraio; prevede la ristampa di 10.000 copie di Kaputt e un diritto per l’autore del 15 % sul prezzo di copertina. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 25 Mentre Daria comunica a Malaparte ogni avanzamento dei lavori circa la ristampa di Kaputt, in ogni lettera non manca di scrivere quanto sarebbe vantaggioso trarne un film, tanto più che attraverso Guarini è arrivata a contattare degli americani interessati al progetto: «Se riuscissimo a realizzare il nostro film, non solo i vantaggi che potrei averne sarebbero, per me, provvidenziali, ma forse mi aprirebbero una strada verso attività più proficue, e ne ho veramente necessità. Mi aiuti, la prego, scrivendo quelle pagine di volata!»18. «Caro Malaparte bisogna che lei entro due giorni mi mandi quelle pagine per il film. Sono passati cinque mesi, lei sa quanto ci teniamo e che cosa importante potrebbe essere per noi tutti. […] Immagini la figura che faccio verso la Miranda e Guarini. Non so più cosa dire. Se scagiono me, comprometto lei. Ormai non e più possibile ritardare. La prego, si chiuda in casa qualche sera […], prenda dei bei fogli bianchi, e dato che mi ripete che ci pensa, e che ci ripensa, scriva […]. Non possiamo, non dobbiamo più ritardare. È impossibile. Tanti auguri per il nostro lavoro, prima quello del film, poi quello del libro»19. «D’altra parte Guarini (diventato v.presidente dell’ENIC) è sempre più potente. Ha firmato ora due contratti nientemeno che con Pabst20, è alleato con un potentissimo produttore americano, ha in mano il colore per l’Italia […] dice che gli possono bastare cinque pagine!!! […] per l’ultima volta, la prego di volere scrivere subito quelle pagine […] “poche chiacchiere e molti fatti”, se no ne sarei irrimediabilmente addolorata e delusa»21. NOTE 1 Giorgio Nicodemi (n. 1891) fu un critico d’arte, direttore del Museo Civico di Milano. 2 Pietro Maria Bardi (1900-1999), critico d’arte. Istituì il Museu de Arte de Saõ Paulo. 3 Luigi Arrigoni (1896-1964), pittore. 4 Rodolfo Pallucchini (1908-1989), segretario della Biennale di Venezia dal ’48 al ’54. 5 La rivista completa è collezionata in BvS. 6 Lettera del 13 ottobre 1939. 7 Mare ferito, in “Corriere della Sera”, 30 gennaio 1940. 8 Lo svizzero Federico Berzeviczy Pallavicini (1909-1989), pittore, grafico, arredatore, è grande amico di Daria; in Aria d’Italia si occupa della grafica. Negli Usa, ridisegna “Flair” ed è art director di Elizabeth Arden e consulente artistico e arredatore di Helena Rubinstein. Malaparte quelle pagine non le scriverà mai e per un po’ di tempo il tono delle lettere di Daria si farà più freddo e determinato. (fine prima parte) Citato in “Aria d’Italia” di Daria Guarnati. L’arte della rivista intorno al 1940, a cura di Silvia Bignami. Milano, Skira, 2008; p. 96. 10 George F. Babbitt, protagonista dell’omonimo romanzo di S. Lewis che prende satiricamente di mira la middle-class americana. 11 Pseud. di Ines Isabella Sanpietro (19051982), attrice italiana che a fine anni Trenta ebbe un discreto successo anche negli USA. 12 Alfredo Guarini (1901-1981) attore, regista e produttore, marito di Isa Miranda. 13 Film del ’44 diretto da Renato Castellani. La Miranda doveva interpretare l’omonimo film di Cukor, ma fu scelta Claudette Colbert. 14 Film di Mario Soldati del 1942. 15 Legatoria editoriale Giovanni Olivotto L.E.G.O., in attività ancora oggi. 16 Piemontese, di famiglia ebraica, è uno 9 stimato libraio antiquario; negli anni ’30 ospita Umberto Saba, cui è legato da amicizia e lavoro, a cui presenta Vittorio Sereni. Suo figlio Federico fu amico del poeta triestino, con cui intrattenne un fitto scambio epistolare, sino a diventarne “musa ispiratrice”. 17 Vicentino (1906-1960), nipote di Antonio Fogazzaro. Dal 1928 al ’42 fu presidente del Vicenza calcio, ricordato come un mecenate dello sport in città. Negli anni ’50 fu anche produttore cinematografico. 18 Biglietto del 13 aprile 1948. 19 Lettera del 25 maggio 1948. 20 Georg Wilhelm Pabst (1885-1967) regista e sceneggiatore austriaco. Tra i suoi film, L’opera da tre soldi, tratto da Brecht. È considerato uno dei maestri del cinema realista. 21 Ibidem. 26 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 BvS: il libro illustrato GASTON DE LATENAY, UN ARTISTA DA SCOPRIRE Dentro e oltre la sua rilettura per immagini del mito di Nausikaa MAURO NASTI n titolo come questo può destare qualche sorpresa quando l’illustratore è Gaston de Latenay e se, per di più, l’implicito riferimento è proprio alle sue illustrazioni per Nausikaa: come dire a una pietra miliare, e largamente nota, nell’intera storia del libro figurato Art Nouveau. Dell’edizione stampata nel 1899 a Parigi, si conserva presso la Biblioteca di via Senato “l’exemplaire offert à Mme Masson sur papier vélin des Vosges à la Cuve, 1 fabriqué spécialement” contenente 22 tavole a piena pagina, 22 bordure, 24 vignette, capilettera e culs-de-lampe (fig.11). Pure, come adesso vedremo, quell’ampia conoscenza si è fermata un po’ troppo presto: l’analisi è rimasta, sostanzialmente, in superficie e, quel che è peggio, la mancanza di un adeguato approfondimento si è tradotta, malgrado tutto, in una sottovalutazione.1 U Per rendersene conto è bene partire da tre punti salienti della valutazione corrente, il primo di carattere tecnico e gli altri due di carattere estetico: le illustrazioni di Nausikaa sono autotipie, risentono della lezione dei grandi silografì giapponesi, si ritrova in esse quel lirismo che caratterizza la pittura e l’illustrazione dei nabis. Termine questo, come si sa, tratto dall’ebraico (traslitterato alla brava) nabi, cioè “profeta”. E forse non sarà del tutto inutile aggiungere che intorno al 1890, alludendo anche a una loro specifica e condivisa esigenza di rinnovamen- to della pittura, così si chiamarono alcuni giovani artisti. Fra i quali, pur tacendo dei minori, gioverà ricordare almeno lo svizzero Vallotton e i francesi Bonnard, Denis, Desvallières, Roussel, Sérusier, Vuillard. Anche se è bene precisare che, a proposito di ‘lirismo nabi’, nessuno pensa, almeno d’acchito, a Vallotton: il nabi étranger rappresenta, come quasi sempre accade, un caso a parte. Ora, quanto al primo punto, quello di carattere tecnico, è bene dire subito che, almeno in questa sede e per evidenti motivi di spazio, una disamina adeguatamente dettagliata è fuori questione. Basti dire, a titolo riassuntivo, che, quanto alla tecnica di riproduzione delle illustrazioni tratte dagli originali di Latenay, si tratta di fotoincisione al tratto, e dunque con matrice rilevata, per la linea e invece, per il colore, di genuina, non fotomeccanica cromolitografia, dunque planografia, molto probabilmente su zinco (ma estesamente rifinita, o addirittura sostituita, dalla coloritura a mano). Parlare dunque solo di autotipie per le composizioni di Nausikaa è non solo riduttivo, ma conduce a un’indebita e duplice sottovalutazione di tutto il libro sul piano tecnico e, di riflesso, su quello estetico. Ma, come ora vedremo, non è questo il solo modo in cui l’opera di Gaston de Latenay, e la sua traduzione nella forma libro, hanno sofferto di una valutazione fuori bersaglio. Per la verità, se si guarda più da vicino al secondo caposaldo di tale valutazione, il japonisme delle composizioni come si è detto, non si può negare l’influenza su luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 27 5 2 Nausikaa di certe stampe giapponesi. Si tratta però, più che altro, di spunti tanto, in quegli anni, ampiamente diffusi quanto in Latenay sostanzialmente epidermici, generica concessione al gusto allora dominante. Quel che importa davvero a Latenay sta altrove ma, per rendersene conto, è necessario prima passare al terzo punto, cioè se non refutare del tutto, almeno opportunamente ridimensionare quel che di solito si dice circa la presenza, in Latenay, del cosiddetto lirismo nabi. Come è stato giustamente e frequentemente ripetuto (in anni maggiormente vicini a noi, e direi con particolare efficacia, da Sasha Newman)2 uno degli aspetti più caratteristici di tale lirismo, e della visione complessiva dei nabis, è il loro rifiuto della fede, più o meno impressionistica, nelle apparenze. Per converso, vi è più lirismo nabi nella linea, poniamo, di una calla di Pitcairn-Knowles 4 che in tutta la profusione florale, arbustiva e arborea delle composizioni di Latenay. E basti, per ulteriore contrasto illuminante con quella linea, dare uno sguardo anche all’algida, quasi accademica eleganza della coquille de SaintJacques porta-titolo nella copertina di Nausikaa (fig. 1). Quanto al trattamento del colore, il discorso sostanzialmente non cambia. In realtà, basta guardare a certe tonalità cromatiche di Latenay con un minimo di attenzione per ritrovare tutt’altro: se mai, la sobrietà della gamma, o la sovrana delicatezza di certi azzurri e di certi malva, che ben conosciamo. Infatti sono già nella grande pittura decorativa, e in quegli oli che paiono e voglion parere affreschi, di Puvis de Chavannes. Al quale del resto lo stesso Latenay, buon giudice di se stesso, amava rifarsi, giusta la testimonianza di uno dei suoi primi critici, Jean Vignaud. Per converso, è anche a partire da Puvis che in qualche modo si inaugurano e si rinnovano modalità croma- 28 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 3 6 tiche dagli esiti così diffusi, indiretti, ramificati e persistenti da renderli ancor oggi chiaramente riconoscibili in cose fra loro tanto distanti quanto possono esserlo un’illustrazione di Latenay e una bande dessinée di Moebius, che pure soprattutto da quei modi del colore sono unite come da un filo sottile. Non solo: in Latenay, anche al trattamento di temi classici, come appunto in Nausikaa, più che un classicismo problematico, di ricerca e di sintesi qual era quello dei nabis, fa da sfondo il ben più confortante classicismo che proprio un Puvis poteva condividere. Malgrado tutto questo, è doveroso aggiungere che, pur opportunamente circoscritte, non mancano tangenze significative, e non casuali condivisioni, fra Latenay e un certo gusto nabi. Così, l’autentica libertà espressiva (sempre tanto aristocraticamente lontana dalla licenza plateale), che fa per molti versi Latenay non indegno erede di certi petits maîtres del ‘700 francese - sì che in Nausikaa par di vedere illustrato Teocrito piuttosto che Omero - la si ritrova (mutato quel che c’è da mutare) nella sfumata armonia, nella raffinatezza, nell’autentica tendresse degli interni di un Bonnard o di un Vuillard e nella visione, unificata e complessiva, genuinamente neo-rococo, sia dei loro piccoli quadri di interni che dei grandi insiemi decorativi; anche ad esorcizzare, beninteso, le tensioni sociali di allora. Il che, giova ammetterlo, trova definiti riscontri in Latenay. Che poi, di suo, potrà aggiungere persino qualche piccola trovata dall’apparente ingenuità quasi infantile, qual è il cartiglietto di sinistra a p. 5 (fig. 2) con una sorta di siglato riferimento alla città natale, Toulouse, come ‘città del cuore’ (al quale allude nel cartiglio un quissimile del seme di cuori). Che è modo tanto volutamente naif da poterlo addirittura ritrovare, e proprio lo stesso anno, nel capolettera d’esordio di un libro per ragazzi (Due Anni in Velocipede) di tutt’altra caratura, scritto ed illustrato dal nostro Yambo, pseudonimo di Enrico Novelli (dove invece il seme è di picche perché l’allusione è al rispondere picche).3 E, per illuminante soprammercato, cfr. qui, entro il cartiglietto situato a destra nella fig. 11, la forse non casuale ambiguità fra la figurazione di un artefatto (com’è appunto quel seme, duplicato e opportunamente indicatomi da Annette Popel) e la parimenti duplicata figurazione di un oggetto naturale dato che, in mancanza della piccola base orizzontale di un seme di picche, potrebbe anche trattarsi della figurazione di una foglia. Come che sia, nulla però si trova in Latenay di quel che di fluido, personale, intuitivo era invece, in Bonnard luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 29 7 e in Vuillard, la spia del loro intimismo anti-impressionista. Ora, proprio partendo dalla evidente divaricazione fra tutto questo da un lato, e il nucleo essenziale della visualità del Latenay illustratore di Nausikaa dall’altro, è possibile una autentica comprensione di tale nucleo, senza rischiare di rimanere in superficie limitandosi, poniamo, a dire che Nausikaa è non più che un esito magistrale del talento paesaggistico di chi l’ha illustrata. Tanto per cominciare, gli elementi del paesaggio (e più in generale gli oggetti naturali) sono, in modo discreto ma sistematico, traslati, per non dire stravolti, e al di là di qualsiasi proposito psicologistico o decorativo che sia. Basti ricordare, ad esempio, la botanica lievemente eterodossa delle illustrazioni di Latenay, certi tronchi che dovrebbero tutt’al più, per fedeltà al testo, essere quelli di un giovane pioppeto ma che invece parrebbero mimare delle improponibili e un po’ troppo gracili betulle (fig. 3), o quei fiori tanto simili ad ortensie, ma dalle foglie non ovate, bensì implausibilmente lanceolate (fig. 4). Anche se, del flagrante anacronismo di quei fiori rispetto al testo, non c’è poi da stupirsi troppo dato che - ci sarebbe da giurarlo - l’illustratore è riuscito perfino a procurarsi una foto di Nausicaa, come mostra l’accattivante ritratto frontale a p. 17 (fig. 5). Cose tutte, queste, che non sembrano volute, o volute soltanto, per esibire, coniugandoli, talento decorativo e abilità paesaggistica. Per di più il divenire temporale, in Latenay, appare legato a una semplice, unitaria, oggettiva rappresentazione della realtà naturale, senza alcun legame, una volta ancora, con una qualsiasi preponderanza della soggettività trasformatrice della memoria (in tutte le sue risonanze bergsoniane, come si è visto almeno nei nabis). Il punto è che Latenay (non è difficile avvedersene) nel testo da illustrare, il sesto canto dell’Odissea, ha voluto dar risalto a una circostanza che in Omero è del tutto accessoria: il fatto che l’episodio dura solo un giorno e così, in ogni tavola di Nausikaa, la tonalità del paesaggio esprime un’ora differente, dal mattino al farsi della sera. E, a questo punto, comincia a diventare man mano più chiaro il movente nascosto, autentico e profondo dell’illustratore. Perché la sua scelta è innanzitutto un dar risalto al circoscritto, l’arco di un sol giorno, e (pur tanto prima della poetica déco dell’instant charmant) all’effimero, il ciclico mutar della luce in quel particolare giorno. E va pur detto che, per soprammercato, Latenay si guarda bene dall’illustrare quelli che, invece, sono i momenti essenziali della vicenda nel testo omerico: nessuna traccia, nelle composizioni di Nausikaa e tanto per esemplifica- 30 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 11 re, della sontuosa dimora di Alcinoo né, addirittura, della splendida immortale preghiera, nella sua pura e archetipica verginalità, di Nausicaa ad Odisseo. Anzi (sia pure a titolo di nota incidentale) le presenze femminili - e il personaggio principale fa tutt’altro che eccezione - potrebbero, agli occhi di un osservatore di oggi, sembrare addirittura la versione Art Nouveau (certo infinitamente più fine e sfumata, e meno plateale) di certe fanciulle, tutt’altro che verginali, di un Milo Manara: si veda, fra le altre, la figurina (fig. 6) in pagina di titolo e, assai più, una delle illustrazioni scartate, che dovrebbe però esser presente nelle copie della suite in prima tiratura di testa e figura anche nel quarto volume, tomo settimo di una rivista, Art et Décoration, pubblicato l’anno successivo.4 Il vero scopo di Latenay appare dunque sempre più una sorta di risposta, anzi un rifiuto avanti lettera di quel che Paul Valéry scriverà tanti anni più tardi, dando voce del resto a una tradizione consolidata ed illustre, nelle sue splendide pagine dedicate a Le physique du livre: che cioè “l’illu- 9 stration d’un texte se déduit de ce texte”.5 Oggi, a oltre mezzo secolo di distanza da quelle pagine e a più di un secolo di distanza da Latenay, sappiamo naturalmente non solo che il suo rifiuto è legittimo, ma anche che è il tratto distintivo dell’illustrazione moderna, per eccellenza e costituzionalmente antimimetica nei confronti del testo scritto. Ma Latenay non si limita a questo. Non più di due anni dopo la pubblicazione di Nausikaa, un critico attento come Graul aveva inserito l’opera di Latenay nel contesto di quella che allora veniva indicata, da più parti, come “la crisi delle arti applicate”. E i bibliofili più tradizionali non avevano mancato di criticare, in Nausikaa, l’indebito e ubiquitario debordare, anche prima del celebre eterodosso Frontispice a doppia pagina (fig. 7), delle composizioni e delle tavole rispetto all’impaginato del testo a stampa. Interpretando però quella prevaricazione, ancora una volta, come intemperanza: eccesso e mancanza di controllo del pittore che luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 31 prende la mano all’illustratore. Anche se poi nessuno dei critici tradizionali aveva segnalato che, se mai, l’autentico stridore poteva derivare dall’uso di un carattere tipo Louis XV, certo non privo di affettazioni e disequilibri (capitali accentate e provviste di grazie, ma con l’indistinzione epigrafica della U dalla V), per una traduzione di così classica e lineare aderenza al testo omerico come quella di Leconte de Lisle. Il punto essenziale è un altro, e sta proprio nel rendersi conto che il prevaricare dell’immagine nei confronti del testo è, in Latenay, tutt’altro che dovuto a istintività e mancanza di controllo. E’, al contrario, un’operazione lucidamente sistematica, condotta con la perfetta consapevolezza di chi persegue il capovolgimento non solo del rapporto tradizionale di subordinazione del significato delle illustrazioni (detto altrimenti: del testo iconico) a quello del testo scritto, ma vuole estendere addirittura tale capovolgimento dai simbolizzati ai simboli, dai significati ai loro rispettivi significanti, battendo così in breccia, e per di più con grazia un po’ sorniona, tutte le avanguardie e i livres de peintre anche di molti decenni dopo. ligramma, il rapporto fra le lettere alfabetiche e le figure che da