Scarica la versione PDF in OpenAccess
Transcript
Scarica la versione PDF in OpenAccess
David Pontille è ricercatore al CNRS. Insieme a Jérôme Denis e Philippe Artières cura il blog scriptopolis.fr. Jérôme Denis è Maître de Conférences in sociologia all’università Télécom ParisTech. Nel mondo della segnaletica La segnaletica non è solo una questione di strategia e di principi. La sua riuscita, ovvero la sua capacità di trasformare lo spazio in un ambiente ibrido dotato di un proprio sistema grafico di ordinamento, si fonda sull’accessibilità permanente degli elementi che la compongono. A differenza di altri tipi di scritto, che possono essere archiviati e conservati al riparo tra due usi successivi, i moduli grafici della segnaletica non valgono che in quanto esposti. L’esposizione, che è la loro forza, è però anche la loro debolezza, la loro fragilità. La felicità del funzionamento della segnaletica dipende da varie attività che fanno vivere giorno dopo giorno il dispositivo. Jérôme Denis David Pontille ISBN 978-88-904295-5-2 € 20 nel mondo della segnaletica L’ecologia grafica degli spazi del metrò Jérôme Denis David Pontille prefazione di Madeleine Akrich Nel mondo della segnaletica. L’ecologia grafica dei corridoi del metro / Jérôme Denis e David Pontille ISBN 978-88-904295-5-2 published under CreativeCommons licence 3.0 by professionaldreamers, 2011 Edizione originale : Petite sociologie de la signalétique. Les coulisses des panneaux du métro, © Presses des Mines, Paris, 2010. Un ringraziamento particolare a Silvia Dekorsy per aver facilitato il processo di acquisizione dei diritti di traduzione. Traduzione | Andrea Mubi Brighenti Revisione | Giovanna Sonda Immagini | Jérôme Denis e David Pontille professionaldreamers is a small, independent publisher that collects and promotes essays on space and society. It aims to publish high quality, original books from a variety of disciplines, including sociology, anthropology, geography, urban studies, architecture, landscape design, cultural studies, criminology, literary studies and philosophy. professionaldreamers has an international advisory board. All received manuscripts are anonymously peerreviewed by at least two external reviewers. www.professionaldreamers.net Jérôme Denis e David Pontille Nel mondo della segnaletica L’ecologia grafica degli spazi del metrò prefazione di Madeleine Akrich indice prefazione, di Madeleine Akrich introduzione Tutti i sostegni di un mondo mobile Metti un giorno un pannello... Ecologia e pragmatica delle scritte esposte Due etnografi nel metrò 17 20 22 Capitolo 1 Un dispositivo grafico per i servizi di trasporto La trasformazione grafica dell’informazione ai viaggiatori Le innovazioni della segnaletica Informazioni ai viaggiatori e scritte esposte L’utente preso in considerazione: il servizio pubblico e la segnaletica Conclusione: intelligibilità ed ecologia grafica 25 30 32 33 36 Capitolo 2 Il lavoro della segnaletica L’organizzazione formale delle attività Un lavoro interstiziale Conclusione: l’altra faccia dell’ecologia grafica 40 43 54 Capitolo 3 Equipaggiare i viaggiatori Script e posture: dalla concezione all’uso L’informazione La pianificazione La risoluzione dei problemi La reazione Conclusione: spazi pubblici, accessibilità e diversità 60 81 83 86 88 90 Capitolo 4 Il posizionamento delle scritte Dal posto al posizionamento Misurare i luoghi Mettere alla prova gli artefatti grafici 96 99 103 5 Esplorare l’ecologia grafica Conclusione: il posizionamento e le sue prospettive 106 111 Capitolo 5 La manutenzione dell’ambiente Sulla scia dei pannelli Artigiani dello scritto I trucchi del mestiere Dalla manutenzione alla “mantenibilità” Conclusione: manutenzione e materialità 117 119 121 123 124 Conclusione S egnaletica, azione e spazi pubblici La materia delle scritte esposte Segnaletica e politica dell’attenzione Ordine grafico e polifonia dei luoghi pubblici bibliografia 6 128 129 132 7 prefazione di Madeleine Akrich Lo ammetto, amo le “piccole” sociologie1. Ed è con vero piacere che mi sono immersa nella lettura di quest’opera di Jérôme Denis e David Pontille. Il famoso detto “il diavolo è nei dettagli” significa in effetti che anche quegli elementi che possono apparirci come insignificanti in realtà “tengono insieme” il mondo che ci circonda non meno di ciò che siamo soliti considerare importante – o, detto altrimenti, che il “piccolo” e il “grande” esistono sempre in un rapporto di reciprocità e d’interdipendenza. Che sarebbe infatti il metrò di Parigi senza gli innumerevoli supporti che indicano i nomi delle stazioni, le posizionano su carte o su tracciati, orientano i viaggiatori verso le altre linee e li dirigono verso le uscite? E senza un lavoro “dietro le quinte” che consiste nella realizzazione dei cartelli, nel loro posizionamento e nel controllo del buon funzionamento della segnaletica? Queste sono, in primo luogo, le questioni che i due autori ci invitano ad affrontare. Nel rispondervi, essi ci mostrano che tutte queste operazioni implicano non soltanto una competenza tecnica – pure, come vedremo, cruciale – ma altresì traducono e rendono attiva una visione dell’impresa RATP2 nelle sue relazioni con gli utenti. Così, dietro la scelta di uniformare i supporti di metrò, autobus e tram, si è trattato di portare la multimodalità al cuore dell’organizzazione: quest’ultima non si pensa più semplicemente come gestionaria di un parco veicoli, ma come “operatore di servizio a sostegno della persona mobile”. L’espressione può far sorridere, ma essa segna nondimeno una riconcettualizzazione radicale delle finalità della RATP, di cui la “piccola” segnaletica si fa strumento. Parallelamente, centrando la propria azione sull’utente, la RATP è spinta a cambiare il modo stesso di concepire la sicurezza e di conseguenza anche i vincoli che pesano sulla segnaletica. Fin dall’inizio infatti la segnaletica era implicata nella gestione della sicurezza, ma quest’ultima era intesa essenzialmente come la capacità di evacuare rapidamente le persone in caso 1 Il titolo originale dell’opera presente è, per l’appunto, Petite sociologie de la signalétique. (N.d.T.) 2 Régie Autonome des Transports Parisiens, la società che gestisce gran parte di trasporti pubblici a Paris e nell’Île-de-France. (N.d.T.) 9 di pericolo. Nel metrò di oggi, invece, la sicurezza diviene una sensazione dell’utente che va preservata in ogni circostanza. In questa nuova politica, la gestione dello spazio diviene un elemento centrale: l’omogeneità, la leggibilità, la capacità di fluidificare la circolazione dei viaggiatori attraverso informazioni affidabili e percepibili in modo quasi istantaneo, l’attenzione a limitare o eliminare incertezze e inquietudini sono tutti elementi che, contribuendo al lavoro di securitizzazione, risultano cruciali nella concezione della segnaletica attuale. In modo originale, poi, gli autori attirano la nostra attenzione sul fatto che la segnaletica diviene una posta in gioco anche per tutto un insieme di attori esterni alla RATP. Le relazioni che lo spazio del metrò intrattiene con lo spazio della città sono state enfatizzate già dalla fine degli anni Sessanta, quando decine di stazioni sono state arredate specificamente in riferimento a un ambiente museale (Louvre, Arts-et-Métiers, Varenne per il museo Rodin, Pont Neuf per la Zecca di Paris…) o storico (Concorde, Cluny-La Sorbonne, Bastille, Saint Germain des Près, Pasteur, Carrefour Pleyel). L’attenzione per la “persona mobile”, che la RATP si propone di accompagnare nei suoi spostamenti, ha condotto a rafforzare questo tessuto di relazioni, soprattutto attraverso l’enfatizzazione dei punti di interesse. Allo stesso tempo, però, si è posta la questione della definizione di tali punti di interesse, suscitando naturalmente una forte competizione: una moltitudine di partiti presi ha cercato di far valere il proprio punto di vista su ciò che conta. Per contenere la minaccia di un’esplosione che fa pesare sulla segnaletica l’espressione di così tanti interessi, la RATP ha dovuto dotarsi di una sorta di norma, una “guida delle denominazioni” che enuncia i principi generali rispetto ai quali ogni domanda sarà accolta o, come nella stragrande maggior parte dei casi, rifiutata. Uno dei meriti del lavoro di Jérôme Denis e David Pontille è proprio di mostrarci fino a che punto la questione della segnaletica sia indissociabile da simili poste in gioco di tipo politico, in senso ampio del termine, e come la forma stessa che la segnaletica ha preso in questi ultimi anni vada compresa in relazione a tali sfide. In modo forse ancor più originale, combinando gli apporti analitici dell’analisi degli spazi pubblici, della sociologia urbana della Scuola di Chicago, della sociologia delle tecniche e dell’analisi dell’azione situata, il libro ci mostra la complessità delle operazioni che consentono alla segnaletica di fare e di far fare: in questo senso, la loro non è soltanto una “piccola” sociologia quanto sopratutto una sociologia delle “piccole” cose – dei semplici pannelli metallici – e delle “piccole” persone – degli agenti di manutenzione quasi invisibili nella enorme macchina aziendale della RATP – che li eleva a dignità restituendo loro spessore e complessità. La nozione di ecologia grafica occupa uno spazio centrale nell’interpretazione proposta dagli autori, in quanto essa consente di illuminare le dinamiche di competizione/collaborazione nelle quali la segnaletica si trova presa: competizione esterna, con elementi quali la pubblicità e altri elementi grafico-semiotici che compongono – nel senso forte del termine 10 |prefazione| – lo spazio del metrò; ma anche competizione interna, come abbiamo visto nel caso della questione di selezionare gli oggetti degni di venire segnalati, e che si estende alla considerazione di una pluralità di utenti differenti. Un’analisi rigorosa consente poi agli autori di mettere in evidenza quattro figure di utenti ai quali la segnaletica si indirizza: un utente informato, che vuole essere perfettamente autonomo nei propri spostamenti, un utente pianificatore, un utente incerto che occorre rassicurare, un utente reattivo. Il confronto con il metrò di New York mette tuttavia in evidenza la particolarità della scelta parigina di limitare le forme possibili di specificazione degli utenti: mentre la rete di New York considera il multiculturalismo al punto da far variare la lingua dominante in funzione del quartiere, il metrò parigino opta per un modello fortemente universalista. Di nuovo, ci troviamo di fronte alla dimensione politica della segnaletica, relativa a quanto essa sia in grado di assorbire definizioni concorrenti dello spazio urbano e di considerare la molteplicità delle identità. L’ecologia grafica è dunque la sede di un intenso lavoro collaborativo, ed è questo il punto su cui il contributo di questo libro si rivela appassionante. C’è anzitutto una forma di collaborazione tra tutti gli elementi che compongono la segnaletica: attraverso il loro contenuto, il loro stile grafico, la loro configurazione materiale, la scelta del colore, del posizionamento, i diversi pannelli si rispondono – possiamo dire che “collaborano” tra loro e con il loro ambiente. Si ha così l’impressione che lo spazio del metrò palpiti, vibri, tanto esso appare vivificato dalle molteplici corrispondenze tra gli elementi. Ma, per mantenere in vita questo sistema, gli agenti di manutenzione devono svolgere un’attività considerevole e di grande precisione: certo, prima di loro, chi ha concepito l’apparato di normalizzazione ha creato le condizioni minime per tale comunicazione, una sorta di lingua comune. Ma ciò non basta. Un pannello, anche se creato a regola d’arte, non esiste in quanto elemento della segnaletica se la sua inscrizione nello spazio graficosemiotico non è pensata meticolosamente: ed è a questo punto che gli agenti di manutenzione intervengono con le loro competenze specifiche. Si tratta di un lavoro che coinvolge il corpo al fine di declinare l’una dopo l’altra le diverse proprietà dei supporti segnaletici, consentendo di articolare la segnaletica come gestione dello spazio e come equipaggiamento delle persone: questi agenti si situano all’interfaccia tra i pannelli e i loro destinatari, ponendosi come esperti-utenti incaricati di rendere operativi i programmi d’azione previsti. Il lavoro etnografico condotto da Jérôme Denis e David Pontille mette in evidenza tre elementi importanti che illustrano la “performatività” in funzione: • Così come esiste collaborazione dei dispositivi tra loro, allo stesso modo esiste collaborazione degli utenti con i pannelli: l’utente infatti deve riuscire a tradurre il proprio spostamento in modi che trovino rispondenza negli appigli semiotici disponibili, poiché questi gli consentono di concepire e realizzare i propri spostamenti. Consentitemi di fare al proposito un esempio che deriva dall’esperienza personale: leggendo questo libro mi sono resa conto di aver inte- 11 riorizzato solo recentemente i numeri delle linee del metrò, cosa invece assolutamente naturale per la generazione dei miei figli. Prima della riforma della segnaletica descritta dagli autori, le linee del metrò, anche se numerate, venivano indicate soprattutto attraverso i nomi dei loro terminal. Il cambiamento di nominazione ha perciò profondamente trasformato il modo in cui ci si orienta e ci si rappresenta i propri spostamenti. Come si vede, tanto l’azione quanto la cognizione vengono distribuite tra i dispositivi specifici e gli attori. Potremmo quasi parlare di una forma di reciprocità: nel momento in cui l’utente si appoggia sui dispositivi grafici per spostarsi dove vuole andare, i dispositivi si appoggiano sull’utente per mantenere la costante fluidità della circolazione. • La segnaletica offre ben più che un testo da decodificare: nella politica di attenzione messa in gioco, percepire contorni e colori assume un ruolo altrettanto importante che la lettura. • Su queste basi, gli autori elaborano una concezione “ricca” della performatività dei dispositivi, che supera la pragmatica normale del testo scritto andando ad integrare le diverse dimensioni della segnaletica – sia quelle proprie dei pannelli, sia quelle che riguardano la relazione tra un pannello e il suo ambiente. In un certo senso, gli agenti di manutenzione sono incaricati di controllare che un insieme di condizioni di felicità siano riunite affinché il pannello faccia il suo lavoro di informatore, orientatore e regolatore. L’utente ha la sua parte in questo processo, anche se di tutto è stato fatto per adattarsi alla possibile varietà delle sue competenze, a partire dallo stile di carattere, accuratamente concepito per produrre forme riconoscibili anche da viaggiatori abituati a sistemi di trascrizione diversi, fino all’abbinamento cromatico, passando per la numerazione delle linee e per i pittogrammi. Bisogna dire che il dispositivo pare funzionare: nonostante i 27 milioni di visitatori che Parigi attira ogni anno, è raro vedere persone che si fermano a lungo davanti alla segnaletica creando intralcio alla circolazione. Potremmo persino ipotizzare che la cooperazione tra utenti e segnaletica sia più efficace di quella tra sistema di segnalizzazione e conduttori. Questo significa forse che la segnaletica si presenta come un dispositivo “disciplinare”? Gli autori rifiutano una simile interpretazione e promuovono invece una visione attiva dell’utente, tanto più attiva, per la precisione, quanto più si sviluppano i sistemi d’informazione, soprattutto orari, che estendono la capacità di valutazione e pianificazione di cui l’utente stesso dispone. Da questo punto di vista, il libro di Jérôme Denis e David Pontille partecipa a un movimento più ampio nella teoria sociale, che sottolinea le competenze degli utenti: se infatti gli autori hanno scelto di analizzare la segnaletica dal punto di vista dei designer e degli esercenti, ciò non significa affatto che l’utente sia assente. Esso è invece ben presente sia nelle rappresentazioni che i progettisti se ne fanno, sia nel modo in cui essi costruiscono un utente implicito nel proprio sistema. Gli autori del libro ci forniscono così delle 12 |prefazione| chiavi di lettura che ci consentono di analizzare al tempo stesso i dispositivi e le pratiche, con due risultati importanti. Innanzitutto essi “reincantano” per così dire la nostra esperienza quotidiana: l’esperienza dello spostamento urbano diviene più intrigante perché si arricchisce di una forma di riflessività; la comparazione tra i diversi sistemi può risultare persino divertente, poiché – il libro lo mostra molto bene attraverso l’esempio newyorkese – la segnaletica dei trasporti è un ambito in cui si esprimono marcatamente delle differenze che potremmo anche chiamare “culturali” ma che in realtà rinviano a delle scelte politiche in senso lato; si tratta di differenze tanto più comprensibili in quanto si riferiscono ad una base comune definita al tempo stesso da saperi professionali sulla segnaletica e da obiettivi comparabili a un certo grado di generalità. Questa è tra l’altro la ragione per la quale, a Parigi come a Roma, a Bruxelles come a Mosca o a Londra, il libro rimane assolutamente pertinente e chiarificatore. In secondo luogo, l’analisi sviluppata ci fornisce degli strumenti intellettuali che ci consentono di sviluppare una capacità di discussione più ricca e più argomentata, articolando scelte tecniche e scelte politiche, utili infine anche per i progettisti e i manutentori del dispositivo. In tal senso, il libro è un contributo all’esercizio della democrazia tecnica: questo è precisamente l’aspetto che trovo più importante nelle “piccole” sociologie: la loro attenzione verso i dettagli dei concatenamenti della nostra vita quotidiana ci consente di mettere a punto una molteplicità di strategie pratiche per cercare di divenire degli attori sempre più illuminati. 13 introduzione Tutti i sostegni di un mondo mobile L’ipermobilità che caratterizza il capitalismo contemporaneo ha profondamente trasformato gli spazi urbani e gli scambi che vi si svolgono. Rispetto a tali trasformazioni, non è più possibile oggi pretendere di analizzare i luoghi pubblici e le loro forme di socialità dando per scontato la loro dimensione strutturata e preordinata, come è stato per lungo tempo. Dal momento che il flusso di beni e di persone diviene sempre più intenso, numerosi ricercatori riconoscono che i territori non debbono più essere studiati a partire dalle loro caratteristiche fisiche statiche, ma come il risultato di pratiche e di scambi sempre più fluidi1. Un simile cambiamento di prospettiva ha radicalmente trasformato le ricerche urbane, sia in geografia che in sociologia: le città e i luoghi pubblici appaiono come forme mai completamente fisse, disegnate da una molteplicità di reti fisiche e numeriche, umane e tecniche (Kellerman, 2006; Urry, 2007). Questo punto di vista, oggi ampiamente condiviso, ha permesso di rinnovare in profondità gli approcci di ricerca basati su oggetti rigidi, quali ad esempio le comunità e le frontiere. Tuttavia, come hanno sottolineato Amin e Thrift (2002), esso presenta anche il rischio di non farci vedere nella città che un flusso di entità indeterminate, circolanti senza alcun impedimento e soprattutto senza mezzi materiali che assicurino le condizioni stesse di mobilità. Ora, affinché la fluidità possa realizzarsi, sono in realtà necessari degli ancoraggi, dei punti di attacco, degli appoggi. In altri termini, per comprendere questo “paesaggio del movimento” (Amin e Thrift, 2002, p. 99) e per afferrare le condizioni concrete della liquidità delle reti socio-tecniche è importante studiare da vicino i micro-dispositivi che ne costituiscono la forza trainante. Nei luoghi pubblici esiste una quantità di tali oggetti che sono al tempo stesso materiali e informazionali (Latour e Hermant, 1998). Come ha mostrato Simmel (1989), la città è “intellettuale”: essa è popolata tanto di segni e inscrizioni, quanto di “scritte esposte” (Petrucci, 1993) che risalgono a molto prima della comparsa delle tecnologie digitali dell’informazione e della co1 Per esempio Castells, 1989; Kopooma, 2000; Graham e Marvin, 2001; Kaplan e Marzloff, 2009. 15 municazione. Le affissioni, i pannelli, le targhe delle strade, i semafori, i cippi, o ancora le iscrizioni sugli edifici e persino sulla strada sono tutte componenti essenziali per la trama della città, che partecipano a una sua organizzazione complessiva, allo stesso titolo della forma degli edifici e dei tracciati viari. Essi infatti delimitano dei luoghi, identificano delle zone e organizzano la circolazione delle diverse entità che attraversano lo spazio della città. Fra questi innumerevoli tipi di iscrizioni urbane, la segnaletica riveste un ruolo molto particolare nell’organizzazione dello spazio e produce un ambiente ibrido in cui “la distinzione tra l’edificio e i suoi segni, tra il testo e il territorio, diviene fluido” (Fuller 2002, p. 236). In città, per le strade, nei sistemi di trasporto pubblico urbano, la segnaletica è divenuta un oggetto indispensabile. Anche nell’èra della cosiddetta società dell’informazione, questa tecnologia antica resta il supporto indispensabile della mobilità ordinaria. La segnaletica è infatti uno degli strumenti principali della funzione del servizio di trasporto pubblico e partecipa attivamente alla produzione di spazi pubblici accessibili. Ma come studiarla? Esistono diverse possibilità, tra le quali alcune sono state già ampiamente esplorate. Si può ad esempio studiare la segnaletica attraverso la semiotica, ossia come sistema di segni. Da questo punto di vista, essa compone un dispositivo di cui cerchiamo di misurare, per ciascuno dei suoi elementi, le qualità estetiche o funzionali: questo font di carattere è giudicato più leggibile di un altro, tale colore è associato a una data tonalità emotiva, o ancora tale dimensione della scritta risulta più adatta a certo tipo d’azione prevista. Accanto a tale posizione strettamente valutativa, la prospettiva semiotica può anche connotarsi come critica socio-politica. La sovrabbondanza di segni che popolano gli spazi pubblici viene allora presentata come il sintomo di un mondo freddo, in cui le relazioni sono svuotate del loro substrato sociale e i territori perdono il loro spessore simbolico, diventando dei “non-luoghi” (Augé, 1992). Uno sguardo differente consiste nel produrre una critica più raffinata, ispirata alla filosofia foucaultiana. In questo caso, più che un operatore di de-socializzazione, gli oggetti che compongono la segnaletica vengono elevati al rango di dispositivi di governo. La segnaletica viene allora studiata come quell’insieme di elementi prodotti dalle diverse autorità incaricate della gestione dei luoghi (Kellerman, 2008), e ogni suo modulo (pittogrammi, frecce…) appare come uno strumento di disciplina che organizza in un medesimo tempo lo spazio e i suoi abitanti (Fuller, 2002). Tutt’altro punto di vista è quello di prendere in esame gli usi che ne vengono fatti. L’obiettivo allora non è più studiare i segni isolati, ma investigare le relazioni che le persone intrattengono con essi (Sharrock e Anderson, 1979). Questo tipo di ricerca sottolinea generalmente i numerosi aggiustamenti che ogni utilizzatore compie in una specifica situazione. Lo studio delle traiettorie reali, ad esempio, mostra chiaramente il carattere improvvisato dell’attività di orientamento (Lévy, 2001) e il lavoro di bricolage che serve a creare una serie di agganci informazionali eterogenei (Lacoste, 1997). Si tratta ora di controbilanciare la critica foucaultiana: insistendo sui 16 | introduzione | modi in cui gli utenti sbrogliano, articolano e contestualizzano le istruzioni messe a loro disposizione, questi lavori mostrano con precisione che gli utenti non sono poi così disciplinati come farebbero presumere le analisi focalizzate solamente sui dispositivi grafici. Infine, una terza opzione consiste nel recarsi nei corridoi del metrò per osservare il lavoro quotidiano di coloro che concepiscono, organizzano e fabbricano di giorno in giorno la segnaletica, mobilitandosi per così dire in suo nome. Apparentemente meno nobile della prima prospettiva, che si concentrava sulle qualità estetiche e sulle conseguenze politiche di un dispositivo grafico, questa opzione è anche meno gratificante della seconda, aperta a riconoscere l’ingegnosità degli utenti e degli utilizzatori dei luoghi pubblici. Da questo punto di vista, la segnaletica si guadagna un posto nella lista dei soggetti di ricerca senza qualità, “noiosi”, tanto cari a certi sociologi (Star, 2002). Infatti i lavoratori che operano in questo settore rimangono invisibili, come tutti coloro che stanno nella fabbrica delle infrastrutture; e la segnaletica stessa diventa una presenza scontata quanto più essa si integra nei nostri percorsi quotidiani. Ma è proprio per questo che in questo libro, consacrato in particolare al caso del metrò di Parigi, vorremmo scegliere tale opzione e tuffarci nel “dietro le quinte” della segnaletica. La nostra è, in altre parole, una scommessa sull’idea che vi sia molto da apprendere sul mondo in gran parte invisibile che si trova dietro le cartine, i pannelli, i nomi delle stazioni e i numeri delle linee che popolano i corridoi della RATP2. Ora, se molto è già stato detto sul design di tale segnaletica e sugli usi che i viaggiatori ne fanno, non sappiamo praticamente nulla della sua storia, dei principi che hanno guidato la sua concezione, o delle attività ordinarie di manutenzione che assicurano la sua esistenza e il suo funzionamento quotidiano. Metti un giorno un pannello... Per entrare nel vivo del soggetto e per presentare l’organizzazione di questo libro proponiamo di partire da una situazione in cui ci siamo trovati nel corso della nostra ricerca. Anche se di carattere aneddotico, ci sembra che essa metta perfettamente in luce le diverse poste in gioco legate alla presenza della segnaletica negli spazi del metrò. Nel settembre 2007, nei corridoi della stazione di Nation a Parigi, si poteva trovare questa iscrizione sul muro di una delle scale che si dipartono da un ampio corridoio centrale per portare alle banchine dei treni (Figura 1). Questa epigrafe rappresenta un vero enigma per più di una ragione. Ognuna delle domande che essa solleva punta in una direzione d’analisi diversa, e per comprendere il funzionamento della segnaletica è necessario seguirle tutte. Soffermiamoci in primo luogo sulla forma. Da un punto di vista strettamente funzionalista, la composizione delle parole e del disegno stupisce. In 2 Régie Autonome des Transports Parisiens, la Società che gestisce la metropolitana di Parigi e una parte dei treni di banlieue. (N.d.T.) 17 fondo, se si trattasse di comunicare solo che bisogna seguire questa scala per raggiungere la banchina della linea 1 in direzione La Défense, una semplice freccia sarebbe stata sufficiente. Possiamo anche spingere un po’ oltre il ragionamento e immaginare che un agente presente in loco possa venire incaricato di guidare verbalmente le persone che si smarriscono a questo incrocio; d’altra parte esiste del personale assunto il cui lavoro quotidiano consiste nella produzione di informazioni per i viaggiatori. Da un punto di vista informazionale, il messaggio sarebbe identico; tuttavia, qui l’iscrizione è di tipo grafico, l’informazione è scritta. Di più, questo scritto viene sottoposto a una messa in forma specifica: la freccia non è del tutto anodina e sia la lettera “M” quanto l’“1” sono contornati da un cerchio. Queste forme fanno pensare che le informazioni grafiche messe a disposizione dei viaggiatori per orientarsi nei corridoi del metrò non siano concepite unicamente come informazioni. Esse sono infatti collocate in un quadro generale che ne definisce i formati di esposizione. Esistono degli standard a cui questa iscrizione cerca di avvicinarsi e ogni pannello segnaletico non può essere compreso che come un elemento di un dispositivo grafico più ampio i cui fondamenti vanno analizzati (capitolo 1). Ma proseguiamo. La cosa più stupefacente forse non è tanto l’aver creato questa indicazione quanto il fatto che un impiegato della RATP si sia messo a produrla. Come si integra questo tipo di attività singolare rispetto alle normali azioni degli agenti della compagnia di trasporto? La stessa cosa avrebbe potuto esser fatta su un pannello pubblicitario? E, più in generale, in che senso la messa a disposizione di diversi supporti per l’orientamento dei viaggiatori fa parte dei compiti di una compagnia il cui core business rimane, ricordiamolo, lo spostamento fisico delle persone da un punto all’altro della città? Detto altrimenti, di che quadro professionale e organizzativo è manifestazione questa iscrizione? Se scartiamo l’ipotesi di un’azione isolata effettuata da una persona atipica all’interno dell’azienda, la stessa presenza di una scritta del genere presuppone un lavoro di sensibilizzazione all’importanza non solo delle informazioni da esporre nei luoghi di trasporto, ma anche della loro forma. Questa iscrizione testimonia allo stesso tempo di una dinamica organizzativa che assicura al dispositivo della segnaletica un certo luogo all’interno delle finalità dell’azienda attraverso diverse forme di allineamento delle persone che sono invitate a prenderne nota (capitolo 2). Torniamo alla scritta. Certo, essa potrebbe anche non esserci; ma cosa accadrebbe in questo caso? Senza dubbio una parte dei viaggiatori che passano di lì tutti i giorni non se ne accorgerebbe. Ma che dire di tutti gli altri? Questa semplice iscrizione mostra la forza dell’intero sistema del dispositivo segnaletico, che equipaggia gli spazi con un gran numero di aiuti all’orientamento. Grazie alla segnaletica i viaggiatori dispongono di un ambiente grafico sul quale possono contare e servendosi del quale devono poter compiere i loro spostamenti anche senza essere degli habitué della rete o senza aver appreso a memoria la mappa prima di avventurarsi nei corridoi. Tale offerta informativa non ha nulla di neutro: essa presuppone 18 | introduzione | infatti un numero di operazioni da parte degli utenti che includono, a livello minimo, una precisa sensibilità a “forme” che indirizzano i viaggiatori. La concezione della segnaletica prevede dei tipi di utilizzo che si traducono di caso in caso in differenti modi di relazionarsi con l’ambiente grafico nel quale i viaggiatori si muovono (capitolo 3). D’altra parte, per assicurare il proprio ruolo guida, questa iscrizione non è stata posta su un muro a caso. La freccia non sarebbe stata utilizzabile se essa non avesse puntato in una direzione praticabile, creando uno spazio che conduce verso la banchina dove si fermano i treni che partono in direzione de La Défense. La cosa è evidente ma, ancora una volta, una prospettiva strettamente informazionale non sarebbe in grado di renderne conto. Il dispositivo della segnaletica presuppone che ogni elemento che la compone venga disposto in modo adatto, vale a dire che si trovi nel luogo adeguato. Il processo di istallazione dei pannelli nelle stazioni è il momento in cui tale questione diviene particolarmente saliente. E la questione va risolta pragmaticamente. Essa comporta insomma un vero e proprio lavoro di collocazione che implica delle valutazioni difficili e dei saperi situati, essenziali a rendere operativi dei principi e delle regole che definiscono la segnaletica (capitolo 4). Infine, rispetto all’assenza dell’iscrizione ufficiale, in questo caso si evidenzia chiaramente un’altra assenza, quella del pannello stesso. La sua sostituzione con una scritta ci invita a ritornare sul lavoro del suo autore. Un tale lavoro presuppone due azioni successive: in primo luogo una sorveglianza di routine della rete, che permette di diagnosticare la scomparsa del pannello e, in secondo luogo, il disegno di una scritta sostitutiva. Nell’azienda, la persona che svolge questi compiti riveste un ruolo primario per la manutenzione del dispositivo segnaletico, anche se molto meno riconosciuto di quello di designer e teorici. Se è vero che la segnaletica è fatta di artefatti grafici, ben più stabili degli annunci vocali che devono essere ripetuti costantemente per assicurarsi che non vadano perduti, a ben vedere essa non è meno fragile. Un pannello, per quanto sia solido, non è mai installato una volta per tutte. Se consideriamo l’intera rete della RATP e le sue oltre trecento stazioni, la cosa non può essere data per scontata. Di giorno in giorno, la segnaletica deve funzionare come dispositivo grafico completo che equipaggia lo spazio attraversato dai viaggiatori, nonostante i possibili furti, alterazioni del tempo o incidenti. L’iscrizione di tipo provvisorio ne è un chiaro esempio: la segnaletica deve la propria presenza permanente, nei corridoi e sulle banchine, a una serie di operazioni materiali di riparazione e manutenzione che richiede delle iniziative e delle competenze poco documentate nel caso delle scritte (capitolo 5). Ecco dunque in breve le piste principali lungo le quali si sviluppa il presente libro. Si tratta di piste strettamente legate agli elementi empirici che abbiamo raccolto durante la nostra ricerca – come sottolinea la nostra scelta di prendere un’iscrizione come punto di partenza – ma che entrano anche in risonanza con un certo numero di discussioni teoriche a cui vorremmo contribuire. 19 Ecologia e pragmatica delle scritte esposte Prima di entrare nel vivo dell’argomento, possiamo cercare di mettere a fuoco tre dimensioni che definiscono chiaramente il nostro oggetto di ricerca. La segnaletica costituisce anzitutto un insieme di scritte. Esse ci forniscono dunque l’occasione per interrogare le condizioni di messa in atto e di manutenzione degli artefatti grafici destinati a venire esposti in un luogo pubblico. E, se qui si tratta in particolare dei corridoi del metrò, non dimentichiamo che il nostro quotidiano è popolato di scritte affisse su cui possiamo contare in qualsiasi momento per orientare la nostra azione. Esse rappresentano una posta in gioco politica di primaria importanza in un mondo che ci si presenta trasformato tanto dal punto di vista delle pratiche della mobilità quanto dal punto di vista dell’equipaggiamento informazionale che lo compone. Ci avvicineremo a questo tipo di scritte da una prospettiva ecologica, ovvero saremo particolarmente sensibili alla loro dimensione ambientale. Anzitutto perché, come abbiamo già iniziato a osservare, le diverse componenti della segnaletica producono un ambiente messo a disposizione dei viaggiatori. Ma, più in generale, anche perché la segnaletica non è che un dispositivo grafico tra gli altri presenti nei luoghi pubblici. La sua messa in atto presuppone delle forme di cooperazione e di competizione tra tipi di scritte che cercheremo di specificare. Da ultimo, il nostro accostamento è di tipo pragmatista: cercheremo di comprendere le modalità d’agire con e attraverso le scritte. Tale prospettiva ci separa chiaramente dalle problematiche della semiotica, che di solito esamina i dispositivi “a riposo” per così dire, cercando di estrarne le dimensioni intrinseche. Ma ci separa anche alla moltitudine di analisi che si focalizzano sugli utenti, vale a dire sulle condizioni di ricezione o di utilizzo delle scritte intese come risorse tra le altre, anche molto diverse, che sono presenti nel corso dell’azione. La nostra ricerca si concentra piuttosto sugli ideatori, così come, più generalmente, su tutti coloro che cercano di delegare a dei dispositivi grafici delle forme d’azione. Questa pragmatica della scritta esposta ci invita d’altronde anche a fare attenzione alla riflessività degli attori che studiamo e, in particolare, ai loro modi di prendere in considerazione i punti di forza e quelli di debolezza delle scritte stesse. Rispetto a questi attori noi intendiamo adottare una posizione molto modesta, in quanto non pretendiamo di contrapporre alle loro teorie sulla scrittura delle altre che ci paiono più giuste o più fondate. Al contrario, il nostro fine è di comprendere come e a che titolo la scrittura possa essere intesa come strumento d’ azione. Adottando tale obiettivo, la nostra ambizione è dunque quella di sviluppare un accostamento ecologico all’agire scritturale. Questo programma di ricerca ci condurrà ad incrociare autori appartenenti a diverse correnti. Tra di essi, alcuni ci forniranno l’impalcatura teorica per le nostre analisi, e con essi torneremo a più riprese a discutere durante il nostro percorso, confrontando le loro asserzioni teoriche con i nostri risultati di ricerca. Un primo asse si articola intorno alla questione degli spazi pubblici. In generale, il nostro studio della segnaletica si inscrive in un linea di ricerca che esamina le trasformazioni dei luoghi pubblici (Lash e Urry, 1994) e delle 20 | introduzione | forme di mobilità (Urry, 2007). In particolar modo questo filone intende la questione dello spazio pubblico in termini di accessibilità, di cui Joseph, che resterà un punto di riferimento per tutto il nostro percorso di analisi, ha ben mostrato l’importanza (Joseph, 2007). Per affrontare questo genere di questioni utilizzeremo anche le analisi di Petrucci (1993) a proposito delle scritte esposte. Esse ci saranno particolarmente utili per afferrare le dimensioni strategiche e politiche della segnaletica. In quanto forme di scrittura esposta, i moduli della segnaletica non possono venire ridotti alle loro semplici dimensioni funzionali più visibili. Infatti la loro installazione implica un inquadramento dei luoghi e dei loro abitanti che rinvia a un programma di organizzazione grafica dello spazio. Il secondo asse teorico che seguiremo si rivolge in modo prioritario alla problematica dell’azione, o più esattamente della agency, e della sua composizione socio-tecnica. Faremo così regolarmente ricorso alle analisi di Latour nei suoi aspetti più foucaultiani, così come in senso più lato ai lavori dell’antropologia della scienza e della tecnica (Akrich, 2006; Latour, 1993a; 1994). Tutti questi lavori hanno insistito, tra l’altro, sulla dimensione politica delle innovazioni tecniche e degli artefatti, mostrando come essi siano sempre portatori di prescrizioni rivolte agli utenti – prescrizioni che, pur nella loro flessibilità, partecipano attivamente alla definizione dei luoghi e dei formati d’azione accettabili. Questa corrente di ricerca si rivela particolarmente utile in quanto analizza specificamente i dispositivi grafici. Latour e Akrich hanno utilizzato le nozioni di iscrizione e di script. In tal senso, le loro riflessioni possono essere proficuamente messe a confronto con le recenti evoluzioni dell’antropologia della scrittura, ambito in cui Fraenkel (2006; 2007) ha iniziato una riflessione approfondita sulla performatività del testo scritto. Unendo questi due punti di vista, potremo specificare le forme d’azione della segnaletica, applicando così le riflessioni dell’antropologia delle scienze e delle tecniche al caso delle scritture esposte e focalizzando gli interessi dell’antropologia della scrittura sui processi ordinari di governo e di organizzazione grafica. Questo doppio movimento si avvicina alla prospettiva sviluppata da Artières (2007), il quale sostiene l’utilità di osservare il funzionamento dei micro-dispositivi delle pratiche di scrittura. Infine, questa ricerca ci fornisce un caso di studio a partire dal quale provare a sviluppare il concetto di ecologia grafica. Attraverso tale nozione, entriamo gradualmente in relazione con due grandi correnti di ricerca che propongono, ciascuna a proprio modo, una prospettiva ecologica nelle scienze sociali. La prima è costitutiva di un’intera scuola sociologica: si tratta dei numerosi lavori prodotti nell’ambito della scuola di Chicago, che hanno sviluppato uno sguardo sulla città e sulle sue istituzioni sociali come laboratorio naturale della condizione umana (Hughes, 1936; Park, 1936). Poiché la segnaletica non è mai l’unico tipo di scrittura depositata in un ambiente, queste considerazioni ci saranno utili per osservare le forme della competizione territoriale che si possono sviluppare tra i diversi dispositivi grafici e per comprendere le poste in gioco che essi sollevano in termini di regolazione. 