la bibbia di giacomo pandolfi
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la bibbia di giacomo pandolfi
Pesaro, 13 ottobre 2012 1° incontro “Prendi e Mangia” LA BIBBIA DI GIACOMO PANDOLFI Interviene: Grazia Calegari e don Mario Florio Commento musicale: Nunzio Randazzo, organo; Luigi Faggi, tromba Voce narrante: Lucia Ferrati A Pesaro esiste ancora, intatta, una chiesa che racchiude il programma di fede e di vita di una confraternita del ‘600, e lo consegna da quattro secoli alla sensibilità e all’intelligenza di chi è venuto dopo. Oggi tocca a noi, in una serata nella quale i messaggi che partono dalla chiesa del Nome di Dio saranno letti a più voci: dal prof. Mario Florio, docente di Teologia sacramentaria e preside dell’Istituto Teologico Marchigiano, dalla storica dell’arte prof.ssa Grazia Calegari, da Lucia Ferrati che leggerà due brani dall’Esodo e dagli Atti, da don Giorgio Giorgetti, anima e coordinatore dell’iniziativa. L’importante è ricollocarsi nei panni di questa confraternita, detta anche “della buona morte” perché aveva per principale compito quello di compiere funerali per i morti poveri o giustiziati, e che nel 1581 commissionava a Federico Barocci la tela per l’altare maggiore della chiesa appena costruita nell’attuale via Petrucci, denominata poi “volta del Nome di Dio e di San Filippo”. Era la Circoncisione, che i generali di Napoleone hanno requisito nel 1797 e che oggi si trova al Louvre (negli scantinati), sostituita da un una copia in formato più piccolo di Carlo Paolucci. Qualche anno dopo, nel 1617, i confratelli affidavano la copertura del soffitto al pittore Giovan Giacomo Pandolfi e allo scenografo Giovanni Cortese, attivo alla corte dei Della Rovere. Nel corso di due anni venivano eseguite le strutture lignee e gli apparati pittorici, incentrati nel grande ottagono centrale del Trionfo del Nome di Dio, dinanzi al quale si inginocchiano le Gerarchie spirituali (Papa, cardinali, vescovi) e temporali (re, imperatore, duchi Francesco Maria II col figlio Guidubaldo Della Rovere). Dalla porta d’ingresso all’altare il percorso è scandito dall’immagine iniziale dell’Inferno fino a quello finale della Resurrezione, mentre agli angoli i profeti Abacuc, Isaia, Davide e Salomone fanno corona al Trionfo del Nome di Dio. Dal 1634 al ‘36 veniva eseguita la copertura delle pareti con dieci grandi tele, alla maniera di diversi oratori veneziani come quelli dei Crociferi e di San Fantin. A partire dalle due Sibille raffigurate ai lati dell’organo, vengono commissionati dai confratelli le seguenti scene bibliche: Il passaggio del Mar Rosso e Il trionfo di Giuseppe ebreo (a sinistra), Davide uccide Golia e Il trasporto dell’arca (a destra). Gli autori questa volta sono: sempre Giovan Giacomo Pandolfi con la collaborazione di Nicola Sabbatini, già scenografo roveresco, tutti e due appartenenti alla confraternita. Gli episodi scelti dovevano rappresentare azioni vittoriose compiute nel Nome di Dio. Si passa poi dal Vecchio al Nuovo Testamento nelle quattro ultime tele col Miracolo di Pietro che guarisce lo storpio e di Paolo che libera l’ossessa, che precedono le scene conclusive dell’Annuncio a Maria e del Sogno di Giuseppe, ai lati dell’altare maggiore. Nella serata del 13 ottobre saranno brevemente analizzati i significati biblici e storico artistici delle immagini per trovare insieme una comprensione il più possibile attuale, alla quale contribuiranno in modo determinante le letture di Lucia Ferrati con un episodio del Primo Testamento (Il passaggio del mar Rosso Es. 15) e con uno degli Atti degli Apostoli (La guarigione dello storpio At. 3), e l’accompagnamento di Nunzio Randazzo all’organo e di Luigi Faggi alla tromba con musiche della scuola veneziana, romana e bolognese che ricreeranno il clima musicale contemporaneo ai dipinti di G. Giacomo