l`illuminazione naturale degli ambienti

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Città di Castel San Giovanni
Provincia di Piacenza
Settore IV: Sviluppo Urbano
L’ILLUMINAZIONE NATURALE DEGLI AMBIENTI
(DAYLIGHTING)
Disposizione tecnico-organizzativa (DTO 25/2014)
ai sensi dell’articolo 7/III del RUE
PREMESSA:
Una delle più rilevanti novità introdotte dalla Legge Regionale n. 15 del 30.07.2013 “Semplificazione della disciplina edilizia” è
il superamento del sistema del sistema basato sui cosiddetti “requisiti tecnici cogenti e facoltativi” delle opere edilizie.
Si legge infatti nella relazione illustrativa di accompagnamento della Legge:
“Da segnalare, poi, la ridefinizione della disciplina dei requisiti tecnici delle opere edilizie, con l’esplicito superamento del
sistema dei requisiti cogenti e facoltativi approvati dalla regioni negli anni novanta, ormai ampiamente superati dalla
normativa tecnica sopravvenuta”.
La L.R. n. 15/2013 infatti, all’articolo 59, provvede ad abrogare le seguenti disposizioni regionali:
a) deliberazione della Giunta Regionale 28 febbraio 1995, n. 593 (Approvazione dello schema di Regolamento edilizio tipo
(Art. 2 legge regionale 26 aprile 1990, n. 33 e successive modificazioni ed integrazioni));
b) deliberazione della Giunta Regionale 22 febbraio 2000, n. 268 (Schema di Regolamento edilizio tipo -aggiornamento dei
requisiti cogenti (Allegato A) e della parte quinta, ai sensi comma 2, art. 2, L.R. n. 33/90);
c) deliberazione della Giunta regionale 16 gennaio 2001, n. 21 (Requisiti volontari per le opere edilizie. Modifica e
integrazione dei requisiti raccomandati di cui all'allegato b) al vigente Regolamento edilizio tipo (delibera G.R. n. 593/95)).
In tal modo è venuto meno l’intero sistema regionale di verifica e rispetto dei requisiti tecnici, basato sulle relative schede
prestazionali, che il nostro Regolamento Urbanistico Edilizio riprende:
1. all’Allegato 3: Schede prestazionali dei requisiti tecnici cogenti delle opere edilizie;
2. all’Allegato 4: Schede prestazionali dei requisiti tecnici volontari delle opere edilizie.
Ciò non significa, in tutta evidenza, che i progetti edilizi potranno essere elaborati prescindendo dal rispetto dei requisiti
tecnici stabiliti dalle varie norme vigenti.
Il rispetto di tali norme infatti è espressamente richiesto dall’articolo 11, comma 1, della L.R. n. 15/2013:
“Art. 11 - Requisiti delle opere edilizie:
1. L'attività edilizia è subordinata alla conformità dell'intervento alla normativa tecnica vigente, tra cui i requisiti antisismici,
di sicurezza, antincendio, igienico-sanitari, di efficienza energetica, di superamento e non creazione delle barriere
architettoniche, sensoriali e psicologico-cognitive”.
Ed anche dal comma 3 dell’articolo 9:
“I titoli abilitativi devono essere conformi alla disciplina dell'attività edilizia costituita:
……..
c) dalle discipline di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia, tra cui la normativa tecnica vigente di cui
all'articolo 11”.
La Regione Emilia Romagna quando introdusse, negli anni ’90, il sistema dei requisiti cogenti e volontari (questi ultimi in
precedenza denominati “raccomandati”) basato sulle specifiche schede prestazionali, non introdusse alcun nuovo obbligo
progettuale in tema di requisiti tecnici delle opere edilizie, ma fece solo e semplicemente un’utilissima opera di sintesi di tutti
i vari requisiti che le diverse norme nazionali vigenti richiedevano per le opere edilizie.
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In tal modo la Regione fornì un fondamentale strumento di sintesi e di progettazione che rappresentava un sicuro punto di
riferimento sia per i progettisti sia per gli uffici comunali chiamati alla verifica dei progetti.
Ogni scheda infatti era articolata nelle seguenti sezioni, per ogni singolo requisito:
A. Schede relative alle ESIGENZE DA SODDISFARE-CAMPI DI APPLICAZIONE-LIVELLI DI PRESTAZIONE:
 Proposizione esigenziale (ovvero qual è l’esigenza da soddisfare in sede progettuale);
 Campo di applicazione del requisito;
 Livello di prestazione del requisito (ovvero la misura della prestazione che l’opera deve garantire), suddiviso per
interventi di nuova costruzione ed interventi sul patrimonio edilizio esistente;
B. Schede relative alle MODALITA’ DI VERIFICA:
 Modalità di verifica in sede progettuale;
 Modalità di verifica a lavori ultimati e/o in corso d’opera.
Per ogni requisito inoltre, la relativa Scheda Prestazionale riportava il riferimento normativo nazionale e/o comunitario.
L’art. 12, comma 5, lett. b), della L.R. n. 15/2013, stabilisce che con successivo atto di coordinamento tecnico regionale, ad
oggi ancora non emanato, saranno definiti i contenuti della dichiarazione con la quale il professionista assevera
analiticamente che l’intervento è conforme alla disciplina dell’attività edilizia di cui all’articolo 9, comma 3, tra cui la
normativa tecnica vigente di cui all’art. 11.
Fino ad allora è obbligatorio inserire all’interno della richiesta di PdC ed alla presentazione della SCIA e della CIL, la formula
asseverativa relativa al rispetto dei requisiti tecnici delle opere edilizie riportata nella DTO n. 1/2013.
Appare pertanto evidente la volontà del legislatore regionale di sostituire i c.d. “requisiti cogenti e volontari” con
asseverazioni all’insieme complessivo delle norme tecniche vigenti. Tuttavia la novella regionale demanda, come ricordato,
l’individuazione delle norme tecniche ed i contenuti delle asseverazioni analitiche a successivi atti di coordinamento
regionale, per i quali peraltro la norma regionale non stabilisce alcun termine entro il quale debbano essere emanati, che
dovranno essere recepiti da ciascun Comune entro 180 giorni dall’entrata in vigore degli stessi, decorsi i quali diverranno
comunque cogenti e prevalenti sul RUE.
In particolare, il comma 4, lettera f), dell’art. 12, preannuncia uno specifico atto regionale di coordinamento tecnico in tema
di requisiti edilizi igienico sanitari, ma limitatamente agli insediamenti produttivi e di servizio caratterizzati da significativi
impatti sull'ambiente e sulla salute.
Si deve comunque far rilevare che per quanto concerne la tematica dei requisiti igienico-sanitari, questi non risultano
disciplinati da alcuna precisa, specifica ed univoca normativa tecnica, ma trovano dettagliata disciplina tecnica all’interno del
RUE.
Neppure il comma 4 dell’art. 12 della L.R., come appena ricordato, assegna il compito di definire tali requisiti ai successivi atti
regionali di coordinamento, se non limitatamente ai requisiti igienico-sanitari relativi agli insediamenti produttivi e di servizio
caratterizzati da significativi impatti sull’ambiente e sulla salute.