21 La seconda prospettiva si focalizza sull’ecologia delle attività, insistendo sulla dimensione situata ed eterogenea delle stesse (Suchman, 1987; Lave, 1988; Hutchins, 1995). Contrariamente alla precedente ecologia, quest’ultima è di tipo essenzialmente cooperativo: le operazioni della vita quotidiana, dalle più ordinarie alle più complesse, si basano sempre su una distribuzione più o meno cosciente di una o più persone e oggetti disponibili nell’ambiente. Da questo punto di vista la segnaletica è doppiamente interessante: anzitutto, essa è esplicitamente concepita come uno strumento di distribuzione dell’azione, su cui i viaggiatori sono invitati a basarsi per effettuare i loro spostamenti. Essa si fonda cioè sulla messa in cooperazione di più moduli grafici pensati nel loro rapporto reciproco. In secondo luogo, essa costituisce un oggetto di ricerca strategico per rimettere in discussione lo sguardo sugli artefatti, soprattutto gli artefatti grafici, che di solito caratterizza questa corrente di studi. Più che osservare le forme di adattamento a degli spazi pre-strutturati, come quelli che Lave (1988) ha chiamato le “arene”, vorremmo mettere in luce i processi che fondano la gestione materiale e politica di tali spazi. La segnaletica, ci sembra, offre l’occasione per far lavorare in modo simultaneo su questi due versanti della nozione di ecologia: versante competitivo e versante cooperativo. Nel corso dell’analisi cercheremo pertanto di mostrare l’interesse che tale articolazione riveste. Due etnografi nel metrò Per afferrare l’oggetto proteiforme della segnaletica abbiamo cercato di raccogliere una varietà di materiali, andando a cercare tanto nei retroscena (l’invenzione della segnaletica, la sua produzione, la sua manutenzione…) quanto nelle stazioni stesse del metrò. Il nostro obiettivo era quello di documentare le numerose forme di organizzazione che la compongono e le diverse scene della sua esposizione. Le nostre ricerche si sono concentrate principalmente sulle diverse attività dei dipartimenti della RATP. Inoltre, durante la ricerca, abbiamo fatto un détour verso la rete del New York City Transit (NYCT) della Metropolitan Transportation Authority (MTA) dello Stato di New York. In tal modo, abbiamo cercato di prendere sul serio i discorsi di coloro che alla RATP citavano il caso newyorkese come contro-esempio del modello segnaletico che essi vorrebbero promuovere. Dall’altro lato, il confronto con New York ci ha permesso di rompere con la nostra eccessiva familiarità nei confronti del metrò parigino. La nostra ricerca si inscrive nel genere della ricerca etnografica e si appoggia a metodi relativamente classici: metodi, oltretutto, quelli dell’intervista e dell’osservazione partecipante, utilizzati insieme. Abbiamo anzitutto condotto una ventina di interviste in profondità con impiegati della RATP e della MTA. Le interviste erano finalizzate a comprendere il ruolo della segnaletica negli ambienti del metrò di osservare l’organizzazione dei dipartimenti aziendali che se ne occupano e l’attività di coloro che vi lavorano. Ciò ci ha consentito di produrre due tipi di informazione: da una parte, dei 22 | introduzione | discorsi elaborati come testimonianze di momenti chiave nella storia del dispositivo, dall’altra delle descrizioni della divisione del lavoro e dei tipi di attività collegate alla segnaletica. Abbiamo anche effettuato una raccolta sistematica di documenti interni negli archivi della compagnia (resoconti dei consigli di amministrazione, documenti programmatici, comunicazioni e stampa interna…) oltre che tra le pratiche ancora in corso (presentazioni, mappe, guide della rete metropolitana, rapporti sul livello di soddisfazione dei viaggiatori e sulla qualità del servizio…) nei dipartimenti interessati. Simili documenti ci sono serviti per ricostruire la dimensione strategica della segnaletica e per identificare le modalità specifiche della sua messa in atto. Abbiamo poi condotto un lavoro di osservazione sistematica accompagnando gli addetti della RATP nelle loro attività quotidiane. Inizialmente ci siamo concentrati sui dipartimenti che seguono il mantenimento della segnaletica. Abbiamo seguito gli agenti per diversi giorni durante le loro uscite per riparare, sostituire e rinnovare i pannelli della rete. Abbiamo anche realizzato delle osservazioni etnografiche nello stabilimento in cui viene materialmente prodotta buona parte dei moduli segnaletici e da cui partono gli ordini alle ditte in subappalto specializzate nella produzione dei laminati catarifrangenti. In un secondo tempo la nostra attenzione si è focalizzata sulle attività degli agenti responsabili delle stazioni, che diagnosticano quotidianamente lo stato della segnaletica e rilevano le anomalie segnalandole ai dipartimenti competenti. Attraverso note di campo, fotografie e registrazioni audio abbiamo cercato di comprendere il più finemente possibile l’ecologia di questi diversi interventi: le loro sequenze di lavoro, i gesti e gli strumenti che sono necessari, tanto quanto le esitazioni e le discussioni degli attori in situazioni specifiche. Infine, la ricerca ci ha fornito l’opportunità di praticare anche un metodo più sperimentale. Per comprendere l’uso della segnaletica, è necessario mettere a fuoco una via d’accesso più specifica di quella dell’utente generico, il quale, come sappiamo, durante i propri percorsi può mettere in gioco risorse eterogenee (Lacoste, 1997; Ingold, 2000). A tal fine abbiamo elaborato una sperimentazione, effettuando una serie di percorsi, anzitutto sulla rete newyorkese e quindi anche a Parigi3. Il nostro obiettivo era quello di mostrare da un punto di vista fenomenologico i modi in cui la segnaletica guida gli spostamenti nello spazio del metrò. Per riuscire nei nostri tragitti, ovvero per spostarci da un punto all’altro della città, dobbiamo seguire unicamente gli elementi della segnaletica, senza preparare il nostro viaggio a priori e senza domandare aiuto sul posto. Queste forme artificiali di percorso avevano per fine quello di isolare il dispositivo dal resto dei mezzi che guidano gli spostamenti degli utenti ordinari, oggi ben noti. Per documentare questa esperienza abbiamo utilizzato la fotografia. Ogni percorso si è sviluppato secondo uno script di “presa di visione” (Suchar, 2007): abbiamo sistematicamente fotografato gli elementi grafici che ab3 Dato che sono stati effettuati in un ambiente che non conoscevamo, i tragitti a New York ci hanno consentito di stabilire un metodo che abbiamo in seguito riprodotto nella rete parigina. 23 biamo utilizzato durante i nostri spostamenti e ogni pannello, ogni insegna o adesivo che abbiamo preso in considerazione per raggiungere la nostra destinazione sono stati oggetto di commenti in un diario di bordo comune. D’altra parte, la significazione stessa di questi elementi, il modo di utilizzarli, sono stati regolarmente oggetto di discussione tra noi. In questi casi abbiamo confrontato sistematicamente le nostre interpretazioni per prendere una decisione: una validazione comune del senso di un pannello era condizione indispensabile per proseguire. Anche questi dibattiti sono stati registrati nel diario di bordo. Un simile tipo di esperimento a due presenta un doppio vantaggio. In primo luogo, l’uso della fotografia si rivela particolarmente prezioso per mettere in atto un’analisi approfondita dei materiali visuali (Wagner 2006). Nel caso della segnaletica, è un modo efficace per mettere sullo stesso livello tutti gli elementi utilizzati in un tragitto e costringersi, in qualità di ricercatori, ad esaminarli uno ad uno. In secondo luogo, il fatto di annotare i nostri commenti e di riunire tutti questi diversi elementi (fotografie, dibattiti e processi di validazione dei dati) in un unico diario di campo condiviso ci ha permesso di esplicitare il processo di interpretazione che sarebbe rimasto implicito qualora l’esperimento fosse stato condotto da una sola persona. Tutto questo materiale eterogeneo verrà utilizzato nel corso del libro, lungo il filo di un’esplorazione dei cinque assi che abbiamo delineato sopra. Nel primo capitolo, riassumeremo le condizioni che segnano la nascita della segnaletica come esiste oggi nei corridoi del metrò di Parigi. Il secondo capitolo sarà consacrato all’organizzazione del lavoro su cui si fonda il dispositivo. In questi due primi capitoli, ci baseremo fondamentalmente su brani di interviste e sui documenti interni. Il terzo capitolo affronterà i principi che stanno al cuore della segnaletica. L’analisi intreccerà dunque strettamente la descrizione delle interviste e dei testi con i risultati dei nostri esperimenti nelle reti di New York e Parigi. Gli ultimi due capitoli si nutriranno soprattutto delle osservazioni dirette effettuate con gli agenti della compagnia, cercando così di mettere in luce le delicate operazioni sulle quali si basano l’installazione e la collocazione dei pannelli segnaletici, per insistere quindi sul ruolo centrale delle attività di riparazione e manutenzione che assicurano ai dispositivi la loro stabilità. 24 |capitolo 1| Capitolo 1 Un dispositivo grafico per i servizi di trasporto La vera posta in gioco rispetto alle nuove missioni delle società di trasporto si evince direttamente dalle richieste iniziali […] produrre allo stesso tempo l’accessibilità, delle offerte specifiche destinate all’utente e un’attenzione civica che si inserisce nei quadri stessi dell’esperienza del viaggiatore, vale a dire nei dispositivi cognitivi pratici che sostengono il viaggio stesso. (Joseph, 2004, p.81) A prima vista la segnaletica potrebbe sembrare un oggetto aneddotico rispetto all’insieme delle attività svolte da un’azienda come la RATP. La presenza della segnaletica negli spazi del metrò va quasi da sé e per questa ragione potremmo dubitare dell’interesse a farne un oggetto di analisi approfondita. Tuttavia, seguendo le principali trasformazioni che hanno condotto alla stabilizzazione di un vero e proprio dispositivo grafico segnaletico, vedremo anzitutto come tali trasformazioni abbiano costituito un momento che ha marcato una svolta politica e organizzativa di grande portata, legata alla creazione di una quattordicesima linea del metrò di Parigi. D’altra parte, la segnaletica ha partecipato ad un movimento ben più vasto di modernizzazione del servizio pubblico, che si è caratterizzato per una sempre maggiore attenzione verso l’esperienza e le attese degli utenti. Le pratiche di comunicazione con i viaggiatori si sono trasformate profondamente, inserendo in questo campo strategico anche le scritte esposte. L’onnipresenza di tali scritte e la loro organizzazione in un sistema normalizzato formano la base di un nuovo tipo di intelligibilità che ridefinisce profondamente l’ecologia grafica dei servizi di trasporto e fornisce agli utenti delle risorse supplementari per i loro spostamenti. La trasformazione grafica dell’informazione ai viaggiatori Le premesse di quella che verrà in seguito chiamata la “modernizzazione” del sistema di trasporto pubblico parigino vanno rintracciate negli anni Settanta, quando nell’ambito della RATP, e in particolare su sollecitazione dei suoi dirigenti, si viene a delineare un primo cambiamento. La società 25 comincia in questo periodo a venire considerata come una vera e propria azienda, che deve fare i conti con dei clienti da soddisfare. Tale cambiamento di prospettive si traduce nell’assunzione di un gruppo di nuovi quadri dirigenti giovani, che va a formare il primo dipartimento di marketing della RATP. Di concerto con la direzione, questo dipartimento mette in opera dei grandi progetti trasversali, tutti rivolti agli utenti. A partire da questo momento, la preoccupazione per il design degli spazi di trasporto diviene prioritaria. Come ci ha spiegato uno dei suoi membri, il fine prioritario della compagnia diviene quello di ideare una strategia generale per “invogliare la gente a tornare di nuovo domani, dunque a utilizzare di nuovo la struttura, e ad acquistare di nuovo il servizio” (L.C., Dipartimento sistemi di informazione e comunicazione). La presenza degli elementi grafici destinati a guidare gli spostamenti dei viaggiatori si integra in queste riflessioni; essi vengono infatti considerati come dei componenti importanti degli spazi che si tratta di reinventare. Già da molto tempo il metrò parigino è dotato di pannelli segnaletici. Dato che ai suoi esordi il trasporto sotterraneo era soggetto a numerosi incidenti a volte gravi1 la preoccupazione prioritaria è sempre stata rivolta alla incolumità fisica dei viaggiatori. Così, un gran numero di pannelli direzionali orientano verso le uscite e sono presenti per assicurare le migliori condizioni possibili in caso di evacuazione. è dunque solo a partire dagli anni Settanta che il metrò accoglie il suo primo sistema completo di segnaletica, destinato a organizzare l’orientamento su tutta la rete. Il sistema fu commissionato al tipografo svizzero Frutiger, il medesimo che realizzò anche la segnaletica dell’aeroporto Roissy Charlesde-Gaulle. Altri progetti sono stati in seguito avviati alla RATP. Tra i principali vi è certamente quello condotto da Tallon nel 1980 per un programma di coordinamento con la SNCF2. Anche se mai completamente implementato, questo programma ha posto le basi per una riflessione approfondita fondata su dei veri e propri principi teorici per la segnaletica del metrò (Tallon e Jeudy, 1977). Il 1989 segna l’inizio di un rinnovamento importante della segnaletica sulla rete degli autobus, che sarà progressivamente ampliato a tutta la rete dell’Île di France. Nella seconda metà degli anni Novanta, poi, viene concepita una nuova segnaletica, sotto la responsabilità di un piccolo gruppo di lavoro pluridisciplinare che raggruppava un esperto di marketing, un cartografo, un tecnico della segnaletica, un architetto e un designer3. Si generalizzano così alcuni principi creati per gli autobus e vengono installati su tutta la linea gli elementi grafici che sono ancora oggi in uso. Quest’ultimo episodio gioca un ruolo importante all’interno di un movimento di trasformazione molto più vasto. Dal punto di vista dell’azienda, esso costituisce il punto di arrivo di un lento processo che a poco a poco ha 1 Come l’incendio di una motrice alla stazione Couronnes che nel 1903 costò la vita a 84 persone. 2 Société Nationale des Chemins di Fer, la società delle ferrovie francesi. (N.d.T.) 3 Altre figure presenti in questo vasto progetto furono quelle degli ingegneri, dei grafici, dei tipografi dei sociologi e dei coloristi. 26 |capitolo 1| posto l’informazione agli utenti come una preoccupazione di primo piano. Ma fa anche parte di una metamorfosi persino più radicale. L’anno in cui fu lanciata la nuova segnaletica è anche quello dell’inaugurazione della linea 14 e dell’avvio di un vasto programma di rinnovamento di due terzi delle stazioni della rete, al ritmo di una trentina all’anno. La svolta della linea 14 Come in molti altri campi dell’impresa (Joseph, 2004), il progetto Météor4 ha contribuito a un ripensamento profondo del ruolo e della forma degli elementi grafici dell’intera rete. Inizialmente la segnaletica non era direttamente coinvolta nelle trasformazioni che il progetto della nuova linea avrebbe introdotto nella gestione dello spazio. Le stazioni di Météor avrebbero dovuto essere dotate degli stessi moduli grafici già presenti; ma al momento degli studi preliminari i moduli segnaletici standard non si inserivano facilmente nei nuovi spazi pensati per Météor. Così, proprio mentre Météor arrivava sulla linea 14 con spazi nuovi e nuovi standard di qualità che rendevano possibile degli spazi qualitativamente migliori a prezzi comparabili, i dirigenti della compagnia si dissero: “Non è possibile conservare la segnaletica di prima. Se la applichiamo come se nulla fosse sarebbe un disastro”. Ed è da questa consapevolezza che è nata la motivazione a fare degli studi sui nuovi interni. (Q.W., Dipartimento cartografico) In un progetto di tipo tradizionale, una semplice difficoltà a integrare il vecchio sistema segnaletico non avrebbe mai condotto a una sua radicale messa in discussione. Ma i drastici cambiamenti legati a Météor permisero di avviare una serie di ricerche concatenate per precisare e generalizzare l’intuizione iniziale. Inizialmente ci si focalizzò sulla questione della diversità dei supporti e dei formati dell’informazione. Il sistema segnaletico in vigore venne giudicato troppo eterogeneo e incoerente. Vennero rilevate numerose incoerenze nel modo di scrivere e presentare le informazioni, non solo attraverso spazi diversi – che sono ad ogni modo comunicanti – ma anche all’interno del medesimo spazio, con la presenza di targhe differenti e così via. Ci si rese conto di numerose cose che non funzionavano e ci si mise a lavorare ad un’alternativa globale. (Q.W., Dipartimento di cartografia) Ci si propose dunque di equipaggiare gli spazi di Météor di una segnaletica interamente ripensata e ordinata. Ma nel frattempo lo stesso progetto Météor assunse una nuova dimensione. Non si trattava più, per la RATP, di offrire ai viaggiatori (e di presentare ai propri operatori) un nuovo modo di trasporto, ma una linea aggiuntiva della rete. A tali condizioni diveniva complicato limitare il progetto della nuova segnaletica a quella sola linea. 4 Acronimo di “METro Est-Ouest Rapide”, nome del progetto che ha portato alla costruzione della linea 14. (N.d.T.) 27 Divenne molto presto chiaro che sarebbe stato difficile concepire un sistema di segnaletica per Météor distinto dal resto del metro. La RATP aveva la volontà di fare di Météor la linea 14 della rete del metrò, che fosse insieme anche una prefigurazione dell’evoluzione del metrò di domani, e non una nuova linea sui generis. La segnaletica di Météor e della restante quindicina di linee di metrò doveva dunque essere uguale o, in ogni caso, decisamente coerente. Il progetto della nuova segnaletica per Météor divenne così insieme quello del metrò e del RER. (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p.4) Il progetto di rinnovamento completo della segnaletica ha così approfittato delle occasioni create dall’ampiezza e dall’ambizione del progetto Météor. Quando quest’ultimo è stato integrato alla rete, di cui la linea 14 è divenuta parte esemplare, vera vetrina di un nuovo modo di immaginare l’offerta di trasporto, l’équipe dirigente contava chiaramente di creare un processo irreversibile di profonde trasformazioni. In questo “sperato contagio della linea 14 a tutta la rete” (Joseph 2004, p. 86) il primo progetto, quello con maggiore risonanza mediatica, riguardava l’automatizzazione delle linee stesse. Su questo punto, il tornante immaginato non ha veramente preso piede. Infatti ad oggi solo la linea 1 è in corso di automatizzazione e la sua completa entrata in servizio è prevista per il 2012. La linea 14 è rimasta, da questo punto di vista, una piccola nicchia organizzativa. Al contrario, dal punto di vista degli spazi dei viaggiatori, l’effetto di contagio è riuscito. La qualità dei luoghi, la loro pulizia e manutenzione sono divenute degli obiettivi da raggiungere su tutta la rete. Il rinnovamento dell’insieme della segnaletica partecipa pienamente a questa strategia, così come il programma di rinnovamento delle stazioni, intitolato appunto “rinnovamento del metro” (RNM). Le caratteristiche della linea 14 hanno posto dei criteri di qualità che il grande rinnovamento messo in atto dal progetto ha consentito di attuare. La posizione che si cercò di passare fu dunque: “Non possiamo fare una linea magnifica e lasciare tutti gli altri spazi a zero”. Alla fine si è tutto messo in moto attraverso il “rinnovamento del metro”. In effetti c’era una punta, il magnifico [Météor], e poi dall’altra degli spazi variegati. Questo non era più ammissibile […] Senza Météor forse non avremmo mai osato intraprendere degli studi che sarebbero giunti alla conclusione a cui siamo giunti: “occorre uniformare tutto”. Ci avrebbero preso per dei pazzi. Perché bisogna immaginarsi i costi esorbitanti dell’operazione, pannelli e tutto quanto; talmente mostruosi che non avremmo mai osato sperarci. Grazie a Météor, abbiamo osato, ecco. (Q.W., Dipartimento di cartografia) L’interdipendenza dei progetti tra loro è una dimensione essenziale per comprendere la maniera in cui dei lavori così importanti si sono potuti mettere in opera a partire da Météor. Il programma RNM risulta così strettamente legato al progetto della nuova segnaletica. Per afferrarne la natura, non bisogna fermarsi alle scosse di assestamento post-Météor. 28 |capitolo 1| Come per il design delle stazioni della nuova linea, il progetto di rinnovamento di un gran numero di stazioni della rete deriva direttamente da un movimento di modernizzazione degli spazi che cerca di rispondere alle preoccupazioni securitarie e sanitarie che hanno presieduto alla gestione degli spazi del metrò per molti anni (Kokoreff, 1992). Gli obiettivi che li definiscono si sono tradotti nei termini di “chiarezza” e di “pulizia”. La scommessa era quella di far fronte a “la diversità e il sovraccarico visuale degli spazi pubblici del metro” (Arrighi, 2001, p. 23). Tra le operazioni più ambiziose ci sono la generalizzazione della piastrellatura bianca (che in alcuni casi era stata rimossa a seguito del programma “Motte”, altro progetto di rinnovamento risalente agli anni Cinquanta, che cercava di addobbare i muri delle banchine di alcune stazioni), la copertura dei cavi elettrici, la messa a punto del sistema di illuminazione, la riorganizzazione radicale degli spazi pubblicitari e la messa in primo piano del patrimonio storico. Il programma fu di grande ampiezza e diede luogo ad una strategia esplicita che si tradusse nella redazione di un “codice degli spazi dei viaggiatori” e in una “carta dei principi architettonici” articolata su tre assi principali, tra i quali uno insiste in particolare sulla necessità di “creare delle ambiances” (Arrighi, 2001, p. 26). Con i programmi RNM e Météor, gli spazi del metrò si sono trovati a una svolta. Dopo essere stati oggetto di un’attenzione essenzialmente sanitaria, sono diventati un nuovo campo di investimento. In questo progetto si ritrovano le preoccupazioni del gruppo di marketing degli anni Settanta che aveva insistito sull’importanza dei luoghi artificiali e sulle possibilità immense che essi rappresentavano per produrre ciò che un membro del gruppo di lavoro definì un “teatro del servizio”. Ma gli ambienti che si trattava di creare allora erano basati su un vocabolario igienista di “lotta contro il sentimento di insicurezza” (Kokoreff, 1992). In altre parole, gli spazi dovevano essere messi in ordine: e fu su questo punto in particolare che i due progetti di rinnovamento della segnaletica e degli spazi si incontrarono. Alla base della nuova segnaletica, si trovavano le riflessioni iniziali di Roger Tallon, che sin dagli anni Settanta aveva rivendicato esplicitamente la necessità di meglio teorizzare questo ambito5. I principi del suo programma teorico ruotano intorno alla coerenza della comunicazione grafica e della strutturazione del sistema dei segnali. Essi coincidono insomma con quegli obiettivi di chiarezza e di pulizia che guidavano il programma di rinnovamento degli spazi. La segnaletica ripensata fu a volte presentata come l’ossatura possibile delle nuove stazioni, e la sua messa in atto è stata considerata come “il programma di base attorno al quale si organizza la messa in scena del luogo” (Feignier, 2002, p. 16). Dunque sia nel progetto Météor sia nel progetto di rinnovamento delle stazioni la segnaletica è stata al centro di profonde trasformazioni che hanno coinvolto la RATP negli ultimi quindici anni. Nel primo caso, queste trasformazioni sono state un’emanazione diretta e una conseguenza di un confronto tra gli antichi elementi grafici e gli spazi interamente ripensati. 5 “Manca una teoria”, scriveva infatti Tallon nel 1977 (Tallon e Jeudy, 1977, p. 34). 29 Nel secondo caso, esse si sono poste nel tracciato già consolidato di un programma generale di riordinamento. Ma quali sono le caratteristiche specifiche di questa nuova segnaletica, la cui concezione e installazione hanno giocato un ruolo così importante? Le innovazioni della segnaletica Il progetto di nuova segnaletica messo in atto alla fine degli anni Novanta ha introdotto due cambiamenti principali che si sono presentati come momenti di rottura: il principio della multimodalità generalizzata e un’accurata normalizzazione. La multimodalità come principio organizzatore In quel periodo, la possibilità di passare da una rete di trasporti all’altra è divenuta questione particolarmente sensibile. Essa si è cristallizzata, come detto, nel concetto di multimodalità, che consiste nell’“ottimizzare l’accesso e le corrispondenze, migliorare il sistema d’informazione e l’orientamento spaziale […] gestire lo spazio per aumentare la sicurezza e creare un’atmosfera conviviale” (Amar 2001, p. 7). Sino a quel momento, ad ogni ampliamento della rete e a ogni passaggio multimodale dei viaggiatori, questi ultimi si trovavano a confrontarsi con l’aggiunta in uno stesso luogo di strati successivi di mezzi di trasporto e di informazioni monomodali giustapposte nel bene o nel male le une accanto alle altre. Fino all’inizio degli anni Novanta, le reti avevano ciascuna una propria segnaletica: font di caratteri di famiglie diverse (Helvetica per l’autobus, Univers per il metrò e Formula one per il RER), frecce differenti, impaginazioni disomogenee e così via. (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p. 4-5)6 Certe stazioni si presentavano così come “un insieme incoerente che soffriva di diversi difetti di qualità, fornendo un’impressione labirintica e generando di conseguenza sensazioni di incertezza e insicurezza” (Amar, 2001, p. 6). La sfida è stata quella di ripensare al tempo stesso l’organizzazione dei luoghi e le informazioni in una composizione coerente e gerarchica, questione centrale per la costituzione di poli multimodali. è il caso ad esempio di La Défense, piccola stazione di banlieue fino agli anni Cinquanta, che ha visto moltiplicarsi le fermate degli autobus negli anni Sessanta, l’impianto del RER negli anni Settanta, lo sviluppo di una stazione vera e propria negli anni Ottanta e l’arrivo del metrò nel 1992. Infine, un progetto di grande ampiezza lanciato nel 1993 ha trasformato questo luogo in un vero e proprio nodo di rete multimodale e multiservizio. La riuscita della multimodalità passa per la formazione di una segnaletica condivisa, armonizzata tra le diverse modalità di trasporto. Il rinnovamen6 In quel periodo, nel metrò c’era dunque “Metro”, un font ispirato a Univers e disegnato specificamente da Adrian Frutiger. 30 |capitolo 1| to della segnaletica della rete dei bus, iniziata all’inizio degli anni Novanta con il programma “Autrement Bus”, fu cruciale per questo movimento verso l’unificazione. Fu durante questo periodo infatti che il colore blu viene adottato come colore di base, avviando un processo di riordino grafico di numerosi supporti d’informazione secondo una logica coerente e che si stabilizza l’uso dei diversi codici di colore per rappresentare la linea. Come si trova documentato nel rapporto di un consiglio di amministrazione dell’azienda in parte dedicato all’offerta multimodale, queste misure hanno cercato di: Rendere coerente tutta la catena di informazioni per facilitare l’utilizzazione dei diversi modi di trasporto e in particolare degli autobus. Facilitare l’uso dell’insieme dell’offerta multimodale e permettere una facilità di spostamento continuo tra diversi modi. (RATP, 1993, p. 7) Ma la nuova segnaletica multimodale va ancora più lontano, uniformando in modo sistematico. Oggi, la segnaletica è la stessa per tutta la rete: metro, bus, RER e tram. I 15 colori definiti per la rete del bus sono applicati anche alla rete del metro. Un unico font di carattere specifico è stato commissionato a J.-F. Porchez (le Parisine), mentre la scritta con “capolettera e corpo minuscolo” è venuta a sostituire l’uso della scritta tutta in maiuscole. Una segnaletica normalizzata Questo vasto progetto non solo risulta originale quanto al suo campo di applicazione, ma si traduce anche nella messa in atto di una norma che rompe con i principi della segnaletica utilizzati sin qui: Per concepire la propria segnaletica la RATP si appoggia [sino ad allora] su poche norme scritte: un documento di qualche pagina scarsa riassume l’insieme delle regole da applicare al metrò e al RER. La normalizzazione ha riguardato dunque soprattutto la centralizzazione, la professionalizzazione, la continuità dei gruppi e la trasmissione essenzialmente orale dei saperi. (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p. 4) Con la segnaletica multimodale, l’impresa si è dotata di un documento che ricorda i grafici estremamente dettagliati che si utilizzano nel campo dell’audiovisivo (Denis, 2002). La compagnia dispone ormai di una raccolta di “norme scritte e complete che coprono la maggior parte delle situazioni sia per l’identificazione sia per le diverse applicazioni legate alle informazioni di sicurezza, di segnalazione delle biglietterie manuali e automatiche, degli ascensori e così via” (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p. 5). Tale documento in tre volumi è stato redatto tra il 1996 e il 2001 e viene regolarmente aggiornato. Il suo contenuto e la sua organizzazione rendono chiaramente visibile l’ampiezza del dominio della segnaletica. Il primo volume, intitolato “Segni, simboli e codici” (figura 2), espone il “vocabolario grafico di base del sistema”. Il secondo volume, “Vocabolario e menzioni”, dell’ottobre 1998 (Figura 3), “definisce in modo preciso ed esaustivo i nomi e l’ortografia” dei diversi elementi: i nomi delle stazioni, le direzioni, le corrispondenze (specifiche per ciascun sito) e i vari messaggi d’informazione, uscita eccetera, così come le abbreviazioni da utilizzare in ciascun caso. Il 31 terzo volume, “Composizione grafica dei supporti RER e Metro” (Figura 4), ultimato nell’aprile 2001, “fissa e precisa tutte le regole che permettono la costruzione dei pannelli segnaletici per l’insieme delle situazioni e degli spazi viaggiatori”. Come si può già intravedere da questa pur sommaria presentazione, le regole esposte in queste raccolte riguardano numerose caratteristiche delle scritte. Anzitutto, vi sono regole che definiscono le proprietà grafiche dei pannelli: indicano la taglia, la dimensione e il colore dei caratteri, dei simboli e dei pittogrammi. Altre regole precisano poi la disposizione degli elementi sui supporti, le loro rispettive posizioni e così via; specificano la natura, il materiale e il tipo di supporto e indicano per ciascun materiale (profilato metallico, PVC, light box e così via) la forma, il colore e le dimensioni precise. Un gran numero di regole riguarda poi il contenuto linguistico dei pannelli, ovvero le diverse tipologie di nomi che devono figurare sul pannello (ci torneremo nel capitolo 2), mentre altre precisano i principi di traduzione di certi elementi in lingue straniere (inglese, tedesco, spagnolo, italiano). Infine, alcune regole circoscrivono il posizionamento dei pannelli, in due maniere: la posizione viene definita rispetto al supporto (in genere un muro, ma a volte anche un plafone). In tal caso, il cartello della RATP, esso stesso di dimensione standard, serve da griglia di allineamento. Allo stesso modo, la posizione dei pannelli è definita in funzione dei luoghi. Ogni pannello fa parte di una categoria che deve essere posizionata in modo specifico nello spazio della stazione (ad esempio lungo una banchina, in cima a una scala etc.). Si nota dunque l’estrema precisione delle regole presenti nei tre volumi della raccolta normativa, che segna anche una rottura radicale con i precedenti progetti segnaletici che riposavano su principi e concetti generali, esposti in poche pagine. Pur indicando anch’essa qualche principio di massima, la nuova raccolta dettaglia sistematicamente le operazioni da compiere per applicare concretamente le regole. Informazioni ai viaggiatori e scritte esposte La nuova segnaletica è il punto d’arrivo di un processo le cui premesse risalgono agli anni Settanta con il programma teorico di Roger Tallon e che hanno iniziato a consolidarsi all’inizio degli anni Novanta con il programma “Autrement Bus”. In quel caso si iniziò un ripensamento radicale di alcuni elementi essenziali della segnaletica, oltre alla creazione di nuovi elementi. Fu il caso ad esempio della mappa della rete, che deve consentire di vedere il più chiaramente possibile la globalità dei mezzi di trasporto (bus, metro, RER) e dei piani di quartiere, che vennero posti come utili dispositivi di articolazione del servizio di trasporto urbano. A partire da quel momento, la scritta diviene un ambito in cui l’azienda si trova a investire risorse. Fino ad allora l’informazione ai viaggiatori era un oggetto quasi esclusivamente orale, cruciale per poter assistere gli utenti nei diversi imprevisti e incidenti che coinvolgono la rete (Grosjean, 1989; Lacoste, 1997; Borzeix, 2001); ma con le prime significative trasformazioni 32 |capitolo 1| nella rete degli autobus, la segnaletica acquisisce un nuovo posto in seno all’attività di informazione ai viaggiatori, ridefinendone il profilo stesso. La scritta è ormai pensata come un vettore forte di comunicazione con i viaggiatori e diviene una componente della qualità del servizio. Acquisendo lo status di oggetto legittimo e persino strategico, la segnaletica modifica profondamente l’economia linguistica delle relazioni con gli utenti. La necessità originaria di informare bene i viaggiatori ha una duplice valenza: annunciare le perturbazioni del traffico, e rendere più accessibile l’interazione con agenti della RATP presenti nelle stazioni. Come mostrano la raccolta di norme e la profonda riflessione teorica al riguardo, l’ambizione del nuovo sistema accentua il movimento di investimento di energie nelle forme della scrittura segnaletica. L’attenzione per la distribuzione degli elementi grafici nell’ambiente, l’importanza della colorimetria e le indicazioni precise al millimetro per la taglia dei pannelli e il loro posizionamento nello spazio, mostrano che la segnaletica nel suo insieme è intesa come un tipo di scrittura esposta. Per questo le qualità di esposizione sono tanto importanti quanto le caratteristiche linguistiche o grafiche. La nuova segnaletica viene così elevata al rango di quello che Petrucci chiama un “programma di esposizione grafica”. Non solamente i suoi elementi destinati a “permettere la lettura al maggior numero di utenti (inclusi gruppi o masse) e a distanza”, ma, secondo il progetto teorico elaborato da Roger Tallon (Tallon e Jeudy, 1977), essi sono altresì concepiti come “una serie di prodotti scritti omogenei e resi coerenti attraverso delle affinità grafiche formali e testuali, sempre provvisti di un marchio che ne consente un’identificazione univoca” (Petrucci, 1993, p. 10). In tal modo, il dominio della segnaletica supera ampiamente quello dell’informazione. Essa costituisce un vero e proprio dispositivo che organizza artefatti grafici in un sistema coerente destinato a contrassegnare diversi luoghi e a disegnare una trama comune per le diverse modalità di trasporto. La segnaletica opera una vera e propria gestione grafica dello spazio. Per comprendere le discontinuità che tale rinnovato dispositivo segnaletico ha contribuito a creare nella politica della RATP, occorre collocarlo nel contesto delle trasformazioni del servizio pubblico. Perché, se queste trasformazioni sono oggi ben note, esse non sono però mai state studiate dal punto di vista del ruolo che occupa in esse la scrittura. L’utente preso in considerazione: il servizio pubblico e la segnaletica La progressiva installazione di una segnaletica sistematizzata negli spazi della RATP partecipa al movimento generale di modernizzazione che, in varie forme, implica una rinnovata attenzione nei confronti dell’utente. L’utente al centro del servizio A partire dagli anni Ottanta, numerose ricerche hanno mostrato (e a volte accompagnato) importanti rinnovamenti nell’azione dello stato e della sua burocrazia, che li hanno sempre più avvicinati alle logiche del settore pri- 33 vato, in particolare attraverso il modello della “relazione di servizio” (Weller, 1998). Il lavoro di Monjardet sulla polizia offre una delle prime analisi di tali trasformazioni (Monjardet, 1985), mostrando come il lavoro ordinario nel servizio pubblico diviene sempre più rivolto all’utente, spingendosi sino a posizionare quest’ultimo al centro di un processo in cui il servizio non viene più prodotto in modo indipendente dalla relazione, ma viene elaborato come una vera e propria “coproduzione” (Gadrey, 1994). In settori diversi che vanno dall’amministrazione alla polizia, dai pompieri agli ospedali e naturalmente anche ai trasporti pubblici, si delinea dunque un imperativo sempre più forte a prendere in considerazione l’utente (Joseph, 2004). In questo processo, la comunicazione è centrale. Le ricerche svolte a partire da questo momento si sono focalizzate sul ruolo della interazione faccia a faccia e sulla riorganizzazione di quei mestieri destinati a diventare lavori di reception, aiuto e informazione. Ciò ha consentito di mettere in luce le nuove forme di presenza al pubblico, le nuove competenze che i diversi attori hanno dovuto acquisire (Weller, 1999) e la gestione di nuovi regimi di disponibilità (Joseph, 1999). Ma, accanto a questa relazione umana, occorre anche considerare la parte sempre più importante occupata dai nuovi dispositivi che sovrintendono alla produzione e circolazione delle scritte. A partire dagli anni Novanta, la messa a disposizione di informazione è divenuta un ingrediente importante della relazione di servizio: l’informatizzazione delle amministrazioni e la comparsa dei nuovi servizi in linea hanno ulteriormente rafforzato questa tendenza. In parallelo all’accresciuta disponibilità degli agenti di servizio pubblico, la considerazione nei confronti degli utenti si è incarnata in numerosi artefatti informativi che sono venuti a occupare un ruolo stabile nel processo di co-produzione dei servizi. Nel caso dei servizi di trasporto, questo fatto è estremamente visibile. Le nuove scommesse del trasporto: accoglimento e supporto alla mobilità La centralità dell’utente nelle preoccupazioni dei responsabili della RATP non è del tutto nuova. Ne troviamo le prime tracce nel processo di riorganizzazione sopra evocato, che ha avuto corso negli anni Settanta e ha tracciato una prima ondata di modernizzazione. Arriviamo agli anni 1972-1973 per trovare un accordo stabile sul fatto che la RATP si debba comportare come una impresa commerciale, vale a dire perché essa si dia come fine quello del successo invece che della sola conservazione del modello […] II nuovo modello è quello di un’impresa che si rivolge a un “utente”, un essere umano ridotto alla sua condizione di soggetto trasportato. (L.C., Dipartimento dei sistemi dell’informazione e delle telecomunicazioni) Nel corso del tempo, le preoccupazioni attorno agli utenti si sono sviluppate e specializzate. Negli anni Ottanta, vede la luce un vasto movimento volto a reinventare lo spazio stesso del metro. Si vuole pulire lo spazio, liberarsi delle popolazioni indesiderate e lottare contro i graffiti. 34 |capitolo 1| La pulizia è allora considerata come un elemento centrale per tenere a bada il “sentimento di insicurezza” degli utenti, da sempre associato agli spazi sotterranei. La pulizia appare chiaramente come un fattore di mutamento nella concezione del metro, che vede lo “spazio-trasporto” cedere il passo a degli “spazi pubblici” (Kokoreff, 1992). Il movimento si accentua poi in seguito alla politica generale di rinnovamento delle stazioni (RNM) già richiamata sopra, che pone la pulizia come esigenza primaria per la qualità degli spazi. All’inizio degli anni Novanta si compirono i primi tentativi di semplificare al massimo il possibile uso multimodale della rete RATP. Si tenne infatti un consiglio di amministrazione interamente dedicato alla messa in atto di una “politica di informazione ai viaggiatori”, in seguito al quale si stabilì che gli agenti in servizio avrebbero dovuto favorire e spiegare la multimodalità. A tal fine venne predisposto un “manuale dell’offerta multimodale per aiutare gli agenti a meglio informare la clientela” (RATP, 1993, p. 13). Il coinvolgimento del personale e la sua messa in contatto diretto con il pubblico sono una tendenza che in seguito si è andata rafforzando, come ben si vede nel progetto Météor, diventato linea 14, che si è tradotto in una redistribuzione, all’interno delle stazioni, degli agenti interpellabili dall’utenza (Joseph, 2004). Si innescò un vasto piano strategico per portare i 20.000 agenti della RATP il più possibile a contatto con il pubblico e per sensibilizzarli alla necessità di farsi carico della parte relazionale del loro lavoro. L’obiettivo divenne allora quello di creare una “relazione di servizio attento” (Delmas, 2001). Questo movimento generale traccia i contorni di una qualità di servizio che ridefinisce sensibilmente le priorità e le sensibilità dell’azienda. In particolare, l’autorità di tutela, il Syndicat des Transports d’Île-de-France (STIF) rivendica: […] un dovere di qualità ottimale del servizio, fondato sulle esigenze crescenti del pubblico e dell’ambiente: adattamento del piano di trasporto, accoglienza e servizio, chiarezza degli spazi, riparazione, ammodernamento e così via. (Kaminagai, 2001, p. 30) L’accoglienza è dunque divenuta una dimensione essenziale del servizio di trasporto. Oltre al coinvolgimento del personale e alla riabilitazione degli spazi, la segnaletica è definita come uno strumento importante in questo dominio. L’evoluzione della segnaletica è una delle parti più visibili dei programmi della RATP per migliorare la qualità degli spazi e l’accoglienza dei viaggiatori. Essa accompagna infatti le azioni di riqualificazione e di miglioramento dell’accoglienza da parte del personale […] e mostra una RATP attenta ai propri clienti, ai loro bisogni e alla loro diversità. (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p. 9) La segnaletica si ritrova all’interno di questo piano, giocandovi un ruolo che simboleggia l’accoglienza e rappresenta l’impresa. Ma essa partecipa anche a un movimento più generale di quello di un dispositivo funzionale: la preoccupazione crescente della RATP per l’informazione ai viaggiatori. 35 Questa nozione si struttura nel corso degli anni 1993-94, nel momento del rifacimento della segnaletica dei bus. Come abbiamo visto, una delle sfide di quella riforma era di favorire l’adozione dell’offerta complessiva del trasporto, favorendo la multimodalità e riducendone il “rischio di incertezza” (RATP, 1993, p. 2). Per facilitare e incrementare l’uso però non è sufficiente accogliere bene i clienti: è necessario anche fornire loro i mezzi per utilizzare la rete al meglio e il più facilmente possibile. L’informazione ai viaggiatori, con al centro la segnaletica, è concepita in quanto dispositivo di aiuto: producendo un sistema grafico coerente e installando numerosi elementi, inizialmente per l’autobus, poi per l’insieme della rete multimodale, i promotori della nuova segnaletica hanno messo a disposizione dei viaggiatori una serie di veri e propri equipaggiamenti cognitivi. Se su uno strumento non c’è scritto niente, se non è specificato il suo modo d’impiego non sappiamo come usarlo. Qui la situazione è analoga: abbiamo dei viaggiatori in movimento, abbiamo degli spazi diversi tra loro, e non sappiamo cosa succeda in cima a una scala o in fondo a un corridoio; dunque la nostra scelta è stata quella di inserire i modi d’uso direttamente sui muri della stazione. (L.T., Unità Concezione e Identità degli Spazi) Il crescente orientamento verso l’utenza nell’ambito della RATP ha condotto a una nuova definizione del servizio offerto. L’impresa infatti non si limita più a offrire delle soluzioni di trasporto in senso stretto ma si presenta come “un operatore di servizio e di supporto alla persona urbana mobile” (Kaminagai, 2001, p. 30)7. In questo quadro la segnaletica gioca un ruolo imprescindibile di cerniera tra qualità del servizio e marketing. Dal momento che essa inscrive negli spazi del metrò un sistema esplicativo che accentua l’utilizzabilità del servizio, la segnaletica costituisce una risorsa cruciale per garantire l’assistenza alla mobilità. Conclusione: intelligibilità ed ecologia grafica L’informazione ai viaggiatori è da lungo tempo ormai considerata come un’attività essenziale per i servizi di trasporto, che in quanto tale fa esplicitamente parte delle missioni del servizio pubblico. Di conseguenza, l’informazione ai viaggiatori costituisce un oggetto di ricerca particolarmente ricco per una sociologia attenta alle pratiche linguistiche, a condizione di non considerarla come un campo rigido, che produce semplicemente una gamma di messaggi da decrittare. Al contrario, seguendo Borzeix (2001), la segnaletica va intesa come una produzione multiforme e complessa. Da questa prospettiva essa appare al tempo stesso come una pratica distribuita nello spazio e nel tempo e come un lavoro delicato. Le poste in gioco sono di notevole peso e riguardano la produzione dell’ordine sociale nel 7 Come vedremo nel prossimo capitolo, tale definizione non va comunque da sé e non è ugualmente condivisa da tutti all’interno dell’impresa. 