strip mine

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strip mine
Il libro
Samantha Kofer, giovane e
promettente
avvocato
associato da tre anni del
più importante studio
legale di New York, ha
davanti a sé una brillante
carriera, o almeno così
crede. Ma è il 2008 e con
l’esplosione della crisi
finanziaria,
le
cui
ripercussioni in tutto il
mondo sono ben note,
moltissimi professionisti
restano senza lavoro.
Gli istituti bancari, gli
hedge fund e i grandi
studi
legali
ridimensionano
drasticamente spese e
personale. E così, ad
appena due settimane dal
crollo di Lehman Brothers,
Samantha perde il suo
lavoro, la sua sicurezza e il
suo futuro. Al tempo
stesso, però, è anche una
delle poche persone a cui
viene offerta l’opportunità
di lavorare gratuitamente
per un anno in un piccolo
studio di assistenza legale
a Brady, una sperduta
cittadina di 2200 anime sui
monti Appalachi, in attesa
di tempi migliori.
è un cambiamento di
vita radicale. Samantha si
ritrova infatti in un mondo
lontano anni luce da
quello in cui ha sempre
vissuto,
e
grazie
all’indomita Mattie Wyatt,
capo della Mountain Legal
Aid
Clinic,
e
all’affascinante
e
misterioso nipote di lei,
l’avvocato Donovan Gray,
capisce
subito
cosa
significa
doversi
confrontare con veri clienti
e problemi reali. Ma
soprattutto dovrà fare i
conti con il torbido e
pericoloso
business
dell’industria carbonifera,
vera risorsa del paese. Un
mondo in cui le leggi non
vengono rispettate, la
violenza è sempre in
agguato e la terra stessa è
minacciata. Perché ci sono
segreti a Brady che
avrebbero dovuto restare
sepolti per sempre nelle
montagne.
In
questo
nuovo
appassionante
legal
thriller, John Grisham
descrive gli spregiudicati
retroscena di Big Coal e il
costante pericolo a cui
sono sottoposti le vite di
chi vi lavora e l’intero
ecosistema, raccontando la
storia di una giovane
donna
coraggiosa,
la
prima
protagonista
femminile dai tempi del
Rapporto Pelican.
L’autore
John Grisham è
autore
di
ventisette
romanzi, un saggio, una
raccolta di racconti e
quattro
romanzi
per
ragazzi.
www.jgrisham.com
John Grisham
I SEGRETI
DI GRAY
MOUNTAIN
Traduzione di Nicoletta
Lamberti
I SEGRETI DI GRAY
MOUNTAIN
In memoria di
Rick Hemba
1954-2013
Ciao, Ace
1
L’orrore era nell’attesa:
l’ignoto,
l’insonnia,
l’ulcera. I colleghi si
ignoravano e lavoravano
dietro porte chiuse a
chiave.
Segretarie
e
paralegali riferivano le
indiscrezioni ed evitavano
di guardarsi negli occhi.
Tutti avevano i nervi tesi e
si chiedevano: “Chi sarà il
prossimo?”. I soci, i pezzi
grossi, sembravano sotto
shock da bombardamento
e sfuggivano qualsiasi
contatto con i subordinati.
Era possibile che tra non
molto ricevessero l’ordine
di massacrarli.
Le
voci
erano
spaventose. Dieci associati
della divisione Cause civili
eliminati: vero in parte,
solo
sette.
L’intera
divisione
Proprietà
immobiliari chiusa, soci e
tutto il resto: vero. Otto
soci dell’Antitrust stavano
scappando in un altro
studio legale: falso, per il
momento.
L’atmosfera era così
avvelenata che Samantha
lasciava il palazzo ogni
volta che le era possibile e
lavorava con il laptop nei
caffè di lower Manhattan.
Seduta su una panchina
nel parco in una bella
giornata – dieci giorni
dopo il crollo di Lehman
Brothers – aveva guardato
l’alto edificio poco distante
nella strada. Era chiamato
110 Broad e la metà
superiore era affittata a
Scully & Pershing, il più
grande studio legale che il
mondo avesse mai visto.
Lo studio di Samantha, per
il momento, anche se il
futuro era tutt’altro che
certo. Duemila avvocati in
venti paesi, metà dei quali
solo nella città di New
York, un migliaio proprio
lassù, stipati tutti insieme
nei piani dal trentesimo al
sessantacinquesimo.
Quanti avrebbero voluto
andarsene? Samantha non
era in grado di dirlo, ma
non era la sola. Il più
grande studio legale del
mondo
si
stava
ridimensionando nel caos,
così
come
i
suoi
concorrenti. I grandi studi
– Big Law, come veniva
chiamato il sistema – erano
nel panico esattamente
come gli hedge fund, le
banche di investimenti, le
banche
tradizionali,
i
conglomerati assicurativi,
Washington e, scendendo
lungo la catena alimentare,
i piccoli commercianti in
Main Street.
Il decimo giorno era
passato senza spargimenti
di sangue, e anche il
successivo. Il dodicesimo
giorno c’era stato un
lampo
di
ottimismo
quando Ben, uno dei
colleghi
di
Samantha,
aveva
riferito
un’indiscrezione secondo
la quale i mercati del
credito
londinesi
si
sarebbero
sciolti
leggermente. Forse gli
investitori
avrebbero
potuto trovare un po’ di
contanti, dopo tutto. Ma
nel tardo pomeriggio la
voce si era già sgonfiata:
non c’era niente di vero.
Così avevano continuato
ad aspettare.
La divisione Immobili
commerciali di Scully &
Pershing era diretta da due
soci. Uno, ormai prossimo
alla pensione, era già stato
buttato fuori. L’altro era
Andy
Grubman,
un
quarantenne imbrattacarte
che non aveva mai visto
un’aula di tribunale in vita
sua. Come socio, aveva un
bell’ufficio
con
vista
sull’Hudson in lontananza,
acqua che non notava da
anni. Sopra un ripiano
dietro
la
scrivania,
esattamente al centro della
sua “parete dell’ego”, c’era
una
collezione
di
grattacieli in miniatura. “I
miei
palazzi”,
amava
definirli
Grubman.
Appena un edificio veniva
completato,
ne
commissionava
la
riproduzione in scala a uno
scultore ed era anche solito
regalare generosamente un
trofeo più piccolo a ogni
membro
della
“sua
squadra”. Nei tre anni
trascorsi
da
S&P,
Samantha
aveva
collezionato sei edifici, e
quello sarebbe stato il
massimo a cui sarebbe mai
arrivata.
«Sedetevi» ordinò Andy
Grubman, chiudendo la
porta.
Samantha
si
accomodò
sulla
poltroncina accanto a Ben,
il quale sedeva vicino a
Izabelle. I tre associati si
studiarono
i
piedi.
Samantha provò l’impulso
di afferrare la mano di Ben,
come
un
prigioniero
terrorizzato davanti al
plotone di esecuzione.
Andy si lasciò cadere sulla
sua poltrona e, evitando di
incontrare gli sguardi ma
deciso
a
togliersi
il
pensiero,
riassunse
il
disastro
in
cui
si
trovavano.
«Come sapete, due
settimane
fa
Lehman
Brothers ha chiuso i
battenti.»
Ma cosa mi dici, Andy!
La crisi finanziaria e la
catastrofe
creditizia
avevano portato il mondo
sull’orlo dell’abisso, e lo
sapevano tutti. Ma era
anche vero che Andy
raramente
aveva
un
pensiero originale.
«Abbiamo
cinque
progetti in corso d’opera,
tutti finanziati da Lehman.
Ho parlato a lungo con i
proprietari, e tutti e cinque
si stanno tirando indietro.
Avevamo altri tre progetti
in vista, due con Lehman e
uno con i Lloyd’s e, be’,
tutto il credito è congelato.
I banchieri se ne stanno
rinchiusi nei loro bunker,
spaventati
all’idea
di
prestare anche un solo
centesimo.»
Sì, Andy, sappiamo
anche questo. È in prima
pagina. Cerca di farla finita
prima che ti saltiamo
addosso.
«Il comitato esecutivo si
è riunito ieri e ha deciso
alcuni
tagli.
Trenta
associati al primo anno
stanno per essere mandati
via: alcuni licenziati, altri
sospesi senza stipendio.
Qualsiasi
nuova
assunzione è rinviata a
tempo indeterminato. La
divisione Testamenti e
Successioni sparisce. E,
insomma, non esiste un
modo facile per dirlo, ma
tutta la nostra divisione è
stata dismessa. Tagliata.
Eliminata. Chissà quando i
proprietari ricominceranno
a occuparsi di immobili, se
mai lo faranno. Lo studio
non è disposto a tenervi a
libro paga mentre il
mondo aspetta il credito.
Accidenti, è possibile che si
stia andando verso una
grande
depressione.
Questo probabilmente è
solo il primo giro di tagli.
Mi dispiace, ragazzi. Mi
dispiace davvero.»
Fu Ben il primo a
parlare: «Quindi, siamo
licenziati in tronco?».
«No. Io mi sono battuto
per voi, okay? All’inizio
pensavano al foglio rosa
del licenziamento. Non ho
bisogno di ricordarvi che
la nostra è la divisione più
piccola dello studio e
probabilmente quella più
in crisi in questo momento.
Li ho convinti a concedervi
quella
che
potremmo
definire
aspettativa.
Adesso ve ne andate e in
futuro tornate, forse.»
«Forse?»
disse
Samantha.
Izabelle
si
asciugò una lacrima, ma
mantenne la compostezza.
«Sì, un grosso, enorme
forse. Per ora non c’è
niente
di
definito,
Samantha, okay? Ci stiamo
dando da fare tutti, ma con
pochi risultati. Tra sei mesi
potremmo ritrovarci tutti
alla mensa dei poveri.
Avete visto anche voi le
vecchie foto del 1929.»
Ma dài, Andy: la mensa
dei poveri? Come socio,
l’anno scorso ti sei portato
a casa 2,8 milioni di
dollari, la media nello
studio S&P, il quale per
inciso è risultato quarto in
classifica come profitto
netto per socio. E quarto
non
era
abbastanza,
almeno finché Lehman è
saltata, Bear Stearns è
implosa ed è scoppiata la
bolla dei mutui subprime.
All’improvviso il quarto
posto sembrava piuttosto
buono, almeno per alcuni.
«In
che
consiste
l’aspettativa?» chiese Ben.
«Ecco l’idea: lo studio vi
tiene sotto contratto per i
prossimi dodici mesi, ma
senza stipendio.»
«Bello»
borbottò
Izabelle.
Andy la ignorò e
proseguì:
«Manterrete
l’assicurazione sanitaria,
ma solo se andrete a
lavorare come stagisti
presso un’organizzazione
non profit qualificata.
L’ufficio Risorse umane sta
mettendo
insieme
un
elenco di organizzazioni
idonee. Voi ci andate, fate
il vostro numero da bravo
benefattore,
salvate
il
mondo, sperate con tutte le
vostre forze che l’economia
si riprenda e poi, tra un
anno o giù di lì, rientrate in
studio
senza
perdere
l’anzianità. Non tornerete
in Immobili commerciali,
ma lo studio vi troverà un
posto».
«Abbiamo
il
posto
garantito
al
termine
dell’aspettativa?»
domandò Samantha.
«No, non c’è niente di
garantito.
Francamente,
nessuno è così in gamba da
poter prevedere come
saremo
messi
l’anno
prossimo. Siamo nel bel
mezzo di un’elezione,
l’Europa sta andando a
rotoli, i cinesi scappano
spaventati,
le
banche
chiudono,
i
mercati
crollano,
nessuno
costruisce
e
nessuno
compra. Il mondo si sta
avviando alla fine.»
Per
un
momento
rimasero a sedere immobili
nel
silenzio
cupo
dell’ufficio di Andy, tutti e
quattro schiacciati dalla
realtà apocalittica. Poi Ben
domandò: «Anche tu,
Andy?».
«No, mi trasferiscono
alla divisione Tasse. Ci
pensate? Io odio le tasse,
ma l’alternativa era andare
a
guidare
un
taxi.
Comunque ho un master
in diritto tributario, così
hanno pensato di potermi
risparmiare.»
«Congratulazioni» disse
Ben.
«Mi dispiace, ragazzi.»
«No, dico sul serio.
Sono contento per te.»
«Tra un mese potrei
dovermene andare anch’io.
Chi può saperlo?»
«Noi quando ce ne
andiamo?» chiese Izabelle.
«Subito. La procedura
consiste
nel
firmare
l’accordo di aspettativa,
inscatolare le vostre cose,
sgombrare la scrivania e
scendere in strada. Quelli
delle Risorse umane vi
manderanno via e-mail un
elenco di organizzazioni
non profit e tutta la
documentazione.
Mi
dispiace, ragazzi.»
«Per
favore,
non
ripeterlo» reagì Samantha.
«Niente di quello che puoi
dire ci è d’aiuto in questa
situazione.»
«Vero,
ma
poteva
andare
peggio.
Alla
maggior parte di quelli
sulla vostra stessa barca
non
viene
offerta
l’aspettativa.
Vengono
licenziati in tronco.»
«Ti chiedo scusa, Andy»
disse Samantha. «Ci sono
parecchie emozioni in
gioco in questo momento.»
«È tutto okay. Mi rendo
conto. Avete il diritto di
essere
arrabbiati
e
sconvolti. Guardatevi: tutti
e tre avete una laurea in
legge della Ivy League e
stanno per scortarvi fuori
dal palazzo come ladri.
Mandati a casa come
operai di una fabbrica. È
orribile, davvero orribile.
Alcuni soci si sono offerti
di dimezzarsi lo stipendio
per evitare questa cosa.»
«Scommetto che è stato
un gruppo ristretto» disse
Ben.
«Sì, ristretto. Molto
ristretto, temo. Ma la
decisione è stata presa.»
Una donna in tailleur nero
e cravatta nera aspettava in
piedi nel locale quadrato
dove
Samantha
condivideva lo “spazio”
con tre colleghi, tra cui
Izabelle. Ben lavorava in
fondo al corridoio. La
donna cercò di sorridere
mentre diceva: «Io sono
Carmen. Posso aiutarla?».
Reggeva uno scatolone di
cartone,
senza
alcuna
scritta in modo che
nessuno sapesse che quello
era il contenitore ufficiale
di Scully & Pershing per
tutte le cianfrusaglie da
ufficio dei dipendenti
messi
in
aspettativa,
licenziati o quello che era.
«No, grazie» rispose
Samantha, e riuscì a dirlo
educatamente.
Avrebbe
potuto reagire in modo
sgarbato, ma Carmen stava
solo facendo il suo lavoro.
Samantha cominciò ad
aprire cassetti e a estrarre
tutti gli oggetti personali.
In un cassetto c’erano
alcune pratiche S&P. «E
queste?» domandò.
«Restano qui» rispose
Carmen mentre seguiva
ogni mossa, quasi temendo
che Samantha potesse
tentare di portarsi via
qualche bene prezioso. La
verità era che tutto ciò che
aveva realmente valore era
dentro i computer: il PC
che Samantha usava nella
sua postazione in ufficio e
il laptop che portava con
sé praticamente ovunque.
Il laptop di Scully &
Pershing. Anche quello
sarebbe
rimasto
lì.
Samantha poteva accedere
a qualsiasi file dal suo
laptop
personale,
ma
sapeva che i codici erano
già stati cambiati.
Come una sonnambula,
svuotò i cassetti e sistemò
con cura nello scatolone i
sei grattacieli in miniatura
della sua collezione, anche
se per un attimo aveva
pensato di buttarli nel
cestino dei rifiuti. Arrivò
Izabelle, alla quale venne
consegnato il suo scatolone
personale. Tutti gli altri –
associati,
segretarie,
paralegali – all’improvviso
avevano trovato qualcosa
da fare altrove. Era stato
rapidamente adottato un
protocollo:
quando
qualcuno
sgombra
la
scrivania, lasciaglielo fare
in pace. Niente testimoni,
niente occhi puntati, niente
vacui addii.
Gli occhi di Izabelle
erano gonfi e arrossati.
Evidentemente era andata
a piangere in bagno.
Sussurrò:
«Telefonami.
Andiamo a bere qualcosa
insieme stasera».
«Certo» disse Samantha.
Terminò di cacciare tutto
nello scatolone, comprese
la
valigetta
e
la
voluminosa borsa firmata,
e senza voltarsi marciò
dietro Carmen lungo il
corridoio
fino
agli
ascensori
del
quarantottesimo
piano.
Mentre aspettavano, si
rifiutò di dare un’ultima
occhiata all’ambiente. Le
porte dell’ascensore si
aprirono. La cabina era
misericordiosamente
vuota.
«Glielo porto io» si offrì
Carmen, indicando lo
scatolone, che stava già
aumentando di peso e
volume.
«No» disse Samantha,
entrando in ascensore.
Carmen
premette
il
pulsante per il piano terra.
Perché, esattamente, la
stavano scortando fuori
dall’edificio? Più Samantha
rifletteva sulla questione,
più si arrabbiava. Avrebbe
voluto piangere, avrebbe
voluto imprecare, ma ciò
che voleva davvero era
telefonare a sua madre.
L’ascensore si fermò al
quarantatreesimo piano e
nella cabina entrò un
giovane elegante. Aveva
uno scatolone identico a
quello di Samantha, una
cartella a tracolla e una
valigetta di pelle sotto un
braccio.
E
la
stessa
espressione stordita di
paura
e
confusione.
Samantha lo aveva già
incontrato in ascensore, ma
non gli aveva mai parlato.
Che accidenti di studio
legale. Così mastodontico
che gli associati dovevano
esibire la targhetta con il
nome in occasione del
terrificante party di Natale.
Dopo il giovanotto entrò
anche un’altra guardia di
sicurezza in completo nero
e, quando tutti furono in
posizione,
Carmen
premette di nuovo il
pulsante per il piano terra.
Samantha
studiava
il
pavimento, decisa a non
parlare anche se qualcuno
le avesse rivolto la parola.
Al trentanovesimo piano,
l’ascensore si fermò di
nuovo e Mr Kirk Knight
entrò
nella
cabina
esaminando
il
suo
cellulare. Una volta che le
porte si richiusero, si
guardò intorno, vide i due
scatoloni
e
sembrò
trattenere
il
fiato
e
irrigidire la spina dorsale.
Knight era socio anziano,
divisione
Fusioni
&
Acquisizioni, e membro
del comitato esecutivo.
Trovandosi all’improvviso
faccia a faccia con due
delle sue vittime, deglutì
vistosamente e fissò le
porte. Poi, di colpo,
premette il pulsante per il
ventottesimo piano.
Samantha era troppo
stordita per insultarlo.
L’altro associato aveva gli
occhi
chiusi.
Quando
l’ascensore
si
fermò,
Knight si affrettò a uscire.
Le porte si richiusero e
Samantha si ricordò che i
piani affittati dello studio
erano quelli dal trentesimo
al
sessantacinquesimo.
Perché Knight era uscito
improvvisamente di scena
al ventottesimo? Ma che
importanza aveva?
Carmen
la
scortò
attraverso l’atrio e fuori
dalla porta, in Broad
Street. Offrì un debole “Mi
dispiace”, ma Samantha
non rispose. Carica come
un mulo da soma, si lasciò
trasportare dal traffico dei
pedoni, senza alcuna meta
particolare. Poi ricordò le
foto sui giornali degli
impiegati di Lehman e di
Bear Stearns che uscivano
dai rispettivi palazzi con
scatoloni pieni delle loro
cose, come se gli edifici
fossero stati in fiamme e
loro stessero fuggendo per
salvarsi la vita. In una
fotografia, grande e a
colori, sulla prima pagina
della sezione Affari &
Finanza del “Times”, una
trader della Lehman era
stata immortalata con le
lacrime che le scorrevano
lungo le guance mentre se
ne stava immobile e
impotente in piedi sul
marciapiede.
Ma ora immagini del
genere non facevano più
notizia e Samantha non
vide
macchine
fotografiche.
Posò
lo
scatolone a terra all’angolo
tra Broad e Wall e aspettò
un taxi.
2
Nell’elegante loft a SoHo
che le costava duemila
dollari al mese, Samantha
lasciò cadere le sue
cianfrusaglie da ufficio sul
pavimento e crollò sul
divano. Afferrò il cellulare,
ma aspettò. Fece un
respiro profondo, gli occhi
chiusi, controllando in
qualche modo le emozioni.
Aveva bisogno della voce e
delle rassicurazioni di sua
madre, ma non voleva
sembrare debole, ferita,
vulnerabile.
Il sollievo arrivò con
l’improvvisa
consapevolezza di essere
stata appena liberata da un
lavoro che disprezzava.
Quella sera alle sette
avrebbe potuto guardare
un film o andare a cena
con gli amici, invece di
sgobbare in ufficio come
una
schiava
con
il
tassametro in funzione.
Domenica avrebbe potuto
lasciare la città senza un
solo pensiero su Andy
Grubman e la montagna di
documenti riguardanti il
suo prossimo, cruciale
affare. Il FirmFone, un
piccolo
e
mostruoso
gadget che aveva tenuto
incollato al proprio corpo
per tre anni, era stato
restituito. Si sentiva sciolta
e
meravigliosamente
alleggerita.
La paura arrivò al
pensiero della perdita di
reddito e dell’improvvisa
svolta nella carriera. Come
associata al terzo anno,
guadagnava
centottantamila
dollari
l’anno come stipendio
base, più un simpatico
bonus. Un bel po’ di
denaro, ma la vita in città
aveva un suo modo per
divorarlo. Metà svaniva in
tasse. Samantha aveva un
conto di risparmio, di cui
ammetteva con scarso
entusiasmo l’esistenza. Se
sei
una
ventinovenne
single e libera in città, con
una professione la cui
retribuzione
l’anno
prossimo
supererà
lo
stipendio più bonus di
quest’anno,
perché
dovresti preoccuparti di
risparmiare? Aveva un
amico dei tempi della
scuola di legge alla
Columbia
che,
dopo
cinque anni da S&P, era
appena stato promosso
socio junior e quell’anno
avrebbe guadagnato circa
mezzo milione di dollari.
Samantha era stata su
quella stessa strada.
Aveva anche amici che
avevano abbandonato quel
lavoraccio dopo soli dodici
mesi ed erano felicemente
fuggiti dall’orribile mondo
di Big Law. Uno di loro
adesso faceva il maestro di
sci in Vermont: già
direttore della “Columbia
Law Review” e reduce
dalle viscere di S&P,
abitava in una casetta di
tronchi in riva a un
torrente
e
raramente
rispondeva al cellulare. In
appena tredici mesi di
lavoro,
da
ambizioso
giovane associato si era
trasformato in un idiota
poco
equilibrato
che
dormiva sulla scrivania.
Solo un attimo prima che
intervenissero le Risorse
umane, era crollato del
tutto e aveva lasciato la
città. Samantha pensava
spesso a lui, di solito con
una fitta di gelosia.
Sollievo,
paura.
E
umiliazione. I suoi genitori
le avevano pagato una
costosa istruzione in una
scuola
privata
di
Washington.
Si
era
laureata, magna cum laude,
in scienze politiche a
Georgetown.
Aveva
veleggiato brillantemente
attraverso la scuola di
legge e aveva concluso gli
studi con il massimo dei
voti. Dopo un periodo
come assistente presso una
corte federale, diversi
megastudi le avevano
offerto un impiego. I primi
ventinove anni della sua
esistenza avevano visto
straordinari successi e ben
pochi fallimenti. Essere
stata scaricata in quel
modo
era
devastante.
Essere stata scortata fuori
dall’edificio
era
degradante.
Non
si
trattava semplicemente di
un piccolo inciampo in una
lunga
e
gratificante
carriera.
I numeri potevano dare
un po’ di conforto. Dopo il
collasso di Lehman, erano
migliaia
i
giovani
professionisti che venivano
buttati in mezzo a una
strada.
Mal
comune
eccetera, ma al momento
Samantha non riusciva a
provare molta solidarietà
nei confronti di qualcun
altro.
«Karen
Kofer,
per
favore» disse al telefono.
Sdraiata
sul
divano,
perfettamente immobile,
controllò il proprio respiro.
Poi: «Mamma, sono io. Lo
hanno fatto. Mi hanno
licenziata». Si morse il
labbro e lottò contro le
lacrime.
«Mi dispiace tanto, Sam.
Quando è successo?»
«Circa un’ora fa. Non è
stata una vera sorpresa, ma
faccio ancora fatica a
crederci.»
«Lo capisco, bambina.
Mi dispiace moltissimo.»
Per tutta la settimana
precedente non avevano
parlato che di un probabile
licenziamento.
«Sei
a
casa?» chiese Karen.
«Sì, e sto bene. Blythe è
al lavoro. Non gliel’ho
ancora detto. Non l’ho
detto a nessuno.»
«Mi dispiace tanto.»
Ex
compagna
di
università alla Columbia,
Blythe era un’amica che
lavorava in un altro
megastudio.
Lei
e
Samantha condividevano
l’appartamento, ma non
molto delle loro vite.
Quando
lavori
dalle
settantacinque alle cento
ore la settimana, hai poco
da condividere. Le cose
non
andavano
bene
neppure allo studio di
Blythe, che si aspettava il
peggio.
«Sto bene, mamma.»
«No, non è vero. Perché
non vieni a casa per
qualche giorno?» Casa era
un bersaglio mobile. La
madre
di
Samantha
abitava in un delizioso
appartamento in affitto nei
pressi di Dupont Circle, il
padre in un appartamento
in condominio vicino al
fiume
ad
Alexandria.
Samantha non aveva mai
trascorso più di un mese in
nessuna
delle
due
abitazioni, e in quel
momento non ci pensava
proprio.
«Lo farò» rispose «ma
non subito.»
Una lunga pausa, poi un
sommesso:
«Che
programmi
hai,
Samantha?».
«Non ne ho, mamma. In
questo momento sono
sotto shock e non riesco a
pensare oltre la prossima
ora.»
«Capisco. Vorrei essere
lì con te.»
«Sto bene, mamma.
Giuro.» L’ultima cosa di
cui
Samantha
aveva
bisogno in quel momento
era l’incombente presenza
di sua madre e gli
interminabili consigli su
cosa fare.
«È un licenziamento
definitivo o una specie di
sospensione?»
«Lo studio la chiama
aspettativa. È un accordo
in base al quale noi
andiamo a lavorare come
stagisti
in
un’organizzazione
non
profit per un anno o due e
manteniamo
l’assicurazione sanitaria.
Poi, se la situazione
cambia, lo studio ci
riprende senza perdita di
anzianità.»
«Sembra un patetico
tentativo di tenervi al
guinzaglio.»
Grazie, mamma, per la
tua
tipica
schiettezza.
Karen proseguì: «Perché
non dici a quegli idioti di
andare al diavolo?».
«Perché vorrei tenermi
la
mia
assicurazione
sanitaria e mi piacerebbe
sapere che un giorno
potrebbe esserci l’opzione
del rientro.»
«Puoi trovarti un lavoro
in un altro posto.»
Tipico, da parte di una
burocrate
di
carriera.
Karen Kofer era avvocato
senior
presso
il
dipartimento di Giustizia a
Washington,
l’unico
impiego legale che avesse
mai avuto, e lo aveva
ormai da quasi trent’anni.
Il suo posto di lavoro,
come quello di ogni
persona intorno a lei,
godeva della protezione
più
totale.
Indipendentemente
da
depressioni, guerre, blocco
delle
attività
amministrative
del
governo,
catastrofi
nazionali, sconvolgimenti
politici o qualsiasi altra
possibile calamità, la busta
paga di Karen Kofer era
inviolabile. Era da questo
che derivava l’arroganza
noncurante
di
tanti
intoccabili burocrati.
Siamo preziosi perché
siamo necessari.
«No, mamma, in questo
momento non ci sono posti
di lavoro» disse Samantha.
«Nel caso tu non ne abbia
sentito parlare, siamo in
piena crisi finanziaria e
con
una
depressione
proprio dietro l’angolo. Gli
studi legali buttano fuori
associati a valanghe e poi
chiudono la porta a
chiave.»
«Dubito che le cose
vadano così male.»
«Oh, davvero? Scully &
Pershing ha sospeso tutte
le
nuove
assunzioni,
questo significa che circa
una decina dei più brillanti
laureati
in
legge
di
Harvard sono stati appena
informati che l’impiego
promesso per il prossimo
settembre non esiste più.
Stessa cosa per Yale,
Stanford, Columbia.»
«Ma tu hai così tanto
talento, Samantha.»
Mai discutere con un
burocrate. Samantha fece
un respiro profondo e
stava per chiudere la
conversazione quando una
chiamata urgente “dalla
Casa Bianca” costrinse
Karen a salutarla. Promise
di richiamare, appena
avesse
salvato
la
repubblica. Bene, mamma,
disse Samantha. Da sua
madre
riceveva
tutta
l’attenzione che poteva
sopportare.
Era
figlia
unica,
il
che
in
retrospettiva era un bene
alla luce del disastro
provocato dal divorzio dei
suoi genitori.
Era una bella giornata
serena, dal punto di vista
meteorologico, e Samantha
sentì il bisogno di una
passeggiata. Girovagò per
SoHo e poi nel West
Village. Fu in un caffè
deserto che finalmente
telefonò a suo padre. Un
tempo Marshall Kofer era
stato un avvocato ad alto
numero
di
ottani
specializzato in cause civili
contro compagnie aeree a
seguito di incidenti. Aveva
creato uno studio legale
aggressivo e di successo a
Washington e passava sei
notti alla settimana in hotel
in giro per il mondo, a
caccia di cause o a
discuterle in tribunale.
Aveva guadagnato una
fortuna, spendeva a piene
mani e da adolescente
Samantha
era
stata
acutamente consapevole
del fatto che la sua
famiglia aveva parecchio
di più di molti dei suoi
compagni
alla
scuola
privata. Mentre suo padre
saltava da una causa di
alto profilo all’altra, sua
madre
la
cresceva
tranquilla,
pur
impegnandosi
con
ostinazione per la propria
carriera al dipartimento di
Giustizia. Se i suoi genitori
litigavano, Samantha non
se ne era mai accorta:
semplicemente, suo padre
non era mai a casa. A un
certo
punto,
nessuno
avrebbe mai saputo dire
con esattezza quando, nel
quadro era entrata una
giovane
e
graziosa
paralegale, e Marshall si
era buttato. L’avventura
era
diventata
una
relazione, poi una storia
d’amore e dopo un paio
d’anni Karen Kofer si era
insospettita.
Aveva
affrontato il marito, che
all’inizio aveva mentito,
ma poi aveva ammesso la
verità. Voleva il divorzio;
aveva trovato l’amore della
sua vita.
Per coincidenza, più o
meno nello stesso periodo
in cui stava complicando la
propria vita familiare,
Marshall
aveva
preso
anche qualche altra cattiva
decisione. Una riguardava
un piano per trasferire il
ricavato di una grossa
parcella su un conto
offshore. Un jumbo degli
Emirati Arabi si era
schiantato nello Sri Lanka,
con quaranta americani a
bordo. Non c’erano stati
superstiti
e,
come
prevedibile,
Marshall
Kofer era arrivato prima di
chiunque altro. Durante le
trattative per l’accordo
stragiudiziale, aveva creato
una serie di società di
comodo nei Carabi e in
Asia
per
trasferire,
ritrasferire e, alla fine,
nascondere
i
suoi
sostanziosi onorari.
Samantha aveva uno
spesso dossier con ritagli
di giornale e rapporti
investigativi sul tentativo
di frode, piuttosto goffo, di
suo padre. Il tutto avrebbe
potuto fornire materiale
per un libro avvincente,
ma Samantha non aveva
alcun interesse a scriverlo.
Marshall
era
stato
scoperto,
umiliato,
svergognato
in
prima
pagina,
condannato,
radiato
dall’ordine
e
mandato in carcere per tre
anni. Gli era stata concessa
la libertà su cauzione due
settimane
prima
che
Samantha si laureasse a
Georgetown. Ora Marshall
era
una
specie
di
consulente in un piccolo
ufficio nella parte vecchia
di Alexandria. Secondo
quando affermava, dava
consigli ad altri avvocati
impegnati in class action
per risarcimenti danni, ma
era sempre vago sui
dettagli. Samantha era
convinta, così come sua
madre, che Marshall fosse
riuscito a seppellire un
notevole
bottino
da
qualche parte nei Caraibi.
Karen aveva smesso di
cercare.
Marshall lo avrebbe
sempre sospettato e Karen
lo avrebbe sempre negato,
ma lui aveva la netta
sensazione che ci fosse
stato lo zampino della ex
moglie
nella
sua
incriminazione.
Karen
aveva una posizione di
potere al dipartimento di
Giustizia, molto potere, e
un mucchio di amici.
«Papà,
mi
hanno
licenziato» disse Samantha
a bassa voce al cellulare. Il
locale era deserto, ma il
barista era vicino.
«Oh, Sam, mi dispiace!»
esclamò
Marshall.
«Raccontami
cos’è
successo.»
Per quello che Samantha
poteva dire, suo padre in
prigione aveva imparato
una cosa soltanto. Non
l’umiltà, non la pazienza,
non il perdono. Nessuna
delle
caratteristiche
standard che una persona
può acquisire dopo una
caduta così umiliante.
Marshall era aggressivo e
ambizioso
esattamente
come
prima,
sempre
ansioso di affrontare ogni
giornata
di
petto
e
travolgere chiunque gli
bloccasse la strada. Per
qualche ragione, però,
Marshall
Kofer
aveva
imparato ad ascoltare, per
lo
meno
sua
figlia.
Samantha
ripeté
lentamente tutta la storia e
suo
padre
prestò
attenzione a ogni parola.
Lei gli assicurò che sarebbe
stata bene. A un certo
punto Marshall le diede
quasi l’impressione di
essere sul punto di
piangere.
Di norma avrebbe fatto
commenti sprezzanti sul
modo in cui sua figlia
aveva deciso di praticare la
professione.
Marshall
odiava i grandi studi
perché li aveva combattuti
per anni. Li vedeva come
mere imprese commerciali,
non come associazioni di
veri avvocati che si
battevano per i loro clienti.
Aveva una riserva pronta
da cui poteva attingere
almeno una decina di
sermoni sui mali di Big
Law. Samantha li aveva
ascoltati tutti e non era
assolutamente dell’umore
giusto per ascoltarli di
nuovo.
«Vuoi che venga da te,
Sam? Posso essere lì in tre
ore.»
«Grazie, ma no. Non
ancora. Dammi un giorno
o due. Ho bisogno di una
pausa e sto pensando di
andare fuori città per un
po’.»
«Vengo a prenderti.»
«Non ora. Sto bene,
papà, te lo giuro.»
«No, non stai bene. Hai
bisogno di tuo padre.»
Le sembrava ancora
strano sentire una frase del
genere da un uomo che era
stato assente per i primi
vent’anni della sua vita.
Ma almeno ci stava
provando,
pensò
Samantha.
«Grazie,
papà.
Ti
richiamo.»
«Ci facciamo un viaggio
insieme, troviamo una
spiaggia da qualche parte e
ce ne stiamo lì a bere rum.»
Samantha non poté fare
a meno di ridere perché
non avevano mai fatto un
viaggio insieme, non loro
due da soli. C’era stata
qualche frettolosa vacanza
quando lei era ancora
bambina, tipici viaggi nelle
città
europee,
quasi
sempre
interrotti
da
pressanti
questioni
di
lavoro in patria. L’idea di
oziare in spiaggia con suo
padre non offriva un
fascino
immediato,
a
prescindere
dalle
circostanze.
«Grazie, papà. Magari
più avanti, ma non adesso.
Ho
degli
affari
da
sistemare qui.»
«Posso
trovarti
un
lavoro» disse Marshall.
«Un lavoro vero.»
“Ci risiamo” pensò
Samantha,
ma
lasciò
perdere. Erano parecchi
anni ormai che suo padre
cercava di attirarla in un
lavoro vero, vero nel senso
che avrebbe comportato
fare causa a grandi società
per ogni tipo di illecito.
Nel mondo di Marshall
Kofer, ogni società di una
certa dimensione doveva
avere commesso peccati
inenarrabili
per
avere
avuto successo nel mondo
di
tagliagole
del
capitalismo
occidentale.
Era compito e vocazione
degli avvocati (e forse
degli ex avvocati) come lui
scoprirne le malefatte e
citare in giudizio senza
pietà.
«Grazie,
papà.
Ci
risentiamo.»
Era un’ironia che suo
padre cercasse ancora di
convincerla a impegnarsi
nello stesso ramo della
giurisprudenza che lo
aveva fatto finire in galera.
Samantha non nutriva
alcun interesse per le aule
di tribunale, né per le
controversie. Non sapeva
bene
cosa
volesse,
probabilmente
un
tranquillo
lavoro
da
scrivania con un bello
stipendio.
Soprattutto
grazie al suo sesso e al suo
cervello, un tempo aveva
avuto
una
discreta
possibilità di diventare
socia di Scully & Pershing.
Ma a quale costo?
Forse voleva ancora
quella carriera, o forse no.
In quel momento voleva
solo vagabondare per le
strade di lower Manhattan
e
schiarirsi
le
idee.
Gironzolò per Tribeca e
lasciò passare le ore. Sua
madre la chiamò due volte
e suo padre una, ma evitò
di
rispondere.
Telefonarono
anche
Izabelle
e
Ben,
ma
Samantha
non
aveva
voglia di parlare. Si ritrovò
davanti al Moke’s Pub
vicino a Chinatown e per
un momento si fermò a
guardare all’interno. Il suo
primo drink con Henry era
stato proprio al Moke’s,
tanti anni prima. Erano
stati degli amici comuni a
presentarli. Lui era un
aspirante attore, uno del
milione in città, e lei
un’associata neoassunta di
S&P. Erano stati insieme
per un anno, poi la storia
era finita a causa della
tensione dei suoi brutali
orari di lavoro e della
disoccupazione di Henry.
Il quale se n’era andato a
Los Angeles dove, secondo
l’ultimo
avvistamento,
faceva
l’autista
di
limousine
per
attori
sconosciuti
e
piccole
particine mute in spot
pubblicitari.
Samantha
avrebbe
potuto
amarlo,
in
circostanze diverse. Henry
aveva dimostrato di avere
il tempo, l’interesse e la
passione. Lei era stata
troppo esausta. Non era
insolito per le donne di Big
Law svegliarsi di colpo a
quarant’anni e rendersi
conto di essere ancora
single e che un decennio
era appena scivolato via.
Si allontanò dal Moke’s
e puntò a nord, verso
SoHo.
Anna delle Risorse umane
si dimostrò notevolmente
efficiente. Alle diciassette
Samantha ricevette una
lunga e-mail con i nomi di
dieci organizzazioni non
profit che qualcuno aveva
giudicato adatte per stage
non retribuiti da parte
delle anime ammaccate,
abbattute
e
messe
improvvisamente
in
aspettativa dal più grande
studio legale del mondo.
Marshkeepers a Lafayette,
Louisiana. The Pittsburgh
Women’s
Shelter.
Immigrant Initiative a
Tampa. Mountain Legal
Aid Clinic a Brady,
Virginia. The Euthanasia
Society di Greater Tucson.
Un ente per i senzatetto a
Louisville.
Lake
Erie
Defense Fund. E così via.
Nessuna delle dieci era
remotamente
nelle
vicinanze
dell’area
metropolitana di New
York.
Samantha fissò a lungo
l’elenco e meditò sulla
prospettiva
di
dover
lasciare la città. Ci aveva
vissuto per sei degli ultimi
sette
anni:
tre
alla
Columbia e tre come
associata. Dopo la scuola
di legge, aveva lavorato
come assistente di un
giudice
federale
a
Washington e poi era
tornata precipitosamente a
New York. Tra New York e
Washington, non aveva
mai vissuto al di là delle
luci sfavillanti.
Lafayette,
Louisiana?
Brady, Virginia?
In un linguaggio fin
troppo
ricercato
per
l’occasione,
Anna
avvertiva i soggetti in
aspettativa che l’offerta di
lavoro in alcune delle
organizzazioni non profit
sopra citate poteva essere
limitata. In altre parole,
fate in fretta a candidarvi,
altrimenti potreste perdere
l’occasione di trasferirvi in
capo al mondo e lavorare
gratis per i prossimi dodici
mesi. Ma Samantha era
troppo stordita per fare in
fretta qualsiasi cosa.
Blythe fece un salto a
casa per un saluto veloce e
un piatto di pasta al
microonde.
Samantha
aveva
comunicato
la
grande notizia via SMS e la
sua coinquilina arrivò
quasi in lacrime. Ma in
pochi minuti lei riuscì a
calmarla e ad assicurarle
che
la
vita
sarebbe
continuata.
Lo
studio
legale
di
Blythe
rappresentava moltissimi
prestatori
ipotecari
e
l’atmosfera
era
cupa
esattamente
come
da
Scully & Pershing. Erano
giorni ormai che le due
amiche non parlavano
d’altro che della possibilità
di essere licenziate. A metà
del piatto di pasta, il
cellulare
di
Blythe
cominciò a vibrare: era il
suo socio supervisore che
la stava cercando. E così,
alle diciotto e trenta,
Blythe schizzò fuori di
casa, in preda alla frenesia
di tornare in ufficio e alla
paura che il minimo
ritardo
potesse
farla
licenziare.
Samantha si versò un
bicchiere di vino, riempì la
vasca di acqua calda, si
immerse, sorseggiò il vino
e decise che, malgrado i
soldi, odiava Big Law e
non sarebbe mai tornata
indietro. Non avrebbe mai
più permesso a se stessa di
lasciarsi sgridare perché
non era in ufficio dopo il
tramonto
o
prima
dell’alba. Non si sarebbe
mai più lasciata sedurre
dal denaro. Non avrebbe
mai più fatto un sacco di
cose.
Sul fronte finanziario la
situazione era instabile, ma
non del tutto deprimente.
Aveva trentunmila dollari
di risparmi e nessun
debito, eccetto altri tre
mesi di affitto del loft. Se
avesse
ridimensionato
notevolmente le spese e
messo insieme un po’ di
soldi con lavori part-time,
forse sarebbe riuscita a
resistere fino a quando
fosse passata la tempesta.
Sempre
presumendo,
ovviamente, che non si
materializzasse la fine del
mondo. Non riusciva a
vedersi mentre serviva ai
tavoli o vendeva scarpe,
ma era pur vero che non
aveva mai immaginato una
fine così brusca della sua
prestigiosa carriera. Tra
non molto la città sarebbe
stata
strapiena
di
cameriere e commesse
laureate.
Tornando a Big Law,
l’obiettivo di Samantha era
stato diventare socia all’età
di trentacinque anni, una
delle poche donne al
vertice, e impadronirsi di
un ufficio d’angolo dal
quale giocare le grandi
partite insieme ai maschi.
Avrebbe
avuto
una
segretaria, un assistente,
qualche paralegale, un
autista
sempre
a
disposizione, un conto
spese sontuoso e un
guardaroba firmato. Le
cento
ore
di
lavoro
settimanali si sarebbero
ridotte a qualcosa di più
accettabile. Si sarebbe
messa in tasca due milioni
e
più
all’anno
per
vent’anni e poi sarebbe
andata in pensione e
avrebbe girato il mondo.
Strada facendo, si sarebbe
trovata un marito, avrebbe
fatto un figlio o due e la
vita
sarebbe
stata
grandiosa.
Tutto
era
stato
pianificato e tutto era
sembrato a portata di
mano.
Incontrò Izabelle per un
martini
nell’atrio
del
Mercer Hotel, distante
quattro isolati dal suo loft.
Avevano invitato anche
Ben, che però aveva una
nuova moglie e altre
preoccupazioni.
L’aspettativa
stava
producendo effetti diversi.
Samantha era nella fase
dell’accettazione,
stava
addirittura cominciando a
ridimensionare la cosa e a
escogitare strategie di
sopravvivenza. Lei però
era fortunata, dato che non
aveva debiti studenteschi. I
suoi genitori avevano
avuto il denaro per
assicurarle
un’ottima
istruzione. Ma Izabelle era
soffocata dal peso di
vecchi
prestiti
e
si
tormentava per il futuro.
Bevve un lungo sorso di
martini e il gin le andò
dritto al cervello.
«Io non posso resistere
un anno senza stipendio»
disse. «E tu?»
«Forse
sì»
rispose
Samantha. «Se riduco tutto
al minimo e vivo di
minestre in scatola, posso
vivacchiare e restare in
città.»
«Io no» ribadì triste
Izabelle, e bevve un altro
sorso. «Conosco un tizio
delle Cause civili che ha
avuto l’aspettativa nel
tardo pomeriggio di ieri.
Ha già telefonato a cinque
organizzazioni non profit e
tutte e cinque gli hanno
detto che gli stage erano
stati arraffati da altri
associati. Riesci a crederci?
Così ha chiamato le
Risorse
umane,
ha
scatenato un casino e loro
gli hanno detto che stanno
ancora
lavorando
sull’elenco, che stanno
ancora ricevendo richieste
da organizzazioni non
profit a caccia di lavoro a
bassissimo costo. Quindi
non solo ci fanno fuori, ma
quel bel programmino
dell’aspettativa non sta
funzionando troppo bene.
Non ci vuole nessuno,
neppure se lavoriamo
gratis.
È
abbastanza
nauseante.»
Samantha bevve un
piccolo sorso e assaporò il
liquido
anestetizzante.
«Non sono molto incline
ad accettare la proposta di
aspettativa.»
«E come farai con
l’assicurazione sanitaria?
Non
puoi
restare
scoperta.»
«Forse sì.»
«Ma se ti ammali
perderai tutto.»
«Non ho molto.»
«È una stupidaggine,
Sam.» Un altro sorso di
martini, anche se un po’
più piccolo. «Quindi vuoi
rinunciare a un brillante
futuro presso il vecchio,
caro Scully & Pershing.»
«È lo studio che ha
rinunciato a me, e a te e a
un mucchio di altri. Deve
esserci un posto migliore
dove lavorare, e un modo
migliore per guadagnarsi
da vivere.»
«Brindiamoci
su.»
Comparve una cameriera,
e ordinarono un altro giro.
3
Samantha
dormì
per
dodici ore e si svegliò con
l’impulso irresistibile di
scappare
dalla
città.
Distesa sul letto, lo
sguardo fisso sulle vecchie
travi di legno del soffitto,
rifletté sull’ultimo mese e
si rese conto di non essersi
allontanata da Manhattan
da sette settimane. Un
lungo weekend d’agosto a
Southampton era stato
bruscamente annullato da
Andy Grubman e, invece
di dormire e andare alle
feste, aveva trascorso il
sabato e la domenica in
ufficio, correggendo bozze
di contratti spesse trenta
centimetri.
Sette settimane. Fece
una doccia veloce e cacciò
qualche genere essenziale
in valigia. Alle dieci, salì su
un treno alla Penn Station
e lasciò un messaggio sulla
segreteria del cellulare di
Blythe: stava andando a
Washington, dove sarebbe
rimasta
per
qualche
giorno. Chiamami, se ti
fanno fuori.
Mentre il treno rollava
attraverso il New Jersey, la
curiosità ebbe la meglio.
Inviò un’e-mail al Lake
Erie Defense Fund e
un’altra
al
Pittsburgh
Women’s
Shelter.
Passarono trenta minuti
senza risposta, durante i
quali Samantha lesse il
“Times”. Non una parola
sulla carneficina di S&P
mentre
la
catastrofe
economica
continuava
implacabile. Licenziamenti
di massa nelle società
finanziarie. Banche che
rifiutavano prestiti e altre
banche che chiudevano i
battenti. Il Congresso che
girava a vuoto. Obama che
dava la colpa a Bush.
McCain/Palin che davano
la colpa ai democratici.
Samantha
controllò
il
laptop e trovò un’altra email della beata Anna delle
Risorse umane. Erano
saltate fuori sei nuove
organizzazioni non profit
che si erano unite alla
festa. Meglio darsi da fare!
Il Women’s Shelter
rispose con un cortese
messaggio
in
cui
ringraziava Ms Kofer per
l’interessamento,
ma
purtroppo la posizione era
appena stata assegnata.
Cinque minuti dopo, la
brava gente che lottava per
salvare il lago Erie le
scrisse più o meno la stessa
cosa. Samantha, che a quel
punto si sentiva sfidata,
inviò una raffica di e-mail
ad
altre
cinque
organizzazioni non profit
dell’elenco di Anna, poi ne
mandò una alla stessa
Anna
chiedendole
educatamente di darsi da
fare con un po’ più di
entusiasmo
con
gli
aggiornamenti.
Tra
Philadelphia
e
Wilmington,
i
Marshkeepers
della
Louisiana le dissero no. Il
Georgia Innocence Project
disse no. L’Immigrant
Initiative di Tampa disse
no. La Death Penalty
Clearinghouse disse no e il
Legal Aid di Greater St
Louis disse no. No, ma
grazie dell’interessamento.
Gli incarichi di stagista
erano già stati assegnati.
Zero su sette. Samantha
non riusciva a trovarsi un
lavoro nemmeno come
volontaria!
Salì su un taxi alla
Union Station vicino al
Campidoglio e sprofondò
nel
sedile
posteriore
mentre l’auto arrancava
nel traffico di Washington.
Isolato dopo isolato di
uffici governativi, quartieri
generali
di
mille
organizzazioni
e
associazioni, hotel e nuovi,
scintillanti
condomini,
sterminati uffici pieni di
avvocati
e
lobbisti,
marciapiedi brulicanti di
gente
indaffarata
che
correva avanti e indietro,
occupandosi con urgenza
degli affari del paese
mentre il mondo era
sull’orlo
dell’abisso.
Samantha aveva vissuto i
primi ventidue anni della
sua vita in quella città, che
ora però trovava noiosa.
Washington continuava ad
attirare fiumi di giovani
brillanti,
che
però
parlavano
soltanto
di
politica e di investimenti
immobiliari. I lobbisti
erano i peggiori. Ormai il
loro numero superava
quello degli avvocati e dei
politici messi insieme ed
erano loro a comandare.
Erano i proprietari del
Congresso
e
di
conseguenza controllavano
il denaro, e durante i
cocktail o le cene ti
annoiavano a morte con i
particolari dei loro più
recenti, eroici sforzi per
uno scambio di favori con i
politici o per l’inserimento
di una scappatoia nella
normativa fiscale. Ogni
amico
di
Samantha,
d’infanzia
e
di
Georgetown,
incassava
uno stipendio che in
qualche
modo
comprendeva
sempre
dollari federali. Sua madre
stessa
guadagnava
centoquarantacinquemila
dollari
all’anno
come
avvocato al dipartimento
di Giustizia.
Samantha non sapeva
bene come suo padre si
guadagnasse da vivere.
Decise di andare a trovare
lui per primo. Sua madre
lavorava fino a tardi e
sarebbe tornata a casa
molto dopo il tramonto.
Samantha
entrò
nell’appartamento
della
madre solo per posare la
valigia e poi, a bordo dello
stesso taxi, attraversò il
Potomac e raggiunse la
Old Town ad Alexandria.
Suo padre l’accolse con un
abbraccio, un sorriso e
tutto il tempo del mondo.
Si era trasferito in un
palazzo molto più bello e
aveva
ribattezzato
la
propria ditta The Kofer
Group. «Fa pensare a un
branco di lobbisti» osservò
Samantha,
mentre
si
guardava
intorno
nell’ingresso ben arredato.
«Oh,
no»
protestò
Marshall. «Noi ci teniamo
alla larga da quel circo
laggiù» e indicò con un
gesto in direzione di
Washington come se fosse
stato un ghetto. Percorsero
un corridoio, passando
davanti alle porte aperte di
piccoli uffici.
“Allora,
cosa
fai
esattamente, papà?” Ma
Samantha
decise
di
rinviare
la
domanda.
Marshall la guidò in un
grande ufficio d’angolo
con vista sul fiume
Potomac in lontananza,
non molto diverso da
quello di Andy Grubman
in
un’altra
vita.
Si
sedettero in poltrone di
pelle intorno a un tavolino
mentre una segretaria
andava a prendere il caffè.
«Come stai?» chiese
Marshall,
con
sincero
interesse e una mano sul
ginocchio della figlia come
se fosse appena caduta
dalle scale.
«Bene»
rispose
Samantha,
che
sentì
stringersi immediatamente
la gola. “Mantieni il
controllo.” Deglutì a fatica
e disse: «È solo che le cose
sono precipitate. Sai, un
mese fa le cose andavano
bene, tutto sui giusti
binari, nessun problema.
Un mucchio di ore, ma è la
normale vita lavorativa.
Poi abbiamo cominciato a
sentire
voci,
tamburi
lontani che dicevano che le
cose stavano andando
male. Adesso sembra così
improvviso».
«Sì, è vero. Questo
crollo è come una bomba.»
Il caffè arrivò su un
vassoio e la segretaria se
ne andò chiudendo la
porta dietro di sé.
«Tu leggi Trottman?»
domandò Marshall.
«Chi?»
«Okay,
scrive
una
newsletter settimanale sui
mercati e la politica. Fa
base qui a Washington, è
in giro da un bel po’ di
tempo ed è parecchio in
gamba. Sei mesi fa aveva
previsto la catastrofe dei
mutui subprime, aveva
detto
che
si
stava
preparando da anni, che ci
sarebbe stato un crollo e
una pesante recessione.
Aveva consigliato a tutti di
uscire dai mercati, da tutti
i mercati.»
«Tu lo hai fatto?»
«Io non avevo proprio
niente nei mercati. E se
avessi avuto qualcosa, non
sono sicuro che avrei
seguito il suo consiglio. Sei
mesi fa vivevamo ancora
nel sogno che il valore
degli immobili non sarebbe
mai diminuito. Il credito
era maledettamente a buon
mercato
e
tutti
si
indebitavamo in modo
massiccio. Il limite era solo
il cielo.»
«E oggi cosa dice questo
Trottman?»
«Be’, quando non si
pavoneggia, spiega alla
Fed cosa deve fare. Lui
prevede
una
grande
recessione, in tutto il
mondo, ma non come
quella del 1929. Ritiene che
i mercati affonderanno per
metà,
che
la
disoccupazione aumenterà
toccando nuovi livelli, che
in novembre vinceranno i
democratici, che un paio di
grosse banche andranno
sotto, che ci sarà parecchia
paura e incertezza, ma che
il mondo in qualche modo
sopravvivrà. Tu cosa senti
dire a Wall Street? Sei tu
quella che vive al centro
degli eventi. O forse
viveva.»
Marshall calzava lo
stesso tipo di mocassini
neri con nappine che
preferiva
da
sempre.
L’abito
scuro
era
probabilmente fatto su
misura, proprio come
quelli dei tempi gloriosi.
Lana
pettinata,
molto
costosa. Cravatta di seta
con nodo perfetto. Gemelli
ai polsini della camicia. La
prima volta che Samantha
era andata a trovarlo in
prigione,
suo
padre
indossava una camicia
cachi e una salopette verde
oliva, la tenuta standard, e
lui si era lamentato
spiegandole quanto gli
mancasse
il
suo
guardaroba.
Marshall
Kofer aveva sempre amato
i bei vestiti e, ora che era
tornato, stava chiaramente
spendendo parecchi soldi
in abbigliamento.
«Nulla, a parte il
panico» rispose Samantha.
«Ieri due suicidi, secondo
il “Times”.»
«Hai pranzato?»
«Ho
mangiato
un
sandwich in treno.»
«Allora andiamo a cena,
solo noi due.»
«Ho
promesso
alla
mamma di cenare con lei,
ma domani a pranzo sono
libera.»
«Ti prenoto. Come sta
Karen?» Secondo Marshall,
lui e la ex moglie si
facevano
un’amichevole
chiacchierata
telefonica
almeno una volta al mese.
Secondo
Karen,
tali
conversazioni
avevano
luogo circa una volta
all’anno.
A
Marshall
sarebbe
piaciuto
che
fossero rimasti amici, ma
Karen si trascinava dietro
un bagaglio di rancore
troppo pesante. Samantha
non aveva mai neppure
tentato di negoziare un
armistizio.
«Sta bene, immagino.
Lavora
tantissimo
eccetera.»
«Frequenta qualcuno?»
«Io non glielo chiedo. E
tu che mi dici?»
La giovane e graziosa
paralegale
lo
aveva
scaricato due mesi dopo
che era finito in prigione,
per cui Marshall era single
da diversi anni. Single, ma
raramente solo. Aveva
quasi sessant’anni, era
ancora snello e in forma,
con i capelli grigi lisciati
all’indietro e un sorriso
killer. «Oh, sono ancora in
pista» rispose con una
risata. «E tu? Qualcuno di
interessante?»
«No,
papà,
temo
proprio di no. Ho passato
gli ultimi tre anni in una
spelonca mentre il mondo
mi passava di fianco. Ho
ventinove anni e sono di
nuovo vergine.»
«Non c’è bisogno di
approfondire. Quanto ti
fermi in città?»
«Sono appena arrivata.
Non lo so. Ti ho detto della
proposta di aspettativa che
offre lo studio e sto
verificando la cosa.»
«Fai la volontaria per un
anno e poi ti ridanno il tuo
vecchio
lavoro
senza
perdere l’anzianità?»
«Qualcosa del genere.»
«Mi puzza un po’. Tu
non ti fidi davvero di quei
tipi, giusto?»
Samantha
fece
un
respiro
profondo,
poi
bevve un sorso di caffè. A
quel
punto
la
conversazione
poteva
avvitarsi in spirale fino ad
arrivare ad argomenti che
al momento non si sentiva
di affrontare. «No, non
proprio.
Posso
dire
sinceramente
di
non
fidarmi dei soci che
dirigono
Scully
&
Pershing. No.»
Marshall
stava
già
scuotendo
la
testa,
esprimendo felice il suo
accordo. «E non vuoi
veramente
tornare
là,
giusto? Non adesso, non
tra dodici mesi, giusto?»
«Non so cosa penserò
tra dodici mesi, ma non
riesco a vedere un grande
futuro in quello studio.»
«Giusto,
giusto.»
Marshall posò la tazza di
caffè sul tavolino e si piegò
in
avanti.
«Ascolta,
Samantha: io posso offrirti
un lavoro qui da me, un
lavoro ben retribuito che ti
terrà occupata per un anno
o giù di lì mentre decidi
cosa fare. Forse potrà
diventare un impiego
permanente, forse no, ma
avrai un bel po’ di tempo
per
prendere
una
decisione. Non praticherai
la professione legale, la
vera professione legale
come la chiamano, ma
d’altra parte non sono
sicuro che tu l’abbia
praticata
molto
negli
ultimi tre anni.»
«La mamma dice che
hai due soci e che anche
loro sono stati radiati
dall’ordine.»
Suo padre finse una
risata, ma la verità era
sgradevole. «È tipico di
Karen
dirlo,
no?
Comunque è vero: qui
siamo in tre, tutti e tre
rinviati
a
giudizio,
condannati,
radiati,
incarcerati e, sono felice di
dirlo,
completamente
riabilitati.»
«Scusami, papà, ma non
riesco a vedermi in uno
studio gestito da tre
avvocati
radiati
dall’ordine.»
Le spalle di Marshall si
abbassarono leggermente.
Il sorriso scomparve.
«Non è un vero studio
legale, giusto?» chiese
Samantha.
«Giusto. Non possiamo
esercitare la professione
perché non siamo stati
riammessi nell’ordine.»
«Allora cosa fate?»
Marshall
si
riprese
rapidamente e rispose:
«Facciamo un sacco di
soldi, mia cara. Operiamo
come consulenti».
«Tutti
fanno
i
consulenti, papà. A chi fai
consulenze e cosa gli
racconti?»
«Sai
qualcosa
del
litigation funding?»
«Ai
fini
della
discussione, diciamo che la
risposta è no.»
«Okay,
i
litigation
funders,
in
pratica
i
finanziatori di cause legali,
sono società private che
raccolgono denaro dai loro
investitori per partecipare
a grosse controversie. Per
esempio, supponiamo che
una piccola società di
software sia convinta che
uno dei giganti, per
esempio
la
Microsoft,
abbia rubato un suo
software: non c’è modo in
cui la piccola società possa
permettersi di intentare
causa alla Microsoft e
affrontarla alla pari in
tribunale.
Impossibile.
Perciò la piccola società si
rivolge a una società di
finanziamento cause, la
società studia il caso e, se
decide che ci sono basi
solide,
mette
a
disposizione un bel po’ di
soldi per le parcelle e le
spese legali. Dieci milioni,
venti milioni, non importa.
Un mucchio di soldi.
Ovviamente in caso di
vittoria i finanziatori si
prenderanno una fetta
della torta. Lo scontro
diventa alla pari e di solito
si arriva a una lucrosa
transazione. In questo
quadro, il nostro lavoro
consiste nel consigliare ai
finanziatori
se
farsi
coinvolgere o no. Non
tutte le potenziali azioni
legali
possono
essere
portate avanti, nemmeno
in questo paese. Anche i
miei
due
soci,
soci
stipendiati
posso
aggiungere, erano esperti
in complesse cause civili,
finché, come dire, sono
stati
invitati
ad
abbandonare
la
professione.
Il
nostro
business è in espansione, a
prescindere da questa
piccola recessione. Anzi,
noi pensiamo addirittura
che
l’attuale
casino
incrementerà i nostri affari.
Moltissime banche stanno
per
essere
citate
in
giudizio, e per somme
enormi.»
Samantha sorseggiò il
caffè e rammentò a se
stessa che stava ascoltando
un uomo che un tempo
riusciva regolarmente a
convincere i giurati a
dargli milioni di dollari.
«Allora, cosa ne pensi?»
chiese suo padre.
“Sembra
terribile”
pensò
Samantha,
ma
mantenne
la
fronte
aggrottata come se stesse
riflettendo attentamente.
«Interessante» riuscì a dire.
«Riteniamo che ci sia un
enorme
potenziale
di
crescita.»
“Sì, e con tre ex detenuti
a dirigere lo spettacolo è
solo questione di tempo
prima che arrivino i guai.”
«Io non so niente di cause
in tribunale, papà. Ho
sempre cercato di tenermi
alla larga. Io ero nella
finanza, ricordi?»
«Oh,
imparerai.
Ti
insegnerò
io.
Ci
divertiremo.
Provaci,
almeno. Prova per qualche
mese mentre sistemi le tue
cose.»
«Ma io non sono ancora
stata radiata dall’ordine.»
Risero tutti e due, ma la
battuta non era stata poi
così
divertente.
«Ci
penserò, papà. Grazie.»
«Ti troverai bene, te lo
prometto. Quaranta ore la
settimana, un bell’ufficio,
gente
simpatica.
Sicuramente meglio della
competizione sfrenata di
New York.»
«Ma New York è casa
mia,
papà.
Non
Washington.»
«Okay,
okay.
Non
voglio insistere. L’offerta è
sempre valida.»
«E io lo apprezzo.»
Una segretaria bussò
alla porta e infilò la testa
nell’ufficio.
«La
sua
riunione delle quattro,
signore.»
Marshall aggrottò la
fronte e guardò l’orologio
per
avere
conferma
dell’ora. «Arrivo tra un
momento»
disse.
La
segretaria
scomparve.
Samantha afferrò la borsa e
annunciò: «Devo andare».
«Non c’è fretta, cara. La
riunione può aspettare.»
«So che sei occupato. Ci
vediamo
domani
a
pranzo.»
«Ci
divertiremo.
Salutami
Karen.
Mi
farebbe piacere vederla.»
Non
una
sola
possibilità. «Certo, papà. A
domani.»
Si
abbracciarono
davanti alla porta, poi
Samantha se ne andò di
fretta.
L’ottavo rifiuto arrivò
dalla Chesapeake Society
di Baltimora, il nono da
un’organizzazione che si
batteva per salvare le
sequoie della California
settentrionale. Mai, nella
sua
vita
privilegiata,
Samantha Kofer era stata
rifiutata nove volte in un
solo giorno. Neppure in
una settimana, o in un
mese. Non era ben sicura
di riuscire a incassare il
numero dieci.
Sorseggiava
un
decaffeinato nel bar di
Kramerbooks vicino a
Dupont Circle, aspettando
e scambiando e-mail con
gli amici. Blythe aveva
ancora un lavoro, ma la
situazione cambiava di ora
in
ora:
comunicò
a
Samantha la voce di
corridoio secondo la quale
anche il suo studio, il
quarto più grande al
mondo, stava facendo
strage di associati e aveva
inoltre concertato lo stesso
piano
aspettativa
per
scaricare i suoi elementi
più brillanti sul maggior
numero
possibile
di
organizzazioni non profit
spiantate e in lotta per la
sopravvivenza.
Blythe
scriveva: “Là fuori devono
essere migliaia quelli che
bussano alle varie porte
implorando un lavoro”.
Samantha non se la sentì
di ammettere che il suo
risultato era zero su nove.
Poi arrivò il numero
dieci. Era un conciso
messaggio di una certa
Mattie
Wyatt
della
Mountain Legal Aid Clinic
di Brady, Virginia: “Se
può, mi chiami subito sul
cellulare”,
seguiva
il
numero.
Dopo
nove
sprezzanti
rifiuti
consecutivi, era come un
invito alla cerimonia di
insediamento
del
presidente.
