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David Pontille è ricercatore al CNRS. Insieme a Jérôme
Denis e Philippe Artières cura il blog scriptopolis.fr.
Jérôme Denis è Maître de Conférences in sociologia
all’università Télécom ParisTech.
Nel mondo della segnaletica
La segnaletica non è solo una questione di strategia
e di principi. La sua riuscita, ovvero la sua capacità di
trasformare lo spazio in un ambiente ibrido dotato di
un proprio sistema grafico di ordinamento, si fonda
sull’accessibilità permanente degli elementi che la
compongono.
A differenza di altri tipi di scritto, che possono essere
archiviati e conservati al riparo tra due usi successivi,
i moduli grafici della segnaletica non valgono che in
quanto esposti.
L’esposizione, che è la loro forza, è però anche la loro
debolezza, la loro fragilità. La felicità del funzionamento
della segnaletica dipende da varie attività che fanno
vivere giorno dopo giorno il dispositivo.
Jérôme Denis
David Pontille
ISBN 978-88-904295-5-2
€ 20
nel mondo della
segnaletica
L’ecologia grafica degli spazi
del metrò
Jérôme Denis
David Pontille
prefazione di Madeleine Akrich
Nel mondo della segnaletica. L’ecologia grafica dei corridoi del metro / Jérôme
Denis e David Pontille
ISBN 978-88-904295-5-2
published under CreativeCommons licence 3.0
by professionaldreamers, 2011
Edizione originale : Petite sociologie de la signalétique. Les coulisses des panneaux
du métro, © Presses des Mines, Paris, 2010. Un ringraziamento particolare a Silvia
Dekorsy per aver facilitato il processo di acquisizione dei diritti di traduzione.
Traduzione | Andrea Mubi Brighenti
Revisione | Giovanna Sonda
Immagini | Jérôme Denis e David Pontille
professionaldreamers is a small, independent publisher that collects and
promotes essays on space and society. It aims to publish high quality, original
books from a variety of disciplines, including sociology, anthropology,
geography, urban studies, architecture, landscape design, cultural studies,
criminology, literary studies and philosophy. professionaldreamers has an
international advisory board. All received manuscripts are anonymously peerreviewed by at least two external reviewers.
www.professionaldreamers.net
Jérôme Denis e David Pontille
Nel mondo della
segnaletica
L’ecologia grafica degli spazi
del metrò
prefazione di Madeleine Akrich
indice
prefazione, di Madeleine Akrich
introduzione
Tutti i sostegni di un mondo mobile
Metti un giorno un pannello...
Ecologia e pragmatica delle scritte esposte
Due etnografi nel metrò
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Capitolo 1
Un dispositivo grafico per i servizi di trasporto
La trasformazione grafica dell’informazione ai viaggiatori
Le innovazioni della segnaletica
Informazioni ai viaggiatori e scritte esposte
L’utente preso in considerazione: il servizio pubblico e la segnaletica
Conclusione: intelligibilità ed ecologia grafica 25
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Capitolo 2
Il lavoro della segnaletica
L’organizzazione formale delle attività
Un lavoro interstiziale
Conclusione: l’altra faccia dell’ecologia grafica
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43
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Capitolo 3
Equipaggiare i viaggiatori
Script e posture: dalla concezione all’uso
L’informazione
La pianificazione
La risoluzione dei problemi
La reazione
Conclusione: spazi pubblici, accessibilità e diversità
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81
83
86
88
90
Capitolo 4
Il posizionamento delle scritte
Dal posto al posizionamento
Misurare i luoghi Mettere alla prova gli artefatti grafici
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99
103
5
Esplorare l’ecologia grafica
Conclusione: il posizionamento e le sue prospettive
106
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Capitolo 5
La manutenzione dell’ambiente
Sulla scia dei pannelli
Artigiani dello scritto
I trucchi del mestiere
Dalla manutenzione alla “mantenibilità”
Conclusione: manutenzione e materialità
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123
124
Conclusione
S egnaletica, azione e spazi pubblici
La materia delle scritte esposte
Segnaletica e politica dell’attenzione
Ordine grafico e polifonia dei luoghi pubblici
bibliografia
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128
129
132
7
prefazione
di Madeleine Akrich
Lo ammetto, amo le “piccole” sociologie1. Ed è con vero piacere che mi sono
immersa nella lettura di quest’opera di Jérôme Denis e David Pontille. Il famoso detto “il diavolo è nei dettagli” significa in effetti che anche quegli
elementi che possono apparirci come insignificanti in realtà “tengono insieme” il mondo che ci circonda non meno di ciò che siamo soliti considerare
importante – o, detto altrimenti, che il “piccolo” e il “grande” esistono sempre
in un rapporto di reciprocità e d’interdipendenza.
Che sarebbe infatti il metrò di Parigi senza gli innumerevoli supporti che
indicano i nomi delle stazioni, le posizionano su carte o su tracciati, orientano i viaggiatori verso le altre linee e li dirigono verso le uscite? E senza un
lavoro “dietro le quinte” che consiste nella realizzazione dei cartelli, nel loro
posizionamento e nel controllo del buon funzionamento della segnaletica?
Queste sono, in primo luogo, le questioni che i due autori ci invitano ad
affrontare.
Nel rispondervi, essi ci mostrano che tutte queste operazioni implicano
non soltanto una competenza tecnica – pure, come vedremo, cruciale –
ma altresì traducono e rendono attiva una visione dell’impresa RATP2 nelle
sue relazioni con gli utenti. Così, dietro la scelta di uniformare i supporti
di metrò, autobus e tram, si è trattato di portare la multimodalità al cuore
dell’organizzazione: quest’ultima non si pensa più semplicemente come
gestionaria di un parco veicoli, ma come “operatore di servizio a sostegno
della persona mobile”. L’espressione può far sorridere, ma essa segna nondimeno una riconcettualizzazione radicale delle finalità della RATP, di cui la
“piccola” segnaletica si fa strumento.
Parallelamente, centrando la propria azione sull’utente, la RATP è spinta
a cambiare il modo stesso di concepire la sicurezza e di conseguenza anche i vincoli che pesano sulla segnaletica. Fin dall’inizio infatti la segnaletica
era implicata nella gestione della sicurezza, ma quest’ultima era intesa essenzialmente come la capacità di evacuare rapidamente le persone in caso
1 Il titolo originale dell’opera presente è, per l’appunto, Petite sociologie de la signalétique. (N.d.T.)
2 Régie Autonome des Transports Parisiens, la società che gestisce gran parte di
trasporti pubblici a Paris e nell’Île-de-France. (N.d.T.)
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di pericolo. Nel metrò di oggi, invece, la sicurezza diviene una sensazione
dell’utente che va preservata in ogni circostanza. In questa nuova politica, la gestione dello spazio diviene un elemento centrale: l’omogeneità, la
leggibilità, la capacità di fluidificare la circolazione dei viaggiatori attraverso
informazioni affidabili e percepibili in modo quasi istantaneo, l’attenzione a
limitare o eliminare incertezze e inquietudini sono tutti elementi che, contribuendo al lavoro di securitizzazione, risultano cruciali nella concezione
della segnaletica attuale.
In modo originale, poi, gli autori attirano la nostra attenzione sul fatto
che la segnaletica diviene una posta in gioco anche per tutto un insieme di
attori esterni alla RATP. Le relazioni che lo spazio del metrò intrattiene con
lo spazio della città sono state enfatizzate già dalla fine degli anni Sessanta,
quando decine di stazioni sono state arredate specificamente in riferimento
a un ambiente museale (Louvre, Arts-et-Métiers, Varenne per il museo Rodin,
Pont Neuf per la Zecca di Paris…) o storico (Concorde, Cluny-La Sorbonne,
Bastille, Saint Germain des Près, Pasteur, Carrefour Pleyel). L’attenzione per
la “persona mobile”, che la RATP si propone di accompagnare nei suoi spostamenti, ha condotto a rafforzare questo tessuto di relazioni, soprattutto
attraverso l’enfatizzazione dei punti di interesse. Allo stesso tempo, però, si
è posta la questione della definizione di tali punti di interesse, suscitando
naturalmente una forte competizione: una moltitudine di partiti presi ha
cercato di far valere il proprio punto di vista su ciò che conta. Per contenere
la minaccia di un’esplosione che fa pesare sulla segnaletica l’espressione di
così tanti interessi, la RATP ha dovuto dotarsi di una sorta di norma, una
“guida delle denominazioni” che enuncia i principi generali rispetto ai quali
ogni domanda sarà accolta o, come nella stragrande maggior parte dei casi,
rifiutata.
Uno dei meriti del lavoro di Jérôme Denis e David Pontille è proprio di
mostrarci fino a che punto la questione della segnaletica sia indissociabile
da simili poste in gioco di tipo politico, in senso ampio del termine, e come
la forma stessa che la segnaletica ha preso in questi ultimi anni vada compresa in relazione a tali sfide.
In modo forse ancor più originale, combinando gli apporti analitici
dell’analisi degli spazi pubblici, della sociologia urbana della Scuola di Chicago, della sociologia delle tecniche e dell’analisi dell’azione situata, il libro
ci mostra la complessità delle operazioni che consentono alla segnaletica
di fare e di far fare: in questo senso, la loro non è soltanto una “piccola” sociologia quanto sopratutto una sociologia delle “piccole” cose – dei semplici
pannelli metallici – e delle “piccole” persone – degli agenti di manutenzione
quasi invisibili nella enorme macchina aziendale della RATP – che li eleva a
dignità restituendo loro spessore e complessità.
La nozione di ecologia grafica occupa uno spazio centrale nell’interpretazione proposta dagli autori, in quanto essa consente di illuminare
le dinamiche di competizione/collaborazione nelle quali la segnaletica si
trova presa: competizione esterna, con elementi quali la pubblicità e altri
elementi grafico-semiotici che compongono – nel senso forte del termine
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|prefazione|
– lo spazio del metrò; ma anche competizione interna, come abbiamo visto
nel caso della questione di selezionare gli oggetti degni di venire segnalati, e che si estende alla considerazione di una pluralità di utenti differenti.
Un’analisi rigorosa consente poi agli autori di mettere in evidenza quattro
figure di utenti ai quali la segnaletica si indirizza: un utente informato, che
vuole essere perfettamente autonomo nei propri spostamenti, un utente
pianificatore, un utente incerto che occorre rassicurare, un utente reattivo. Il
confronto con il metrò di New York mette tuttavia in evidenza la particolarità della scelta parigina di limitare le forme possibili di specificazione degli
utenti: mentre la rete di New York considera il multiculturalismo al punto
da far variare la lingua dominante in funzione del quartiere, il metrò parigino opta per un modello fortemente universalista. Di nuovo, ci troviamo di
fronte alla dimensione politica della segnaletica, relativa a quanto essa sia in
grado di assorbire definizioni concorrenti dello spazio urbano e di considerare la molteplicità delle identità.
L’ecologia grafica è dunque la sede di un intenso lavoro collaborativo, ed
è questo il punto su cui il contributo di questo libro si rivela appassionante.
C’è anzitutto una forma di collaborazione tra tutti gli elementi che compongono la segnaletica: attraverso il loro contenuto, il loro stile grafico, la loro
configurazione materiale, la scelta del colore, del posizionamento, i diversi
pannelli si rispondono – possiamo dire che “collaborano” tra loro e con il loro
ambiente. Si ha così l’impressione che lo spazio del metrò palpiti, vibri, tanto
esso appare vivificato dalle molteplici corrispondenze tra gli elementi.
Ma, per mantenere in vita questo sistema, gli agenti di manutenzione
devono svolgere un’attività considerevole e di grande precisione: certo,
prima di loro, chi ha concepito l’apparato di normalizzazione ha creato le
condizioni minime per tale comunicazione, una sorta di lingua comune. Ma
ciò non basta. Un pannello, anche se creato a regola d’arte, non esiste in
quanto elemento della segnaletica se la sua inscrizione nello spazio graficosemiotico non è pensata meticolosamente: ed è a questo punto che gli
agenti di manutenzione intervengono con le loro competenze specifiche.
Si tratta di un lavoro che coinvolge il corpo al fine di declinare l’una dopo
l’altra le diverse proprietà dei supporti segnaletici, consentendo di articolare la segnaletica come gestione dello spazio e come equipaggiamento
delle persone: questi agenti si situano all’interfaccia tra i pannelli e i loro
destinatari, ponendosi come esperti-utenti incaricati di rendere operativi i
programmi d’azione previsti. Il lavoro etnografico condotto da Jérôme Denis e David Pontille mette in evidenza tre elementi importanti che illustrano
la “performatività” in funzione:
• Così come esiste collaborazione dei dispositivi tra loro, allo stesso
modo esiste collaborazione degli utenti con i pannelli: l’utente infatti deve riuscire a tradurre il proprio spostamento in modi che trovino rispondenza negli appigli semiotici disponibili, poiché questi
gli consentono di concepire e realizzare i propri spostamenti. Consentitemi di fare al proposito un esempio che deriva dall’esperienza
personale: leggendo questo libro mi sono resa conto di aver inte-
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riorizzato solo recentemente i numeri delle linee del metrò, cosa
invece assolutamente naturale per la generazione dei miei figli. Prima della riforma della segnaletica descritta dagli autori, le linee del
metrò, anche se numerate, venivano indicate soprattutto attraverso
i nomi dei loro terminal. Il cambiamento di nominazione ha perciò
profondamente trasformato il modo in cui ci si orienta e ci si rappresenta i propri spostamenti. Come si vede, tanto l’azione quanto la
cognizione vengono distribuite tra i dispositivi specifici e gli attori.
Potremmo quasi parlare di una forma di reciprocità: nel momento
in cui l’utente si appoggia sui dispositivi grafici per spostarsi dove
vuole andare, i dispositivi si appoggiano sull’utente per mantenere
la costante fluidità della circolazione.
• La segnaletica offre ben più che un testo da decodificare: nella politica di attenzione messa in gioco, percepire contorni e colori assume un ruolo altrettanto importante che la lettura.
• Su queste basi, gli autori elaborano una concezione “ricca” della
performatività dei dispositivi, che supera la pragmatica normale del
testo scritto andando ad integrare le diverse dimensioni della segnaletica – sia quelle proprie dei pannelli, sia quelle che riguardano
la relazione tra un pannello e il suo ambiente. In un certo senso, gli
agenti di manutenzione sono incaricati di controllare che un insieme di condizioni di felicità siano riunite affinché il pannello faccia
il suo lavoro di informatore, orientatore e regolatore. L’utente ha la
sua parte in questo processo, anche se di tutto è stato fatto per
adattarsi alla possibile varietà delle sue competenze, a partire dallo
stile di carattere, accuratamente concepito per produrre forme riconoscibili anche da viaggiatori abituati a sistemi di trascrizione diversi, fino all’abbinamento cromatico, passando per la numerazione
delle linee e per i pittogrammi.
Bisogna dire che il dispositivo pare funzionare: nonostante i 27 milioni di
visitatori che Parigi attira ogni anno, è raro vedere persone che si fermano a
lungo davanti alla segnaletica creando intralcio alla circolazione. Potremmo
persino ipotizzare che la cooperazione tra utenti e segnaletica sia più efficace di quella tra sistema di segnalizzazione e conduttori. Questo significa
forse che la segnaletica si presenta come un dispositivo “disciplinare”? Gli
autori rifiutano una simile interpretazione e promuovono invece una visione attiva dell’utente, tanto più attiva, per la precisione, quanto più si sviluppano i sistemi d’informazione, soprattutto orari, che estendono la capacità
di valutazione e pianificazione di cui l’utente stesso dispone.
Da questo punto di vista, il libro di Jérôme Denis e David Pontille partecipa a un movimento più ampio nella teoria sociale, che sottolinea le competenze degli utenti: se infatti gli autori hanno scelto di analizzare la segnaletica
dal punto di vista dei designer e degli esercenti, ciò non significa affatto che
l’utente sia assente. Esso è invece ben presente sia nelle rappresentazioni
che i progettisti se ne fanno, sia nel modo in cui essi costruiscono un utente implicito nel proprio sistema. Gli autori del libro ci forniscono così delle
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|prefazione|
chiavi di lettura che ci consentono di analizzare al tempo stesso i dispositivi
e le pratiche, con due risultati importanti. Innanzitutto essi “reincantano” per
così dire la nostra esperienza quotidiana: l’esperienza dello spostamento
urbano diviene più intrigante perché si arricchisce di una forma di riflessività; la comparazione tra i diversi sistemi può risultare persino divertente,
poiché – il libro lo mostra molto bene attraverso l’esempio newyorkese –
la segnaletica dei trasporti è un ambito in cui si esprimono marcatamente
delle differenze che potremmo anche chiamare “culturali” ma che in realtà
rinviano a delle scelte politiche in senso lato; si tratta di differenze tanto più
comprensibili in quanto si riferiscono ad una base comune definita al tempo stesso da saperi professionali sulla segnaletica e da obiettivi comparabili
a un certo grado di generalità. Questa è tra l’altro la ragione per la quale, a
Parigi come a Roma, a Bruxelles come a Mosca o a Londra, il libro rimane
assolutamente pertinente e chiarificatore.
In secondo luogo, l’analisi sviluppata ci fornisce degli strumenti intellettuali che ci consentono di sviluppare una capacità di discussione più ricca
e più argomentata, articolando scelte tecniche e scelte politiche, utili infine
anche per i progettisti e i manutentori del dispositivo. In tal senso, il libro è
un contributo all’esercizio della democrazia tecnica: questo è precisamente
l’aspetto che trovo più importante nelle “piccole” sociologie: la loro attenzione verso i dettagli dei concatenamenti della nostra vita quotidiana ci consente di mettere a punto una molteplicità di strategie pratiche per cercare
di divenire degli attori sempre più illuminati.
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introduzione
Tutti i sostegni di un mondo mobile
L’ipermobilità che caratterizza il capitalismo contemporaneo ha profondamente trasformato gli spazi urbani e gli scambi che vi si svolgono. Rispetto a
tali trasformazioni, non è più possibile oggi pretendere di analizzare i luoghi
pubblici e le loro forme di socialità dando per scontato la loro dimensione
strutturata e preordinata, come è stato per lungo tempo. Dal momento che
il flusso di beni e di persone diviene sempre più intenso, numerosi ricercatori riconoscono che i territori non debbono più essere studiati a partire
dalle loro caratteristiche fisiche statiche, ma come il risultato di pratiche e
di scambi sempre più fluidi1. Un simile cambiamento di prospettiva ha radicalmente trasformato le ricerche urbane, sia in geografia che in sociologia:
le città e i luoghi pubblici appaiono come forme mai completamente fisse,
disegnate da una molteplicità di reti fisiche e numeriche, umane e tecniche
(Kellerman, 2006; Urry, 2007).
Questo punto di vista, oggi ampiamente condiviso, ha permesso di rinnovare in profondità gli approcci di ricerca basati su oggetti rigidi, quali ad
esempio le comunità e le frontiere. Tuttavia, come hanno sottolineato Amin
e Thrift (2002), esso presenta anche il rischio di non farci vedere nella città
che un flusso di entità indeterminate, circolanti senza alcun impedimento
e soprattutto senza mezzi materiali che assicurino le condizioni stesse di
mobilità. Ora, affinché la fluidità possa realizzarsi, sono in realtà necessari degli ancoraggi, dei punti di attacco, degli appoggi. In altri termini, per
comprendere questo “paesaggio del movimento” (Amin e Thrift, 2002, p. 99)
e per afferrare le condizioni concrete della liquidità delle reti socio-tecniche
è importante studiare da vicino i micro-dispositivi che ne costituiscono la
forza trainante.
Nei luoghi pubblici esiste una quantità di tali oggetti che sono al tempo
stesso materiali e informazionali (Latour e Hermant, 1998). Come ha mostrato Simmel (1989), la città è “intellettuale”: essa è popolata tanto di segni e
inscrizioni, quanto di “scritte esposte” (Petrucci, 1993) che risalgono a molto
prima della comparsa delle tecnologie digitali dell’informazione e della co1 Per esempio Castells, 1989; Kopooma, 2000; Graham e Marvin, 2001; Kaplan e Marzloff, 2009.
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municazione. Le affissioni, i pannelli, le targhe delle strade, i semafori, i cippi,
o ancora le iscrizioni sugli edifici e persino sulla strada sono tutte componenti essenziali per la trama della città, che partecipano a una sua organizzazione complessiva, allo stesso titolo della forma degli edifici e dei tracciati
viari. Essi infatti delimitano dei luoghi, identificano delle zone e organizzano
la circolazione delle diverse entità che attraversano lo spazio della città.
Fra questi innumerevoli tipi di iscrizioni urbane, la segnaletica riveste
un ruolo molto particolare nell’organizzazione dello spazio e produce un
ambiente ibrido in cui “la distinzione tra l’edificio e i suoi segni, tra il testo
e il territorio, diviene fluido” (Fuller 2002, p. 236). In città, per le strade, nei
sistemi di trasporto pubblico urbano, la segnaletica è divenuta un oggetto indispensabile. Anche nell’èra della cosiddetta società dell’informazione,
questa tecnologia antica resta il supporto indispensabile della mobilità ordinaria. La segnaletica è infatti uno degli strumenti principali della funzione
del servizio di trasporto pubblico e partecipa attivamente alla produzione
di spazi pubblici accessibili.
Ma come studiarla? Esistono diverse possibilità, tra le quali alcune sono
state già ampiamente esplorate. Si può ad esempio studiare la segnaletica
attraverso la semiotica, ossia come sistema di segni. Da questo punto di vista, essa compone un dispositivo di cui cerchiamo di misurare, per ciascuno
dei suoi elementi, le qualità estetiche o funzionali: questo font di carattere è
giudicato più leggibile di un altro, tale colore è associato a una data tonalità
emotiva, o ancora tale dimensione della scritta risulta più adatta a certo
tipo d’azione prevista. Accanto a tale posizione strettamente valutativa, la
prospettiva semiotica può anche connotarsi come critica socio-politica. La
sovrabbondanza di segni che popolano gli spazi pubblici viene allora presentata come il sintomo di un mondo freddo, in cui le relazioni sono svuotate del loro substrato sociale e i territori perdono il loro spessore simbolico,
diventando dei “non-luoghi” (Augé, 1992).
Uno sguardo differente consiste nel produrre una critica più raffinata,
ispirata alla filosofia foucaultiana. In questo caso, più che un operatore di
de-socializzazione, gli oggetti che compongono la segnaletica vengono
elevati al rango di dispositivi di governo. La segnaletica viene allora studiata come quell’insieme di elementi prodotti dalle diverse autorità incaricate
della gestione dei luoghi (Kellerman, 2008), e ogni suo modulo (pittogrammi, frecce…) appare come uno strumento di disciplina che organizza in un
medesimo tempo lo spazio e i suoi abitanti (Fuller, 2002).
Tutt’altro punto di vista è quello di prendere in esame gli usi che ne
vengono fatti. L’obiettivo allora non è più studiare i segni isolati, ma investigare le relazioni che le persone intrattengono con essi (Sharrock e Anderson, 1979). Questo tipo di ricerca sottolinea generalmente i numerosi
aggiustamenti che ogni utilizzatore compie in una specifica situazione. Lo
studio delle traiettorie reali, ad esempio, mostra chiaramente il carattere improvvisato dell’attività di orientamento (Lévy, 2001) e il lavoro di bricolage
che serve a creare una serie di agganci informazionali eterogenei (Lacoste,
1997). Si tratta ora di controbilanciare la critica foucaultiana: insistendo sui
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| introduzione |
modi in cui gli utenti sbrogliano, articolano e contestualizzano le istruzioni messe a loro disposizione, questi lavori mostrano con precisione che gli
utenti non sono poi così disciplinati come farebbero presumere le analisi
focalizzate solamente sui dispositivi grafici.
Infine, una terza opzione consiste nel recarsi nei corridoi del metrò per
osservare il lavoro quotidiano di coloro che concepiscono, organizzano e
fabbricano di giorno in giorno la segnaletica, mobilitandosi per così dire in
suo nome. Apparentemente meno nobile della prima prospettiva, che si
concentrava sulle qualità estetiche e sulle conseguenze politiche di un dispositivo grafico, questa opzione è anche meno gratificante della seconda,
aperta a riconoscere l’ingegnosità degli utenti e degli utilizzatori dei luoghi
pubblici. Da questo punto di vista, la segnaletica si guadagna un posto nella
lista dei soggetti di ricerca senza qualità, “noiosi”, tanto cari a certi sociologi
(Star, 2002). Infatti i lavoratori che operano in questo settore rimangono invisibili, come tutti coloro che stanno nella fabbrica delle infrastrutture; e la
segnaletica stessa diventa una presenza scontata quanto più essa si integra
nei nostri percorsi quotidiani.
Ma è proprio per questo che in questo libro, consacrato in particolare al
caso del metrò di Parigi, vorremmo scegliere tale opzione e tuffarci nel “dietro le quinte” della segnaletica. La nostra è, in altre parole, una scommessa
sull’idea che vi sia molto da apprendere sul mondo in gran parte invisibile
che si trova dietro le cartine, i pannelli, i nomi delle stazioni e i numeri delle
linee che popolano i corridoi della RATP2. Ora, se molto è già stato detto sul
design di tale segnaletica e sugli usi che i viaggiatori ne fanno, non sappiamo praticamente nulla della sua storia, dei principi che hanno guidato la
sua concezione, o delle attività ordinarie di manutenzione che assicurano la
sua esistenza e il suo funzionamento quotidiano.
Metti un giorno un pannello...
Per entrare nel vivo del soggetto e per presentare l’organizzazione di questo
libro proponiamo di partire da una situazione in cui ci siamo trovati nel corso della nostra ricerca. Anche se di carattere aneddotico, ci sembra che essa
metta perfettamente in luce le diverse poste in gioco legate alla presenza
della segnaletica negli spazi del metrò.
Nel settembre 2007, nei corridoi della stazione di Nation a Parigi, si poteva trovare questa iscrizione sul muro di una delle scale che si dipartono da
un ampio corridoio centrale per portare alle banchine dei treni (Figura 1).
Questa epigrafe rappresenta un vero enigma per più di una ragione. Ognuna delle domande che essa solleva punta in una direzione d’analisi diversa,
e per comprendere il funzionamento della segnaletica è necessario seguirle
tutte.
Soffermiamoci in primo luogo sulla forma. Da un punto di vista strettamente funzionalista, la composizione delle parole e del disegno stupisce. In
2 Régie Autonome des Transports Parisiens, la Società che gestisce la metropolitana di
Parigi e una parte dei treni di banlieue. (N.d.T.)
17
fondo, se si trattasse di comunicare solo che bisogna seguire questa scala
per raggiungere la banchina della linea 1 in direzione La Défense, una semplice freccia sarebbe stata sufficiente. Possiamo anche spingere un po’ oltre
il ragionamento e immaginare che un agente presente in loco possa venire
incaricato di guidare verbalmente le persone che si smarriscono a questo
incrocio; d’altra parte esiste del personale assunto il cui lavoro quotidiano
consiste nella produzione di informazioni per i viaggiatori. Da un punto di
vista informazionale, il messaggio sarebbe identico; tuttavia, qui l’iscrizione è
di tipo grafico, l’informazione è scritta. Di più, questo scritto viene sottoposto a una messa in forma specifica: la freccia non è del tutto anodina e sia la
lettera “M” quanto l’“1” sono contornati da un cerchio. Queste forme fanno
pensare che le informazioni grafiche messe a disposizione dei viaggiatori
per orientarsi nei corridoi del metrò non siano concepite unicamente come
informazioni. Esse sono infatti collocate in un quadro generale che ne definisce i formati di esposizione. Esistono degli standard a cui questa iscrizione
cerca di avvicinarsi e ogni pannello segnaletico non può essere compreso
che come un elemento di un dispositivo grafico più ampio i cui fondamenti
vanno analizzati (capitolo 1).
Ma proseguiamo. La cosa più stupefacente forse non è tanto l’aver creato questa indicazione quanto il fatto che un impiegato della RATP si sia
messo a produrla. Come si integra questo tipo di attività singolare rispetto alle normali azioni degli agenti della compagnia di trasporto? La stessa
cosa avrebbe potuto esser fatta su un pannello pubblicitario? E, più in generale, in che senso la messa a disposizione di diversi supporti per l’orientamento dei viaggiatori fa parte dei compiti di una compagnia il cui core
business rimane, ricordiamolo, lo spostamento fisico delle persone da un
punto all’altro della città? Detto altrimenti, di che quadro professionale e
organizzativo è manifestazione questa iscrizione? Se scartiamo l’ipotesi di
un’azione isolata effettuata da una persona atipica all’interno dell’azienda, la
stessa presenza di una scritta del genere presuppone un lavoro di sensibilizzazione all’importanza non solo delle informazioni da esporre nei luoghi
di trasporto, ma anche della loro forma. Questa iscrizione testimonia allo
stesso tempo di una dinamica organizzativa che assicura al dispositivo della
segnaletica un certo luogo all’interno delle finalità dell’azienda attraverso
diverse forme di allineamento delle persone che sono invitate a prenderne
nota (capitolo 2).
Torniamo alla scritta. Certo, essa potrebbe anche non esserci; ma cosa
accadrebbe in questo caso? Senza dubbio una parte dei viaggiatori che
passano di lì tutti i giorni non se ne accorgerebbe. Ma che dire di tutti gli
altri? Questa semplice iscrizione mostra la forza dell’intero sistema del dispositivo segnaletico, che equipaggia gli spazi con un gran numero di aiuti
all’orientamento. Grazie alla segnaletica i viaggiatori dispongono di un ambiente grafico sul quale possono contare e servendosi del quale devono
poter compiere i loro spostamenti anche senza essere degli habitué della
rete o senza aver appreso a memoria la mappa prima di avventurarsi nei
corridoi. Tale offerta informativa non ha nulla di neutro: essa presuppone
18
| introduzione |
infatti un numero di operazioni da parte degli utenti che includono, a livello minimo, una precisa sensibilità a “forme” che indirizzano i viaggiatori. La
concezione della segnaletica prevede dei tipi di utilizzo che si traducono
di caso in caso in differenti modi di relazionarsi con l’ambiente grafico nel
quale i viaggiatori si muovono (capitolo 3).
D’altra parte, per assicurare il proprio ruolo guida, questa iscrizione non
è stata posta su un muro a caso. La freccia non sarebbe stata utilizzabile se
essa non avesse puntato in una direzione praticabile, creando uno spazio
che conduce verso la banchina dove si fermano i treni che partono in direzione de La Défense. La cosa è evidente ma, ancora una volta, una prospettiva strettamente informazionale non sarebbe in grado di renderne conto.
Il dispositivo della segnaletica presuppone che ogni elemento che la compone venga disposto in modo adatto, vale a dire che si trovi nel luogo adeguato. Il processo di istallazione dei pannelli nelle stazioni è il momento in
cui tale questione diviene particolarmente saliente. E la questione va risolta
pragmaticamente. Essa comporta insomma un vero e proprio lavoro di collocazione che implica delle valutazioni difficili e dei saperi situati, essenziali
a rendere operativi dei principi e delle regole che definiscono la segnaletica
(capitolo 4).
Infine, rispetto all’assenza dell’iscrizione ufficiale, in questo caso si evidenzia chiaramente un’altra assenza, quella del pannello stesso. La sua sostituzione con una scritta ci invita a ritornare sul lavoro del suo autore. Un tale
lavoro presuppone due azioni successive: in primo luogo una sorveglianza
di routine della rete, che permette di diagnosticare la scomparsa del pannello e, in secondo luogo, il disegno di una scritta sostitutiva. Nell’azienda,
la persona che svolge questi compiti riveste un ruolo primario per la manutenzione del dispositivo segnaletico, anche se molto meno riconosciuto
di quello di designer e teorici. Se è vero che la segnaletica è fatta di artefatti grafici, ben più stabili degli annunci vocali che devono essere ripetuti
costantemente per assicurarsi che non vadano perduti, a ben vedere essa
non è meno fragile. Un pannello, per quanto sia solido, non è mai installato
una volta per tutte. Se consideriamo l’intera rete della RATP e le sue oltre
trecento stazioni, la cosa non può essere data per scontata. Di giorno in
giorno, la segnaletica deve funzionare come dispositivo grafico completo
che equipaggia lo spazio attraversato dai viaggiatori, nonostante i possibili
furti, alterazioni del tempo o incidenti. L’iscrizione di tipo provvisorio ne è
un chiaro esempio: la segnaletica deve la propria presenza permanente, nei
corridoi e sulle banchine, a una serie di operazioni materiali di riparazione e
manutenzione che richiede delle iniziative e delle competenze poco documentate nel caso delle scritte (capitolo 5).
Ecco dunque in breve le piste principali lungo le quali si sviluppa il presente libro. Si tratta di piste strettamente legate agli elementi empirici che
abbiamo raccolto durante la nostra ricerca – come sottolinea la nostra scelta
di prendere un’iscrizione come punto di partenza – ma che entrano anche
in risonanza con un certo numero di discussioni teoriche a cui vorremmo
contribuire.
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Ecologia e pragmatica delle scritte esposte
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, possiamo cercare di mettere a fuoco tre dimensioni che definiscono chiaramente il nostro oggetto di ricerca.
La segnaletica costituisce anzitutto un insieme di scritte. Esse ci forniscono
dunque l’occasione per interrogare le condizioni di messa in atto e di manutenzione degli artefatti grafici destinati a venire esposti in un luogo pubblico. E, se qui si tratta in particolare dei corridoi del metrò, non dimentichiamo
che il nostro quotidiano è popolato di scritte affisse su cui possiamo contare
in qualsiasi momento per orientare la nostra azione. Esse rappresentano una
posta in gioco politica di primaria importanza in un mondo che ci si presenta trasformato tanto dal punto di vista delle pratiche della mobilità quanto
dal punto di vista dell’equipaggiamento informazionale che lo compone.
Ci avvicineremo a questo tipo di scritte da una prospettiva ecologica,
ovvero saremo particolarmente sensibili alla loro dimensione ambientale.
Anzitutto perché, come abbiamo già iniziato a osservare, le diverse componenti della segnaletica producono un ambiente messo a disposizione dei
viaggiatori. Ma, più in generale, anche perché la segnaletica non è che un
dispositivo grafico tra gli altri presenti nei luoghi pubblici. La sua messa in
atto presuppone delle forme di cooperazione e di competizione tra tipi di
scritte che cercheremo di specificare.
Da ultimo, il nostro accostamento è di tipo pragmatista: cercheremo di
comprendere le modalità d’agire con e attraverso le scritte. Tale prospettiva
ci separa chiaramente dalle problematiche della semiotica, che di solito esamina i dispositivi “a riposo” per così dire, cercando di estrarne le dimensioni
intrinseche. Ma ci separa anche alla moltitudine di analisi che si focalizzano
sugli utenti, vale a dire sulle condizioni di ricezione o di utilizzo delle scritte intese come risorse tra le altre, anche molto diverse, che sono presenti
nel corso dell’azione. La nostra ricerca si concentra piuttosto sugli ideatori,
così come, più generalmente, su tutti coloro che cercano di delegare a dei
dispositivi grafici delle forme d’azione. Questa pragmatica della scritta esposta ci invita d’altronde anche a fare attenzione alla riflessività degli attori che
studiamo e, in particolare, ai loro modi di prendere in considerazione i punti
di forza e quelli di debolezza delle scritte stesse. Rispetto a questi attori noi
intendiamo adottare una posizione molto modesta, in quanto non pretendiamo di contrapporre alle loro teorie sulla scrittura delle altre che ci paiono
più giuste o più fondate. Al contrario, il nostro fine è di comprendere come
e a che titolo la scrittura possa essere intesa come strumento d’ azione.
Adottando tale obiettivo, la nostra ambizione è dunque quella di sviluppare un accostamento ecologico all’agire scritturale. Questo programma di
ricerca ci condurrà ad incrociare autori appartenenti a diverse correnti. Tra di
essi, alcuni ci forniranno l’impalcatura teorica per le nostre analisi, e con essi
torneremo a più riprese a discutere durante il nostro percorso, confrontando le loro asserzioni teoriche con i nostri risultati di ricerca.
Un primo asse si articola intorno alla questione degli spazi pubblici. In
generale, il nostro studio della segnaletica si inscrive in un linea di ricerca
che esamina le trasformazioni dei luoghi pubblici (Lash e Urry, 1994) e delle
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| introduzione |
forme di mobilità (Urry, 2007). In particolar modo questo filone intende la
questione dello spazio pubblico in termini di accessibilità, di cui Joseph, che
resterà un punto di riferimento per tutto il nostro percorso di analisi, ha ben
mostrato l’importanza (Joseph, 2007).
Per affrontare questo genere di questioni utilizzeremo anche le analisi di
Petrucci (1993) a proposito delle scritte esposte. Esse ci saranno particolarmente utili per afferrare le dimensioni strategiche e politiche della segnaletica. In quanto forme di scrittura esposta, i moduli della segnaletica non
possono venire ridotti alle loro semplici dimensioni funzionali più visibili.
Infatti la loro installazione implica un inquadramento dei luoghi e dei loro
abitanti che rinvia a un programma di organizzazione grafica dello spazio.
Il secondo asse teorico che seguiremo si rivolge in modo prioritario alla
problematica dell’azione, o più esattamente della agency, e della sua composizione socio-tecnica. Faremo così regolarmente ricorso alle analisi di Latour nei suoi aspetti più foucaultiani, così come in senso più lato ai lavori
dell’antropologia della scienza e della tecnica (Akrich, 2006; Latour, 1993a;
1994). Tutti questi lavori hanno insistito, tra l’altro, sulla dimensione politica
delle innovazioni tecniche e degli artefatti, mostrando come essi siano sempre portatori di prescrizioni rivolte agli utenti – prescrizioni che, pur nella
loro flessibilità, partecipano attivamente alla definizione dei luoghi e dei formati d’azione accettabili. Questa corrente di ricerca si rivela particolarmente
utile in quanto analizza specificamente i dispositivi grafici.
Latour e Akrich hanno utilizzato le nozioni di iscrizione e di script. In tal
senso, le loro riflessioni possono essere proficuamente messe a confronto
con le recenti evoluzioni dell’antropologia della scrittura, ambito in cui Fraenkel (2006; 2007) ha iniziato una riflessione approfondita sulla performatività del testo scritto. Unendo questi due punti di vista, potremo specificare
le forme d’azione della segnaletica, applicando così le riflessioni dell’antropologia delle scienze e delle tecniche al caso delle scritture esposte e focalizzando gli interessi dell’antropologia della scrittura sui processi ordinari di
governo e di organizzazione grafica. Questo doppio movimento si avvicina
alla prospettiva sviluppata da Artières (2007), il quale sostiene l’utilità di osservare il funzionamento dei micro-dispositivi delle pratiche di scrittura.
Infine, questa ricerca ci fornisce un caso di studio a partire dal quale
provare a sviluppare il concetto di ecologia grafica. Attraverso tale nozione, entriamo gradualmente in relazione con due grandi correnti di ricerca
che propongono, ciascuna a proprio modo, una prospettiva ecologica nelle
scienze sociali. La prima è costitutiva di un’intera scuola sociologica: si tratta
dei numerosi lavori prodotti nell’ambito della scuola di Chicago, che hanno
sviluppato uno sguardo sulla città e sulle sue istituzioni sociali come laboratorio naturale della condizione umana (Hughes, 1936; Park, 1936). Poiché
la segnaletica non è mai l’unico tipo di scrittura depositata in un ambiente,
queste considerazioni ci saranno utili per osservare le forme della competizione territoriale che si possono sviluppare tra i diversi dispositivi grafici e
per comprendere le poste in gioco che essi sollevano in termini di regolazione.