Come già stabilito con la DTO n. 1/2013 quindi, al fine di dare certezza agli operatori, si ritiene che i requisiti cogenti
individuati dal RUE e così come in esso articolati all’Allegato 3, rimangano vigenti, nella forma di riferimento tecnico, fino alla
emanazione degli atti di coordinamento regionale che individueranno le norme tecniche e le asseverazioni analitiche alle
stesse ed al loro recepimento nel RUE o, comunque, fino alla decorrenza dei 180 giorni previsti per l’adeguamento dello
stesso.
Sin dall’entrata in vigore della L.R. n. 33/1990 “Norme in materia di regolamenti edilizi comunali”, dunque, sui titoli edilizi di
carattere residenziale ed anche non residenziale ma di natura “ordinaria”, ovvero senza particolari interazioni sull’ambiente e
sulla salute (direzionale, terziario, ecc.), non era più necessario acquisire preventivamente al rilascio (o presentazione) dei
titoli edilizi, il parere igienico-sanitario di competenza dell’AUSL.
E ciò in quanto, per le medesime tipologie di interventi, la legge regionale n. 33/1990 richiedeva la pre-definizione di tutti i
requisiti tecnici delle opere edilizie, tra cui quelli igienico sanitari, attraverso l’approvazione di appositi atti regionali (quelli
oggi abrogati dalla L.R. n. 15/2013) e l’obbligo per i tecnici abilitati di asseverare la conformità del progetto a tali requisiti
tecnici, sostituendosi in tal modo all’AUSL nella relativa responsabilità.
Invece, per gli insediamenti destinati ad attività produttive e di servizio caratterizzate da significativi impatti sull'ambiente e
sulla salute, da individuarsi con specifico e successivo atto della Giunta Regionale, la legge regionale n. 33/1990 aveva
stabilito che il titolo abilitativo era subordinato, oltre che al rispetto dei requisiti previsti dalla normativa vigente in materia di
igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, all'osservanza delle prescrizioni derivanti dall'esame del progetto da parte delle
competenti strutture delle Aziende USL, fermo restando l’obbligo per i professionisti di asseverare la conformità del progetto
stesso ai requisiti tecnici e alle prescrizioni così definiti.
Tale impianto normativo era stato pienamente confermato anche dalla successiva legge regionale in materia edilizia, la n. 31
del 2002, la quale, sempre per gli insediamenti destinati ad attività produttive e di servizio caratterizzati da significativi
impatti sull'ambiente e sulla salute, aveva però previsto che l’esame del progetto venisse svolto in modo integrato, ovvero
quindi congiunto, dalle strutture competenti dell'AUSL e dell'ARPA ed aveva specificato che i medesimi interventi erano
altresì tenuti al rispetto delle prescrizioni dettate nell'ambito delle eventuali procedure in materia di valutazione di impatto
ambientale ovvero di autorizzazione integrata ambientale.
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L’individuazione degli insediamenti destinati ad attività produttive e di servizio caratterizzati da significativi impatti
sull'ambiente e sulla salute è stata attuata, per la prima volta, con Deliberazione di Giunta Regionale n. 447 del 1995, ben 5
anni dopo l’entrata in vigore della L.R. n. 33/1990.
Successivamente essa è stata riconsiderata, a seguito dell’intervenuta entrata in vigore della L.R. n. 31 del 2002, con
successiva Deliberazione di Giunta Regionale del 1 ottobre 2007 n. 1446 sopra citata.
Da ultimo (si veda la DTO n. 6/2014), con l’entrata in vigore della L.R. n. 15/2013, il parere AUSL-ARPA è stato eliminato su
tutti i progetti.
Tuttavia, successivamente, con la Delibera di Giunta Regionale n. 193, del 17.02.2014, esso è stato reso facoltativo per una
serie di attività individuate nell’allegato alla delibera stessa.
Tutto ciò premesso è evidente quindi che, nel nuovo quadro normativo regionale che si è delineato, le Schede Prestazionali
dei requisiti tecnici delle opere edilizie, cogenti e volontari, come riportate, rispettivamente, agli Allegati 3 e 4 del RUE, non
comportano più, nella vigenza della L.R. n. 15/2013, un espresso ed esplicito ed analitico obbligo di rispetto delle loro
disposizioni. Pertanto essi restano solo quale riferimento per il progettista perché esso sia agevolato nella compilazione della
Relazione sul rispetto dei requisiti tecnici.
E’ da chiarire che, ovviamente, e come già detto, la venuta meno delle delibere sopra citate che approvavano le schedenorma per ogni singolo requisito, non fa venire meno il rispetto dei requisiti stessi. Tali schede infatti non introducevano
nessuna nuova disposizione rispetto al panorama tecnico legislativo vigente in tema di rispetto dei requisiti, ma
semplicemente una sorta di riferimento tecnico utile per il loro rispetto.
Tutti i requisiti tecnici oggetto di tali schede-norma pertanto restano pienamente vigenti senza però l’obbligo per il
progettista di richiamarsi analiticamente e specificatamente ad esse.
La “relazione sul rispetto dei requisiti tecnici” richiesta in allegato alla documentazione a corredo dei titoli edilizi pertanto
dovrà comunque dare ragione del rispetto di tutti i requisiti previsti dalle norme nazionali vigenti in materia e pertanto dovrà
essere articolata in capitoli aventi ad oggetto i requisiti, il cui rispetto resta obbligatorio ai sensi dell’art. 11, c. 1, della L.R. n.
15/2013.
Il quadro legislativo nazionale in materia di requisiti di illuminazione naturale delle opere edilizie è decisamente carente e
soprattutto poco aggiornato, visto che è fermo al 1975. I documenti legislativi e tecnici che danno indicazioni in merito sono i
seguenti:
 D.P.R. n. 303 del 19/3/56 – “Norme generali per l’igiene del lavoro”, poi abrogato dall'articolo 304, Dlgs 9 aprile 2008, n.
81 “Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro”, con decorrenza 15 maggio 2008;
 Circ. Min. LL. PP. n. 3151 del 22/5/67 – “Criteri di valutazione delle grandezze atte a rappresentare le proprietà termiche,
igrometriche, di ventilazione e di illuminazione delle costruzioni edilizie”, che, al punto 2.01, introduce il fattore di luce
diurna, quale grandezza di riferimento in tema di illuminazione naturale, addirittura al paragrafo 1.1.03 si stabilisce che:
“1.1.03. - Illuminazione naturale. - L'area delle porzioni vetrate delle pareti perimetrali opache realizzata secondo le
prescrizioni indicate nei precedenti punti 1.1.01 e 1.1.02 non deve di norma eccedere il valore necessario per ottenere che
il coefficiente medio d'illuminazione diurna degli ambienti risulti superiore o almeno uguale a 0,06”;
 Circ. Min. LL. PP. n. 13011 del 22/11/74 – “Requisiti fisico-tecnici per le costruzioni edilizie ospedaliere. Proprietà
termiche, igrometriche, di ventilazione e di illuminazione”, che definisce anche il valore del fattore medio di luce diurna
per i vari locali di edilizia ospedaliera;
 D.M. 5/7/75 – “Modificazioni alle istruzioni ministeriali del 20/6/1896 relative altezza minima dei locali ed ai requisiti
igienico sanitari principali dei locali di abitazione”;
 D.M. 18/12/75 – “Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità
didattica, edilizia e urbanistica da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica”, che, al punto 5.2.5, definisce
i valori del fattore di luce diurna, per i vari locali di edilizia scolastica.