36 |capitolo 1| senso etnometodologico. Questo lavoro si compone di quelle che Garfinkel (1967, p. 1) ha chiamato “pratiche di accounting”, vale a dire azioni destinate a rendere osservabili e comprensibili le situazioni ordinarie. Produrre informazioni di viaggio significa dunque assicurare una intelligibilità istituzionale al servizio, far comprendere il ventaglio degli elementi ritenuti pertinenti per gli utenti. Per molto tempo questo tipo di lavoro è stato fondamentalmente limitato alle situazioni eccezionali (scioperi, incidenti…) e delegato a degli agenti presenti nelle stazioni, o che intervenivano a distanza attraverso annunci sonori (Grosjean, 1989). Joseph ha richiamato una trasformazione importante di questa attività mostrando come la modernizzazione del servizio di trasporto si sia tradotta in nuovi regimi di disponibilità per gli agenti, che sono stati invitati a rafforzare la loro presenza nelle stazioni e a mettersi personalmente al servizio degli utenti per fornire loro indicazioni in qualsiasi momento (Joseph, 1999; 2004). In questo movimento, l’informazione ai viaggiatori si è ampiamente emancipata dalle sole situazioni di emergenza. La disponibilità degli agenti all’interazione con i clienti ha ampliato il campo della comprensibilità del servizio ai tutti i momenti più ordinari della vita della rete di trasporto. In questo capitolo abbiamo mostrato che questo primo ampliamento è stato accompagnato da un nuovo equilibrio nella delega dell’informazione ai viaggiatori. Oggigiorno, essa non è più solo un compito umano ma è anche affidata a una serie di artefatti disposti negli spazi del trasporto per fornire altre forme di account nel senso di Garfinkel. La nuova segnaletica instaura un’intelligibilità grafica che viene ad aggiungersi alle modalità di interazione prevalenti in passato. Tale intelligibilità presuppone la produzione di scritte esposte e si appoggia su un preciso “programma di esposizione grafica” (Petrucci, 1993). La segnaletica è concepita come un vero e proprio dispositivo i cui elementi sono sistematicamente concepiti in rapporto reciproco e il cui insieme prende la forma di un sistema normalizzato nei minimi dettagli. Il quadro della sua messa in atto è tuttavia differente da quelli studiati da Petrucci: esso non rileva infatti né della commemorazione né della cerimonia, né effettua una marcatura di tipo politico e simbolico, come fanno le scritte esposte dei regimi sui monumenti pubblici. La marcatura nel nostro caso è di tipo operazionale. La segnaletica è composta di piccoli “oggetti organizzativi [organizational things]” (Garfinkel, 1996, p. 6) che partecipano attivamente alla configurazione dei luoghi che equipaggiano. La messa in ordine così effettuata trasforma profondamente i luoghi che costituiscono la rete di trasporto, portando in primo luogo a una riscoperta grafica dello spazio. Ogni corridoio, ogni banchina, ogni scala si vogliono dotate di pannelli, affissioni o adesivi. Il dispositivo della segnaletica opera un’organizzazione grafica dello spazio: produce un ambiente iper-semiotizzato dedicato alla mobilità, nel quale le esigenze ordinarie degli spostamenti quotidiani possono disporre di una serie di sostegni. L’intelligibilità degli spazi di trasporto si attua dunque in modo doppiamente ecologico. Da 37 una parte, si compie attraverso la gestione di questo territorio ibrido dove l’architettura e la segnaletica vengono strettamente articolate. Dall’altra, risulta dalla messa a sistema di moduli grafici che vengono forniti ai viaggiatori come equipaggiamento per le loro attività. Queste ultime possono allora venire distribuite nell’ambiente, sul modello delle teorie ecologiche dell’azione e della cognizione (Suchman, 1987; Lave, 1988; Hutchins, 1995) le quali hanno mostrato come le operazioni più ordinarie riposino su una cooperazione tra le persone e gli oggetti che le circondano. Pensati per fare agire insieme gli artefatti e i viaggiatori, i dispositivi segnaletici definiscono un’ecologia cooperativa negli spazi del metrò. L’ecologia grafica così prodotta partecipa a un’altra modificazione sensibile del luogo. Negli anni Ottanta gli spazi del metrò sono stati profondamente ripensati, dietro la spinta di un “cambiamento di regime di funzionamento in rete che vede riattualizzarsi sia il rapporto strutturale tra la funzione movimento e la funzione stazione, sia quello tra città e metro” (Kokoreff, 1992, p. 60): lo spazio di trasporto si è poco a poco costituito come spazio pubblico, nutrito di legami forti con la città, creando così “uno spazio-tempo che fa parte integrante dell’urbano e dell’urbanità” (p. 61). Kokoref mostra che tale riattualizzazione non è stata senza scosse, proprio perché ha aperto i luoghi di trasporto a tutti i rischi della città, incluse, ad esempio, devianza e criminalità. Partendo da un oggetto sensibilmente diverso dal nostro (la pulizia), Kokoref ha messo in luce una strategia alternativa che comincia a delinearsi all’inizio degli anni Novanta, attraverso la quale “si è cercato di prolungare […] una logica di funzionamento puramente circolatoria” (Kokoref, 1992, p. 61). Il dispositivo della segnaletica ci sembra partecipare pienamente di tale logica. La gestione grafica che essa opera modifica lo spazio per fabbricare un ambiente circolatorio, un luogo dedicato alla mobilità, predisposto a tale attività, al tempo stesso individuale e collettiva. Si definisce così una ecologia grafica all’interno della quale i viaggiatori sono invitati a immergersi per beneficiare in modo adeguato del servizio di trasporto. 38 |capitolo 2| Capitolo 2 Il lavoro della segnaletica Il processo [di far funzionare le cose] consiste in una serie di strategie e contro-strategie di interazione adottate dai partecipanti in risposta a quanto viene detto o fatto da altri partecipanti durante il processo organizzativo […] Simili strategie includono ad esempio la negoziazione, il compromesso, la discussione, l’educazione, la persuasione, il lobbying, la dominazione, la minaccia e la coercizione. (Corbin e Strauss, 1993, p. 73) La segnaletica della RATP è fondata su un vero e proprio programma, teorico e strategico, presentato in numerosi documenti che definiscono dei principi generali di organizzazione grafica degli spazi e le regole precise da seguire nella loro composizione e installazione. Da questo punto di vista, la gestione grafica può essere considerata come l’operatore di un ordine immutabile che non può evolversi che marginalmente e che, dal punto di vista della nostra ricerca, può venire compresa solo attraverso l’analisi dei segni nel loro contesto d’esposizione. Ma tale ordine non funziona da solo, e i testi su cui si sostiene, per quanto normativi essi siano, non bastano a spiegare il reale ambiente grafico delle stazioni del metrò. Il processo di creazione dell’intelligibilità degli spazi su cui si fonda il programma segnaletico della RATP si basa in gran parte su una serie di operazioni concrete ripetute quotidianamente. Tali operazioni sono a loro volta organizzate in compiti, servizi e ruoli. In altre parole, superato il tempo dell’innovazione (cioè quello della concezione e della normalizzazione), il dispositivo passa attraverso una serie di snodi che assicurano di giorno in giorno la sua esistenza. Gli innumerevoli pannelli, pittogrammi, nomi delle destinazioni e frecce di vario tipo sono presi in consegna da dei portavoce che si fanno carico di difendere l’importanza della segnaletica tanto nei corridoi dell’azienda quanto in quelli delle stazioni. Tutti questi snodi possono essere studiati da due punti di vista: anzitutto dal punto di vista dei luoghi formali che vengono attribuiti alla segnaletica all’interno dell’organizzazione collettiva del lavoro; poi dal punto di vista delle attività ordinarie, non sempre ufficiali o riconosciute, che formano la 39 vita quotidiana della segnaletica. Focalizzarsi sulla dinamica dell’organizzazione del lavoro permette di osservare il panorama storico tracciato nel capitolo precedente evidenziando la grande fragilità del dispositivo segnaletico all’interno dell’impresa. Poco numerosi e spesso isolati, in un mondo che resta in larga misura di tipo industriale, i portavoce della segnaletica partecipano di continuo all’installazione dei pannelli tanto negli spazi di trasporto che nell’attenzione dei loro colleghi più o meno prossimi. L’organizzazione formale delle attività Tre dipartimenti chiaramente identificati nell’organigramma della RATP hanno nel proprio mandato una presa in carico specifica della segnaletica e ne costituiscono altrettanti punti nevralgici. Il primo è il dipartimento degli Spazi e del Patrimonio (ESP), la cui unità denominata Concezione e Identità degli Spazi (CIE) è responsabile delle norme della segnaletica multimodale della RATP. L’unità CIE redige e aggiorna l’insieme dei documenti di riferimento in materia di spazio viaggiatori, in cui la segnaletica ha un ruolo essenziale. Due persone, aiutate da un assistente, vi si dedicano in modo esclusivo; sono incaricate di scrivere e aggiornare le norme segnaletiche e i documenti annessi che sostengono la standardizzazione grafica degli spazi del metrò. Una di queste si occupa, ad esempio, della “carta della denominazione”, che inquadra le scelte lessicali dei nomi delle stazioni e delle fermate così come dei monumenti che compaiono nelle stazioni. L’altra, al momento della nostra ricerca, era impegnata nel terminare la carta della cosiddetta pubblicità “fuori media”, in cui sono precisati tutti i principi che devono presiedere all’installazione di dispositivi pubblicitari diversi dalle locandine consuete. Su tale attività torneremo in seguito. Per ora basti rilevare come tutti questi elementi di standardizzazione siano inseriti in un database in rete che permette una consultazione istantanea. L’impresa è altresì dotata, all’interno del dipartimento di ingegneria (ING), di uno ufficio strettamente legato all’unità CIE e specializzato nella segnaletica (tra le 6 e le 7 persone). Questo ufficio, connesso all’unità “Infrastruttura, Gestione ed Edifici” (IAB, in francese), realizza gli studi sulla segnaletica per le stazioni del RER, del metrò, del tram e ferroviarie, oltre a seguire gli studi specifici commissionati a terze parti. Nel 2000 è stato creato un altro dipartimento, posto ancor più al cuore del processo: il dipartimento di manutenzione della segnaletica, divisione della delegazione alla manutenzione degli equipaggiamenti e dei sistemi spaziali (M2E). Questo dipartimento comprende una ventina di persone, di cui nove si occupano specificamente della segnaletica del metrò. Tra di esse, tre restano tutta la giornata nell’atelier di produzione, dove fabbricano i pannelli provvisori (stampati su PVC) e disegnano al computer i pannelli definitivi (in metallo) che vengono poi ordinati a fornitori esterni. Altre quattro persone circolano per la rete del metrò e del RER, in squadre di due componenti, prendendo le misure per ordinare i pannelli da sostituire. Una volta che i pannelli sono stati fabbricati, gli addetti tornano nella stazione 40 |capitolo 2| per installarli. Fabbricanti e manutentori hanno lo stesso responsabile gerarchico che gestisce la manutenzione della segnaletica del metrò. Ogni mattina, il responsabile distribuisce le consegne di lavoro da svolgere alle squadre, affronta i casi più complessi, sollecita i fornitori e così via. Un’altra persona circola poi da sola per la rete, in particolare nelle stazioni in corso di rinnovamento nel quadro del programma RNM: il suo lavoro consiste nel verificare che tutte le nuove stazioni siano a norma rispetto agli standard della segnaletica (numero di pannelli, contenuto, piazzamento e così via). Oltre a queste tre entità, altre figure all’interno dell’impresa si occupano di segnaletica, anche se essa non costituisce la loro attività centrale. Si tratta in primo luogo dei referenti di stazione. Il lavoro dei referenti, in quanto responsabili dell’insieme di una stazione (o più di una) consiste, tra l’altro, nel sorvegliare lo stato degli spazi. Ogni giorno essi effettuano una o più uscite, a seconda della dimensione della stazione, per notare e segnalare le situazioni anomale. I formulari di controllo che sono tenuti a riempire comprendono una serie di fattispecie specifiche riguardanti la segnaletica (figura 5, elemento 2.2.9). Il loro lavoro consiste cioè nel rilevare i problemi ed effettuare la segnalazione attraverso un programma di gestione condivisa. Ogni segnalazione si trasforma in una domanda di intervento, ovvero un “ordine di intervento”, immediatamente stampato dal dipartimento di manutenzione della segnaletica e distribuito quotidianamente alle squadre della manutenzione che partono alla volta delle stazioni. Dopo che sono state prese le misure, fabbricati e installati i pannelli, i manutentori segnano che l’intervento è stato compiuto, in modo da chiudere la domanda. I referenti di stazione intervengono dunque a monte della catena delle attività, facendo partire gli interventi degli agenti di manutenzione. Ma l’attenzione che i referenti di stazione devono dedicare agli elementi della segnaletica durante il loro quotidiano giro di controllo è anche parte di una catena ben più articolata, in cui il dipartimento incaricato di valutare la qualità del servizio della RATP gioca un ruolo importante. Come abbiamo già visto nel primo capitolo, lo stato dell’ambiente è una dimensione centrale nella strategia dell’impresa. La pulizia degli spazi e l’efficacia del sistema segnaletico sono al centro del servizio di trasporto, ridefinito come strumento di aiuto alla mobilità. Di conseguenza, il giro di controllo delle stazioni è un’operazione chiave nel raggiungimento quotidiano di tali obiettivi e il lavoro degli agenti che lo realizzano è fortemente strutturato. Essa fa inoltre intervenire un secondo tipo di attori: i “viaggiatori misteriosi”. Direttamente ispirata alla metodologia dei cosiddetti “clienti misteriosi” nelle pratiche di marketing, l’attività dei viaggiatori misteriosi è al centro del dispositivo di controllo che permette di valutare e sanzionare il lavoro degli agenti di stazione. Ingaggiati da una società di audit esterna, i viaggiatori misteriosi effettuano a propria volta una serie di viaggi in incognito per annotare scrupolosamente tutte le anomalie degli spazi (i “segni di non conformità”) nei loro formulari. Il controllo delle stazioni è estremamente consolidato, il che conferma l’importanza di tali spazi per la qualità del servizio della RATP. Basti pensa- 41 re che ogni stazione viene visitata tra le due e le 50 volte al mese. La lista degli elementi rilevati dai viaggiatori misteriosi è alquanto dettagliata. Gli elementi 36 e 60, in particolare, fanno riferimento alla segnaletica (figura 6). Essi mirano infatti a rilevare diversi tipi di anomalie: un pannello può essere deteriorato, mancante, o difettoso (ad esempio se è di tipo luminoso). Ogni elemento è dotato di punti di penalità calcolati in centesimi, la cui somma produce una valutazione generale dello stato della stazione. Una media annuale delle stazioni, divise per ciascuna linea, è resa pubblica ed è oggetto di discussioni tra la RATP e la sua autorità di tutela, lo STIF (Syndicat des Transports d’Ile-de-France). Se gli obiettivi definiti per l’anno in corso non sono stati raggiunti, vengono comminate sanzioni sul budget. Giorno per giorno, le valutazioni dei controllori conducono alla raccolta di una serie di “percorsi non-conformi” (PNC) affetti da una lista di anomalie (figura 7). Tali anomalie vengono comunicate ai responsabili delle linee e delle stazioni che devono fare quanto è in loro potere per rimettere al più presto le cose in buono stato. Per quanto concerne le loro competenze (nella figura 7, ad esempio il caso dei primi due elementi: “pannello” e “cassone”), anche gli agenti di manutenzione della segnaletica sono sollecitati. L’attività dei viaggiatori misteriosi si situa a monte delle operazioni di manutenzione in senso stretto. Essa infatti inquadra in modo vincolante l’azione degli agenti di stazione, in quanto i giri di questi ultimi tendono a rispecchiare quelli dei primi. La preoccupazione per gli spazi dei viaggiatori supera dunque ampiamente il semplice ricorso a un manuale di buone pratiche: le procedure sono precise e i responsabili di stazione vengono spinti a produrre risultati precisi che sono poi oggetto di verifica. Questo dispositivo organizzativo mostra bene l’importanza dei mezzi che vengono messi in opera per assicurare quotidianamente una qualità degli spazi; quest’ultima supera la dimensione del trasporto in senso stretto (puntualità, numero di treni, e così via) per reinserire la questione dello spazio al centro della relazione di servizio, anche se la segnaletica vi occupa uno spazio marginale. Seguendo gli agenti di stazione nei loro giri di ispezione, abbiamo potuto apprezzare la natura del loro lavoro e il ruolo secondario che la segnaletica occupa all’interno di esso. Si evidenzia così la differenza tra i dipartimenti specializzati in segnaletica e quelli per i quali i pannelli direzionali e le altre targhe segnaletiche non sono che oggetti tra molti altri, di cui alcuni sono senza dubbio primari per la loro attività (come, ad esempio la rilevazione dello stato dell’illuminazione o della presenza di cattivi odori). La segnaletica, che è al centro dell’attenzione nei dipartimenti della normalizzazione e manutenzione, si presenta come un elemento piuttosto fragile dal punto di vista di chi lavora nelle stazioni, e il numero di persone che vi si dedicano a tempo pieno pare poca cosa rispetto al numero di pannelli che popolano la rete del metrò e al numero complessivo di impiegati dell’impresa. È per questo motivo che non possiamo dire che la RATP assegni alla segnaletica un ruolo centrale. Esiste in questo senso una forte dissonanza tra la posizione strategica della segnaletica in seno all’ampio movi- 42 |capitolo 2| mento di modernizzazione del servizio di trasporto, da una parte, e il poco spazio che le viene effettivamente assegnato nell’organizzazione del lavoro, dall’altra. Tale dissonanza non è stata rilevata soltanto dalla nostra ricerca, al contrario, essa costituisce oggetto di preoccupazione da parte di alcuni membri della RATP e si traduce in attività specifiche che superano il quadro di lavoro descritto sin qui. I pochi impiegati che si dedicano alla segnaletica a tempo pieno si fanno veri e propri portavoce della sua importanza agli occhi degli altri colleghi. Un lavoro interstiziale Il lavoro che assicura alla segnaletica un’esistenza effettiva negli spazi del metrò si attua secondo quattro assi principali: far vivere la norma, convincere dell’importanza della segnaletica, prendere posizione e regolare. In primo luogo si tratta di realizzare diverse operazioni che permettono alla norma di non restare solo un documento inerte, ma di andare a produrre una serie di punti di appoggio operativi per un gran numero di persone all’interno dell’impresa. La funzione di quest’asse è dunque quella di dare alla segnaletica stessa un riconoscimento in un mondo che la ignora o addirittura la critica. Si innesca così un processo organizzativo più generale in cui i rappresentanti della segnaletica divengono collaboratori fondamentali per la realizzazione dei grandi progetti. In ultimo, una parte del lavoro è immediatamente operativa in quanto consiste nel cercare di organizzare in nome dei principi della segnaletica, il luogo in cui altri impiegati dell’impresa si troveranno ad operare. Far vivere la norma Nelle situazioni di lavoro ordinario le regole non si riducono a dei semplici documenti scritti, né a quel che gli operatori possono ricordare della loro formulazione verbale. Le regole infatti non possono divenire risorse per l’azione che a condizione di venire pronunciate e tradotte da diversi intermediari umani e non umani (Denis, 2007). In particolare, la norma che definisce precisamente le condizioni di esistenza della segnaletica necessita di una mediazione tecnica, essendo conservata all’interno di un database elettronico. Tale intermediario rivela il suo potere quando viene utilizzato dalle persone incaricate di fabbricare i pannelli nell’ambito della manutenzione della segnaletica. Tanto la base informatica quando il suo supporto cartaceo sono strumenti quotidiani che offrono un tracciato solido per il lavoro di produzione della segnaletica. Queste due versioni sono essenziali per condurre in porto progetti importanti (ad esempio l’apertura di una nuova stazione, o un rinnovamento completo), in cui la realizzazione della segnaletica, a partire dalla progettazione fino all’installazione, passando per la fabbricazione, viene esternalizzata. L’accesso al database fa parte dunque degli annessi tecnici che permettono all’appaltatore dell’incarico di eseguire il compito in modo adeguato. Ma la sua importanza in effetti si riduce non appena usciamo da questo quadro. Il criterio di efficienza presupporrebbe che per ciascun progetto concernente la segnaletica, ma che non 43 passa direttamente per il servizio di manutenzione, le persone interessate si prendano il tempo di tuffarsi nei dati per trovare a quale categoria collegare la loro operazione, estraendo di volta in volta le regole pertinenti. Ma ciò è tanto più difficile in quanto di solito si tratta di situazioni rare, oltre al fatto che i responsabili di progetto non conoscono specificamente il campo d’azione concreto. A questo punto, l’unità CIE (Concezione e Identità degli Spazi), che è incaricata della omologazione, gioca un ruolo di sostegno importante. I suoi due responsabili intervengono a diversi livelli: essi sono in primo luogo dei consiglieri, referenti di ultima istanza per l’interpretazione di norme particolarmente difficili. Nei casi più complicati, questa unità viene coinvolta per fornire una “assistenza alla realizzazione”. A volte, può delinearsi una situazione non prevista e la risoluzione stessa del problema conduce alla redazione di nuovi paragrafi della norma. I responsabili della normalizzazione controllano altresì a valle il lavoro dei validatori, verificando lo stato dei progetti esternalizzati, oltre che dei progetti più modesti ormai in via di ultimazione. Quest’ultima attività rivela anche la difficile dinamica di affermazione della esigenze della segnaletica e dei suoi principi all’interno dell’impresa. I responsabili si vedono in effetti atterrare sul tavolo dei progetti di affissioni o di adesivi, generalmente destinati agli spazi di trasporto o alle vetture, che ignorano completamente gli standard anche più elementari da seguire, ad es. il font di carattere. In queste situazioni, è necessario a volte transigere e accettare soluzioni che si discostano in qualche misura dalla norma. Ma a volte può capitare che uno dei responsabili giudichi impossibile lasciar passare un progetto così com’è ed esiga che venga rifatto da zero, persino se gli elementi da installare sono già stati stampati, creando in tal modo una certa tensione con i committenti. L’unità [CIE] infatti riceve spesso richieste di manutenzione del tipo: “Il concessionario mi chiede di fare tale o tale cosa, ecco la mia proposta”. A volte va bene e non c’è nulla da ridire. E se vi sono più domande dello stesso tipo è possibile tradurre la soluzione prescelta in una nuova norma. Al contrario, però, se la cosa non funziona, noi rispondiamo: “No, la norma non permette di fare questo o quello”, cosicché il manutentore può rifiutarsi di prendersi cura del pannello in questione. (L.T., unità Concezione e Identità degli Spazi) Questa attività di validazione e correzione rappresenta gran parte del lavoro dei responsabili del servizio di normalizzazione e mostra chiaramente che, per quanto precisa una norma possa essere, essa è pur sempre vivente e si rende necessario un lavoro quotidiano per mantenerla in vigore. D’altra parte, ciò non mostra che una faccia della questione, quella delle domande di consiglio e validazione che pervengono al servizio. L’esperienza dei due responsabili dello spazio del metrò, analoga a quella che abbiamo sperimentato nei nostri percorsi fotografici (vedi sopra), mostra che un gran numero di iniziative vengono realizzate in altro modo. Ciò sottolinea ancora gli scarsi mezzi organizzativi messi a disposizione della segnaletica. Se gli agen- 44 |capitolo 2| ti delle stazioni sono incaricati di identificare pannelli rotti o mancanti, non c’è nessuno che effettui un controllo della normalizzazione che permetta di valutare tutti gli scarti dalla norma. Solo chi è direttamente incaricato della segnaletica se ne occupa, a volte persino fuori dall’orario ufficiale di lavoro. È il caso ad esempio dei responsabili della normalizzazione, i quali, nel corso dei loro spostamenti, annotano i problemi che incontrano e cercano di trovare i mezzi più adatti per correggerli. È anche il caso dei manutentori, che sono generalmente attenti a tutti gli scarti rispetto a una norma che conoscono ormai a memoria, e che a volte prendono persino l’iniziativa di aggiornare elementi che ritengono obsoleti. David e Jonathan arrivano in una stazione in cui ci sono due interventi da fare. Il primo concerne un pannello provvisorio nella sala, sul quale occorre aggiungere un adesivo per coprire una delle due direzioni della linea 14 (Bibliothèque François Mitterrand) e sostituirla con il nome del nuovo terminal (Olympiades). Il secondo è più impegnativo: devono sostituire il pannello di un cassone luminoso. David effettua rapidamente la prima operazione. Entrando in stazione studia attentamente i pannelli direzionali delle due banchine. Spiega all’etnografo che l’accompagna di aver portato con sé vari formati di adesivo indicanti la stazione Olympiades. Indica la banchina antistante: i tre pannelli che vi figurano hanno ancora il nome del vecchio terminal. “Beh, quelli non li dovrei neppure fare. Non fa parte dei due OL [Ordini di Lavoro] di oggi per questa stazione. Ma visto che sono qui faccio anche quelli”. L’esistenza di quelle che possono apparire come delle vere e proprie aberrazioni rispetto agli standard della segnaletica mostra che spazi vasti e complessi come quelli di una rete metropolitana non possono mai essere completamente standardizzati dal punto di vista tecnico. Fenomeni come usura ed errori sono sempre presenti. Ma dal punto di vista dell’impresa, e agli occhi degli impiegati addetti specificamente alla segnaletica, questo mostra che la segnaletica stessa non è affatto secondaria. Tali mancanze sono il bersaglio di una seconda dimensione del loro lavoro. Convincere Le persone che abbiamo incontrato nel corso della nostra ricerca ce lo hanno spesso ripetuto: la segnaletica non è certo una preoccupazione centrale per la maggior parte degli impiegati della RATP. Le ragioni sarebbero due: anzitutto questo dominio e questo mestiere non vengono ben compresi dai non specialisti. Lo abbiamo visto: uno dei principi fondamentali della segnaletica risiede in una standardizzazione degli elementi grafici che assicura la loro ripetizione identica su tutta la rete. Questo punto spesso non viene ben compreso da chi si interessa soprattutto al messaggio che i pannelli debbono veicolare, vale a dire al loro contenuto linguistico. Le forme, i colori, le specificità tipografiche vengono percepite come degli elementi decorativi di secondaria importanza e che riguardano soprattutto gusti personali. La loro normalizzazione sembra allora superflua, se non addirittura 45 incongrua. Questo primo tipo di incomprensione è facilmente accettato dai responsabili della segnaletica, anche se a volte ciò rende il loro lavoro quotidiano più lento. La vera difficoltà si situa però ad un secondo livello: la segnaletica non è solo mal compresa ma anche mal vista da molti nell’azienda. Essa stenta a trovare un suo posto in un mondo di ingegneri dove l’interesse per i segni e i pannelli informativi è di tipo prevalentemente tecnico. Che vi sia un tasso di errore è normale, dato il numero di targhe e dato il numero di persone che le disegnano, le compongono e le fabbricano. Su una tale mole numerica è normale commettere qualche errore. Ma vi sono anche molti che semplicemente non vi prestano attenzione. Penso che sia perché sembra un elemento non particolarmente importante. […] Questa è un’impresa dominata dai tecnici, sono gli stessi tecnici che fanno andare i treni, e anche bene peraltro. Ma così i pannelli... sembrano secondari. (L.T., unità Concezione e Identità degli Spazi) Tra i vari servizi della RATP si delinea chiaramente una linea di frattura tra un mondo industriale, storico, molto ben rappresentato, e un mondo del servizio commerciale, più recente, in cui si sviluppa il discorso della considerazione del cliente. Una parte del lavoro delle persone incaricate della segnaletica consiste nell’attraversare questo confine, per cercare di convincere una parte dei loro colleghi della legittimità del loro oggetto. Questo tentativo percorre un gran numero di scambi ordinari, ad esempio quando si tratta di approvare un nuovo progetto del servizio di normalizzazione, o all’occorrenza di un incontro tra i manutentori e i responsabili di stazione. Tali situazioni offrono altrettante opportunità di mostrare in modo concreto l’importanza della segnaletica. Herbert e Léonard hanno appena sostituito un pannello in una stazione. Uscendo, incrociano l’agente di stazione che si stupisce persino di vedere una squadra per la manutenzione della segnaletica. Questa mattina facendo il suo giro di controllo, aveva pensato che il vecchio pannello fosse stato sostituito il giorno prima. Léonard si mostra sorpreso a propria volta : “Ah, beh, no. Non era a norma: tutte quelle scritte in maiuscolo vanno sostituite”. Più tardi, sottolinea all’etnografo il motivo di questo genere di conversazioni: ogni volta, gli tocca far presente agli agenti di stazione l’entrata in vigore delle nuove norme. Ai suoi occhi, gli agenti di stazione non vi fanno neppure caso e non sarebbero in grado di notare la differenza tra i vecchi e i nuovi standard. Non si tratta tanto di ricordare la norma nella sua formulazione rigida, quanto di comprendere e far sentire le ragioni pratiche che ne costituiscono lo spirito. Oltre a questi scambi occasionali, i membri del servizio normalizzazione svolgono anche l’attività di portavoce più ufficiali, organizzando una serie di incontri in cui proiettano delle diapositive per illustrare in modo dettagliato tutte le questioni che riguardano la segnaletica. La presentazione si compone di 88 diapositive divise in quattro parti. La prima parte, intitolata 46 |capitolo 2| “Una lingua visuale”, è la più importante per i nostri fini. Essa articola, in 39 diapositive, tutti i fondamenti teorici della segnaletica, elaborati sulla base di numerose ricerche. Vengono definiti sistematicamente illustrati i principi che reggono le scelte dei progettisti. Vi si trovano spiegati la tipografia, l’uso delle maiuscole e minuscole, i contrasti, i colori, l’uso dei simboli, ma anche i principi di gerarchizzazione delle informazioni, di invarianza formale e di modularità. La presentazione si chiude sulla dimensione “enunciativa” della segnaletica, mostrando non solo come questa conferisca agli spazi del trasporto una “personalità grafica”, ma anche come molti dei suoi elementi vengano di fatto ripresi da soggetti esterni (media, pubblicità) per caratterizzare la RATP nel suo complesso. Nel terzo capitolo, torneremo su alcuni di questi dettagli. Per ora accontentiamoci di notare ancora un particolare. La presentazione che stiamo analizzando insiste molto sul carattere organico e riflessivo della segnaletica, ripetendo che la segnaletica è il frutto di ricerche effettuate da specialisti di domini molto diversi: sociologia, psicologia, oftalmologia, semiotica e così via. Allo stesso tempo la presentazione cerca di mostrare la correttezza di ciascuna scelta facendola provare direttamente all’osservatore. Vengono ad esempio sottoposti dei casi paradossali (figura 8), numerosi confronti tra gli elementi antichi della segnaletica e quelli nuovi, e una serie di test come quello in figura 9, in cui la leggibilità della parola effeuiller [sfogliare] viene confrontata nel caso della scritta in minuscole o in maiuscole. Le altre due parti della presentazione sono di natura più descrittiva: la seconda, molto breve, insiste sul carattere “normato” della segnaletica, attraverso alcuni esempi presi dal codice degli spazi per i viaggiatori. La terza parte espone gli elementi essenziali che compongono la segnaletica. Infine, la quarta parte descrive l’insieme delle procedure organizzative che reggono i progetti che riguardano la segnaletica. Questa presentazione di diapositive, insomma, si presenta come uno strumento utile per cercare di far penetrare la segnaletica come sistema comunicativo all’interno del mondo industriale degli operatori, mostrando la dimensione scientifica del lavoro che ha presieduto alla sua concezione e facendone una dimostrazione dell’efficacia delle soluzioni adottate. L’intelligibilità grafica dell’ambiente esterno si trova dunque raddoppiata in una intelligibilità interna del sistema segnaletico che svolge un ruolo importante in quanto assicura la stabilità del dispositivo. Né la designazione di figure professionali dedicate, né le norme e le persone che se ne fanno carico bastano ad assicurare la solidità di un sistema di artefatti grafici allo stesso tempo così dettagliato ed esteso. Tale dimensione di lavoro è trasversale: consiste in una sorta di missione che attraversa diversi dipartimenti, in cui si tratta di portare la buona novella della segnaletica. Per contro, assicurare una collocazione alla segnaletica all’interno dell’impresa passa per un processo sensibilmente differente, poiché in tal caso non è più questione di dipartimenti da sensibilizzare, ma di circuiti organizzativi in via di costituzione. 47 Prendere posizione L’organizzazione dei trasporti parigini non può essere studiata come semplice gestione ordinaria di una rete fissa. Oltre ai fattori di casualità di qualsiasi attività quotidiana, l’impresa è costantemente attraversata da ondate di innovazione e da progetti di grande ampiezza. Questi progetti seguono una loro traiettoria e scompaginano i processi organizzativi tradizionali. Per questo anche il servizio di normalizzazione della segnaletica non può dare per scontato il proprio ruolo formalmente stabilito di “assistenza all’utilizzo”. Molti progetti possono infatti procedere senza che i rappresentanti della segnaletica vengano coinvolti, e ciò darà senz’altro luogo a delle “aberrazioni” ben più imponenti che non i semplici errori o incoerenze residuali che possono persistere sulla rete. Durante la nostra ricerca, ad esempio, abbiamo individuato due casi di tali aberrazioni, sintomatici per noi della fragilità del ruolo della segnaletica. Il primo ha a che fare con la linea T3 del tram, che percorre una parte dei Boulevards des Maréchaux. Tra le numerose operazioni che riguardano un progetto molto ampio di rinnovamento, quelle che coinvolgono il design (ad esempio, delle vetture, delle stazioni e del loro arredo) risultano particolarmente strategiche, tanto più che si tratta di un mezzo di trasporto terrestre che ha una presenza marcata nel paesaggio urbano. Al momento della consegna del progetto redatto da parte di una equipe guidata da un noto designer internazionale, alcuni responsabili della RATP si sono però accorti di un problema. Per cercare di produrre un mezzo il più possibile trasparente e integrato alla città, il designer non aveva previsto di equipaggiare la pensilina di ciascuna stazione con il nome della stessa. Nel progetto consegnato non c’era neppure un piano della linea o un elenco delle fermate. La targa, elemento fondante ed essenziale della segnaletica, era stato rimosso senza neppure una parola. Questa assenza, rilevata molto tardi nel processo di produzione della linea, ha dato luogo a una ripresa in extremis da parte dei responsabili della normalizzazione che hanno redatto un nuovo annesso, obbligando il designer a rivedere il suo progetto e ad integrarvi gli elementi essenziali della segnaletica. Questo episodio è interessante non solo per la reazione che ha suscitato nell’unità di normalizzazione della segnaletica, ma anche per l’eco più ampia che ha avuto: questa peripezia infatti è stata l’occasione per ripensare anche il progetto successivo. Per la progettazione di un nuovo allestimento (si tratta dell’allestimento, non ancora realizzato, che verrà utilizzato per la linea T6 Châtillon-Vélizy), un responsabile della normalizzazione della segnaletica è stato inserito fin dall’inizio nel gruppo di lavoro. Gli elementi della segnaletica sono stati integrati nelle varianti del progetto e il referente in questione ha fatto parte dei membri della giuria per la selezione del designer. Attraverso i propri portavoce, la segnaletica è dunque risalita a monte del corso progettuale per diventare una preoccupazione non più trascurabile. Se questo caso risulta particolarmente chiaro, ciò è senza dubbio perché riguarda la creazione di una intera linea di tram, mezzo di trasporto però fortemente minoritario nell’ambito dell’offerta della RATP. Una situazione 48 |capitolo 2| analoga si è prodotta comunque anche nel caso del metrò. Come abbiamo già evocato, a partire dalla fine degli anni Novanta è stato avviato un ampio programma di rinnovamento delle stazioni, noto come RNM. In questo quadro, un numero importante di stazioni è stato completamente ri-allestito: le stazioni sono rimaste chiuse per un periodo anche di alcuni mesi al fine di sostituire completamente tutta una serie di equipaggiamenti per i viaggiatori (corridori, luci, segnaletica e così via). Il grosso di questo rinnovamento è stato realizzato da ditte appaltatrici, a cui sono stati forniti degli schemi estremamente dettagliati per condurre l’insieme delle operazioni di rinnovamento, ivi compresa l’installazione di pannelli il cui contenuto e la cui collocazione erano stabiliti da norme precise. Ma, nonostante tutti i dettagli fossero stati scrupolosamente specificati, la consegna delle prime stazioni restaurate ha dato luogo a problemi importanti: alcune stazioni erano state considerate come completate ancor prima dell’installazione dei pannelli. Il servizio di manutenzione si è trovato così a dover supplire d’urgenza, con il proprio budget, alla realizzazione di pannelli provvisori destinati alla stazione nuova fiammante. Anche in questo caso il lavoro della segnaletica è consistito nel riuscire a far intervenire il prima possibile il proprio portavoce all’interno del processo in corso: Siamo riusciti a metterci d’accordo [con i responsabili di RNM] e abbiamo fatto un partenariato in modo che alla conclusione di ogni rifacimento abbiamo visitato insieme la stazione, gli abbiamo segnalato cosa non andava; essi lo accettavano o meno, si discuteva e quindi noi ci impegnavamo a sistemare le cose che non andavano, ma con un loro finanziamento. (Z.I., Dipartimento di manutenzione della segnaletica) è stata anche creata una figura di specialista che si occupasse proprio di questi controlli, effettuando una diagnostica esaustiva delle stazioni, per rilevare sistematicamente la presenza o l’assenza di ogni elemento previsto. Ciò peraltro non ha impedito di dover produrre a volte dei pannelli provvisori per l’apertura al pubblico, ma almeno le competenze risultavano chiaramente attribuite. La segnaletica è così diventata, come la luce o la circolazione, un oggetto di preoccupazione specifica, la cui assenza viene ritenuta sanzionabile. Questi due casi sottolineano di nuovo la fragilità del dispositivo della segnaletica nel suo complesso. Se a livello commerciale la considerazione del cliente è cruciale e costituisce un elemento particolarmente sensibile, a livello industriale l’esistenza della segnaletica sembra appesa a un filo nel caso dei grandi progetti, in cui essa affoga e rischia facilmente di venire trascurata. Queste situazioni, proprio attraverso le reazioni che suscitano, mostrano d’altra parte come la dimensione dinamica, mobile, del lavoro della segnaletica si giochi anche a livello organizzativo. In questo processo, i luoghi non sono mai scontati. Infatti, è dai luoghi che dipende l’attualizzazione del dispositivo della segnaletica negli spazi del metrò. Una parte del lavoro rileva di ciò che ci è stato spesso presentato come una lotta interna all’impresa. Due attività in particolare alimentano il conflitto: da un lato, una vigilanza costante verso 49 l’impatto dei grandi progetti sulla segnaletica, dall’altro una negoziazione più o meno difficile per definire la posizione e il ruolo dei rappresentanti della segnaletica nel processo lavorativo. La posta in gioco è quella di risalire il più possibile a monte affinché le esigenze della segnaletica siano chiaramente elaborate in ciascun caso, in modo che acquisiscano una sufficiente forza di inquadramento rispetto alle attività che dovranno integrarle. Regolare Infine, il lavoro della segnaletica