21
La seconda prospettiva si focalizza sull’ecologia delle attività, insistendo
sulla dimensione situata ed eterogenea delle stesse (Suchman, 1987; Lave,
1988; Hutchins, 1995). Contrariamente alla precedente ecologia, quest’ultima è di tipo essenzialmente cooperativo: le operazioni della vita quotidiana,
dalle più ordinarie alle più complesse, si basano sempre su una distribuzione più o meno cosciente di una o più persone e oggetti disponibili nell’ambiente. Da questo punto di vista la segnaletica è doppiamente interessante:
anzitutto, essa è esplicitamente concepita come uno strumento di distribuzione dell’azione, su cui i viaggiatori sono invitati a basarsi per effettuare
i loro spostamenti. Essa si fonda cioè sulla messa in cooperazione di più
moduli grafici pensati nel loro rapporto reciproco. In secondo luogo, essa
costituisce un oggetto di ricerca strategico per rimettere in discussione lo
sguardo sugli artefatti, soprattutto gli artefatti grafici, che di solito caratterizza questa corrente di studi.
Più che osservare le forme di adattamento a degli spazi pre-strutturati,
come quelli che Lave (1988) ha chiamato le “arene”, vorremmo mettere in
luce i processi che fondano la gestione materiale e politica di tali spazi. La
segnaletica, ci sembra, offre l’occasione per far lavorare in modo simultaneo
su questi due versanti della nozione di ecologia: versante competitivo e versante cooperativo. Nel corso dell’analisi cercheremo pertanto di mostrare
l’interesse che tale articolazione riveste.
Due etnografi nel metrò
Per afferrare l’oggetto proteiforme della segnaletica abbiamo cercato di
raccogliere una varietà di materiali, andando a cercare tanto nei retroscena
(l’invenzione della segnaletica, la sua produzione, la sua manutenzione…)
quanto nelle stazioni stesse del metrò. Il nostro obiettivo era quello di documentare le numerose forme di organizzazione che la compongono e le
diverse scene della sua esposizione.
Le nostre ricerche si sono concentrate principalmente sulle diverse attività dei dipartimenti della RATP. Inoltre, durante la ricerca, abbiamo fatto
un détour verso la rete del New York City Transit (NYCT) della Metropolitan
Transportation Authority (MTA) dello Stato di New York. In tal modo, abbiamo cercato di prendere sul serio i discorsi di coloro che alla RATP citavano
il caso newyorkese come contro-esempio del modello segnaletico che essi
vorrebbero promuovere. Dall’altro lato, il confronto con New York ci ha permesso di rompere con la nostra eccessiva familiarità nei confronti del metrò
parigino.
La nostra ricerca si inscrive nel genere della ricerca etnografica e si appoggia a metodi relativamente classici: metodi, oltretutto, quelli dell’intervista e dell’osservazione partecipante, utilizzati insieme. Abbiamo anzitutto
condotto una ventina di interviste in profondità con impiegati della RATP
e della MTA. Le interviste erano finalizzate a comprendere il ruolo della segnaletica negli ambienti del metrò di osservare l’organizzazione dei dipartimenti aziendali che se ne occupano e l’attività di coloro che vi lavorano.
Ciò ci ha consentito di produrre due tipi di informazione: da una parte, dei
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| introduzione |
discorsi elaborati come testimonianze di momenti chiave nella storia del
dispositivo, dall’altra delle descrizioni della divisione del lavoro e dei tipi di
attività collegate alla segnaletica. Abbiamo anche effettuato una raccolta
sistematica di documenti interni negli archivi della compagnia (resoconti
dei consigli di amministrazione, documenti programmatici, comunicazioni
e stampa interna…) oltre che tra le pratiche ancora in corso (presentazioni,
mappe, guide della rete metropolitana, rapporti sul livello di soddisfazione
dei viaggiatori e sulla qualità del servizio…) nei dipartimenti interessati. Simili documenti ci sono serviti per ricostruire la dimensione strategica della
segnaletica e per identificare le modalità specifiche della sua messa in atto.
Abbiamo poi condotto un lavoro di osservazione sistematica accompagnando gli addetti della RATP nelle loro attività quotidiane. Inizialmente
ci siamo concentrati sui dipartimenti che seguono il mantenimento della
segnaletica. Abbiamo seguito gli agenti per diversi giorni durante le loro
uscite per riparare, sostituire e rinnovare i pannelli della rete. Abbiamo
anche realizzato delle osservazioni etnografiche nello stabilimento in cui
viene materialmente prodotta buona parte dei moduli segnaletici e da cui
partono gli ordini alle ditte in subappalto specializzate nella produzione dei
laminati catarifrangenti. In un secondo tempo la nostra attenzione si è focalizzata sulle attività degli agenti responsabili delle stazioni, che diagnosticano quotidianamente lo stato della segnaletica e rilevano le anomalie segnalandole ai dipartimenti competenti. Attraverso note di campo, fotografie e
registrazioni audio abbiamo cercato di comprendere il più finemente possibile l’ecologia di questi diversi interventi: le loro sequenze di lavoro, i gesti e
gli strumenti che sono necessari, tanto quanto le esitazioni e le discussioni
degli attori in situazioni specifiche.
Infine, la ricerca ci ha fornito l’opportunità di praticare anche un metodo più sperimentale. Per comprendere l’uso della segnaletica, è necessario mettere a fuoco una via d’accesso più specifica di quella dell’utente
generico, il quale, come sappiamo, durante i propri percorsi può mettere
in gioco risorse eterogenee (Lacoste, 1997; Ingold, 2000). A tal fine abbiamo elaborato una sperimentazione, effettuando una serie di percorsi, anzitutto sulla rete newyorkese e quindi anche a Parigi3. Il nostro obiettivo
era quello di mostrare da un punto di vista fenomenologico i modi in cui
la segnaletica guida gli spostamenti nello spazio del metrò. Per riuscire nei
nostri tragitti, ovvero per spostarci da un punto all’altro della città, dobbiamo seguire unicamente gli elementi della segnaletica, senza preparare il
nostro viaggio a priori e senza domandare aiuto sul posto. Queste forme
artificiali di percorso avevano per fine quello di isolare il dispositivo dal resto
dei mezzi che guidano gli spostamenti degli utenti ordinari, oggi ben noti.
Per documentare questa esperienza abbiamo utilizzato la fotografia. Ogni
percorso si è sviluppato secondo uno script di “presa di visione” (Suchar,
2007): abbiamo sistematicamente fotografato gli elementi grafici che ab3 Dato che sono stati effettuati in un ambiente che non conoscevamo, i tragitti a
New York ci hanno consentito di stabilire un metodo che abbiamo in seguito riprodotto nella rete parigina.
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biamo utilizzato durante i nostri spostamenti e ogni pannello, ogni insegna
o adesivo che abbiamo preso in considerazione per raggiungere la nostra
destinazione sono stati oggetto di commenti in un diario di bordo comune.
D’altra parte, la significazione stessa di questi elementi, il modo di utilizzarli, sono stati regolarmente oggetto di discussione tra noi. In questi casi
abbiamo confrontato sistematicamente le nostre interpretazioni per prendere una decisione: una validazione comune del senso di un pannello era
condizione indispensabile per proseguire. Anche questi dibattiti sono stati
registrati nel diario di bordo. Un simile tipo di esperimento a due presenta
un doppio vantaggio. In primo luogo, l’uso della fotografia si rivela particolarmente prezioso per mettere in atto un’analisi approfondita dei materiali
visuali (Wagner 2006). Nel caso della segnaletica, è un modo efficace per
mettere sullo stesso livello tutti gli elementi utilizzati in un tragitto e costringersi, in qualità di ricercatori, ad esaminarli uno ad uno. In secondo luogo, il
fatto di annotare i nostri commenti e di riunire tutti questi diversi elementi
(fotografie, dibattiti e processi di validazione dei dati) in un unico diario di
campo condiviso ci ha permesso di esplicitare il processo di interpretazione
che sarebbe rimasto implicito qualora l’esperimento fosse stato condotto
da una sola persona.
Tutto questo materiale eterogeneo verrà utilizzato nel corso del libro,
lungo il filo di un’esplorazione dei cinque assi che abbiamo delineato sopra.
Nel primo capitolo, riassumeremo le condizioni che segnano la nascita della segnaletica come esiste oggi nei corridoi del metrò di Parigi. Il secondo
capitolo sarà consacrato all’organizzazione del lavoro su cui si fonda il dispositivo. In questi due primi capitoli, ci baseremo fondamentalmente su brani
di interviste e sui documenti interni. Il terzo capitolo affronterà i principi che
stanno al cuore della segnaletica. L’analisi intreccerà dunque strettamente
la descrizione delle interviste e dei testi con i risultati dei nostri esperimenti
nelle reti di New York e Parigi. Gli ultimi due capitoli si nutriranno soprattutto delle osservazioni dirette effettuate con gli agenti della compagnia,
cercando così di mettere in luce le delicate operazioni sulle quali si basano
l’installazione e la collocazione dei pannelli segnaletici, per insistere quindi
sul ruolo centrale delle attività di riparazione e manutenzione che assicurano ai dispositivi la loro stabilità.
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|capitolo 1|
Capitolo 1
Un dispositivo grafico per i servizi di trasporto
La vera posta in gioco rispetto alle nuove missioni delle
società di trasporto si evince direttamente dalle richieste
iniziali […] produrre allo stesso tempo l’accessibilità, delle
offerte specifiche destinate all’utente e un’attenzione civica
che si inserisce nei quadri stessi dell’esperienza del viaggiatore, vale a dire nei dispositivi cognitivi pratici che sostengono il viaggio stesso. (Joseph, 2004, p.81)
A prima vista la segnaletica potrebbe sembrare un oggetto aneddotico rispetto all’insieme delle attività svolte da un’azienda come la RATP. La presenza della segnaletica negli spazi del metrò va quasi da sé e per questa
ragione potremmo dubitare dell’interesse a farne un oggetto di analisi approfondita.
Tuttavia, seguendo le principali trasformazioni che hanno condotto alla
stabilizzazione di un vero e proprio dispositivo grafico segnaletico, vedremo
anzitutto come tali trasformazioni abbiano costituito un momento che ha
marcato una svolta politica e organizzativa di grande portata, legata alla
creazione di una quattordicesima linea del metrò di Parigi. D’altra parte, la
segnaletica ha partecipato ad un movimento ben più vasto di modernizzazione del servizio pubblico, che si è caratterizzato per una sempre maggiore
attenzione verso l’esperienza e le attese degli utenti. Le pratiche di comunicazione con i viaggiatori si sono trasformate profondamente, inserendo
in questo campo strategico anche le scritte esposte. L’onnipresenza di tali
scritte e la loro organizzazione in un sistema normalizzato formano la base
di un nuovo tipo di intelligibilità che ridefinisce profondamente l’ecologia
grafica dei servizi di trasporto e fornisce agli utenti delle risorse supplementari per i loro spostamenti.
La trasformazione grafica dell’informazione ai viaggiatori
Le premesse di quella che verrà in seguito chiamata la “modernizzazione”
del sistema di trasporto pubblico parigino vanno rintracciate negli anni
Settanta, quando nell’ambito della RATP, e in particolare su sollecitazione
dei suoi dirigenti, si viene a delineare un primo cambiamento. La società
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comincia in questo periodo a venire considerata come una vera e propria
azienda, che deve fare i conti con dei clienti da soddisfare.
Tale cambiamento di prospettive si traduce nell’assunzione di un gruppo di nuovi quadri dirigenti giovani, che va a formare il primo dipartimento
di marketing della RATP. Di concerto con la direzione, questo dipartimento
mette in opera dei grandi progetti trasversali, tutti rivolti agli utenti. A partire
da questo momento, la preoccupazione per il design degli spazi di trasporto diviene prioritaria. Come ci ha spiegato uno dei suoi membri, il fine prioritario della compagnia diviene quello di ideare una strategia generale per
“invogliare la gente a tornare di nuovo domani, dunque a utilizzare di nuovo
la struttura, e ad acquistare di nuovo il servizio” (L.C., Dipartimento sistemi di
informazione e comunicazione).
La presenza degli elementi grafici destinati a guidare gli spostamenti
dei viaggiatori si integra in queste riflessioni; essi vengono infatti considerati
come dei componenti importanti degli spazi che si tratta di reinventare. Già
da molto tempo il metrò parigino è dotato di pannelli segnaletici. Dato che
ai suoi esordi il trasporto sotterraneo era soggetto a numerosi incidenti a
volte gravi1 la preoccupazione prioritaria è sempre stata rivolta alla incolumità fisica dei viaggiatori. Così, un gran numero di pannelli direzionali orientano verso le uscite e sono presenti per assicurare le migliori condizioni possibili in caso di evacuazione.
è dunque solo a partire dagli anni Settanta che il metrò accoglie il suo primo sistema completo di segnaletica, destinato a organizzare l’orientamento
su tutta la rete. Il sistema fu commissionato al tipografo svizzero Frutiger, il
medesimo che realizzò anche la segnaletica dell’aeroporto Roissy Charlesde-Gaulle. Altri progetti sono stati in seguito avviati alla RATP. Tra i principali
vi è certamente quello condotto da Tallon nel 1980 per un programma di
coordinamento con la SNCF2. Anche se mai completamente implementato,
questo programma ha posto le basi per una riflessione approfondita fondata su dei veri e propri principi teorici per la segnaletica del metrò (Tallon
e Jeudy, 1977). Il 1989 segna l’inizio di un rinnovamento importante della
segnaletica sulla rete degli autobus, che sarà progressivamente ampliato a
tutta la rete dell’Île di France. Nella seconda metà degli anni Novanta, poi,
viene concepita una nuova segnaletica, sotto la responsabilità di un piccolo
gruppo di lavoro pluridisciplinare che raggruppava un esperto di marketing,
un cartografo, un tecnico della segnaletica, un architetto e un designer3. Si
generalizzano così alcuni principi creati per gli autobus e vengono installati
su tutta la linea gli elementi grafici che sono ancora oggi in uso.
Quest’ultimo episodio gioca un ruolo importante all’interno di un movimento di trasformazione molto più vasto. Dal punto di vista dell’azienda,
esso costituisce il punto di arrivo di un lento processo che a poco a poco ha
1 Come l’incendio di una motrice alla stazione Couronnes che nel 1903 costò la vita
a 84 persone.
2 Société Nationale des Chemins di Fer, la società delle ferrovie francesi. (N.d.T.)
3 Altre figure presenti in questo vasto progetto furono quelle degli ingegneri, dei
grafici, dei tipografi dei sociologi e dei coloristi.
26
|capitolo 1|
posto l’informazione agli utenti come una preoccupazione di primo piano.
Ma fa anche parte di una metamorfosi persino più radicale. L’anno in cui fu
lanciata la nuova segnaletica è anche quello dell’inaugurazione della linea
14 e dell’avvio di un vasto programma di rinnovamento di due terzi delle
stazioni della rete, al ritmo di una trentina all’anno.
La svolta della linea 14
Come in molti altri campi dell’impresa (Joseph, 2004), il progetto Météor4 ha
contribuito a un ripensamento profondo del ruolo e della forma degli elementi grafici dell’intera rete. Inizialmente la segnaletica non era direttamente coinvolta nelle trasformazioni che il progetto della nuova linea avrebbe
introdotto nella gestione dello spazio. Le stazioni di Météor avrebbero dovuto essere dotate degli stessi moduli grafici già presenti; ma al momento
degli studi preliminari i moduli segnaletici standard non si inserivano facilmente nei nuovi spazi pensati per Météor.
Così, proprio mentre Météor arrivava sulla linea 14 con spazi nuovi e nuovi standard di qualità che rendevano possibile
degli spazi qualitativamente migliori a prezzi comparabili, i
dirigenti della compagnia si dissero: “Non è possibile conservare la segnaletica di prima. Se la applichiamo come se nulla
fosse sarebbe un disastro”. Ed è da questa consapevolezza
che è nata la motivazione a fare degli studi sui nuovi interni.
(Q.W., Dipartimento cartografico)
In un progetto di tipo tradizionale, una semplice difficoltà a integrare il
vecchio sistema segnaletico non avrebbe mai condotto a una sua radicale
messa in discussione. Ma i drastici cambiamenti legati a Météor permisero
di avviare una serie di ricerche concatenate per precisare e generalizzare
l’intuizione iniziale. Inizialmente ci si focalizzò sulla questione della diversità
dei supporti e dei formati dell’informazione. Il sistema segnaletico in vigore
venne giudicato troppo eterogeneo e incoerente.
Vennero rilevate numerose incoerenze nel modo di scrivere e
presentare le informazioni, non solo attraverso spazi diversi –
che sono ad ogni modo comunicanti – ma anche all’interno
del medesimo spazio, con la presenza di targhe differenti e
così via. Ci si rese conto di numerose cose che non funzionavano e ci si mise a lavorare ad un’alternativa globale. (Q.W.,
Dipartimento di cartografia)
Ci si propose dunque di equipaggiare gli spazi di Météor di una segnaletica interamente ripensata e ordinata. Ma nel frattempo lo stesso progetto
Météor assunse una nuova dimensione. Non si trattava più, per la RATP, di
offrire ai viaggiatori (e di presentare ai propri operatori) un nuovo modo di
trasporto, ma una linea aggiuntiva della rete. A tali condizioni diveniva complicato limitare il progetto della nuova segnaletica a quella sola linea.
4 Acronimo di “METro Est-Ouest Rapide”, nome del progetto che ha portato alla costruzione della linea 14. (N.d.T.)
27
Divenne molto presto chiaro che sarebbe stato difficile concepire un sistema di segnaletica per Météor distinto dal resto
del metro. La RATP aveva la volontà di fare di Météor la linea
14 della rete del metrò, che fosse insieme anche una prefigurazione dell’evoluzione del metrò di domani, e non una nuova linea sui generis. La segnaletica di Météor e della restante
quindicina di linee di metrò doveva dunque essere uguale o,
in ogni caso, decisamente coerente. Il progetto della nuova
segnaletica per Météor divenne così insieme quello del metrò e del RER. (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p.4)
Il progetto di rinnovamento completo della segnaletica ha così approfittato delle occasioni create dall’ampiezza e dall’ambizione del progetto
Météor. Quando quest’ultimo è stato integrato alla rete, di cui la linea 14 è
divenuta parte esemplare, vera vetrina di un nuovo modo di immaginare
l’offerta di trasporto, l’équipe dirigente contava chiaramente di creare un
processo irreversibile di profonde trasformazioni.
In questo “sperato contagio della linea 14 a tutta la rete” (Joseph 2004, p.
86) il primo progetto, quello con maggiore risonanza mediatica, riguardava
l’automatizzazione delle linee stesse. Su questo punto, il tornante immaginato non ha veramente preso piede. Infatti ad oggi solo la linea 1 è in corso
di automatizzazione e la sua completa entrata in servizio è prevista per il
2012. La linea 14 è rimasta, da questo punto di vista, una piccola nicchia
organizzativa.
Al contrario, dal punto di vista degli spazi dei viaggiatori, l’effetto di contagio è riuscito. La qualità dei luoghi, la loro pulizia e manutenzione sono
divenute degli obiettivi da raggiungere su tutta la rete. Il rinnovamento
dell’insieme della segnaletica partecipa pienamente a questa strategia, così
come il programma di rinnovamento delle stazioni, intitolato appunto “rinnovamento del metro” (RNM). Le caratteristiche della linea 14 hanno posto
dei criteri di qualità che il grande rinnovamento messo in atto dal progetto
ha consentito di attuare.
La posizione che si cercò di passare fu dunque: “Non possiamo fare una linea magnifica e lasciare tutti gli altri spazi
a zero”. Alla fine si è tutto messo in moto attraverso il “rinnovamento del metro”. In effetti c’era una punta, il magnifico
[Météor], e poi dall’altra degli spazi variegati. Questo non
era più ammissibile […] Senza Météor forse non avremmo
mai osato intraprendere degli studi che sarebbero giunti alla
conclusione a cui siamo giunti: “occorre uniformare tutto”. Ci
avrebbero preso per dei pazzi. Perché bisogna immaginarsi
i costi esorbitanti dell’operazione, pannelli e tutto quanto;
talmente mostruosi che non avremmo mai osato sperarci.
Grazie a Météor, abbiamo osato, ecco. (Q.W., Dipartimento di
cartografia)
L’interdipendenza dei progetti tra loro è una dimensione essenziale per
comprendere la maniera in cui dei lavori così importanti si sono potuti mettere in opera a partire da Météor. Il programma RNM risulta così strettamente legato al progetto della nuova segnaletica. Per afferrarne la natura, non
bisogna fermarsi alle scosse di assestamento post-Météor.
28
|capitolo 1|
Come per il design delle stazioni della nuova linea, il progetto di rinnovamento di un gran numero di stazioni della rete deriva direttamente da un
movimento di modernizzazione degli spazi che cerca di rispondere alle preoccupazioni securitarie e sanitarie che hanno presieduto alla gestione degli
spazi del metrò per molti anni (Kokoreff, 1992). Gli obiettivi che li definiscono si sono tradotti nei termini di “chiarezza” e di “pulizia”. La scommessa era
quella di far fronte a “la diversità e il sovraccarico visuale degli spazi pubblici
del metro” (Arrighi, 2001, p. 23).
Tra le operazioni più ambiziose ci sono la generalizzazione della piastrellatura bianca (che in alcuni casi era stata rimossa a seguito del programma
“Motte”, altro progetto di rinnovamento risalente agli anni Cinquanta, che
cercava di addobbare i muri delle banchine di alcune stazioni), la copertura
dei cavi elettrici, la messa a punto del sistema di illuminazione, la riorganizzazione radicale degli spazi pubblicitari e la messa in primo piano del patrimonio storico. Il programma fu di grande ampiezza e diede luogo ad una
strategia esplicita che si tradusse nella redazione di un “codice degli spazi
dei viaggiatori” e in una “carta dei principi architettonici” articolata su tre assi
principali, tra i quali uno insiste in particolare sulla necessità di “creare delle
ambiances” (Arrighi, 2001, p. 26).
Con i programmi RNM e Météor, gli spazi del metrò si sono trovati a una
svolta. Dopo essere stati oggetto di un’attenzione essenzialmente sanitaria,
sono diventati un nuovo campo di investimento. In questo progetto si ritrovano le preoccupazioni del gruppo di marketing degli anni Settanta che
aveva insistito sull’importanza dei luoghi artificiali e sulle possibilità immense che essi rappresentavano per produrre ciò che un membro del gruppo di
lavoro definì un “teatro del servizio”. Ma gli ambienti che si trattava di creare
allora erano basati su un vocabolario igienista di “lotta contro il sentimento di insicurezza” (Kokoreff, 1992). In altre parole, gli spazi dovevano essere
messi in ordine: e fu su questo punto in particolare che i due progetti di
rinnovamento della segnaletica e degli spazi si incontrarono. Alla base della
nuova segnaletica, si trovavano le riflessioni iniziali di Roger Tallon, che sin
dagli anni Settanta aveva rivendicato esplicitamente la necessità di meglio
teorizzare questo ambito5. I principi del suo programma teorico ruotano intorno alla coerenza della comunicazione grafica e della strutturazione del
sistema dei segnali. Essi coincidono insomma con quegli obiettivi di chiarezza e di pulizia che guidavano il programma di rinnovamento degli spazi.
La segnaletica ripensata fu a volte presentata come l’ossatura possibile delle
nuove stazioni, e la sua messa in atto è stata considerata come “il programma di base attorno al quale si organizza la messa in scena del luogo” (Feignier, 2002, p. 16).
Dunque sia nel progetto Météor sia nel progetto di rinnovamento delle stazioni la segnaletica è stata al centro di profonde trasformazioni che
hanno coinvolto la RATP negli ultimi quindici anni. Nel primo caso, queste
trasformazioni sono state un’emanazione diretta e una conseguenza di un
confronto tra gli antichi elementi grafici e gli spazi interamente ripensati.
5 “Manca una teoria”, scriveva infatti Tallon nel 1977 (Tallon e Jeudy, 1977, p. 34).
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Nel secondo caso, esse si sono poste nel tracciato già consolidato di un
programma generale di riordinamento. Ma quali sono le caratteristiche specifiche di questa nuova segnaletica, la cui concezione e installazione hanno
giocato un ruolo così importante?
Le innovazioni della segnaletica
Il progetto di nuova segnaletica messo in atto alla fine degli anni Novanta
ha introdotto due cambiamenti principali che si sono presentati come momenti di rottura: il principio della multimodalità generalizzata e un’accurata
normalizzazione.
La multimodalità come principio organizzatore
In quel periodo, la possibilità di passare da una rete di trasporti all’altra è
divenuta questione particolarmente sensibile. Essa si è cristallizzata, come
detto, nel concetto di multimodalità, che consiste nell’“ottimizzare l’accesso
e le corrispondenze, migliorare il sistema d’informazione e l’orientamento
spaziale […] gestire lo spazio per aumentare la sicurezza e creare un’atmosfera conviviale” (Amar 2001, p. 7).
Sino a quel momento, ad ogni ampliamento della rete e a ogni passaggio multimodale dei viaggiatori, questi ultimi si trovavano a confrontarsi
con l’aggiunta in uno stesso luogo di strati successivi di mezzi di trasporto
e di informazioni monomodali giustapposte nel bene o nel male le une accanto alle altre.
Fino all’inizio degli anni Novanta, le reti avevano ciascuna una
propria segnaletica: font di caratteri di famiglie diverse (Helvetica per l’autobus, Univers per il metrò e Formula one per il
RER), frecce differenti, impaginazioni disomogenee e così via.
(Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p. 4-5)6
Certe stazioni si presentavano così come “un insieme incoerente che
soffriva di diversi difetti di qualità, fornendo un’impressione labirintica e generando di conseguenza sensazioni di incertezza e insicurezza” (Amar, 2001,
p. 6).
La sfida è stata quella di ripensare al tempo stesso l’organizzazione dei
luoghi e le informazioni in una composizione coerente e gerarchica, questione centrale per la costituzione di poli multimodali. è il caso ad esempio
di La Défense, piccola stazione di banlieue fino agli anni Cinquanta, che ha
visto moltiplicarsi le fermate degli autobus negli anni Sessanta, l’impianto
del RER negli anni Settanta, lo sviluppo di una stazione vera e propria negli
anni Ottanta e l’arrivo del metrò nel 1992. Infine, un progetto di grande ampiezza lanciato nel 1993 ha trasformato questo luogo in un vero e proprio
nodo di rete multimodale e multiservizio.
La riuscita della multimodalità passa per la formazione di una segnaletica condivisa, armonizzata tra le diverse modalità di trasporto. Il rinnovamen6 In quel periodo, nel metrò c’era dunque “Metro”, un font ispirato a Univers e disegnato specificamente da Adrian Frutiger.
30
|capitolo 1|
to della segnaletica della rete dei bus, iniziata all’inizio degli anni Novanta
con il programma “Autrement Bus”, fu cruciale per questo movimento verso
l’unificazione. Fu durante questo periodo infatti che il colore blu viene adottato come colore di base, avviando un processo di riordino grafico di numerosi supporti d’informazione secondo una logica coerente e che si stabilizza
l’uso dei diversi codici di colore per rappresentare la linea. Come si trova
documentato nel rapporto di un consiglio di amministrazione dell’azienda
in parte dedicato all’offerta multimodale, queste misure hanno cercato di:
Rendere coerente tutta la catena di informazioni per facilitare l’utilizzazione dei diversi modi di trasporto e in particolare
degli autobus. Facilitare l’uso dell’insieme dell’offerta multimodale e permettere una facilità di spostamento continuo
tra diversi modi. (RATP, 1993, p. 7)
Ma la nuova segnaletica multimodale va ancora più lontano, uniformando in modo sistematico. Oggi, la segnaletica è la stessa per tutta la rete:
metro, bus, RER e tram. I 15 colori definiti per la rete del bus sono applicati
anche alla rete del metro. Un unico font di carattere specifico è stato commissionato a J.-F. Porchez (le Parisine), mentre la scritta con “capolettera e
corpo minuscolo” è venuta a sostituire l’uso della scritta tutta in maiuscole.
Una segnaletica normalizzata
Questo vasto progetto non solo risulta originale quanto al suo campo di applicazione, ma si traduce anche nella messa in atto di una norma che rompe
con i principi della segnaletica utilizzati sin qui:
Per concepire la propria segnaletica la RATP si appoggia [sino
ad allora] su poche norme scritte: un documento di qualche
pagina scarsa riassume l’insieme delle regole da applicare al
metrò e al RER. La normalizzazione ha riguardato dunque soprattutto la centralizzazione, la professionalizzazione, la continuità dei gruppi e la trasmissione essenzialmente orale dei
saperi. (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p. 4)
Con la segnaletica multimodale, l’impresa si è dotata di un documento
che ricorda i grafici estremamente dettagliati che si utilizzano nel campo
dell’audiovisivo (Denis, 2002). La compagnia dispone ormai di una raccolta
di “norme scritte e complete che coprono la maggior parte delle situazioni
sia per l’identificazione sia per le diverse applicazioni legate alle informazioni di sicurezza, di segnalazione delle biglietterie manuali e automatiche,
degli ascensori e così via” (Sancho di Coulhac e Viaut, 1998, p. 5).
Tale documento in tre volumi è stato redatto tra il 1996 e il 2001 e viene
regolarmente aggiornato. Il suo contenuto e la sua organizzazione rendono chiaramente visibile l’ampiezza del dominio della segnaletica. Il primo
volume, intitolato “Segni, simboli e codici” (figura 2), espone il “vocabolario
grafico di base del sistema”. Il secondo volume, “Vocabolario e menzioni”,
dell’ottobre 1998 (Figura 3), “definisce in modo preciso ed esaustivo i nomi
e l’ortografia” dei diversi elementi: i nomi delle stazioni, le direzioni, le corrispondenze (specifiche per ciascun sito) e i vari messaggi d’informazione,
uscita eccetera, così come le abbreviazioni da utilizzare in ciascun caso. Il
31
terzo volume, “Composizione grafica dei supporti RER e Metro” (Figura 4),
ultimato nell’aprile 2001, “fissa e precisa tutte le regole che permettono la
costruzione dei pannelli segnaletici per l’insieme delle situazioni e degli spazi viaggiatori”.
Come si può già intravedere da questa pur sommaria presentazione, le
regole esposte in queste raccolte riguardano numerose caratteristiche delle scritte. Anzitutto, vi sono regole che definiscono le proprietà grafiche dei
pannelli: indicano la taglia, la dimensione e il colore dei caratteri, dei simboli
e dei pittogrammi. Altre regole precisano poi la disposizione degli elementi
sui supporti, le loro rispettive posizioni e così via; specificano la natura, il materiale e il tipo di supporto e indicano per ciascun materiale (profilato metallico, PVC, light box e così via) la forma, il colore e le dimensioni precise.
Un gran numero di regole riguarda poi il contenuto linguistico dei pannelli, ovvero le diverse tipologie di nomi che devono figurare sul pannello
(ci torneremo nel capitolo 2), mentre altre precisano i principi di traduzione
di certi elementi in lingue straniere (inglese, tedesco, spagnolo, italiano).
Infine, alcune regole circoscrivono il posizionamento dei pannelli, in due
maniere: la posizione viene definita rispetto al supporto (in genere un muro,
ma a volte anche un plafone). In tal caso, il cartello della RATP, esso stesso
di dimensione standard, serve da griglia di allineamento. Allo stesso modo,
la posizione dei pannelli è definita in funzione dei luoghi. Ogni pannello fa
parte di una categoria che deve essere posizionata in modo specifico nello
spazio della stazione (ad esempio lungo una banchina, in cima a una scala
etc.).
Si nota dunque l’estrema precisione delle regole presenti nei tre volumi
della raccolta normativa, che segna anche una rottura radicale con i precedenti progetti segnaletici che riposavano su principi e concetti generali,
esposti in poche pagine. Pur indicando anch’essa qualche principio di massima, la nuova raccolta dettaglia sistematicamente le operazioni da compiere per applicare concretamente le regole.
Informazioni ai viaggiatori e scritte esposte
La nuova segnaletica è il punto d’arrivo di un processo le cui premesse risalgono agli anni Settanta con il programma teorico di Roger Tallon e che
hanno iniziato a consolidarsi all’inizio degli anni Novanta con il programma
“Autrement Bus”. In quel caso si iniziò un ripensamento radicale di alcuni
elementi essenziali della segnaletica, oltre alla creazione di nuovi elementi.
Fu il caso ad esempio della mappa della rete, che deve consentire di vedere
il più chiaramente possibile la globalità dei mezzi di trasporto (bus, metro,
RER) e dei piani di quartiere, che vennero posti come utili dispositivi di articolazione del servizio di trasporto urbano.
A partire da quel momento, la scritta diviene un ambito in cui l’azienda
si trova a investire risorse. Fino ad allora l’informazione ai viaggiatori era un
oggetto quasi esclusivamente orale, cruciale per poter assistere gli utenti
nei diversi imprevisti e incidenti che coinvolgono la rete (Grosjean, 1989;
Lacoste, 1997; Borzeix, 2001); ma con le prime significative trasformazioni
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|capitolo 1|
nella rete degli autobus, la segnaletica acquisisce un nuovo posto in seno
all’attività di informazione ai viaggiatori, ridefinendone il profilo stesso.
La scritta è ormai pensata come un vettore forte di comunicazione con i
viaggiatori e diviene una componente della qualità del servizio. Acquisendo
lo status di oggetto legittimo e persino strategico, la segnaletica modifica
profondamente l’economia linguistica delle relazioni con gli utenti. La necessità originaria di informare bene i viaggiatori ha una duplice valenza: annunciare le perturbazioni del traffico, e rendere più accessibile l’interazione
con agenti della RATP presenti nelle stazioni.
Come mostrano la raccolta di norme e la profonda riflessione teorica al
riguardo, l’ambizione del nuovo sistema accentua il movimento di investimento di energie nelle forme della scrittura segnaletica. L’attenzione per la
distribuzione degli elementi grafici nell’ambiente, l’importanza della colorimetria e le indicazioni precise al millimetro per la taglia dei pannelli e il loro
posizionamento nello spazio, mostrano che la segnaletica nel suo insieme è
intesa come un tipo di scrittura esposta. Per questo le qualità di esposizione
sono tanto importanti quanto le caratteristiche linguistiche o grafiche.
La nuova segnaletica viene così elevata al rango di quello che Petrucci
chiama un “programma di esposizione grafica”. Non solamente i suoi elementi destinati a “permettere la lettura al maggior numero di utenti (inclusi
gruppi o masse) e a distanza”, ma, secondo il progetto teorico elaborato da
Roger Tallon (Tallon e Jeudy, 1977), essi sono altresì concepiti come “una
serie di prodotti scritti omogenei e resi coerenti attraverso delle affinità grafiche formali e testuali, sempre provvisti di un marchio che ne consente
un’identificazione univoca” (Petrucci, 1993, p. 10). In tal modo, il dominio
della segnaletica supera ampiamente quello dell’informazione. Essa costituisce un vero e proprio dispositivo che organizza artefatti grafici in un sistema coerente destinato a contrassegnare diversi luoghi e a disegnare una
trama comune per le diverse modalità di trasporto. La segnaletica opera
una vera e propria gestione grafica dello spazio.
Per comprendere le discontinuità che tale rinnovato dispositivo segnaletico ha contribuito a creare nella politica della RATP, occorre collocarlo nel
contesto delle trasformazioni del servizio pubblico. Perché, se queste trasformazioni sono oggi ben note, esse non sono però mai state studiate dal
punto di vista del ruolo che occupa in esse la scrittura.
L’utente preso in considerazione: il servizio pubblico e la segnaletica
La progressiva installazione di una segnaletica sistematizzata negli spazi
della RATP partecipa al movimento generale di modernizzazione che, in varie forme, implica una rinnovata attenzione nei confronti dell’utente.
L’utente al centro del servizio
A partire dagli anni Ottanta, numerose ricerche hanno mostrato (e a volte
accompagnato) importanti rinnovamenti nell’azione dello stato e della sua
burocrazia, che li hanno sempre più avvicinati alle logiche del settore pri-
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vato, in particolare attraverso il modello della “relazione di servizio” (Weller,
1998). Il lavoro di Monjardet sulla polizia offre una delle prime analisi di tali
trasformazioni (Monjardet, 1985), mostrando come il lavoro ordinario nel
servizio pubblico diviene sempre più rivolto all’utente, spingendosi sino a
posizionare quest’ultimo al centro di un processo in cui il servizio non viene più prodotto in modo indipendente dalla relazione, ma viene elaborato
come una vera e propria “coproduzione” (Gadrey, 1994).
In settori diversi che vanno dall’amministrazione alla polizia, dai pompieri agli ospedali e naturalmente anche ai trasporti pubblici, si delinea dunque un imperativo sempre più forte a prendere in considerazione l’utente
(Joseph, 2004). In questo processo, la comunicazione è centrale. Le ricerche
svolte a partire da questo momento si sono focalizzate sul ruolo della interazione faccia a faccia e sulla riorganizzazione di quei mestieri destinati
a diventare lavori di reception, aiuto e informazione. Ciò ha consentito di
mettere in luce le nuove forme di presenza al pubblico, le nuove competenze che i diversi attori hanno dovuto acquisire (Weller, 1999) e la gestione
di nuovi regimi di disponibilità (Joseph, 1999).
Ma, accanto a questa relazione umana, occorre anche considerare la
parte sempre più importante occupata dai nuovi dispositivi che sovrintendono alla produzione e circolazione delle scritte. A partire dagli anni Novanta, la messa a disposizione di informazione è divenuta un ingrediente
importante della relazione di servizio: l’informatizzazione delle amministrazioni e la comparsa dei nuovi servizi in linea hanno ulteriormente rafforzato
questa tendenza. In parallelo all’accresciuta disponibilità degli agenti di servizio pubblico, la considerazione nei confronti degli utenti si è incarnata in
numerosi artefatti informativi che sono venuti a occupare un ruolo stabile
nel processo di co-produzione dei servizi. Nel caso dei servizi di trasporto,
questo fatto è estremamente visibile.
Le nuove scommesse del trasporto: accoglimento e supporto alla
mobilità
La centralità dell’utente nelle preoccupazioni dei responsabili della RATP
non è del tutto nuova. Ne troviamo le prime tracce nel processo di riorganizzazione sopra evocato, che ha avuto corso negli anni Settanta e ha
tracciato una prima ondata di modernizzazione.
Arriviamo agli anni 1972-1973 per trovare un accordo stabile
sul fatto che la RATP si debba comportare come una impresa
commerciale, vale a dire perché essa si dia come fine quello
del successo invece che della sola conservazione del modello
[…] II nuovo modello è quello di un’impresa che si rivolge a
un “utente”, un essere umano ridotto alla sua condizione di
soggetto trasportato. (L.C., Dipartimento dei sistemi dell’informazione e delle telecomunicazioni)
Nel corso del tempo, le preoccupazioni attorno agli utenti si sono sviluppate e specializzate. Negli anni Ottanta, vede la luce un vasto movimento
volto a reinventare lo spazio stesso del metro. Si vuole pulire lo spazio, liberarsi delle popolazioni indesiderate e lottare contro i graffiti.
34
|capitolo 1|
La pulizia è allora considerata come un elemento centrale per tenere a
bada il “sentimento di insicurezza” degli utenti, da sempre associato agli spazi sotterranei. La pulizia appare chiaramente come un fattore di mutamento
nella concezione del metro, che vede lo “spazio-trasporto” cedere il passo a
degli “spazi pubblici” (Kokoreff, 1992). Il movimento si accentua poi in seguito alla politica generale di rinnovamento delle stazioni (RNM) già richiamata
sopra, che pone la pulizia come esigenza primaria per la qualità degli spazi.
All’inizio degli anni Novanta si compirono i primi tentativi di semplificare
al massimo il possibile uso multimodale della rete RATP. Si tenne infatti un
consiglio di amministrazione interamente dedicato alla messa in atto di una
“politica di informazione ai viaggiatori”, in seguito al quale si stabilì che gli
agenti in servizio avrebbero dovuto favorire e spiegare la multimodalità. A
tal fine venne predisposto un “manuale dell’offerta multimodale per aiutare
gli agenti a meglio informare la clientela” (RATP, 1993, p. 13).