A parte il D.M. 5.7.1975, gli altri decreti e circolari indicati sopra riguardano principalmente l’edilizia pubblica (scuole e
ospedali) e forniscono anch’essi dei valori minimi di FLDm da rispettare nei vari ambienti. Questo valore sarà tanto più alto
quanto più il compito da svolgere in un determinato locale è di lunga durata e richiede maggiore sforzo visivo, per cui è
evidente che ad esempio il FLDm di un’aula scolastica dovrà essere maggiore di quello di una sala da pranzo che a sua volta
sarà maggiore del FLDm di un bagno.
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L’ILLUMINAZIONE NATURALE DEGLI AMBIENTI
Il controllo dell’illuminamento naturale è uno dei requisiti che concorrono al benessere dell’organismo in relazione dinamica
col contesto ambientale.
L’illuminazione naturale deve essere utilizzata nella maggiore misura possibile anche al fine di ridurre il consumo energetico.
Posizione e dimensione delle aperture:
Nel caso di un’apertura posta su un
solo lato l’illuminazione naturale
diminuisce progressivamente
allontanandosi dalla finestra
Nel caso di due aperture poste su
lati opposti del locale i valori
dell’illuminazione naturale sono
simili al caso precedente, ma la
distribuzione della luce è più
omogenea e con minori differenze
tra i diversi punti dell’ambiente; il
contrasto localizzato è minore.
L’illuminazione bilaterale è migliore
in quanto favorisce:
- maggiore omogeneità nella distribuzione della luce;
- assenza di fenomeni di abbagliamento dovuti al contrasto
Suddivisione della medesima area
illuminante (1, 2 o 3 aperture della
stessa superficie complessiva)
- La quantità di luce in ingresso è la medesima
- Varia la distribuzione luminosa
- Diminuiscono le zone d’ombra laterali via via che aumenta il numero delle aperture
Forma delle aperture
Apertura orizzontale:
maggiore efficacia nelle immediate vicinanze delle aperture
Apertura verticale:
maggiore penetrazione in profondità della luce
distribuzione più omogenea dellaluce
Sul tema occorre riferirsi, in sostanza, all’ex Requisito Cogente n. 3.6 “Illuminamento naturale”, riportato in Allegato 3 del
RUE.
Dunque, in sintesi:
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1.
non sussiste più l’obbligo della progettazione riferita analiticamente a quanto stabilito dalla Scheda Prestazionale R.C.
3.6;
2. resta tuttavia l’obbligo del rispetto delle norma tecniche vigenti in materia di illuminamento naturale e dell’obbligo di
darne atto all’interno del progetto.
La norma nazionale principale vigente in materia di illuminazione naturale e comunque l’unica che riguardi l’edilizia
residenziale, è quella riportata nel Decreto Ministeriale Sanità 5 luglio 1975 “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20
giugno 1896, relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione”, all’articolo 5,
che recita:
“Art. 5:
Tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire
di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d'uso.
Per ciascun locale d'abitazione, l'ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore
luce diurna medio non inferiore al 2%, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della
superficie del pavimento“.
Che, nella sostanza, senza nulla di più o di meno, è esattamente quanto richiedeva il Requisito Cogente regionale 3.6
“Illuminamento naturale”.
Dunque oggi, ma in realtà era esattamente così anche ieri, nulla infatti è cambiato con la L.R. n. 15/2013 riguardo agli
obblighi progettuali, per la funzione abitativa occorre rispettare una duplice imposizione:
1. garantire un fattore medio di luce diurna almeno pari al 2% (requisito di natura prestazionale);
2. assicurare, in ogni caso, anche un rapporto illuminante (rapporto tra la superficie illuminante e la superficie pavimentata
del locale) pari ad 1/8 (requisito di natura conformativa).
E’ richiesto quindi il rispetto di entrambe ed ognuna delle due condizioni, non di una sola di esse.
In effetti, sin dal 1975, praticamente tutti i Regolamenti Edilizi italiani (tranne certamente quelli dell’Emilia Romagna dopo
l’introduzione dei requisiti cogenti), si sono sempre limitati a richiedere il solo rispetto del requisito di carattere
conformativo, ovvero il rapporto illuminante pari ad 1/8, e questo per una duplice ragione:
1. in quanto tale rapporto, nella generalità dei casi ordinari, garantiva il rispetto di un adeguato valore di illuminazione
naturale;
2. in quanto, sostanzialmente, nessuno conosceva i metodi di fisica tecnica necessari per la determinazione del fattore
medio di luce diurna, o comunque venivano ritenuti di difficile applicazione ed utilizzo.
E’ stata quindi senza alcun dubbio un’errata interpretazione dell’articolo che ha diffuso l’opinione che la proporzione di 1/8
tra finestre e pavimento fosse sufficiente a garantire un illuminamento naturale adeguato della stanza. Dal testo invece
appare chiaro che vanno effettuate entrambe le verifiche.
Dal testo della norma, infatti, appare chiaro e fuori da ogni ragionevole dubbio ed improbabile interpretazione, che il
soddisfacimento del 2% dell’illuminamento esterno non è legato solo alla dimensione delle finestre, intesa come rapporto tra
essa e la superficie del locale da illuminare. Infatti l’illuminamento fornito da una finestra non può dipendere univocamente
dalla sua dimensione essendo funzione anche dello spessore del muro, della forma e posizione della finestra stessa e del
paesaggio urbano circostante.
In effetti gli studi sull’illuminotecnica confermano che il Fattore Medio di Luce Diurna (FLDm) dipende da numerosi fattori e
non solamente dall’entità della superficie vetrata o dal rapporto tra essa e la superficie della stanza.
E’ del tutto evidente che la sola soluzione conformativa non garantisce affatto il rispetto dei requisiti di illuminazione
naturale in tutte le situazioni. Infatti, il rapporto illuminante di 1/8 è possibile garantirlo in diversi modi, ad esempio:
1. con una sola apertura;
2. con più aperture;
3. con aperture rettangolari,
4. con aperture ad arco o altre forme;
5. con un’apertura sola al centro della parete;
6. con due aperture poste agli estremi della parete;
7. ecc.
E’ indubitabile che in tutte ed ognuna di queste diverse situazioni, pur rispettando il valore richiesto di 1/8, si ottengono
altrettante diverse situazioni di illuminazione naturale nel locale e non sempre tutte garantiscono in ogni punto del locale il
rispetto delle condizioni minime di illuminazione naturale. Pur tuttavia la sola circostanza del rispetto “matematico” del R.I.
richiesto, garantiva, sotto questo aspetto, l’approvazione del progetto.
Rispetto a quanto richiesto dal D.M. 05.07.1975 la Scheda Requisito Cogente 3.6 regionale:
1. forniva tutti i metodi di calcolo, derivati dalla fisica tecnica, necessari per la determinazione del fattore medio di luce
diurna;
2. consentiva la cosiddetta “soluzione conforme”, ovvero, in determinate e ben definite situazioni, la possibilità di limitarsi
al rispetto del solo R.I. ≥ 1/8, andando quindi oltre le rigide imposizioni nazionali dettate dal D.M. 5.5.75, che non
prevedevano affatto alcuna soluzione conforme.
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E’ del tutto apodittico quindi che, nonostante ciò che si è sempre pensato, il sistema regionale introdotto con le delibere oggi
abrogate, non solo non complicava ed aggravava affatto il sistema nazionale delle prestazioni edilizie richieste, ma anzi, lo
rendeva applicabile facilmente ed addirittura lo semplificava enormemente.