esse nascono e sono costituite, è proprio lo stesso che si ha fra sostanza e (non necessariamente ingannevole) apparenza, fra “qualità primarie” quali sono gli atomi e “qualità secondarie”, i suoni o i colori che da quegli atomi, in definitiva, sono prodotti. Come si possono avere gli atomi senza i colori (anzi, un singolo atomo è, ovviamente, incolore), ma non i colori senza gli atomi così, poniamo, nel celeberrimo (fig. 8) “La cravate et la montre” di Apollinaire le singole lettere alfabetiche sono concepibili di per sé, anche non disposte calligrammaticamente, cioè anche senza che esse ‘disegnino’ una cravatta e un orologio (o qualsiasi altra cosa) mentre con la cravatta e l’orologio comunque raffigurati, ma senza i loro costituenti alfabetici, i loro ‘atomi’ sostanziali e fondanti, l’intero calligramma scompare. Proprio perché, mentre è possibile avere lettere alfabetiche senza figurazione calligrammatica, non è possibile avere questa senza quelle. Ecco il motivo per il quale, forse ad onta delle apparenze, nel calligramma i caratteri tipografici sono in realtà più importanti delle figurazioni che dalla disposizione di quei caratteri sono prodotte. Per comprendere meglio di che si tratti, e la portata rivoluzionaria di questo punto capitale, è bene, prima di tutto, rifarsi ad un procedimento ben noto e che, da Rabano Mauro al Satyrus etymologicus ad Apollinaire, ha una lunga e venerabile storia, e molte varianti: dai cosiddetti versi intessuti, al carme figurato, al calligramma più propriamente detto. Ora, questo modo fondamentale della ‘parola dipinta’ ha una, altrettanto fondamentale e fondante, caratteristica comune a tutte le sue forme: per dirla con uno dei massimi studiosi di queste cose, Giovanni Pozzi,7 si tratta del rapporto di maggioranza da parte della lingua e di minoranza da parte del disegno. Infatti ad esempio (forse il più noto, grazie ad Apollinaire, al lettore d’oggi) in un singolo calligramma il sistema di comunicazione figurale e quello linguistico sono variamente compresenti e interagenti, ma è sempre il secondo che domina prevalendo sul primo. Pozzi non spiega perché, ma la ragione è semplice. In effetti, nel cal- Bene, guardate ora i capilettera di Nausikaa. Nella maggior parte dei casi le lettere hanno forme che in qualche modo alludono, talvolta mimandolo, all’organico figurale o addirittura figurativo. Così, il capolettera iniziale, la A di p. 8 (fig. 9), è una sorta di tralcio vegetale che nasce da un piccolo tronco e si ramifica: uno dei rami, in modo del tutto innaturale, si attorciglia intorno all’altro, che a sua volta è sostenuto da un bastoncello. Ma il culmine è raggiunto dal capolettera di p. 22 (fig. 10). Qui, gli elementi costitutivi della lettera M, che dovrebbero essere naturalmente le sue quattro aste di varia lunghezza e inclinazione, sono invece quattro piume di cigno, perché cigni sono i volatili raffigurati nella grande illustrazione a doppia pagina che relega il testo a stampa entro un circoscritto riquadro. Ormai, la rivoluzione aggraziata di Latenay è stata, a questo punto, portata a termine. I due nastri 8 che, in modo apparentemente quasi 32 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 esso, senza le piume di cigno, anche quella lettera M, cioè l’elemento linguistico, anzi alfabetico, svanirebbe nel nulla. E, per chi non avesse ancora capito che l’inverso non può più accadere perché - a finale ed assoluto trionfo del figurativo sul linguistico, caratteri tipografici inclusi qui ormai anche il calligramma sarebbe annientato, Latenay, subito a destra e al di sotto del riquadro a stampa, raffigura delle singole piume, quasi a mettere in evidenza che ciascuna di esse potrebbe benissimo, di per sé, esimersi dalla fatica di costituire una lettera alfabetica. 10 lezioso ma in realtà quasi beffardo, annodano le piume di più marcatamente diversa lunghezza e dimensione intersecantisi l’una con l’altra, non fanno che suggellare il verificarsi di un rovesciamento inaudito che, anche e soprattutto, è autentica nemesi, pur dopo vita millenaria, del rapporto di dominanza costitutivo del calligramma. Ad opera, non occorre dirlo, di chi davvero quei nastri ha annodato, inventando, disegnando e colorando quella M. Nel capolettera di Latenay l’elemento figurale, anzi figurativo, diventa infatti, e con modalità che forse non hanno precedenti, qualità primaria, atomo e sostanza: senza di NOTE 1 Devo all’acume, alla sottigliezza critica, all’amor di libro e alle capacità persuasorie di Francesca Baccarini il fatto che le nostre discussioni, spesso vivaci e lungamente protratte, sulle illustrazioni di Nausikaa abbiano trovato forma ed assetto migliori, più stabili, e meglio giustificabili, in questo articolo. L’obbligo e il piacere di ringraziarla qui è, di tutto ciò, un esito naturale. 2 Almeno a partire da S. Newman & al., Félix Vallotton. New York: Abbeville Press, 1991 (ma cfr. anche C. Frèches-Thory, U. Perucchi- Così dunque, in modo più o meno lepido e paradossale, si potrebbe addirittura dire che un’avanguardia, pur se di millenaria tradizione, è divenuta retroguardia ancor prima di nascere: questa la rivoluzione sorridente e radicale di Latenay. Se infatti, sotto mentite spoglie Art Nouveau, un Marcel Duchamp avesse voluto prendersi gioco dei Calligrammes, non avrebbe proceduto forse troppo diversamente da come (ma in anticipo di un ventennio sulla pubblicazione del libro di Apollinaire) ha potuto e saputo procedere Latenay. Il quale poi (ma in realtà prima di ogni altra cosa) sembra, in tutto questo, non aver mai dimenticato un prezioso e illuminante precetto (sempre, se mi sorregge la memoria, di Giovanni Pozzi) secondo il quale vero artista non è tanto colui che, in modo più o meno evidente, viola per partito preso la regola, quanto colui che varia, ma genialmente, la consuetudine, così come il buon giocatore non è il baro, bensì l’inventore di soluzioni inconsuete nella condotta del gioco. Un illustratore sottovalutato, dunque, Gaston de Latenay. Anzi, e ciò che più conta, un illustratore da riscoprire. Petry (a c. di), Die Nabis: Propheten der Moderne. Zurigo: Kunsthaus, 1993). 3 Vedilo ad es. in [E. Novelli,] Due Anni in Velocipede. Avventure straordinarie di due Ciclisti intorno al Mondo. Genova: Donath, 1899, p. 7, libro anch’esso a suo modo straordinario, e con fermenti e spunti calibrati fra pre-futurismo ed iperrealismo (ben prima di Jarry, Novelli ha introdotto, ad es., il classico topos della gara di velocità fra velocipede e locomotiva). 4 Vedila a p. 119 con la didascalia Fantaisie o anche, forse più facilmente ma con una ri- produzione di qualità più bassa, utilizzando il link http:gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k5401 1404/f141. 5 Cfr. ad es. P. Valéry, Le physique du livre. Parigi: Auguste Blaizot, 1945 (rara plaquette contenente solo questo testo, presente del resto anche in una coeva e più nota opera collettanea su Paul Bonet, con contributi di Paul Valery, Paul Eluard, Renée MoutardUldry, Georges Blaizot e Louis-Marie Michon). 6 Ad es. in G. Pozzi, La parola dipinta. Milano: Adelphi, 1981. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 33 inSEDICESIMO I L T E AT R O D I V E R D U R A – C ATA L O G H I – S P I G O L AT U R E L’ I N T E RV I S TA D ’ A U T O R E – R E C E N S I O N I – M O S T R E – A S T E SPETTACOLI, LETTURE, READING POETICI, CONCERTI E CONFERENZE PER UNA FRESCA ESTATE MILANESE Tra le novità della XIV stagione, la collaborazione con la Milanesiana TEATRO DI VERDURA Stagione 2011 a XIV Stagione del Teatro di Verdura è caratterizzata da cicli di incontri tematici, che hanno come comune denominatore il libro e il sapere in tutte le sue molteplici forme. Antonio Zanoletti dà voce alla Trilogia del lontano, con il commento musicale dal vivo di Salvino Strano: tre serate in cui la poetica di Lucrezio, dei poeti arabi di Sicilia e di Kavafis hanno scandagliato l’infinità del cosmo, la nostalgia del lontano e le decifrazioni dell’inespresso, del negato e della solitudine dell’esistere. Franco Loi anima, invece, quattro mercoledì d’agosto con il ciclo Dante e la poesia. La Divina Commedia, uno dei pilastri della letteratura italiana di tutti i tempi, si scopre anche fonte di ispirazione manageriale nella divertente serata divulgativa di Enrico Cerni. Torna, poi, quale fonte di ispirazione scientifica in Big Bang, ultimo lavoro teatrale di Lucilla Giagnoni che si propone di rispondere alle domande fondanti dell’universo e delle regole che lo governano, attraverso le risposte che ne danno la religione, la scienza L Biblioteca di via Senato F O N DA Z I O N E Teatro XIV Stagione diVerdura Libri in scena giugno – settembre 2011 Fondazione Biblioteca di via Senato – via Senato, 14 – 20121 Milano – tel. 02 762151 – [email protected] – www.bibliotecadiviasenato.it INFORMAZIONI GENERALI TEATRO DI VERDURA Fondazione Biblioteca di via Senato via Senato, 14 – 20121 Milano www.bibliotecadiviasenato.it e la letteratura, meno distanti tra loro di quanto ci si aspetterebbe. Come ormai consuetudine, alcune serate sono dedicate all’approfondimento delle tematiche trattate nella mostra in corso presso lo spazio espositivo della Fondazione: Memorie di Milano. Monsignor Bruno Maria Bosatra, direttore dell’Archivio Diocesano di Milano, ha tenuto una conferenza che ha permesso al pubblico di conoscere meglio San Carlo Borromeo, modello di vescovo e padre dei poveri. Philippe Daverio, poi, animerà due incontri di cultura, costume e società sulla Milano del Cinquecento. Un’altra importante conferenza, questa volta di stampo artistico, è stata curata dalla professoressa Alberta Gnugnoli, giornalista e critica d’arte per Art e Dossier, che ha presentato gli Impressionisti attraverso le collezioni dei coniugi Clark e del Musée d’Orsay, in mostra rispettivamente a Palazzo Reale di Milano e al Mart di Rovereto. Nell’anniversario dei 150 dell’Unità d’Italia non potevano mancare appuntamenti legati a questo importante anniversario: Marco Zannoni ha dato la sua particolare rilettura di una delle figure più rappresentative e fondanti della formazione della nostra Nazione: Garibaldi; mentre Davide Rondoni ha proiettato in avanti la storia della poesia verso i prossimi centocinquant’anni, attraverso le voci dei nuovi poeti che si affacciano sulla scena culturale nazionale. Un’altra serata è stata, invece, dedicata al Senso religioso della poesia, tentando di far comprendere come in 34 un’epoca dove spesso si blatera di religione come fonte di divisione e di faziosità, la poesia di ogni tempo e di ogni cultura abbia invece dato voce al senso religioso degli uomini. La nuova e proficua collaborazione con la Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, ha visto al Teatro di Verdura cinque serate del ciclo Filosofia – L’urlo e il silenzio, coordinate da Armando Torno, con il contributo di Antonio Ballista al pianoforte. Importanti nomi del teatro, del giornalismo e della filosofia hanno letto Teresa D’Avila, Karl Marx, Giovanni della Croce, Nietzsche, Agostino. La sola serata musicale della XIV Stagione del Teatro di Verdura è stata la V-Piano Grand World Premiere, unica tappa italiana di presentazione del nuovo pianoforte di casa Roland, con un concerto del M° Michele Fedrigotti. Immancabile, naturalmente, la presenza dei libri in scena: Enrico Beruschi rileggerà con la sua proverbiale verve comica il Corrierino delle famiglie di Giovannino Guareschi; dal romanzo di Giuseppe Pontiggia Nati due volte è, invece, tratto lo spettacolo teatrale di Giorgio Sciumè che approfondisce l’importante e poco trattato tema dell’handicap. Corrado d’Elia, infine, come ogni anno presenterà uno studio che diventerà la nuova produzione della Compagnia Teatri Possibili per la Stagione 2011-2012. Questa volta a essere portato sulla scena è Mercurio, la favola nera di Amélie Nothomb in cui è il pubblico a partecipare direttamente alla “scrittura” del finale della storia. Non meno importanti, gli appuntamenti per ragazzi e famiglie: il coloratissimo film animato di Luzzati sul Flauto magico secondo Papageno, divertente rilettura dell’opera di W. A. Mozart. Parlo italiano, una “pedalata” tra 1000 anni di letteratura italiana, per riscoprire il gusto di rileggere da Dante la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 • Giovedì 23 giugno DANTE PER I MANAGER la Divina Commedia in azienda lettura scenica di e con Enrico Cerni • Mercoledì 29 giugno IL SENSO RELIGIOSO DELLA POESIA con Davide Rondoni • Giovedì 30 giugno GARIBALDI di e con Marco Zannoni alla letteratura dei giorni nostri. Infine due appuntamenti, di cui una matinée interamente dedicata alle scuole, in compagnia di Gianni Biassaca e del suo Sul fondo, tratto da Se questo è un uomo di Primo Levi. Per rispondere alla domanda simbolica «quanto pesa un chicco di riso?». Per non dimenticare l’importanza di ogni vita umana, in ogni luogo, in ogni tempo. TEATRO DI VERDURA XIV STAGIONE: UN’ALTRA ESTATE IN COMPAGNIA DELLA CULTURA A MILANO ELENCO SERATE • Martedì 14 giugno GLI IMPRESSIONISTI E LA TRASGRESSIONE DELLO SGURADO conferenza a cura di Alberta Gnugnoli • Giovedì 16 giugno BIG BANG di e con Lucilla Giagnoni • Mercoledì 22 giugno IL FLAUTO MAGICO SECONDO PAPAGENO di Gianini e Luzzati dall’opera di W. A. Mozart in collaborazione con Museo Luzzati, Genova (6 – 99 anni) • Martedì 5 luglio – LA MILANESIANA FILOSOFIA DELLE BUGIE ore 18.00 SENZA PRENOTAZIONE • Giovedì 7 luglio V- PIANO GRAND WORLD PREMIERE con il M° Michele Fedrigotti • Venerdì 8 luglio – in collaborazione con LA MILANESIANA FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 1 Anna Bonaiuto legge Agostino SENZA PRENOTAZIONE • Sabato 9 luglio – in collaborazione con LA MILANESIANA FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 2 Andre Renzi legge Nietzsche SENZA PRENOTAZIONE • Domenica 10 luglio – in collaborazione con LA MILANESIANA FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 3 Andre Renzi legge Giovanni della Croce SENZA PRENOTAZIONE • Lunedì 11 luglio – in collaborazione con LA MILANESIANA FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 4 Enrico Ianniello legge Karl Marx SENZA PRENOTAZIONE • Martedì 12 luglio – in collaborazione con LA MILANESIANA luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 5 Galatea Ranzi e Sabrina Colle leggono Teresa D’Avila SENZA PRENOTAZIONE Dante e la poesia DELLA LINGUA DEI DIALETTI con Franco Loi SENZA PRENOTAZIONE • Martedì 19 luglio Trilogia del lontano LUCREZIO “ho vegliato sereno le notti” di e con Antonio Zanoletti • Mercoledì 24 agosto Dante e la poesia DELLA FEDE con Franco Loi SENZA PRENOTAZIONE • Mercoledì 20 luglio Trilogia del lontano IBN HAMDIS E ALTRI POETI ARABI DI SICILIA “la nostalgia del lontano” di e con Antonio Zanoletti • Giovedì 21 luglio SAN CARLO, MODELLO DI VESCOVO E PADRE DEI POVERI conferenza a cura di Monsignor Bruno Maria Bosatra • Martedì 26 luglio 2011 – LA POESIA FUTURA Un’occhiata ai prossimi centocinquant’anni di poesia… con Davide Rondoni • Giovedì 28 luglio Trilogia del lontano KAVAFIS “il sentimento del luogo” di e con Antonio Zanoletti • Mercoledì 3 agosto Dante e la poesia LO SPECCHIO DELLE DIVINA COMMEDIA con Franco Loi SENZA PRENOTAZIONE • Mercoledì 10 agosto Dante e la poesia COS’È LA POESIA E COME È UTILE ALL’UOMO con Franco Loi SENZA PRENOTAZIONE • Mercoledì 17 agosto • Mercoledì 31 agosto CORRIERINO DI GIOVANNINO ED ENRICO dal Corrierino delle Famiglie di Giovannino Guareschi con Enrico Beruschi SENZA PRENOTAZIONE • Giovedì 1 settembre MILANO, FUCINA DEL MADE IN ITALY DAL CINQUECENTO con Philippe Daverio • Martedì 6 settembre NATI DUE VOLTE Spettacolo teatrale dal romanzo di Giuseppe Pontiggia Ingresso libero con prenotazione obbligatoria solo telefonica a partire dal giorno precedente lo spettacolo. Le Serate del ciclo “Filosofia – L’Urlo e il Silenzio” e quelle del mese di Agosto sono SENZA PRENOTAZIONE (fino a esaurimento posti) Modalità di prenotazione Prenotazione telefonica ai numeri 02.76020794 02.76318893 Numero posti prenotabili a nominativo: max 2 35 regia Giorgio Sciumè • Mercoledì 7 settembre MARCURIO di Amélie Nothomb regia Corrado d’Elia • Giovedì 8 settembre DALLA PARRUCCA ALLA GHIGLIOTTINA con Philippe Daverio • Martedì 13 settembre PARLO ITALIANO 1000 anni di storia letteraria italiana in 90 minuti Produzione Torino Spettacoli in coproduzione con Fama Fantasma (13 – 99 anni) • Mercoledì 14 settembre Giovedì 15 settembre – ore 10.00 – MATINÉE RISERVATA ALLE SCUOLE SUL FONDO da SE QUESTO È UN UOMO di Primo Levi con Gianni Bissaca (11 – 99 anni) ORARI SEGRETERIA dal lunedì al venerdì ore 9.00 - 13.00 solo nei giorni di spettacolo ore 9.00 – 13.00 e 14.00 – 18.00 Attenzione Per usufruire della prenotazione è indispensabile presentarsi presso il teatro entro e non oltre le ore 21.00, in caso contrario i posti verranno riassegnati ad altri spettatori. Le disdette di prenotazione vanno comunicate entro le ore 18.00 Per accedere alle rappresentazioni è richiesto un abbigliamento decoroso In caso di pioggia gli spettacoli sono sospesi 36 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 IL CATALOGO DEGLI ANTICHI terra e delle sue colonie d’India e nell’America Settentrionale, in cui prevede la rivoluzione delle colonie stesse. Libri da leggere per comprare libri Bernard Quaritch LTD. 40, South Audley Street London W1K 2PR www.quaritch.com di annette popel pozzo ITALIA E REGNO UNITO, TRE SECOLI DI AFFINITÀ ELETTIVE Bernard Quaritch LTD. Britalia – A short list of books celebrating the mutual love affair between Italy and its northerly cousin Una divertente collezione che unisce 37 titoli d’argomento italo-britannico. In offerta la rara contraffazione della Relatione delle qualità di J. Di Crettone fatta da A. Manutio, Venezia, Aldo Manuzio, 1581, ma in realtà stampata a Milano da Tosi nel 1830 circa. L’inglese James Crichton, noto anche come Giacomo Critonio (1560-1582), nel 1580 si trova a Venezia, “dove un’accurata campagna promozionale condotta da Aldo Manuzio […] gli procurò presto il pieno riconoscimento […] della sua qualità di ‘mostro’ intellettuale: […] padrone di dieci lingue, esperto in filosofia, teologia, matematica e astrologia, il C. stupiva un secolo particolarmente sensibile a queste prestazioni con prodigi