Il coinvolgimento del personale e la sua messa in contatto diretto con il
pubblico sono una tendenza che in seguito si è andata rafforzando, come
ben si vede nel progetto Météor, diventato linea 14, che si è tradotto in una
redistribuzione, all’interno delle stazioni, degli agenti interpellabili dall’utenza (Joseph, 2004). Si innescò un vasto piano strategico per portare i 20.000
agenti della RATP il più possibile a contatto con il pubblico e per sensibilizzarli alla necessità di farsi carico della parte relazionale del loro lavoro.
L’obiettivo divenne allora quello di creare una “relazione di servizio attento”
(Delmas, 2001).
Questo movimento generale traccia i contorni di una qualità di servizio
che ridefinisce sensibilmente le priorità e le sensibilità dell’azienda. In particolare, l’autorità di tutela, il Syndicat des Transports d’Île-de-France (STIF)
rivendica:
[…] un dovere di qualità ottimale del servizio, fondato sulle
esigenze crescenti del pubblico e dell’ambiente: adattamento del piano di trasporto, accoglienza e servizio, chiarezza
degli spazi, riparazione, ammodernamento e così via. (Kaminagai, 2001, p. 30)
L’accoglienza è dunque divenuta una dimensione essenziale del servizio
di trasporto. Oltre al coinvolgimento del personale e alla riabilitazione degli
spazi, la segnaletica è definita come uno strumento importante in questo
dominio.
L’evoluzione della segnaletica è una delle parti più visibili dei
programmi della RATP per migliorare la qualità degli spazi e
l’accoglienza dei viaggiatori. Essa accompagna infatti le azioni di riqualificazione e di miglioramento dell’accoglienza da
parte del personale […] e mostra una RATP attenta ai propri
clienti, ai loro bisogni e alla loro diversità. (Sancho di Coulhac
e Viaut, 1998, p. 9)
La segnaletica si ritrova all’interno di questo piano, giocandovi un ruolo
che simboleggia l’accoglienza e rappresenta l’impresa. Ma essa partecipa
anche a un movimento più generale di quello di un dispositivo funzionale: la preoccupazione crescente della RATP per l’informazione ai viaggiatori.
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Questa nozione si struttura nel corso degli anni 1993-94, nel momento del
rifacimento della segnaletica dei bus. Come abbiamo visto, una delle sfide
di quella riforma era di favorire l’adozione dell’offerta complessiva del trasporto, favorendo la multimodalità e riducendone il “rischio di incertezza”
(RATP, 1993, p. 2).
Per facilitare e incrementare l’uso però non è sufficiente accogliere bene
i clienti: è necessario anche fornire loro i mezzi per utilizzare la rete al meglio e il più facilmente possibile. L’informazione ai viaggiatori, con al centro
la segnaletica, è concepita in quanto dispositivo di aiuto: producendo un
sistema grafico coerente e installando numerosi elementi, inizialmente per
l’autobus, poi per l’insieme della rete multimodale, i promotori della nuova
segnaletica hanno messo a disposizione dei viaggiatori una serie di veri e
propri equipaggiamenti cognitivi.
Se su uno strumento non c’è scritto niente, se non è specificato il suo modo d’impiego non sappiamo come usarlo.
Qui la situazione è analoga: abbiamo dei viaggiatori in movimento, abbiamo degli spazi diversi tra loro, e non sappiamo
cosa succeda in cima a una scala o in fondo a un corridoio;
dunque la nostra scelta è stata quella di inserire i modi d’uso
direttamente sui muri della stazione. (L.T., Unità Concezione e
Identità degli Spazi)
Il crescente orientamento verso l’utenza nell’ambito della RATP ha condotto a una nuova definizione del servizio offerto. L’impresa infatti non si
limita più a offrire delle soluzioni di trasporto in senso stretto ma si presenta
come “un operatore di servizio e di supporto alla persona urbana mobile”
(Kaminagai, 2001, p. 30)7. In questo quadro la segnaletica gioca un ruolo imprescindibile di cerniera tra qualità del servizio e marketing. Dal momento
che essa inscrive negli spazi del metrò un sistema esplicativo che accentua
l’utilizzabilità del servizio, la segnaletica costituisce una risorsa cruciale per
garantire l’assistenza alla mobilità.
Conclusione: intelligibilità ed ecologia grafica
L’informazione ai viaggiatori è da lungo tempo ormai considerata come
un’attività essenziale per i servizi di trasporto, che in quanto tale fa esplicitamente parte delle missioni del servizio pubblico. Di conseguenza, l’informazione ai viaggiatori costituisce un oggetto di ricerca particolarmente
ricco per una sociologia attenta alle pratiche linguistiche, a condizione di
non considerarla come un campo rigido, che produce semplicemente una
gamma di messaggi da decrittare. Al contrario, seguendo Borzeix (2001), la
segnaletica va intesa come una produzione multiforme e complessa. Da
questa prospettiva essa appare al tempo stesso come una pratica distribuita nello spazio e nel tempo e come un lavoro delicato. Le poste in gioco
sono di notevole peso e riguardano la produzione dell’ordine sociale nel
7 Come vedremo nel prossimo capitolo, tale definizione non va comunque da sé e
non è ugualmente condivisa da tutti all’interno dell’impresa.
36
|capitolo 1|
senso etnometodologico. Questo lavoro si compone di quelle che Garfinkel
(1967, p. 1) ha chiamato “pratiche di accounting”, vale a dire azioni destinate
a rendere osservabili e comprensibili le situazioni ordinarie. Produrre informazioni di viaggio significa dunque assicurare una intelligibilità istituzionale
al servizio, far comprendere il ventaglio degli elementi ritenuti pertinenti
per gli utenti.
Per molto tempo questo tipo di lavoro è stato fondamentalmente limitato alle situazioni eccezionali (scioperi, incidenti…) e delegato a degli
agenti presenti nelle stazioni, o che intervenivano a distanza attraverso
annunci sonori (Grosjean, 1989). Joseph ha richiamato una trasformazione
importante di questa attività mostrando come la modernizzazione del servizio di trasporto si sia tradotta in nuovi regimi di disponibilità per gli agenti,
che sono stati invitati a rafforzare la loro presenza nelle stazioni e a mettersi
personalmente al servizio degli utenti per fornire loro indicazioni in qualsiasi momento (Joseph, 1999; 2004). In questo movimento, l’informazione ai
viaggiatori si è ampiamente emancipata dalle sole situazioni di emergenza.
La disponibilità degli agenti all’interazione con i clienti ha ampliato il campo
della comprensibilità del servizio ai tutti i momenti più ordinari della vita
della rete di trasporto.
In questo capitolo abbiamo mostrato che questo primo ampliamento è
stato accompagnato da un nuovo equilibrio nella delega dell’informazione
ai viaggiatori. Oggigiorno, essa non è più solo un compito umano ma è
anche affidata a una serie di artefatti disposti negli spazi del trasporto per
fornire altre forme di account nel senso di Garfinkel. La nuova segnaletica
instaura un’intelligibilità grafica che viene ad aggiungersi alle modalità di
interazione prevalenti in passato.
Tale intelligibilità presuppone la produzione di scritte esposte e si appoggia su un preciso “programma di esposizione grafica” (Petrucci, 1993). La
segnaletica è concepita come un vero e proprio dispositivo i cui elementi
sono sistematicamente concepiti in rapporto reciproco e il cui insieme prende la forma di un sistema normalizzato nei minimi dettagli. Il quadro della
sua messa in atto è tuttavia differente da quelli studiati da Petrucci: esso
non rileva infatti né della commemorazione né della cerimonia, né effettua
una marcatura di tipo politico e simbolico, come fanno le scritte esposte
dei regimi sui monumenti pubblici. La marcatura nel nostro caso è di tipo
operazionale. La segnaletica è composta di piccoli “oggetti organizzativi [organizational things]” (Garfinkel, 1996, p. 6) che partecipano attivamente alla
configurazione dei luoghi che equipaggiano.
La messa in ordine così effettuata trasforma profondamente i luoghi che
costituiscono la rete di trasporto, portando in primo luogo a una riscoperta
grafica dello spazio. Ogni corridoio, ogni banchina, ogni scala si vogliono
dotate di pannelli, affissioni o adesivi. Il dispositivo della segnaletica opera
un’organizzazione grafica dello spazio: produce un ambiente iper-semiotizzato dedicato alla mobilità, nel quale le esigenze ordinarie degli spostamenti quotidiani possono disporre di una serie di sostegni. L’intelligibilità degli
spazi di trasporto si attua dunque in modo doppiamente ecologico. Da
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una parte, si compie attraverso la gestione di questo territorio ibrido dove
l’architettura e la segnaletica vengono strettamente articolate. Dall’altra,
risulta dalla messa a sistema di moduli grafici che vengono forniti ai viaggiatori come equipaggiamento per le loro attività. Queste ultime possono
allora venire distribuite nell’ambiente, sul modello delle teorie ecologiche
dell’azione e della cognizione (Suchman, 1987; Lave, 1988; Hutchins, 1995)
le quali hanno mostrato come le operazioni più ordinarie riposino su una
cooperazione tra le persone e gli oggetti che le circondano. Pensati per fare
agire insieme gli artefatti e i viaggiatori, i dispositivi segnaletici definiscono
un’ecologia cooperativa negli spazi del metrò.
L’ecologia grafica così prodotta partecipa a un’altra modificazione sensibile del luogo. Negli anni Ottanta gli spazi del metrò sono stati profondamente ripensati, dietro la spinta di un “cambiamento di regime di funzionamento
in rete che vede riattualizzarsi sia il rapporto strutturale tra la funzione movimento e la funzione stazione, sia quello tra città e metro” (Kokoreff, 1992, p.
60): lo spazio di trasporto si è poco a poco costituito come spazio pubblico,
nutrito di legami forti con la città, creando così “uno spazio-tempo che fa
parte integrante dell’urbano e dell’urbanità” (p. 61). Kokoref mostra che tale
riattualizzazione non è stata senza scosse, proprio perché ha aperto i luoghi
di trasporto a tutti i rischi della città, incluse, ad esempio, devianza e criminalità. Partendo da un oggetto sensibilmente diverso dal nostro (la pulizia),
Kokoref ha messo in luce una strategia alternativa che comincia a delinearsi
all’inizio degli anni Novanta, attraverso la quale “si è cercato di prolungare
[…] una logica di funzionamento puramente circolatoria” (Kokoref, 1992, p.
61). Il dispositivo della segnaletica ci sembra partecipare pienamente di tale
logica. La gestione grafica che essa opera modifica lo spazio per fabbricare
un ambiente circolatorio, un luogo dedicato alla mobilità, predisposto a tale
attività, al tempo stesso individuale e collettiva. Si definisce così una ecologia grafica all’interno della quale i viaggiatori sono invitati a immergersi per
beneficiare in modo adeguato del servizio di trasporto.
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|capitolo 2|
Capitolo 2
Il lavoro della segnaletica
Il processo [di far funzionare le cose] consiste in una serie
di strategie e contro-strategie di interazione adottate dai
partecipanti in risposta a quanto viene detto o fatto da altri partecipanti durante il processo organizzativo […] Simili
strategie includono ad esempio la negoziazione, il compromesso, la discussione, l’educazione, la persuasione, il lobbying, la dominazione, la minaccia e la coercizione. (Corbin e
Strauss, 1993, p. 73)
La segnaletica della RATP è fondata su un vero e proprio programma, teorico e strategico, presentato in numerosi documenti che definiscono dei
principi generali di organizzazione grafica degli spazi e le regole precise da
seguire nella loro composizione e installazione. Da questo punto di vista,
la gestione grafica può essere considerata come l’operatore di un ordine
immutabile che non può evolversi che marginalmente e che, dal punto di
vista della nostra ricerca, può venire compresa solo attraverso l’analisi dei
segni nel loro contesto d’esposizione.
Ma tale ordine non funziona da solo, e i testi su cui si sostiene, per quanto normativi essi siano, non bastano a spiegare il reale ambiente grafico
delle stazioni del metrò. Il processo di creazione dell’intelligibilità degli spazi
su cui si fonda il programma segnaletico della RATP si basa in gran parte su
una serie di operazioni concrete ripetute quotidianamente. Tali operazioni
sono a loro volta organizzate in compiti, servizi e ruoli. In altre parole, superato il tempo dell’innovazione (cioè quello della concezione e della normalizzazione), il dispositivo passa attraverso una serie di snodi che assicurano
di giorno in giorno la sua esistenza.
Gli innumerevoli pannelli, pittogrammi, nomi delle destinazioni e frecce
di vario tipo sono presi in consegna da dei portavoce che si fanno carico
di difendere l’importanza della segnaletica tanto nei corridoi dell’azienda
quanto in quelli delle stazioni.
Tutti questi snodi possono essere studiati da due punti di vista: anzitutto
dal punto di vista dei luoghi formali che vengono attribuiti alla segnaletica all’interno dell’organizzazione collettiva del lavoro; poi dal punto di vista
delle attività ordinarie, non sempre ufficiali o riconosciute, che formano la
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vita quotidiana della segnaletica.
Focalizzarsi sulla dinamica dell’organizzazione del lavoro permette di osservare il panorama storico tracciato nel capitolo precedente evidenziando
la grande fragilità del dispositivo segnaletico all’interno dell’impresa. Poco
numerosi e spesso isolati, in un mondo che resta in larga misura di tipo
industriale, i portavoce della segnaletica partecipano di continuo all’installazione dei pannelli tanto negli spazi di trasporto che nell’attenzione dei loro
colleghi più o meno prossimi.
L’organizzazione formale delle attività
Tre dipartimenti chiaramente identificati nell’organigramma della RATP
hanno nel proprio mandato una presa in carico specifica della segnaletica e
ne costituiscono altrettanti punti nevralgici.
Il primo è il dipartimento degli Spazi e del Patrimonio (ESP), la cui unità
denominata Concezione e Identità degli Spazi (CIE) è responsabile delle norme della segnaletica multimodale della RATP. L’unità CIE redige e aggiorna
l’insieme dei documenti di riferimento in materia di spazio viaggiatori, in cui
la segnaletica ha un ruolo essenziale. Due persone, aiutate da un assistente,
vi si dedicano in modo esclusivo; sono incaricate di scrivere e aggiornare le
norme segnaletiche e i documenti annessi che sostengono la standardizzazione grafica degli spazi del metrò. Una di queste si occupa, ad esempio,
della “carta della denominazione”, che inquadra le scelte lessicali dei nomi
delle stazioni e delle fermate così come dei monumenti che compaiono
nelle stazioni. L’altra, al momento della nostra ricerca, era impegnata nel terminare la carta della cosiddetta pubblicità “fuori media”, in cui sono precisati
tutti i principi che devono presiedere all’installazione di dispositivi pubblicitari diversi dalle locandine consuete. Su tale attività torneremo in seguito.
Per ora basti rilevare come tutti questi elementi di standardizzazione siano
inseriti in un database in rete che permette una consultazione istantanea.
L’impresa è altresì dotata, all’interno del dipartimento di ingegneria (ING),
di uno ufficio strettamente legato all’unità CIE e specializzato nella segnaletica (tra le 6 e le 7 persone). Questo ufficio, connesso all’unità “Infrastruttura,
Gestione ed Edifici” (IAB, in francese), realizza gli studi sulla segnaletica per
le stazioni del RER, del metrò, del tram e ferroviarie, oltre a seguire gli studi
specifici commissionati a terze parti.
Nel 2000 è stato creato un altro dipartimento, posto ancor più al cuore
del processo: il dipartimento di manutenzione della segnaletica, divisione
della delegazione alla manutenzione degli equipaggiamenti e dei sistemi
spaziali (M2E). Questo dipartimento comprende una ventina di persone,
di cui nove si occupano specificamente della segnaletica del metrò. Tra di
esse, tre restano tutta la giornata nell’atelier di produzione, dove fabbricano
i pannelli provvisori (stampati su PVC) e disegnano al computer i pannelli definitivi (in metallo) che vengono poi ordinati a fornitori esterni. Altre
quattro persone circolano per la rete del metrò e del RER, in squadre di due
componenti, prendendo le misure per ordinare i pannelli da sostituire. Una
volta che i pannelli sono stati fabbricati, gli addetti tornano nella stazione
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|capitolo 2|
per installarli. Fabbricanti e manutentori hanno lo stesso responsabile gerarchico che gestisce la manutenzione della segnaletica del metrò. Ogni
mattina, il responsabile distribuisce le consegne di lavoro da svolgere alle
squadre, affronta i casi più complessi, sollecita i fornitori e così via. Un’altra
persona circola poi da sola per la rete, in particolare nelle stazioni in corso
di rinnovamento nel quadro del programma RNM: il suo lavoro consiste nel
verificare che tutte le nuove stazioni siano a norma rispetto agli standard
della segnaletica (numero di pannelli, contenuto, piazzamento e così via).
Oltre a queste tre entità, altre figure all’interno dell’impresa si occupano
di segnaletica, anche se essa non costituisce la loro attività centrale. Si tratta
in primo luogo dei referenti di stazione. Il lavoro dei referenti, in quanto
responsabili dell’insieme di una stazione (o più di una) consiste, tra l’altro,
nel sorvegliare lo stato degli spazi. Ogni giorno essi effettuano una o più
uscite, a seconda della dimensione della stazione, per notare e segnalare
le situazioni anomale. I formulari di controllo che sono tenuti a riempire
comprendono una serie di fattispecie specifiche riguardanti la segnaletica
(figura 5, elemento 2.2.9). Il loro lavoro consiste cioè nel rilevare i problemi
ed effettuare la segnalazione attraverso un programma di gestione condivisa. Ogni segnalazione si trasforma in una domanda di intervento, ovvero
un “ordine di intervento”, immediatamente stampato dal dipartimento di
manutenzione della segnaletica e distribuito quotidianamente alle squadre
della manutenzione che partono alla volta delle stazioni. Dopo che sono
state prese le misure, fabbricati e installati i pannelli, i manutentori segnano
che l’intervento è stato compiuto, in modo da chiudere la domanda.
I referenti di stazione intervengono dunque a monte della catena delle attività, facendo partire gli interventi degli agenti di manutenzione. Ma
l’attenzione che i referenti di stazione devono dedicare agli elementi della
segnaletica durante il loro quotidiano giro di controllo è anche parte di una
catena ben più articolata, in cui il dipartimento incaricato di valutare la qualità del servizio della RATP gioca un ruolo importante. Come abbiamo già
visto nel primo capitolo, lo stato dell’ambiente è una dimensione centrale
nella strategia dell’impresa. La pulizia degli spazi e l’efficacia del sistema segnaletico sono al centro del servizio di trasporto, ridefinito come strumento
di aiuto alla mobilità. Di conseguenza, il giro di controllo delle stazioni è
un’operazione chiave nel raggiungimento quotidiano di tali obiettivi e il lavoro degli agenti che lo realizzano è fortemente strutturato.
Essa fa inoltre intervenire un secondo tipo di attori: i “viaggiatori misteriosi”. Direttamente ispirata alla metodologia dei cosiddetti “clienti misteriosi” nelle pratiche di marketing, l’attività dei viaggiatori misteriosi è al centro
del dispositivo di controllo che permette di valutare e sanzionare il lavoro
degli agenti di stazione. Ingaggiati da una società di audit esterna, i viaggiatori misteriosi effettuano a propria volta una serie di viaggi in incognito
per annotare scrupolosamente tutte le anomalie degli spazi (i “segni di non
conformità”) nei loro formulari.
Il controllo delle stazioni è estremamente consolidato, il che conferma
l’importanza di tali spazi per la qualità del servizio della RATP. Basti pensa-
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re che ogni stazione viene visitata tra le due e le 50 volte al mese. La lista
degli elementi rilevati dai viaggiatori misteriosi è alquanto dettagliata. Gli
elementi 36 e 60, in particolare, fanno riferimento alla segnaletica (figura 6).
Essi mirano infatti a rilevare diversi tipi di anomalie: un pannello può essere
deteriorato, mancante, o difettoso (ad esempio se è di tipo luminoso).
Ogni elemento è dotato di punti di penalità calcolati in centesimi, la cui
somma produce una valutazione generale dello stato della stazione. Una
media annuale delle stazioni, divise per ciascuna linea, è resa pubblica ed è
oggetto di discussioni tra la RATP e la sua autorità di tutela, lo STIF (Syndicat
des Transports d’Ile-de-France). Se gli obiettivi definiti per l’anno in corso
non sono stati raggiunti, vengono comminate sanzioni sul budget. Giorno
per giorno, le valutazioni dei controllori conducono alla raccolta di una serie
di “percorsi non-conformi” (PNC) affetti da una lista di anomalie (figura 7).
Tali anomalie vengono comunicate ai responsabili delle linee e delle stazioni che devono fare quanto è in loro potere per rimettere al più presto le
cose in buono stato. Per quanto concerne le loro competenze (nella figura
7, ad esempio il caso dei primi due elementi: “pannello” e “cassone”), anche
gli agenti di manutenzione della segnaletica sono sollecitati.
L’attività dei viaggiatori misteriosi si situa a monte delle operazioni di
manutenzione in senso stretto. Essa infatti inquadra in modo vincolante
l’azione degli agenti di stazione, in quanto i giri di questi ultimi tendono a
rispecchiare quelli dei primi. La preoccupazione per gli spazi dei viaggiatori
supera dunque ampiamente il semplice ricorso a un manuale di buone pratiche: le procedure sono precise e i responsabili di stazione vengono spinti
a produrre risultati precisi che sono poi oggetto di verifica.
Questo dispositivo organizzativo mostra bene l’importanza dei mezzi
che vengono messi in opera per assicurare quotidianamente una qualità
degli spazi; quest’ultima supera la dimensione del trasporto in senso stretto (puntualità, numero di treni, e così via) per reinserire la questione dello
spazio al centro della relazione di servizio, anche se la segnaletica vi occupa uno spazio marginale. Seguendo gli agenti di stazione nei loro giri di
ispezione, abbiamo potuto apprezzare la natura del loro lavoro e il ruolo
secondario che la segnaletica occupa all’interno di esso. Si evidenzia così la
differenza tra i dipartimenti specializzati in segnaletica e quelli per i quali i
pannelli direzionali e le altre targhe segnaletiche non sono che oggetti tra
molti altri, di cui alcuni sono senza dubbio primari per la loro attività (come,
ad esempio la rilevazione dello stato dell’illuminazione o della presenza di
cattivi odori).
La segnaletica, che è al centro dell’attenzione nei dipartimenti della
normalizzazione e manutenzione, si presenta come un elemento piuttosto
fragile dal punto di vista di chi lavora nelle stazioni, e il numero di persone
che vi si dedicano a tempo pieno pare poca cosa rispetto al numero di pannelli che popolano la rete del metrò e al numero complessivo di impiegati
dell’impresa. È per questo motivo che non possiamo dire che la RATP assegni alla segnaletica un ruolo centrale. Esiste in questo senso una forte dissonanza tra la posizione strategica della segnaletica in seno all’ampio movi-
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|capitolo 2|
mento di modernizzazione del servizio di trasporto, da una parte, e il poco
spazio che le viene effettivamente assegnato nell’organizzazione del lavoro,
dall’altra. Tale dissonanza non è stata rilevata soltanto dalla nostra ricerca,
al contrario, essa costituisce oggetto di preoccupazione da parte di alcuni
membri della RATP e si traduce in attività specifiche che superano il quadro
di lavoro descritto sin qui. I pochi impiegati che si dedicano alla segnaletica
a tempo pieno si fanno veri e propri portavoce della sua importanza agli
occhi degli altri colleghi.
Un lavoro interstiziale
Il lavoro che assicura alla segnaletica un’esistenza effettiva negli spazi del
metrò si attua secondo quattro assi principali: far vivere la norma, convincere dell’importanza della segnaletica, prendere posizione e regolare. In primo
luogo si tratta di realizzare diverse operazioni che permettono alla norma di
non restare solo un documento inerte, ma di andare a produrre una serie
di punti di appoggio operativi per un gran numero di persone all’interno
dell’impresa. La funzione di quest’asse è dunque quella di dare alla segnaletica stessa un riconoscimento in un mondo che la ignora o addirittura la
critica. Si innesca così un processo organizzativo più generale in cui i rappresentanti della segnaletica divengono collaboratori fondamentali per la
realizzazione dei grandi progetti. In ultimo, una parte del lavoro è immediatamente operativa in quanto consiste nel cercare di organizzare in nome
dei principi della segnaletica, il luogo in cui altri impiegati dell’impresa si
troveranno ad operare.
Far vivere la norma
Nelle situazioni di lavoro ordinario le regole non si riducono a dei semplici
documenti scritti, né a quel che gli operatori possono ricordare della loro
formulazione verbale. Le regole infatti non possono divenire risorse per
l’azione che a condizione di venire pronunciate e tradotte da diversi intermediari umani e non umani (Denis, 2007). In particolare, la norma che definisce precisamente le condizioni di esistenza della segnaletica necessita
di una mediazione tecnica, essendo conservata all’interno di un database
elettronico. Tale intermediario rivela il suo potere quando viene utilizzato
dalle persone incaricate di fabbricare i pannelli nell’ambito della manutenzione della segnaletica. Tanto la base informatica quando il suo supporto
cartaceo sono strumenti quotidiani che offrono un tracciato solido per il
lavoro di produzione della segnaletica. Queste due versioni sono essenziali per condurre in porto progetti importanti (ad esempio l’apertura di una
nuova stazione, o un rinnovamento completo), in cui la realizzazione della
segnaletica, a partire dalla progettazione fino all’installazione, passando per
la fabbricazione, viene esternalizzata. L’accesso al database fa parte dunque
degli annessi tecnici che permettono all’appaltatore dell’incarico di eseguire il compito in modo adeguato. Ma la sua importanza in effetti si riduce
non appena usciamo da questo quadro. Il criterio di efficienza presupporrebbe che per ciascun progetto concernente la segnaletica, ma che non
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passa direttamente per il servizio di manutenzione, le persone interessate
si prendano il tempo di tuffarsi nei dati per trovare a quale categoria collegare la loro operazione, estraendo di volta in volta le regole pertinenti. Ma
ciò è tanto più difficile in quanto di solito si tratta di situazioni rare, oltre al
fatto che i responsabili di progetto non conoscono specificamente il campo
d’azione concreto.
A questo punto, l’unità CIE (Concezione e Identità degli Spazi), che è
incaricata della omologazione, gioca un ruolo di sostegno importante. I
suoi due responsabili intervengono a diversi livelli: essi sono in primo luogo dei consiglieri, referenti di ultima istanza per l’interpretazione di norme
particolarmente difficili. Nei casi più complicati, questa unità viene coinvolta per fornire una “assistenza alla realizzazione”. A volte, può delinearsi una
situazione non prevista e la risoluzione stessa del problema conduce alla
redazione di nuovi paragrafi della norma. I responsabili della normalizzazione controllano altresì a valle il lavoro dei validatori, verificando lo stato
dei progetti esternalizzati, oltre che dei progetti più modesti ormai in via di
ultimazione.
Quest’ultima attività rivela anche la difficile dinamica di affermazione
della esigenze della segnaletica e dei suoi principi all’interno dell’impresa. I
responsabili si vedono in effetti atterrare sul tavolo dei progetti di affissioni
o di adesivi, generalmente destinati agli spazi di trasporto o alle vetture, che
ignorano completamente gli standard anche più elementari da seguire, ad
es. il font di carattere. In queste situazioni, è necessario a volte transigere
e accettare soluzioni che si discostano in qualche misura dalla norma. Ma
a volte può capitare che uno dei responsabili giudichi impossibile lasciar
passare un progetto così com’è ed esiga che venga rifatto da zero, persino
se gli elementi da installare sono già stati stampati, creando in tal modo una
certa tensione con i committenti.
L’unità [CIE] infatti riceve spesso richieste di manutenzione
del tipo: “Il concessionario mi chiede di fare tale o tale cosa,
ecco la mia proposta”. A volte va bene e non c’è nulla da ridire.
E se vi sono più domande dello stesso tipo è possibile tradurre la soluzione prescelta in una nuova norma. Al contrario,
però, se la cosa non funziona, noi rispondiamo: “No, la norma
non permette di fare questo o quello”, cosicché il manutentore può rifiutarsi di prendersi cura del pannello in questione.
(L.T., unità Concezione e Identità degli Spazi)
Questa attività di validazione e correzione rappresenta gran parte del lavoro dei responsabili del servizio di normalizzazione e mostra chiaramente
che, per quanto precisa una norma possa essere, essa è pur sempre vivente
e si rende necessario un lavoro quotidiano per mantenerla in vigore. D’altra
parte, ciò non mostra che una faccia della questione, quella delle domande
di consiglio e validazione che pervengono al servizio. L’esperienza dei due
responsabili dello spazio del metrò, analoga a quella che abbiamo sperimentato nei nostri percorsi fotografici (vedi sopra), mostra che un gran numero di iniziative vengono realizzate in altro modo. Ciò sottolinea ancora gli
scarsi mezzi organizzativi messi a disposizione della segnaletica. Se gli agen-
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|capitolo 2|
ti delle stazioni sono incaricati di identificare pannelli rotti o mancanti, non
c’è nessuno che effettui un controllo della normalizzazione che permetta di
valutare tutti gli scarti dalla norma. Solo chi è direttamente incaricato della
segnaletica se ne occupa, a volte persino fuori dall’orario ufficiale di lavoro.
È il caso ad esempio dei responsabili della normalizzazione, i quali, nel corso dei loro spostamenti, annotano i problemi che incontrano e cercano di
trovare i mezzi più adatti per correggerli. È anche il caso dei manutentori,
che sono generalmente attenti a tutti gli scarti rispetto a una norma che
conoscono ormai a memoria, e che a volte prendono persino l’iniziativa di
aggiornare elementi che ritengono obsoleti.
David e Jonathan arrivano in una stazione in cui ci sono due
interventi da fare. Il primo concerne un pannello provvisorio nella sala, sul quale occorre aggiungere un adesivo per
coprire una delle due direzioni della linea 14 (Bibliothèque
François Mitterrand) e sostituirla con il nome del nuovo terminal (Olympiades). Il secondo è più impegnativo: devono
sostituire il pannello di un cassone luminoso. David effettua
rapidamente la prima operazione. Entrando in stazione studia attentamente i pannelli direzionali delle due banchine.
Spiega all’etnografo che l’accompagna di aver portato con sé
vari formati di adesivo indicanti la stazione Olympiades. Indica la banchina antistante: i tre pannelli che vi figurano hanno
ancora il nome del vecchio terminal. “Beh, quelli non li dovrei
neppure fare. Non fa parte dei due OL [Ordini di Lavoro] di
oggi per questa stazione. Ma visto che sono qui faccio anche
quelli”.
L’esistenza di quelle che possono apparire come delle vere e proprie
aberrazioni rispetto agli standard della segnaletica mostra che spazi vasti e
complessi come quelli di una rete metropolitana non possono mai essere
completamente standardizzati dal punto di vista tecnico. Fenomeni come
usura ed errori sono sempre presenti. Ma dal punto di vista dell’impresa, e
agli occhi degli impiegati addetti specificamente alla segnaletica, questo
mostra che la segnaletica stessa non è affatto secondaria. Tali mancanze
sono il bersaglio di una seconda dimensione del loro lavoro.
Convincere
Le persone che abbiamo incontrato nel corso della nostra ricerca ce lo hanno spesso ripetuto: la segnaletica non è certo una preoccupazione centrale
per la maggior parte degli impiegati della RATP. Le ragioni sarebbero due:
anzitutto questo dominio e questo mestiere non vengono ben compresi
dai non specialisti. Lo abbiamo visto: uno dei principi fondamentali della
segnaletica risiede in una standardizzazione degli elementi grafici che assicura la loro ripetizione identica su tutta la rete. Questo punto spesso non
viene ben compreso da chi si interessa soprattutto al messaggio che i pannelli debbono veicolare, vale a dire al loro contenuto linguistico. Le forme,
i colori, le specificità tipografiche vengono percepite come degli elementi
decorativi di secondaria importanza e che riguardano soprattutto gusti personali. La loro normalizzazione sembra allora superflua, se non addirittura
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incongrua.
Questo primo tipo di incomprensione è facilmente accettato dai responsabili della segnaletica, anche se a volte ciò rende il loro lavoro quotidiano
più lento. La vera difficoltà si situa però ad un secondo livello: la segnaletica
non è solo mal compresa ma anche mal vista da molti nell’azienda. Essa
stenta a trovare un suo posto in un mondo di ingegneri dove l’interesse per
i segni e i pannelli informativi è di tipo prevalentemente tecnico.
Che vi sia un tasso di errore è normale, dato il numero di targhe e dato il numero di persone che le disegnano, le compongono e le fabbricano. Su una tale mole numerica è normale commettere qualche errore. Ma vi sono anche molti
che semplicemente non vi prestano attenzione. Penso che
sia perché sembra un elemento non particolarmente importante. […] Questa è un’impresa dominata dai tecnici, sono gli
stessi tecnici che fanno andare i treni, e anche bene peraltro.
Ma così i pannelli... sembrano secondari. (L.T., unità Concezione e Identità degli Spazi)
Tra i vari servizi della RATP si delinea chiaramente una linea di frattura
tra un mondo industriale, storico, molto ben rappresentato, e un mondo
del servizio commerciale, più recente, in cui si sviluppa il discorso della considerazione del cliente. Una parte del lavoro delle persone incaricate della
segnaletica consiste nell’attraversare questo confine, per cercare di convincere una parte dei loro colleghi della legittimità del loro oggetto. Questo
tentativo percorre un gran numero di scambi ordinari, ad esempio quando
si tratta di approvare un nuovo progetto del servizio di normalizzazione, o
all’occorrenza di un incontro tra i manutentori e i responsabili di stazione.
Tali situazioni offrono altrettante opportunità di mostrare in modo concreto
l’importanza della segnaletica.
Herbert e Léonard hanno appena sostituito un pannello in
una stazione. Uscendo, incrociano l’agente di stazione che si
stupisce persino di vedere una squadra per la manutenzione
della segnaletica. Questa mattina facendo il suo giro di controllo, aveva pensato che il vecchio pannello fosse stato sostituito il giorno prima. Léonard si mostra sorpreso a propria
volta : “Ah, beh, no. Non era a norma: tutte quelle scritte in
maiuscolo vanno sostituite”. Più tardi, sottolinea all’etnografo il motivo di questo genere di conversazioni: ogni volta, gli
tocca far presente agli agenti di stazione l’entrata in vigore
delle nuove norme. Ai suoi occhi, gli agenti di stazione non
vi fanno neppure caso e non sarebbero in grado di notare la
differenza tra i vecchi e i nuovi standard. Non si tratta tanto
di ricordare la norma nella sua formulazione rigida, quanto di
comprendere e far sentire le ragioni pratiche che ne costituiscono lo spirito.
Oltre a questi scambi occasionali, i membri del servizio normalizzazione
svolgono anche l’attività di portavoce più ufficiali, organizzando una serie
di incontri in cui proiettano delle diapositive per illustrare in modo dettagliato tutte le questioni che riguardano la segnaletica. La presentazione si
compone di 88 diapositive divise in quattro parti. La prima parte, intitolata
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|capitolo 2|
“Una lingua visuale”, è la più importante per i nostri fini. Essa articola, in 39
diapositive, tutti i fondamenti teorici della segnaletica, elaborati sulla base
di numerose ricerche. Vengono definiti sistematicamente illustrati i principi
che reggono le scelte dei progettisti. Vi si trovano spiegati la tipografia, l’uso
delle maiuscole e minuscole, i contrasti, i colori, l’uso dei simboli, ma anche
i principi di gerarchizzazione delle informazioni, di invarianza formale e di
modularità. La presentazione si chiude sulla dimensione “enunciativa” della segnaletica, mostrando non solo come questa conferisca agli spazi del
trasporto una “personalità grafica”, ma anche come molti dei suoi elementi
vengano di fatto ripresi da soggetti esterni (media, pubblicità) per caratterizzare la RATP nel suo complesso. Nel terzo capitolo, torneremo su alcuni di
questi dettagli. Per ora accontentiamoci di notare ancora un particolare.
La presentazione che stiamo analizzando insiste molto sul carattere organico e riflessivo della segnaletica, ripetendo che la segnaletica è il frutto
di ricerche effettuate da specialisti di domini molto diversi: sociologia, psicologia, oftalmologia, semiotica e così via. Allo stesso tempo la presentazione
cerca di mostrare la correttezza di ciascuna scelta facendola provare direttamente all’osservatore. Vengono ad esempio sottoposti dei casi paradossali (figura 8), numerosi confronti tra gli elementi antichi della segnaletica e
quelli nuovi, e una serie di test come quello in figura 9, in cui la leggibilità
della parola effeuiller [sfogliare] viene confrontata nel caso della scritta in
minuscole o in maiuscole.
Le altre due parti della presentazione sono di natura più descrittiva: la
seconda, molto breve, insiste sul carattere “normato” della segnaletica, attraverso alcuni esempi presi dal codice degli spazi per i viaggiatori. La terza
parte espone gli elementi essenziali che compongono la segnaletica. Infine, la quarta parte descrive l’insieme delle procedure organizzative che
reggono i progetti che riguardano la segnaletica. Questa presentazione di
diapositive, insomma, si presenta come uno strumento utile per cercare di
far penetrare la segnaletica come sistema comunicativo all’interno del mondo industriale degli operatori, mostrando la dimensione scientifica del lavoro che ha presieduto alla sua concezione e facendone una dimostrazione
dell’efficacia delle soluzioni adottate.
L’intelligibilità grafica dell’ambiente esterno si trova dunque raddoppiata in una intelligibilità interna del sistema segnaletico che svolge un ruolo
importante in quanto assicura la stabilità del dispositivo. Né la designazione
di figure professionali dedicate, né le norme e le persone che se ne fanno
carico bastano ad assicurare la solidità di un sistema di artefatti grafici allo
stesso tempo così dettagliato ed esteso.
Tale dimensione di lavoro è trasversale: consiste in una sorta di missione
che attraversa diversi dipartimenti, in cui si tratta di portare la buona novella della segnaletica. Per contro, assicurare una collocazione alla segnaletica
all’interno dell’impresa passa per un processo sensibilmente differente, poiché in tal caso non è più questione di dipartimenti da sensibilizzare, ma di
circuiti organizzativi in via di costituzione.
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Prendere posizione
L’organizzazione dei trasporti parigini non può essere studiata come semplice gestione ordinaria di una rete fissa. Oltre ai fattori di casualità di qualsiasi attività quotidiana, l’impresa è costantemente attraversata da ondate
di innovazione e da progetti di grande ampiezza. Questi progetti seguono
una loro traiettoria e scompaginano i processi organizzativi tradizionali. Per
questo anche il servizio di normalizzazione della segnaletica non può dare
per scontato il proprio ruolo formalmente stabilito di “assistenza all’utilizzo”.
Molti progetti possono infatti procedere senza che i rappresentanti della
segnaletica vengano coinvolti, e ciò darà senz’altro luogo a delle “aberrazioni” ben più imponenti che non i semplici errori o incoerenze residuali che
possono persistere sulla rete.
Durante la nostra ricerca, ad esempio, abbiamo individuato due casi di
tali aberrazioni, sintomatici per noi della fragilità del ruolo della segnaletica.