Samantha
fece
un
respiro profondo, bevve
un altro sorso di caffè, si
guardò
intorno
per
assicurarsi che nessuno
stesse ascoltando, come se
gli altri clienti fossero stati
interessati ai suoi affari, e
poi digitò il numero sul
cellulare.
4
La Mountain Legal Aid
Clinic svolgeva la sua
attività a basso budget in
un
ex
negozio
di
ferramenta in Main Street a
Brady, Virginia, abitanti
duemiladuecento e in
diminuzione
a
ogni
censimento.
Brady
si
trovava nella Virginia
sudoccidentale, sui monti
Appalachi, la regione del
carbone.
Dai
ricchi
sobborghi di Washington
nella
Virginia
settentrionale,
Brady
distava
cinquecento
chilometri nello spazio e
un secolo nel tempo.
Mattie
Wyatt
era
direttore esecutivo dello
studio fin dal giorno in cui
lei stessa aveva fondato
l’organizzazione ventisei
anni prima. Afferrò il
cellulare e diede la sua
abituale risposta: «Mattie
Wyatt».
Una voce piuttosto
timida all’altro capo della
linea disse: «Sì, sono
Samantha
Kofer.
Ho
appena ricevuto la sua email».
«Grazie, Ms Kofer. Ho
ricevuto la sua domanda
questo
pomeriggio,
insieme ad altre. Sembra
che i tempi siano piuttosto
difficili per alcuni dei
megastudi.»
«Sì, può ben dirlo.»
«Bene, non abbiamo mai
avuto
uno
stagista
proveniente da un grande
studio newyorkese, ma un
po’ d’aiuto fa sempre
comodo quassù. Di certo
non c’è carenza di povera
gente e relativi problemi.
Lei è mai stata nel
Sudovest della Virginia?»
Samantha non c’era mai
stata. Aveva visto il
mondo, ma non si era mai
avventurata
negli
Appalachi. «Temo di no»
rispose, con la massima
cortesia possibile. La voce
di Mattie era amichevole,
l’accento
leggermente
nasale, e Samantha decise
che erano necessarie le sue
migliori maniere.
«Allora l’aspetta una
sorpresa» disse Mattie.
«Senta, Ms Kofer, oggi ho
ricevuto e-mail da tre come
lei, e a noi non servono tre
novellini che non sanno
fare niente, capisce cosa
intendo? L’unico sistema
che conosco per scegliere
un candidato è quello del
colloquio. Lei potrebbe
fare un salto qui? Gli altri
due hanno detto che
avrebbero
cercato
di
venire. Credo che uno sia
del suo stesso studio
legale.»
«Be’, certo, potrei venire
in auto» rispose Samantha.
Cos’altro poteva dire? Il
minimo
accenno
di
riluttanza
e
avrebbe
incassato davvero il suo
decimo rifiuto. «Quando
aveva in mente?»
«Domani, dopodomani,
quando vuole. Non mi
aspettavo di essere travolta
da avvocati licenziati in
lotta per un impiego,
addirittura non retribuito.
Tutto a un tratto c’è
competizione per questo
lavoro, per cui tanto prima,
tanto meglio. New York,
però, è lontana.»
«In realtà sono a
Washington. Potrei essere
da lei domani pomeriggio,
credo.»
«Okay. Non ho molto
tempo da dedicare ai
colloqui, perciò è probabile
che assuma il primo che si
presenta e lasci perdere gli
altri. Cioè, sempre che il
primo mi piaccia.»
Samantha chiuse gli
occhi per qualche secondo
e cercò di mettere tutto
nella giusta prospettiva. Il
mattino del giorno prima
si era seduta alla sua
scrivania
nello
studio
legale più grande del
mondo, uno studio che la
pagava generosamente e le
prometteva una lunga
carriera
remunerativa.
Adesso, circa trenta ore
dopo,
si
ritrovava
disoccupata, seduta nel bar
di
Kramerbooks,
impegnata a sgomitare per
un impiego temporaneo e
non retribuito nel bel
mezzo delle lande più
desolate in cui si potesse
capitare.
Mattie
continuò:
«L’anno
scorso
sono
andata
in
auto
a
Washington
per
una
conferenza
e
ci
ho
impiegato
sei
ore.
Facciamo
domani
pomeriggio
verso
le
quattro?».
«Certo. Ci vediamo
domani. E grazie, Ms
Wyatt.»
«No, grazie a lei. E mi
chiamo Mattie.»
Samantha cercò in rete e
trovò il sito del centro di
assistenza legale gratuita.
La sua mission era chiara:
“Fornire servizi legali
gratuiti a clienti a basso
reddito
nella
Virginia
sudoccidentale”. Le aree di
intervento comprendevano
rapporti
familiari,
ripianificazioni debitorie,
assistenza
sanitaria,
istruzione e indennità per
la malattia del polmone
nero. La formazione legale
di Samantha aveva toccato
brevemente
alcune
di
quelle specializzazioni, la
sua carriera mai. Il centro
non
si
occupava
di
questioni penali. Oltre a
Mattie Wyatt, c’era un
altro
avvocato,
un
paralegale e un addetto al
ricevimento, tutte donne.
Samantha decise che ne
avrebbe discusso con sua
madre e poi ci avrebbe
dormito
su.
Non
possedeva
un’auto
e,
francamente,
non
si
vedeva a sprecare tempo
guidando
fino
agli
Appalachi. Servire ai tavoli
a SoHo le sembrava più
invitante. Mentre fissava il
suo laptop, il rifugio dei
senzatetto di Louisville le
rispose con un educato no.
Dieci rifiuti in un solo
giorno. Basta: Samantha
decise di mettere fine alla
sua ricerca per salvare il
mondo.
Karen Kofer arrivò al
Firefly poco dopo le sette.
Gli occhi le si riempirono
di
lacrime
quando
abbracciò la sua unica
figlia e, dopo poche parole
di
comprensione,
Samantha le chiese di
smetterla,
per
favore.
Andarono al bar e, in
attesa
del
tavolo,
ordinarono un bicchiere di
vino.
Karen
aveva
cinquantacinque anni e
invecchiava
in
modo
splendido. Spendeva la
maggior parte dei suoi
soldi in vestiti ed era
sempre
alla
moda,
addirittura chic. Per quello
che ricordava Samantha,
sua madre si era sempre
lamentata della mancanza
di stile al dipartimento di
Giustizia, come se fosse
stato
compito
suo
risollevare la situazione.
Era single da dieci anni e
non c’era mai stata carenza
di uomini, ma quello
giusto
non
era
mai
arrivato.
Come
d’abitudine,
Karen
esaminò sua figlia, dagli
orecchini fino alle scarpe, e
fece la sua valutazione nel
giro di pochi secondi. No
comment. A Samantha non
importava. In quel giorno
orribile, aveva altre cose
per la testa.
«Papà ti saluta» disse,
nel tentativo di indirizzare
la conversazione lontano
dalle urgenti questioni al
dipartimento di Giustizia.
«Oh, lo hai visto?»
chiese
Karen,
le
sopracciglia inarcate, il
radar improvvisamente in
massima allerta.
«Sì, ho fatto un salto nel
suo studio. Sembra che se
la stia cavando bene, ha un
bell’aspetto
e
sta
allargando il suo business,
dice.»
«Ti ha offerto un
impiego?»
«Sì. Inizio immediato,
quaranta ore la settimana
in un ufficio pieno di gente
meravigliosa.»
«Sono stati tutti radiati,
lo sai?»
«Sì, me lo hai detto.»
«L’attività sembrerebbe
legale, almeno per il
momento. Di sicuro non
vorrai
lavorare
per
Marshall. Quella è una
banda
di
ladri
e
probabilmente non passerà
molto tempo prima che si
caccino nei guai.»
«Quindi, li stai tenendo
d’occhio?»
«Diciamo che ho degli
amici, Sam. Un sacco di
amici nei posti giusti.»
«E ti piacerebbe vederlo
di nuovo in galera?»
«No, tesoro, ho superato
quella fase. Ci siamo
separati anni fa e ci ho
messo
parecchio
per
riprendermi. Marshall ha
nascosto soldi e mi ha
fregato nel divorzio, ma
finalmente sento che non
mi importa più. Ho una
buona vita e non intendo
sprecare
energie
per
Marshall Kofer.»
Bevvero insieme un
sorso di vino e osservarono
il barista, un aitante
ragazzo sui venticinque
anni in maglietta nera
aderente.
«No, mamma, non ho
intenzione di andare a
lavorare con papà. Sarebbe
un disastro.»
La direttrice di sala le
accompagnò al tavolo e un
cameriere versò acqua
ghiacciata nei bicchieri.
Una volta sole, Karen
disse: «Mi dispiace così
tanto, Sam. Non riesco
ancora a crederci».
«Mamma, per favore.
Basta.»
«Lo so, ma sono tua
madre e non riesco a
trattenermi.»
«Puoi prestarmi la tua
macchina per un paio di
giorni?»
«Certo. Come mai hai
bisogno dell’auto?»
«C’è un centro di
assistenza legale gratuita a
Brady, Virginia, una delle
organizzazioni non profit
del mio elenco, e sto
pensando di andare a dare
un’occhiata. Probabilmente
sarà una perdita di tempo,
ma non è che sia molto
impegnata in questi giorni.
Anzi, domani non ho
proprio niente da fare e
una lunga gita in macchina
potrebbe
aiutare
a
schiarirmi le idee.»
«Ma... assistenza legale
gratuita?»
«Perché no? È solo un
colloquio per uno stage. Se
non ottengo il lavoro, resto
disoccupata. Se invece lo
ottengo, potrò sempre
andarmene se non mi
piace.»
«E non pagano niente?»
«Niente.
È
parte
dell’accordo. Io faccio
volontariato per dodici
mesi e lo studio mi tiene
all’interno del sistema.»
«Di
sicuro
potresti
trovarti un piccolo e
decoroso studio a New
York.»
«Ne
abbiamo
già
discusso, mamma. I grandi
studi
legali
stanno
mandando a casa la gente
e quelli piccoli stanno
chiudendo. Non hai idea
dell’isterismo nelle strade
di New York di questi
tempi. Tu te ne stai
tranquilla al sicuro e
nessuno dei tuoi amici
perderà mai il posto di
lavoro. Là fuori, nel
mondo reale, non c’è altro
che paura e caos.»
«Io non sono nel mondo
reale?»
Fortunatamente
si
ripresentò il cameriere, con
una lunga esposizione
delle specialità. Quando se
ne andò, Samantha e sua
madre finirono il vino e
diedero un’occhiata ai
tavoli intorno a loro. Poi
Karen disse: «Sam, io
penso
che
tu
stia
commettendo un errore.
Non puoi andartene e
scomparire per un anno. E
il tuo appartamento? I tuoi
amici?».
«I miei amici sono in
aspettativa
esattamente
come me, almeno la
maggior parte di loro. E
non è che ne abbia poi così
tanti.»
«È che proprio non mi
convince.»
«Splendido,
mamma.
Ma quali sarebbero le mie
opzioni? Accettare un
impiego al Kofer Group?»
«Che Dio non voglia.
Probabilmente finiresti in
galera.»
«Verresti a trovarmi? Sei
mai andata a trovare
papà?»
«Non ci ho mai neppure
pensato.
Sono
stata
felicissima
quando
lo
hanno schiaffato dentro.
Un giorno capirai, mia
cara, ma solo se l’uomo che
ami ti scaricherà per
un’altra. Prego perché non
ti capiti mai.»
«Okay,
posso
comprenderlo.
Ma
è
successo tanto tempo fa.»
«Certe cose non si
dimenticano.»
«Tu stai cercando di
dimenticare?»
«Vedi, Sam, ogni figlio
vuole che i suoi genitori
stiano insieme. È un
fondamentale istinto di
sopravvivenza. E quando i
genitori si separano, il
figlio vuole che restino
almeno amici. C’è chi ci
riesce e chi no. Io non
voglio
trovarmi
nella
stessa stanza con Marshall
Kofer e preferisco non
parlare di lui. Chiudiamola
qui.»
«D’accordo.» Il tentativo
era stato quanto di più
prossimo
a
una
mediazione
Samantha
avesse mai azzardato.
Batté
rapidamente
in
ritirata. Il cameriere servì
le
insalate
e
loro
ordinarono una bottiglia di
vino. «Come sta Blythe?»
chiese Karen, deviando
verso argomenti più facili.
«Preoccupata,
ma
ancora con un lavoro.»
Parlarono di Blythe per
qualche
minuto,
poi
passarono a un uomo di
nome
Forest
che
si
aggirava
nell’appartamento
di
Karen da circa un mese.
Era di qualche anno più
giovane di lei, come Karen
preferiva, ma non c’era
una vera storia d’amore.
Forest era un avvocato
consulente nella campagna
di
Obama
e
la
conversazione si spostò in
quella direzione. Mentre
bevevano
vino,
analizzarono
il
primo
dibattito
presidenziale.
Samantha però era stanca
di elezioni e Karen, a causa
del suo lavoro, esitava a
parlare di politica. «Avevo
dimenticato
che
non
possiedi una macchina»
disse.
«Non ne ho avuto
bisogno
per
anni.
Immagino
di
poterne
noleggiare una per qualche
mese, se mi servirà.»
«Adesso che ci penso,
domani sera avrò bisogno
della mia: vado a giocare a
bridge a casa di un amico a
McLean.»
«Nessun problema, ne
noleggerò una per un paio
di giorni. Più ci penso, più
non vedo l’ora di farmi un
lungo viaggio in macchina,
da sola.»
«Quanto lungo?»
«Sei ore.»
«Puoi arrivare a New
York in sei ore.»
«Be’, domani andrò
nella direzione opposta.»
Arrivarono gli antipasti.
Entrambe
stavano
morendo di fame.
5
Samantha ci mise un’ora
per noleggiare una Toyota
Prius, e poi si destreggiò
nel traffico di Washington
stringendo con forza il
volante e tenendo sotto
costante
controllo
gli
specchietti. Erano mesi che
non guidava e si sentiva a
disagio. Le corsie in
entrata erano gremite di
pendolari
che
dai
sobborghi
puntavano
verso la città, ma il traffico
diretto a ovest procedeva
molto meno congestionato.
Superata
Manassas,
l’interstatale si svuotò in
misura considerevole e
Samantha finalmente si
rilassò. Izabelle la chiamò e
chiacchierarono
per
quindici minuti. Nel tardo
pomeriggio del giorno
prima, Scully & Pershing
aveva messo in aspettativa
altri associati, tra cui un
altro
compagno
della
scuola
di
legge.
Un’ulteriore infornata di
soci stipendiati era finita
per strada. Più o meno una
decina di soci anziani
aveva
optato
per
il
pensionamento anticipato,
a quanto pareva con la
pistola puntata alla tempia.
Il
personale
amministrativo era stato
tagliato del quindici per
cento. Lo studio era
paralizzato dalla paura,
con gli avvocati che
chiudevano la porta a
chiave e si nascondevano
sotto la scrivania. Izabelle
disse che forse si sarebbe
trasferita a Wilmington,
dove avrebbe abitato nel
seminterrato di sua sorella,
avrebbe fatto volontariato
in un programma di
sostegno all’infanzia e si
sarebbe cercata un impiego
part-time. Dubitava che
sarebbe mai tornata a New
York, ma era troppo presto
per fare previsioni. La
situazione
era
troppo
instabile,
in
rapido
cambiamento e, insomma,
nessuno era in grado di
dire dove sarebbe stata tra
un
anno.
Samantha
ammise di sentirsi euforica
perché era fuori dallo
studio legale e sulla strada.
Telefonò a suo padre e
annullò l’appuntamento a
pranzo. Marshall sembrò
deluso, ma fu veloce nel
consigliare
di
non
precipitarsi in un insensato
stage nel cuore del “terzo
mondo”. Parlò di nuovo
della sua proposta di
lavoro e insistette un po’
troppo. Così Samantha gli
disse chiaramente di no:
«No, papà, non voglio quel
lavoro, ma grazie lo
stesso».
«Stai commettendo un
errore.»
«Non ho chiesto il tuo
consiglio, papà.»
«Forse ne hai bisogno.
Per
favore,
ascolta
qualcuno con un po’ di
buon senso.»
«Ciao,
papà.
Ti
richiamo.»
Vicino alla cittadina di
Strasburg,
si
immise
nell’interstatale
81
in
direzione sud e si ritrovò
in una corsia affollata di
autotreni,
tutti
apparentemente ignari del
limite
di
velocità.
Studiando
la
mappa,
Samantha
aveva
immaginato un piacevole
viaggio attraverso la valle
di Shenandoah, invece si
ritrovò a scansare grossi
TIR in un’autostrada a
quattro corsie. Migliaia di
TIR . Ogni tanto riusciva a
rubare un’occhiata a est,
alle basse colline del Blue
Ridge, o a ovest, ai monti
Appalachi. Era il primo
giorno di ottobre e le foglie
cominciavano a cambiare
colore, ma ammirare il
panorama
non
era
prudente con un traffico
del genere. Il cellulare
continuava
a
ronzare
annunciando SMS , ma
riuscì a ignorarli. Si fermò
in un fast food nei pressi di
Staunton per un’insalata
appassita. Mangiò facendo
lunghi respiri, ascoltando
chiacchierare la gente del
posto e cercando di
calmarsi.
C’era
un’e-mail
di
Henry,
il
vecchio
boyfriend che, di nuovo in
città, proponeva un drink
insieme. Aveva saputo la
brutta notizia e voleva
consolarla. A Los Angeles
la sua carriera di attore era
andata addirittura peggio
che a New York e si era
stancato
di
guidare
limousine per attori di
infima categoria e di
talento inferiore al suo.
Diceva di sentire la sua
mancanza,
di
avere
pensato spesso a lei e, visto
che
adesso
era
disoccupata,
forse
avrebbero potuto passare
un po’ di tempo insieme,
perfezionando i rispettivi
curricula ed esaminando le
offerte di impiego sui
giornali. Samantha decise
di non rispondere, non in
quel momento almeno.
Magari quando fosse stata
di nuovo a New York,
molto annoiata e davvero
sola.
Nonostante i TIR e il
traffico,
cominciava
a
godersi la solitudine del
viaggio. Si sintonizzò due
o tre volte su NPR , ma
trovò sempre la stessa
storia:
il
tracollo
dell’economia, la grande
recessione. Un mucchio di
gente
intelligente
prevedeva
una
depressione.
Altri
ritenevano che il panico
sarebbe passato e il mondo
sarebbe sopravvissuto. A
Washington
i
cervelli
sembravano
essersi
congelati mentre strategie
contrastanti
venivano
proposte,
dibattute
e
scartate.
Alla
fine
Samantha ignorò sia la
radio che il cellulare e
continuò a guidare in
silenzio, persa nei suoi
pensieri. Il navigatore GPS
le
disse
di
lasciare
l’interstatale a Abingdon,
Virginia, e lei fu felice di
ubbidire. Per due ore
procedette verso ovest, tra
le montagne. A mano a
mano che le strade si
facevano più strette, si
chiese più di una volta
cosa esattamente stesse
facendo.
Dove
stava
andando? Cosa poteva mai
trovare a Brady, Virginia,
da indurla a passarci
l’anno successivo? Niente:
era quella la risposta. Ma
era comunque decisa ad
arrivare a Brady e portare
a termine quella piccola
avventura.
Forse
le
avrebbe fornito materiale
per qualche chiacchiera
divertente davanti a un
cocktail una volta tornata
in città, o forse no. Per il
momento continuava a
sentirsi sollevata all’idea di
essere lontana da New
York.
Superato il confine di
Noland County, svoltò
nella Route 36 e la strada
diventò ancora più stretta,
le montagne si fecero più
ripide, le foglie più
brillanti
di
giallo
e
arancione bruciato. Era
sola sulla strada e più si
inoltrava tra le montagne,
più si domandava se, in
effetti, ci fosse un’altra via
di uscita. Ovunque si
trovasse, Brady sembrava
essere in fondo a una
strada senza uscita. Le
orecchie le scoppiettarono
e si rese conto che lei e la
sua piccola Prius rossa
stavano
salendo
lentamente. Un ammaccato
cartello stradale annunciò
l’avvicinamento a Dunne
Spring,
abitanti
201;
Samantha arrivò in cima a
una collina e superò una
stazione di servizio alla
sua sinistra e uno spaccio
di alimentari sulla destra.
Pochi secondi dopo,
dietro il paraurti posteriore
si materializzò un’auto con
luci lampeggianti azzurre.
Poi Samantha udì il
lamento di una sirena. In
preda al panico, frenò di
colpo, facendosi quasi
tamponare dal poliziotto,
poi andò subito a fermarsi
in un piccolo spazio vicino
a un ponte. Quando
l’agente si avvicinò alla
portiera, Samantha stava
lottando per trattenere le
lacrime. Afferrò il cellulare
per inviare un messaggio a
qualcuno, ma non c’era
campo.
L’uomo
le
disse
qualcosa
che
suonò
vagamente come: «La
patente,
per
favore».
Samantha afferrò la borsa,
trovò il portafoglio e, alla
fine, anche la patente, che
passò all’agente con mano
tremante. Lui prese il
documento e se lo avvicinò
quasi al naso, come se
avesse avuto problemi di
vista.
Finalmente
Samantha lo guardò: erano
evidenti anche altri difetti.
L’uniforme era un confuso
insieme, liso e macchiato,
di pantaloni cachi, camicia
marrone sbiadita piena di
distintivi di ogni tipo,
stivali da combattimento
neri e sporchi e un
cappello da ranger tipo
orso Smokey che, di
almeno due misure troppo
grande, poggiava sulle
orecchie
sovradimensionate.
Da
sotto
il
cappello
spuntavano ciuffi di capelli
neri e arruffati.
«New York?» chiese
l’uomo. La dizione era
lungi dall’essere chiara, ma
il tono bellicoso era
inequivocabile.
«Sì, signore. Io vivo a
New York.»
«Allora perché guida
una
macchina
del
Vermont?»
«È un’auto a noleggio»
rispose
Samantha,
afferrando il contratto Avis
sul cruscotto. Lo porse
all’uomo, che però stava
ancora
studiando
la
patente, quasi avesse avuto
problemi di lettura.
«Cos’è una Prius?»
domandò. Calcando molto
sulla “i”.
«È
un’ibrida,
della
Toyota.»
«Una cosa?»
Samantha non sapeva
niente di automobili, ma in
quel momento non aveva
importanza. Conoscenze
approfondite
non
l’avrebbero
aiutata
a
spiegare il concetto di
vettura ibrida. «Ecco, è
un’auto che funziona sia a
benzina che a elettricità.»
«Non mi dica.»
Samantha non riuscì a
trovare un commento
adeguato e, mentre l’uomo
aspettava, si limitò a
sorridere. L’occhio sinistro
dell’agente
sembrò
spostarsi in direzione del
naso.
«Be’, comunque deve
andare piuttosto veloce»
disse. «L’ho cronometrata
mentre viaggiava a ottanta
chilometri l’ora in un tratto
dove il limite è trenta.
Cinquanta chilometri in
eccesso.
È
guida
pericolosa, qui in Virginia.
Non so a New York o in
Vermont, ma da queste
parti è guida pericolosa.
Sissignora, proprio così.»
«Ma io non ho visto
alcun segnale di limite di
velocità.»
«Se lei non vede, io non
posso farci niente, signora,
le pare?»
Un vecchio pick-up si
avvicinò
frontalmente,
rallentò e sembrò sul
punto di fermarsi. Il
conducente sporse la testa
dal finestrino e gridò: «Dài,
Romey! Adesso basta».
Il poliziotto si voltò e
strillò: «Togliti dai piedi!».
Il pick-up si fermò al
centro della strada e
l’autista
disse:
«Devi
piantarla, amico».
Il poliziotto aprì la
fondina ed estrasse la
pistola. «Mi hai sentito?
Togliti dai piedi.»
Il
pick-up
partì
sgommando sulle ruote
posteriori e si allontanò a
tutta velocità. Quando fu a
una ventina di metri di
distanza,
il
poliziotto
puntò la pistola al cielo ed
esplose un fragoroso colpo
che
risuonò
secco
attraverso la valle e
rimbalzò
echeggiando
dalle montagne. Samantha
gridò
e
cominciò
a
piangere. L’agente guardò
scomparire il pick-up e poi
disse: «È tutto okay, tutto
okay. Quel tizio non fa che
intromettersi di continuo.
Dunque, dove eravamo?».
Rimise la pistola nella
fondina e armeggiò con il
laccetto
di
chiusura,
continuando a parlare.
«Non lo so» rispose
Samantha, cercando di
asciugarsi gli occhi con le
mani tremanti.
Frustrato, il poliziotto
disse: «Tutto okay, signora.
È okay. Allora, lei ha una
patente dello Stato di New
York e targhe del Vermont
su
questa
strana
macchinina, inoltre ha
superato il limite di
velocità
di
cinquanta
chilometri. Cosa ci fa da
queste parti?».
“Non sono affari tuoi!”
fu quasi sul punto di
scattare Samantha, ma un
atteggiamento di sfida
avrebbe soltanto causato
ulteriori guai. Guardò fisso
davanti a sé, fece alcuni
respiri profondi e si sforzò
di
ricomporsi.
Poi
finalmente rispose: «Sto
andando a Brady. Ho un
colloquio di lavoro». Le
fischiavano le orecchie.
L’uomo rise goffamente.
«A Brady non c’è nessun
lavoro, questo glielo posso
garantire.»
«Ho un colloquio alla
Mountain
Legal
Aid
Clinic» disse Samantha, i
denti stretti, le sue stesse
parole che le sembravano
vuote e surreali.
La risposta sembrò
confondere l’uomo, che
diede l’impressione di
essere
incerto
sulla
prossima mossa. «Be’, io
comunque devo portarla
dentro.
Cinquanta
chilometri oltre il limite
significa
estrema
imprudenza. Probabile che
il giudice le scarichi
addosso tutto il codice.
Devo portarla dentro.»
«Dentro dove?»
«Nel carcere di contea a
Brady.»
Il mento le cadde sul
petto.
Samantha
si
massaggiò le tempie. «Non
ci posso credere.»
«Spiacente,
signora.
Scenda dalla macchina. La
lascerò sedere davanti con
me.» Il poliziotto aspettava
con le mani sui fianchi, la
destra
pericolosamente
vicina alla fondina.
«Sta dicendo sul serio?»
chiese Samantha
«Serio come un infarto.»
«Posso
fare
una
telefonata?»
«Assolutamente
no.
Forse in carcere. E poi qui
non c’è campo.»
«Mi sta arrestando e mi
porta in carcere?»
«Vedo che ha capito.
Sono sicuro che qui in
Virginia facciamo le cose
diversamente. Andiamo.»
«E la mia macchina?»
«Verrà a prenderla il
carro attrezzi. Le costerà
altri
quaranta
dollari.
Andiamo.»
Samantha non riusciva a
pensare con chiarezza, ma
qualsiasi altra opzione
sembrava
doversi
concludere con altri spari.
Lentamente, afferrò la sua
borsa e scese dall’auto.
Con il suo metro e settanta
e le ballerine ai piedi, era
più alta di Romey di
almeno cinque centimetri.
Si avvicinò all’auto del
poliziotto, la cui luce
azzurra
continuava
a
lampeggiare. Guardò la
portiera ma non vide nulla.
L’agente intuì quello che
lei stava pensando e disse:
«È
un’auto
senza
contrassegni. Ecco perché
non
mi
ha
notato.
Funziona sempre. Si sieda
davanti. La porterò dentro
senza ammanettarla».
Samantha
riuscì
a
biascicare
un
debole
“grazie”.
Era una Ford blu scuro
di qualche tipo e aveva
una vaga somiglianza con
una vecchia auto di
pattuglia ormai in disuso
da una decina d’anni. Il
sedile anteriore era unico e
il vinile era rigato da
larghe
fenditure
che
rivelavano l’imbottitura in
gommapiuma,
sporca.
C’erano due radio fissate
alla
consolle.
Romey
afferrò un microfono e, in
parole veloci a malapena
decifrabili, disse qualcosa
del tipo: «Unità dieci in
arrivo a Brady con il
soggetto. Tempo previsto
cinque minuti. Avvertire il
giudice. Serve un carro
attrezzi a Thack’s Bridge
per una strana macchina
giapponese».
Non ci fu risposta, come
se in ascolto non ci fosse
stato nessuno. Samantha si
chiese
se
la
radio
funzionasse. Sul sedile, tra
lei e il poliziotto, c’era uno
scanner
della
polizia,
anch’esso muto come la
radio. Romey fece scattare
un interruttore e spense le
luci
azzurre.
«Vuole
sentire la sirena?» chiese
sorridendo,
come
un
bambino con i suoi
giocattoli.
Samantha scosse la
testa. No.
Pensò che il giorno
prima era stato una
schifezza, con i dieci rifiuti
e tutto il resto. Il giorno
prima ancora era stata
mandata a casa dallo
studio e scortata fuori
dall’edificio. E adesso
questo: arrestata in un
posto
sconosciuto
in
mezzo al nulla e portata in
prigione. Il cuore le batteva
forte e aveva problemi a
deglutire.
Non c’erano cinture di
sicurezza. Romey premette
l’acceleratore e poco dopo
stavano sfrecciando al
centro della carreggiata,
sulla vecchia Ford che
sferragliava in ogni sua
parte,
dal
paraurti
anteriore
a
quello
posteriore. Dopo due o tre
chilometri l’agente disse:
«Mi dispiace davvero, ma
sto solo facendo il mio
lavoro».
«Lei è un poliziotto, un
vicesceriffo o cosa?» gli
chiese Samantha.
«Sono un agente. Mi
occupo prevalentemente di
controllo del traffico.»
Samantha annuì, come
se la risposta avesse
chiarito
tutto.
Romey
guidava con il polso
sinistro posato mollemente
sul volante, che vibrava.
Lungo un tratto di strada
piatto,
spinse
sull’acceleratore
e
la
turbolenza
aumentò.
Samantha
lanciò
uno
sguardo al tachimetro, che
non funzionava. L’uomo
abbaiò di nuovo nel
microfono come un cattivo
attore e, di nuovo, nessuno
rispose. Imboccarono una
curva, troppo velocemente,
ma quando l’auto cominciò
a sbandare di coda, Romey
sterzò
con
calma
e
premette leggermente il
freno.
“Sto per morire” pensò
Samantha. O per mano di
un killer fuori di testa o in
un
tragico
incidente
stradale. Sentì rovesciarsi
lo stomaco e le sembrò di
svenire. Strinse con forza
la sua borsa, chiuse gli
occhi e cominciò a pregare.
Alla periferia di Brady
riuscì
finalmente
a
respirare in modo normale.
Se
quell’uomo
aveva
intenzione di violentarla,
ucciderla e buttare il suo
cadavere giù da una
montagna, non lo avrebbe
fatto in città. Passarono
davanti a negozi con
parcheggi a ghiaia e a file
di ordinate casette, tutte
dipinte
di
bianco.
Guardando
avanti,
Samantha vide campanili
di chiese svettare sopra gli
alberi. Prima di arrivare in
Main Street, Romey svoltò
bruscamente e si fermò in
derapata nel parcheggio
non
asfaltato
della
prigione
di
Noland
County.
«Mi
segua»
ordinò. Per una frazione di
secondo, Samantha si sentì
sollevata all’idea di essere
arrivata in carcere.
Mentre seguiva l’agente
verso la porta d’ingresso,
si guardò intorno per
assicurarsi che nessuno
stesse guardando. Ma di
chi,
esattamente,
si
preoccupava? Una volta
all’interno, si fermarono
entrambi in una polverosa
e stipata area di attesa.
Sulla sinistra c’era una
porta sopra la quale era
stampigliata la parola
PRIGIONE . Romey indicò
verso destra e disse: «Si
sieda lì mentre io sbrigo le
scartoffie. E niente scherzi,
okay?». Non era presente
nessun altro.
«Dove vuole che vada?»
chiese Samantha. «Non ho
più la macchina.»
«Stia
seduta
lì
tranquilla.»
Samantha si accomodò
su una sedia di plastica
mentre Romey scompariva
oltre
la
porta.
Evidentemente le pareti
erano molto sottili perché
lo sentì dire: «Ho una
ragazza di New York là
fuori, l’ho beccata a Dunne
Spring mentre sfrecciava a
ottanta chilometri l’ora.
Riesci a crederci?».
Una
voce
maschile
replicò con durezza: «Oh,
per
favore,
Romey!
Un’altra volta?».
«Sissignore. L’ho colta
in flagrante.»
«Devi piantarla con
queste stronzate, Romey.»
«Adesso
non
ricominciare, Doug.»
Ci furono passi pesanti,
le voci si abbassarono fino
a svanire. Poi, dalle
profondità del carcere,
esplosero toni alterati.
Anche se Samantha non
riusciva a capire cosa
stessero
dicendo,
era
evidente che erano almeno
due gli uomini impegnati
in una discussione con
Romey. Quindi le voci
tacquero e i minuti
passarono. Finalmente un
tipo paffuto in uniforme
varcò la porta del carcere e
disse: «Salve. Lei è Miss
Kofer?».
«Sì, sono io» rispose
Samantha,
guardandosi
intorno nella stanza vuota.
L’uomo le restituì la
patente. «Solo un minuto,
okay?»
«Certo.»
Cos’altro
poteva dire?
Da qualche parte nei
meandri della prigione,
voci si alzarono e si
abbassarono, poi cessarono
del tutto. Samantha inviò
un SMS a sua madre, uno a
suo padre e uno a Blythe.
Se il suo corpo non fosse
stato mai più ritrovato,
almeno loro sarebbero stati
al corrente di qualche
dettaglio.
La porta si riaprì e
nell’area di attesa entrò un
uomo giovane. Indossava
jeans sbiaditi, scarponi da
trekking,
un’elegante
giacca sportiva e niente
cravatta. Sorrise disinvolto.
«Lei è Samantha Kofer?»
«Sì.»
L’uomo
avvicinò
un’altra sedia di plastica e
si sedette accanto a
Samantha, le ginocchia che
quasi si toccavano. «Mi
chiamo Donovan Gray.
Sono il suo avvocato e l’ho
appena fatta prosciogliere
da
tutte
le
accuse.
Suggerisco di andarcene di
qui
immediatamente.»
Parlando, le aveva passato
un biglietto da visita, che
Samantha
studiò.
Sembrava vero. Lo studio
era a Brady, in Main Street.
«Okay,
e
dove
andiamo?» chiese cauta
Samantha.
«A prendere la sua
auto.»
«E
quell’agente
di
polizia?»
«Le
spiegherò
per
strada.»
Si affrettarono a uscire e
a salire su una Jeep
Cherokee ultimo modello.
Acceso
il
motore,
Springsteen ruggì dallo
stereo, che Gray spense
subito.
Era
fra
i
trentacinque
e
i
quarant’anni,
ipotizzò
Samantha, con capelli neri
arruffati, barba di almeno
tre giorni e malinconici
occhi scuri. Mentre faceva
retromarcia,
Samantha
disse:
«Aspetti,
devo
mandare degli SMS ».
«Certo. Per qualche
chilometro avrà ancora
campo.»
Inviò un messaggio a
sua madre, al padre e a
Blythe, comunicando la
notizia che non era più in
carcere e che la situazione
sembrava
stesse
migliorando, considerate le
circostanze.
Non
preoccupatevi, non ancora.
Si sentiva più sicura, per il
momento.
Più
tardi
avrebbe
telefonato
e
spiegato.
Quando la città fu alle
loro spalle, l’avvocato
disse: «Romey non è
davvero un poliziotto, un
agente di polizia o una
persona
con
qualche
autorità. La prima cosa che
lei deve capire è che non
c’è del tutto con la testa, ha
un paio di viti allentate.
Forse più di un paio. Ha
sempre desiderato fare lo
sceriffo e così ogni tanto si
sente obbligato ad andare
in pattuglia, sempre nei
dintorni di Dunne Spring.
Se lei è di passaggio e
proviene da un altro Stato,
Romey se ne accorge
subito. Se la sua targa è,
poniamo, del Tennessee o
del North Carolina, Romey
non la disturba. Ma se lei
viene dal Nord, Romey si
eccita e può fare quello che
ha fatto a lei. È davvero
convinto di fare una cosa
buona portando dentro gli
automobilisti
indisciplinati, specie se
vengono dallo Stato di
New York e dal Vermont».
«Perché qualcuno non
lo ferma?»
«Oh, ci proviamo. Tutti
lo sgridano, ma non lo si
può
tenere
d’occhio
ventiquattr’ore al giorno. È
molto sfuggente e conosce
queste strade meglio di
chiunque altro. Di solito
ferma un automobilista
indisciplinato, magari un
povero disgraziato del
New Jersey, lo spaventa a
morte e poi lo lascia
andare. Nessuno lo viene
mai a sapere. Ma ogni
tanto si presenta al carcere
con qualcuno che ha
fermato e insiste perché
venga arrestato.»
«Non ci posso credere.»
«Romey non ha mai
fatto male a nessuno,
ma...»
«Ha sparato un colpo a
un altro automobilista. Mi
fischiano
ancora
le
orecchie.»
«Okay,
sembra
un
matto, come molti da
queste parti.»
«Allora rinchiudetelo.
Di sicuro ci sono delle
leggi che proibiscono il
sequestro di persona e
l’arresto illegale.»
«Romey è cugino dello
sceriffo.»
Samantha scosse la
testa.
«È vero» riprese Gray.
«Suo cugino è il nostro
sceriffo
da
tantissimo
tempo. Romey è molto
invidioso: una volta si è
addirittura
candidato
contro di lui. Ha avuto più
o meno dieci voti in tutta
la contea e questo lo ha
sconvolto. Ha cominciato a
fermare yankee a destra e a
manca finché non lo hanno
mandato via per qualche
mese.»
«Mandatelo
via
di
nuovo.»
«Non è così semplice.
Lei comunque è stata
fortunata che Romey non
l’abbia portata nel suo
carcere.»
«Il suo carcere?»
Donovan Gray stava
sorridendo, godendosi il
racconto. «Oh, sì. Circa
cinque anni fa, il fratello di
Romey trova una berlina
ultimo modello con targa
dell’Ohio
parcheggiata
dietro un granaio della
fattoria di famiglia. Si
guarda intorno, sente un
rumore e trova un tizio
dell’Ohio rinchiuso in uno
dei box dei cavalli. Salta
fuori che Romey aveva
dotato il box di rete
metallica e filo spinato, e
che quel poveraccio era là
dentro da tre giorni. Aveva
parecchia
roba
da
mangiare ed era sistemato
molto comodamente. Disse
che Romey andava a
vedere
come
stava
parecchie volte al giorno e
che non avrebbe potuto
essere più gentile.»
«Se lo sta inventando.»
«Per niente. Romey non
stava prendendo i suoi
farmaci e attraversava un
brutto
periodo.
La
situazione precipitò. Il tizio
dell’Ohio scatenò l’inferno
e assunse degli avvocati,
che citarono in giudizio
Romey per detenzione
illegale e un mucchio di
altri reati, ma la causa non
portò a niente. Romey non
possiede beni, a parte la
sua autopattuglia, per cui
una causa civile è inutile.
Insistettero perché venisse
accusato di sequestro di
persona e tutto il resto, e
alla fine Romey si dichiarò
colpevole in cambio di
un’accusa più lieve. Scontò
trenta giorni di carcere,
non il suo carcere, quello
di
contea,
poi
lo
rimandarono nel centro di
igiene mentale dello Stato
per una messa a punto.
Non è una cattiva persona,
dico sul serio.»
«No,
un
vero
incantatore.»
«Francamente,
alcuni
poliziotti di qui sono più
pericolosi di lui. A me
Romey è simpatico. Una
volta mi sono occupato di
un caso per suo zio. Met.»
«Met?»
«Metanfetamina
in
cristalli. Dopo il carbone, è
probabilmente la fonte di
reddito più importante da
queste parti.»
«Posso chiederle una
cosa
che
potrebbe
sembrare
un
po’
personale?»
«Certo. Sono il suo
avvocato, mi può chiedere
qualunque cosa.»
«Perché tiene lì quella
pistola?» Samantha indicò
con un cenno della testa il
ripiano appena sotto il suo
gomito sinistro, dove, in
piena vista, c’era una
pistola nera, piuttosto
grossa.
«È legale. Mi procuro
sempre un sacco di
nemici.»
«Che tipo di nemici?»
«Io faccio causa alle
società del carbone.»
Samantha ritenne che
una spiegazione avrebbe
richiesto parecchio tempo,
così fece un respiro
profondo e si mise a
guardare la strada. Dopo il
racconto delle avventure di
Romey,
Donovan
sembrava soddisfatto di
godersi
il
silenzio.
Samantha si rese conto che
non le aveva ancora
chiesto cosa ci facesse a
Noland County, l’ovvia
domanda. All’altezza di
Thack’s Bridge, Donovan
fece inversione al centro
della strada e si fermò
dietro la Prius.
«Allora, le devo una
parcella?»
«Certo. Una tazza di
caffè» rispose Donovan.
«Caffè, da queste parti?»
«Sì, c’è un bel caffè in
città. Mattie è in tribunale
e
probabilmente
sarà
impegnata fino alle cinque,
per cui lei ha un po’ di
tempo da far passare.»
Samantha
avrebbe
voluto dire qualcosa, ma le
mancarono
le
parole.
Donovan
continuò:
«Mattie è mia zia. È lei la
ragione
per
cui
ho
frequentato la scuola di
legge ed è stata lei ad
aiutarmi per tutta la durata
degli studi. Ho lavorato
nel suo centro quando ero
studente e poi per altri tre
anni dopo avere superato
l’esame di ammissione
all’ordine. Adesso lavoro
in proprio».
«E Mattie le ha detto che
io mi sarei presentata per
un colloquio?» Per la
prima volta, Samantha
notò la fede all’anulare di
Donovan.
«Una coincidenza. La
mattina
presto
faccio
spesso un salto da lei in
ufficio per una tazza di
caffè e due chiacchiere. Mi
ha parlato di tutte quelle email
di
avvocati
newyorkesi che tutto a un
tratto
vogliono
fare
volontariato e mi ha detto
che uno di loro forse si
sarebbe fatto vivo oggi per
un colloquio. È divertente
per gli avvocati di qui
vedere colleghi dei grandi
studi scappare verso le
montagne,
le
nostre
montagne. Poi è capitato
che fossi al carcere per
parlare con un cliente
quando il suo amico
Romey è arrivato con un
nuovo trofeo. Ed eccoci
qui.»
«Non
avevo
in
programma di tornare a
Brady.
Anzi,
stavo
pensando di fare dietrofront su quella piccola
macchinina
rossa
e
scappare via di qui.»
«Be’, rallenti quando
passa da Dunne Spring.»
«Non si preoccupi.»
Una pausa, lo sguardo
fisso sulla Prius. Poi
Donovan disse: «Okay,
offro io il caffè. Credo che
le
piacerà
conoscere
Mattie. Non la biasimo se
se ne vuole andare, ma le
prime impressioni sono
spesso sbagliate. Brady è
una cittadina simpatica e
Mattie ha un mucchio di
clienti ai quali il suo aiuto
servirebbe molto».
«Non ho portato la
pistola.»
Donovan sorrise. «Non
la porta neppure Mattie.»
«Che tipo di legale è
Mattie?»
«Un grande avvocato,
totalmente dedita ai suoi
clienti, nessuno dei quali
può pagarla. Faccia un
tentativo. Almeno parli
con lei.»
«La
mia
specializzazione
è
finanziare grattacieli a
Manhattan. Non sono
sicura di essere tagliata per
il lavoro di Mattie, quale
che sia.»
«Imparerà in fretta, e il
lavoro le piacerà perché le
permetterà
di
aiutare
persone che hanno bisogno
di
lei,
persone
con
problemi veri.»
L’istinto di Samantha le
diceva: scappa! Ma dove,
esattamente? Lo spirito di
avventura la convinse
almeno a rivedere la città.
Se il suo avvocato era
armato di pistola, quella
non era già una misura di
protezione?
«Ci sto» disse. «Lo
consideri
come
il
pagamento
della
sua
parcella.»
«Okay, mi segua.»
«Devo
preoccuparmi
per Romey?»
«No, ho fatto due
chiacchiere con lui. Così
come suo cugino. Stia solo
attaccata al mio paraurti.»
Un rapido giro di Main
Street rivelò sei isolati di
edifici fine secolo, un
quarto dei quali vuoti e
con
sbiaditi
cartelli
VENDESI fissati alle finestre.
Lo studio di Donovan era a
due piani con grandi
finestre, un balcone che
sporgeva sul marciapiede e
il nome scritto in caratteri
piccoli. Sul lato opposto
della strada, a tre isolati di
distanza, c’era il vecchio
negozio di ferramenta, ora
sede della Mountain Legal
Aid Clinic. E all’estremità
ovest c’era un piccolo e
grazioso tribunale, sede
della maggior parte delle
autorità che governavano
Noland County.
Entrarono nel Brady
Grill e si sedettero in un
séparé quasi in fondo al
locale. Passando accanto a
un tavolo, tre uomini
guardarono in cagnesco
Donovan, il quale sembrò
non
badarci.
Una
cameriera servì il caffè.
Samantha si piegò in
avanti e disse a bassa voce:
«Quei tre uomini... non
sembrano trovarla molto
simpatico. Li conosce?».
Donovan
lanciò
un’occhiata sopra la spalla,
annuì e rispose: «Io
conosco tutti gli abitanti di
Brady e credo che circa la
metà mi odi ferocemente.
Come dicevo, io faccio
causa alle società del
carbone, e da queste parti
il carbone è il principale
datore di lavoro. È il
principale datore di lavoro
in tutti gli Appalachi».
«E perché fa causa a
quelle società?»
Donovan sorrise, bevve
un sorso di caffè e diede
un’occhiata
all’orologio.
«Potrebbe volerci un po’ di
tempo.»
«Non è che sia così
impegnata.»
«Be’,
le
società
minerarie creano un sacco
di problemi. Ce ne sono
due o tre decenti, ma la
maggior parte di loro non
si preoccupa minimamente
dell’ambiente
o
della
salute
dei
propri
dipendenti.
Estrarre
carbone è una faccenda
sporca, lo è sempre stata.
Ma oggi è molto peggio.
Ha mai sentito parlare di
rimozione della cima delle
montagne?»
«No.»
«È un procedimento
noto anche come strip
mining. Qui da noi si è
cominciato
a
estrarre
carbone nell’Ottocento, in
miniere
sotterranee:
scavavano gallerie nelle
montagne ed estraevano il
carbone. Da allora qui
l’industria mineraria è
stata un modo di vivere.
Mio nonno era minatore,
così come suo padre. Mio
padre invece è un’altra
storia. Comunque nel 1920
erano
ottocentomila
i
minatori che lavoravano
nei bacini carboniferi, dalla
Pennsylvania giù fino al
Tennessee. L’estrazione del
carbone è un mestiere
pericoloso e ha una lunga
storia di problemi di
lavoro, lotte sindacali,
violenza, corruzione, ogni
sorta di dramma. Parliamo
sempre di estrazione in
profondità,
il
metodo
tradizionale. Un metodo
che richiedeva parecchia
mano d’opera. Intorno al
1970, le società decisero
che potevano passare allo
strip mining e risparmiare
milioni in costi di mano
d’opera. Le miniere a cielo
aperto sono molto meno
costose
di
quelle
sotterranee
perché
richiedono un numero di
minatori di gran lunga
inferiore. Oggi non restano
che ottantamila minatori,
metà dei quali lavora nelle
miniere a cielo aperto.»
La cameriera passò
accanto
al
tavolo
e
Donovan si interruppe per
qualche istante. Bevve un
sorso di caffè, si guardò
intorno
con
aria
indifferente, aspettò che la
donna si allontanasse e poi
riprese a parlare: «La
rimozione della cima delle
montagne non è altro che
estrazione a cielo aperto
portata
alle
estreme
conseguenze.
Negli
Appalachi il carbone si
trova in vene, un po’ come
gli strati di una torta. In
cima alla montagna c’è la
foresta,
poi
c’è
il
soprassuolo, poi c’è uno
strato di roccia e infine c’è
il giacimento di carbone,
che
può
avere
uno
spessore di un metro, ma
anche di cinque o sei.
Quando
una
società
mineraria
ottiene
il
permesso di strip mining,
aggredisce letteralmente la
montagna con ogni tipo di
macchinario
pesante.
Prima di tutto abbatte gli
alberi:
totale
deforestazione. Gli alberi
vengono rimossi con i
bulldozer e il terreno viene
in
pratica
scotennato.
Stessa cosa per lo strato del
soprassuolo, che non è
molto spesso. Poi c’è lo
strato di roccia, che viene
fatto saltare con gli
esplosivi. Gli alberi, il
terriccio e le rocce vengono
spesso buttati nelle valli tra
le
montagne,
creando
quelli
che
vengono
chiamati riempimenti delle
valli, i quali a loro volta
distruggono
la
vegetazione,
la
fauna
selvatica e i corsi d’acqua
naturali.
Ennesimo
disastro ambientale. Se
vivi a valle, sei fottuto. E,
come vedrà, da queste
parti viviamo tutti a valle».
«E tutto questo è
legale?»
«Sì e no. Lo strip mining
è legale in virtù di una
legge federale, ma il
processo estrattivo vero e
proprio comporta molte
attività illegali. Abbiamo
una lunga, brutta storia di
legislatori e controllori
troppo amici delle società
minerarie. La realtà è
sempre la stessa: le società
se
ne
fregano
completamente
del
territorio e della gente
perché hanno i soldi e il
potere.»
«Tornando
in
argomento:
eravamo
arrivati al giacimento di
carbone.»
«Sì,
ecco,
appena
trovano il carbone fanno
arrivare altri macchinari, lo
estraggono, lo portano via
e poi procedono con le
esplosioni
fino
al
giacimento
successivo.
Non
è
insolito
che
rimuovano centocinquanta
metri dalla cima di una
montagna.
L’operazione
richiede
un
numero
limitato di operai. In
effetti, una squadra di
poche
persone
può
distruggere
completamente
una
montagna nel giro di
qualche
mese.»
La
cameriera riempì di nuovo
le tazze di caffè e Donovan
osservò
in
silenzio,
ignorandola del tutto.
Quando la donna si fu
allontanata, si sporse un
po’ in avanti e disse: «Una
volta portato via dai
camion, il carbone viene
lavato, e questo è un altro
disastro. Il lavaggio del
carbone
produce
una
melma nera che contiene
sostanze chimiche tossiche
e metalli pesanti. Questa
melma è conosciuta anche
come
fanghiglia,
un
termine che sentirà spesso.
Dato che non può essere
smaltita,
le
società
carbonifere la stoccano in
quelli che si definiscono
bacini di fanghiglia, dietro
pareti-dighe di terra. La
loro
progettazione
e
realizzazione
lasciano
molto a desiderare, di
conseguenza le dighe non
fanno che cedere di
continuo, con risultati
catastrofici».
«Per quanto tempo la
fanghiglia
resta
nei
bacini?»
Donovan si strinse nelle
spalle e si guardò intorno.
Non
era
nervoso
o
spaventato, semplicemente
non voleva farsi sentire.
Era calmo, eloquente, con
il leggero accento nasale
delle montagne; Samantha
era affascinata, sia dal
racconto che dagli occhi
scuri.
«Per sempre: nessuno se
ne preoccupa. La tengono
nel bacino finché la diga
non
cede
e
allora
un’ondata di schifezze
tossiche si riversa giù dalla
montagna e arriva nelle
case, nelle scuole e nelle
città, distruggendo tutto.
Lei sicuramente ricorderà
il famoso disastro della
Exxon
Valdez,
la
superpetroliera che andò a
incagliarsi in una scogliera
in
Alaska.
Più
di
centotrenta milioni di litri
di petrolio greggio sversati
in acque incontaminate.
Prima pagina su tutti i
giornali per settimane e
l’intero paese incazzato.
Ricorda tutte quelle lontre
coperte di melma nera? Ma
scommetto che non ha mai
sentito
parlare
dello
sversamento di Martin
County, il più grande
disastro ambientale a est
del Mississippi. È successo
otto anni fa in Kentucky,
quando le pareti di
contenimento
di
un
deposito di scorie hanno
ceduto e un miliardo e
trecentosessanta milioni di
litri di fanghiglia si sono
riversati a valle. Dieci volte
più della Valdez, e per tutto
il paese è stato un non
evento. E sa perché?»
«Okay, perché?»
«Perché siamo negli
Appalachi.
Le
società
minerarie distruggono le
nostre montagne, le città,
la cultura e le vite umane,
ma non fa notizia.»
«Allora perché quei tizi
la odiano tanto?»
«Perché sono convinti
che il grande affare del
carbone sia una buona
cosa. Dà lavoro, e da
queste parti di lavoro ce
n’è poco. Non sono cattive
persone, sono solo male
informate e mal guidate.
La rimozione della cima
delle
montagne
sta
uccidendo
le
nostre
comunità. Da sola ha
cancellato
decine
di
migliaia di posti di lavoro.
La gente è costretta a
lasciare le proprie case a
causa delle esplosioni,
delle
polveri,
della
fanghiglia
e
delle
inondazioni. Le strade non
sono sicure per via di quei
grossi
camion
che
scendono a tutta velocità
dalle montagne. Negli
ultimi cinque anni ho
intentato cinque cause per
risarcimento danni da
omicidio colposo, persone
schiacciate da camion che
trasportavano
novanta
tonnellate
di
carbone.
Molte
città
sono
semplicemente svanite nel
nulla. Spesso le società
minerarie acquistano le
case circostanti il sito e le
abbattono. Tutte le contee
dell’area
carbonifera
hanno perso abitanti nel
corso
degli
ultimi
vent’anni. Eppure un sacco
di persone, compresi i tre
gentiluomini seduti là,
pensano che pochi posti di
lavoro siano meglio che
nessun posto di lavoro.»
«Se
quelli
sono
gentiluomini, allora perché
lei gira con una pistola?»
«Perché si sa che alcune
società
minerarie
si
servono
di
gorilla.
Parliamo di intimidazione,
o anche peggio, e non è
niente di nuovo. Senta,
Samantha, io sono figlio
del paese del carbone, un
montanaro fiero di esserlo,
e potrei raccontarle per ore
episodi della sanguinosa
storia di Big Coal.»
«Teme veramente per la
sua vita?»
Donovan fece una pausa
e distolse lo sguardo per
un secondo. «Lo scorso
anno a New York sono
stati commessi circa mille
omicidi. Lei teme per la
sua vita?»
«Non proprio.»
Donovan sorrise, annuì
e disse: «Per me è la stessa
cosa. Abbiamo avuto tre
omicidi l’anno scorso, tutti
collegati
alla
metanfetamina.
Bisogna
solo stare attenti». Nella
tasca gli vibrò il cellulare.
Donovan lo estrasse, lesse
il messaggio e annunciò:
«È Mattie. È uscita dal
tribunale, sta tornando in
studio ed è pronta a
incontrarla».
«Un momento, come fa
Mattie a sapere che sono
con lei?»
«Questa è una piccola
città, Samantha.»
6
Camminarono lungo il
marciapiede
fino
allo
studio
di
Donovan,
davanti
al
quale
si
salutarono stringendosi la
mano. Samantha ringraziò
il collega per l’attività
gratuita in veste di suo
legale e si complimentò
per il lavoro ben fatto. Si
promisero, nel caso lei
avesse deciso di trattenersi
in città per qualche mese,
di pranzare insieme al
Brady Grill, un giorno o
l’altro.
Mancavano
pochi
minuti alle diciassette
quando
Samantha
si
affrettò ad attraversare la
strada, non sulle strisce
pedonali
e
quasi
aspettandosi di essere
arrestata
per
questo.
Guardò verso ovest, dove
le montagne stavano già
bloccando il sole del tardo
pomeriggio. Le ombre
consumavano la città,
dandole un’atmosfera da
inverno precoce. Samantha
entrò nello stipato ingresso
del centro di assistenza
legale facendo tintinnare il
campanello della porta.
Una scrivania ingombra
indicava che di solito in
quella postazione c’era
qualcuno che rispondeva
al telefono e accoglieva i
clienti, ma al momento
l’area di ricevimento era
deserta.
Samantha
si
guardò intorno, aspettò,
esaminò l’ambiente. La
pianta dello studio era
semplice:
uno
stretto
corridoio si sviluppava al
centro di quello che per
decenni
era
stato
l’indaffarato dominio del
negozio di ferramenta.
Tutto aveva l’aria, e dava
la sensazione, di essere
vecchio e molto usato. La
pareti
erano
divisori
imbiancati
che
non
arrivavano al soffitto in
pannelli
di
rame.
I
pavimenti erano coperti da
una sottile moquette lisa.
L’arredamento, per lo
meno lì dove si trovava,
era
una
collezione
raccogliticcia di avanzi da
mercatino dell’usato. Alle
pareti, però, era appesa
un’interessante serie di oli
e pastelli di artisti locali,
tutti in vendita a prezzi
ragionevoli.
Le opere d’arte. L’anno
precedente tra i soci di
Scully & Pershing era
scoppiata una guerra a
proposito della proposta di
un arredatore di spendere
due milioni di dollari per
alcuni sconcertanti dipinti
d’avanguardia
da
appendere
nell’atrio
principale dello studio.
Alla fine l’arredatore era
stato cacciato via, i quadri
erano stati dimenticati e la
somma era stata distribuita
in bonus.
A metà del corridoio si
aprì una porta e comparve
una donna bassa, un po’
tarchiata
e
scalza.
«Immagino che lei sia
Samantha»
disse,
andandole incontro. «Sono
Mattie Wyatt. Ho saputo
che le è stato riservato un
benvenuto
piuttosto
scortese a Noland County.
Mi dispiace davvero.»
«Lieta di conoscerla»
disse
Samantha,
osservando gli occhiali da
lettura quadratie di un
rosa acceso sulla punta del
naso di Mattie. Il rosa degli
occhiali riprendeva quello
delle punte dei capelli, che
erano corti, a ciuffi irti e
decolorati in un bianco
severo. Era uno stile che
Samantha non aveva mai
visto, ma che sembrava
funzionare,
almeno
lì
dentro. Naturalmente a
Manhattan aveva visto
look anche molto più
bizzarri, ma mai su un
avvocato.
«Da questa parte» disse
Mattie,
indicando
il
proprio ufficio. Una volta
entrate, chiuse la porta e
aggiunse: «Immagino che
quel pazzo di Romey
dovrà fare del male a
qualcuno perché lo sceriffo
si decida a prendere una
decisione. Mi dispiace
molto. Si accomodi».
«È tutto okay. Sto bene,
e adesso ho una storia che
sono sicura racconterò per
molti anni.»
«Questo è certo, e se
resta da queste parti di
storie
ne
collezionerà
parecchie. Gradisce un
caffè?» Mattie si lasciò
cadere sulla sedia a
dondolo
dietro
una
scrivania che sembrava
perfettamente organizzata.
«No, grazie. Ho appena
preso un caffè con suo
nipote.»
«Sì, naturalmente. Sono
contenta
che
abbia
conosciuto Donovan. È
uno dei pochi svegli da
queste parti. Sa, in pratica
l’ho cresciuto io. Tragedia
familiare e quello che ne
consegue.
Donovan
è
totalmente dedito al suo
lavoro.
Ed
è
anche
abbastanza gradevole da
guardare, non le pare?»
«È simpatico» rispose
cauta Samantha, restia a
fare commenti sull’aspetto
di Donovan e decisa a
tenersi alla larga dalla sua
tragedia familiare.
«Comunque, eccoci qui.
Domani dovrei incontrare
un altro reietto di Wall
Street, e con quello chiudo.
Non ho molto tempo da
perdere
in
colloqui,
capisce. Oggi ho ricevuto
altre quattro e-mail, ma ho
smesso di rispondere.
Vedrò quel tizio domani e
poi il nostro consiglio di
amministrazione si riunirà
per scegliere il vincitore.»
«Okay. Chi c’è nel
consiglio?»
«In
pratica
solo
Donovan e io. Abbiamo un
altro avvocato, Annette, e
dovrebbe
partecipare
anche lei ai colloqui, ma è
fuori città. Noi lavoriamo
con celerità, senza tanta
burocrazia. Se decidessimo
di scegliere lei, quando
potrebbe iniziare?»
«Non saprei. Le cose
stanno succedendo così in
fretta.»
«Pensavo che non fosse
molto occupata in questi
giorni.»
«È vero. Immagino che
potrei cominciare presto,
ma vorrei avere un giorno
o due per rifletterci su»
disse Samantha, cercando
di rilassarsi su una rigida
sedia
di
legno
che
sembrava inclinarsi ogni
volta che respirava. «Non
sono proprio sicura.»
«Okay,
non
c’è
problema. Non è che un
nuovo stagista faccia una
grande differenza qui
dentro. Sa, ne abbiamo già
avuti in passato. In effetti
tempo fa abbiamo avuto
per un paio d’anni un
soggetto molto in gamba:
veniva
dai
campi
carboniferi
e
aveva
frequentato la scuola di
legge a Stanford, poi è
stato assunto in un grande
studio di Philadelphia.»
«Cosa
faceva
qui
quell’avvocato?»
«Era una donna, Evelyn,
e si occupava di polmone
nero
e
sicurezza
in
miniera.
Grande
lavoratrice, molto brillante,
ma poi se n’è andata
lasciandoci una montagna
di pratiche aperte. Mi
chiedo se oggi sia in mezzo
a una strada anche lei. La
situazione deve essere
terribile da quelle parti.»
«Lo è. Mi scusi se glielo
dico, Ms Wyatt, ma...»
«Chiamami Mattie.»
«Okay, Mattie. Non mi
sembri molto entusiasta
all’idea di una stagista.»
«Oh, scusa, mi dispiace.
No, in realtà abbiamo
bisogno di tutto l’aiuto
possibile. Come ti ho detto
al telefono, qui non
mancano i poveracci con
problemi legali. Tutta
gente
che
non
può
permettersi un avvocato.
La disoccupazione è alta,
l’uso della metanfetamina
è anche più alto e le società
minerarie si dimostrano
brillanti quando si tratta di
trovare nuovi metodi per
fregare la gente. Credimi,
mia cara, abbiamo bisogno
di
qualsiasi
aiuto
riusciamo a trovare.»
«Cosa dovrei fare?»
«Di tutto. Da rispondere
al telefono ad aprire la
posta, a depositare gli atti
per cause federali. Il tuo
curriculum dice che sei
abilitata sia in Virginia che
nello Stato di New York.»
«Dopo la scuola di legge
ho fatto l’assistente di un
giudice a Washington e ho
superato
l’esame
di
ammissione all’ordine in
Virginia.»
«Hai mai visto un’aula
di tribunale negli ultimi tre
anni?»
«No.»
Mattie esitò per un
istante,
come
se
l’informazione
potesse
rappresentare la fine della
trattativa. «Be’, immagino
che sia una fortuna, in un
certo senso. E immagino
anche che tu non sia mai
stata neppure in prigione,
vero?»
«Non prima di oggi
pomeriggio.»
«Ah, giusto. Di nuovo
scusa per quello che ti è
successo. Imparerai in
fretta. Che tipo di lavoro
facevi a New York?»
Samantha
fece
un
respiro profondo e pensò a
come evitare la domanda
pur dicendo la verità. La
fantasia non le venne in
soccorso e rispose: «Ero
negli
immobili
commerciali,
roba
abbastanza
noiosa,
in
realtà.
Anzi,
incredibilmente
noiosa.
Rappresentavamo
un
branco di odiosi ricconi
che costruiscono grattacieli
su e giù lungo la Costa
orientale, soprattutto a
New York. Come associata
di medio livello, di solito
passavo il mio tempo a
revisionare gli accordi
finanziari con le banche,
contratti voluminosi che
dovevano essere preparati
e corretti da qualcuno».
Da sopra gli occhiali
quadrati rosa, gli occhi di
Mattie
offrirono
un’espressione di pura
pietà. «Sembra orribile.»
«Lo era. Lo è ancora,
credo.»
«Ti
senti
sollevata
adesso che sei lontana da
quella roba?»
«Se devo essere sincera,
Mattie, non so come mi
sento.
Un
mese
fa
arrancavo come tutti nella
corsa dei topi, sgomitando
e prendendo gomitate per
correre verso qualcosa,
qualcosa che non riesco
neppure a ricordare. Fuori
si stavano addensando
nubi
scure,
ma
noi
eravamo troppo occupati
per
accorgercene.
Poi
Lehman è crollata e per
due settimane ho avuto
paura della mia stessa
ombra.
Lavoravamo
ancora più sodo, nella
speranza che qualcuno se
ne
accorgesse,
nella
speranza che cento ore la
settimana
potessero
salvarci, se novanta ore
non
bastavano.
Poi
all’improvviso è finita e
siamo stati buttati tutti per
strada.
Niente
liquidazione, niente di
niente, se non qualche
promessa
che
dubito
qualcuno
possa
mantenere.»
Mattie sembrava sul
punto
di
piangere.
«Torneresti là?»
«In questo momento
non lo so. Non credo. Il
lavoro non mi piaceva, non
mi piaceva la maggior
parte della gente dello
studio e di sicuro non mi
piacevano
i
clienti.
Tristemente, la maggior
parte degli avvocati che
conosco prova le stesse
sensazioni.»
«Bene, mia cara, qui alla
Legal Aid Clinic noi
amiamo i nostri clienti e
loro amano noi.»