nell’arte mnemonica, disquisizioni cabalistiche e una bril- lante versificazione estemporanea la competenza in ‘cose di Stato’, un passato di soldato, l’essere buon ballerino, cavaliere, giostratore, e inoltre nobile e bellissimo, sempre a detta dei suoi ammiratori, ne facevano un perfetto cortigiano e un potenziale segretario ideale. A completare l’immagine, Aldo, dedicandogli la sua edizione dei Paradoxa di Cicerone (Venetiis 1581), gli conferiva per primo l’epiteto di ‘admirabilis’” (www.treccani.it/enciclopedia/james-giacomo-crichton_%28DizionarioBiografico%29/; controllato 11-07-2011). Particolarmente interessante il fatto che la citata edizione aldina non esiste affatto, ma la contraffazione ottocentesca si basa sul testo di In appulsu ad celeberrimam urbem Venetam de proprio statu Carmen ad Aldum Manuccium, stampato nel 1580 da Domenico e Giovanni Battista Guerra, anche se Renouard (131:4) indica che “cette feuille, en gros italique des Manuce, paroît avoir été imprimée par Alde le jeune” (numero 1, £1.800). Degna di interesse è inoltre la prima edizione dell’Istoria d’Inghilterra, scritta dal toscano Vincenzo Martinelli (1702-1785), che, dopo una vita avventurosa, si stabilisce a Londra, dove pubblica questa prima storia inglese in lingua italiana “per la curiosità dei miei nazionali” (numero 9, £600). Per il 1763 è documentato un incontro con Giacomo Casanova nella città inglese. L’avventuriero aderisce con due copie al Decamerone, curato da Martinelli. Tornato a Firenze, Martinelli pubblica nel 1776 la Storia del governo d’Inghil- STORIE “D’ACQUA DOLCE” TRA LARIO, TICINO, VERBANO Libreria Antiquaria Pregliasco Tra Como e il Canton Ticino – Storia e Arte Annunciato come “listino di curiosità”, l’ultimo catalogo prima della chiusura estiva della libreria torinese presenta ben 157 edizioni di argomento locale tra Como e il Ticino. Particolarmente interessante la riproduzione in fototipia, probabilmente realizzata in pochissime copie, di un manoscritto originale mai pubblicato, compilato da un certo generale Bellini di cui non si riescono a reperire ulteriori informazioni, sulla Valle Intelvi, Note geografiche e storiche, del 1898 (numero 85, €550). “Notevoli sono le informazioni sugli usi e costumi, con note sui ‘vestimenti’, le abitazioni, l’alimentazione, le pratiche sociali e la vita religiosa; si esaminano le belle arti e il dialetto, le tradizioni, le credenze e le canzoni popolari. Una intera sezione è dedicata alla Geografia statistica della Valle Intelvi nel Comasco: l’autore passa in rassegna catasto e agricoltura, trasporti, finanze e amministrazione, risparmio e previdenza, istruzione, beneficenza, criminalità, lavori pubblici, igiene e nosografia. Alcune importanti informazioni sono relative anche alle cave un tempo aperte nella Valle”. Libreria Antiquaria Pregliasco Via Accademia Albertina 3 bis 10123 Torino e-mail: [email protected] luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano IL CATALOGO DEI MODERNI Libri da leggere per comprare libri di matteo noja DI TRIESTE, DELLE SUE TERRE E DEI SUOI LIRICI CANTORI Libreria Editrice Goriziana Catalogo 70. Libri Antichi, Moderni d’Artista e Novecento Triestino Ci sono città che per chi ricerca libri rari del Novecento sono mitiche. Trieste, per la sua storia, letteraria e non solo, è tra queste. Poco tempo fa il ‘catodico opinionista’ e grande bibliofilo Giampiero Mughini le ha dedicato inaspettatamente il libro In una città atta agli eroi e ai suicidi. Trieste e il caso Svevo (Milano, Bompiani, 2011; pp.160, €15,00). Inaspettato poiché tra lui e la città adriatica non c’è nulla in comune. Non fosse altro però per la storia che riguarda i libri del Novecento che rende Trieste città molto coinvolgente anche per chi conosce a malapena la bora, piazza Unità d’Italia e qualche osteria a buon mercato (sempre meno…) dove bere un buon bicchiere di vino del Collio. Proprio per Trieste (e per la Venezia Giulia e per il Friuli), va ricordato un catalogo che, pur non recentissimo – è di qualche mese fa, ahinoi! – riporta un’interessante sezione dedicata alla letteratura cittadina. A pag. 95 comincia la lista dei titoli della città di Svevo. Si apre con l’edizione mondadoriana (collana Le Pleiadi; Milano, 1950; p. 222, 15,5 cm; €100,00) de La Buffa di Giulio Barni (pseud. di Glauco Camper 1891-1941) che riporta una prefazione molto bella di Umberto Saba, Di questo libro e di un altro mondo. Le poesie che compongono il libretto, scritte durante la guerra, furono pubblicate sul repubblicano "L'Emancipazione" in 12 puntate, tra 1920 e 1921; nel 1935 vennero raccolte in volume da Virgilio Giotti, stampate dallo Stabilimento Tipografico Mutilati, ma prontamente sequestrate per ordine del prefetto della città, Carlo Tiengo. Il titolo viene da una delle strofe che dice «La fanteria l’è buffa…». Tra gli altri titoli, ne segnaliamo alcuni (per l’esattezza 31): i raffinati piccoli libri dello Zibaldone, in tiratura limitata, pubblicati con la consapevolezza di un progetto editoriale ben definito, dedicato a Trieste e alla sua complessa fisionomia culturale (dai 60 ai 100 euro ciascuno). Tra gli autori, Luciano Budigna, Virgilio Giotti, Claudio Grisancich, Umberto Saba, tutti amici e testimoni dell’incredibile lavoro di Anita Pittoni, temeraria editrice che nel 1949, momento drammatico per la sua città, spese ogni suo avere per dare corpo a un sogno. Libreria Editrice Goriziana Corso Giuseppe Verdi, 67 - 34170 Gorizia, tel. 0481/33776 - [email protected] - www.leg.it ALCUNE “NAVIGATE” RARITÀ DEL NOVECENTO IN LETTERE “900 di carta” Catalogo 17 Segnaliamo il sito della libreria ’900 di carta, di Archie R. Pavia. Letta una sua vecchia intervista, ci è parso interessante 37 visitarlo. Racconta il libraio di aver aperto nel 2003. In piena crisi di identità, umana e professionale, ricorda di esser partito dalla sua passione per i libri rari del ’900 ambendo a uno spazio piccolo, in antitesi con le superfici delle librerie di catena, che potesse tener conto della personalità di chi vi entrava. Un luogo dove non solo comprare libri, ma anche confrontarsi con il libraio, interlocutore privilegiato per chi ama sognare. Sogni di carta, ovviamente, e poi i suoi miti letterari, cui dedicare piccole mostre documentate: da Pannunzio ad Arrigo Benedetti e da Gadda a Libero Bigiaretti, passando per Orwell, Fenoglio, Pavese, Soldati, Piovene, Fellini e l'amato Flaiano. Senza dimenticare il poeta Guido Ceronetti, amico della libreria. Da ultimo, parlando dei mestieri che hanno preceduto quello di libraio, Pavia dice: «Ho fatto svariati mestieri, da ragazzo, sempre al di fuori dei canoni prestabiliti. Ho fatto studi irregolari. Ho lavorato da ragazzo negli alberghi (questo spiega perché ogni tanto ritorna, nei miei scritti, la camera e la stanza di un tranquillo albergo demodé); ho fatto il gallerista, in via del Tritone, e l'investigatore privato. L'investigatore, sì... è un ruolo che ha molto in comune col libraio antiquario: cercare un libro raro può essere difficile come cercare una persona scomparsa». Il catalogo attualmente in linea risente della stagione, ma è di garbo e vale la pena di scorrerlo, qualcosa si trova sempre… d’altronde è pur vero quanto diceva Manganelli, che la cultura comincia dalla lettura dei cataloghi dei libri… 900 DI CARTA Libreria di Archie R. Pavia Libri esauriti, rari e d'occasione Via Acqui, 9/b - 00183 Roma, tel. 06/7010558 - www.900dicarta.com [email protected] 38 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 ET AB HIC ET AB HOC Nella speranza di ferie splendenti, niente vacanze, se non tra le righe di laura mariani conti e matteo noja FERIE E VACANZE. Vacanza da vàcans, participio presente del verbo latino vacàre: «il rimaner vuoto un ufficio; il tempo in cui nelle scuole cessano le lezioni, o le assemblee e le accademie tacciono per cagion di riposo». Ferie, dal latino feriae, sembra risalire a due etimi diversi: uno legato a festus che vuol dire pregare e l’altro, vicino al greco phas che significa risplendere. Quindi le ferie possono essere giorni dedicati alla preghiera oppure giorni splendenti. Oggi invale più il secondo significato, vista la sempre più rara spiritualità e l’uso diffuso dell’abbronzatura indotta dallo “splendido” sole estivo. Nella letteratura del ’900 – se non nelle trame almeno nei titoli – si parla spesso di ferie e vacanze. La lettura stessa viene invocata come passatempo, sotto l’ombrellone o sotto gli alberi in montagna, quasi il tempo vacanziero sia l’unico in cui è possibile leggere con profitto un libro. DAL CREPUSCOLO ALLA LUCE CALDA DELL’ESTATE. Essere nati a Cesenatico può essere una fortuna: la vacanza è, nella cittadina romagnola, affare d’ogni giorno. Marino Moretti nasce a Cesenatico nel 1885 e sempre lì muore nel 1979, felice della sua provincialità. L’ultima estate (Milano, Mondadori, 1969; Lo Specchio; p. 239, 19 cm) segna dopo anni di silenzio il ritorno di Moretti alla poesia e fa scalpore: i critici si sorprendono dell’uso più fresco e moderno della lingua e della sintassi. Il titolo non tragga in inganno: “ultima” in senso cronologico, un mesto arrivo, ma, al contrario, per il poeta, l’occasione di una ripartenza con rinnovato vigore, che gli permette di ingaggiare battaglia contro un “nuovo” che prevarica ogni vero valore, e di offrire così alla sua poesia un aspetto più combattivo e rabbioso di quello degli inizi, crepuscolare e languido. CONTRAPPOSIZIONI. Una volta “andare in campagna” era sinonimo di “andare in vacanza”. Forse perché nell’Italia postbellica, per la maggior parte ancora rurale, bastava andare in mezzo ai campi e godere dell’aria buona per ritemprarsi dalle fatiche dell’inverno cittadino. Come pure, per chi abitava in campagna, un’idea felice di vacanza era quella di farsi tentare dalle lusinghe della città. Soprattutto se si veniva dalla campagna soffocante e si approdava in una città che sulle prime sembrava magica. Cesare Pavese è uno scrittore, forse tra i maggiori, che più ha sviscerato il tema dell’antagonismo tra città e campagna. Anche se, rileggendo dopo anni La bella estate (Torino, Einaudi, 1949; p. 348, 23 cm; contiene anche altri due romanzi brevi: Il diavolo sulle colline e Tre donne sole) un maggiore ottimismo sarebbe auspicabile. LA VACANZA È DIVERTIMENTO. Tale sarà stata la raccolta di racconti Il mare colore del vino per Leonardo Sciascia (Torino, Einaudi, 1973; p. 160, 20 cm). Lasciate per un attimo le inchieste, le denunce e le divagazioni erudite, lo scrittore di Racalmuto torna un attimo alla scrittura di invenzione per svagarsi, per riflettere e riordinare quanto fatto fino ad allora: «Perchè raccolgo e pubblico questi racconti? Ecco: perchè mi pare di aver messo assieme una specie di sommario della mia attività fino ad ora… e che tra il primo e l'ultimo di questi racconti si stabilisce come una circolarità: una circolarità che non è quella del cane che si morde la coda». La vacanza è anche meditazione. VITTORIO SERENI con Un posto di vacanza (Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1973. Collana Acquario, n. 62; p. 39, 18 cm) indica Bocca di Magra come luogo ameno capace di mostrare meglio, alla fine dell’estate, la nuda essenzialità del vivere, luogo dove «ogni eccedenza andata altrove e spenta» e l’uomo, «perplesso non propriamente amaro», non riesce a soddisfare la memoria («la memoria non si sfama mai»). Luogo perciò dove si può meditare, lasciandosi alle spalle ogni scoria invernale per ripartire con impeto verso il futuro, senza però poter dimenticare.. “PICCOLE VACANZE”. Esordio letterario di Alberto Arbasino, esce nel 1957 (Torino, Einaudi; p. 201, 20 cm). Lo compongono cinque racconti (Distesa estate; I blue jeans non si addicono al signor Prufrock; Giorgio contro Luciano; Luglio, Cannes; Agosto, Forte dei Marmi). Le vacanze sono appunto il tema: piccole perché ancora troppo vicine alla guerra, piccole perché i protagonisti sono giovani che tentano di diventare adulti, piccole perché governate da un’ansia egoistica di provincia che vuole uscire dai suoi confini, di borghesia che vuole emergere. «Addio giallo paese che ricade nel sonno, Grand Hôtel sepolcrale, ombroso parco spazzato dal vento, addio bosco tennis piscina ore pungenti, giorni che da oggi in poi rimpiangerò […] addio fiori scale orologio immobile giochi perduti; non sarò ragazzo mai più e neanch’io lo vorrei, però mi è piaciuto molto». luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 39 ASPETTANDO “ARTELIBRO” Dal 23 al 25 settembre, Bologna ospita l’edizione VIII del Festival del libro d’Arte di matteo tosi iusto il tempo di rientrare in città, riprendere il consueto tran tran lavorativo e aspettare che i ragazzi tornino a “digerire” la sveglia per andare a scuola. Poi, di solito, la nostalgia per i giorni di ferie riaffiora e, insieme a essa, la voglia di partire ancora, magari anche solo per un finesettimana ristoratore. Per bibliofili, bibliomani e appassionati di arte ecco, allora, l’appuntamento giusto nel momento giusto, l’ultimo weekend di settembre. Dal 23 al 25, infatti, a Bologna va in scena l’ottava edizione di “Artelibro. Festival del Libro d’Arte”. Il tema guida di quest'anno è “Archeologia/Archeologie”, come a indicare le molteplici declinazioni di un metodo di studio del passato, indispensabile per capire e interpretare il nostro presente. Un approccio storico, da ”collezionista di reperti” che troverà perfetta esemplificazione nella mostra di libri d'artista della collezione di Danilo Montanari, Libro / Opera. Viaggio nelle pagine d’artista. 1958 - 2011, che svelerà al pubblico della suggestiva Aula Magna della Biblioteca Universitaria oltre 200 volumi tra i più rappresentativi dei nostri ultimi cinquant’anni in Italia, da Lucio Fontana a Maurizio Cattelan, passando per Giulio Paolini e Luciano Bartolini. Al Museo della Musica, poi, si potrà visitare la mostra ControCorrente. Riviste, dischi e libri d’artista delle case editrici della poesia visiva italiana, organizzata insieme alla Fondazione Berardelli di Brescia e al G Museo Pecci di Prato. A Palazzo Re Enzo e del Podestà, invece, accanto alla mostra mercato che ospita librai antiquari italiani e stranieri in collaborazione con ALAI Associazione Librai Antiquari d'Italia (con specifiche sezioni dedicate agli editori di libri d'artista, di pregio e facsimilari), si potranno ammirare i Libri di Luce di Mario Nanni e le pubblicazioni storiche dell'Officina d'Arte Grafica Lucini. E ancora altre esposizioni, cicli di conferenze, letture e presentazioni di libri, senza dimenticare gli incontri professionali: su tutti, il convegno “Più simile del facsimile. Editoria d'arte tra libreria collezionismo e iPad”, promosso da AIE, Associazione Italiana Editori. Quest'anno Bologna festeggia anche i 2200 anni dalla fondazione della colonia romana di Bononia e i 130 anni dall’istituzione del Museo Civico Archeologico, una delle più significative realtà culturali di Bologna. Proprio per questa occasione Artelibro ha attivato un’importante collaborazione con il Comune di Bologna - in particolare con il Museo Civico Archeologico per realizzare un evento dalla doppia anima, colta e popolare, che celebri al meglio entrambe le ricorrenze. Nasce così il progetto “Artelibro – Archeopolis”, che riunisce le istituzioni culturali cittadine in un week-end interamente dedicato a quest’affascinante disciplina attraverso rievocazioni storiche, visite tematiche, mostre, convegni e conferenze, nonché importanti eventi serali e laboratori per i più piccoli. Di assoluto interesse la Lectio Magistralis di Andrea Carandini, archeologo di fama internazionale (e Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali), che si terrà giovedì 22 alle 19.00 presso il Teatro comunale, seguita dal concerto del Coro Athena del Museo Civico Archeologico di Bologna; venerdì 23, invece, la serataspettacolo sul mito nella cultura popolare, curata dall'attore Ivano Marescotti presso l'Aula Magna di Santa Lucia - Alma Mater Università di Bologna. Dall’inaugurazione (venerdì 23 alle dieci del mattino) in poi, le sale di Palazzo Re Enzo e del Podestà ospiteranno la grande mostra mercato di librai antiquari, editori di pregio, libri d’artista, facsimilari e riviste specializzate, mentre gli editori d’arte saranno alloggiati nella Libreria dell’Arte, in Piazza Nettuno, di fronte allo stesso Palazzo, già dal 10 settembre. 