Il primo ha a che fare con la linea T3 del tram, che percorre una parte dei
Boulevards des Maréchaux. Tra le numerose operazioni che riguardano un
progetto molto ampio di rinnovamento, quelle che coinvolgono il design
(ad esempio, delle vetture, delle stazioni e del loro arredo) risultano particolarmente strategiche, tanto più che si tratta di un mezzo di trasporto
terrestre che ha una presenza marcata nel paesaggio urbano. Al momento
della consegna del progetto redatto da parte di una equipe guidata da un
noto designer internazionale, alcuni responsabili della RATP si sono però
accorti di un problema. Per cercare di produrre un mezzo il più possibile
trasparente e integrato alla città, il designer non aveva previsto di equipaggiare la pensilina di ciascuna stazione con il nome della stessa. Nel progetto
consegnato non c’era neppure un piano della linea o un elenco delle fermate. La targa, elemento fondante ed essenziale della segnaletica, era stato
rimosso senza neppure una parola. Questa assenza, rilevata molto tardi nel
processo di produzione della linea, ha dato luogo a una ripresa in extremis
da parte dei responsabili della normalizzazione che hanno redatto un nuovo annesso, obbligando il designer a rivedere il suo progetto e ad integrarvi
gli elementi essenziali della segnaletica.
Questo episodio è interessante non solo per la reazione che ha suscitato
nell’unità di normalizzazione della segnaletica, ma anche per l’eco più ampia
che ha avuto: questa peripezia infatti è stata l’occasione per ripensare anche
il progetto successivo. Per la progettazione di un nuovo allestimento (si tratta dell’allestimento, non ancora realizzato, che verrà utilizzato per la linea T6
Châtillon-Vélizy), un responsabile della normalizzazione della segnaletica è
stato inserito fin dall’inizio nel gruppo di lavoro. Gli elementi della segnaletica sono stati integrati nelle varianti del progetto e il referente in questione
ha fatto parte dei membri della giuria per la selezione del designer. Attraverso i propri portavoce, la segnaletica è dunque risalita a monte del corso
progettuale per diventare una preoccupazione non più trascurabile.
Se questo caso risulta particolarmente chiaro, ciò è senza dubbio perché
riguarda la creazione di una intera linea di tram, mezzo di trasporto però
fortemente minoritario nell’ambito dell’offerta della RATP. Una situazione
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|capitolo 2|
analoga si è prodotta comunque anche nel caso del metrò. Come abbiamo
già evocato, a partire dalla fine degli anni Novanta è stato avviato un ampio
programma di rinnovamento delle stazioni, noto come RNM. In questo quadro, un numero importante di stazioni è stato completamente ri-allestito: le
stazioni sono rimaste chiuse per un periodo anche di alcuni mesi al fine di
sostituire completamente tutta una serie di equipaggiamenti per i viaggiatori (corridori, luci, segnaletica e così via). Il grosso di questo rinnovamento
è stato realizzato da ditte appaltatrici, a cui sono stati forniti degli schemi
estremamente dettagliati per condurre l’insieme delle operazioni di rinnovamento, ivi compresa l’installazione di pannelli il cui contenuto e la cui
collocazione erano stabiliti da norme precise. Ma, nonostante tutti i dettagli
fossero stati scrupolosamente specificati, la consegna delle prime stazioni
restaurate ha dato luogo a problemi importanti: alcune stazioni erano state
considerate come completate ancor prima dell’installazione dei pannelli. Il
servizio di manutenzione si è trovato così a dover supplire d’urgenza, con
il proprio budget, alla realizzazione di pannelli provvisori destinati alla stazione nuova fiammante. Anche in questo caso il lavoro della segnaletica è
consistito nel riuscire a far intervenire il prima possibile il proprio portavoce
all’interno del processo in corso:
Siamo riusciti a metterci d’accordo [con i responsabili di RNM]
e abbiamo fatto un partenariato in modo che alla conclusione di ogni rifacimento abbiamo visitato insieme la stazione,
gli abbiamo segnalato cosa non andava; essi lo accettavano o
meno, si discuteva e quindi noi ci impegnavamo a sistemare
le cose che non andavano, ma con un loro finanziamento.
(Z.I., Dipartimento di manutenzione della segnaletica)
è stata anche creata una figura di specialista che si occupasse proprio
di questi controlli, effettuando una diagnostica esaustiva delle stazioni, per
rilevare sistematicamente la presenza o l’assenza di ogni elemento previsto. Ciò peraltro non ha impedito di dover produrre a volte dei pannelli
provvisori per l’apertura al pubblico, ma almeno le competenze risultavano
chiaramente attribuite. La segnaletica è così diventata, come la luce o la
circolazione, un oggetto di preoccupazione specifica, la cui assenza viene
ritenuta sanzionabile.
Questi due casi sottolineano di nuovo la fragilità del dispositivo della
segnaletica nel suo complesso. Se a livello commerciale la considerazione
del cliente è cruciale e costituisce un elemento particolarmente sensibile,
a livello industriale l’esistenza della segnaletica sembra appesa a un filo nel
caso dei grandi progetti, in cui essa affoga e rischia facilmente di venire
trascurata. Queste situazioni, proprio attraverso le reazioni che suscitano,
mostrano d’altra parte come la dimensione dinamica, mobile, del lavoro
della segnaletica si giochi anche a livello organizzativo. In questo processo,
i luoghi non sono mai scontati.
Infatti, è dai luoghi che dipende l’attualizzazione del dispositivo della
segnaletica negli spazi del metrò. Una parte del lavoro rileva di ciò che ci è
stato spesso presentato come una lotta interna all’impresa. Due attività in
particolare alimentano il conflitto: da un lato, una vigilanza costante verso
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l’impatto dei grandi progetti sulla segnaletica, dall’altro una negoziazione
più o meno difficile per definire la posizione e il ruolo dei rappresentanti
della segnaletica nel processo lavorativo. La posta in gioco è quella di risalire
il più possibile a monte affinché le esigenze della segnaletica siano chiaramente elaborate in ciascun caso, in modo che acquisiscano una sufficiente
forza di inquadramento rispetto alle attività che dovranno integrarle.
Regolare
Infine, il lavoro della segnaletica funziona attraverso un’attività di regolazione che si trova in qualche modo a cavallo fra tre esigenze (far vivere la
norma, convincere e prendere posizione) e che passa attraverso la produzione di carte che cercano di definire o rafforzare il quadro dei principi della
segnaletica rispetto ad altre istanze interne ed esterne all’impresa.
Queste fasi del lavoro, effettuate dall’unità di normalizzazione, sollevano
delle questioni piuttosto diverse da quelle sin qui discusse. Si tratta infatti
di produrre dei documenti che non si indirizzano più alle persone che agiscono sulla segnaletica (attraverso le fasi della progettazione, produzione,
installazione e manutenzione), ma ad altri soggetti, la cui attività si cerca di
normare attraverso la segnaletica stessa: è ad esempio il caso delle persone
incaricate della gestione della pubblicità e di coloro che si fanno portatori
di istanze relative ad esempio alla denominazione delle stazioni e delle loro
uscite.
La segnaletica di fronte alla pubblicità
In una prospettiva ecologica tradizionale, la pubblicità può essere considerata come il principale nemico della segnaletica nella lotta per l’occupazione
del territorio. La metafora ecologica è utilizzata infatti dagli intervistati con
cui abbiamo parlato: esiste una guerra latente tra queste due forme di occupazione grafica degli spazi del metrò. E, dal punto di vista degli impiegati
con cui abbiamo parlato, questa guerra si traduce in un rischio permanente
per gli elementi della segnaletica di essere deturpati, parzialmente ricoperti
o persino rimossi da pannelli, locandine o altri adesivi pubblicitari. La minaccia è tanto più forte in quanto gli argomenti degli uni e degli altri sono
alquanto disuguali: se i supporti pubblicitari sono rappresentati da una società, Metrobus, che può far fruttare economicamente ogni metro quadrato
utilizzato, il programma di esposizione grafica che organizza i pannelli della
segnaletica vi oppone una serie di principi secondo i quali l’efficienza non si
traduce in cifre, e ancor meno in ritorni finanziari.
Se ci si batte per mettere in una posizione favorevole una
mappa del metrò o una pubblicità, la problematica diviene
complessa perché avrete un arsenale di cifre per mostrare che
la pubblicità porta soldi, mentre è molto più difficile quantificare un viaggiatore perduto. Dunque la soluzione facile è
dire: “Bah, la mappa del metrò non la mettiamo e ci mettiamo
invece una bella pubblicità”. Dunque è una difficoltà perché
quando organizzate la divisione degli equipaggiamenti di
una stazione si pongono subito delle questioni sulla posizione ideale in funzione dei flussi e così via. La posta in gioco
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|capitolo 2|
della segnaletica è in sostanza quella di dare un’informazione
utile al momento giusto. Un’informazione data troppo presto
o troppo tardi non serve a molto. In quel caso mettiamo solo
in difficoltà l’utente. (L.R., Dipartimento Progetto e Ambiente
Viaggiatori)
Una parte dell’attività dell’unità di normalizzazione, e più in generale di
tutta l’entità che gestisce il design degli spazi viaggiatori, consiste dunque
nel tentare di limitare lo spazio della pubblicità lungo i corridoi, le sale o le
banchine. Il rifacimento della segnaletica ha già dato luogo alla normalizzazione di un numero di pannelli da quattro metri per tre sulle banchine. Più
in generale, in ogni stazione, il numero e il posizionamento dei supporti fissi
sono di solito definiti una volta per tutte. Per contro, il numero crescente di
operazioni commerciali che escono da questi riquadri standard (e che vengono chiamate “fuori-media”) appaiono come una vera e propria minaccia
agli occhi dei rappresentanti della segnaletica. Ad esempio, le campagne
note come “adesivaggi”, posizionate ad esempio sulle uscite di sicurezza o
sulle carrozze stesse, escono dal quadro normale della coabitazione di segnaletica e pubblicità e risultano tanto più problematiche. Gli argomenti a
difesa degli spazi della segnaletica nelle stazioni, e più in generale dell’equilibrio tra le forme di espressione grafica in questi spazi (anche i supporti
culturali sono in causa) si sostanziano in una serie di documenti che però
espongono solo dei grandi principi di una possibile coabitazione, senza
prendere la forma di vere e proprie norme. Al momento della nostra ricerca,
una delle persone incontrate era anche incaricata di elaborare una carta
del “buon uso dell’adesivaggio” negli spazi viaggiatori, tanto la pratica era
divenuta diffusa e ritenuta ormai critica. L’obiettivo era chiaro: inquadrare il
più possibile, senza giudizi di valore, il processo di creazione e di commercializzazione di questi spazi pubblicitari temporanei.
In pratica, mi hanno dato una missione del tipo: “Fa’ in modo
di poter influenzare o influire sul lavoro pubblicitario che hai
di fronte, ma cerca di rendere l’intervento il più possibile oggettivo”. (D.M., Dipartimento Progettazione e Ambiente Viaggiatori)
Questa carta avrebbe permesso di operare sui tre versanti delle attività messe in luce più in alto. Si trattava di creare delle regole e di renderle disponibili e comprensibili a terze parti esterne al servizio (Metrobus e i
pubblicitari stessi). Data questa funzione pedagogica, la carta doveva anche
sensibilizzare i destinatari all’importanza di una coesistenza ragionevole. Infine si trattava di ristabilire implicitamente la priorità della segnaletica sulla
pubblicità “fuori-media”:
è per cercare di economizzare i vai-e-vieni. Perché, ecco, Metrobus riceve delle proposte, le invia al gruppo che si occupa
di fuori-media commerciali e loro ci girano la proposta. Le
mail arrivano qui al design, ma anche al direttore della linea, e
così via. Allora c’è il valzer delle validazioni. E ogni volta Yves [il
responsabile del dipartimento design] s’incaricava di rispondere, con due pagine di spiegazioni pedagogiche lambicca-
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te […] L’idea è insomma che Metrobus riceva questa carta
per cercare di fare un primo filtro e che poi la distribuisca alle
agenzie con cui lavora perché la ricevano i pubblicitari stessi.
(D.M., Dipartimento progettazione e ambiente viaggiatori)
La dimensione oggettivante di questo tipo di documento è essenziale
nella lotta in atto. Se non abbiamo i mezzi per apprendere l’uso quotidiano
di questa carta, il secondo dominio in cui questo genere di attività è stato
implementato mostra bene l’importanza di queste guide per un inquadramento solido delle attività esterne che minacciano l’ecologia grafica in cui
la segnaletica si colloca.
I cambiamenti di denominazione
Per quanto evidente, è senza dubbio importante ricordare che una gran
parte del contenuto linguistico dei pannelli è questione di nomi propri:
nomi delle stazioni stesse, ma anche nomi delle strade associate alle uscite, e nomi dei monumenti o delle istituzioni principali che si trovano nei
paraggi. Tutti questi nomi giocano un ruolo estremamente importante nel
sistema della segnaletica, in quanto dotati di tre funzioni essenziali per il
processo di mobilità nel suo insieme: informazione, toponimia e coerenza
(figura 10).
Questo contenuto, anche se inscritto nella materia dura del pannello
metallico, è anch’esso soggetto a progetti di innovazione e modifica. Nel
caso della creazione di una nuova stazione, come ad esempio Olympiades
sulla linea 14 o tutte le nuove stazioni del tram T3, occorre inventarlo. Se
ne incarica una delle due persone responsabili della normalizzazione della
segnaletica, attraverso delle proposte che in ogni caso non può controllare
fino in fondo: si tengano infatti presenti il valore e le implicazioni di un nome
rispetto al resto della compagnia e rispetto al mondo politico e associativo.
Così, questo esperto si trova ogni volta a confrontarsi con le numerose domande di far figurare il nome di tale o talaltro monumento negli spazi del
metrò, o di intitolazione di una stazione che pervengono alla RATP.
La RATP riceve come minimo una lettera alla settimana del
genere: “Ecco, il mio antenato Tizio Caio era una persona
formidabile, non si potrebbe mettere il suo nome da qualche parte?”, oppure: “Siamo un’associazione dedicata al tal
personaggio, non si potrebbe avere una targa?”, o ancora:
“Come mai in questa stazione non è nominato l’illustrissimo
tale?”… Perciò c’è una sollecitazione continua su questa cosa
dei nomi… impresa privata, impresa pubblica, tutti quanti, è
straordinario, tutti i musei, tutti i teatri… (L.T., Unità concezione e identità degli spazi)
La quantità delle domande mostra in effetti che le stazioni del metrò e
la loro segnaletica sono dei supporti di visibilità nello spazio pubblico estremamente potenti. Dal nome della stazione al nome delle uscite fino alle indicazioni sulla mappa del quartiere, tutto è ambito e richiesto. Questo genere di dinamiche rivela una dimensione importante dell’ecologia grafica del
metrò. Chiaramente, è impossibile far figurare tutti questi nomi: anzitutto
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|capitolo 2|
tecnicamente, perché non ci sono abbastanza spazi di iscrizione disponibili
e la soglia di saturazione sarebbe presto raggiunta; ma anche politicamente,
perché la RATP non può farsi portavoce di tutte le cause. Come nel caso
della coesistenza con la pubblicità, il servizio di normalizzazione si trova in
una posizione regolatrice.
La maggior parte di questo lavoro consiste nel proteggere l’integrità del
sistema delle denominazioni. Per far ciò è necessario scrivere una risposta
negativa alla larghissima maggioranza di domande. Ora, è difficile produrre
un argomento ex nihilo ogni volta. Per scrivere una lettera di rifiuto adeguatamente motivata si è dunque prodotta una Guida delle denominazioni che
specifica anzitutto le funzioni che la RATP attribuisce ai nomi propri (figura
10). La maggior parte delle richieste si basa sui motivi della localizzazione
e della commemorazione, ma chiaramente questi due elementi possono
essere anche incompatibili. La guida specifica i formati possibili di denominazione, in termini di generi, forme e supporti. Distingue ad esempio tre tipi
di sottotitoli, che possono comparire sotto il nome della stazione, definendo in dettaglio il loro campo di applicazione, che deve comunque “restare
eccezionale” (figura 11).
Non entreremo qui nei dettagli della guida; quel che ci interessa è il
modo in cui essa inquadra il lavoro di regolazione rispetto alle richieste di
cui sopra. è importante ricordare che la guida prevede la denominazione
dei luoghi turistici sulla base di un criterio, quello della frequentazione, che
è piuttosto semplice da manipolare. Così, la griglia della frequentazione permette di compiere una rapida selezione dei pretendenti.
è meraviglioso; dal momento in cui ci arriva una richiesta,
possiamo rispondere: “Al momento ci risulta che voi abbiate
tot visitatori l’anno. Ebbene, in questo caso non sarà possibile,
dato che per apparire sulle targhe dell’uscita, occorre avere
un altro tot di visitatori”. Così facciamo riferimento a questa
nostra “norma”. La chiamiamo norma, anche se di fatto non è
che una tabella, ma alla gente “norma” sembra più ufficiale…
C’è un aspetto legislativo. Così, grazie a questo strumento ci
sono meno contestazioni e i nostri rifiuti sono meglio accettati . (L.T., Unità concezione e identità degli spazi)
Questo tipo di regolazione è sensibilmente diversa da quella adottata
per la pubblicità. Qui non ci si trova a combattere con solidi argomenti economici, e la sollecitazione viene da persone esterne all’impresa che domandano un favore. Il richiamo al regolamento sugli standard di frequentazione
è dunque sufficiente per assicurare la stabilità del dispositivo.
Tra i quattro assi del lavoro della segnaletica, la regolazione è quello che
più direttamente coinvolge la dimensione spaziale dell’ecologia grafica. Da
essa dipende il numero di “specie” accettate nell’ambiente del metrò – tanto
la loro natura quanto la loro posizione. Ancora una volta è necessario insistere sul carattere pratico delle lotte che attraversano questa ecologia. Una
semiotica degli spazi non basterebbe a renderne conto, in quanto si tratta
di analizzare le negoziazioni tra i portavoce delle diverse specie grafiche. I
quattro assi della dinamica organizzativa che abbiamo considerato mostra-
53
no insomma sino a che punto queste negoziazioni siano delicate, con un
risultato sempre fragile.
Conclusione: l’altra faccia dell’ecologia grafica
Dal punto di vista dei soli documenti che lo presenta e ne espone i principi generali, il dispositivo della segnaletica appare essenzialmente come un
sistema collaborativo di artefatti che, una volta installato, gestisce lo spazio producendo un ambiente grafico ordinato e operativo. Ma se entriamo
negli uffici della RATP comprendiamo quanto tale immagine ufficiale sia il
risultato di un doppio lavoro: essa infatti nasce, da una parte, dalla configurazione stessa delle attività di molte persone, dall’altra da negoziazioni e
dibattiti ricorrenti.
Evidenziare l’esistenza di questo lavoro permette di completare la nozione di ecologia grafica. Tuffarsi nei pannelli della segnaletica rivela una
dimensione opposta al principio di cooperazione sopra descritto. Anche
se concepito come operatore di un’ecologia cooperativa in cui i viaggiatori
sono invitati ad interagire strettamente con gli artefatti grafici messi a loro
disposizione, il sistema della segnaletica non è il solo dispositivo grafico che
popola gli spazi del trasporto. Il suo posto tra le altre “specie di scrittura” non
va da sé, al contrario, va conquistato attraverso una lotta quasi costante.
L’ecologia grafica cooperativa si raddoppia in un’ecologia competitiva. Lungi dall’essere opposte, queste due forme di azione ecologica sono per lo più
indissociabili (Denis e Pontille, 2009).
Gli studi di sociologia urbana sviluppati nel quadro della scuola di
Chicago sulle forme di lotta per lo spazio (Hughes, 1936; Park, 1936) sono
particolarmente utili per comprendere la dimensione competitiva delle
ecologie grafiche. Anche senza adottare la prospettiva evoluzionista degli autori di quella scuola, possiamo in effetti pensare gli spazi di trasporto
come territori grafici da conquistare1. Dato che la capacità di esposizione di
un territorio è limitata, le differenti forme di scrittura che vogliono occupare
quel territorio si trovano in competizione.
Potremmo facilmente studiare questa competizione dal solo punto di
vista dei luoghi interessati, contando i metri quadri occupati da ciascuna
specie di scritta, misurando il tasso d’esposizione nel tempo alla luce di relative avanzate e ritirate. Ma come abbiamo visto la competizione non si gioca
direttamente negli spazi. Essa si svolge anzitutto sui pannelli, nei dibattiti a
volte animati tra i diversi portavoce, nei documenti che si scambiano, negli
1 Ricordiamo con I. Joseph e Y. Grafmeyer (1990, p. 14) che il riferimento ai modelli
evoluzionisti non è, per la maggior parte degli autori di Chicago, né naïf, né riduttivo,
al punto che “non c’è alcun passaggio diretto dall’ecologia all’organicismo”: “il concetto di competizione non funziona come una semplice metafora basata sull’ecologia animale o vegetale” (p. 28). Così, “non bisogna confondersi sul significato che la
scuola di Chicago attribuisce alla nozione di ecologia. Lo spazio non è inteso come
un principio esplicativo, e neppure come un oggetto privilegiato di analisi: l’attenzione è soprattutto sul sistema sociale, sulla sua organizzazione, il suo funzionamento e le sue trasformazioni” (p. 34).
54
|capitolo 2|
organigrammi e nella distribuzione di compiti e competenze. Dal punto di
vista della competizione, l’ecologia grafica ha due facce, e la lotta per l’esistenza di una segnaletica normalizzata e sistematizzata si traduce al tempo
stesso in tentativi di restrizione dello spazio occupato da altri tipi di insegne
(in primo luogo, come si è visto, la pubblicità) e in una guerra di posizione
tra i diversi portavoce all’interno del processo organizzativo.
Non vogliamo avanzare qui una teoria esaustiva dell’ecologia grafica
degli spazi di trasporto. Si tratterebbe infatti di seguire la pista di tutti i tipi
di scrittura che si disputano lo spazio in questi luoghi. L’esempio più forte sarebbe in questo caso quello dei graffiti: lì infatti la lotta si esprime in
modo molto diverso da quello che abbiamo seguito nella nostra ricerca,
operando direttamente sugli spazi, luoghi essenziali del confronto (insieme
ai tribunali); e gli strumenti che equipaggiano l’installazione e la rimozione
dei graffiti sollevano delle poste in gioco specifiche, in primo luogo il problema del degrado materiale degli spazi. Potremmo fare l’esempio di altre
scritte presenti nelle stazioni sotto forma di piccoli pannelli a scopo culturale e le cui condizioni di installazione innescano certamente altre forme di
competizione che non abbiamo preso in esame in questa indagine. L’aspetto empirico della nostra ricerca ci ha precluso l’accesso a una prospettiva
più generale e astratta di una ecologia grafica completa. Occupandoci in
particolare del punto di vista dei rappresentanti della segnaletica, abbiamo
esplorato solo uno dei modi di stabilizzazione dell’ambiente grafico, senza
occuparci a fondo di tutti gli altri processi potenzialmente concorrenti. La
nozione di ecologia grafica, cooperativa e competitiva, non è dunque un
risultato della ricerca empirica, ma uno schema per mappare delle potenzialità euristiche.2
D’altra parte, l’analisi dei supporti della segnaletica mostra un aspetto
dell’ecologia grafica che un altro tipo ricerca non avrebbe potuto rivelare. I
rapporti tra il servizio di normalizzazione della segnaletica e gli altri dipartimenti che si occupano della pubblicità mostrano che i rappresentanti di
questi dispositivi non sono semplicemente impegnati in una guerra per
distruggere gli altri tipi di scritte, occupando al massimo lo spazio di esposizione. Nella compilazione di una carta per il “buon uso dell’adesivaggio”,
i rappresentanti della segnaletica non cercano tanto di impedire qualsiasi possibilità di installare delle pubblicità adesive negli spazi di trasporto,
quanto di controllare le condizioni della loro esposizione.
L’ecologia grafica competitiva passa per un processo di regolazione in
cui la segnaletica non ha la vocazione di diventare una specie grafica tra
le altre. La creazione di carte d’uso e altri manuali illustra un lavoro di posizionamento specifico che cerca di installare il dispositivo al di sopra della
2 A questo proposito troviamo fruttuoso il dibattito tra M. Callon (1986) e S.L. Star e
J.R. Griesemer (1989). I secondi hanno rimproverato al primo di sviluppare un modello di traduzione orientato verso i futuri “vincitori”, e hanno cercato al contrario di
mostrare la molteplicità delle vie della traduzione (n-way translation). Di conseguenza siamo pienamente consapevoli dei limiti della nostra indagine e del suo carattere
parziale, nonché esplorativo, aperto verso l’apporto di ulteriori contributi.
55
competizione con le altre scritte. L’obiettivo è di creare una fonte di principi generali validi per l’insieme dell’organizzazione grafica degli spazi. Certe
presentazioni della nuova segnaletica esprimono chiaramente questa volontà, superando il quadro del solo ambiente grafico:
La segnaletica e l’informazione devono essere considerate
come uno degli elementi di base attorno al quale si costruisce l’architettura. (Sancho de Coulhac e Viaut, 1998, p. 9)
Si tratta chiaramente di realizzare quelt tipo di “controllo degli spazi grafici” descritto da Petrucci (1993). La RATP può essere considerata, da questo
punto di vista, come un’istituzione che cerca di controllare l’insieme delle
forme grafiche esposte nei luoghi di sua competenza.
Dal momento che ogni spazio grafico possibile ha un dominus che ne determina l’uso, ne segue che, direttamente o
indirettamente, questo dominus è anche in grado di determinare le caratteristiche dei prodotti grafici esposti. (Petrucci,
1993, p. 10)
Dal punto di vista dell’impresa e dei designer della segnaletica, questo
controllo è presentato come un lavoro di equilibrio e una messa in scena
del servizio destinato all’agio degli utenti.
La RATP vuole essere la regia di tutti questi elementi al fine di
soddisfare i propri clienti. Si trova così a dover gestire un equilibrio tra tutte queste tendenze. Al di là del proprio ruolo di
agenzia di trasporto, la RATP ha un ruolo importante di attore
urbano che gestisce dei luoghi. (Kaminagai, 2001, p. 29)
Ora, l’organizzazione non dispone di alcun dipartimento esplicitamente
dedicato a questo lavoro di regolazione. Il compito di assicurare l’equilibrio
costante tra le diverse forme di scrittura e di emanare le “regole della comunicazione scritta esposta” (Petrucci, 1993, p. 10) non è preso in carico da
alcuno. Attraverso il movimento di normalizzazione è dunque il dispositivo
segnaletico che è divenuto operatore principale della gestione dello spazio
grafico della RATP.
Si comprendono così meglio le sue specificità. La segnaletica installata
a partire dalla metà degli anni Novanta nei luoghi di trasporto non è riducibile a un insieme di scritte esposte di tipo funzionale da sistemare dove
possibile. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la concezione del
sistema della segnaletica ha fatto parte di un movimento molto più ambizioso di gestione degli spazi di trasporto (Kokoreff, 1992; Joseph, 2004). Il
programma d’intelligibilità grafica che la fonda mette in opera una marcatura istituzionale che non è poi così distante dalla marcatura politica evocata
da Petrucci a proposito delle scritte monumentali a Roma. Si tratta di uno
strumento di visibilità della RATP sulla scena dei trasporti pubblici, progettato materialmente come un attore collettivo rispetto al quale il pubblico è
invitato a entrare in relazione (Denis, 2002). Questo atto di presenza è reso
possibile da un processo mai completamente chiuso di inquadramento e di
allineamento di spazi di scrittura che altri attori o altre istituzioni vorrebbero
esporre nei medesimi territori. Nel loro lavoro di regolazione e di posizio-
56
|capitolo 2|
namento all’interno dell’organizzazione, i rappresentanti della segnaletica
fanno di questo inquadramento, e della gestione dello spazio grafico che
ne risulta, una “condizione di felicità” del dispositivo stesso.
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58
|capitolo 3|
Capitolo 3
Equipaggiare i viaggiatori
In un aeroporto il passeggero è più un marinaio che un lettore, le scene vengono fatte e disfatte, gli universi si aprono e si chiudono in una serie di rivelazioni architettoniche
e semiotiche mentre il passeggero si muove in uno spazio
che è una mappa – una mappa politicamente significativa,
come ogni mappa, e insieme banale, come la vita di ogni
giorno. (Fuller, 2002, p. 236)
I primi due capitoli ci hanno fornito l’occasione per insistere sulla doppia dimensione ecologica della gestione grafica operata dalla segnaletica. Come
abbiamo visto, la sua intelligibilità si basa allo stesso tempo su un programma di cooperazione tra elementi diversi e su una competizione tra tipi di
scritte installate negli spazi del metrò. D’altra parte, abbiamo anche visto
che questa ecologia grafica, insieme cooperativa e competitiva, è il risultato,
mai completamente stabilizzato, di una dinamica organizzativa fragile.
Ma che dire della portata politica della segnaletica? Come abbiamo mostrato, il dispositivo si basa su un progetto teorico esplicitamente rivendicato. La segnaletica è il risultato di un programma di esposizione grafica
nel senso di Petrucci (1993) e, anche se più operativa del genere di scritte
studiate da Petrucci, essa espleta comunque una forma di governo dello
spazio. Come precisa Garfinkel (1996), la forza dei processi di comprensibilità risiede nel fatto che una qualsiasi descrizione del mondo può essere
compresa come una istruzione. Prendendo in considerazione gli artefatti
che compongono il dispositivo della segnaletica, una simile riflessione ci
invita ad analizzare meglio questo sistema di supporto grafico alla mobilità nella sua dimensione propriamente prescrittiva. Ogni componente della
segnaletica può infatti venire considerata come un micro-strumento di disciplina (Crang, 2002; Fuller, 2002; Knox et al., 2008) che dispone l’utente dei
trasporti in comune ad agire in determinati modi.
Senza presupporre a priori la portata o la forza di tale azione, possiamo cercare di comprendere la segnaletica dal punto di vista di ciò che si
ritiene essa faccia fare ai viaggiatori del metro. A tal fine, ci ispireremo ai
lavori sviluppati dall’antropologia delle scienze e delle tecniche a proposito
del processo di innovazione. In particolare, cercheremo di comprendere gli
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script (Akrich, 2006) della segnaletica, vale a dire le rappresentazioni delle
competenze e delle azioni dei suoi utenti così come esse sono mobilizzate
e presupposte dai suoi creatori. Ci rifaremo in particolare a due fonti distinte.
In primo luogo, ci baseremo sull’analisi dei documenti interni che testimoniano le riflessioni svolte intorno alla creazione della nuova segnaletica e sui
principi fissati al momento della sua implementazione. Questo materiale,
insieme alle interviste con i protagonisti di questo processo di creazione, ci
permetterà di identificare delle modalità di mettere in scena l’utente della
segnaletica e di attribuirgli delle forme d’azione specifiche. Ma per affinare
il panorama aggiungeremo a questi documenti scritti anche una etnografia
delle stazioni del metro. Attraverso la restituzione dell’esperienza dei fototragitti realizzati sulla rete parigina e su quella newyorkese, metteremo in
luce quali atti e comportamenti ci permettano di seguire, in una situazione
specifica, gli script della segnaletica.
In questo duplice movimento, vedremo come il dispositivo instauri una
vera e propria politica dell’attenzione, che si caratterizza per essere plurale.
Essa mobilita le scritte esposte ben al di là di un modello univoco centrato
sulla leggibilità generalizzata. Documentare una tale pluralità ci consentirà
quindi di mettere l’accento su una dimensione essenziale della segnaletica
del metrò. In quanto luoghi pubblici, gli spazi di trasporto sono sottoposti
a una inaggirabile esigenza di diversità, che può essere difficile integrare in
una ecologia grafica cooperativa. Produrre una tale ecologia rappresenta al
tempo stesso una scommessa formale (l’armonizzazione di un dispositivo
fatto di artefatti grafici eterogenei) e una posta in gioco politica (l’attribuzione dei posti nello spazio pubblico e l’organizzazione della loro coesistenza).
Script e posture: dalla concezione all’uso
Emancipandosi da un approccio strettamente focalizzato sulle dimensioni tecniche del lavoro di ideazione, alcune ricerche di antropologia delle
scienze e delle tecniche si sono interrogate sul modo in cui gli ideatori e gli
ingegneri anticipano gli usi futuri delle loro invenzioni. Akrich (1990; 2006)
ha introdotto a questo proposito alcune nozioni particolarmente feconde.
Partendo da un approccio di tipo semiotico, ha mostrato che un progetto
di innovazione passa sempre attraverso delle scelte che consistono nell’inscrivere entro le tecnologie stesse le rappresentazioni dell’azione e dell’ambiente in cui l’interazione tra l’oggetto e i suoi utilizzatori può avere senso.
Qualsiasi innovazione si basa su degli scenari d’uso, che Akrich chiama
degli script, i quali cristallizzano all’interno del futuro artefatto determinate
maniere di entrare in relazione con esso. Gli oggetti tecnici portano così
in sé degli usi – e dunque degli utilizzatori – adeguati, che occorre attualizzare per avere un buon funzionamento dell’oggetto, quantomeno agli
occhi del suo ideatore. La forza di questo modello consiste nel mostrare
che questi script non si riassumono in quegli scenari espliciti che troviamo,
ad esempio, nel dominio del marketing o della pubblicità, in cui si cerca di
mettere in scena dei comportamenti possibili dei futuri utilizzatori. Le scelte
60
|capitolo 3|
tecniche più anodine inscrivono dei tipi d’uso specifici che è a volte difficile
mettere a fuoco.
Per illustrare questa situazione, possiamo considerare brevemente
l’esempio del telecomando a infrarossi (Akrich, 2006). Questo semplice
oggetto contiene numerosi script. Esso presuppone ad esempio un utilizzatore in grado di comprendere che i tasti numerati sono degli strumenti che consentono di cambiare canale a distanza. Se si tratta di un canale
a pagamento la questione diventa subito meno semplice: per evitare di
attribuire il consumo della visione a un essere incapace di onorare il contratto commerciale presupposto (ad esempio, un gatto che cammini sui
tasti), è necessario inventare un sistema di validazione dell’utente adeguato.
Ma possiamo scendere anche molto più in profondità nel tipo di esigenze
inscritte nell’oggetto. Affinché il telecomando consenta effettivamente di
cambiare canale, è altresì necessario che il suo utilizzatore, quando preme
il tasto, lo diriga verso il ricettore infrarossi del televisore. Le difficoltà che
incontrano i bambini in questa operazione dimostra che non si tratta di un
compito che va da sé.
Ora, in questo caso, non si tratta di modificare il dispositivo. Spetta invece
all’utente il compito di adottare la giusta posizione, il che ci ricorda un’altra
dimensione essenziale degli script: essi presuppongono certi atteggiamenti
cognitivi e corporali, e dunque delle competenze specifiche. Per attualizzare gli script, gli utilizzatori in carne ed ossa devono allinearsi agli utilizzatori progettati, inscritti nelle proprietà tecniche dei dispositivi; devono cioè
adottare quella che Akrich chiama la “postura” che lo script attribuisce loro.
Lo iato tra questa postura e le competenze effettive degli utilizzatori in carne ed ossa comporta evidentemente sempre un margine di rischio.
L’interesse di un tale approccio consiste nel mostrare che gli ideatori
hanno una definizione ricca dell’azione e che attribuiscono agli utilizzatori,
nel corso delle loro decisioni tecniche, delle competenze cognitive, psicomotrici o sociali. Le nozioni di script e di postura permettono di disaggregare il concetto di attore in unità elementari per considerarlo come il risultato
di un processo complesso invece che come un punto di partenza neutro.
Esse risultano particolarmente utili per staccarsi da una visione troppo integrata dell’utente o, come nel nostro caso, del viaggiatore della rete dei
trasporti pubblici.
Analizzando la segnaletica attraverso i suoi script, siamo in grado di
passare da un punto di vista essenzialista, che presuppone che i pannelli
si indirizzino sempre a una persona, a uno che ci consente di comprendere
meglio le competenze differenziate che i pannelli stessi presuppongono.
Potremo così esaminare precisamente come gli ideatori trattino non solo la
difficile richiesta dell’accessibilità agli spazi pubblici (Joseph, 2007), ma anche la figura dell’individuo “visualmente dotato” (Lacoste, 1997) che fonda la
politica dell’attenzione nei corridoi del metro. Vedremo che la segnaletica si
basa su quattro posture principali: l’informazione, la pianificazione, la risoluzione di problemi e la reazione.
Ma una comprensione adeguata di ciò che la segnaletica è ritenuta in
61
Figura 1. Linea 1, direzione La Défense, stazione Nation
Figura 2. Norma segnaletica, volume 1
Figura 3. Norma segnaletica, volume 2
Figura 4. Norma segnaletica, volume 3
Figura 5. Estratto del formulario di rilevamento degli agenti di stazione
Figura 6. estratto delle istruzioni per i rilevatori
Figura 7. Estratto di una rilevazione di “percorso non conforme”
Figura 8. Cosa occorrerebbe scrivere per sostituire i simboli. (RATP, 2002, diapositiva 24)
Figura 9. I vantaggi delle minuscole in termini di leggibilità (RATP, 2002, diapositiva 13)
Figura 10. Le tre funzioni della denominazione (RATP, 2007, p. 5)
Figura 11. Categorie (RATP, 2007, p. 9)
Figura 14. Pannelli sulla banchina della stazione di Prospect Park
Figura 12. Parigi: percorso da Bercy a Corvisart (linea 6)
Figura 13. New York: percorso da Prospect Park alla Settima Avenue (linea Q)
Figura 15. Seguire il colore azzurro
Figura 16. Trovare la cifra “2”
Figura 17. Leggere vs percepire
Figura 18. Cercare il posizionamento
per un pannello osservando quello
degli altri
Figura 19. Sulla banchina di fronte: una replica
del pannello da installare
Figura 20. Il posizionamento del pannello da
cambiare
Figura 21. Trovare da fuori l’uscita più vicina al
museo
Figura 22. Tener conto di un altro dispositivo di orientamento
Figura 24. Confrontare con l’altra banchina
Figura 23. La fine della banchina e il suo unico
pannello
Figura 25. Un pannello sospeso nella sala
d’entrata
Figura 26. Discutere i possibili posizionamenti per indicare l’uscita d’emergenza
Figura 27. Il pannello tra gli altri oggetti
Figura 28. Gli adesivi sulle porte battenti dei tornelli (dall’interno)
Figura 29. Lo stock dei pannelli in
metallo
Figura 31. Caricare i pannelli nel furgone
Figura 30. Lo stock dei pannelli in PVC
Figura 32. Trasportare il pannello fino alla
stazione
Figura 33. Fare attenzione al pannello,
ai viaggiatori e alla propria incolumità
Figura 35. Misurare il pannello e il suo futuro
posizionamento
Figura 34. Bucare i supporti
Figura 36. Il pannello fissato, ancora sporco
Figura 37. Pulire le pannello
Figura 39. Deporre il pannello
Figura 38. Ricaricare la batteria
Figura 40. Verificare le dimensioni
Figura 41. Preparare le zeppe in carta
Figura 43. Il pannello stabilizzato nel cassone
luminoso
Figura 42. Alloggiare il pannello
Figura 44. Aprire il cassone luminoso
Figura 45. Togliere le viti e rimetterle
Figura 47a-b. chiudere il cassone luminoso
Figura 46. Mettere la targa
grado di far fare non si riduce necessariamente all’analisi dei discorsi dei suoi
ideatori; è altresì particolarmente utile analizzarne le conseguenze concrete.
Come precisa Akrich (2006), è essenziale passare dal lato degli utenti-incarne-ed-ossa, soprattutto al fine di mettere in luce delle esigenze che sono
scontate dal punto di vista degli ideatori e non appaiono problematiche
finché non si passa alle condizioni d’uso effettive. Per applicare questa prospettiva ai corridoi del metro, il programma di ricerca della RATP ha provato,
ad esempio, a cogliere l’esperienza degli utenti facendo loro sperimentare
dei tragitti. Il tragitto è uno “strumento di conoscenza dei rapporti tra utente
e ambiente” (Lévy, 2001, p. 61) che consente di mettere l’accento sui problemi generali e assolutamente pratici che i viaggiatori devono porsi percorrendo luoghi che sono allo stesso tempo “degli spazi urbani, degli spazi
di trasporto e degli spazi di servizio” (p. 62). Ma cosa ci illustra esattamente
questo metodo? Ci permette davvero di comprendere le posture della segnaletica in azione? In realtà, ne dubitiamo. La maggior parte delle ricerche
condotte in questo quadro si interessa alla questione generale dell’orientamento, intesa come sequenza di azioni complesse (Borzeix, 2001; Levy,
2001; Vertesi, 2008). Si è così sottolineata l’eterogeneità delle risorse mobilizzate nei percorsi, durante i quali gli elementi messi a disposizione in modo
ridondante (la segnaletica, gli schermi, le affissioni permanenti o provvisorie, gli annunci sonori) non vengono affatto percepiti come sistema integrato. L’obiettivo era dunque quello di identificare tutto il lavoro necessario per
condurre a termine un viaggio riuscito.