«Sono sicura che sono
molto migliori di quelli
con cui avevo a che fare
io.»
Mattie
diede
un’occhiata all’orologio, un
quadrante
giallo
vivo
assicurato al polso da un
cinturino in vinile verde, e
domandò:
«Che
programmi hai?».
Samantha si strinse
nelle spalle e scosse la
testa. «Non ci ho ancora
pensato.»
«Be’, di sicuro non puoi
tornare a Washington in
macchina questa sera.»
«Romey fa anche il
turno di notte? Le strade
sono sicure?»
Mattie ridacchiò e disse:
«Le strade sono insidiose.
Non
puoi
andare.
Cominciamo con la cena e
poi vediamo».
«No, sul serio, io non
posso...»
«Sciocchezze. Samantha,
sei negli Appalachi, in
mezzo alle montagne, e noi
non cacciamo via gli ospiti
all’ora di cena. Casa mia è
proprio dietro l’angolo e
mio marito è un cuoco
eccellente. Ci beviamo un
drink
in
veranda
e
facciamo due chiacchiere.
Ti racconterò tutto quello
che hai bisogno di sapere
di Brady.»
Mattie trovò le scarpe e
chiuse lo studio. Disse che
la Prius era al sicuro dove
si trovava, parcheggiata in
Main Street. «Io vado al
lavoro a piedi» continuò.
«È più o meno tutta la mia
attività fisica.» I negozi e
gli uffici erano chiusi. I due
caffè stavano servendo le
prime cene a clientele poco
numerose.
Mattie
e
Samantha camminarono in
salita sul fianco di una
collina, passando accanto a
bambini sui marciapiedi e
a gente seduta in veranda.
Dopo due isolati voltarono
in Third Street, una strada
alberata con una fila di
ordinate case fine secolo in
mattoni rossi, quasi tutte
identiche, con le verande
bianche e i tetti a due
spioventi.
Samantha
avrebbe voluto mettersi in
viaggio e raggiungere
velocemente
Abingdon,
dove allo svincolo aveva
notato diversi motel di
note catene. Ma non c’era
modo di rifiutare con
gentilezza l’ospitalità di
Mattie.
Chester Wyatt stava
leggendo il giornale su una
sedia a dondolo di vimini,
quando venne presentato a
Samantha. «Le ho detto
che sei un ottimo cuoco» lo
informò Mattie.
«Immagino
significhi
che devo preparare io la
cena» disse Chester con un
sorriso. «Benvenuta.»
«E sta morendo di
fame» aggiunse Mattie.
«Cosa ti andrebbe?»
chiese Chester.
«Mi va bene tutto»
rispose Samantha.
«Cosa ne dite di pollo al
forno
con
riso
alla
messicana?»
propose
Mattie.
«Proprio quello che
stavo pensando» confermò
Chester.
«Prima
ci
facciamo un bicchiere di
vino?»
Sorseggiarono
vino
rosso per un’ora, mentre
l’oscurità calava intorno a
loro. Samantha ci andava
piano, attenta a non bere
troppo perché preoccupata
del viaggio in auto per
andarsene
da
Noland
County. Brady sembrava
non avere né hotel né
motel e, considerando
l’aspetto decadente della
città, Samantha dubitava
di poter trovare una
camera decente da qualche
parte.
Chiacchierando,
sondò educatamente i
padroni di casa e venne a
sapere
che
i
Wyatt
avevano due figli adulti i
quali, dopo il college,
erano
scappati
dalla
regione. C’erano anche tre
nipotini, che Mattie e il
marito vedevano di rado.
Donovan era come un
figlio per loro. Chester era
un dipendente delle poste
in pensione che per
decenni aveva consegnato
lettere in zone rurali e
conosceva tutti. Adesso
faceva volontariato in un
gruppo ambientalista che
sorvegliava le miniere a
cielo aperto e sporgeva
denunce contro decine di
enti burocratici. Suo padre
e suo nonno erano stati
minatori. Il padre di Mattie
aveva
lavorato
nelle
miniere
di
carbone
sotterranee per trent’anni e
poi era morto a sessantun
anni a causa del polmone
nero. «Adesso io ho
sessantun anni» osservò
Mattie. «È stato orribile.»
Mentre
le
donne
chiacchieravano, Chester
andava avanti e indietro
dalla cucina, controllando
la cottura del pollo e
versando vino. Durante
un’assenza del marito,
Mattie
disse:
«Non
preoccuparti,
cara,
abbiamo una camera per
gli ospiti».
«No, davvero, io...»
«Per favore, insisto. In
città non c’è una sola
stanza decente, credimi.
Solo un paio di alberghi a
ore, ma anche loro stanno
per chiudere. Una cosa
triste, immagino. Una
volta la gente ci andava di
nascosto per un po’ di
sesso illecito, adesso invece
le persone vanno a vivere
insieme e giocano alla
famiglia.»
«Quindi si fa sesso da
queste parti?» domandò
Samantha.
«Spero proprio di sì.
Mia madre ha avuto sette
figli, la madre di Chester
sei. Non c’è molto altro da
fare qui. E in questo
periodo
dell’anno,
settembre e ottobre, i
neonati saltano fuori come
conigli.»
«Come mai?»
«Grandi manovre subito
dopo Natale.»
Chester varcò la porta a
zanzariera e chiese: «Di
cosa state parlando?».
«Di
sesso»
rispose
Mattie.
«Samantha
è
sorpresa che qui la gente
faccia sesso.»
«Qualcuno
lo
fa»
confermò Chester.
«Così ho sentito» disse
Mattie con un sorriso.
«Non ho sollevato io
l’argomento» si schermì
Samantha sulla difensiva.
«Mattie ha parlato di una
camera per gli ospiti.»
«Sì, ed è tutta tua.
Ricordati solo di chiudere
la porta a chiave e non ci
saranno problemi» scherzò
Chester,
scomparendo
dentro casa.
«È innocuo, credimi»
sussurrò Mattie.
Donovan passò per un
saluto e fortunatamente si
perse quella parte della
conversazione.
Abitava
“fuori città, in montagna”
e stava andando a casa
dopo il lavoro. Declinò
l’offerta di vino e se ne
andò dopo un quarto
d’ora. Sembrava distratto e
disse che era stanco.
«Poverino» commentò
subito dopo Mattie. «Lui e
sua
moglie
si
sono
separati, lei è tornata a
Roanoke con la figlia, una
bambina di cinque anni
che è forse la creatura più
carina che ti possa capitare
di vedere. Sua moglie,
Judy, non si è mai adattata
alla vita qui e a un certo
punto non ce l’ha più fatta.
Io non la vedo bene per
quei due. E tu, Chester?»
«No davvero. Judy è
una persona meravigliosa,
ma qui non è mai stata
felice. E poi, quando sono
cominciati i guai, è
crollata. È stato allora che
se n’è andata.»
La parola “guai” aleggiò
nell’aria
per
qualche
secondo e nessuno dei due
Wyatt
decise
di
approfondire l’argomento.
Poi Chester annunciò: «La
cena è pronta». Samantha
seguì i padroni di casa in
cucina, dove la tavola era
stata apparecchiata per tre.
Chester servì direttamente
dal forno: pollo al vapore
con riso e panini fatti in
casa. Mattie posò una
ciotola d’insalata al centro
del tavolo e versò l’acqua
da una grande caraffa di
plastica.
Evidentemente
era già stato servito
abbastanza vino.
«Ha
un
profumo
delizioso»
osservò
Samantha, scostando una
sedia
dal
tavolo
e
mettendosi a sedere.
«Serviti l’insalata» la
invitò
Mattie
mentre
imburrava un panino.
Cominciarono a mangiare
e per un momento la
conversazione
languì.
Samantha avrebbe voluto
mantenerla su argomenti
riguardanti i Wyatt, non
lei, ma prima che potesse
proporli, Chester disse:
«Parlaci della tua famiglia,
Samantha».
Lei sorrise e poi rispose
con gentilezza: «Be’, non
c’è molto da raccontare».
«Oh, ti aiutiamo noi»
intervenne Mattie con una
risata. «Sei cresciuta a
Washington, giusto? Deve
essere stato interessante.»
Samantha si limitò ai
punti principali: figlia
unica di due ambiziosi
avvocati,
educazione
privilegiata, scuole private,
studentessa a Georgetown,
i problemi di suo padre, la
condanna e la detenzione,
l’umiliazione della caduta
e della perdita di potere,
ampiamente riportata dai
media.
«Mi sembra di ricordare
la storia» disse Chester.
«Era su tutti i giornali.»
Samantha descrisse le sue
visite in prigione, una cosa
che il padre aveva sempre
scoraggiato. Il dolore del
divorzio, il desiderio di
andarsene da Washington,
lontano dai genitori, la
scuola di legge alla
Columbia,
l’impiego
federale, la seduzione di
Big Law e i tre anni da
Scully
&
Pershing,
tutt’altro che piacevoli.
Amava Manhattan e non
riusciva a immaginare di
vivere da nessun’altra
parte, ma ora il suo mondo
si
era
capovolto
e,
insomma, non c’era nulla
di certo nel suo futuro.
Mentre lei parlava, i Wyatt
la osservavano attenti e
assorbivano ogni parola.
Quando
ebbe
detto
abbastanza, addentò un
boccone di pollo e si
ripromise di masticarlo a
lungo.
«Di certo un modo
brutale di trattare la gente»
osservò Chester.
«Dipendenti
fidati
buttati per strada» disse
Mattie, scuotendo la testa
per l’incredulità e la
disapprovazione.
Samantha annuì e continuò
a masticare. Non aveva
bisogno
che
glielo
ricordassero.
Mentre
Chester versava l’acqua,
chiese: «Bevete solo acqua
in bottiglia?».
Per qualche ragione la
domanda venne ritenuta
divertente. «Oh, sì» rispose
Mattie. «Nessuno beve
l’acqua di qui. I nostri
impavidi amministratori ci
assicurano che si può fare
in tutta sicurezza, ma
nessuno ci crede. Con
quella dell’acquedotto ci
laviamo, laviamo piatti e
stoviglie,
facciamo
il
bucato. Qualcuno la usa
anche per lavarsi i denti,
ma non io.»
«Molti
dei
nostri
torrenti, fiumi e pozzi sono
stati
inquinati
dalle
miniere a cielo aperto»
disse Chester. «I corsi
d’acqua di sorgente sono
stati
sotterrati
dai
riempimenti delle valli. Le
fuoriuscite dai bacini di
fanghiglia avvelenano le
falde. Bruciare carbone
produce
tonnellate
di
cenere, che le società
scaricano nei nostri fiumi.
Per cui, Samantha, fammi
il favore di non bere
l’acqua del rubinetto.»
«Ho capito.»
«È una delle ragioni per
cui beviamo così tanto
vino» disse Mattie. «Anzi,
credo che me ne farò un
altro po’, Chester, se non ti
dispiace.» Chester, il quale
evidentemente era sia lo
chef che il barista, non
esitò ad afferrare una
bottiglia dal ripiano della
cucina. Dato che non
avrebbe guidato, Samantha
accettò un altro bicchiere.
Quasi all’istante, il vino
sembrò innescare Mattie,
che cominciò a parlare
della sua carriera e del
centro di assistenza legale
che aveva fondato ventisei
anni prima. Mentre lei
parlava,
Samantha
la
stimolò con un certo
numero
di
domande,
anche se Mattie non aveva
bisogno
di
essere
sollecitata.
Il calore della cucina
accogliente, il persistente
aroma del pollo, il sapore
del cibo casalingo, l’euforia
dovuta
al
vino,
la
cordialità di due persone
estremamente ospitali e la
promessa di un letto caldo
si fusero in un tutto unico
a metà della cena, e
Samantha
si
rilassò
davvero per la prima volta
da mesi. In città non
riusciva mai ad allentare la
tensione, ogni momento di
ozio
era
monitorato
dall’orologio.
Non
dormiva da tre settimane.
Entrambi i suoi genitori la
irritavano. Le sei ore
d’auto erano state per lo
più snervanti. Poi c’era
stato
l’episodio
con
Romey.
Finalmente
Samantha
sentiva
la
pesantezza abbandonare le
sue spalle. All’improvviso
aveva fame. Si servì altro
pollo, cosa che fece un
enorme piacere ai padroni
di casa.
«Prima, in veranda,
mentre
parlavamo
di
Donovan, avete accennato
ai “guai”. È un argomento
off-limits?»
I Wyatt si guardarono e
poi si strinsero entrambi
nelle spalle. Lo loro, dopo
tutto, era una piccola
cittadina ed erano ben
poche le cose off-limits.
Chester cedette subito il
passo e si versò altro vino.
Mattie allontanò il proprio
piatto. «Ha avuto una vita
tragica, Donovan.»
«Se è troppo personale,
possiamo lasciar perdere»
disse Samantha, ma solo
per cortesia. Voleva lo
scoop.
Mattie tirò dritto. Lasciò
perdere
l’offerta
di
Samantha e proseguì. «È
una storia risaputa, non c’è
niente di segreto» dichiarò,
spazzando via qualunque
ostacolo alle confidenze.
«Donovan è figlio di mia
sorella Rose, la mia
defunta sorella, purtroppo.
È morta quando lui aveva
sedici anni.»
«È una lunga storia»
aggiunse Chester, come se
la vicenda comportasse
troppe cose per poterla
spiegare
tutta
adeguatamente.
Mattie lo ignorò. «Il
padre di Donovan è un
uomo di nome Webster
Gray, che ancora vive da
qualche
parte.
Aveva
ereditato centoventi ettari
qui vicino, a Curry
County. La proprietà era
della famiglia Gray da
sempre, fin dai primi
dell’Ottocento. Bel terreno,
colline
e
montagne,
torrenti e valli. Tutto
splendido e incontaminato.
È lì che Donovan e suo
fratello Jeff sono nati e
cresciuti. Il padre e il
nonno, Curtis Gray, hanno
cominciato a portare i
ragazzi nei boschi appena
sono stati in grado di
camminare: a caccia, a
pesca, in esplorazione.
Come tanti ragazzini degli
Appalachi, Donovan e Jeff
sono cresciuti a contatto
con la terra. Qui da noi c’è
tanta bellezza naturale, o
quello che ne resta, ma la
proprietà
Gray
era
qualcosa di speciale. Dopo
che Rose sposò Webster,
andavamo sempre là per i
picnic e le riunioni di
famiglia. Rivedo ancora
Donovan, Jeff, i miei figli e
tutti i cugini nuotare nel
Crooked Creek, vicino al
nostro posto preferito per
il camping.» Una pausa,
un attento sorso di vino.
«Curtis morì nel 1980, mi
pare, e Webster ereditò la
proprietà. Curtis era un
minatore
che
aveva
lavorato nelle miniere
sotterranee, un sindacalista
tosto e orgoglioso di
esserlo, come la maggior
parte degli anziani di qui.
Ma non aveva mai voluto
che Webster lavorasse in
miniera. Webster, come
poi risultò, non era
interessato a nessun tipo di
lavoro e non faceva che
saltare da un impiego
all’altro,
senza
mai
concludere
molto.
La
famiglia era in difficoltà e
il matrimonio con Rose
cominciò
a
traballare.
Webster iniziò anche a
bere e questo causò altri
problemi. Una volta finì in
prigione sei mesi per
ricettazione e la famiglia
per poco non morì di fame.
Noi eravamo seriamente
preoccupati per loro.»
«Webster non era una
brava persona» commentò
Chester,
riaffermando
l’ovvio.
«Il punto più alto della
proprietà
era
Gray
Mountain: novecento metri
e pieno di alberi. Le società
minerarie sanno dove se ne
sta sepolto ogni singolo
chilo di carbone negli
Appalachi; hanno fatto i
rilievi geologici decenni fa.
E non era un segreto che
Gray Mountain avesse
alcuni dei giacimenti più
ricchi di questa zona. Nel
corso degli anni, Webster
aveva accennato all’idea di
affittare parte dei suoi
terreni
alle
società
minerarie, ma noi non gli
credevamo. Lo strip mining
era già cominciato e
suscitava
molta
preoccupazione.»
«Niente di paragonabile
a oggi, comunque» precisò
Chester.
«Oh, no, niente a
paragone
di
oggi.
Insomma,
senza
dire
niente alla sua famiglia,
Webster firmò un contratto
di affitto con una società di
Richmond, la Vayden
Coal, per una miniera a
cielo aperto a Gray
Mountain.»
«Non mi piace la
definizione “miniera a
cielo
aperto”»
disse
Chester. «Suona troppo
legale. Non è altro che strip
mining.»
«Webster
fu
molto
attento,
insomma,
quell’uomo non era uno
stupido. Vide la cosa come
la sua possibilità di fare
soldi veri e si trovò un
buon
avvocato
per
redigere
il
contratto.
Webster avrebbe incassato
due dollari per ogni
tonnellata di carbone, che a
quel tempo era molto di
più
di
quello
che
prendevano altri. Il giorno
prima che si presentassero
i
bulldozer,
Webster
finalmente disse a Rose e
ai ragazzi cosa aveva fatto.
Indorò
la
pillola,
assicurando che la società
mineraria sarebbe stata
tenuta
sotto
stretto
controllo
dagli
amministratori pubblici e
dagli avvocati, che il
terreno
sarebbe
stato
bonificato e ripristinato
una volta estratto il
carbone e che i tanti soldi
avrebbero
più
che
compensato
i
piccoli
problemi a breve termine.
Quella sera Rose mi
telefonò in lacrime. Qui da
noi chi vende la proprietà
alle società minerarie non è
tenuto
in
grande
considerazione
e
mia
sorella era terrorizzata
all’idea di quello che i suoi
vicini avrebbero pensato.
Era anche preoccupata per
la tenuta. Mi disse che
Webster e Donovan erano
in aperto conflitto, che la
situazione era terribile. E
quello era solo l’inizio. La
mattina dopo un piccolo
esercito di bulldozer si
inerpicò fino in cima a
Gray Mountain e diede
inizio a...»
«Allo
stupro
del
territorio»
concluse
Chester, scuotendo la testa.
«Sì,
e
non
solo.
Abbatterono la foresta,
rasa al suolo, e buttarono
migliaia di alberi nella
valle sottostante. Quindi
rimossero il soprassuolo e
lo buttarono di sotto, sopra
gli alberi. Poi, quando
cominciarono le esplosioni,
si
scatenò
l’inferno.»
Mattie bevve un sorso di
vino e fu Chester a
continuare il racconto. «I
Gray vivevano in una
vecchia casa meravigliosa
giù nella valle, vicino al
Crooked
Creek.
Apparteneva alla famiglia
da decenni, penso che il
padre di Curtis l’avesse
costruita ai primi del
Novecento. Le fondamenta
erano di pietra e poco
tempo dopo le pietre
cominciarono a spaccarsi.
Webster fece il diavolo a
quattro con la società
mineraria, ma fu una
perdita di tempo.»
Intervenne di nuovo
Mattie. «La polvere era
terribile, come una nebbia
sulle valli intorno alla
montagna. Rose era fuori
di sé e io andavo spesso da
lei. La terra tremava
parecchie volte al giorno
quando
c’erano
le
esplosioni.
La
casa
cominciò a inclinarsi, le
porte non si chiudevano
più. Inutile dire che fu un
incubo per la famiglia, e
per il matrimonio. Dopo
che la Vayden ebbe
rimosso la cima della
montagna, quasi cento
metri, trovarono il primo
giacimento,
e
quando
cominciarono a portare via
il
carbone,
Webster
sollecitò i suoi soldi. La
società prese tempo, poi
finalmente effettuò uno o
due
pagamenti.
Non
andavano neppure vicino a
quello che Webster si
aspettava. Fece intervenire
i suoi avvocati e questo
irritò sul serio la società
mineraria. La guerra era
iniziata e tutti sapevano
chi avrebbe vinto.»
Chester,
che
stava
scuotendo
la
testa
ripensando a quell’incubo,
disse:
«Il
torrente
scomparve,
sepolto
e
soffocato dal riempimento
della valle. È questo che
succede.
Negli
ultimi
vent’anni abbiamo perso
quasi duemila chilometri
di
sorgenti
negli
Appalachi. Orribile».
«Rose alla fine se ne
andò di casa» riprese
Mattie. «Lei e i ragazzi
vennero a stare con noi,
ma Webster si rifiutò di
andarsene. Beveva e si
comportava
come
un
pazzo. Se ne stava seduto
in veranda con il suo fucile
da
caccia
e
sfidava
chiunque della società ad
avvicinarsi.
Rose
era
preoccupata per lui, così
lei e i ragazzi tornarono a
casa. Webster promise di
riparare l’abitazione e
sistemare tutto appena
fossero arrivati i soldi.
Presentò
esposti
alle
autorità locali e intentò
causa alla Vayden, ma in
tribunale lo bloccarono. È
difficile battere una società
mineraria.»
«L’acqua del pozzo di
casa era contaminata dallo
zolfo»
disse
Chester.
«L’aria era sempre densa
di polvere a causa delle
esplosioni e dei camion del
carbone. Non era un posto
sicuro, così Rose se ne
andò di nuovo. Lei e i
ragazzi
rimasero
per
qualche settimana in un
motel, quindi tornarono da
noi e poi si spostarono da
qualche altra parte. La
faccenda durò più o meno
un anno, vero, Mattie?»
«Come minimo. Intanto
la montagna continuava a
rimpicciolirsi a mano a
mano che passavano da un
giacimento
a
quello
sottostante.
Vederla
scomparire faceva stare
male. Il prezzo del carbone
era alto, per cui quelli della
Vayden estraevano come
matti, sette giorni la
settimana con tutti i
macchinari e i camion
disponibili. Un giorno
Webster
ricevette
un
assegno
di
trentamila
dollari. Il suo avvocato lo
rispedì al mittente con un
reclamo rabbioso. Quello
fu l’ultimo assegno.»
«All’improvviso tutto
finì» disse Chester. «Il
prezzo del carbone crollò
vertiginosamente
e
la
Vayden scomparve dalla
sera
alla
mattina.
L’avvocato di Webster
presentò un conto di
quattrocentomila dollari,
unitamente
a
un’altra
citazione in giudizio. Circa
un mese dopo la Vayden
depositò un’istanza di
fallimento e scomparve
dalla scena. Si ristrutturò
creando una nuova società,
che è tuttora in giro. Di
proprietà
di
qualche
miliardario di New York.»
«Quindi la famiglia non
ne ricavò nulla?» domandò
Samantha.
«Non molto» rispose
Mattie. «Qualche piccola
somma all’inizio, ma solo
una frazione di ciò che
prevedeva il contratto.»
«È uno dei trucchi
preferiti
dalle
società
minerarie» disse Chester.
«Estraggono il carbone e
poi dichiarano bancarotta
per evitare i pagamenti e
gli obblighi di risanamento
ambientale. Ma prima o
poi rispuntano fuori. Stessi
orrendi personaggi, ma
nome e logo nuovi.»
«È
disgustoso»
commentò Samantha.
«No, è la legge.»
«Cosa successe alla
famiglia?»
Chester e Mattie si
scambiarono una lunga
occhiata triste. «Racconta
tu, Chester» disse Mattie, e
bevve un sorso di vino.
«Non molto tempo
dopo la partenza della
Vayden, ci furono grandi
piogge, e un’alluvione. Se
fiumi e torrenti sono
bloccati e sepolti, l’acqua
devia lungo altri percorsi.
Le alluvioni sono un
problema enorme, a dir
poco. Una valanga di
fango, alberi e terriccio si
riversò nella valle e spazzò
via la casa dei Gray:
distrutta,
e
i
detriti
sparpagliati per chilometri
a valle. Fortunatamente
non c’era nessuno, la casa a
quel
punto
era
già
inabitabile
e
neppure
Webster
osava
starci.
Un’altra
causa
legale,
un’altra perdita di tempo e
di denaro. Le leggi sulla
bancarotta sono come il
Teflon. Poi, in una giornata
di sole, Rose salì in auto,
andò a casa e trovò
qualche
pietra
delle
fondamenta. Scelse il posto
giusto e si suicidò.»
Samantha emise un
gemito, si passò una mano
sulla fronte e mormorò:
«Oh, no».
«Webster
scomparve,
per sempre. Le ultime voci
che abbiamo sentito su di
lui lo davano in Montana,
a fare chissà cosa. Jeff andò
a vivere con un’altra zia e
Donovan rimase qui con
noi fino al diploma del
liceo. Ha fatto tre diversi
lavori per mantenersi al
college. Al momento della
laurea sapeva esattamente
cosa voleva fare: diventare
avvocato e passare il resto
della vita a combattere le
società del carbone. Lo
abbiamo
aiutato
noi
durante la scuola di legge.
Mattie poi lo ha preso a
lavorare al centro e
qualche
anno
dopo
Donovan ha aperto uno
studio suo. Ha intentato
centinaia di cause e ha
attaccato
ogni
società
mineraria che abbia anche
solo pensato di attivare
una
strip
mine.
È
implacabile e non ha paura
di niente.»
«Ed
è
brillante»
aggiunse orgogliosamente
Mattie.
«Lo
è
senz’altro»
confermò Chester.
«Vince?»
I Wyatt tacquero e si
scambiarono un’occhiata
incerta. Poi Mattie rispose:
«Sì e no. È dura combattere
le società minerarie in
tribunale. Quella è gente
senza scrupoli. Mentono,
barano,
insabbiano
e
assumono grandi studi
legali come il tuo per fare
muro contro chiunque li
denunci. Donovan vince e
perde, ma è sempre
all’attacco».
«E naturalmente lo
odiano» aggiunse Chester.
«Oh, sì, questo è certo.
Ho detto che Donovan è
implacabile, giusto? Non
segue sempre le regole. Lui
accusa le società minerarie
di piegare le regole della
procedura legale, e di
conseguenza è costretto a
fare lo stesso.»
«Ed è stato questo a
causare i “guai”?» chiese
Samantha.
Fu Mattie a rispondere.
«Proprio così. Cinque anni
fa a Madison County, West
Virginia,
a
circa
centocinquanta chilometri
da qui, una diga cedette e
un muro di fanghiglia si
riversò a valle e sulla
cittadina
di
Prentiss.
Quattro persone morirono
e praticamente tutte le case
andarono distrutte, un
vero disastro. Donovan
accettò
il
caso,
fece
squadra con altri avvocati
ambientalisti
in
West
Virginia e intentò una
grossa causa federale. Si
ritrovò con la foto sui
giornali, i giornalisti sotto
casa e probabilmente parlò
troppo. Tra le altre cose,
definì la controparte come
“la più sudicia società di
tutta l’America”. Fu allora
che iniziò la persecuzione.
Telefonate
anonime.
Lettere minatorie. Brutti
ceffi
nell’ombra.
Cominciarono a seguirlo.
Cosa che continuano a
fare.»
«Donovan è pedinato?»
domandò Samantha.
«Oh,
sì»
confermò
Mattie.
«Allora è per questo che
va in giro con una pistola.»
«Pistole, al plurale. E sa
anche come usarle» precisò
Chester.
«Siete preoccupati per
lui?»
Chester
e
Mattie
trattennero a stento una
risatina. Chester disse:
«Non proprio. Donovan sa
quello che fa e sa badare a
se stesso».
«Cosa ne dite di una
tazza di caffè in veranda?»
propose Mattie.
«Certo, ci penso io» si
offrì Chester, alzandosi da
tavola. Samantha seguì
Mattie e si accomodò sulla
sedia a dondolo. L’aria era
quasi troppo fresca per
stare fuori. La strada era
silenziosa,
molte
case
erano già buie.
Incoraggiata dal vino,
Samantha chiese: «Come
andò la causa?».
«Si è conclusa l’anno
scorso.
Una
accordo
confidenziale che è ancora
segreto.»
«Ma se la causa è
conclusa,
perché
lo
seguono ancora?»
«Perché Donovan è il
loro nemico numero uno.
Gioca sporco quando deve
farlo, e le società minerarie
lo sanno.»
Chester si presentò con
il vassoio del caffè,
decaffeinato, e poi andò a
lavare i piatti. Dopo pochi
sorsi, e pochi minuti di
dolce dondolio, Samantha
stava quasi per appisolarsi.
«Ho una piccola borsa per
la notte in macchina. Devo
andare a prenderla.»
«Vengo con te» si offrì
Mattie.
«Non ci seguiranno,
vero?»
«No, mia cara, noi non
siamo una minaccia.»
Le
due
donne
scomparvero nel buio.
7
I due signori alla sua
destra bevevano whiskey e
discutevano febbrilmente
di come salvare Fannie
Mae, la Federal National
Mortgage Association. I tre
alla sua sinistra a quanto
pareva
lavoravano
al
Tesoro, che sembrava
essere
l’epicentro
del
collasso, e continuavano a
buttare giù martini, gentile
omaggio dei contribuenti.
In tutto il bar del Bistro
Venezia non si parlava
d’altro che della fine dei
tempi. Uno spaccone alle
sue spalle stava riferendo,
a
tutto
volume,
la
conversazione che aveva
avuto
proprio
quel
pomeriggio con un esperto
consulente della campagna
McCain/Palin, sul quale
aveva scaricato un’ondata
di validi consigli che,
temeva, sarebbero stati del
tutto ignorati. Due baristi
si dolevano per il crollo del
mercato azionario, quasi
stessero perdendo milioni.
Qualcuno
azzardò
previsioni
sull’operato
della Fed. Bush veniva
consigliato male. Obama
stava
crescendo
nei
sondaggi. Goldman aveva
bisogno di denaro fresco.
Gli
ordinativi
delle
industrie
cinesi
erano
crollati
in
maniera
drammatica.
Al
centro
della
tempesta,
Samantha
sorseggiava una bibita
dietetica e aspettava suo
padre, che era in ritardo.
Le venne in mente che
nessuno a Brady le era
sembrato
neppure
remotamente consapevole
del fatto che il mondo era
sull’orlo di una catastrofica
depressione.
Forse
le
montagne proteggevano la
cittadina, tenendola isolata
e al sicuro. O forse la vita a
Brady era depressa da così
tanto tempo che un crollo
in più non aveva molta
importanza. Il cellulare
vibrò e Samantha lo
estrasse dalla tasca. Era
Mattie Wyatt.
«Samantha,
com’è
andato il viaggio?»
«Bene, grazie. Sono a
Washington adesso.»
«Ottimo.
Senti,
il
consiglio si è appena
riunito
e
ha
votato
all’unanimità per offrire a
te il posto di stagista. Oggi
pomeriggio ho parlato con
l’altro
candidato,
un
ragazzo piuttosto nervoso
che viene dal tuo stesso
studio: non ci interessa. Mi
ha dato l’impressione di
essere solo di passaggio,
probabilmente è saltato in
macchina e ha continuato a
guidare verso un posto
qualsiasi lontano da New
York. Non scommetterei
sul
suo
equilibrio.
Comunque, Donovan e io
non abbiamo visto molto
potenziale in lui e gli
abbiamo detto subito di
no. Tu quando puoi
cominciare?»
«Il
candidato
ha
incontrato Romey?»
Mattie
ridacchiò
e
rispose: «Non credo».
«Devo andare a New
York a prendere alcune
cose. Sarò da te lunedì.»
«Eccellente. Chiamami
tra un giorno o due.»
«Grazie, Mattie. Ho
voglia di cominciare.»
Vide
suo
padre
dall’altro lato della sala e si
allontanò dal bar. Una
hostess li guidò a un tavolo
d’angolo e consegnò i
menu. Il ristorante era
affollatissimo e chiacchiere
nervose rimbombavano da
ogni direzione. Un minuto
dopo, un direttore di sala
in smoking si avvicinò e
annunciò in tono grave:
«Sono davvero spiacente,
ma abbiamo bisogno di
questo tavolo».
Marshall reagì seccato:
«Prego?».
«Per favore, signore.
Abbiamo un altro tavolo
per voi.»
In quel momento un
corteo di SUV neri si fermò
in N Street davanti al
ristorante. Gli sportelli si
spalancarono e un esercito
di agenti si rovesciò sul
marciapiede. Samantha e
Marshall si allontanarono
dal tavolo, osservando,
come
tutti,
il
circo
all’esterno. Spettacoli del
genere erano comuni a
Washington e in quel
momento tutti stavano
formulando ipotesi. Che
fosse il presidente? Dick
Cheney? Con quale pezzo
grosso potremo dire di
avere cenato? Finalmente
emerse il VIP , che venne
scortato all’interno del
locale dove i clienti,
improvvisamente
immobili, aspettavano a
bocca aperta.
«Chi
accidenti
è
quello?»
domandò
qualcuno.
«Mai visto prima.»
«Oh, credo che sia
quell’israeliano,
l’ambasciatore.»
Dal ristorante si alzò un
notevole
flusso
d’aria
appena gli avventori si
resero conto che tutta
quella scena era per una
celebrità di secondo piano.
Anche se del tutto ignoto,
il VIP era evidentemente un
potenziale bersaglio. Il suo
tavolo – l’ex tavolo dei
Kofer – venne spinto in un
angolo e protetto con
divisori materializzati dal
nulla. Ogni ristorante serio
di Washington ha in
magazzino divisori di
piombo, giusto? Il VIP si
sedette
con
la
sua
compagna e cercò di
assumere un’aria normale,
il tipico uomo medio uscito
a cena per un boccone
veloce. Nel frattempo i
suoi
gorilla
armati
pattugliavano
il
marciapiede
e
sorvegliavano N Street per
bloccare
eventuali
attentatori suicidi.
Marshall maledisse il
direttore del ristorante e
disse
alla
figlia:
«Andiamocene di qui. A
volte odio questa città».
Camminarono per tre
isolati lungo Wisconsin
Avenue e trovarono un
pub
trascurato
dai
jihadisti. Samantha ordinò
un’altra bibita dietetica e
Marshall
una
doppia
vodka.
«Allora,
cos’è
successo
laggiù?»
Al
telefono aveva già fatto il
quarto grado a Samantha,
che però aveva voluto
tenere da parte la sua
storia
per
una
conversazione faccia a
faccia.
Sorrise e cominciò con
Romey. A metà del
racconto, si accorse di
quanto si stesse godendo
l’avventura. Marshall era
incredulo e voleva fare
causa a qualcuno, ma si
calmò dopo qualche sorso
di vodka. Ordinarono
pizza,
e
Samantha
descrisse la cena con
Mattie e Chester.
«Non vorrai sul serio
andare a lavorare là,
vero?» disse Marshall.
«Ho ottenuto il posto.
Proverò per qualche mese.
Se mi annoio, torno a New
York e vado a vendere
scarpe da Barneys.»
«Non hai bisogno di
vendere scarpe e non hai
bisogno di fare assistenza
legale gratuita. Quanto hai
in banca?»
«Abbastanza
da
sopravvivere. Tu quanto
hai in banca?»
Marshall aggrottò la
fronte e ordinò un altro
drink. Samantha insistette:
«Parecchio,
vero?
La
mamma è convinta che tu
abbia nascosto miliardi
offshore e che l’abbia
fregata nel divorzio. È
così?».
«No, non è vero. Ma
anche se fosse, pensi che lo
ammetterei?»
«No,
mai.
Negare,
negare, negare: non è la
prima regola dell’avvocato
penalista?»
«Non
saprei.
E
comunque, io ho ammesso
i miei reati e mi sono
dichiarato colpevole. Cosa
ne sai tu di diritto penale?»
«Niente,
ma
sto
imparando. Tanto per
cominciare, sono stata
arrestata.»
«Be’, io anche, e non lo
augurerei a nessuno. Se
non altro, tu hai evitato le
manette. Cos’altro dice tua
madre di me?»
«Niente di buono. Da
qualche parte in fondo al
mio cervello sovraffaticato
c’è questa fantasia di noi
tre seduti per una bella
cena in un ristorante
delizioso. Non come una
famiglia, Dio non voglia,
ma come tre adulti che
potrebbero forse avere un
paio di cose in comune.»
«Io ci sto.»
«Ma la mamma no.
Troppo rancore.»
«Come siamo finiti a
parlare
di
questo
argomento?»
«Non lo so. Scusami.
Hai mai fatto causa a una
società mineraria?»
Marshall fece tintinnare
i cubetti di ghiaccio nel
bicchiere e rifletté per un
secondo. Aveva intentato
causa a così tante società
importanti... «No, non
credo»
ammise
tristemente.
«La
mia
specialità erano i disastri
aerei, ma Frank, uno dei
miei soci, una volta è stato
coinvolto in una causa
relativa al carbone. Un
disastro ambientale per
quelle
schifezze
che
tengono nei bacini. Frank
non ne parla molto, e
questo
probabilmente
significa che ha perso.»
«La schifezza si chiama
melma, o fanghiglia, scegli
tu. Si tratta di scorie
tossiche, sottoprodotti del
processo di lavaggio del
carbone. Le società le
stoccano dietro dighe di
terra dove restano a
marcire
per
anni,
infiltrandosi nel terreno e
contaminando
l’acqua
potabile.»
«Santo cielo, adesso sai
tutto.»
«Oh,
ho
imparato
parecchio nelle ultime
ventiquattr’ore.
Tu
lo
sapevi che alcune contee
nelle zone carbonifere
hanno il più alto tasso di
cancro del paese?»
«Sembra
materiale
buono per una causa.»
«È difficile vincere una
causa, laggiù, perché il
carbone regna sovrano e
molti giurati simpatizzano
con le società.»
«È
meraviglioso,
Samantha. Adesso stiamo
parlando di professione
legale
vera,
non
di
costruzione di grattacieli.
Sono orgoglioso di te.
Facciamo
causa
a
qualcuno.»
Arrivò la pizza, che
mangiarono direttamente
dalla piastra di cottura.
Passò
una
formosa
brunetta in gonna corta e
Marshall
le
lanciò
istintivamente
uno
sguardo
interessato,
smettendo per un secondo
di masticare. Poi si riprese
e cercò di comportarsi
come se nulla fosse. «Che
tipo di lavoro farai?»
domandò impacciato, un
occhio ancora sulla gonna.
«Hai sessant’anni e lei
ha più o meno la mia età.
Quando la smetterai?»
«Mai. Cosa c’è di male a
guardare?»
«Non lo so. Immagino
che sia il primo passo.»
«Samantha, tu proprio
non capisci gli uomini.
Guardare è automatico e
inoffensivo.
Tutti
guardiamo, dài.»
«Quindi, non puoi farne
a meno?»
«No. E perché stiamo
parlando
di
questo?
Preferirei discutere di
cause alle società del
carbone.»
«Non ho altro da
aggiungere. Ti ho detto
tutto quello che so.»
«Farai causa?»
«Ne dubito. Però ho
conosciuto un tale che si
occupa
solo
di
casi
riguardanti il carbone. La
sua famiglia è stata
distrutta da una strip mine
quando era ancora un
ragazzino e ora vuole
vendetta. Gira con una
pistola. L’ho vista.»
«Un tale? Ti piace?»
«È sposato.»
«Bene. Preferirei che tu
non ti innamorassi di un
montanaro. Perché gira
armato?»
«Credo che laggiù lo
facciano in molti. Lui dice
che le società minerarie
non lo trovano molto
simpatico e che nel settore
c’è una lunga storia di
violenze.»
Marshall si pulì la bocca
con un tovagliolo di carta e
bevve un sorso d’acqua.
«Consentimi di riassumere
tutto ciò che ho sentito.
Quello è un posto dove
permettono ai malati di
mente
di
indossare
un’uniforme, qualificarsi
come poliziotti, guidare
auto con lampeggianti,
fermare viaggiatori di altri
Stati e a volte addirittura
portarli in galera. Altri, che
evidentemente non sono
malati di mente, esercitano
la professione legale con la
pistola nella valigetta. Altri
ancora propongono lavori
temporanei ad avvocati
appena licenziati e non li
pagano.»
«È un’analisi accurata.»
«E tu cominci lunedì
mattina?»
«Proprio così.»
Marshall scosse la testa
e prese un altro spicchio di
pizza. «Immagino che sia
meglio di Big Law a Wall
Street.»
«Vedremo.»
Blythe riuscì a evadere
dallo studio per un pranzo
veloce. Si trovarono in
un’affollata tavola calda
non lontano e, mangiando
insalata, arrivarono a un
accordo.
Samantha
avrebbe pagato la sua
parte di affitto per i tre
mesi che mancavano alla
scadenza del contratto, ma
non poteva impegnarsi
oltre.
Blythe
restava
aggrappata al suo impiego
ed
era
leggermente
ottimista sulla possibilità
di non perderlo. Avrebbe
voluto
tenere
l’appartamento, ma non
poteva permettersi la rata
intera.
Samantha
le
assicurò che c’erano molte
possibilità che tornasse
presto in città, a fare
qualcosa.
Più
tardi,
nel
pomeriggio, si trovò con
Izabelle per un caffè e
qualche
pettegolezzo.
Izabelle aveva già fatto le
valige e stava per tornare a
casa, a Wilmington, dove
avrebbe abitato da una
sorella che aveva una
stanza
libera
nel
seminterrato.
Avrebbe
fatto volontariato in un
gruppo
di
sostegno
all’infanzia e cercato un
lavoro vero. Era depressa,
amareggiata e incerta sulla
propria
sopravvivenza.
Quando si salutarono con
un abbraccio, entrambe
sapevano che sarebbe
passato
molto
tempo
prima che si rivedessero.
Il buon senso diceva a
Samantha di noleggiare
un’auto
nell’area
metropolitana di New
York, caricare i bagagli e
puntare in direzione sud.
Tuttavia,
scoprì
rapidamente
che
qualunque auto a noleggio
avrebbe avuto la targa di
New York. Probabilmente
avrebbe potuto trovare
una vettura in New Jersey,
o magari in Connecticut,
ma in ogni caso sarebbero
state un segnale di allarme
a Brady. Samantha non
riusciva a togliersi Romey
dalla mente. Dopo tutto
era ancora in libertà,
pronto a fare altri danni.
Così riempì due valige e
una grande borsa di tela
con tutto ciò che le
sembrava necessario per il
luogo in cui era diretta. Un
taxi la scaricò davanti a
Penn Station. Cinque ore
dopo, un altro taxi la caricò
a
Union
Station
a
Washington. Samantha e
Karen cenarono in pigiama
con sushi a domicilio e
guardarono un vecchio
film. Marshall non venne
mai menzionato.
Il sito web della Gasko
Leasing a Falls Church
prometteva
un’ampia
selezione di splendide
vetture usate, pagamenti
comodi, documentazione
virtualmente
priva
di
problemi,
assicurazione
veloce
e
totale
soddisfazione del cliente.
Le
conoscenze
automobilistiche
di
Samantha erano limitate,
ma qualcosa le suggerì che
un modello nazionale
aveva forse un potenziale
minore, come fonte di
grane,
di
qualcosa
proveniente, per esempio,
dal Giappone. Curiosando
online, notò una Ford
Hatchback del 2004 che le
sembrò adatta. Al telefono,
il venditore le disse che
l’auto
era
ancora
disponibile e, cosa più
importante, le garantì che
le targhe sarebbero state
della Virginia. «Sì, signora.
Davanti
e
dietro.»
Samantha raggiunse in taxi
Falls
Church,
dove
incontrò
Ernie,
il
venditore. Ernie era un
tipo
eccessivamente
cordiale
che
parlava
troppo
e
osservava
pochissimo. Fosse stato un
po’ più astuto, si sarebbe
accorto di quanto fosse
terrorizzata
Samantha
all’idea di un leasing di
dodici mesi per un’auto
usata.
In realtà aveva pensato
di telefonare a suo padre
per chiedergli aiuto, ma
poi aveva lasciato perdere.
Si era convinta di essere
abbastanza in gamba per
quel
compito
relativamente
poco
importante. Dopo due
lunghe ore con Ernie,
finalmente se ne andò a
bordo di una Ford del tutto
anonima e chiaramente di
proprietà di un abitante
del Commonwealth of
Virginia.
8
L’intero
orientamento
professionale consisteva in
un colloquio alle otto di
mattina con un nuovo
cliente.
Fortunatamente
per Samantha, la quale non
aveva idea di come gestire
un incontro del genere, fu
Mattie ad assumere il
controllo. Sussurrò: «Tu
limitati
a
prendere
appunti,
aggrotta
parecchio la fronte e cerca
di sembrare intelligente».
Nessun problema: era
esattamente il modo in cui
Samantha
era
sopravvissuta nei primi
due anni da Scully &
Pershing.
La cliente era Lady
Purvis, una donna sulla
quarantina, madre di tre
adolescenti. Suo marito,
Stocky, era al momento
detenuto nel carcere della
vicina Hopper County.
Mattie non le domandò se
Lady fosse il suo nome
vero: il dettaglio, se
importante,
sarebbe
emerso
in
seguito.
Tuttavia,
considerando
l’aspetto rustico e il
linguaggio
grossolano
della cliente, era difficile
immaginare i suoi genitori
imporle ufficialmente il
nome Lady. La donna, che
dava l’impressione di una
vita dura da qualche parte
nelle profondità delle valli,
si irritò quando Mattie le
disse che non poteva
fumare
nello
studio.
Samantha,
la
fronte
aggrottata, scarabocchiava
furiosamente e in silenzio.
Fin dalla prima frase, non
ci furono che sfortuna e
disgrazie.
La
famiglia
viveva in una casa mobile,
ipotecata, ed era indietro
con i pagamenti; era
indietro con tutto. Le due
figlie maggiori avevano
lasciato la scuola per
cercare un lavoro che non
esisteva, non a Noland
County, non a Hopper
County e nemmeno a
Curry
County.
Minacciavano di scappare
di casa e andarsene da
qualche parte nell’Ovest,
dove
forse
avrebbero
potuto
rimediare
un
salario
raccogliendo
arance. Lady si dava da
fare con lavori saltuari,
pulendo case nei weekend
e facendo la baby sitter per
cinque
dollari
l’ora,
qualunque cosa pur di
portare a casa un po’ di
soldi.
Il crimine di Stocky:
eccesso di velocità. Cosa
che aveva portato l’agente
a controllare la sua patente
di guida, scaduta due
giorni prima. Il totale tra
multe e spese processuali
ammontava
a
centosettantacinque
dollari, denaro che Stocky
non aveva. Hopper County
aveva un contratto con una
società
privata
per
spremere soldi da Stocky e
da altri disgraziati così
sfortunati
da
avere
commesso piccoli reati e
infrazioni
stradali.
Se
Stocky
avesse
potuto
firmare un assegno, lo
avrebbe fatto e se ne
sarebbe tornato a casa. Ma
essendo
povero
e
completamente al verde, il
suo caso era stato trattato
in modo diverso: il giudice
aveva ordinato che venisse
gestito dai lestofanti della
Judicial
Response
Associates. Lady e Stocky
avevano incontrato un
rappresentante della JRA il
giorno in cui si erano
presentati in tribunale e
l’uomo aveva spiegato
come avrebbe funzionato il
piano di pagamento. La
sua società addebitava dei
costi: una commissione
iniziale di settantacinque
dollari,
un
onorario
mensile di trentacinque e
un onorario finale al
termine
dell’operazione,
sempre ammesso che i
debitori arrivassero a quel
punto, un autentico affare
a soli venticinque dollari.
Le spese processuali e altri
addebiti non ben definiti
avevano portato la somma
a quattrocento dollari.
Lady e Stocky avevano
pensato di poter pagare
cinquanta dollari al mese,
il minimo consentito dalla
JRA , ma si erano resi presto
conto che trentacinque dei
cinquanta dollari venivano
divorati
dall’onorario
mensile. Avevano cercato
di rinegoziare, ma la JRA
era stata irremovibile.
Dopo due versamenti,
Stocky aveva smesso di
pagare, ed era stato allora
che erano cominciati i guai
seri. Due vicesceriffi si
erano presentati al suo
caravan dopo mezzanotte
e lo avevano arrestato.
Lady aveva protestato, così
come aveva fatto il figlio
maggiore, e i vice avevano
minacciato di friggerli tutti
e due con i loro Taser
nuovi di zecca. Quando
Stocky era stato trascinato
di nuovo davanti al
giudice, si erano aggiunte
nuove spese e nuove
multe. Il totale era salito a
cinquecentocinquanta
dollari.
Stocky
aveva
spiegato di essere senza
soldi e senza lavoro, e il
giudice lo aveva rispedito
in carcere. Era lì da due
mesi. Nel frattempo, la JRA
continuava a addebitare il
suo
amato
onorario
mensile, che per qualche
misteriosa ragione era
salito a quarantacinque
dollari al mese.
«Più resta in prigione,
più andiamo a fondo»
concluse
Lady,
scoraggiata.
In
un
sacchetto di carta c’erano
tutti i documenti, che
Mattie
cominciò
a
esaminare. C’erano lettere
rabbiose del costruttore del
caravan, il quale ne
finanziava
anche
l’acquisto,
avvisi
di
pignoramento,
bollette
scadute,
solleciti
dell’ufficio imposte, carte
del tribunale e un mucchio
di comunicazioni varie
della JRA . Mattie leggeva e
passava il documento a
Samantha, la quale non
aveva idea di cosa fare, se
non prendere nota di tutte
le disgrazie.
Lady a un certo punto
crollò. «Devo fumare.
Datemi cinque minuti.» Le
mani le tremavano.
«Certo» disse Mattie.
«Però vada fuori.»
«Grazie.»
«Quanti pacchetti al
giorno?»
«Solo due.»
«Che marca?»
«Charlie’s.
So
che
dovrei smettere, e ci ho
provato, ma fumare è
l’unica cosa che mi calma i
nervi.» Lady afferrò la
borsa e uscì dall’ufficio.
Mattie
disse:
«Le
Charlie’s sono la marca di
sigarette preferita negli
Appalachi;
sono
economiche, ma costano
pur sempre quattro dollari
a pacchetto, vale a dire otto
dollari
al
giorno,
duecentocinquanta
al
mese. E scommetto che
Stocky fuma altrettanto.
Probabilmente spendono
cinquecento dollari al mese
in sigarette e chissà quanto
in birra. E se mai avanza
un dollaro, è quasi sicuro
che finisce in biglietti della
lotteria».
«È assurdo» commentò
Samantha, sollevata perché
finalmente poteva dire
qualcosa. «Ma perché?
Potrebbero
saldare
le
multe in un mese e lui
uscirebbe di prigione.»
«Loro non la vedono
così.
Il
fumo
crea
dipendenza, non possono
smettere così su due
piedi.»
«Okay, posso fare una
domanda?»
«Certo. Scommetto che
ti stai chiedendo in che
modo una persona come
Stocky può venire buttata
in carcere per debiti, una
cosa che questo paese ha
messo fuori legge circa
duecento anni fa. Giusto?»
Samantha
annuì
lentamente.
Mattie
continuò:
«Quasi
certamente, saprai che
mandare
qualcuno
in
galera perché non può
pagare una multa o una
parcella viola la clausola di
uguale protezione del
Quattordicesimo
emendamento. E senza
dubbio conosci la sentenza
della Corte Suprema del
1983, in questo momento
mi sfugge il nome, secondo
la quale prima di mandare
in carcere una persona per
non avere pagato una
multa occorre dimostrare
la sua volontà di non
pagare. In altre parole, il
soggetto poteva pagare ma
si è rifiutato di farlo. Tutto
questo e altro ancora,
giusto?».
«È un buon riassunto.»
«Sta
succedendo
dappertutto. La JRA assedia
i tribunali per i reati
minori in una decina di
Stati del Sud. In media, le
amministrazioni
locali
incassano circa il trenta per
cento del denaro delle
multe. Arriva la JRA e
promette il settanta per
cento, senza spese per i
contribuenti. Quelli della
JRA sostengono che è tutto
finanziato dai soggetti
come Stocky che vengono
risucchiati nel giro. Ogni
città e ogni contea hanno
bisogno di soldi, così
firmano un contratto con la
JRA e i tribunali le passano
i casi. Le vittime restano a
piede libero e, se non
possono pagare, vengono
sbattute in galera, e
naturalmente a quel punto
sono i contribuenti a
pagare le spese. Per
alloggiare e nutrire Stocky
stanno spendendo trenta
dollari al giorno.»
«Questa cosa non può
essere legale.»
«È legale perché non è
specificamente
illegale.
Parliamo di povera gente,
Samantha,
persone
in
fondo alla scala sociale, e
laggiù le leggi sono
diverse. È per questo che
noi siamo in affari, per così
dire.»
«È spaventoso.»
«È vero, e può essere
anche
peggio.
Come
insolvente
in
libertà
vigilata, a Stocky possono
togliere i buoni spesa del
governo,
l’assistenza
abitativa e la patente di
guida. In certi Stati
potrebbero
addirittura
privarlo del diritto di voto,
sempre che si si sia preso il
disturbo di registrarsi.»
Lady
rientrò,
puzzolente di fumo e
nervosa esattamente come
prima. Procedettero con
fatica a esaminare tutti gli
altri conti non pagati.
«Potete
aiutarmi
in
qualche modo?» domandò
Lady con gli occhi pieni di
lacrime.
«Naturalmente» rispose
Mattie con ottimismo fin
troppo eccessivo. «Nelle
negoziazioni con la JRA ho
conseguito
diversi
successi. Non sono abituati
a vedere comparire degli
avvocati e, per essere tipi
così tosti, sono facili da
intimidire. Sanno di avere
torto e hanno paura che
qualcuno possa colpirli
duro. Conosco il giudice
del posto e ormai devono
essersi già stancati di
dover
nutrire
Stocky.
Possiamo farlo uscire di
prigione e rimandarlo a
lavorare.
Poi
probabilmente valuteremo
la
possibilità
della
bancarotta per salvare la
casa e dimenticare parte di
questi conti. Vedrò di
trattare con le società dei
servizi, luce, acqua e il
resto.» Snocciolò quelle
mosse audaci come se
fossero già state realizzate
e Samantha si sentì
improvvisamente meglio.
Lady riuscì a produrre un
sorriso, il primo e l’unico.
«Ci dia un paio di giorni
e metteremo insieme un
piano d’azione» riprese
Mattie. «Se ha delle
domande, telefoni pure a
Samantha: saprà tutto del
suo caso.» La stagista sentì
il suo cuore perdere un
colpo quando udì il
proprio nome. In quel
momento
aveva
la
sensazione di non sapere
niente di niente.
«Allora,
ho
due
avvocati?» chiese Lady.
«Certamente.»
«E siete... be’, gratis?»
«Proprio così, Lady. Noi
garantiamo
assistenza
legale
gratuita.
Non
facciamo pagare i nostri
servizi.»
Lady si coprì gli occhi
con entrambe le mani e
cominciò a piangere.
Samantha non si era
ancora ripresa dal primo
colloquio con un cliente
quando venne convocata
per il secondo. Annette
Brevard, “socia giovane”
della Mountain Legal Aid
Clinic, pensava che per la
nuova stagista potesse
essere istruttivo avere un
autentico
assaggio
di
violenza domestica.
Annette,
madre
divorziata di due figli,
viveva a Brady da dieci
anni. Un tempo aveva
abitato a Richmond ed
esercitato la professione in
uno studio di medie
dimensioni, poi un brutto
divorzio l’aveva spinta a
fare i bagagli e andarsene.
Era scappata a Brady con i
figli e aveva accettato
l’impiego
con
Mattie
perché non c’era altro
disponibile
nel
Commonwealth. Di sicuro
non aveva avuto in
programma di restare a
Brady, ma chi è così in
gamba da poter pianificare
il resto della propria vita?
Annette abitava in una
vecchia casa in centro.
Dietro la casa c’era un
garage, e sopra il garage
c’era un appartamento di
due camere, la casa di
Samantha per i mesi a
venire. Annette aveva
deciso che, se lo stage era
gratuito, allora doveva
esserlo anche l’alloggio.
Avevano
discusso
su
questo punto, ma Annette
era stata irremovibile. Non
avendo
altre
opzioni,
Samantha aveva preso
possesso
dell’appartamento con la
promessa
di
fare
gratuitamente la baby
sitter. Aveva addirittura il
permesso di parcheggiare
l’auto nel garage.
Il cliente era una donna
di trentasei anni di nome
Phoebe. Era sposata con
Randy e la coppia aveva
appena
vissuto
un
bruttissimo
weekend.
Randy era in prigione a
circa sei isolati di distanza
(la stessa prigione che
Samantha aveva evitato
per un soffio) e Phoebe era
seduta nell’ufficio di un
avvocato, con l’occhio
sinistro gonfio, un taglio
sul naso e il terrore negli
occhi. Con compassione e
tatto, Annette la guidò nel
racconto della sua storia.
Di
nuovo,
Samantha
aggrottò la fronte con aria
intelligente senza emettere
un suono, prese pagine di
appunti e si chiese quanti
pazzi vivessero da quelle
parti.
Con una voce così calma
da tranquillizzare perfino
Samantha,
Annette
continuò
a
pungolare
Phoebe per farla parlare.
Ci furono molte lacrime e
momenti di emozione.
Randy
spacciava
metanfetamina, da cui era
anche dipendente. Inoltre
era alcolizzato e da un
anno e mezzo la picchiava.
Non lo aveva mai fatto
quando il padre di Phoebe
era vivo – Randy era
terrorizzato da lui –, ma
alla sua morte, due anni
prima, erano cominciati gli
abusi. Randy non faceva
che
minacciare
di
ucciderla. Sì, anche lei
faceva
uso
di
metanfetamina, ma stava
attenta e di certo non era
una tossica. Avevano tre
figli, tutti sotto i dieci anni.
Per lei era il secondo
matrimonio, per lui il
terzo.
Randy
aveva
quarantadue anni e aveva
molti amici pericolosi nel
business
della
metanfetamina. Lei aveva
paura di quegli uomini.
Avevano soldi e da un
momento
all’altro
avrebbero
pagato
la
cauzione per Randy, il
quale, appena libero, quasi
certamente sarebbe corso a
cercarla. Era furioso perché
lei si era finalmente decisa
a chiamare la polizia e
l’aveva fatto arrestare. Ma
Randy conosceva bene lo
sceriffo e non sarebbe
rimasto
in
carcere.
L’avrebbe picchiata finché
lei non avesse ritirato la
denuncia
per
maltrattamenti.
Phoebe
consumò una pila di
fazzolettini di carta mentre
singhiozzava raccontando
la sua storia.
Ogni tanto Samantha
scarabocchiava domande
fondamentali come: “Dove
sono?” e “Cosa ci faccio
qui?”.
Phoebe aveva paura di
tornare nella casa in affitto.
I tre bambini erano
nascosti da una zia in
Kentucky. Un vicesceriffo
le aveva detto che Randy
sarebbe comparso davanti
al giudice lunedì. Forse
proprio in quel momento
era in tribunale e il giudice
stava fissando la cauzione.
Dopo di che i suoi amici
avrebbero sganciato i soldi
e lui sarebbe uscito.
«Dovete aiutarmi» disse
Phoebe, più e più volte.
«Mi ucciderà.»
«No, non lo farà»
dichiarò Annette con uno
strano senso di sicurezza.
A giudicare dalle lacrime,
dall’espressione impaurita
e dal linguaggio del corpo
di Phoebe, Samantha era
d’accordo con la cliente e
aveva il sospetto che
Randy potesse entrare da
un momento all’altro e
creare guai. Annette, però,
non
sembrava
minimamente preoccupata
da quella possibilità.
“Ci è già passata
centinaia di volte” pensò
Samantha.
Annette le disse: «Per
favore, vai in internet e
controlla il calendario della
corte».
Enunciò
velocemente il sito web
degli uffici pubblici di
Noland County e la
stagista aprì rapidamente
il suo laptop per iniziare la
ricerca, ignorando per un
momento la cliente e le sue
emozioni.
«Devo
ottenere
il
divorzio» stava dicendo
Phoebe. «Non esiste che io
torni a casa.»
«Okay,
domani
depositeremo la richiesta
di divorzio e otterremo un
ordine
restrittivo
nei
confronti di Randy.»
«Cos’è
un
ordine
restrittivo?»
«È un ordine del
tribunale, e se tuo marito
non si terrà a distanza da
te farà arrabbiare sul serio
il giudice, che lo rimanderà
in galera.»
L’informazione
fece
sorridere Phoebe, ma solo
per un secondo. «Devo
lasciare la città. Non posso
restare qui. Randy si
ritroverà
di
nuovo
strafatto, si dimenticherà
dell’ordine restrittivo e del
giudice e mi salterà
addosso. Devono tenerlo
dentro ancora per un po’. È
possibile?»
«Di cosa è accusato,
Samantha?»
chiese
Annette.
«Lesioni
volontarie
aggravate»
rispose
Samantha,
proprio
nell’attimo in cui trovava
la causa in rete. «Udienza
oggi alle tredici. Non è
stata
fissata
alcuna
cauzione.»
«Lesioni aggravate? Con
cosa ti ha colpito, Phoebe?»
Le lacrime sgorgarono
immediatamente e Phoebe
si asciugò le guance con il
dorso della mano. «Con
una pistola. La teniamo in
un cassetto in cucina,
scarica
per
via
dei
bambini, ma i proiettili
sono sopra il frigorifero,
giusto in caso di necessità.
Stavamo litigando e lui a
un certo punto ha preso la
pistola, come se volesse
caricarla e, immagino,
farmi fuori. Io ho cercato
di strappargliela, ma lui mi
ha colpito alla testa con il
calcio. Poi ha lasciato
cadere la pistola sul
pavimento e ha cominciato
a prendermi a schiaffi.
Sono riuscita a scappare,
sono corsa dai vicini e ho
chiamato la polizia.»
Annette alzò con calma
una mano per fermarla. «È
questa l’aggravante: l’uso
di un’arma.» Lo disse
guardando sia Phoebe che
Samantha, per informare
entrambe. «In Virginia la
pena può andare dai
cinque ai vent’anni, a
seconda delle circostanze:
arma, lesioni eccetera.»
Di nuovo, Samantha
stava prendendo appunti
furiosamente.
Aveva
sentito parte di tutto ciò
alla scuola di legge, tanti
anni prima.
Annette
proseguì:
«Dunque,
Phoebe,
possiamo aspettarci che
tuo marito dica che sei
stata tu a prendere la
pistola per prima, che tu lo
abbia colpito e così via.
Potrebbe
addirittura
tentare
di
sporgere
denuncia contro di te. Tu
come risponderesti?».
«Randy
è
venti
centimetri più alto di me e
pesa cinquanta chili più di
me. Nessuno sano di
mente può credere che sia
stata io ad aggredirlo per
prima. I poliziotti, se
diranno
la
verità,
confermeranno che era
ubriaco e fuori di testa. Ha
addirittura lottato contro
di loro finché non gli
hanno scaricato il Taser in
quel suo grosso culo.»
Annette
sorrise,
soddisfatta.
Diede
un’occhiata
all’orologio,
aprì una pratica e ne
estrasse alcuni documenti.
«Tra cinque minuti devo
fare
una
telefonata.
Samantha, questo è il
nostro questionario per il
divorzio. È molto semplice.
Compilalo
insieme
a
Phoebe
e
vedi
di
raccogliere
tutte
le
informazioni che puoi. Io
torno tra mezz’ora.»
Samantha
prese
il
questionario come se ne
avesse
già
compilati
decine.
Un’ora più tardi, sola e
al sicuro nel suo ufficio
improvvisato, chiuse gli
occhi e respirò a fondo. La
stanza sembrava essere un
ex ripostiglio, minuscolo e
soffocante con due sedie
instabili e un tavolo tondo
dal ripiano in vinile. Mattie
e Annette si erano scusate
e avevano promesso un
miglioramento, a un certo
punto in futuro. Una
parete era dominata da
una grande finestra che
dava sul parcheggio sul
retro. Samantha era grata
per la luce.
Per quanto l’ufficio
fosse piccolo, quello di
New York non era molto
più ampio. Suo malgrado, i
pensieri
di
Samantha
restavano fissi su New
York, sul grande studio e
su tutte le sue promesse e i
suoi orrori. Sorrise quando
le venne in mente che non
stava
lavorando
a
tassametro:
sparita
l’implacabile pressione per
fatturare sempre più ore,
per fare sempre più soldi
per i pezzi grossi al vertice
e per impressionarli, con
l’obiettivo di diventare un
giorno esattamente come
loro. Guardò l’orologio.
Erano le undici e trenta e
non aveva fatturato un
solo minuto, né lo avrebbe
fatto. Il vecchio telefono
gracchiò e Samantha non
poté non rispondere. «C’è
una chiamata sulla due»
annunciò Barb.
«Chi
è?»
chiese
nervosamente Samantha:
era la sua prima telefonata.
«Un certo Joe Duncan. Il
nome non mi suggerisce
niente.»
«Perché vuole parlare
con me?»
«Non ha detto di voler
parlare con te. Ha detto
solo che ha bisogno di un
avvocato, e in questo
momento Mattie e Annette
sono impegnate. È tuo di
default.»
«Che tipo di caso è?»
domandò
Samantha,
lanciando un’occhiata ai
suoi sei grattacieli sopra un
classificatore
d’archivio
proveniente
dalle
eccedenze dell’esercito.
«Previdenza sociale. Stai
attenta. Linea due.»
Barb lavorava part-time
e
si
occupava
del
ricevimento
clienti.
Samantha aveva parlato
con lei solo per pochi
secondi quella mattina
presto,
quando
gliel’avevano presentata. Il
centro disponeva anche di
una paralegale part-time di
nome Claudelle. Uno show
tutto al femminile.