Oggi tuttavia questo sistema non esiste più, o meglio, non è più obbligatorio il suo utilizzo. Ciò non di meno, vige il sistema
nazionale, che deve essere comunque rispettato.
Questo in sostanza significa che oggi, come ieri, occorre garantire, prima di tutto, un fattore medio di luce diurna pari almeno
al 2% e poi, ma solo dopo ed in aggiunta al primo obiettivo, che resta obbligatorio sempre, un R.I. ≥ 1/8.
Con la presente Disposizione Tecnico Organizzativa si intendono fornire le indicazioni necessarie, in sede progettuale, per
garantire il rispetto del valore prescritto di illuminazione naturale. Per questo non è possibile comunque prescindere da
quanto già stabiliva la Scheda Requisito Cogente 3.6. Tuttavia la presente DTO vuole rappresentare uno sviluppo di tale
scheda, soprattutto in riferimento alla soluzione conforme.
LA SOLUZIONE CONFORME:
Valida per tutte le destinazioni d’uso (con le precisazioni riportate di seguito).
Valida sia per le nuove costruzioni sia per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente, sempre con le precisazioni fornite di
seguito.
Definizione di Rapporto Illuminante (R.I.):
“rapporto fra la superficie del pavimento e la superficie della bucatura muraria, esclusa quella posta ad un’altezza compresa
fra il pavimento e 60 cm, ed al netto di velette, elementi architettonici verticali del medesimo organismo edilizio1 che riducano
l’effettiva superficie illuminante (ad es. pilastri, colonne, velette esterne, ecc.)”.
Dunque, nel caso di finestre, si considererà, ai fini del calcolo, l’intera superficie illuminante dell’infisso, mentre, nel caso di
portefinestre, dovrà essere trascurata la parte inferiore, fino ad un’altezza da pavimento di 60 cm, che, quindi, ai fini del
calcolo, è da considerarsi come opaca.
La superficie del vano architettonico, se si utilizzano forature zenitali in falda (lucernari), per il calcolo di RI, deve essere
moltiplicata per 1,25 se ad una altezza minima dal pavimento superiore a m 1,80; se posta ad una altezza inferiore computata
a 1,00. Ciò in quanto se è un lucernario è orizzontale ed è libero da ostacoli, esso vede l’intera volta celeste, se invece
l’apertura è verticale (finestra) e libera da ostacoli ne vede la metà, e se ci sono ostacoli meno della metà.
Il passaggio di luce attraverso un lucernario, infatti, è superiore rispetto a una tradizionale finestra verticale e la luce,
arrivando direttamente dall’alto, ha una maggiore intensità.
RI ≥ 1/12 se totalmente ottenuto con lucernari
Il requisito si intende “convenzionalmente” raggiunto se sono rispettate tutte ed ognuna delle seguenti condizioni:
1
Definito come di seguito dall’Allegato 1 al RUE:
Organismo edilizio:
- Insieme di spazi progettati unitariamente con caratteristiche di continuità fisica ed autonomia funzionale e destinati ad attività umane.
- Un’unità immobiliare ovvero un insieme di unità immobiliari con specifica destinazione d’uso, progettato unitariamente con
caratteristiche di continuità fisica e di autonomia funzionale, con spazi, infrastrutture e/o attrezzature di propria pertinenza.
- Corpo di fabbrica (o fabbricato od edificio composto anche da più corpi di fabbrica) semplice o complesso connotato dal carattere
dell’unitarietà sotto il profilo strutturale e morfologico.
In altri termini: per organismo edilizio si intende una U.I., ovvero un insieme di U.I., con specifica destinazione d’uso, progettata
unitariamente con caratteristiche di continuità fisica e di autonomia funzionale, con spazi, infrastrutture e/o attrezzature di propria
pertinenza. Gli organismi edilizi sono costituiti da: spazi di fruizione dell’utenza per attività principale; spazi di fruizione dell’utenza per
attività secondaria; spazi di circolazione e collegamento (che possono appartenere alla singola U.I. o essere comuni a più U.I.); locali e vani
tecnici. L’organismo edilizio può avere delle pertinenze associate alla singola U.I., ovvero comuni a più U.I. Ad esclusione di locali e vani
tecnici, gli spazi e le pertinenze possono essere chiusi o aperti.
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TABELLA 1
Destinazione d’uso
R.I.
≥ 1/8
(0,125)
≥ 1/12
(0,083)
Per gli spazi principali destinati alla residenza, anche rurale
Per gli spazi principali destinati alla residenza, anche rurale, e l’illuminazione naturale è completamente ottenuta tramite
lucernari.
In situazioni “miste” il contributo della superficie finestrata dei lucernari si conta 1,25 volte, ma solo per lucernari posti
ad un’altezza da pavimento minima pari a 1,80 m.
≥ 1/16
(0,062)
≥ 1/30
(0,033)
≥0
≥ 1/16
(0,062)
≥ 1/30
(0,033)
≥ 1/8
(0,125)
≥ 1/10
(0,100)
Con un
minimo di
12,20 mq
≥ 1/12
(0,083)
Per gli spazi secondari destinati alla residenza (bagni, guardaroba e ripostigli superiori a 5,00 mq)
Per gli spazi secondari destinati alla residenza diversi dai precedenti
Per gli spazi secondari destinati a ripostiglio o guardaroba di dimensioni inferiori a 5,00 mq o bagno successivo al
principale, disimpegni
Per gli spazi principali destinati ad attività agrituristiche e agricole
Per gli spazi secondari destinati ad attività agrituristiche e agricole
Per ambienti lavorativi con SU ≤ 100,00 mq
Per ambienti lavorativi con 100,00 < SU ≤ 1.000,00 mq
Per ambienti lavorativi con SU > 1.000,00 mq
Come parametri di riferimento si ritiene che:
 il 50% della superficie illuminante sia collocata a
parete, se la restante parte è costituita da lucernari;
 il 25% della superficie illuminante sia collocata a
parete, se la restante parte è costituita da aperture a
sheed o a lanterna.
Possono essere comprese nel computo della superficie
illuminante le superfici trasparenti delle porte a partire da
cm 60 dal pavimento.
Per i locali la cui profondità superi di 2,50 volte l’altezza
dell’architrave della finestra misurata dal pavimento, la
superficie utile finestrata dovrà essere
incrementata in misura proporzionale fino ad un massimo
del 25%, per una profondità massima di 3,50 volte l’altezza
dell’architrave della finestra dal
pavimento (vedi PROSPETTO 1).
Nel caso di ambienti che per loro conformazione
geometrica hanno porzioni di superficie non raggiunta da
illuminazione naturale, tali porzioni devono essere
individuate in planimetria ed adibite esclusivamente ad usi
che non prevedono la permanenza di addetti (salvo la
realizzazione di superfici illuminanti nella copertura).
Con coefficiente di trasparenza (o trasmissione luminosa) t ≥ 0,70
Si considerano conformemente i seguenti coefficienti di trasparenza:
Superfici vetrate
Vetro semplice trasparente
0,95
Vetro retinato
0,90
Doppio vetro trasparente
0,85
Misurata perpendicolarmente al piano della parete finestrata, minore o uguale a 2,50
volte l’altezza dal pavimento del punto più alto della bucatura muraria
Se la profondità dello spazio ambiente è superiore a 2,50 volte l’altezza dal pavimento del
punto più alto della bucatura muraria: vedi modalità di calcolo illustrate nel PROSPETTO 1.