Come abbiamo precisato all’inizio di questo libro, noi abbiamo adottato una prospettiva sensibilmente diversa. Poiché il nostro obiettivo era di
prendere sul serio la segnaletica in quanto dispositivo di aiuto alla mobilità
e di isolarne in qualche modo le proprietà pratiche, abbiamo cercato un
mezzo che ci consentisse di chiarire le competenze che ci si attendono da
un utente della segnaletica e non dell’intero sistema dei trasporti. Abbiamo
dunque compiuto dei percorsi fotografici durante i quali, al contrario dei
viaggiatori, ci siamo focalizzati esclusivamente sui moduli del dispositivo
messo a nostra disposizione, e grazie ai quali ci siamo spostati da un punto
della rete ad un altro.
La nostra esperienza è stata condotta nella rete parigina, ma anche a
New York, al fine di ottenere un effetto di spaesamento, confrontandoci con
una segnaletica che, ci era stato detto nelle interviste dai membri della RATP,
si presenta come molto diversa e persino opposta a quella parigina.1
Da un punto di vista generale, questo genere di fenomenologia d’uso è
un mezzo molto ricco per comprendere l’eterogeneità stessa della segnaletica, come mostrano le figure 12 e 13 che riuniscono le fotografie delle
principali tappe di realizzazione dei due tragitti, uno parigino, l’altro newyorkese. Malgrado la loro semplicità (non sono stati effettuati né cambi né
1 Il nostro approccio è in questo senso simile a quello di Latour ed Hermant (1998, p.
87-105), i quali propongono al lettore di seguire un percorso fotografico nella città
di Parigi per verificare i tipi di utenti materialmente inscritti nei diversi dispositivi di
arredo urbano. Torneremo su questo punto alla fine del capitolo.
80
|capitolo 3|
corrispondenze), questi percorsi testimoniano il numero importante di elementi che vengono mobilizzati nel loro svolgimento, e rivelano soprattutto
la loro varietà. Tornando sulle varie operazioni necessarie alla comprensione situazionale, l’esperimento permette di esplicitare ciò che in concreto
presuppongono le posture proiettate dagli ideatori. In altre parole, esso ci
permette di vedere in dettaglio cosa bisogna fare per divenire, seduta stante, un utente informato, pianificatore, capace di risolvere problemi, ovvero
reattivo. Vedremo che ognuna di queste posture riposa su un’azione chiave:
leggere, consultare, reperire e percepire.
L’informazione
La nozione estremamente generale di informazione ai viaggiatori, e il modo
in cui essa è divenuta poco a poco strategica alla RATP, rivela una prima
“postura” dell’utente del trasporto pubblico: numerosi elementi della segnaletica sono fatti per informare. Bisogna tuttavia precisare che il quadro di
questo termine non è così generale come potrebbe sembrare. Anzitutto,
la postura del viaggiatore informato non è nuova per l’impresa. Essa è stata
l’oggetto di numerose riflessioni e di un notevole spiegamento di mezzi.
Tuttavia per molto tempo la segnaletica era utilizzata solo in situazioni di
difficoltà. Infatti, l’informazione era pensata come elemento specifico da
fornire solo quando le condizioni normali della rete erano messe in crisi.
Con l’arrivo di un nuovo dispositivo di segnaletica multimodale, il campo dell’informazione si è notevolmente ampliato. Non soltanto la scritta è
stata integrata come risorsa che fa interamente parte dell’informazione ai
viaggiatori, ma la necessità di informare gli utenti si è anche notevolmente
rafforzata, estendendosi, come abbiamo visto nel primo capitolo, alle situazioni normali. Allo stesso tempo la postura del viaggiatore informato si è
trovata trasformata. Il viaggiatore che cerca aiuto in caso di situazioni di disordine della linea è stato gradualmente affiancato da un utente che cerca
di controllare meglio le condizioni del proprio tragitto. L’installazione progressiva di tecnologie dell’informazione in tempo reale è un caso esemplare
di questo spostamento. Il documento che presentava nel 1993 le grandi
linee di una “politica dell’informazione dei viaggiatori” ne esprime la sfida in
questi termini:
Occorre altresì assicurare al viaggiatore una padronanza del
fattore temporale durante il proprio tragitto, informandolo
[…] sul tempo di attesa in funzione delle condizioni reali della linea. (RATP, 1993, p. 14)
L’informazione è dunque pensata come fonte di padronanza e controllo
[maîtrise]. Il viaggiatore informato è un viaggiatore al quale vengono dati i
mezzi per essere autonomo. Si tratta di un servizio a pieno titolo, da arricchire costantemente nel quadro dell’offerta generale di trasporto.
Abbiamo in progetto l’installazione di un elemento che dovrà
esse piazzato nell’imbuto (cioè in cima alle scale all’ingresso
della stazione) che vi permetterà di sapere se vale la pena
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di scendere, se la biglietteria è in funzione o meno, che vi
risparmi di fare andata e ritorno per niente. Dunque, questa è
una vera idea di servizio, una targa con l’indicazione dei primi
treni, degli ultimi treni, che vi dice “per comperare un biglietto non val la pena entrare di qui, prendete l’atra entrata”. (L.T.,
Unità Concezione e Identità degli Spazi)
Questa postura, come si vede, supera ampiamente il quadro del trasporto pubblico. La sua inscrizione nel dispositivo della segnaletica partecipa al
movimento storico che, secondo molti osservatori, caratterizza lo sviluppo
delle società tecnologiche, accompagnando numerosi altri dispositivi che
trasformano le modalità di governo, dalla sorveglianza alla comunicazione,
in quanto il governo stesso “si appoggia sull’esistenza di un cittadino informato” (Barry, 2001, p. 48). Da questo punto di vista, la nozione di informazione non ha nulla di neutro:
Il concetto stesso di informazione implica un lettore che deve
essere informato. Si tratta perciò di un concetto tanto tecnico
quanto morale. (Barry, 2001, p. 153)
Proponendo un quadro ricco di informazione, che permette anche di
controllare lo stato della rete, il dispositivo della segnaletica opera un doppio movimento: da un lato fornisce delle nuove prese per mettere alla prova
e controllare l’efficacia del servizio di trasporto; dall’altro lato, mette gli utenti in grado di esercitare una padronanza sul proprio percorso.
La postura del viaggiatore informato si basa sull’esistenza di una serie
di artefatti, principalmente di tipo linguistico. Esse mostrano cioè delle frasi
più o meno complesse che compongono dei messaggi. I moduli della segnaletica sono concepiti come testi che devono risultare leggibili. Ciononostante, la circolazione di informazioni non è mai un’operazione immediata e
trasparente. Leggere un’affissione è una cosa, produrre dell’informazione (e
dunque risorse per agire) a partire da quel che è scritto sull’affissione è un
altra. Il modo migliore per rendersene conto consiste nell’uscire dal quadro
familiare del metro parigino per esaminare in dettaglio lo sviluppo di percorsi e tragitti sulla rete newyorkese, come in figura 13.
La prima foto mostra l’avviso che abbiamo visto appena entrati in una
stazione. Il suo testo indica che lunedì 28 maggio è giorno festivo (Memorial
Day) e che il servizio dei treni funziona come la domenica: “Holiday service. Memorial Day, Monday, May 28. Trains run on a Sunday schedule”. Una
semplice lettura del testo non ci consente di agire in modo adeguato. Dobbiamo anche tenere conto della data attuale, per sapere se la condizione si
applica a noi. Per diventare utenti informati, i viaggiatori devono in primio
luogo far corrispondere il contenuto linguistico dei pannelli alla loro situazione attuale. Questo esempio non stupirà probabilmente molto gli americani per cui il Memorial Day è una data nota.
Nondimeno, molte di queste situazioni di lettura necessitano degli allineamenti più complessi. Durante lo stesso tragitto, mentre ci trovavamo
sulla banchina (settima foto della figura 13), abbiamo dovuto leggere degli
altri pannelli fissati sopra i binari. Li presentiamo schematicamente nella fi-
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gura 14.
La prima cosa che ci colpisce è la forma di queste iscrizioni. Come molte
altre scritte professionali, è necessario conoscere le abbreviazioni per poter
decifrare le frasi: St = Street; Pk = Park; hrs = hours… Inoltre, alcuni elementi
si basano su delle convenzioni implicite. Per essere veramente informati, i
viaggiatori devono conoscere l’esistenza di picchi temporali d’uso del metrò che sono considerati come ore di punta (rush hours). Il testo di questi
pannelli richiede dunque un certo expertise.
Nel nostro caso, poi, conoscere le ore di punta e comprendere le abbreviazioni non è ancora sufficiente per essere informati: occorre compiere
anche un ultimo allineamento, senza il quale potremmo restare in attesa
di un treno B, che circola infrasettimanalmente, ma chiaramente non quel
giorno. Ciò significa che l’informazione elaborata a partire dalla lettura di
quei pannelli, prima di poter essere funzionante, deve essere connessa agli
avvisi che abbiamo trovato all’entrata; il che ci farebbe comprendere che il
treno da aspettare è un Q.
Insomma, per essere informati, ai viaggiatori non basta leggere i cartelli;
essi devono anche metterli in corrispondenza reciproca, creando catene di
lettura che permettano di trasformare il messaggio in un’informazione utile
per l’azione.
La pianificazione
Un’altra postura ampiamente inscritta nel dispositivo della segnaletica è
quella del pianificatore. Essa sembra essere divenuta importante a partire
dalle trasformazioni della segnaletica dell’autobus, in particolare in occasione del programma “Altrimenti Bus” che, come abbiamo visto, ha giocato un
ruolo essenziale nella messa in atto del dispositivo attuale della segnaletica
multimodale. In questo primo movimento, il lavoro della cartografia è cruciale: è anzitutto nelle mappe della rete che la postura del pianificatore è
stata inscritta e affinata.
L’idea di un rinnovamento dell’informazione per i viaggiatori
dell’autobus era di migliorarne l’uso migliorando le mappe,
in modo che la gente potesse cominciare a farsi il proprio
itinerario. Dunque le carte a colori hanno cominciato a essere
introdotte a partire dal quel momento. (Q.W., Dipartimento
cartografia)
Come si vede, qui il controllo conta meno della possibilità di anticipare:
il viaggiatore viene concepito come organizzatore del proprio viaggio che
si traduce in un itinerario memorizzato per tutta la durata del tragitto. Questa postura pianificatrice entra in risonanza con un certo numero di lavori
che sono stati condotti in sociologia economica. Il viaggiatore inscritto nel
dispositivo è dotato di competenze di calcolo e previsione. È un viaggiatore
razionale che adotta un’attitudine strategica di fronte allo spostamento che
vuole effettuare. Come per l’homo oeconomicus della letteratura economica, potremmo insistere sull’aspetto utopico, ovvero ideologico, di questo
tipo d’azione – come per lo più hanno fatto la sociologia critica e le ricerche
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che hanno insistito sull’aspetto irrimediabilmente situato dell’azione2. D’altra parte, può essere interessante prendere in considerazione questa postura nella misura in cui essa è utilizzata non solo come argomento retorico ma
come qualcosa che viene materialmente integrato negli spazi di trasporto.
Come ha sostenuto Callon (1998) nel suo ampio ripensamento dell’antropologia dei mercati, non si tratta tanto di mostrare l’inverosimiglianza
della figura di un soggetto calcolatore, qui pianificatore, quanto di comprendere le condizioni della sua performance. La pianificazione fa pienamente parte dei programmi d’azione inscritti nella segnaletica.
Grazie ai diversi strumenti che sostengono la pianificazione, il viaggiatore dovrebbe essere in grado di tradurre il proprio progetto di spostamento
(“andare nel tal posto”) in una serie di operazioni concrete (“raggiungere la
tale stazione prendendo la tale linea, poi cambiando nel tal punto per prendere la talaltra linea”) che compongono una proiezione punto a punto dei
suoi percorsi. Al di là delle mappe (della rete e della zona), questa postura è
anche inscritta in tutte le tabelle che indicano gli orari dei passaggi dei treni
o degli autobus a ciascuna fermata. Infine, essa è riattivata dai pannelli di
“nomenclatura” che presentano, per la linea che ci apprestiamo a prendere,
le fermate e le corrispondenze che vi si incontreranno.
Visualizzare il proprio tragitto attraverso la nomenclatura. Appena prima di accedere alla banchina, il viaggiatore la consulta per confermare la propria direzione o i punti dove cambiare. La linea è simboleggiata da una retta di un dato colore, e
per ciascuna stazione sono indicate tutte le corrispondenze
possibili. (RATP, 1997, p. 6)
La postura del pianificatore si serve di supporti che il viaggiatore deve
consultare. Utilizziamo il termine “consultare” per rendere conto di una forma di impegno più forte della semplice lettura. Le mappe o le tabelle di destinazione e degli orari non sono concepite per consegnare un messaggio:
esse espongono dei dati molto variabili sotto forma di un ordine grafico
che gli utilizzatori devono sottoscrivere per poterle utilizzare. Si tratta di veri
e propri strumenti di calcolo. Ad esempio a New York, durante uno dei nostri
percorsi fotografici, volevamo raggiungere Canal Street partendo dalla stazione Quinta Avenue-Bryant Park. Dopo aver consultato la mappa della rete,
abbiamo deciso di prendere la linea 7 in direzione downtown, scendere a
Grand Central per cambiare linea, prendere la linea 6 in direzione downtown
fino a Canal Street. D’altra parte abbiamo dovuto anche verificare che i treni
espressi, che non si fermano a tutte le stazioni, si fermassero a Grand Central sulla linea 7 e a Canal Street sulla 6. La consultazione si svolge dunque
come una raccolta di elementi variabili (il numero della linea, il nome di una
stazione, un orario…) che si tratta poi di allineare per ottenere un modo di
operare. Da questo punto di vista, l’equipaggiamento del viaggiatore non
è realmente un “artefatto cognitivo” (Norman,1993) dal momento che esso
non consente di delegare una parte del calcolo e della pianificazione a uno
2 Per un panorama della letteratura su questa questione, si veda Conein e Jacopin
(1994).
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strumento disponibile nell’ambiente. In compenso, esso offre dei sostegni
che mettono al lavoro il viaggiatore.
Una carta è comunque un sistema d’informazione che obbliga la persona a lavorare […] La carta vi dice tutto e niente allo
stesso tempo, vale a dire che dovete trovare il vostro modo
di utilizzarla, dovete trovare il vostro punto di partenza, il vostro punto di arrivo e poi riuscire a comprendere tutto quel
che c’è raffigurato per cogliere le corrispondenze e tutto il
resto… (Q.W., Dipartimento cartografico, RATP)
Questo lavoro di pianificazione mette il viaggiatore nella stessa posizione della persona, immaginata da Suchman nel suo celebre esempio della
discesa in canoa lungo le rapide, che “si ferma un istante sul bordo delle
cascate e prepara [plans] il modo in cui scendere” (Suchman, 2007, p. 72).
Un simile atto si compie prima di effettuare il percorso stesso e fornisce una
“sottospecificazione delle operazioni da eseguire” (Conein e Jacopin, 1993,
p. 77). Ma nel nostro caso la situazione differisce in almeno due punti. Da un
lato, la pianificazione non viene fatta a partire da una posizione geografica
che comporti una vista d’insieme del paesaggio.
Nel metro, il viaggiatore non si trova mai “sul bordo della cascata” e non
può mai vedere la totalità dell’ambiente dei propri futuri spostamenti. Per
pianificare il proprio percorso, si trova di fronte a delle rappresentazioni grafiche che gli forniscono un punto di vista panoramico sul metro, a partire dal
quale può connettere vari tipi di informazione. A differenza di chi fa rafting,
il viaggiatore del metro non ha i mezzi per pianificare dicendosi qualcosa
come: “Vado il più possibile a sinistra, e poi cerco di passare tra quelle due
grosse pietre” (Suchman, 2007, p. 72). Al contrario, una volta scelto il suo percorso il viaggiatore sa solo che può “prendere la linea 5 a Bastille in direzione
di Place d’Italie, cambiare a Gare d’Austerlitz per prendere la linea 10 in direzione di Boulogne, e scendere a Cluny-La Sorbonne”. Di conseguenza, il fatto
di pianificare non serve al viaggiatore a fare il miglior uso possibile delle
proprie abilità fisiche per andare da un luogo all’altro. La pianificazione del
percorso implica invece un savoir-faire di tipo semiotico. Il viaggiatore deve
familiarizzarsi con i nomi delle direzioni, i numeri delle linee, i colori ai quali dovrà fare attenzione durante il tragitto. A causa del carattere semiotico
degli strumenti di pianificazione, il viaggiatore non può, una volta iniziato il
percorso, “abbandonare il piano e non contare che sui propri atteggiamenti
incorporati” (Suchman, 2007, p. 72). Nei corridoi del metro, non avrà più accesso alla ricca rappresentazione delle mappe o delle tabelle delle destinazioni3. Il successo del suo tragitto dipende al tempo stesso dalla sua abilità a
comprendere localmente l’indessicalità di ogni iscrizione e memorizzare le
istruzioni. Come pianificatore, per raggiungere la destinazione desiderata il
viaggiatore non deve solo creare una coerenza tra il nome della stazione, la
direzione, il numero e il colore delle linee; deve anche registrare i risultati del
3 In compenso ci sarà un nuovo accesso alle banchine (vedi la foto n. 7 della figura
12), che gli permetterà eventualmente di ricominciare il processo se non raggiunge
il luogo desiderato.
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proprio calcolo e portarli con sé durante tutto il tragitto.
La risoluzione dei problemi
La terza postura contrasta nettamente con le prime due. Fin qui ci siamo
trovati di fronte a un viaggiatore razionale, in pieno possesso dei propri
mezzi, in grado di controllare tutti gli aspetti del proprio spostamento.
Specularmente, troviamo però anche un viaggiatore molto più fragile, un
viaggiatore inquieto, che non smette di dubitare, i cui spostamenti sono
punteggiati di interrogativi come:
Dove è possibile telefonare? Dove si comprano i biglietti?
Come uscire? Che autobus prendere? Il viaggiatore si interroga ad ogni istante durante il proprio tragitto. (RATP, 1997,
p. 2)
Al centro di questa postura si trova la nozione di incertezza. Essa è centrale non solo per gli ideatori della segnaletica, ma più in generale per tutto
l’ambito dell’informazione ai viaggiatori. Il documento del 1993 che presenta le linee strategiche di sviluppo della RATP promuove fortemente questa
postura. L’incertezza è presentata come una caratteristica degli utenti non
adeguatamente equipaggiati e al tempo stesso come un rischio importante del servizio di trasporto nel suo insieme.
L’assenza o il mancato riconoscimento [di un certo numero
di elementi dell’informazione] implica una situazione d’incertezza per il viaggiatore e crea dei dubbi sulle scelte da compiere o sulla buona realizzazione del proprio spostamento in
corso. (RATP, 1993, p. 2)
In questo periodo di riflessioni, che si materializzerà in un dispositivo di
segnaletica multimodale, la sfida è chiara: i viaggiatori si trovano costantemente di fronte alla necessità di prendere delle decisioni. Le scelte che devono effettuare sono compiute in uno stato di ignoranza che l’informazione
ai viaggiatori deve sistematicamente cercare di colmare.
Per migliorare la qualità del servizio di spostamento, la politica di miglioramento dell’informazione ai viaggiatori mira a
ridurre le incertezze dei viaggiatori. (RATP, 1993, p. 2)
Da questo punto di vista, la segnaletica opera esattamente come il
packaging nel mercato dei prodotti alimentari (Cochoy, 1999). Rendendo visibile l’ordinamento degli spazi e segnando i legami tra i diversi luoghi (sale,
corridoi, scale mobili…) essa produce le condizioni per effettuare le scelte.
[Con la segnaletica] in ogni istante vi trovate di fronte a una
scelta che divide l’universo in due: quel che potete raggiungere andando a sinistra e quel che potete raggiungere andando a destra. Insomma una direzione vale per la metà dello
spazio e l’altra per l’altra metà. (L.C., Dipartimento dei sistemi
di informazione e telecomunicazioni, RATP)
Nel caso del metro, chiaramente la scelta che si compie non è dello stesso tipo di quella che si compie in un supermercato: infilando un corridoio
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invece di un altro non si tratta di far giocare un qualche tipo di concorrenza
economica tra prodotti simili. Tuttavia la postura inscritta nei due dispositivi
è molto simile. Segnaletica e packaging infatti si basano su una versione
ristretta del modello della risoluzione dei problemi. Il loro scopo è di dare
al viaggiatore o all’acquirente tutti i mezzi per uscire da uno stato di indecisione considerato come naturale. Pur partendo dalla figura mentalista della
risoluzione di problemi (Simon 1971), i progettisti se ne distaccano attraverso la produzione di ambienti tangibili. Gli elementi grafici disposti nell’ambiente sono pensati come risorse esterne che devono aiutare il viaggiatore
nella ricerca di soluzioni. La risoluzione di problemi si riconfigura cioè come
sistema cognitivo esteso: i compiti non sono svolti da un individuo isolato
preso in una deliberazione solitaria. Le proprietà cognitive emergenti delle
interazioni tra le parti del sistema cognitivo sono egualmente distribuite tra
umani e artefatti (Norman, 1993). In questa prospettiva, la segnaletica e i
viaggiatori lavorano in parallelo. I progettisti concepiscono l’uso del metro
sulla base di un modello di “cognizione distribuita”. Tale postura presenta
due lati. Se per certi aspetti l’incertezza e l’indecisione appaiono come qualità intrinseche del viaggiatore, esse non sono considerate come motivi di
paralisi dell’azione; piuttosto, sono controbilanciate dalla capacità di superare i propri dubbi attraverso l’uso dei moduli della segnaletica. Gli artefatti
in cui si inscrive questa postura sono concepiti principalmente come dei
deittici, vale a dire dei “qui” o dei “per di qui” proposti allo sguardo degli utenti. Seguendo i pannelli, rispettando il senso delle frecce direzionali, il viaggiatore può ridurre il proprio stato di incertezza. La risoluzione dei problemi
passa così per la disponibilità di mezzi rapidi e poco costosi per effettuare
delle scelte.
Nei corridoi i pannelli si susseguono, si concatenano per formare tutti gli itinerari possibili […] Dove comincia un percorso, il pannello indica la direzione da prendere e il tracciato da
seguire. (RATP, 1997, p. 9)
O ancora:
“Da che parte andare?” … Seguire le frecce che guidano. Per
passare da un trasporto a un altro, scegliere la propria uscita,
orientarsi nei corridoi, accedere ai servizi… L’unica guida da
seguire per non perdersi è la freccia. (RATP, 1997, p. 5)
Per adottare una tale postura, il viaggiatore deve accettare di prestare
sempre attenzione a elementi grafici specifici, che si ritiene sia in grado di
riconoscere nel corso dei propri spostamenti. L’esempio tipico di tali piccoli
elementi è l’icona che rappresenta il numero della linea. Ma in tale postura
sono incluse anche delle parole, come ad esempio il nome delle direzioni (i
capolinea di ciascuna linea a Paris, uptown e downtown a New York). Rispetto a queste indicazioni, i viaggiatori dovrebbero essere in grado di leggere
le “parole disegnate” di cui devono poter “riconoscere le silhouette” (RATP,
2002, diapositiva n. 15).
Perché la forma delle parole possa contare come risorsa per l’azione, è
necessario fabbricarla in modo preciso. Inscrivere nello script la capacità di
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riconoscere parole presuppone pensare molto precisamente le caratteristiche visuali delle composizioni semantiche dei deittici: la tipografia, la taglia,
lo spessore e la distanza. Si tratta per i progettisti di inventare ciò che essi
stessi designano come una “lingua visuale” (RATP, 2002) al fine di attenuare,
a partire da una certa distanza spaziale, l’inclinazione dei viaggiatori per la
lettura. Il punto è che le parole devono essere meno lette che guardate.
L’importante è che una destinazione divenga una semplice
forma che i viaggiatori sono in grado di identificare. Cioè, è
chiaro che “Neuilly” e “Château de Vincennes” non devono
avere la stessa forma; per far ciò è necessario scrivere la prima
lettera in maiuscolo e il resto in minuscolo mentre per il secondo bisogna diminuire la taglia dei caratteri, affinché i pannelli possano essere letti solo quando ci avviciniamo, mentre
al di là di una certa distanza sia la forma che si impone. (L.C.,
Dipartimento sistemi informativi e telecomunicazioni, RATP)
Così concepiti e riprodotti negli spazi del trasporto, questi moduli divengono dei sostegni informativi molto più pervasivi delle mappe o dei testi.
Essi sono un ingrediente essenziale nella produzione di un ambiente grafico, in cui le dimensioni architettoniche e linguistiche si mescolano (Fuller,
2002).
Per adottare la terza postura, il viaggiatore deve accettare di fare i conti
con un ambiente ibrido. Durante il proprio tragitto deve essere in grado di
riconoscere i deittici che popolano le stazioni e identificare le risorse pertinenti in ogni situazione di scelta. Lasciandosi guidare dalle frecce e dalle
altre “parole disegnate”, deve essere in grado di risolvere rapidamente incertezze e problemi di orientamento, senza le pause necessarie alla lettura o
alla consultazione dei dispositivi grafici più complessi.
La reazione
Certi aspetti del dispositivo grafico si richiamano a un quarto tipo di postura, che mostra un viaggiatore essenzialmente reattivo. Sbarazzatosi delle proprie capacità organizzative e delle proprie incertezze abissali, questo
viaggiatore è mosso soprattutto da degli automatismi basilari che gli elementi della segnaletica attivano.
Subito visto, subito percepito… Si tratta di segni che parlano
senza bisogno di essere letti. Tutti i segni della nuova segnaletica si comprendono in un colpo d’occhio. Si tratta di un
repertorio di segni che esistono da sempre alla RATP e che,
debitamente rinnovati, provocano nell’utilizzatore dei riflessi
immediati. (RATP, 1997, p. 2)
Qui il viaggiatore non ha più problemi da risolvere. Gli elementi grafici gli offrono il comfort dell’economia. Sono concepiti e disposti al fine di
alleggerirlo di qualsiasi introspezione deliberativa. Tale cortocircuito di ragionamento e decisione funziona secondo lo stesso principio dei sistemi
cognitivi distribuiti come i posti di comando marittimo studiati da Hutchins
(1995). La reazione si iscrive in artefatti sui quali l’utente può appoggiarsi
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|capitolo 3|
in modo quasi istantaneo. Tale postura presuppone anche che una parte
dell’attività di spostamento sia rinviata a dei “compiti percettivi” (Hutchins,
1994): i pannelli suscitano le azioni adeguate nel momento stesso in cui
vengono percepiti.
La quarta postura circoscrive dunque un’entità reattiva che intrattiene
una relazione pacificata con gli spazi attraversati e con tutto ciò che viene
colto nello svolgimento del percorso. Nel cruciale articolo di Tallon e Jeudy
che pone i fondamenti teorici del dispositivo, gli autori descrivono uno dei
compiti della segnaletica in questo modo: “Si tratta di ridurre i possibili scarti
nella pratica dell’utente tra la percezione e l’attività cognitiva” (Tallon e Jeudy, 1977, p. 39). La quarta postura si fonda sulla capacità di alcune iscrizioni
a venire percepite da lontano. In questo contesto, i moduli della segnaletica
sono pensati come dei sostegni: si organizzano in quello che i loro ideatori
chiamano un “filo di Arianna” (Wiart, Le Roux e Lomazzi, 1998) che accompagna il cammino e fornisce una guida operativa passo dopo passo. Perciò
sono i colori stessi e la materia che diventano motivi per l’azione. Ad esempio, dobbiamo poter seguire facilmente i pannelli che indicano l’uscita grazie al loro caratteristico colore (blu notte a Paris, rosso a New York).
Le convenzioni sulle forme e i colori dei cartelli derivano da una storia
persino più generale di quella del metrò e si traducono in una semiotizzazione parziale dei supporti. La forma di un cartello, il colore di un’icona o
il piazzamento di un simbolo possono così diventare degli atti linguistici
(“infila questo corridoio”, “di lì per l’ascensore”...) identificabili con un colpo
d’occhio.
Questa proprietà degli elementi grafici è uno degli aspetti importanti
della teoria degli atti di scrittura sviluppata da Fraenkel (2006): alcuni atti
possono essere direttamente inscritti in un supporto materiale. In una ricerca sullo spazio dell’ospedale, Fraenkel ha trovato che gli atti che consistono
nell’ordinare un farmaco o nel prescriverlo non si distinguono nel loro contenuto, che è identico, ma per il colore dei foglietti utilizzati (Fraenkel, 2001).
Nel caso della segnaletica, la semiotizzazione dei supporti mette in atto
una intelligibilità di basso livello che radicalizza la distribuzione dell’azione nell’ambiente. Ciononostante, gli spazi del metro sono sovraccaricati
di iscrizioni. La delega dei compiti cognitivi legati all’orientamento e allo
spostamento non è automatica ma passa per una selezione. Solo alcuni
elementi grafici possono portare a dei concatenamenti di tipo percezione/
azione: essi sono sempre presenti tra le varie forme segnaletiche. Adottare
la postura di un’entità reattiva, anche per un solo istante, presuppone un
tipo di impegno molto particolare rispetto allo spazio e all’affollamento di
artefatti grafici che lo popolano. Per diventare reattivo il viaggiatore deve
accettare di delegare il controllo del proprio tragitto all’ambiente. Deve lasciarsi “prendere per mano” secondo l’espressione stessa di un responsabile
della normalizzazione della segnaletica, fidandosi dei moduli.
Questo tipo di impegno è molto vicino al regime di “influenza” esplorato
da Bessy e Chateauraynaud (1995) a proposito dei rapporti che si intrattengono con oggetti sia eccezionali sia banali. Si tratta di un regime che
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passa per una messa sotto tutela del viaggiatore, o piuttosto per un corpoa-corpo che annulla qualsiasi pretesa umana di oggettivazione, per adottare uno stato che “si caratterizza per l’assenza di rottura tra gli esseri [...] che
non permette alcuno scollamento” (Bessy e Chateauraynaud, 1995, p. 263).
Il miglior modo per comprendere questo script è proprio considerando i
casi in cui fallisce. Durante un tragitto, ci trovavamo nella stazione Charles
de Gaulle Étoile, dove si incrociano tre linee di metro e una di RER. Per prendere la linea 2, ci bastava seguire il colore blu esposto su vari pannelli (figura 15). Proseguendo nei corridoi potevamo tranquillamente conversare sul
nostro futuro libro sulla segnaletica senza preoccuparci troppo della giusta
direzione; un furtivo colpo d’occhio era sufficiente a garantirci del nostro
procedere. Fino al punto in cui ci siamo arrestati, incapaci di proseguire oltre
secondo il regime reattivo.
Il fatto è che la stazione Charles de Gaulle-Étoile è solo parzialmente
equipaggiata con la nuova segnaletica. Molti corridoi hanno ancora i vecchi
pannelli in cui non figurano i colori delle linee. Impossibile in questo caso
continuare a seguire il blu che ci aveva guidati fin là. L’automatismo percettivo falliva di fronte alla vecchia segnaletica, e si trattava di cercare un’altra
postura per poter continuare verso la banchina: ci trovavamo di nuovo in
situazione di scelta per trovare il numero 2 sui pannelli (figura 16). Questo
caso mostra bene che l’economia e il comfort della delega agli artefatti grafici rappresentano sempre un rischio, che ne costituisce in qualche modo
l’immagine rispecchiata: ovvero, il dover abbandonare l’autonomia e il controllo delle proprie azioni.
Conclusione: spazi pubblici, accessibilità e diversità
Sin dall’inizio della modernizzazione del servizio di trasporto l’attenzione per
gli utenti si è tradotta in una profonda ridefinizione del “pubblico”. Esso non
appare più sotto forma di un collettivo indifferenziato popolato di individui
astratti, visti da lontano, dal punto di vita della massa che compongono.
Come ha mostrato Joseph (2004) nel suo studio per il progetto Météor alla
RATP, la folla viene pensata attraverso le qualità dei suoi membri: il viaggiatore è diventato singolare e il collettivo è esploso in innumerevoli minoranze, ciascuna delle quali ha le proprie aspettative e le proprie rivendicazioni.
Nel corso di questo movimento, “il carattere pubblico del servizio non è più
dissociabile da una problematica più sottile di accessibilità” (Joseph, 2004,
p. 17).
A partire dal suo rinnovamento, la segnaletica svolge un ruolo importante in questa politica dell’accessibilità: essa infatti è concepita come un’offerta plurale che mette a disposizione degli utenti diversi possibili script.
L’informazione ai viaggiatori emerge come il risultato composto di diverse
forme di impegno, che vanno dalla lettura computazionale dei dati fino al
colpo d’occhio più furtivo. Essere informati su una situazione, pianificare
degli spostamenti, appoggiarsi a dei sostegni informativi per scegliere una
direzione o reagire a distanza a un colore o a una forma sono le principali posture che compongono questo ambiente plurale. Una tale gamma di
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|capitolo 3|
possibilità sottolinea la particolarità degli spazi del metrò: in quanto luoghi
pubblici essi devono poter garantire la diversità delle risorse per l’uso dei
servizi di trasporto. Gli artefatti grafici che vi sono esposti devono tenere
conto il più possibile della varietà degli atteggiamenti dei viaggiatori. La
pluralità della segnaletica manifesta una considerazione ampliata verso la
singolarità degli utenti.
In un sistema del genere, ognuno usa il codice che preferisce.
Voi mi direte “la [linea] gialla”, altri vi diranno “la uno”, e un vecchio mi dirà “La Défense”, perché coi numeri si confonde…
(L.T., Unità Concezione e Identità degli Spazi)
È importante però anche notare che questi diversi script non si fondano
su definizioni essenzialiste dell’utente: uno stesso viaggiatore può passare
da una postura all’altra nel corso dello stesso tragitto – e, in generale, è persino invitato a farlo. È quanto mostrano Latour ed Hermant (1998, p. 87-105)
nella loro descrizione di un percorso nella città di Parigi, in cui il pedone nel
giro di qualche metro passa da un dispositivo all’altro (un bancomat, un
attraversamento a Croce di sant’Andrea, un semaforo, etc.), e da una postura
a un’altra:
Non faccio che attraversare Parigi: in contemporanea l’ “io” attraversa varie forme d’azione, vari regimi di intelligenza che
non hanno quasi alcun rapporto tra loro […] Da un secondo
all’altro, dei regimi d’azione diversi si sostituiscono per farmi
passare da una competenza all’altra. Non sono né ai comandi né senza comandi: sono formattato. Mi si offrono delle
possibilità di esistenza che si basano su dei dispositivi sparsi,
formicolanti nella città. Vado da un’offerta all’altra. Per avanzare afferro un piccolo pezzo di programma d’azione che altri
hanno incollato per me su ciascun dispositivo […] Circolando
da un contesto locale all’altro, ricevo della situazione globale
solo i pochi elementi di cui ho bisogno per continuare il mio
cammino. (Latour ed Hermant 1998, p. 101)
A Parigi, il passante si distribuisce in una diversità di utenti progettati da delle istanze e delle istituzioni tanto diverse tra loro quanto lo sono
un’agenzia bancaria, il Comune di Parigi, il Consiglio nazionale della sicurezza stradale e così via. Nel metrò, il viaggiatore ha altresì a che fare con delle
posture d’utente variegate, ma, a differenza della città, in cui si accostano
una varietà di istanze e amministrazioni, qui tutte le posture emanano da
una istituzione unica che inscrive le proprie priorità di accessibilità e diversità in un dispositivo plurale.
Tuttavia, non si tratta di un mondo pacificato in cui l’utente trova naturalmente il proprio posto. L’accessibilità e la diversità degli utenti rappresentano al contrario sfide costanti per l’impresa di trasporto. Rendere lo spazio
e il servizio disponibile a tutti, o piuttosto a ciascuno, attraverso delle scritte
esposte, richiede la produzione di un allineamento complesso di inscrizioni,
di forme e di materiali che devono “far presa” nei modi più vari e allo stesso
tempo costituire un insieme armonioso. In spazi in cui l’attività principale è
lo spostamento, la coerenza non risulta dalla giustapposizione di ogni iscri-
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zione in uno stesso luogo; essa passa invece per l’organizzazione di un’affissione degli elementi pertinenti lungo tutto il tragitto. Si tratta di un’ecologia
grafica cooperativa che gli ideatori della segnaletica RATP chiamano il “filo
d’Arianna”, e che i membri del New York City Transit spiegano in termini di
handoff, ovvero di passaggio da un artefatto all’altro:
La questione è che ogni tipo di sistema informativo ha il proprio sapore particolare. E il livello di passaggio [handoff] da
un tipo di informazione all’altro… Questa connettività è una
cosa molto difficile da ottenere. Così, ad esempio, quando
entri in una stazione vedi una mappa. Proseguendo vedi un
segno che dice “i treni viaggiano” o meno. E quando raggiungi
la banchina, vuoi sapere a che ora parte il tuo treno. E quando
sei sul treno forse vuoi sapere da che parte si aprirà la porta,
o quale sarà la prossima fermata. Tutte queste informazioni
stanno in media diversi. Questa è la sfida. La cosa difficile da
creare è il flusso di questa informazione. (Z.C., Strategic Business Planning, Servizi tecnologici e informatici, NYCT-MTA)
Non è soltanto il numero di posture da inscrivere nell’ambiente grafico
che rende delicata la loro armonizzazione. Il problema è più complesso: le
posture sono per definizione difficilmente conciliabili; alcune sono persino
chiaramente antagoniste tra loro.
Una situazione che abbiamo sperimentato a New York lo illustra bene.
Sulla rete, le uscite sono indicate con un rettangolo rosso vivo con la scritta
“exit” in bianco (figura 13). Questa semiotizzazione dei supporti permette,
come abbiamo visto, di attivare la postura che si basa sull’automatismo percettivo: per uscire si segue il rettangolo rosso senza bisogno di pensarci su.
Ed è quello che facevamo anche noi. Ma nel caso di un tragitto ci siamo
trovati in fondo a una banchina contro un muro, senza uscita. Questa situazione ci è apparsa tanto più assurda in quanto procedevamo prendendo
una foto di ciascun cartello, e dunque avendolo visto piuttosto bene. Per
comprendere come eravamo finiti nel vicolo cieco, siamo dovuti tornare sui
nostri passi e osservare più in dettaglio i pannelli che avevamo seguito.
Il primo (figura 17) è un esempio lampante di difficile coabitazione, in
quanto comporta sì il familiare rettangolo rosso dell’uscita, ma sulla seconda linea, dopo le parole “Elevator, Shuttle et 24 hour booth” si trovano anche
le parole “at other end of the platform”, che comprendiamo ora trattarsi di
parti di un’unica frase: l’uscita, l’ascensore, la navetta e la biglietteria si trovano dall’altra parte della banchina. Per basarci su questo pannello, abbiamo
dovuto adottare la postura del lettore e non quella dell’entità reattiva. Le
due posture sono dunque profondamente incompatibili.