Premette il tasto della
linea
due
e
disse:
«Samantha Kofer».
Mr Duncan salutò e la
interrogò per accertarsi che
fosse
veramente
un
avvocato. Samantha gli
assicurò che lo era, anche
se al momento aveva dei
dubbi. Nel giro di pochi
secondi, Duncan si lanciò.
Stava attraversando un
brutto periodo e aveva
davvero
bisogno
di
parlarne. Su di lui e sulla
sua
famiglia
si
era
abbattuto ogni tipo di
disgrazie e, in base ai
primi dieci minuti del suo
racconto,
Mr
Duncan
aveva abbastanza problemi
da tenere occupato un
piccolo studio legale per
parecchi
mesi.
Era
disoccupato – era stato
ingiustamente licenziato,
ma questa era un’altra
storia –, però il suo vero
problema era la salute.
Soffriva di ernia del disco e
non
poteva
lavorare.
Aveva
presentato
domanda di invalidità, ma
era stata respinta. Adesso
stava perdendo tutto.
Dato che aveva ben
poco da offrirgli, Samantha
lo
lasciò
sfogare
liberamente.
Dopo
mezz’ora, però, cominciò
ad annoiarsi. Chiudere la
conversazione fu una sfida
– Duncan era disperato e
appiccicoso
–
ma
finalmente Samantha riuscì
a convincerlo che avrebbe
esaminato subito il suo
caso insieme agli specialisti
della previdenza sociale
dello studio e lo avrebbe
richiamato.
A mezzogiorno era
affamata ed esausta. Non
era l’affaticamento causato
da ore e ore di lettura e
riflessione su voluminosi
documenti,
o
dalla
continua
pressione
determinata dalla necessità
di fare colpo, o dalla paura
di non essere all’altezza e
venire quindi spintonata
fuori dalla strada che
portava alla nomina di
socio.
Non
era
lo
sfinimento
che
aveva
vissuto negli ultimi tre
anni. Era svuotata per lo
shock e la paura di avere
dovuto guardare il disastro
emotivo di esseri umani
veri, persone disperate che
avevano poche speranze e
contavano su di lei per un
aiuto.
Ma per gli altri membri
dello studio quello era un
tipico lunedì mattina. Di
solito si ritrovavano tutte
per un pranzo veloce
portato da casa nella sala
riunioni principale, un rito
settimanale durante il
quale discutevano dei vari
casi, dei clienti o di
qualunque altra questione
ritenessero
necessario
parlare.
Quel
lunedì,
tuttavia,
l’argomento
principale fu la nuova
stagista. Erano ansiose di
esaminarla. Alla fine venne
incoraggiata a parlare.
«Be’, ho bisogno di
aiuto» disse Samantha.
«Ho appena parlato al
telefono con un uomo la
cui domanda d’invalidità
alla previdenza sociale è
stata respinta. Se ho capito
bene.»
La cosa fu accolta con
un misto di risate e battute.
Il termine “invalidità”
sembrava suscitare una
certa reazione nel resto
dello
studio.
«Non
accettiamo più casi che
riguardano la previdenza
sociale» dichiarò Barb
dalla linea del fronte.
«Come si chiamava?»
domandò Claudelle.
Samantha esitò e guardò
i visi interessati intorno a
lei. «Okay, prima le cose
più importanti. Non so
bene come ci si comporta
qui per quanto riguarda la
riservatezza.
Discutete...
discutiamo
apertamente
tutti i casi dello studio,
oppure ognuna di noi è
vincolata alle norme che
regolano
il
rapporto
avvocato-cliente?»
La domanda suscitò
altre risate. Tutte e quattro
si misero a parlare insieme,
ridendo e mangiucchiando
i rispettivi sandwich. Per
Samantha fu subito chiaro
che, all’interno di quelle
mura, le quattro signore
parlavano di tutto e di
tutti.
«Qui dentro non ci sono
regole» disse Mattie. «Ma
fuori, non una parola.»
«Mi sta bene.»
«Il tizio si chiama Joe
Duncan» intervenne Barb.
«A pensarci bene, mi
ricorda qualcosa.»
«L’ho avuto io qualche
anno fa» disse Claudelle.
«Aveva
presentato
domanda ed era stata
respinta. Credo che si
trattasse di una spalla
malandata.»
«Be’, adesso il male si è
esteso alla zona lombare»
precisò
Samantha.
«Sembrerebbe un vero
disastro.»
«Mr Duncan è un
richiedente
seriale
di
indennità» disse Claudelle.
«E questa è una delle
ragioni per cui non
accettiamo
più
casi
riguardanti la previdenza
sociale. Ci sono troppe
frodi in giro. Il sistema è
parecchio corrotto, specie
da queste parti.»
«Allora, cosa dico a Mr
Duncan?»
«A Abington c’è uno
studio legale dedicato ai
casi di invalidità.»
Intervenne Annette: «Lo
studio Cockrell & Rhodes,
meglio noto come Cock &
Roach,
abbreviato
in
Cockroachs,
scarafaggi.
Cattivi ragazzi che hanno
creato un racket con alcuni
medici e giudici nel giro
della previdenza sociale.
Tutti
i
loro
clienti
ottengono l’assegno. Cento
per cento di successi».
Mattie aggiunse: «Un
triatleta
potrebbe
presentare
domanda
d’invalidità e i Cockroachs
gli
farebbero
ottenere
l’indennità».
«Quindi, noi non...»
«No, mai.»
Samantha diede un
morso al suo sandwich al
tacchino
e
fissò
apertamente
Barb.
Fu
tentata di rivolgerle la
domanda ovvia: “Se noi
non accettiamo questi casi,
perché mi hai passato la
telefonata?”. Invece si
prese l’appunto mentale di
tenere le antenne dritte.
Tre anni di Big Law
avevano affilato come un
rasoio le sue abilità di
sopravvivenza.
Gole
tagliate e pugnalate alla
schiena erano state la
norma,
e
lei
aveva
imparato
a
evitare
entrambe le cose.
Non avrebbe sollevato
adesso l’argomento con
Barb, ma lo avrebbe fatto
al momento giusto.
Claudelle
sembrava
essere il clown del gruppo.
Aveva solo ventiquattro
anni, era sposata da meno
di uno, era incinta e non se
la passava molto bene.
Aveva
trascorso
la
mattinata
in
bagno,
lottando contro la nausea e
formulando
pensieri
orribili sul figlio non
ancora nato, al quale era
già stato imposto il nome
del padre e che stava già
causando tanti problemi.
Il
tono
della
conversazione
era
sorprendentemente
licenzioso.
In
quarantacinque minuti le
signore dibatterono non
solo sugli affari urgenti
dello studio, ma riuscirono
anche a discutere di
nausee mattutine, crampi
mestruali,
travaglio
e
parto, uomini e sesso:
nessuna sembrava averne
abbastanza.
Annette mise fine alla
riunione quando guardò
Samantha e le disse: «Tra
un quarto d’ora dobbiamo
essere in tribunale».
9
Parlando in generale, le
sue esperienze in tribunale
non erano state piacevoli.
Alcune visite le erano state
imposte, altre erano state
volontarie. L’anno in cui
frequentava la nona classe,
il grande Marshall Kofer
era stato impegnato in
corte federale in centro a
Washington
e
aveva
convinto l’insegnante di
educazione
civica
di
Samantha
che
l’apprendimento dei suoi
studenti sarebbe stato
enormemente
arricchito
dall’osservarlo in azione.
Per due interi giorni, i
ragazzini erano rimasti
seduti
in
una
noia
ottenebrante mentre periti
di parte si scontravano
sulle
conseguenze
aerodinamiche
della
formazione di ghiaccio.
Lungi
dall’essere
orgogliosa di suo padre,
Samantha si era sentita
mortificata
da
quell’attenzione
non
richiesta. Fortunatamente
per Marshall, gli studenti
erano già tornati in classe
quando la giuria si era
pronunciata
con
un
verdetto a favore del
costruttore, infliggendogli
una
delle
sue
rare
sconfitte. Sette anni dopo
Samantha era tornata in
quello stesso palazzo di
giustizia, ma in un’aula
diversa, per guardare suo
padre mentre si dichiarava
colpevole
dei
reati
ascrittigli. Era una bella
giornata per la madre, che
non aveva mai nemmeno
contemplato
l’idea
di
accompagnarla, e così
Samantha si era seduta
accanto a uno zio, uno dei
fratelli di Marshall, e si era
tamponata gli occhi con i
fazzolettini di carta. Un
corso propedeutico della
scuola
di
legge
a
Georgetown
aveva
previsto
l’obbligo
di
assistere a parte di un
processo penale, ma una
leggera influenza glielo
aveva impedito. Tutti gli
studenti di legge devono
confrontarsi
con
simulazioni di processi e a
Samantha questo era anche
piaciuto, fino a un certo
punto, ma non aveva mai
voluto
saperne
del
dibattimento
vero
e
proprio. Durante l’impiego
di assistente aveva visto di
rado un’aula di tribunale.
E nel corso dei colloqui di
lavoro, aveva sempre detto
con chiarezza di volerne
stare alla larga.
E ora stava entrando nel
tribunale
di
Noland
County,
diretta
verso
l’aula principale. L’edificio
era una vecchia e bella
struttura in mattoni rossi
con un luccicante tetto di
stagno. All’interno, un
atrio polveroso esibiva
sbiaditi ritratti di eroi
barbuti; una parete era
rivestita da avvisi legali
fissati disordinatamente ai
tabelloni. Samantha seguì
Annette al primo piano,
dove passarono davanti a
un anziano cancelliere che
sonnecchiava sulla sua
sedia. Varcarono le spesse
porte doppie ed entrarono
nell’aula. Di fronte a loro,
un giudice stava lavorando
seduto dietro il proprio
banco mentre due o tre
avvocati
sfogliavano
documenti
e
si
scambiavano battute. Sulla
destra c’era il box della
giuria, vuoto. Le alte pareti
erano decorate con altri
ritratti
sbiaditi:
tutti
uomini, tutti con la barba e
tutti con l’aria di prendere
molto sul serio le faccende
legali.
Un
paio
di
impiegate chiacchieravano
e
flirtavano
con
gli
avvocati.
Numerosi
spettatori osservavano in
attesa che la giustizia
trionfasse.
Annette
bloccò
un
pubblico accusatore, che
presentò rapidamente alla
propria
stagista
come
Richard. Lo informò che lei
e la collega erano i legali di
Phoebe Fanning, la quale
avrebbe fatto domanda di
divorzio appena possibile.
«Quanto ne sai?» domandò
a Richard.
I tre si spostarono in un
angolo accanto al box della
giuria in modo che
nessuno
li
sentisse.
Richard disse: «Secondo i
poliziotti, marito e moglie
erano entrambi strafatti e
avevano deciso di regolare
le loro divergenze con una
sana scazzottata. Lui ha
vinto, lei ha perso. In
qualche modo è saltata
fuori una pistola, scarica,
con cui il marito ha colpito
la moglie alla testa».
Annette
espose
la
versione di Phoebe e
Richard ascoltò attento. Poi
disse: «L’avvocato del
marito è Hump, al quale
ora
interessa
soltanto
ottenere una cauzione
bassa. Io la chiederò alta e
forse riusciremo a tenere
quel bravo ragazzo in
galera ancora per qualche
giorno, in modo che si
calmi mentre la moglie
taglia la corda». Annette
annuì
e
si
dichiarò
d’accordo.
«Grazie,
Richard.»
Hump
era
Cal
Humphrey, un’istituzione
in
città;
Annette
e
Samantha erano appena
passate davanti al suo
studio con vetrina sulla
strada. Annette lo salutò e
gli presentò Samantha, che
rimase stupefatta dalle
dimensioni
del
suo
stomaco. Delle vistose
bretelle erano tese al limite
e sembravano sul punto di
saltare, con conseguenze
sulle quali sarebbe stato
troppo volgare soffermarsi.
Hump sussurrò che il “suo
uomo”, Randy (per un
secondo non riuscì a
ricordare il cognome),
doveva essere rilasciato
perché stava perdendo
giornate di lavoro. Non si
lasciò convincere dalla
versione dei fatti fornita da
Phoebe e ribatté che lo
scontro
era
iniziato
quando lei aveva aggredito
il suo cliente con la pistola
scarica.
«È per questo che
abbiamo i processi» sibilò
Annette
mentre
si
allontanava da Hump
insieme
a
Samantha.
Randy Fanning e altri due
detenuti vennero scortati
in aula e fatti sedere in
prima fila. Vennero tolte le
manette e un vicesceriffo si
piazzò in piedi vicino a
loro. I tre avrebbero potuto
essere membri della stessa
gang:
tute
arancione
sbiadito del carcere, facce
non
rasate,
capelli
arruffati, espressioni dure.
Annette
e
Samantha
sedevano tra il pubblico, il
più lontano possibile. Barb
entrò in punta di piedi
nell’aula,
passò
un
fascicolo ad Annette e
disse: «Ecco il divorzio».
Quando
il
giudice
chiamò Randy Fanning,
Annette inviò un SMS a
Phoebe, seduta in auto
davanti al tribunale. Randy
prese posizione di fronte al
giudice, con Hump alla
sua destra e Richard alla
sua sinistra, ma più
scostato. Hump attaccò un
tortuoso
discorso
su
quanto il suo cliente avesse
bisogno di lavorare, su
come fossero profonde le
sue radici a Noland
County, su come si poteva
essere sicuri che si sarebbe
presentato in tribunale in
qualsiasi momento gli
fosse stato richiesto e così
via. Si trattava di una
semplice disputa coniugale
e le cose potevano essere
risolte senza coinvolgere
ulteriormente il sistema
giudiziario. Mentre Hump
blaterava, Phoebe entrò in
aula e si sedette di fianco
ad Annette. Le mani le
tremavano, gli occhi erano
pieni di lacrime.
Richard, per l’accusa, si
soffermò sulla gravità dei
reati e sulla concreta
possibilità di una lunga
detenzione per Fanning.
Sciocchezze, ribatté Hump,
il suo uomo era innocente.
Il suo uomo era stato
aggredito dalla moglie
“squilibrata”. E se quella
donna avesse insistito nel
procedere
legalmente,
forse alla fine sarebbe stata
lei a ritrovarsi in prigione.
I
due
avvocati
continuarono a duellare.
Il giudice, un vecchio
gentiluomo pacioso con la
testa liscia, chiese calmo:
«Mi dicono che la presunta
vittima si trova qui in aula.
È così, Ms Brevard?».
Passò lo sguardo sul
pubblico.
Annette balzò in piedi e
rispose: «Sì, è qui, vostro
onore». Varcò il cancelletto
come se fosse stata la
proprietaria dell’aula, con
la cliente al seguito. «Noi
rappresentiamo
Phoebe
Fanning,
della
quale
depositeremo la domanda
di divorzio tra dieci
minuti.»
Ancora al sicuro tra il
pubblico,
Samantha
guardò Randy Fanning,
che fissava con rabbia la
moglie.
Richard
colse
l’attimo e disse: «Vostro
onore, potrebbe essere
utile osservare le evidenti
lesioni sul viso di Ms
Fanning. Questa donna è
stata pestata quasi a
morte».
«Non
sono
cieco»
replicò il giudice. «Mr
Fanning, non vedo alcun
danno sul suo viso. La
corte prende inoltre nota
del fatto che lei è alto più
di un metro e ottanta e
piuttosto robusto. Sua
moglie
è,
diciamo,
parecchio più minuta. L’ha
picchiata?»
Randy spostò il proprio
considerevole peso da un
piede
all’altro,
con
atteggiamento
palesemente colpevole, e
riuscì
a
rispondere:
«Abbiamo litigato, giudice.
È stata lei a cominciare».
«Ne sono sicuro. Credo
sia meglio che lei continui
a calmarsi ancora per un
giorno o due. La rimando
in carcere e ci rivedremo
giovedì. Nel frattempo, Ms
Brevard, lei e la sua cliente
occupatevi delle urgenti
questioni
legali
della
signora
e
tenetemi
aggiornato.»
«Ma, vostro onore»
protestò Hump «il mio
cliente perderà l’impiego.»
«Lui
non
ha
un
impiego» scattò Phoebe.
«Fa il boscaiolo part-time e
spaccia metanfetamina a
tempo pieno.»
Sembrò
che
tutti
deglutissero
a
fatica
mentre le parole della
donna
rimbalzavano
nell’aula. Randy era pronto
a riprendere la lite e fissò
la
moglie
con
odio
omicida. «Basta così» disse
il giudice. «Riportatemelo
giovedì.» Un funzionario
afferrò Randy per un
braccio e lo guidò fuori
dall’aula.
In piedi davanti alla
porta c’erano due uomini,
una coppia di brutti ceffi
con capelli lunghi e
tatuaggi.
Fissarono
Annette,
Samantha
e
Phoebe mentre passavano.
Nel corridoio, Phoebe
sussurrò:
«Quei
delinquenti sono compari
di Randy, tutti nel giro
della
met.
Devo
andarmene
da
questa
città».
“Possibile che io ti
segua a ruota” pensò
Samantha.
Entrarono
nella
cancelleria del tribunale
distrettuale e depositarono
la domanda di divorzio.
Annette chiese un’udienza
immediata per un ordine
restrittivo che tenesse
Randy
lontano
dalla
famiglia. «Il primo buco
disponibile è mercoledì
pomeriggio» le informò
l’impiegata.
«Va
bene»
disse
Annette.
I
due
gorilla
aspettavano
davanti
all’ingresso principale del
tribunale.
Erano
stati
raggiunti da un terzo
uomo, giovane e molto
arrabbiato.
Si
piazzò
davanti a Phoebe e latrò:
«Farai meglio a ritirare la
denuncia, ragazza, o te ne
pentirai».
Phoebe non si fece
indietro. Anzi, guardò
l’uomo in un modo che
trasmetteva
anni
di
familiarità e di disprezzo.
Si rivolse ad Annette e
disse: «Questo è Tony, il
fratello di Randy appena
uscito di galera».
«Mi hai sentito? Devi
ritirare
la
denuncia!»
ribadì Tony con un ringhio
più alto.
«Ho appena chiesto il
divorzio, Tony. È finita.
Me ne vado da questa città
il più in fretta possibile, ma
sta’ sicuro che tornerò
quando Randy andrà a
processo. Non ritiro la
denuncia, perciò vedi di
toglierti dai piedi.»
Uno dei due delinquenti
guardò Samantha, l’altro
Annette. Il breve confronto
terminò quando Hump e
Richard
uscirono
dal
tribunale e videro quello
che stava succedendo.
«Adesso basta» intimò
Richard, e Tony si tirò
indietro.
«Andiamo,
ragazze»
disse
Hump.
«Vi
accompagno allo studio.»
Mentre Hump arrancava
pesantemente lungo Main
Street, parlando senza
posa di un altro caso in cui
si ritrovava ad affrontare
Annette, Samantha, ancora
scossa dall’incidente, si
domandò se non fosse
davvero il caso di tenere
una pistola nella borsetta.
Non c’era da meravigliarsi
se Donovan praticava la
sua
professione
avvalendosi di un piccolo
arsenale.
Il resto del pomeriggio
di
Samantha
fu
misericordiosamente privo
di clienti. Aveva già
ascoltato
abbastanza
disgrazie per un giorno
solo, e aveva bisogno di
studiare. Annette le prestò
alcune
dispense
di
seminari, molto consultate,
pensate per avvocati alle
prime armi, con sezioni
che riguardavano divorzio
e
relazioni
familiari,
testamenti
ed
eredità,
fallimenti,
rapporti
inquilino-proprietario,
lavoro, immigrazione e
assistenza governativa. Un
fascicolo sulle indennità
previste per il polmone
nero era stato aggiunto in
un secondo tempo. Era
tutto materiale arido e
noioso, almeno da leggere,
ma Samantha aveva già
imparato di prima mano
che i casi erano tutto
tranne che noiosi.
Alle
diciassette
finalmente telefonò a Mr
Joe Duncan e lo informò
che non poteva occuparsi
della sua domanda alla
previdenza sociale. I capi
dello studio vietavano casi
del genere. Gli comunicò i
nomi dei due legali privati
che invece li accettavano e
gli augurò buona fortuna.
Mr Duncan non fu molto
soddisfatto
della
conversazione.
Poi Samantha andò
nell’ufficio di Mattie per
ricapitolare insieme il suo
primo giorno di lavoro.
Fino a quel momento tutto
bene, anche se Samantha
era ancora turbata dal
breve
confronto
sulla
scalinata del tribunale.
«Non si inguaieranno con
un avvocato» le assicurò
Mattie. «Specie se è una
donna.
Faccio
questo
mestiere da ventisei anni e
non sono mai stata
aggredita.»
«Congratulazioni.
Sei
mai stata minacciata?»
«Forse un paio di volte,
ma niente che mi abbia
spaventato sul serio. Starai
benissimo.»
Samantha si sentiva
benissimo quando uscì
dallo studio e si avviò
verso la sua auto, anche se
non poté fare a meno di
guardarsi intorno. Stava
calando una lieve nebbia e
la cittadina si faceva
sempre
più
buia.
Parcheggiò nel garage
sotto il suo appartamento e
salì i gradini.
La figlia di Annette,
Kim, aveva tredici anni,
Adam, il figlio, dieci.
Erano entrambi affascinati
dalla
loro
nuova
“coinquilina” e insistettero
perché Samantha cenasse
con loro. Ma Samantha
non
aveva
alcuna
intenzione di condividere
la cena tutte le sere. A
causa del suo orario di
lavoro pazzesco, e di
quello identico di Blythe, si
era abituata a mangiare da
sola.
Come professionista con
un
lavoro
stressante,
Annette aveva poco tempo
per cucinare. Ed era
evidente che anche le
pulizie di casa non erano
una priorità. La cena fu a
base di maccheroni al
formaggio
cotti
nel
microonde e un’insalata di
pomodori
provenienti
dall’orto di un cliente.
Bevvero acqua da bottiglie
di plastica: mai acqua del
rubinetto.
Mentre
mangiavano, i ragazzi
tempestarono Samantha di
domande sulla sua vita:
com’era stato crescere a
Washington,
vivere
e
lavorare a New York e per
quale ragione al mondo
aveva deciso di trasferirsi a
Brady. Erano brillanti,
sicuri di sé, facili da
accontentare e per niente
timorosi
di
rivolgere
domande personali. Erano
anche ben educati e non
mancavano mai di dire:
“Sì, signora” e “No,
signora”. Decisero che lei
era troppo giovane per
chiamarla Miss Kofer, e a
Adam sembrava che il
nome Samantha fosse
troppo lungo. Alla fine si
accordarono su Miss Sam,
anche se Samantha sperava
che il “Miss” scomparisse
presto. Disse ai ragazzi che
sarebbe stata la loro baby
sitter e l’informazione
sembrò renderli perplessi.
«Ce ne serve una?»
domandò Kim.
«Così vostra madre
potrà uscire e fare quello
che
vuole»
spiegò
Samantha.
I ragazzi trovarono la
risposta divertente. Adam
disse: «Ma la mamma non
esce mai».
«È
vero»
confermò
Annette. «Non c’è molto
da fare qui a Brady. Anzi,
non c’è proprio niente da
fare, a meno che tu non
voglia andare in chiesa tre
sere la settimana.»
«Voi non andate in
chiesa?» chiese Samantha.
Nel
breve
periodo
trascorso negli Appalachi,
si era convinta che ogni
cinque famiglie ci fosse
una minuscola chiesa di
loro proprietà, completa di
campanile bianco inclinato.
C’erano
chiese
dappertutto,
tutte
convintissime
dell’infallibilità delle Sacre
Scritture,
ma
evidentemente in accordo
su ben poco altro.
«Ogni
tanto,
la
domenica» rispose Kim.
Dopo cena, Kim e Adam
sparecchiarono
diligentemente
e
impilarono
i
piatti
nell’acquaio.
Niente
lavastoviglie. I ragazzi
volevano
guardare
la
televisione con Miss Sam e
ignorare i compiti, ma
Annette alla fine riuscì a
spedirli nelle rispettive
camere da letto. Intuendo
che la sua ospite forse si
stava annoiando, disse:
«Facciamoci un tè e due
chiacchiere».
Non avendo altro da
fare, Samantha accettò.
Annette raccolse una pila
di indumenti sporchi e li
buttò nella lavatrice di
fianco al frigorifero. Versò
il detersivo e ruotò una
manopola. «Il rumore
coprirà
quello
che
diciamo» spiegò, aprendo
un pensile per prendere le
bustine di tè. «Ti va bene il
deteinato?»
«Certo»
rispose
Samantha, passando in
soggiorno, una stanza
dominata
da
scaffali
imbarcati sotto il peso dei
libri, montagne di riviste e
divani e poltrone sui quali
l’aspirapolvere
non
passava da mesi. In un
angolo c’era un televisore a
schermo
piatto
(l’appartamento sopra il
garage ne era sprovvisto) e
in un altro angolo Annette
aveva
sistemato
una
piccola scrivania con un
computer e una pila di
pratiche. Entrò con due
tazze di tè fumante, ne
passò una a Samantha e
disse:
«Sediamoci
sul
divano e parliamo di cose
da ragazze».
«Okay.
Cos’hai
in
mente?»
Mentre tutte e due si
sistemavano,
Annette
rispose: «Be’, il sesso, per
cominciare.
Con
che
frequenza si fa a New
York?».
Samantha rise per la
franchezza, poi esitò, come
se non riuscisse a ricordare
l’ultima volta che lo aveva
fatto.
«Non
è
così
scatenato, in realtà. Cioè, lo
è se sei nel giro giusto, ma
nel mio lavoriamo tutti
troppo
per
poterci
divertire. Per noi una
serata fuori significa una
bella cena e qualcosa da
bere, dopo di che io sono
sempre troppo stanca per
fare qualcosa che non sia
andare a dormire, da sola.»
«È difficile da credere,
con tutti quei ricchi e
giovani professionisti a
caccia di prede. Ho
guardato Sex and the City,
più
volte.
Da
sola,
ovviamente, dopo che i
ragazzi erano andati a
dormire.»
«Be’, io no. Ne ho
sentito parlare, ma io di
solito sono in studio. Ho
avuto un solo boyfriend
negli ultimi tre anni.
Henry, un attore morto di
fame. Davvero carino e
anche divertente a letto,
ma poi si è stancato dei
miei orari e del mio
sfinimento. Certo, incontri
un mucchio di uomini, ma
la maggior parte di loro è
concentrata sul lavoro. Le
donne sono usa e getta.
Conosci anche un mucchio
di stronzi, tipi arroganti
che parlano solo di soldi e
si vantano di quello che
possono comprare.»
«Sono sbalordita.»
«Non esserlo. Non è così
glamour come pensi.»
«Mai?»
«Oh, certo, ogni tanto
capita di rimorchiare un
bel tipo, ma nessuno che
ricordi in particolare.»
Samantha bevve un sorso
di tè. «E tu? C’è molto
movimento a Brady?»
Fu la volta di Annette di
ridere. Fece una pausa,
bevve un sorso e diventò
triste. «Qui non succede
mai granché. Ho fatto una
scelta, ora la vivo e va bene
così.»
«Una scelta?»
«Sì, sono arrivata qui
dieci anni fa, in completa
ritirata. Il mio divorzio era
stato un incubo e dovevo
allontanarmi dal mio ex.
Dovevo allontanare anche i
miei figli. Lui non ha quasi
più contatti con loro. Ora
ho quarantacinque anni,
sono abbastanza attraente
e abbastanza in forma, a
differenza di... be’...»
«Capito.»
«Diciamo solo che non
c’è molta concorrenza a
Noland County. Negli anni
ci sono stati due o tre tipi
carini, ma nessuno con cui
volessi convivere. Uno
aveva vent’anni più di me,
e non potevo fare una cosa
simile ai miei figli. Nei
primi tempi sembrava che
metà delle donne della
città volessero sistemarmi
con un loro cugino. Poi mi
sono resa conto che in
realtà volevano che mi
sposassi in modo da non
doversi preoccupare per i
rispettivi mariti. Ma gli
uomini sposati non mi
tentano per niente. Troppe
complicazioni, qui o in
città.»
«Perché resti?»
«È il grande quesito. E
poi non sono così sicura di
restare. Questo è un posto
tranquillo dove crescere i
ragazzi, anche se siamo
preoccupati per i rischi
ambientali. Brady è okay,
ma non lontano da qui,
negli insediamenti e nei
villaggi, i bambini sono
sempre ammalati a causa
dell’acqua inquinata e
della polvere di carbone.
Per rispondere alla tua
domanda, sono rimasta qui
perché amo il mio lavoro.
Amo la gente che ha
bisogno del mio aiuto. Io
posso fare una piccola
differenza nella loro vita.
Oggi li hai visti. Hai visto
la loro paura e la loro
disperazione.
Hanno
bisogno di me. Se me ne
vado,
forse
ci
sarà
qualcuno che prenderà il
mio posto, forse no.»
«Come fai a staccare
quando esci dallo studio?»
«Non sempre ci riesco. I
problemi di quella gente
sono troppo personali, ci
perdo parecchie ore di
sonno.»
«Mi fa piacere sentirtelo
dire perché non faccio che
pensare a Phoebe Fanning,
con la faccia massacrata, i
figli nascosti da un parente
e un marito violento che
probabilmente la ucciderà
appena uscito di prigione.»
Annette offrì un sorriso
affettuoso. «Ho visto un
mucchio di donne nella
stessa situazione, e sono
sopravvissute
tutte.
Phoebe se la caverà. Si
trasferirà da qualche parte,
con il nostro aiuto, e
divorzierà.
Non
dimenticare che in questo
momento suo marito è in
prigione e sta assaggiando
la vita dietro le sbarre. Se
farà qualcosa di stupido,
potrebbe passare lì il resto
dei suoi giorni.»
«Non mi ha dato
l’impressione di uno che
pensa molto.»
«Hai ragione, è un
idiota e un tossico. Non
voglio sottovalutare la
situazione di Phoebe, ma
se la caverà.»
Samantha posò la tazza
sul
tavolino.
«Devi
scusarmi, è tutto così
nuovo per me.»
«Parli dell’avere a che
fare con persone vere?»
«Sì. Persone oppresse
dai loro problemi e ansiose
che io li risolva. L’ultima
pratica su cui ho lavorato a
New York riguardava un
cliente davvero equivoco,
uno che vale circa un
miliardo di dollari. Voleva
costruire un hotel altissimo
e affusolato nel bel mezzo
del Greenwich Village. Era
di gran lunga il progetto
più orrendo che avessi mai
visto,
veramente
pacchiano. Il cliente aveva
licenziato tre o quattro
architetti e ogni volta il suo
grattacielo
diventava
sempre più alto e più
brutto. L’amministrazione
cittadina gli ha detto:
“Cavolo, no” e così lui ha
intentato causa, si è
arruffianato i politici e si è
comportato come molti dei
costruttori di Manhattan.
L’ho visto solo una volta
per pochi minuti quando è
venuto in studio per
strillare contro il mio
collega. Un essere viscido.
Ed era il nostro cliente, il
mio cliente. L’ho odiato.
Volevo che perdesse.»
«E perché no?»
«Alla fine infatti ha
perso e in segreto eravamo
tutti contenti. Pensaci,
lavoriamo una montagna
di ore, addebitiamo una
fortuna e ci viene voglia di
festeggiare
quando
il
progetto viene respinto.
Cosa te ne pare come
relazione con il cliente?»
«Avrei
festeggiato
anch’io.»
«Adesso mi preoccupo
per Lady Purvis, il cui
marito è in carcere per
debiti, e sono sulle spine
per Phoebe perché voglio
che lasci la città prima che
il marito esca su cauzione.»
«Benvenuta nel nostro
mondo,
Samantha.
Domani ci sarà dell’altro
ancora.»
«Non sono sicura di
essere tagliata per questo
lavoro.»
«Sì che lo sei. In questo
mestiere bisogna essere
tosti, e tu sei molto più
tosta di quanto pensi.»
Adam era tornato, i
compiti improvvisamente
finiti, e voleva sfidare Miss
Sam in una partita a gin
rummy. «Crede di essere
un asso con le carte»
avvertì Annette. «E bara.»
«Io non ho mai giocato a
gim rummy» disse Miss
Sam.
Adam stava mischiando
le carte come un mazziere
di Las Vegas.
10
Quasi tutte le giornate
lavorative
di
Mattie
cominciavano con il caffè
alle otto in punto, porta
dell’ufficio chiusa, telefono
ignorato e Donovan seduto
di fronte a lei per
l’aggiornamento
sugli
ultimi pettegolezzi. In
realtà non c’era alcun
bisogno di chiudere la
porta perché nessuno si
presentava al lavoro prima
delle otto e trenta circa,
quando Annette arrivava
in studio dopo avere
accompagnato i figli a
scuola.
Ciononostante,
Mattie teneva moltissimo
alla privacy con suo nipote
e intendeva proteggerla.
Le regole e le procedure
dello studio sembravano
essere molto rilassate e a
Samantha era stato detto di
presentarsi “verso le nove”
e lavorare finché avesse
trovato il momento buono
per smettere nel tardo
pomeriggio. All’inizio si
era preoccupata che la
transizione da cento a
quaranta ore la settimana
potesse essere difficile, ma
non fu così. Erano anni che
non dormiva fino alle sette
di
mattina
e
stava
scoprendo
che
era
qualcosa
di
molto
piacevole.
Alle
otto,
tuttavia,
cominciò
a
scalpitare,
ansiosa
di
cominciare la giornata. Il
martedì varcò la porta
d’ingresso, passò davanti
all’ufficio di Mattie, sentì
voci smorzate all’interno e
andò a controllare la
caffettiera nel cucinotto. Si
era
appena
sistemata
dietro la sua scrivania per
un paio d’ore di studio, o
fino a quando l’avessero
chiamata per assistere a un
altro colloquio con un
cliente,
quando
all’improvviso comparve
Donovan, che le disse:
«Benvenuta in città».
«Ehi, salve.»
Donovan si guardò
intorno. «Scommetto che il
tuo ufficio a New York era
molto più grande.»
«Non
proprio.
Noi
principianti
eravamo
rinchiusi in quelli che
chiamano
quads,
quei
minuscoli spazi stipati in
cui, se hai bisogno, puoi
allungare un braccio e
toccare il tuo collega.
Risparmiano sull’affitto in
modo che i soci possano
salvaguardare
i
loro
profitti.»
«Sembra proprio che tu
soffra di nostalgia.»
«Credo di essere ancora
stordita.» Samantha indicò
l’unica sedia e disse:
«Accomodati».
Donovan si sedette
disinvolto. «Mattie mi ha
detto che sei stata in
tribunale
nel
tuo
primissimo
giorno
di
lavoro.»
«È così. Cos’altro ti ha
detto?» Samantha si chiese
se i propri movimenti
quotidiani sarebbero stati
esaminati ogni mattina
sorseggiando il caffè.
«Niente,
le
solite
chiacchiere
oziose
da
avvocati di campagna.
Randy Fanning un tempo
era un brav’uomo, poi ha
cominciato con la met.
Finirà morto o in galera,
come molti altri di queste
parti.»
«Mi presti una delle tue
pistole?»
Una risata, e poi: «Non
ne avrai bisogno. Gli
spacciatori di met sono di
gran
lunga
meno
pericolosi delle società
minerarie. Comincia a fare
causa a loro e ti darò una
pistola. So che è ancora
presto, ma hai già pensato
al pranzo?».
«Non ho ancora pensato
neppure alla colazione.»
«Ti invito a pranzo. Un
pranzo di lavoro nel mio
studio.
Sandwich
all’insalata di pollo?»
«Come potrei rifiutare?»
«Mezzogiorno
può
andare bene con la tua
agenda?»
Samantha
finse
di
consultare la sua fitta
agenda e rispose: «È il tuo
giorno fortunato. Si dà il
caso che abbia giusto un
buco».
Donovan scattò in piedi.
«Allora a dopo.»
Samantha studiò in
silenzio per un po’,
sperando che nessuno la
disturbasse. Attraverso le
pareti
sottili,
sentiva
Annette discutere un caso
con Mattie. Ogni tanto
squillava il telefono e, ogni
volta, Samantha tratteneva
il fiato e sperava che Barb
passasse la chiamata a un
altro ufficio, a qualcuno
che sapesse cosa fare. La
sua fortuna durò fino quasi
alle dieci, quando Barb
sporse la testa dalla porta e
disse: «Esco per un’ora. La
reception
è
tua».
Scomparve prima che
Samantha
potesse
chiederle cosa significasse
esattamente quella frase.
Significava
starsene
seduta alla scrivania di
Barb
nell’area
di
ricevimento,
sola,
vulnerabile ed esposta alla
possibilità
di
essere
contattata
da
un
poveraccio che non aveva
soldi per assumere un
avvocato vero. Significava
rispondere al telefono e
passare le chiamate a
Mattie o ad Annette,
oppure
semplicemente
prendere
tempo.
Una
persona chiese di Annette,
che era con un cliente.
Un’altra chiese di Mattie,
che era in tribunale.
Un’altra ancora voleva un
parere su una domanda di
invalidità e Samantha fu
lieta di poterla dirottare a
uno studio privato. Poi la
porta di ingresso si aprì e
comparve Mrs Francine
Crump, con una questione
legale
che
avrebbe
ossessionato Samantha per
mesi.
Tutto ciò che Mrs
Crump voleva era un
testamento, uno che “non
costasse niente”. I normali
testamenti sono documenti
semplici, la cui stesura può
essere
facilmente
affrontata perfino dal più
inesperto degli avvocati.
Anzi, i principianti di
solito colgono al volo la
possibilità di redigere un
testamento
perché
è
difficile combinare casini.
All’improvviso sicura di
sé, Samantha guidò Mrs
Crump in una saletta
riunioni
nel
retro,
lasciando la porta aperta in
modo da poter tenere
d’occhio
l’area
di
ricevimento.
Mrs
Crump
aveva
ottant’anni e li dimostrava
tutti. Il marito era morto
molto tempo prima e i suoi
cinque figli erano sparsi
per il paese, nessuno
vicino a casa. La signora
disse di essere stata
dimenticata
da
loro:
andavano di rado a
trovarla e di rado le
telefonavano. Voleva un
semplice testamento in cui
non avrebbe lasciato niente
ai figli. «Li lascio tutti
fuori»
dichiarò
con
amarezza disarmante. A
giudicare dall’aspetto della
donna, e dal fatto che
voleva
un
testamento
gratis, Samantha ipotizzò
che ci fosse ben poco in
termini di disponibilità.
Mrs Crump viveva a
Eufaula,
una
piccola
comunità “nel profondo di
Jacob’s Holler”. Samantha
prese nota come se sapesse
perfettamente dove si
trovava.
Non
c’erano
debiti né beni veri e propri,
a parte una vecchia casa e
trentadue ettari di terreno,
proprietà della famiglia da
sempre.
«Ha idea di quanto
valga il terreno?» chiese
Samantha.
Mrs
Crump
fece
scricchiolare la dentiera e
poi rispose: «Molto più di
quanto si pensi. Vede,
l’anno scorso si sono
presentati da me quelli
della società del carbone
perché
volevano
comprarlo, è da un po’ che
ci provano, ma io li ho
cacciati via. Io non vendo a
nessuna
società
del
carbone,
nossignora.
Stanno
usando
gli
esplosivi non lontano dalla
mia proprietà: buttano giù
Cat Mountain, ed è una
vera vergogna. Non voglio
avere niente a che fare con
nessuna
società
del
carbone».
«Quanto le avevano
offerto?»
«Parecchio. Non l’ho
detto ai miei figli e non
glielo dirò. Sa, io non sto
tanto bene di salute e tra
non molto me ne andrò. Se
il terreno finisce ai miei
figli, loro lo venderanno a
quelli del carbone prima
ancora che io mi raffreddi.
È esattamente quello che
farebbero, io li conosco.»
Frugò nella borsetta ed
estrasse
alcuni
fogli
ripiegati. «Questo è il
testamento che ho firmato
cinque anni fa. I miei figli
mi avevano portato nello
studio di un avvocato,
proprio in fondo a questa
strada, e me lo hanno fatto
firmare.»
Samantha
dispiegò
lentamente i fogli e lesse il
testamento con le ultime
volontà
di
Francine
Cooper Crump. Il terzo
paragrafo lasciava tutto ai
cinque figli, in parti uguali.
Samantha
scribacchiò
qualche appunto inutile e
poi disse: «Okay, Mrs
Crump, ai fini dell’imposta
di successione, ho bisogno
di
sapere
la
stima
approssimativa
del
terreno».
«Che cosa?»
«Quanto le ha offerto la
società del carbone?»
Mrs Crump assunse
l’espressione di chi è stato
insultato, poi si chinò in
avanti
e
sussurrò:
«Duecentomila e rotti, ma
il valore è almeno doppio.
Forse triplo. Non ci si può
fidare di quella gente.
Giocano sempre al ribasso
e poi si inventano modi
per fregarti alla fine».
Tutto a un tratto il
semplice testamento non
era più così semplice.
Samantha procedette con
cautela e chiese: «Bene.
Quindi a chi vanno i
trentadue ettari nel nuovo
testamento?».
«Voglio darli alla mia
vicina di casa, Jolene. Vive
dall’altra
parte
del
torrente, sulla sua terra. E
neppure lei vende. Mi fido
di lei, e ha promesso che si
prenderà cura della mia
proprietà.»
«Ne ha già discusso con
la signora?»
«Ne
parliamo
di
continuo. Lei e suo marito
Hank dicono che faranno
anche loro un nuovo
testamento e lasceranno a
me il loro terreno, nel caso
se ne vadano per primi.
Ma loro stanno meglio di
me di salute, capisce?
Immagino che sarò io ad
andarmene per prima.»
«E se invece se ne vanno
prima loro?»
«Ne dubito. Io ho la
pressione alta, il cuore
malandato e anche la
borsite.»
«Certo, ma se dovessero
andarsene prima loro, lei
erediterebbe
la
loro
proprietà, che andrebbe a
unirsi alla sua. Alla sua
morte, a chi andrebbe tutto
quel terreno?»
«Non ai miei figli e
neppure ai figli di Jolene e
Hank. Che Dio non voglia.
I miei figli saranno cattivi,
ma i loro...»
«Ho capito, però ci deve
essere comunque un erede.
Ha in mente qualcuno?»
«È per questo che sono
venuta qui, per parlare con
un avvocato. Ho bisogno
di un consiglio su cosa
fare.»
A quel punto, con un
patrimonio in gioco, si
aprivano diversi scenari.
Di
sicuro
il
nuovo
testamento sarebbe stato
contestato dai cinque figli,
e Samantha, a parte quello
che
aveva
appena
leggiucchiato sui testi dei
seminari,
non
sapeva
niente di impugnazioni.
Ricordava vagamente un
paio di casi esaminati alla
scuola di legge, ma erano
passati troppi anni. Riuscì
a prendere tempo, a
scarabocchiare appunti e a
formulare
domande
appropriate per mezz’ora,
e alla fine convinse Mrs
Crump a ripresentarsi
qualche giorno dopo, una
volta che lo studio avesse
valutato la sua situazione.
Barb intanto era tornata e
si dimostrò abilissima
nell’aiutare Samantha a
scortare la nuova cliente
all’uscita.
«Di cosa si trattava?»
chiese Barb dopo che Mrs
Crump se ne fu andata.
«Non so ancora bene.
Sono nel mio ufficio.»
Lo studio di Donovan era
in
condizioni
molto
migliori della Legal Aid
Clinic. Poltrone in pelle,
spessi tappeti, pavimenti
in legno ben lucidati, un
originale
lampadario
appeso al centro dell’atrio.
Il primo pensiero di
Samantha
fu
che,
finalmente, c’era qualcuno
a Brady capace di mettere
insieme qualche dollaro.
La receptionist, Dawn, la
salutò educatamente e le
disse che il boss la stava
aspettando di sopra. Le
comunicò anche che lei ora
sarebbe andata a pranzo.
Salendo la scala circolare,
Samantha sentì chiudere a
chiave la porta d’ingresso.
Non c’era segno di altre
persone presenti.
Donovan era al telefono
dietro
una
grande
scrivania di legno che
sembrava molto vecchia.
Le fece cenno di entrare, le
indicò
una
grande
poltrona e concluse la
chiamata: «Adesso devo
salutarti».
Riattaccò
e
disse: «Benvenuta nel mio
regno. È qui che si fa il
gioco duro, grandi rischi
per grandi poste».
«Niente
male»
commentò
Samantha,
guardandosi intorno. La
stanza era ampia e si
apriva sul balcone. Le
pareti erano coperte da
belle librerie, tutte cariche
del solito assortimento di
trattati e tomi studiato per
fare colpo. In un angolo
c’era una rastrelliera sulla
quale
erano
esposte
almeno otto armi letali.
Samantha non era in grado
di
distinguere
una
doppietta da un fucile per
la caccia al cervo, ma la
collezione le sembrava in
ottimo stato e pronta
all’uso.
«Armi
ovunque»
osservò.
«Vado molto a caccia,
da sempre. Se cresci tra
queste montagne, cresci
nei boschi. Ho ucciso il
mio primo cervo a sei anni,
con l’arco.»
«Congratulazioni.
Perché mi hai invitata a
pranzo?»
«L’avevi
promesso,
ricordi?
La
settimana
scorsa, quando ti hanno
arrestata e io ti ho salvato
dalla prigione.»
«Ma eravamo d’accordo
per pranzare alla tavola
calda.»
«Ho pensato che qui
avremmo
avuto
più
privacy.
Inoltre
cerco
sempre di evitare i locali
del posto. Come ti ho
detto, c’è un mucchio di
gente alla quale non vado
a genio. A volte si lasciano
andare e fanno scenate in
pubblico, il che potrebbe
rovinare un buon pranzo.»
«Non vedo cibo.»
«È nella stanza della
guerra,
la
mia
sala
operativa. Vieni con me.»
Donovan balzò in piedi e
Samantha lo seguì per un
breve corridoio fino a una
lunga stanza priva di
finestre. A un capo di un
tavolo ingombro c’erano
due contenitori di plastica
per cibo e due bottiglie
d’acqua, che Donovan
indicò dicendo: «Il pranzo
è servito».
Samantha si avvicinò a
una parete e studiò un
ingrandimento fotografico
alto almeno due metri e
mezzo. Era a colori e
rappresentava una scena
scioccante e tragica. Un
masso delle dimensioni di
una piccola auto era
precipitato
sopra
un
caravan, sventrandolo e
provocando
danni
gravissimi.
«Che cos’è?» domandò.
Donovan le si avvicinò e
rispose: «Be’, tanto per
cominciare è una causa.
Per circa un milione di
anni, quel masso ha fatto
parte di Enid Mountain, a
una
sessantina
di
chilometri da qui, a
Hopper County. Un paio
d’anni fa, cominciarono lo
strip
mining
della
montagna: fecero saltare la
cima e iniziarono a estrarre
il carbone. Il quattordici
marzo dell’anno scorso,
alle quattro di mattina, un
bulldozer di proprietà di
un’impresa di furfanti
chiamata Strayhorn Coal, e
manovrato da un suo
dipendente,
stava
sgombrando
le
rocce,
senza permesso, e questo
masso venne buttato giù,
nell’area di riempimento
nella valle. A causa delle
dimensioni, il masso prese
velocità
precipitando
lungo il letto di questo
torrente, molto scosceso».
Donovan stava indicando
una mappa ingrandita
accanto alla foto. «A quasi
un chilometro e mezzo di
distanza dal punto in cui
aveva lasciato il bulldozer,
il masso è piombato su
questo piccolo caravan.
Dentro c’erano i due
fratelli Tate: Eddie, di
undici anni, e Brandon, di
otto.
Profondamente
addormentati,
come
prevedibile. Il padre era in
prigione
per
avere
cucinato met. La madre era
al
lavoro
in
un
minimarket. I ragazzi sono
morti
sul
colpo,
schiacciati.»
Samantha
fissò
incredula la foto. «È
orribile.»
«Lo è stato, e lo è. La
vita nei pressi di una strip
mine non è mai noiosa. Le
esplosioni fanno tremare la
terra e danneggiano le
fondamenta. La polvere di
carbone riempie l’aria e
ricopre tutto. L’acqua dei
pozzi diventa arancione.
Volano
di
continuo
frammenti di roccia. Due
anni fa ho avuto un caso in
West Virginia: in un caldo
sabato pomeriggio, Mr e
Mrs Herzog se ne stavano
seduti accanto alla loro
piccola piscina quando un
masso di una tonnellata è
piovuto dal nulla ed è
precipitato
dritto
nell’acqua. Loro due si
sono
infradiciati.
La
piscina si è spaccata.
Abbiamo fatto causa alla
società e abbiamo incassato
qualcosa, ma non molto.»
«Hai intentato causa alla
Strayhorn Coal?»
«Oh, sì. Andiamo a
processo lunedì prossimo a
Colton,
tribunale
distrettuale.»
«La società non ha
voluto
un
accordo
stragiudiziale?»
«La società è stata
multata
dai
nostri
impavidi amministratori, i
quali hanno colpito duro
per ben ventimila dollari.
La società è ricorsa in
appello. No, non sono
disposti a negoziare un
accordo. Unitamente alla
loro
compagnia
assicurativa,
avevano
offerto centomila.»
«Centomila dollari per
due bambini morti?»
«I bambini morti non
valgono
molto,
specialmente
negli
Appalachi. Non hanno
valore economico perché,
ovviamente, non lavorano.
Questo
è
un
caso
solidissimo
per
una
richiesta di danni punitivi,
e
visto
che
la
capitalizzazione
della
Strayhorn Coal è di mezzo
miliardo di dollari, io
chiederò un milione o due.
Ma anni fa i saggi che
fanno le leggi della
Virginia hanno deciso di
fissare
un
tetto
ai
risarcimenti.»
«Mi
sembra
di
ricordarlo
dai
tempi
dell’esame di ammissione
all’ordine.»
«Il
tetto
è
di
trecentocinquantamila
dollari,
non
importa
quanto orribile sia stata
l’azione del convenuto. È
stato un regalo della nostra
Assemblea
generale
all’industria
delle
assicurazioni,
come
sempre nel caso dei tetti
massimi.»
«Mi sembra di sentir
parlare mio padre.»
«Vuoi mangiare o vuoi
restare in piedi per tutta la
prossima ora?»
«Non sono sicura di
avere fame.»
«Be’, io ce l’ho.» Si
sedettero al tavolo e
scartarono i sandwich.
Samantha diede un morso
al suo, ma non aveva
appetito. «Tu hai cercato di
negoziare un accordo?»
domandò.
«Io ho chiesto un
milione e loro hanno fatto
una
controfferta
di
centomila, per cui la
distanza è enorme. Loro,
gli
avvocati
dell’assicurazione e la
società mineraria, dicono
che
la
famiglia
era
incasinata e non così
legata. Contano anche sul
fatto che molti giurati di
queste parti hanno paura
di Big Coal, oppure sono
tacitamente solidali. Qui
negli Appalachi, quando
fai causa a una società del
carbone non sempre puoi
contare su una giuria
imparziale. Perfino quelli
che
le
disprezzano
tendono a tenere la bocca
chiusa. Tutti hanno un
parente o un amico che
lavora nel settore. Questo
determina
dinamiche
molto interessanti in aula.»
Samantha mangiò un
altro piccolo boccone e si
guardò intorno. Le pareti
erano rivestite da mappe e
ingrandimenti fotografici a
colori,
alcuni
contrassegnati come prove
processuali,
altri
apparentemente in attesa
di processo. «Mi ricorda lo
studio di mio padre, tanto
tempo fa.»
«Marshall Kofer. Ho
fatto qualche ricerca. Ai
suoi tempi è stato il
massimo come avvocato di
tribunale.»
«Sì, è vero. Da bambina,
se volevo vederlo di solito
dovevo andare nel suo
ufficio, sempre che fosse in
città. Lavorava senza sosta.
Dirigeva un grande studio.
Quando non stava volando
in giro per il mondo
all’inseguimento
dell’ultimo disastro aereo,
era in ufficio a lavorare sul
processo.
Aveva
una
grande stanza ingombra...
adesso che ci penso, anche
lui la chiamava stanza
della guerra.»
«Non ho inventato io la
definizione. Quasi tutti gli
avvocati ne hanno una.»
«Le
pareti
erano
rivestite da grandi foto,
diagrammi e ogni tipo di
documento.
Era
impressionante,
perfino
per una bambina. Si
trattava di grandi disastri
aerei, con tante vittime,
tanti avvocati e tutto il
resto. In seguito mio padre
mi ha spiegato che nella
maggior parte dei casi si
arrivava a un accordo
stragiudiziale subito prima
del processo. Stabilire la
responsabilità di rado
costituiva un problema:
l’aereo era precipitato e la
colpa non poteva certo
essere dei passeggeri. Le
compagnie aeree sono
ricchissime e assicurate, e
si preoccupano per la loro
immagine,
così
si
accordano.
Per
cifre
enormi.»
«Hai mai preso in
considerazione l’idea di
lavorare con tuo padre?»
«No, mai. Mio padre è
un uomo impossibile, o
almeno lo era allora. Ego
smisurato,
lavorodipendente,
parecchio
stronzo.
Non
volevo
saperne del suo mondo.»
«E poi si è rovinato da
solo.»
«Proprio
così.»
Samantha si alzò in piedi e
si avvicinò a un’altra foto:
un’auto accartocciata. I
soccorritori
stavano
cercando
di
estrarre
qualcuno
intrappolato
all’interno.
Donovan rimase seduto,
masticò una patatina, poi
disse: «Sono andato a
processo per quel caso tre
anni fa a Martin County,
West Virginia. Ho perso».
«Cos’era successo?»
«Un camion di carbone,
sovraccarico e in eccesso di
velocità, stava scendendo
dalla
montagna,
ha
sbandato oltre la linea
spartitraffico
e
si
è
scontrato
con
quella
piccola
Honda.
La
conducente era Gretchen
Bane, di sedici anni, la mia
cliente, deceduta sulla
scena.
Se
guardi
attentamente, puoi vedere
il suo piede sinistro che
spunta dalla portiera, lì sul
fondo.»
«Temevo che fosse un
piede. La giuria ha visto
questa foto?»
«Oh, sì. I giurati hanno
visto tutto. Per cinque
giorni ho esposto i fatti alla
giuria, ma non è servito a
niente.»
«Come mai hai perso?»
«Io perdo circa metà
delle cause. In questo caso
particolare, l’autista del
camion è salito sul banco
dei testimoni, ha giurato di
dire la verità e poi ha
mentito per tre ore. Ha
dichiarato che era stata
Gretchen a superare la
linea
mediana
e
a
provocare l’incidente, ha
fatto sembrare la cosa
come se lei avesse voluto
suicidarsi.
Le
società
minerarie sono furbe e non
mandano mai giù un solo
camion
alla
volta:
viaggiano in coppia, così
c’è sempre un testimone
pronto a deporre. Camion
che
trasportano
cento
tonnellate di carbone e
sfrecciano su vecchi ponti
che hanno una portata di
venti ancora utilizzati
dagli scuolabus, camion
che ignorano ogni norma
stradale. E quando capita
un incidente, di solito è
grave. In West Virginia,
questi camion uccidono un
automobilista
innocente
ogni settimana. L’autista
giura che non stava
facendo
niente
di
sbagliato, il suo collega gli
tiene corda, non ci sono
altri testimoni e così la
giuria si schiera con Big
Coal.»
«Non puoi ricorrere in
appello?»
Donovan rise come se
Samantha avesse appena
fatto una battuta. Bevve un
lungo sorso d’acqua e
rispose: «Certo, abbiamo
ancora quel diritto. Ma il
West Virginia elegge i
propri giudici, il che è un
abominio. La Virginia ha
qualche legge parecchio
discutibile, ma almeno noi
non eleggiamo i giudici. Là
non è così. La Corte
Suprema del West Virginia
è composta da cinque
giudici, i quali restano in
carica per quattro anni e
poi si candidano per essere
rieletti. Indovina chi versa
i contributi più consistenti
alle
loro
campagne
elettorali».
«Le
società
del
carbone.»
«Bingo. Le società sono
padrone dei politici, dei
legislatori, dei giudici e
spesso controllano anche le
giurie. Per cui non è
esattamente il clima ideale
per
noi
avvocati
di
tribunale.»
«Alla faccia del processo
equo» disse Samantha,
continuando a guardare le
foto.
«Ogni tanto vinciamo.
Nel caso di Gretchen
abbiamo avuto fortuna. Un
mese dopo il processo, lo
stesso camionista si è
scontrato con un’altra
auto. Per fortuna nessuno è
morto, solo qualche osso
rotto. Il vicesceriffo sulla
scena si è incuriosito e ha
fermato il camionista per
accertamenti.
Si
comportava
in
modo
strano e alla fine ha
ammesso
che
aveva
guidato per quindici ore di
fila. Oltre a questo, aveva
bevuto Red Bull con vodka
e sniffato cristalli di met. Il
vice
ha
acceso
un
registratore
e
lo
ha
interrogato sull’incidente
Bane. Il camionista ha
ammesso che il suo datore
di
lavoro
lo
aveva
minacciato, costringendolo
a mentire. Ho avuto una
copia del verbale e ho
depositato una valanga di
memorie e istanze. La corte
alla fine ha indetto un
nuovo
processo,
che
stiamo ancora aspettando.
Alla fine li inchioderò.»
«Cosa ne è stato del
camionista?»
«È diventato un pentito
e ha vuotato il sacco sulla
Eastpoint Mining, il suo
datore di lavoro. Qualcuno
gli
ha
tagliato
gli
pneumatici e ha sparato
due colpi alla finestra della
sua cucina, per cui ora se
ne sta nascosto, in un altro
Stato. Gli do un po’ di
soldi per sopravvivere.»
«È legale?»
«Questa non è una
domanda opportuna nel
paese del carbone. Niente è
tutto bianco o tutto nero
nel mio mondo. Il nemico
infrange ogni regola, per
cui la lotta non è mai leale.
Se giochi secondo le
regole, perdi, anche se hai
ragione.»
Samantha
tornò
a
sedersi
al
tavolo
e
mangiucchiò una patatina.
«Sapevo che era cosa
saggia evitare le cause in
tribunale.»
«Mi dispiace sentirlo»
disse Donovan con un
sorriso, gli occhi scuri che
assorbivano ogni mossa di
Samantha. «Perché stavo
pensando di offrirti un
impiego.»
«Prego?»
«Parlo sul serio. Mi
sarebbe utile qualcuno che
facesse il lavoro di ricerca.
Ti pagherei. So quanto
guadagni al centro di
assistenza legale, per cui
ho pensato che forse
avresti
accettato
un
secondo
lavoro
come
assistente ricercatrice.»
«Qui, nel tuo studio?»
«Dove,
altrimenti?
Niente che interferisca con
il tuo stage, rigorosamente
dopo l’orario di lavoro e
nei weekend. Se qui a
Brady non ti sei già
annoiata, non ci metterai
molto.»
«Perché io?»
«Perché non c’è nessun
altro. Ho due paralegali e
uno se ne va domani. Non
posso fidarmi di nessun
altro avvocato in città, né
di qualcuno di altri studi
legali. Sono paranoico per
quanto
riguarda
la
segretezza
e
tu
evidentemente non sei qui
da abbastanza tempo per
conoscere
qualcuno
o
qualcosa. Sei il candidato
perfetto.»
«Non
so
cosa
rispondere. Hai parlato
con Mattie?»
«No, non di questo. Ma,
se sei interessata, farò due
chiacchiere
con
lei.
Raramente mi dice di no.
Pensaci. Ma se non vuoi,
capirò.»
«Okay, ci penserò. Ma
ho appena cominciato un
lavoro e non avevo
intenzione di cercarmene
un altro, non così presto,
comunque. Inoltre le cause
proprio non mi piacciono.»
«Non dovrai andare in
tribunale. Te ne staresti
nascosta
qui
a
fare
ricerche, redigere memorie
e lavorare per tutte le ore a
cui sei abituata.»
«Stavo cercando di farla
finita con quegli orari.»
«Me ne rendo conto.
Riflettici
su
e
ne
riparliamo.»
Si diedero da fare con i
sandwich
per
un
momento, ma il silenzio
era troppo pesante. Alla
fine
fu
Samantha
a
romperlo. «Mattie mi ha
detto del tuo passato.»
Donovan
sorrise
e
spinse da parte il cibo.
«Cosa vuoi sapere? Sono
un libro aperto.»
Samantha ne dubitava.
Avrebbe potuto fargli
diverse domande: che fine
ha fatto tuo padre? È seria
la separazione da tua
moglie? Con che frequenza
la vedi?
Magari in seguito. «In
realtà niente» rispose. «La
tua
è
una
storia
interessante, ecco tutto.»
«Interessante,
triste,
tragica,
piena
di
avventura. Tutto quanto.
Ho trentotto anni e morirò
giovane.»
Non le venne in mente
niente da dire.
11
Serpeggiando
tra
le
montagne, la highway che
portava a Colton saliva e
scendeva, regalando viste
mozzafiato di compatte
catene montuose, e poi si
tuffava in valli cosparse di
gruppetti di baracche e
case mobili cadenti, con
auto
scassate
sparse
tutt’intorno. Costeggiava
torrenti con rapide poco
profonde
dall’acqua
limpidissima e, proprio
mentre ci si riabituava alla
bellezza del panorama,
sfiorava
l’ennesimo
insediamento di minuscole
case solitarie, raggruppate
l’una
accanto
all’altra
nell’ombra eterna delle
montagne. Il contrasto era
sorprendente: la bellezza
dei monti e la povertà
della gente che viveva in
quelle
zone.
C’erano
alcune case graziose con
prati ben curati e steccati
bianchi, ma in genere i
vicini non erano altrettanto
benestanti.
Mattie
guidava
e
parlava, mentre Samantha
ammirava lo scenario. In
un tratto di strada in salita,
un raro rettilineo, un lungo
camion si avvicinò dalla
direzione opposta. Era
sporco, impolverato e con
il vano di carico coperto da
un telone. Stava scendendo
dalla
montagna,
chiaramente oltre il limite
di velocità, ma nella giusta
corsia. Una volta passato,
Samantha
disse:
«Immagino che fosse un
camion di carbone».
Mattie controllò nello
specchietto
retrovisore,
come se non avesse notato
il veicolo. «Oh, sì. Portano
via il carbone dopo il
lavaggio, pronto per il
mercato.
Sono
dappertutto.»
«Donovan me ne ha
parlato proprio ieri. Non
ha una bella opinione di
quei camion.»
«Scommetto che quello
era
sovraccarico
e
probabilmente
non
supererebbe un’ispezione.»
«Nessuno li controlla?»
«Non con regolarità. E
in genere le società sanno
in
anticipo
quando
arriveranno gli ispettori. I
miei preferiti sono quelli
incaricati della sicurezza
nelle miniere, che devono
monitorare le esplosioni.
Seguono un programma
prestabilito,
per
cui
quando si presentano in
una strip mine... indovina?
Tutto è in perfetto ordine,
come da manuale. Appena
se ne vanno, la società
ricomincia con le sue
esplosioni senza alcun
rispetto delle regole.»
Samantha dava per
scontato
che
Mattie
sapesse del suo pranzo con
Donovan il giorno prima.
Aspettò un momento per
vedere se veniva sollevato
l’argomento dell’offerta di
lavoro.
Non
accadde.
Arrivarono in cima a una
montagna e iniziarono
un’altra discesa. «Voglio
farti vedere una cosa»
disse Mattie. «Ci vorrà solo
un minuto.» Rallentò e
voltò in una highway più
stretta, addirittura con più
curve e rilievi ancora più
ripidi. Stavano salendo di
nuovo.
Un
cartello
annunciò che poco più
avanti c’era un’area picnic
con vista panoramica. Si
fermarono in una piccola
striscia di terreno con due
tavoli di legno e un bidone
per la spazzatura. Davanti
a loro c’erano chilometri e
chilometri di montagne
ondulate rivestite da una
fitta vegetazione. Scesero
dall’auto e si avvicinarono
a un precario parapetto,
installato per impedire a
persone
e
auto
di
precipitare in fondo a una
valle dove non sarebbero
mai più state ritrovate.
«Questo è un buon
punto per vedere da una
certa distanza la rimozione
della
cima
delle
montagne» disse Mattie.
«Tre siti...» Indicò qualcosa
alla sua sinistra. «Quella è
la
miniera
di
Cat
Mountain, non lontana da
Brady. Più avanti nella
stessa direzione c’è la
miniera Loose Creek in
Kentucky. E là, sulla
destra, c’è la Little Utah,
sempre in Kentucky. Tutte
attive, tutte che estraggono
carbone
alla
massima
velocità
umanamente
possibile. Una volta quelle
montagne erano alte quasi
mille metri, come le loro
vicine. Guardale adesso.»
Erano state scotennate,
spogliate di tutta la
vegetazione e ridotte a
roccia e polvere. Le loro
cime erano scomparse e
ora si stagliavano come
dita
mozzate,
protuberanze di una mano
mutilata. Erano circondate
da
montagne
intatte,
incendiate dall’arancione e
dal giallo di metà autunno,
tutto di una bellezza
perfetta, se non fosse stato
per quell’obbrobrio.
Immobile,
Samantha
guardava
incredula,
cercando di assimilare
quella devastazione. Alla
fine disse: «Non può essere
legale».