40 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 L’intervista d’autore ANTONIO ZANOLETTI, TRE SERE A TEATRO PER VEDERE LONTANO di matteo tosi rilogia del lontano: LucrezioIbn Hamdis-Kavafis. In scena nel mese di luglio in tre serate al Teatro di Verdura. T Tre autori così lontani e così diversi, cosa li lega? C’è un sottile filo che collega e intreccia questi tre autori apparentemente slegati e lontani. Intanto dei classici e come tali “vivi”. Tu li leggi e nel momento che lo fai ti parlano. Come i grandi testi. Così loro, ecco perché li chiamo classici. Poi se si scava e si entra nella loro parola, vi sono dei sentimenti che li richiamano, li collegano. Non ultimo i vertici poetici, la scrittura proprio, ad altissimo livello. Cos’è il tema del “lontano”? Ho definito “lontano” una nota, un rimando che li accomuna, uno struggimento. Lucrezio, si interroga nel suo De Rerum Natura sulla nascita della materia, sulle origini del mondo, sul cosmo e si chiede in questa fragilità del tutto se non vi siano altri mondi come il nostro, e quindi noi non più soli nella vastità della materia. E come dice “se fuori da queste ampie mura del mondo si stende lo spazio, la mente vuole alzarsi a vedere e in quel vuoto l’anima mia peregrinare”. Ibn Hamdis, il poeta arabo nato in Sicilia, siamo nell’anno Mille, e la sua amata terra siciliana. Lontana perché mandato in esilio con la caduta del Regno di Siviglia, iniziando così le sue peregrinazioni sempre più lontane, Algeria, Tunisia, Maiorca. Muore ottantenne nel 1133 e la nostalgia della sua terra che non rivedrà mai più non lo abbandonerà in nessun modo. Le musiche dello spettacolo sono eseguite dal vivo da Salvino Strano. E poi Kavafis a cavallo del ‘900 col suo mondo poetico e il sentimento dell’inespresso, del non vissuto se non nella memoria, “meglio la vita che non abbiamo vissuto e solo immaginata e lontana, che quella reale” dirà in una sua poesia. Per lei il teatro può essere un mezzo per verificare certi comportamenti umani, certe verità? Non ho mai amato il teatro fine a se stesso, quello che chiamano “d’evasione”, così come non amo la disinvoltura sulla scena, che è puramente una cosa televisiva. In teatro ci si sta per una necessità, per un’urgenza. È rituale. È una zona franca dove la materia rappresentata con onestà e senso morale può diventare incandescente. Sincera carne pulsante. E in arte chi non è sincero non è un artista. Non giriamo intorno alla questione. Ed essere sinceri è una questione morale; e dico morale e non moralismo piccoloborghese. L’arte è una cosa dell’uomo. Il teatro dunque come lavoro umano sull’uomo. E noi attori, ricordiamocelo, siamo un mezzo, uno strumento, insostituibile, forse, ma strumento della poesia. Niente altro. Noi passiamo e lei resta, la poesia, il teatro, l’arte tutta. Noi solo messaggeri, ed è già un grande compito. Il poeta arabo di Sicilia Hamdis, davvero poco conosciuto… …ma grande! È un mio personale omaggio alla Sicilia e ai grandi uomini che vi sono nati, e sono tanti. Lampedusa, Pirandello, Verga, Lucio Piccolo tutto da scoprire e altri, tantissimi che ho in testa tutti grandi e non solo artisti. Tornato da poco da Siracusa dove al Teatro Greco ero Ulisse in Filottete di Sofocle. E quella terra è davvero speciale. Come dice il poeta arabo “chi partendo ha lasciato il cuore in quella terra, con il corpo desidera tornare”. Lei spesso si dedica alla poesia. Diciamo che oltre al teatro luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano classico, quello vero, quello che ci parla e ci consola ogni volta che lo affrontiamo, è il mio pane preferito. Ma mi piace sperimentare la materia che “si fa” teatro come i testi letterari, i saggi, o la poesia. In questo senso è interessante e mi piace il Teatro di Verdura: I libri in scena. Ossia materia che si sperimenta e si verifica attraverso la rappresentazione, sulla scena. Lei non è nuovo qui al Teatro di via Senato. No, ma nemmeno tanto vecchio! Ho debuttato con l’ultimo romanzo di Testori, poi Van Gogh e le sue lettere al fratello Theo, Ulisse del premio Nobel Walcott, Dreyfus, Lampedusa e le sue lettere, Poesie dai banchi di scuola, la Milano e i suoi teatri dal dopo guerra ad oggi, i Diari di Mussolini… come vedi materiale non nato per il Teatro ma che diventa tale. Però… ripercorrendo il tutto non è poca cosa, me ne accorgo ora. Da andarne orgogliosi. E Kavafis? Una scoperta emozionante. Parola altissima dell’inespresso, attraversata da grandi silenzi. Fa pensare a certa pittura di De Chirico, anche lui vissuto a lungo ad Alessandria d’Egitto, come il poeta. Un poeta che ripiegato su se stesso sa ascoltare i moti più profondi dell’essere e dell’esistere. Tutto filtrato dal ricordo, un mondo vissuto tutto dal di dentro fra le quattro mura di casa sua. Materia non facile certo, ma come spieghi allora che il pubblico riempie il Teatro? Vorrà pur dire qualcosa. Non è vero che il pubblico vuole solo divertirsi. Lo si può fare anche con cose serie. Quando il bambino gioca lo fa con grande serietà. Dobbiamo tornare bambini? Non necessariamente, ma nutrire il bambino che c’è in noi, questo sì. In questo sono un privilegiato col mio 41 mestiere. Noi attori abbiamo una nostra parte bambina che non vuole crescere. È la nostra salvezza perché coltiva lo stupore delle cose. Ma è un discorso che ci porterebbe lontano. Altri progetti fatti e che farà? Appena tornato da San Miniato, rassegna del Teatro Sacro, dove ho affrontato un libro della Bibbia, il cosiddetto “libro nero”: il Qhoèlet. Ecco una materia davvero incandescente. E per il Teatro di Verdura? Tanti progetti che mi frullano nella testa. Vedremo. Idee che ho già inseminato ma che per scaramanzia tengo sotto chiave. Ma in sostanza, alla fine, i libri salveranno il mondo? Non ci è dato saperlo, sicuramente lo possono migliorare. Ma vanno letti, non usati esclusivamente per riempire gli scaffali di casa. 42 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI I capolavori sinonimo dell’Italia, gli archivi delle nostre case editrici e le lettere di Zeri di matteo noja e matteo tosi ALCUNI INDISPENSABILI TOMI PER CONOSCERE GLI ITALIANI I centocinquanta anni dell’Unità d’Italia e le varie attività per i festeggiamenti hanno mosso anche il mondo culturale ed editoriale, proponendo in varie sedi, diversi libri, in diverse quantità, a rappresentare degnamente questo traguardo nazionale. Dai tre libri che in vari simposi ha proposto lo storico Mauro Moretti limitandosi ai titoli che hanno unificato linguisticamente la Penisola – Il Bel Paese di Stoppani, le ricette dell’Artusi e Cuore di De Amicis –, ai 400 che Fabrizio Govi, noto libraio antiquario di Modena, propone in un “ricco” volume (I classici che hanno fatto l’Italia. Per un nuovo canone bio-bibliografico degli autori italiani, Modena, Giorgio Regnani Editore, 2010; p. XXXV, 415, €65,00). Senza porsi il limite temporale degli anni che vanno dall’Unità a oggi, e cercando di confrontarsi con il celebre Printing and the Mind of Man, elenca una serie di “classici”, dal ’400 al secolo scorso, che possono a buon diritto formare un valido percorso lungo la nostra letteratura. Fino ad arrivare ai 150 (più 15) che ha proposto con una mostra (poi itinerante) il Salone del libro di Torino, per suggerire una lettura del nostro Paese attraverso le pagine di tante opere quante gli anni passati dalla proclamazione del Regno. Volumi di narrativa e poesia, ma anche teatro e saggistica per rappresentare una mappa storica della nostra cultura. Ma in mezzo ai tanti libri che propongono in questi giorni un “nuovo canone”, per l’Italia unita e non solo, ne è uscito uno abbastanza singolare, se non altro perché propone 52 libri della letteratura italiana di tutti i tempi, uno a settimana. Si tratta di Per una biblioteca indispensabile di Nicola Gardini (Torino, Einaudi, 2011; p. 329, €21,00). Professore di letteratura italiana del Rinascimento a Oxford, Gardini scrive nella sua prefazione: «Volevo scrivere un libro sull’Italia migliore avendo chiara cognizione di quella peggiore; e cercare nel passato, per amore della vita, perché la vita è piú nel passato che nel presente, com’è stato detto; e parlare di letteratura, ma fuori dagli schemi falsificanti della storia letteraria. […] Questo catalogo presenta una letteratura italiana anticonvenzionale, non quella degli “ismi”, delle scuole e delle correnti, non quella […] formalistica, retriva e provinciale che i manuali continuano a confezionare; bensí una letteratura magnanima, europea, laica, piena di spirito, di protesta […]. Ecco l’Italia migliore che cercavo». Nicola Gardini, “Per una biblioteca indispensabile”, Torino, Einaudi, 2011 (pp. 330, €21,00) TUTTE LE STORIE “SEGRETE” DI CHI PUBBLICA STORIE Bel volume che dovrebbe essere il primo di una collana editoriale curata dal Settore Biblioteche, Archivi e Istituti culturali della Direzione Cultura Turismo e Sport della Regione Piemonte, per diffondere la conoscenza del patrimonio archivistico e librario del territorio. Raccoglie le relazioni presentate in occasione della Fiera del libro 2009 di Torino cui si sono aggiunti altri contributi. La prima parte è dedicata al patrimonio piemontese e riporta notizie e considerazioni sugli archivi di editori come Einaudi, Utet, Pomba, Boringhieri, Viglongo, SAIE, SEI, confrontati, nella seconda parte, con l’esperienza di altre realtà italiane come la Fondazione Mondadori, Giunti, Olschki, Laterza. «Gli archivi delle case editrici luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano costituiscono un campo di indagine di estremo interesse, ancora poco sviluppato nonostante i progetti di tutela, censimento e riordino tuttora in atto» dice il curatore Brunetti, e oseremmo dire non solo quelli delle case editrici ma anche quelli dei vari autori, come quelli fotografici o quelli delle imprese. Il patrimonio delle conoscenze che questi archivi contengono, direttamente o indirettamente, non può e non deve essere sottovalutato in un’epoca come la nostra di crisi (economica ma soprattutto di valori) che necessita un continuo raffronto con il passato. I valori propugnati da editori e intellettuali che inseguirono progetti culturali a volte complessi e di grande respiro (Utet e Einaudi, per esempio), racchiusi nei loro archivi, vanno difesi e tramandati, come le opere stesse degli scrittori, che in molti casi determinarono e influenzarono. Tra i tanti motivi di suggestione del volume, si può ricordare la vicenda dell’erede del “libraio cantante Vedova Pomba e figli” (così viene citata la casa editrice in tutte le suppliche al re, agli inizi dell’800) Giuseppe Pomba, già raccontata da Luigi Firpo in una Strenna Utet del 1976. La figura di quest’uomo, che forse Firpo non aveva in grande simpatia, esce comunque dall’esame delle carte dell’archivio ingigantita («Si trova fra queste carte traccia delle sue battaglie, delle sue rare sconfitte e delle sue molte vittorie»), vero e proprio “tycoon” del tempo, che prima di lasciare il ponte di comando della sua azienda, seppe progettare quel magnifico Dizionario della lingua italiana, a cui il vecchio Tommaseo attese per ben tre lustri. Dimitri Brunetti (a cura di), “Gli Archivi storici delle case editrici”, Torino, Centro Studi Piemontesi - Ca de Stüdi Piemontèis, 2011, pp.300, s.i.p. ma €18,00 FEDERICO ZERI IN LETTERE. SPEDITE ALLA “SUA” EINAUDI Non sembri snobismo scegliere una “ristampa” tra le tante novità che vengono pubblicate in Italia a ogni pié sospinto. Ma in un numero come questo, ricco di storie editoriali e di carteggi che testimoniano il lavoro dello scrittore “su commissione”, questa riedizione di Lettere alla casa editrice di Federico Zeri pare starci alla perfezione. La casa in questione, ovviamente, è l’Einaudi (che lo pubblicò la prima volta e oggi concede il bis), con cui il noto critico d’arte iniziò a collaborare fin dal 1955, firmando il volume Pittura e Controriforma e divenendo presto il principale consulente in materie artistiche per i tipi dello Struzzo. Da quello stesso 1955 fino al 1980 (ma in realtà il rapporto durò ben oltre, pur non dovumentato), Federico Zeri inizia così a intrattenere 43 un fitto carteggio con “divo” Giulio in persona, Paolo Fossati e soprattutto con Giulio Bollati. 116 missive in tutto di cui 102 raccolte in questo volume -, che approfondiscono la conoscenza del critico e della sua personalità, lasciandone intuire alcune letture nello specifico e, in particolar modo, svelando cosa potesse generare in lui la voglia di fare polemica. La scelta dei fogli da collezionare è stata curata da Anna Ottani Cavina, docente di Storia dell’arte moderna all’Università di Bologna e collaboratrice di diversi atenei statunitensi. Ne esce uno Zeri estremamente attivo e propositivo nei confronti dei suoi interlocutori, non un semplice “censore” o fornitore di pareri, ma una vera e propria fucina di idee, studi, ricerche e progetti, a partire dal suggerimento di alcuni titoli “insoliti” da tradurre in italiano, senza il timore di rompere steccati o sembrare forzatamente anticonformista. Non mancano aneddoti e spunti di riflessione, naturalmente, ma la cosa forse più interessante è la fotografia di un modo di fare libri che forse oggi si è perso, un lavoro frutto di un dialogo tra intellettuali attenti al loro lavoro. Federico Zeri, “Lettere alla casa editrice” (a c. di Anna Ottavi Cavina), Einaudi, Torino 2011, pp.132, €18,00 46 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 ANDANDO PER MOSTRE Italiani d’Egitto, scatti siciliani, obiettivo Grand-Tour e nuove figurazioni di carta di matteo tosi GLI ITALIANI ALLA CONQUISTA DELL’EGITTO DEI FARAONI due passi dal Duomo di Orvieto, una delle chiese più note e visitate dell’intero Belpaese, va in scena una grande esposizione dedicata all’antico Egitto e al fascino misterioso delle sue storie. Non l’ennesima tappa di una mostra itinerante e già vista in chissà A quanti altri luoghi, ma un’inedita collezione di preziosi reperti provenienti da una quindicina di musei e istituzioni culturali italiane, selezionati dalle egittologhe Elvira D’Amicone (della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie di Torino) e Massimiliana Pozzi (della Società Cooperativa Archeologica), sotto la supervisione di Giuseppe M. Della Fina, direttore scientifico della Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, sede IL FASCINO DELL’EGITTO. IL RUOLO DELL’ITALIA PRE E POST-UNITARIA NELLA RISCOPERTA DELL’ANTICO EGITTO ORVIETO, MUSEO “CLAUDIO FAINA” (PIAZZA DEL DUOMO, 19) E PALAZZO COELLI - FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO (PIAZZA FEBEI, 3), FINO AL 2 OTTOBRE, INFO: TEL. 0763-341511 dell’esposizione insieme alla vicina Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Il sottotitolo, “Il ruolo dell’Italia pre e post-unitaria nella riscoperta dell’antico Egitto”, chiarisce l’intento evidenziare gli ottimi risultati avuti lungo le sponde del Nilo dai “nostri” numerosi egittologi, partiti a più riprese per spirito d’avventura o per sete di facili guadagni, ma quasi sempre con il sincero obiettivo di approfondire le conoscenze sull’antica Terra dei Faraoni. Sopra: statua di Ptahnose, XVIII dinastia, Firenze. A sinistra: Modellino ligneo con scena di agricoltura, Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte Sotto: frammento parietale figurato, Firenze Seguendo le tracce delle Missioni archeologiche italiane, si ammirano elementi di corredo funerario che illustrano varie epoche, come reperti che giungono dal Medio Egitto, risalenti al 1900 a.C., e altri che provengono dalla Valle delle Regine, databili al 700 a.C.. I numerosi spunti offerti dai materiali esposti permettono inoltre di affrontare alcuni aspetti della vita quotidiana di allora, approfondendo temi affascinanti come la conservazione di materiali delicati come le stoffe, e analizzando le informazioni che i ricercatori contemporanei possono trarre dalle analisi diagnostiche più all’avanguardia. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 47 FOTOGRAFI SICILIANI: NASCE UNA NUOVA “SCUOLA”? NICOLA VILLA E LA CONTEMPORANEITÀ VERA DI CHI RISCOPRE CARTE E DISEGNO iennale in testa, l’estate è spesso stagione di mostre “collettive” e progetti eclettici, ma l’esistenza di un vero e proprio “tema” non di rado si fatica a intuire. Non così per la bella esposizione che la Fondazione Gruppo Credito Valtellinese porta ad Acireale, nella propria sede siciliana, prima di farla arrivare alle Stelline di Milano. furia di opere al neon, installazioni multimediali e amenità varie, la tanto cantata novità delle giovani generazioni di artisti sembra essere sempre più solo un luogo comune. Il futuro della creatività, B A allora, pare dover passare forzatamente da una rilettura (anche dissacrante) della tradizione e dalla riscoperta dei “vecchi“ linguaggi e materiali. Come fa Nicola Villa, pittore lariano che si è imposto per il suo “disegno” La tesi che il progetto vuole sostenere è che in Sicilia stia nascendo una vera e propria “scuola di fotografia” isolana, sempre riconoscibile e coerente con se stessa. In senso strettamente cronologico, infatti, al lavoro di Carmelo Bongiorno, Sandro Scalia e Carmelo Nicosia, tutti e tre nati tra gli anni Cinquanta e Sessanta, si contrappone quello degli esponenti di spicco della generazione precedente, nomi di fama internazionale come Ferdinando Scianna, Enzo Sellerio, Nicola Scafidi e Letizia Battaglia, ma il percorso ideato e per un’innata passione per la carta. Dal 23 al 30 luglio è a Monteggiori (LU), con “Urbano/Mediterraneo”. Info: www.monteggioriarte.it da Cristina Quadrio Curzio e Leo Guerra (La nuova scuola di fotografia siciliana, fino al 2 ottobre; info: tel. 095/600208 www.creval.it) riesce a sottolineare l’importanza crescente dei tre “giovani”, docenti presso le accademie di Catania e Palermo, nell’influenzare un’intera nuova generazione di fotografi. Grande attenzione, infatti, è dedicata agli aspetti “tecnici” e alle consuetudini formali dei tre, come a ricercare proprio nell’incontro tra pratica e approccio teorico quella cifra distintiva che diventa firma non solo dei loro scatti. I MUSEI D’ARTE CONTEMPORANEA E IL NOSTRO PAESAGGIO, RITROVATO DENTRO UN GRAND TOUR FOTOGRAFICO A 18 MANI i intitola “Viaggio in Italia” ed è una sorta di attualizzazione del mitico Grand Tour attraverso le testimonianze etiche ed estetiche di diciotto fotografi selezionati ad hoc da Amaci, l’Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani. Un progetto che adesso saluta la partenza della propria seconda tappa, a cui prende parte una S nuova squadra di sei artisti: Riccardo Benassi ci conduce sul Po, mentreRossella Biscotti propone un’immagine di archivio di Esino Lario e Rä di Martino gioca a farci scoprire un sito archeologico dell’antica Roma; Andrea Mastrovito, poi, ricama sull’immagine da cartolina di Bergamo Alta, Andrea Nacciarriti ferma la poesia di una foresta di sclerofille e Moira Ricci omaggia la bellezza selvaggia di una spiaggia in Maremma. Info: tel. 035/ 270272 – www.amaci.org La contro-copertina è affidata a uno sguardo esterno, quello di uno “straniero”, Richard Avedon. Con un unico scatto, un combatshot dedicato alla Cripta dei Cappuccini rubato a Palermo durante la campagna di liberazione della Sicilia nel 1944, al seguito della V Armata. 