Profondità dello spazio (ambiente)
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R.I. va calcolato con riferimento alla superficie di pavimento dello spazio interessato (S),
aumentata della quota di superficie del porticato o balcone direttamente prospiciente
l’ambiente stesso (S’).
Finestre che si affacciano sotto porticati o
logge
Comunque non oltre il raddoppio della superficie finestrata riferita ad S.
Fermo restando quanto sopra, per finestre con superficie trasparente ostruita da balconi o
aggetti di profondità ≥ 1,00 m, la dimensione della superficie illuminante (Af) dovrà essere
sempre aumentata (A’f) di 0,05 mq ogni 5,00 cm di ulteriore aggetto oltre 1,00 m.
Esempio
S = 5,00 m x 4,90 m = 24,5 mq
S’ = 2,00 m x 1,50 m = 3,00 mq
Af = 1,50 m x 2,40 m = 3,60 mq
R.I. = (24,5 + 3,00)/8 = 3,44
Af > R.I. verificato
Nonostante R.I., sia verificato, essendo
L > 1,00 m, occorrerà comunque
aumentare Af fino ad una A’f almeno
pari a:
A’f = 3,60 mq + [(200 -100)/5] x 0,05 =
4,60 mq
Disposizione Tecnico Organizzativa n. 25/2014
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CORTILI PRINCIPALI
L’area dei cortili (S’), detratta la proiezione orizzontale di ballatoi o altri aggetti (Spo), deve
risultare ≥ 1/5 della somma delle superfici delle pareti delimitanti il cortile (SL)
L’altezza (H) massima delle pareti che delimitano il cortile deve risultare ≤ 1,50 volte la media
delle distanze fra le pareti opposte e ≤ 2,00 volte la larghezza media del cortile quando il lato
aperto non sia inferiore alla larghezza media del cortile stesso e sempre che sia superiore a sei
metri;
La distanza normale minima da ciascuna finestra al muro opposto deve essere ≥ 6,00 m.
Finestre che si affacciano esclusivamente
su cortili
CORTILI SECONDARI
 l'area dei cortili, detratta la proiezione orizzontale di ballatoi o altri aggetti, deve risultare
> di 1/12 della somma delle superfici delle pareti delimitanti il cortile;
 la normale minima misurata tra le finestre e il muro opposto deve essere:
pari a m 4,00 se i muri prospicienti il cortile non superano m 10,00 di altezza;
pari a m 4,50 se l'altezza dei muri prospicienti il cortile è compresa tra m 10,00 e m
16,00;
pari a m 5,00 se l'altezza dei muri prospicienti il cortile è > di m 16,00.
 Nel caso di muri prospicienti il cortile di altezza diversa si deve far riferimento alla media
ponderata di tali altezze.
POZZI DI LUCE E CHIOSTRINE
 l'area dei pozzi luce e delle chiostrine detratta della proiezione orizzontale di ballatoi o
altri aggetti, deve risultare > di 1/20 della somma delle superfici delle pareti delimitanti il
cortile;
 la normale minima misurata tra le finestre e il muro opposto deve essere:
pari a m 2,50 se i muri prospicienti il cortile non superano m 10,00 di altezza;
pari a m 3,00 se l'altezza dei muri prospicienti il cortile è compresa tra m 10,00 e m
16,00;
pari a m 3,50 se l'altezza dei muri prospicienti il cortile è > di m 16,00.
 nel caso di muri prospicienti il cortile di altezza diversa si deve far riferimento alla media
ponderata di tali altezze.
L’altezza dei muri prospicienti i cortili, i pozzi luce e chiostrine è da riferirsi al piano di
calpestio
Se anche una sola delle condizioni sopra riportate non è verificata non è possibile aderire alla soluzione conforme e pertanto
occorrerà determinare il fattore medio di luce diurna, che dovrà essere ≥ 2% e comunque con R.I. ≥ 1/8.
Valgono comunque le seguenti ulteriori prescrizioni:
Qualora le finestre affaccino su cortili debbono essere rispettate le seguenti ulteriori condizioni:
 su cortili2 principali è ammesso l’affaccio di tutti i vani per attività principale e secondaria;
 su cortili secondari è ammesso l’affaccio di spazi per attività secondaria, spazi di circolazione e collegamento, delle
cucine solo se collocate in vano autonomo e di un solo vano per unità immobiliare adibito ad attività principale; è
comunque vietato il solo affaccio sui cortili secondari di alloggi monolocale;
 su pozzi luce e chiostrine3 è permesso l’affaccio solo di spazi per attività secondaria, spazi di circolazione e collegamento,
delle cucine solo se collocate in vano autonomo.
2
Vedi art. 83/V del RUE. Si precisa che i “cortili principali” sono quelli che hanno un’area superiore al “minimo regolamentare” definito
dall’art. 83/V.
Disposizione Tecnico Organizzativa n. 25/2014
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Nel caso di spazi non costituenti cortili (così come definiti nella precedente tabella delle Soluzioni Conformi) ma delimitati da
ostacoli in elevazione (muri di recinzione posti ad una distanza inferiore a 5 metri dalla parete finestrata) la distanza minima
dalla parete finestrata di un vano principale dovrà essere >1,5 volte l’altezza dell’ostacolo opposto.
L’altezza dell’ostacolo è da misurarsi in riferimento al piano di calpestio dell’unità immobiliare su cui si interviene.
Per gli interventi sugli edifici esistenti il requisito è convenzionalmente soddisfatto se è rispettata la seguente condizione:
 rapporto di illuminazione RI ≥ 1/16, dove RI = rapporto fra la superficie del vano apertura e la superficie del pavimento;
 la superficie dei vani apertura in falda di copertura deve moltiplicarsi per un coefficiente pari a 1,25, se posti ad
un’altezza minima dal pavimento 1,80 m; se posti ad un’altezza inferiore, il coefficiente da assumersi è uguale a 1;
 le superfici dei vani d’apertura verticali per le porzioni comprese tra il pavimento e cm 100 sono da computarsi al 50%;
 le superfici vetrate devono avere coefficienti di trasparenza t >0,7.
PROSPETTO 1
Nei casi in cui la profondità dello spazio ambiente è superiore a 2,50 volte l’altezza dal pavimento del punto più alto della bucatura
muraria.
Lf = larghezza finestra
Hf = altezza finestra n.b. (se porta o portafinestra da Hf si devono
Pm – Profondità maggiorata = profondità parte di locale distante
sottrarre 60 cm)
dalla finestra tra 2,5Ha e 3,5 Ha (2,5Ha < Ha < 3,5Ha)
Si = superficie illuminante (Lf x Hf)
Sp = Superficie pavimento
Ha = altezza architrave finestra
Ri = Rapporto illuminante = Si/Sp
P - Profondità = profondità parte di locale distante dalla finestra
Sim = Superficie illuminante maggiorata
meno di 2,5Ha
CASO 1.
P < 2,5Ha
Locale posto interamente a distanza
massima dalla finestra inferiore a 2,5Ha
CASO 2.
2,5Ha < (P + Pm) < 3,5Ha
Parte del locale posto a distanza massima
dalla finestra compresa tra 2,5Ha e 3,5Ha
CASO 3.