Pandolfi. Si guarderà alla fine il soffitto, per essere trascinati dagli arcangeli e dalle infinite presenze angeliche risucchiate dalla grandissima luce dominata dal Trionfo del Nome di Dio, che ha le sembianze del piccolo Bambino Gesù. LA CHIESA DEL NOME DI DIO La Chiesa del Nome di Dio è l'unico esempio rimasto a Pesaro di edificio religioso concepito come unità architettonica e scenografica: nell'aula unica vennero prefissate e disposte nel giro di alcuni decenni tutte le strutture decorative, gli altari, le cornici, le sculture ed i fregi lignei dipinti in oro e nero, le tele ad olio di vario formato, ecc. Presenta inoltre un interno ancora pressoché originario, (mentre l'esterno, rimaneggiato e restaurato nel 1912, è stato ornato del portale in pietra d'Istria nel 1763 dall'architetto pesarese Gian Andrea Lazzarini), che documenta un preciso periodo di storia artistica ed esprime suggestivi contenuti attraverso la ricca decorazione che lo ricopre interamente. Fu fatta costruire, a partire dal 1577, dalla Compagnia del Nome di Dio, una delle più ricche tra le numerose confraternite laicali pesaresi, particolarmente fiorenti ed attive in opere pie nella zelante atmosfera religiosa controriformistica. Lo specifico compito di carità di questa confraternita era, tra gli altri, quello di provvedere ai funerali dei poveri: di qui il frequentissimo ricorso, sontuoso ed ossessivo insieme, a simboli di morte (teschi, clessidre, “memento mori”, ecc.), che contrassegna minuziosamente l'apparato decorativo della chiesa, in una sobria partitura nella quale il nero attenua la sfarzosità dell'oro. Si provvide in breve tempo alla sistemazione degli altari, commissionando a Federico Barocci il quadro raffigurante la Circoncisione, che fu posto all'altar maggiore nel 1590, e passò poi al Museo del Louvre, a Parigi, dopo la spoliazione napoleonica; fu sostituito dalla copia, più piccola rispetto alla cornice dell'originale, eseguita dal pittore pesarese Carlo Paolucci (17331803). Vennero poi collocati all'altare laterale sinistro il pregevole Crocifisso ligneo cinquecentesco, e all'altare laterale destro un dipinto del mantovano Teodoro Ghisi (1536-1601), raffigurante L'Incoronazione della Vergine e Santi. Si procedette poi, dal 1617 al 1619, alla copertura del soffitto con grandi tele incastonate da strutture a cassettoni e da parti lignee, affidate all'estro scenografico di Giovanni Cortese (1569-1629), autore anche dello splendido soffitto del Salone Metaurense nel Palazzo Ducale di Pesaro. I dipinti furono commissionati al pittore pesarese Giovan Giacomo Pandolfi (1567- dopo il 1636), confratello del Nome di Dio, sul quale abbiamo una scarsissima documentazione, e che è, in generale, brevemente ricordato dagli storici per la sua formazione artistica vicina agli Zuccari e al Barocci, oltre che per essere stato maestro di Simone Cantarini. Al Nome di Dio il Pandolfi, ormai anziano, lascia un vertice altissimo e conclusivo della sua lunga e vasta attività svolta per numerose chiese della città e della provincia di Pesaro, e, in una lunga permanenza giovanile, anche di Rieti e dintorni. Il soffitto I dipinti del soffitto vanno guardati ponendosi al centro della chiesa, in corrispondenza del Trionfo del Nome di Dio, per leggere l'immagine centrale, l'Immacolata e la Resurrezione col viso rivolto all'altare; girandosi poi lateralmente per le due Gerarchie e in direzione della porta d'ingresso per l'Inferno e lo scheletro. La disposizione dei soggetti tende ad indicare un itinerario di salvezza, dall'ingresso al presbiterio, dalla morte alla Resurrezione finale, passando per la gloria centrale del Nome di Dio, (con gli arcangeli Gabriele, Michele, Raffaele posati su di una nuvola, e miriadi concentriche di angeli intorno), e la rassicurante presenza laterale degli angeli e