«Invece temo proprio di
sì, secondo la legge
federale. Tecnicamente è
legale. Ma il modo in cui
operano è estremamente
illegale.»
«Non c’è modo di
fermare questo scempio?»
«Le cause infuriano da
vent’anni. Abbiamo avuto
qualche vittoria a livello
federale, ma poi tutte le
sentenze
sono
state
ribaltate in appello. Il
Quarto circuito è stracolmo
di nominati repubblicani. E
quindi lo stupro continua.
Noi,
comunque,
continuiamo
a
combattere.»
«Noi?»
«I buoni, i nemici delle
strip mines. Non sono
personalmente coinvolta
come avvocato, ma faccio
parte della squadra giusta.
Siamo in netta minoranza
qui in zona, ma la lotta va
avanti.»
Mattie
diede
un’occhiata all’orologio e
disse: «Sarà meglio che ci
muoviamo».
Di nuovo in auto,
Samantha chiese: «È una
cosa che ti fa stare male,
vero?».
«Hanno distrutto gran
parte del nostro modo di
vivere qui negli Appalachi,
per cui, sì, mi fa stare
male.»
Quando entrarono nella
città di Colton, la highway
diventò Center Street e,
dopo pochi isolati, sulla
destra
comparve
il
tribunale. «Donovan ha un
processo qui la settimana
prossima» disse Samantha.
«Oh, sì, uno grosso.
Quei due ragazzini. Che
cosa triste.»
«Conosci il caso?»
«Sì, certo. Non si
parlava d’altro quando
sono rimasti uccisi. So più
di quello che vorrei sapere.
Spero solo che Donovan
vinca.
Io
gli
avevo
consigliato di cercare un
accordo,
di
ottenere
qualcosa per la famiglia,
ma lui vuole farne un caso
esemplare, dare un segnale
forte.»
«Quindi non accetta
sempre i tuoi consigli.»
«Donovan di solito fa
quello che vuole, e di solito
ha ragione lui.»
Parcheggiarono dietro il
tribunale ed entrarono nel
palazzo. Molto diverso dal
tribunale
di
Noland
County, quello di Hopper
County
era
una
sconcertante
struttura
moderna il cui progetto un
giorno doveva avere fatto
indubbiamente sensazione.
Tutto in pietra e vetro, in
certi punti sporgeva e in
altri si ritraeva, sprecando
un mucchio di spazio a
vantaggio del suo audace
design.
Samantha
immaginò che in seguito
all’architetto fosse stata
revocata
l’abilitazione
professionale.
«Il vecchio tribunale era
bruciato» disse Mattie
mentre salivano le scale.
«Ma è anche vero che
bruciano tutti.»
Samantha non era sicura
di cosa significasse quella
frase. Lady Purvis, che
sedeva
nervosa
nel
corridoio fuori dall’aula,
sorrise con grande sollievo
quando
vide
i
suoi
avvocati. C’erano altre due
o
tre
persone
che
ciondolavano
nel
corridoio, in attesa che la
corte si riunisse. Dopo
pochi preliminari, Lady
indicò un giovanotto dalla
faccia pallida e molle che
indossava
una
giacca
sportiva di poliestere e
lucidi stivali a punta. «È
lui, quello che lavora per la
JRA .
Si chiama Snowden,
Laney Snowden.»
«Aspetta qui» disse
Mattie. Con Samantha al
seguito,
puntò
direttamente
su
Mr
Snowden, i cui occhi
sembrarono farsi sempre
più grandi a mano a mano
che
Mattie
gli
si
avvicinava. «È lei che
rappresenta la JRA ?»
«Sì, sono io» confermò
Snowden con orgoglio.
Mattie tese un biglietto
da visita come se fosse
stato
un
coltello
a
serramanico. «Io sono
Mattie Wyatt, l’avvocato di
Stocky Purvis. Questa è la
mia associata, Samantha
Kofer. Siamo state assunte
per far uscire dal carcere il
nostro cliente.»
Mattie fece un passo
avanti,
Snowden
uno
indietro. Samantha non
sapeva bene cosa fare,
perciò
assunse
rapidamente una postura e
un
atteggiamento
aggressivi.
Fissò
minacciosa
Snowden
mentre lui la guardava
inespressivo, tentando di
assimilare il fatto che un
disgraziato come Stocky
Purvis avesse assunto non
uno, ma due avvocati.
«Bene» disse finalmente.
«Basta che sganci i soldi e
lo facciamo uscire.»
«Il mio cliente non ha
soldi, Mr Snowden. Ormai
dovrebbe essere evidente.
E non è in grado di
procurarsene finché lo
tenete rinchiuso in galera.
Aggiungete pure tutti gli
addebiti illegali che volete,
ma la verità è che il mio
cliente
non
può
guadagnare un centesimo
se continua a starsene dove
si trova adesso.»
«Io ho un’ordinanza del
tribunale»
dichiarò
Snowden
fingendo
sicurezza.
«Be’, tra poco parleremo
proprio di questo con il
giudice. L’ordinanza verrà
modificata e farà uscire
Stocky. Se lei non è
disposto a negoziare, si
ritroverà nei guai e si
prenderà tutte le colpe.»
«Okay, voi ragazze cosa
avete in mente?»
«Non
mi
chiami
ragazza!» abbaiò Mattie.
Snowden
indietreggiò
spaventato, quasi temendo
una di quelle denunce per
molestie sessuali di cui si
leggeva
sui
giornali.
Mentre il viso cambiava
colore, Mattie gli si
avvicinò ancora di più.
«Ecco la proposta. Il mio
cliente deve alla contea
circa duecento dollari tra
multe e spese varie.
Voialtri ne avete aggiunti
altri quattrocento per i
vostri giochetti. Di questi
ne pagheremo cento, per
un totale massimo di
trecento dollari, e avremo
sei mesi di tempo. Questo
è quanto, prendere o
lasciare.»
Snowden
esibì
un
sorriso fasullo e scosse la
testa «Mi dispiace, Ms
Wyatt, ma non possiamo
accettare.»
Senza togliergli gli occhi
di dosso, Mattie aprì la
valigetta
ed
estrasse
rabbiosamente alcuni fogli.
«Allora
provate
ad
accettare questa.» Agitò le
carte davanti alla faccia di
Snowden. «È una denuncia
presso la corte federale
contro la Judicial Response
Associates, a cui poi
aggiungerò anche il suo
nome, per arresto illegale e
detenzione illegale. Vede,
Mr
Snowden,
la
costituzione dice, molto
chiaramente, che non si
può mandare in carcere
una persona povera perché
non riesce a pagare i suoi
debiti. Non mi aspetto che
lei lo sappia, visto che
lavora per una banda di
farabutti. Comunque, mi
creda, i giudici federali lo
sanno perché hanno letto
la costituzione, almeno
quasi tutti. La detenzione
per debiti è illegale. Ha
mai sentito parlare della
clausola
di
uguale
protezione?»
Nonostante la bocca
aperta, Snowden era senza
parole.
Mattie insistette. «No,
non credo. Forse i suoi
avvocati
potranno
spiegarglielo, a trecento
dollari l’ora. Io glielo sto
dicendo perché lei possa
riferire ai suoi capi che vi
terrò
inchiodati
in
tribunale per i prossimi
due anni. Vi seppellirò
sotto le carte. Dovrete
trascinare il culo in ore e
ore di deposizioni e
scoprirò i vostri sporchi
trucchetti. Verrà fuori
tutto. Vi perseguiterò e vi
renderò la vita impossibile.
Avrete gli incubi quando
penserete a me. E alla fine
io vincerò la causa, e in più
incasserò la mia parcella.»
Spinse il documento contro
il petto di Snowden, che lo
prese
in
mano
con
riluttanza.
Mattie
e
Samantha
fecero dietro-front e si
allontanarono a passo di
marcia, lasciando uno
Snowden sotto shock da
bombardamento, con le
ginocchia molli e già con
un’idea dei futuri incubi.
Samantha, anche lei a suo
modo sbalordita, sussurrò:
«Non
possiamo
fare
bancarotta per i trecento
dollari?».
Improvvisamente calma
e composta, Mattie rispose
sorridendo: «Certo che
possiamo. E lo faremo».
Trenta minuti più tardi,
Mattie, in piedi davanti al
giudice, annunciava che
era stato raggiunto un
accordo per l’immediato
rilascio del suo cliente, Mr
Stocky Purvis. Lady era in
lacrime quando uscì dal
tribunale per andare al
carcere.
Durante il viaggio di
ritorno a Brady, Mattie
disse: «La professione
legale è uno strumento
potente, quando viene
utilizzata per aiutare la
povera gente. I delinquenti
come
Snowden
sono
abituati a fare i prepotenti
con
chi
non
può
permettersi
una
rappresentanza legale. Ma
coinvolgi
un
buon
avvocato e le prepotenze
cessano subito».
«Anche tu non scherzi
in quanto a prepotenza.»
«Ho fatto pratica.»
«Quando hai preparato
la denuncia?»
«Le teniamo pronte in
magazzino, sotto la voce
“Cause finte”. Inserisci i
nomi, dissemini ovunque
le parole “Corte federale” e
vedi che scappano tutti
come topi.»
Cause finte. Scappano
come topi. Samantha si
chiese quanti dei suoi
compagni alla Columbia
fossero entrati in contatto
con tattiche legali del
genere.
Alle due di quello stesso
pomeriggio, Samantha era
seduta nell’aula principale
del tribunale di Noland
County e dava colpetti
tranquillizzanti
sul
ginocchio
di
una
terrorizzata
Phoebe
Fanning. I lividi sul viso
avevano assunto un colore
blu scuro e sembravano
ancora peggiori. Phoebe
era arrivata con uno spesso
strato di fondotinta, ma
Annette
non
aveva
approvato e le aveva dato
istruzioni di andare in
bagno a lavarsi la faccia.
Ancora
una
volta,
Randy Fanning entrò in
aula accompagnato dalla
scorta e con un’espressione
addirittura più accigliata
di due giorni prima. Gli
era stata notificata copia
della domanda di divorzio,
e la cosa sembrava averlo
irritato. Mentre il vice gli
toglieva le manette, lanciò
un’occhiata cattiva a sua
moglie, e a Samantha.
Il giudice della corte
distrettuale era Jeb Battle,
un giovane zelante che non
dimostrava
più
di
trent’anni. Dato che il
centro di assistenza legale
gratuita si occupava spesso
di
questioni
familiari,
Annette era una figura
abituale in quel tribunale e
sosteneva di andare molto
d’accordo con il giudice.
Battle
dichiarò
aperta
l’udienza e iniziò con altre
cause, approvando alcune
questioni non contestate
dalle
parti.
Quando
chiamò “Fanning contro
Fanning”,
Annette,
Samantha e la loro cliente
varcarono il cancelletto e
presero posizione a un
tavolo vicino al banco del
giudice. Randy Fanning,
sempre con un vice
accanto, si sedette a un
altro tavolo e aspettò che
Hump lo raggiungesse
ciabattando. Battle osservò
con attenzione Phoebe e il
suo viso pieno di lividi e,
senza una parola, prese la
sua decisione.
«Questa domanda di
divorzio è stato depositata
lunedì» disse. «Le è stata
notificata una copia, Mr
Fanning?
Può
restare
seduto.»
«Sì, signore, ho una
copia.»
«Mr
Humphrey,
immagino che in mattinata
verrà fissata la cauzione, è
esatto?»
«Sì, signore.»
«Siamo qui per decidere
su
una
richiesta
di
ordinanza
restrittiva
temporanea.
Phoebe
Fanning chiede alla corte
di imporre a Randall
Fanning di non avvicinarsi
alla residenza della coppia,
ai tre figli della coppia, a
Phoebe stessa e a chiunque
tra i suoi parenti più
prossimi. Lei ha obiezioni,
Mr Humphrey?»
«Certo che ne ho, vostro
onore. Questa faccenda si
sta
gonfiando
all’inverosimile.»
Hump
era in piedi, gesticolava in
modo teatrale e la sua voce
si faceva più vibrante a
ogni frase. «La coppia ha
avuto una lite. Non è stata
la prima, e non tutte sono
state causate dal mio
cliente. Comunque, sì, il
mio cliente ha litigato con
la moglie. È evidente che i
signori Fanning hanno dei
problemi,
ma
stanno
tentando di risolverli. Se
solo
potessimo
semplicemente fare tutti
un bel respiro profondo,
lasciar uscire Randy dal
carcere e rimandarlo al
lavoro, io sono sicuro che i
due troveranno il modo di
appianare gran parte delle
loro divergenze. Il mio
cliente sente molto la
mancanza dei suoi figli e
vuole veramente tornare a
casa.»
«La signora ha chiesto il
divorzio, Mr Humphrey»
fece notare severo il
giudice. «Mi sembra che
faccia sul serio riguardo
alla separazione.»
«Le
domande
di
divorzio possono essere
ritirate con la stessa
velocità con cui sono state
presentate. Lo vediamo
succedere di continuo,
vostro onore. Il mio cliente
è disposto addirittura ad
andare da uno di quei
consulenti matrimoniali, se
questo può fare contenta la
signora.»
Annette
intervenne:
«Giudice, ormai siamo ben
oltre
i
consulenti
matrimoniali. Il cliente di
Mr
Humphrey
dovrà
vedersela con l’accusa di
lesioni
volontarie
aggravate, e forse anche
con una pena detentiva. Il
mio collega spera che tutto
questo
semplicemente
scompaia e che il suo
cliente
possa
uscire
tranquillo. Questo non
succederà. La domanda di
divorzio
non
verrà
ritirata.»
«La
casa
a
chi
appartiene?»
chiese
il
giudice Battle.
«A un locatore. La
coppia è in affitto.»
«E dove sono i figli?»
«Fuori città, in un posto
sicuro.»
A parte pochi mobili
scompagnati, la casa era
già vuota. Phoebe aveva
portato quasi tutto in un
deposito. Si nascondeva in
un motel a Grundy,
Virginia, a un’ora di
distanza. Era il centro di
assistenza legale, grazie al
suo fondo di emergenza,
che le pagava vitto e
alloggio. I piani di Phoebe
consistevano nel trasferirsi
in Kentucky e andare ad
abitare vicino a una
parente, ma non c’era
ancora niente di certo.
Il giudice Battle guardò
in direzione di Randy
Fanning e disse: «Mr
Fanning,
accolgo
la
richiesta
formulata
in
questa istanza, parola per
parola. Quando lei uscirà
dal carcere, non dovrà
avere alcun contatto con
sua moglie, con i suoi figli
o con qualsiasi parente
stretto di sua moglie. Fino
a nuovo ordine, non dovrà
avvicinarsi all’abitazione
che lei e sua moglie avete
in affitto. Nessun contatto.
Stia alla larga, ha capito?».
Randy si chinò sul suo
avvocato
e
mormorò
qualcosa. Hump disse:
«Giudice, il mio cliente
può avere un’ora per
prendere i suoi abiti e le
sue cose?».
«Un’ora, e manderò un
vicesceriffo con lui. Mi
faccia sapere quando verrà
rilasciato.»
Annette si alzò in piedi.
«Vostro onore, la mia
cliente ha paura e si sente
minacciata.
Lunedì,
all’uscita dal tribunale,
siamo state bloccate sulla
scalinata dal fratello di Mr
Fanning, Tony, e da altri
due
tipi
poco
raccomandabili. Alla mia
cliente è stato detto di
ritirare
la
denuncia,
altrimenti... È stato un
incontro
breve,
ma
inquietante.»
Il giudice Battle guardò
di nuovo Randy Fanning e
gli chiese: «È vero?».
«Non lo so, giudice, io
non c’ero.»
«Era suo fratello?»
«Forse. Se lei dice così.»
«Non apprezzo molto le
intimidazioni, Mr Fanning.
Le suggerisco di fare due
chiacchiere con suo fratello
e di metterlo in riga. In
caso
contrario
farò
intervenire lo sceriffo.»
«Grazie, vostro onore»
disse Annette.
Randy
venne
ammanettato e scortato
fuori dall’aula, seguito da
Hump che gli sussurrava
che sarebbe andato tutto
bene. Il giudice Battle
picchiò il martelletto e
annunciò
una
pausa.
Samantha,
Annette
e
Phoebe uscirono dall’aula
e poi dal tribunale, quasi
sicure di trovare altri guai.
Tony Fanning e un suo
amico aspettavano dietro
un pick-up parcheggiato in
Main Street. Videro le tre
donne e si avviarono verso
di loro, entrambi fumando
ed
entrambi
con
l’espressione da duro. «Oh,
cavolo» mormorò Annette.
«Non mi fanno paura»
dichiarò Phoebe. I due
uomini
bloccarono
il
marciapiede, ma proprio
mentre Tony stava per
parlare, Donovan Gray si
materializzò dal nulla e a
voce molto alta disse:
«Allora, gentili signore,
com’è andata?».
Tony e il suo amico
persero fino all’ultimo
grammo dell’aggressività
che avevano mostrato solo
pochi secondi prima. Si
fecero indietro, evitando il
contatto
visivo:
non
volevano avere niente a
che fare con Donovan.
«Scusateci, ragazzi» disse
Donovan, tentando di
provocarli.
Mentre
si
avvicinava, fissò deciso
Tony, che sostenne il suo
sguardo solo per un
secondo.
Dopo tre cene consecutive
con Annette e i suoi figli,
Samantha si scusò dicendo
che aveva bisogno di
studiare e di andare a
dormire presto. Si scaldò
una zuppa sul fornello
elettrico e passò un’altra
ora sulle dispense dei
seminari, che poi mise da
parte.
Era
difficile
immaginare di gestire uno
studio legale generico in
Main Street, cercando di
sopravvivere con divorzi
consensuali e contratti
immobiliari. Annette le
aveva detto più di una
volta che quasi tutti gli
avvocati
di
Brady
dovevano
lottare
per
guadagnarsi da vivere e
riuscire a mettere insieme
trentamila dollari l’anno. Il
suo stipendio era di
quarantamila, esattamente
come quello di Mattie.
Ridendo, Annette aveva
osservato: “Probabilmente
questo è l’unico posto in
tutto il paese in cui gli
avvocati
dell’assistenza
legale gratuita incassano
più dell’avvocato privato
medio”. Aveva aggiunto
che Donovan guadagnava
molto di più di chiunque
altro, ma era anche vero
che correva rischi di gran
lunga maggiori.
Donovan era anche il
maggior benefattore del
centro di assistenza legale,
che
viveva
solo
di
contributi privati. Arrivava
un po’ di denaro da alcune
fondazioni
e
qualche
grosso studio legale “del
Nord”
interveniva
generosamente, ma Mattie
doveva comunque lottare
per raggiungere l’obiettivo
annuale di duecentomila
dollari. Annette aveva
detto:
“Ci
piacerebbe
pagarti
qualcosa,
ma
proprio non ci sono i
soldi”. Samantha le aveva
assicurato
di
essere
contenta del loro accordo.
La connessione internet
avveniva tramite il sistema
satellitare di Annette, forse
il più lento di tutto il Nord
America.
“Ci
vuole
pazienza” aveva ammesso
Annette. Per fortuna la
pazienza abbondava in
quei giorni, giorni in cui
Samantha si sorprendeva a
adagiarsi soddisfatta in
una
routine
che
comprendeva
serate
tranquille e molte ore di
sonno. Andò in rete per
dare
un’occhiata
ai
quotidiani
locali,
il
“Times” di Roanoke e la
“Gazette” di Charleston,
West
Virginia.
Nella
“Gazette” trovò un articolo
interessante sotto il titolo
Ecoterroristi sospettati per
l’ultimo raid.
Erano ormai due anni
che una banda prendeva di
mira i macchinari pesanti
di parecchie strip mine in
West Virginia. Il portavoce
di una società del carbone
parlava di “ecoterroristi” e
minacciava ogni tipo di
rappresaglia se e quando i
responsabili fossero stati
catturati. Il metodo di
distruzione
preferito
consisteva nell’attendere le
ore
immediatamente
precedenti l’alba e sparare
dalla
sicurezza
delle
colline circostanti. Erano
tiratori eccellenti, usavano
le più recenti armi in
dotazione alle forze armate
e si stavano dimostrando
molto efficienti nel mettere
fuori uso gli autocarri da
cento tonnellate costruiti
dalla
Caterpillar.
Gli
pneumatici
di
questi
veicoli
avevano
una
circonferenza di quattro
metri e mezzo, pesavano
quasi cinquecento chili e
costavano
diciottomila
dollari
l’uno.
Ogni
autocarro ne montava sei,
evidentemente
bersagli
facili per i tiratori. Una foto
ritraeva una decina di
camion
gialli,
tutti
inutilizzabili
e
ordinatamente allineati in
un’impressionante
esibizione di potenza. Un
caposquadra indicava gli
pneumatici
danneggiati:
erano ventotto. L’uomo
dichiarava che il guardiano
notturno era stato sorpreso
alle tre e quaranta di notte,
all’inizio dell’attacco. In
un’azione
perfettamente
coordinata, i proiettili
avevano cominciato a
centrare gli pneumatici,
che erano esplosi come
piccole
bombe.
Il
guardiano
si
era
saggiamente messo al
riparo in un fosso e aveva
telefonato allo sceriffo.
Quando
le
forze
dell’ordine erano arrivate
sul posto, gli sparatori si
erano
già
divertiti
abbastanza e se n’erano
andati da un pezzo. Lo
sceriffo dichiarava che
stava lavorando sodo sul
caso, ma ammetteva che
sarebbe
stato
difficile
individuare
i
“delinquenti”. Il sito, noto
come Bull Forge Mine, era
vicino
a
Winnow
Mountain e a Helley’s
Bluff, entrambi alti quasi
mille metri e coperti di
alberi. Dalle profondità di
quelle foreste era facile
sparare
ai
camion
restandosene nascosti, di
giorno o di notte. In ogni
caso lo sceriffo affermava
che, a suo parere, non si
trattava semplicemente di
un branco di teppistelli con
fucili da caccia al cervo che
volevano divertirsi un po’.
Dalle postazioni in cui
stavano
nascosti
centravano
bersagli
distanti diverse centinaia
di metri. Le pallottole
rinvenute
in
alcuni
pneumatici erano da 51
millimetri,
munizioni
militari,
chiaramente
sparate da sofisticati fucili
da tiratore scelto.
L’articolo riepilogava gli
attacchi più recenti. Gli
ecoterroristi
sceglievano
con cura i loro obiettivi e,
dato che in zona non c’era
carenza di strip mine,
sembravano aspettare con
pazienza il momento in cui
i camion da miniera erano
parcheggiati esattamente
nel posto giusto. Veniva
fatto notare che, a quanto
pareva,
i
tiratori
si
preoccupavano di non
colpire mai le persone.
Non
avevano
ancora
sparato a un veicolo che
non fosse parcheggiato, e
molte delle miniere erano
attive ventiquattr’ore al
giorno.
Sei
settimane
prima, nel sito di Red
Valley a Martin County,
ventidue pneumatici erano
stati distrutti da un fuoco
di sbarramento che era
sembrato
durare
solo
pochi secondi, secondo
quanto affermato da un
altro guardiano notturno.
Al momento erano quattro
le società del carbone che
offrivano una taglia, per
un totale di duecentomila
dollari.
Non
c’era
alcun
collegamento con l’attacco
alla Bullington Mine di
due anni prima, quando,
nel più ardito atto di
sabotaggio da decenni,
esplosivi prelevati dal
deposito
della
società
stessa erano stati utilizzati
per
danneggiare
sei
autocarri
con
cassone
ribaltabile, due ruspe, due
escavatori
a
benna
trascinata, la struttura
temporanea che ospitava
gli uffici e anche il
deposito. I danni avevano
superato i cinque milioni
di dollari. In mancanza di
sospettati, nessuno era mai
stato arrestato.
Samantha scavò negli
archivi dei quotidiani e si
sorprese a fare il tifo per
gli
ecoterroristi.
Poi,
mentre cominciava ad
appisolarsi,
andò
con
riluttanza sul sito del
“New York Times”. Nei
suoi giorni newyorkesi, a
parte
qualche
rara
domenica
mattina,
difficilmente
dava
al
quotidiano
più
di
un’occhiata veloce. Ora,
saltando l’inserto dedicato
alle materie finanziarie,
scorse
velocemente
le
pagine, ma si fermò di
colpo su quelle riservate ai
locali.
Il
critico
gastronomico massacrava
un nuovo ristorante di
Tribeca, un posto alla
moda dove era stata solo
un mese prima. C’era una
foto del bar: giovani
professionisti ammassati
l’uno
sull’altro
che
sorseggiavano drink e
sorridevano
mentre
aspettavano il loro tavolo.
Samantha ricordava i piatti
del
ristorante
come
eccellenti e perse presto
interesse nelle critiche del
recensore. Fissò invece la
fotografia. Le sembrava
quasi di sentire il chiasso
prodotto dalla gente, ne
percepiva
l’energia
frenetica.
Quanto
le
sarebbe
piaciuto
un
martini in quel momento?
E una lunga cena di due
ore con le amiche, sempre
con un occhio attento ai
tipi più carini?
Per la prima volta sentì
una punta di nostalgia, che
però scacciò in fretta.
Avrebbe potuto andarsene
anche
l’indomani,
se
avesse voluto. Di certo in
città avrebbe guadagnato
più di quanto guadagnava
a Brady. Se avesse voluto
andarsene, niente avrebbe
potuto trattenerla.
12
L’escursione iniziava alla
fine di un sentiero per il
trasporto del legname,
abbandonato da tempo e
che nessuno, a parte
Donovan, sarebbe stato in
grado di trovare. Il viaggio
in auto per arrivarci
richiese l’abilità e i nervi
saldi di uno stunt driver e
ci furono occasioni in cui
Samantha fu sicura che
stessero per precipitare
nella valle. Ma Donovan
riuscì ad arrivare in una
piccola
radura
ombreggiata da querce,
eucalipti e castani. «Qui
finisce la strada» annunciò.
«Tu la chiami strada?»
scherzò Samantha, mentre
apriva
lentamente
lo
sportello
dell’auto.
Donovan rise e disse: «È
un’autostrada in confronto
ad
alcuni
di
questi
sentieri». Samantha stava
pensando che la vita nella
grande città non aveva
fatto nulla per prepararla a
quel momento, ma si
sentiva anche euforica
all’idea
dell’avventura.
L’unico
consiglio
che
Donovan le aveva dato era
stato:
“Mettiti
degli
scarponi da trekking e
indumenti
di
colori
neutri”. Samantha aveva
capito gli scarponi, ma
l’abbigliamento
aveva
richiesto una spiegazione.
“Dobbiamo fonderci con
l’ambiente” aveva risposto
Donovan. “Loro staranno
in allerta e noi saremo
illegalmente
in
una
proprietà privata.”
“Qualche possibilità di
essere arrestata di nuovo?”
“Scarse. Non possono
prenderci.”
Gli scarponi erano stati
acquistati il giorno prima
nel minimarket a prezzi
popolari
di
Brady:
quarantacinque dollari, un
po’ duri e stretti. Samantha
indossava un vecchio paio
di pantaloni cachi e una
felpa grigia con la scritta
COLUMBIA LAW in piccoli
caratteri
sul
davanti.
Donovan, per contro, era
in mimetica verde da
cacciatore
e
calzava
scarponi
da
trekking
all’avanguardia, ordinati
per posta e già usati per un
migliaio di chilometri.
Aprì
il
portellone
posteriore della Jeep ed
estrasse prima uno zaino
che si sistemò sulle spalle,
poi un fucile con un
grande cannocchiale da
puntamento. Appena lo
vide, Samantha domandò:
«Andiamo a caccia?».
«No, è per proteggerci.
Ci sono molti orsi da
queste parti.»
Samantha ne dubitava,
ma non sapeva bene cosa
credere.
Per
qualche
minuto
camminarono
lungo un sentiero che
qualcuno aveva già usato,
ma
non
spesso.
La
pendenza era lieve, il
sottobosco
fitto
di
sassofrassi,
alberi
di
Giuda, tiarelle e silene,
piante che Donovan ogni
tanto indicava, dando
quasi l’impressione di
parlare un’altra lingua. A
beneficio di Samantha,
procedeva
a
passo
normale, ma lei sapeva che
avrebbe potuto aggredire
la salita di corsa in
qualunque
momento
avesse voluto. Poco dopo
Samantha aveva già il fiato
corto e stava sudando, ma
era decisa a tenere il passo
di Donovan.
Per tutti i professionisti
single della città, era
obbligatorio essere iscritto
a una palestra, e non una
palestra qualsiasi. Doveva
essere quella giusta: il
posto
giusto,
l’abbigliamento
giusto,
l’orario giusto, di giorno o
di sera, per essere visto
sudare, grugnire e tenersi
adeguatamente in forma, il
tutto
per
duecentocinquanta dollari
al mese. La frequenza di
Samantha era collassata
sotto le spietate esigenze di
Scully
&
Pershing:
l’iscrizione era scaduta due
anni prima e lei non ne
aveva sentito affatto la
mancanza. Tutto il suo
esercizio fisico si era
ridotto
a
lunghe
camminate. Queste, e le
sue
parche
abitudini
alimentari,
avevano
mantenuto il peso sotto
controllo, ma Samantha
era lungi dall’essere in
forma.
Mentre
zigzagavano in salita, gli
scarponi
nuovi
diventavano sempre più
pesanti a ogni tornante.
Si fermarono in una
piccola radura e, attraverso
gli alberi, guardarono una
lunga valle profonda, con
catene di montagne in
lontananza. La vista era
spettacolare, e Samantha
apprezzò
la
sosta.
Donovan
allungò
un
braccio e disse: «Queste
sono le montagne con la
maggiore biodiversità in
tutto il Nord America,
molto più antiche di
qualunque altra catena.
Qui ci sono migliaia di
specie di piante e animali
che non si trovano da
nessun’altra
parte.
Ci
hanno messo un’eternità
per diventare ciò che sono
adesso».
Una
pausa,
mentre si immergeva nello
scenario. Come una guida
turistica che non aveva
bisogno di sollecitazioni,
riprese a parlare: «Circa un
milione
di
anni
fa,
cominciò a formarsi il
carbone, giacimenti di
carbone. È stata quella la
maledizione. Adesso per
estrarlo
stiamo
distruggendo le montagne
a velocità supersonica in
modo da disporre di tutta
l’energia a basso costo che
possiamo divorare. Ogni
abitante di questo paese
consuma nove chili di
carbone al giorno. Ho fatto
qualche
ricerca
sull’utilizzo del carbone
per aree geografiche, c’è
un sito web. Lo sai che
l’abitante
medio
di
Manhattan consuma ogni
giorno tre chili e mezzo di
carbone ricavato dallo strip
mining negli Appalachi?».
«No, spiacente, non lo
sapevo. E gli altri cinque
chili e mezzo da dove
vengono?»
«Miniere sotterranee qui
nell’Est:
Ohio,
Pennsylvania, posti dove
estraggono il carbone in
modo tradizionale per
proteggere le montagne.»
Donovan posò lo zaino a
terra
ed
estrasse
il
binocolo, con cui scrutò il
panorama fino a trovare
ciò che cercava. Passò il
binocolo a Samantha e
disse: «Laggiù, a ore due
circa, si intravede un’area
tutta grigia e marrone».
Samantha
guardò
nel
binocolo e mise a fuoco le
lenti. «Okay, la vedo.»
«Quella è la Bull Forge
Mine in West Virginia, una
delle più grosse operazioni
di strip mining che si siano
mai viste.»
«Ho
letto
qualcosa
proprio ieri sera. Due o tre
mesi fa hanno avuto un
piccolo
problema:
qualcuno ha usato gli
pneumatici dei camion
come bersagli per il tiro a
segno.»
Donovan si voltò e le
sorrise. «Hai fatto i compiti
a casa, eh?»
«Ho un laptop che
riesce
ad
agganciare
Google a Brady. Gli
ecoterroristi hanno colpito
di nuovo, giusto?»
«È quello che dicono.»
«Chi sono?»
«Spero che non si sappia
mai.» In piedi poco più
avanti di Samantha, lo
sguardo ancora fisso in
lontananza,
Donovan
parlando aveva arretrato
istintivamente la mano
sinistra
di
alcuni
centimetri, fino a toccare il
calcio del fucile. Samantha
lo notò a malapena.
Lasciarono la radura e
attaccarono la vera salita. Il
sentiero, quando c’era, era
appena
visibile,
ma
Donovan sembrava non
farci caso. Passava da un
albero all’altro, guardando
avanti in cerca del punto di
riferimento
successivo,
lanciando occhiate in basso
per controllare il punto di
appoggio. La salita si fece
ancora più ripida e
Samantha
cominciò
a
sentir dolere le cosce e le
caviglie. Gli scarponi a
buon
mercato
le
premevano dolorosamente
sull’arcata dei piedi. Il
respiro era affannoso e,
dopo quindici minuti di
silenziosa ascesa, chiese:
«Hai portato dell’acqua?».
Un
vecchio
tronco
marcio servì come gradito
sedile per riposarsi e
dividere una bottiglia
d’acqua. Donovan non
chiese a Samantha come
stava e lei non gli chiese
per quanto tempo ancora
avrebbero camminato. Una
volta
ripreso
fiato,
Donovan disse: «Siamo
seduti
sulla
Dublin
Mountain, a circa cento
metri dalla cima. Siamo
accanto a Enid Mountain,
che vedrai tra pochi
minuti. Se tutto va come
previsto, tra circa sei mesi
la Strayhorn Coal arriverà
con i suoi bulldozer,
scotennerà completamente
questa
montagna,
distruggerà tutta questa
bella vegetazione, metterà
in fuga gli animali e poi
comincerà a far saltare
tutto. La domanda per il
permesso di strip mining
ormai
è
praticamente
approvata.
Abbiamo
combattuto per due anni,
ma è già tutto deciso».
Indicò
gli
alberi
e
aggiunse: «Tutto questo
sparirà prima ancora che
ce ne accorgiamo».
«Perché almeno non
tagliano
e
commercializzano
gli
alberi?»
«Perché
sono
dei
selvaggi. Appena una
società del carbone ha il
semaforo
verde,
impazzisce. Vogliono il
carbone, maledizione, e
niente altro ha importanza.
Distruggono tutto quello
che trovano sulla loro
strada, foreste, boschi,
animali... e travolgono
chiunque
li
ostacoli,
proprietari
terrieri,
residenti, amministratori,
politici
e
soprattutto
attivisti e ambientalisti. È
una
guerra,
senza
compromessi.»
Samantha guardò la
foresta e scosse incredula
la testa. «Non può essere
legale.»
«È legale perché non è
illegale. La legalità della
rimozione della cima delle
montagne è oggetto di
cause giudiziarie da anni.
Ma niente li ha fermati.»
«Chi è il proprietario di
questo terreno?»
«Adesso è la Strayhorn,
per cui abbiamo commesso
violazione di proprietà
privata.
E,
credimi,
sarebbero ben felici di
beccarmi qui, tre giorni
prima del processo. Ma
non preoccuparti, siamo al
sicuro. Per circa cento anni
questa terra è stata di
proprietà della famiglia
Herman. L’hanno venduta
due anni fa e si sono
costruiti una villa su una
spiaggia,
da
qualche
parte.» Indicò alla sua
destra e aggiunse: «C’è una
vecchia casa proprio oltre
quella collina, meno di un
chilometro giù a valle, è
stata della famiglia per
decenni. Adesso è vuota,
abbandonata. I bulldozer
impiegheranno un paio
d’ore per raderla al suolo,
insieme a tutti gli annessi.
Sotto una vecchia quercia,
non lontano dalla casa, c’è
un piccolo cimitero di
famiglia, circondato da
uno steccato bianco. Molto
caratteristico. Butteranno
tutto giù nella valle: lapidi,
bare, ossa, qualsiasi cosa.
Alla
Strayhorn
non
importa un accidente e gli
Herman sono abbastanza
ricchi da poter dimenticare
da dove vengono».
Samantha bevve un
altro sorso d’acqua e cercò
di muovere le dita dei
piedi. Donovan frugò nello
zaino, prese due barrette ai
cereali e gliene offrì una.
«Grazie.»
«Mattie sa che sei qui?»
domandò Donovan.
«Vivo basandomi sul
presupposto che Mattie,
Annette,
Barb
e
probabilmente
anche
Claudelle siano sempre a
conoscenza di ogni mossa
che faccio. Come ami dire:
“È una piccola città”.»
«Io non ho detto
niente.»
«È venerdì pomeriggio e
in studio il lavoro andava a
rilento. Ho detto a Mattie
che mi avevi chiesto se
avevo voglia di fare un
giro turistico. Ecco tutto.»
«Bene, allora siamo
andati a fare un giro
turistico. Mattie non ha
bisogno di sapere dove.»
«Lei pensa che tu
dovresti negoziare un
accordo, ottenere almeno
qualcosa per la madre dei
due ragazzini.»
Donovan sorrise e diede
un
grosso
morso.
Passarono i secondi, poi un
intero minuto e Samantha
si rese conto che le lunghe
pause
in
una
conversazione
non
mettevano affatto a disagio
Donovan.
Che
poi
finalmente
disse:
«Io
voglio bene a mia zia, ma
lei non sa niente di cause
per danni. Me ne sono
andato dal suo piccolo
studio perché volevo fare
grandi cose, occuparmi di
cause importanti, ottenere
risarcimenti, far espiare
alle società minerarie i loro
peccati. Ho avuto vittorie
importanti
e
sconfitte
brucianti e, come molti
altri avvocati di tribunale,
vivo al limite. Alti e bassi.
Pieno di soldi un anno e al
verde l’anno dopo. Sono
sicuro che da ragazzina
anche tu hai sperimentato
qualcosa del genere».
«No, noi non siamo mai
stati al verde, anzi. Mi
rendevo conto che ogni
tanto mio padre perdeva,
ma c’era sempre molto
denaro. O almeno c’è stato
finché non ha perso tutto
ed è finito in prigione.»
«Che effetto ti ha fatto,
dal tuo punto di vista? Tu
eri ancora un’adolescente,
no?»
«Senti, Donovan, tu sei
separato da tua moglie e
non vuoi parlarne. Bene.
Mio padre è stato in galera
e io non voglio parlarne.
Facciamo questo patto.»
«Mi sembra giusto. Ora
dobbiamo muoverci.»
Ripresero
a
salire,
sempre più lentamente a
mano a mano che il
sentiero scompariva del
tutto e la salita si faceva
ancora più ripida. Pietre e
sassolini rotolavano dietro
di loro mentre si aiutavano
aggrappandosi a piante o
alberelli. A un certo punto
si fermarono per rifiatare e
Donovan
suggerì
a
Samantha
di
stargli
davanti, in modo che se
fosse
inciampata
e
scivolata all’indietro, lui
avrebbe potuto afferrarla.
Fecero così, con Donovan
che la seguiva da vicino
tenendole una mano su un
fianco, un po’ per guidarla,
un po’ per spingerla
gentilmente.
Finalmente
raggiunsero la cima di
Dublin Mountain e quando
dalla foresta emersero in
una
piccola
radura
rocciosa, Donovan disse:
«Adesso dobbiamo stare
attenti. Questo è il nostro
nascondiglio. Appena oltre
quelle rocce c’è Enid
Mountain,
dove
la
Stayhorn è in piena
attività.
Hanno
degli
addetti alla sicurezza che
ogni tanto osservano anche
questa area. Siamo in causa
da più di un anno e
abbiamo avuto un paio di
confronti
abbastanza
spiacevoli».
«Tipo?»
Donovan posò lo zaino
e appoggiò il fucile a una
roccia. «Hai visto le
fotografie nel mio studio.
La prima volta che siamo
venuti
qui
con
un
fotografo ci hanno sorpresi
e
hanno
provato
a
denunciarci. Io mi sono
precipitato dal giudice e ho
ottenuto un’ordinanza che
ci permetteva l’accesso, su
base molto limitata. Dopo
di che, il giudice ci ha
intimato di stare alla larga
dalla proprietà.»
«Non ho visto orsi.
Perché il fucile?»
«Protezione. Abbassati e
vieni qui.» Si chinarono e
dopo
pochi
metri
raggiunsero uno stretto
spazio tra due massi. Sotto
di loro c’erano i resti di
Enid Mountain, che in
passato aveva svettato per
novecentosettantacinque
metri, ma che ora era
ridotta a un panorama
butterato fatto di polvere,
rocce
e
macchinari
brulicanti. Il sito, molto
vasto, si estendeva da ciò
che restava della montagna
fino ai crinali circostanti.
Camion da miniera che
trasportavano
cento
tonnellate
di
carbone
grezzo e non lavato
sobbalzavano lungo una
miriade di strade a
tornanti,
scendendo
disciplinati come formiche
che
marciassero
ottusamente
in
formazione. Un enorme
escavatore, grande quanto
il palazzo d’appartamenti
di
Samantha,
ruotava
avanti e indietro, la benna
che azzannava la terra, ne
strappava centoquaranta
metri cubi e li scaricava
formando pile ordinate.
Escavatori con benna più
piccola
lavoravano
metodicamente
per
raccogliere quel materiale
e rovesciarlo su un’altra
flotta di camion, che lo
avrebbe trasportato fino
all’area
dove
poi
i
bulldozer
l’avrebbero
buttato nella valle. Più in
basso,
altri
escavatori
raccoglievano il carbone
dalla vena già a nudo e lo
lasciavano
cadere
sui
camion che, una volta a
pieno
carico,
si
allontanavano lenti per il
peso. Nubi di polvere
incombevano su ogni fase
dell’operazione.
A bassa voce, quasi
potesse essere sentito,
Donovan disse cupo: «Uno
shock, vero?».
«Shock è la parola
giusta» rispose Samantha.
«Mercoledì,
mentre
andavamo a Colton, Mattie
mi ha fatto vedere tre strip
mines, ma non eravamo
così vicine. Ti fa sentire
male.»
«Sì, e non ci si abitua
mai. È un continuo stupro
della terra, ogni giorno una
nuova aggressione.»
La violenza era lenta,
metodica e concreta. Dopo
qualche minuto, Donovan
disse: «In due anni hanno
buttato
giù
duecentocinquanta metri
di
montagna.
Hanno
esaurito quattro o cinque
giacimenti, e gliene restano
circa altrettanti. Quando
tutto sarà finito, Enid
Mountain avrà regalato
circa due milioni di
tonnellate di carbone, a un
prezzo medio di sessanta
dollari la tonnellata. Il
calcolo è semplice».
Si rannicchiarono più
vicini, attenti a non
toccarsi, e osservarono
quella desolazione. Un
bulldozer spinse un carico
pericolosamente vicino al
bordo e le rocce più grosse
ruzzolarono giù da un
muro di detriti alto
trecento
metri,
rimbalzando e cadendo
fino a scomparire, molto
più in basso. Donovan
disse:
«Ecco
com’è
successo.
Prova
a
immaginare
questa
montagna più alta di
centocinquanta
metri,
com’era diciotto mesi fa. È
stato allora che uno di quei
bulldozer ha spinto il
masso, che ha viaggiato
per più di un chilometro
prima di centrare il
caravan dove dormivano i
ragazzi Tate». Afferrò il
binocolo, guardò cercando
qualcosa e poi lo passò a
Samantha. «Laggiù, nella
valle, oltre il riempimento,
si intravede un piccolo
edificio bianco. Una volta
era una chiesa. Trovato?»
Dopo pochi secondi
Samantha
rispose:
«Trovato».
«Proprio oltre la chiesa
c’era
un
minuscolo
insediamento, due o tre
case e qualche caravan. Da
qui non si vede, gli alberi
bloccano la visuale. Al
processo,
abbiamo
intenzione di mostrare un
video che ricostruisce la
traiettoria del masso. È
letteralmente volato sopra
la chiesa, probabilmente a
una velocità di circa
centotrenta
chilometri
l’ora, in base al suo peso, è
rimbalzato un paio di volte
e poi si è schiantato sul
caravan dei Tate.»
«Hai il masso?»
«Sì e no. Pesa sei
tonnellate, per cui non ce
lo porteremo in aula. Ma è
ancora là e abbiamo un
sacco di fotografie. Quattro
giorni dopo l’incidente, la
società
mineraria
ha
tentato di farlo sparire con
esplosivi e macchinari, ma
siamo riusciti a fermarli.
Criminali, nient’altro che
criminali. Il giorno dopo il
funerale si sono presentati
con una squadra al
completo e sono entrati in
una proprietà in cui non
avevano il diritto di
entrare,
decisi
a
distruggere il masso senza
preoccuparsi di quanti
danni avrebbero causato a
tutto il resto. Ho chiamato
lo sceriffo e ci sono stati
momenti di vera tensione.»
«Avevi già il caso
quattro
giorni
dopo
l’incidente?»
«No, ho avuto il caso il
giorno dopo l’incidente.
Dopo
meno
di
ventiquattr’ore.
Avevo
contattato il fratello della
madre. Devi essere svelto
da queste parti.»
«Mio padre sarebbe
impressionato.»
Donovan controllò l’ora
e guardò Enid Mountain.
«Hanno in programma
delle esplosioni alle sedici,
per cui aspettati qualcosa
di eccitante.»
«Muoio
dall’impazienza.»
«Vedi quello strano
veicolo con un braccio tipo
gru fissato sul retro, laggiù
all’estrema sinistra?»
«Stai scherzando? Ce ne
sono almeno cento.»
«Non è un camion da
trasporto, è molto più
piccolo. È da solo, lontano
dagli altri.»
«Okay, sì, lo vedo. Che
cos’è?»
«Non so se ha un nome
ufficiale, ma lo chiamano
camion delle esplosioni.»
Con il binocolo, Samantha
mise a fuoco il veicolo e la
squadra indaffarata che vi
si muoveva intorno. «Cosa
stanno facendo?»
«In questo momento
stanno cominciando a
perforare.
Le
norme
permettono di arrivare a
diciotto
metri
di
profondità per il fornello
di mina, che deve avere un
diametro
di
diciotto
centimetri.
I
fornelli
devono distare tre metri
l’uno dall’altro, in una
sorta
di
griglia.
La
normativa
limita
a
quaranta il numero dei
fornelli
per
ogni
esplosione. In teoria un
mucchio di regole. Ma non
è
una
sorpresa
che
vengano sistematicamente
ignorate e che società come
la Strayhorn siano abituate
a fare quello che vogliono.
Nessuno
controlla
davvero, a parte forse
qualche
gruppo
ambientalista.
Magari
girano un video, sporgono
denuncia, la società si
prende una multa ridicola,
con uno schiaffetto sulla
mano, e la vita continua.
Gli amministratori pubblici
ritirano i loro assegni e
dormono sonni tranquilli.»
Un omone con la barba
strisciò
silenziosamente
dietro di loro, diede una
pacca sulla spalla a
Donovan e urlò: «Bum!».
Donovan gridò: «Merda!».
Samantha strillò e lasciò
cadere
il
binocolo.
Sorpresi, si girarono di
scatto e videro la faccia
sorridente di un uomo
massiccio con cui nessuno
avrebbe mai voluto fare a
pugni. «Figlio di puttana»
sibilò Donovan, ma senza
allungare la mano verso il
fucile. Samantha stava
cercando disperatamente
una via di fuga.
L’uomo rise. Tese la
mano a Samantha e disse:
«Vic Canzarro, amico delle
montagne».
Samantha
stava ancora cercando di
riprendere fiato e non
riuscì a stringergli la mano.
«Dovevi
proprio
spaventarci così?» ringhiò
Donovan.
«No, però è stato
divertente.»
«Lo conosci?» chiese
Samantha.
«Temo di sì. È un amico,
o qualcosa di più di un
conoscente. Vic, questa è
Samantha Kofer, stagista
allo studio di Mattie.»
Finalmente i due si
strinsero la mano. «È un
piacere» disse Vic. «Cosa ti
porta tra le miniere di
carbone?»
«È una lunga storia»
rispose
Samantha,
lasciando uscire il fiato.
Cuore e polmoni ora
funzionavano
regolarmente.
«Molto
lunga.»
Vic lasciò cadere il suo
zaino a terra e si sedette su
un masso. Stava sudando
dopo la camminata in
salita e aveva bisogno di
bere. Offrì una bottiglia
d’acqua a Samantha, che
rifiutò. «Columbia Law?»
domandò Vic, guardando
la felpa.
«Sì. Fino a dieci giorni fa
lavoravo a New York, poi
il mondo è crollato e mi
sono ritrovata in congedo
o in aspettativa o qualcosa
del genere. Sei avvocato
anche tu?» Si sedette su un
altro masso. Donovan si
mise accanto a lei.
«Accidenti, no. Ero un
ispettore per la sicurezza
in miniera, ma sono
riuscito a farmi licenziare.
È un’altra lunga storia.»
«Abbiamo tutti lunghe
storie» disse Donovan,
prendendo una bottiglia
d’acqua. «Il qui presente
Vic è il mio perito di parte.
Il tipico perito: pagalo
abbastanza e dirà alla
giuria tutto quello che
vuoi.
La
settimana
prossima passerà una
lunga giornata sul banco
dei testimoni snocciolando
un interminabile elenco di
violazioni alla sicurezza
commesse dalla Strayhorn
Coal. Poi gli avvocati della
difesa lo massacreranno e
gli faranno fare la figura
dell’idiota.»
Vic rise. «Non vedo
l’ora» disse. «Andare a
processo con Donovan è
sempre eccitante, specie
quando vince, cosa che
non
succede
molto
spesso.»
«Ne vinco quante ne
perdo.»
Con la sua camicia di
flanella, i jeans scoloriti e
gli scarponi incrostati di
fango, Vic aveva l’aspetto
di un esperto di trekking in
grado di estrarre una tenda
dallo zaino e passare una
settimana
nel
bosco.
«Stanno già trapanando?»
chiese a Donovan.
«Hanno
appena
cominciato, le esplosioni
sono previste per le
quattro.»
Vic diede un’occhiata
all’orologio e domandò:
«Siamo pronti per il
processo?».
«Oh,
sì.
Questo
pomeriggio
hanno
raddoppiato
l’offerta
portandola
a
duecentomila. Io ne ho
chiesti
novecentocinquantamila.»
«Tu sei pazzo, lo sai?
Prendi i soldi e rimedia
qualcosa per la famiglia.»
Guardò Samantha e le
domandò: «Sei al corrente
dei fatti?».
«Più o meno. Ho visto le
fotografie e le mappe.»
«Mai fidarsi di una
giuria di queste parti. Lo
dico sempre a Donovan,
ma
lui
non
vuole
ascoltarmi.»
«Sei pronto a filmare?»
chiese
Donovan,
cambiando argomento.
«Naturalmente.» I tre
chiacchierarono per alcuni
minuti, con i due uomini
che
continuavano
a
controllare
l’ora.
Vic
estrasse
una
piccola
videocamera dallo zaino e
prese posizione tra i due
massi. Donovan disse a
Samantha: «Dato che non
ci sono ispettori presenti,
diamo per scontato che la
Strayhorn
infrangerà
qualche norma quando
comincerà
con
le
esplosioni. Noi filmeremo
le violazioni e forse la
settimana prossima le
mostreremo alla giuria.
Non che ce ne sia davvero
bisogno, visto che abbiamo
già a disposizione un bel
campionario di porcherie.
Chiameranno
a
testimoniare i loro tecnici, i
quali
mentiranno
spiegando
come
si
attengano rigorosamente a
tutte
le
regole.
Noi
dimostreremo
il
contrario».
Donovan e Samantha si
sistemarono accanto a Vic,
che stava riprendendo,
assorto nel suo lavoro.
Donovan disse: «Ogni
fornello viene riempito con
una miscela nota come
ANFO ,
composta
principalmente da nitrato
di ammonio e gasolio. È un
esplosivo
troppo
pericoloso da trasportare e
così lo preparano sul
posto. È quello che stanno
facendo
adesso.
Quel
camion sta versando il
gasolio nei fornelli, mentre
quella
squadra
sulla
sinistra sta sistemando i
cartocci e i detonatori.
Quanti sono i fornelli,
Vic?».
«Io ne conto sessanta.»
«Quindi
stanno
chiaramente violando le
norme, il che è tipico.»
Samantha guardò con il
binocolo gli uomini con le
pale che cominciavano a
riempire di nuovo i
fornelli. Dalla sommità di
ogni fornello partiva un
filo e due uomini erano
impegnati a raggruppare
tutti i fili in un unico
fascio. Sacchi di nitrato
d’alluminio
venivano
lasciati cadere nei fornelli,
su cui poi venivano versati
litri di gasolio. Il lavoro era
lento: le sedici arrivarono e
passarono. Finalmente il
camion delle esplosioni si
allontanò e Donovan disse:
«Non ci vorrà ancora
molto». Le squadre di
operai
e
i
camion
scomparvero, sgombrando
la griglia. Suonò una sirena
e sul sito scese il silenzio.
Le esplosioni furono un
lontano brontolio tonante,
che sprigionò nell’aria
pennacchi di polvere e
fumo. Ogni esplosione
seguiva la precedente di
appena
un
secondo.
Mentre i pennacchi si
alzavano in formazione
perfetta, come fontane in
uno spettacolo di giochi
d’acqua a Las Vegas, la
terra
cominciò
a
sbriciolarsi.
Un’ampia
striscia di roccia crollò in
ondate violente. La polvere
salì ribollendo dal sito
delle esplosioni, sopra il
quale si condensò in una
spessa nube. In assenza di
vento, la nube rimase
sospesa sopra i detriti,
senza poter andare da
nessun’altra
parte.
Esprimendosi in un modo
molto simile a un cronista
sportivo, Donovan disse:
«Fanno tre esplosioni al
giorno. Il permesso ne
consente soltanto due.
Moltiplicate il tutto per
decine di miniere di
superficie attive e vedrete
che
impiegano
quasi
cinquecento tonnellate di
esplosivi al giorno, qui
nella terra del carbone».
«Abbiamo
un
problema» annunciò Vic
con calma. «Ci hanno
visto.»
«Dove?»
chiese
Donovan, prendendo il
binocolo da Samantha.
«Là, vicino al caravan.»
Donovan mise a fuoco.
Sopra una piattaforma
accanto al caravan, due
uomini con il casco
protettivo
stavano
apparentemente
guardando
nella
sua
direzione, anche loro con il
binocolo. Donovan salutò
con la mano; uno dei due
fece
la
stessa
cosa.
Donovan gli mostrò il
medio, l’uomo ricambiò.
«Da quanto tempo sono
lì?» chiese.
«Non lo so» rispose Vic.
«Comunque
adesso
andiamocene.»
Afferrarono zaini e fucile e
cominciarono una veloce
discesa dalla montagna.
Samantha scivolò e per
poco non cadde. Vic
l’afferrò al volo e poi la
tenne stretta per mano.
Tutti e due seguivano
Donovan,
che
slalomeggiava
tra
gli
alberi, schivava i massi e
apriva la strada nel
sottobosco, senza alcun
sentiero visibile. Qualche
minuto dopo si fermarono
in una stretta radura. Vic
puntò l’indice e disse: «Io
sono
venuto
da
là.
Chiamatemi,
quando
arrivate alla vostra Jeep» e
scomparve
nel
bosco.
Donovan
e
Samantha
ripresero a scendere. Il
sentiero non era tanto
ripido e riuscirono a
corricchiare con cautela
per qualche centinaio di
metri.
«Siamo
salvi?»
chiese alla fine Samantha.
«Non
c’è
pericolo»
rispose calmo Donovan.
«Loro non conoscono i
sentieri come li conosco io.
E anche se ci dovessero
prendere, non possono
certo ucciderci.»
Samantha non si sentì
molto
sollevata.
La
pendenza del sentiero
diminuì ancora e loro
aumentarono la velocità.
La Jeep comparve a un
centinaio di metri davanti
a loro e Donovan si fermò
qualche
secondo
per
assicurarsi che non ci
fossero altri veicoli. «Non
ci hanno trovato» disse.
Mentre si allontanavano,
inviò un messaggio a Vic.
Via libera. La Jeep scese
ballonzolando
dalla
montagna, evitando buche
e
burroni
abbastanza
grandi da inghiottirla, e
dopo
pochi
minuti
Donovan annunciò: «Non
siamo più nella proprietà
della Strayhorn». Svoltò in
una
strada
asfaltata
proprio mentre un grosso
pick-up
ricoperto
di
polvere spuntava veloce
da una curva. «Sono loro»
disse Donovan. Il pick-up
si portò in mezzo alla
strada per bloccare la Jeep,
ma Donovan premette
sull’acceleratore
e
lo
superò passando sul bordo
della carreggiata. A bordo
del pick-up c’erano almeno
tre uomini, il casco
protettivo in testa e
l’espressione minacciosa di
chi è in cerca di guai. Il
pick-up si fermò di colpo e
cominciò a fare inversione
per inseguire la Jeep, che
però riuscì a dileguarsi.
Donovan sfrecciò lungo
strade
secondarie
di
Hopper County con un
occhio sullo specchietto
retrovisore, senza parlare.
«Pensi che abbiano preso il
tuo numero di targa?»
chiese Samantha.
«Oh, sanno che sono io.
Lunedì mattina correranno
dal giudice a piangere
come bambini. Io negherò
tutto e dirò di smettere di
frignare perché c’è una
giuria da selezionare.»
Passarono davanti al
tribunale di Colton in
Center Street. Donovan lo
indicò con un cenno della
testa e disse: «Eccolo.
Ground zero. Il più brutto
tribunale della Virginia».
«Ci
sono
stata
mercoledì, con Mattie.»
«Ti è piaciuta l’aula?»
«Mi è sembrato tutto un
po’ strano, ma io non sono
un’esperta di aule di
tribunale.
Ho
sempre
cercato di evitarle.»
«Io le adoro. È l’unico
posto al mondo dove la
persona più umile può
affrontare faccia a faccia e
alla pari una grande,
importante
società
disonesta. Una persona che
non ha niente... né soldi, né
potere... niente se non una
serie di fatti concreti può
fare causa e costringere
una società che vale
miliardi di dollari a
presentarsi
per
uno
scontro leale.»
«Ma non sempre è leale,
giusto?»
«Certo che lo è. Se loro
barano, allora baro anch’io.
Se giocano sporco, io gioco
ancora più sporco. Non si
può
non
amare
la
giustizia.»
«Sembri mio padre. Fai
paura.»
«E tu sembri mia
moglie. Lei non ha lo
stomaco per sopportare il
lavoro che faccio.»
«Parliamo
di
qualcos’altro.»
«Okay, hai programmi
per domani?»
«Sabato a Brady. Il
centro di assistenza legale
è chiuso, quindi che
opzioni ho?»
«Cosa ne dici di un’altra
avventura?»
«Comporta armi da
fuoco?»
«No, prometto che non
ne porterò.»
«Entreremo illegalmente
in
un’altra
proprietà
privata? C’è la possibilità
di essere arrestati?»
«No, lo prometto.»
«Allora mi sembra tutto
abbastanza noioso. Ci sto.»
13
Blythe telefonò nella prima
mattinata di un luminoso
sabato
mattina,
comunicando l’incredibile
notizia che aveva la
giornata libera, una rarità
nel
suo
mondo.
La
situazione lavorativa si era
stabilizzata:
a
quanto
pareva, il suo studio aveva
interrotto il massacro.
Negli ultimi cinque giorni
nessuno era stato scortato
all’uscita e finalmente
dall’alto cominciava ad
arrivare
qualche
rassicurazione.
Una
splendida
giornata
d’autunno in città, con
niente da fare se non
andare per negozi, pensare
a cosa mangiare a pranzo e
godersi il fatto di essere
giovane e single. Blythe
disse che sentiva la
mancanza
della
sua
coinquilina e in quel
momento Samantha provò
una fitta dolorosa di
nostalgia. Era via solo da
due settimane, ma, a causa
della distanza, le sembrava
un anno. Chiacchierarono
per una mezz’ora prima
che entrambe decidessero
di cominciare la loro
giornata.
Samantha si fece una
doccia
e
si
vestì
velocemente, ansiosa di
uscire
dal
vialetto
d’accesso prima che Kim e
Adam
arrivassero
saltellando con un elenco
di cose da fare. Fino a quel
momento, sembrava che
Annette e i suoi figli
permettessero alla loro
ospite di andare e venire
senza avvertire. Samantha
viveva nel modo più
tranquillo possibile e non
aveva ancora visto i tre
sbirciare
attraverso
le
veneziane o da dietro le
tende. Ma era anche
consapevole del fatto che
quasi tutta Brady era
incuriosita
dall’aliena
proveniente da New York.
Per quella ragione, e
dato che la sua situazione
matrimoniale era instabile,
Donovan
le
aveva
suggerito di raggiungerlo
all’aeroporto della contea,
diciotto chilometri a est
della città. Lì avrebbe
avuto inizio l’avventura, i
cui dettagli aveva tenuto
per sé. Samantha era
rimasta sorpresa nello
scoprire l’esistenza di un
aeroporto in un raggio di
centocinquanta chilometri
da Brady. Venerdì notte
aveva fatto ricerche in rete
e non aveva trovato niente.
Com’era possibile che un
aeroporto non avesse un
sito web?
Non solo non aveva un
sito web, non aveva
neppure aerei, o per lo
meno
nessuno
che
Samantha potesse vedere
al termine della strada a
ghiaia, davanti al Noland
County Airfield. La Jeep di
Donovan,
parcheggiata
accanto a un piccolo
edificio di lamiera, era il
solo veicolo in vista.
Samantha varcò l’unica
porta che vide e attraversò
quella che sembrava essere
l’atrio,
con
sedie
pieghevoli e tavoli di
metallo cosparsi di riviste
di volo. Le pareti erano
coperte di foto sbiadite di
aerei e di panorami ripresi
dall’alto. L’altra porta si
apriva sul campo di volo,
dove Donovan si stava
dando da fare intorno a un
piccolissimo
aereo.
Samantha uscì e chiese:
«Che cos’è?».
«Buongiorno» la salutò
Donovan con un ampio
sorriso. «Dormito bene?»
«Otto ore. Sei un
pilota?»
«Sì, e questo è un
Cessna 172, meglio noto
come Skyhawk. Io esercito
in cinque Stati e il
giocattolino
che
hai
davanti mi serve per
andare in giro. Inoltre è
uno strumento prezioso
quando si tratta di spiare le
società del carbone.»
«Naturalmente. Stiamo
andando a spiare?»
«Qualcosa del genere.»
Donovan abbassò con
delicatezza la cappottatura
che proteggeva il motore e
la bloccò. «I controlli pre
volo sono stati effettuati e
siamo pronti a partire. Il
tuo sportello è dall’altra
parte.»
Samantha non si mosse.
«Non so. Non ho mai
volato su una cosa così
piccola.»
«Questo è l’aereo più
sicuro che sia mai stato
costruito. Io ho tremila ore
di volo e sono altamente
qualificato, specie in una
giornata perfetta come
questa. Non una nuvola in
cielo, temperatura ideale e
alberi accesi dai colori
dell’autunno. È il sogno di
ogni pilota.»
«Non saprei.»
«Dài, dov’è il tuo senso
dell’avventura?»
«Ma c’è un motore
solo.»
«È tutto quello che
serve. E se il motore cede,
l’aereo continuerà a volare
come un aliante finché non
troveremo un bel pascolo
da qualche parte.»
«Un pascolo tra queste
montagne?»
«Forza,
muoviti.»
Samantha fece lentamente
il giro dell’aereo passando
davanti
alla
coda
e
raggiunse lo sportello di
destra, sotto l’ala. Donovan
l’aiutò a sistemarsi sul
sedile e le assicurò la
cintura di sicurezza e
l’imbracatura. Richiuse lo
sportello, lo bloccò e si
portò sul lato sinistro.
Samantha
guardò
l’ingombro
sedile
posteriore alle sue spalle e
poi il muro di strumenti e
indicatori davanti a lei.
«Soffri
di
claustrofobia?»
chiese
Donovan,
mentre
allacciava la cintura e si
sistemava l’imbracatura.
Tra la sua spalla e quella di
Samantha c’erano solo
pochi centimetri.
«Adesso sì.»
«Ti piacerà. Prima che la
giornata finisca saprai già
pilotare.» Le passò una
cuffia. «Mettitela. Ci sarà
parecchio
rumore
qui
dentro e parleremo con
queste.» Si sistemarono le
cuffie. «Di’ qualcosa» la
esortò Donovan.
«Qualcosa.» Pollici in
alto:
le
cuffie
funzionavano.
Donovan
afferrò il portablocco con
la checklist e verificò ogni
voce,
sfiorando
delicatamente
ogni
strumento
e
ogni
indicatore a mano a mano
che procedeva. Spinse
avanti e indietro la cloche.
Una
cloche
identica
davanti a Samantha si
mosse in tandem. «Tu non
toccarla, per favore.»
Samantha
scosse
immediatamente la testa;
non aveva intenzione di
toccare nulla. «Tutto okay»
dichiarò Donovan, e girò la
chiave. Il motore prese vita
e l’elica cominciò a girare.
L’aereo ebbe una scossa
quando venne dato gas.
Donovan annunciò le sue
intenzioni via radio e il
velivolo iniziò a rullare
sulla pista, che sembrava
corta e stretta, almeno a
parere di Samantha. «C’è
qualcuno
in
ascolto?»
chiese.
«Ne dubito. C’è molta
calma questa mattina.»