(P + Pm) > 3,5Ha
Parte del locale posto a distanza massima
dalla finestra maggiore di 3,5Ha
Dovrà essere verificato il RI prescritto in TABELLA 1 per il tipo di locale (abitazione, uffici,
negozi, locali di lavoro, ecc….)
Dovrà essere verificato il RI prescritto in TABELLA 1 per il tipo di locale (abitazione, uffici,
negozi, ecc….) maggiorando la Superficie finestrata = Si+Sim.
Si maggiorata a Sim proporzionalmente fino ad un massimo del 25% in corrispondenza della
profondità pari a 3,5Ha.
Proporzione:
(Si x 0,25): [(3,5-2,5) x Ha]=Sim:Pm, da cui:
Sim = (Si x 0,25) x Pm
Ha
Per le parti a distanza dalla finestra fino ad un massimo di 3,5Ha ci si dovrà riferire ai casi
precedenti.
La parte di locale a distanza dalla finestra superiore a 3,5 Ha dovrà essere illuminata da
un’altra apertura.
Qualora non venga adottata una soluzione conforme, la relazione tecnica di progetto dovrà dimostrare il raggiungimento dei
livelli prestazionali attraverso uno dei tre metodi di calcolo di verifica progettuale descritti di seguito.
La verifica condotta col ricorso ad uno di questi tre metodi esclude la necessità di verifica ulteriore con prova strumentale in
opera.
3
Vedi articolo 5/V e 62/V del RUE.
Disposizione Tecnico Organizzativa n. 25/2014
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LA SOLUZIONE PRESTAZIONALE:
E’ quella basata sulla determinazione del “Fattore Medio di Luce Diurna (FLDm)”, che è quella che deve essere
obbligatoriamente adottata in tutti i casi in cui non sia possibile esperire la soluzione conforme.
Il parametro che qualifica il livello d’illuminazione naturale è il fattore di luce diurna medio FLDm, la cui definizione è la
seguente:
“Rapporto fra il livello di illuminamento in un punto posto su un piano orizzontale all’interno del locale (Eint) e il livello di
illuminamento in un punto posto su di un piano orizzontale sotto l’intero emisfero celeste in assenza di ostruzioni e di
irraggiamento solare diretto (E0), con misure fatte nello stesso momento. La misura ideale è fatta con cielo coperto uniforme”.
E’ pertanto una grandezza che consente di valutare le condizioni di luce all’interno dell’ambiente non in termini assoluti, ma
in relazione alle condizioni di illuminazione presenti all’esterno (criterio relativo).
Il FLDm è in grado di descrivere le prestazioni luminose dell’involucro edilizio le quali non dipendono dal livello di
illuminamento esterno, ma solo dalle relazioni geometriche tra punto considerato all’interno dell’ambiente e volta celeste.
Generalmente, l'illuminamento naturale in un punto di un ambiente deve ritenersi:
- insufficiente se il valore del FLDm risulta < 0,3 %;
- discreto se il valore del FLDm è compreso tra 0,5 e 2%;
- buono se il valore del FLDm risulta compreso tra 2% e 4%;
- ottimo se il valore del FLDm risulta > 4%.
Il Fattore di Luce diurna dipende da tre componenti di illuminazione:
1. Componente cielo, SC (Sky Component):
Quantità di luce che dal cielo, considerato a luminanza costante, arriva direttamente nel punto considerato, attraverso
l’apertura della finestra.
2. Componente di riflessione esterna, ERC (Externally Reflected Component):
Quantità di luce che arriva dopo aver subito riflessioni causate da superfici esterne (alberi, edifici vicini, ecc.)
3. Componente di riflessione interna, IRC (Internally reflected component):
Quantità di luce che arriva dopo aver subito riflessioni dovute alle superfici interne (pavimento, pareti, soffitto).
E dalle seguenti ulteriori grandezze:
a) area delle aperture finestrate;
b) coefficiente di trasmissione nel visibile del materiale trasparente che costituisce le finestre;
c) area dei diversi elementi che costituiscono l’involucro e che sono presenti all’interno del locale (pareti, pavimenti, soffitti,
arredi, ecc.);
d) coefficiente di riflessione nel visibile delle superfici dei vari elementi presenti all’interno del locale;
e) presenza di ostruzioni di qualsiasi genere, esterne od interne, che limitino la vista della volta celeste; stato di
manutenzione delle superfici vetrate e delle superfici interne.
Tale parametro consente di valutare la capacità delle aperture trasparenti e dell’involucro di uno spazio chiuso di garantire
condizioni di illuminazione naturale confortevoli e un accettabile sfruttamento della luce naturale.
Disposizione Tecnico Organizzativa n. 25/2014
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Per raggiungere questi obiettivi esso deve essere superiore ad un determinato valore, fissato come valore di soglia, al di sotto
del quale non sono verificate le condizioni di illuminazione naturali sufficienti alle specifiche esigenze di benessere fisico e
psicologico.
I valori di riferimento del FLDm sono i seguenti:
Funzione
Edilizia residenziale
(D.M. 5/5/75)
Edilizia residenziale in edifici di
interesse storico-architettonico
Edilizia scolastica
(D.M. 18/12/75)
Edilizia ospedaliera
Circ. Min. LL. PP. n. 13011 del
22/11/74
Usi diversi da abitativi,
ospedalieri, scolastici
(nuova costruzione)
Usi diversi da abitativi,
ospedalieri, scolastici
(edifici esistenti)
FLDm
≥ 2%
≥ 3%
Tutti i locali di abitazione
(nuove costruzioni)
E’ consentito un FLDm inferiore a quanto
definito nella riga sopra qualora il raggiungimento del livello prestazionale richieda interventi
contrastanti gli obiettivi di tutela e conservazione di edifici di interesse storico-architettonico e
documentale definiti dal RUE
Ambienti ad uso didattico (aule
Uffici, spazi di distribuzione,
Palestre, refettori
per lezione, studio, lettura,
scale, servizi igienici
laboratori, disegno, …)
≥ 1%
Tutti i locali di abitazione
(edifici esistenti)
Uffici, spazi di distribuzione,
scale, servizi igienici
Palestre, refettori
Ambienti di degenza,
diagnostica, laboratori
Spazi per attività principale ed
attorno alle postazioni fisse di
Spazi per attività plurime
lavoro da individuarsi negli
(attività principali e secondarie
elaborati di progetto
in ambiti precisamente
nel rispetto dei minimi
individuati
dimensionali previsti nelle
negli elaborati di progetto)
singole funzioni per i singoli
operatori
Nel caso di interventi ove non sia possibile rappresentare l’organizzazione interna delle attività,
dovranno indicarsi negli elaborati di progetto le zone ove è raggiunto FLDm ≥ 2%, idonee alla
collocazione di postazioni fisse di lavoro.
Deve comunque essere assicurata la visuale dell’ambiente esterno (elementi del paesaggio) da tutte le
singole postazioni di lavoro, come da norme di buona tecnica e i bancali delle finestre dovranno avere
altezza da terra (pavimento interno) non superiore a metri 1,20
spazi di attività principale,
qualora vincoli oggettivi non
permettano il conseguimento
dei
requisiti previsti per le nuove
costruzioni
Deve comunque essere assicurata la visuale dell’ambiente esterno da tutte le singole postazioni di
lavoro
Quando si valuta il livello di illuminazione naturale di un ambiente, salvo casi particolari, non è necessario conoscere il FLD
per ogni punto dello spazio, ma può risultare più pratico ed efficace avere un unico valore numerico che rappresenti la media
di tutti i FLD nei vari punti della stanza, ovvero, appunto, il Fattore Medio di Luce Diurna (FLDm). Anche perché poi le
verifiche di legge vanno effettuate confrontando proprio il FLDm dell’intera stanza con quello minimo imposto dalla
normativa. Per essere ancora più precisi bisogna specificare che il valore limite di legge è riferito ad un solo piano e non
all’intero spazio tridimensionale della stanza.