48 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 DANTE POETA E ITALIANO Mostra di Manoscritti e Stampe antiche della Raccolta di Livio Ambrogio di annette popel pozzo el 150mo anniversario dell’Unità d’Italia si tiene a Roma nel Palazzo Incontro, dal 21 giugno al 31 luglio 2011, la Mostra Dante poeta e italiano “legato con amore in un volume”, dedicata interamente alla Prima Corona della letteratura italiana e al “padre della lingua italiana” con manoscritti, antiche stampe, volumi illustrati, quadri e sculture provenienti dalla collezione privata dell’imprenditore torinese Livio Ambrogio. Frutto di trent’anni di passione o con le parole di Livio Ambrogio nella Presentazione del Catalogo: “ripresi in mano i volumi sgualciti di Manfredi Porena, e lessi la Commedia nella sua interezza. Rimastone affascinato, la rilessi due o tre volte, e divenne così per me Il libro, buono per ogni anno e ogni giorno della vita, ogni volta nuovo e rivelatore di aspetti sfuggiti nella letteratura N precedente” (p. 8). Certamente sapendo che sono stati censiti oltre 850 codici o frammenti della Commedia dantesca con 132 manoscritti nella Biblioteca Medicea Laurenziana, 76 nella Nazionale Centrale di Firenze e 70 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, non è sicuramente il numero dei manoscritti o edizioni preziosi presenti in una collezione che ne determina il pregio, ma piuttosto l’insieme degli elementi che compongono il quadro complessivo. Nella Raccolta Ambrogio figurano una gran parte delle edizioni incunabole (talvolta in esemplari prestigiosi come la copia postillata da Vincenzo Buonanni dell’edizione di Vindelino da Spira del 1477), affiancate da testi secondari importanti per una lectura Dantis come l’incunabolo di Lattanzio impresso a Roma da Sweynheim e Pannartz nel 1468, che contiene la prima citazione della Commedia mai apparsa in un testo a stampa. Inoltre sono presenti tutte le edizioni cinquecentesche, dalla prima aldina curata da Pietro Bembo del 1502 fino a quella fondamentale dell’Accademia della Crusca del 1595. Una copia della seconda edizione aldina, anche la prima a essere illustrata, del 1515 si presenta in legatura cinquecentesca in marocchino, appartenuta al cardinale Carlo Borromeo. Presenti le sole tre edizioni del Seicento (secolo di “appannamento” della fortuna dantesca), seguite dagli esempi più illustri del Sette, Otto e Novecento che mettono in rilievo la Commedia illustrata. La passione di Ambrogio per l’Autore si manifesta anche nell’iniziativa di promuovere nel 2005 un’edizione privata della Commedia, stampata in tiratura limitata dalla Stamperia Valdonega recante le illustrazioni di Monika Beisner che offrono una moderna interpretazione figurativa del poema dantesco. In Mostra si trova anche una selezione dei più importanti volumi danteschi della Casa di Dante in Roma, tra i quali lo splendido esemplare della Commedia stampata a Venezia da Pietro de Piasi Cremonese nel 1491, interamente postillata dal frate francescano Pietro da Figino, curatore fra l’altro di questa stessa e di altre edizioni veneziane della Commedia, e arricchita di un denso e prezioso corredo iconografico attribuito ad Antonio Grifo. La Mostra con il sottotitolo “legato con amore in un volume”, in netta allusione alla folgorazione di Dante al cospetto della grazia di Dio (Paradiso, XXXIII, 86), trova la sua corrispondenza in un omonimo Catalogo, stampato dalla Salerno Editrice (ISBN 978-88-8402-733-7, €38,00). luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 49 luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 51 BvS: un editore dell’Ottocento L’Elvetica di Capolago e quelle edizioni “alla macchia” La stamperia ticinese che contribuì alla nascita dell’Italia Unita BEATRICE PORCHERA «O italiano che vai | quando Italia era un sogno in esilio | la tua Patria fu qui | qui fu l’umile eroica stamperia | onde il proscritto pensiero | in sacro contrabbando varcato il confine | anticipava l’Italia nei cuori». Queste parole reca l’epigrafe posta sull’obelisco eretto nel 1911 a Capolago in ricordo della storica Tipografia Elvetica che da lì, raccolta tra le acque del lago di Ceresio e le falde del monte Generoso, attraverso i suoi torchi, partecipò attivamente alla causa del Risorgimento e dei patrioti italiani. La storia della Tipografia Elvetica di Capolago ebbe inizio il 9 ottobre del 1830, quando un gruppo di cittadini ticinesi decise di fondare in questo piccolo borgo una «società di commercio per lo stabilimento ed esercizio di una Tipografia e negozio di libreria» con lo scopo di produrre, o riprodurre, «opere utili, od istruttive, con assoluta esclusione di quelle dirette contro la religione e il buon costume».1 La sede fu stabilita nel palazzo detto “Badia”, dove sempre rimase. Numerose sono le edizioni capolaghiane che fanno capolino dagli scaffali della Biblioteca di via quali l’ICCU censisce un unico esemplare. Il 1831 fu invece l’anno della cantica In morte di Lorenzo Mascheroni di Vincenzo Monti, corredata qui, per la prima volta, degli ultimi due canti rimasti fino ad allora inediti. Senato, a partire dagli Esempi di bello scrivere in prosa scelti e illustrati dall’avv. Luigi Fornaciari, che, pubblicati nel 1830, non compaiono nella bibliografia di Caddeo2 e dei Nella pagina accanto: ritratto di Alessandro Volta al frontespizio dell’Ape dell’agosto 1835. Sopra: frontespizio degli Esempi di bello scrivere di Luigi Fornaciari, 1830 Nel 1833 venne affidata alla Tipografia Elvetica la stampa della tragedia Lodovico Sforza, detto il Moro del toscano Giovanni Battista Niccolini. Il perché di questa scelta lo deduciamo da una lettera, datata 5 dicembre 1833, indirizzata dall’autore stesso al prof. Giovanni Carmignani: «Ho dovuto farla stampare [la tragedia Lodovico Sforza] fuori di Toscana, per non avere nuovi dispiaceri dalla Censura, la quale nessuno sa indovinare perché vi abbia proibita la recita».3 Ecco presentarsi già a quest’altezza uno dei principali motivi per cui molti autori decisero di rivolgersi alla stamperia di Capolago: sfuggire alla ferrea censura dei vari staterelli italiani – tra i quali la Toscana rappresentava, tra l’altro, il paese più tollerante –. La stessa sorte toccò nel 1834 alla Storia del Reame di Napoli dal 52 1734 sino al 1825 di Pietro Colletta, la cui pubblicazione venne proposta all’Elvetica da Gino Capponi. L’opera riscosse da subito un grande successo grazie sia al suo valore, sia al nome dell’autore, sia alle polemiche che suscitò. Il testo venne messo al bando dai reazionari, mentre le censure e le polizie ne vietavano l’introduzione con controlli alle dogane e presso i librai. L’informatore di Livorno il 20 agosto del 1834 scriveva alla Polizia milanese: «In Livorno si sono vendute una quantità di copie della Storia stampata del fu general Colletta relativa al Regno di Napoli. Essa è in 4 volumi e stampata a Capo Lago [sic], come vedrà dal frontespizio che qui accluso le rimetto. Da pochi brani che ne ho veduti parla con molto livore di alcuni viventi; immaginatevi del resto; non si sa come se ne possa permettere la vendita. […] In questi momenti è opera pericolosa assai per l’Italia e specialmente per il Regno di Napoli».4 A partire dal luglio 1833 si era la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 cominciata a stampare coi tipi dell’Elvetica L’Ape delle cognizioni utili. La pubblicazione continuò fino a tutto il 1835 – annata posseduta completa dalla BvS – quando la rivista venne trasferita a Milano. L’informatore che la Polizia lombarda aveva a Lugano il 26 gennaio 1836 scriveva: «Per quanto sappia, il compilatore dell’Ape è l’avvocato Massa, piemontese, da molti anni dimorante a Rovio col permesso del Governo Sardo e del Cantonale. Egli si serve per la maggior parte degli articoli del Journal des connaissances utiles che stampasi a Parigi da quello inseriti e di altri consimili che vedono la luce in Italia. Vuolsi che gli articoli riguardanti l’industria serica siano scritti e mandati da esperti in tal genere appartenenti agli Stati Sardi; e non mi consterebbe che alcun Lombardo scriva per quel foglio. Quello che è certo si è che ha moltissimi abbonati, tanto è il merito di quel periodico, a cui devesi anche dar lode perché non importuni il pubblico di cose politiche, e su tale proposito è fermo nell’intendimento di non parlarne giammai, per non demeritarsi il prezioso favore de’ varii Governi degli stati d’Italia, che si degnano permetterne l’ingresso e lo smercio nelle rispettive dipendenze».5 Ma L’Ape venne posta sotto censura dal Ducato di Modena. Ma, nonostante le difficoltà continuamente incontrate dalle edizioni stampate a Capolago nel circolare liberamente negli stati italiani, il loro successo portò alcuni editori e tipografi a produrre delle contraffazioni. Tale fu il caso delle Opere filosofico-politiche ed estetiche di Mario Pagano, stampate dalla Tipografia Elvetica nel 1837 e ristampate riportando gli stessi dati editoriali, in questo caso falsi, al frontespizio di un certo numero di esemplari dell’edizione impressa a Napoli da Gabriele Rondinella nel 1848, retrodatata perciò di 11 anni. La Filosofia della storia di He- luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 53 Nella pagina accanto da sinistra: tavola litografica a colori raffigurante due militi dell’Artiglieria Bandiera-Moro (fasc. 10 dei Documenti della Guerra Santa d’Italia). Sopra: sede della Tipografia Elvetica di Capolago gel uscì dai torchi della stamperia di Capolago, tradotta dal tedesco da Giambattista Passerini, nel 1840 e fu riproposta con un’aggiunta l’anno successivo. In una lettera a Passerini datata 8 luglio 1843 Giuseppe Mazzini scriveva: «Ebbi finalmente il volume hegeliano e ve ne ringrazio assai. Ho letto subito la vostra prefazione: l’approvo in tutto; già sapete che appartengo alla stessa serie d’idee».6 Fu soprattutto grazie agli studi di Passerini che l’Italia cominciò a conoscere Hegel. Nel 1844 venne pubblicato dalla Tipografia Elvetica il primo libro di carattere politico nazionale italiano: la seconda edizione, riveduta e aumentata, delle Speranze d’Italia di Cesare Balbo. Il 1845 fu invece l’anno Del buono di Vincenzo Gioberti. Qualcosa stava per cambiare. Il 31 ottobre 1846 la Tipografia Elvetica di Capolago divenne proprietà di Modesto Massa e Alessandro Repetti, che ne faceva parte fin dal 1844. L’anno successivo Massa lasciò l’azienda nelle mani di Repetti che in essa investì tutte le proprie risorse fisiche ed economiche, dandole un carattere politico e patriottico e rendendola uno strumento importante e attivo nell’ambito del Risorgimento italiano. Il suo scopo principale fu infatti, fin da subito, quello di rendere l’Elvetica editrice di opere di propaganda italiana, anche invise o proscritte dall’Austria. Dai suoi torchi uscirono proclami, fogli volanti, opuscoli e libri di Balbo, Gioberti, Dall’Ongaro, La Farina, Cattaneo, Ferrari, Rusconi, D’Azeglio, Tommaseo ecc., che venivano poi introdotti clandestinamente in Italia, soprat- tutto per opera di Luigi Dottesio. Nello stesso 1846 furono stampate le Autentiche prove contro i Gesuiti moderni e loro affigliati, difesa del Gesuita Moderno di Vincenzo Gioberti che termina con queste parole: «L’Italia, o Gioberti, vi deve molto, e vorrebbe rimunerarvi, se in qualche modo ne avesse facoltà: non potendo altro vi ringrazia, e afferma che in voi vede e riverisce il più grande suo amico, il più ardente fra’ suoi difensori. Il guiderdone principale delle vostre fatiche, l’immortalità vi è già assicurata, né può fallirvi: continuate nella gloriosa impresa, e, favorendovi Iddio, ne avrete intera la palma». L’anno successivo fu la volta Della Sovranità e del Governo temporale dei Papi di Leopoldo Galeotti, opera che riscosse grandi consensi presso l’opinione pubblica, ma che, a causa della sua visione moderata, non piac- 54 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Contraffazione dell’edizione capolaghiana delle Opere filosofico-politiche ed estetiche di Mario Pagano que agli estremisti: ai mazziniani da una parte, ai fautori dell’assolutismo clericale dall’altra. Degni di nota furono poi i Documenti della Guerra Santa d’Italia. 28 fascicoli pubblicati tra il 1849 e il 1851, volti a costituire una ferma denuncia contro la politica austriaca, proibiti in tutti gli stati italiani. In un annuncio editoriale dell’epoca la redazione così scrive: «In questa Raccolta si pubblicheranno i Documenti editi ed inediti della nostra guerra, dai monti di Paler- mo sino agli ultimi avvenimenti. A concorrere alla perfezione di essa noi invitiamo tutti gli Italiani che possedono carte o atti ufficiali, note, o lettere pubbliche o private che v’abbiano relazione; e preghiamo tutti i generosi che ebbero parte qualunque nel gran dramma della nostra rivoluzione a dettare le loro memorie, e comunicarle alla Tipografia editrice». Padre ideale della collana fu probabilmente Carlo Cattaneo. L’unica opera di Niccolò Tommaseo stampata dai torchi della Tipografia Elvetica (coeditrice la NOTE 1 Citato in R. Caddeo, La Tipografia Elvetica di Capolago: uomini, vicende, tempi, Milano, Alpes, Archetipografia, 1931, p. 14. 2 R. Caddeo, Le edizioni di Capolago: storia e critica, Milano, Bompiani, 1934. Citato in ibi, p. 185. Citato in ibi, p. 93. 5 Citato in ibi, p. 31. 6 Citato in ibi, p. 150. 7 L. Gasparotto, La Tipografia degli esuli a Capolago, Como, Gagliardi, 1911, pp. 21-22. 3 4 Libreria Patria di Torino), Rome et le monde, uscì nel 1851, contemporaneamente alla prima traduzione italiana eseguita, dietro approvazione dell’autore, da Giuseppe Campi e dedicata «alla coscienza di Pio IX». Il testo fu interdetto dalla Censura toscana e messo all’indice il 20 aprile del 1852, ma, grazie al contrabbando, intorno alla metà di settembre del 1851 il libro poteva già essere letto in Firenze sia in francese, sia in italiano. Tra il 1851 e il 1852 vennero inoltre pubblicati le Carte segrete e Atti ufficiali della Polizia austriaca in Italia in 3 volumi. Edizione che risentì dell’ormai alterna fortuna finanziaria, oltre che politica, dell’Elvetica: il terzo volume non ebbe quasi diffusione. Nel frattempo, il 12 gennaio 1851, Luigi Dottesio era stato arrestato al confine e, l’11 ottobre, impiccato a Venezia; Alessandro Repetti aveva ormai consumato tutto il suo patrimonio per la causa italiana e così, il 12 marzo 1853, la Tipografia Elvetica di Capolago fermò i suoi torchi. Parlando dell’impresa ticinese Luigi Gasparotto scrisse: «L’Italia piangeva ancora i propri morti e i morti rivivevano nei documenti di Capolago. Il presente, prima ancora di diventare passato, veniva fermato nei piombi e immortalato nel libro. Ecco il fatto nuovo e grande: nessuna soluzione di continuità fra l’avvenimento e la storia, fra il fatto e l’insegnamento, fra il libro e la vita. In questo senso la Tipografia Elvetica ha fatto opera precorritrice dei metodi moderni»7 e, scuotendo le coscienze, ha contribuito alla nascita dell’Italia. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 55 BvS: rarità per bibliofili L’elegante Histoire Naturelle del conte di Buffon Georges Louis Leclerc, tra Illuminismo e geniali intuizioni ARIANNA CALÒ L e “Jardin Royal des Herbes médicinales”, divenuto nel 1793 Museo nazionale di Storia Naturale, è la più antica istituzione scientifica francese creata dalla monarchia, dopo il Collegio di Francia. Quando Georges Louis Leclerc (1707-1788), conte di Buffon, ne viene nominato intendente al posto dello scomparso Charles Dufay, ha soli 32 anni e un brillante estro scientifico, ottenuto maturando un’ampia formazione nei campi della matematica, della cosmologia, della fisica, e soprattutto, della biologia. Di nobile discendenza e vivace istruzione, vide l’ingresso nel mondo accademico con la traduzione dall’inglese del Vegetable Staticks di Stephen Hales e del Method of Fluxions di Isaac Newton. La carica al Jardin du Roi diventa tuttavia la collocazione più congeniale per la sua inclinazione verso le scienze naturali. Recensendo le collezioni sino ad allora raccolte senza criterio di ordinamento e organizzazione per gli studi, Buffon ottiene credito e autorevolezza presso i propri superiori e matura il progetto di un’opera che abbracciasse nella descrizio- quindici volumi, un catalogo del mondo naturale sino ad allora conosciuto attraverso il Jardin du Roi. Ritratto di Georges Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1788), antiporta incisa tratta dal Supplément, Tome Premier de l’Histoire Naturelle, 1774 ne tutta la ricchezza della natura. I primi lavori preparatori segnano la data del 1744, e sono accompagnati da un intenso periodo di studio ed erudizione, nel quale lo stesso Buffon lascia trapelare i dettagli di quanto sarebbe venuto da lì a breve; già nell’ottobre del 1748 il Journal des Savants annuncia ai lettori il progetto di una pubblicazione in Finalmente i primi tre volumi appaiono nel 1749, recando il titolo di Histoire naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du Roi: edizione magnifica, licenziata dai torchi dell’Imprimerie Royale e dunque elevata al rango di ufficialità.1 Quanti aspettavano il saggio dell’universo vivente, in realtà ne ottengono la prefazione teorica: i volumi pubblicati, infatti, non contengono la lista del regno animale tanto attesa; il primo tomo stila di fatto un’introduzione metodologica generale (Premier Discours. De la manière d’étudier et de traiter l’histoire naturelle) e una teoria della Terra (con la descrizione della fisica terrestre, con ipotesi sulla sua formazione, l’origine delle montagne, il ruolo delle maree e dei vulcani..). Il secondo volume si apre con un’Histoire générale des animaux, in cui Buffon espone la propria teoria della generazione e afferma l’unità del mondo organico, seguita dal Discours sur la nature de l’homme, con l’affermazione della differenza metafisica dell’uomo rispetto agli animali. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 57 A sinistra: incisione a grandezza naturale per “Le dragon”, dal primo volume de l’Histoire naturelle des quadrupèdes ovipares et des serpens par M. le Comte de La Cepède, 1788. A destra: frontespizio del primo volume de l’Histoire Naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du Roi. Parigi, Imprimerie Royale, 1749 Infine, al terzo volume, un’importante descrizione antropologica, volta a classificare le Variétés dans l’espèce humaine. Già dal prospetto iniziale, dunque, l’Histoire naturelle di Buffon manifesta l’ambizione di riportare un sistema generale della natura, una “physique” che la analizzi nel dettaglio e ne riduca a sistemi le operazioni. Lontano dalla visione teologica che teorizzava lo “spettacolo” e la perfezione della Natura come prova dell’esistenza di Dio, Buffon si muove nel particulier per identificare le forze materiali che vi operano: attrazione e propulsione per la fisica della Terra (con l’intervento di una cometa in luogo del soffio divino), forze “penetranti” nella fisica dei corpi viventi a spiegare l’organizzazione della materia. Una storia générale, dunque, che presuppone necessariamente un’altra filosofia della natura, nella quale il divino non è più onnipresente. “Principio sì giolivo ben conduce”: la prima tiratura è esaurita in sei settimane, seguita da una seconda e da un’edizione in 12-mo nel 1750. Il quarto volume compare so- lo nel 1753, in ritardo rispetto al calendario ipotizzato dall’Autore, presentando dopo grande attesa le prime tre monografie sugli animali domestici (cavallo, asino, bue). Ed è proprio nella descrizione dell’asino che Buffon formula con chiarezza la ben nota teoria della “degenerazione”: e se l’asino non fosse altro se non un cavallo degenerato? Prima di Lamarck e quasi un secolo prima di Darwin, Buffon dà per la prima volta un’impronta dinamica agli organismi viventi e alle manifestazioni vitali. La pubblicazione dei successivi undici volumi dedicati ai quadrupedi continua fino al 1767, mantenendo costante la formula per la quale ciascun animale è introdotto sia da uno scritto dello stesso Buffon, con “les considera- 58 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 A destra: “La pantere femelle”, Histoire naturelle […], Tome quinzième, 1767 no pubblicati a ruota dal 1783 al 1788, con la firma del solo Buffon. Eppure, mentre aggiungeva tessere al mosaico della trattazione della natura, già a partire dal 1774 Buffon concepisce l’idea della pubblicazione di vari Suppléments a l’Historie naturelle, esattamente come Charles-Joseph Panckoucke e JeanBaptiste-René Robinet avrebbero fatto due anni più tardi (17761777) con i quattro volumi di supplemento all’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. tions générales, la peinture des mœurs et de pays, en un mot toutes les parties où il pouvoit déployer son génie et son talent dans l’art d’écrire”,2 sia da una scheda elaborata dal suo collaboratore Louis Jean-Marie Daubenton contenente i risultati di un preciso studio anatomico condotto sugli esemplari “du Cabinet du Roi”. La preparazione di biologo permette a Buffon di sviluppare un ulteriore primato, elaborando il metodo di classificazione binomiale che, contrariamente a quanto si pensa, è poi solo migliorato da Lin- neo e introduce quindi i concetti di Classe, Ordine e Famiglia, arricchendo la tassonomia zoologica e botanica. L’Histoire des oiseaux, in nove volumi, è edita dal 1770 al 1783. Daubenton abbandona il sodalizio con Buffon, irritato dal permesso concesso dall’Autore al libraio Panckoucke di tirare un’edizione priva degli interventi da lui firmati; Buffon si avvale dunque degli apporti di Gueneau de Montbéliard e dell’abate Bexon. A loro volta, i cinque volumi che formano la collezione dell’Histoire des mineraux so- Tra i sette volumi (17741789, l’ultimo pubblicato postumo) dei Suppléments, la maggiore attenzione va al tomo V, contenente le Époques de la nature, capolavoro ultimo dello studioso, completato all’età di 71 anni. La tradizione critica sostiene che il manoscritto dell’opera sia stato fatto ricopiare da Buffon ben diciotto volte per raggiungere la perfezione dell’ultima opera della maturità, il suggello di tutta la sua lunga carriera di naturalista: ideale superamento di quell’Histoire et Theorie de la Terre pubblicata 29 anni prima nel primo volume dell’Historie Naturelle, il testo propone una rielaboratissima e completa storia della natura, dalla sua origine, generata da comete entrate in collisione con il Sole, fino alla sua futura e totale distruzione. Assorbito dalla compilazione di quest’ultima opera, Buffon delega il completamento degli ultimi rami dell’“albero della natura” a luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 59 Da sinistra. “Le sai a gorge blanche”, Histoire naturelle […], Tome quinzième, 1767. “Le Kakatoës”, Histoire naturelle des oiseaux, Tome sixième, 1779 Bernard Lacépède che aggiunge ai 36 volumi sino ad allora pubblicati una trattazione in cinque volumi dei pesci, una storia dei cetacei e la descrizione degli ovipari e dei serpenti (1786-1804), portando a termine, anche dopo la morte, il lavoro del maestro. del XVIII secolo è un momento in cui la storia dell’umanità e la filosofia della storia interessano sempre più gli intellettuali; la maggior parte di questi pensatori sostiene la convinzione di Buffon che la storia dell’umanità sia il seguito della storia naturale e ponga gli stessi problemi di metodo. Abbracciando l’Illuminismo e successivamente aprendo a nuovi scenari, Buffon è stato dunque allo stesso tempo testimone e attore della profonda trasformazione intellettuale che ha marcato il passaggio dal XVIII al XIX secolo. Elogiata come esempio di “bello scrivere” in ambito scientifico (Buffon soleva ripetere “Le style, c’est l’homme même”), ma malvista e aspramente condannata per le innovazioni e i pioneristici metodi di studio e classificazione, L’Histoire naturelle, con i suoi Suppléments, segna un nodo cruciale nello sviluppo della scienza settecentesca: la fine NOTE 1 Il primo volume venne terminato di stampare nell’agosto del 1749, ma non poté essere messo in circolazione, insieme al secondo e al terzo, se non nel settembre, dovendo attendere l’impressione delle stampe e la compilazione dell’elenco dei destinatari a cui inviarli: dall’Imprimerie Royale furono licenziati circa mille esemplari, di cui 250 destinati immediatamente alle biblioteche, ai membri della famiglia reale, a dignitari, ad alti funzionari e sovrani stranieri. Buffon ricevette per sé 86 esemplari, di cui 56 rilegati. 2 Richard, M. A., Œuvres complètes de Buffon mises en ordre et précédées d’une notice historique […], Parigi, Boulanger et Legrand, 1830 ca., I, p. IV. luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 61 BvS: dal Fondo Impresa “Civiltà delle macchine”, dalla ricostruzione al boom La rivista che seguì la ripresa dell’Italia fondendo arte e scienza GIACOMO CORVAGLIA C iviltà delle Macchine è stata una rivista aziendale di Finmeccanica, prima, e del Gruppo IRI poi. Stampata da gennaio 1953 (anno I, numero 1) a luglio 1979 (anno XXVII, numero 4 - 5). “Civiltà delle Macchine” veniva distribuita con periodicità bimestrale tramite abbonamenti omaggio ai soci e ai clienti delle aziende del gruppo. La rivista della Finmeccanica fu ideata da Sinisgalli e nasceva dal suo grande amore per i meccanismi, per i congegni per le macchine. L’obiettivo era di avvicinare poeti, artisti e letterati alle macchine, al mondo della fabbrica e farli riflettere sui loro ritmi e sui loro bisogni. La macchina viene vista come cerniera e simbolo di civiltà. Civiltà delle Macchine si ispirava alla rivista Pirelli che era nata nel 1948 con l’intento principale di unire la cultura tecnico-scientifica e la cultura più largamente intesa. Temi relativi alla produzione, alla scienza, alla tecnologia erano trattati con un linguaggio semplice e comprensibile a tutti uniti ad argomenti di interesse generale. Redatta da personalità del mondo industriale ma anche da persone estranee, la rivista si ispirava ai rotocalchi ed era ri- Vito, Carlo Bo, Giorgio Caproni, Libero De Libero, Carlo Emilio Gadda, Alfonso Gatto, Alberto Moravia, Giuseppe Prezzolini, Michele Prisco, Salvatore Quasimodo, Sergio Solmi. Grande importanza viene data alla veste editoriale e alla copertina che è sempre a colori. Nella pagina accanto: copertina interna del numero 6 del 1953: “IL CAMPIONE (statistico)”, Manzi Sopra: Opera di Riccardo Manzi apparsa sul numero 2 del marzo 1953 di Civiltà delle Macchine volta al grande pubblico, uscendo tra il 1948 e il 1972 a cadenza prevalentemente bimestrale. Anche Pirelli fu diretta Leonardo Sinisgalli. La testata si avvaleva di collaboratori prestigiosi e famosi del calibro di Arnaldo Maria Angelini, Francesco Santoro-Passarelli, Giuseppe Ungaretti, Francesco Maria Nato a Montemurro, in provincia di Potenza, nel 1908 Sinisgalli studia ingegneria, ma poi, emigrato a Milano negli anni ’30, si occupa di poesia e design, e soprattutto progetta riviste con l’intento di gettare un ponte tra la cultura umanistica e quella scientifica. Sinisgalli ha la fortuna di cogliere il momento giusto, quello cioè in cui alcuni dirigenti industriali si fanno carico dell’aspetto culturale e pubblicano riviste di grande spessore con l’aiuto e la collaborazione di firme illustri. Così scriveva Sinisgalli in un articolo apparso nella rivista Pirelli del giugno 1951: “La Scienza e la Tecnica ci offrono ogni giorno nuovi ideogrammi, nuovi simboli, ai quali non possiamo rimanere estranei o indifferenti, senza il rischio di mummificazione o di una fossilizzazione totale della nostra coscienza e della 62 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Da sinistra: linoleum di Pablo Picasso, copertina del numero 6 del 1962; Numero 1 di gennaio-febbraio 1961: copertina originale di Gino Severini nostra vita. L’uomo nuovo che è nato dalle equazioni di Einstein e dalle ricerche di Kandinskij è forse una specie di insetto che ha rinunciato a molti postulati: è un insetto che sembra incredibilmente sprovvisto di istinto di conservazione. […] “L’Arte deve conservare il controllo della verità, e la verità dei nostri tempi è una verità di natura sfuggevole, probabile più che certa, una verità “al limite”, che sconfina nelle ragioni ultime, dove il calcolo serve fino ad un certo punto e soccorre una illuminazione; una folgorazione improvvisa. Scienza e poesia non possono camminare su strade divergenti”. Civiltà delle macchine diviene subito una testata molto apprezzata dal pubblico del tempo, italiano e no. Tra i vari fattori che hanno contribuito e determinato la fondazione del bimestrale il più importante è legato sicuramente a Giuseppe Eugenio Luraghi (1905 – 1991) che, chiamato nel ’52 a dirigere Finmeccanica, affida a Sinisgalli la direzione della rivista. Il direttore, in questa sua impresa editoriale, si giova sia della sua esperienza al servizio della grande industria sia della sua frequentazione con pittori e poeti, per “spiegare le macchine” agli uomini di scienza e agli uomini di lettere; ai primi offre la letteratura, e i secondi li manda a frequentare le fabbriche. Il periodico nasce con l’obiettivo di analizzare e raccontare la civiltà tecnologica, cercando di far dialogare l’universo umanistico con quello scientifico. Non a caso il progetto individua il suo nume tutelare in Leonardo da Vinci, a cui la rivista dedica la copertina del primo numero (che reca una riproduzione del manoscritto sul volo degli uccelli) e una serie di articoli finalizzati ad illustrare sia gli interessi meccanici, idraulici, architettonici che quelli letterari del genio. L’idea di mettere in contatto industria, architettura, pittura, scienza e letteratura si attua attraver- luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano so una serie di iniziative presentando a un pubblico di non addetti ai lavori figure di rilievo nel panorama degli studi matematici e fisici o accostando articoli d’argomento artistico letterario a saggi di natura puramente scientifica, affidandoli a specialisti, ma con un taglio divulgativo. Un ruolo determinante hanno i poeti e gli artisti cui viene chiesto di schierarsi pro o contro le macchine come con le Lettere di Ungaretti, Gadda, Moravia, Ferrata, Tofanelli, che aprono i primi numeri della rivista, o di visitare le fabbriche per poi raccontarne le impressioni attraverso una serie di cronache. Civiltà delle Macchine divenne una rivista sempre più ambiziosa che mirava alla coesistenza tra due mondi. Nel primo numero (1953), Sinisglalli pubblica una lettera di Giuseppe Ungaretti. Che un poeta, premio Nobel per la letteratura, scriva alla rivista aziendale della Finmeccanica, è il segno chiaro che due culture: quella scientifica e quella umanistica si stiano fondendo in un’unica identità. Così parte la grande avventura di “Civiltà delle Macchine” che dopo il primo anno di pubblicazione, diviene un punto di riferimento per la comunità culturale internazionale nel suo essere un punto di unione tra fisica e poesia, matematica e scultura, meccanica e pittura, architettura e scienze umane. Sinisgalli firma la direzione dei primi diciannove numeri della rivista: dal numero 1 del gennaio 1953 al numero 2 del marzo-aprile 1958. Dal numero 3 di giugno – luglio 1958 la direzione passa sotto la guida di Francesco D’Arcais. Mentre la fase sotto la direzione di Sinisgalli è caratterizzata dalla ricerca di convergenze comuni, la seconda segue una vocazione più descrittivo-didascalica. Sotto la guida di D’Arcais la testata acquisisce una fisionomia meno divulgativa, predilige un taglio settoriale, con interventi radunati per temi o raggruppati in numeri monografici, dedicati a precisi eventi storici, a ricorrenze storiche, ad avvenimenti di attualità, come ad esempio i numeri monografici dedicati al centenario dell’Unità (nell’ottobre del 1961), al settecentenario della nascita di Dante Alighieri (settembre/ottobre 1965), il cinquecentenario della nascita di Niccolò Copernico (gennaio/aprile 1973). Dopo ventisette anni di attività nel 1979, con il numero 4 – 6 luglio dicembre, la rivista chiude. L’ultima uscita apre con Commiato di Fran- 63 cesco D’Arcais, Una rivista muore: «Scrivevo nel fascicolo del Venticinquesimo, nascondendo sotto la forma di un aforisma forse inconsci presagi di eventi non lontani, che «una rivista nasce e, un giorno o l’altro, muore». Quel giorno è venuto. “Civiltà delle Macchine” finisce come “rivista di cultura contemporanea”, un sottotitolo sostanzialmente legato e riferito alla testata durante il lungo periodo della mia gestione, e termina di conseguenza con questo numero la mia direzione. Concludiamo dunque insieme, questa rivista ed io, la lunga stagione di iniziativa e ricerca culturale – senza alcun altro interesse che non fosse quello del dibattere e del conoscere – durata ventidue anni , quanti ne conta , si può dire una generazione umana; e concludiamo il nostro grande ciclo offrendo ai lettori la “riflessione ultima”, anche sotto l’aspetto speculativo e culturale: ed è del resto , una coincidenza felice». “Cornigliano ottobre 1953” di Gentilini, Civiltà delle Macchine numero 6 del 1953 64 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 L’impegno di Med 6.000 spot gr luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano iaset per il sociale atuiti all’anno 6.000 i passaggi tv che Mediaset, in collaborazione con Publitalia’80, dedica ogni anno a campagne di carattere sociale. Gli spot sono assegnati gratuitamente ad associazioni ed enti no profit che necessitano di visibilità per le proprie attività. 250 i soggetti interessati nel 2008 da questa iniziativa. Inoltre la Direzione Creativa Mediaset produce ogni anno, utilizzando le proprie risorse, campagne per sensibilizzare l'opinione pubblica su temi di carattere civile e sociale. 3 società - RTI SpA, Mondadori SpA e Medusa SpA costituite nella Onlus Mediafriends per svolgere attività di ideazione, realizzazione e promozione di eventi per la raccolta fondi da destinare a progetti di interesse collettivo. 65 66 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 67 BvS: un editore del Novecento Scheiwiller, due generazioni di editori a Milano Giovanni e Vanni e i loro taschinabili all’Insegna del Pesce d’Oro PAOLA MARIA FARINA A ventisette esemplari su carta Japon numerati da I a XXVII per gli Amici del libro), fu a spese dello stesso editore.3 Costui, di fronte al successo e all’apprezzamento verso la nuova collana, decise ben presto di vararne altre, come “Serie Illustrata”, “Serie a colori”, “All’Insegna della baita van Gogh” e “Occhio magico”, destinate a raccogliere e testimoniare le esperienze più significative dell’arte e della letteratura di quegli anni. rte e Letteratura. Oriente e Occidente. Sono queste le passioni che hanno accomunato Giovanni e Vanni Scheiwiller, padre e figlio milanesi di origini svizzere, e che hanno trovato espressione nella loro lunga e proficua esperienza editoriale “All’Insegna del Pesce d’Oro”. Il nutrito fondo Scheiwiller che la BvS conserva permette di analizzare e valutare l’attività di questi importanti editori nell’arco del secolo scorso. Nato nel 1889 nel capoluogo lombardo, Giovanni fu per molti anni direttore della Libreria Hoepli, per la quale nel 1925 inaugurò la collana “Arte Moderna Italiana”, comprendente testi in 16mo dedicati ad artisti contemporanei del panorama nazionale, e alla quale, dopo pochi anni, e precisamente nel 1931, affiancò la collana “Arte Moderna Straniera”, dimostrando quella peculiare volontà di guardare oltre i confini italiani e quel cosmopolitismo intellettuale che il figlio Vanni avrebbe pienamente ereditato.1 La collana “All’Insegna del Pesce d’Oro”, il cui nome deriva da quello di una trattoria toscana di via Pattari a Milano nella quale i due Nella pagina accanto: copertina di un’edizione Scheiwiller: Filippo Tommaso Marinetti, Bombe bambini bambine Santi e Madonne, Milano, Scheiwiller - Strenna per gli Amici, 1976. Sopra: Aligiu Sassu, Passio Christi. Bassorilievi di Manzù, Milano, 1945 editori erano soliti incontrare artisti e uomini di cultura,2 venne fondata nel 1936 e il volume d’esordio fu 18 poesie di Leonardo Sinisgalli, poetaingegnere lucano, che inaugurò con i suoi versi la prima “Serie Letteraria” curata da Scheiwiller. La stampa, in duecento esemplari numerati su carta uso mano (e Vanni subentrò al padre alla guida dell’ormai ben avviata impresa editoriale nel 1951, pubblicando in quarantotto anni di attività (dal 1951 al 1999)4 oltre tremila titoli suddivisi in quarantaquattro collane. Tra le più rinomate “Acquario”, “Carteggi di artisti”, “Lunario”, “La coda di paglia”, “Collana critica”, “Nuova Serie Illustrata”, “Narratori”, “Prosatori”, “Poeti”, “Poeti stranieri tradotti da Poeti Italiani”, “Pagine di Letterature Straniere Antiche e Moderne”, “La Primula Rossa”, “Il Quadrato” e gli annuali volumi fuori commercio delle “Strenne per gli Amici di Paola e Paolo Franci”. Proprio la sovrabbondanza di collane varate da Vanni fu uno dei motivi di maggiore critica nei suoi 68 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Da sinistra: Acquaforte originale numerata e firmata di Franco Fortini allegata alle prime cento copie di Franco Fortini, Versi primi e distanti. 