funziona attraverso un’attività di regolazione che si trova in qualche modo a cavallo fra tre esigenze (far vivere la norma, convincere e prendere posizione) e che passa attraverso la produzione di carte che cercano di definire o rafforzare il quadro dei principi della segnaletica rispetto ad altre istanze interne ed esterne all’impresa. Queste fasi del lavoro, effettuate dall’unità di normalizzazione, sollevano delle questioni piuttosto diverse da quelle sin qui discusse. Si tratta infatti di produrre dei documenti che non si indirizzano più alle persone che agiscono sulla segnaletica (attraverso le fasi della progettazione, produzione, installazione e manutenzione), ma ad altri soggetti, la cui attività si cerca di normare attraverso la segnaletica stessa: è ad esempio il caso delle persone incaricate della gestione della pubblicità e di coloro che si fanno portatori di istanze relative ad esempio alla denominazione delle stazioni e delle loro uscite. La segnaletica di fronte alla pubblicità In una prospettiva ecologica tradizionale, la pubblicità può essere considerata come il principale nemico della segnaletica nella lotta per l’occupazione del territorio. La metafora ecologica è utilizzata infatti dagli intervistati con cui abbiamo parlato: esiste una guerra latente tra queste due forme di occupazione grafica degli spazi del metrò. E, dal punto di vista degli impiegati con cui abbiamo parlato, questa guerra si traduce in un rischio permanente per gli elementi della segnaletica di essere deturpati, parzialmente ricoperti o persino rimossi da pannelli, locandine o altri adesivi pubblicitari. La minaccia è tanto più forte in quanto gli argomenti degli uni e degli altri sono alquanto disuguali: se i supporti pubblicitari sono rappresentati da una società, Metrobus, che può far fruttare economicamente ogni metro quadrato utilizzato, il programma di esposizione grafica che organizza i pannelli della segnaletica vi oppone una serie di principi secondo i quali l’efficienza non si traduce in cifre, e ancor meno in ritorni finanziari. Se ci si batte per mettere in una posizione favorevole una mappa del metrò o una pubblicità, la problematica diviene complessa perché avrete un arsenale di cifre per mostrare che la pubblicità porta soldi, mentre è molto più difficile quantificare un viaggiatore perduto. Dunque la soluzione facile è dire: “Bah, la mappa del metrò non la mettiamo e ci mettiamo invece una bella pubblicità”. Dunque è una difficoltà perché quando organizzate la divisione degli equipaggiamenti di una stazione si pongono subito delle questioni sulla posizione ideale in funzione dei flussi e così via. La posta in gioco 50 |capitolo 2| della segnaletica è in sostanza quella di dare un’informazione utile al momento giusto. Un’informazione data troppo presto o troppo tardi non serve a molto. In quel caso mettiamo solo in difficoltà l’utente. (L.R., Dipartimento Progetto e Ambiente Viaggiatori) Una parte dell’attività dell’unità di normalizzazione, e più in generale di tutta l’entità che gestisce il design degli spazi viaggiatori, consiste dunque nel tentare di limitare lo spazio della pubblicità lungo i corridoi, le sale o le banchine. Il rifacimento della segnaletica ha già dato luogo alla normalizzazione di un numero di pannelli da quattro metri per tre sulle banchine. Più in generale, in ogni stazione, il numero e il posizionamento dei supporti fissi sono di solito definiti una volta per tutte. Per contro, il numero crescente di operazioni commerciali che escono da questi riquadri standard (e che vengono chiamate “fuori-media”) appaiono come una vera e propria minaccia agli occhi dei rappresentanti della segnaletica. Ad esempio, le campagne note come “adesivaggi”, posizionate ad esempio sulle uscite di sicurezza o sulle carrozze stesse, escono dal quadro normale della coabitazione di segnaletica e pubblicità e risultano tanto più problematiche. Gli argomenti a difesa degli spazi della segnaletica nelle stazioni, e più in generale dell’equilibrio tra le forme di espressione grafica in questi spazi (anche i supporti culturali sono in causa) si sostanziano in una serie di documenti che però espongono solo dei grandi principi di una possibile coabitazione, senza prendere la forma di vere e proprie norme. Al momento della nostra ricerca, una delle persone incontrate era anche incaricata di elaborare una carta del “buon uso dell’adesivaggio” negli spazi viaggiatori, tanto la pratica era divenuta diffusa e ritenuta ormai critica. L’obiettivo era chiaro: inquadrare il più possibile, senza giudizi di valore, il processo di creazione e di commercializzazione di questi spazi pubblicitari temporanei. In pratica, mi hanno dato una missione del tipo: “Fa’ in modo di poter influenzare o influire sul lavoro pubblicitario che hai di fronte, ma cerca di rendere l’intervento il più possibile oggettivo”. (D.M., Dipartimento Progettazione e Ambiente Viaggiatori) Questa carta avrebbe permesso di operare sui tre versanti delle attività messe in luce più in alto. Si trattava di creare delle regole e di renderle disponibili e comprensibili a terze parti esterne al servizio (Metrobus e i pubblicitari stessi). Data questa funzione pedagogica, la carta doveva anche sensibilizzare i destinatari all’importanza di una coesistenza ragionevole. Infine si trattava di ristabilire implicitamente la priorità della segnaletica sulla pubblicità “fuori-media”: è per cercare di economizzare i vai-e-vieni. Perché, ecco, Metrobus riceve delle proposte, le invia al gruppo che si occupa di fuori-media commerciali e loro ci girano la proposta. Le mail arrivano qui al design, ma anche al direttore della linea, e così via. Allora c’è il valzer delle validazioni. E ogni volta Yves [il responsabile del dipartimento design] s’incaricava di rispondere, con due pagine di spiegazioni pedagogiche lambicca- 51 te […] L’idea è insomma che Metrobus riceva questa carta per cercare di fare un primo filtro e che poi la distribuisca alle agenzie con cui lavora perché la ricevano i pubblicitari stessi. (D.M., Dipartimento progettazione e ambiente viaggiatori) La dimensione oggettivante di questo tipo di documento è essenziale nella lotta in atto. Se non abbiamo i mezzi per apprendere l’uso quotidiano di questa carta, il secondo dominio in cui questo genere di attività è stato implementato mostra bene l’importanza di queste guide per un inquadramento solido delle attività esterne che minacciano l’ecologia grafica in cui la segnaletica si colloca. I cambiamenti di denominazione Per quanto evidente, è senza dubbio importante ricordare che una gran parte del contenuto linguistico dei pannelli è questione di nomi propri: nomi delle stazioni stesse, ma anche nomi delle strade associate alle uscite, e nomi dei monumenti o delle istituzioni principali che si trovano nei paraggi. Tutti questi nomi giocano un ruolo estremamente importante nel sistema della segnaletica, in quanto dotati di tre funzioni essenziali per il processo di mobilità nel suo insieme: informazione, toponimia e coerenza (figura 10). Questo contenuto, anche se inscritto nella materia dura del pannello metallico, è anch’esso soggetto a progetti di innovazione e modifica. Nel caso della creazione di una nuova stazione, come ad esempio Olympiades sulla linea 14 o tutte le nuove stazioni del tram T3, occorre inventarlo. Se ne incarica una delle due persone responsabili della normalizzazione della segnaletica, attraverso delle proposte che in ogni caso non può controllare fino in fondo: si tengano infatti presenti il valore e le implicazioni di un nome rispetto al resto della compagnia e rispetto al mondo politico e associativo. Così, questo esperto si trova ogni volta a confrontarsi con le numerose domande di far figurare il nome di tale o talaltro monumento negli spazi del metrò, o di intitolazione di una stazione che pervengono alla RATP. La RATP riceve come minimo una lettera alla settimana del genere: “Ecco, il mio antenato Tizio Caio era una persona formidabile, non si potrebbe mettere il suo nome da qualche parte?”, oppure: “Siamo un’associazione dedicata al tal personaggio, non si potrebbe avere una targa?”, o ancora: “Come mai in questa stazione non è nominato l’illustrissimo tale?”… Perciò c’è una sollecitazione continua su questa cosa dei nomi… impresa privata, impresa pubblica, tutti quanti, è straordinario, tutti i musei, tutti i teatri… (L.T., Unità concezione e identità degli spazi) La quantità delle domande mostra in effetti che le stazioni del metrò e la loro segnaletica sono dei supporti di visibilità nello spazio pubblico estremamente potenti. Dal nome della stazione al nome delle uscite fino alle indicazioni sulla mappa del quartiere, tutto è ambito e richiesto. Questo genere di dinamiche rivela una dimensione importante dell’ecologia grafica del metrò. Chiaramente, è impossibile far figurare tutti questi nomi: anzitutto 52 |capitolo 2| tecnicamente, perché non ci sono abbastanza spazi di iscrizione disponibili e la soglia di saturazione sarebbe presto raggiunta; ma anche politicamente, perché la RATP non può farsi portavoce di tutte le cause. Come nel caso della coesistenza con la pubblicità, il servizio di normalizzazione si trova in una posizione regolatrice. La maggior parte di questo lavoro consiste nel proteggere l’integrità del sistema delle denominazioni. Per far ciò è necessario scrivere una risposta negativa alla larghissima maggioranza di domande. Ora, è difficile produrre un argomento ex nihilo ogni volta. Per scrivere una lettera di rifiuto adeguatamente motivata si è dunque prodotta una Guida delle denominazioni che specifica anzitutto le funzioni che la RATP attribuisce ai nomi propri (figura 10). La maggior parte delle richieste si basa sui motivi della localizzazione e della commemorazione, ma chiaramente questi due elementi possono essere anche incompatibili. La guida specifica i formati possibili di denominazione, in termini di generi, forme e supporti. Distingue ad esempio tre tipi di sottotitoli, che possono comparire sotto il nome della stazione, definendo in dettaglio il loro campo di applicazione, che deve comunque “restare eccezionale” (figura 11). Non entreremo qui nei dettagli della guida; quel che ci interessa è il modo in cui essa inquadra il lavoro di regolazione rispetto alle richieste di cui sopra. è importante ricordare che la guida prevede la denominazione dei luoghi turistici sulla base di un criterio, quello della frequentazione, che è piuttosto semplice da manipolare. Così, la griglia della frequentazione permette di compiere una rapida selezione dei pretendenti. è meraviglioso; dal momento in cui ci arriva una richiesta, possiamo rispondere: “Al momento ci risulta che voi abbiate tot visitatori l’anno. Ebbene, in questo caso non sarà possibile, dato che per apparire sulle targhe dell’uscita, occorre avere un altro tot di visitatori”. Così facciamo riferimento a questa nostra “norma”. La chiamiamo norma, anche se di fatto non è che una tabella, ma alla gente “norma” sembra più ufficiale… C’è un aspetto legislativo. Così, grazie a questo strumento ci sono meno contestazioni e i nostri rifiuti sono meglio accettati . (L.T., Unità concezione e identità degli spazi) Questo tipo di regolazione è sensibilmente diversa da quella adottata per la pubblicità. Qui non ci si trova a combattere con solidi argomenti economici, e la sollecitazione viene da persone esterne all’impresa che domandano un favore. Il richiamo al regolamento sugli standard di frequentazione è dunque sufficiente per assicurare la stabilità del dispositivo. Tra i quattro assi del lavoro della segnaletica, la regolazione è quello che più direttamente coinvolge la dimensione spaziale dell’ecologia grafica. Da essa dipende il numero di “specie” accettate nell’ambiente del metrò – tanto la loro natura quanto la loro posizione. Ancora una volta è necessario insistere sul carattere pratico delle lotte che attraversano questa ecologia. Una semiotica degli spazi non basterebbe a renderne conto, in quanto si tratta di analizzare le negoziazioni tra i portavoce delle diverse specie grafiche. I quattro assi della dinamica organizzativa che abbiamo considerato mostra- 53 no insomma sino a che punto queste negoziazioni siano delicate, con un risultato sempre fragile. Conclusione: l’altra faccia dell’ecologia grafica Dal punto di vista dei soli documenti che lo presenta e ne espone i principi generali, il dispositivo della segnaletica appare essenzialmente come un sistema collaborativo di artefatti che, una volta installato, gestisce lo spazio producendo un ambiente grafico ordinato e operativo. Ma se entriamo negli uffici della RATP comprendiamo quanto tale immagine ufficiale sia il risultato di un doppio lavoro: essa infatti nasce, da una parte, dalla configurazione stessa delle attività di molte persone, dall’altra da negoziazioni e dibattiti ricorrenti. Evidenziare l’esistenza di questo lavoro permette di completare la nozione di ecologia grafica. Tuffarsi nei pannelli della segnaletica rivela una dimensione opposta al principio di cooperazione sopra descritto. Anche se concepito come operatore di un’ecologia cooperativa in cui i viaggiatori sono invitati ad interagire strettamente con gli artefatti grafici messi a loro disposizione, il sistema della segnaletica non è il solo dispositivo grafico che popola gli spazi del trasporto. Il suo posto tra le altre “specie di scrittura” non va da sé, al contrario, va conquistato attraverso una lotta quasi costante. L’ecologia grafica cooperativa si raddoppia in un’ecologia competitiva. Lungi dall’essere opposte, queste due forme di azione ecologica sono per lo più indissociabili (Denis e Pontille, 2009). Gli studi di sociologia urbana sviluppati nel quadro della scuola di Chicago sulle forme di lotta per lo spazio (Hughes, 1936; Park, 1936) sono particolarmente utili per comprendere la dimensione competitiva delle ecologie grafiche. Anche senza adottare la prospettiva evoluzionista degli autori di quella scuola, possiamo in effetti pensare gli spazi di trasporto come territori grafici da conquistare1. Dato che la capacità di esposizione di un territorio è limitata, le differenti forme di scrittura che vogliono occupare quel territorio si trovano in competizione. Potremmo facilmente studiare questa competizione dal solo punto di vista dei luoghi interessati, contando i metri quadri occupati da ciascuna specie di scritta, misurando il tasso d’esposizione nel tempo alla luce di relative avanzate e ritirate. Ma come abbiamo visto la competizione non si gioca direttamente negli spazi. Essa si svolge anzitutto sui pannelli, nei dibattiti a volte animati tra i diversi portavoce, nei documenti che si scambiano, negli 1 Ricordiamo con I. Joseph e Y. Grafmeyer (1990, p. 14) che il riferimento ai modelli evoluzionisti non è, per la maggior parte degli autori di Chicago, né naïf, né riduttivo, al punto che “non c’è alcun passaggio diretto dall’ecologia all’organicismo”: “il concetto di competizione non funziona come una semplice metafora basata sull’ecologia animale o vegetale” (p. 28). Così, “non bisogna confondersi sul significato che la scuola di Chicago attribuisce alla nozione di ecologia. Lo spazio non è inteso come un principio esplicativo, e neppure come un oggetto privilegiato di analisi: l’attenzione è soprattutto sul sistema sociale, sulla sua organizzazione, il suo funzionamento e le sue trasformazioni” (p. 34). 54 |capitolo 2| organigrammi e nella distribuzione di compiti e competenze. Dal punto di vista della competizione, l’ecologia grafica ha due facce, e la lotta per l’esistenza di una segnaletica normalizzata e sistematizzata si traduce al tempo stesso in tentativi di restrizione dello spazio occupato da altri tipi di insegne (in primo luogo, come si è visto, la pubblicità) e in una guerra di posizione tra i diversi portavoce all’interno del processo organizzativo. Non vogliamo avanzare qui una teoria esaustiva dell’ecologia grafica degli spazi di trasporto. Si tratterebbe infatti di seguire la pista di tutti i tipi di scrittura che si disputano lo spazio in questi luoghi. L’esempio più forte sarebbe in questo caso quello dei graffiti: lì infatti la lotta si esprime in modo molto diverso da quello che abbiamo seguito nella nostra ricerca, operando direttamente sugli spazi, luoghi essenziali del confronto (insieme ai tribunali); e gli strumenti che equipaggiano l’installazione e la rimozione dei graffiti sollevano delle poste in gioco specifiche, in primo luogo il problema del degrado materiale degli spazi. Potremmo fare l’esempio di altre scritte presenti nelle stazioni sotto forma di piccoli pannelli a scopo culturale e le cui condizioni di installazione innescano certamente altre forme di competizione che non abbiamo preso in esame in questa indagine. L’aspetto empirico della nostra ricerca ci ha precluso l’accesso a una prospettiva più generale e astratta di una ecologia grafica completa. Occupandoci in particolare del punto di vista dei rappresentanti della segnaletica, abbiamo esplorato solo uno dei modi di stabilizzazione dell’ambiente grafico, senza occuparci a fondo di tutti gli altri processi potenzialmente concorrenti. La nozione di ecologia grafica, cooperativa e competitiva, non è dunque un risultato della ricerca empirica, ma uno schema per mappare delle potenzialità euristiche.2 D’altra parte, l’analisi dei supporti della segnaletica mostra un aspetto dell’ecologia grafica che un altro tipo ricerca non avrebbe potuto rivelare. I rapporti tra il servizio di normalizzazione della segnaletica e gli altri dipartimenti che si occupano della pubblicità mostrano che i rappresentanti di questi dispositivi non sono semplicemente impegnati in una guerra per distruggere gli altri tipi di scritte, occupando al massimo lo spazio di esposizione. Nella compilazione di una carta per il “buon uso dell’adesivaggio”, i rappresentanti della segnaletica non cercano tanto di impedire qualsiasi possibilità di installare delle pubblicità adesive negli spazi di trasporto, quanto di controllare le condizioni della loro esposizione. L’ecologia grafica competitiva passa per un processo di regolazione in cui la segnaletica non ha la vocazione di diventare una specie grafica tra le altre. La creazione di carte d’uso e altri manuali illustra un lavoro di posizionamento specifico che cerca di installare il dispositivo al di sopra della 2 A questo proposito troviamo fruttuoso il dibattito tra M. Callon (1986) e S.L. Star e J.R. Griesemer (1989). I secondi hanno rimproverato al primo di sviluppare un modello di traduzione orientato verso i futuri “vincitori”, e hanno cercato al contrario di mostrare la molteplicità delle vie della traduzione (n-way translation). Di conseguenza siamo pienamente consapevoli dei limiti della nostra indagine e del suo carattere parziale, nonché esplorativo, aperto verso l’apporto di ulteriori contributi. 55 competizione con le altre scritte. L’obiettivo è di creare una fonte di principi generali validi per l’insieme dell’organizzazione grafica degli spazi. Certe presentazioni della nuova segnaletica esprimono chiaramente questa volontà, superando il quadro del solo ambiente grafico: La segnaletica e l’informazione devono essere considerate come uno degli elementi di base attorno al quale si costruisce l’architettura. (Sancho de Coulhac e Viaut, 1998, p. 9) Si tratta chiaramente di realizzare quelt tipo di “controllo degli spazi grafici” descritto da Petrucci (1993). La RATP può essere considerata, da questo punto di vista, come un’istituzione che cerca di controllare l’insieme delle forme grafiche esposte nei luoghi di sua competenza. Dal momento che ogni spazio grafico possibile ha un dominus che ne determina l’uso, ne segue che, direttamente o indirettamente, questo dominus è anche in grado di determinare le caratteristiche dei prodotti grafici esposti. (Petrucci, 1993, p. 10) Dal punto di vista dell’impresa e dei designer della segnaletica, questo controllo è presentato come un lavoro di equilibrio e una messa in scena del servizio destinato all’agio degli utenti. La RATP vuole essere la regia di tutti questi elementi al fine di soddisfare i propri clienti. Si trova così a dover gestire un equilibrio tra tutte queste tendenze. Al di là del proprio ruolo di agenzia di trasporto, la RATP ha un ruolo importante di attore urbano che gestisce dei luoghi. (Kaminagai, 2001, p. 29) Ora, l’organizzazione non dispone di alcun dipartimento esplicitamente dedicato a questo lavoro di regolazione. Il compito di assicurare l’equilibrio costante tra le diverse forme di scrittura e di emanare le “regole della comunicazione scritta esposta” (Petrucci, 1993, p. 10) non è preso in carico da alcuno. Attraverso il movimento di normalizzazione è dunque il dispositivo segnaletico che è divenuto operatore principale della gestione dello spazio grafico della RATP. Si comprendono così meglio le sue specificità. La segnaletica installata a partire dalla metà degli anni Novanta nei luoghi di trasporto non è riducibile a un insieme di scritte esposte di tipo funzionale da sistemare dove possibile. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la concezione del sistema della segnaletica ha fatto parte di un movimento molto più ambizioso di gestione degli spazi di trasporto (Kokoreff, 1992; Joseph, 2004). Il programma d’intelligibilità grafica che la fonda mette in opera una marcatura istituzionale che non è poi così distante dalla marcatura politica evocata da Petrucci a proposito delle scritte monumentali a Roma. Si tratta di uno strumento di visibilità della RATP sulla scena dei trasporti pubblici, progettato materialmente come un attore collettivo rispetto al quale il pubblico è invitato a entrare in relazione (Denis, 2002). Questo atto di presenza è reso possibile da un processo mai completamente chiuso di inquadramento e di allineamento di spazi di scrittura che altri attori o altre istituzioni vorrebbero esporre nei medesimi territori. Nel loro lavoro di regolazione e di posizio- 56 |capitolo 2| namento all’interno dell’organizzazione, i rappresentanti della segnaletica fanno di questo inquadramento, e della gestione dello spazio grafico che ne risulta, una “condizione di felicità” del dispositivo stesso. 57 58 |capitolo 3| Capitolo 3 Equipaggiare i viaggiatori In un aeroporto il passeggero è più un marinaio che un lettore, le scene vengono fatte e disfatte, gli universi si aprono e si chiudono in una serie di rivelazioni architettoniche e semiotiche mentre il passeggero si muove in uno spazio che è una mappa – una mappa politicamente significativa, come ogni mappa, e insieme banale, come la vita di ogni giorno. (Fuller, 2002, p. 236) I primi due capitoli ci hanno fornito l’occasione per insistere sulla doppia dimensione ecologica della gestione grafica operata dalla segnaletica. Come abbiamo visto, la sua intelligibilità si basa allo stesso tempo su un programma di cooperazione tra elementi diversi e su una competizione tra tipi di scritte installate negli spazi del metrò. D’altra parte, abbiamo anche visto che questa ecologia grafica, insieme cooperativa e competitiva, è il risultato, mai completamente stabilizzato, di una dinamica organizzativa fragile. Ma che dire della portata politica della segnaletica? Come abbiamo mostrato, il dispositivo si basa su un progetto teorico esplicitamente rivendicato. La segnaletica è il risultato di un programma di esposizione grafica nel senso di Petrucci (1993) e, anche se più operativa del genere di scritte studiate da Petrucci, essa espleta comunque una forma di governo dello spazio. Come precisa Garfinkel (1996), la forza dei processi di comprensibilità risiede nel fatto che una qualsiasi descrizione del mondo può essere compresa come una istruzione. Prendendo in considerazione gli artefatti che compongono il dispositivo della segnaletica, una simile riflessione ci invita ad analizzare meglio questo sistema di supporto grafico alla mobilità nella sua dimensione propriamente prescrittiva. Ogni componente della segnaletica può infatti venire considerata come un micro-strumento di disciplina (Crang, 2002; Fuller, 2002; Knox et al., 2008) che dispone l’utente dei trasporti in comune ad agire in determinati modi. Senza presupporre a priori la portata o la forza di tale azione, possiamo cercare di comprendere la segnaletica dal punto di vista di ciò che si ritiene essa faccia fare ai viaggiatori del metro. A tal fine, ci ispireremo ai lavori sviluppati dall’antropologia delle scienze e delle tecniche a proposito del processo di innovazione. In particolare, cercheremo di comprendere gli 59 script (Akrich, 2006) della segnaletica, vale a dire le rappresentazioni delle competenze e delle azioni dei suoi utenti così come esse sono mobilizzate e presupposte dai suoi creatori. Ci rifaremo in particolare a due fonti distinte. In primo luogo, ci baseremo sull’analisi dei documenti interni che testimoniano le riflessioni svolte intorno alla creazione della nuova segnaletica e sui principi fissati al momento della sua implementazione. Questo materiale, insieme alle interviste con i protagonisti di questo processo di creazione, ci permetterà di identificare delle modalità di mettere in scena l’utente della segnaletica e di attribuirgli delle forme d’azione specifiche. Ma per affinare il panorama aggiungeremo a questi documenti scritti anche una etnografia delle stazioni del metro. Attraverso la restituzione dell’esperienza dei fototragitti realizzati sulla rete parigina e su quella newyorkese, metteremo in luce quali atti e comportamenti ci permettano di seguire, in una situazione specifica, gli script della segnaletica. In questo duplice movimento, vedremo come il dispositivo instauri una vera e propria politica dell’attenzione, che si caratterizza per essere plurale. Essa mobilita le scritte esposte ben al di là di un modello univoco centrato sulla leggibilità generalizzata. Documentare una tale pluralità ci consentirà quindi di mettere l’accento su una dimensione essenziale della segnaletica del metrò. In quanto luoghi pubblici, gli spazi di trasporto sono sottoposti a una inaggirabile esigenza di diversità, che può essere difficile integrare in una ecologia grafica cooperativa. Produrre una tale ecologia rappresenta al tempo stesso una scommessa formale (l’armonizzazione di un dispositivo fatto di artefatti grafici eterogenei) e una posta in gioco politica (l’attribuzione dei posti nello spazio pubblico e l’organizzazione della loro coesistenza). Script e posture: dalla concezione all’uso Emancipandosi da un approccio strettamente focalizzato sulle dimensioni tecniche del lavoro di ideazione, alcune ricerche di antropologia delle scienze e delle tecniche si sono interrogate sul modo in cui gli ideatori e gli ingegneri anticipano gli usi futuri delle loro invenzioni. Akrich (1990; 2006) ha introdotto a questo proposito alcune nozioni particolarmente feconde. Partendo da un approccio di tipo semiotico, ha mostrato che un progetto di innovazione passa sempre attraverso delle scelte che consistono nell’inscrivere entro le tecnologie stesse le rappresentazioni dell’azione e dell’ambiente in cui l’interazione tra l’oggetto e i suoi utilizzatori può avere senso. Qualsiasi innovazione si basa su degli scenari d’uso, che Akrich chiama degli script, i quali cristallizzano all’interno del futuro artefatto determinate maniere di entrare in relazione con esso. Gli oggetti tecnici portano così in sé degli usi – e dunque degli utilizzatori – adeguati, che occorre attualizzare per avere un buon funzionamento dell’oggetto, quantomeno agli occhi del suo ideatore. La forza di questo modello consiste nel mostrare che questi script non si riassumono in quegli scenari espliciti che troviamo, ad esempio, nel dominio del marketing o della pubblicità, in cui si cerca di mettere in scena dei comportamenti possibili dei futuri utilizzatori. Le scelte 60 |capitolo 3| tecniche più anodine inscrivono dei tipi d’uso specifici che è a volte difficile mettere a fuoco. Per illustrare questa situazione, possiamo considerare brevemente l’esempio del telecomando a infrarossi (Akrich, 2006). Questo semplice oggetto contiene numerosi script. Esso presuppone ad esempio un utilizzatore in grado di comprendere che i tasti numerati sono degli strumenti che consentono di cambiare canale a distanza. Se si tratta di un canale a pagamento la questione diventa subito meno semplice: per evitare di attribuire il consumo della visione a un essere incapace di onorare il contratto commerciale presupposto (ad esempio, un gatto che cammini sui tasti), è necessario inventare un sistema di validazione dell’utente adeguato. Ma possiamo scendere anche molto più in profondità nel tipo di esigenze inscritte nell’oggetto. Affinché il telecomando consenta effettivamente di cambiare canale, è altresì necessario che il suo utilizzatore, quando preme il tasto, lo diriga verso il ricettore infrarossi del televisore. Le difficoltà che incontrano i bambini in questa operazione dimostra che non si tratta di un compito che va da sé. Ora, in questo caso, non si tratta di modificare il dispositivo. Spetta invece all’utente il compito di adottare la giusta posizione, il che ci ricorda un’altra dimensione essenziale degli script: essi presuppongono certi atteggiamenti cognitivi e corporali, e dunque delle competenze specifiche. Per attualizzare gli script, gli utilizzatori in carne ed ossa devono allinearsi agli utilizzatori progettati, inscritti nelle proprietà tecniche dei dispositivi; devono cioè adottare quella che Akrich chiama la “postura” che lo script attribuisce loro. Lo iato tra questa postura e le competenze effettive degli utilizzatori in carne ed ossa comporta evidentemente sempre un margine di rischio. L’interesse di un tale approccio consiste nel mostrare che gli ideatori hanno una definizione ricca dell’azione e che attribuiscono agli utilizzatori, nel corso delle loro decisioni tecniche, delle competenze cognitive, psicomotrici o sociali. Le nozioni di script e di postura permettono di disaggregare il concetto di attore in unità elementari per considerarlo come il risultato di un processo complesso invece che come un punto di partenza neutro. Esse risultano particolarmente utili per staccarsi da una visione troppo integrata dell’utente o, come nel nostro caso, del viaggiatore della rete dei trasporti pubblici. Analizzando la segnaletica attraverso i suoi script, siamo in grado di passare da un punto di vista essenzialista, che presuppone che i pannelli si indirizzino sempre a una persona, a uno che ci consente di comprendere meglio le competenze differenziate che i pannelli stessi presuppongono. Potremo così esaminare precisamente come gli ideatori trattino non solo la difficile richiesta dell’accessibilità agli spazi pubblici (Joseph, 2007), ma anche la figura dell’individuo “visualmente dotato” (Lacoste, 1997) che fonda la politica dell’attenzione nei corridoi del metro. Vedremo che la segnaletica si basa su quattro posture principali: l’informazione, la pianificazione, la risoluzione di problemi e la reazione. Ma una comprensione adeguata di ciò che la segnaletica è ritenuta in 61 Figura 1. Linea 1, direzione La Défense, stazione Nation Figura 2. Norma segnaletica, volume 1 Figura 3. Norma segnaletica, volume 2 Figura 4. Norma segnaletica, volume 3 Figura 5. Estratto del formulario di rilevamento degli agenti di stazione Figura 6. estratto delle istruzioni per i rilevatori Figura 7. Estratto di una rilevazione di “percorso non conforme” Figura 8. Cosa occorrerebbe scrivere per sostituire i simboli. (RATP, 2002, diapositiva 24) Figura 9. I vantaggi delle minuscole in termini di leggibilità (RATP, 2002, diapositiva 13) Figura 10. Le tre funzioni della denominazione (RATP, 2007, p. 5) Figura 11. Categorie (RATP, 2007, p. 9) Figura 14. Pannelli sulla banchina della stazione di Prospect Park Figura 12. Parigi: percorso da Bercy a Corvisart (linea 6) Figura 13. New York: percorso da Prospect Park alla Settima Avenue (linea Q) Figura 15. Seguire il colore azzurro Figura 16. Trovare la cifra “2” Figura 17. Leggere vs percepire Figura 18. Cercare il posizionamento per un pannello osservando quello degli altri Figura 19. Sulla banchina di fronte: una replica del pannello da installare Figura 20. Il posizionamento del pannello da cambiare Figura 21. Trovare da fuori l’uscita più vicina al museo Figura 22. Tener conto di un altro dispositivo di orientamento Figura 24. Confrontare con l’altra banchina Figura 23. La fine della banchina e il suo unico pannello Figura 25. Un pannello sospeso nella sala d’entrata Figura 26. Discutere i possibili posizionamenti per indicare l’uscita d’emergenza Figura 27. Il pannello tra gli altri oggetti Figura 28. Gli adesivi sulle porte battenti dei tornelli (dall’interno) Figura 29. Lo stock dei pannelli in metallo Figura 31. Caricare i pannelli nel furgone Figura 30. Lo stock dei pannelli in PVC Figura 32. Trasportare il pannello fino alla stazione Figura 33. Fare attenzione al pannello, ai viaggiatori e alla propria incolumità Figura 35. Misurare il pannello e il suo futuro posizionamento Figura 34. Bucare i supporti Figura 36. Il pannello fissato, ancora sporco Figura 37. Pulire le pannello Figura 39. Deporre il pannello Figura 38. Ricaricare la batteria Figura 40. Verificare le dimensioni Figura 41. Preparare le zeppe in carta Figura 43. Il pannello stabilizzato nel cassone luminoso Figura 42. Alloggiare il pannello Figura 44. Aprire il cassone luminoso Figura 45. Togliere le viti e rimetterle Figura 47a-b. chiudere il cassone luminoso Figura 46. Mettere la targa grado di far fare non si riduce necessariamente all’analisi dei discorsi dei suoi ideatori; è altresì particolarmente utile analizzarne le conseguenze concrete. Come precisa Akrich (2006), è essenziale passare dal lato degli utenti-incarne-ed-ossa, soprattutto al fine di mettere in luce delle esigenze che sono scontate dal punto di vista degli ideatori e non appaiono problematiche finché non si passa alle condizioni d’uso effettive. Per applicare questa prospettiva ai corridoi del metro, il programma di ricerca della RATP ha provato, ad esempio, a cogliere l’esperienza degli utenti facendo loro sperimentare dei tragitti. Il tragitto è uno “strumento di conoscenza dei rapporti tra utente e ambiente” (Lévy, 2001, p. 61) che consente di mettere l’accento sui problemi generali e assolutamente pratici che i viaggiatori devono porsi percorrendo luoghi che sono allo stesso tempo “degli spazi urbani, degli spazi di trasporto e degli spazi di servizio” (p. 62). Ma cosa ci illustra esattamente questo metodo? Ci permette davvero di comprendere le posture della segnaletica in azione? In realtà, ne dubitiamo. La maggior parte delle ricerche condotte in questo quadro si interessa alla questione generale dell’orientamento, intesa come sequenza di azioni complesse (Borzeix, 2001; Levy, 2001; Vertesi, 2008). Si è così sottolineata l’eterogeneità delle risorse mobilizzate nei percorsi, durante i quali gli elementi messi a disposizione in modo ridondante (la segnaletica, gli schermi, le affissioni permanenti o provvisorie, gli annunci sonori) non vengono affatto percepiti come sistema integrato. L’obiettivo era dunque quello di identificare tutto il lavoro necessario per condurre a termine un viaggio riuscito. Come abbiamo precisato all’inizio di questo libro, noi abbiamo adottato una prospettiva sensibilmente diversa. Poiché il nostro obiettivo era di prendere sul serio la segnaletica in quanto dispositivo di aiuto alla mobilità e di isolarne in qualche modo le proprietà pratiche, abbiamo cercato un mezzo che ci consentisse di chiarire le competenze che ci si attendono da un utente della segnaletica e non dell’intero sistema dei trasporti. Abbiamo dunque compiuto dei percorsi fotografici durante i quali, al contrario dei viaggiatori, ci siamo focalizzati esclusivamente sui moduli del dispositivo messo a nostra disposizione, e grazie ai quali ci siamo spostati da un punto della rete ad un altro. La nostra esperienza è stata condotta nella rete parigina, ma anche a New York, al fine di ottenere un effetto di spaesamento, confrontandoci con una segnaletica che, ci era stato detto nelle interviste dai membri della RATP, si presenta come molto diversa e persino opposta a quella parigina.1 Da un punto di vista generale, questo genere di fenomenologia d’uso è un mezzo molto ricco per comprendere l’eterogeneità stessa della segnaletica, come mostrano le figure 12 e 13 che riuniscono le fotografie delle principali tappe di realizzazione dei due tragitti, uno parigino, l’altro newyorkese. Malgrado la loro semplicità (non sono stati effettuati né cambi né 1 Il nostro approccio è in questo senso simile a quello di Latour ed Hermant (1998, p. 87-105), i quali propongono al lettore di seguire un percorso fotografico nella città di Parigi per verificare i tipi di utenti materialmente inscritti nei diversi dispositivi di arredo urbano. Torneremo su questo punto alla fine del capitolo. 