Per calcolare il FLDm si sceglie quindi un piano di lavoro, ovvero un piano di riferimento parallelo al pavimento e posto ad
un’altezza da questo ad esempio di 90 cm. Per ogni punto del piano si calcola il FLD e quindi si fa una media fra tutti i punti
per ottenere il FLDm relativo a quel piano specifico. Cambiando l’altezza del piano in genere cambiano i valori, quindi può
capitare che il FLDm misurato all’altezza del pavimento sia totalmente diverso da quello misurato al soffitto. Per questo
motivo è indispensabile scegliere il piano di calcolo in base al tipo di attività che si svolge nell’ambiente.
Esistono diversi metodi di calcolo che differiscono tra loro per semplicità d’uso e soprattutto per l’affidabilità nel trattare
situazioni geometricamente complesse.
La Scheda Requisito cogente 3.6, contenuta nell’Allegato 3 del Regolamento Urbanistico Edilizio, ne propone 3 (Metodo A , B
e C), che sono tuttora pienamente validi e possono quindi essere liberamente utilizzati e ad essi quindi si rimanda.
METODO A:
è applicabile limitatamente al caso di:
 Spazi di forma regolare con profondità, misurata perpendicolarmente al piano della parete finestrata, ≤ a 2,50 volte
l’altezza dal pavimento del punto più alto della superficie trasparente dell’infisso;
 Finestre verticali (a parete).
Disposizione Tecnico Organizzativa n. 25/2014
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METODO B:
metodo informatizzato.
La verifica consiste nel calcolo del FLDm all’interno dell’ambiente considerato mediante l’utilizzo del software “Superlite”
(Predicting Daylighting and Lighting Performance).
Il software è scaricabile gratuitamente al seguente indirizzo:
http://www.tucows.com/thankyou.html?swid=362977
Si tratta di un metodo riconosciuto come altamente affidabile dalla comunità scientifica ed abbondantemente validato da
prove sperimentali.
Il metodo non ha significativi limiti applicativi e può pertanto essere utilizzato nel caso di:
 Spazi di forma sia regolare sia complessa;
 Spazi prospicienti logge, balconi, porticati, ballatoi;
 Qualsiasi tipo di apertura finestrata (finestre verticali, lucernari, ecc.)
Il metodo consente di calcolare il FLDm in qualsiasi condizione di cielo, ai fini della verifica il calcolo va effettuato scegliendo il
cielo coperto CIE standard.
METODO C:
il metodo consente di considerare, oltre alla componente cielo CC (o SC), anche il contributo della luce riflessa dall’esterno
ERC e di quella riflessa dall’interno dello spazio considerato IRC e può essere utilizzato per:
 Spazi di forma sia regolare sia complessa;
 Spazi prospicienti logge, balconi, porticati, ballatoi.
Relativamente al metodo B informatizzato, essendo venuta meno l’obbligatorietà dell’utilizzo delle Schede Requisito come
definite dalla Regione Emilia Romagna, si ritiene di consentire l’utilizzo anche di altri software certificati per la
determinazione del FLDm, oltre a quello mindicato nella Scheda Prestazionale R.C. 3.6 dell’Allegato 3 al RUE.
A questo proposito si suggeriscono i seguenti, tutti scaricabili gratuitamente da internet:
Il software VELUX Daylight Visualizer che è in grado di simulare la luce naturale nella sua complessità e in tutte le variabili
correlate. I report forniti consentono di valutare accuratamente la distribuzione della luce negli ambienti e valutarla
qualitativamente. Nella progettazione virtuale degli ambienti il software considera le variabili legate alle forme dell’involucro
e alle specifiche dei materiali impostati. Permette di studiare l’illuminazione considerando tutte le variabili connesse
(ubicazione, orientamento, condizioni temporali, ora del giorno) con l’obiettivo di massimizzare l’apporto di luce naturale
all’interno dell’ambiente confinato.
Oltre agli studi illuminotecnici il software permette di creare immagini ispirative in rendering, utili per avere un’anteprima di
quanto progettato all’interno dell’ambiente. Le textures e le proprietà dei materiali sono personalizzabili per ottenere
molteplici risultati.
Il VELUX Daylight Visualizer oltre a progettare con un proprio formato permette di importare diversi formati da altri software:
tra i più diffusi importa modelli SketchUp (.skp), modelli di Autocad 3D (.dwg, .dxf).
E’ scaricabile all’indirizzo:
http://lucenergia.velux.it/software-velux
La guida del programma è scaricabile all’indirizzo:
http://www.mygreenbuildings.org/2013/02/02/velux-daylight-visualizer-tutorial-calcolo-fattore-medio-luce-diurna.html.
E’ utilizzabile anche un software istituzionale, ovvero quello predisposto dall’Istituto per le Tecnologie della Costruzione del
Consiglio Nazionale delle Ricerche per la Regione Marche, scaricabile all’indirizzo:
http://www.regione.marche.it/Portals/0/ITE/itaca/2011_Fattore_luce_diurna_020511.xls.
Si tratta di un semplice foglio di lavoro Excel.
Oppure anche un software accademico, come quello messo a disposizione dall’Università di Firenze all’indirizzo:
http://www.taed.unifi.it/cellai/Tecnica%20controllo%20ambientale/FLDm.xls.
Anche in questo caso si tratta di un foglio di lavoro Excel.
Oppure ancora il software Dialux, scaricabile all’indirizzo:
http://www.dial.de/DIAL/it/dialux/download.html.
Sviluppato dall’Istituto Tedesco per le Applicazione Illuminotecniche.
Nella sostanza, si lascia al progettista la più ampia discrezionalità nella scelta del software da impiegare, sotto ovviamente la
propria responsabilità professionale.
Disposizione Tecnico Organizzativa n. 25/2014
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PARTICOLARI PRESCRIZIONI PER GLI AMBIENTI LAVORATIVI:
L’articolo 118/V del Regolamento Urbanistico Edilizio detta particolari prescrizioni circa il requisito di illuminazione naturale
per gli ambienti lavorativi.
4
Viene stabilito che i locali appartenenti alle categorie A2-a, A2-b, A2-c, A2-e e A1-b , come definiti all’articolo 68/V del RUE,
ad esclusione degli archivi, devono essere illuminati con luce naturale e devono rispondere a quanto prescritto dal requisito
R.C.3.6. “Illuminazione naturale”, riportato nell’Allegato 3 al RUE.
E’ ora evidente che non essendo più obbligatorio il rispetto di tale requisito per come esso è formulato in Allegato 3 del RUE,
tale riferimento deve essere inteso quale semplice indicazione, da correlare con quanto contenuto nella presente
Disposizione Tecnico Organizzativa.
Almeno il 50% della superficie illuminante deve essere collocata a parete se la restante parte è costituita da lucernari;
almeno il 25% della superficie illuminante deve essere collocata a parete se la restante parte è costituita da aperture a sheed
o a lanterna.