Questa tensione tra coesistenza di diverse posture possibili e armonizzazione dell’insieme del dispositivo è particolarmente viva nella gestione
grafica degli spazi del metrò, e si gioca fino nelle scelte più elementari. Ad
esempio, nel caso della RATP, la postura che consiste nel seguire “le parole disegnate” presuppone un’affissione con iniziale maiuscola e corpo minuscolo. Ma non basta: perché la postura diventi efficace, bisogna anche
limitare la possibilità di adottarne una diversa. Come precisava più sopra
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|capitolo 3|
l’addetto del dipartimento dei sistemi informativi e delle comunicazioni
in un estratto dell’intervista, i viaggiatori distanti dai pannelli devono essere condotti a riconoscere dei profili piuttosto che decifrare delle parole.
Le scritte devono essere piccole proprio per favorire a distanza il riconoscimento delle forme4.
Certe posture sono dunque difficilmente conciliabili nel medesimo spazio e un singolo pannello non può cercare di sostenerle tutte. D’altra parte,
è in questo senso che la segnaletica è anche un dispositivo di disciplina:
a seconda delle situazioni che essa cerca di favorire (lasciare la banchina,
entrare nella stazione, trovare una corrispondenza etc.) essa si trova a privilegiare certe posture piuttosto che altre.
In tal modo la questione della coesistenza, vale a dire della produzione
di un’ecologia grafica cooperativa, è attraversata da un’altra logica: la gamma delle posture possibili non è mai definitivamente chiusa. Alcuni utenti
e i loro rappresentanti chiedono regolarmente alle compagnie di trasporto
di prendere in consideraizone la loro specificità, cosa che allunga inevitabilmente la lista dei nuovi candidati all’accessibilità. Oggi, ad esempio, le
sfide legate alle disabilità motorie sono centrali per i designer tanto quanto
lo sono per gli architetti. A Parigi lo STIF, il Syndicat des Trasports d’Ile-deFrance, l’autorità di tutela della RATP, è estremamente sensibile alla questione dell’ipovedenza. Sono in corso discussioni per proporre i dispositivi di
informazione viaggiatori più adatti alla popolazione coinvolta. La sfida alla
segnaletica in questo caso è complessa, proprio perché certi suoi script presuppongono la presenza di un viaggiatore “visualmente dotato” (Lacoste,
1997, p. 27).
4 La dimensione dei caratteri è anche evidentemente in rapporto con la lunghezza
del pannello e delle diciture.
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94
|capitolo 4|
Capitolo 4
Il posizionamento delle scritte
Affinché i cartelli possano servire ai passanti è necessario
che un’istituzione affidabile li abbia affissi nel posto giusto.
Ma qual è il posto giusto? (Latour ed Hermant, 1998, p. 28)
La segnaletica è un gestore degli spazi del metrò la cui onnipresenza produce un ambiente semiotico che configura al tempo stesso il luogo e i suoi
abitanti. Come abbiamo visto, questa gestione passa per l’iscrizione di certi
usi negli artefatti che equipaggiano panchine, sale o corridoi delle stazioni.
In un luogo pubblico – e dunque accessibile – come il metrò, è necessario
tenere conto della pluralità della popolazione.
Gestire graficamente l’accessibilità implica gestire la diversità delle competenze cognitive integrando diverse posture possibili nella concezione
stessa delle scritte esposte. Questa gestione costituisce la traccia di un “programma di esposizione grafica” (Petrucci, 1993) della segnaletica. Si tratta
di una manifestazione importante della crescente considerazione per gli
utenti che sta alla base del lento processo di modernizzazione dei servizi
di trasporto che abbiamo ripercorso a grandi linee nel capitolo 1. Questo
processo è difeso tanto dagli ideatori quanto dagli incaricati della normalizzazione di contenuti e supporti grafici, i quali giocano un ruolo chiave
nell’esistenza quotidiana del dispositivo.
La gestione degli spazi non ha solo a che fare con principi e prescrizioni.
Per equipaggiare i luoghi con degli artefatti grafici ci vogliono delle persone incaricate di installare effettivamente i pannelli e gli adesivi. Alla RATP si
tratta degli agenti di manutenzione: sono loro che ogni giorno posizionano
e sostituiscono i moduli che compongono il dispositivo segnaletico. Non
potremmo non interessarci dunque alla loro attività.
L’analisi dei documenti di presentazione e lo studio approfondito dei
testi normativi che definiscono dettagliatamente, il posizionamento e il
contenuto di ogni elemento grafico potrebbe far credere che l’attività degli
agenti si riduca all’applicazione pedissequa delle regole. Ma la sociologia
del lavoro e l’ergonomia ci hanno da lungo tempo invitato a diffidare di
simili scorciatoie: il lavoro reale non è mai il lavoro prescritto, e soprattutto è
compiendo il primo (con degli aggiustamenti e delle difficoltà) che i lavora-
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tori possono avvicinarsi al secondo.
È dunque interessante adottare questa prospettiva nel caso delle scritte esposte, rispetto alle quali l’analisi non si spinge di solito al di là del
programma che le governa. Seguendo questa pista, potremo ampliare la
gamma delle attività osservate e prolungare lo studio delle forme di questa azione che è lo scrivere fino alle operazioni più concrete di trattamento
e di installazione. Infatti, gestire un luogo attraverso delle scritte esposte
implica anche trasportarle, aggiustarle, fissarle. Nei prossimi capitoli cercheremo perciò di comprendere cosa comportino queste diverse operazioni di
installazione sia dal punto di vista dell’attività degli agenti di manutenzione
che da quello degli oggetti grafici che compongono la segnaletica. Analizzando in dettaglio il lavoro ordinario di posizionamento e di manutenzione,
vedremo che la messa in atto dei principi e degli standard della segnaletica
prende la forma di un allineamento, sempre fragile, tra le regole, i corpi degli
agenti, gli oggetti grafici con i quali essi entrano in contatto e l’ambiente
nel quale si muovono. In senso più ampio, questa esplorazione ci darà l’occasione di discutere la nozione stessa di materialità, nozione che ci sembra
essenziale analizzare in profondità per comprendere i processi di gestione
grafica dello spazio.
Proponiamo di iniziare l’analisi focalizzando questo capitolo su una questione precisa e sui diversi modi con cui gli agenti di manutenzione tentano
di rispondervi nel corso del loro lavoro. L’installazione di un elemento della segnaletica è infatti sempre gravato, più o meno esplicitamente, da un
dilemma: dove posizionare il pannello? La questione che sollevano Latour
ed Hermant (1998), e che abbiamo posto in esergo al capitolo, fa parte del
quotidiano degli operatori, la cui attività è essenzialmente un lavoro di posizionamento. Installare la segnaletica significa soprattutto trovare il posto
giusto per ciascun modulo.
Affrontare questo problema e studiare le modalità del suo trattamento
situazionale ci permetterà di mettere in luce una nuova faccia della gestione grafica del metrò, così come, a partire dalle operazioni che andremo ad
esaminare, di proporre delle piste per elaborare un quadro di analisi del posizionamento delle scritte nei luoghi pubblici.
Dal posto al posizionamento
La questione del posizionamento delle scritte urbane è progressivamente divenuta importante in diverse ricerche. Vari autori hanno messo in
luce l’importanza dello spazio nell’analisi della performatività delle scritte.
Con le nozioni di “scrittura esposta” e di “programma di esposizione grafica”, tale questione è presente in filigrana nell’analisi che Petrucci (1993)
fa delle iscrizioni presenti nelle città italiane dall’undicesimo al ventesimo
secolo. Queste nozioni aprono il terreno dell’epigrafia tradizionale a un insieme di scritte fino ad allora ignorate: slogan politici, affissioni pubblicitarie,
pannelli della segnaletica, graffiti… L’analisi delle forme grafiche e delle tecniche di realizzazione passa per una riflessione sistematica sui gruppi sociali
che controllano lo spazio grafico, che fissano le regole d’esposizione delle
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|capitolo 4|
scritte e ne programmano gli usi legittimi. Ma il posizionamento delle iscrizioni nello spazio urbano è anche un elemento fondamentale affinché una
scritta esposta assuma pienamente le sue finalità estetiche ed ideologiche.
Nella loro esplorazione di Parigi, Latour ed Hermant (1998) si sono interessati anche alle scritte, studiando il concatenamento di processi che
guida, ad esempio, il posizionamento delle targhe con i nomi delle strade
(ibid., pp. 27-35), attività che fa parte di una più vasta rete in cui si articola
un numero considerevole di tracce scritte e di servizi amministrativi: faldoni,
formulari, tabelle e una moltitudine di carte del servizio viario, del servizio
catastale, del servizio tecnico della documentazione fondiaria, del servizio
nomenclatura e così via. I due autori mostrano così che il giusto posizionamento di una targa stradale è il risultato di un allineamento di tutti questi
diversi elementi. Se per una ragione o per un’altra uno di essi si disallinea, e
se la messa in corrispondenza tra i servizi e i documenti non è possibile, gli
agenti del servizio stradale non possono più agire.
Più recentemente, in un altro contesto, Scollon e Scollon (2003) hanno
sviluppato un programma di “geosemiotica” attraverso il quale affrontare la
questione dello spazio. Essi propongono di rompere con la semiotica tradizionale che si appoggia sull’interpretazione dei segni presi isolatamente
e lanciano l’idea di uno studio dei segni “in loco”, sottolineando così l’importanza dell’indessicalità, a partire da una riflessione sul posizionamento
dei segni nel mondo. Tra i vari esempi possibili, i pannelli delle uscite di
emergenza illustrano bene il problema (Scollon e Scollon, 2003, pp. 28-31).
La freccia mostra in che direzione correre, e l’icona che simboleggia una
persona che fugge dalle fiamme è altrettanto indessicale in quanto corre
nella stessa direzione della freccia. Ora, per i due autori, un pannello di questo tipo non vale ancora granché se messo su un muro qualunque; solo una
volta posizionato a dovere potrà veicolare il suo senso. In questo modello, il
segno trae la sua forza e la sua capacità di significazione dalle proprietà spaziali. La sua pretesa di performatività deriva dal condividere uno spazio con
ciò che designa, e tale relazione è al centro degli interessi della geosemiotica. Infine, anche Fraenkel (2006; 2007) nella sua teoria degli atti di scrittura propone di mettere lo spazio al centro dell’analisi della performatività
dello scritto. Partendo da una discussione approfondita dei lavori di Austin
(1970), il quale abbandona la nozione stessa di performatività nella settima
conferenza di Quando dire è fare, Fraenkel spiega che il progetto di Austin di
distinguere gli enunciati constatativi da quelli performativi raggiunge una
impasse proprio perché trascura le qualità proprie degli enunciati scritti, riportando l’enunciazione a un qui ed ora troppo povero.
Fraenkel (2006) mostra anche che quando Austin usa l’esempio del pannello “cane pericoloso” lo intende come un enunciato orale e come un avvertimento analogo a quel che potrebbe dare una persona in loco. Ma così
facendo Austin trascura le condizioni stesse della performatività. In un’analisi dettagliata, Fraenkel ricorda che il pannello non è un enunciato che fluttua nel vuoto in attesa di un enunciatore: al contrario, esso occupa già una
certa posizione. Il suo posizionamento è totalmente indissociabile dalla sua
97
dimensione performativa.
Insomma, è attaccando il cartello “cane pericoloso” alla porta o al cancello di casa che si crea un luogo protetto e un paraggio “pericoloso”. Questi
elementi di riflessione prolungano l’analisi degli Scollon sottolineando il carattere situato della performatività dello scritto, e mostrano che è l’istallazione di un artefatto grafico in un luogo preciso che consente di trasformare
il mondo.
Tutti questi lavori, pur vertendo su casi diversi, concordano nel sottolineare l’importanza del luogo delle iscrizioni per garantire la loro visibilità,
leggibilità e, di conseguenza, performatività. L’analisi del posizionamento
delle scritte è necessaria e persino indispensabile affinché le scritte esposte possano agire. Tuttavia queste ricerche non si interrogano ancora sul
processo di posizionamento in quanto tale. Petrucci mette certo l’accento sui committenti e gli ideatori delle scritture pubbliche, ma molto meno
su quelli che materialmente scolpiscono, affiggono o installano le scritte.
Latour ed Hermant si interessano meno alla posa stessa delle targhe che
alla cascata di trasformazioni successive che consentono di passare da un
servizio all’altro, dalla mappa al modello, dalla targa alla strada. Concentrati
sulla questione dell’indessicalità, gli Scollon affermano sì che il significato
di un pannello non è ancora attuale nelle mani di chi lo poserà, ma non si
interrogano sulle attività necessarie alla posa, né su quelle di chi decide il
posizionamento del pannello. Infine, pur sviluppando un programma teorico degli atti di scrittura Fraenkel, nella sua analisi di Austin, non studia direttamente le operazioni che assicurano all’enunciato le condizioni spaziali
della sua performatività.
Il posizionamento delle scritte è però un atto cruciale. Senza di esso, non
si riuscirebbe a far sì che un programma di esposizione grafica diventi effettivo nello spazio. Nel nostro caso, non si riuscirebbe a far esistere il dispositivo
della segnaletica nei corridoi e sulle banchine. Senza il posizionamento dei
pannelli, sarebbe anche impossibile garantire la riuscita della indessicalità
(Scollon e Scollon, 2003) e l’adesione della scritta allo spazio da trasformare
(Fraenkel, 2006), poiché non si riuscirebbe a garantire ad ogni elemento grafico di trovarsi nel posto giusto da cui guidare i viaggiatori. Infine, nella rete
delle tracce e dei servizi dedicati alle iscrizioni urbane (Latour ed Hermant,
1998), il posizionamento è l’ultimo anello della catena. Come si articola tale
ultimo anello rispetto agli altri? Quali operazioni consentono di passare dai
concetti presenti nei documenti normativi a un posizionamento sul muro di
una banchina? Per rispondere a queste domande, è necessario essere attenti a ciò che comporta il lavoro di piazzamento della scritta. Come vedremo,
gli agenti incaricati dell’installazione fisica del dispositivo segnaletico nelle
stazioni procedono in diversi modi. La diversità delle loro operazioni mostra
che le qualità semiotiche e pragmatiche degli oggetti grafici vanno valorizzate. Oltre all’indessicalità, la capacità d’azione di queste scritte si gioca
nel processo di collocazione. L’attenzione al lavoro di posizionamento apre
dunque all’analisi delle azioni effettuate sulle scritte.
Con queste osservazioni, il nostro obiettivo è di proporre una descrizio-
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|capitolo 4|
ne delle sequenze d’azione tipiche. Cominciamo con l’ipotesi, da verificare,
che esse siamo comuni alla maggior parte delle situazioni di posizionamento di scritte nei luoghi pubblici. Seguire le attività degli agenti incaricati ci
ha consentito di identificare tre operazioni chiave. La prima implica un rapporto allo spazio e riguarda i corpi stessi degli agenti che devono spostarsi
per compiere il loro lavoro. La seconda riguarda il rapporto tra gli agenti e
gli oggetti grafici da installare attraverso una serie di messe alla prova che
consentono di chiudere il processo di posizionamento. In fine, l’installazione di certi elementi passa a volte per un’esplorazione dell’ambiente e delle
qualità degli oggetti grafici, entrambi intesi nella loro ibridità materiale e
semiotica.
Misurare i luoghi
Le attività legate alla collocazione dei pannelli consentono di osservare i
rapporti che gli agenti di manutenzione intrattengono con lo spazio in cui
essi operano. Le forme di questa relazione giocano un ruolo essenziale. Gli
operatori si trovano a dover rispondere alla questione: “Dove posizionare
questo pannello?”. A questo riguardo, si possono adottare due posture distinte. La prima consiste nell’appoggiarsi sugli elementi grafici già presenti
per ritrovare un posizionamento definito in precedenza nel sistema della
segnaletica. La seconda mette in gioco un’indecisione più profonda. Determinare il posto giusto di un nuovo pannello implica un confronto [engagement] forte con l’ambiente, che va attraversato in lungo e in largo per
assicurare il processo di produzione dell’indessicalità.
Percorrere una rete di scritti
Tra le diverse operazioni che gli agenti di manutenzione devono effettuare, la sostituzione di un pannello è tra quelle più ordinarie. Cambiare un
pannello logorato, rotto o andato rubato non presenta in senso stretto il
problema di decidere il posizionamento.
Tuttavia, la collocazione del pannello deve prima o poi essere precisata.
Ad esempio il documento di richiesta di intervento (“ordine di lavoro”) redatto dal responsabile della stazione al termine della sua ronda di controllo, che fa partire l’intervento dell’equipe di manutenzione, deve contenere
delle informazioni affinché quest’ultima possa trovare il luogo esatto del
pannello e prenderne le misure. A tal fine la richiesta utilizza il codice MIRE,
composto di due lettere e un numero a tre cifre incollato sull’elemento in
loco e riprodotto nella richiesta di intervento.
Giunti sul posto, gli agenti devono poter trovare facilmente il luogo
del loro intervento usando il codice MIRE sul loro ordine di lavoro. Ma, non
disponendo di una mappa dettagliata di ogni stazione, gli agenti devono
mettersi alla ricerca del codice giusto. Nelle stazioni piccole questo non presenta grandi difficoltà, ma in quelle grandi la cosa può complicarsi.
David e Jonathan si preparano a fare l’ultimo intervento della
giornata. Iniziano a parlarne sul furgone: la difficoltà principale ha a che fare con la dimensione della stazione in cui si
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dovrà intervenire: è una stazione in cui si incrociano tre linee
e c’è una corrispondenza con una stazione SNCF. Giunti sul
posto Jonathan, che sta guidando, dice: “Gare de l’Est. Qui bisogna darsi da fare. Ti ricordi dov’era? [David fa cenno di no
con la testa] OK… cerchiamo di non perderci. Mi pare fosse
questa uscita”. Parcheggiano accanto a un’entrata, scaricano
il pannello e scendono nella stazione. A differenza di quanto
abbiamo visto in altri casi analoghi, gli agenti non si mettono
a cercare il codice MIRE, anche se la stazione è un vero e proprio dedalo. David porta la nuova targa in PVC. Avanzando
nella stazione, controlla attentamente i pannelli (figura 18). Il
primo è quello che conduce all’uscita da cui arriviamo. “Basta
trovare il pannello che indica la stessa cosa del nostro”. Ma
quello seguente non corrisponde. Scendiamo sulla banchina, un po’ a caso. In fondo, David trova un pannello che contiene una parte delle informazioni di quello che ha in mano.
“Se seguiamo questo [indicando quello che ha di fronte] ci
porterà a questo [indicando quello che ha in mano]. Giunti
in fondo, Jonathan indica la banchina di fronte, e guarda di
nuovo il pannello portato da David: in fondo alla banchina
c’è una copia uguale ma con la freccia simmetrica (figura 19).
“Il nostro deve trovarsi esattamente di fronte”. Prendiamo le
scale per arrivare all’altra banchina, dove l’ipotesi di Jonathan
viene confermata (figura 20).
L’installazione delle scritte implica dunque una dimensione performativa spaziale che passa per un confronto diretto con l’ambiente. Nel nostro
esempio gli agenti si basano su ciò che li circonda per trovare il posizionamento del pannello da sostituire. Essenziali sono non tanto le caratteristiche geografiche o architettoniche della stazione, quanto quelle grafiche
dell’ambiente.
Gli agenti si servono dunque dell’ambiente grafico della stazione nel
modo stesso in cui si suppone che se ne servano i viaggiatori. Si basano
sul “filo d’Arianna” prodotto dal dispositivo della segnaletica. Così facendo,
adottano chiaramente la postura della risoluzione di problemi che abbiamo
esaminato nel capitolo precedente: sollecitano la segnaletica in quanto rete
di scritte in cui è possibile identificare alcuni elementi specifici sulla base
della loro posizione relativa. D’altra parte, il fine degli agenti è diverso da
quello dei viaggiatori, in quanto non devono spostarsi ma trovare il punto
debole della rete: quest’ultima è dunque sia il loro punto d’appoggio sia
il loro oggetto di lavoro: ricostruendo il legame tra i pannelli non usano
solo la rete segnaletica come risorsa per spostarsi ma lavorano anche al suo
spiegamento. Trovare il posto giusto di un pannello consiste nell’identificare l’anello mancante o indebolito della rete delle scritte. Per localizzarlo gli
agenti considerano anzitutto il contenuto grafico del pannello anche se,
fuori contesto, le icone, le frecce e le parole sono solo dei deittici potenziali.
D’altra parte, gli operatori misurano i luoghi circolando nella rete delle scritte per confrontare gli elementi grafici pertinenti; si immergono nel dispositivo della segnaletica per ricostruirne la trama di nomi e frecce direzionali
che ne compongono l’indessicalità generalizzata.
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|capitolo 4|
Decidere un luogo: il filo deittico negli atti
Un’altra situazione, peraltro più rara, ci consente di precisare le operazioni
necessarie al lavoro di posizionamento. Mentre il problema più comune degli interventi delle squadre di manutenzione consiste nel ritrovare un posizionamento già in parte definito (sia dalla normativa generale sulla grafica,
dalla richiesta di intervento con il codice MIRE), può accadere che si tratti di
dover installare un nuovo pannello, ad esempio l’indicazione di una direzione esterna.
Jean-Luc è stato inviato in una stazione dal responsabile del
servizio di manutenzione della segnaletica per definire il posizionamento di una nuova menzione sui pannelli esistenti per
indicare un museo appena aperto. Per quanto contemplata
nei documenti ufficiali, si tratta di una indicazione relativamente rara nelle stazioni. Di solito la scelta dei pannelli su cui
deve figurare un’indicazione di questo tipo viene effettuata
dal servizio di normalizzazione della RATP, che dispone delle
mappe di tutte le stazioni e della mappa del quartiere. Secondo la norma, è sufficiente scegliere il nome dell’uscita più
vicina al museo. Difficile sapere esattamente perché, ma la
mappa del quartiere non era disponibile e dunque per questo museo la scelta non è stata fatta. Nel dubbio, il responsabile del servizio ha preferito affidare il compito a un agente
della manutenzione che potrà recarsi in loco e giudicare sulla
base del contesto. Jean-Luc prende dunque il furgone e si
dirige verso la stazione. Giunto sul posto, non ha ancora parcheggiato che identifica almeno tre uscite. Indica col dito il
museo in questione, che si trova un po’ più lontano, in una
piazza. Jean-Luc parcheggia dunque di fronte a quella che
gli sembra l’uscita più vicina. Così facendo prende una prima
decisione che avrebbe potuto esser presa anche con l’aiuto
di una mappa del quartiere. Ma, una volta sceso dal furgone,
Jean-Luc esamina ancora un poco la situazione; non è più
completamente sicuro della scelta. Avanzando verso l’incrocio lancia di nuovo un’occhiata alle uscite e al museo. Puntando il dito verso una delle due uscite che si trovano dall’altra
parte della grande avenue che dà sulla piazza (figura 21), ci
dice: “In realtà credo sia più vicina quella. Ma è più complicata, perché si dovrebbe attraversare l’avenue, non sarebbe
logico. Questa è più lontana, ma è più semplice perché dà
direttamente sulla piazza”.
Se sulla mappa la vicinanza di un’uscita e di un edificio sembrano evidenti, una volta in loco le cose possono complicarsi. Anzitutto le distanze
non sono così facili da stimare; ma soprattutto è l’idea stessa di prossimità
che sembra trasformarsi in relazione a vie, pedoni e veicoli. Una semplice
misurazione metrica non è sufficiente, in quanto nella “prossimità” rientrano
anche fattori come la semplicità d’accesso, qualità difficilmente apprezzabile a distanza. La scelta dell’uscita non è però che il primo passo. Ora JeanLuc deve trovare i pannelli interessati. Entra dunque nella stazione.
Prima di scendere Jean-Luc annota sul suo carnet il nome della strada dell’uscita in questione. Entra e va fino alla banchina
adottando una postura opposta a quella del viaggiatore, ov-
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vero guardando i cartelli di uscita che si lascia alle spalle. Sulla
banchina annota di nuovo il primo della serie di pannelli che
indicano l’uscita verso il museo. Quindi compie il tragitto al
contrario, ovvero dal punto di vista del viaggiatore che vuole
uscire. Mano a mano che procede si segna accuratamente
posizionamento, dimensioni e composizione grafica di tutti
i pannelli rilevanti.
Potremmo comparare questo primo movimento a quello descritto da
Latour (1993) a proposito degli utilizzi di Topofil Chaix da parte degli scienziati specializzati nell’analisi dei suoli per delimitare e misurare delle parcelle
di terreno, e dire quindi che Jean-Luc si assicura in tal modo la corrispondenza tra un mondo e le iscrizioni incaricate di rappresentarlo. Ma vi sono anche
diversità evidenti tra i due casi: mentre una spedizione scientifica finisce per
trasportare un pezzo di mondo da un luogo all’altro attraverso una catena di iscrizioni che servono da garanti rappresentativi facili da manipolare
e analizzare, l’indicazione del museo è finalizzata all’organizzazione di uno
spostamento. Non si tratta allora di produrre rappresentazioni fedeli, ma
guide affidabili. Come sottolinea Fuller (2002) appoggiandosi su Guattari, la
significazione della segnaletica non è dell’ordine della rappresentazione, ma
di quello di un sostegno all’azione. Il percorso di andata e ritorno consente
a Jean-Luc di sperimentare con il proprio corpo le future proprietà deittiche
dei pannelli da posare: egli prova passo a passo la connessione che nomi e
frecce tesseranno poi graficamente. Ma l’operazione non è ancora finita.
Qualcosa sembra non tornare. Scrivendo il nome della strada
che compare sui pannelli che danno verso l’uscita desiderata,
Jean-Luc storce il naso: non è questo il nome che ha ricopiato
prima di entrare. Esce, controlla di nuovo la targa della strada
e verifica la non corrispondenza. Il problema sta nella rete dei
deittici già installati. Come procedere? Jean-Luc fa appello a
un’altra risorsa: si dirige allora verso una mappa del quartiere che sta pochi metri fuori dalla stazione (figura 22). Da un
raffronto, comprende che il nome della strada indicata non è
quello della via principale (comune a tutte e tre le uscite), ma
quello di una via perpendicolare sulla destra. Ed è precisamente la via del museo. L’uscita è dunque quella giusta.
Questo caso mostra che il processo di scelta di una collocazione per le
indicazioni segnaletiche si compone di diverse dimensioni che non sempre
si allineano facilmente. Attraversare i luoghi è essenziale per prendere una
decisione, mettendo alla prova il posto dei futuri pannelli dal punto di vista
delle condizioni concrete della città e della stazione del metrò. Ma questo
processo locale non basta: se lo spostamento fisico è cruciale, esso si deve
accompagnare ai deittici già presenti; una rete che a ben vedere non si limita ai dispositivi della RATP. Gli artefatti provenienti da altre organizzazioni
(nel nostro caso la città) offrono delle risorse importanti per corroborare le
scelte di posizionamento: così, la mappa del quartiere consente a Jean-Luc
di allineare le uscite e i nomi delle vie che figurano nella stazione. Tuttavia il
ricorso a questi dispositivi implica anche dei vincoli. La messa in atto delle
nuove indicazioni non si limita più all’instaurazione di una relazione diretta
102
|capitolo 4|
ed affidabile con il luogo designato, ma passa anche per la garanzia della
loro integrazione in una rete a maglia fine di altri dispositivi indicatori, che
non si possono aggirare.
I due casi considerati mostrano dunque che il processo di posizionamento coinvolge il corpo stesso degli operatori: le qualità deittiche dei
pannelli, la loro capacità di indicare dei luoghi e delle direzioni, dipendono
strettamente dalle andate e ritorni degli agenti nello spazio da gestire. È
ricostruendo scrupolosamente il filo indessicale dei pannelli che David e
Jonathan possono trovare quello da cambiare; ed è spostandosi dentro e
fuori dalla stazione che Jean-Luc riesce ad allineare un insieme di iscrizioni
eterogenee (i pannelli della stazione, la mappa del quartiere, le targhe dei
nomi delle strade). Il lavoro di posizionamento si sviluppa attraverso una
doppia messa alla prova: anzitutto una esplorazione delle proprietà architettoniche dei luoghi (la stazione e l’incrocio) che assicura la qualità deittica
delle iscrizioni; in secondo luogo un lavoro di allineamento dei nuovi deittici
all’insieme di quelli già installati.
In una situazione normale, le due forme di messa alla prova si trovano
ripiegate all’interno dei dispositivi d’azione a distanza che sono le mappe e
le carte. Descrivere il caso in cui questi dispositivi non hanno potuto essere
utilizzati permette di afferrare la complessità di ciò che compone il “posto
giusto” descritto da Latour ed Hermant (1998) rispetto alle targhe stradali
della rue Huysmans. Seguendo solo le tracce a distanza si rischia di credere
che il posto giusto possa semplicemente dedursi da un confronto tra gli
strumenti e da un progressivo allineamento degli strumenti di rappresentazione. Ma questo non è sempre il caso. Anzitutto perché mancanze e ambiguità sono numerose, ma anche e soprattutto perché questa apparente deduzione crea sempre una tensione tra funzione deittica pura (indicazione) e
integrazione nella folla di iscrizioni che popolano il luogo.
Non esiste ancora una visione panoramica in grado di far cogliere a distanza l’insieme degli elementi deittici presenti, installati e gestiti da autorità
diverse o persino concorrenti tra loro. Si tratta di un punto particolarmente
sensibile: l’ecologia grafica delle stazioni è legata all’ecologia grafica della
città, e in essa alcune delle scritte esposte sono ampiamente interdipendenti. Dal punto di vista dei servizi di trasporto si tratta di una interdipendenza essenziale, ma particolarmente delicata da gestire; in gran parte, inoltre, elaborata contestualmente, durante il lavoro di piazzamento.
Mettere alla prova gli artefatti grafici
Trovare il posto giusto per un pannello non implica solamente un confronto
diretto tra operatori e spazio; durante gli interventi, gli agenti si pongono
delle questioni generali, che superano la problematica dell’allineamento
dei deittici. Essi valutano infatti anche la pertinenza del posizionamento di
un pannello preoccupandosi della sua efficacia. Il lavoro di posizionamento
passa perciò per una serie di interrogativi su ciò che gli elementi segnaletici dovrebbero “fare” ai viaggiatori: il pannello indica la direzione giusta?
103
Le informazioni che vi figurano diventano leggibili alla giusta distanza? Le
direzioni sono esposte senza ambiguità?
Osservare il comportamento dei viaggiatori
Per rispondere a questo genere di domande, gli operatori mettono alla
prova gli artefatti grafici che stanno installando, e lo fanno sul posto, mobilitando più o meno direttamente il punto di vista degli utenti.
Herbert e Léonard hanno appena installato un nuovo pannello. Terminata la posa, indietreggiano e guardano il risultato
del loro intervento. Herbert getta un colpo d’occhio alla banchina ed esprime un dubbio: “Avremmo dovuto prevederlo!
Da là in fondo non si vede niente. Se fossi laggiù di sicuro non
lo vedrei” (figura 23).
In questo caso, il posizionamento del pannello non viene ridiscusso, ma
si prospetta la necessità di un pannello supplementare, anche se non previsto dell’ordine di lavoro. Anche una volta trovato il giusto posto, il processo
di installazione non è ancora terminato, in quanto gli operatori si devono
rapportare al sistema globale.
La situazione è opposta a quella considerata sopra, in cui David e Jonathan percorrevano la rete degli scritti per ritrovare una posizione già identificata da altri. Ora infatti è l’intervento stesso a far apparire un vuoto, un
possibile anello mancante della rete. Per evitare ogni possibile dubbio, i manutentori indietreggiano letteralmente rispetto alla propria posizione.
Herbert guarda la banchina di fronte (figura 24). Nota che per
la stessa lunghezza degli armadi dei quadri elettrici vi sono
due pannelli, mentre dal loro lato ce n’è uno solo.
Ma il confronto non è sufficiente. Riprendendo le domande sui viaggiatori sollevate da Herbert, i due agenti guardano nell’altra direzione:
Per sapere se ordinare un pannello supplementare, Herbert e
Léonard decidono di raggiungere il prossimo ramo del metrò; una volta lì si mettono a osservare le facce e gli sguardi
dei viaggiatori: alcuni di questi cercano il nome della stazione, senza trovarla subito. L’intuizione di Herbert è confermata:
serve un pannello in più.
I manutentori non si appoggiano su un principio di simmetria architettonica ma su una messa alla prova pratica del dispositivo e delle sue qualità
di esposizione. Per far ciò, si lanciano in una sperimentazione in situ. Approfittano della presenza effettiva dei viaggiatori sul loro luogo di lavoro per
osservare direttamente i comportamenti. Gli agenti non considerano un
pezzo di segnaletica come elemento autosufficiente, ma lo valutano nell’insieme dei pannelli presenti.
Mettersi al posto degli utenti
Altre situazioni consentono di comprendere meglio i risultati di questa operazione.
104
|capitolo 4|
Herbert e Léonard hanno appena sostituito tre targhe provvisorie in PVC con dei pannelli metallici. Mentre Léonard finisce
di fissare l’ultimo pannello, Herbert si mette di lato, verso la
scala mobile, per osservare il risultato. Poi dice: “Ci siamo sbagliati! Bisognerà scambiare i due ultimi pannelli”. Léonard indietreggia e guarda in successione i tre pannelli, poi assicura:
“No, vanno bene. I pannelli provvisori erano in questo stesso
ordine.” Herbert guarda di nuovo i pannelli e non è convinto:
“Sì, ma se guardi a destra venendo dalla scala mobile, il primo
pannello menziona solo il bus mentre a destra il terzo pannello che abbiamo sostituito nel corridoio indica bus e uscita.
Dunque il secondo dovrebbe essere messo al posto del terzo
e viceversa, per coerenza con il primo”. Léonard risponde in
tono secco: “Non ho tempo per mettermi a pensare a queste
cose”. Herbert non risponde.
Qui la messa alla prova degli utenti viene declinata diversamente.
Herbert fa lo sforzo di mettersi davvero dal punto di vista dei viaggiatori nell’ambiente per vedere i pannelli come se stesse uscendo dalla scala
mobile e proiettandosi nelle possibili domande degli utenti che vogliono
uscire. Opera dunque una “rappresentazione incorporata” (Barrey, Cochoy
e Dubuisson-Quellier, 2000; Denis, 2008), basata sulle proprie competenze
ordinarie di viaggiatore. Su questa base vorrebbe invertire i due pannelli
affinché la voce “uscita” compaia subito.
Per quanto ricca e utile, questa attitudine si rivela problematica per Léonard. La messa alla prova non fa parte delle prescrizioni ufficiali. Effettuarla
o meno significa posizionarsi rispetto alla gerarchia della compagnia. Per
questo Léonard rifiuta di mettersi dal punto di vista dei viaggiatori per attenersi al proprio ambiente immediato: i pannelli installati da poco rispettano
l’ordine di quelli sostituiti, e tanto basta. Con il doppio vantaggio di essere in
regola rispetto alle prescrizioni ufficiali e di risparmiare lavoro.
Simili momenti evidenziano delle tensioni forti nel processo di posizionamento. La messa alla prova può infatti comportare un lavoro supplementare, o persino uno scarto dai principi normativi del dispositivo della
segnaletica. L’identificazione del posto giusto passa allora per scelte che eccedono un semplice criterio di efficacia del pannello: è necessario passare
per i viaggiatori, e dunque per la politica generale di questo rapporto che
la RATP vuole creare, come abbiamo visto nel primo capitolo. Come la formazione all’assistenza del personale di stazione e come gli annunci sonori,
gli agenti di manutenzione diventano un ulteriore circuito di considerazione degli utenti. La considerazione degli utenti in tal modo non resta solo
un grande principio strategico ma si incarna nel lavoro di messa in luogo
dei moduli segnaletici. D’altra parte, l’esame delle prove pratiche a cui sono
sottoposti gli artefatti grafici offre un nuovo punto di vista sugli script d’uso
della segnaletica che abbiamo analizzato nel terzo capitolo. Osservando i
viaggiatori e mettendosi dal loro punto di vista, gli agenti di manutenzione
fanno anche variare le posture necessarie alla riuscita degli script. L’osservazione di queste attività permette di precisare due dimensioni.
Essa mostra anzitutto che le posture sono strettamente associate all’in-
105
terno di una singola situazione che nel corso dell’azione è difficile da isolare.
Quando uno degli operatori si domanda se i pannelli che indicano il bus
sono nell’ordine giusto o meno, cerca allo stesso tempo di valutare la loro
capacità di venire percepiti con un solo colpo d’occhio nello sviluppo di un
percorso (salendo le scale mobili) e ad essere identificati, ovvero a guidare i
viaggiatori fino al prossimo pannello.
Il lavoro di posizionamento mette gli operatori di fronte a delle posture
d’uso strettamente legate all’ambiente e dunque all’indessicalità degli elementi della segnaletica. Sono soprattutto gli script della reazione e della
risoluzione di problemi a porre problemi. Le posture della lettura/informazione e della consultazione/pianificazione creano sì delle dimensioni spaziali essenziali ma le loro qualità situazionali sembrano potersi realizzare e
valutare più facilmente nei momenti di ideazione. Al contrario, la possibilità
di sorreggere le posture d’uso di tipo più situazionale sembra molto più fragile e difficile da mettere in atto. Per alcuni oggetti grafici il delicato lavoro
di posizionamento è dunque una tappa essenziale per completare l’integrazione degli script d’uso.
Esplorare l’ecologia grafica
Sin qui abbiamo isolato alcune sequenze puntuali di collocazione dei
pannelli, evidenziando per ciascun caso le diverse poste in gioco. Occorre
tenere però anche presente che nella maggior parte dei casi gli agenti di
manutenzione devono in effetti passare da un’operazione all’altra, articolando diversi aspetti del processo di posizionamento e confrontandosi con
più sfide contemporaneamente, come si vede seguendo un’operazione più
lunga.
Lavorando in coppia, gli agenti di manutenzione condividono regolarmente le loro esitazioni ad alta voce, e discutono tra loro per trovare una soluzione o per confermare uno stato di indecisione. Nel corso degli interventi, l’esperienza acquisita consente di risolvere i dubbi in tempo ragionevole,
in quanto ci si basa per analogia sulla serie dei casi precedenti.
Ma gli agenti si trovano a volte di fronte a delle situazioni particolarmente delicate, in cui si gioca la coerenza del dispositivo segnaletico. Ciò
può accadere ad esempio quando un’esigenza nuova squilibra gli interventi ordinari. Così, durante la nostra ricerca, è stata implementata una nuova
regola di sicurezza: le uscite di soccorso, sino ad allora progettate in prossimità delle uscite, devono adesso essere indicate in modo indipendente
a partire dalla banchina fino alla strada. L’obiettivo è chiaramente quello di
consentire una migliore evacuazione, ma la situazione fuoriesce dall’attività
di manutenzione ordinaria. La posizione dei pannelli “uscita d’emergenza”
non viene trattata dai documenti normativi. Gli operatori si trovano allora a
dover improvvisare per trovare il posto giusto in cui installare queste indicazioni supplementari. Le esitazioni e i dubbi che ne seguono permettono
di ricostruire come possa essere elaborata una soluzione ai problemi che
sorgono nel lavoro di posizionamento.
106
|capitolo 4|
Difendere l’ordine grafico
La nuova regola impone una procedura in due tappe. Nella prima il personale del servizio di sicurezza ha ispezionato le stazioni per stabilire il posizionamento dei futuri pannelli di uscita di emergenza. Se però la presenza
di tali iscrizioni non è negoziabile, la scelta ultima sul posizionamento è ancora competenza del dispositivo della segnaletica. Sul campo, gli agenti di
manutenzione sono i meglio piazzati per decidere, e sono stati mandati dal
servizio normalizzazione per verificare le proposte del servizio sicurezza.