80 |capitolo 3| corrispondenze), questi percorsi testimoniano il numero importante di elementi che vengono mobilizzati nel loro svolgimento, e rivelano soprattutto la loro varietà. Tornando sulle varie operazioni necessarie alla comprensione situazionale, l’esperimento permette di esplicitare ciò che in concreto presuppongono le posture proiettate dagli ideatori. In altre parole, esso ci permette di vedere in dettaglio cosa bisogna fare per divenire, seduta stante, un utente informato, pianificatore, capace di risolvere problemi, ovvero reattivo. Vedremo che ognuna di queste posture riposa su un’azione chiave: leggere, consultare, reperire e percepire. L’informazione La nozione estremamente generale di informazione ai viaggiatori, e il modo in cui essa è divenuta poco a poco strategica alla RATP, rivela una prima “postura” dell’utente del trasporto pubblico: numerosi elementi della segnaletica sono fatti per informare. Bisogna tuttavia precisare che il quadro di questo termine non è così generale come potrebbe sembrare. Anzitutto, la postura del viaggiatore informato non è nuova per l’impresa. Essa è stata l’oggetto di numerose riflessioni e di un notevole spiegamento di mezzi. Tuttavia per molto tempo la segnaletica era utilizzata solo in situazioni di difficoltà. Infatti, l’informazione era pensata come elemento specifico da fornire solo quando le condizioni normali della rete erano messe in crisi. Con l’arrivo di un nuovo dispositivo di segnaletica multimodale, il campo dell’informazione si è notevolmente ampliato. Non soltanto la scritta è stata integrata come risorsa che fa interamente parte dell’informazione ai viaggiatori, ma la necessità di informare gli utenti si è anche notevolmente rafforzata, estendendosi, come abbiamo visto nel primo capitolo, alle situazioni normali. Allo stesso tempo la postura del viaggiatore informato si è trovata trasformata. Il viaggiatore che cerca aiuto in caso di situazioni di disordine della linea è stato gradualmente affiancato da un utente che cerca di controllare meglio le condizioni del proprio tragitto. L’installazione progressiva di tecnologie dell’informazione in tempo reale è un caso esemplare di questo spostamento. Il documento che presentava nel 1993 le grandi linee di una “politica dell’informazione dei viaggiatori” ne esprime la sfida in questi termini: Occorre altresì assicurare al viaggiatore una padronanza del fattore temporale durante il proprio tragitto, informandolo […] sul tempo di attesa in funzione delle condizioni reali della linea. (RATP, 1993, p. 14) L’informazione è dunque pensata come fonte di padronanza e controllo [maîtrise]. Il viaggiatore informato è un viaggiatore al quale vengono dati i mezzi per essere autonomo. Si tratta di un servizio a pieno titolo, da arricchire costantemente nel quadro dell’offerta generale di trasporto. Abbiamo in progetto l’installazione di un elemento che dovrà esse piazzato nell’imbuto (cioè in cima alle scale all’ingresso della stazione) che vi permetterà di sapere se vale la pena 81 di scendere, se la biglietteria è in funzione o meno, che vi risparmi di fare andata e ritorno per niente. Dunque, questa è una vera idea di servizio, una targa con l’indicazione dei primi treni, degli ultimi treni, che vi dice “per comperare un biglietto non val la pena entrare di qui, prendete l’atra entrata”. (L.T., Unità Concezione e Identità degli Spazi) Questa postura, come si vede, supera ampiamente il quadro del trasporto pubblico. La sua inscrizione nel dispositivo della segnaletica partecipa al movimento storico che, secondo molti osservatori, caratterizza lo sviluppo delle società tecnologiche, accompagnando numerosi altri dispositivi che trasformano le modalità di governo, dalla sorveglianza alla comunicazione, in quanto il governo stesso “si appoggia sull’esistenza di un cittadino informato” (Barry, 2001, p. 48). Da questo punto di vista, la nozione di informazione non ha nulla di neutro: Il concetto stesso di informazione implica un lettore che deve essere informato. Si tratta perciò di un concetto tanto tecnico quanto morale. (Barry, 2001, p. 153) Proponendo un quadro ricco di informazione, che permette anche di controllare lo stato della rete, il dispositivo della segnaletica opera un doppio movimento: da un lato fornisce delle nuove prese per mettere alla prova e controllare l’efficacia del servizio di trasporto; dall’altro lato, mette gli utenti in grado di esercitare una padronanza sul proprio percorso. La postura del viaggiatore informato si basa sull’esistenza di una serie di artefatti, principalmente di tipo linguistico. Esse mostrano cioè delle frasi più o meno complesse che compongono dei messaggi. I moduli della segnaletica sono concepiti come testi che devono risultare leggibili. Ciononostante, la circolazione di informazioni non è mai un’operazione immediata e trasparente. Leggere un’affissione è una cosa, produrre dell’informazione (e dunque risorse per agire) a partire da quel che è scritto sull’affissione è un altra. Il modo migliore per rendersene conto consiste nell’uscire dal quadro familiare del metro parigino per esaminare in dettaglio lo sviluppo di percorsi e tragitti sulla rete newyorkese, come in figura 13. La prima foto mostra l’avviso che abbiamo visto appena entrati in una stazione. Il suo testo indica che lunedì 28 maggio è giorno festivo (Memorial Day) e che il servizio dei treni funziona come la domenica: “Holiday service. Memorial Day, Monday, May 28. Trains run on a Sunday schedule”. Una semplice lettura del testo non ci consente di agire in modo adeguato. Dobbiamo anche tenere conto della data attuale, per sapere se la condizione si applica a noi. Per diventare utenti informati, i viaggiatori devono in primio luogo far corrispondere il contenuto linguistico dei pannelli alla loro situazione attuale. Questo esempio non stupirà probabilmente molto gli americani per cui il Memorial Day è una data nota. Nondimeno, molte di queste situazioni di lettura necessitano degli allineamenti più complessi. Durante lo stesso tragitto, mentre ci trovavamo sulla banchina (settima foto della figura 13), abbiamo dovuto leggere degli altri pannelli fissati sopra i binari. Li presentiamo schematicamente nella fi- 82 |capitolo 3| gura 14. La prima cosa che ci colpisce è la forma di queste iscrizioni. Come molte altre scritte professionali, è necessario conoscere le abbreviazioni per poter decifrare le frasi: St = Street; Pk = Park; hrs = hours… Inoltre, alcuni elementi si basano su delle convenzioni implicite. Per essere veramente informati, i viaggiatori devono conoscere l’esistenza di picchi temporali d’uso del metrò che sono considerati come ore di punta (rush hours). Il testo di questi pannelli richiede dunque un certo expertise. Nel nostro caso, poi, conoscere le ore di punta e comprendere le abbreviazioni non è ancora sufficiente per essere informati: occorre compiere anche un ultimo allineamento, senza il quale potremmo restare in attesa di un treno B, che circola infrasettimanalmente, ma chiaramente non quel giorno. Ciò significa che l’informazione elaborata a partire dalla lettura di quei pannelli, prima di poter essere funzionante, deve essere connessa agli avvisi che abbiamo trovato all’entrata; il che ci farebbe comprendere che il treno da aspettare è un Q. Insomma, per essere informati, ai viaggiatori non basta leggere i cartelli; essi devono anche metterli in corrispondenza reciproca, creando catene di lettura che permettano di trasformare il messaggio in un’informazione utile per l’azione. La pianificazione Un’altra postura ampiamente inscritta nel dispositivo della segnaletica è quella del pianificatore. Essa sembra essere divenuta importante a partire dalle trasformazioni della segnaletica dell’autobus, in particolare in occasione del programma “Altrimenti Bus” che, come abbiamo visto, ha giocato un ruolo essenziale nella messa in atto del dispositivo attuale della segnaletica multimodale. In questo primo movimento, il lavoro della cartografia è cruciale: è anzitutto nelle mappe della rete che la postura del pianificatore è stata inscritta e affinata. L’idea di un rinnovamento dell’informazione per i viaggiatori dell’autobus era di migliorarne l’uso migliorando le mappe, in modo che la gente potesse cominciare a farsi il proprio itinerario. Dunque le carte a colori hanno cominciato a essere introdotte a partire dal quel momento. (Q.W., Dipartimento cartografia) Come si vede, qui il controllo conta meno della possibilità di anticipare: il viaggiatore viene concepito come organizzatore del proprio viaggio che si traduce in un itinerario memorizzato per tutta la durata del tragitto. Questa postura pianificatrice entra in risonanza con un certo numero di lavori che sono stati condotti in sociologia economica. Il viaggiatore inscritto nel dispositivo è dotato di competenze di calcolo e previsione. È un viaggiatore razionale che adotta un’attitudine strategica di fronte allo spostamento che vuole effettuare. Come per l’homo oeconomicus della letteratura economica, potremmo insistere sull’aspetto utopico, ovvero ideologico, di questo tipo d’azione – come per lo più hanno fatto la sociologia critica e le ricerche 83 che hanno insistito sull’aspetto irrimediabilmente situato dell’azione2. D’altra parte, può essere interessante prendere in considerazione questa postura nella misura in cui essa è utilizzata non solo come argomento retorico ma come qualcosa che viene materialmente integrato negli spazi di trasporto. Come ha sostenuto Callon (1998) nel suo ampio ripensamento dell’antropologia dei mercati, non si tratta tanto di mostrare l’inverosimiglianza della figura di un soggetto calcolatore, qui pianificatore, quanto di comprendere le condizioni della sua performance. La pianificazione fa pienamente parte dei programmi d’azione inscritti nella segnaletica. Grazie ai diversi strumenti che sostengono la pianificazione, il viaggiatore dovrebbe essere in grado di tradurre il proprio progetto di spostamento (“andare nel tal posto”) in una serie di operazioni concrete (“raggiungere la tale stazione prendendo la tale linea, poi cambiando nel tal punto per prendere la talaltra linea”) che compongono una proiezione punto a punto dei suoi percorsi. Al di là delle mappe (della rete e della zona), questa postura è anche inscritta in tutte le tabelle che indicano gli orari dei passaggi dei treni o degli autobus a ciascuna fermata. Infine, essa è riattivata dai pannelli di “nomenclatura” che presentano, per la linea che ci apprestiamo a prendere, le fermate e le corrispondenze che vi si incontreranno. Visualizzare il proprio tragitto attraverso la nomenclatura. Appena prima di accedere alla banchina, il viaggiatore la consulta per confermare la propria direzione o i punti dove cambiare. La linea è simboleggiata da una retta di un dato colore, e per ciascuna stazione sono indicate tutte le corrispondenze possibili. (RATP, 1997, p. 6) La postura del pianificatore si serve di supporti che il viaggiatore deve consultare. Utilizziamo il termine “consultare” per rendere conto di una forma di impegno più forte della semplice lettura. Le mappe o le tabelle di destinazione e degli orari non sono concepite per consegnare un messaggio: esse espongono dei dati molto variabili sotto forma di un ordine grafico che gli utilizzatori devono sottoscrivere per poterle utilizzare. Si tratta di veri e propri strumenti di calcolo. Ad esempio a New York, durante uno dei nostri percorsi fotografici, volevamo raggiungere Canal Street partendo dalla stazione Quinta Avenue-Bryant Park. Dopo aver consultato la mappa della rete, abbiamo deciso di prendere la linea 7 in direzione downtown, scendere a Grand Central per cambiare linea, prendere la linea 6 in direzione downtown fino a Canal Street. D’altra parte abbiamo dovuto anche verificare che i treni espressi, che non si fermano a tutte le stazioni, si fermassero a Grand Central sulla linea 7 e a Canal Street sulla 6. La consultazione si svolge dunque come una raccolta di elementi variabili (il numero della linea, il nome di una stazione, un orario…) che si tratta poi di allineare per ottenere un modo di operare. Da questo punto di vista, l’equipaggiamento del viaggiatore non è realmente un “artefatto cognitivo” (Norman,1993) dal momento che esso non consente di delegare una parte del calcolo e della pianificazione a uno 2 Per un panorama della letteratura su questa questione, si veda Conein e Jacopin (1994). 84 |capitolo 3| strumento disponibile nell’ambiente. In compenso, esso offre dei sostegni che mettono al lavoro il viaggiatore. Una carta è comunque un sistema d’informazione che obbliga la persona a lavorare […] La carta vi dice tutto e niente allo stesso tempo, vale a dire che dovete trovare il vostro modo di utilizzarla, dovete trovare il vostro punto di partenza, il vostro punto di arrivo e poi riuscire a comprendere tutto quel che c’è raffigurato per cogliere le corrispondenze e tutto il resto… (Q.W., Dipartimento cartografico, RATP) Questo lavoro di pianificazione mette il viaggiatore nella stessa posizione della persona, immaginata da Suchman nel suo celebre esempio della discesa in canoa lungo le rapide, che “si ferma un istante sul bordo delle cascate e prepara [plans] il modo in cui scendere” (Suchman, 2007, p. 72). Un simile atto si compie prima di effettuare il percorso stesso e fornisce una “sottospecificazione delle operazioni da eseguire” (Conein e Jacopin, 1993, p. 77). Ma nel nostro caso la situazione differisce in almeno due punti. Da un lato, la pianificazione non viene fatta a partire da una posizione geografica che comporti una vista d’insieme del paesaggio. Nel metro, il viaggiatore non si trova mai “sul bordo della cascata” e non può mai vedere la totalità dell’ambiente dei propri futuri spostamenti. Per pianificare il proprio percorso, si trova di fronte a delle rappresentazioni grafiche che gli forniscono un punto di vista panoramico sul metro, a partire dal quale può connettere vari tipi di informazione. A differenza di chi fa rafting, il viaggiatore del metro non ha i mezzi per pianificare dicendosi qualcosa come: “Vado il più possibile a sinistra, e poi cerco di passare tra quelle due grosse pietre” (Suchman, 2007, p. 72). Al contrario, una volta scelto il suo percorso il viaggiatore sa solo che può “prendere la linea 5 a Bastille in direzione di Place d’Italie, cambiare a Gare d’Austerlitz per prendere la linea 10 in direzione di Boulogne, e scendere a Cluny-La Sorbonne”. Di conseguenza, il fatto di pianificare non serve al viaggiatore a fare il miglior uso possibile delle proprie abilità fisiche per andare da un luogo all’altro. La pianificazione del percorso implica invece un savoir-faire di tipo semiotico. Il viaggiatore deve familiarizzarsi con i nomi delle direzioni, i numeri delle linee, i colori ai quali dovrà fare attenzione durante il tragitto. A causa del carattere semiotico degli strumenti di pianificazione, il viaggiatore non può, una volta iniziato il percorso, “abbandonare il piano e non contare che sui propri atteggiamenti incorporati” (Suchman, 2007, p. 72). Nei corridoi del metro, non avrà più accesso alla ricca rappresentazione delle mappe o delle tabelle delle destinazioni3. Il successo del suo tragitto dipende al tempo stesso dalla sua abilità a comprendere localmente l’indessicalità di ogni iscrizione e memorizzare le istruzioni. Come pianificatore, per raggiungere la destinazione desiderata il viaggiatore non deve solo creare una coerenza tra il nome della stazione, la direzione, il numero e il colore delle linee; deve anche registrare i risultati del 3 In compenso ci sarà un nuovo accesso alle banchine (vedi la foto n. 7 della figura 12), che gli permetterà eventualmente di ricominciare il processo se non raggiunge il luogo desiderato. 85 proprio calcolo e portarli con sé durante tutto il tragitto. La risoluzione dei problemi La terza postura contrasta nettamente con le prime due. Fin qui ci siamo trovati di fronte a un viaggiatore razionale, in pieno possesso dei propri mezzi, in grado di controllare tutti gli aspetti del proprio spostamento. Specularmente, troviamo però anche un viaggiatore molto più fragile, un viaggiatore inquieto, che non smette di dubitare, i cui spostamenti sono punteggiati di interrogativi come: Dove è possibile telefonare? Dove si comprano i biglietti? Come uscire? Che autobus prendere? Il viaggiatore si interroga ad ogni istante durante il proprio tragitto. (RATP, 1997, p. 2) Al centro di questa postura si trova la nozione di incertezza. Essa è centrale non solo per gli ideatori della segnaletica, ma più in generale per tutto l’ambito dell’informazione ai viaggiatori. Il documento del 1993 che presenta le linee strategiche di sviluppo della RATP promuove fortemente questa postura. L’incertezza è presentata come una caratteristica degli utenti non adeguatamente equipaggiati e al tempo stesso come un rischio importante del servizio di trasporto nel suo insieme. L’assenza o il mancato riconoscimento [di un certo numero di elementi dell’informazione] implica una situazione d’incertezza per il viaggiatore e crea dei dubbi sulle scelte da compiere o sulla buona realizzazione del proprio spostamento in corso. (RATP, 1993, p. 2) In questo periodo di riflessioni, che si materializzerà in un dispositivo di segnaletica multimodale, la sfida è chiara: i viaggiatori si trovano costantemente di fronte alla necessità di prendere delle decisioni. Le scelte che devono effettuare sono compiute in uno stato di ignoranza che l’informazione ai viaggiatori deve sistematicamente cercare di colmare. Per migliorare la qualità del servizio di spostamento, la politica di miglioramento dell’informazione ai viaggiatori mira a ridurre le incertezze dei viaggiatori. (RATP, 1993, p. 2) Da questo punto di vista, la segnaletica opera esattamente come il packaging nel mercato dei prodotti alimentari (Cochoy, 1999). Rendendo visibile l’ordinamento degli spazi e segnando i legami tra i diversi luoghi (sale, corridoi, scale mobili…) essa produce le condizioni per effettuare le scelte. [Con la segnaletica] in ogni istante vi trovate di fronte a una scelta che divide l’universo in due: quel che potete raggiungere andando a sinistra e quel che potete raggiungere andando a destra. Insomma una direzione vale per la metà dello spazio e l’altra per l’altra metà. (L.C., Dipartimento dei sistemi di informazione e telecomunicazioni, RATP) Nel caso del metro, chiaramente la scelta che si compie non è dello stesso tipo di quella che si compie in un supermercato: infilando un corridoio 86 |capitolo 3| invece di un altro non si tratta di far giocare un qualche tipo di concorrenza economica tra prodotti simili. Tuttavia la postura inscritta nei due dispositivi è molto simile. Segnaletica e packaging infatti si basano su una versione ristretta del modello della risoluzione dei problemi. Il loro scopo è di dare al viaggiatore o all’acquirente tutti i mezzi per uscire da uno stato di indecisione considerato come naturale. Pur partendo dalla figura mentalista della risoluzione di problemi (Simon 1971), i progettisti se ne distaccano attraverso la produzione di ambienti tangibili. Gli elementi grafici disposti nell’ambiente sono pensati come risorse esterne che devono aiutare il viaggiatore nella ricerca di soluzioni. La risoluzione di problemi si riconfigura cioè come sistema cognitivo esteso: i compiti non sono svolti da un individuo isolato preso in una deliberazione solitaria. Le proprietà cognitive emergenti delle interazioni tra le parti del sistema cognitivo sono egualmente distribuite tra umani e artefatti (Norman, 1993). In questa prospettiva, la segnaletica e i viaggiatori lavorano in parallelo. I progettisti concepiscono l’uso del metro sulla base di un modello di “cognizione distribuita”. Tale postura presenta due lati. Se per certi aspetti l’incertezza e l’indecisione appaiono come qualità intrinseche del viaggiatore, esse non sono considerate come motivi di paralisi dell’azione; piuttosto, sono controbilanciate dalla capacità di superare i propri dubbi attraverso l’uso dei moduli della segnaletica. Gli artefatti in cui si inscrive questa postura sono concepiti principalmente come dei deittici, vale a dire dei “qui” o dei “per di qui” proposti allo sguardo degli utenti. Seguendo i pannelli, rispettando il senso delle frecce direzionali, il viaggiatore può ridurre il proprio stato di incertezza. La risoluzione dei problemi passa così per la disponibilità di mezzi rapidi e poco costosi per effettuare delle scelte. Nei corridoi i pannelli si susseguono, si concatenano per formare tutti gli itinerari possibili […] Dove comincia un percorso, il pannello indica la direzione da prendere e il tracciato da seguire. (RATP, 1997, p. 9) O ancora: “Da che parte andare?” … Seguire le frecce che guidano. Per passare da un trasporto a un altro, scegliere la propria uscita, orientarsi nei corridoi, accedere ai servizi… L’unica guida da seguire per non perdersi è la freccia. (RATP, 1997, p. 5) Per adottare una tale postura, il viaggiatore deve accettare di prestare sempre attenzione a elementi grafici specifici, che si ritiene sia in grado di riconoscere nel corso dei propri spostamenti. L’esempio tipico di tali piccoli elementi è l’icona che rappresenta il numero della linea. Ma in tale postura sono incluse anche delle parole, come ad esempio il nome delle direzioni (i capolinea di ciascuna linea a Paris, uptown e downtown a New York). Rispetto a queste indicazioni, i viaggiatori dovrebbero essere in grado di leggere le “parole disegnate” di cui devono poter “riconoscere le silhouette” (RATP, 2002, diapositiva n. 15). Perché la forma delle parole possa contare come risorsa per l’azione, è necessario fabbricarla in modo preciso. Inscrivere nello script la capacità di 87 riconoscere parole presuppone pensare molto precisamente le caratteristiche visuali delle composizioni semantiche dei deittici: la tipografia, la taglia, lo spessore e la distanza. Si tratta per i progettisti di inventare ciò che essi stessi designano come una “lingua visuale” (RATP, 2002) al fine di attenuare, a partire da una certa distanza spaziale, l’inclinazione dei viaggiatori per la lettura. Il punto è che le parole devono essere meno lette che guardate. L’importante è che una destinazione divenga una semplice forma che i viaggiatori sono in grado di identificare. Cioè, è chiaro che “Neuilly” e “Château de Vincennes” non devono avere la stessa forma; per far ciò è necessario scrivere la prima lettera in maiuscolo e il resto in minuscolo mentre per il secondo bisogna diminuire la taglia dei caratteri, affinché i pannelli possano essere letti solo quando ci avviciniamo, mentre al di là di una certa distanza sia la forma che si impone. (L.C., Dipartimento sistemi informativi e telecomunicazioni, RATP) Così concepiti e riprodotti negli spazi del trasporto, questi moduli divengono dei sostegni informativi molto più pervasivi delle mappe o dei testi. Essi sono un ingrediente essenziale nella produzione di un ambiente grafico, in cui le dimensioni architettoniche e linguistiche si mescolano (Fuller, 2002). Per adottare la terza postura, il viaggiatore deve accettare di fare i conti con un ambiente ibrido. Durante il proprio tragitto deve essere in grado di riconoscere i deittici che popolano le stazioni e identificare le risorse pertinenti in ogni situazione di scelta. Lasciandosi guidare dalle frecce e dalle altre “parole disegnate”, deve essere in grado di risolvere rapidamente incertezze e problemi di orientamento, senza le pause necessarie alla lettura o alla consultazione dei dispositivi grafici più complessi. La reazione Certi aspetti del dispositivo grafico si richiamano a un quarto tipo di postura, che mostra un viaggiatore essenzialmente reattivo. Sbarazzatosi delle proprie capacità organizzative e delle proprie incertezze abissali, questo viaggiatore è mosso soprattutto da degli automatismi basilari che gli elementi della segnaletica attivano. Subito visto, subito percepito… Si tratta di segni che parlano senza bisogno di essere letti. Tutti i segni della nuova segnaletica si comprendono in un colpo d’occhio. Si tratta di un repertorio di segni che esistono da sempre alla RATP e che, debitamente rinnovati, provocano nell’utilizzatore dei riflessi immediati. (RATP, 1997, p. 2) Qui il viaggiatore non ha più problemi da risolvere. Gli elementi grafici gli offrono il comfort dell’economia. Sono concepiti e disposti al fine di alleggerirlo di qualsiasi introspezione deliberativa. Tale cortocircuito di ragionamento e decisione funziona secondo lo stesso principio dei sistemi cognitivi distribuiti come i posti di comando marittimo studiati da Hutchins (1995). La reazione si iscrive in artefatti sui quali l’utente può appoggiarsi 88 |capitolo 3| in modo quasi istantaneo. Tale postura presuppone anche che una parte dell’attività di spostamento sia rinviata a dei “compiti percettivi” (Hutchins, 1994): i pannelli suscitano le azioni adeguate nel momento stesso in cui vengono percepiti. La quarta postura circoscrive dunque un’entità reattiva che intrattiene una relazione pacificata con gli spazi attraversati e con tutto ciò che viene colto nello svolgimento del percorso. Nel cruciale articolo di Tallon e Jeudy che pone i fondamenti teorici del dispositivo, gli autori descrivono uno dei compiti della segnaletica in questo modo: “Si tratta di ridurre i possibili scarti nella pratica dell’utente tra la percezione e l’attività cognitiva” (Tallon e Jeudy, 1977, p. 39). La quarta postura si fonda sulla capacità di alcune iscrizioni a venire percepite da lontano. In questo contesto, i moduli della segnaletica sono pensati come dei sostegni: si organizzano in quello che i loro ideatori chiamano un “filo di Arianna” (Wiart, Le Roux e Lomazzi, 1998) che accompagna il cammino e fornisce una guida operativa passo dopo passo. Perciò sono i colori stessi e la materia che diventano motivi per l’azione. Ad esempio, dobbiamo poter seguire facilmente i pannelli che indicano l’uscita grazie al loro caratteristico colore (blu notte a Paris, rosso a New York). Le convenzioni sulle forme e i colori dei cartelli derivano da una storia persino più generale di quella del metrò e si traducono in una semiotizzazione parziale dei supporti. La forma di un cartello, il colore di un’icona o il piazzamento di un simbolo possono così diventare degli atti linguistici (“infila questo corridoio”, “di lì per l’ascensore”...) identificabili con un colpo d’occhio. Questa proprietà degli elementi grafici è uno degli aspetti importanti della teoria degli atti di scrittura sviluppata da Fraenkel (2006): alcuni atti possono essere direttamente inscritti in un supporto materiale. In una ricerca sullo spazio dell’ospedale, Fraenkel ha trovato che gli atti che consistono nell’ordinare un farmaco o nel prescriverlo non si distinguono nel loro contenuto, che è identico, ma per il colore dei foglietti utilizzati (Fraenkel, 2001). Nel caso della segnaletica, la semiotizzazione dei supporti mette in atto una intelligibilità di basso livello che radicalizza la distribuzione dell’azione nell’ambiente. Ciononostante, gli spazi del metro sono sovraccaricati di iscrizioni. La delega dei compiti cognitivi legati all’orientamento e allo spostamento non è automatica ma passa per una selezione. Solo alcuni elementi grafici possono portare a dei concatenamenti di tipo percezione/ azione: essi sono sempre presenti tra le varie forme segnaletiche. Adottare la postura di un’entità reattiva, anche per un solo istante, presuppone un tipo di impegno molto particolare rispetto allo spazio e all’affollamento di artefatti grafici che lo popolano. Per diventare reattivo il viaggiatore deve accettare di delegare il controllo del proprio tragitto all’ambiente. Deve lasciarsi “prendere per mano” secondo l’espressione stessa di un responsabile della normalizzazione della segnaletica, fidandosi dei moduli. Questo tipo di impegno è molto vicino al regime di “influenza” esplorato da Bessy e Chateauraynaud (1995) a proposito dei rapporti che si intrattengono con oggetti sia eccezionali sia banali. Si tratta di un regime che 89 passa per una messa sotto tutela del viaggiatore, o piuttosto per un corpoa-corpo che annulla qualsiasi pretesa umana di oggettivazione, per adottare uno stato che “si caratterizza per l’assenza di rottura tra gli esseri [...] che non permette alcuno scollamento” (Bessy e Chateauraynaud, 1995, p. 263). Il miglior modo per comprendere questo script è proprio considerando i casi in cui fallisce. Durante un tragitto, ci trovavamo nella stazione Charles de Gaulle Étoile, dove si incrociano tre linee di metro e una di RER. Per prendere la linea 2, ci bastava seguire il colore blu esposto su vari pannelli (figura 15). Proseguendo nei corridoi potevamo tranquillamente conversare sul nostro futuro libro sulla segnaletica senza preoccuparci troppo della giusta direzione; un furtivo colpo d’occhio era sufficiente a garantirci del nostro procedere. Fino al punto in cui ci siamo arrestati, incapaci di proseguire oltre secondo il regime reattivo. Il fatto è che la stazione Charles de Gaulle-Étoile è solo parzialmente equipaggiata con la nuova segnaletica. Molti corridoi hanno ancora i vecchi pannelli in cui non figurano i colori delle linee. Impossibile in questo caso continuare a seguire il blu che ci aveva guidati fin là. L’automatismo percettivo falliva di fronte alla vecchia segnaletica, e si trattava di cercare un’altra postura per poter continuare verso la banchina: ci trovavamo di nuovo in situazione di scelta per trovare il numero 2 sui pannelli (figura 16). Questo caso mostra bene che l’economia e il comfort della delega agli artefatti grafici rappresentano sempre un rischio, che ne costituisce in qualche modo l’immagine rispecchiata: ovvero, il dover abbandonare l’autonomia e il controllo delle proprie azioni. Conclusione: spazi pubblici, accessibilità e diversità Sin dall’inizio della modernizzazione del servizio di trasporto l’attenzione per gli utenti si è tradotta in una profonda ridefinizione del “pubblico”. Esso non appare più sotto forma di un collettivo indifferenziato popolato di individui astratti, visti da lontano, dal punto di vita della massa che compongono. Come ha mostrato Joseph (2004) nel suo studio per il progetto Météor alla RATP, la folla viene pensata attraverso le qualità dei suoi membri: il viaggiatore è diventato singolare e il collettivo è esploso in innumerevoli minoranze, ciascuna delle quali ha le proprie aspettative e le proprie rivendicazioni. Nel corso di questo movimento, “il carattere pubblico del servizio non è più dissociabile da una problematica più sottile di accessibilità” (Joseph, 2004, p. 17). A partire dal suo rinnovamento, la segnaletica svolge un ruolo importante in questa politica dell’accessibilità: essa infatti è concepita come un’offerta plurale che mette a disposizione degli utenti diversi possibili script. L’informazione ai viaggiatori emerge come il risultato composto di diverse forme di impegno, che vanno dalla lettura computazionale dei dati fino al colpo d’occhio più furtivo. Essere informati su una situazione, pianificare degli spostamenti, appoggiarsi a dei sostegni informativi per scegliere una direzione o reagire a distanza a un colore o a una forma sono le principali posture che compongono questo ambiente plurale. Una tale gamma di 90 |capitolo 3| possibilità sottolinea la particolarità degli spazi del metrò: in quanto luoghi pubblici essi devono poter garantire la diversità delle risorse per l’uso dei servizi di trasporto. Gli artefatti grafici che vi sono esposti devono tenere conto il più possibile della varietà degli atteggiamenti dei viaggiatori. La pluralità della segnaletica manifesta una considerazione ampliata verso la singolarità degli utenti. In un sistema del genere, ognuno usa il codice che preferisce. Voi mi direte “la [linea] gialla”, altri vi diranno “la uno”, e un vecchio mi dirà “La Défense”, perché coi numeri si confonde… (L.T., Unità Concezione e Identità degli Spazi) È importante però anche notare che questi diversi script non si fondano su definizioni essenzialiste dell’utente: uno stesso viaggiatore può passare da una postura all’altra nel corso dello stesso tragitto – e, in generale, è persino invitato a farlo. È quanto mostrano Latour ed Hermant (1998, p. 87-105) nella loro descrizione di un percorso nella città di Parigi, in cui il pedone nel giro di qualche metro passa da un dispositivo all’altro (un bancomat, un attraversamento a Croce di sant’Andrea, un semaforo, etc.), e da una postura a un’altra: Non faccio che attraversare Parigi: in contemporanea l’ “io” attraversa varie forme d’azione, vari regimi di intelligenza che non hanno quasi alcun rapporto tra loro […] Da un secondo all’altro, dei regimi d’azione diversi si sostituiscono per farmi passare da una competenza all’altra. Non sono né ai comandi né senza comandi: sono formattato. Mi si offrono delle possibilità di esistenza che si basano su dei dispositivi sparsi, formicolanti nella città. Vado da un’offerta all’altra. Per avanzare afferro un piccolo pezzo di programma d’azione che altri hanno incollato per me su ciascun dispositivo […] Circolando da un contesto locale all’altro, ricevo della situazione globale solo i pochi elementi di cui ho bisogno per continuare il mio cammino. (Latour ed Hermant 1998, p. 101) A Parigi, il passante si distribuisce in una diversità di utenti progettati da delle istanze e delle istituzioni tanto diverse tra loro quanto lo sono un’agenzia bancaria, il Comune di Parigi, il Consiglio nazionale della sicurezza stradale e così via. Nel metrò, il viaggiatore ha altresì a che fare con delle posture d’utente variegate, ma, a differenza della città, in cui si accostano una varietà di istanze e amministrazioni, qui tutte le posture emanano da una istituzione unica che inscrive le proprie priorità di accessibilità e diversità in un dispositivo plurale. Tuttavia, non si tratta di un mondo pacificato in cui l’utente trova naturalmente il proprio posto. L’accessibilità e la diversità degli utenti rappresentano al contrario sfide costanti per l’impresa di trasporto. Rendere lo spazio e il servizio disponibile a tutti, o piuttosto a ciascuno, attraverso delle scritte esposte, richiede la produzione di un allineamento complesso di inscrizioni, di forme e di materiali che devono “far presa” nei modi più vari e allo stesso tempo costituire un insieme armonioso. In spazi in cui l’attività principale è lo spostamento, la coerenza non risulta dalla giustapposizione di ogni iscri- 91 zione in uno stesso luogo; essa passa invece per l’organizzazione di un’affissione degli elementi pertinenti lungo tutto il tragitto. Si tratta di un’ecologia grafica cooperativa che gli ideatori della segnaletica RATP chiamano il “filo d’Arianna”, e che i membri del New York City Transit spiegano in termini di handoff, ovvero di passaggio da un artefatto all’altro: La questione è che ogni tipo di sistema informativo ha il proprio sapore particolare. E il livello di passaggio [handoff] da un tipo di informazione all’altro… Questa connettività è una cosa molto difficile da ottenere. Così, ad esempio, quando entri in una stazione vedi una mappa. Proseguendo vedi un segno che dice “i treni viaggiano” o meno. E quando raggiungi la banchina, vuoi sapere a che ora parte il tuo treno. E quando sei sul treno forse vuoi sapere da che parte si aprirà la porta, o quale sarà la prossima fermata. Tutte queste informazioni stanno in media diversi. Questa è la sfida. La cosa difficile da creare è il flusso di questa informazione. (Z.C., Strategic Business Planning, Servizi tecnologici e informatici, NYCT-MTA) Non è soltanto il numero di posture da inscrivere nell’ambiente grafico che rende delicata la loro armonizzazione. Il problema è più complesso: le posture sono per definizione difficilmente conciliabili; alcune sono persino chiaramente antagoniste tra loro. Una situazione che abbiamo sperimentato a New York lo illustra bene. Sulla rete, le uscite sono indicate con un rettangolo rosso vivo con la scritta “exit” in bianco (figura 13). Questa semiotizzazione dei supporti permette, come abbiamo visto, di attivare la postura che si basa sull’automatismo percettivo: per uscire si segue il rettangolo rosso senza bisogno di pensarci su. Ed è quello che facevamo anche noi. Ma nel caso di un tragitto ci siamo trovati in fondo a una banchina contro un muro, senza uscita. Questa situazione ci è apparsa tanto più assurda in quanto procedevamo prendendo una foto di ciascun cartello, e dunque avendolo visto piuttosto bene. Per comprendere come eravamo finiti nel vicolo cieco, siamo dovuti tornare sui nostri passi e osservare più in dettaglio i pannelli che avevamo seguito. Il primo (figura 17) è un esempio lampante di difficile coabitazione, in quanto comporta sì il familiare rettangolo rosso dell’uscita, ma sulla seconda linea, dopo le parole “Elevator, Shuttle et 24 hour booth” si trovano anche le parole “at other end of the platform”, che comprendiamo ora trattarsi di parti di un’unica frase: l’uscita, l’ascensore, la navetta e la biglietteria si trovano dall’altra parte della banchina. Per basarci su questo pannello, abbiamo dovuto adottare la postura del lettore e non quella dell’entità reattiva. Le due posture sono dunque profondamente incompatibili. Questa tensione tra coesistenza di diverse posture possibili e armonizzazione dell’insieme del dispositivo è particolarmente viva nella gestione grafica degli spazi del metrò, e si gioca fino nelle scelte più elementari. Ad esempio, nel caso della RATP, la postura che consiste nel seguire “le parole disegnate” presuppone un’affissione con iniziale maiuscola e corpo minuscolo. Ma non basta: perché la postura diventi efficace, bisogna anche limitare la possibilità di adottarne una diversa. Come precisava più sopra 92 |capitolo 3| l’addetto del dipartimento dei sistemi informativi e delle comunicazioni in un estratto dell’intervista, i viaggiatori distanti dai pannelli devono essere condotti a riconoscere dei profili piuttosto che decifrare delle parole. Le scritte devono essere piccole proprio per favorire a distanza il riconoscimento delle forme4. Certe posture sono dunque difficilmente conciliabili nel medesimo spazio e un singolo pannello non può cercare di sostenerle tutte. D’altra parte, è in questo senso che la segnaletica è anche un dispositivo di disciplina: a seconda delle situazioni che essa cerca di favorire (lasciare la banchina, entrare nella stazione, trovare una corrispondenza etc.) essa si trova a privilegiare certe posture piuttosto che altre. In tal modo la questione della coesistenza, vale a dire della produzione di un’ecologia grafica cooperativa, è attraversata da un’altra logica: la gamma delle posture possibili non è mai definitivamente chiusa. Alcuni utenti e i loro rappresentanti chiedono regolarmente alle compagnie di trasporto di prendere in consideraizone la loro specificità, cosa che allunga inevitabilmente la lista dei nuovi candidati all’accessibilità. Oggi, ad esempio, le sfide legate alle disabilità motorie sono centrali per i designer tanto quanto lo sono per gli architetti. A Parigi lo STIF, il Syndicat des Trasports d’Ile-deFrance, l’autorità di tutela della RATP, è estremamente sensibile alla questione dell’ipovedenza. Sono in corso discussioni per proporre i dispositivi di informazione viaggiatori più adatti alla popolazione coinvolta. La sfida alla segnaletica in questo caso è complessa, proprio perché certi suoi script presuppongono la presenza di un viaggiatore “visualmente dotato” (Lacoste, 1997, p. 27). 4 La dimensione dei caratteri è anche evidentemente in rapporto con la lunghezza del pannello e delle diciture. 93 94 |capitolo 4| Capitolo 4 Il posizionamento delle scritte Affinché i cartelli possano servire ai passanti è necessario che un’istituzione affidabile li abbia affissi nel posto giusto. Ma qual è il posto giusto? (Latour ed Hermant, 1998, p. 28) La segnaletica è un gestore degli spazi del metrò la cui onnipresenza produce un ambiente semiotico che configura al tempo stesso il luogo e i suoi abitanti. Come abbiamo visto, questa gestione passa per l’iscrizione di certi usi negli artefatti che equipaggiano panchine, sale o corridoi delle stazioni. In un luogo pubblico – e dunque accessibile – come il metrò, è necessario tenere conto della pluralità della popolazione. Gestire graficamente l’accessibilità implica gestire la diversità delle competenze cognitive integrando diverse posture possibili nella concezione stessa delle scritte esposte. Questa gestione costituisce la traccia di un “programma di esposizione grafica” (Petrucci, 1993) della segnaletica. Si tratta di una manifestazione importante della crescente considerazione per gli utenti che sta alla base del lento processo di modernizzazione dei servizi di trasporto che abbiamo ripercorso a grandi linee nel capitolo 1. Questo processo è difeso tanto dagli ideatori quanto dagli incaricati della normalizzazione di contenuti e supporti grafici, i quali giocano un ruolo chiave nell’esistenza quotidiana del dispositivo. La gestione degli spazi non ha solo a che fare con principi e prescrizioni. Per equipaggiare i luoghi con degli artefatti grafici ci vogliono delle persone incaricate di installare effettivamente i pannelli e gli adesivi. Alla RATP si tratta degli agenti di manutenzione: sono loro che ogni giorno posizionano e sostituiscono i moduli che compongono il dispositivo segnaletico. Non potremmo non interessarci dunque alla loro attività. L’analisi dei documenti di presentazione e lo studio approfondito dei testi normativi che definiscono dettagliatamente, il posizionamento e il contenuto di ogni elemento grafico potrebbe far credere che l’attività degli agenti si riduca all’applicazione pedissequa delle regole. Ma la sociologia del lavoro e l’ergonomia ci hanno da lungo tempo invitato a diffidare di simili scorciatoie: il lavoro reale non è mai il lavoro prescritto, e soprattutto è compiendo il primo (con degli aggiustamenti e delle difficoltà) che i lavora- 95 tori possono avvicinarsi al secondo. È dunque interessante adottare questa prospettiva nel caso delle scritte esposte, rispetto alle quali l’analisi non si spinge di solito al di là del programma che le governa. Seguendo questa pista, potremo ampliare la gamma delle attività osservate e prolungare lo studio delle forme di questa azione che è lo scrivere fino alle operazioni più concrete di trattamento e di installazione. Infatti, gestire un luogo attraverso delle scritte esposte implica anche trasportarle, aggiustarle, fissarle. Nei prossimi capitoli cercheremo perciò di comprendere cosa comportino queste diverse operazioni di installazione sia dal punto di vista dell’attività degli agenti di manutenzione che da quello degli oggetti grafici che compongono la segnaletica. Analizzando in dettaglio il lavoro ordinario di posizionamento e di manutenzione, vedremo che la messa in atto dei principi e degli standard della segnaletica prende la forma di un allineamento, sempre fragile, tra le regole, i corpi degli agenti, gli oggetti grafici con i quali essi entrano in contatto e l’ambiente nel quale si muovono. In senso più ampio, questa esplorazione ci darà l’occasione di discutere la nozione stessa di materialità, nozione che ci sembra essenziale analizzare in profondità per comprendere i processi di gestione grafica dello spazio. Proponiamo di iniziare l’analisi focalizzando questo capitolo su una questione precisa e sui diversi modi con cui gli agenti di manutenzione tentano di rispondervi nel corso del loro lavoro. L’installazione di un elemento della segnaletica è infatti sempre gravato, più o meno esplicitamente, da un dilemma: dove posizionare il pannello? La questione che sollevano Latour ed Hermant (1998), e che abbiamo posto in esergo al capitolo, fa parte del quotidiano degli operatori, la cui attività è essenzialmente un lavoro di posizionamento. Installare la segnaletica significa soprattutto trovare il posto giusto per ciascun modulo. Affrontare questo problema e studiare le modalità del suo trattamento situazionale ci permetterà di mettere in luce una nuova faccia della gestione grafica del metrò, così come, a partire dalle operazioni che andremo ad esaminare, di proporre delle piste per elaborare un quadro di analisi del posizionamento delle scritte nei luoghi pubblici. Dal posto al posizionamento La questione del posizionamento delle scritte urbane è progressivamente divenuta importante in diverse ricerche. Vari autori hanno messo in luce l’importanza dello spazio nell’analisi della performatività delle scritte. Con le nozioni di “scrittura esposta” e di “programma di esposizione grafica”, tale questione è presente in filigrana nell’analisi che Petrucci (1993) fa delle iscrizioni presenti nelle città italiane dall’undicesimo al ventesimo secolo. Queste nozioni aprono il terreno dell’epigrafia tradizionale a un insieme di scritte fino ad allora ignorate: slogan politici, affissioni pubblicitarie, pannelli della segnaletica, graffiti… L’analisi delle forme grafiche e delle tecniche di realizzazione passa per una riflessione sistematica sui gruppi sociali che controllano lo spazio grafico, che fissano le regole d’esposizione delle 96 |capitolo 4| scritte e ne programmano gli usi legittimi. Ma il posizionamento delle iscrizioni nello spazio urbano è anche un elemento fondamentale affinché una scritta esposta assuma pienamente le sue finalità estetiche ed ideologiche. Nella loro esplorazione di Parigi, Latour ed Hermant (1998) si sono interessati anche alle scritte, studiando il concatenamento di processi che guida, ad esempio, il posizionamento delle targhe con i nomi delle strade (ibid., pp. 27-35), attività che fa parte di una più vasta rete in cui si articola un numero considerevole di tracce scritte e di servizi amministrativi: faldoni, formulari, tabelle e una moltitudine di carte del servizio viario, del servizio catastale, del servizio tecnico della documentazione fondiaria, del servizio nomenclatura e così via. I due autori mostrano così che il giusto posizionamento di una targa stradale è il risultato di un allineamento di tutti questi diversi elementi. Se per una ragione o per un’altra uno di essi si disallinea, e se la messa in corrispondenza tra i servizi e i documenti non è possibile, gli agenti del servizio stradale non possono più agire. Più recentemente, in un altro contesto, Scollon e Scollon (2003) hanno sviluppato un programma di “geosemiotica” attraverso il quale affrontare la questione dello spazio. Essi propongono di rompere con la semiotica tradizionale che si appoggia sull’interpretazione dei segni presi isolatamente e lanciano l’idea di uno studio dei segni “in loco”, sottolineando così l’importanza dell’indessicalità, a partire da una riflessione sul posizionamento dei segni nel mondo. Tra i vari esempi possibili, i pannelli delle uscite di emergenza illustrano bene il problema (Scollon e Scollon, 2003, pp. 28-31). La freccia mostra in che direzione correre, e l’icona che simboleggia una persona che fugge dalle fiamme è altrettanto indessicale in quanto corre nella stessa direzione della freccia. Ora, per i due autori, un pannello di questo tipo non vale ancora granché se messo su un muro qualunque; solo una volta posizionato a dovere potrà veicolare il suo senso. In questo modello, il segno trae la sua forza e la sua capacità di significazione dalle proprietà spaziali. La sua pretesa di performatività deriva dal condividere uno spazio con ciò che designa, e tale relazione è al centro degli interessi della geosemiotica. Infine, anche Fraenkel (2006; 2007) nella sua teoria degli atti di scrittura propone di mettere lo spazio al centro dell’analisi della performatività dello scritto. Partendo da una discussione approfondita dei lavori di Austin (1970), il quale abbandona la nozione stessa di performatività nella settima conferenza di Quando dire è fare, Fraenkel spiega che il progetto di Austin di distinguere gli enunciati constatativi da quelli performativi raggiunge una impasse proprio perché trascura le qualità proprie degli enunciati scritti, riportando l’enunciazione a un qui ed ora troppo povero. Fraenkel (2006) mostra anche che quando Austin usa l’esempio del pannello “cane pericoloso” lo intende come un enunciato orale e come un avvertimento analogo a quel che potrebbe dare una persona in loco. Ma così facendo Austin trascura le condizioni stesse della performatività. In un’analisi dettagliata, Fraenkel ricorda che il pannello non è un enunciato che fluttua nel vuoto in attesa di un enunciatore: al contrario, esso occupa già una certa posizione. Il suo posizionamento è totalmente indissociabile dalla sua 97 dimensione performativa. Insomma, è attaccando il cartello “cane pericoloso” alla porta o al cancello di casa che si crea un luogo protetto e un paraggio “pericoloso”. Questi elementi di riflessione prolungano l’analisi degli Scollon sottolineando il carattere situato della performatività dello scritto, e mostrano che è l’istallazione di un artefatto grafico in un luogo preciso che consente di trasformare il mondo. Tutti questi lavori, pur vertendo su casi diversi, concordano nel sottolineare l’importanza del luogo delle iscrizioni per garantire la loro visibilità, leggibilità e, di conseguenza, performatività. L’analisi del posizionamento delle scritte è necessaria e persino indispensabile affinché le scritte esposte possano agire. Tuttavia queste ricerche non si interrogano ancora sul processo di posizionamento in quanto tale. Petrucci mette certo l’accento sui committenti e gli ideatori delle scritture pubbliche, ma molto meno su quelli che materialmente scolpiscono, affiggono o installano le scritte. Latour ed Hermant si interessano meno alla posa stessa delle targhe che alla cascata di trasformazioni successive che consentono di passare da un servizio all’altro, dalla mappa al modello, dalla targa alla strada. Concentrati sulla questione dell’indessicalità, gli Scollon affermano sì che il significato di un pannello non è ancora attuale nelle mani di chi lo poserà, ma non si interrogano sulle attività necessarie alla posa, né su quelle di chi decide il posizionamento del pannello. Infine, pur sviluppando un programma teorico degli atti di scrittura Fraenkel, nella sua analisi di Austin, non studia direttamente le operazioni che assicurano all’enunciato le condizioni spaziali della sua performatività. Il posizionamento delle scritte è però un atto cruciale. Senza di esso, non si riuscirebbe a far sì che un programma di esposizione grafica diventi effettivo nello spazio. Nel nostro caso, non si riuscirebbe a far esistere il dispositivo della segnaletica nei corridoi e sulle banchine. Senza il posizionamento dei pannelli, sarebbe anche impossibile garantire la riuscita della indessicalità (Scollon e Scollon, 2003) e l’adesione della scritta allo spazio da trasformare (Fraenkel, 2006), poiché non si riuscirebbe a garantire ad ogni elemento grafico di trovarsi nel posto giusto da cui guidare i viaggiatori. Infine, nella rete delle tracce e dei servizi dedicati alle iscrizioni urbane (Latour ed Hermant, 1998), il posizionamento è l’ultimo anello della catena. Come si articola tale ultimo anello rispetto agli altri? Quali operazioni consentono di passare dai concetti presenti nei documenti normativi a un posizionamento sul muro di una banchina? Per rispondere a queste domande, è necessario essere attenti a ciò che comporta il lavoro di piazzamento della scritta. Come vedremo, gli agenti incaricati dell’installazione fisica del dispositivo segnaletico nelle stazioni procedono in diversi modi. La diversità delle loro operazioni mostra che le qualità semiotiche e pragmatiche degli oggetti grafici vanno valorizzate. Oltre all’indessicalità, la capacità d’azione di queste scritte si gioca nel processo di collocazione. L’attenzione al lavoro di posizionamento apre dunque all’analisi delle azioni effettuate sulle scritte. Con queste osservazioni, il nostro obiettivo è di proporre una descrizio- 98 |capitolo 4| ne delle sequenze d’azione tipiche. Cominciamo con l’ipotesi, da verificare, che esse siamo comuni alla maggior parte delle situazioni di posizionamento di scritte nei luoghi pubblici. Seguire le attività degli agenti incaricati ci ha consentito di identificare tre operazioni chiave. La prima implica un rapporto allo spazio e riguarda i corpi stessi degli agenti che devono spostarsi per compiere il loro lavoro. La seconda riguarda il rapporto tra gli agenti e gli oggetti grafici da installare attraverso una serie di messe alla prova che consentono di chiudere il processo di posizionamento. In fine, l’installazione di certi elementi passa a volte per un’esplorazione dell’ambiente e delle qualità degli oggetti grafici, entrambi intesi nella loro ibridità materiale e semiotica. Misurare i luoghi Le attività legate alla collocazione dei pannelli consentono di osservare i rapporti che gli agenti di manutenzione intrattengono con lo spazio in cui essi operano. Le forme di questa relazione giocano un ruolo essenziale. Gli operatori si trovano a dover rispondere alla questione: “Dove posizionare questo pannello?”