«Il tuo è l’unico aereo
privato in tutta Noland
County?»
Donovan indicò alcuni
piccoli hangar più avanti,
lungo la pista. «Ce n’è
qualcun altro laggiù. Non
molti.» Verso il termine
della pista, aumentò di
nuovo i giri del motore e
ricontrollò strumenti e
indicatori. «Tieniti stretta.»
Spinse in avanti il pedale
dell’acceleratore e rilasciò
delicatamente
i
freni.
Mentre l’aereo prendeva
velocità,
cominciò
a
contare
con
calma:
«Centoventi
chilometri
l’ora,
centoquaranta,
centosessanta...». Poi tirò
verso di sé la cloche e
l’aereo
si
staccò
dall’asfalto.
Per
un
momento Samantha si
sentì senza peso e lo
stomaco fece una capriola.
«Tutto bene?» domandò
Donovan, senza guardarla.
«Benissimo»
rispose
Samantha a denti stretti.
Mentre salivano, Donovan
iniziò a virare a sinistra e
completò un arco di
centottanta gradi. Volando
basso, non molto al di
sopra degli alberi, puntò
sulla highway principale.
«Vedi quel camion verde,
quello fermo davanti al
negozio?»
domandò.
Samantha annuì. «È lo
stronzo che mi ha seguito
questa mattina. Tieniti
forte.» Manovrò la cloche a
piccoli scatti e l’aereo
oscillò facendo “sbattere”
le ali: un saluto allo
stronzo del camion verde.
Appena il veicolo fu fuori
vista, Donovan ricominciò
a salire.
«Perché mai dovrebbero
seguirti
di
sabato
mattina?»
chiese
Samantha,
le
nocche
bianche premute sulle
ginocchia.
«Chiedilo a loro. Forse
per quello che è successo
ieri. Forse perché lunedì ci
presentiamo in aula per un
processo importante. Chi
lo sa. Mi seguono di
continuo.» Tutto a un
tratto Samantha si sentì
più sicura in aria. Quando
raggiunsero Brady, era già
più rilassata e si godeva il
panorama non molto sotto
di loro. Donovan sorvolò
la cittadina a una quota di
centocinquanta metri e le
fece vedere dall’alto i
luoghi dove abitava e
lavorava. A parte un breve
giro in mongolfiera nei
Catskills, Samantha non
aveva mai visto la terra da
una quota così bassa e
trovò
l’esperienza
affascinante,
addirittura
eccitante. Volando tra le
colline, Donovan salì a
trecento metri e si portò in
assetto di volo orizzontale.
La radio era muta, come
quella sulla finta auto della
polizia
di
Romey.
Samantha domandò: «Cosa
mi dici del radar, dei
controllori del traffico
aereo e roba del genere?
Non c’è nessuno laggiù?».
«Probabilmente
no.
Stiamo viaggiando in VFR ,
cioè secondo le regole del
volo a vista, per cui non
siamo tenuti a registrarci al
controllo del traffico aereo.
Se fosse un viaggio di
lavoro, presenterei un
piano di volo e verrei
inserito nel sistema. Ma
oggi no. È solo per
divertimento.» Indicò uno
schermo e spiegò: «Quello
è il mio radar. Se ci
avviciniamo a un altro
aereo, ce lo farà vedere.
Rilassati, non sono mai
precipitato».
«Ci sei mai andato
vicino?»
«Mai. Prendo il volo
molto seriamente, come la
maggior parte dei piloti.»
«Bene. Dove stiamo
andando?»
«Non lo so. Dove ti
piacerebbe andare?»
«Tu sei il pilota e non
sai dove stiamo andando?»
Donovan sorrise, inclinò
l’aereo in una virata a
sinistra e indicò uno
strumento.
«Questo
è
l’altimetro:
serve
a
monitorare la quota, cosa
parecchio
importante
quando
voli
tra
le
montagne.» Si portarono
gradualmente
a
quattrocentocinquanta
metri e ripresero l’assetto
orizzontale.
Donovan
indicò qualcosa all’esterno
e disse: «Quella è Cat
Mountain, o ciò che ne
rimane.
Una
grossa
operazione». Davanti a
Samantha, alla sua destra,
c’era la strip mine, che
aveva lo stesso aspetto di
tutte le altre: un panorama
spoglio di rocce e terriccio
in mezzo a splendide
montagne, con i detriti
buttati nei riempimenti
molto più in basso, nelle
valli. Samantha pensò a
Francine Crump, la cliente
a caccia di un testamento
gratuito, e alla proprietà
che voleva salvare. Il
terreno doveva essere
laggiù, da qualche parte
vicino a Cat Mountain.
C’erano piccole case lungo
i torrenti e, qua e là,
qualche insediamento. Lo
Skyhawk si inclinò deciso
a
destra
e,
mentre
effettuava una perfetta
virata a trecentosessanta
gradi, Samantha guardò i
mezzi meccanici e gli altri
macchinari direttamente
sotto di lei. Un camion
degli
esplosivi,
pale
meccaniche, un escavatore
a benna trascinata, camion
da miniera e da trasporto,
ruspe. Le sue conoscenze si
stavano ampliando. Notò,
in piedi accanto a un
ufficio, un caposquadra
che sforzava la vista per
seguire l’aereo.
«Lavorano anche di
sabato, eh?» domandò.
Donovan annuì. «A
volte anche sette giorni la
settimana. I sindacati sono
spariti.»
Raggiunsero
i
novecento
metri
e
tornarono
in
assetto
orizzontale.
«Adesso
siamo in Kentucky, diretti
a ovest e poi a nord.» Se
non fosse stato per le
cuffie, avrebbe dovuto
strillare per sovrastare il
ruggito
del
motore.
«Guarda giù. Troppe per
poterle contare.» Le strip
mines, decine per quello
che
poteva
vedere
Samantha, punteggiavano
le montagne come brutte
cicatrici. Ne sorvolarono
molte. Tra l’una e l’altra,
Samantha notò vaste aree
aperte con chiazze d’erba e
qualche alberello. «Quello
cos’è?»
domandò,
indicando davanti a sé.
«Quell’area piatta senza
alberi?»
«Una vittima, un sito
bonificato dove prima
c’era una strip mine. Quella
era Persimmon Mountain,
altezza
settecentocinquanta metri.
Hanno rimosso la cima,
hanno estratto il carbone e
poi hanno cominciato le
operazioni di bonifica e
ripristino. La legge impone
che alla fine il sito
riacquisti
“approssimativamente il
profilo originale”. Sono le
parole chiave, ma come fai
a ricostruire una montagna
che non c’è più?»
«Ho letto qualcosa in
merito. Il territorio deve
risultare uguale o migliore
di quanto fosse prima
dell’estrazione mineraria.»
«Una barzelletta. Le
società del carbone ti
diranno che il terreno
bonificato è perfetto come
area edificabile: centri
commerciali, condomini e
cose del genere. In un sito
in Virginia hanno costruito
una prigione. E in un altro
hanno fatto un campo da
golf. Il problema è che da
queste parti nessuno gioca
a golf. La bonifica è una
presa in giro.»
Sorvolarono
un’altra
strip mine, poi un’altra
ancora. Dopo un po’
sembravano tutte uguali.
«A oggi, quante sono
attive?» chiese Samantha.
«Decine. Negli ultimi
trent’anni abbiamo perso
circa seicento montagne a
causa delle strip mines, e al
ritmo con cui procedono
non ne resteranno molte.
La domanda di carbone è
in aumento, il prezzo è alto
e di conseguenza le società
sono molto aggressive
nella richiesta dei permessi
per
cominciare
a
sbancare.» Donovan virò a
destra e disse: «Adesso
andiamo a nord, in West
Virginia».
«Tu hai la licenza per
esercitare anche là?»
«Sì, e anche in Virginia e
in Kentucky.»
«Hai accennato a cinque
Stati, prima del decollo.»
«A volte mi spingo fino
in Tennessee e in North
Carolina, ma non molto
spesso. Siamo in causa per
una discarica di ceneri di
carbone in North Carolina,
un sacco di avvocati
coinvolti.
Una
grossa
causa.»
Donovan amava le sue
grosse cause. Le montagne
perdute del West Virginia
erano identiche a quelle
del Kentucky. Il Cessna
zigzagò, piegandosi a
destra
e
a
sinistra,
consentendo a Samantha
di dare un’altra buona
occhiata alla devastazione
sottostante, poi tornò in
assetto orizzontale per
andare
a
sorvolarne
un’altra. «Quella è la Bull
Forge
Mine»
disse
Donovan. «Ieri l’hai vista
da terra.»
«Oh, sì. Gli ecoterroristi.
Quei tizi stanno facendo
arrabbiare sul serio le
società del carbone.»
«Sembrerebbe
essere
quella la loro intenzione.»
«Peccato che tu non
abbia portato il fucile.
Potevamo
far
saltare
qualche
pneumatico
dall’alto.»
«Ci avevo pensato.»
Dopo un’ora di volo,
Donovan iniziò una lenta
discesa. A quel punto
Samantha aveva già preso
confidenza con l’altimetro,
l’indicatore di velocità e la
bussola. A seicento metri,
domandò: «Abbiamo una
destinazione?».
«Sì, ma prima voglio
farti vedere un’altra cosa.
Tra poco, dalla tua parte,
vedrai un’area nota come
Hammer Valley.» Ci volle
un minuto per superare un
crinale, oltre il quale
comparve una lunga valle
profonda.
«Cominciamo
da qui, all’estremità della
valle, vicino a Rockville,
trecento abitanti.» Dagli
alberi spuntarono due
campanili, poi comparve
l’abitato,
un
piccolo
villaggio
pittoresco
rannicchiato lungo un
torrente e circondato dalle
montagne. Lo sorvolarono
e seguirono il torrente.
Decine di case, per lo più
caravan, erano sparse
lungo strette strade di
campagna.
«Ecco quello che viene
definito un cluster di
tumori. Hammer Valley ha
la più alta incidenza di casi
di cancro di tutto il Nord
America, quasi venti volte
la media nazionale. Brutti
tumori:
fegato,
rene,
stomaco, utero, e parecchie
persone con la leucemia.»
Tirò
delicatamente
la
cloche verso di sé e l’aereo
salì mentre davanti a loro
compariva un massiccio
rilievo. Lo superarono di
una cinquantina di metri e
all’improvviso
si
ritrovarono sopra un sito
bonificato. «E questa è la
ragione» disse Donovan.
«La strip mine di Peck
Mountain.» La montagna
era sparita, sostituita da
collinette spianate dai
bulldozer e chiazzate di
erba marrone. Dietro un
argine di terra, si stendeva
sinistra una massa di
liquido nero. «Quello è il
bacino dei fanghi tossici.
Una trentina d’anni fa, la
Starke Energy arrivò qui,
rimosse la cima della
montagna ed estrasse tutto
il carbone, una delle prime
grandi strip mine negli
Appalachi. Il carbone lo
lavavano sul posto e
scaricavano le acque reflue
in un laghetto, un tempo
incontaminato.
Poi
costruirono quella diga,
ingrandendo di molto il
lago.»
Stavano volando in
cerchio sul bacino a
un’altezza
di
trecento
metri. «La Starke in
seguito venne acquistata
dalla
Krull
Mining,
un’altra società senza volto
che in realtà è di proprietà
di un oligarca russo, un
criminale con le mani in
pasta in un sacco di
miniere in tutto il mondo.»
«Un russo?»
«Oh, sì. Abbiamo russi,
ucraini, cinesi, indiani,
canadesi, nonché il solito
assortimento di cowboy di
Wall Street e rinnegati
locali. Abbiamo moltissimi
proprietari assenteisti e
lontani,
quindi
puoi
immaginare quanto gliene
freghi del territorio e della
gente.»
Donovan virò di nuovo
e Samantha si ritrovò a
guardare direttamente la
melma che, da un’altezza
di
trecento
metri,
sembrava
avere
la
consistenza del petrolio
grezzo.
«È
davvero
orribile»
commentò.
«Un’altra causa?»
«La più grande di
sempre.»
Atterrarono su una pista
ancora più piccola di
quella di Noland County e
priva di qualsiasi indizio
che facesse pensare a una
città
nelle
vicinanze.
Mentre rullavano verso la
baracca di legno che
fungeva
da
terminal,
Samantha
vide
Vic
Canzarro appoggiato alla
recinzione,
in
attesa.
L’aereo si fermò vicino al
terminal. Non ce ne erano
altri in vista. Donovan
spense il motore ed
effettuò i controlli post
volo, poi scese dallo
Skyhawk con Samantha.
Come prevedibile, Vic
guidava un robusto pickup a trazione integrale
adatto a incontri fuori
strada con guardie di
sicurezza. Samantha si
accomodò
sul
sedile
posteriore in compagnia di
un frigo portatile, alcuni
zaini e, naturalmente, un
paio di fucili.
Vic era un fumatore,
non
accanito,
ma
comunque
entusiasta.
Abbassò di un paio di
centimetri il finestrino sul
lato del conducente, quel
tanto che bastava per fare
uscire metà dei suoi fumi
di scarico, mentre l’altra
metà
fluttuava
nell’abitacolo. Dopo la
seconda
sigaretta,
Samantha,
che
stava
boccheggiando, abbassò il
finestrino posteriore dietro
a Donovan. Lui le chiese
perché. Lei glielo spiegò
con molta chiarezza e
questo innescò una tesa
conversazione
tra
Donovan e Vic a proposito
delle
abitudini
di
quest’ultimo. Vic giurò che
stava tentando di smettere,
anzi, aveva già smesso
parecchie volte, e ammise
francamente
che
lo
spaventava la probabilità
di una morte orribile per
cancro
ai
polmoni.
Donovan
continuò
a
martellarlo e Samantha
ebbe la netta impressione
che i due litigassero
sull’argomento già da
diverso tempo. Niente
venne risolto e Vic si
accese un’altra sigaretta.
Le colline e i sentieri li
portarono nel cuore di
Hammer Valley e, al
termine del viaggio, alla
casa cadente di un certo
Jesse McKeever. «Chi è
McKeever,
e
perché
andiamo
a
trovarlo?»
domandò Samantha dal
sedile posteriore, mentre il
pick-up si immetteva nel
vialetto d’accesso.
«Un potenziale cliente»
rispose Donovan. «Ha
perso la moglie, un figlio,
una figlia, un fratello e due
cugini a causa del cancro.
Rene, fegato, polmoni,
cervello, praticamente ogni
parte del corpo.» Il pick-up
si fermò, ma dovettero
aspettare un momento a
causa del cane. Un pit bull
cattivissimo saltò giù dalla
veranda e corse verso di
loro, pronto a mangiarsi gli
pneumatici. Vic suonò il
clacson e Jesse finalmente
emerse
dalla
casa.
Richiamò il cane, lo colpì
con il suo bastone, lo
maledisse e gli ordinò di
andarsene nel cortile dietro
casa. Il cane obbedì e
scomparve.
Si sedettero su casse di
legno e malconce sedie da
esterno sotto un albero nel
cortile davanti a casa.
Samantha
non
venne
presentata a Jesse, il quale
la ignorò completamente.
Era uno strano tipo
scontroso che sembrava
molto più vecchio dei suoi
sessant’anni, con pochi
denti, rughe profonde
scavate da una vita difficile
e un cipiglio fisso sul viso.
Vic aveva fatto esaminare
l’acqua del pozzo di
McKeever e i risultati, per
quanto prevedibili, erano
nefasti.
L’acqua
era
inquinata da composti
organici volatili: veleni
come cloruro di vinile,
tricloroetilene, mercurio,
piombo e una decina di
altri elementi. Con grande
pazienza, Vic spiegò il
significato di quei paroloni
e Jesse afferrò la sostanza
del messaggio. Non solo
l’acqua non si poteva bere,
ma non doveva essere
utilizzata per nessun altro
scopo, punto. Non per
cucinare, non per fare il
bagno, lavarsi i denti, fare
il bucato o lavare i piatti.
Niente. Jesse spiegò che
avevano cominciato a
procurarsi altrove l’acqua
da bere una quindicina di
anni prima, ma avevano
continuato a usare quella
del pozzo per lavarsi e per
le pulizie di casa. Il primo
a morire era stato suo
figlio, cancro all’apparato
digerente.
Donovan accese un
registratore, che sistemò
sopra una cassetta di
plastica
per
il
latte
capovolta. Nel corso di
una
conversazione
amichevole, e in totale
empatia, riuscì a ottenere
un’ora di storia della
famiglia di Jesse e dei
tumori
che
l’avevano
devastata. Vic ascoltava,
fumava e ogni tanto
interveniva
con
una
domanda. Le storie erano
tremende, ma Jesse le
raccontò
con
scarsa
emozione. Aveva sofferto
troppo, e il dolore lo aveva
indurito.
«Voglio che lei si unisca
alla nostra causa, Mr
McKeever» disse Donovan
dopo avere spento il
registratore.
«Abbiamo
intenzione di intentare
causa alla Krull Mining in
corte federale. Pensiamo di
poter
dimostrare
che
hanno
scaricato
una
montagna di scorie in quel
loro bacino lassù e che da
anni erano a conoscenza
delle perdite e delle
infiltrazioni nella falda
acquifera.»
Jesse posò il mento sul
suo bastone e sembrò
quasi
appisolarsi.
«Nessuna causa me li
riporterà indietro. Se ne
sono andati per sempre.»
«È vero, ma non
dovevano morire. È stato
quel bacino di fanghiglia a
ucciderli, e i proprietari del
bacino
dovrebbero
pagare.»
«Quanto?»
«Non posso prometterle
un centesimo, ma noi
chiederemo milioni di
dollari alla Krull. Avrà
molta
compagnia,
Mr
McKeever.
In
questo
momento ho una trentina
di famiglie di Hammer
Valley che hanno già
firmato e sono pronte a
procedere. Tutte hanno
perso qualcuno a causa del
cancro, e tutte nel corso
degli ultimi dieci anni.»
Jesse voltò la testa,
sputò, si passò la manica
sulla bocca e disse: «Ho
sentito parlare di lei. Un
mucchio di chiacchiere su
e giù per tutta la vallata.
Qualcuno vuole fare causa,
altri hanno ancora paura
della società del carbone,
anche se ormai lassù ha
finito di estrarre. Io non so
cosa fare, sul serio. Cosa
vuole che le dica? Non so
da che parte andare».
«Okay, ci pensi su. Ma
mi prometta una cosa:
quando si sentirà pronto a
combattere, si rivolga a
me, non a un altro
avvocato. Sono tre anni
ormai che lavoro su questo
caso e non abbiamo ancora
depositato
l’atto
di
citazione. Ho bisogno di
averla dalla mia parte, Mr
McKeever.»
Jesse disse che ci
avrebbe
riflettuto
e
Donovan
promise
di
tornare a trovarlo nel giro
di un paio di settimane.
Lasciarono Jesse all’ombra,
con il cane di nuovo al suo
fianco, e se ne andarono a
bordo
del
pick-up.
Nessuno aprì bocca finché
Samantha chiese: «Okay,
come farete a dimostrare
che la società sapeva che il
suo
bacino
stava
inquinando l’acqua di Mr
McKeever?».
I due seduti davanti si
scambiarono un’occhiata e
per alcuni secondi non ci
fu alcuna risposta. Poi Vic
si accese una sigaretta e
Donovan rispose: «Ci sono
dei documenti interni della
società
in
grado
di
dimostrare
chiaramente
che
sapevano
della
contaminazione e che non
hanno mai fatto niente;
anzi, hanno insabbiato
tutto per dieci anni».
Samantha aprì di nuovo
il finestrino, prese aria e
chiese: «Come fate a essere
in possesso di quei
documenti, visto che non
avete ancora depositato gli
atti?».
«Non ho detto che
siamo in possesso dei
documenti»
rispose
Donovan, un po’ sulla
difensiva.
Vic aggiunse: «Ci sono
state delle indagini, da
parte dell’Environmental
Protection Agency e di
altri enti di controllo. C’è
un
sacco
di
documentazione cartacea».
«È stata l’EPA a trovare
quei
documenti?»
domandò Samantha. I due
uomini sembrarono incerti
su come rispondere.
«Non tutti» rispose Vic.
Samantha non insistette
e ci fu una pausa nella
conversazione. Svoltarono
in una strada sterrata e
proseguirono
ballonzolando per un paio
di chilometri. «Quando
depositerai
l’atto
di
citazione?»
domandò
finalmente Samantha.
«Presto»
rispose
Donovan.
«Be’, se devo venire a
lavorare da te ho bisogno
di sapere queste cose, no?»
Donovan non replicò.
Arrivarono davanti a un
vecchio
caravan
e
parcheggiarono
dietro
un’auto sudicia, priva di
coprimozzi e con un
paraurti tenuto dal filo di
ferro. «E qui chi ci abita?»
chiese Samantha.
«Dolly Swaney» rispose
Donovan. «Suo marito è
morto due anni fa per un
cancro al fegato. Aveva
quarantun anni.»
«È una cliente?»
«Non ancora» disse
Donovan
aprendo
la
portiera. Dolly Swaney
emerse in veranda, una
fatiscente
aggiunta
al
caravan con gli scalini
rotti.
Era
enorme
e
indossava
un
vestito
macchiato che le arrivava
quasi ai piedi nudi.
«Credo che vi aspetterò
qui» disse Samantha.
Pranzarono
presto
nell’unica tavola calda del
centro di Rockville, un
locale in cui il clima era
soffocante e l’odore di
grasso appesantiva l’aria.
La cameriera posò sul
tavolo tre bicchieri pieni di
acqua
ghiacciata,
che
nessuno toccò. Insieme ai
sandwich
ordinarono
invece bibite dietetiche.
Non c’era nessuno seduto
vicino a loro e Samantha
decise
di
continuare
l’interrogatorio.
«Allora, se avete già
trenta clienti e tu lavori su
questo caso da tre anni,
come mai non avete ancora
depositato gli atti?»
I
due
uomini
si
guardarono intorno come
se qualcuno avesse potuto
ascoltare. Tranquillizzato,
Donovan
rispose
sottovoce: «Questo è un
caso enorme, Samantha.
Decine di morti, un
convenuto con le tasche
bene imbottite e una
responsabilità civile che
credo di poter dimostrare
nel corso del processo. Ho
già speso circa centomila
dollari per questa causa e
ce ne vorranno molti di più
per portarla davanti a una
giuria. Ci vuole tempo:
tempo per far firmare i
clienti,
tempo
per
effettuare
le
ricerche,
tempo per mettere insieme
una squadra in grado di
opporsi
all’esercito
di
avvocati e periti che la
Krull Mining butterà in
campo per la sua difesa».
«È anche pericoloso»
aggiunse Vic. «Ci sono
moltissimi cattivi soggetti
nel ramo carbone, e la
Krull Mining è uno dei
peggiori. Non solo è priva
di scrupoli per quanto
riguarda le strip mines, è
anche una controparte
feroce in tribunale. La
nostra è una bellissima
causa,
ma
l’idea
di
doversela vedere con la
Krull Mining ha già fatto
scappare molti avvocati,
gente di solito sempre
pronta a salire a bordo
nelle
grandi
cause
riguardanti l’ambiente.»
«Ecco perché ho bisogno
di aiuto» disse Donovan.
«Se ti stai annoiando e hai
voglia di un po’ di
movimento,
allora
mettiamoci al lavoro. Ho
una
tonnellata
di
documenti che devono
essere riesaminati.»
Samantha trattenne una
risata e disse: «Stupendo,
di nuovo revisione di
documenti. Ho passato il
primo anno allo studio
sepolta in una tomba a
revisionare documenti. È
la maledizione di ogni
associato alle prime armi».
«Da me sarà diverso, te
lo assicuro.»
«Stiamo parlando dei
documenti incriminanti, la
roba buona?»
I
due
uomini
si
guardarono
di
nuovo
intorno.
La
cameriera
arrivò
con
le
bibite
dietetiche e si allontanò.
Che le interessassero le
cause legali era molto
dubbio. Samantha si piegò
in avanti e colpì duro con:
«Tu
hai
già
quei
documenti, vero?».
«Diciamo che abbiamo
accesso
alla
loro
consultazione»
rispose
Donovan. «Sono andati
persi. La Krull Mining sa
che non si trovano più, ma
non sa chi li ha. Dopo che
avrò depositato l’atto di
citazione, la società verrà a
conoscenza che io ho
accesso a quelle carte. È
tutto quello che posso
rivelare.»
Mentre
Donovan
parlava, Vic fissava attento
Samantha per coglierne le
reazioni.
La
sua
espressione
suggeriva:
“Possiamo fidarci di lei?”.
Era anche un’espressione
scettica. Avrebbe voluto
parlare di qualcos’altro.
«Cosa farà la Krull
Mining quando verrà a
sapere del tuo accesso ai
documenti?»
chiese
Samantha.
«Darà di matto, ma chi
se frega. Saremo in corte
federale, speriamo con un
buon giudice, uno che li
tenga in riga e sotto
pressione.»
Arrivarono
le
ordinazioni,
scarni
sandwich con accanto
montagne
di
patatine
fritte, e cominciarono a
mangiare. Vic chiese a
Samantha di New York e
della
sua
vita
nella
metropoli. I due uomini
erano incuriositi dal suo
lavoro in uno studio legale
con mille avvocati nel
medesimo edificio e dalla
sua specializzazione nella
costruzione di grattacieli.
Samantha
ebbe
la
tentazione di dare al tutto
una spolverata di glamour,
ma non riuscì ad attivare le
necessarie
capacità
di
inganno. Ignorando il
sandwich e giocherellando
con le patatine, non poté
fare a meno di chiedersi
dove stessero pranzando
Blythe e i suoi amici in
quel
momento.
Senza
dubbio in un elegante
ristorante del Village con
tovaglioli di tessuto, lista
dei vini e alta cucina. Un
altro mondo.
14
Lo
Skyhawk
salì
a
millecinquecento metri e si
portò in assetto di volo
orizzontale. «Sei pronta?»
chiese Donovan. A quel
punto Samantha si stava
godendo i panorami e il
volo a quote più basse, ma
non aveva alcun desiderio
di prendere i comandi.
«Stringi delicatamente la
cloche» disse Donovan, e
Samantha eseguì.
«La
tengo
anch’io,
perciò non preoccuparti»
proseguì
con
calma
Donovan.
«La
cloche
controlla la posizione del
muso, su e giù, e serve
anche per virare. Tutti i
movimenti devono essere
lenti e morbidi. Gira
leggermente a destra.»
Samantha ubbidì e l’aereo
cominciò una graduale
virata. Riportò la cloche
verso sinistra e l’aereo
riprese l’assetto originale.
Spinse la cloche in avanti e
il muso dell’aereo si
abbassò e iniziarono a
perdere quota. Samantha
diede
un’occhiata
all’altimetro. «Portati a
milletrecento metri» disse
Donovan. «E mantieni
l’assetto.» Da milletrecento
salirono
a
millecinquecento
e
Donovan si mise le mani in
grembo. «Come ci si
sente?»
«Grandioso. Non riesco
a credere che lo sto
facendo davvero. È così
facile.»
Lo
Skyhawk
rispondeva al minimo
movimento della cloche.
Una volta sicura che non
l’avrebbe fatto precipitare,
Samantha riuscì a rilassarsi
un po’ e a godersi
l’eccitazione del suo primo
volo.
«Questo è un aereo
grandioso, semplice e
sicuro, e tu lo stai
pilotando. Nel giro di un
mese potresti volare da
sola.»
«Non affrettiamo troppo
le cose.»
Continuarono a volare
in silenzio per qualche
minuto. Samantha teneva
sotto controllo tutti gli
strumenti, lanciando solo
brevi
occhiate
alle
montagne di sotto. «Allora,
capitano, dove stiamo
andando?»
chiese
Donovan.
«Non ne ho idea. Non
so bene dove siamo e non
so dove stiamo andando.»
«Cosa ti piacerebbe
vedere?»
Samantha rifletté per un
momento. «Mattie mi ha
parlato della proprietà
della tua famiglia e di
quello che è successo.
Vorrei
vedere
Gray
Mountain.»
Donovan esitò per un
attimo, poi disse: «Allora
guarda il girodirezionale e
vira a sinistra: rotta
centonovanta gradi. Fallo
lentamente e mantieni
l’assetto». Samantha eseguì
perfettamente la virata
tenendo lo Skyhawk in
quota.
Dopo
qualche
minuto domandò: «Okay,
cosa succederebbe se il
motore si bloccasse?».
Donovan accennò una
scrollata di spalle, come se
il pensiero non gli fosse
mai passato per la mente.
«Per prima cosa cercherei
di farlo ripartire. Se non
funzionasse, proverei a
individuare una superficie
piatta, un pascolo, magari,
o addirittura una strada. A
millecinquecento
metri,
uno Skyhawk volerà come
un aliante per una decina
di chilometri, per cui c’è
un mucchio di tempo. Una
volta trovata la mia pista,
ci farei un giro intorno,
cercherei di valutare il
vento di discesa ed
effettuerei un perfetto
atterraggio di emergenza.»
«Non
vedo
aree
pianeggianti laggiù.»
«Allora scegliti una
montagna e spera per il
meglio.»
«Scusa se te l’ho
chiesto.»
«Rilassati. Gli incidenti
con questo aereo sono rari
e sono sempre causati da
un errore del pilota.»
Donovan sbadigliò e per
un po’ rimase in silenzio.
Samantha
trovava
impossibile rilassarsi del
tutto, ma si sentiva sempre
più sicura di sé a ogni
minuto che passava. Dopo
una lunga pausa nella
conversazione,
lanciò
un’occhiata al suo copilota,
che le sembrò appisolato.
Stava prendendola in giro
oppure dormiva davvero?
Il primo impulso fu di
strillare nel microfono e
spaventarlo, poi invece
controllò gli strumenti, si
assicurò che l’aereo stesse
volando diritto e le ali
fossero perfettamente in
orizzontale
e
soffocò
l’impulso
urgente
di
cedere al panico. Si
sorprese a stringere con
forza la cloche e per un
secondo la lasciò andare.
L’indicatore del carburante
segnalava un serbatoio
pieno a metà. Se Donovan
voleva
dormire,
che
facesse pure. Gli avrebbe
concesso qualche minuto
per sonnecchiare, poi il
panico. Lasciò andare di
nuovo la cloche e si rese
conto che l’aereo volava da
solo e che per le correzioni
bastava un tocco leggero
ogni
tanto.
Guardò
l’orologio. Cinque minuti,
dieci, quindici. Sotto di
loro le montagne sfilavano
lentamente. Non c’era
nulla
sul
radar
che
indicasse
traffico.
Samantha manteneva il
controllo, ma avvertiva un
crescente
bisogno
di
urlare.
Donovan si svegliò con
un colpo di tosse e passò
rapidamente lo sguardo
sugli
strumenti.
«Bel
lavoro, Samantha.»
«Com’è
stato
il
sonnellino?»
«Ottimo. A volte mi
viene sonno quassù. Il
ronzio del motore diventa
monotono e ho difficoltà a
restare sveglio. Durante i
viaggi lunghi, inserisco il
pilota
automatico
e
sonnecchio per qualche
minuto.»
Samantha non sapeva
bene
come
reagire
all’informazione e lasciò
perdere. «Sai dove siamo?»
domandò.
Donovan guardò avanti
e, senza esitare, rispose:
«Certo.
Ci
stiamo
avvicinando a Noland
County. A ore undici c’è
Cat Mountain. Tieniti a
sinistra della montagna, da
lì in poi ci penso io. Scendi
a milleduecento metri».
Sorvolarono i confini di
Brady a un’altezza di
novecento
metri,
poi
Donovan prese i comandi.
«Ti andrà di volare di
nuovo?» domandò.
«Forse. Non lo so.
Quanto tempo ci vuole per
imparare tutto?»
«Circa trenta ore di
lezioni,
o
di
studio
autodidatta, e altre trenta
ore di volo. Il problema è
che non ci sono istruttori
qui in zona. Ce n’era uno,
ma è morto. In un
incidente aereo.»
«Credo
che
mi
accontenterò di guidare la
macchina. Sono cresciuta
in un mondo costellato di
tragedie dell’aria, per cui
sono sempre stata molto
diffidente nei confronti
degli aerei. Volare lo lascio
te.»
«Quando vuoi» disse
Donovan
sorridendo.
Tenne il muso dell’aereo
puntato in basso finché
raggiunse i trecento metri
di quota. Volarono di
fianco a una strip mine
dove c’erano esplosioni in
corso; una densa nube di
fumo nero gravava bassa
sul terreno. All’orizzonte,
da
sopra
gli
alberi
spuntavano
campanili.
«Sei mai stata a Knox?»
«No, non ancora.»
«È il capoluogo di Curry
County, dove sono nato.
Graziosa cittadina, più o
meno
delle
stesse
dimensioni e della stessa
raffinatezza di Brady, per
cui non ti sei persa molto.»
Sorvolarono la città, ma
non c’era granché da
vedere, per lo meno non
da quell’altezza. Ripresero
quota, facendo zigzag tra i
picchi più alti fino a
ritrovarsi nel bel mezzo
delle
montagne.
Ne
sorvolarono
una
e
Donovan disse: «Ecco,
questo è ciò che resta di
Gray Mountain. La società
mineraria
l’ha
abbandonata vent’anni fa,
e quando se n’è andata se
n’era andata anche la
maggior parte del carbone.
Le cause legali hanno
bloccato tutto per anni.
Come vedi, il sito non è
stato bonificato. Con ogni
probabilità è il posto più
brutto
di
tutti
gli
Appalachi».
Era
un
panorama
desolato, con squarci aperti
nei punti in cui veniva
estratto il carbone quando
le
squadre
avevano
interrotto di colpo i lavori,
cumuli
di
scorie
abbandonate per sempre
sul
posto
e
alberi
scheletrici che cercavano
disperatamente
di
sopravvivere. Quasi tutto
il sito era roccia e terriccio,
ma erano spuntate chiazze
di
erba
marrone.
Il
riempimento della valle
era in parte coperto da
cespugli e rampicanti.
Cominciando a volare in
circolo, Donovan disse:
«L’unica cosa peggiore di
una strip mine bonificata è
una
strip
mine
abbandonata. È quello che
è successo qui. Mi dà
ancora la nausea».
«Chi è il proprietario
adesso?»
«Mio padre. Il terreno è
tuttora della famiglia, ma
non vale niente. La terra è
rovinata. Torrenti e ruscelli
sono scomparsi sotto il
riempimento, i pesci sono
spariti. L’acqua è veleno.
Gli animali selvatici sono
scappati in cerca di posti
più sicuri. Mattie ti ha
raccontato cos’è successo a
mia madre?»
«Sì,
ma
non
in
dettaglio.»
Donovan scese di quota
e virò a destra in modo che
Samantha
potesse
guardare direttamente di
sotto. «Vedi quella croce
bianca, con le rocce
intorno?»
«Sì, la vedo.»
«È lì che è morta. Lì
c’era la nostra casa, una
vecchia
residenza
di
famiglia costruita da mio
nonno, che faceva il
minatore sottoterra. Dopo
che l’inondazione distrusse
la casa, mia madre si trovò
un posto laggiù, vicino alle
rocce, ed è lì che successe.
Mio fratello Jeff e io
abbiamo
recuperato
qualche vecchio pezzo di
legno della casa e abbiamo
fatto quella croce.»
«Chi ha trovato vostra
madre?»
Donovan
prese
un
respiro profondo. «Quindi
Mattie non ti ha detto
tutto?»
«Immagino di no.»
«L’ho trovata io.»
Non venne detto nulla
per
qualche
minuto,
mentre Donovan volava
basso sopra la valle, sul
lato est di Gray Mountain.
Non c’erano strade, case o
segni della presenza di
esseri umani. Donovan
virò di nuovo e disse:
«Subito oltre questo crinale
c’è l’unica parte della
proprietà che non è stata
rovinata. L’acqua scorre in
un’altra direzione e la valle
si è salvata dalla miniera.
Vedi
quel
torrente
laggiù?».
Inclinò
lateralmente l’aereo in
modo
che
Samantha
potesse vedere.
«Sì, lo vedo.»
«È lo Yellow Creek. Ho
una capanna di tronchi di
legno lungo quel torrente,
un nascondiglio di cui
pochissimi
sono
a
conoscenza. Una volta o
l’altra ti ci porto.»
“Non ne sono tanto
sicura” pensò Samantha.
“Noi due siamo già
abbastanza vicini e, finché
non
ci
saranno
cambiamenti nel tuo stato
coniugale, non ho in
programma di avvicinarmi
ulteriormente.” Però annuì
e
disse:
«Sì,
mi
piacerebbe».
«Quello è il camino: si
nota a malapena, sia da qui
che
a
terra.
Niente
impianto idraulico, niente
elettricità, si dorme in
amaca. Ho costruito io la
capanna, con l’aiuto di mio
fratello Jeff.»
«Tuo padre dov’è?»
«Le ultime notizie lo
davano in Montana, ma
sono parecchi anni che non
gli
parlo.
Hai
visto
abbastanza?»
«Credo di sì.»
Al
Noland
County
Airfield,
Donovan
si
avvicinò al terminal, ma
non spense il motore.
«Okay» disse «voglio che
tu scenda qui. Passa da
dietro
e
fai
molta
attenzione,
l’elica
sta
ancora girando.»
«Tu
non
scendi?»
domandò
Samantha,
slacciando la cintura di
sicurezza.
«No, vado a Roanoke a
trovare mia moglie e mia
figlia. Torno domani.»
Samantha scese sotto l’ala,
sentì il flusso d’aria
dell’elica, passò dietro la
coda e aspettò davanti alla
porta del terminal. Salutò
con la mano Donovan, che
rispose con i pollici in alto
e iniziò a rullare sulla
pista. Samantha lo guardò
decollare, poi salì in auto e
tornò a Brady.
La
cena
di
sabato
consisteva nel leggendario
chili texano di Chester.
Chester non era mai stato
in Texas, per quello che
poteva ricordare, però
aveva trovato una ricetta
meravigliosa (solo due
anni prima) in un sito web.
La parte della leggenda
sembrava essere più o
meno frutto della sua
immaginazione, ma il suo
entusiasmo per la cucina e
l’intrattenimento
degli
ospiti
era
contagioso.
Mattie preparò pane con
farina di mais e Annette
portò
un
dolce
al
cioccolato per dessert.
Samantha non aveva mai
imparato a cucinare e ora
viveva in un minuscolo
appartamento
dotato
soltanto di un fornello
elettrico e di un tostapane,
per cui era esonerata.
Mentre Chester mescolava
il contenuto della pentola,
aggiungeva
spezie
e
parlava ininterrottamente,
Kim e Adam prepararono
la pizza nella cucina di zia
Mattie. Quella del sabato
per loro era sempre la
serata della pizza e
Samantha era felicissima di
trovarsi a casa dei Wyatt e
non intrappolata ancora
una volta con Annette e i
ragazzi, agli occhi dei quali
lei
non
era
più
un’inquilina/baby sitter: in
una sola settimana era
assurta al rango di sorella
maggiore. I ragazzi le
volevano bene e Samantha
voleva bene a loro, ma
aveva la sensazione che le
pareti
si
stessero
stringendo intorno a lei.
Annette sembrava non
badare al fatto che i suoi
figli la soffocassero.
Cenarono sopra un
tavolo da picnic nel cortile
dietro casa, sotto un acero
splendente di foglie giallo
vivo. Anche il terreno era
coperto di foglie, un
bellissimo tappeto che tra
non
molto
sarebbe
scomparso. Quando il sole
sparì dietro le montagne
vennero accese le candele.
Più tardi al gruppo si unì
anche
Claudelle,
la
paralegale. Mattie aveva
una regola: a cena non si
parlava di lavoro. Niente
chiacchiere sul centro di
assistenza legale, sui clienti
e, in particolare, niente di
neppure
remotamente
collegato al carbone. Di
conseguenza, parlarono di
politica: Obama contro
McCain, Biden contro
Palin.
La
politica
naturalmente
portò
a
discussioni sul disastro
economico che infuriava
nel mondo. Le notizie
erano cattive e, mentre gli
esperti si accapigliavano
sostenendo le tesi di una
modesta depressione o di
una grave recessione, il
tutto
sembrava
lontanissimo,
come
l’ennesimo genocidio in
Africa. Terribile, ma niente
che avesse a che fare con
Brady, non ancora. Erano
tutti curiosi di sapere degli
amici di Samantha a New
York.
Per la terza o quarta
volta
nel
corso
del
pomeriggio e della serata,
Samantha
notò
una
freddezza distaccata nelle
parole e nell’atteggiamento
di Annette, che era la solita
di sempre quando parlava
con gli altri, ma diventava
appena un po’ più brusca
quando si rivolgeva a lei.
Samantha all’inizio non ci
badò. Ma al termine della
cena era ormai certa che
qualcosa stesse rodendo
Annette. Era strano, perché
tra loro due non era
successo niente.
Poi, finalmente, le venne
il sospetto che potesse
avere qualcosa a che fare
con Donovan.
15
Samantha si svegliò al
gradevole
suono
di
campane in lontananza.
Sembravano
esserci
numerose
melodie
nell’aria, alcune più vicine,
o solo più forti, altre più
lontane, ma tutte decise a
svegliare gli abitanti della
cittadina ricordando loro,
con scarsa delicatezza, che
la domenica era arrivata e
le porte delle chiese erano
aperte. Secondo la sua
sveglia digitale erano le
nove e due minuti, e
ancora una volta Samantha
si meravigliò della propria
capacità di dormire. Pensò
di voltarsi dall’altra parte e
continuare ancora po’, ma
poi decise che dieci ore di
sonno erano abbastanza. Il
caffè era pronto, l’aroma le
arrivò fluttuando dall’altra
stanza. Si versò una tazza,
si sedette sul divano e
rifletté sulla sua giornata.
Con poco da fare, il primo
obiettivo
era
evitare
Annette e i ragazzi.
Telefonò a sua madre e
per
mezz’ora
chiacchierarono del più e
del meno. Karen, come al
solito,
era
assorbita
dall’ultima
crisi
al
dipartimento di Giustizia e
ne parlò diffusamente. Il
suo
capo
stava
organizzando
riunioni
urgenti allo scopo di
elaborare
piani
per
indagare su grandi banche,
erogatori
di
mutui
subprime e ogni tipo di
delinquenti di Wall Street,
e tutto questo sarebbe
iniziato
appena
il
polverone si fosse posato e
il dipartimento avesse
capito chi esattamente era
responsabile del disastro. Il
racconto annoiò Samantha,
che
però
resistette
valorosamente,
sorseggiando il caffè in
pigiama e ascoltando lo
scampanio
continuo.
Karen accennò all’idea di
raggiungerla a Brady in un
prossimo futuro per dare
la sua prima vera occhiata
alla vita tra le montagne,
ma Samantha sapeva che
erano solo chiacchiere. Sua
madre di rado lasciava
Washington: il lavoro era
troppo
importante.
Finalmente
le
chiese
notizie sullo stage e il
centro di assistenza legale.
«Per quanto tempo resterai
lì
ancora?»
domandò.
Samantha rispose che non
aveva in programma di
andarsene molto presto.
Quando le campane
smisero
di
suonare,
indossò un paio di jeans e
uscì
dall’appartamento.
L’auto di Annette era
ancora davanti a casa,
indicazione del fatto che lei
e i ragazzi avrebbero
saltato la funzione in
chiesa di quella bella
domenica mattina. Da un
distributore vicino allo
studio
di
Donovan,
Samantha comprò una
copia
del
“Roanoke
Times”, che lesse in un
caffè deserto mangiando
un waffle con pancetta.
Dopo
la
colazione,
passeggiò per un po’ nelle
strade di Brady. Non le ci
volle molto per vederla
tutta. Passò davanti a una
decina di chiese, tutte
apparentemente
affollatissime a giudicare
dai parcheggi gremiti.
Cercò di ricordare l’ultima
volta che aveva visto
l’interno di una chiesa. Suo
padre era un cattolico non
praticante, sua madre una
protestante disinteressata e
lei non era stata cresciuta
in alcuna fede.
Trovò le scuole, tutte
vecchie quanto il tribunale
e tutte con condizionatori
arrugginiti che pendevano
tristi dalle finestre. Salutò
con un buongiorno una
veranda piena di anziani
della casa di riposo che
passavano
il
tempo
cullandosi sulle sedie a
dondolo,
chiaramente
troppo vecchi perfino per
andare in chiesa. Passò
davanti
al
minuscolo
ospedale e giurò di non
ammalarsi mai finché fosse
rimasta a Brady. Percorse
Main Street e si chiese
come accidenti facessero i
piccoli commercianti a non
fallire. Terminato il tour,
salì in auto e partì.
Sulla
mappa,
la
highway 119 attraversava
sinuosa la zona carbonifera
dell’estremo
est
del
Kentucky fino ad arrivare
in West Virginia. Il giorno
prima Samantha aveva
visto
gli
Appalachi
dall’alto,
ora
avrebbe
provato a fare lo stesso
dalla
strada.
Con
Charleston come vaga
destinazione finale, partì
portando con sé solo una
carta stradale e una
bottiglia d’acqua. Poco
dopo era già in Kentucky,
anche se la frontiera di
Stato significava ben poco.
Gli Appalachi erano gli
Appalachi, e non badava ai
confini che qualcuno aveva
tracciato un’eternità prima.
Una terra di una bellezza
mozzafiato,
di
colline
ripide e montagne coperte
di fitte foreste, di torrenti e
rapide che tagliavano le
valli,
di
deprimente
povertà, di minuscole
cittadine con edifici in
mattoni rossi e case dipinte
di bianco, e di chiese, tante
chiese.
Quasi
tutte
sembravano essere battiste,
anche se i vari marchi di
fabbrica erano motivo di
irrimediabile confusione.
Southern Baptist, General
Baptist, Primitive Baptist,
Missionary
Baptist.
Comunque fosse, erano
tutte in fervente attività.
Samantha si fermò a
Pikeville,
Kentucky,
settemila abitanti, trovò il
centro della cittadina e si
concesse un caffè in un bar
dall’aria
viziata.
Fu
oggetto di diverse occhiate,
ma
tutte
amichevoli.
Ascoltò
attenta
le
chiacchiere, a volte incerta
se fossero nella sua stessa
lingua,
e
addirittura
ridacchiò a una battuta.
Vicino al confine con il
West Virginia, non riuscì a
resistere e si fermò in un
emporio di campagna che
vantava il “Manzo jerky
fatto in casa famoso in
tutto il mondo”. Ne
comprò una confezione,
diede un morso, buttò il
resto in un bidone dei
rifiuti e sorseggiò acqua
per venticinque chilometri
prima
di
riuscire
a
mandare via il sapore.
Era decisa a non
pensare
al
carbone,
l’argomento
l’aveva
stancata. Ma il carbone era
ovunque:
nei
camion
padroni della strada, nei
cartelloni
sbiaditi
che
invocavano la forza del
sindacato, nella visione
fugace di una strip mine o
della
cima
di
una
montagna
che
veniva
rimossa, nella battaglia
degli adesivi sui paraurti,
con VUOI L’ELETTRICITÀ?
AMA IL CARBONE da un lato
e SALVIAMO LE MONTAGNE
dall’altro, e nei minuscoli
musei che celebravano la
storia delle miniere. Si
fermò a un’indicazione di
sito storico e lesse il
resoconto del Disastro di
Bark Valley, un’esplosione
in una miniera sotterranea
che nel 1961 aveva ucciso
trenta uomini. Gli Amici
del
Carbone
avevano
messo
in
atto
un’aggressiva campagna e
Samantha, guidando, notò
molti dei loro cartelloni
che dichiaravano CARBONE
UGUALE LAVORO. Il carbone
era il tessuto vitale, da
quelle parti, ma sulle strip
mines i pareri erano divisi.
Secondo le ricerche che
Samantha aveva effettuato
in rete, chi era contrario
sosteneva che quel sistema
aveva
distrutto
l’occupazione e aveva i
numeri per supportare la
sua tesi. I minatori al
momento
erano
ottantamila, metà dei quali
impiegati nelle miniere a
cielo aperto e quasi tutti
non iscritti al sindacato.
Decenni prima, quando
ancora si doveva iniziare a
far saltare le cime delle
montagne,
i
minatori
avevano quasi raggiunto il
milione.
Finalmente Samantha
arrivò a Charleston, la
capitale. Non si sentiva
ancora a proprio agio nel
traffico, che trovò più
intenso di quanto si fosse
aspettata. Non aveva idea
di dove stesse andando e
all’improvviso ebbe paura
di perdersi. Erano quasi le
quattordici, l’ora di pranzo
era già passata ed era quasi
il momento di tornare
indietro. Il primo tratto
della gita si concluse con
una sosta in un centro
commerciale
lungo
la
strada, scelto a caso e
circondato da fast food.
Moriva dalla voglia di un
hamburger con patatine.
Molto dopo il tramonto,
nello studio di Donovan le
luci erano ancora tutte
accese. Samantha ci passò
davanti verso le otto, fu sul
punto di bussare, ma poi
decise di non disturbarlo.
Soprattutto per evitare di
tornare all’appartamento,
alle nove era seduta alla
sua scrivania in ufficio, ma
non
stava
lavorando
veramente.
Chiamò
Donovan al cellulare. «Sei
occupato?» domandò.
«Ovvio
che
sono
occupato.
Domani
comincio un processo. Tu
cosa stai facendo?»
«Sono in studio, a
lavoricchiare
e
ad
annoiarmi.»
«Vieni qui da me.
Voglio farti conoscere una
persona.»
Erano nella stanza della
guerra al primo piano, i
tavoli coperti da libri,
dossier e blocchi per
appunti.
Donovan
presentò a Samantha un
certo Lenny Charlton di
Knoxville, consulente per
le giurie. Lo descrisse
come un analista che si
faceva pagare troppo, ma
che spesso si rivelava di
grande utilità. Descrisse
Samantha semplicemente
come un avvocato/amica
che stava dalla sua parte.
Lei si chiese se Donovan
avesse
l’abitudine
di
mancare di riguardo a tutti
gli esperti di cui si serviva.
«Hai mai sentito parlare
di Marshall Kofer di
Washington, un tempo
massimo specialista in
processi
per
disastri
aerei?» domandò Donovan
a Charlton.
«Naturalmente.»
«È il padre di Samantha.
Ma stavolta il DNA si
smentisce: lei si tiene alla
larga
dalle
aule
di
tribunale.»
«Saggia decisione.»
I due uomini stavano
concludendo una lunga
seduta durante la quale
avevano
esaminato
l’elenco
di
sessanta
potenziali giurati. Lenny
spiegò, a beneficio di
Samantha, che la sua ditta
veniva
retribuita
con
somme più che modeste
per svolgere ricerche di
fondo su ogni persona
dell’elenco, e che quel
compito era difficile, data
la
natura
chiusa
e
incestuosa delle comunità
nell’area
del
carbone.
«Scuse,
solo
scuse»
borbottò Donovan, quasi
sottovoce. Lenny chiarì
inoltre che scegliere i
giurati in quella zona era
rischioso,
perché
tutti
avevano un amico o un
parente che lavorava per
una società del carbone o
per un’impresa che forniva
servizi
all’industria
mineraria.
Samantha
ascoltò
affascinata i due discutere
sugli ultimi nomi della
lista. Il fratello di una
potenziale
giurata
lavorava in una strip mine.
Il padre di un’altra donna
era stato un minatore
tradizionale. Un uomo
aveva perso il figlio in un
incidente in un cantiere,
ma
non
c’erano
collegamenti
con
il
carbone. E così via.
Sembrava esserci qualcosa
di sbagliato in quel gioco
di
spionaggio,
nel
permettere alle parti di
sbirciare nelle vite private
di
persone
ignare.
Samantha
ne
avrebbe
parlato con Donovan in
seguito, se se ne fosse
presentata l’occasione. Ora
sembrava stanco, e anche
un po’ nervoso.
Lenny se ne andò
qualche minuto prima
delle dieci. Una volta sola
con Donovan, Samantha
domandò: «Perché non hai
colleghi che lavorino con te
in questo processo?».
«Ne ho spesso, ma non
in questo caso. Preferisco
fare da solo. La Strayhorn
e la sua assicurazione
avranno una decina di
avvocati in abito scuro
ammassati intorno al loro
tavolo. Mi piace l’idea del
contrasto: solo Lisa Tate e
io.»
«Davide e Golia, eh?»
«Qualcosa del genere.»
«Fino a che ora pensi di
lavorare?»
«Non lo so. Questa notte
non
dormirò
molto.
Neppure per il resto della
settimana, se è per questo.
Fa parte del mestiere.»
«Senti, so che è tardi e
che hai cose più importanti
di cui preoccuparti, ma
devo chiederti una cosa.
Tu mi hai offerto un
impiego part-time come
assistente ricercatrice, un
impiego retribuito, tanto
che diventerei dipendente
del tuo studio, giusto?»
«Giusto. Dove vuoi
arrivare?»
«Aspetta solo un attimo.
Non sono sicura di voler
lavorare per te.»
Donovan si strinse nelle
spalle. Nessun problema.
«Non insisto.»
«Ecco la mia domanda:
sei
in
possesso
di
documenti, i documenti
cattivi, come li chiamate tu
e Vic, di proprietà della
Krull Mining e relativi
all’inquinamento
delle
falde acquifere di Hammer
Valley? Documenti che tu
non dovresti avere?»
Ci fu un lampo di
collera negli occhi scuri e
stanchi di Donovan, che
però si morse la lingua,
esitò un istante e poi
sorrise.
«È
una
domanda
diretta,
avvocato»
insistette Samantha.
«L’ho capito. Quindi, se
la
risposta
fosse
sì,
immagino che rifiuteresti il
lavoro
e
noi
due
resteremmo
amici,
giusto?»
«Prima rispondi alla
domanda.»
«E se la risposta fosse
no, allora potresti prendere
in considerazione l’idea di
lavorare per me, esatto?»
«Sto ancora aspettando,
avvocato.»
«Mi appello al Quinto
emendamento.»
«Bene. Ti ringrazio per
l’offerta,
ma
devo
rispondere di no.»
«Come vuoi. Ho un
mucchio di lavoro da fare.»
“Malattia del polmone
nero” è una definizione
legalmente riconosciuta di
una
patologia
professionale.
Più
formalmente, è nota come
pneumoconiosi
dei
lavoratori del carbone (PLC )
ed è provocata da una
prolungata esposizione alle
polveri di carbone. Una
volta inalate, queste non
possono più essere rimosse
o eliminate dall’organismo.
Si
depositano
e
si
accumulano
progressivamente
nei
polmoni
e
possono
determinare infiammazioni,
fibrosi, addirittura necrosi.
La malattia può presentarsi
come “PLC semplice” o “PLC
complicata”
(o
fibrosi
polmonare
massiva
progressiva).
La malattia del polmone
nero è una patologia
comune tra i minatori del
carbone, sia che operino in
miniere sotterranee sia che
lavorino in miniere a cielo
aperto. È stato stimato che
il 10 per cento dei minatori
con venticinque anni di
anzianità
lavorativa
sviluppa la malattia, che è
debilitante e di solito fatale.
Sono circa 1500 i minatori
che muoiono ogni anno a
causa del polmone nero e,
data la natura insidiosa
della malattia, le morti sono
quasi sempre lente e
dolorose. Non esistono cure
né
trattamenti
medici
efficaci.
I sintomi sono dispnea e
tosse
costante,
spesso
accompagnata
da
espettorato nerastro. A
mano a mano che i sintomi
peggiorano, il minatore si
trova ad affrontare il
dilemma se richiedere o
meno le indennità previste.
La diagnosi è semplice e si
basa su: 1) certezza di
esposizione alle polveri di
carbone; 2) radiografia del
torace; e 3) esclusione di
altre cause.
Nel 1969 il Congresso
approvò la Legge federale
per la salute e la sicurezza
nelle miniere di carbone,
che prevedeva un sistema
di previdenze a favore delle
vittime del polmone nero.
Tale legge fissava inoltre
misure standard volte a
ridurre le polveri. Due anni
dopo, il Congresso istituì il
Fondo invalidità polmone
nero e lo finanziò con una
tassa
federale
sulla
produzione del carbone.
Secondo questa norma,
l’industria
carbonifera
accettava
un
sistema
studiato
per
facilitare
l’individuazione
della
malattia e garantire le
indennità al lavoratore. Nel
caso in cui un minatore
avesse lavorato dieci anni e
fosse in possesso della
dovuta
documentazione
medica – radiografie o
prove
autoptiche
comprovanti la presenza
del polmone nero –, in
teoria avrebbe avuto diritto
alle indennità previste.
Inoltre, il minatore affetto
da polmone nero, ma
ancora al lavoro, avrebbe
dovuto essere trasferito a
mansioni
che
comportassero una minore
esposizione alle polveri,
senza alcuna riduzione di
retribuzione,
benefit
e
anzianità. A partire dal 1°
luglio 2008, un minatore
affetto da polmone nero
riceve dal fondo 900 dollari
al mese.
Lo scopo della nuova
legge
era
ridurre
drasticamente l’esposizione
alle polveri di carbone. Ben
presto entrarono in vigore
standard severi e i minatori
ebbero diritto a una
radiografia toracica gratuita
ogni cinque anni. Le
radiografie dimostrarono
che, su dieci minatori
esaminati, quattro erano
affetti da malattia del
polmone nero, a vari livelli
di gravità. Ma negli anni
successivi all’entrata in
vigore della legge, i nuovi
casi si ridussero del
novanta per cento. Medici
ed esperti predissero che la
patologia sarebbe stata
eliminata. Tuttavia, già nel
1995
studi
governativi
cominciarono a evidenziare
un aumento del tasso di
morbilità, poi un aumento
ancora
maggiore.
Altrettanto inquietante, la
malattia
sembrava
progredire più rapidamente
e si manifestava nei
polmoni di minatori più
giovani. Gli esperti hanno
formulato due teorie per
spiegare questo fenomeno:
1) i minatori lavorano per
turni più lunghi e sono
quindi esposti a quantità
maggiori di polveri; 2)
l’industria
carbonifera
espone
i
minatori
a
concentrazioni illegali di
polveri di carbone.
La malattia del polmone
nero è ora epidemica nelle
aree carbonifere e l’unica
ragione possibile è una
prolungata esposizione a
una quantità di polveri
maggiore
di
quanto
consenta la legge. Per
decenni
le
società
carbonifere hanno fatto
resistenza ai tentativi di
imporre
standard
di
sicurezza più severi, e
hanno avuto successo.
Le leggi federali non
prevedono il pagamento di
onorari
legali,
di
conseguenza il minatore
che intenda presentare
richiesta di indennità dovrà
orizzontarsi da solo nel
sistema
previdenziale.
L’industria
carbonifera
oppone sempre strenua
resistenza alle denunce,
quali che siano le prove
prodotte dal minatore in
questione,
e
lo
fa
servendosi di avvocati
esperti
in
grado
di
manipolare abilmente il
sistema. Anche nel caso in
cui il minatore alla fine
prevalga, il procedimento
sarà durato in media circa
cinque anni.
Per
Thomas
Wilcox
l’ordalia si protrasse per
dodici anni. Era nato nel
1925 nei pressi di Brady,
Virginia, aveva combattuto
in guerra, era stato ferito
due
volte,
era
stato
decorato e, tornato a casa, si
era sposato ed era andato a
lavorare in miniera. Era un
minatore orgoglioso, un
sindacalista convinto, un
leale democratico e un
ottimo marito e padre. Nel
1974
gli
venne
diagnosticata la malattia
del
polmone
nero
e
presentò domanda per
ottenere l’indennità. Era
malato ormai da parecchi
anni ed era quasi troppo
debole per poter lavorare.
Le
lastre
toraciche
evidenziavano
con
chiarezza PLC complicata.
Aveva lavorato sottoterra
per ventotto anni e non
aveva mai fumato. La sua
richiesta venne inizialmente
accolta, ma la società
carbonifera
ricorse
in
appello. Nel 1976, all’età di
cinquantuno anni, Thomas
non ebbe altra scelta se non
licenziarsi. Continuò a
peggiorare ed entro breve
dovette
ricorrere
all’ossigeno ventiquattr’ore
al giorno. Senza alcun
reddito, la famiglia lottò
per
sopravvivere
e
provvedere
alle
spese
mediche. Thomas e la
moglie furono costretti a
vendere la casa e a
trasferirsi presso una figlia.
La
domanda
venne
insabbiata in profondità nel
sistema federale da scaltri
avvocati al soldo della
società mineraria. All’epoca
Thomas avrebbe avuto
diritto a circa 300 dollari al
mese, più le spese mediche.
Alla fine Thomas era
ridotto a uno scheletro
rinsecchito che, inchiodato
su una sedia a rotelle,
boccheggiava cercando di
respirare
e,
mentre
trascorrevano gli ultimi
giorni, la famiglia pregava
per una fine pietosa. Non
riusciva più a parlare e
veniva
nutrito
con
omogeneizzati per bambini
dalla moglie e dalle figlie.
Grazie alla generosità di
amici e vicini di casa, e agli
instancabili sforzi della
famiglia, la fornitura di
ossigeno non venne mai a
mancare. Al momento del
decesso nel 1986, all’età di
sessantuno anni, Thomas
pesava quarantasette chili.
L’autopsia provò in modo
incontrovertibile
la
presenza della malattia del
polmone nero.
Quattro mesi più tardi la
società carbonifera ritirò il
ricorso in appello. Dodici
anni dopo la presentazione
della domanda, la vedova
di Thomas ricevette una
somma a forfait a saldo
delle indennità per malattia
del polmone nero.
Nota: Thomas Wilcox era
mio
padre.
Era
un
orgoglioso eroe di guerra,
anche se non parlò mai
delle sue vicende. Era un
figlio delle montagne, di cui
amava la bellezza, la storia
e il modo di vita. Insegnò a
tutti noi come pescare nei
torrenti, accamparsi nelle
caverne e perfino cacciare
un cervo per sfamarci. Era
un
uomo
attivo
che
dormiva poco e al quale
piaceva leggere fino a tarda
notte. Assistemmo al suo
declino a mano a mano che
la malattia progrediva.
Ogni minatore ha paura del
polmone nero, ma non
pensa mai che possa
succedere a lui. Quando la
realtà
fu
innegabile,
Thomas perse ogni energia
e cominciò a intristirsi.
Anche i lavori più semplici
alla fattoria diventarono
difficili. E quando fu
costretto a lasciare la
miniera, sprofondò in un
lungo periodo di grave
depressione. Il corpo si fece
sempre più debole e
minuto, e parlare divenne
troppo faticoso. Aveva
bisogno di tutta la sua
energia solo per respirare.
Nei suoi ultimi giorni, noi
familiari facemmo a turno
per sederci accanto a lui e
leggergli
i
suoi
libri
preferiti. C’erano spesso
lacrime nei suoi occhi.
Mattie Wyatt, 1° luglio 2008
Il
rapporto
era
nell’ultima sezione dello
spesso
raccoglitore
di
dispense dei seminari, ed
era
stato
chiaramente
inserito in un secondo
tempo. Samantha non lo
aveva mai notato prima.
Mise
da
parte
il
raccoglitore,
trovò
le
scarpe da corsa e uscì per
una lunga camminata
intorno a Brady. Erano le
undici passate di domenica
sera e in giro per le strade
non vide nessuno.
16
Mattie era in tribunale a
Curry County, Annette era
in ritardo, Barb non si era
ancora vista e Claudelle il
lunedì si presentava solo a
mezzogiorno,
per
cui
Samantha era sola nel
momento in cui Pamela
Booker
fece
il
suo
rumoroso ingresso con due
bambini sporchi al seguito.
La donna stava già
piangendo quando disse il
suo nome e cominciò a
implorare aiuto. Samantha
guidò il gruppetto nella
saletta riunioni e impiegò i
primi
cinque
minuti
cercando di assicurare a
Pamela che tutto si sarebbe
sistemato, anche se non
aveva la minima idea di
cosa fosse questo “tutto”. I
bambini erano muti, con
gli
occhi
sbarrati
e
l’espressione stupita di chi
ha subito un trauma. E
avevano fame. Appena si
calmò, Pamela chiese:
«Non avrebbe qualcosa da
mangiare?».
Samantha corse nel
cucinotto, trovò qualche
biscotto
stantio,
una
confezione di cracker, un
sacchetto di patatine, due
bibite
dietetiche
della
scorta di Barb e posò il
tutto sul tavolo, davanti ai
due
bambini
che
afferrarono i biscotti e
cominciarono a mangiare a
grandi morsi. Fra altre
lacrime, Pamela ringraziò e
poi cominciò a parlare. Il
racconto divenne così
torrenziale che Samantha
non ebbe il tempo di
prendere appunti. Guardò
i bambini divorare il cibo
mentre la madre riferiva la
loro storia.
Abitavano in macchina.
Venivano da una cittadina
poco lontana, a Hopper
County, e da quando il
mese prima avevano perso
la casa, Pamela era alla
ricerca di un avvocato che
li salvasse. Nessuno era
disposto ad aiutarla, ma
qualcuno a un certo punto
aveva
accennato
alla
Mountain Legal Aid Clinic
a Brady. Ed eccoli lì.
Pamela aveva lavorato in
una
fabbrica
che
produceva lampade per
una catena di motel. Non
era un gran lavoro, ma
serviva a pagare l’affitto e
da mangiare. Nel quadro
non compariva un marito.