Herbert e Léonard sono stati inviati in una stazione per il posizionamento di un cartello di uscita d’emergenza. L’obiettivo
dell’intervento è semplice: confermare o meno la proposta
del servizio sicurezza. Ancor prima di scendere in stazione,
sanno che nel caso in cui non approvino la proposta dovranno essere loro stessi in grado di formularne una alternativa. In
questa stazione, gli agenti del servizio sicurezza hanno proposto di mettere il cartello “uscita d’emergenza” in formato
adesivo piazzato su un pannello sospeso al soffitto. Al momento il pannello indica due uscite e varie corrispondenze
con gli autobus e il tram T2 (figura 25). Di fronte al pannello,
Herbert e Léonard non esitano un istante, non possono convalidare la scelta: “è impossibile” (Léonard).
Come comprendere questo rifiuto? Quali sono le principali competenze? Su che motivazioni si basa il rifiuto dell’opzione proposta? Non si tratta
di una questione di posto: infatti il pannello contiene un ampio spazio libero
in basso a destra che consentirebbe di aggiungere l’adesivo in questione.
Ma è in primo luogo dal punto di vista informazionale che muovono i
due agenti: per loro, l’abbondanza di iscrizioni è un rischio potenziale che
può far perdere al pannello la sua efficacia. Per Herbert e Léonard, troppe
informazioni sullo stesso supporto produrrebbero solo confusione. Questo
grande pannello, in particolare, indica già due uscite e diverse coincidenze;
gli agenti vogliono evitare un rischio di sovraccarico che creerebbe rumore
invece di informazione sensata.
Ma c’è anche una questione di coerenza. Come abbiamo visto, per costituire una rete di scritte efficace, ogni elemento deve stare al proprio posto.
I documenti normativi della segnaletica sono molto precisi su tutti i fronti:
colori, testi, icone, sequenze di ripetizioni degli elementi… Questa condizione è al cuore dell’organizzazione degli elementi grafici. L’indicazione delle
uscite d’emergenza non fa parte di questo sistema. Il rifiuto mostra dunque
il programma della segnaletica come un vero e proprio “ordine grafico”1 da
1 Artières e Rodak (2008) definiscono l’ordine grafico come “un’unità di scrittura
dominante la cui trasgressione viene repressa anche se non è esplicitamente regolata. Questa dominazione grafica si manifesta attraverso l’uso di grafie e supporti comuni […] L’ordine grafico non è proprio dei soli regimi totalitari, anche
se sotto questi governi è particolarmente rigoroso” (pp. 124 e 138). Nel quadro
della nostra ricerca, la nozione di dominazione compare in una versione meno
repressiva, collocandosi all’interno di una riflessione ecologica per designare le
modalità di controllo a cui il dispositivo della segnaletica viene sottoposto.
107
preservare il più possibile.
Infine, il pannello inizialmente proposto dal servizio di sicurezza è destinato alla gestione del flusso normale e non a una situazione d’emergenza.
Per gli agenti, la nuova inscrizione e quelle che figurano già sul pannello
non corrispondono alle stesse condizioni né agli stessi obiettivi. Da un lato,
gli elementi della segnaletica cercano di equipaggiare e facilitare l’uso dei
trasporti, fanno parte dell’offerta di servizio; dall’altro, le uscite di emergenza
rinviano al dominio della sicurezza degli spazi, che riguarda la presa in carico
delle persone in situazioni di rischio. Gli agenti vogliono mantenere questa
distinzione evitando che i due tipi di informazioni sussistano sul medesimo
supporto.
Il loro rifiuto di prendere in considerazione il posizionamento proposto
viene dunque motivato in nome dell’ecologia grafica. Per gli agenti, i moduli della segnaletica e le future uscite d’emergenza sono entità grafiche
eterogenee che se accostate rischiano di indebolirsi a vicenda, o persino
di contraddirsi. Poiché i due sistemi hanno regole distinte ma devono coesistere nello stesso ambiente, si rischia di dover seguire due prescrizioni
contraddittorie.
All’interno di una situazione specifica, gli agenti decidono di farsi garanti
della segnaletica, ponendola come l’operatore principale nella gestione dello spazio grafico, come abbiamo peraltro già visto nel secondo capitolo.
Mettere alla prova lo stato dei luoghi
Come fanno gli agenti a risolvere il loro problema? Continuiamo a seguirli
nel loro difficile processo di presa di decisione.
Herbert e Léonard cominciano a ipotizzare diverse soluzioni,
mettendosi dal punto di vista dei viaggiatori. Si posizionano
in vari punti della sala nel senso della circolazione per stimare cosa sia visibile e cosa no da ciascun punto. Simulano un
mini-percorso lungo il corridoio, l’arrivo davanti alle porte automatiche d’uscita e quindi davanti al pannello più grande.
Adottano così diversi punti di vista e cercano di esaminare
tutti gli aspetti della situazione. Ogni possibilità viene sottoposta a discussione prima di prendere in considerazione
un’altra opzione (figura 26). Ad esempio, di fronte ai tornelli
Léonard dice: “Da qui i viaggiatori non vedono le scale d’uscita. Dunque possiamo mettere gli adesivi sulle porte d’uscita”.
Herbert continua a guardare le porte, poi lancia uno sguardo più ampio all’ambiente circostante. Non dice nulla ma
sembra dubbioso. Superate le porte, Léonard continua il suo
ragionamento: “Potremmo mettere un adesivo sulla vetrina
dell’agenzia commerciale. Non è il massimo, ma si può fare”.
Come nel caso descritto sopra, gli agenti si appoggiano sulle proprie
competenze ordinarie di viaggiatori per stimare la pertinenza e la visibilità
dell’inscrizione “uscita d’emergenza”. Passano in rassegna diverse posizioni
nell’ambiente ipotizzando diversi posizionamenti per i pannelli. Nel corso
del processo, trattano i futuri artefatti grafici come punti d’appoggio per
l’orientamento dei viaggiatori, secondo una messa alla prova della configu-
108
|capitolo 4|
razione specifica dei luoghi che mira ad un doppio obiettivo: giudicare le
qualità d’esposizione dei futuri pannelli e valutarne le capacità indessicali.
Ma nessuna delle alternative considerate sembra portare a una soluzione accettabile: attaccare l’adesivo sulla vetrina resta una soluzione difettosa
in quanto la scritta si mescolerebbe con le informazioni commerciali della
RATP. Herbert e Léonard sono di nuovo di fronte al pannello grande nella
sala d’entrata, e cercano di venire a patti con i limiti dell’ambiente. Il seguito
della loro esplorazione li mette tuttavia di fronte a delle nuove difficoltà che
gli fanno radicalmente cambiare postura. Mentre stanno considerando una
nuova possibilità per l’indicazione dell’uscita d’emergenza, la materialità
stessa degli elementi grafici emerge come una dimensione centrale. Cominciano allora a non trattare più le future iscrizioni come guide per viaggiatori, ma in quanto oggetti di cui devono anticipare la portata ecologica.
Léonard alza la testa: “Qui il soffitto è in cemento, dunque un
pannello sospeso con catenelle sarebbe possibile. Sarebbe
visibile in tutte le circostanza perché la luce è sufficiente”. Herbert approva, ma dopo una rapida valutazione aggiunge: “Ma
la distanza tra il soffitto e la testa dei viaggiatori è troppo poca,
quelli alti rischiano di darci dentro”. Leonard si volta, guarda di
nuovo in alto per valutare la situazione e aggiunge senza esitazione: “e comunque il pannello sarebbe in parte nascosto
da questa telecamera; per non dire poi che rischiamo di mascherare l’informazione che sta sul pannello grande”.
Il ragionamento ecologico, come si vede, non si limita alla sola dimensione grafica. Cominciando a prendere in conto la materialità dei moduli
della segnaletica, ci si trova a confrontati ad altri oggetti: la configurazione
architettonica dei luoghi, la presenza dei pilastri, la localizzazione dei neon,
la posizione delle telecamere. Gli operatori si trovano dunque a dover considerare allo stesso tempo le qualità d’esposizione e le capacità indessicali dei
pannelli, la sicurezza dei viaggiatori, la configurazione generale del luogo, e
le diverse attrezzature che popolano l’ambiente.
La sfida consiste nel trovare il miglior concatenamento possibile in questa molteplicità di elementi, immaginare uno scenario per inserire i futuri
pannelli nell’ecologia generale di questa specifica stazione. Ecco perché
l’idea di appendere un pannello sospeso ad hoc viene scartata: quest’ultimo intralcerebbe la visibilità del pannello già installato, costituirebbe un
rischio potenziale per la sicurezza dei viaggiatori troppo alti, e sarebbe in
parte coperto dalla telecamera. Il lavoro di questi agenti si può paragonare
a quello degli esperti di autenticazione di opere d’arte, che cercano di collegare degli indizi materiali specifici al corpus di saperi condivisi più o meno
stabilizzati (Ginzburg, 1980; Bessy e Chateauraynaud, 1995). Gli agenti cercano delle possibili articolazioni tra la loro conoscenza del dispositivo della segnaletica, il loro savoir-faire in materia di gestione degli spazi viaggiatori e le
caratteristiche grafiche e materiali dell’ambiente in questione. Non è tutto:
le soluzioni man mano proposte restano in sospeso, la loro valutazione e la
loro eventuale validazione si appoggiano su un’altra forma di ragionamento
che dipende dalla risposta alla domanda: “Cosa accadrebbe se mettessimo
109
l’iscrizione qui?”. Per ogni posizionamento proposto, gli operatori effettuano
una serie di proiezioni attraverso le quali simulano lo stato futuro dei luoghi
della stazione. Tali proiezioni consentono di decidere facilmente: il minimo
elemento perturbatore (altre iscrizioni, una videocamera, e così via) squalificherebbe la soluzione. Una gran parte del loro expertise si basa così su un
processo per prove ed errori simulati.
Nel caso che stiamo considerando, la soluzione risulta difficile da trovare
perché nessun argomento sembra vincente e tuttavia non si può abbandonare la scelta al caso2. Alla fine si opterà per attaccare gli adesivi sulle porte
battenti dei tornelli, una scelta decisamente interessante per noi, in quanto
sottolinea un’ultima dimensione essenziale del processo di posizionamento.
Trasformare l’ambiente
Gli agenti di manutenzione intervengono in un luogo in cui oggetti di diversi tipi sono già in relazione reciproca. Aggiungere un pannello significa
inevitabilmente modificare questa organizzazione. A prescindere dall’ampiezza dell’intervento, c’è sempre il rischio di rovesciare l’ordine già raggiunto. La messa in luogo si confronta dunque con il rompicapo di trovare un
posizionamento che assicuri la trasformazione grafica e materiale dell’ambiente senza provocare squilibri.
Questo è precisamente quel che cercano di ottenere gli agenti di manutenzione: per Herbert e Léonard la performatività dello scritto è un problema pratico. Per ogni nuovo posizionamento possibile, cercano di valutare
tutte le conseguenze ecologiche. Né il pannello grande nella sala, né la vetrina dell’agenzia commerciale, né l’altezza del soffitto riescono a regolare
la cosa.
La soluzione è dunque un delicato compromesso: le porte battenti delle
uscite sono direttamente implicate nell’azione prevista per le future iscrizioni: uscire da un luogo passando per una porta. Esse consentono anche
di distinguere due tipi di situazione. Nella loro funzione normale, le porte
battenti sono attraversate solo per uscire dalla zona tariffaria della RATP. Esse
marcano dunque fisicamente la soglia a partire dalla quale i viaggiatori sono
sottoposti alle regole della tariffazione in vigore. In caso di incidente, l’uscita
si può effettuare sia dalle porte automatiche che dai tornelli d’entrata, che
in quel caso vengono fatti funzionare al contrario.
Facendo la scelta di utilizzare le porte dei tornelli come supporto per
nuove iscrizioni gli agenti cercano di rispondere all’esigenza più ardua: quella di trovare un posto disponibile. Disponibile anzitutto sul piano grafico:
non vi sono altre iscrizioni su di esse, dunque l’ordine grafico della stazione
non è messo in pericolo. Disponibile poi sul piano materiale: gli adesivi messi
qui non disturbano la mobilità ordinaria dei viaggiatori, e nessun elemento
2 Gli operatori ne sono pienamente consapevoli. Quando alla fine dell’interven-
to l’etnografo gli chiede conferma della decisione raggiunta, Léonard conclude
precisando: “Vedi, non possiamo mettere i cartelli a caso! E poi il nostro nome è
sull’ordine di intervento; se c’è un problema i responsabili siamo noi”.
110
|capitolo 4|
dell’ambiente intacca la qualità dell’esposizione. Infine e soprattutto, il dorso
delle porte battenti è un posizionamento disponibile sul piano pragmatico.
Dal punto di vista dei viaggiatori già presenti in stazione, le porte dei tornelli
d’entrata non rappresentano sin qui un appoggio pertinente per l’azione.
Dire, attraverso il nuovo adesivo, che in caso di incidente grave possono
essere usati come uscita non rappresenta dunque un rischio di conflitto con
le altre forme d’uso correnti. Così dotate, le porte battenti sono esse stesse
trasformate. Non servono più solo a lottare contro l’entrata irregolare nella
zona tariffata ma diventano anche il supporto di una norma di sicurezza.
Per concludere, occorre insistere su un postulato essenziale della situazione qui discussa. Gli operatori ragionano a partire da un’evidenza: l’ecologia da preservare è, al presente, ampiamente stabilizzata. La ricerca di un
posizionamento si inscrive in una catena di attività che preparano il terreno.
Le tre disponibilità – grafica, materiale e pragmatica – non valgono che perché varie operazioni quotidiane sono messe in atto per mantenere l’ordine
delle cose: la pulizia, la cancellazione dei graffiti e la riparazione di tutti gli
elementi materiali funzionali, come le porte. La disponibilità di un oggetto
non è dunque una qualità intrinseca data una volta per tutte, al contrario, è
un risultato dinamico della messa in atto quotidiana di un ambiente organizzato e della sua esplorazione da parte di operatori che sono alla ricerca
del posto giusto per i pannelli.
Il caso che abbiamo discusso, ricordiamolo, si presenta raramente ma,
proprio perché fa uscire gli operatori dai quadri abituali dei loro interventi, permette di vedere la molteplicità di sfide che attraversano il processo
di posizionamento, oltre che di evidenziare il significato della dimensione
performativa di alcuni artefatti grafici. In un luogo pubblico, spesso popolato di scritte, il posto giusto per un pannello, quello che garantisce la sua
performatività, non si definisce solo in un rapporto tra una parcella di spazio e un’iscrizione. La sua stessa progettazione ha una portata ecologica, in
quanto deve poter trasformare l’ambiente senza scompaginare i suoi fragili
equilibri grafici, materiali e pragmatici. In questo senso, il posto giusto è un
posto disponibile. Ciò che vale per queste scritte istituzionali, inoltre, vale
anche per gli altri tipi d’iscrizione (in primo luogo i graffiti). Quel che cambia
non è la necessità di trovare un posto disponibile, ma le entità considerate
pertinenti per comprendere l’equilibrio dell’ambiente.
Conclusione: il posizionamento e le sue prospettive
Se cominciamo a comprendere gli artefatti grafici in termini di equipaggiamento visivo dell’azione o di ordinamento politico degli spazi, tendiamo
ad insistere solo sui principi strategici e teorici che li organizzano. Tuttavia,
nel quadro dell’installazione di un dispositivo grafico, la messa in luogo effettiva di ogni inscrizione è un momento particolarmente sensibile. Oltre ai
grandi principi e ai documenti normativi che definiscono la posizione ideale
di ogni elemento, il processo di posizionamento si compie attraverso una
serie di operazioni più o meno complesse. L’analisi di tali operazioni pratiche
è essenziale alla comprensione dell’agire delle scritte esposte. La messa in
111
luogo costituisce in effetti un vero e proprio atto di scrittura (Fraenkel, 2007).
Posare un pannello in un ambiente significa scrivere quell’ambiente.
Come abbiamo precisato all’inizio di questo capitolo, analizzare la pragmatica del lavoro di posizionamento permette anzitutto di staccarsi dagli
approcci centrati sull’interpretazione dei segni per evidenziare i saperi e si
savoir-faire degli operatori. Installare dei pannelli nello spazio del metrò è
tutt’altro che facile poiché, come abbiamo visto, gli agenti si trovano a dover inventare in situ delle soluzioni accettabili per le situazioni problematiche che essi incontrano quotidianamente. Il processo di piazzamento non
è di routine ma, al contrario, punteggiato di difficoltà, aggiustamenti, dubbi
e rischi. Mettere in luce queste difficoltà consente di studiare contemporaneamente l’attività del personale incaricato dell’installazione delle iscrizioni,
dei loro vincoli prescrittivi e situazionali, e dell’insieme degli elementi materiali presenti nell’ambiente in cui intervengono. Abbiamo così visto che la
designazione del posto giusto può prendere la forma di un vero rompicapo.
Per risolverlo, gli agenti navigano di volta in volta tra due posture: quella del
viaggiatore, di cui occorre guidare il percorso attraverso la rete delle iscrizioni pertinenti, e quella dell’esperto che ragiona sui criteri specifici di gestione
grafica degli spazi e che è in grado di simulare le conseguenze di ciascuna
delle proprie scelte.
In questo movimento, gli oggetti grafici stessi compaiono sotto angoli
diversi. Non sono affatto inerti, come si potrebbe credere sulla base di una
lettura un po’ affrettata di Scollon e Scollon (2003). Certo, i pannelli e gli altri
artefatti indicatori non valgono molto agli occhi dei passanti se non perché
sono al loro posto. Ma agli occhi degli operatori le cose non stanno così.
Seguire in dettaglio il lavoro di posizionamento permette di evidenziare la
situazione in cui si trovano gli artefatti tenuti in sospeso, compiuti sì dal
punto di vista della fabbricazione, ma non ancora disposti nell’ambiente
che devono contribuire a trasformare.
A questo proposito, la ricerca ci mostra bene che i moduli della segnaletica non sono sempre trattati allo stesso modo nelle diverse situazioni:
essi possono venire considerati come testi, come oggetti materiali, come
supporti d’informazione, o ancora come entità prese in una rete normalizzata (per un’analisi più approfondita si rinvia a Denis e Pontille 2010a).
La risposta all’enigma del posto giusto non ingaggia dunque solo un certo
rapporto all’ambiente, ma passa anche per una serie di cambiamenti del
punto di vista sull’oggetto da installare. Le due dimensioni passano per lo
stesso movimento: l’esplorazione dell’ecologia dello spazio – la sua messa
alla prova – si opera attraverso il doppio impegno del corpo degli agenti
e degli oggetti, visti ora come potenziale minaccia all’ordine grafico di un
luogo, ora come possibili intralci fisici (ad esempio perché troppo vicini alla
testa dei viaggiatori).
Oltre a ciò, due elementi ci sembrano particolarmente importanti. Anzitutto occorre insistere sul carattere emergente dei diversi modi di trattare
gli oggetti grafici durante il lavoro di posizionamento. Gli agenti esplorano
l’ambiente ed entrano così in determinati rapporti con i moduli della segna-
112
|capitolo 4|
letica. Il modo in cui questi ultimi vengono utilizzati nel corso dell’azione
non rinvia a uno stock di proprietà intrinseche che possano risolvere a priori
ogni dubbio. Un altro aspetto riguarda poi il carattere sequenziale delle operazioni di posizionamento. Gli operatori non trattano mai gli oggetti come
un tutto, un’entità ibrida al tempo stesso materiale, linguistica, informativa,
grafica, etc. Le qualità emergono sul filo di ogni intervento e sono trattate
una dopo l’altra, gerarchizzate e articolate. In altri termini, dal punto di vista del lavoro di posizionamento, le scritte esposte non sono degli artefatti
ibridi, né dei composti di cui poter identificare gli ingredienti. Essi appaiono
invece anzitutto come oggetti sfaccettati, che non possono essere afferrati
nella loro totalità con un solo sguardo, ma le cui diverse facce si evidenziano
mano a mano nel corso della loro installazione.
113
|capitolo 5|
Capitolo 5
La manutenzione dell’ambiente
Di fatto spesso le reti collassano. Una capacità urbana fondamentale è la negoziazione di questi collassi […] In questo
senso, la riparazione è un’industria di principale importanza.
(Amin e Thrift 2002, p. 128)
Mettendo in luce la complessità del lavoro di posizionamento, abbiamo
mostrato che il dispositivo della segnaletica si basa su numerosi savoir-faire
e sulla capacità di valutazione degli agenti incaricati di installare i moduli.
Senza questa attività, il programma d’esposizione grafica resterebbe lettera
morta. Ma questa incursione nel lavoro d’installazione delle scritte esposte
non rappresenta che un primo passo nella comprensione del processo di
attualizzazione che assicura un’esistenza a questo tipo di artefatti grafici.
La focalizzazione sulle sole operazioni di posizionamento è fallace. Dato
che esse mettono in scena un prima e un poi, si potrebbe pensare a una
meccanica di stabilizzazione che si fonda sul delicato momento dell’installazione del modulo. Ma in verità un pannello non è mai piazzato una volta
per tutte. Gli elementi della segnaletica non sono esposti solo alla vista e
alla lettura ma anche all’usura, agli urti, e all’obsolescenza. I pannelli cadono,
i poster si strappano, i colori impallidiscono, gli adesivi si scollano, i nomi dei
luoghi da indicare cambiano. Il lavoro di attualizzazione prosegue ben dopo
l’installazione, prendendo la forma di operazioni di pulizia, di riparazione o
di riposizionamento, esse stesse condizionate dalle attività di sorveglianza
degli spazi e dalla segnalazione dei difetti. Detto altrimenti, l’ordine grafico
instaurato da qualsiasi programma di esposizione è oggetto di un lavoro
permanente di manutenzione. Queste attività, per quanto appaiano banali,
sollevano in realtà questioni fondamentali che oltrepassano il caso della segnaletica. La nozione di manutenzione ha un ruolo particolare in sociologia,
centrale fra i principi dell’etnometodologia di Garfinkel (1967) e della teoria
dell’ordine sociale di Goffman (1991). Questi autori ci hanno mostrato che
le interazioni implicano incessanti operazioni di riparazione, da compiere
all’interno di situazioni specifiche. In altre parole, questi autori hanno avanzato una visione endogena dell’ordine sociale, inteso come risultato temporaneo, sempre in produzione, e non come postulato evidente, o come il
115
prodotto di qualche forza trascendentale. In questo modello, la manutenzione non è qualcosa di straordinario o marginale, ma un’attività centrale di
produzione di un ordine sociale da far esistere “ogni volta di nuovo” [each
another next first time] (Garfinkel, 2002, p. 98).
Più recentemente, sia Henke (2000) sia Graham e Thrift (2007) hanno
avanzato la necessità di ampliare lo studio dei processi di riparazione e di
manutenzione rispetto al solo ambito delle interazioni faccia a faccia, al fine
di includervi gli oggetti materiali. Il loro obiettivo è duplice: mostrare la dimensione materiale dell’ordine sociale e insistere al tempo stesso sull’instabilità costitutiva di tale materialità. La faccia materiale del sociale non è dunque invocata come strato solido intoccabile, ma al contrario per mostrare il
pullulare di attività per lo più invisibili che partecipano alla manutenzione
del mondo e delle sue infrastrutture. In questo programma, l’etnografia è
uno strumento particolarmente potente, in quanto permette di “far risalire
alla superficie il lavoro invisibile” (Star, 1999, p. 385).
Analizzare le attività di manutenzione permette dunque di far avanzare
la nostra analisi della gestione grafica dei luoghi pubblici su due piani: quello dei lavoratori invisibili del dispositivo da una parte, e quello della materialità delle scritte esposte dall’altra.
L’etnografia della manutenzione ci consente di proseguire il movimento
intrapreso nel capitolo precedente continuando a interrogare le attività e le
competenze su cui si appoggia l’esistenza stessa della segnaletica. Gli agenti di manutenzione sono ampiamente invisibili. Lo si vede bene nei testi che
presentano il dispositivo stesso, i quali non riflettono quasi mai su questa dimensione della segnaletica; ma lo si ritrova anche nei luoghi stessi della loro
attività, dove essi sono trattati come “non-persone” (Goffman, 1973, p.146148) dalla maggior parte degli utenti del metrò. Al massimo, essi vengono
scambiati per personale generico della RATP a cui domandare informazioni.
Tuttavia sappiamo che senza il loro lavoro il dispositivo andrebbe in grave
crisi nel giro di poche settimane. Se si considerano le decine di pannelli sostituiti o riparati quotidianamente dalle squadre di manutenzione, la situazione potrebbe deteriorarsi rapidamente. Per comprendere in senso specifico come la segnaletica sia un operatore di gestione degli spazi di trasporto,
occorre pertanto soffermarsi sul loro lavoro e sulla sua stessa invisibilità.
Questa analisi ci permetterà inoltre di esplorare più precisamente i diversi modi con cui gli operatori trattano la materia degli artefatti grafici.
Come abbiamo visto a proposito del lavoro di posizionamento, i moduli
della segnaletica sono compresi a diverso titolo dagli agenti che li installano. Sono a volte dei testi, a volte degli oggetti con proprietà fisiche, a volte
delle informazioni, a volte delle forme grafiche e così via. Seguendo le attività di manutenzione, potremo documentare questa variabilità ontologica
osservando come la materia dei moduli della segnaletica possa essere vista
in modi diversi a seconda della situazione1. La dimensione materiale delle
scritte, in particolare nelle situazioni lavorative, è stata sin qui analizzata so1 Gran parte di questi lavori sono stati condotti nel quadro di una rete di ricerca
“Linguaggio e Lavoro” (vedi Fraenkel 2001).
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|capitolo 5|
prattutto in termini di risorse e vincoli, evidenziando la plurisemioticità delle
scritte (Boutet, 1993), i rapporti tra caratteristiche semiotiche e atti linguistici
(Fraenkel, 2001), o ancora le proprietà rappresentative delle scritte nell’organizzazione delle attività collettive (Grosjean e Lacoste, 1998).
Il nostro tentativo consiste nel cambiare prospettiva, interessandoci
non più solo alle attività che chiamano in gioco la materialità dello scritto,
ma anche a quelle che vi intervengono direttamente (Denis, 2009; Pontille,
2006; 2010). Studiando le operazioni realizzate sulle iscrizioni stesse, proponiamo così di passare da un’analisi del lavoro con lo scritto a una del lavoro
dello scritto. Come vedremo, da questo punto di vista la materialità è meno
una proprietà tangibile che una qualità proteiforme, problema centrale del
lavoro di manutenzione.
Sulla scia dei pannelli
Per arrivare a enucleare i risultati del lavoro di manutenzione, proponiamo
di avvicinare progressivamente l’attività degli agenti. Prima di seguirli nel
corso dei loro interventi nella rete cominceremo con una rapida immersione nel locale del servizio di manutenzione della segnaletica (M2E). In questo
modo potremo apprezzare la gamma dei materiali e delle modalità di trattare con la materialità.
I vari pannelli che compongono la segnaletica del metrò parigino possono essere in pannello metallico, in PVC, in fogli stampati o, ancora, in
adesivo plastificato; possono essere direttamente affissi sul muro, appesi al
soffitto o inseriti in vari ricettacoli, preventivamente appesi e attaccati alla
corrente elettrica, come i cassoni luminosi o i pannelli luminosi trasversali.
La produzione dell’insieme dei pannelli metallici è esternalizzata. Vari
produttori specializzati consegnano regolarmente dei pannelli al servizio di
manutenzione della RATP. Questi vengono immagazzinati in un locale principale (figura 29), identificati attraverso delle sigle (numero d’ordine, nome
della stazione dove andranno collocati, contenuto principale del testo…).
Gli altri tipi di pannello, in PVC o in fogli stampati plastificati, vengono prodotti qui, nell’atelier al primo piano, e sistemati temporaneamente nel locale caffè in attesa del trasporto per l’installazione nelle stazioni (figura 30).
La maggior parte dei pannelli, soprattutto quelli che indicano i nomi
delle stazioni e delle direzioni sono in metallo. Ma il ritardo tra ordine e
consegna per questo tipo di pezzi è dell’ordine delle nove settimane, il che
rende necessari i pannelli temporanei in PVC. Ci rendiamo dunque conto
della diversità degli elementi grafici, nel senso che la segnaletica del metro
si declina in oggetti diversi i cui supporti provengono da reti di produzione
diverse, equipaggiate con forme di identificazione diverse (sull’imballaggio
di cartone per i pannelli metallici, sulla scheda di intervento per quelli in
plastica).
Lasciamo ora lo studio di produzione per seguire i pannelli fino alla stazione. Ogni giorno, al momento di entrare in funzione, gli agenti leggono gli
ordini di lavoro che derivano dalle segnalazioni dei responsabili di stazione;
possono così farsi un’idea del carico giornaliero e identificare nel locale i
117
pannelli che li riguardano. Quindi li caricano sul furgone di servizio (figura
31). Questa attività dà luogo a una selezione, in quanto si raggruppano elementi grafici di natura diversa relativi a un medesimo intervento. Gli agenti
si fanno così anche un’idea del peso e della taglia degli elementi, al fine di
ottimizzare il loro giro, valutando le distanze da compiere a piedi.
In prossimità di una stazione, gli agenti di manutenzione parcheggiano dove possono e valutano l’ordine di lavoro per farsi un’idea più precisa
delle operazioni da effettuare; quindi scaricano i pannelli (figura 32) e i diversi strumenti necessari all’installazione (trapano, sega…). cercano quindi
il luogo preciso dell’intervento, portandovi i pannelli con cura, per evitare di
graffiarli, storcerli o romperli. Nonostante il loro peso e la loro robustezza, gli
elementi della segnaletica restano infatti degli oggetti fragili. D’altra parte,
durante tutte queste attività di manutenzione, nei corridoi e sulla banchine,
gli operatori raddoppiano la vigilanza per evitare di farsi male o di far male a
qualche viaggiatore (figura 33).
Gli agenti incaricati di installare e sostituire i pannelli della segnaletica
sono dunque anzitutto dei manutentori. In questa prima fase manipolano
gli artefatti grafici essenzialmente come oggetti fisici da posizionare, archiviare e trasportare. A prima vista si tratta di una caratteristica di questo genere di elementi; ma essa è in effetti presente in un gran numero di mondi
professionali in cui dei lavoratori si trovano ad avere a che fare con la materia dello scritto, come ad esempio i ricercatori che producono degli articoli scientifici archiviando e sovrapponendo numerose iscrizioni derivate
dai loro dispositivi sperimentali (Latour e Woolgar, 1988). È anche il caso di
tutte le persone impegnate nella produzione di documenti indispensabili
allo svolgimento di date attività, siano esse pratiche biomediche (Pontille
2010), amministrazione e servizi di contabilità (Gardey, 2008), attività bancarie (Denis, 2009), o il lavoro degli ufficiali giudiziari (Pontille, 2006; 2009). Le
ricerche condotte in questi campi mostrano che, contrariamente a quanto
si crede, la presa in conto della materialità dello scritto non si riduce mai al
semplice uso di carta e penna. Le operazioni di classificazione, sistemazione
dei faldoni, annotazione e realizzazione di copie degli elementi ritenuti importanti, di registrazione e distribuzione degli scritti sono svolte attraverso
attività di manipolazione che necessitano di supporti come buste, caselle,
archivi, post-it, file informatici, stampanti, database…
Ogni configurazione professionale si distingue per le proprie sfide, i concatenamenti tecnici e organizzativi e i tipi di scritti specifici. Le pratiche di
manutenzione prendono in ogni caso una forma e dei propri ruoli particolari. Su questo punto, la manutenzione della segnaletica del metrò mostra
delle attività relativamente poco note: gli agenti che abbiamo osservato
non agiscono né come professionisti dello scritto (come invece gli ufficiali
giudiziari) né come tecnici (come invece gli scienziati in laboratorio o i segretari amministrativi): sono più vicini a degli artigiani dello scritto. Da questo punto di vista, le loro competenze sono specifiche, così come la maniera
che essi hanno di comprendere la materialità delle scritte che manipolano.
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|capitolo 5|
Artigiani dello scritto
Le attività di manutenzione mostrano competenze complementari a quelle
già analizzate nel capitolo precedente. Accanto alle loro capacità di produrre indessicalità all’interno di una situazione locale, o di giudicare le qualità
d’esposizione di un pannello, gli agenti effettuano numerose operazioni per
trattare gli elementi della segnaletica su un piano radicalmente diverso.
David e Jonathan stanno per partire per il loro giro. David
guarda gli ordini di lavoro che il responsabile gerarchico gli
ha distribuito. Si sofferma su uno di essi e si dirige verso lo
studio di produzione, dove chiede ad Émile: “Potresti farmi
dei rinforzi per quel pannello? La volta scorsa l’abbiamo tolto
perché stava per cadere. Era montato su dei pezzi di legno
ormai marcio, super pericoloso…”. Émile prende l’ordine di
lavoro e misura il pannello, si segna le misure su un piccolo pezzo di carta e scende al piano terra dove si trovano gli
strumenti per il taglio. Poco dopo porta due supporti metallici a Jonathan che sta prendendo il furgone di servizio. I due
agenti decidono di iniziare con questo intervento, spiegando
all’etnografo che ci vorrà parecchio tempo e dunque è meglio
iniziare subito per essere sicuri di farcela entro la pausa pranzo. Una volta parcheggiato, iniziano una serie di operazioni
che si rivelano piuttosto lunghe. Prima di uscire dal furgone,
Jonathan fa dei buchi nei sostegni (figura 34), discutendo a
lungo con David per decidere quali buchi vanno fatti subito.
Una volta in stazione, David e Jonathan si portano senza esitazione davanti a un muro vuoto dove una leggera impronta
permette di ipotizzare la passata presenza del pannello rotto.
Affinché i supporti reggano bene il pannello, è anzitutto necessario togliere le vecchie viti (“Sono lì almeno da 60 anni!”
dice David). Jonathan vi procede vigorosamente, spezzando
quel che non riesce ad estrarre: “Quel che conta è che non
sporga nulla dal muro”. Preparato il muro, misurano i supporti
e il pannello, poi fanno dei segni a matita sul muro (figura
35), usando la livella come guida per assicurarsi che il nuovo
pannello sia dritto. David comincia a bucare il muro nei punti
indicati. Jonathan riempie i buchi con cemento a presa rapida e mette dei fischer. Poi insieme mettono il primo supporto, posano il pannello e prendono le misure per il secondo
supporto.
Queste diverse operazioni mostrano la parte artigianale delle attività di
manutenzione delle scritte. Le caratteristiche deittiche e le qualità di esposizione, che sono così importanti nelle situazioni di posizionamento descritte
nel capitolo precedente sono qui ampiamente ignorate dai due agenti, che
non si interessano per nulla alle proprietà testuali del pannello che stanno
sostituendo. In questo momento infatti conta solo il piano materiale, come
mostra bene il rapporto alla sporcizia. Manipolato come oggetto, il pannello
in corso di installazione si copre di polvere (figura 36). Non è più un segno in
un dispositivo grafico standard.
Solo a partire dall’ultimo gesto, che marca la fine dell’intervento, le cose
119
cambiano. I due operatori raccolgono i loro strumenti e puliscono meticolosamente il pannello installato (figure 37). Al termine dell’operazione, lo
statuto del pannello è cambiato: è ridivenuto a pieno titolo un elemento
della segnaletica, destinato ai viaggiatori.
Nella manutenzione ritroviamo dunque la variabilità dei modi di cogliere i pannelli che abbiamo descritto nel capitolo precedente. Per gli agenti,
i moduli della segnaletica non sono degli artefatti ibridi, ma degli oggetti
sfaccettati con i quali si intrattengono dei rapporti specifici a seconda della
diversa situazione. La dimensione materiale stessa non è univoca: nell’intervento descritto, gli agenti si trovano a che fare con delle materie di tipo
diverso che si presentano sotto forma di strati: quello del muro (esso stesso
composto delle piastrelle, della colla che le tiene su e della calce su cui sono
appoggiate), quello del sostegno e quello del pannello. Il loro lavoro consiste nel mettere alla prova questi diversi materiali, per consolidarli secondo le
proprie esigenze e per tenerli insieme. Così facendo, i due si servono di vari
strumenti. Per fissare il pannello, David e Jonathan hanno avuto bisogno di
un metro, di una matita, di due trapani, del cemento, di un cacciavite, dei
fischer e delle viti.
Sottolineare la complessità della parte materiale con cui gli agenti si
confrontano ci invita a rimettere in questione la prospettiva di ricerca che
insiste sul ruolo dei supporti nell’analisi dello scritto. In quanto scritte esposte, ovvero scritte letteralmente attaccate a un luogo pubblico, i confini
stessi del supporto vengono rimessi in questione. Le attività di manutenzione rimettono in discussione la nozione stessa di supporto mostrando,
da un lato, la lunga lista di materiali che vi giocano un ruolo (ad esempio
nella riparazione) e, dall’altro, il concatenamento materiale delle scritte e gli
strumenti che servono alla sua riparazione.
Quest’ultimo punto merita di essere approfondito al di là di quanto già
rilevato sulla dimensione composita della materialità nelle attività di manutenzione. L’intervento sopra descritto ha implicato un momento rivelatore
che ha incrinato l’apparente linearità dell’operazione.
Apprestandosi a fissare il secondo fischer, David sente la forza
del trapano ridursi. La batteria si sta scaricando. Jonathan si
innervosisce: non può lasciare il muro in questo stato. David
esce dalla stazione sperando di trovare un altro trapano nel
furgone. Ridiscende deluso: anche la batteria dell’altro trapano è a zero. Dopo qualche tergiversazione, i due agenti
decidono di mettere in ricarica il trapano in un locale tecnico della stazione, andare in pausa pranzo (anche se è un po’
presto) e tornare poi alla stazione per terminare l’intervento.
Questa soluzione, per quanto sembri normale, è comunque
un po’ strana: gli agenti della manutenzione della rete non
dovrebbero avere le chiavi dei locali tecnici delle stazioni, ma
David, ex elettricista, ha ancora un passe-partout. Leggendo
il numero di serie della serratura del locale tecnico più vicino, conferma di poterla aprire. Attaccano il caricatore della
batteria (figura 38) e vanno a pranzo. Un’ora più tardi, al loro
ritorno, la batteria non è ancora del tutto ricaricata, ma lo è
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|capitolo 5|
abbastanza per finire le ultime operazioni necessarie per fissare il pannello.
Questo piccolo aneddoto, che sarà familiare a tutti gli utilizzatori di
strumenti a batteria da ricaricare, illustra una dimensione importante delle
attività di manutenzione. Gli strumenti artigianali non sono solo utili a svolgere le operazioni materiali che assicurano la manutenzione della segnaletica; il loro utilizzo connette gli agenti a una rete infrastrutturale più ampia.
Questa rete è generalmente trasparente ma alla minima défaillance rende
le operazioni molto difficili. Tale interdipendenza dei dispositivi costituisce
una caratteristica essenziale dell’ecologia delle attività di riparazione e di
manutenzione (Graham e Thrift, 2007).
I trucchi del mestiere
La complessità dell’attività degli agenti di manutenzione e la sua dipendenza da varie dimensioni dell’ambiente si ritrovano anche su un altro versante
dell’azione. Come in diversi mestieri, gli operatori mettono in atto dei piccoli
aggiustamenti che sono essenziali alla realizzazione dei loro compiti. Questo fatto è ben noto ai sociologi (Lipsky, 1980; de Terssac, 1992), e costituisce il “lavoro reale”, generalmente opposto al “lavoro prescritto” così come
pensato dai superiori gerarchici. Se in certi casi l’opposizione è discutibile,
essa è comunque molto utile per comprendere il lavoro di riparazione e di
manutenzione, in cui gli operatori sono aperti all’incertezza, e in cui dunque
l’improvvisazione è cruciale (Henke, 2000).
Herbert e Léonard devono sostituire un pannello danneggiato in un cassone luminoso. Un altro gruppo di operatori
è già passato alcuni giorni prima a prendere le misure del
cassone e a rilevare le caratteristiche del pannello: materiale,
dimensioni, contenuto e disposizione degli elementi grafici.