1937-1957, Milano, 1987 (Acquario, 167). Uccello Rut, acquaforte originale di Fabrizio Clerici su carta Japon, per la cartella di Marco Polo, Dell’isola di Madegascar, Milano, 1955 (Serie Incisioni Originali) confronti, tanto che in più occasioni i librai lo rimproverarono appunto di avere nei suoi cataloghi più collane che libri.5 Alcune sono le caratteristiche più notevoli, e per molti aspetti inedite, delle pubblicazioni Scheiwiller. Anzitutto, la predilezione per i formati piccoli e piccolissimi (anche in 32mo), quelli che lo stesso Vanni ribattezzò taschinabili6 e che si conquistarono anche il nome di libri-farfalla; si tratta, infatti, di libricini non solo da tasca, ma addirittura da taschino, che nelle loro paginette accolgo- no famosi poeti e artisti italiani e stranieri. Innumerevoli i nomi che hanno trovato spazio in queste edizioni e la scelta di essi era legata, oltre che alla sensibilità e al gusto personali, a un preciso impegno dell’editore, ovvero lo sforzo di affiancare i grandi nomi della letteratura italiana moderna e contemporanea (tra i prediletti: Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Clemente Rebora, Franco Fortini, Giacomo Noventa, Libero de Libero, Aldo Palazzeschi, Vittorio Sereni, Elio Vittorini, Camillo Sbarbaro, Dino Campana, Giovanni Raboni, Alda Merini, Nanni Bale- strini, Felice Chilanti) a quelli di illustri autori stranieri di fama internazionale (come Ezra Pound,7 Costantino Kavafis, Ghiannis Ritsos, Seamus Heaney, Murilo Mendes, James Joyce, Paul Valéry, T. S. Eliot, Guillaume Apollinaire). L’obiettivo era quello di raccordare la cultura italiana alle altre culture, istituendo percorsi e rimandi in un orizzonte che spaziava dalla produzione dialettale a quella europea ed extraeuropea. L’asse geografico lungo il quale si mosse Vanni comprendeva sia luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano l’Occidente sia l’Oriente, percorsi e indagati seguendo una volontà di riscoperta delle tradizioni e delle culture meno conosciute o addirittura marginali; emblematici, a questo riguardo, alcuni titoli della collana “Oltremare”, fondata nel 1951, come Proverbi cinesi (1956), Proverbi dei negri dell’Africa (1956), Cinquanta bantu indonesiani (1956), Strofe del Vietnam (1956) e Proverbi kurdi (1963), tutti raccolti da Giacomo Prampolini, e ancora Antiche liriche giapponesi (1956), Poesie degli Indios Piaroa (1957) e Incantesimi e scongiuri degli antichi Egiziani (1958). All’asse Est – Ovest occorre aggiungere, e incrociare, un secondo asse, quello Arte – Letteratura. L’amore per l’arte, innanzitutto, si tradusse in innumerevoli edizioni dedicate agli artisti maggiormente rinomati, da Amedeo Modigliani a Bru- no Munari, da Giorgio De Chirico ad Adolfo Wildt, da Mario Sironi a Filippo De Pisis, da Fabrizio Clerici a Carlo Carrà, passando per il francese Henri Matisse, il giapponese Kengiro Azuma, lo spagnolo Pablo Picasso, la polacca Alina Kalczyńska (moglie dello stesso Vanni). Un panorama ampio e variegato, che spaziava lungo amplissime coordinate geografiche e artistiche per superare i confini del nostro Paese e far respirare all’Italia e agli italiani un po’ di cultura internazionale,8 senza per questo trascurare un sacrosanto culto delle radici. In generale, le raccolte poetiche del catalogo Scheiwiller si presentano come brevi sillogi contenenti al massimo poche decine di componimenti, i quali si propongo- 69 no come selezione rappresentativa della produzione di un autore. L’arte e la letteratura non rimasero certo interessi tra loro separati, ma si declinarono anche in una ricerca attenta e tutt’altro che occasionale in merito al rapporto tra immagine e testo, tra pittura, scultura e parola: da qui, numerose edizioni di testi in prosa e poesia accompagnate da pregevoli illustrazioni e, talvolta, anche da incisioni originali numerate e firmate da artisti di grande fama (come le sei acqueforti di Giuseppe Viviani con la presentazione di Libero de Libero, la raccolta poetica di Franco Fortini accompagnata da un’incisione dello stesso autore, le acqueforti su carta Japon di Fabrizio Clerici per Dell’Isola di Madegascar di Marco Polo e l’incisione di Mirando Haz che illustra la raccolta Un Albero di Natale, tutte opere conservate in BvS). Da sinistra: La prima opera edita “All’Insegna del Pesce d’Oro”: Leonardo Sinisgalli, 18 poesie, Milano, 1936. Una delle strenne per gli Amici di Paola e Paolo Franci, con applicata alla copertina una pietra serigrafata di Ghiannis Ritsos: Ghiannis Ritsos, 12 poesie per Kavafis. Tradotte da Nicola Crocetti, Milano, Scheiwiller - Strenna per gli Amici, 1977. La copertina di uno dei volumetti Scheiwiller della collana “Acquario”: Franco Fortini, Versi primi e distanti. 1937-1957, Milano, 1987 (Acquario, 167) 70 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 bizzarra, ma sempre estremamente piacevole e curiosa a vedersi. Inoltre, furono date alle stampe serie di titoli di artisti presentati da letterati e di poeti illustrati da artisti, come per esempio Sarfatti – Funi, Soffici – Carrà, Solmi – De Pisis, Sinisgalli – Degas, testi che contribuirono significativamente a infittire le maglie di una rete espressiva e artistica multiforme. Artisti e scrittori non s’incontravano solo sulla carta, ma come ricordato in una testimonianza in memoria di Vanni, grazie all’editore si creavano preziose occasioni di conoscenza diretta tra gli stessi protagonisti della cultura di quegli anni: «Scheiwiller era anche questo, un motore di aggregazione di letterati e artisti, di cui appunto le edizioni all’Insegna del Pesce d’Oro erano la superficie pubblica».9 A proposito della contaminazione tra espressione artistica e letteraria, meritano una menzione particolare le pubblicazioni che Vanni Scheiwiller dedicò ai futuristi e alla neoavanguardia, correnti che ben esprimevano in forme nuove e spesso piuttosto ardite quella connessione tra disegno e parola che l’editore tanto amava; ne derivarono volumetti che riuscivano a coniugare versi, forme e colori in maniera a volte La scelta, infine, di affidare la stampa dei volumi “All’Insegna del Pesce d’Oro” ad alcuni tra i maggiori tipografi italiani (Mardersteig, Lucini, Campi, Riva, Maestri) dimostra quanto l’attenzione e la cura dell’editore fossero rivolte anche all’aspetto artigianale del libro in quanto oggetto, in relazione alla volontà di presentare un prodotto editoriale di qualità e fattura apprezzabili. Giovanni e Vanni Scheiwiller sono stati editori estremamente raffinati e colti, con una notevole dose di coraggio, capacità di sperimentazione e lungimirante intuizione, pregi che hanno reso l’esperienza editoriale scheiwilleriana un caso di significativa importanza nel panorama milanese novecentesco. NOTE 1 PIETRO GIBELLINI, Il Pesce d’Oro in dialetto, in Per Vanni Scheiwiller, a cura di Alina ´ Kalczynska, Milano, Libri Scheiwiller, 2000 (edizione fuori commercio), p. 148. 2 JOLE DE SANNA, Vanni Scheiwiller: Fausto Melotti, in Per Vanni Scheiwiller, pp. 98-99. 3 SILVIA BIGNAMI - ROBERTA CESANA - DAVIDE COLOMBO, I due Scheiwiller. Editoria e cultura nella Milano del Novecento, a cura di Alberto Cadioli – Andrea Kerbaker – Antonello Negri, Milano, Università degli Studi di Milano - SKIRA, 2009 (Le vetrine del sapere, 8), p. 70. 4 Nel 1977, per superare una stagione di difficoltà economiche, Vanni Scheiwiller fondò la Libri Scheiwiller, destinata alle pubblicazioni per banche e aziende. 5 S. BIGNAMI - R. CESANA - D. COLOMBO, I due Scheiwiller. Editoria e cultura nella Milano del Novecento, p. 92. 6 DOMENICO ASTENGO, “Lei è Vanni Schei- willer?”, in Per Vanni Scheiwiller, p. 26. 7 La famiglia Scheiwiller fu, tra l’altro, legata a Ezra Pound da un duraturo e affettuoso rapporto d’amicizia, oltre che professionale. 8 GIUSEPPE GUGLIELMI – SERGIO ROMANO, Arcana Scheiwiller. Gli archivi di un editore, a cura di Linda Ferri e Gianfranco Tortorelli, Milano, Libri Scheiwiller, 1986, p. 21. 9 ALESSANDRO SPINA, Nell’Ordine degli Imperdonabili, in Per Vanni Scheiwiller, p. 286. Disegno a penna e dedica autografa di Fabrizio Clerici all’amica Luisa, contenuti nella copia posseduta dalla Biblioteca di via Senato di Fabrizio Clerici, Capricci 1938-1948, Milano, 1957 (Serie Illustrata, 60) 72 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 BvS: una Storia editoriale I Salani, editori fiorentini con la passione per Dante Dal 1862 al 1966, l’epopea di una grande “casa” nota per i piccoli VALENTINA CONTI L a casa editrice Salani è conosciuta soprattutto per la pubblicazione della collana “La Biblioteca dei Miei Ragazzi”, edita tra il 1931 e il ’55, e per il recente successo della saga di Harry Potter. Il fondatore Adriano Salani (1834-1904) e i suoi successori, il figlio Ettore (1869-1937) e il nipote Mario (1894-1964), però, realizzarono molte altre opere degne di lode, ma meno note, molte delle quali conservate in BvS. I tre editori mantennero tutti una politica editoriale basata sul rispetto della morale “libri un po’ allegri sì, sporchi e cattivi mai”, ma ognuno indirizzò le proprie pubblicazioni verso un pubblico o un argomento specifico. Il “Rossino”, così veniva chiamato Adriano per il colore dei capelli, era un giovane di poca cultura, ma munito di grande tenacia e molta intraprendenza, doti che lo aiutarono a fondare la sua attività tipografica a Firenze nel 1862, dopo anni di apprendistato presso le botteghe di Luigi Niccolai, Felice Le Monnier, Ferdinando Mariani e Spiombi.1 In origine pubblicò prevalentemente fogli volanti e libretti economici realizzati per soddisfare le importanti: «Biblioteca Illustrata delle Opere Celebri», «Biblioteca Moderna», «Biblioteca Economica», «Biblioteca Salani Illustrata», «Romanzi di Carolina Invernizio», «Classici e Poesie», «Volumetti a 25 centesimi», «Biblioteca Scolastica», «Codici e Leggi», «Libretti di Versi e Novene», «Libri da Messa», «Libretti a 5 centesimi», «Librettini Illustrati di storie antiche moderne»), tutte vendute a prezzi ridotti. Chiostri riassume in una tavola il mondo delle favole: animali, fate e gnomi, compagni inseparabili, sono protagonisti dei sogni dei bambini esigenze del popolo minuto, ma tale destinazione dei suoi prodotti librari costò alla casa editrice lo scarso interesse degli studiosi che, come afferma Mario Infelise, tendono a essere vittime di una sorta di pregiudiziale colta, che penalizza la memoria delle letture più diffuse e popolari.2 L’editore organizzò la produzione in diverse collane (tra le più La particolarità di dedicarsi a un pubblico poco avvezzo alla lettura stimolò Salani a trovare espedienti per interessare i suoi clienti e tenerne desta l’attenzione. Per questo motivo la cura della veste tipografica e l’uso delle immagini caratterizzarono da sempre la produzione del fiorentino. L’apparato iconografico, oltre ad arricchire e rendere esteticamente più piacevole un libro, ne manifestava immediatamente il contenuto: anche chi non era in grado di leggere autonomamente il testo aveva la possibilità di seguire attraverso le immagini la storia narrata. Le illustrazioni di copertina avevano una funzione diversa, d’impatto, finalizzata ad attirare l’atten- luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 73 Carolina Invernizio, I sette capelli d’oro della fata Gusmara, Firenze, Salani, 1909. La fata introduce un pubblico di bambini del primo novecento alla magia del cinematografo. La realtà moderna convive con la fantasia zione dei possibili acquirenti esplicitando anche il contenuto dell’opera. Con il passare degli anni la ripetizione di elementi iconografici aiutava i lettori a scegliere i testi, creando anche un legame con il pubblico che si fidelizzava alla casa editrice. Tra gli artisti che lavorarono con Salani è da ricordare Carlo Chiostri (1863-1939), uno dei massimi illustratori vissuti in Italia tra Otto e Novecento, che si dedicò alle illustrazioni di libri per bambini, in particolare quelli di argomento fiabesco dove la creazione grafica poteva sbizzarrirsi maggiormente. La casa editrice rivolse sempre un’attenzione speciale ai lettori più giovani realizzando molte collane di racconti per l’infanzia, tra le quali «Libri pei ragazzi» della Biblioteca Salani Illustrata e i «Racconti delle Fate», tutte arricchite dai disegni di Chiostri. L’artista si occupò anche delle vignette per i dodici volumi del ciclo di «Marchino: l’Asinello Volante» (1914-1924) di Tommaso Catani [Marchino: Avventure d’un asino, Firenze, Salani, 1914] realizzando illustrazioni grandi e piccole, in bianco e nero o a colori, creando una piccola enciclopedia naturalistica con un’atmosfera sospesa tra il realismo magico e la divulgazione scientifica.3 Questa ambivalenza è particolarmente esplicita nel disegno “Il cinematografo delle fate” proposto nel racconto di Carolina Invernizio, I sette capelli d’oro della fata Gusmara (1909), dove Chiostri riuscì a unire il tema fantastico con elementi reali illustrando una fata che spiega a dei bambini un cartone animato proiettato al cinema. Un’autentica novità, poiché la prima proiezione di disegni animanti avvenne in Francia nel 1908 e il cinema, inventato nel 1895 dai fratelli Lumièr, era protagonista della scena culturale dell’epoca. Adriano Salani raggiunse il suo traguardo di massimo successo nel 1886 con la pubblicazione della Di- vina Commedia voltata in prosa con testo a fronte, curata da Mario Foresi con illustrazioni di Enrico Mazzanti. Quest’opera promosse definitivamente il Rossino dal rango di mero tipografo a editore, ma non rappresentò un cambiamento di politica editoriale, bensì un’evoluzione. Salani e Foresi, realizzarono per la prima volta una versione in prosa e senza note dell’opera di Dante affinché la conoscenza di uno dei capolavori cardine della nostra tradizione fosse accessibile anche ai lettori meno preparati culturalmente attraverso una lettura “facile, dilet- 74 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 Francesco Petrarca, Le Rime di Francesco Petrarca voltate in prosa col testo a fronte da Mario Foresi, Salani, Firenze, 1904, pag. 452, 453. È manifesto il cambiamento grafico tra gli originali in poesia e i corrispondenti componimenti in prosa tevole e corrente”, come la definì egli stesso nella prefazione. L’edizione riscosse l’ammirazione di molti intellettuali, tra cui Giambattista Giuliano che la reputò una “pubblicazione di somma importanza, la sola adatta per eccellenza a propagare la lettura del divino poema […]. Noi salutiamo come un avvenimento letterario questa versione: a lei molti stranieri e moltissimi italiani dovranno la completa lettura del nostro poema nazionale, e alla perfetta conoscenza di esso, un più largo e sereno orizzonte del loro intelletto”. Il 7 ottobre 1886 il ministro della Pubblica istruzione Coppino inviò una lettera a Salani encomiando “il nobile scopo che questa parafrasi della Divina Commedia avrebbe conseguito” e scrivendo che “il Re, il quale mostrava testè l’alto conto in cui tiene gli studi danteschi, accolse con benevolenza la bella pubblicazione fatta da S. V. nell’intendimento di diffondere la conoscenza del divino poema”.4 Il successo di vendite della Commedia in prosa fu tale che nel 1899 Salani giunse a pubblicarne una terza edizione riveduta e corretta, divisa in tre volumi in sedicesimo in sostituzione dell’unico tomo in ottavo, meno maneggevole, della prima edizione. Nel 1904 Adriano, affiancato dal figlio Ettore, propose un’edizione voltata in prosa anche delle Rime del Petrarca curata da Mario Foresi “per i giovani, per i forestieri, per i non letterati in generale, nonostante la sentenza del Settembrini che il Petrarca si sente non si commenta, la lettura di questo sommo poeta può risultare ardua”. Foresi giustificò l’assenza delle note spiegando che “il lettore novellino non ha perseveranza” di studiare i commenti che accompagnano il testo e che meglio gli si addice “una lettura senza sforzo, più dilettevole” al fine di ottenere una “più profonda impressione dell’opera”.5 Alla morte di Adriano, avvenuta nel 1904, la direzione fu affidata al figlio Ettore, che trasformò l’impresa artigianale del padre in una industriale. Egli abbandonò l’idea di rivolgersi esclusivamente al popolo minuto, creando diverse collane corrispondenti alle differenti età dei lettori e perseguendo lo scopo di pubblicare “libri buoni a buon prezzo” per un pubblico più ampio. Desideroso di emulare il successo ottenuto dal padre con l’edizione della Divina Commedia del 1886, studiò un’edizione dell’opera dantesca per celebrare il seicentenario dell’autore. Nel 1921 con la collaborazione di Enrico Bianchi, docente presso l’università di Firenze, pubblicò la Divina Commedia come primo numero dell’“Edizione Florentia”, una collana di classici ispirata alla collezione francese “Edition Lutetia” proposta da Nelson Editeurs. Questa edizione valse al Salani molti elogi e il filologo Ermenegildo Pistelli, maestro nelle scuole dei padri Scolopi, scrisse un articolo intitolato Il Salani e Dante pubblicato sul «Marzocco» del 13 luglio 1925, nel quale giudicò la pubblicazione “degna del migliore stampatore ed editore” aggiungendo che “nel centenario dantesco non era uscito un Dante che valesse quello del Salani, con una legatura di schietta eleganza, tipi bellissimi e netti, formato maneggevole, carta buona, corre- luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano 75 Da sinistra: Dalì illustra con il suo inconfondibile stile pittorico caratterizzato da forme molli il morso di Gianni Schicchi raccontato nel XXX dell’Inferno della Divina Commedia. Eloquente disegno di Dalì raffigurante un uomo condannato in Purgatorio che guarda dentro si se’, aprendo dei cassetti nel suo corpo, per trovare e cancellare i suoi peccati. “l’uman spirito si purga e di salire al ciel diventa degno” (Purg. I) zione tipografica perfetta, commento sobrio, chiara, alla portata di tutti ad un prezzo veramente irrisorio”, di 5,75 lire. Con Ettore la casa editrice attraversò il suo periodo di massimo splendore, durante il quale furono varate più di 22 nuove collane, dedicate soprattutto ai ragazzi, e la produzione dei libri divenne totalmente interna in seguito a ingenti investimenti nell’acquisto di strumenti di lavoro all’avanguardia che garantirono la produzione di opere di qualità a prezzi ridotti; ma la stabilità economica non durò a lungo poiché la politica fascista e i conflitti mondiali influirono negativamente sul mercato editoriale italiano e portarono anche la Salani a un’inevitabile crisi. Fu per merito di Mario, suo figlio, se la casa editrice riuscì a superare il periodo di difficoltà, interrompendo le pubblicazioni solo nel 1944. Si concentrò sulle collane per ragazzi e ampliò la produzione delle opere religiose, rendendole il fiore all’occhiello del proprio catalogo. Le conseguenze degli scontri bellici, e le calamità che si riversarono su Firenze in quegli anni, non resero possibile la sopravvivenza autonoma della Salani, che nel 1960 divenne una S.p.a. Parte del pacchetto azionario fu acquistata da Mirko Skofic, marito dell’attrice Gina Lollobrigida e già proprietario della piccola casa editrice romana Arti e Scienza. Questa collaborazione permise di pubblicare opere di pregio come l’edizione della Divina Commedia del 1963 illustrata da Dalì. L’esemplare conservato presso la Biblioteca di via Senato è composto da 9 volumi, ciascuno in propria custodia, e impressi nel torchio a mano dell’Officina di Verona su carta a tino del Giappone Kaji Torinoko: 2 volumi per cantica, 1 con 100 tavole a colori, 1 con le progressive dei colori di una tavola e 1 con 100 tavole in nero riprodotte in calcografia. Furono necessari 5 anni di lavoro per incidere i 3500 legni delle illustrazioni permeate del periodo mistico e metafisico di Dalì. Nonostante l’importanza delle sue ultime edizioni la Salani s.p.a. alla fine degli anni ’60 era quasi sull’orlo del fallimento quando fu rilevata dal gruppo Longanesi di Milano che la rilanciò sul mercato, permettendole di restare una delle case editrici italiane più importanti. 