Le superfici vetrate devono avere un coefficiente di trasparenza pari ad almeno 0,7.
Dovranno inoltre essere rispettate le disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 81/20085.
La superficie vetrata dei portoni si computa ai fini del soddisfacimento del requisito della illuminazione naturale, mentre la
superficie aerante naturale minima deve essere assicurata dalla finestratura. Le superfici vetrate devono essere disposte in
modo da garantire un illuminamento uniforme del locale.
E’ ammessa la sola illuminazione artificiale nei seguenti spazi:
a) di circolazione e di collegamento;
4
A1
A2
A3
5
- a) soggiorni, pranzo, cucine abitabili e camere da letto posti in edifici di abitazione sia individuale sia collettiva;
- b) uffici, studi professionali, gabinetti medici, sale di lettura, guardiole di portineria;
- a) negozi di vendita, sale di esposizione, sale di riunione, sale da gioco, palestre pubbliche e private, locali di pubblico ristoro;
- b) laboratori scientifico-tecnici;
- c) officine meccaniche, laboratori e impianti industriali e artigianali, cucine collettive;
- d) parti di autorimesse di uso collettivo, nelle quali vengono effettuate riparazioni, lavaggi, controlli, vendite;
- e) autorimesse di uso collettivo, magazzini, depositi, archivi, dove la permanenza delle persone è prolungata oltre le operazioni di
carico, scarico e pulizia.
- scuole, ospedali, sale cinematografiche o di pubblico spettacolo ecc.
DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008 , n. 81 - Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro
1.10. Illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro
1.10.1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di
lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi
che consentano un'illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori.
1.10.2. Gli impianti di illuminazione dei locali di lavoro e delle vie di circolazione devono essere installati in modo che il tipo d'illuminazione
previsto non rappresenti un rischio di infortunio per i lavoratori.
1.10.3. I luoghi di lavoro nei quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'illuminazione artificiale, devono
disporre di un'illuminazione di sicurezza di sufficiente intensità.
1.10.4. Le superfici vetrate illuminanti ed i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti costantemente in buone condizioni di
pulizia e di efficienza.
1.10.5. Gli ambienti, i posti di lavoro ed i passaggi devono essere illuminati con luce naturale o artificiale in modo da assicurare una
sufficiente visibilità.
1.10.6. Nei casi in cui, per le esigenze tecniche di particolari lavorazioni o procedimenti, non sia possibile illuminare adeguatamente gli
ambienti, i luoghi ed i posti indicati al punto 1.10.5, si devono adottare adeguate misure dirette ad eliminare i rischi derivanti dalla
mancanza e dalla insufficienza della illuminazione.
1.10.7. Illuminazione sussidiaria
1.10.7.1. Negli stabilimenti e negli altri luoghi di lavoro devono esistere mezzi di illuminazione sussidiaria da impiegare in caso di necessità.
1.10.7.2. Detti mezzi devono essere tenuti in posti noti al personale, conservati in costante efficienza ed essere adeguati alle condizioni ed
alle necessità del loro impiego.
1.10.7.3. Quando siano presenti più di 100 lavoratori e la loro uscita all'aperto in condizioni di oscurità non sia sicura ed agevole; quando
l'abbandono imprevedibile ed immediato del governo delle macchine o degli apparecchi sia di pregiudizio per la sicurezza delle persone o
degli impianti; quando si lavorino o siano depositate materie esplodenti o infiammabili, l’illuminazione sussidiaria deve essere fornita con
mezzi di sicurezza atti ad entrare immediatamente in funzione in caso di necessità e a garantire una illuminazione sufficiente per intensità,
durata, per numero e distribuzione delle sorgenti luminose, nei luoghi nei quali la mancanza di illuminazione costituirebbe pericolo. Se detti
mezzi non sono costruiti in modo da entrare automaticamente in funzione, i dispositivi di accensione devono essere a facile portata di mano
e le istruzioni sull'uso dei mezzi stessi devono essere rese manifeste al personale mediante appositi avvisi.
1.10.7.4. L'abbandono dei posti di lavoro e l'uscita all'aperto del personale deve, qualora sia necessario ai fini della sicurezza, essere
disposto prima dell'esaurimento delle fonti della illuminazione sussidiaria.
1.10.8. Ove sia prestabilita la continuazione del lavoro anche in caso di mancanza dell’illuminazione artificiale normale, quella sussidiaria
deve essere fornita da un impianto fisso atto a consentire la prosecuzione del lavoro in condizioni di sufficiente visibilità.
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b) di fruizione per attività secondaria;
c) senza permanenza o con presenza di persone solo saltuaria e temporanea;
d) di attività commerciale, limitatamente alle medie strutture di vendita, centri commerciali e centri commerciali di vicinato;
con esclusione di cucine, laboratori alimentari e simili, a condizione che vi sia una sorgente di luce naturale;
e) pubblici esercizi, a condizione che vi sia una sorgente di luce naturale, con esclusione di cucine, laboratori alimentari e
simili;
f) destinati ad attività lavorative, commerciali, culturali, ricreative e di pubblico spettacolo, che richiedano particolari
condizioni di illuminazione in relazione all’attività e/o alle modalità di esercizio delle stesse;
g) locali interrati e seminterrati.
Si precisa infine che ogni progetto edilizio dovrà riportare sull’elaborato relativo alle piante di progetto, una tabellina, per
ogni locale, articolata come nell’esempio sottostante:
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Esempio di un caso complesso
Il locale è illuminato da 5 aperture, delle quali, 3, che si affacciano al di sotto di un porticato.
Passo 1: determinazione della superficie calpestabile del locale: S = 48,00 mq
Passo 2: determinazione della superficie di incremento di S, limitatamente alle aperture che si affacciano sotto al
portico: S1 = 7,80 mq
Passo 3: determinazione della superficie calpestabile “virtuale” totale: ST = 55,80 mq
Passo 4: determinazione della superficie finestrata “di base” richiesta”: SF =55,8/8 = 6,97 mq (questa non tiene in
conto del fatto che alcune aperture si affacciano al di sotto di un porticato e che pertanto esse vanno
comunque incrementate)
Passo 5: determinare la superficie finestrata libera da porticati: SF1 = (1,00 x 1,50) x 2 = 3,00 mq
Passo 6: determinare la superficie finestrata “di base” interessata da porticati: SF2 = 6,97 – 3,00 = 3,97 mq
Passo 7: determinare l’incremento da assegnare a SF2 secondo il metodo illustrato a pag. 8:
∆SF2 = [(300 – 100)/5] x 0,05 = 2,00 mq
Passo 8: determinare SF2 finale incrementata = SF2 + ∆SF2 = 5,97 mq
questa è la superficie finestrata minima che deve essere collocata al di sotto del porticato
Il metodo di calcolo descritto sopra resta valido anche nel caso in cui la profondità del locale rispetto alla superficie
finestrata sia > 2,50 volte l’altezza dell’architrave della finestra; in tali casi andrà aumentata SF finale
incrementata relativa alla parete interessata, di un ulteriore valore ed in funzione della profondità del locale,
secondo l’esempio riportato a pagina 10.
Castel San Giovanni, martedì 6 maggio 2014
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– Sportello Unico dell’Edilizia del Comune di Castel San Giovanni. Ogni duplicazione del documento originale, anch’essa sottoscritta con firma digitale, costituisce originale. Ogni rappresentazione cartacea del
presente documento non costituisce originale.
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