Questo lavoro preliminare era indispensabile per poter fabbricare un pannello identico a quello precedente. Herbert e
Léonard sono ora incaricati di installare il nuovo cartello. Sulla
banchina, di fronte al cassone luminoso, Herbert depone il
pannello. In equilibro sulla scala, svita le viti, apre il cassone
e fa scivolare il pannello facendo attenzione a non toccare
le componenti elettriche (figure 39). Lo strato plastificato del
pannello si è in parte strappato, anche se il suo stato di degrado non era evidente quando era nel cassone e il fatto che
sia stato segnalato mostra bene e gli standard in materia di
pulizia degli elementi della segnaletica.
Nel frattempo Léonard è rimasto in loco per tenere i pannelli.
Prima di proseguire l’intervento nel cassone, si assicura, allineandoli che il vecchio e il nuovo pannello abbiano la stessa
dimensione (figura 40). Herbert lo monta nel cassone, Ma,
malgrado le varie linguette metalliche che servono a fissarlo, il pannello traballa un po’. Herbert potrebbe comunque
accontentarsi e chiudere il cassone. Dopo tutto, infatti, i due
pannelli sono identici e anche quello precedente non era del
tutto stabile. Ma il rischio che si stacchi non può essere del
121
tutto escluso ed Herbert vuole assicurarsi che ciò non accada.
Come spiega all’etnografo, se il pannello cadesse sulla testa
d’un viaggiatore, i responsabili sarebbero loro. Parte dunque
alla ricerca di una soluzione e torna qualche minuto più tardi.
Non è la prima volta che gli operatori si trovano di fronte a
questo genere di problema. Senza essersi messi d’accordo,
Léonard risale verso la sala d’entrata della stazione e torna
con della carta da giornale piegata a fare una zeppa. Prepara
bene i singoli pezzi (figura 41) ed Herbert li posiziona uno
dopo l’altro per alloggiare il pannello nel cassone luminoso.
Il pannello è ormai ben aggiustato e stabile (figure 42) ed è
sufficiente richiudere. Herbert conclude: “Ecco fatto, è tutto
nuovo! Ora è più bello e molto meglio per i viaggiatori” (figura 43).
Mantenere degli oggetti grafici implica passare attraverso dei piccoli aggiustamenti, mettere in atto un’arte dello sbrogliarsi per ottenere i risultati
sperati. Queste competenze fanno ricorso a quelli che Becker (2002) chiama i “trucchi del mestiere”, che passano cioè per iniziativa e immaginazione
al fine di tenere le cose sotto controllo, classificare le priorità d’intervento,
interpretare gli eventi, distinguere i casi. Come mostra bene la situazione
precedente, i trucchi del mestiere consentono di portare avanti i compiti
necessari attraverso l’espressione delle abilità gestuali e la capacità di inventare delle soluzione entro il raggio d’azione circoscritto. Come abbiamo
visto, nel corso dell’intervento le poste in gioco sono diverse: perché il riposizionamento sia efficace, il nuovo pannello deve infilarsi perfettamente
e stabilmente nel cassone; se a un certo punto cadesse, la responsabilità
degli agenti sarebbe diretta. La soluzione delle zeppe di carta è una soluzione ragionevole: infatti gli agenti sanno anche che rifare un pannello per
qualche millimetro non è necessariamente una buona cosa, tenuto conto
del numero di moduli necessari a trecento e passa stazioni della rete RATP.
Lo zelo assoluto, che consisterebbe nell’ordinare un nuovo pannello, non
sarebbe necessariamente apprezzato dai superiori gerarchici. Infine, l’osservazione etnografica ci permette di vedere questi piccoli aggiustamenti
come rivelatori delle tensioni che attraversano il lavoro della manutenzione.
Come spiega uno degli agenti, se si tratta di fissare il pannello con la carta
di giornale è perché “le misure erano state prese male”. Da questo punto di
vista, il bricolage è un palliativo a precedenti difetti nella catena di lavoro: in
questo senso il lavoro di manutenzione non dipende solo dagli agenti ufficialmente impiegati in esso. I trucchi del mestiere stanno al cuore di queste
attività artigianali come un mezzo per riappacificare le tensioni legate alla
divisione del lavoro in una grande azienda.
Dal momento che le attività sono coordinate, legate a delle
risorse distribuite nel sistema o nell’organizzazione, come nel
caso di Météor, i trucchi del mestiere diventano la parte del
povero, ma anche ciò che resta di artigianale nelle competenze dell’agente, il suo colpo d’occhio e il suo tocco di mano.
(Joseph, 2004, p. 23-24)
In quanto dipendenti dalle infrastrutture tecniche (come ad esempio
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|capitolo 5|
l’élettricità) gli agenti devono venire a patti con una catena di attività. I loro
aggiustamenti sono sempre più o meno delle reazioni ad altre sequenze
d’azione.
Dalla manutenzione alla “mantenibilità”
I piccoli aggiustamenti tipici dell’attività di manutenzione risultano anche
in parte dalla posizione degli agenti di manutenzione rispetto al complesso
del dispositivo segnaletico: come abbiamo già sottolineato all’inizio di questo capitolo, essi sono dei lavoratori invisibili. L’assenza di considerazione
per il loro lavoro è non solo flagrante sulla scena del loro intervento, rispetto
cioè ai viaggiatori, ma è anche notevole sull’altro versante della loro attività,
nel rapporto diretto agli oggetti che manipolano. Alcuni di essi resistono,
altri hanno bisogno di un tempo incredibilmente lungo per essere sostituiti
o riparati. Queste difficoltà riflettono il posto riservato alla manutenzione e
a suoi lavoratori nel processo di ideazione dei moduli segnaletici.
David e Jonathan devono cambiare un pannello le cui informazioni sono state aggiornate. Si tratta di un “pannello luminoso trasversale”, composto di un cassone retro-illuminato
con un riquadro in metallo. Per cambiare il pannello in PVC
occorre anzitutto levare la parte davanti del cassone. L’operazione non è semplice: Jonathan deve far scivolare le mani
dietro l’elemento da togliere senza forzarlo ed evitando di
bruciarsi con i neon (figura 44). Una volta staccata la parte e
depositatala a terra, l’operazione è lungi dall’essere terminata.
Per levare il pannello in PVC dal suo supporto, i due agenti
devono togliere a mano sedici piccole viti una ad una (figura
45). Imprecano contro questo supporto recalcitrante e contro quelli che lo hanno fabbricato. Come hanno potuto immaginarsi un tale sistema? Una volta finito, David e Jonathan
piazzano la nuova insegna al suo posto con molta cautela,
per evitare di danneggiarla (figura 46), poi riavvitano il pannello sul quadro metallico prima di fissare di nuovo il tutto nel
cassone attaccato al soffitto (figura 47). David spiega infine
all’etnografo: “Era proprio fatto male, sarebbe bastato una feritoia di lato per poter estrarre il pannello senza dover nemmeno aprire il cassone… Ma, vabbè, non ci hanno pensato,
non hanno pensato a noi”.
Questo episodio mostra anzitutto che la complessità della dimensione
materiale degli oggetti grafici non è solo una questione di prospettive e di
sguardi, né si può ridurre a una flessibilità interpretativa che consisterebbe
nel moltiplicare i punti di vista. È nelle manipolazioni stesse che gli oggetti vengono decomposti. E spesso, prima di poter consolidare i concatenamenti, gli strumenti dei manutentori devono disfare gli assemblaggi precedenti. Qui, il pannello luminoso diviene una moltitudine di viti, un pannello,
un supporto trasparente etc. La molteplicità non è una qualità delle sole
persone, ma anche un modo di esistenza delle cose. I due versanti sono
completamente indissociabili (Mol, 1999; Law, 2002; Latour, 2006). Nella sua
relativa difficoltà, questo caso mostra anche una forma di interdipendenza
123
che non riguarda più tanto la divisione del lavoro, ma rinvia piuttosto anche alla posizione che gli agenti devono assumere rispetto agli oggetti che
si trovano a manipolare e ai loro ideatori. Alcuni oggetti, come il pannello
luminoso con cui si trovano a lottare, possono essere concepiti in modo efficace e intelligente rispetto ai destinatari della segnaletica, ma in modo del
tutto inadeguato rispetto a chi dovrà poi compierne la manutenzione.
L’invisibilità della manutenzione e degli agenti incaricati di essa trova
qui un’espressione essenziale. Se il lavoro sulle infrastrutture che implica la
manutenzione può non venire percepito a valle, vale a dire dal punto di
vista delle persone ordinarie che ne beneficiano (gli utenti del metrò), esso
costituisce a volte anche un punto cieco a monte, dal punto di vista cioè
di coloro che inventano le forme e le procedure di fabbricazione delle infrastrutture. La questione della mantenibilità e della facilità di riparazione è
una sfida politica ed economica oggi centrale (Verbeek, 2004), soprattutto
perché essa rimette in discussione la dinamica dell’innovazione continua
che fonda il capitalismo contemporaneo (Graham e Thrift, 2007). Nel nostro
caso, abbiamo visto una forma d’espressione molto concreta. La maggiore
o minore mantenibilità degli oggetti è una dimensione centrale del lavoro
quotidiano degli agenti, principale soggetto della silenziosa lotta che essi
conducono contro un “loro” lontano, un collettivo che rappresenta l’insieme
degli ideatori dei moduli della segnaletica, i quali non riescono ad immaginare a sufficienza le condizioni di vita ordinarie degli oggetti che inventano
e dunque le condizioni di lavoro di coloro che si dedicano alla manutenzione.
Conclusione: manutenzione e materialità
L’esame delle operazioni che compongono la manutenzione della segnaletica mostra da un nuovo punto di vista la parte materiale della gestione
grafica dei luoghi pubblici. Al centro delle competenze degli operai che
riparano il sistema delle scritte esposte, la materialità non è una proprietà
stabile sulla quale possano appoggiarsi, ma una qualità indecisa che essi
contribuiscono a far divenire.
Anche una volta progettati, fabbricati e installati, gli artefatti grafici non
sono ancora degli oggetti finiti le cui proprietà materiali sarebbero completamente stabilizzate. Anche quando non si tratta di attualizzarle “ogni nuova
prima volta” (Garfinkel, 2002), si deve comunque curarle. La manutenzione
consiste nel ricostituire le loro qualità materiali, vale a dire a ricomporre un
concatenamento di elementi eterogenei che si tengono insieme – nel nostro caso il muro, l’intonaco, i mattoni, la colla, la lastra in metallo, etc.
Per creare questa stabilità materiale gli agenti hanno a che fare con dimensioni materiali ineludibili, attraverso due principali forme di impegno
verso gli oggetti e l’ambiente. Nella prima forma, l’avere a che fare significa
mettere alla prova le incertezze sulla stabilità delle proprietà tangibili delle cose da concatenare: “Il muro è dritto? La colla tiene? Le piastrelle sono
ferme?”. La manutenzione è un cammino che conduce alla stabilizzazione
124
|capitolo 5|
e all’assemblaggio, sempre provvisorio, dei diversi elementi di una rete di
interdipendenze materiali. Nella seconda forma, avere a che fare significa
al contrario subire degli effetti di chiusura che costringono almeno in parte
la progressione delle attività. Non si tratta più per gli agenti di esplorare le
qualità materiali dell’ambiente, ma di lavorare allo spiegamento di cose la
cui materia non è a volte abbastanza morbida. In questo caso, la manutenzione si inscrive in una rete di interdipendenze organizzative che fonda la
divisione del lavoro tra ideatori, produttori, installatori e manutentori. Tutte
queste dimensioni dell’attività di manutenzione avallano quanto mostrano
ad esempio i lavori di Henke (2000), Graham e Thrift (2007) o Star (1999,
2002), i quali evidenziano la parte attiva del lavoro invisibile dei manutentori, che necessita di grandi competenze di adattamento e improvvisazione.
Insistere sul ruolo essenziale della manutenzione in un’analisi della
gestione grafica dei luoghi pubblici offre d’altra parte un mezzo per prolungare i legami che abbiamo sin qui intessuto tra le problematiche della
performatività dello scritto e quelle della teoria dell’attore-rete, soprattutto
per quel che riguarda il ruolo degli oggetti e della loro materialità. All’inizio
del nostro lavoro abbiamo presentato il dispositivo della segnaletica in una
prospettiva vicina ai lavori di Latour, insistendo sulla stabilità e immutabilità
degli artefatti grafici creati con il sistema. La forza performativa della segnaletica poteva sembrare allora in gran parte basata sulla standardizzazione
dei moduli e sulla loro riproduzione negli spazi del metro. Ma questo modo
di rendere conto della performatività delle scritte esposte non è pienamente soddisfacente. Se ci fermiamo ad esso, si chiude in effetti l’analisi schiacciando la dimensione performativa su delle proprietà materiali e grafiche
di cui abbiamo precisamente visto che sono lungi dall’essere scontate. Si
tratta di una aporia frequente nello studio dello scritto, poiché si è tentati
di dedurre la forza dello scritto da delle caratteristiche già evidenziate dagli storici (Eisenstein, 1991) o dagli antropologi (Goody, 1979). Questi lavori
fanno della fissità, affidabilità, perennità e rappresentatività delle proprietà
intrinseche sufficienti a spiegare l’azione svolta dalle scritte. Le scritte sono
dunque studiate come performativi precisamente perché sono... scritte.
Di fronte alla diversità di azioni condotte dagli agenti della manutenzione per garantire l’esistenza dei pannelli della segnaletica, simili postulati
lasciano a desiderare. La performatività non può più essere spiegata con un
elenco di proprietà più o meno intrinseche agli oggetti grafici, e si basa al
contrario sulla possibilità di un gioco tra qualità variabili messe gradualmente alla prova durante le attività di manutenzione2.
Per concludere, una riflessione sull’estensione del termine “manutenzione”. Che attività vi sono incluse? Abbiamo visto che la manutenzione del
dispositivo della segnaletica non si arresta alle attività degli agenti che vengono a riparare e sostituire i pannelli nelle stazioni. Non possiamo in effetti
dissociare la loro azione dall’attività di sorveglianza della rete realizzata in
ciascuna stazione che abbiamo tratteggiato nel capitolo due. La gestione
della segnaletica è distribuita in diversi servizi che includono una sorve2 Per uno sviluppo teorico della questione, si veda Denis e Pontile (2010b).
125
glianza permanente e un’attenzione particolare allo stato della segnaletica,
tanto più difficile in quanto vi è coinvolto anche del personale non specializzato. Tutte queste diverse attività compongono un lavoro di manutenzione nel senso più ampio che ha un ruolo centrale nella gestione grafica dei
luoghi pubblici.
La particolarità di questo lavoro risiede nel suo rapporto con la stabilità e
la durabilità. Che si tratti di sorveglianza o di riparazione, i suoi campi principali condividono lo stesso expertise: un tipo di attenzione fine ai mutamenti in corso all’interno del dispositivo. Occorre insegnare ad esempio a un
gestore di stazione che un pannello che è stato graffiato con la chiave per
produrre un graffito non è più veramente un pannello, o quantomeno non
è più un pannello segnaletico e che occorre dunque segnalare il problema
per sostituirlo e riprodurre la stabilità del sistema. Il lavoro di manutenzione
si attua quando delle persone sviluppano delle capacità specifiche a percepire le differenze nel sistema di oggetti e nell’ambiente ibrido che la segnaletica compone. Occorre saper rilevare lo stato di usura, percepire le più
minime tracce di una mancanza, arrivando a vedere che un corridoio del
metrò non è più un vero corridoio se uno dei suoi pannelli viene a mancare
o non funziona a dovere.
Il lavoro di manutenzione consiste dunque nello sviluppare una certa
forma di expertise che consente di percepire delle soglie di variabilità al
servizio di una immutabilità proiettata verso gli utenti. Detto altrimenti, se
il dispositivo della segnaletica è un assemblaggio di oggetti immutabili dal
punto di vista dei viaggiatori, è perché al contrario esso è fatto di variazioni
e di mutazioni agli occhi di coloro che quotidianamente lo mantengono.
Tocchiamo qui il cuore del lavoro di manutenzione: una serie di operazioni molto concrete, che consistono nell’assicurare, di giorno in giorno, una
stabilità e una permanenza a degli oggetti grafici, mettendo in atto le condizioni di riconoscimento delle loro trasformazioni incessanti. Sottolineando l’importanza di questo lavoro, non si tratta semplicemente di opporsi al
vocabolario dell’immutabilità, ma di affermare che è la chiusura su questo
solo registro ad essere problematica. Come hanno mostrato i numerosi lavori condotti nell’ambito della teoria dell’attore-rete, occorre diffidare delle
ontologie che come ricercatori siamo tentati di proiettare sugli oggetti che
studiamo (Mol e Law, 1994; de Laet e Mol, 2000; Law, 2002). Considerare il
lavoro generalmente invisibile che viene effettuato per la manutenzione di
un dispositivo come la segnaletica consente di aprire l’analisi degli artefatti
grafici alla varietà e alla relatività delle loro ontologie.
126
|conclusione|
Conclusione
Segnaletica, azione e spazi pubblici
Nel percorso tracciato in questo libro abbiamo cercato di arricchire l’analisi
delle forme d’azione di quelle che Petrucci (1993) ha chiamato le “scritte
esposte”. Attraverso i casi studiati abbiamo sottolineato le sfide pratiche
che fondano il successo o meno della gestione grafica della segnaletica del
metrò parigino. Abbiamo anzitutto visto che tale successo si basa su un
concatenamento organizzativo specifico. La segnaletica della RATP cerca di
produrre un ambiente stabilizzato, organizzato sulla base di un principio di
coerenza estrema che viene dettagliato in una serie di documenti normativi. Tale processo definisce una ecologia grafica cooperativa negli spazi di
trasporto producendo un’interdipendenza forte tra moduli destinati a tessere una rete di strumenti di aiuto allo spostamento. Ma abbiamo visto che
l’ordine della segnaletica mette anche in gioco una ecologia competitiva in
seno alla quale si confrontano i portavoce di diverse specie grafiche che
cercano di occupare i medesimi spazi: i graffiti certo, ma anche la pubblicità,
che i responsabili della segnaletica cercano di incanalare entro dati formati
d’espressione. È anche il caso di altre forme di marcatura che sono abbandonate o ridotte in nome del dispositivo. La gestione grafica del metrò si
basa su questa doppia ecologia, ovvero sulla possibilità di costruire un concatenamento solido che assicuri ai pannelli una loro esistenza tanto nelle
stazioni quanto nelle dinamiche organizzative.
La segnaletica non è tuttavia solo una questione di strategia e di principi. La sua riuscita, ovvero la sua capacità di trasformare lo spazio in un
ambiente ibrido dotato del proprio sistema grafico di ordinamento, si fonda
sull’accessibilità permanente degli elementi che la compongono. A differenza di altri tipi di scritti, che possono essere archiviati e conservati al riparo
tra due usi successivi, i moduli grafici della segnaletica non valgono che
in quanto esposti. L’esposizione, che è la loro forza, è però anche la loro
debolezza, la loro fragilità. La felicità del funzionamento della segnaletica
dipende da varie attività che fanno vivere giorno dopo giorno il dispositivo.
L’installazione, la supervisione e la riparazione dei pannelli dipendono da
competenze situate, da capacità di valutazione e improvvisazione che, per
quanto sembrino contrastare con la dimensione estremamente normalizzata del dispositivo, sono in realtà le vere condizioni della sua attualizzazione e
127
della sua permanenza. La presenza continua dei moduli della segnaletica è
il frutto di questo lavoro di manutenzione costante.
Analizzando le condizioni della sua concezione, e più precisamente il
rinnovamento di cui è stata oggetto nel corso degli anni Novanta, abbiamo anche sottolineato la dimensione programmatica della segnaletica del
metrò parigino. La sua messa in atto non si limita al solo versante estetico,
a un rinnovamento e miglioramento visivo dei pannelli. La gestione grafica dipende anche da degli script, dei programmi d’azione destinati a far
agire gli utenti, orientandoli cognitivamente e fisicamente in modi specifici
nel corso dei loro tragitti. L’analisi dei vari documenti che illustrano i grandi
principi del dispositivo, insieme alla realizzazione dei nostri percorsi fotografici, ci hanno permesso di sottolineare la pluralità di questi script. Abbiamo
evidenziato quattro figure principali di utente inscritte nella segnaletica: un
viaggiatore informato che cerca di controllare il proprio viaggio leggendo
dei messaggi, un pianificatore che anticipa le condizioni del proprio percorso mobilizzando dei dispositivi di calcolo, un viaggiatore inquieto che calma
la propria ansia compiendo delle scelte tra opzioni chiaramente esposte e
facili da riconoscere sui pannelli, e infine un’entità reattiva che circola senza
ingombri rispondendo automaticamente a dati segnali dell’ambiente.
In quanto processo di messa in intelligibilità, la gestione grafica degli
spazi del metrò parigino opera dunque su due piani: anzitutto la stabilizzazione e l’ordinamento dell’ambiente dividono lo spazio in zone distinte
che si ripetono di stazione in stazione e producono, nonostante le disparità
architettoniche, una serie di luoghi-tipo; alla divisione dello spazio in regioni
corrisponde poi una disaggregazione del viaggiatore in figure specializzate
dotate di competenze e di modi d’azione eterogenei.
Quali sono le principali linee di ricerca che abbiamo dunque proposto?
In primo luogo, suggerendo una serie di cambiamenti di prospettiva, abbiamo voluto riflettere sul problema della performatività dello scritto, che
abbiamo affrontato rivisitando la questione della materialità. Un oggetto
apparentemente anodino come la segnaletica si è rivelato estremamente
ricco, in quanto partecipe di una vera e propria politica dell’attenzione. In
secondo luogo, analizzando il momento di ricomposizione delle forme di
comunicazione e dei loro strumenti, la ricerca ci ha aperto alle trasformazioni possibili delle ecologie informazionali dei luoghi pubblici.
La materia delle scritte esposte
L’esercizio che consiste nell’esplorare i supporti di un dispositivo come quello della segnaletica permette di modificare sensibilmente lo sguardo tradizionalmente portato sulla materialità dello scritto, come abbiamo visto
rispetto alle figure dell’utente inscritte nei pannelli. Dato che gli artefatti
grafici che compongono la segnaletica sono composti da vari script destinati ad equipaggiare delle azioni precise da parte dei viaggiatori, la loro
performatività non può spiegarsi solo sulla base di qualità strettamente materiali, né solo attraverso gli aspetti linguistici. Da un certo punto di vista, i
pannelli sono pieni di progettisti, cartografi, architetti, tipografi e segnaletici
128
|conclusione|
che hanno mescolato le loro qualità e la loro storia con quelle del pannello
metallico o di PVC, o ancora della vernice e degli adesivi. Ogni elemento
del dispositivo è il risultato di un assemblaggio ibrido la cui organizzazione
forma il nocciolo stesso della performatività della segnaletica.
Abbiamo anche potuto affrontare la questione della materialità portandoci sul lavoro di manutenzione. La sorveglianza quotidiana della rete, insieme alla riparazione e sostituzione dei moduli, forme delle attività nel corso
delle quali gli agenti trattano direttamente con la materia del dispositivo
segnaletico. L’esame accurato di queste operazioni ci ha consentito di sottolineare la varietà delle forme di impegno materiali possibili con i pannelli.
Dal punto di vista della manutenzione, la stabilità e la durabilità non costituiscono proprietà intrinseche agli oggetti; non rappresentano cioè delle
risorse, come invece lo sono per gli utenti, bensì dei problemi. Il lavoro di
manutenzione si basa precisamente sull’expertise che consiste nel problematizzare queste qualità, vale a dire nell’individuare le trasformazioni prima
che diventino visibili ai viaggiatori. La stabilità e la durabilità sono prodotte
di giorno in giorno attraverso questo rapporto particolare con la materia.
Ma la produzione continua delle qualità materiali non è universale, e ciò
costituisce senza dubbio una particolarità delle scritte esposte: esse infatti
sono esplicitamente rivolte agli utenti. Nel quadro di un dispositivo come la
segnaletica, errori e riparazioni devono restare per quanto possibile invisibili
agli occhi dei viaggiatori ordinari. Al contrario del caso delle scritte giuridiche, che conservano la traccia degli interventi che hanno reso possibile la
loro riparazione (Pontille, 2009), la segnaletica subisce delle operazioni di
manutenzione che cercano costantemente di ridare ai moduli interessati il
loro aspetto iniziale. Si tratta di una dimensione centrale delle scritte esposte: la loro capacità di mettersi da sole e sempre identiche a disposizione del
pubblico. Dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, tutto ciò implica
un’ecologia del visibile e dell’invisibile (Star e Strauss, 1999). La performatività della segnaletica sembra riposare sulla messa in invisibilità dei concatenamenti fragili che la rendono possibile e del lavoro incessante di cui la sua
costante disponibilità necessita. Le scritte esposte dunque non creano solo
un ambiente ibrido rivolto verso il pubblico: dando forma all’arredamento
degli spazi, danno anche forma ai propri supporti, e le loro condizioni di
felicità stanno tanto nella visibilità del primo quanto nell’invisibilità dei secondi.
Segnaletica e politica dell’attenzione
Come abbiamo già visto, nel corso degli anni Novanta l’introduzione di una
segnaletica rinnovata alla RATP fa parte di in un movimento più ampio che
supera la questione della mobilità e coinvolge lo spazio pubblico e i servizi
che vi sono collegati. In quanto equipaggiamento di aiuto alla mobilità, il
dispositivo della segnaletica è una manifestazione della politica che ha accompagnato la ridefinizione dello spazio pubblico in termini di accessibilità
(Joseph, 2007). Prendendo la forma di moduli grafici interdipendenti in cui
sono inscritte diverse figure del viaggiatore, il dispositivo segnaletico con-
129
tribuisce a organizzare l’ambiente del metro come luogo composito, aperto
a una pluralità di pubblici.
Ma, in senso più ampio, abbiamo anche visto che si tratta di creare negli spazi del metrò una vera e propria politica dell’attenzione. Attraverso la
segnaletica, i viaggiatori sono invitati, al fine di riuscire ad effettuare il loro
percorso senza compromettere la fluidità della rete, a fare attenzione agli
spazi del trasporto e agli artefatti grafici che li popolano. Focalizzandoci sugli script d’uso che compongono questa politica dell’attenzione, abbiamo
per così dire isolato il paradigma. Il suo elemento più significativo risiede
senza dubbio nella rottura esplicita rispetto al modello della lettura/decodifica. La possibilità di inscrivere dei testi da leggere negli spazi del trasporto non scompare, ma si trova relativizzata dalla presenza di altre forme di
impegno possibile rispetto ai moduli segnaletici, forme più situate quali ad
esempio l’identificazione di forme che guidano le decisioni e la percezione
quasi istantanea di elementi che consentono la reazione automatica. Questo ampliamento delle forme di equipaggiamento grafico dell’azione partecipa a quello che Licoppe (2007) ha chiamato il “radicamento del paradigma
della distribuzione”, nel senso che le posture d’uso che vi sono inscritte sono
ampiamente non-mentaliste. Esse creano piuttosto la possibilità di distribuire l’azione e la cognizione fuori dalla scatola cranica degli utenti. È la
cooperazione tra i viaggiatori e gli artefatti grafici disposti nell’ambiente che
assicura il successo degli spostamenti. Un simile modo di vedere le cose
appare chiaro nelle premesse del paradigma esposte nell’articolo di Jeudy
e Tallon, che concludono:
Il sistema della segnaletica deve puntare a ridurre al minimo
l’attività di rappresentazione dell’utente nel suo orientamento spazio-temporale. (Tallon e Jeudy, 1977, p. 43)
La concretizzazione delle piste teoriche e la messa in atto di un tale paradigma nel dispositivo della segnaletica si riallacciano ai numerosi lavori
svolti all’interno della RATP, in particolare attraverso l’unità Prospettive e la
sua collaborazione con Isaac Joseph, sociologo neo-pragmatista che vi ha
lavorato per lunghi anni, oltre a Georges Amar che ne è l’attuale direttore.
Difficile ricostruire la traccia precisa di questo percorso, ma vi sono senz’altro
dei legami forti tra il modello dell’azione pluralista e distribuita su cui si basa
il dispositivo della segnaletica e correnti di ricerca come quelle dell’azione
situata di Suchman e Lave o l’antropologia cognitiva di Hutchins e Norman.
Un gran numero di ricercatori francesi vicini a queste correnti hanno d’altra
parte effettuato numerose ricerche per questa unità della RATP, ivi comprese le modalità pratiche dell’informazione ai viaggiatori1.
Registrare queste affinità è importante per comprendere le sfide della politica dell’attenzione messa in opera dal dispositivo: se infatti con la
segnaletica si tratta di equipaggiare materialmente e graficamente delle
azioni, o di distribuire dei processi cognitivi nell’ambiente, vi sono comun1 Tra gli altri, ricordiamo Dominique Boullier, Anni Borzeix, Jacques Cosnier, Michèle
Grosjean, Armand Hatchuel, Michèle Lacoste, Bruno Latour, Jacques Theureau.
130
|conclusione|
que delle specificità legate agli spazi e agli utenti. Nel metrò, siamo lontani
dalle situazioni descritte dalle ricerche che hanno sviluppato questi modelli2, semplicemente perché il metrò è un luogo pubblico, attraversato da
esigenze di accessibilità e di uso degli spazi che testimoniano di un vivere
insieme e delle sue sfide specifiche.
Queste particolarità pongono, infine, la questione del tipo di spazi pubblici che i modelli descrittivi dell’azione situata e dell’antropologia cognitiva
possono contribuire a costruire non appena diventano normativi. La segnaletica, mettendo a disposizione certi tipi di artefatti, predispone gli utenti ad
adottare certe posture negli spazi di trasporto. Tali posture implicano delle
capacità e delle competenze che non sono sempre equamente distribuite nella popolazione reale. Il dispositivo della segnaletica diviene in questo
senso oggetto di numerose domande da parte di associazioni che rappresentano minoranze di ogni tipo, le quali rivendicano il loro diritto a disporre
di guide pertinenti per equipaggiare i propri spostamenti.
Queste varie domande trascinano la segnaletica in un doppio dibattito
democratico, che sta al cuore dell’ecologia grafica dei luoghi pubblici. Esse
infatti rinviano alla definizione del tipo di partecipante allo spazio pubblico
che si vuole progettare. Quest’ultimo oscilla tra la moltiplicazione delle categorie da prendere in considerazione a priori e la concezione universalista
che vorrebbe cancellare ogni discriminazione. Nella medesima mossa, le
domande pongono la questione del ruolo dei dispositivi grafici in questo
spazio. Navighiamo allora tra due modelli. Da un lato, ogni artefatto è pensato come uno strumento funzionale che deve rispondere a delle esigenze
specifiche di utilizzabilità. Qui il rischio è di veder crescere a dismisura il numero di strumenti in progressione con il numero degli utilizzatori potenziali
e delle idiosincrasie di cui sono portatori. Dall’altro lato, gli artefatti grafici
sono ingredienti essenziali dello spazio pubblico, in quanto gli conferiscono
forma e ne propongono un inquadramento. In questo caso, non si tratta
tanto di equipaggiare gli utenti, quanto gli spazi stessi. Il rischio è allora duplice: da un lato una concorrenza accresciuta tra le istanze suscettibili di
marcare questi spazi, dall’altro la tendenza a credere che lo scritto possa
sostenere da solo tutto questo lavoro di messa in forma.
La questione del ruolo che deve avere un dispositivo come quello segnaletico nello spazio pubblico è particolarmente saliente quando compariamo i dispositivi di Parigi e di New York, dove i concatenamenti sono
molto diversi. Le due aziende di trasporto non organizzano infatti i loro
spazi nello stesso modo e non sollecitano i viaggiatori nello stesso modo:
gli script che favoriscono l’attività situata degli utenti sono meno presenti
a New York, mentre rappresentano una dimensione cruciale dell’ambiente
del metrò parigino. Gli ideatori della RATP cercano di “prendere per mano
ogni viaggiatore”, attraverso una segnaletica ridondante che deve consentire di muoversi da soli, passando dalle sale d’entrata fino alle banchine e
2 In particolare, su temi quali i calcoli ordinari al supermercato (Lave, 1988), il pilotaggio di un aereo (Hutchins, 1994) o l’esecuzione di una ricetta culinaria (Conein et
Jacobin, 1994).
131
dalla partenza fino alla destinazione. Al contrario, la segnaletica newyorkese
sembra destinata ad accompagnare un flusso in cui ogni persona è pensata
come membro di un collettivo più ampio di viaggiatori, e in cui la diversità
viene di conseguenza intesa come semplice questione di preferenze culturali3.
La gestione grafica dello spazio pubblico è pertanto molto diversa nelle
due reti di trasporto. A New York, la segnaletica viene messa a disposizione
come un elemento tra gli altri, e non fornisce mai da sola tutti i mezzi necessari agli spostamenti. Il viaggiatore che la mobilizza deve così poter fare
ricorso a delle risorse supplementari, in primo luogo i consigli da parte degli altri. Il dispositivo grafico occupa una posizione relativamente modesta,
proponendosi di creare solo qualche anello all’interno dell’assemblaggio
socio-tecnico che assicura le condizioni di mobilità urbana. Lo spazio pubblico così configurato si basa ampiamente sulla compresenza di persone e
sulla possibilità di reperire da esse delle informazioni affidabili. A Parigi, la
segnaletica viene invece considerata come un servizio in sé: il suo obiettivo
principale è di fornire le risorse più pertinenti possibile a ogni tappa del percorso, in modo che esso sia realizzabile senza ulteriori sostegni. L’eventualità
di un ricorso all’aiuto di altri viaggiatori è stigmatizzata come un fallimento
del dispositivo4. Dal punto di vista di questo modello, il viaggiatore deve
poter arrivare con le mani in tasca e percorrere tutta la rete anche senza incontrare nessuno. In alcuni casi, un semplice sguardo sull’ambiente gli sarà
sufficiente per procedere nel suo percorso. Lo spazio pubblico così concepito cerca di installare una solidarietà socio-tecnica in cui le relazioni sono
essenzialmente fondate su un rapporto individuale agli artefatti grafici.
Ordine grafico e polifonia dei luoghi pubblici
La gestione grafica della segnaletica parigina presenta insomma due aspetti
complementari che sollevano però due sfide distinte. Da un lato, si tratta
di creare un sistema di supporto all’azione individuale, dall’altro, si tratta di
organizzare materialmente e linguisticamente uno spazio pubblico. Ciò ovviamente pone alcuni problemi: il programma pluralista della segnaletica e
la sua totale autonomia rispetto ad altre figure dell’informazione ai viaggiatori (si pensi al lavoro degli agenti di stazione) può venire intesa come una
forma di egemonia grafica, che mostra una volontà di rispondere a tutte le
sfide dell’accessibilità e della diversità esclusivamente attraverso le scritte
esposte, anche a rischio di importare in questi luoghi pubblici le “illusioni
3 Le affissioni provvisorie nelle stazioni sono ad esempio scritte in diverse lingue a
seconda dei quartieri.
4 Ci sono chiaramente numerose altre risorse che sono effettivamente mobilizzate
dagli utenti durante il loro percorso. Dal punto di vista dell’informazione ai viaggiatori, queste somigliano a dei “composti” (Lacoste, 1997). Ma nel caso della RATP è
interessante rilevare la relativa permeabilità delle preoccupazioni in questo campo.
Il dispositivo grafico è concepito infatti come uno strumento che potrebbe, almeno
virtualmente, bastare a tutto.
132
|conclusione|
del tutto scritto” che si riscontrano in numerose organizzazioni (Grosjean
e Lacoste, 1998). Il rischio è tanto più grande in quanto, come abbiamo visto, i principi stessi del dispositivo si basano su un presupposto di messa
in coerenza generale dell’ambiente attraverso la stabilizzazione delle forme
grafiche, la loro ripetizione identica negli spazi e la standardizzazione dei
loro posizionamenti. Questo programma di ordinamento grafico del mondo produce una pluralità tutta relativa che presuppose la rimozione di molti
altri formati possibili di marcatura dell’ambiente.
Più in generale, il modello della segnaletica parigina sottolinea le ambiguità legate all’importazione, nella costruzione di spazi collettivi, di paradigmi centrati sulla dimensione cognitiva dell’azione, in una versione in cui la
cognizione, anche se “distribuita”, viene comunque pensata su base individuale. Seguendo quanto avviene negli aeroporti internazionali, e che tende
a diventare uno standard su scala mondiale, questa segnaletica comporta,
come ha mostrato Fuller, molti punti in comune con i sistemi di navigazione
sviluppati in informatica. I vari elementi dei pannelli operano come connessioni o bottoni che formano una “semiotica dei comandi fatta di protocolli e istruzioni” (Fuller, 2002, p. 242). La segnaletica gestisce graficamente
lo spazio installandovi delle interfacce che, trasposte nei luoghi pubblici,
trasformano notevolmente la questione dell’accessibilità, svuotandola parzialmente degli imperativi della coabitazione.
Questo modello parigino sottolinea le tensioni che esistono tra equipaggiamento della persona ed equipaggiamento dell’ambiente, tra disponibilità cognitiva individuale e condivisione degli spazi pubblici. Articolare
le due politiche, quella dell’attenzione e quella dell’accessibilità, non è cosa
facile ed è dubbio che un programma d’esposizione grafica, per quanto
pluralista, possa costituire un modo esclusivo di organizzazione del luogo
pubblico. La prima sfida che il dispositivo deve prendere in considerazione,
una volta stabilizzato negli spazi di trasporto, è senza dubbio quella della
diversità delle forme d’informazione stesse, e più generalmente dei tipi di
scambio che formano la trama particolare dei luoghi pubblici. La risposta
a questa sfida passa indubbiamente per l’esplorazione di due grandi piste.
La prima riguarda l’organizzazione del lavoro e delle forme di coordinazione all’interno dell’impresa di trasporto. Per trasformare l’ecologia dell’informazione ai viaggiatori e aprire il dispositivo della segnaletica alla presa in
conto di altre forme (sistemi d’informazione in tempo reale, annunci sonori,
presenza fisica degli agenti…) è necessario un dialogo tra i dipartimenti
aziendali affinché gli specialisti di ciascun dominio arrivino ad immaginare
insieme delle forme concrete di ibridazione. Questo costituirebbe un primo
passo verso la messa in atto di un’informazione ai viaggiatori rispetto a cui la
multimodalità non riguarderà solo i servizi di trasporto, ma anche i formati
di comunicazione.
La seconda pista apre invece all’esterno. Se la segnaletica è una interfaccia, oggigiorno essa è comunque affiancata da molte altre, anche negli spazi stessi di trasporto, basti pensare ai numerosi equipaggiamenti personali
che accompagnano le nuove pratiche di mobilità.
133
Cercando di basarsi su un solo principio di messa in coerenza grafica e
linguistica degli spazi, la segnaletica può rapidamente trovarsi spiazzata dai
flussi comunicativi che permettono agli utenti di dotarsi dei propri strumenti
di aiuto alla mobilità, spesso alquanto eterogenei. Inoltre, in quanto mezzo
di marcatura enunciativa che partecipa a costruire un modo di esistenza per
l’impresa in quanto istanza istituzionale, il dispositivo nel suo insieme rischia
di venire scosso dalle forme di scambio che nascono oggi attorno agli usi
delle reti tecnologiche. Molti siti web e altre applicazioni di telefonia mobile
consentono ad esempio di condividere informazioni sullo stato della rete
o di esprimere il proprio parere sui migliori percorsi da seguire (Zacklad e
Laousse, 2009). Come calcolare queste pratiche che si riferiscono al mondo
difficilmente controllabile degli utenti? Come riconfigurare dispositivi quali
la segnaletica, e più in generale tutti gli strumenti informativi, per far posto ai nuovi usi che sono al centro della costituzione degli spazi pubblici
contemporanei? Tale questione supera di gran lunga il quadro dei trasporti
pubblici e solleva la questione eminentemente politica delle forme di partecipazione possibili nell’ecologia informativa dei luoghi pubblici.
134
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