1 Adriano Salani tipografo editore fiorentino, Firenze, Salani, 1910. 2 Libri per tutti: generi editoriali di larga circolazione, tra antico regime ed età contemporanea, a cura di Mario Infelise, Lodovica Braida, Torino, Utet libreria, 2010. 3 Fernando Tempesti, Paola Pallottino, Tra fate e nani. Il mondo incantato di Carlo Chio- stri, Firenze, Salani, 1988. 4 Dante Alighieri, La Divina Commedia voltata in prosa col testo a fronte da Mario Foresi, Firenze, Salani, 1899. 5 Francesco Petrarca, Le Rime di Francesco Petrarca voltate in prosa col testo a fronte da Mario Foresi, Firenze, Salani, 1904. 76 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 BvS: nuove schede Recenti acquisizioni della Biblioteca di via Senato Ex libris, prime edizioni, esemplari rari e “numeri” speciali Arianna Calò, Valentina Conti, Giacomo Corvaglia, Margherita Dell’Utri, Paola Maria Farina, Annette Popel Pozzo e Beatrice Porchera Jardère, H. Ex-libris ana. Notices historiques et critiques sur les Ex-libris français. Depuis leur apparition jusq’à l’année 1895 par H. Jardère suivies de la table des noms cités, et d’un index bibliographique des ouvrages et articles de revues, journaux français et étrangers se rapportant aux ex-libris. Ouvrage orné de 32 planches gravées. Parigi, L. Joly, 1895. Esemplare n. 36 di un’edizione a tiratura limitata di 400 esemplari che raccoglie 12 numeri del periodico “Ex libris ana” (dal n. 1-2 di ottobre-novembre 1893 al n. 12 del settembre 1894) accompagnati da 32 tavole incise rappresentanti ex libris di letterati e nobili francesi. Copia appartenuta a Pascal Greppe (notaio e bibliofilo), il quale inserì più tavole dei propri ex libris tra quelle dell’edizione. Legato con: Ex libris imaginaires et supposés de personnages célèbres anciens et modernes. Tiré à petit nombre. Parigi, L. Joly, 1895. Album che contiene 34 tavole recanti le incisioni di ex libris imma- ginari e fantasiosi di personaggi famosi, tra i quali figurano Napoleone, Marat, Hugo, La Fontaine, Dumas e Baudelaire. (P.M.F.) Leopardi, Giacomo (17981837); Verlaine, Paul (1844-1896); Shelley, Percy Bysshe (1792-1822); Goethe, John Wolfgang von (17491832). Dimmi, o luna. Quattro grafiche dedicate a quattro canti alla luna. Belluno, Proposte d’Arte Colophon, 1993. Esemplare n. 7 dell’edizione a tiratura limitata a 113 copie della collana “Poien”. Contiene quattro poesie tradotte in italiano dedicate alla luna: Luna Calante di Percy Bysshe Shelley, Chiaro di luna di Paul Verlaine, Alla luna di John Wolfgang von Goethe, Alla luna di Giacomo Leopardi e 6 illustrazioni di pregio, 2 sulla copertina e 4 nel testo, realizzate dall’artista Carlo Mattioli con tecnica mista su carta appositamente realizzata a mano. (V.C.) Marinetti, Filippo Tommaso (1876-1944). Il poema di Torre Viscosa & Poema Chimico della Luce Tessuta. Latina, Novecento, 2011. Ristampa anastatica con prefazione critica di Carmelo Calò Carducci. Finito di stampare a chiusura della mostra “città di fondazione italiane 1928 - 1942”, allestita presso il Cid di Torviscosa dal 23 ottobre 2010 al 31 gennaio 2011. Cento copie non venali numerate a mano. (G.C.) Marinetti, Filippo Tommaso (1876-1944); Trimarco, Alfredo (1900-1971); Scrivo, Luigi; Bellanova, Piero (1917-1987). L’arte tipografica di guerra e dopoguerra. Manifesto futurista [numero di: Graphicus. Rivista mensile di tecnica ed estetica grafica. Anno XXXII - n. 5 maggio 1942-XX]. Roma, Graphicus, 1942. Numero speciale della rivista Graphicus, interamente dedicato al Manifesto dell’arte tipografica, fondamentale testo teorico della tipografia futurista, in cui si pone all’ordine luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano del giorno la creazione di “nuovi caratteri aggancia sguardi”. Il fascicolo si apre con la tavola L’Autoblinda F. T., testo firmato da Trimarco e stampato in viola con la riproduzione della grafia di T. al recto. Segue L’arte tipografica di guerra e dopoguerra, con testo stampato in rosso su due colonne; in fine la ricostruzione tipografica di alcune pagine del romanzo esplosivo 8 anime in una bomba. Contiene 2 tavole impresse su cartoncino giallo e arancio con la riproduzione del volume Zang Tumb Tumb di Marinetti (prima tavola) e quattro pagine estratte dallo stesso volume (seconda tavola). In copertina composizione a due colori (verde/nero) di P. Saladin. (A.C.) Marmontel, Jean François (1723-1799). Bélisaire, par M. Marmontel de l’Académie françoise. Londra [i.e. Reims], [s.n.] [i.e. Cazin], 1780. Prima delle due edizioni stampate da Cazin nel 1780 di questa celebre opera del 1767. L’Autore, figura di spicco della Francia intellettuale prima della Rivoluzione, elabora nella seconda parte del testo le proprie teorie politiche, fino a spingersi, nel quindicesimo capitolo, in un aperto elogio della tolleranza religiosa. Criticata dalla Sorbona e censurata con atto ufficiale dall’arcivescovo di Parigi Christophe de Beaumont (peraltro incline a simili iniziative nei confronti dei “nuovi filosofi”), l’opera tuttavia circolò liberamente in Francia e all’estero, e fu apprezzata dalle corti assolutistiche: la stessa Caterina II dispose la traduzione in russo del contestato capitolo XV. Brissart-Binet, pp. 82-83. Cohen-De Ricci, 688-689. (A.C.) Menghi, Girolamo (15291609). Compendio dell’arte essorcistica, et possibilita delle mirabili & stupende operationi delli demoni, & de’ malefici; con li rimedi opportuni alle infirmità maleficiali. Bologna, Giovanni Rossi, 1576. Prima edizione, contenente lo stemma del dedicatario cardinale Giulio Feltrio Della Rovere sul frontespizio. L’opera vede 17 edizioni dal 1576 al 1617, con un’edizione anastatica della princeps, pubblicata nel 1987. “La natura apologetica del trattato […] è esplicitata fin dal Proemio, in cui il M. dichiara di voler combattere lo scetticismo che riscontrava non solo tra i dotti, ma anche ‘nella mente del vulgo’ (Proemio, cc. n.n.); anche di qui la necessità di scrivere in volgare. Nel Compendio si intrecciano strettamente teoria demonologica, arte esorcistica e caccia alle streghe; il M. fece largo uso di opere precedenti e in particolare del Malleus maleficarum del domenicano Heinrich Krämer (Institoris). La parte relativa all’esorcistica vera e propria, tranne alcuni accenni isolati, occupa soltanto il terzo libro; anch’essa peraltro è in parte debitrice del Malleus e si limita ai presupposti teorici dell’esorcistica, con scarse indicazioni pratiche. I pochi brani originali sono quelli in cui il M. fa ricorso alla propria esperienza personale e alla testimonianza di altri esorcisti da lui conosciuti e stimati, tra cui un sacerdote bolognese di nome Antonio Muccini, morto nel 1575” (http://www.treccani.it/enciclopedia/girolamomenghi_%28D izionario-Biografico%29/). (A.P.P.) Mercanti d’Italia: dagli archivi 77 storici dei fratelli Alinari. Milano e Firenze, BPM e Alinari 24 ore, 2010. Interessante volume che, attraverso le foto a colori e in bianco e nero degli archivi storici Alinari, racconta la storia dei più importanti e caratteristici mercati italiani: i luoghi, le persone, le merci. (G.C.) Petrarca, Francesco (13041374). Nel VI. centenario dalla nascita di Francesco Petrarca la rappresentanza provinciale di Padova. Padova, Tipografia del Seminario Vescovile, 1904. Edizione giubilare a tiratura limitata a 100 esemplari, stampata nell’occorrenza del VI centenario dalla nascita di Petrarca e dedicata dai promotori alla Città di Arezzo. Contiene la trascrizione di un’epistola di Petrarca all’amico Giovanni Dondi dell’Orologio, accompagnata da una riproduzione in facsimile della stessa e dalla traduzione in italiano, insieme alla recensione di alcuni codici petrarcheschi conservati presso la Biblioteca del Seminario di Padova. (A.C.) Ritsos, Ghiannis (1909-1990). 12 poesie per Kavafis. Tradotte da Nicola Cricetti. Milano, Strenna per gli amici (di Paolo Franci) - Vanni Scheiwiller, 1977. L’edizione, fuori commercio, è stata impressa dall’Officina d’Arte Grafica A. Lucini & C. in 300 esemplari numerati da 1 a 300; l’opera è a cura di Vanni Scheiwiller e la traduzione è stata eseguita da Nicola Crocetti sulla base della terza edizione delle 12 poesie per Kavafis, riveduta dall’Autore e pubblicata ad Atene, presso Kedros, nell’aprile 1974 (pri- 78 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 ma edizione 1963). Il volumetto presenta alcuni disegni di Ghiannis Ritsos, che, oltre a essere autore di più di 100 volumi di poesia, dipinge e disegna su pietre, ossi e radici di canne raccolti sulle spiagge. Al piatto anteriore della brossura è applicato un frammento di pietra con decorazione serigrafata. (P.M.F.) Sala, Antonio. Biografia di San Carlo Borromeo scritta dal professore Antonio Sala edita dal canonico Aristide Sala con corredo di dissertazioni e note illustrative. Milano, Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1858. Edizione a cura di Aristide Sala. All’antiporta ritratto litografico di san Carlo Borromeo in ovale, sotto al quale si trova la scritta “S. Carlo Borromeo cardinale arcivescovo di Milano da un dipinto a pastello di Giorgio Solerio, eseguito il gionrno [sic] del primo solenne ingresso di s. Carlo in Milano esistente presso l’illust.mo sig. conte Carlo Borromeo”. Contiene 8 tavole fuori testo, 7 delle quali raffiguranti diversi edifici, soprattutto milanesi, legati alla vita del santo. Al recto della carta che segue il frontespizio troviamo un’Avvertenza: “Danno compimento a questo lavoro i Documenti circa la vita e le gesta di s. Carlo Borromeo pubblicati dal canonico Aristide Sala, che si troveranno qui frequentemente citati, e dei quali sono venuti in luce i primi due volumi e si sta preparando il terzo ed ultimo”. (B.P.) Sala, Aristide. Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo pubblicati per cura del canonico Aristide Sala archivista della Curia Arcivescovile di Milano. [Segue] Fascicolo conclusionale dell’opera circa S. Carlo Borromeo pubblicata per cura del canonico Aristide Sala già archivista arcivescovile di Milano. 4 volumi in 3 tomi. Milano e Pinerolo, Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi e Giuseppe Chiantore, 1857-1862 [i.e. 1863]. Opera di notevole interesse storico-archivistico, redatta dal canonico Aristide Sala sotto impulso dell’arcivescovo mons. Bartolomeo Romilli. Il Fascicolo conclusionale, pubblicato a Pinerolo, costituisce fondamentale completamento di tutta la vasta ricerca, con appendice di documenti, precisazioni, rettifiche, risposte alle obiezioni avanzate da alcuni studiosi dopo la pubblicazione dei tre volumi dei Documenti e della Biografia di S. Carlo Borromeo, compilata dal padre di Aristide, Antonio Sala (Tip. Boniardi-Poliani, 1858). All’antiporta dei primi tre volumi rispettivi ritratti litografici di san Carlo Borromeo. Da segnalare quello che lo ritrae all’età di tredici anni, ricavato da un dipinto dell’epoca. Alcune delle tavole sono state colorate a mano. (B.P.) Sansovino, Francesco (15211583). Del secretario di M. Francesco Sansovino libri quattro. Ne quali con bell’ordine s’insegna altrui a scriver lettere messive & responsive in tutti i generi, come nella tavola contrascritta si comprende. Con gli essempi delle lettere formate & poste a lor luoghi in diverse materie con le parti segnate. Et con varie lettere di Principi a piu persone, scritte da diversi secretarij in piu occasioni, e in diversi tempi. Venezia, Francesco Rampazetto & Francesco Sansovino, 1564. Prima edizione sull’arte di scrivere lettere. L’Autore, figlio del grande architetto Jacopo Sansovino, fu poligrafo attivissimo, e autore di versi, di prose letterarie, storiche, retoriche, di traduzioni, editore e commentatore di classici. Oltre che prestare la propria opera nelle tipografie veneziane, ne aprì una propria. (A.P.P.) Tasso, Torquato (1544-1595). La Gierusalemme di Torquato Tasso con gli argomenti del Sig. Gio. Vincenzo Imperiale figurata da Bernardo Castello stampata per Giuseppe Pavoni in Genova 1604. Genova, Giuseppe Pavoni, 1604. Seconda edizione genovese dopo la princeps del 1590 a cura di Giovanni Vincenzo Imperiale (1571-1645). Contiene da †2r-†11v dedica di Bernardo Castello a don Angelo Grillo; componimenti di Angelo Grillo, Ansaldo Ceba, Gio. Andrea Ceva, Giulio Guastavini, Leonardo Spinola, Gio. Michele Zoagli, Paolo Vincenzo Ratto, Poro Fogetta, Io. Battista Pinelli, Gio. Battista Marini, Giovanni Magliani, Francesco Maria Vialardo, Scipion de’ Signori della Cella. Frontespizio allegorico inciso su rame contenente il ritratto di Tasso entro medaglione sorretto da due putti. 20 tavole a piena pagina incise su disegni di Bernardo Castello, per accompagnare ciascun canto. L’argomento dei canti entro cartiglio xilografico. (A.P.P.) Vivanti, Luca. Tisettanta: quarant’anni di design, quarant’anni di casa = forty years of design, forty years of home. Milano, Electa, 2011. Volume pubblicato nell’ambito degli eventi celebrativi del quarantesimo anniversario di Tisettanta, 1971-2011. Riccamente illustrato; con un’introduzione di Marco Vaudetti. (G.C.) la Biblioteca di via Senato Milano Questo “bollettino” mensile è distribuito gratuitamente presso la sede della Biblioteca in via Senato 14 a Milano. Chi volesse riceverlo al proprio domicilio, può farne richiesta rimborsando solamente le spese postali di 20 euro per l’invio dei 10 numeri MODALITÀ DI PAGAMENTO: Nome Cognome indirizzo a cui si intende ricevere la rivista Milano la Biblioteca di via Senato • Inviare la scheda di abbonamento sottostante, unitamente a un assegno bancario intestato a “Fondazione Biblioteca di via Senato” • Pagamento in contanti presso la nostra sede: Fondazione Biblioteca di via Senato, via Senato 14, Milano telefono mail firma consento che i miei dati personali siano trasmessi ad altre aziende di vostra fiducia per inviarmi vantaggiose offerte commerciali (Legge 675/96) Barri la casella se intende rinunciare a queste opportunità 80 la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011 La pagina dei lettori Bibliofilia a chiare lettere Il commiato da In tanta frivolezza attraverso i vostri commenti Ero passata dalla Biblioteca per visitare la mostra su Milano e l’Arcimboldo (davvero molto bella, complimenti) e una volta lì mi è tornato in mente di aver letto anche di questa. Rintracciarla è stato un po’ meno facile, ma ne è di certo valsa la pena. L’incontro con i grandi del Novecento, specie se così “intimo” da scorrerne la grafia, è sempre un’avventura emozionante. Meriterebbe certamente più visibilità, ma la tranquillità della visita, il silenzio e il tempo a disposizione, probabilmente ne risentirebbero. Francesca Ghisleri, Vigevano Tante belle pagine da studiare con calma. Peccato non averne il tempo! Complimenti. Roberto Negri, Modena Mostra eccezionale, straordinaria, da archivi che permettono di ricostruire e quasi rivivere momenti di arte e di vita, testimonianze di un’epoca che, purtroppo, ci portano a ingenerosi confronti con “questi” nostri tempi. Un grazie commosso! Renata Piva, Sondrio Penso spesso che la spasmodica ricerca del manoscritto, delle pagine chiosate o dell’esemplare con dedica, sia solo E giudico con più umana misericordia gli eventuali sfizi che mi sono concesso e mi concederò! G. Fabbri Soddisfattissima… come sempre!!! Giuseppina Cennarano Magnifica esposizione, di grande interesse storico-culturale, capace di far rivivere certe vibrazioni uniche, anche e forse soprattutto attraverso il contatto diretto con la “mano” dei grandi letterati protagonisti. Marco Rovelli, Varese Se volete scrivere: [email protected] Tutti i numeri sono scaricabili in formato pdf dal sito www.bibliotecadiviasenato.it un irrazionale vezzo di quasi tutti noi bibliomani, che dovremmo invece privilegiare l’edizione e la “fattura” di ogni singolo libro. Ma quando mi capita di imbattermi in carte così luminose e in “penne” così decisive, il fascino dei loro tratti mi conquista senza che nemmeno me ne accorga. Come se quei segni potessero raccontare qualcosa in più delle cose che “dicono”. Davvero una bellissima mostra, che dà al visitatore una conoscenza più intima dello scrittore, come se la sua grafia ne svelasse meglio l’anima. Camillo Pantaleone, Palermo Un luogo magico, interessante, prezioso, importante come la persona che mi ha accompagnato in questo piccolo viaggio. Forse anche per questo, una bellissima esperienza. Vladi Ceruti, Milano Bello tutto. L’eleganza della sala, l’immagine della carta e il piacevole effetto di quelle grafie così “vicine”. Rosanna Cosi, Ancona Carina! ALLEGRA E SPENSIERATA SEI CARINA