dei profeti. Il Pandolfi unisce alla precisione dottrinaria e culturale alcune interpretazioni figurative che escono dalle regole codificate della cultura controriformistica e tardomanieristica alla quale apparteneva, evidenti, invece, nella rigida impostazione del Trionfo del Nome di Dio. Si veda l'inquietante realismo di alcuni particolari dell'Inferno, la grottesca popolare mostruosità dei diavoli, o si noti la fresca libertà naturale con la quale sono impaginati, ai quattro angoli del soffitto, scorci di architetture e voli di rondini (alcuni dei quali pesantemente restaurati). E si osservino, tra le figure inginocchiate delle Gerarchie temporali, i ritratti di Francesco Maria II della Rovere (col collare del Toson d'oro) e dell'unico figlio Federico Ubaldo, lo sfortunato erede qui all'incirca tredicenne. Le pareti La copertura delle pareti laterali fu eseguita dal Pandolfi dal 1634 al 1636, con la collaborazione di Nicola Sabbatini (1574-1654), famoso scenografo e scenotecnico, già al servizio dei Della Rovere e autore tra l'altro, dal 1637, del vecchio Teatro del Sole, in seguito completamente ricostruito e divenuto Teatro Rossini. L'intero apparato si suddivide in tre fasce di dipinti. La fascia superiore monocroma, che scorre continua sotto il soffitto, rappresenta: a sinistra, (dall'ingresso all'altare), angioletti, bambini e bambine compiono opere di misericordia; a destra, (dall'ingresso all'altare), angioletti, bambini e bambine compiono una processione, suonano e cantano. La fascia centrale comprende dieci grandi quadri, più le due sottili strisce dipinte ai lati dell'organo (il più antico della città, opera di Antonio Paci da Pesaro, eseguito nel 1631), nelle quali appare, a destra di chi guarda, un suonatore di flauto, e a sinistra il presunto autoritratto del Pandolfi, che sembra affacciarsi per osservare la sua opera. Dalla sinistra dell'ingresso all'altare, le tele rappresentano: la Sibilla Cumana; il passaggio del mar Rosso; il Trionfo di Giuseppe Ebreo; un miracolo di S.Pietro; l'annuncio a Maria. Dalla destra dell'ingresso all'altare: la Sibilla Eritrea; Davide e Golia; il trasporto dell'arca; un miracolo di S.Paolo; l'annuncio a Giuseppe. Nella fascia inferiore, dipinta a monocromo, che fungeva da «spalliera » per i sedili sottostanti, sono raffigurati otto dottori della chiesa e i quattro Evangelisti. Da sinistra: S.Bernardo da Chiaravalle, S.Tommaso d'Aquino, S.Ambrogio vescovo, S.Gregorio papa, e gli evangelisti Luca e Giovanni. Da destra: S.Bernardino da Siena (predicatore del Nome di Dio), S.Bonaventura, S.Girolamo, S.Agostino e gli evangelisti Marco e Matteo. La fascia centrale ripropone un itinerario di salvezza (accuratamente sottolineato da scritte didascaliche tratte dal Vecchio Testamento e dagli Atti degli Apostoli), che passa dalle profezie delle Sibille, attraverso i quattro episodi biblici alludenti alla liberazione, fino ai miracoli (S.Pietro e lo storpio, S.Paolo e l'ossessa), al duplice annuncio finale della venuta di Cristo e alla Circoncisione all'altare maggiore. Anche la progressione della fascia inferiore sembra indicare una completezza dogmatica, dalla sfilata dei dottori della Chiesa alla presenza degli Evangelisti nel presbiterio. Il linguaggio del Pandolfi C'è realismo, gusto del colore e della vita. Nel festoso, vociante Trionfo di Giuseppe appare uno scorcio della piazza cittadina, col vecchio palazzo comunale a sinistra e la strada verso porta Fanestra, attuale via S. Francesco; negli Annunci a Giuseppe e a Maria si ricrea un'affettuosa penombra domestica con particolari, arredi, trucioli, di una «moderna» presa dalla realtà, appresa forse dalla grande lezione romana del Caravaggio, diffusa già da anni anche nelle Marche da alcuni artisti, come G.Francesco Guerrieri da Fossombrone. Ma c'è, negli impasti coloristici