. A questo riguardo, si possono adottare due posture distinte. La prima consiste nell’appoggiarsi sugli elementi grafici già presenti per ritrovare un posizionamento definito in precedenza nel sistema della segnaletica. La seconda mette in gioco un’indecisione più profonda. Determinare il posto giusto di un nuovo pannello implica un confronto [engagement] forte con l’ambiente, che va attraversato in lungo e in largo per assicurare il processo di produzione dell’indessicalità. Percorrere una rete di scritti Tra le diverse operazioni che gli agenti di manutenzione devono effettuare, la sostituzione di un pannello è tra quelle più ordinarie. Cambiare un pannello logorato, rotto o andato rubato non presenta in senso stretto il problema di decidere il posizionamento. Tuttavia, la collocazione del pannello deve prima o poi essere precisata. Ad esempio il documento di richiesta di intervento (“ordine di lavoro”) redatto dal responsabile della stazione al termine della sua ronda di controllo, che fa partire l’intervento dell’equipe di manutenzione, deve contenere delle informazioni affinché quest’ultima possa trovare il luogo esatto del pannello e prenderne le misure. A tal fine la richiesta utilizza il codice MIRE, composto di due lettere e un numero a tre cifre incollato sull’elemento in loco e riprodotto nella richiesta di intervento. Giunti sul posto, gli agenti devono poter trovare facilmente il luogo del loro intervento usando il codice MIRE sul loro ordine di lavoro. Ma, non disponendo di una mappa dettagliata di ogni stazione, gli agenti devono mettersi alla ricerca del codice giusto. Nelle stazioni piccole questo non presenta grandi difficoltà, ma in quelle grandi la cosa può complicarsi. David e Jonathan si preparano a fare l’ultimo intervento della giornata. Iniziano a parlarne sul furgone: la difficoltà principale ha a che fare con la dimensione della stazione in cui si 99 dovrà intervenire: è una stazione in cui si incrociano tre linee e c’è una corrispondenza con una stazione SNCF. Giunti sul posto Jonathan, che sta guidando, dice: “Gare de l’Est. Qui bisogna darsi da fare. Ti ricordi dov’era? [David fa cenno di no con la testa] OK… cerchiamo di non perderci. Mi pare fosse questa uscita”. Parcheggiano accanto a un’entrata, scaricano il pannello e scendono nella stazione. A differenza di quanto abbiamo visto in altri casi analoghi, gli agenti non si mettono a cercare il codice MIRE, anche se la stazione è un vero e proprio dedalo. David porta la nuova targa in PVC. Avanzando nella stazione, controlla attentamente i pannelli (figura 18). Il primo è quello che conduce all’uscita da cui arriviamo. “Basta trovare il pannello che indica la stessa cosa del nostro”. Ma quello seguente non corrisponde. Scendiamo sulla banchina, un po’ a caso. In fondo, David trova un pannello che contiene una parte delle informazioni di quello che ha in mano. “Se seguiamo questo [indicando quello che ha di fronte] ci porterà a questo [indicando quello che ha in mano]. Giunti in fondo, Jonathan indica la banchina di fronte, e guarda di nuovo il pannello portato da David: in fondo alla banchina c’è una copia uguale ma con la freccia simmetrica (figura 19). “Il nostro deve trovarsi esattamente di fronte”. Prendiamo le scale per arrivare all’altra banchina, dove l’ipotesi di Jonathan viene confermata (figura 20). L’installazione delle scritte implica dunque una dimensione performativa spaziale che passa per un confronto diretto con l’ambiente. Nel nostro esempio gli agenti si basano su ciò che li circonda per trovare il posizionamento del pannello da sostituire. Essenziali sono non tanto le caratteristiche geografiche o architettoniche della stazione, quanto quelle grafiche dell’ambiente. Gli agenti si servono dunque dell’ambiente grafico della stazione nel modo stesso in cui si suppone che se ne servano i viaggiatori. Si basano sul “filo d’Arianna” prodotto dal dispositivo della segnaletica. Così facendo, adottano chiaramente la postura della risoluzione di problemi che abbiamo esaminato nel capitolo precedente: sollecitano la segnaletica in quanto rete di scritte in cui è possibile identificare alcuni elementi specifici sulla base della loro posizione relativa. D’altra parte, il fine degli agenti è diverso da quello dei viaggiatori, in quanto non devono spostarsi ma trovare il punto debole della rete: quest’ultima è dunque sia il loro punto d’appoggio sia il loro oggetto di lavoro: ricostruendo il legame tra i pannelli non usano solo la rete segnaletica come risorsa per spostarsi ma lavorano anche al suo spiegamento. Trovare il posto giusto di un pannello consiste nell’identificare l’anello mancante o indebolito della rete delle scritte. Per localizzarlo gli agenti considerano anzitutto il contenuto grafico del pannello anche se, fuori contesto, le icone, le frecce e le parole sono solo dei deittici potenziali. D’altra parte, gli operatori misurano i luoghi circolando nella rete delle scritte per confrontare gli elementi grafici pertinenti; si immergono nel dispositivo della segnaletica per ricostruirne la trama di nomi e frecce direzionali che ne compongono l’indessicalità generalizzata. 100 |capitolo 4| Decidere un luogo: il filo deittico negli atti Un’altra situazione, peraltro più rara, ci consente di precisare le operazioni necessarie al lavoro di posizionamento. Mentre il problema più comune degli interventi delle squadre di manutenzione consiste nel ritrovare un posizionamento già in parte definito (sia dalla normativa generale sulla grafica, dalla richiesta di intervento con il codice MIRE), può accadere che si tratti di dover installare un nuovo pannello, ad esempio l’indicazione di una direzione esterna. Jean-Luc è stato inviato in una stazione dal responsabile del servizio di manutenzione della segnaletica per definire il posizionamento di una nuova menzione sui pannelli esistenti per indicare un museo appena aperto. Per quanto contemplata nei documenti ufficiali, si tratta di una indicazione relativamente rara nelle stazioni. Di solito la scelta dei pannelli su cui deve figurare un’indicazione di questo tipo viene effettuata dal servizio di normalizzazione della RATP, che dispone delle mappe di tutte le stazioni e della mappa del quartiere. Secondo la norma, è sufficiente scegliere il nome dell’uscita più vicina al museo. Difficile sapere esattamente perché, ma la mappa del quartiere non era disponibile e dunque per questo museo la scelta non è stata fatta. Nel dubbio, il responsabile del servizio ha preferito affidare il compito a un agente della manutenzione che potrà recarsi in loco e giudicare sulla base del contesto. Jean-Luc prende dunque il furgone e si dirige verso la stazione. Giunto sul posto, non ha ancora parcheggiato che identifica almeno tre uscite. Indica col dito il museo in questione, che si trova un po’ più lontano, in una piazza. Jean-Luc parcheggia dunque di fronte a quella che gli sembra l’uscita più vicina. Così facendo prende una prima decisione che avrebbe potuto esser presa anche con l’aiuto di una mappa del quartiere. Ma, una volta sceso dal furgone, Jean-Luc esamina ancora un poco la situazione; non è più completamente sicuro della scelta. Avanzando verso l’incrocio lancia di nuovo un’occhiata alle uscite e al museo. Puntando il dito verso una delle due uscite che si trovano dall’altra parte della grande avenue che dà sulla piazza (figura 21), ci dice: “In realtà credo sia più vicina quella. Ma è più complicata, perché si dovrebbe attraversare l’avenue, non sarebbe logico. Questa è più lontana, ma è più semplice perché dà direttamente sulla piazza”. Se sulla mappa la vicinanza di un’uscita e di un edificio sembrano evidenti, una volta in loco le cose possono complicarsi. Anzitutto le distanze non sono così facili da stimare; ma soprattutto è l’idea stessa di prossimità che sembra trasformarsi in relazione a vie, pedoni e veicoli. Una semplice misurazione metrica non è sufficiente, in quanto nella “prossimità” rientrano anche fattori come la semplicità d’accesso, qualità difficilmente apprezzabile a distanza. La scelta dell’uscita non è però che il primo passo. Ora JeanLuc deve trovare i pannelli interessati. Entra dunque nella stazione. Prima di scendere Jean-Luc annota sul suo carnet il nome della strada dell’uscita in questione. Entra e va fino alla banchina adottando una postura opposta a quella del viaggiatore, ov- 101 vero guardando i cartelli di uscita che si lascia alle spalle. Sulla banchina annota di nuovo il primo della serie di pannelli che indicano l’uscita verso il museo. Quindi compie il tragitto al contrario, ovvero dal punto di vista del viaggiatore che vuole uscire. Mano a mano che procede si segna accuratamente posizionamento, dimensioni e composizione grafica di tutti i pannelli rilevanti. Potremmo comparare questo primo movimento a quello descritto da Latour (1993) a proposito degli utilizzi di Topofil Chaix da parte degli scienziati specializzati nell’analisi dei suoli per delimitare e misurare delle parcelle di terreno, e dire quindi che Jean-Luc si assicura in tal modo la corrispondenza tra un mondo e le iscrizioni incaricate di rappresentarlo. Ma vi sono anche diversità evidenti tra i due casi: mentre una spedizione scientifica finisce per trasportare un pezzo di mondo da un luogo all’altro attraverso una catena di iscrizioni che servono da garanti rappresentativi facili da manipolare e analizzare, l’indicazione del museo è finalizzata all’organizzazione di uno spostamento. Non si tratta allora di produrre rappresentazioni fedeli, ma guide affidabili. Come sottolinea Fuller (2002) appoggiandosi su Guattari, la significazione della segnaletica non è dell’ordine della rappresentazione, ma di quello di un sostegno all’azione. Il percorso di andata e ritorno consente a Jean-Luc di sperimentare con il proprio corpo le future proprietà deittiche dei pannelli da posare: egli prova passo a passo la connessione che nomi e frecce tesseranno poi graficamente. Ma l’operazione non è ancora finita. Qualcosa sembra non tornare. Scrivendo il nome della strada che compare sui pannelli che danno verso l’uscita desiderata, Jean-Luc storce il naso: non è questo il nome che ha ricopiato prima di entrare. Esce, controlla di nuovo la targa della strada e verifica la non corrispondenza. Il problema sta nella rete dei deittici già installati. Come procedere? Jean-Luc fa appello a un’altra risorsa: si dirige allora verso una mappa del quartiere che sta pochi metri fuori dalla stazione (figura 22). Da un raffronto, comprende che il nome della strada indicata non è quello della via principale (comune a tutte e tre le uscite), ma quello di una via perpendicolare sulla destra. Ed è precisamente la via del museo. L’uscita è dunque quella giusta. Questo caso mostra che il processo di scelta di una collocazione per le indicazioni segnaletiche si compone di diverse dimensioni che non sempre si allineano facilmente. Attraversare i luoghi è essenziale per prendere una decisione, mettendo alla prova il posto dei futuri pannelli dal punto di vista delle condizioni concrete della città e della stazione del metrò. Ma questo processo locale non basta: se lo spostamento fisico è cruciale, esso si deve accompagnare ai deittici già presenti; una rete che a ben vedere non si limita ai dispositivi della RATP. Gli artefatti provenienti da altre organizzazioni (nel nostro caso la città) offrono delle risorse importanti per corroborare le scelte di posizionamento: così, la mappa del quartiere consente a Jean-Luc di allineare le uscite e i nomi delle vie che figurano nella stazione. Tuttavia il ricorso a questi dispositivi implica anche dei vincoli. La messa in atto delle nuove indicazioni non si limita più all’instaurazione di una relazione diretta 102 |capitolo 4| ed affidabile con il luogo designato, ma passa anche per la garanzia della loro integrazione in una rete a maglia fine di altri dispositivi indicatori, che non si possono aggirare. I due casi considerati mostrano dunque che il processo di posizionamento coinvolge il corpo stesso degli operatori: le qualità deittiche dei pannelli, la loro capacità di indicare dei luoghi e delle direzioni, dipendono strettamente dalle andate e ritorni degli agenti nello spazio da gestire. È ricostruendo scrupolosamente il filo indessicale dei pannelli che David e Jonathan possono trovare quello da cambiare; ed è spostandosi dentro e fuori dalla stazione che Jean-Luc riesce ad allineare un insieme di iscrizioni eterogenee (i pannelli della stazione, la mappa del quartiere, le targhe dei nomi delle strade). Il lavoro di posizionamento si sviluppa attraverso una doppia messa alla prova: anzitutto una esplorazione delle proprietà architettoniche dei luoghi (la stazione e l’incrocio) che assicura la qualità deittica delle iscrizioni; in secondo luogo un lavoro di allineamento dei nuovi deittici all’insieme di quelli già installati. In una situazione normale, le due forme di messa alla prova si trovano ripiegate all’interno dei dispositivi d’azione a distanza che sono le mappe e le carte. Descrivere il caso in cui questi dispositivi non hanno potuto essere utilizzati permette di afferrare la complessità di ciò che compone il “posto giusto” descritto da Latour ed Hermant (1998) rispetto alle targhe stradali della rue Huysmans. Seguendo solo le tracce a distanza si rischia di credere che il posto giusto possa semplicemente dedursi da un confronto tra gli strumenti e da un progressivo allineamento degli strumenti di rappresentazione. Ma questo non è sempre il caso. Anzitutto perché mancanze e ambiguità sono numerose, ma anche e soprattutto perché questa apparente deduzione crea sempre una tensione tra funzione deittica pura (indicazione) e integrazione nella folla di iscrizioni che popolano il luogo. Non esiste ancora una visione panoramica in grado di far cogliere a distanza l’insieme degli elementi deittici presenti, installati e gestiti da autorità diverse o persino concorrenti tra loro. Si tratta di un punto particolarmente sensibile: l’ecologia grafica delle stazioni è legata all’ecologia grafica della città, e in essa alcune delle scritte esposte sono ampiamente interdipendenti. Dal punto di vista dei servizi di trasporto si tratta di una interdipendenza essenziale, ma particolarmente delicata da gestire; in gran parte, inoltre, elaborata contestualmente, durante il lavoro di piazzamento. Mettere alla prova gli artefatti grafici Trovare il posto giusto per un pannello non implica solamente un confronto diretto tra operatori e spazio; durante gli interventi, gli agenti si pongono delle questioni generali, che superano la problematica dell’allineamento dei deittici. Essi valutano infatti anche la pertinenza del posizionamento di un pannello preoccupandosi della sua efficacia. Il lavoro di posizionamento passa perciò per una serie di interrogativi su ciò che gli elementi segnaletici dovrebbero “fare” ai viaggiatori: il pannello indica la direzione giusta? 103 Le informazioni che vi figurano diventano leggibili alla giusta distanza? Le direzioni sono esposte senza ambiguità? Osservare il comportamento dei viaggiatori Per rispondere a questo genere di domande, gli operatori mettono alla prova gli artefatti grafici che stanno installando, e lo fanno sul posto, mobilitando più o meno direttamente il punto di vista degli utenti. Herbert e Léonard hanno appena installato un nuovo pannello. Terminata la posa, indietreggiano e guardano il risultato del loro intervento. Herbert getta un colpo d’occhio alla banchina ed esprime un dubbio: “Avremmo dovuto prevederlo! Da là in fondo non si vede niente. Se fossi laggiù di sicuro non lo vedrei” (figura 23). In questo caso, il posizionamento del pannello non viene ridiscusso, ma si prospetta la necessità di un pannello supplementare, anche se non previsto dell’ordine di lavoro. Anche una volta trovato il giusto posto, il processo di installazione non è ancora terminato, in quanto gli operatori si devono rapportare al sistema globale. La situazione è opposta a quella considerata sopra, in cui David e Jonathan percorrevano la rete degli scritti per ritrovare una posizione già identificata da altri. Ora infatti è l’intervento stesso a far apparire un vuoto, un possibile anello mancante della rete. Per evitare ogni possibile dubbio, i manutentori indietreggiano letteralmente rispetto alla propria posizione. Herbert guarda la banchina di fronte (figura 24). Nota che per la stessa lunghezza degli armadi dei quadri elettrici vi sono due pannelli, mentre dal loro lato ce n’è uno solo. Ma il confronto non è sufficiente. Riprendendo le domande sui viaggiatori sollevate da Herbert, i due agenti guardano nell’altra direzione: Per sapere se ordinare un pannello supplementare, Herbert e Léonard decidono di raggiungere il prossimo ramo del metrò; una volta lì si mettono a osservare le facce e gli sguardi dei viaggiatori: alcuni di questi cercano il nome della stazione, senza trovarla subito. L’intuizione di Herbert è confermata: serve un pannello in più. I manutentori non si appoggiano su un principio di simmetria architettonica ma su una messa alla prova pratica del dispositivo e delle sue qualità di esposizione. Per far ciò, si lanciano in una sperimentazione in situ. Approfittano della presenza effettiva dei viaggiatori sul loro luogo di lavoro per osservare direttamente i comportamenti. Gli agenti non considerano un pezzo di segnaletica come elemento autosufficiente, ma lo valutano nell’insieme dei pannelli presenti. Mettersi al posto degli utenti Altre situazioni consentono di comprendere meglio i risultati di questa operazione. 104 |capitolo 4| Herbert e Léonard hanno appena sostituito tre targhe provvisorie in PVC con dei pannelli metallici. Mentre Léonard finisce di fissare l’ultimo pannello, Herbert si mette di lato, verso la scala mobile, per osservare il risultato. Poi dice: “Ci siamo sbagliati! Bisognerà scambiare i due ultimi pannelli”. Léonard indietreggia e guarda in successione i tre pannelli, poi assicura: “No, vanno bene. I pannelli provvisori erano in questo stesso ordine.” Herbert guarda di nuovo i pannelli e non è convinto: “Sì, ma se guardi a destra venendo dalla scala mobile, il primo pannello menziona solo il bus mentre a destra il terzo pannello che abbiamo sostituito nel corridoio indica bus e uscita. Dunque il secondo dovrebbe essere messo al posto del terzo e viceversa, per coerenza con il primo”. Léonard risponde in tono secco: “Non ho tempo per mettermi a pensare a queste cose”. Herbert non risponde. Qui la messa alla prova degli utenti viene declinata diversamente. Herbert fa lo sforzo di mettersi davvero dal punto di vista dei viaggiatori nell’ambiente per vedere i pannelli come se stesse uscendo dalla scala mobile e proiettandosi nelle possibili domande degli utenti che vogliono uscire. Opera dunque una “rappresentazione incorporata” (Barrey, Cochoy e Dubuisson-Quellier, 2000; Denis, 2008), basata sulle proprie competenze ordinarie di viaggiatore. Su questa base vorrebbe invertire i due pannelli affinché la voce “uscita” compaia subito. Per quanto ricca e utile, questa attitudine si rivela problematica per Léonard. La messa alla prova non fa parte delle prescrizioni ufficiali. Effettuarla o meno significa posizionarsi rispetto alla gerarchia della compagnia. Per questo Léonard rifiuta di mettersi dal punto di vista dei viaggiatori per attenersi al proprio ambiente immediato: i pannelli installati da poco rispettano l’ordine di quelli sostituiti, e tanto basta. Con il doppio vantaggio di essere in regola rispetto alle prescrizioni ufficiali e di risparmiare lavoro. Simili momenti evidenziano delle tensioni forti nel processo di posizionamento. La messa alla prova può infatti comportare un lavoro supplementare, o persino uno scarto dai principi normativi del dispositivo della segnaletica. L’identificazione del posto giusto passa allora per scelte che eccedono un semplice criterio di efficacia del pannello: è necessario passare per i viaggiatori, e dunque per la politica generale di questo rapporto che la RATP vuole creare, come abbiamo visto nel primo capitolo. Come la formazione all’assistenza del personale di stazione e come gli annunci sonori, gli agenti di manutenzione diventano un ulteriore circuito di considerazione degli utenti. La considerazione degli utenti in tal modo non resta solo un grande principio strategico ma si incarna nel lavoro di messa in luogo dei moduli segnaletici. D’altra parte, l’esame delle prove pratiche a cui sono sottoposti gli artefatti grafici offre un nuovo punto di vista sugli script d’uso della segnaletica che abbiamo analizzato nel terzo capitolo. Osservando i viaggiatori e mettendosi dal loro punto di vista, gli agenti di manutenzione fanno anche variare le posture necessarie alla riuscita degli script. L’osservazione di queste attività permette di precisare due dimensioni. Essa mostra anzitutto che le posture sono strettamente associate all’in- 105 terno di una singola situazione che nel corso dell’azione è difficile da isolare. Quando uno degli operatori si domanda se i pannelli che indicano il bus sono nell’ordine giusto o meno, cerca allo stesso tempo di valutare la loro capacità di venire percepiti con un solo colpo d’occhio nello sviluppo di un percorso (salendo le scale mobili) e ad essere identificati, ovvero a guidare i viaggiatori fino al prossimo pannello. Il lavoro di posizionamento mette gli operatori di fronte a delle posture d’uso strettamente legate all’ambiente e dunque all’indessicalità degli elementi della segnaletica. Sono soprattutto gli script della reazione e della risoluzione di problemi a porre problemi. Le posture della lettura/informazione e della consultazione/pianificazione creano sì delle dimensioni spaziali essenziali ma le loro qualità situazionali sembrano potersi realizzare e valutare più facilmente nei momenti di ideazione. Al contrario, la possibilità di sorreggere le posture d’uso di tipo più situazionale sembra molto più fragile e difficile da mettere in atto. Per alcuni oggetti grafici il delicato lavoro di posizionamento è dunque una tappa essenziale per completare l’integrazione degli script d’uso. Esplorare l’ecologia grafica Sin qui abbiamo isolato alcune sequenze puntuali di collocazione dei pannelli, evidenziando per ciascun caso le diverse poste in gioco. Occorre tenere però anche presente che nella maggior parte dei casi gli agenti di manutenzione devono in effetti passare da un’operazione all’altra, articolando diversi aspetti del processo di posizionamento e confrontandosi con più sfide contemporaneamente, come si vede seguendo un’operazione più lunga. Lavorando in coppia, gli agenti di manutenzione condividono regolarmente le loro esitazioni ad alta voce, e discutono tra loro per trovare una soluzione o per confermare uno stato di indecisione. Nel corso degli interventi, l’esperienza acquisita consente di risolvere i dubbi in tempo ragionevole, in quanto ci si basa per analogia sulla serie dei casi precedenti. Ma gli agenti si trovano a volte di fronte a delle situazioni particolarmente delicate, in cui si gioca la coerenza del dispositivo segnaletico. Ciò può accadere ad esempio quando un’esigenza nuova squilibra gli interventi ordinari. Così, durante la nostra ricerca, è stata implementata una nuova regola di sicurezza: le uscite di soccorso, sino ad allora progettate in prossimità delle uscite, devono adesso essere indicate in modo indipendente a partire dalla banchina fino alla strada. L’obiettivo è chiaramente quello di consentire una migliore evacuazione, ma la situazione fuoriesce dall’attività di manutenzione ordinaria. La posizione dei pannelli “uscita d’emergenza” non viene trattata dai documenti normativi. Gli operatori si trovano allora a dover improvvisare per trovare il posto giusto in cui installare queste indicazioni supplementari. Le esitazioni e i dubbi che ne seguono permettono di ricostruire come possa essere elaborata una soluzione ai problemi che sorgono nel lavoro di posizionamento. 106 |capitolo 4| Difendere l’ordine grafico La nuova regola impone una procedura in due tappe. Nella prima il personale del servizio di sicurezza ha ispezionato le stazioni per stabilire il posizionamento dei futuri pannelli di uscita di emergenza. Se però la presenza di tali iscrizioni non è negoziabile, la scelta ultima sul posizionamento è ancora competenza del dispositivo della segnaletica. Sul campo, gli agenti di manutenzione sono i meglio piazzati per decidere, e sono stati mandati dal servizio normalizzazione per verificare le proposte del servizio sicurezza. Herbert e Léonard sono stati inviati in una stazione per il posizionamento di un cartello di uscita d’emergenza. L’obiettivo dell’intervento è semplice: confermare o meno la proposta del servizio sicurezza. Ancor prima di scendere in stazione, sanno che nel caso in cui non approvino la proposta dovranno essere loro stessi in grado di formularne una alternativa. In questa stazione, gli agenti del servizio sicurezza hanno proposto di mettere il cartello “uscita d’emergenza” in formato adesivo piazzato su un pannello sospeso al soffitto. Al momento il pannello indica due uscite e varie corrispondenze con gli autobus e il tram T2 (figura 25). Di fronte al pannello, Herbert e Léonard non esitano un istante, non possono convalidare la scelta: “è impossibile” (Léonard). Come comprendere questo rifiuto? Quali sono le principali competenze? Su che motivazioni si basa il rifiuto dell’opzione proposta? Non si tratta di una questione di posto: infatti il pannello contiene un ampio spazio libero in basso a destra che consentirebbe di aggiungere l’adesivo in questione. Ma è in primo luogo dal punto di vista informazionale che muovono i due agenti: per loro, l’abbondanza di iscrizioni è un rischio potenziale che può far perdere al pannello la sua efficacia. Per Herbert e Léonard, troppe informazioni sullo stesso supporto produrrebbero solo confusione. Questo grande pannello, in particolare, indica già due uscite e diverse coincidenze; gli agenti vogliono evitare un rischio di sovraccarico che creerebbe rumore invece di informazione sensata. Ma c’è anche una questione di coerenza. Come abbiamo visto, per costituire una rete di scritte efficace, ogni elemento deve stare al proprio posto. I documenti normativi della segnaletica sono molto precisi su tutti i fronti: colori, testi, icone, sequenze di ripetizioni degli elementi… Questa condizione è al cuore dell’organizzazione degli elementi grafici. L’indicazione delle uscite d’emergenza non fa parte di questo sistema. Il rifiuto mostra dunque il programma della segnaletica come un vero e proprio “ordine grafico”1 da 1 Artières e Rodak (2008) definiscono l’ordine grafico come “un’unità di scrittura dominante la cui trasgressione viene repressa anche se non è esplicitamente regolata. Questa dominazione grafica si manifesta attraverso l’uso di grafie e supporti comuni […] L’ordine grafico non è proprio dei soli regimi totalitari, anche se sotto questi governi è particolarmente rigoroso” (pp. 124 e 138). Nel quadro della nostra ricerca, la nozione di dominazione compare in una versione meno repressiva, collocandosi all’interno di una riflessione ecologica per designare le modalità di controllo a cui il dispositivo della segnaletica viene sottoposto. 107 preservare il più possibile. Infine, il pannello inizialmente proposto dal servizio di sicurezza è destinato alla gestione del flusso normale e non a una situazione d’emergenza. Per gli agenti, la nuova inscrizione e quelle che figurano già sul pannello non corrispondono alle stesse condizioni né agli stessi obiettivi. Da un lato, gli elementi della segnaletica cercano di equipaggiare e facilitare l’uso dei trasporti, fanno parte dell’offerta di servizio; dall’altro, le uscite di emergenza rinviano al dominio della sicurezza degli spazi, che riguarda la presa in carico delle persone in situazioni di rischio. Gli agenti vogliono mantenere questa distinzione evitando che i due tipi di informazioni sussistano sul medesimo supporto. Il loro rifiuto di prendere in considerazione il posizionamento proposto viene dunque motivato in nome dell’ecologia grafica. Per gli agenti, i moduli della segnaletica e le future uscite d’emergenza sono entità grafiche eterogenee che se accostate rischiano di indebolirsi a vicenda, o persino di contraddirsi. Poiché i due sistemi hanno regole distinte ma devono coesistere nello stesso ambiente, si rischia di dover seguire due prescrizioni contraddittorie. All’interno di una situazione specifica, gli agenti decidono di farsi garanti della segnaletica, ponendola come l’operatore principale nella gestione dello spazio grafico, come abbiamo peraltro già visto nel secondo capitolo. Mettere alla prova lo stato dei luoghi Come fanno gli agenti a risolvere il loro problema? Continuiamo a seguirli nel loro difficile processo di presa di decisione. Herbert e Léonard cominciano a ipotizzare diverse soluzioni, mettendosi dal punto di vista dei viaggiatori. Si posizionano in vari punti della sala nel senso della circolazione per stimare cosa sia visibile e cosa no da ciascun punto. Simulano un mini-percorso lungo il corridoio, l’arrivo davanti alle porte automatiche d’uscita e quindi davanti al pannello più grande. Adottano così diversi punti di vista e cercano di esaminare tutti gli aspetti della situazione. Ogni possibilità viene sottoposta a discussione prima di prendere in considerazione un’altra opzione (figura 26). Ad esempio, di fronte ai tornelli Léonard dice: “Da qui i viaggiatori non vedono le scale d’uscita. Dunque possiamo mettere gli adesivi sulle porte d’uscita”. Herbert continua a guardare le porte, poi lancia uno sguardo più ampio all’ambiente circostante. Non dice nulla ma sembra dubbioso. Superate le porte, Léonard continua il suo ragionamento: “Potremmo mettere un adesivo sulla vetrina dell’agenzia commerciale. Non è il massimo, ma si può fare”. Come nel caso descritto sopra, gli agenti si appoggiano sulle proprie competenze ordinarie di viaggiatori per stimare la pertinenza e la visibilità dell’inscrizione “uscita d’emergenza”. Passano in rassegna diverse posizioni nell’ambiente ipotizzando diversi posizionamenti per i pannelli. Nel corso del processo, trattano i futuri artefatti grafici come punti d’appoggio per l’orientamento dei viaggiatori, secondo una messa alla prova della configu- 108 |capitolo 4| razione specifica dei luoghi che mira ad un doppio obiettivo: giudicare le qualità d’esposizione dei futuri pannelli e valutarne le capacità indessicali. Ma nessuna delle alternative considerate sembra portare a una soluzione accettabile: attaccare l’adesivo sulla vetrina resta una soluzione difettosa in quanto la scritta si mescolerebbe con le informazioni commerciali della RATP. Herbert e Léonard sono di nuovo di fronte al pannello grande nella sala d’entrata, e cercano di venire a patti con i limiti dell’ambiente. Il seguito della loro esplorazione li mette tuttavia di fronte a delle nuove difficoltà che gli fanno radicalmente cambiare postura. Mentre stanno considerando una nuova possibilità per l’indicazione dell’uscita d’emergenza, la materialità stessa degli elementi grafici emerge come una dimensione centrale. Cominciano allora a non trattare più le future iscrizioni come guide per viaggiatori, ma in quanto oggetti di cui devono anticipare la portata ecologica. Léonard alza la testa: “Qui il soffitto è in cemento, dunque un pannello sospeso con catenelle sarebbe possibile. Sarebbe visibile in tutte le circostanza perché la luce è sufficiente”. Herbert approva, ma dopo una rapida valutazione aggiunge: “Ma la distanza tra il soffitto e la testa dei viaggiatori è troppo poca, quelli alti rischiano di darci dentro”. Leonard si volta, guarda di nuovo in alto per valutare la situazione e aggiunge senza esitazione: “e comunque il pannello sarebbe in parte nascosto da questa telecamera; per non dire poi che rischiamo di mascherare l’informazione che sta sul pannello grande”. Il ragionamento ecologico, come si vede, non si limita alla sola dimensione grafica. Cominciando a prendere in conto la materialità dei moduli della segnaletica, ci si trova a confrontati ad altri oggetti: la configurazione architettonica dei luoghi, la presenza dei pilastri, la localizzazione dei neon, la posizione delle telecamere. Gli operatori si trovano dunque a dover considerare allo stesso tempo le qualità d’esposizione e le capacità indessicali dei pannelli, la sicurezza dei viaggiatori, la configurazione generale del luogo, e le diverse attrezzature che popolano l’ambiente. La sfida consiste nel trovare il miglior concatenamento possibile in questa molteplicità di elementi, immaginare uno scenario per inserire i futuri pannelli nell’ecologia generale di questa specifica stazione. Ecco perché l’idea di appendere un pannello sospeso ad hoc viene scartata: quest’ultimo intralcerebbe la visibilità del pannello già installato, costituirebbe un rischio potenziale per la sicurezza dei viaggiatori troppo alti, e sarebbe in parte coperto dalla telecamera. Il lavoro di questi agenti si può paragonare a quello degli esperti di autenticazione di opere d’arte, che cercano di collegare degli indizi materiali specifici al corpus di saperi condivisi più o meno stabilizzati (Ginzburg, 1980; Bessy e Chateauraynaud, 1995). Gli agenti cercano delle possibili articolazioni tra la loro conoscenza del dispositivo della segnaletica, il loro savoir-faire in materia di gestione degli spazi viaggiatori e le caratteristiche grafiche e materiali dell’ambiente in questione. Non è tutto: le soluzioni man mano proposte restano in sospeso, la loro valutazione e la loro eventuale validazione si appoggiano su un’altra forma di ragionamento che dipende dalla risposta alla domanda: “Cosa accadrebbe se mettessimo 109 l’iscrizione qui?”. Per ogni posizionamento proposto, gli operatori effettuano una serie di proiezioni attraverso le quali simulano lo stato futuro dei luoghi della stazione. Tali proiezioni consentono di decidere facilmente: il minimo elemento perturbatore (altre iscrizioni, una videocamera, e così via) squalificherebbe la soluzione. Una gran parte del loro expertise si basa così su un processo per prove ed errori simulati. Nel caso che stiamo considerando, la soluzione risulta difficile da trovare perché nessun argomento sembra vincente e tuttavia non si può abbandonare la scelta al caso2. Alla fine si opterà per attaccare gli adesivi sulle porte battenti dei tornelli, una scelta decisamente interessante per noi, in quanto sottolinea un’ultima dimensione essenziale del processo di posizionamento. Trasformare l’ambiente Gli agenti di manutenzione intervengono in un luogo in cui oggetti di diversi tipi sono già in relazione reciproca. Aggiungere un pannello significa inevitabilmente modificare questa organizzazione. A prescindere dall’ampiezza dell’intervento, c’è sempre il rischio di rovesciare l’ordine già raggiunto. La messa in luogo si confronta dunque con il rompicapo di trovare un posizionamento che assicuri la trasformazione grafica e materiale dell’ambiente senza provocare squilibri. Questo è precisamente quel che cercano di ottenere gli agenti di manutenzione: per Herbert e Léonard la performatività dello scritto è un problema pratico. Per ogni nuovo posizionamento possibile, cercano di valutare tutte le conseguenze ecologiche. Né il pannello grande nella sala, né la vetrina dell’agenzia commerciale, né l’altezza del soffitto riescono a regolare la cosa. La soluzione è dunque un delicato compromesso: le porte battenti delle uscite sono direttamente implicate nell’azione prevista per le future iscrizioni: uscire da un luogo passando per una porta. Esse consentono anche di distinguere due tipi di situazione. Nella loro funzione normale, le porte battenti sono attraversate solo per uscire dalla zona tariffaria della RATP. Esse marcano dunque fisicamente la soglia a partire dalla quale i viaggiatori sono sottoposti alle regole della tariffazione in vigore. In caso di incidente, l’uscita si può effettuare sia dalle porte automatiche che dai tornelli d’entrata, che in quel caso vengono fatti funzionare al contrario. Facendo la scelta di utilizzare le porte dei tornelli come supporto per nuove iscrizioni gli agenti cercano di rispondere all’esigenza più ardua: quella di trovare un posto disponibile. Disponibile anzitutto sul piano grafico: non vi sono altre iscrizioni su di esse, dunque l’ordine grafico della stazione non è messo in pericolo. Disponibile poi sul piano materiale: gli adesivi messi qui non disturbano la mobilità ordinaria dei viaggiatori, e nessun elemento 2 Gli operatori ne sono pienamente consapevoli. Quando alla fine dell’interven- to l’etnografo gli chiede conferma della decisione raggiunta, Léonard conclude precisando: “Vedi, non possiamo mettere i cartelli a caso! E poi il nostro nome è sull’ordine di intervento; se c’è un problema i responsabili siamo noi”. 