Quattro mesi prima, una
società di cui Pamela non
aveva mai sentito parlare
aveva
cominciato
a
pignorare parte del suo
salario, un terzo, e lei non
era riuscita a impedirlo. Si
era lamentata con il datore
di lavoro, il quale le aveva
sventolato sotto il naso
l’ordinanza della corte. Poi
l’aveva
minacciata
di
licenziamento, dicendo che
odiava gli ordini di
pignoramento per via delle
seccature che creavano.
Pamela si era messa a
discutere, lui aveva dato
seguito alla sua minaccia e
lei adesso era disoccupata.
Era andata a parlare con il
giudice
e
gli
aveva
spiegato tutto, che non
poteva pagare l’affitto e
comprare da mangiare, ma
lui non si era dimostrato
per niente comprensivo.
Aveva detto che la legge
era la legge. Il problema
era
una
vecchia
ingiunzione relativa a un
debito
con
un
ente
finanziario
per
spese
effettuate con carta di
credito, debito al quale
Pamela non pensava da
dieci anni. Evidentemente
la società aveva ceduto il
credito, vendendolo a
qualche
agenzia
di
riscossioni di infimo livello
e, senza che Pamela ne
sapesse niente, era stato
emesso un ordine di
pignoramento presso terzi
dello stipendio. Lei non era
più stata in grado di
pagare
l’affitto
del
caravan, e il padrone di
casa, un vero stronzo,
aveva chiamato lo sceriffo
e l’aveva sbattuta fuori a
calci. Si era sistemata da
una cugina per qualche
giorno, ma la cosa non
aveva funzionato e così si
era trasferita da un’amica.
Non era andata bene
neppure quella volta e da
due settimane Pamela e i
bambini
vivevano
in
macchina, la quale era a
corto
di
tutto:
olio,
benzina, liquido per i
freni... il cruscotto si
illuminava come un albero
di Natale. Il giorno prima
Pamela aveva rubato delle
barrette al cioccolato e le
aveva date ai ragazzi. Lei
non mangiava da due
giorni.
Samantha assimilò le
informazioni e cercò di
nascondere lo shock. Come
si fa, esattamente, a vivere
in macchina? Cominciò a
prendere appunti senza
avere la minima idea di
cosa fare sul fronte legale.
Pamela estrasse dei
documenti dalla sua borsa
taroccata e fece scivolare la
pila di carte sul tavolo.
Samantha
lesse
velocemente l’ingiunzione
della corte mentre la sua
nuova cliente le spiegava
di essere arrivata agli
ultimi due dollari e di non
sapere se spenderli in
benzina
o
in
cibo.
Finalmente
prese
un
biscotto con la mano che
tremava. Due cose furono
subito chiare a Samantha.
La prima era che lei era
l’ultima linea di difesa per
quella famiglia. La seconda
era che i Booker non
sarebbero
usciti
tanto
presto. Non avevano un
posto dove andare.
Quando
Barb
finalmente
arrivò,
Samantha le diede venti
dollari e le chiese di
correre a comprare quanti
più sandwich alla salsiccia
possibile.
«Abbiamo
qualche dollaro qui in
studio» disse Barb.
«Ne avremo bisogno.»
Phoebe
Fanning
continuava a nascondersi
dal marito in un motel,
omaggio dello studio, e
Samantha
sapeva
che
Mattie teneva sempre un
po’
di
denaro
per
emergenze del genere.
Dopo che Barb se ne fu
andata, Samantha guardò
il parcheggio da una
finestra sul retro. L’auto di
Pamela, anche una volta
rifornita di benzina e di
tutti gli altri liquidi
necessari, aveva l’aria di
non potercela fare a
tornare a Hopper County.
Era una piccola vettura
d’importazione con un
milione di chilometri, che
ora veniva utilizzata come
casa.
Biscotti e cracker erano
spariti quando Samantha
rientrò nella saletta. Disse
a Pamela che aveva
mandato
a
prendere
qualcosa da mangiare e
questo
provocò
altre
lacrime.
Il
bambino,
Trevor, di sette anni, disse:
«Grazie, Miss Kofer». La
ragazzina,
Mandy
di
undici anni, domandò:
«Posso andare in bagno,
per favore?».
«Ma
certo»
rispose
Samantha. L’accompagnò
in fondo al corridoio e poi
tornò a sedersi al tavolo
per prendere altri appunti.
Cominciarono dall’inizio e
ripercorsero
lentamente
tutta
la
storia.
L’ingiunzione relativa alla
carta di credito era datata
luglio 1999 e indicava un
totale di 3398 dollari,
somma che comprendeva
ogni
sorta
di
spese
giudiziarie, oscure parcelle
e perfino, per buona
misura,
interessi
vari.
Pamela spiegò che la
sentenza di divorzio, la cui
copia era allegata agli altri
documenti, aveva imposto
al suo ex marito il
pagamento di quel debito.
Poi erano passati nove
anni senza una sola parola,
almeno
che
Pamela
sapesse. Lei si era trasferita
parecchie volte e forse la
posta non era riuscita a
tenere il passo. Chi poteva
saperlo? Comunque fosse,
l’agenzia di riscossioni
l’aveva rintracciata e aveva
dato inizio ai guai.
Samantha notò che
Trevor era nato dopo il
divorzio, ma di questo non
valeva la pena parlare.
C’erano
numerosi
provvedimenti giudiziari
nei confronti dell’ex marito
per oltraggio alla corte a
causa
del
mancato
mantenimento di Mandy.
«Dov’è adesso?» chiese
Samantha.
«Non ne ho idea»
rispose Pamela. «Sono anni
che non ne so più niente.»
Barb entrò con un
sacchetto di sandwich e
sistemò il pranzo sul
tavolo. Scompigliò i capelli
a Trevor e disse a Mandy
quanto le facesse piacere la
loro visita. Tutti e tre i
Booker
ringraziarono
educatamente
e
poi
attaccarono a mangiare
come profughi. Samantha
chiuse la porta e si
consultò con Barb nell’area
di ricevimento. «Qual è il
problema?» chiese Barb, e
Samantha le diede le
informazioni di base.
Barb, la quale pensava
di avere visto tutto, poteva
essere perplessa, ma mai
timida. «Io comincerei con
il
datore
di
lavoro.
Scaricagli
addosso
l’inferno, minaccialo di
fargli causa per triplici
danni e poi attacca la
società di riscossioni.» Il
telefono stava squillando e
Barb andò a rispondere,
lasciando
Samantha,
l’avvocato, sola con la sua
confusione.
Scaricare
l’inferno?
Triplici danni? E per cosa,
esattamente? E il consiglio
arrivava da un non
avvocato. Samantha pensò
di prendere tempo finché
non fosse arrivata Mattie, o
Annette, ma lavorava al
centro
già
da
una
settimana e il periodo
d’orientamento era finito.
Andò nel suo ufficio,
chiuse la porta e digitò
nervosamente il numero
della fabbrica di lampade.
Un certo Mr Simmons si
mostrò
piacevolmente
sorpreso nel sentire che
Pamela Booker si era
trovata un avvocato. Disse
che Pamela era un’ottima
dipendente, che gli era
dispiaciuto
perderla
eccetera, ma accidenti a
quei maledetti ordini di
pignoramento
dello
stipendio: trasformavano
la sua contabilità in un
incubo.
Aveva
già
sostituito Pamela e si era
assicurato
che
la
neoassunta non avesse
problemi legali.
«Be’, è possibile che lei
non si sia del tutto liberato
dei problemi legali» disse
Samantha
freddamente.
Bluffando, e per niente
sicura delle sue asserzioni,
spiegò che un’azienda non
poteva
licenziare
un
dipendente solo perché
parte del suo salario
veniva pignorato. Questo
irritò Mr Simmons, che
borbottò
qualcosa
a
proposito
del
proprio
avvocato. Ottimo, ribatté
Samantha, mi dia il
numero di telefono e
discuterò
la
faccenda
direttamente con lei. Non
era una donna, chiarì
Simmons, e comunque
l’avvocato gli addebitava
duecento dollari l’ora. Che
Samantha gli lasciasse un
po’ di tempo per riflettere.
Samantha
promise
di
richiamarlo
nel
pomeriggio e alla fine
concordarono
che
le
quindici sarebbe stato un
orario
comodo
per
entrambi.
Tornò
nella
saletta
riunioni e vide che Barb, la
quale aveva trovato una
scatola di pastelli e qualche
album da colorare, era
occupata a organizzare
giochi e intrattenimenti per
Trevor e Mandy. Pamela
aveva
ancora
mezzo
sandwich in mano e
fissava il pavimento, come
in
trance.
Quando
finalmente arrivò Annette,
Samantha le andò incontro
nel
corridoio
e,
sussurrando, l’aggiornò in
dettaglio. Annette era
ancora un po’ scostante e
irritata da qualcosa, ma il
lavoro
era
lavoro.
«Quell’ingiunzione
è
prescritta già da anni» fu la
sua
prima
reazione.
«Controlla la normativa su
questo punto. Scommetto
che la società della carta di
credito l’ha ceduta a quelli
delle
riscossioni
per
qualche
centesimo
a
dollaro e adesso stanno
cercando di far valere
un’ordinanza
ormai
scaduta.»
«Lo hai già visto
succedere?»
«Qualcosa di simile,
molto tempo fa. Non
ricordo i nomi. Fai le tue
ricerche e poi contatta
l’agenzia
di
recupero
crediti. Di solito è brutta
gente che non si lascia
spaventare facilmente.»
«Possiamo fare causa?»
«Di sicuro possiamo
minacciare di farla. Non
sono abituati a persone
come Pamela che tutto a
un tratto si presentano con
un avvocato. Telefona al
datore di lavoro e metti il
fuoco al culo anche a lui.»
«Già fatto.»
Annette sorrise. «E lui
cosa ha detto?»
«Gli ho spiegato che
non si può licenziare un
dipendente solo per un
ordine di pignoramento
dello stipendio. Non so se
la legge dica questo, ma
l’ho
fatto
sembrare
veritiero. Sono riuscita a
preoccuparlo.
Siamo
d’accordo di risentirci nel
pomeriggio.»
«Non è del tutto vero,
ma è un simpatico bluff, il
che
è
spesso
più
importante di quello che
dice la legge. La causa sarà
contro
l’agenzia
di
recupero crediti, se in
effetti si prende soldi dal
salario di Pamela in virtù
di
un’ingiunzione
prescritta.»
«Grazie»
disse
Samantha con un sospiro
«ma abbiamo questioni
anche più urgenti. I Booker
sono tutti là dentro, e non
hanno dove andare.»
«Ti
suggerisco
di
impiegare le prossime ore
occupandoti dei problemi
di base: cibo, bucato, un
posto dove dormire. I
bambini
evidentemente
non sono a scuola: di
questo
preoccupati
domani.
Abbiamo
un
fondo segreto per coprire
qualche spesa.»
«Hai parlato di bucato?»
«Sì. Chi ha detto che il
lavoro di assistenza legale
sia tutto glamour?»
La seconda crisi del
mattino esplose pochi
minuti più tardi, quando
Phoebe
Fanning
si
presentò
senza
alcun
preavviso in compagnia di
suo marito Randy e
informò
Annette
che
voleva ritirare la domanda
di divorzio. Si erano
riconciliati, per così dire, e
lei e i bambini erano
tornati a casa, dove le cose
si erano sistemate. Furiosa,
Annette chiamò Samantha
nel suo ufficio perché
assistesse al colloquio.
Randy Fanning era
uscito di prigione tre
giorni prima e, senza la
tuta
arancione
della
contea, era solo un po’ più
presentabile.
Sedeva
sogghignando e teneva
una mano sul braccio di
Phoebe, che faceva del suo
meglio per spiegare il
cambiamento
di
programma. Lei lo amava,
non poteva vivere senza di
lui e i loro tre figli erano
molto più felici con i
genitori riuniti. Phoebe era
stanca di starsene nascosta
in un motel, i bambini
erano stanchi di starsene
nascosti dai parenti e tutti
avevano fatto pace con
tutti.
Annette le ricordò che
era stata picchiata da suo
marito,
il
quale
la
guardava
con
odio
dall’altro
lato
della
scrivania e sembrava poter
esplodere da un momento
all’altro.
Annette
non
sembrava impaurita, ma
Samantha
cercava
di
starsene nascosta in un
angolo. Era stata solo una
zuffa, spiegò Phoebe, non
proprio una zuffa ad armi
pari, ma comunque una
zuffa. Si erano scaldati un
po’ troppo e le cose erano
sfuggite di mano, ma non
sarebbe successo mai più.
Randy, che fino ad allora
aveva
preferito
non
parlare, a quel punto
intervenne e confermò che,
sì, tutti e due avevano
promesso di smetterla con
i litigi.
Annette lo ascoltò senza
credere a una sola parola.
Gli
rammentò
che,
standosene
lì
seduto,
violava
i
termini
dell’ordinanza restrittiva.
Se il giudice lo avesse
scoperto, sarebbe tornato
in prigione. Randy disse
che Hump, il suo avvocato,
gli aveva promesso che
avrebbe ottenuto senza
problemi l’annullamento
dell’ordinanza.
C’erano ancora tracce
bluastre sul viso di
Phoebe. Il divorzio era una
cosa, le accuse penali
un’altra. Annette arrivò
alla parte seria quando
domandò ai Fanning se
avessero già parlato con il
pubblico accusatore del
ritiro della denuncia per
lesioni
volontarie
aggravate. Non ancora, ma
pensavano di farlo appena
risolta la faccenda del
divorzio. Annette spiegò
che la cosa non sarebbe
stata
automatica.
La
polizia
aveva
una
dichiarazione
della
vittima,
aveva
le
fotografie,
aveva
altri
testimoni.
Il
tutto
sembrava un po’ confuso e
perfino Samantha non era
troppo sicura: se la vittima,
nonché
testimone
principale, si tira indietro,
come fai a insistere con le
accuse?
Le due avvocatesse
avevano lo stesso dubbio:
Randy aveva picchiato di
nuovo la moglie per
convincerla
a
lasciar
perdere tutto?
Annette era irritata e
continuò a martellare con
domande
dure,
ma
nessuno dei due Fanning
cedette. Erano decisi a
dimenticare i loro guai e
ad andare avanti, verso
una vita più felice. Quando
arrivò il momento di
concludere il colloquio,
Annette sfogliò il fascicolo
e calcolò che aveva
lavorato venti ore sul
divorzio.
Senza
alcun
addebito, naturalmente.
La
prossima
volta,
trovati un altro avvocato.
Dopo che i Fanning se
ne furono andati, Annette
li descrisse come una
coppia
di
tossici
chiaramente instabili e
probabilmente dipendenti
l’uno dall’altra. «Speriamo
solo
che
lui
non
l’ammazzi» concluse.
Mentre la mattinata si
consumava,
diventava
sempre più chiaro che la
famiglia Booker non aveva
in
programma
di
andarsene.
E
nessuno
glielo chiese, al contrario.
Lo staff aveva adottato i tre
e
a
brevi
intervalli
qualcuno andava a dare
un’occhiata. A un certo
punto Barb sussurrò a
Samantha:
«Abbiamo
avuto clienti che hanno
dormito qui per un paio di
notti. Non è l’ideale, ma a
volte non c’è scelta».
Con un cilindro di
monete da un quarto,
Pamela uscì per andare a
cercare una lavanderia
automatica.
Mandy
e
Trevor
rimasero
nella
saletta riunioni, colorando
con i pastelli, leggendo,
ridacchiando ogni tanto tra
loro. Samantha lavorava
all’altro capo del tavolo,
scavando tra codici e
precedenti legali.
Alle undici in punto,
Mrs Francine Crump si
presentò per quella che
doveva essere una firma su
un
breve
testamento.
Samantha aveva preparato
il documento e Mattie lo
aveva rivisto. La piccola
cerimonia
avrebbe
richiesto meno di dieci
minuti e Francine se ne
sarebbe andata con un
regolare testamento per il
quale non avrebbe pagato
nulla.
Invece
quella
diventò la terza crisi del
mattino.
Come da istruzioni,
Samantha aveva redatto
un testamento che lasciava
i trentadue ettari di
Francine ai vicini, Hank e
Jolene Mott. I cinque figli
adulti di Francine non
avrebbero avuto niente e
questo avrebbe comportato
inevitabilmente guai in
futuro. “Non importa”
aveva detto Mattie. “La
proprietà è di Francine,
non è gravata da ipoteche
e lei può disporne come
vuole. Ci occuperemo dei
guai in seguito. No, non
siamo tenute a comunicare
ai figli che rimangono
esclusi dal testamento. Lo
scopriranno
dopo
il
funerale.”
O forse no? Mentre
Samantha chiudeva la
porta del suo ufficio e
prendeva
la
pratica,
Francine
cominciò
a
piangere. Asciugandosi le
guance con un fazzoletto
di carta, raccontò la sua
storia. “Tre di fila, tutte in
lacrime” pensò Samantha.
Nel weekend, Hank e
Jolene
Mott
avevano
svelato un orribile segreto
a Francine: avevano deciso
di vendere i loro quaranta
ettari
a
una
società
mineraria e di trasferirsi in
Florida, dove avevano dei
nipotini. Non avrebbero
voluto
vendere,
naturalmente, ma stavano
invecchiando
–
che
diavolo, erano già vecchi,
ma questo non era una
scusa per vendere e
scappare, un mucchio di
vecchi si tenevano stretta
la loro terra –, e comunque
avevano bisogno dei soldi
per la pensione e per le
spese mediche. Francine
era furiosa con i suoi vicini
e non riusciva ancora a
crederci. Non solo aveva
perso i suoi amici, aveva
perso anche le due persone
che era certa avrebbero
protetto la sua proprietà. E
il peggio doveva ancora
venire:
stavano
programmando una strip
mine proprio vicino a lei!
La gente di Jacob’s Holler
era furibonda, ma era
quello che facevano le
società
del
carbone:
mettevano
un
vicino
contro l’altro, il fratello
contro la sorella.
In giro si diceva che i
Mott se ne sarebbero
andati appena possibile.
Scappavano come conigli,
per dirla con Francine.
Meglio
sbarazzarsi
di
gente come quella.
Samantha diede prova
di pazienza, in effetti era
stata paziente per tutta la
mattina mentre le scorte di
fazzolettini di carta dello
studio
andavano
esaurendosi, ma a poco a
poco si rese conto che il
suo primo approccio con il
mondo dei testamenti
sarebbe
stato
un
fallimento.
Riuscì
a
guidare Francine verso la
domanda più ovvia: se non
ai Mott, allora a chi andava
la proprietà? Francine non
sapeva cosa fare. Era
proprio per quello che
stava parlando con un
avvocato.
Il pranzo portato da casa
del lunedì nella sala
riunioni principale subì
alcune modifiche in modo
da includere anche Mandy
e Trevor Booker i quali,
pur avendo mangiato per
tutta la mattina, avevano
ancora abbastanza fame da
farsi un sandwich in
compagnia dello staff. La
loro madre stava facendo il
bucato e i due ragazzi non
avevano un posto dove
andare. La conversazione
si mantenne su toni
leggeri: pettegolezzi della
parrocchia
e
clima,
argomenti adatti a giovani
orecchie e ben lontani da
quelli salaci che Samantha
aveva
ascoltato
la
settimana prima. Il tutto fu
molto noioso e il pranzo si
concluse in venti minuti.
Samantha
aveva
bisogno di consigli e non
voleva disturbare di nuovo
Annette. Chiese a Mattie
un paio di minuti e chiuse
la porta dell’ufficio. Porse
alcuni fogli a Mattie e
annunciò con orgoglio: «La
mia prima citazione in
giudizio».
Mattie sorrise e prese
subito i documenti. «Bene,
bene, congratulazioni. Era
ora. Siediti mentre leggo.»
Il convenuto era la Top
Market
Solutions,
un’equivoca società di
Norfolk, Virginia, con
filiali in molti Stati del Sud.
Numerose
telefonate
avevano prodotto poche
informazioni sulla società,
ma Samantha aveva tutto
ciò che serviva per sparare
il
primo
colpo.
Più
approfondiva le ricerche,
più chiari diventavano i
punti
in
discussione.
Annette aveva ragione:
l’ordinanza era decaduta
sette anni dopo essere stata
emessa e non era più stata
riazionata. La società della
carta di credito aveva
ceduto
l’ingiunzione
prescritta alla Top Market
con un grosso sconto. A
sua volta, la Top Market
l’aveva
ripresentata
a
Hopper County e aveva
cominciato a sfruttare il
sistema
legale
per
raccattare i soldi. Uno
degli strumenti era il
pignoramento di parte del
salario.
«Conciso e accurato»
commentò Mattie quando
finì di leggere. «E sei sicura
dei fatti?»
«Sì. In realtà, non è poi
così complicato.»
«Potrai
sempre
apportare modifiche in
seguito. Mi piace. Ti senti
un vero avvocato adesso?»
«Sì. Non ci avevo mai
pensato prima. Mi scrivo la
citazione,
formulo
le
accuse che voglio, deposito
gli atti, li notifico al
convenuto, il quale non ha
scelta se non presentarsi in
tribunale, e poi o troviamo
un accordo o andiamo a
processo.»
«Benvenuta in America.
Ti ci abituerai.»
«Sto
pensando
di
depositare la citazione oggi
pomeriggio. I Booker sono
senza casa, sai. Prima si
procede, meglio è.»
«Apri il fuoco» disse
Mattie,
restituendo
a
Samantha la citazione. «Io
invierei anche una copia
via e-mail al convenuto per
avvertirlo.»
«Grazie. Darò gli ultimi
ritocchi e poi andrò in
tribunale.»
Alle tre del pomeriggio
Mr Simmons della fabbrica
di lampade fu molto meno
cordiale di quanto fosse
stato durante la prima
conversazione. Disse che
aveva parlato con il suo
avvocato, il quale gli aveva
assicurato che licenziare
un dipendente per un
ordine di pignoramento
dello stipendio non era
illegale
nel
Commonwealth
of
Virginia, contrariamente a
quanto aveva affermato
Ms Kofer quella mattina.
«Non conosce la legge?»
domandò Simmons.
«La conosco benissimo»
ribatté Samantha, ansiosa
di chiudere la telefonata.
«Immagino che ci vedremo
in tribunale.» Con una
citazione già pronta a
partire, non poteva fare a
meno di sentirsi una dal
grilletto facile.
«Mi hanno fatto causa
avvocati migliori di lei»
disse Mr Simmons, e
riattaccò.
I Booker finalmente se
ne andarono. Seguirono
Samantha fino a un motel
nella zona est della
cittadina, uno dei due di
Brady. L’intero staff aveva
dibattuto su quale dei due
fosse meno squallido e lo
Starlight aveva vinto con
uno stretto margine. Il
motel era un tuffo negli
anni Cinquanta, con stanze
minuscole e porte che si
aprivano sul parcheggio.
Samantha aveva parlato
due volte al telefono con il
proprietario, il quale le
aveva
promesso
due
camere adiacenti, pulite e
con televisore, e dopo
qualche trattativa aveva
accettato un prezzo ridotto
di venticinque dollari a
notte per stanza. A Mattie
era piaciuto definire il
motel come un albergo a
ore, ma non c’erano segni
di comportamenti illeciti,
per lo meno non alle tre di
un lunedì pomeriggio. Le
altre
diciotto
camere
sembravano libere. La
biancheria
pulita
di
Pamela era ordinatamente
ripiegata in sacchetti per
alimentari.
Mentre
i
Booker scaricavano l’auto,
Samantha si rese conto che
in quel momento la
famigliola stava facendo
un bel passo avanti per
risalire la china. Mandy e
Trevor
erano
eccitati
all’idea di stare in un
motel: avevano addirittura
una camera tutta per loro.
Pamela aveva una nuova
vivacità nel passo e un
grande sorriso. Abbracciò
forte Samantha e la
ringraziò per l’ennesima
volta. Samantha ripartì in
auto con i tre in piedi di
fianco alla macchina che la
salutavano con la mano.
Dopo un’ora passata a
zigzagare tra le montagne
e a evitare camion carichi
di carbone, alle cinque
meno un quarto Samantha
arrivò in Center Street a
Colton.
Depositò
la
citazione a carico della Top
Market Solutions, pagò la
tassa con un assegno dello
studio, compilò i moduli
per la notifica al convenuto
e, quando tutto fu a posto,
uscì
dalla
cancelleria
sentendosi
molto
orgogliosa della sua prima
citazione, ora ufficialmente
registrata.
Si affrettò a raggiungere
l’aula,
sperando
che
l’udienza non fosse ancora
stata aggiornata. L’aula era
semipiena e soffocante, con
un livello di tensione ben
percepibile
mentre
accigliati uomini in abito
scuro osservavano attenti
le sette persone sedute nel
box della giuria. La
selezione dei giurati si era
conclusa; Donovan aveva
sperato che venisse portata
a termine nel corso del
primo giorno.
Era seduto accanto a
Lisa Tate, la madre dei due
ragazzini. Erano soli al
tavolo della parte attrice,
che si trovava vicino al box
della giuria. Sull’altro lato
dell’aula, al tavolo del
convenuto, un piccolo
esercito
si
muoveva
indaffarato; tutti avevano
un’espressione dura e
scontenta, come se fossero
stati presi in contropiede e
raggirati nella fase iniziale
del processo.
Il
giudice
stava
parlando alla sua nuova
giuria,
impartendo
istruzioni su cosa i giurati
potevano fare o non fare
nel corso del processo. In
tono severo, quasi li
costrinse a promettere di
denunciare
immediatamente qualsiasi
contatto con persone che
avessero cercato di parlare
del processo. Samantha
studiò i giurati e cercò di
capire quali fossero quelli
voluti da Donovan e quali
quelli che erano stati
ritenuti favorevoli alle
società
minerarie.
Impossibile. Tutti bianchi,
quattro donne e tre
uomini, il più giovane
intorno ai venticinque
anni, il più vecchio di
almeno settanta. Chi mai
avrebbe potuto prevedere
le dinamiche di gruppo
della giuria al momento di
valutare le prove?
Forse Lenny Charlton, il
consulente. Samantha lo
vide in terza fila, intento a
studiare i giurati che
ascoltavano le istruzioni
del giudice. Anche altri
osservavano, senza dubbio
i consulenti assunti dalla
Strayhorn
Coal
e
dall’assicurazione. Tutti gli
occhi erano puntati sui
giurati. In gioco c’erano
somme enormi ed era loro
compito assegnarle o no.
Samantha sorrise al
contrasto. Donovan aveva
trascinato lì, in un’aula
carica di tensione, un’altra
ricca
società
per
costringerla a rispondere
delle sue azioni. Avrebbe
richiesto risarcimenti per
milioni di dollari. Nelle
settimane
a
venire,
avrebbe citato in giudizio
per un miliardo di dollari
la Krull Mining, un caso
che avrebbe impegnato
anni di lavoro e una
fortuna in spese legali. Lei,
per contro, aveva nella
valigetta la sua prima
citazione con la quale
richiedeva
cinquemila
dollari di risarcimento a
un’oscura
società
che
molto probabilmente era
già a un passo dal
fallimento.
Donovan si alzò in piedi
per rivolgersi alla corte.
Indossava la sua più
elegante
tenuta
da
avvocato, un bell’abito blu
scuro
che
cadeva
a
pennello sul suo corpo
slanciato. I capelli lunghi
erano stati appena spuntati
per l’occasione. Una volta
tanto era perfettamente
sbarbato.
Si
muoveva
nell’aula come se ne fosse
stato il padrone. I giurati
seguirono ogni sua mossa
e assimilarono ogni parola
quando annunciò che la
parte attrice era soddisfatta
della
giuria
e
non
intendeva opporre altre
ricusazioni.
Alle
diciassette
e
quarantacinque il giudice
dichiarò chiusa l’udienza.
Samantha si affrettò a
uscire ed evitò la ressa.
Guidò per quattro isolati
fino alla scuola frequentata
da Mandy e da Trevor. In
giornata aveva avuto due
conversazioni telefoniche
con la preside, e gli
insegnanti dei ragazzini
avevano già preparato
compiti e lezioni. La
preside aveva saputo che
la famiglia dormiva in
macchina ed era molto
preoccupata. Samantha le
assicurò che ora i Booker
alloggiavano in un posto
adeguato
e
che
la
situazione
stava
migliorando. Sperava che i
ragazzi sarebbero tornati a
scuola nel giro di pochi
giorni.
Nel
frattempo
avrebbe fatto in modo che
si mantenessero al passo
con le lezioni e facessero i
compiti.
Mentre si allontanava in
auto, Samantha ammise di
sentirsi più un’assistente
sociale che un avvocato, e
che in questo non c’era
niente di male. Da Scully &
Pershing, il suo lavoro era
stato forse più adatto a un
contabile o a un analista
finanziario, a volte a un
impiegato di basso livello
o a un semplice passacarte.
Ricordò a se stessa che lei
era un vero avvocato,
anche se spesso aveva
qualche dubbio.
Mentre
guidava
uscendo da Colton, un
pick-up bianco le si
avvicinò da dietro fino
quasi a toccarla, poi si
staccò. La seguì fino a
Brady,
mantenendo
sempre la stessa distanza,
mai troppo vicino, ma mai
fuori vista.
17
Le pizzerie delle grandi
città si avvalgono di
italiani
o
di
loro
discendenti, gente che sa
che la vera pizza nasce a
Napoli, dove si usa una
base di pasta sottile e i
condimenti sono semplici.
La pizza preferita di
Samantha era quella di
Lazio’s, un buco a Tribeca
dove i cuochi strillavano in
italiano mentre cuocevano
le pizze nei forni di
mattoni. Come quasi tutto
della sua vita attuale,
Lazio’s era lontanissimo.
Così come la pizza. L’unico
posto a Brady in cui era
possibile trovarne una era
in un centro commerciale a
buon mercato lungo la
strada. Pizza Hut, come la
maggior parte delle altre
catene nazionali, non era
penetrata in profondità
nelle
cittadine
degli
Appalachi.
La pizza aveva uno
spessore di tre centimetri.
Samantha
guardò
il
pizzaiolo tagliarla a spicchi
e inscatolarla. Otto dollari
per una pizza al salame
piccante e formaggio che
sembrava pesare più di
due chili. La portò in auto
al motel dove i Booker
aspettavano guardando la
televisione. Si erano lavati
e avevano un aspetto
molto migliore con gli abiti
puliti.
Erano
anche
riconoscenti
in
modo
imbarazzante per quei
cambiamenti.
Samantha
comunicò ai ragazzi la
brutta notizia che aveva
con sé i compiti a casa per
la settimana successiva, ma
la novità non diminuì
affatto il loro buon umore.
Cenarono nella stanza
di Pamela, pizza e bibite,
con “La Ruota della
Fortuna” in sottofondo a
volume basso. I bambini
parlarono della scuola, dei
loro insegnanti e degli
amici di Colton di cui
sentivano la mancanza. La
trasformazione rispetto al
mattino era stupefacente:
spaventati e affamati, non
avevano quasi detto una
parola.
Adesso
non
tacevano un attimo.
Finita la pizza, Pamela
fece schioccare la frusta e
mandò i figli a studiare.
Temeva che rimanessero
indietro. Dopo qualche
timida
obiezione,
i
bambini andarono nella
loro camera e si misero al
lavoro. A bassa voce,
Samantha
e
Pamela
parlarono della causa e di
cosa
avrebbe
potuto
significare. Con un po’ di
fortuna, la società avrebbe
potuto
riconoscere
il
proprio errore e rendersi
disponibile a un accordo
stragiudiziale. In caso
contrario, Samantha li
avrebbe
portati
in
tribunale al più presto
possibile.
Riuscì
a
trasmettere alla sua cliente
la sicurezza di un avvocato
esperto e non accennò mai
al fatto che quella era la
sua prima vera causa.
Aveva
inoltre
in
programma di andare a
parlare con Mr Simmons
della fabbrica di lampade
per spiegargli l’equivoco
che aveva portato al
pignoramento
dello
stipendio. Pamela non era
una che non pagava i
debiti, anzi: in quel
momento stava subendo le
angherie
di
gente
disonesta che abusava del
sistema legale.
Allontanandosi
in
macchina dallo Starlight
Motel, Samantha si rese
conto di avere passato la
maggior parte delle ultime
dodici ore rappresentando
in
modo
battagliero
Pamela Booker e i suoi
figli. Se quella mattina non
fossero capitati allo studio,
in quel momento se ne
sarebbero stati nascosti da
qualche parte sul sedile
posteriore
dell’auto,
affamati,
infreddoliti,
spaventati e vulnerabili.
Il cellulare ronzò mentre si
stava cambiando e infilava
un paio di jeans. Era
Annette,
distante
una
trentina di metri sull’altro
lato del cortile. «I ragazzi
sono nelle loro camere. Hai
tempo per una tazza di
tè?» domandò.
Era necessario parlare,
far uscire tutto e arrivare
in fondo a ciò che
inquietava
Annette,
qualunque cosa fosse. Kim
e Adam interruppero i
compiti solo per scendere a
salutare
Samantha.
Avrebbero voluto averla a
cena tutte le sere, con un
po’ di televisione e magari
un paio di videogame
dopo cena. Samantha,
però, aveva bisogno di
spazio. Di certo Annette
stava dando una mano.
Dopo che i ragazzi
furono risaliti in camera e
il tè fu versato, le due
donne si sedettero nel
soggiorno in penombra e
parlarono del loro lunedì.
Secondo Annette, c’era
moltissima gente senza
casa nelle montagne. Non
si
vedono
chiedere
l’elemosina in strada, come
in città, perché di solito
conoscono
qualcuno
disposto a concedere una
stanza o un garage per una
settimana o più. Quasi tutti
hanno parenti che vivono
non molto lontano. Non
esistono rifugi per i
senzatetto,
né
organizzazioni non profit
che si occupino di loro.
Una volta Annette aveva
avuto una cliente con un
figlio adolescente malato
di mente così violento che
era stata costretta a
cacciarlo di casa. Il ragazzo
aveva vissuto in una tenda
nei boschi, sopravvivendo
grazie a piccoli furti e
qualche
offerta
occasionale. In inverno
moriva di freddo e una
volta per poco non era
annegato
durante
un’alluvione.
C’erano
voluti quattro anni per
riuscire a farlo ricoverare
in una struttura. Lui però
era scappato e da allora
non se ne era saputo più
niente.
La
madre
continuava a sentirsi in
colpa. Molto triste.
Parlarono dei Booker, di
Phoebe Fanning e della
povera Ms Crump che non
sapeva a chi lasciare la sua
proprietà. Questo fece
venire in mente ad Annette
un cliente che le aveva
chiesto un testamento
gratuito. Aveva molto
denaro perché non ne
aveva mai speso – “un
vero taccagno” – e le aveva
mostrato un precedente
testamento, stilato da un
avvocato il cui studio era
poco oltre il loro sulla
stessa strada. Il vecchio
non aveva una famiglia
sua, non gli piacevano i
pochi lontani parenti e non
sapeva a chi lasciare i
soldi. Insomma, il primo
avvocato aveva inserito
parecchi paragrafi in un
indecifrabile gergo legale
che, in pratica, lasciavano
tutto all’avvocato stesso.
Dopo qualche mese il
vecchio si era insospettito e
si
era
presentato
nell’ufficio di Annette, la
quale aveva redatto un
testamento
molto
più
semplice che lasciava tutto
a una chiesa. Quando il
cliente era morto, il primo
avvocato aveva pianto alla
veglia funebre, al funerale
e alla sepoltura e poi aveva
dato fuori di matto quando
era venuto a sapere
dell’ultimo
testamento.
Annette aveva minacciato
di denunciarlo all’ordine e
lui si era calmato subito.
Kim
e
Adam
ricomparvero in pigiama
per
augurare
la
buonanotte. Annette si
allontanò per metterli a
letto e rimboccare le
coperte. Chiuse le porte
delle camere dei ragazzi,
versò altro tè e si sedette a
un’estremità del divano.
Bevve un sorso e passò agli
argomenti seri. «So che ti
vedi con Donovan» disse,
come se il fatto costituisse
una violazione di qualche
norma.
Samantha non poteva
negarlo.
Perché
poi
avrebbe dovuto? Era forse
tenuta a dare spiegazioni?
«Sabato scorso abbiamo
fatto un giro in aereo e il
giorno
prima
un’escursione su Dublin
Mountain. Perché?»
«Devi stare attenta,
Samantha. Donovan è una
persona complicata, inoltre
è ancora sposato, lo sai?»
«Io non sono mai andata
a letto con uno sposato. E
tu?»
Annette
ignorò
la
domanda.
«Non
sono
sicura che essere sposato
significhi
molto
per
Donovan. Gli piacciono le
donne, gli sono sempre
piaciute, e adesso che vive
da solo, credo che nessuna
possa sentirsi al sicuro. Ha
una certa reputazione.»
«Dimmi di sua moglie.»
Un respiro profondo, un
altro sorso di tè. «Judy è
una bella ragazza, ma la
loro è sempre stata una
coppia male assortita. Lei è
di Roanoke, una ragazza di
città, di sicuro un’estranea
qui in montagna. Si sono
conosciuti al college e
hanno lottato per il loro
futuro insieme. Dicono che
una donna si sposa con la
convinzione
di
poter
cambiare il marito, e
invece non può. E che un
uomo si sposa con la
convinzione che la moglie
non cambierà mai, e invece
lei cambia. È proprio così.
Judy non è riuscita a
cambiare Donovan, e più
lei ci provava, più lui
resisteva. E di sicuro lei è
cambiata.
Quando
è
arrivata a Brady si è
sforzata
davvero
di
inserirsi. Ha piantato un
giardino
e
ha
fatto
volontariato qua e là. Tutti
e due hanno cominciato a
frequentare una chiesa e
Judy a cantare nel coro.
Donovan però era sempre
più ossessionato dal lavoro
e questo ha avuto delle
ripercussioni. Judy cercava
di farlo rallentare, di
convincerlo
a
lasciar
perdere
alcune
cause
contro le società del
carbone, ma Donovan
proprio non ci riusciva.
Credo che l’ultima goccia
sia stato il problema della
figlia. Judy non voleva che
studiasse nelle scuole di
qui, il che è una vergogna.
I miei figli si trovano
benissimo.»
«Il
matrimonio
è
finito?»
«Chi lo sa? Ormai
vivono separati da un paio
d’anni. Donovan adora sua
figlia e va a trovarla ogni
volta che può. Lui e Judy
dicono
che
stanno
cercando di trovare una
soluzione, ma io non riesco
a vederne. Lui non vuole
lasciare le montagne. Lei
non vuole lasciare la città.
Ho una sorella che vive ad
Atlanta, senza figli. Suo
marito vive a Chicago,
dove ha un ottimo lavoro.
Lui pensa che il Sud sia un
posto arretrato dove ci si
sposa tra consanguinei. Lei
pensa che Chicago sia
gelida
e
inospitale.
Nessuno dei due cederà
mai,
ma
entrambi
sostengono di essere felici
così e non pensano
minimamente a separarsi.
Immagino che per alcuni
possa funzionare. Però
sembra strano.»
«La moglie sa che
Donovan si dà da fare in
giro?»
«Io non so cosa sa. Però
non mi sorprenderebbe se
quei due avessero un
accordo, una specie di
rapporto aperto.» Annette
lo disse distogliendo lo
sguardo, come se avesse
saputo di più ma non
potesse rivelarlo. Ciò che
avrebbe dovuto essere già
evidente,
lo
diventò
all’improvviso,
per
Samantha
almeno.
Domandò: «Te lo ha detto
lui?».
Le
sembrava
improbabile che Annette si
lanciasse in speculazioni
su una questione così
privata.
Una
pausa.
«No,
naturalmente no» rispose
Annette,
senza
convinzione.
Possibile che Donovan
usasse la frase preferita
dell’uomo
sposato?
“Facciamolo, tesoro, tanto
lo fa anche mia moglie.”
Forse Annette non era poi
così
affamata
di
compagnia come fingeva
di essere. Un’altra tessera
del puzzle andò al proprio
posto. Era probabile che
Annette avesse una storia
con Donovan, di sesso,
d’amore o entrambe le
cose. E la nuova ragazza in
città
aveva
suscitato
l’interesse di Donovan. La
tensione non era altro che
gelosia vecchio stile, una
cosa che Annette non
avrebbe mai ammesso, ma
che neppure era in grado
di nascondere.
«Mattie e Chester mi
hanno
parlato
di
Donovan» disse Samantha.
«A quanto pare, pensano
che Judy si sia spaventata
quando sono cominciate le
molestie. Hanno accennato
a
telefonate
anonime,
minacce,
auto
di
sconosciuti...»
«Vero, e Donovan non è
la persona più popolare in
città. Il suo lavoro irrita
parecchia gente. Judy ne
ha subito le conseguenze
un paio di volte. E
invecchiando Donovan è
diventato addirittura più
spericolato. Gioca sporco, e
quindi vince un mucchio
di cause. Ha fatto parecchi
soldi e, come capita a tutti
gli avvocati di tribunale, il
suo ego si è espanso
proporzionalmente
al
conto in banca.»
«Sembra che ci siano
parecchie ragioni per la
separazione.»
«Temo di sì» disse
Annette con tristezza, ma
poca partecipazione.
Sorseggiarono
il
tè
riflettendo, senza parlare.
Samantha decise di andare
fino in fondo e arrivare al
nocciolo.
Annette
era
sempre così franca quando
si parlava di sesso, per cui
valeva la pena tentare.
«Donovan ci ha mai
provato con te?»
«No.
Io
ho
quarantacinque anni e due
figli. Troppo vecchia per
lui. A Donovan piacciono
più giovani.» Mentì in
modo passabile.
«Qualcuna
in
particolare?»
«Non
proprio.
Hai
conosciuto suo fratello,
Jeff?»
«No. Donovan lo ha
menzionato un paio di
volte. È più giovane,
vero?»
«Di sette anni. Dopo il
suicidio della madre, i
ragazzi hanno vissuto un
po’ qua e un po’ là. Mattie
poi è intervenuta per
crescere Donovan, mentre
Jeff è andato a stare con
un’altra parente. I due
fratelli sono molto legati.
Jeff è stato quello che l’ha
presa peggio: ha piantato
gli studi al college, è
andato un po’ alla deriva.
Donovan lo ha sempre
tenuto d’occhio e adesso
Jeff
lavora
per
lui.
Investigatore,
procacciatore di affari,
guardia
del
corpo,
fattorino, tu dimmi un
lavoro e Jeff lo fa. È anche
bello
almeno
quanto
Donovan, ed è single.»
«Non sono sul mercato,
se è di questo che stai
parlando.»
«Siamo
sempre
sul
mercato, Samantha. Non
prenderti in giro. Magari
non per una relazione
fissa, ma tutti noi siamo in
cerca d’amore, perfino del
tipo mordi e fuggi.»
«Dubito che la mia vita
diventerebbe
meno
complicata se tornassi a
New
York
con
un
montanaro al seguito. A
proposito di coppie male
assortite.»
Annette rise. Sembrava
che la tensione si stesse
allentando e, ora che ne
conosceva
il
motivo,
Samantha sapeva di poter
gestire
la
situazione.
Aveva già deciso che lei e
Donovan erano fin troppo
vicini. Lui era affascinante,
eccitante,
sicuramente
sexy, ma significava anche
guai certi. Con l’eccezione
del
primo
incontro,
Samantha aveva sempre
avuto la sensazione che
fossero a un passo dal
togliersi i vestiti. Se avesse
accettato l’offerta di lavoro
di Donovan, sarebbe stato
difficile,
se
non
impossibile, evitare una
storia, non fosse stato altro
che per noia.
Dopo essersi augurate la
buonanotte,
Samantha
tornò
nel
suo
appartamento.
Mentre
saliva la scala buia sopra il
garage, la domanda si
presentò di colpo: quante
volte Annette aveva messo
i figli a letto e poi era
sgattaiolata lì, nel suo
piccolo nido d’amore, per
un po’ di sesso veloce con
Donovan?
Molte, rispose qualcosa
dentro di lei. Moltissime.
18
Samantha trovò la fabbrica
di
lampade
in
una
trascurata zona industriale
alla periferia di Brushy, a
Hopper
County.
La
maggior parte degli edifici
era abbandonata. Quelli
ancora
in
attività
contavano solo poche auto
e pick-up nei parcheggi.
Era il triste barometro di
un’economia da molto
tempo in declino, ben
lontana dal grazioso poster
immaginato dalla Camera
di commercio.
All’inizio, al telefono,
Mr Simmons aveva detto
di non avere tempo per un
colloquio, ma Samantha
aveva
insistito
e,
esercitando tutto il suo
fascino, era riuscita a
ottenere trenta minuti.
Nell’area di ricevimento
c’era puzza di fumo di
sigaretta e un pavimento
di linoleum che non veniva
spazzato da settimane. Un
impiegato scontroso scortò
Samantha fino a una
stanza
in
fondo
al
corridoio. Attraverso le
pareti sottili filtravano voci
e si udiva il ruggito di
macchinari provenire da
qualche parte nel retro. La
fabbrica dava la sensazione
di un’attività che tentava
coraggiosamente di evitare
il destino dei suoi vicini
producendo
grandi
quantità di lampade a
buon mercato per motel a
buon mercato ai costi più
bassi possibile, escludendo
nel modo più assoluto
qualsiasi
benefit
aggiuntivo. Pamela Booker
aveva spiegato che il
contratto prevedeva una
settimana di ferie non
pagate e tre giorni di
malattia,
sempre
non
pagati. Di assicurazione
sanitaria,
neppure
parlarne.
Samantha
si
calmò
ripensando a tutte le
riunioni che le erano
toccate in passato, colloqui
con
alcuni
dei
più
incredibili stronzi che il
mondo avesse mai visto,
uomini
dall’immensa
ricchezza che si erano
impadroniti di Manhattan
e
che
calpestavano
chiunque trovassero sulla
loro strada. Aveva visto
quegli uomini divorare e
annientare i loro soci,
compreso Andy Grubman,
un tipo di cui ogni tanto
sentiva
davvero
la
mancanza. Li aveva uditi
strillare,
minacciare
e
maledire, e in diverse
occasioni le loro urla erano
state rivolte a lei. Ma era
sopravvissuta. Per quanto
Mr
Simmons
potesse
essere
stronzo,
era
comunque un gattino a
paragone di quei mostri.
Mr
Simmons
si
dimostrò
sorprendentemente
cordiale. Le diede il
benvenuto,
la
fece
accomodare
nel
suo
modesto ufficio e chiuse la
porta. «Grazie per avere
accettato di ricevermi»
disse Samantha. «Sarò
breve.»
«Posso
offrirle
un
caffè?»
chiese
educatamente Simmons.
Samantha pensò alla
polvere, alle nubi di fumo
di sigaretta e riuscì quasi a
visualizzare
le
incrostazioni
all’interno
della caffettiera comune.
«No, grazie.»
Mr Simmons lanciò uno
sguardo alle gambe della
visitatrice e si sistemò
dietro
la
scrivania,
rilassato come se avesse
avuto tutto il giorno a
disposizione. Samantha lo
catalogò come il classico
cascamorto.
Cominciò
riassumendo le ultime
avventure della famiglia
Booker.
Simmons
ne
rimase toccato: non sapeva
che fossero senza casa.
Samantha gli passò una
copia riveduta e rilegata
degli incartamenti e lo
guidò passo dopo passo
attraverso quel pasticcio
legale.
L’ultimo
documento era una copia
dell’atto di citazione che
aveva depositato il giorno
prima. Assicurò a Mr
Simmons che la Top
Market
Solutions
non
aveva via di scampo. «Li
tengo
per
le
palle»
dichiarò, in un deliberato
sforzo di volgarità per
valutare
la
reazione
dell’uomo.
Simmons
sorrise di nuovo.
In poche parole, la
vecchia
ingiunzione
relativa alla carta di credito
era prescritta e la Top
Market lo sapeva. Il
pignoramento
dello
stipendio non avrebbe mai
dovuto essere consentito e
l’assegno
di
Pamela
Booker
non
avrebbe
dovuto essere toccato.
Pamela, inoltre, avrebbe
dovuto avere ancora il suo
lavoro.
«Lei vuole che le ridia
l’impiego?» chiese Mr
Simmons, con un’ovvia
domanda.
«Sì, signore. Se Pamela
riavrà il suo lavoro, potrà
tirare avanti. I suoi figli
devono andare a scuola.
Noi possiamo aiutarla a
trovare un posto dove
vivere. Io trascinerò in
tribunale quelli della Top
Market e li costringerò a
sputare fuori quello che
hanno rubato a Pamela,
che
incasserà
un
bell’assegno. Ma ci vorrà
tempo. Quello di cui
Pamela ha bisogno in
questo momento è riavere
il suo vecchio lavoro. E lei
sa che è giusto così.»
Mr Simmons smise di
sorridere
e
guardò
l’orologio. «Le dico cosa
posso fare. Lei fa revocare
quel maledetto ordine di
pignoramento in modo che
non debba più diventarci
matto e io rimetto Pamela
a libro paga. Quanto
tempo ci vorrà?»
Samantha non ne aveva
idea, ma istintivamente
rispose:
«Forse
una
settimana».
«Allora
siamo
d’accordo?»
«D’accordo.»
«Posso
farle
una
domanda?»
«Quello che vuole.»
«Qual è la sua tariffa
oraria? Perché, vede, io ho
un avvocato a Grundy,
mica tanto in gamba, anche
lento a richiamarmi al
telefono, è lento in tutto, e
mi costa duecento dollari
l’ora. Magari può non
essere una grossa cifra
nelle grandi città, ma lei
vede dove siamo. Io gli
darei anche più lavoro,
accidenti, però non ne vale
la pena. Ho fatto qualche
ricerca in giro, ma non ci
sono molti avvocati con
pretese ragionevoli da
queste parti. Immagino che
invece lei sia ragionevole,
se Pamela Booker può
permettersela. Allora, qual
è la sua tariffa?»
«Niente. Zero.»
Mr Simmons la fissò a
bocca aperta. «Lavoro per
la difesa d’ufficio» spiegò
Samantha.
«Che cos’è?»
«Assistenza
legale
gratuita per persone a
basso reddito.»
Era un concetto alieno.
Simmons sorrise e chiese:
«Assistete
anche
le
fabbriche di lampade?».
«Spiacente. Solo povera
gente.»
«Noi stiamo perdendo
soldi, glielo giuro. Le
mostro i libri contabili.»
«La
ringrazio,
Mr
Simmons.»
Mentre guidava veloce
in direzione di Brady per
portare le buone notizie,
Samantha pensò a come
riuscire a far revocare
l’ordine di pignoramento.
E più ci pensava, più si
rendeva conto di quanto
poco
sapesse
dei
fondamentali di pratica
legale.
A New York usciva di
rado dallo studio nel tardo
pomeriggio per andare
direttamente
a
casa.
C’erano troppi bar a
impedirglielo,
troppi
professionisti single a
caccia, troppi contatti da
creare,
troppa
socializzazione,
troppi
rapporti e, be’, troppi
drink di cui occuparsi.
Ogni settimana qualcuno
scopriva un nuovo bar o
un nuovo club dove
bisognava andare prima
che qualcun altro lo
individuasse e orde di
gente
lo
rendessero
infrequentabile.
A Brady le ore dopo il
lavoro
erano
diverse.
Samantha
non
aveva
ancora visto l’interno di un
bar: da fuori sembravano
poco invitanti, tutti e due.
Non
aveva
ancora
conosciuto un solo giovane
professionista scapolo. Di
conseguenza la sua scelta
si riduceva a ciondolare in
studio per non tornare a
casa a contemplare le
pareti.
Anche
Mattie
preferiva trattenersi in
ufficio e tutti i pomeriggi
verso le cinque e trenta
cominciava a vagare per lo
studio, senza scarpe, in
cerca di Samantha. Il
rituale era ancora in corso
di evoluzione, ma per il
momento consisteva nel
sorseggiare una bibita
dietetica nella sala riunioni
e spettegolare guardando
la strada dalla finestra.
Samantha avrebbe voluto
estorcere
qualche
informazione
sull’eventuale storia di
sesso
tra
Annette
e
Donovan, ma non lo
faceva. Forse in seguito,
forse un giorno, quando
avesse avuto più prove, o
probabilmente mai. Era
ancora troppo nuova in
città per immischiarsi in
faccende così delicate.
Inoltre, sapeva che Mattie
era ferocemente protettiva
nei confronti di suo nipote.
Si erano appena sedute
ed erano pronte per una
mezz’ora di chiacchiere
quando sentirono suonare
la campanella della porta
d’ingresso. Mattie aggrottò
la fronte. «Devo avere
dimenticato di chiudere.»
«Vado io» si offrì
Samantha, mentre Mattie
andava a cercare le scarpe.
Erano i signori Ryzer,
Buddy e Mavis dai boschi
selvaggi,
concluse
Samantha
dopo
una
sbrigativa presentazione e
un’occhiata veloce. La loro
documentazione riempiva
due
sporte
di
tela,
debitamente
macchiate.
«Abbiamo bisogno di un
avvocato» disse Mavis.
«Nessuno vuole il mio
caso» disse Buddy.
«Di cosa si tratta?»
chiese Samantha.
«Polmone nero.»
In
sala
riunioni,
Samantha ignorò le sporte
della spesa e prese nota dei
punti fondamentali. Buddy
aveva quarantun anni e
negli ultimi venti aveva
lavorato come minatore in
una miniera a cielo aperto
(ma non una strip mine) per
la Lonerock Coal, il terzo
maggior produttore degli
Stati Uniti. Al momento
guadagnava
ventidue
dollari l’ora manovrando
un escavatore a cingoli alla
Murray Gap Mine a Mingo
County, West Virginia.
Parlava
respirando
affannosamente e a volte
doveva intervenire Mavis.
Tre figli, tutti adolescenti
“ancora a scuola”. Una
casa e un mutuo. Buddy
era affetto dalla malattia
del polmone nero causata
dalle polveri di carbone
inalate durante i suoi turni
di dodici ore.
Mattie finalmente trovò
le scarpe ed entrò nella
stanza. Si presentò ai
Ryzer, lanciò un’occhiata
alle sporte, si sedette di
fianco a Samantha e
cominciò a sua volta a
prendere appunti. A un
certo
punto
disse:
«Vediamo un numero
sempre
maggiore
di
minatori
di
superficie
malati di polmone nero.
Non
sappiamo
bene
perché, ma una delle teorie
ipotizza che voi facciate
turni più lunghi e di
conseguenza inaliate una
maggiore
quantità
di
polveri».
«È da molto tempo che
ha il polmone nero» disse
Mavis. «E peggiora ogni
mese.»
«Però devo continuare a
lavorare» aggiunse Buddy.
Circa dodici anni prima,
intorno al 1996, non ne
erano
sicuri,
aveva
cominciato a notare che gli
mancava il fiato, inoltre
aveva spesso una tosse
fastidiosa. Non aveva mai
fumato ed era sempre stato
sano
e
attivo.
Una
domenica, mentre stava
giocando a T-ball con i
ragazzi, il respiro si era
fatto così affannato che
aveva pensato a un attacco
di cuore. Quella era stata la
prima volta che ne aveva
parlato a Mavis. La tosse
era continuata e, durante
un attacco, aveva notato
del
muco
nero
nei
fazzoletti di carta. Non se
l’era sentita di chiedere
l’indennità di malattia
perché temeva ritorsioni
da parte della Lonerock,
così aveva continuato a
lavorare e non aveva detto
niente. Finalmente, nel
1999, aveva presentato la
domanda in conformità
alla legge federale sul
polmone nero. Era stato
visitato da un medico del
lavoro. La sua era la forma
più grave della malattia
del polmone nero, più
formalmente
“pneumoconiosi
complicata dei lavoratori
del carbone”. Il governo
aveva
imposto
alla
Lonerock di versare a
Buddy
un’indennità
mensile
di
novecentotrentanove
dollari.
Lui
aveva
continuato a lavorare e le
sue
condizioni
a
peggiorare.
Come
sempre,
la
Lonerock
Coal
aveva
presentato ricorso e si
rifiutava di dare inizio ai
pagamenti.
Mattie, che aveva a che
fare con il polmone nero
da
cinquant’anni,
scarabocchiava e scuoteva
la testa. Avrebbe potuto
scrivere tutta la storia
dormendo.
«Hanno fatto ricorso?»
chiese Samantha. A lei il
caso sembrava chiarissimo.
«Lo fanno sempre»
disse Mattie. «E più o
meno a quell’epoca avete
fatto conoscenza con quei
bravi ragazzi di Casper
Slate, giusto?» domandò ai
Ryzer.
Le
due
teste
si
abbassarono al solo suono
di quel nome. Mattie
guardò Samantha e spiegò:
«Casper Slate è una banda
di
delinquenti
che
indossano abiti costosi e si
nascondono
dietro
la
facciata di uno studio
legale, quartier generale a
Lexington e filiali in tutta
la regione degli Appalachi.
Dove trovi una società del
carbone,
trovi
anche
Casper Slate che fa il suo
sporco lavoro. Lo studio
difende
società
che
scaricano
sostanze
chimiche
nei
fiumi,
inquinano
gli
oceani,
nascondono rifiuti tossici,
violano gli standard della
qualità
dell’aria,
discriminano i dipendenti,
truccano gli appalti del
governo... Scegli un’attività
ambigua o illecita e lo
studio Casper Slate è lì a
difenderla.
La
sua
specializzazione,
comunque, è la normativa
riguardante
l’estrazione
mineraria. Lo studio è nato
qui, nei campi carboniferi,
un centinaio di anni fa, e
quasi tutte le grandi
industrie del settore hanno
un contratto con loro.
Hanno metodi spietati e
contrari
all’etica.
Il
soprannome dello studio è
Castrate, e gli si adatta
perfettamente».
Buddy non poté fare a
meno di borbottare: «Figli
di puttana». Non aveva un
legale, di conseguenza lui e
Mavis erano stati costretti
a battersi contro le orde di
Casper Slate, avvocati che
padroneggiavano
le
procedure e sapevano
esattamente
come
manipolare
il
sistema
federale del polmone nero.
Buddy era stato visitato
dai loro medici – gli stessi
le cui ricerche venivano
finanziate
dall’industria
del carbone – e gli
accertamenti non avevano
rilevato alcuna traccia di
polmone
nero.
Le
condizioni di salute di
Buddy venivano attribuite
a una formazione benigna
nel polmone sinistro. Due
anni dopo la presentazione
della
domanda
d’indennità,
l’approvazione della stessa
era stata annullata da un
giudice amministrativo che
si era basato sull’enorme
mole di prove presentate
dai medici della Lonerock.
Mattie
disse:
«Gli
avvocati
delle
società
sfruttano le debolezze del
sistema e i loro medici
cercano
i
modi
per
imputare le condizioni di
salute a tutto meno che al
polmone nero. Non c’è da
sorprendersi se solo il
cinque per cento circa dei
minatori
affetti
dalla
malattia ottiene qualche
risarcimento. È così che
molte domande legittime
vengono respinte e molti
minatori si sentono troppo
scoraggiati per insistere
nelle loro richieste».
Erano le diciotto passate
e la riunione sarebbe
potuta andare avanti per
ore. Mattie prese in mano
la situazione e disse:
«Sentite, noi leggeremo
tutto il materiale ed
esamineremo il vostro
caso. Dateci un paio di
giorni e vi richiameremo.
Per
favore,
non
telefonateci.
Non
ci
dimenticheremo di voi, ma
ci serve un po’ di tempo
per macinare tutta questa
roba. Okay?».
Buddy e Mavis sorrisero
e
ringraziarono
educatamente.
Mavis
disse: «Abbiamo provato
con
un
mucchio
di
avvocati, ma nessuno ha
voluto aiutarci».
«Siamo già contenti che
ci abbiate lasciati entrare»
aggiunse Buddy.
Mattie li accompagnò
alla porta, con Buddy che
respirava affannosamente
e barcollava come un
vecchio. Quando se ne
furono andati, tornò nella
sala riunioni e si sedette di
fronte a Samantha. Dopo
qualche secondo chiese: «A
cosa stai pensando?».
«A un mucchio di cose.
Buddy ha quarantuno anni
e ne dimostra sessanta. È
difficile credere che stia
ancora lavorando.»
«Lo
licenzieranno
presto, sostenendo che
rappresenta un pericolo, il
che probabilmente è vero.
La Lonerock Coal ha fatto
fuori i sindacati vent’anni
fa, per cui non c’è più
alcuna protezione. Buddy
non avrà più un lavoro, e
neppure fortuna. E morirà
di una morte orribile. Ho
visto
mio
padre
rattrappirsi, prosciugarsi e
boccheggiare fino alla
fine.»
«Che è la ragione per
cui fai tutto questo.»
«Sì. Donovan è andato
alla scuola di legge per un
solo motivo: combattere le
società del carbone su un
palcoscenico più grande. Io
sono andata alla scuola di
legge per un solo motivo:
aiutare i minatori e le loro
famiglie.
Non
stiamo
vincendo le nostre piccole
guerre,
Samantha,
il
nemico è troppo grande e
potente. Il meglio in cui
possiamo
sperare
è
punzecchiarlo un po’ alla
volta, un caso alla volta,
cercando di fare una
differenza nella vita dei
nostri clienti.»
«Accetterai
questo
caso?»
Mattie bevve un sorso
con la cannuccia, si strinse
nelle spalle e disse: «Come
fai a rifiutare?».
«Infatti.»
«Non è così facile, sai.
Non possiamo dire sì a
tutti i casi di polmone
nero. Ce ne sono troppi.
Gli avvocati privati non ne
vogliono nemmeno sentir
parlare perché verrebbero
pagati solo alla fine,
sempre presumendo di
vincere. E l’esito non è mai
preventivabile. Non è raro
che una causa si trascini
per dieci, quindici, perfino
vent’anni.
Non
puoi
biasimare un avvocato che
esercita privatamente se
dice di no, di conseguenza
a noi arrivano moltissimi
casi mandati da altri. Metà
del mio lavoro riguarda il
polmone nero, e se ogni
tanto non dicessi di no non
sarei
in
grado
di
rappresentare gli altri
clienti.» Mattie bevve un
altro sorso, osservando con
attenzione
Samantha.
«L’argomento
ti
interessa?»
«Non so. Mi piacerebbe
dare una mano, ma non
saprei
da
dove
cominciare.»
«Esattamente come per
gli altri tuoi casi, giusto?»
Sorrisero
entrambe,
godendosi il momento. Poi
Mattie disse: «Ti spiego
qual è il problema. Queste
cause richiedono tempo,
anni e anni perché le
società del carbone danno
battaglia e dispongono di
ogni risorsa. Il tempo è
dalla loro parte. Prima o
poi il minatore morirà, e
prematuramente, dato che
non esistono cure. Se le
polveri ti sono entrate nel
corpo, non c’è modo di
rimuoverle o distruggerle.
E una volta che la malattia
del polmone nero si è
manifestata, non fa che
peggiorare. Le società del
carbone pagano gli attuari
e corrono il rischio, così le
cause
si
trascinano.
Rendono il procedimento
così difficile ed elefantiaco
da scoraggiare non solo il
minatore malato, ma anche
i suoi colleghi. È una delle
ragioni per cui si battono
così ferocemente. Un’altra
ragione è che vogliono
spaventare gli avvocati e
farli scappare. Tu fra
qualche mese te ne sarai
andata, sarai tornata a
New York, ma quando
partirai ti lascerai dietro
diverse pratiche ancora
aperte, tutto lavoro che
scaricherai sulle nostre
scrivanie.
Pensaci,
Samantha. Tu dimostri
sensibilità e sembri essere
una grande promessa per
questo lavoro, ma sei solo
di passaggio. Sei una
ragazza
di
città,
e
orgogliosa di esserlo. Non
c’è niente di male in
questo. Ma pensa al tuo
ufficio, al giorno in cui lo
lascerai e a tutto il lavoro
che resterà piantato a
metà».
«Giusta osservazione.»
«Adesso vado a casa.
Sono stanca e credo che
Chester abbia detto che
ceneremo con degli avanzi.
Ci vediamo domattina.»
«Buonanotte, Mattie.»
Mattie se n’era andata
da parecchio tempo e
Samantha sedeva nella sala
riunioni
scarsamente
illuminata pensando ai
Ryzer.
Ogni
tanto
guardava le sporte che
contenevano la triste storia
della loro lotta per ottenere
ciò che avevano il diritto di
avere. E lei se ne stava lì a
sedere,
un
avvocato
perfettamente capace e
abilitato, con il cervello e le
risorse per garantire vera
assistenza, per andare in
aiuto di qualcuno che
aveva
bisogno
di
rappresentanza legale.
Cosa c’era da temere?
Perché
si
sentiva
intimidita?
Il Brady Grill chiudeva
alle otto. Aveva fame e
uscì a fare due passi. Passò
davanti allo studio di
Donovan e vide che tutte le
luci erano accese. Si chiese
come stesse andando il
processo Tate, ma sapeva
che Donovan era troppo
occupato per chiacchierare
con lei. Al grill comprò un
sandwich, se lo portò nella
sala riunioni e svuotò
cautamente le sporte dei
Ryzer.
Erano diverse settimane
che non si faceva un’intera
nottata di lavoro.