così densi e caricati, nei gigantismi dilatati degli altri episodi, nelle strutture grandeggianti, nei cieli svirgolati, una profonda tensione, un bisogno di enfasi, un senso visionario della realtà. E' un'inquietudine personale e forse significativa anche di anni difficili per il ducato di Pesaro-Urbino, da poco incamerato allo Stato Pontificio (1631), estintasi la dinastia dei Della Rovere, con prospettive politico-economiche incerte. E' una religiosità attratta dalla vita e contaminata dalla presenza della morte, nella quale non trionfa totalmente né la realtà delle cose, né la forza dell'immaginazione barocca. Vi predomina invece una faticosa, solitaria ricerca di equilibrio linguistico ed espressivo, tra pietismo controriformistico e libertà, tra cultura provinciale ed aperture verso la rappresentazione diretta della realtà o l'esaltazione visionaria, che sono due linee portanti del linguaggio figurativo del '600. La sagrestia A sinistra del presbiterio, si accede alla suggestiva sagrestia, circondata dai sedili per le riunioni dei Confratelli, cui fanno da spalliera tele con angeli che re-cano simboli relativi alla Passione di Cristo, eseguiti da Giuseppe Oddi (Pesaro ?-1728). Nel registro superiore, sono di vari autori seicenteschi i 19 riquadri raf-figuranti la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo, mentre appartengono alla mano del Pandolfi, oltre alla decorazione delle porte, i dipinti posti sopra i sedili centrali, con le immagini della Immacolata Concezione e, dirimpetto, quel-la del Bambino Gesù (che interrompono le storie di Cristo), e la tela dell'altare, con angeli che sorreggono il monogramma del Nome di Dio. Sul soffitto sono in-cassati vari dipinti, di diversi autori seicenteschi e settecenteschi, che rappresentano Santi e Profeti, e fanno corona al tondo centrale col Bambino Gesù. Profeta Salomone Gerarchie Spirituali I nferno I ngresso Profeta D avide Trionfo del N ome di D io Profeta I saia Scheletro Resurrezione Altare I mmacolata Concezione Gerarchie Temporali Profeta Abacuc Don Mario Florio, docente di Teologia sacramentaria e preside dell’Istituto Teologico Marchigiano Grazia Calegari si è laureata in lettere e specializzata in storia dell’arte medievale e moderna all’Università di Bologna. Da anni si occupa di beni culturali a livello cittadino e regionale, con pubblicazioni e conferenze. Tra i suoi libri si ricorda qui soprattutto il volume sulla chiesa del Nome di Dio, che è uscito nel 1989 e ha visto una nuova edizione arricchita nel 2009. Si citano i suoi vari interventi sul 600 e sul 700, e su edifici e chiese della città, come la chiesa dell’Annunziata e Palazzo Mazzolari Mosca Luigi Faggi-Grigioni nato nel 1969 diplomato in tromba al Conservatorio Rossini, in teoria della musica sperimentale e in musica elettronica. Ha eseguito autori del Novecento e Strawinskij e Hindemith. Si dedica alla musica barocca ma collabora anche con jazzisti e musicisti rock. Ha frequentato corsi di perfezionamento jazz a Siena e il corso presso l’Accademia musicale fiorentina. Nunzio Randazzo diplomato in organo e composizione organistica al Conservatorio Rossini, svolge attività concertistica come solista e come accompagnatore di orchestra e coro. Ha seguito corsi di interpretazione di musica antica italiana con Tagliavini e di letteratura prebachiana con Vogel, Koopmann e Radulescu e per la musica spagnola con Torrent. Ha eseguito in prima assoluta musiche di Pierucci e di Tesei, è fondatore e direttore artistico del Centro iniziative culturali San Giovanni. Docente presso il Conservatorio Rossini. Brani musicali G. Frescobaldi ai “Fiori musicali” A. Stradella da Sinfonia per tromba e organo G.B. Viviani Sonata prima per tromba e organo G. Fantini Sonate per tromba e organo Scuola bolognese XVII sec. Sonate per tromba e organo