110 |capitolo 4| dell’ambiente intacca la qualità dell’esposizione. Infine e soprattutto, il dorso delle porte battenti è un posizionamento disponibile sul piano pragmatico. Dal punto di vista dei viaggiatori già presenti in stazione, le porte dei tornelli d’entrata non rappresentano sin qui un appoggio pertinente per l’azione. Dire, attraverso il nuovo adesivo, che in caso di incidente grave possono essere usati come uscita non rappresenta dunque un rischio di conflitto con le altre forme d’uso correnti. Così dotate, le porte battenti sono esse stesse trasformate. Non servono più solo a lottare contro l’entrata irregolare nella zona tariffata ma diventano anche il supporto di una norma di sicurezza. Per concludere, occorre insistere su un postulato essenziale della situazione qui discussa. Gli operatori ragionano a partire da un’evidenza: l’ecologia da preservare è, al presente, ampiamente stabilizzata. La ricerca di un posizionamento si inscrive in una catena di attività che preparano il terreno. Le tre disponibilità – grafica, materiale e pragmatica – non valgono che perché varie operazioni quotidiane sono messe in atto per mantenere l’ordine delle cose: la pulizia, la cancellazione dei graffiti e la riparazione di tutti gli elementi materiali funzionali, come le porte. La disponibilità di un oggetto non è dunque una qualità intrinseca data una volta per tutte, al contrario, è un risultato dinamico della messa in atto quotidiana di un ambiente organizzato e della sua esplorazione da parte di operatori che sono alla ricerca del posto giusto per i pannelli. Il caso che abbiamo discusso, ricordiamolo, si presenta raramente ma, proprio perché fa uscire gli operatori dai quadri abituali dei loro interventi, permette di vedere la molteplicità di sfide che attraversano il processo di posizionamento, oltre che di evidenziare il significato della dimensione performativa di alcuni artefatti grafici. In un luogo pubblico, spesso popolato di scritte, il posto giusto per un pannello, quello che garantisce la sua performatività, non si definisce solo in un rapporto tra una parcella di spazio e un’iscrizione. La sua stessa progettazione ha una portata ecologica, in quanto deve poter trasformare l’ambiente senza scompaginare i suoi fragili equilibri grafici, materiali e pragmatici. In questo senso, il posto giusto è un posto disponibile. Ciò che vale per queste scritte istituzionali, inoltre, vale anche per gli altri tipi d’iscrizione (in primo luogo i graffiti). Quel che cambia non è la necessità di trovare un posto disponibile, ma le entità considerate pertinenti per comprendere l’equilibrio dell’ambiente. Conclusione: il posizionamento e le sue prospettive Se cominciamo a comprendere gli artefatti grafici in termini di equipaggiamento visivo dell’azione o di ordinamento politico degli spazi, tendiamo ad insistere solo sui principi strategici e teorici che li organizzano. Tuttavia, nel quadro dell’installazione di un dispositivo grafico, la messa in luogo effettiva di ogni inscrizione è un momento particolarmente sensibile. Oltre ai grandi principi e ai documenti normativi che definiscono la posizione ideale di ogni elemento, il processo di posizionamento si compie attraverso una serie di operazioni più o meno complesse. L’analisi di tali operazioni pratiche è essenziale alla comprensione dell’agire delle scritte esposte. La messa in 111 luogo costituisce in effetti un vero e proprio atto di scrittura (Fraenkel, 2007). Posare un pannello in un ambiente significa scrivere quell’ambiente. Come abbiamo precisato all’inizio di questo capitolo, analizzare la pragmatica del lavoro di posizionamento permette anzitutto di staccarsi dagli approcci centrati sull’interpretazione dei segni per evidenziare i saperi e si savoir-faire degli operatori. Installare dei pannelli nello spazio del metrò è tutt’altro che facile poiché, come abbiamo visto, gli agenti si trovano a dover inventare in situ delle soluzioni accettabili per le situazioni problematiche che essi incontrano quotidianamente. Il processo di piazzamento non è di routine ma, al contrario, punteggiato di difficoltà, aggiustamenti, dubbi e rischi. Mettere in luce queste difficoltà consente di studiare contemporaneamente l’attività del personale incaricato dell’installazione delle iscrizioni, dei loro vincoli prescrittivi e situazionali, e dell’insieme degli elementi materiali presenti nell’ambiente in cui intervengono. Abbiamo così visto che la designazione del posto giusto può prendere la forma di un vero rompicapo. Per risolverlo, gli agenti navigano di volta in volta tra due posture: quella del viaggiatore, di cui occorre guidare il percorso attraverso la rete delle iscrizioni pertinenti, e quella dell’esperto che ragiona sui criteri specifici di gestione grafica degli spazi e che è in grado di simulare le conseguenze di ciascuna delle proprie scelte. In questo movimento, gli oggetti grafici stessi compaiono sotto angoli diversi. Non sono affatto inerti, come si potrebbe credere sulla base di una lettura un po’ affrettata di Scollon e Scollon (2003). Certo, i pannelli e gli altri artefatti indicatori non valgono molto agli occhi dei passanti se non perché sono al loro posto. Ma agli occhi degli operatori le cose non stanno così. Seguire in dettaglio il lavoro di posizionamento permette di evidenziare la situazione in cui si trovano gli artefatti tenuti in sospeso, compiuti sì dal punto di vista della fabbricazione, ma non ancora disposti nell’ambiente che devono contribuire a trasformare. A questo proposito, la ricerca ci mostra bene che i moduli della segnaletica non sono sempre trattati allo stesso modo nelle diverse situazioni: essi possono venire considerati come testi, come oggetti materiali, come supporti d’informazione, o ancora come entità prese in una rete normalizzata (per un’analisi più approfondita si rinvia a Denis e Pontille 2010a). La risposta all’enigma del posto giusto non ingaggia dunque solo un certo rapporto all’ambiente, ma passa anche per una serie di cambiamenti del punto di vista sull’oggetto da installare. Le due dimensioni passano per lo stesso movimento: l’esplorazione dell’ecologia dello spazio – la sua messa alla prova – si opera attraverso il doppio impegno del corpo degli agenti e degli oggetti, visti ora come potenziale minaccia all’ordine grafico di un luogo, ora come possibili intralci fisici (ad esempio perché troppo vicini alla testa dei viaggiatori). Oltre a ciò, due elementi ci sembrano particolarmente importanti. Anzitutto occorre insistere sul carattere emergente dei diversi modi di trattare gli oggetti grafici durante il lavoro di posizionamento. Gli agenti esplorano l’ambiente ed entrano così in determinati rapporti con i moduli della segna- 112 |capitolo 4| letica. Il modo in cui questi ultimi vengono utilizzati nel corso dell’azione non rinvia a uno stock di proprietà intrinseche che possano risolvere a priori ogni dubbio. Un altro aspetto riguarda poi il carattere sequenziale delle operazioni di posizionamento. Gli operatori non trattano mai gli oggetti come un tutto, un’entità ibrida al tempo stesso materiale, linguistica, informativa, grafica, etc. Le qualità emergono sul filo di ogni intervento e sono trattate una dopo l’altra, gerarchizzate e articolate. In altri termini, dal punto di vista del lavoro di posizionamento, le scritte esposte non sono degli artefatti ibridi, né dei composti di cui poter identificare gli ingredienti. Essi appaiono invece anzitutto come oggetti sfaccettati, che non possono essere afferrati nella loro totalità con un solo sguardo, ma le cui diverse facce si evidenziano mano a mano nel corso della loro installazione. 113 |capitolo 5| Capitolo 5 La manutenzione dell’ambiente Di fatto spesso le reti collassano. Una capacità urbana fondamentale è la negoziazione di questi collassi […] In questo senso, la riparazione è un’industria di principale importanza. (Amin e Thrift 2002, p. 128) Mettendo in luce la complessità del lavoro di posizionamento, abbiamo mostrato che il dispositivo della segnaletica si basa su numerosi savoir-faire e sulla capacità di valutazione degli agenti incaricati di installare i moduli. Senza questa attività, il programma d’esposizione grafica resterebbe lettera morta. Ma questa incursione nel lavoro d’installazione delle scritte esposte non rappresenta che un primo passo nella comprensione del processo di attualizzazione che assicura un’esistenza a questo tipo di artefatti grafici. La focalizzazione sulle sole operazioni di posizionamento è fallace. Dato che esse mettono in scena un prima e un poi, si potrebbe pensare a una meccanica di stabilizzazione che si fonda sul delicato momento dell’installazione del modulo. Ma in verità un pannello non è mai piazzato una volta per tutte. Gli elementi della segnaletica non sono esposti solo alla vista e alla lettura ma anche all’usura, agli urti, e all’obsolescenza. I pannelli cadono, i poster si strappano, i colori impallidiscono, gli adesivi si scollano, i nomi dei luoghi da indicare cambiano. Il lavoro di attualizzazione prosegue ben dopo l’installazione, prendendo la forma di operazioni di pulizia, di riparazione o di riposizionamento, esse stesse condizionate dalle attività di sorveglianza degli spazi e dalla segnalazione dei difetti. Detto altrimenti, l’ordine grafico instaurato da qualsiasi programma di esposizione è oggetto di un lavoro permanente di manutenzione. Queste attività, per quanto appaiano banali, sollevano in realtà questioni fondamentali che oltrepassano il caso della segnaletica. La nozione di manutenzione ha un ruolo particolare in sociologia, centrale fra i principi dell’etnometodologia di Garfinkel (1967) e della teoria dell’ordine sociale di Goffman (1991). Questi autori ci hanno mostrato che le interazioni implicano incessanti operazioni di riparazione, da compiere all’interno di situazioni specifiche. In altre parole, questi autori hanno avanzato una visione endogena dell’ordine sociale, inteso come risultato temporaneo, sempre in produzione, e non come postulato evidente, o come il 115 prodotto di qualche forza trascendentale. In questo modello, la manutenzione non è qualcosa di straordinario o marginale, ma un’attività centrale di produzione di un ordine sociale da far esistere “ogni volta di nuovo” [each another next first time] (Garfinkel, 2002, p. 98). Più recentemente, sia Henke (2000) sia Graham e Thrift (2007) hanno avanzato la necessità di ampliare lo studio dei processi di riparazione e di manutenzione rispetto al solo ambito delle interazioni faccia a faccia, al fine di includervi gli oggetti materiali. Il loro obiettivo è duplice: mostrare la dimensione materiale dell’ordine sociale e insistere al tempo stesso sull’instabilità costitutiva di tale materialità. La faccia materiale del sociale non è dunque invocata come strato solido intoccabile, ma al contrario per mostrare il pullulare di attività per lo più invisibili che partecipano alla manutenzione del mondo e delle sue infrastrutture. In questo programma, l’etnografia è uno strumento particolarmente potente, in quanto permette di “far risalire alla superficie il lavoro invisibile” (Star, 1999, p. 385). Analizzare le attività di manutenzione permette dunque di far avanzare la nostra analisi della gestione grafica dei luoghi pubblici su due piani: quello dei lavoratori invisibili del dispositivo da una parte, e quello della materialità delle scritte esposte dall’altra. L’etnografia della manutenzione ci consente di proseguire il movimento intrapreso nel capitolo precedente continuando a interrogare le attività e le competenze su cui si appoggia l’esistenza stessa della segnaletica. Gli agenti di manutenzione sono ampiamente invisibili. Lo si vede bene nei testi che presentano il dispositivo stesso, i quali non riflettono quasi mai su questa dimensione della segnaletica; ma lo si ritrova anche nei luoghi stessi della loro attività, dove essi sono trattati come “non-persone” (Goffman, 1973, p.146148) dalla maggior parte degli utenti del metrò. Al massimo, essi vengono scambiati per personale generico della RATP a cui domandare informazioni. Tuttavia sappiamo che senza il loro lavoro il dispositivo andrebbe in grave crisi nel giro di poche settimane. Se si considerano le decine di pannelli sostituiti o riparati quotidianamente dalle squadre di manutenzione, la situazione potrebbe deteriorarsi rapidamente. Per comprendere in senso specifico come la segnaletica sia un operatore di gestione degli spazi di trasporto, occorre pertanto soffermarsi sul loro lavoro e sulla sua stessa invisibilità. Questa analisi ci permetterà inoltre di esplorare più precisamente i diversi modi con cui gli operatori trattano la materia degli artefatti grafici. Come abbiamo visto a proposito del lavoro di posizionamento, i moduli della segnaletica sono compresi a diverso titolo dagli agenti che li installano. Sono a volte dei testi, a volte degli oggetti con proprietà fisiche, a volte delle informazioni, a volte delle forme grafiche e così via. Seguendo le attività di manutenzione, potremo documentare questa variabilità ontologica osservando come la materia dei moduli della segnaletica possa essere vista in modi diversi a seconda della situazione1. La dimensione materiale delle scritte, in particolare nelle situazioni lavorative, è stata sin qui analizzata so1 Gran parte di questi lavori sono stati condotti nel quadro di una rete di ricerca “Linguaggio e Lavoro” (vedi Fraenkel 2001). 116 |capitolo 5| prattutto in termini di risorse e vincoli, evidenziando la plurisemioticità delle scritte (Boutet, 1993), i rapporti tra caratteristiche semiotiche e atti linguistici (Fraenkel, 2001), o ancora le proprietà rappresentative delle scritte nell’organizzazione delle attività collettive (Grosjean e Lacoste, 1998). Il nostro tentativo consiste nel cambiare prospettiva, interessandoci non più solo alle attività che chiamano in gioco la materialità dello scritto, ma anche a quelle che vi intervengono direttamente (Denis, 2009; Pontille, 2006; 2010). Studiando le operazioni realizzate sulle iscrizioni stesse, proponiamo così di passare da un’analisi del lavoro con lo scritto a una del lavoro dello scritto. Come vedremo, da questo punto di vista la materialità è meno una proprietà tangibile che una qualità proteiforme, problema centrale del lavoro di manutenzione. Sulla scia dei pannelli Per arrivare a enucleare i risultati del lavoro di manutenzione, proponiamo di avvicinare progressivamente l’attività degli agenti. Prima di seguirli nel corso dei loro interventi nella rete cominceremo con una rapida immersione nel locale del servizio di manutenzione della segnaletica (M2E). In questo modo potremo apprezzare la gamma dei materiali e delle modalità di trattare con la materialità. I vari pannelli che compongono la segnaletica del metrò parigino possono essere in pannello metallico, in PVC, in fogli stampati o, ancora, in adesivo plastificato; possono essere direttamente affissi sul muro, appesi al soffitto o inseriti in vari ricettacoli, preventivamente appesi e attaccati alla corrente elettrica, come i cassoni luminosi o i pannelli luminosi trasversali. La produzione dell’insieme dei pannelli metallici è esternalizzata. Vari produttori specializzati consegnano regolarmente dei pannelli al servizio di manutenzione della RATP. Questi vengono immagazzinati in un locale principale (figura 29), identificati attraverso delle sigle (numero d’ordine, nome della stazione dove andranno collocati, contenuto principale del testo…). Gli altri tipi di pannello, in PVC o in fogli stampati plastificati, vengono prodotti qui, nell’atelier al primo piano, e sistemati temporaneamente nel locale caffè in attesa del trasporto per l’installazione nelle stazioni (figura 30). La maggior parte dei pannelli, soprattutto quelli che indicano i nomi delle stazioni e delle direzioni sono in metallo. Ma il ritardo tra ordine e consegna per questo tipo di pezzi è dell’ordine delle nove settimane, il che rende necessari i pannelli temporanei in PVC. Ci rendiamo dunque conto della diversità degli elementi grafici, nel senso che la segnaletica del metro si declina in oggetti diversi i cui supporti provengono da reti di produzione diverse, equipaggiate con forme di identificazione diverse (sull’imballaggio di cartone per i pannelli metallici, sulla scheda di intervento per quelli in plastica). Lasciamo ora lo studio di produzione per seguire i pannelli fino alla stazione. Ogni giorno, al momento di entrare in funzione, gli agenti leggono gli ordini di lavoro che derivano dalle segnalazioni dei responsabili di stazione; possono così farsi un’idea del carico giornaliero e identificare nel locale i 117 pannelli che li riguardano. Quindi li caricano sul furgone di servizio (figura 31). Questa attività dà luogo a una selezione, in quanto si raggruppano elementi grafici di natura diversa relativi a un medesimo intervento. Gli agenti si fanno così anche un’idea del peso e della taglia degli elementi, al fine di ottimizzare il loro giro, valutando le distanze da compiere a piedi. In prossimità di una stazione, gli agenti di manutenzione parcheggiano dove possono e valutano l’ordine di lavoro per farsi un’idea più precisa delle operazioni da effettuare; quindi scaricano i pannelli (figura 32) e i diversi strumenti necessari all’installazione (trapano, sega…). cercano quindi il luogo preciso dell’intervento, portandovi i pannelli con cura, per evitare di graffiarli, storcerli o romperli. Nonostante il loro peso e la loro robustezza, gli elementi della segnaletica restano infatti degli oggetti fragili. D’altra parte, durante tutte queste attività di manutenzione, nei corridoi e sulla banchine, gli operatori raddoppiano la vigilanza per evitare di farsi male o di far male a qualche viaggiatore (figura 33). Gli agenti incaricati di installare e sostituire i pannelli della segnaletica sono dunque anzitutto dei manutentori. In questa prima fase manipolano gli artefatti grafici essenzialmente come oggetti fisici da posizionare, archiviare e trasportare. A prima vista si tratta di una caratteristica di questo genere di elementi; ma essa è in effetti presente in un gran numero di mondi professionali in cui dei lavoratori si trovano ad avere a che fare con la materia dello scritto, come ad esempio i ricercatori che producono degli articoli scientifici archiviando e sovrapponendo numerose iscrizioni derivate dai loro dispositivi sperimentali (Latour e Woolgar, 1988). È anche il caso di tutte le persone impegnate nella produzione di documenti indispensabili allo svolgimento di date attività, siano esse pratiche biomediche (Pontille 2010), amministrazione e servizi di contabilità (Gardey, 2008), attività bancarie (Denis, 2009), o il lavoro degli ufficiali giudiziari (Pontille, 2006; 2009). Le ricerche condotte in questi campi mostrano che, contrariamente a quanto si crede, la presa in conto della materialità dello scritto non si riduce mai al semplice uso di carta e penna. Le operazioni di classificazione, sistemazione dei faldoni, annotazione e realizzazione di copie degli elementi ritenuti importanti, di registrazione e distribuzione degli scritti sono svolte attraverso attività di manipolazione che necessitano di supporti come buste, caselle, archivi, post-it, file informatici, stampanti, database… Ogni configurazione professionale si distingue per le proprie sfide, i concatenamenti tecnici e organizzativi e i tipi di scritti specifici. Le pratiche di manutenzione prendono in ogni caso una forma e dei propri ruoli particolari. Su questo punto, la manutenzione della segnaletica del metrò mostra delle attività relativamente poco note: gli agenti che abbiamo osservato non agiscono né come professionisti dello scritto (come invece gli ufficiali giudiziari) né come tecnici (come invece gli scienziati in laboratorio o i segretari amministrativi): sono più vicini a degli artigiani dello scritto. Da questo punto di vista, le loro competenze sono specifiche, così come la maniera che essi hanno di comprendere la materialità delle scritte che manipolano. 118 |capitolo 5| Artigiani dello scritto Le attività di manutenzione mostrano competenze complementari a quelle già analizzate nel capitolo precedente. Accanto alle loro capacità di produrre indessicalità all’interno di una situazione locale, o di giudicare le qualità d’esposizione di un pannello, gli agenti effettuano numerose operazioni per trattare gli elementi della segnaletica su un piano radicalmente diverso. David e Jonathan stanno per partire per il loro giro. David guarda gli ordini di lavoro che il responsabile gerarchico gli ha distribuito. Si sofferma su uno di essi e si dirige verso lo studio di produzione, dove chiede ad Émile: “Potresti farmi dei rinforzi per quel pannello? La volta scorsa l’abbiamo tolto perché stava per cadere. Era montato su dei pezzi di legno ormai marcio, super pericoloso…”. Émile prende l’ordine di lavoro e misura il pannello, si segna le misure su un piccolo pezzo di carta e scende al piano terra dove si trovano gli strumenti per il taglio. Poco dopo porta due supporti metallici a Jonathan che sta prendendo il furgone di servizio. I due agenti decidono di iniziare con questo intervento, spiegando all’etnografo che ci vorrà parecchio tempo e dunque è meglio iniziare subito per essere sicuri di farcela entro la pausa pranzo. Una volta parcheggiato, iniziano una serie di operazioni che si rivelano piuttosto lunghe. Prima di uscire dal furgone, Jonathan fa dei buchi nei sostegni (figura 34), discutendo a lungo con David per decidere quali buchi vanno fatti subito. Una volta in stazione, David e Jonathan si portano senza esitazione davanti a un muro vuoto dove una leggera impronta permette di ipotizzare la passata presenza del pannello rotto. Affinché i supporti reggano bene il pannello, è anzitutto necessario togliere le vecchie viti (“Sono lì almeno da 60 anni!” dice David). Jonathan vi procede vigorosamente, spezzando quel che non riesce ad estrarre: “Quel che conta è che non sporga nulla dal muro”. Preparato il muro, misurano i supporti e il pannello, poi fanno dei segni a matita sul muro (figura 35), usando la livella come guida per assicurarsi che il nuovo pannello sia dritto. David comincia a bucare il muro nei punti indicati. Jonathan riempie i buchi con cemento a presa rapida e mette dei fischer. Poi insieme mettono il primo supporto, posano il pannello e prendono le misure per il secondo supporto. Queste diverse operazioni mostrano la parte artigianale delle attività di manutenzione delle scritte. Le caratteristiche deittiche e le qualità di esposizione, che sono così importanti nelle situazioni di posizionamento descritte nel capitolo precedente sono qui ampiamente ignorate dai due agenti, che non si interessano per nulla alle proprietà testuali del pannello che stanno sostituendo. In questo momento infatti conta solo il piano materiale, come mostra bene il rapporto alla sporcizia. Manipolato come oggetto, il pannello in corso di installazione si copre di polvere (figura 36). Non è più un segno in un dispositivo grafico standard. Solo a partire dall’ultimo gesto, che marca la fine dell’intervento, le cose 119 cambiano. I due operatori raccolgono i loro strumenti e puliscono meticolosamente il pannello installato (figure 37). Al termine dell’operazione, lo statuto del pannello è cambiato: è ridivenuto a pieno titolo un elemento della segnaletica, destinato ai viaggiatori. Nella manutenzione ritroviamo dunque la variabilità dei modi di cogliere i pannelli che abbiamo descritto nel capitolo precedente. Per gli agenti, i moduli della segnaletica non sono degli artefatti ibridi, ma degli oggetti sfaccettati con i quali si intrattengono dei rapporti specifici a seconda della diversa situazione. La dimensione materiale stessa non è univoca: nell’intervento descritto, gli agenti si trovano a che fare con delle materie di tipo diverso che si presentano sotto forma di strati: quello del muro (esso stesso composto delle piastrelle, della colla che le tiene su e della calce su cui sono appoggiate), quello del sostegno e quello del pannello. Il loro lavoro consiste nel mettere alla prova questi diversi materiali, per consolidarli secondo le proprie esigenze e per tenerli insieme. Così facendo, i due si servono di vari strumenti. Per fissare il pannello, David e Jonathan hanno avuto bisogno di un metro, di una matita, di due trapani, del cemento, di un cacciavite, dei fischer e delle viti. Sottolineare la complessità della parte materiale con cui gli agenti si confrontano ci invita a rimettere in questione la prospettiva di ricerca che insiste sul ruolo dei supporti nell’analisi dello scritto. In quanto scritte esposte, ovvero scritte letteralmente attaccate a un luogo pubblico, i confini stessi del supporto vengono rimessi in questione. Le attività di manutenzione rimettono in discussione la nozione stessa di supporto mostrando, da un lato, la lunga lista di materiali che vi giocano un ruolo (ad esempio nella riparazione) e, dall’altro, il concatenamento materiale delle scritte e gli strumenti che servono alla sua riparazione. Quest’ultimo punto merita di essere approfondito al di là di quanto già rilevato sulla dimensione composita della materialità nelle attività di manutenzione. L’intervento sopra descritto ha implicato un momento rivelatore che ha incrinato l’apparente linearità dell’operazione. Apprestandosi a fissare il secondo fischer, David sente la forza del trapano ridursi. La batteria si sta scaricando. Jonathan si innervosisce: non può lasciare il muro in questo stato. David esce dalla stazione sperando di trovare un altro trapano nel furgone. Ridiscende deluso: anche la batteria dell’altro trapano è a zero. Dopo qualche tergiversazione, i due agenti decidono di mettere in ricarica il trapano in un locale tecnico della stazione, andare in pausa pranzo (anche se è un po’ presto) e tornare poi alla stazione per terminare l’intervento. Questa soluzione, per quanto sembri normale, è comunque un po’ strana: gli agenti della manutenzione della rete non dovrebbero avere le chiavi dei locali tecnici delle stazioni, ma David, ex elettricista, ha ancora un passe-partout. Leggendo il numero di serie della serratura del locale tecnico più vicino, conferma di poterla aprire. Attaccano il caricatore della batteria (figura 38) e vanno a pranzo. Un’ora più tardi, al loro ritorno, la batteria non è ancora del tutto ricaricata, ma lo è 120 |capitolo 5| abbastanza per finire le ultime operazioni necessarie per fissare il pannello. Questo piccolo aneddoto, che sarà familiare a tutti gli utilizzatori di strumenti a batteria da ricaricare, illustra una dimensione importante delle attività di manutenzione. Gli strumenti artigianali non sono solo utili a svolgere le operazioni materiali che assicurano la manutenzione della segnaletica; il loro utilizzo connette gli agenti a una rete infrastrutturale più ampia. Questa rete è generalmente trasparente ma alla minima défaillance rende le operazioni molto difficili. Tale interdipendenza dei dispositivi costituisce una caratteristica essenziale dell’ecologia delle attività di riparazione e di manutenzione (Graham e Thrift, 2007). I trucchi del mestiere La complessità dell’attività degli agenti di manutenzione e la sua dipendenza da varie dimensioni dell’ambiente si ritrovano anche su un altro versante dell’azione. Come in diversi mestieri, gli operatori mettono in atto dei piccoli aggiustamenti che sono essenziali alla realizzazione dei loro compiti. Questo fatto è ben noto ai sociologi (Lipsky, 1980; de Terssac, 1992), e costituisce il “lavoro reale”, generalmente opposto al “lavoro prescritto” così come pensato dai superiori gerarchici. Se in certi casi l’opposizione è discutibile, essa è comunque molto utile per comprendere il lavoro di riparazione e di manutenzione, in cui gli operatori sono aperti all’incertezza, e in cui dunque l’improvvisazione è cruciale (Henke, 2000). Herbert e Léonard devono sostituire un pannello danneggiato in un cassone luminoso. Un altro gruppo di operatori è già passato alcuni giorni prima a prendere le misure del cassone e a rilevare le caratteristiche del pannello: materiale, dimensioni, contenuto e disposizione degli elementi grafici. Questo lavoro preliminare era indispensabile per poter fabbricare un pannello identico a quello precedente. Herbert e Léonard sono ora incaricati di installare il nuovo cartello. Sulla banchina, di fronte al cassone luminoso, Herbert depone il pannello. In equilibro sulla scala, svita le viti, apre il cassone e fa scivolare il pannello facendo attenzione a non toccare le componenti elettriche (figure 39). Lo strato plastificato del pannello si è in parte strappato, anche se il suo stato di degrado non era evidente quando era nel cassone e il fatto che sia stato segnalato mostra bene e gli standard in materia di pulizia degli elementi della segnaletica. Nel frattempo Léonard è rimasto in loco per tenere i pannelli. Prima di proseguire l’intervento nel cassone, si assicura, allineandoli che il vecchio e il nuovo pannello abbiano la stessa dimensione (figura 40). Herbert lo monta nel cassone, Ma, malgrado le varie linguette metalliche che servono a fissarlo, il pannello traballa un po’. Herbert potrebbe comunque accontentarsi e chiudere il cassone. Dopo tutto, infatti, i due pannelli sono identici e anche quello precedente non era del tutto stabile. Ma il rischio che si stacchi non può essere del 121 tutto escluso ed Herbert vuole assicurarsi che ciò non accada. Come spiega all’etnografo, se il pannello cadesse sulla testa d’un viaggiatore, i responsabili sarebbero loro. Parte dunque alla ricerca di una soluzione e torna qualche minuto più tardi. Non è la prima volta che gli operatori si trovano di fronte a questo genere di problema. Senza essersi messi d’accordo, Léonard risale verso la sala d’entrata della stazione e torna con della carta da giornale piegata a fare una zeppa. Prepara bene i singoli pezzi (figura 41) ed Herbert li posiziona uno dopo l’altro per alloggiare il pannello nel cassone luminoso. Il pannello è ormai ben aggiustato e stabile (figure 42) ed è sufficiente richiudere. Herbert conclude: “Ecco fatto, è tutto nuovo! Ora è più bello e molto meglio per i viaggiatori” (figura 43). Mantenere degli oggetti grafici implica passare attraverso dei piccoli aggiustamenti, mettere in atto un’arte dello sbrogliarsi per ottenere i risultati sperati. Queste competenze fanno ricorso a quelli che Becker (2002) chiama i “trucchi del mestiere”, che passano cioè per iniziativa e immaginazione al fine di tenere le cose sotto controllo, classificare le priorità d’intervento, interpretare gli eventi, distinguere i casi. Come mostra bene la situazione precedente, i trucchi del mestiere consentono di portare avanti i compiti necessari attraverso l’espressione delle abilità gestuali e la capacità di inventare delle soluzione entro il raggio d’azione circoscritto. Come abbiamo visto, nel corso dell’intervento le poste in gioco sono diverse: perché il riposizionamento sia efficace, il nuovo pannello deve infilarsi perfettamente e stabilmente nel cassone; se a un certo punto cadesse, la responsabilità degli agenti sarebbe diretta. La soluzione delle zeppe di carta è una soluzione ragionevole: infatti gli agenti sanno anche che rifare un pannello per qualche millimetro non è necessariamente una buona cosa, tenuto conto del numero di moduli necessari a trecento e passa stazioni della rete RATP. Lo zelo assoluto, che consisterebbe nell’ordinare un nuovo pannello, non sarebbe necessariamente apprezzato dai superiori gerarchici. Infine, l’osservazione etnografica ci permette di vedere questi piccoli aggiustamenti come rivelatori delle tensioni che attraversano il lavoro della manutenzione. Come spiega uno degli agenti, se si tratta di fissare il pannello con la carta di giornale è perché “le misure erano state prese male”. Da questo punto di vista, il bricolage è un palliativo a precedenti difetti nella catena di lavoro: in questo senso il lavoro di manutenzione non dipende solo dagli agenti ufficialmente impiegati in esso. I trucchi del mestiere stanno al cuore di queste attività artigianali come un mezzo per riappacificare le tensioni legate alla divisione del lavoro in una grande azienda. Dal momento che le attività sono coordinate, legate a delle risorse distribuite nel sistema o nell’organizzazione, come nel caso di Météor, i trucchi del mestiere diventano la parte del povero, ma anche ciò che resta di artigianale nelle competenze dell’agente, il suo colpo d’occhio e il suo tocco di mano. (Joseph, 2004, p. 23-24) In quanto dipendenti dalle infrastrutture tecniche (come ad esempio 122 |capitolo 5| l’élettricità) gli agenti devono venire a patti con una catena di attività. I loro aggiustamenti sono sempre più o meno delle reazioni ad altre sequenze d’azione. Dalla manutenzione alla “mantenibilità” I piccoli aggiustamenti tipici dell’attività di manutenzione risultano anche in parte dalla posizione degli agenti di manutenzione rispetto al complesso del dispositivo segnaletico: come abbiamo già sottolineato all’inizio di questo capitolo, essi sono dei lavoratori invisibili. L’assenza di considerazione per il loro lavoro è non solo flagrante sulla scena del loro intervento, rispetto cioè ai viaggiatori, ma è anche notevole sull’altro versante della loro attività, nel rapporto diretto agli oggetti che manipolano. Alcuni di essi resistono, altri hanno bisogno di un tempo incredibilmente lungo per essere sostituiti o riparati. Queste difficoltà riflettono il posto riservato alla manutenzione e a suoi lavoratori nel processo di ideazione dei moduli segnaletici. David e Jonathan devono cambiare un pannello le cui informazioni sono state aggiornate. Si tratta di un “pannello luminoso trasversale”, composto di un cassone retro-illuminato con un riquadro in metallo. Per cambiare il pannello in PVC occorre anzitutto levare la parte davanti del cassone. L’operazione non è semplice: Jonathan deve far scivolare le mani dietro l’elemento da togliere senza forzarlo ed evitando di bruciarsi con i neon (figura 44). Una volta staccata la parte e depositatala a terra, l’operazione è lungi dall’essere terminata. Per levare il pannello in PVC dal suo supporto, i due agenti devono togliere a mano sedici piccole viti una ad una (figura 45). Imprecano contro questo supporto recalcitrante e contro quelli che lo hanno fabbricato. Come hanno potuto immaginarsi un tale sistema? Una volta finito, David e Jonathan piazzano la nuova insegna al suo posto con molta cautela, per evitare di danneggiarla (figura 46), poi riavvitano il pannello sul quadro metallico prima di fissare di nuovo il tutto nel cassone attaccato al soffitto (figura 47). David spiega infine all’etnografo: “Era proprio fatto male, sarebbe bastato una feritoia di lato per poter estrarre il pannello senza dover nemmeno aprire il cassone… Ma, vabbè, non ci hanno pensato, non hanno pensato a noi”. Questo episodio mostra anzitutto che la complessità della dimensione materiale degli oggetti grafici non è solo una questione di prospettive e di sguardi, né si può ridurre a una flessibilità interpretativa che consisterebbe nel moltiplicare i punti di vista. È nelle manipolazioni stesse che gli oggetti vengono decomposti. E spesso, prima di poter consolidare i concatenamenti, gli strumenti dei manutentori devono disfare gli assemblaggi precedenti. Qui, il pannello luminoso diviene una moltitudine di viti, un pannello, un supporto trasparente etc. La molteplicità non è una qualità delle sole persone, ma anche un modo di esistenza delle cose. I due versanti sono completamente indissociabili (Mol, 1999; Law, 2002; Latour, 2006). Nella sua relativa difficoltà, questo caso mostra anche una forma di interdipendenza 123 che non riguarda più tanto la divisione del lavoro, ma rinvia piuttosto anche alla posizione che gli agenti devono assumere rispetto agli oggetti che si trovano a manipolare e ai loro ideatori. Alcuni oggetti, come il pannello luminoso con cui si trovano a lottare, possono essere concepiti in modo efficace e intelligente rispetto ai destinatari della segnaletica, ma in modo del tutto inadeguato rispetto a chi dovrà poi compierne la manutenzione. L’invisibilità della manutenzione e degli agenti incaricati di essa trova qui un’espressione essenziale. Se il lavoro sulle infrastrutture che implica la manutenzione può non venire percepito a valle, vale a dire dal punto di vista delle persone ordinarie che ne beneficiano (gli utenti del metrò), esso costituisce a volte anche un punto cieco a monte, dal punto di vista cioè di coloro che inventano le forme e le procedure di fabbricazione delle infrastrutture. La questione della mantenibilità e della facilità di riparazione è una sfida politica ed economica oggi centrale (Verbeek, 2004), soprattutto perché essa rimette in discussione la dinamica dell’innovazione continua che fonda il capitalismo contemporaneo (Graham e Thrift, 2007). Nel nostro caso, abbiamo visto una forma d’espressione molto concreta. La maggiore o minore mantenibilità degli oggetti è una dimensione centrale del lavoro quotidiano degli agenti, principale soggetto della silenziosa lotta che essi conducono contro un “loro” lontano, un collettivo che rappresenta l’insieme degli ideatori dei moduli della segnaletica, i quali non riescono ad immaginare a sufficienza le condizioni di vita ordinarie degli oggetti che inventano e dunque le condizioni di lavoro di coloro che si dedicano alla manutenzione. Conclusione: manutenzione e materialità L’esame delle operazioni che compongono la manutenzione della segnaletica mostra da un nuovo punto di vista la parte materiale della gestione grafica dei luoghi pubblici. Al centro delle competenze degli operai che riparano il sistema delle scritte esposte, la materialità non è una proprietà stabile sulla quale possano appoggiarsi, ma una qualità indecisa che essi contribuiscono a far divenire. Anche una volta progettati, fabbricati e installati, gli artefatti grafici non sono ancora degli oggetti finiti le cui proprietà materiali sarebbero completamente stabilizzate. Anche quando non si tratta di attualizzarle “ogni nuova prima volta” (Garfinkel, 2002), si deve comunque curarle. La manutenzione consiste nel ricostituire le loro qualità materiali, vale a dire a ricomporre un concatenamento di elementi eterogenei che si tengono insieme – nel nostro caso il muro, l’intonaco, i mattoni, la colla, la lastra in metallo, etc. Per creare questa stabilità materiale gli agenti hanno a che fare con dimensioni materiali ineludibili, attraverso due principali forme di impegno verso gli oggetti e l’ambiente. Nella prima forma, l’avere a che fare significa mettere alla prova le incertezze sulla stabilità delle proprietà tangibili delle cose da concatenare: “Il muro è dritto? La colla tiene? Le piastrelle sono ferme?”. La manutenzione è un cammino che conduce alla stabilizzazione 124 |capitolo 5| e all’assemblaggio, sempre provvisorio, dei diversi elementi di una rete di interdipendenze materiali. Nella seconda forma, avere a che fare significa al contrario subire degli effetti di chiusura che costringono almeno in parte la progressione delle attività. Non si tratta più per gli agenti di esplorare le qualità materiali dell’ambiente, ma di lavorare allo spiegamento di cose la cui materia non è a volte abbastanza morbida. In questo caso, la manutenzione si inscrive in una rete di interdipendenze organizzative che fonda la divisione del lavoro tra ideatori, produttori, installatori e manutentori. Tutte queste dimensioni dell’attività di manutenzione avallano quanto mostrano ad esempio i lavori di Henke (2000), Graham e Thrift (2007) o Star (1999, 2002), i quali evidenziano la parte attiva del lavoro invisibile dei manutentori, che necessita di grandi competenze di adattamento e improvvisazione. Insistere sul ruolo essenziale della manutenzione in un’analisi della gestione grafica dei luoghi pubblici offre d’altra parte un mezzo per prolungare i legami che abbiamo sin qui intessuto tra le problematiche della performatività dello scritto e quelle della teoria dell’attore-rete, soprattutto per quel che riguarda il ruolo degli oggetti e della loro materialità. All’inizio del nostro lavoro abbiamo presentato il dispositivo della segnaletica in una prospettiva vicina ai lavori di Latour, insistendo sulla stabilità e immutabilità degli artefatti grafici creati con il sistema. La forza performativa della segnaletica poteva sembrare allora in gran parte basata sulla standardizzazione dei moduli e sulla loro riproduzione negli spazi del metro. Ma questo modo di rendere conto della performatività delle scritte esposte non è pienamente soddisfacente. Se ci fermiamo ad esso, si chiude in effetti l’analisi schiacciando la dimensione performativa su delle proprietà materiali e grafiche di cui abbiamo precisamente visto che sono lungi dall’essere scontate. Si tratta di una aporia frequente nello studio dello scritto, poiché si è tentati di dedurre la forza dello scritto da delle caratteristiche già evidenziate dagli storici (Eisenstein, 1991) o dagli antropologi (Goody, 1979). Questi lavori fanno della fissità, affidabilità, perennità e rappresentatività delle proprietà intrinseche sufficienti a spiegare l’azione svolta dalle scritte. Le scritte sono dunque studiate come performativi precisamente perché sono... scritte. Di fronte alla diversità di azioni condotte dagli agenti della manutenzione per garantire l’esistenza dei pannelli della segnaletica, simili postulati lasciano a desiderare. La performatività non può più essere spiegata con un elenco di proprietà più o meno intrinseche agli oggetti grafici, e si basa al contrario sulla possibilità di un gioco tra qualità variabili messe gradualmente alla prova durante le attività di manutenzione2. Per concludere, una riflessione sull’estensione del termine “manutenzione”. Che attività vi sono incluse? Abbiamo visto che la manutenzione del dispositivo della segnaletica non si arresta alle attività degli agenti che vengono a riparare e sostituire i pannelli nelle stazioni. Non possiamo in effetti dissociare la loro azione dall’attività di sorveglianza della rete realizzata in ciascuna stazione che abbiamo tratteggiato nel capitolo due. La gestione della segnaletica è distribuita in diversi servizi che includono una sorve2 Per uno sviluppo teorico della questione, si veda Denis e Pontile (2010b). 125 glianza permanente e un’attenzione particolare allo stato della segnaletica, tanto più difficile in quanto vi è coinvolto anche del personale non specializzato. Tutte queste diverse attività compongono un lavoro di manutenzione nel senso più ampio che ha un ruolo centrale nella gestione grafica dei luoghi pubblici. La particolarità di questo lavoro risiede nel suo rapporto con la stabilità e la durabilità. Che si tratti di sorveglianza o di riparazione, i suoi campi principali condividono lo stesso expertise: un tipo di attenzione fine ai mutamenti in corso all’interno del dispositivo. Occorre insegnare ad esempio a un gestore di stazione che un pannello che è stato graffiato con la chiave per produrre un graffito non è più veramente un pannello, o quantomeno non è più un pannello segnaletico e che occorre dunque segnalare il problema per sostituirlo e riprodurre la stabilità del sistema. Il lavoro di manutenzione si attua quando delle persone sviluppano delle capacità specifiche a percepire le differenze nel sistema di oggetti e nell’ambiente ibrido che la segnaletica compone. Occorre saper rilevare lo stato di usura, percepire le più minime tracce di una mancanza, arrivando a vedere che un corridoio del metrò non è più un vero corridoio se uno dei suoi pannelli viene a mancare o non funziona a dovere. Il lavoro di manutenzione consiste dunque nello sviluppare una certa forma di expertise che consente di percepire delle soglie di variabilità al servizio di una immutabilità proiettata verso gli utenti. Detto altrimenti, se il dispositivo della segnaletica è un assemblaggio di oggetti immutabili dal punto di vista dei viaggiatori, è perché al contrario esso è fatto di variazioni e di mutazioni agli occhi di coloro che quotidianamente lo mantengono. Tocchiamo qui il cuore del lavoro di manutenzione: una serie di operazioni molto concrete, che consistono nell’assicurare, di giorno in giorno, una stabilità e una permanenza a degli oggetti grafici, mettendo in atto le condizioni di riconoscimento delle loro trasformazioni incessanti. Sottolineando l’importanza di questo lavoro, non si tratta semplicemente di opporsi al vocabolario dell’immutabilità, ma di affermare che è la chiusura su questo solo registro ad essere problematica. Come hanno mostrato i numerosi lavori condotti nell’ambito della teoria dell’attore-rete, occorre diffidare delle ontologie che come ricercatori siamo tentati di proiettare sugli oggetti che studiamo (Mol e Law, 1994; de Laet e Mol, 2000; Law, 2002). Considerare il lavoro generalmente invisibile che viene effettuato per la manutenzione di un dispositivo come la segnaletica consente di aprire l’analisi degli artefatti grafici alla varietà e alla relatività delle loro ontologie. 126 |conclusione| Conclusione Segnaletica, azione e spazi pubblici Nel percorso tracciato in questo libro abbiamo cercato di arricchire l’analisi delle forme d’azione di quelle che Petrucci (1993) ha chiamato le “scritte esposte”. Attraverso i casi studiati abbiamo sottolineato le sfide pratiche che fondano il successo o meno della gestione grafica della segnaletica del metrò parigino. Abbiamo anzitutto visto che tale successo si basa su un concatenamento organizzativo specifico. La segnaletica della RATP cerca di produrre un ambiente stabilizzato, organizzato sulla base di un principio di coerenza estrema che viene dettagliato in una serie di documenti normativi. Tale processo definisce una ecologia grafica cooperativa negli spazi di trasporto producendo un’interdipendenza forte tra moduli destinati a tessere una rete di strumenti di aiuto allo spostamento. Ma abbiamo visto che l’ordine della segnaletica mette anche in gioco una ecologia competitiva in seno alla quale si confrontano i portavoce di diverse specie grafiche che cercano di occupare i medesimi spazi: i graffiti certo, ma anche la pubblicità, che i responsabili della segnaletica cercano di incanalare entro dati formati d’espressione. È anche il caso di altre forme di marcatura che sono abbandonate o ridotte in nome del dispositivo. La gestione grafica del metrò si basa su questa doppia ecologia, ovvero sulla possibilità di costruire un concatenamento solido che assicuri ai pannelli una loro esistenza tanto nelle stazioni quanto nelle dinamiche organizzative. La segnaletica non è tuttavia solo una questione di strategia e di principi. La sua riuscita, ovvero la sua capacità di trasformare lo spazio in un ambiente ibrido dotato del proprio sistema grafico di ordinamento, si fonda sull’accessibilità permanente degli elementi che la compongono. A differenza di altri tipi di scritti, che possono essere archiviati e conservati al riparo tra due usi successivi, i moduli grafici della segnaletica non valgono che in quanto esposti. L’esposizione, che è la loro forza, è però anche la loro debolezza, la loro fragilità. La felicità del funzionamento della segnaletica dipende da varie attività che fanno vivere giorno dopo giorno il dispositivo. L’installazione, la supervisione e la riparazione dei pannelli dipendono da competenze situate, da capacità di valutazione e improvvisazione che, per quanto sembrino contrastare con la dimensione estremamente normalizzata del dispositivo, sono in realtà le vere condizioni della sua attualizzazione e 127 della sua permanenza. La presenza continua dei moduli della segnaletica è il frutto di questo lavoro di manutenzione costante. Analizzando le condizioni della sua concezione, e più precisamente il rinnovamento di cui è stata oggetto nel corso degli anni Novanta, abbiamo anche sottolineato la dimensione programmatica della segnaletica del metrò parigino. La sua messa in atto non si limita al solo versante estetico, a un rinnovamento e miglioramento visivo dei pannelli. La gestione grafica dipende anche da degli script, dei programmi d’azione destinati a far agire gli utenti, orientandoli cognitivamente e fisicamente in modi specifici nel corso dei loro tragitti. L’analisi dei vari documenti che illustrano i grandi principi del dispositivo, insieme alla realizzazione dei nostri percorsi fotografici, ci hanno permesso di sottolineare la pluralità di questi script. Abbiamo evidenziato quattro figure principali di utente inscritte nella segnaletica: un viaggiatore informato che cerca di controllare il proprio viaggio leggendo dei messaggi, un pianificatore che anticipa le condizioni del proprio percorso mobilizzando dei dispositivi di calcolo, un viaggiatore inquieto che calma la propria ansia compiendo delle scelte tra opzioni chiaramente esposte e facili da riconoscere sui pannelli, e infine un’entità reattiva che circola senza ingombri rispondendo automaticamente a dati segnali dell’ambiente. In quanto processo di messa in intelligibilità, la gestione grafica degli spazi del metrò parigino opera dunque su due piani: anzitutto la stabilizzazione e l’ordinamento dell’ambiente dividono lo spazio in zone distinte che si ripetono di stazione in stazione e producono, nonostante le disparità architettoniche, una serie di luoghi-tipo; alla divisione dello spazio in regioni corrisponde poi una disaggregazione del viaggiatore in figure specializzate dotate di competenze e di modi d’azione eterogenei. Quali sono le principali linee di ricerca che abbiamo dunque proposto? In primo luogo, suggerendo una serie di cambiamenti di prospettiva, abbiamo voluto riflettere sul problema della performatività dello scritto, che abbiamo affrontato rivisitando la questione della materialità. Un oggetto apparentemente anodino come la segnaletica si è rivelato estremamente ricco, in quanto partecipe di una vera e propria politica dell’attenzione. In secondo luogo, analizzando il momento di ricomposizione delle forme di comunicazione e dei loro strumenti, la ricerca ci ha aperto alle trasformazioni possibili delle ecologie informazionali dei luoghi pubblici. La materia delle scritte esposte L’esercizio che consiste nell’esplorare i supporti di un dispositivo come quello della segnaletica permette di modificare sensibilmente lo sguardo tradizionalmente portato sulla materialità dello scritto, come abbiamo visto rispetto alle figure dell’utente inscritte nei pannelli. Dato che gli artefatti grafici che compongono la segnaletica sono composti da vari script destinati ad equipaggiare delle azioni precise da parte dei viaggiatori, la loro performatività non può spiegarsi solo sulla base di qualità strettamente materiali, né solo attraverso gli aspetti linguistici. Da un certo punto di vista, i pannelli sono pieni di progettisti, cartografi, architetti, tipografi e segnaletici 128 |conclusione| che hanno mescolato le loro qualità e la loro storia con quelle del pannello metallico o di PVC, o ancora della vernice e degli adesivi. Ogni elemento del dispositivo è il risultato di un assemblaggio ibrido la cui organizzazione forma il nocciolo stesso della performatività della segnaletica. Abbiamo anche potuto affrontare la questione della materialità portandoci sul lavoro di manutenzione. La sorveglianza quotidiana della rete, insieme alla riparazione e sostituzione dei moduli, forme delle attività nel corso delle quali gli agenti trattano direttamente con la materia del dispositivo segnaletico. L’esame accurato di queste operazioni ci ha consentito di sottolineare la varietà delle forme di impegno materiali possibili con i pannelli. Dal punto di vista della manutenzione, la stabilità e la durabilità non costituiscono proprietà intrinseche agli oggetti; non rappresentano cioè delle risorse, come invece lo sono per gli utenti, bensì dei problemi. Il lavoro di manutenzione si basa precisamente sull’expertise che consiste nel problematizzare queste qualità, vale a dire nell’individuare le trasformazioni prima che diventino visibili ai viaggiatori. La stabilità e la durabilità sono prodotte di giorno in giorno attraverso questo rapporto particolare con la materia. Ma la produzione continua delle qualità materiali non è universale, e ciò costituisce senza dubbio una particolarità delle scritte esposte: esse infatti sono esplicitamente rivolte agli utenti. Nel quadro di un dispositivo come la segnaletica, errori e riparazioni devono restare per quanto possibile invisibili agli occhi dei viaggiatori ordinari. Al contrario del caso delle scritte giuridiche, che conservano la traccia degli interventi che hanno reso possibile la loro riparazione (Pontille, 2009), la segnaletica subisce delle operazioni di manutenzione che cercano costantemente di ridare ai moduli interessati il loro aspetto iniziale. Si tratta di una dimensione centrale delle scritte esposte: la loro capacità di mettersi da sole e sempre identiche a disposizione del pubblico. Dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, tutto ciò implica un’ecologia del visibile e dell’invisibile (Star e Strauss, 1999). La performatività della segnaletica sembra riposare sulla messa in invisibilità dei concatenamenti fragili che la rendono possibile e del lavoro incessante di cui la sua costante disponibilità necessita. Le scritte esposte dunque non creano solo un ambiente ibrido rivolto verso il pubblico: dando forma all’arredamento degli spazi, danno anche forma ai propri supporti, e le loro condizioni di felicità stanno tanto nella visibilità del primo quanto nell’invisibilità dei secondi. Segnaletica e politica dell’attenzione Come abbiamo già visto, nel corso degli anni Novanta l’introduzione di una segnaletica rinnovata alla RATP fa parte di in un movimento più ampio che supera la questione della mobilità e coinvolge lo spazio pubblico e i servizi che vi sono collegati. In quanto equipaggiamento di aiuto alla mobilità, il dispositivo della segnaletica è una manifestazione della politica che ha accompagnato la ridefinizione dello spazio pubblico in termini di accessibilità (Joseph, 2007). Prendendo la forma di moduli grafici interdipendenti in cui sono inscritte diverse figure del viaggiatore, il dispositivo segnaletico con- 129 tribuisce a organizzare l’ambiente del metro come luogo composito, aperto a una pluralità di pubblici. Ma, in senso più ampio, abbiamo anche visto che si tratta di creare negli spazi del metrò una vera e propria politica dell’attenzione. Attraverso la segnaletica, i viaggiatori sono invitati, al fine di riuscire ad effettuare il loro percorso senza compromettere la fluidità della rete, a fare attenzione agli spazi del trasporto e agli artefatti grafici che li popolano. Focalizzandoci sugli script d’uso che compongono questa politica dell’attenzione, abbiamo per così dire isolato il paradigma. Il suo elemento più significativo risiede senza dubbio nella rottura esplicita rispetto al modello della lettura/decodifica. La possibilità di inscrivere dei testi da leggere negli spazi del trasporto non scompare, ma si trova relativizzata dalla presenza di altre forme di impegno possibile rispetto ai moduli segnaletici, forme più situate quali ad esempio l’identificazione di forme che guidano le decisioni e la percezione quasi istantanea di elementi che consentono la reazione automatica. Questo ampliamento delle forme di equipaggiamento grafico dell’azione partecipa a quello che Licoppe (2007) ha chiamato il “radicamento del paradigma della distribuzione”, nel senso che le posture d’uso che vi sono inscritte sono ampiamente non-mentaliste. Esse creano piuttosto la possibilità di distribuire l’azione e la cognizione fuori dalla scatola cranica degli utenti. È la cooperazione tra i viaggiatori e gli artefatti grafici disposti nell’ambiente che assicura il successo degli spostamenti. Un simile modo di vedere le cose appare chiaro nelle premesse del paradigma esposte nell’articolo di Jeudy e Tallon, che concludono: Il sistema della segnaletica deve puntare a ridurre al minimo l’attività di rappresentazione dell’utente nel suo orientamento spazio-temporale. (Tallon e Jeudy, 1977, p. 43) La concretizzazione delle piste teoriche e la messa in atto di un tale paradigma nel dispositivo della segnaletica si riallacciano ai numerosi lavori svolti all’interno della RATP, in particolare attraverso l’unità Prospettive e la sua collaborazione con Isaac Joseph, sociologo neo-pragmatista che vi ha lavorato per lunghi anni, oltre a Georges Amar che ne è l’attuale direttore. Difficile ricostruire la traccia precisa di questo percorso, ma vi sono senz’altro dei legami forti tra il modello dell’azione pluralista e distribuita su cui si basa il dispositivo della segnaletica e correnti di ricerca come quelle dell’azione situata di Suchman e Lave o l’antropologia cognitiva di Hutchins e Norman. Un gran numero di ricercatori francesi vicini a queste correnti hanno d’altra parte effettuato numerose ricerche per questa unità della RATP, ivi comprese le modalità pratiche dell’informazione ai viaggiatori1. Registrare queste affinità è importante per comprendere le sfide della politica dell’attenzione messa in opera dal dispositivo: se infatti con la segnaletica si tratta di equipaggiare materialmente e graficamente delle azioni, o di distribuire dei processi cognitivi nell’ambiente, vi sono comun1 Tra gli altri, ricordiamo Dominique Boullier, Anni Borzeix, Jacques Cosnier, Michèle Grosjean, Armand Hatchuel, Michèle Lacoste, Bruno Latour, Jacques Theureau. 130 |conclusione| que delle specificità legate agli spazi e agli utenti. Nel metrò, siamo lontani dalle situazioni descritte dalle ricerche che hanno sviluppato questi modelli2, semplicemente perché il metrò è un luogo pubblico, attraversato da esigenze di accessibilità e di uso degli spazi che testimoniano di un vivere insieme e delle sue sfide specifiche. Queste particolarità pongono, infine, la questione del tipo di spazi pubblici che i modelli descrittivi dell’azione situata e dell’antropologia cognitiva possono contribuire a costruire non appena diventano normativi. La segnaletica, mettendo a disposizione certi tipi di artefatti, predispone gli utenti ad adottare certe posture negli spazi di trasporto. Tali posture implicano delle capacità e delle competenze che non sono sempre equamente distribuite nella popolazione reale. Il dispositivo della segnaletica diviene in questo senso oggetto di numerose domande da parte di associazioni che rappresentano minoranze di ogni tipo, le quali rivendicano il loro diritto a disporre di guide pertinenti per equipaggiare i propri spostamenti. Queste varie domande trascinano la segnaletica in un doppio dibattito democratico, che sta al cuore dell’ecologia grafica dei luoghi pubblici. Esse infatti rinviano alla definizione del tipo di partecipante allo spazio pubblico che si vuole progettare. Quest’ultimo oscilla tra la moltiplicazione delle categorie da prendere in considerazione a priori e la concezione universalista che vorrebbe cancellare ogni discriminazione. Nella medesima mossa, le domande pongono la questione del ruolo dei dispositivi grafici in questo spazio. Navighiamo allora tra due modelli. Da un lato, ogni artefatto è pensato come uno strumento funzionale che deve rispondere a delle esigenze specifiche di utilizzabilità. Qui il rischio è di veder crescere a dismisura il numero di strumenti in progressione con il numero degli utilizzatori potenziali e delle idiosincrasie di cui sono portatori. Dall’altro lato, gli artefatti grafici sono ingredienti essenziali dello spazio pubblico, in quanto gli conferiscono forma e ne propongono un inquadramento. In questo caso, non si tratta tanto di equipaggiare gli utenti, quanto gli spazi stessi. Il rischio è allora duplice: da un lato una concorrenza accresciuta tra le istanze suscettibili di marcare questi spazi, dall’altro la tendenza a credere che lo scritto possa sostenere da solo tutto questo lavoro di messa in forma. La questione del ruolo che deve avere un dispositivo come quello segnaletico nello spazio pubblico è particolarmente saliente quando compariamo i dispositivi di Parigi e di New York, dove i concatenamenti sono molto diversi. Le due aziende di trasporto non organizzano infatti i loro spazi nello stesso modo e non sollecitano i viaggiatori nello stesso modo: gli script che favoriscono l’attività situata degli utenti sono meno presenti a New York, mentre rappresentano una dimensione cruciale dell’ambiente del metrò parigino. Gli ideatori della RATP cercano di “prendere per mano ogni viaggiatore”, attraverso una segnaletica ridondante che deve consentire di muoversi da soli, passando dalle sale d’entrata fino alle banchine e 2 In particolare, su temi quali i calcoli ordinari al supermercato (Lave, 1988), il pilotaggio di un aereo (Hutchins, 1994) o l’esecuzione di una ricetta culinaria (Conein et Jacobin, 1994). 131 dalla partenza fino alla destinazione. Al contrario, la segnaletica newyorkese sembra destinata ad accompagnare un flusso in cui ogni persona è pensata come membro di un collettivo più ampio di viaggiatori, e in cui la diversità viene di conseguenza intesa come semplice questione di preferenze culturali3. La gestione grafica dello spazio pubblico è pertanto molto diversa nelle due reti di trasporto. A New York, la segnaletica viene messa a disposizione come un elemento tra gli altri, e non fornisce mai da sola tutti i mezzi necessari agli spostamenti. Il viaggiatore che la mobilizza deve così poter fare ricorso a delle risorse supplementari, in primo luogo i consigli da parte degli altri. Il dispositivo grafico occupa una posizione relativamente modesta, proponendosi di creare solo qualche anello all’interno dell’assemblaggio socio-tecnico che assicura le condizioni di mobilità urbana. Lo spazio pubblico così configurato si basa ampiamente sulla compresenza di persone e sulla possibilità di reperire da esse delle informazioni affidabili. A Parigi, la segnaletica viene invece considerata come un servizio in sé: il suo obiettivo principale è di fornire le risorse più pertinenti possibile a ogni tappa del percorso, in modo che esso sia realizzabile senza ulteriori sostegni. L’eventualità di un ricorso all’aiuto di altri viaggiatori è stigmatizzata come un fallimento del dispositivo4. Dal punto di vista di questo modello, il viaggiatore deve poter arrivare con le mani in tasca e percorrere tutta la rete anche senza incontrare nessuno. In alcuni casi, un semplice sguardo sull’ambiente gli sarà sufficiente per procedere nel suo percorso. Lo spazio pubblico così concepito cerca di installare una solidarietà socio-tecnica in cui le relazioni sono essenzialmente fondate su un rapporto individuale agli artefatti grafici. Ordine grafico e polifonia dei luoghi pubblici La gestione grafica della segnaletica parigina presenta insomma due aspetti complementari che sollevano però due sfide distinte. Da un lato, si tratta di creare un sistema di supporto all’azione individuale, dall’altro, si tratta di organizzare materialmente e linguisticamente uno spazio pubblico. Ciò ovviamente pone alcuni problemi: il programma pluralista della segnaletica e la sua totale autonomia rispetto ad altre figure dell’informazione ai viaggiatori (si pensi al lavoro degli agenti di stazione) può venire intesa come una forma di egemonia grafica, che mostra una volontà di rispondere a tutte le sfide dell’accessibilità e della diversità esclusivamente attraverso le scritte esposte, anche a rischio di importare in questi luoghi pubblici le “illusioni 3 Le affissioni provvisorie nelle stazioni sono ad esempio scritte in diverse lingue a seconda dei quartieri. 4 Ci sono chiaramente numerose altre risorse che sono effettivamente mobilizzate dagli utenti durante il loro percorso. Dal punto di vista dell’informazione ai viaggiatori, queste somigliano a dei “composti” (Lacoste, 1997). Ma nel caso della RATP è interessante rilevare la relativa permeabilità delle preoccupazioni in questo campo. Il dispositivo grafico è concepito infatti come uno strumento che potrebbe, almeno virtualmente, bastare a tutto. 132 |conclusione| del tutto scritto” che si riscontrano in numerose organizzazioni (Grosjean e Lacoste, 1998). Il rischio è tanto più grande in quanto, come abbiamo visto, i principi stessi del dispositivo si basano su un presupposto di messa in coerenza generale dell’ambiente attraverso la stabilizzazione delle forme grafiche, la loro ripetizione identica negli spazi e la standardizzazione dei loro posizionamenti. Questo programma di ordinamento grafico del mondo produce una pluralità tutta relativa che presuppose la rimozione di molti altri formati possibili di marcatura dell’ambiente. Più in generale, il modello della segnaletica parigina sottolinea le ambiguità legate all’importazione, nella costruzione di spazi collettivi, di paradigmi centrati sulla dimensione cognitiva dell’azione, in una versione in cui la cognizione, anche se “distribuita”, viene comunque pensata su base individuale. Seguendo quanto avviene negli aeroporti internazionali, e che tende a diventare uno standard su scala mondiale, questa segnaletica comporta, come ha mostrato Fuller, molti punti in comune con i sistemi di navigazione sviluppati in informatica. I vari elementi dei pannelli operano come connessioni o bottoni che formano una “semiotica dei comandi fatta di protocolli e istruzioni” (Fuller, 2002, p. 242). La segnaletica gestisce graficamente lo spazio installandovi delle interfacce che, trasposte nei luoghi pubblici, trasformano notevolmente la questione dell’accessibilità, svuotandola parzialmente degli imperativi della coabitazione. Questo modello parigino sottolinea le tensioni che esistono tra equipaggiamento della persona ed equipaggiamento dell’ambiente, tra disponibilità cognitiva individuale e condivisione degli spazi pubblici. Articolare le due politiche, quella dell’attenzione e quella dell’accessibilità, non è cosa facile ed è dubbio che un programma d’esposizione grafica, per quanto pluralista, possa costituire un modo esclusivo di organizzazione del luogo pubblico. La prima sfida che il dispositivo deve prendere in considerazione, una volta stabilizzato negli spazi di trasporto, è senza dubbio quella della diversità delle forme d’informazione stesse, e più generalmente dei tipi di scambio che formano la trama particolare dei luoghi pubblici. La risposta a questa sfida passa indubbiamente per l’esplorazione di due grandi piste. La prima riguarda l’organizzazione del lavoro e delle forme di coordinazione all’interno dell’impresa di trasporto. Per trasformare l’ecologia dell’informazione ai viaggiatori e aprire il dispositivo della segnaletica alla presa in conto di altre forme (sistemi d’informazione in tempo reale, annunci sonori, presenza fisica degli agenti…) è necessario un dialogo tra i dipartimenti aziendali affinché gli specialisti di ciascun dominio arrivino ad immaginare insieme delle forme concrete di ibridazione. Questo costituirebbe un primo passo verso la messa in atto di un’informazione ai viaggiatori rispetto a cui la multimodalità non riguarderà solo i servizi di trasporto, ma anche i formati di comunicazione. La seconda pista apre invece all’esterno. Se la segnaletica è una interfaccia, oggigiorno essa è comunque affiancata da molte altre, anche negli spazi stessi di trasporto, basti pensare ai numerosi equipaggiamenti personali che accompagnano le nuove pratiche di mobilità. 133 Cercando di basarsi su un solo principio di messa in coerenza grafica e linguistica degli spazi, la segnaletica può rapidamente trovarsi spiazzata dai flussi comunicativi che permettono agli utenti di dotarsi dei propri strumenti di aiuto alla mobilità, spesso alquanto eterogenei. Inoltre, in quanto mezzo di marcatura enunciativa che partecipa a costruire un modo di esistenza per l’impresa in quanto istanza istituzionale, il dispositivo nel suo insieme rischia di venire scosso dalle forme di scambio che nascono oggi attorno agli usi delle reti tecnologiche. Molti siti web e altre applicazioni di telefonia mobile consentono ad esempio di condividere informazioni sullo stato della rete o di esprimere il proprio parere sui migliori percorsi da seguire (Zacklad e Laousse, 2009). Come calcolare queste pratiche che si riferiscono al mondo difficilmente controllabile degli utenti? Come riconfigurare dispositivi quali la segnaletica, e più in generale tutti gli strumenti informativi, per far posto ai nuovi usi che sono al centro della costituzione degli spazi pubblici contemporanei? Tale questione supera di gran lunga il quadro dei trasporti pubblici e solleva la questione eminentemente politica delle forme di partecipazione possibili nell’ecologia informativa dei luoghi pubblici. 134 |conclusione| 135 136 |bibliografia| bibliografia Fonti Amar G. (2001), "La Défense, coeur transport multimodal", RATP Savoir-Faire, 37, p. 4-11. Arrighi P.-F. (2001), "Les espaces du métro réhabilités", RATP Savoir-Faire, 39, p. 22-29. Delmas S. (2001), "La relation de service attentionné", RATP Savoir-Faire, 37, p. 20-23. Feignier S. (2002), "Le renouveau du Métro", Entre les lignes, 123, p. 12-21. Kaminagai Y. (2001), "Design. Une stratégie pour le sensible", RATP Savoir-Faire, 37, p. 28-32. RATP (1993), Politique de l’information des voyageurs. Point sur la mise en oeuvre, Conseil d’Administration du 29 Octobre 1993, 39 p. RATP (1997), Signalétique multimodale. La RATP fait signe aux voyageurs, Document de présentation interne, Département des projets, Conception de l’information, 12 p. RATP (2002), La signalétique de la RATP, Document de présentation interne, Unité Conception et Identité des Espaces, 88 diapositives. RATP (2007), Guide Information Voyageurs, dénomination des gares stations et arrêts, Document interne, Unité Conception et Identité des Espaces, 25 pp. Sancho de Coulhac L. e Viaut J.-M. (1998), "La signalétique multimodale de la RATP", RATP Savoir-Faire, 28, p. 2-9. Tallon R. e Jeudy H.-P. (1977), "Signalisation, signalétique, la différence ?", Communication et Langages, 36, p. 33-43. Wiart A., Le Roux A. e Lomazzi M. (1998), "Signalétique, le nouveau fil d’Ariane", La Vie du Rail et des Transports, 57, p. 30-35. Riferimenti Akrich M. (1990), "De la sociologie des techniques à une sociologie des usages", Techniques et Cultures, 16, p. 83-110. Akrich M. (2006), "Les objets techniques et leurs utilisateurs. De la conception à l’action", in M. Akrich, M. Callon e B. Latour, Sociologie de la traduction. Textes fondateurs, Les Presses Mines, Paris, p. 179-199. Amin A. e Thrift N. (2002), Cities. Reimagining the Urban, Blackwell, Cambridge. Artières P. (2007), Rêves d’histoire, Les prairies ordinaires, Paris. Artières P. e Rodak P. (2008), "Écriture et soulèvement. Résistances graphiques 137 pendant l’état de guerre en Pologne (13 décembre 1981 - 13 décembre 1985) », Genèses, 70, p. 120-139. Augé M. (1992), Non-lieux, Editions du Seuil, Paris. Austin J.L. (1970), Quand dire c’est faire, Editions du Seuil, Paris. Barrey S., Cochoy F. e Dubuisson-Quellier S. (2000), "Designer, packager, merchandiser : trois professionnels pour une même scène marchande", Sociologie du Travail, 42, 3, p. 457-482. Barry A. (2001), Political Machines. Governing a Technological Society, The Athlone Press, New York. Becker H.S. (2002), Les ficelles du métier. Comment construire sa recherche en sciences sociales, La Découverte, Paris. Bessy C. e Chateauraynaud F. (1995), Experts et faussaires, Métailié, Paris. Borzeix A. (2001), "L’information des voyageurs en gare du Nord", in A. Borzeix e B. Fraenkel (a cura di), Langage et travail : communication, cognition, action, CNRS éditions, Paris, p. 203-230. Borzeix A. e Fraenkel B. (a cura di) (2001), Langage et travail : communication, cognition, action, CNRS Éditions, Paris. Boutet J. (1993), "Écrits au travail", in B. Fraenkel (a cura di), Illétrismes. Variations historiques et anthropologiques, BPI-Centre Georges Pompidou, Paris, p. 253-266. Callon M. (1986), "Éléments pour une sociologie de la traduction. La domestication des coquilles Saint-Jacques et des marins-pêcheurs dans la baie de SaintBrieuc », L’Année Sociologique, 36, p. 169-208. Callon M. (1998), "Introduction : the Embeddedness of Economic Markets in Economics", in M. Callon (a cura di), The Laws of the Market, Blackwell publishers, Oxford, p. 1-57. Castells M. (1989), The Informational City : Information Technology, Economic Restructuring, and the Urban Regional Process, Blackwell, Oxford. Cochoy F. (1999), "De l’embarras du choix au conditionnement du marché. Vers une socio-économie de la décision", Cahiers Internationaux de Sociologie, CVI, p. 145-173. Conein B. e Jacobin E. (1994), "Action située et cognition. Le savoir en place", Sociologie du Travail, 36, 4, p. 475-499. Conein B. e Jacopin E. (1993), "Les objets dans l’espace. La planification dans l’action", in B. Conein, N. Dodier e L. Thévenot (a cura di), Les objets dans l’action. De la maison au laboratoire, Editions de l’EHESS, Paris, p. 59-84. Corbin J. e Strauss A. (1993), "The Articulation of Work Through Interaction », Sociological Quarterly, 34, 1, p. 71-83. Crang M. (2002), "Between Places : Producing Hubs, Flows, and Networks", Environment and Planning A, 34, p. 569-574. de Laet M. e Mol A. (2000), "The Zimbabwe Bush Pump : Mechanics of a Fluid Technology", Social Studies of Science, 30, 2, p. 225-263. de Terssac G. (1992), Autonomie dans le travail, PUF, Paris. Denis J. (2002), "Les dispositifs de visibilisation sur les scènes marchandes. Le cas des chaînes de télévision françaises", Réseaux, 116, p. 257-288. Denis J. (2006), "Les nouveaux visages de la performativité", Études de Communication, 29, p. 7-24. 138 |bibliografia| Denis J. (2007), "La prescription ordinaire. Énonciation et circulation des règles au travail", Sociologie du Travail, 49, 4, p. 496-513. Denis J. (2008), "Projeter le marché. Les saisies du public dans un service de production télévisuelle", Revue Française de Socio-Economie, 1, 2, p. 161-180. Denis J. (2009), "Le travail invisible de l’information", in C. Licoppe (a cura di), L’évolution des cultures numériques, de la mutation du lien social à l’organisation du travail, FYP, Paris, p. 117-123. Denis J. e Pontille D. (2009), "L’écologie informationnelle des lieux publics. Le cas de la signalétique du métro", in C. Licoppe (a cura di), L’évolution des cultures numériques, FYP, Paris, p. 94-101. Denis J. e Pontille D. (2010a), "Placing Subway Signs. Practical Properties of Signs at Work", Visual Communication, 9, 4, p. 441-462. Denis J. e Pontille D. (2010b), "Performativité de l’écrit et travail de maintenance", Réseaux, 163, p. 105-130. Eisenstein E. (1991), La Révolution de l’imprimé dans l’Europe des premiers temps modernes, La Découverte, Paris. Fraenkel B. (2001), "Enquêter sur les écrits dans l’organisation", in A. Borzeix e B. Fraenkel (a cura di), Langage et travail : communication, cognition, action, CNRS éditions, Paris, p. 231-261. Fraenkel B. (2006), "Actes écrits, actes oraux : la performativité à l’épreuve de l’écriture", Études de communication, 29, p. 69-93. Fraenkel B. (2007), "Actes d’écriture : quand écrire c’est faite", Langage et Société, 121-122, p. 101-112. Fuller G. (2002), "The Arrow-Directional Semiotics : Wayfinding in Transit », Social Semiotics, 12, 3, p. 231-178. Gadrey J. (1994), "Rapports sociaux de service : une autre régulation", Revue Economique, 41, 1, p. 381-389. Gardey D. (2008), Écrire, calculer, classer. Comment une révolution de papier a transformé les sociétés contemporaines (1800-1940), La Découverte, Paris. Garfinkel H. (1967), Studies in Ethnomethodology, Prentice-Hall, Englewoodcliffs. Garfinkel H. (2002), Ethnomethodology’s Program. Working Out Durkheim’s Aphorism, Rowman and Littlefield Publishers, New York. Garfinkel H. (1996), "Ethnomethodology’s Program", Social Psychology Quarterly, 59, 1, p. 5-21. Ginzburg C. (1980), "Signes, traces, pistes. Racines d’un paradigme de l’indice", Le Débat, 6, p. 3-44. Goffman E. (1973), La Mise en scène de la vie quotidienne. Tome 1 : la présentation de soi, Editions de Minuit, Paris. Goffman E. (1991), Les Cadres de l’expérience, Editions de Minuit, Paris. Goody J. (1979), La Raison graphique, Editions de Minuit, Paris. Grafmeyer Y. e Joseph I. (1990), L’Ecole de Chicago, naissance de l’écologieurbaine, Aubier, Paris. Graham S. e Marvin S. (2001), Splintering Urbanism. Networked Infrastructures, Technological Mobilities and the Urban Condition, Routledge, New York. Graham S. e Thrift N. (2007), "Out of Order. Understanding Repair and Maintenance », Theory, Culture & Society, 24, 3, p. 1-25. 139 Grosjean M. (1989), L’Annonce sonore, RATP, Département du développement, Unité prospective, Paris. Grosjean M. e Lacoste M. (1998), "L’oral et l’écrit dans les communications de travail ou les illusions du “tout écrit”", Sociologie du Travail, 40, 4, p. 439-465. Henke C.R. (2000), "The Mechanics of Workplace Order : Toward a Sociology of Repair", Berkeley Journal of Sociology, 44, p. 55-81. Hughes E.C. (1936), "The Ecological Aspect of Institutions", American Sociological Review, 1, 2, p. 180-189. Hutchins E. (1994), "Comment le “cockpit” se souvient de ses vitesses", Sociologie du Travail, 36, 4, p. 451-473. Hutchins E. (1995), Cognition in the Wild, MIT Press, Cambridge. Ingold T. (2000), The Perception of the Environment, Routledge, New York. Joseph I. (1993), "L’espace public et le visible", Architecture et Comportement, 9, 3, p. 397-401. Joseph I. (1999), "Activité située et régimes de disponibilité", in M. de Fornel e L. Quéré (a cura di), La logique des situations. Nouveaux regards sur l’écologie des activités sociales, Éditions de l’EHESS, Paris, p. 157-172. Joseph I. (2004), Météor. Les métamorphoses du métro, Economica, Paris. Joseph I. (2007), "Habiter une ville accessible. Des usages à la conception", in L’athlète moral et l’enquêteur modeste, Economica, Paris, p. 283-294. Kaplan D. e Marzloff B. (2009), Pour une mobilité plus libre et plus durable, FYP, Paris. Kellerman A. (2006), Personal Mobilities, Routledge, New York. Kellerman A. (2008), "International Airports: Passengers in an Environment of ‘Authorities’", Mobilities, 3, 1, p. 161-178. Knox H., O’Doherty D., Vurdudakis T. e Westrup C. (2008), "Enacting Airports : Space, Movement and Modes of Ordering", Organization, 15, 6, p. 869-888. Kokoreff M. (1992), Espace public, communication et propreté : l’exemple du métro, RATP, Département du développement, Unité prospective, Paris. Kopooma T. (2000), The City in Your Pocket : Birth of the Mobile Information Society, Gaudeamus, Helinski. Lacoste M. (1997), "L’information à visage humain : la place des agents dans un système d’information-voyageurs", in D. Bayart, A. Borzeix, M. Lacoste e J. Theureau, Les traversées de la gare. Une méthode des trajets pour analyser l’information-voyageurs, RATP, Département du développement, Unité prospective, Paris, p. 25-81. Lash S. e Urry J. (1994), Economies of Signs and Space, Sage, London. Latour B. (1993a), La Clef de Berlin. Petites leçons de sociologie des sciences, La Découverte, Paris. Latour B. (1993b), "Le topofil de Boa-Vista. La référence scientifique: montage photo-philosophique", in B. Conein, N. Dodier e L. Thévenot (a cura di), Les objets dans l’action, Éditions de l’EHESS, Paris, p. 187-216. Latour B. (1994), "Une sociologie sans objet ? Remarques sur l’interobjectivité », Sociologie du Travail, 36, 4, p. 587-607. Latour B. (2002), La Fabrique du droit, La Découverte, Paris. Latour B. e Hermant É. (1998), Paris ville invisible, Les empêcheurs de penser en rond / La Découverte, Paris. 140 |bibliografia| Latour B. e Woolgar S. (1988), La Vie de laboratoire. La production des faits scientifiques, La Découverte, Paris. Lave J. (1988), Cognition in Practice. Mind, Mathematics and Culture in Everyday Life, Cambridge University Press, Cambridge. Law J. (2002), "Objects and Spaces", Theory, Culture & Society, 19, 5-6, p. 91-105. Lévy E. (2001), "Saisir l’accessibilité, les trajets voyageurs à la gare du Nord", in M. Grosjean e J.-P. Thibaud (a cura di), L’espace urbain en méthodes, Parenthèse, Paris, p. 47-62. Licoppe C. (2007), "De la communication interpersonnelle aux communautés épistémiques. Le développement des TIC et l’enracinement du paradigme de la distribution", Hermès, 47, p. 59-67. Lipsky M. (1980), Street Level Bureaucracy. The Dilemnas of the Individual in Public Services, Russel Sage Foudation, New York. Mol A. e Law J. (1994), "Regions, Networks and Fluids : Anaemia and Social Topology", Social Studies of Science, 24, 4, p. 641-671. Mol A. (1999), "Ontological Politics : A Word and Some Questions", in J. Law e J. Hassard (a cura di), Actor Network Theory and After, Blackwell Publishers, Oxford, p. 74-89. Monjardet D. (1985), "À la recherche du travail policier", Sociologie du Travail, 27, 4, p. 391-407. Norman D. (1993), "Les artefacts cognitifs", in B. Conein, N. Dodier e L. Thévenot (a cura di), Les objets dans l’action, Éditions de l’EHESS, Paris, p. 15-34. Park R. E. (1936), "Human Ecology", American Journal of Sociology, 42, 1, p. 1-15. Petrucci A. (1993), Jeux de lettres. Formes et usages de l’inscription en Italie 11e-20e siècles, Éditions de l’EHESS, Paris. Pontille D. (2006), "Produire des actes juridiques", in A. Bidet, A. Borzeix, T. Pillon, G. Rot e F. Vatin (a cura di), Sociologie du travail et activité, Octares, Toulouse, p. 113-126. Pontille D. (2009), "Écriture et action juridique. Portrait de l’huissier de justice en réparateur", Semen, 28, p. 15-31. Pontille D. (2010), "Updating a Biomedical Database : Writing, Reading and Invisible Contribution", in D. Barton e U. Papen (a cura di), Anthropology of Writing: Understanding Textually-Mediated Worlds, London, Continuum. Scollon R. e Scollon S.W. (2003), Discourses in Place. Language in the Material World, Routledge, London. Sharrock W.W. e Anderson D.C. (1979), "Directional Hospital Signs as Sociological Data", Information Design Journal, 1, p. 81-94. Simmel G. (1989), "La ville", in Philosophie de la modernité, Payot, Paris, p. 169-199. Simon H. (1971), "Designing Organizations for an Information-Rich World", in M. Greenberger (a cura di), Computers, Communication, and the Public Interest, The Johns Hopkins Press, Baltimore. Star S.L. (1999), "The Ethnography of Infrastructure", American Behavioural Scientist, 43, 3, p. 377-391. Star S.L. (2002), "Infrastructure and Ethnographic Practice. Working on the Fringes », Scandinavian Journal of Information Systems, 14, 2, p. 107-122. Star S.L. e Griesemer J. R. (1989), "Institutional Ecology, “Translations”, and Boundary 141 Objects : Amateurs and Professsionals in Berkeley’s Museum of Vertebrate Zoology, 1907-39", Social Studies of Science, 19, 3, p. 387-420. Star S.L. e Strauss A. (1999), "Layers of Silence, Arenas of Voice : The Ecology of Visible and Invisible Work", Computer Supported Cooperative Work, 8, 1-2, p. 9-30. Suchar C.S. (2007), "Grounding Visual Sociology Research in Shooting Scripts", Qualitative Sociology, 20, 1, p. 33-55. Suchman L. (1987), Plans and Situated Actions, Cambridge University Press, New York. Suchman L. (2007), Human-Machine Reconfigurations. Plans and Situated Actions, 2nd Edition, Cambridge University Press, Cambridge. Urry J. (2007), Mobilities, Polity, Cambridge. Verbeek P. (2004), What Things Do : Philosophical Investigations on Technology, Agency and Design, Pennsylvannia State University Press, University Park. Vertesi J. (2008), "Mind the Gap : The London Underground Map and Users’ Representations of Urban Space", Social Studies of Science, 38, 1, p. 7-33. Wagner J. (2006), "Visible Materials, Visualised Theory and Images of Social Research", Visual Studies, 21, 1, p. 55-69. Weller J.-M. (1998), "La modernisation des services publics par l’usager : une revue de la littérature (1986-1996)", Sociologie du Travail, 40, 3, p. 365-392. Weller J.-M. (1999), L’État au guichet. Sociologie cognitive du travail et modernisation administrative des services publics, Desclée de Brouwer, Paris. Zacklad M. e Laousse D. (2009), "Quels dispositifs informationnels pour contribuer à la mobilité ? Une approche basée sur la documentarisation participative des itinéraires", comunicazione al convegno H2PTM, Paris, 30 settembre-2 ottobre. 142