19
Mercoledì
mattina
Samantha non passò in
studio e partì proprio
mentre
gli
scuolabus
facevano i loro giri, il che
risultò non essere una
buona idea. Il traffico si
muoveva lento lungo la
highway tortuosa, con
fermate e attese mentre
ignari ragazzini di dieci
anni, in astinenza di sonno
e curvi sotto gli zaini
ingombranti, salivano a
bordo
dei
bus
prendendosela
comoda.
Superata la montagna e il
confine con il Kentucky, gli
scuolabus scomparvero e
furono i camion delle
miniere a intasare le
strade. Dopo un’ora e
mezzo, Samantha si ritrovò
nelle
vicinanze
della
cittadina di Madison, West
Virginia, e si fermò, come
da istruzioni, a un emporio
sotto una sbiadita insegna
della
Conoco.
Buddy
Ryzer sedeva a un tavolo
sul retro, sorseggiando
caffè mentre leggeva un
giornale. Fu felice e
sorpreso
di
vedere
Samantha, che presentò a
uno dei suoi amici come “il
mio nuovo avvocato”.
Samantha
non
fece
commenti e passò a Buddy
una cartellina con le
autorizzazioni
che
le
avrebbero consentito di
ottenere tutte le sue
cartelle cliniche.
Nel 1997, prima di
presentare la sua azione di
rivalsa contro la Lonerock
Coal,
Buddy
si
era
sottoposto a un esame
medico di routine. Una
radiografia
aveva
evidenziato una piccola
massa nel polmone destro.
Il suo medico era certo che
fosse benigna, e aveva
avuto ragione. Nel corso di
un intervento di due ore, la
formazione gli era stata
asportata e poi Buddy era
stato rimandato a casa con
la buona notizia. Dato che
l’operazione non aveva
niente a che fare con la
successiva richiesta di
indennità per polmone
nero, non era stata mai più
menzionata.
Mattie
riteneva
che
fosse
imperativo
raccogliere
tutta la documentazione
medica, ed era questa la
ragione del viaggio di
Samantha a Madison. La
sua
destinazione
era
l’ospedale di Beckley, West
Virginia, una cittadina di
ventimila abitanti.
Buddy la accompagnò
all’auto e, quando furono
finalmente soli, Samantha
lo informò che lo studio
stava ancora valutando la
situazione. Al momento
non era stata presa alcuna
decisione sul suo caso.
Avrebbero esaminato la
pratica eccetera. Buddy
disse
di
capire
perfettamente, ma era
chiaro che si sentiva già
bordo. Non accettarlo
come cliente sarebbe stato
doloroso.
Samantha
partì
in
direzione
di
Beckley,
un’ora d’auto attraverso il
cuore della terra del
carbone, lì dove era partita
la rimozione della cima
delle montagne. Nell’aria
c’era
talmente
tanta
polvere che si domandò se
un
automobilista
di
passaggio
potesse
ammalarsi di polmone
nero. Trovò senza troppi
problemi l’ospedale di
Beckley e ne superò
faticosamente varie tappe
fino
ad
arrivare
all’impiegato giusto in
archivio. Compilò i moduli
di richiesta, consegnò le
autorizzazioni firmate da
Mr Ryzer e aspettò.
Trascorse
un’ora,
che
Samantha
passò
mandando e-mail a tutti
quelli che le vennero in
mente. Si trovava in una
stanzetta senza finestre e
priva
di
ventilazione.
Passò un’altra mezz’ora,
poi si aprì una porta e
comparve l’impiegato, che
spingeva un carrello. Sul
carrello c’era solo una
piccola scatola, e questo fu
un sollievo. Forse non ci
sarebbe voluta un’eternità
a
esaminare
la
documentazione.
«Mr Aaron F. Ryzer,
ricoverato il 15 agosto
1997»
annunciò
l’impiegato.
«È lui. La ringrazio.»
L’uomo se ne andò senza
aggiungere
altro.
Samantha estrasse il primo
fascicolo dalla scatola e
poco dopo era già persa in
una
cartella
clinica
incredibilmente
superficiale. Sembrava che
il patologo non fosse al
corrente del fatto che il
paziente era un minatore, e
neppure che avesse cercato
indizi di polmone nero.
Nello stadio iniziale la
malattia
non
è
immediatamente evidente,
ma
a
quei
tempi,
nell’agosto
del
1997,
Buddy ne mostrava già i
sintomi, anche se non
aveva ancora inoltrato la
sua richiesta di indennità.
Il lavoro del chirurgo era
stato semplice: rimuovere
la massa, assicurarsi che
fosse di natura benigna,
ricucire il paziente e
mandarlo a casa. Non c’era
niente
di
particolare
nell’intervento o nella
degenza di Buddy in
ospedale.
Due anni più tardi,
quando
Buddy
aveva
presentato la sua richiesta
di indennità per polmone
nero, gli avvocati di
Casper Slate erano entrati
in azione e avevano
cominciato a passare al
setaccio la sua anamnesi.
Samantha lesse le loro
prime lettere indirizzate al
patologo di Beckley. Gli
avvocati
erano
risaliti
all’intervento del 1997 e
avevano trovato una serie
di diapositive del tessuto
polmonare.
Avevano
chiesto al medico di
mandare le diapositive a
due degli esperti preferiti
dello studio, il dottor Foy
di Baltimora e il dottor
Aberdeen di Chicago. Per
qualche ragione, il dottor
Foy aveva inviato al
patologo di Beckley copia
della sua relazione in cui
dichiarava che il tessuto
rivelava pneumoconiosi, o
malattia del polmone nero
complicata. Dato che il
patologo non era più
coinvolto nelle cure di
Buddy, non aveva fatto
alcun
uso
di
quell’informazione.
E
poiché all’epoca Buddy
non aveva un avvocato,
nessuno che lavorasse per
lui aveva mai esaminato i
documenti
che
ora
Samantha aveva in mano.
Samantha
fece
un
respiro
profondo,
si
sedette e rilesse il rapporto
attentamente. Al momento
sembrava proprio che,
all’inizio del 2000, gli
avvocati di Casper Slate
fossero venuti a sapere da
almeno uno dei loro
esperti che Buddy soffriva
di polmone nero già dal
1997. Tuttavia si erano
opposti alla sua richiesta e
alla fine avevano vinto.
Buddy non aveva avuto
alcuna indennità, ma era
tornato in miniera mentre
gli avvocati di Casper Slate
occultavano prove cruciali.
Samantha
richiamò
l’attenzione dell’impiegato,
il quale accettò con
riluttanza di farle qualche
fotocopia, a mezzo dollaro
l’una. Dopo tre ore nelle
viscere
dell’ospedale,
Samantha rivide la luce del
sole e se ne andò. Vagò in
auto nella cittadina per
quindici minuti prima di
individuare il palazzo
federale dove, parecchi
anni prima, Buddy Ryzer
aveva sottoposto il suo
caso
a
un
giudice
amministrativo. Il suo
unico avvocato era stata
Mavis. Sull’altro lato della
stanza, si erano trovati di
fronte una falange di
costosi avvocati Castrate
abituati
a
rimestare
quotidianamente
nei
torbidi meandri legali del
polmone nero.
Quando entrò nell’atrio
deserto
dell’edificio,
Samantha
venne
praticamente sottoposta a
perquisizione
corporale
completa da due annoiate
guardie
non
ben
identificate. Il tabellone
accanto agli ascensori la
indirizzò all’archivio al
primo
piano.
Un
impiegato,
ovviamente
dipendente
federale,
protetto e inamovibile,
dopo un po’ le chiese che
cosa voleva. Con la
massima cortesia possibile,
Samantha spiegò che stava
cercando una certa pratica
relativa a un caso di
polmone
nero.
Naturalmente i documenti
che presentò non erano in
ordine.
L’impiegato
aggrottò
la
fronte,
comportandosi come se
fosse stato commesso un
reato. Le consegnò alcuni
moduli
in
bianco,
mitragliando istruzioni su
come
richiedere
correttamente l’accesso a
pratiche
del
genere:
occorrevano due firme del
richiedente. Samantha se
ne andò con niente in
mano,
a
parte
la
frustrazione.
Alle nove del mattino
seguente, andò di nuovo a
trovare
Buddy
alla
stazione di servizio della
Conoco a Madison. Buddy
fu eccitatissimo nel vedere
il suo avvocato per il terzo
giorno di seguito e lo
presentò a Weasel, il
proprietario dell’emporio.
«Viene direttamente da
New York» dichiarò con
orgoglio, come se il suo
caso fosse stato così
importante
da
dover
importare da fuori un
grande talento. Completati
e perfezionati i moduli,
Samantha salutò e tornò al
tribunale di Beckley. I
guerrieri armati che così
coraggiosamente avevano
difeso l’atrio il mercoledì,
evidentemente il giovedì
andavano a pescare. Non
c’era nessuno che potesse
palparla e perquisirla. Il
metal
detector
era
scollegato.
Gli
astuti
terroristi che tenevano
d’occhio Beckley dovevano
solo aspettare il giovedì
per beffare il dipartimento
della Sicurezza interna e
far saltare in aria l’edificio.
Lo stesso impiegato del
giorno prima esaminò i
moduli e cercò invano un
pretesto per respingerli,
ma non trovò nulla su cui
cavillare. Samantha lo
seguì in una grande sala le
cui pareti erano nascoste
da
schedari
metallici
contenenti migliaia di
vecchi casi. L’impiegato
premette alcuni pulsanti su
uno
schermo
e
i
meccanismi
ronzarono
mettendo in movimento gli
scaffali, poi aprì un
cassetto ed estrasse quattro
grandi cartelle a soffietto.
«Può usare uno di quei
tavoli» disse, indicandoli
come se ne fosse stato il
proprietario. Samantha lo
ringraziò, svuotò la sua
valigetta, sistemò il suo
nido e si tolse le scarpe.
Anche Mattie era scalza in
quel tardo pomeriggio di
giovedì quando Samantha
rientrò in studio. Tutte le
altre se ne erano già andate
a casa e la porta d’ingresso
era chiusa a chiave.
Andarono
nella
sala
riunioni in modo da poter
parlare
guardando
il
traffico in Main Street. Nel
corso dei suoi trent’anni di
carriera come avvocato, e
in particolare negli ultimi
ventisei alla Legal Aid
Clinic, Mattie si era
ripetutamente
scontrata
con i ragazzi (sempre
uomini, mai donne) di
Casper
Slate.
L’aggressività che era il
loro marchio di fabbrica
spesso sconfinava nella
condotta immorale, forse
addirittura
in
comportamenti
delinquenziali. Circa dieci
anni prima, Mattie era
arrivata
alla
misura
estrema
di
presentare
all’ordine degli avvocati
della Virginia un esposto
contro Casper Slate per
comportamenti contrari al
codice deontologico. Due
legali
della
Castrate
avevano
ricevuto
un
richiamo scritto, niente di
serio, e il risultato non era
valso lo sforzo. Per
rappresaglia, Casper Slate
aveva attaccato Mattie in
ogni occasione possibile,
colpendo
con
ferocia
addirittura maggiore nei
suoi casi di polmone nero.
Chi aveva subito le
conseguenze erano stati
proprio i clienti e lei si era
pentita di avere sfidato
apertamente la Castrate.
Conosceva benissimo il
dottor Foy e il dottor
Aberdeen, due noti ed
eminenti ricercatori che
erano stati comperati dalle
società del carbone molti
anni prima. Gli ospedali
nei
quali
lavoravano
ricevevano
milioni
in
sovvenzioni per la ricerca
dall’industria carbonifera.
Per quanto Mattie fosse
diffidente nei confronti di
Casper
Slate,
rimase
comunque sorpresa dalla
scoperta di Samantha.
Lesse la copia della
relazione che il dottor Foy
aveva inviato al patologo
di Beckley. Stranamente,
né Foy né Aberdeen erano
stati menzionati nel corso
dell’udienza Ryzer. La
perizia medica di Foy non
era stata prodotta come
prova. Gli avvocati di
Casper
Slate
avevano
utilizzato un altro gruppo
di medici, nessuno dei
quali aveva accennato alle
rilevazioni del dottor Foy.
Erano stati informati di
quei dati? «Estremamente
improbabile» disse Mattie.
«È
risaputo
che
gli
avvocati della Castrate
nascondono
qualsiasi
prova non sia utile alle
società
del
carbone.
Possiamo
dare
per
scontato che entrambi i
medici abbiano visto il
tessuto polmonare e siano
arrivati
alla
stessa
conclusione: che Buddy
soffriva di malattia del
polmone nero complicata.
Di
conseguenza
gli
avvocati hanno occultato la
prova e si sono trovati
degli altri periti.»
«Ma com’è possibile
seppellire le prove?» chiese
Samantha, una domanda
che si stava ponendo da
molte ore.
«È facile per quella
gente. Tieni presente che
tutto questo è successo
davanti a un giudice
amministrativo, non a un
giudice federale. Parliamo
di una sorta di udienza,
non di un processo. In un
vero processo ci sono
regole severe per ciò che
concerne lo scambio di
documenti tra le parti e
l’obbligo di rendere note le
informazioni. Non è così in
un’udienza per polmone
nero. Le norme sono molto
meno rigide e quella gente
ha
un’esperienza
di
decenni nel truccare e
manipolare le regole. In
circa la metà dei casi il
minatore, come Buddy,
non ha un avvocato,
quindi non è mai uno
scontro leale.»
«Questo lo capisco, ma
spiegami com’è possibile
che gli avvocati della
Lonerock Coal sapessero
per certo che Buddy era
malato già nel 1997 e poi
abbiano insabbiato tutto,
trovando altri medici i
quali hanno testimoniato,
sotto giuramento, che
Buddy non soffriva di
polmone nero.»
«Perché
sono
dei
delinquenti.»
«E noi non possiamo
farci niente? A me sembra
che si tratti di frode e
associazione
per
delinquere. Perché non
possiamo fare causa a
quella gente? Se hanno
fatto così con Buddy
Ryzer, puoi scommettere
che lo hanno fatto con
migliaia di altri.»
«Pensavo che non ti
piacessero le cause in
tribunale.»
«Sto cambiando idea.
Non è giusto, Mattie.»
Mattie sorrise, contenta
dell’indignazione
di
Samantha.
“Ci
siamo
passati
tutti”
pensò.
«Sarebbe
uno
sforzo
enorme
attaccare
uno
studio legale potente come
Casper Slate.»
«Sì, lo so, e non so
niente
di
cause
in
tribunale. Ma la frode è
frode, e in questo caso non
dovrebbe essere difficile da
dimostrare. Questo non
aprirebbe la strada ai
danni punitivi?»
«Forse, ma nessuno
studio legale di queste
parti farà mai causa
direttamente a Casper
Slate.
Costerebbe
una
fortuna, durerebbe anni e,
se anche tu ottenessi una
sentenza con un grosso
risarcimento,
non
riusciresti a sostenere lo
sforzo. Ricorda, Samantha,
che in West Virginia i
giudici
della
Corte
Suprema vengono eletti, e
indovina chi versa i
contributi più sostanziosi
alle
loro
campagne
elettorali?»
«Portiamoli in corte
federale.»
Mattie rifletté per un
momento, poi disse: «Non
so. Non sono un’esperta in
quel tipo di cause. Dovrai
chiedere a Donovan».
Qualcuno bussò alla
porta, ma nessuna delle
due si mosse. Erano le sei
passate, era quasi buio e,
semplicemente, non se la
sentivano
di
ricevere
l’ennesimo
cliente
inaspettato. Si udì bussare
di nuovo, poi la persona se
ne andò. Samantha chiese:
«Allora, come procediamo
con
la
richiesta
di
indennità di Buddy?».
«Quindi accetti il suo
caso?»
«Sì.
Non
posso
lavarmene
le
mani
sapendo quello che so
adesso. Se mi aiuti,
presento la domanda e
parto per la guerra.»
«Okay, i primi passi
sono facili. Presenta la
domanda e aspetta gli
esami medici. Dopo di che,
presumendo che i risultati
siano
quelli
previsti,
dovranno passare circa sei
mesi prima che il direttore
distrettuale
conceda
l’indennità, che oggi è più
o meno di milleduecento
dollari
al
mese.
La
Lonerock farà ricorso e a
quel punto comincerà la
vera guerra. Questa è la
normale
routine.
Comunque in questo caso
chiederemo alla corte di
riesaminare il caso alla
luce di nuove prove e
chiederemo che l’indennità
sia retroattiva, a partire
dalla prima domanda.
Probabilmente vinceremo
e la Lonerock farà senza
dubbio ricorso.»
«Non
possiamo
minacciare la società del
carbone e i suoi avvocati di
smascherarli
pubblicamente?»
Mattie sorrise e sembrò
divertita dalla domanda di
Samantha. «Sai, c’è gente
che possiamo minacciare,
perché siamo avvocati e i
nostri
clienti
hanno
ragione. Altra gente la
lasciamo stare. Il nostro
obiettivo è ottenere quanto
più denaro possibile per
Buddy Ryzer, non fare una
crociata contro gli avvocati
disonesti.»
«Sembra
un
caso
perfetto per Donovan.»
«Allora chiediglielo. A
proposito,
vuole
che
facciamo un salto da lui
per bere qualcosa insieme.
I testimoni sono stati
ascoltati tutti e la giuria
dovrebbe cominciare a
lavorare entro domani a
mezzogiorno.
Secondo
Donovan, le cose sono
andate come voleva lui e si
sente molto sicuro di sé.»
«Questo
non
mi
meraviglia.»
Stavano
sorseggiando
whisky intorno a un tavolo
ingombro nella stanza
della guerra al primo
piano, senza giacca, con la
cravatta
allentata
e
l’espressione da guerrieri
esausti ma comunque
soddisfatti.
Mentre
Donovan presentava a
Samantha Jeff, suo fratello
minore, Vic Canzarro andò
a prendere altri due
bicchieri da uno scaffale.
Samantha, per quello che
poteva
ricordare,
non
aveva mai bevuto un
superalcolico. Forse ce
n’era stato un po’ negli
intrugli a qualche party
delle
confraternite
al
college, ma lei non se n’era
mai accorta. Preferiva vino,
birra e martini. In quel
momento,
però,
non
c’erano
alternative.
I
ragazzi
si
stavano
gustando il loro George
Dickel
liscio,
senza
ghiaccio.
Il liquore le bruciò le
labbra, le ustionò la lingua
e le incendiò l’esofago, ma
quando Donovan le chiese:
«Com’è?» riuscì a sorridere
e rispose «Buono». Fece
schioccare le labbra come
se
non
avesse
mai
assaggiato niente di così
delizioso, ripromettendosi
di versare il tutto nel water
appena avesse trovato un
bagno.
Annette aveva ragione.
Jeff era bello almeno
quanto il fratello maggiore,
con gli stessi occhi scuri e
gli stessi capelli ribelli,
anche se Donovan li aveva
un po’ domati a beneficio
della sua giuria. Jeff
indossava
giacca
e
cravatta, ma anche jeans e
stivali. Non era avvocato,
anzi secondo Annette
aveva mollato il college,
ma
secondo
Mattie
operava a stretto contatto
con Donovan, sbrigando
gran parte del lavoro
sporco.
Il giorno prima Vic
aveva trascorso quattro ore
sul banco dei testimoni ed
era ancora divertito dagli
scontri con gli avvocati
della Strayhorn Coal. Una
storia portò a un’altra
storia. Mattie chiese a Jeff:
«Cosa ne pensi della
giuria?».
«Sono tutti con noi»
rispose Jeff senza esitare.
«Forse con una sola
eccezione,
comunque
siamo messi bene.»
Donovan disse: «Oggi
pomeriggio, dopo l’ultimo
testimone, la controparte
ha offerto mezzo milione
di dollari per chiudere la
faccenda.
Li
abbiamo
spaventati».
«Prendi i soldi, idiota»
fece Vic.
«Mattie, tu cosa faresti?»
chiese Donovan.
«Be’, mezzo milione non
è molto per due ragazzi
morti, ma è molto per
Hopper County. Nessuno
di quei giurati ha mai visto
una somma del genere e
avrebbero dei problemi a
darli a una di loro.»
«Prendere i soldi o
lanciare i dadi?» domandò
Donovan.
«Prendi i soldi.»
«Jeff?»
«Prendi i soldi.»
«Samantha?»
Samantha
stava
respirando con la bocca,
cercando di estinguere le
fiamme. Si passò la lingua
sulle labbra e rispose:
«Due settimane fa non
sapevo neppure scrivere
correttamente la parola
“causa” e tu adesso vuoi
che ti dica se accettare o no
l’accordo?».
«Sì,
devi
votare,
altrimenti taglieremo gli
alcolici.»
«Sì, fallo, per favore. Io
sono solo un modesto
avvocato da assistenza
legale gratuita, per cui
prenderei
i
soldi
e
scapperei.»
Donovan bevve un
piccolo sorso, sorrise e
disse: «Quattro contro uno.
Mi piace». Ma era solo un
voto quello che contava, ed
era chiaro che non ci
sarebbe
stato
alcun
accordo. Mattie domandò:
«E
la
tua
arringa
conclusiva?
Possiamo
sentirla?».
«Naturalmente.»
Donovan scattò in piedi, si
raddrizzò la cravatta e
posò il suo bicchiere su
uno scaffale. Cominciò a
camminare
avanti
e
indietro lungo un lato del
tavolo, fissando negli occhi
il suo pubblico come una
vecchia
volpe
del
palcoscenico.
Mattie
sussurrò a Samantha: «Gli
piace allenarsi con noi,
quando c’è tempo».
Donovan
si
fermò,
guardò
direttamente
Samantha
e
attaccò:
«Signore e signori della
giuria, una montagna di
denaro
non
riporterà
indietro Eddie e Brandon
Tate. Sono morti da
diciotto mesi, e sono stati
gli uomini che lavorano
per la Strayhorn Coal a
schiacciare le loro vite. Ma
il denaro è tutto ciò che
abbiamo a disposizione
per misurare i danni in casi
come questo. Freddo, duro
denaro: è questo che dice
la legge. Sta a voi, ora,
decidere quanto. E dunque
cominciamo con Brandon,
il più giovane dei due, un
bambino fragile di soli otto
anni, nato prematuro a
sette mesi. Sapeva già
leggere a quattro anni e
adorava il suo computer,
che, tra parentesi, era sotto
il suo letto quando è
piovuto il masso di sei
tonnellate.
Anche
il
computer è stato trovato
dilaniato, senza vita come
Brandon».
Donovan era disinvolto
senza essere esibizionista.
Diretto, senza la minima
traccia di qualcosa che non
fosse la sincerità. Non
aveva appunti e non gli
servivano. Samantha, che
era
rimasta
immediatamente
affascinata, gli avrebbe
riconosciuto
qualunque
cifra
avesse
chiesto.
Donovan continuava a
camminare
avanti
e
indietro, come un grande
attore di teatro, padrone
assoluto della scena. A un
certo punto, però, Mattie
sorprese
tutti
con:
«Obiezione, questo lei non
può dirlo».
Donovan rise. «Chiedo
scusa,
vostro
onore.
Pregherò i giurati di
ignorare quello che ho
appena detto, cosa che
naturalmente è impossibile
e che è anche la ragione
per cui l’ho detto.»
«Obiezione»
ripeté
Mattie.
Non ci furono parole in
eccesso, nessuna iperbole,
nessuna citazione a effetto
dalla
Bibbia
o
da
Shakespeare, nessuna falsa
emozione, niente se non
un’argomentazione
attentamente calibrata a
favore del suo cliente, e
contro
una
società
mineraria orribile. Il tutto
pronunciato
con
naturalezza,
in
modo
spontaneo.
Donovan
propose un milione di
dollari
per
ciascun
ragazzino, più un milione
di danni punitivi. Totale
tre milioni, una grossa
somma per lui, e di sicuro
anche per i giurati, ma una
goccia nel mare per la
Strayhorn Coal. L’anno
precedente il reddito lordo
settimanale della società
era stato di quattordici
milioni di dollari.
Quando finì di parlare,
Donovan aveva già in
tasca quella particolare
giuria. Quella vera non
sarebbe stata altrettanto
facile
da
convincere.
Mentre Vic versava altro
whisky, Donovan sfidò i
presenti a trovare falle
nella sua arringa. Disse che
sarebbe rimasto in piedi
tutta la notte per rivederla.
Dichiarò che il whisky
liberava la sua creatività e
che alcune delle sue
migliori arringhe erano il
risultato di alcune ore di
sorsi meditativi. Mattie
osservò che tre milioni
erano troppi. Cifre del
genere
potevano
funzionare in città più
grandi, ma non a Hopper
County, e nemmeno a
Nolan County, se era per
quello. Ricordò a Donovan
che nessuna delle due
contee aveva mai visto un
verdetto da un milione di
dollari, e Donovan ricordò
a lei che per tutto c’era una
prima volta. E che nessuno
poteva presentare una
serie di fatti giuridici
migliore della sua, fatti che
aveva appena esposto
chiaramente e in modo
magistrale alla giuria.
Dopo una serie di batti e
ribatti, Samantha si scusò e
andò in bagno. Versò il suo
whisky nello scarico e
sperò di non doverlo
assaggiare mai più. Salutò
tutti, augurò a Donovan
tutta la fortuna del mondo
e raggiunse in auto lo
Starlight Motel, dove la
famiglia Booker si stava
godendo
un
lungo
soggiorno.
Samantha
aveva portato dolci per i
bambini e due romanzi
d’amore
per
Pamela.
Mentre Mandy e Trevor
fingevano di fare i compiti,
le due donne uscirono, si
appoggiarono al cofano
della Ford e parlarono
delle prossime mosse.
Pamela era euforica perché
un’amica aveva trovato un
appartamentino a Colton,
a soli quattrocento dollari
al mese. I ragazzi erano
indietro con le lezioni e,
dopo tre notti al motel, lei
era pronta a muoversi.
Decisero che la mattina
seguente sarebbero partite
presto, per accompagnare i
bambini a scuola e andare
a
dare
un’occhiata
all’appartamento. L’autista
sarebbe stato Samantha.
20
Dopo due settimane a
Brady, o per essere precisi
dopo tre settimane lontano
da Scully & Pershing, la
deprivazione di sonno era
stata del tutto esorcizzata e
Samantha era tornata alle
vecchie abitudini. Alle
cinque di quel venerdì
mattina
stava
sorseggiando caffè a letto
mentre
digitava
un
promemoria di tre pagine
che aveva per oggetto il
polmone nero di Buddy
Ryzer e il comportamento
fraudolento di Casper Slate
che gli aveva negato
l’indennità. Alle sei inviò il
memo per e-mail a Mattie,
a Donovan e a suo padre.
La reazione di Marshall
Kofer era qualcosa che era
ansiosa di conoscere.
Una nuova, grande
causa legale era l’ultima
cosa cui Donovan poteva
pensare e Samantha non
aveva
intenzione
di
infastidirlo
in
quella
giornata
memorabile.
Sperava solo che durante il
weekend trovasse il tempo
di leggere la storia di Mr
Ryzer e di comunicarle i
suoi pensieri. Li ricevette
dieci minuti dopo. L’e-mail
diceva: “Ho combattuto
con le unghie e con i denti
contro quegli esseri viscidi
per dodici anni e li odio
con tutto me stesso. Il
processo dei miei sogni è
una gigantesca resa dei
conti
in
un’aula
di
tribunale a faccia a faccia
con la Castrate, uno
spettacolare svelamento di
tutti i loro peccati. Mi piace
il tuo caso! Ne parliamo
poi. Ora parto per il fronte
di Colton. Dovrebbe essere
divertente!!”.
Samantha rispose. “Lo
sarà. Buona fortuna.”
Alle sette andò a
prendere i Booker allo
Starlight Motel. Mandy e
Trevor indossavano i loro
abiti migliori ed erano
ansiosi di tornare a scuola.
Mentre Samantha guidava,
mangiarono le ciambelle
che lei aveva portato e
chiacchierarono
senza
sosta. Di nuovo, la linea di
confine tra professione
legale e lavoro sociale
stava diventando confusa,
ma non aveva importanza.
Secondo
Mattie,
oltre
all’assistenza legale, il loro
lavoro
spesso
comprendeva
anche
attività quali consulenze
matrimoniali, car pooling,
preparazione cibi, ricerca
lavoro,
ripetizioni
scolastiche,
consulenze
finanziarie, ricerca alloggi,
prestazioni da baby sitter.
Amava dire: “Noi non
lavoriamo a tariffa oraria,
ma a cliente”.
Davanti alla scuola di
Colton, Samantha rimase
in auto mentre Pamela
entrava con i bambini per
salutare gli insegnanti e
spiegare la situazione.
Samantha aveva inviato email
quotidiane
agli
insegnanti e alla preside,
che si erano dimostrati
comprensivi.
Con i ragazzi al sicuro là
dove dovevano essere,
Samantha
e
Pamela
passarono le due ore
successive
esaminando
l’offerta, piuttosto scarsa,
di appartamenti in affitto a
Colton e dintorni. Quello
magnificato dall’amica di
Pamela si trovava a pochi
isolati dalla scuola ed era
uno dei quattro presenti in
un edificio commerciale
che aveva cessato l’attività
ed era stato parzialmente
riconvertito.
L’appartamento
era
abbastanza pulito e aveva
anche qualche mobile, cosa
importante perché Pamela
non ne aveva affatto.
L’affitto
era
di
quattrocento dollari al
mese, una cifra che
sembrava
ragionevole
viste le condizioni. Mentre
se ne andavano, Pamela
disse
senza
troppo
entusiasmo:
«Immagino
che potremmo vivere lì
dentro».
Il fondo segreto di
Mattie
sarebbe
stato
utilizzabile solo per un
paio di mesi, anche se
Samantha non lo disse.
Trasmise comunque a
Pamela
l’impressione,
esatta, che i soldi erano
pochi e che doveva
trovarsi un lavoro il più
presto possibile. Non era
ancora stata fissata alcuna
udienza
riguardo
al
pignoramento
dello
stipendio; anzi, Samantha
non aveva ancora sentito
una sola parola dal
convenuto, la Top Market
Solutions.
Aveva
telefonato due volte alla
fabbrica di lampade per
assicurarsi
che
Mr
Simmons fosse ancora di
umore semibuono e che
Pamela avrebbe riavuto il
suo lavoro appena il
problema si fosse risolto.
Le prospettive di trovare
un altro impiego a Hopper
County erano scarse.
Samantha non aveva
mai visto l’interno di una
casa mobile, né aveva mai
pensato di vederlo, ma tre
chilometri a est del confine
della città, in fondo a una
strada a ghiaia, ebbe la sua
prima esperienza. Era un
bel
caravan,
pulito,
arredato
e
a
soli
cinquecentocinquanta
dollari al mese. Pamela
confessò di essere cresciuta
in un caravan, come molti
dei suoi amici, e di
apprezzarne la privacy. A
Samantha
quella
casa
mobile all’inizio sembrò
incredibilmente angusta,
ma dopo averla visitata
dovette ammettere che a
Manhattan aveva visto
alloggi molto più piccoli.
C’era
una
casetta
bifamiliare in una collina
sopra la città, con un bel
panorama, ma i vicini della
porta accanto mostravano
tutti i segni di essere
insopportabili. C’era una
casa disponibile in una
zona malfamata della città.
Samantha e Pamela la
guardarono dalla strada e
non
scesero
neppure
dall’auto. A quel punto la
ricerca si concluse e
decisero di concedersi un
caffè in centro, non lontano
dal tribunale. Samantha
resistette alla tentazione di
andarci, sgattaiolare in
ultima fila e guardare
Donovan che si esibiva per
la giuria. In un séparé
vicino, due persone del
posto non parlavano che
del processo. Una disse di
essere andata in tribunale
alle otto e mezzo e di avere
trovato
l’aula
già
stracolma. Secondo la sua
pomposa opinione, quello
era “il più grande processo
che si era mai tenuto a
Colton”.
«Di cosa si tratta?»
chiese affabile Samantha.
«Lei non sa del processo
Tate?» domandò l’uomo,
incredulo.
«No, non sono di qui.»
«Oh, santo cielo.» Scosse
la testa e agitò la mano.
Arrivarono i suoi pancake
e perse ogni interesse nel
tenere
salotto.
Erano
troppe le cose che sapeva
per poterle raccontare in
così poco tempo.
Pamela aveva un’amica
a Colton che doveva
incontrare. Samantha la
lasciò nel caffè e tornò a
Brady. Entrò nel suo
ufficio allo studio e Mattie
la seguì immediatamente
dicendo: «Jeff ha appena
inviato un SMS . Donovan
non ha accettato l’accordo
e il caso è in mano alla
giuria.
Prendiamo
un
sandwich, ce lo mangiamo
in macchina e andiamo in
tribunale».
«Sono appena tornata
da
Colton»
disse
Samantha. «E poi non ci
sono più posti a sedere in
aula.»
«E tu come lo sai?»
«Ho le mie fonti.»
Mangiarono
i
loro
sandwich
nella
sala
riunioni
insieme
a
Claudelle,
aspettando
nervosamente il messaggio
successivo. Poi, visto che
non arrivava, tornarono
nei rispettivi uffici a
lavoricchiare, sempre in
attesa.
Alle
tredici
Mrs
Francine
Crump
si
presentò puntuale per
firmare ufficialmente il suo
testamento
gratuito.
Sembrava strano che una
donna proprietaria di un
terreno che valeva almeno
duecentomila dollari fosse
di manica così stretta, ma
la verità era che non
possedeva niente a parte
quel terreno (e il carbone
che c’era sotto). Samantha
aveva avuto uno scambio
di corrispondenza con il
Mountain
Trust,
un’affidabile associazione
ambientalista specializzata
nell’acquisizione e nella
salvaguardia di terreni.
Nel
suo
semplice
testamento,
Francine
lasciava i suoi trentadue
ettari al Mountain Trust,
escludendo i cinque figli
adulti. Quando Samantha
le lesse il testamento e le
spiegò
tutto
con
precisione,
Francine
cominciò a piangere. Una
cosa era arrabbiarsi e
“tagliare fuori i ragazzi”
altra cosa, molto diversa,
vederlo scritto. Samantha
cominciò a preoccuparsi
per la firma. Perché il
testamento fosse valido,
Francine doveva essere
legalmente “capace di
intendere e volere” e sicura
di ciò che stava facendo.
Invece, almeno per il
momento, era incerta e in
preda alle emozioni. A
ottant’anni, e in cattiva
salute, non sarebbe vissuta
ancora a lungo. I figli
avrebbero
sicuramente
impugnato il testamento. E
dato che non avrebbero
potuto affermare l’indebita
influenza del Mountain
Trust sulla loro madre,
sarebbero stati costretti a
sostenere che al momento
della firma non era sana di
mente. E Samantha si
sarebbe ritrovata nel bel
mezzo di una brutta rissa
familiare.
Come rinforzi, convocò
sia Annette che Mattie. Le
due veterane avevano già
visto situazioni del genere
e
passarono
qualche
minuto
con
Francine,
chiacchierando di questo e
quello finché le lacrime
non cessarono. Annette
chiese dei figli e dei nipoti,
ma l’umore di Francine
non migliorò. Disse che li
vedeva molto di rado. Che
si erano dimenticati di lei. I
nipotini crescevano così in
fretta, e lei si stava
perdendo tutto. Mattie le
spiegò che alla sua morte,
e una volta che la famiglia
avesse saputo del terreno
lasciato in eredità al
Mountain
Trust,
ci
sarebbero
stati
dei
problemi.
Con
ogni
probabilità i suoi figli
avrebbero
assunto
un
avvocato e impugnato il
testamento. Era questo che
voleva?
Francine
tenne
la
posizione. Ce l’aveva con i
vicini
che
avevano
venduto a una società del
carbone ed era decisa a
proteggere
la
sua
proprietà. Non si fidava
dei figli: sapeva che
avrebbero arraffato i soldi
alla
maggior
velocità
possibile. Con le emozioni
ora sotto controllo, firmò il
testamento. I testimoni
furono le tre avvocatesse,
che firmarono anche una
dichiarazione
giurata
attestante la sanità mentale
della cliente. Dopo che
Francine se ne fu andata,
Mattie disse: «Ce lo
ritroveremo tra i piedi».
Alle quattordici, ancora
senza notizie dal tribunale,
Samantha informò Mattie
che doveva tornare a
Colton per prelevare i
Booker. Mattie balzò in
piedi e tutte e due se ne
andarono in fretta.
Donovan
stava
ammazzando il tempo in
un gazebo dietro l’orribile
tribunale. Seduto su una
panchina,
chiacchierava
con Lisa Tate, madre dei
due ragazzini e parte
attrice nel processo. Poco
distante, Jeff parlava al
telefono
fumando
un
sigaro. Sembrava nervoso.
Donovan
presentò
Mattie e Samantha a Lisa e
disse cose gentili sul modo
in cui la sua cliente aveva
affrontato i cinque giorni
del processo. I giurati
stavano ancora discutendo,
aggiunse, indicando una
finestra al primo piano del
tribunale. «Quella è la sala
della giuria. Sono lì dentro
da circa tre ore.»
«Lisa, mi dispiace tanto
per i suoi figli» disse
Mattie. «Una tragedia così
insensata.»
«Grazie» disse a bassa
voce la donna, ma senza
mostrare
interesse
a
continuare
quella
conversazione.
«Allora, com’è stata la
tua
arringa?»
chiese
Samantha dopo una pausa
di imbarazzo.
Donovan esibì il sorriso
del vincitore e rispose:
«Probabilmente
fra
le
migliori tre di tutti i tempi.
Li ho fatti piangere, non è
vero, Lisa?».
La donna annuì. «È
stata molto coinvolgente.»
Jeff
concluse
la
telefonata e raggiunse gli
altri. «Perché ci mettono
tanto?» chiese a Donovan.
«Rilassati.
Si
sono
goduti un bel pranzo,
omaggio della contea, e
adesso stanno valutando le
prove. Gli do un’altra ora.»
«E poi cosa succede?»
domandò Mattie.
«Un
verdetto
clamoroso»
rispose
Donovan con un altro
sorriso. «Un record per
Hopper County.»
«La Strayhorn ha offerto
novecentomila
dollari,
quando la giuria si è
ritirata» disse Jeff. «Il
nostro Perry Mason, qui,
ha rifiutato.» Donovan
guardò di traverso il
fratello, come a lasciar
intendere: “Tu cosa ne sai?
Aspetta e ti farò vedere
io”.
Samantha era colpita
dall’assoluta temerarietà
delle decisioni di Donovan.
La sua cliente era una
povera
donna,
poco
istruita e con scarse
prospettive di una vita
migliore. Il marito era in
prigione per spaccio di
droga. Al momento della
tragedia, Lisa viveva con i
figli in un piccolo caravan
sperduto tra le colline.
Adesso era sola, senza
niente a parte una causa
legale. Avrebbe potuto
andarsene con almeno
mezzo milione di dollari in
contanti, più di quanti
avesse mai sognato, ma il
suo avvocato aveva detto
di no, preferendo lanciare i
dadi. Accecato dal sogno
di trovare la vena d’oro,
Donovan aveva riso alla
possibilità di incassare una
somma più che decorosa. E
se la giuria avesse preso la
direzione
sbagliata
e
avesse detto no? E se la
società del carbone avesse
silenziosamente esercitato
pressioni in sedi di cui
nessuno
avrebbe
mai
saputo?
Samantha non riusciva
neppure a immaginare
l’orrore di una Lisa Tate
che usciva dall’aula a mani
vuote, con niente da
rivendicare per la morte
dei suoi bambini. Donovan
invece
sembrava
tranquillo,
addirittura
arrogante.
Di
certo
sembrava più calmo di
chiunque altro nel gruppo.
Il padre di Samantha
aveva sempre detto che gli
avvocati di tribunale erano
una
strana
razza.
Camminano sul filo del
rasoio,
tra
verdetti
strepitosi
e
fallimenti
catastrofici, e i più grandi
tra loro non hanno paura
dei rischi.
Mattie e Samantha non
potevano trattenersi: i
Booker
stavano
aspettando.
Salutarono
tutti e Donovan le invitò a
passare più tardi dal suo
studio per festeggiare.
Pamela Booker aveva
scelto il caravan. Aveva
parlato e negoziato con il
proprietario, riuscendo a
farsi abbassare l’affitto a
cinquecento dollari al mese
per sei mesi. Mattie la
informò che il centro di
assistenza legale poteva
pagarle i primi tre, ma che
dopo l’affitto sarebbe stato
interamente a suo carico.
Passarono a prendere i
bambini da scuola e
Pamela li informò della
nuova casa, che andarono
direttamente a vedere.
La telefonata arrivò alle
diciassette e venti, e la
notizia
era
splendida.
Donovan aveva ottenuto il
suo verdetto milionario:
tre
milioni
per
la
precisione, l’importo che
aveva chiesto alla giuria.
Un milione per ogni figlio
e un milione come danni
punitivi.
Un
verdetto
senza precedenti in quella
parte del mondo. Jeff disse
a Mattie che alla sua
lettura l’aula era ancora
stracolma e che il pubblico
aveva
applaudito
con
entusiasmo prima che il
giudice riuscisse a imporre
di nuovo la calma.
Samantha era nella sala
riunioni con Mattie e
Annette, e tutte e tre
esultarono per il verdetto.
Si diedero il cinque,
agitarono i pugni in aria e
strepitarono eccitate come
se fosse stato il loro piccolo
studio a ottenere qualcosa
di grandioso. Non era il
primo verdetto milionario
di Donovan – ne aveva già
ottenuto uno in West
Virginia
e
uno
in
Kentucky,
entrambi
relativi
a
incidenti
provocati da camion delle
miniere –, ma questo era il
più grosso. Erano felici,
addirittura stordite, ma
nessuna di loro avrebbe
saputo dire se era più
eccitata per la vittoria o più
rilassata per avere evitato
la sconfitta. Non aveva
importanza.
“Allora è questo che
significa combattere in una
causa in tribunale” pensò
Samantha. Forse stava
cominciando a capire. Era
quella
la
scarica
di
adrenalina, lo sballo, la
droga che spingeva gli
avvocati al limite. Era
quello il brivido che
cercava Donovan quando
rifiutava
un
accordo
stragiudiziale con i soldi
già sul tavolo. Era quella
l’overdose di testosterone
che costringeva uomini
come
suo
padre
a
sfrecciare in giro per il
mondo a caccia di casi.
Mattie annunciò che
avrebbe organizzato un
party. Telefonò a Chester e
lo fece scattare al massimo
dei giri. Hamburger alla
griglia nel cortile dietro
casa, con champagne per
cominciare e birra per
finire. Due ore dopo, la
festa si materializzò in
modo perfetto nella serata
fresca. Donovan dimostrò
di saper vincere con stile,
sottraendosi
alle
congratulazioni e dando
tutto il merito alla sua
cliente. C’era anche Lisa al
party, da sola. Oltre ai
padroni di casa e a
Samantha, erano presenti
Annette con Kim e Adam,
Barb con suo marito, Wilt,
Claudelle e il marito, Vic
Canzarro con la sua
ragazza e Jeff.
Durante un brindisi,
Mattie disse: «Nel nostro
mestiere le vittorie sono
rare, per cui godiamoci
questo momento, il bene
che trionfa sul male
eccetera, e facciamoci fuori
queste tre bottiglie di
champagne. Salute!».
Seduta sul dondolo di
vimini nel patio, Samantha
stava chiacchierando con
Kim quando Jeff le chiese
se voleva che le riempisse
di nuovo il bicchiere.
Samantha rispose di sì e
Jeff glielo prese. Quando
tornò, guardò il piccolo
spazio vuoto di fianco a
Samantha, che lo invitò a
sedersi.
Tutto
molto
intimo. Dopo un po’ Kim
si annoiò e li lasciò soli.
L’aria era fresca, ma lo
champagne li scaldò.
21
La seconda avventura di
Samantha a bordo del
Cessna Skyhawk fu molto
meno
eccitante
della
prima. Aspettarono per
un’ora al campo di volo di
Noland County che il
tempo cambiasse. Forse
avrebbero
dovuto
aspettare più a lungo. A un
certo
punto
Donovan
borbottò
qualcosa
a
proposito di rinviare il
viaggio. Jeff, anche lui
pilota,
sembrò
essere
d’accordo, ma poi si aprì
uno squarcio nel fronte
temporalesco e i due
fratelli conclusero che
potevano farcela. Dopo
averli visti studiare lo
schermo del meteo al
terminal e innervosirsi a
causa della “turbolenza”,
Samantha
sperava
segretamente
che
avrebbero rinunciato. Ma
non fu così. Decollarono,
salirono tra le nubi e per i
primi
dieci
minuti
Samantha
temette
di
vomitare. Dal posto di
pilotaggio, Donovan disse:
«Tieniti stretta», mentre il
piccolo
aereo
veniva
sballottato qua e là. Stretta
a
cosa,
esattamente?
Samantha era sul sedile
posteriore, angusto perfino
per lei. Era stata relegata in
seconda classe e stava già
giurando a se stessa che
non ci sarebbe cascata mai
più. Raffiche di pioggia si
abbattevano con violenza
sul parabrezza.
A milleottocento metri
le nubi si diradarono
notevolmente e il volo si
fece
più
tranquillo.
Entrambi
i
piloti
sembrarono
rilassarsi.
Tutti e tre avevano le cuffie
e Samantha, che ora
respirava
normalmente,
era affascinata dalla radio.
Lo Skyhawk veniva gestito
dal controllo del traffico
aereo di Washington e
c’erano
almeno
altri
quattro aerei sulla stessa
frequenza. Tutti erano su
di giri per via delle
condizioni meteo e i piloti
riferivano
gli
ultimi
aggiornamenti in base a ciò
che avevano appena visto.
Ma la fascinazione si
trasformò rapidamente in
noia,
mentre
l’aereo
ronzava
tranquillo,
sobbalzando appena sopra
la sommità delle nubi.
Samantha non vedeva
niente sotto di sé e niente
neppure ai lati. Dopo
un’ora fu quasi sul punto
di addormentarsi.
Due ore e quindici
minuti dopo il decollo da
Brady, atterrarono in un
piccolo
aeroporto
a
Manassas,
Virginia.
Noleggiarono
un’auto,
trovarono un drive-thru
dove comprarono il pranzo
a base di tacos e alle tredici
arrivarono alla nuova sede
del Kofer Group ad
Alexandria. Marshall li
accolse con calore e si
scusò perché gli uffici
erano deserti. Dopo tutto
era sabato.
Marshall era felicissimo
di vedere sua figlia, specie
considerate le circostanze.
Samantha se ne andava in
giro con un vero avvocato
di tribunale e sembrava
molto
interessata
a
prendere in considerazione
una promettente causa
contro i cattivi delle grandi
società. Dopo sole due
settimane
nei
campi
carboniferi era già sulla
strada di un’autentica
conversione. Erano anni
che lui tentava invano di
mostrarle la luce.
Dopo
qualche
chiacchiera,
disse
a
Donovan:
«Congratulazioni per il
verdetto.
Difficile
ottenerne uno così in un
posto come quello».
Samantha non aveva
parlato del verdetto Tate a
suo padre. Gli aveva
inviato due e-mail con i
dettagli
relativi
alla
riunione, ma non aveva
accennato al processo.
«Grazie» disse Donovan.
«Il quotidiano di Roanoke
ha pubblicato un paio di
righe. Immagino che lei le
abbia viste.»
«Quelle me le sono
perse. Ma noi monitoriamo
moltissimi processi tramite
una rete nazionale. La tua
storia è saltata fuori ieri
sera e ho letto il riassunto.
Grande esposizione dei
fatti.»
Sedevano intorno a un
tavolo quadrato con fiori
veri al centro, accanto a
una caffettiera d’argento.
Vestito in modo meno
formale
del
solito,
Marshall si era abbassato a
un maglione di cachemire
e pantaloni sportivi. I
ragazzi Gray erano in jeans
e vecchia giacca sportiva.
Anche
Samantha
indossava
jeans
e
maglione.
Donovan ringraziò di
nuovo e rispose alle
domande di Marshall sul
processo. Jeff stava in
silenzio e non si perdeva
nulla. Ogni tanto lui e
Samantha si scambiavano
uno sguardo. Samantha si
versò dell’altro caffè e
disse: «Forse dovremmo
procedere».
«Giusto»
approvò
Marshall, bevendo un
sorso. «Sono abbastanza
informato?»
«Non c’è niente di
nuovo» rispose Samantha.
«Ho appena cominciato a
scavare e sono sicura che
verremo a sapere molto di
più
dopo
che
avrò
presentato la domanda di
indennità per il polmone
nero.»
«Casper Slate ha una
brutta
reputazione»
osservò Marshall.
«Se la sono guadagnata»
disse Donovan. «È da
molto tempo che combatto
con loro.»
«Spiegatemi la vostra
causa. La vostra strategia.»
Donovan fece un respiro
profondo,
lanciò
un’occhiata a Samantha e
poi disse: «Corte federale,
probabilmente Kentucky.
Forse West Virginia. Di
certo non la Virginia per
via del tetto ai risarcimenti.
Intentiamo causa con una
sola parte attrice, Buddy
Ryzer,
e
citiamo
in
giudizio sia Casper Slate
che la Lonerock Coal. Li
denunciamo per frode e
associazione
per
delinquere, forse anche
racket, e chiediamo la luna.
È un caso esemplare di
danni
punitivi.
La
Lonerock Coal attualmente
è capitalizzata a sei
miliardi e completamente
assicurata. Casper Slate è
un’impresa privata e non
sappiamo quanto valga,
ma
lo
scopriremo.
Scavando
a
fondo,
speriamo di trovare altri
casi di frode. Più ne
abbiamo, meglio è. Ma
anche
se
non
ne
troveremo,
saremo
comunque pronti a portare
il caso Ryzer davanti alla
giuria e a chiedere una
fortuna in danni punitivi».
Marshall annuiva come
se fosse stato d’accordo e
come se avesse sentito le
stesse cose centinaia di
volte.
Donovan fece una pausa
e poi chiese: «Cosa ne
pensa?».
«Fin qui, tutto okay.
Suona bene, specie se la
frode esiste davvero e non
c’è modo di inventare
qualche spiegazione. Di
sicuro la causa sembra
fondata e l’appeal sulla
giuria sarà fantastico. In
effetti, penso che sia
brillante. Uno studio legale
corrotto, pieno di avvocati
strapagati che nascondono
prove mediche per negare
a un povero minatore
malato la sua modesta
indennità. Wow! È il sogno
di ogni legale. È un chiaro
caso di danni punitivi, con
un notevole potenziale.»
Fece una pausa, bevve un
calcolato sorso di caffè e
riprese a parlare: «Ma
prima, naturalmente, c’è la
piccola questione della
causa in quanto tale. Tu
eserciti da solo, Donovan,
quasi
senza
staff
e,
diciamo,
con
risorse
limitate. Una causa come
questa durerà cinque anni
e costerà due milioni di
dollari, come minimo».
«Un milione» ribatté
Donovan.
«Incontriamoci a metà
strada: un milione e
mezzo. Presumo che sia
comunque una cifra al di là
della tua portata.»
«Lo è, ma io ho degli
amici, Mr Kofer.»
«Solo Marshall, okay?»
«Va bene, Marshall. Ci
sono due studi legali in
West Virginia e due in
Kentucky con cui sono
solito
collaborare.
Mettiamo spesso denaro e
risorse in comune e ci
dividiamo
il
lavoro.
Tuttavia non sono sicuro
che possiamo rischiare una
somma simile. Immagino
sia per questo che siamo
qui.»
Marshall si strinse nelle
spalle, rise e disse: «È il
mio lavoro. Le guerre in
tribunale.
Faccio
il
consulente per gli avvocati
e per i litigation funds. Sono
il sensale tra quelli che
hanno i soldi e quelli che
hanno i casi».
«Quindi sei in grado di
trovare uno o due milioni
per le spese della causa?»
«Certo, non è quello il
problema, non in questo
business. La maggior parte
del nostro lavoro comporta
finanziamenti tra i dieci e i
cinquanta milioni. Due
milioni sono facili da
trovare.»
«E quanto costerebbe a
noi, agli avvocati?»
«Dipende dal fondo. Il
grande
vantaggio
di
questo caso è che costerà
due
milioni
e
non,
diciamo, trenta. Meno
prendi per le spese, più ti
tieni
come
onorario.
Presumo che tu chieda il
cinquanta per cento del
risarcimento ottenuto.»
«Io non ho mai chiesto il
cinquanta per cento.»
«Be’, benvenuto nel
grande giro, Donovan. Al
giorno d’oggi, in tutte le
cause più importanti gli
avvocati si prendono il
cinquanta per cento. E
perché no? Sei tu che ti
assumi tutti i rischi, che fai
tutto il lavoro e che ci metti
i soldi. Un grosso verdetto
favorevole è una manna
per un cliente come Buddy
Ryzer. Quel poveraccio sta
cercando di avere mille
dollari al mese. Dagli
qualche milione e sarà un
uomo felice, ti pare?»
«Ci penserò. Non ho
mai
preso
più
del
quaranta.»
«Be’, potrebbe essere
difficile organizzare il
finanziamento
se
non
siamo al cinquanta. È così
che
funziona.
Bene,
facciamo che noi ci
mettiamo il denaro: cosa
mi dici della forza lavoro?
Casper Slate ti scaglierà
addosso un esercito di
avvocati, i migliori, i più
perfidi e viscidi, e se tu
pensi che giochino sporco
adesso, aspetta quando ci
sarà la loro testa in ballo e
cercheranno di nascondere
la biancheria sporca. Sarà
una guerra, Donovan, una
guerra come se ne vedono
di rado.»
«Tu hai mai fatto causa
a uno studio legale?»
«No.
Ero
troppo
occupato a fare causa alle
compagnie aeree. Credimi,
erano abbastanza toste.»
«Qual è stato il tuo
verdetto più grosso?»
Samantha fu sul punto
di dire: “No, per favore!”.
L’ultima cosa di cui
avevano
bisogno
era
Marshall Kofer che saliva
sul
palcoscenico
e
raccontava le sue storie di
guerra. Senza la minima
esitazione, Marshall esibì
quel
suo
sorriso
compiaciuto e rispose:
«Nel 1982 a San Juan,
Puerto Rico, ho spremuto
quaranta
milioni
alla
Braniff. Ci sono volute
sette settimane».
Samantha
avrebbe
voluto
chiedere:
“Grandioso, papà. Ed è
stata quella la parcella che
hai sepolto offshore e che
hai tenuto nascosta finché
la mamma l’ha scoperta?”.
Marshall continuò: «Io
ero l’avvocato leader, ma
eravamo in quattro e
abbiamo lavorato tutti
come muli. Il punto è,
Donovan,
che
avrai
bisogno di aiuto ad
altissimo livello. Il fondo
valuterà attentamente sia
te che la tua squadra,
prima di impegnarsi con i
soldi».
«Non mi preoccupa la
squadra, o il lavoro di
preparazione, o il processo.
Per tutta la mia carriera ho
cercato un caso come
questo. Gli avvocati con
cui collaborerò sono tutti
veterani e conoscono il
terreno. Stiamo parlando
del nostro cortile di casa. I
giurati
saranno
gente
nostra.
Il
giudice,
possiamo sperare, sarà al
di là della portata dei
convenuti. E in appello, il
verdetto sarà nelle mani di
giudici federali, non dei
giudici dello Stato eletti
dalle società del carbone.»
«Me ne rendo conto»
disse Marshall.
«Non ha risposto alla
domanda» intervenne Jeff,
quasi in modo maleducato.
«Quanto dovremo dare in
cambio
del
finanziamento?»
Marshall
gli
lanciò
un’occhiata
dura,
poi
sorrise istintivamente e
rispose:
«Dipende.
È
negoziabile. Arrivare a
definire l’accordo fa parte
del mio lavoro, ma, tanto
per fare un’ipotesi, direi
che il fondo che ho in
mente potrebbe chiedere
un quarto di quanto
incasseranno gli avvocati.
Come sapete, è impossibile
prevedere
quello
che
deciderà una giuria e di
conseguenza è impossibile
prevedere quali saranno
gli onorari. Se la giuria vi
riconosce, diciamo, dieci
milioni,
e
le
spese
ammontano a due milioni,
allora
prima
vengono
dedotte le spese e poi gli
avvocati si dividono i
rimanenti otto con il
cliente. Il cliente incassa
quattro
milioni,
gli
avvocati altrettanto. Il
fondo si prende un quarto
dei vostri quattro. Voi vi
tenete il resto. Non è un
grande affare per il fondo,
ma non è neppure una
perdita: un guadagno del
cinquanta
per
cento.
Inutile dire che più è
grosso il verdetto, meglio
è. Personalmente penso
che dieci milioni siano
pochi. Vedo già una giuria
estremamente irritata con
Casper Slate e la Lonerock
Coal, una giuria assetata di
sangue».
Marshall era molto
convincente e Samantha
dovette rammentare a se
stessa che c’era stato un
tempo in cui suo padre
riusciva
a
strappare
somme enormi.
«Chi sono i tizi del
fondo?» chiese Donovan.
«Investitori, altri fondi,
hedge fund, operatori di
private equity, scegli tu.
C’è
un
numero
sorprendente di asiatici
che ha scoperto il giochino.
Sono impietriti dal nostro
sistema risarcitorio, ma ne
sono anche affascinati.
Pensano di essersi persi
qualcosa. Ho anche diversi
avvocati in pensione che ai
loro
tempi
si
sono
arricchiti: conoscono bene
le cause per danni e non
hanno paura dei rischi.
Hanno
guadagnato
piuttosto bene in questo
business.»
Donovan
sembrava
incerto. «Mi devi scusare»
disse. «Ma è tutto nuovo
per me. Ho sentito parlare
dei litigation funds, ma non
ci sono mai andato
neppure vicino.»
«È solo capitalismo
vecchio stile, ma dalla
nostra
parte»
spiegò
Marshall.
«Oggi
un
avvocato con un grande
caso ma senza soldi può
attaccare i cattivi delle
società dove preferisce e
combattere ad armi pari.»
«E i tizi del fondo
esaminano il caso e
prevedono il risultato?»
«Quello in realtà è il mio
lavoro. Io agisco come
consulente per entrambe le
parti: l’avvocato e il fondo.
In base a quello che mi ha
detto Samantha, all’esame
della documentazione e
specialmente grazie alla
tua crescente reputazione
in aula, non esiterò a
raccomandare il tuo caso a
uno dei miei fondi. Il quale
approverà
un
finanziamento da uno a
due
milioni
senza
problemi, e tu sarai
dentro.»
Donovan guardò Jeff,
che guardò Marshall e gli
domandò: «Ai suoi tempi,
Mr Kofer, lei avrebbe
portato questo caso in
tribunale?».
«Senza pensarci un
attimo. I grandi studi legali
sono
sempre
pessimi
convenuti, specie quando
li sorprendi con la pistola
fumante in pugno.»
Donovan
chiese
a
Samantha:
«Pensi
che
Buddy Ryzer sia all’altezza
della sfida?».
«Non ne ho idea. Lui
vuole solo la sua indennità,
arretrati compresi. Non
abbiamo mai discusso di
una causa come questa.
Non
è
neppure
a
conoscenza di tutto quello
che ho scoperto nelle sue
cartelle cliniche. Pensavo
di parlargli la settimana
prossima.»
«Qual
è
la
tua
sensazione di pancia?»
«Vuoi sapere la mia
sensazione per qualcosa di
cui non so niente?»
«Sì o no?»
«Sì.
Buddy
è
un
combattente.»
Raggiunsero a piedi un bar
sport poco lontano. I
cinque grandi schermi
mostravano tutti partite di
football
del
college.
Donovan era un tifoso
della
Virginia
Tech,
fanatico come tutti loro, ed
era ansioso di conoscere i
risultati. Ordinarono birra
e si sedettero a un tavolo.
Dopo che il cameriere ebbe
piazzato un alto boccale
davanti a ognuno di loro,
Marshall disse a Donovan:
«Ieri sera è saltato fuori il
tuo nome in rete. Stavo
leggendo dei casi di
inquinamento nei campi
carboniferi... scusate, ma
sono queste le mie letture...
e sono capitato sul bacino
di fanghiglia di Peck
Mountain e sul cluster di
cancro di Hammer Valley.
Secondo un articolo del
quotidiano di Charleston,
tu stai indagando sul caso
già da qualche tempo. C’è
niente in cantiere?».
Donovan
cercò
lo
sguardo di Samantha, che
scosse subito la testa: no, io
non ho detto una parola.
«Stiamo ancora indagando,
e raccogliendo clienti.»
«Raccogliere
clienti
significa fare causa, giusto?
Non voglio ficcanasare,
sono solo un po’ curioso.
Sembrerebbe
un
caso
enorme,
e
parecchio
costoso. La Krull Mining è
un mostro.»
«Conosco la Krull molto
bene»
disse
cauto
Donovan. Mai, nemmeno
per un attimo, si sarebbe
fidato di Marshall Kofer
tanto
da
confidargli
informazioni che avrebbe
potuto
scambiare
o
barattare
in
un’altra
operazione. Quando fu
evidente che Donovan
preferiva non parlare,
Marshall disse: «Oh, be’,
conosco
due
fondi
specializzati in cause per
rifiuti tossici. È un ramo
estremamente redditizio,
posso aggiungere».
“È
tutto
redditizio,
papà?” avrebbe voluto
chiedere Samantha. Poi
pensò:
“Che
match
perfetto!”, Donovan Gray e
la sua banda, che sono in
possesso di – o hanno
accesso a – un tesoro di
documenti
acquisiti
illegalmente, un tempo di
proprietà
della
Krull
Mining, e il Kofer Group,
una gang di avvocati
radiati dall’ordine che, se
si fossero trovati in
difficoltà, avrebbero senza
dubbio
pasticciato
di
nuovo con la legge. Questi
in un angolo del ring.
Nell’angolo opposto c’era
la Krull Mining, una
società che in materia di
sicurezza
sul
lavoro
vantava
i
peggiori
precedenti di tutta la storia
della
produzione
carbonifera degli Stati
Uniti,
nonché
un
proprietario ritenuto uno
dei
gangster
più
implacabili della cricca di
Putin. E al centro del ring,
a schivare i proiettili,
c’erano le povere anime di
Hammer Valley, che erano
state attirate fuori dai loro
caravan e convinte a
firmare per partecipare a
quell’eccitante avventura
nel sistema giudiziario
americano.
Sarebbero
diventate parti attrici e
avrebbero fatto causa per
un miliardo di dollari. Se
avessero
incassato
un
migliaio di dollari a testa,
lo avrebbero speso in
sigarette e biglietti della
lotteria. Wow! Samantha
bevve qualche sorso di
birra e, ancora una volta,
giurò di evitare qualsiasi
seria causa per danni.
Seguiva il football su due
schermi, ma non aveva
idea di chi stesse giocando.
Marshall
stava
raccontando una storia
riguardante due jet – uno
proveniente dalla Corea e
uno dall’India – che nel
1992 erano entrati in
collisione sopra l’aeroporto
di Hanoi. Tutti i passeggeri
erano morti, e nessuno di
loro
era
americano,
tuttavia Marshall aveva
intentato causa a Houston,
dove le giurie capiscono i
grossi verdetti. Il racconto
affascinava Donovan e Jeff
sembrava
blandamente
interessato. Come pubblico
per
Marshall
era
sufficiente.
Samantha
continuò a guardare la
partita di football.
Dopo una birra –
Donovan doveva pilotare
l’aereo – tornarono a piedi
in ufficio e si salutarono.
Samantha notò che era
uscito il sole e che il cielo
era sgombro di nubi. Forse
il viaggio di ritorno
sarebbe stato tranquillo e
piacevole, con un’ottima
visibilità.
Salutò suo padre con un
bacio veloce sulla guancia
e promise di telefonargli.
22
Il verdetto Tate suscitò
grande eccitazione in zona
e fu spunto di infiniti
pettegolezzi e ipotesi.
Secondo
un
articolo
pubblicato dal quotidiano
di Roanoke, la Strayhorn
Coal
prometteva
un
vigoroso ricorso in appello.
I suoi avvocati erano
parchi di dichiarazioni, ma
altri non erano così timidi.
Un vicepresidente della
società definì il verdetto
“scioccante”. Il portavoce
di un gruppo per lo
sviluppo economico si
dichiarò
preoccupato
all’idea che “un tale
pesante verdetto” potesse
danneggiare
la
reputazione dello Stato
come luogo favorevole alle
imprese. Vennero citate le
parole esatte di uno dei
giurati (anonimo), il quale
affermò che in sala di
consiglio
erano
state
versate molte lacrime. Lisa
Tate non era disposta a
rilasciare commenti, ma il
suo avvocato sì.
Samantha osservava e
ascoltava e la sera tardi
andava a bere qualcosa in
compagnia di Donovan e
Jeff. Bibite analcoliche per
lei, Dickel per loro. Forse
quando
la
Strayhorn
minacciava il ricorso in
appello era solo una posa,
ma Donovan diceva che in
realtà la società voleva un
accordo. Con la morte di
due ragazzini in gioco, la
Strayhorn
sapeva
che
sarebbe
stato
difficile
vincere. I danni punitivi
sarebbero
stati
automaticamente ridotti da
un
milione
a
trecentocinquantamila
dollari, per cui quasi un
quarto
della
somma
riconosciuta dal verdetto
se n’era già andato. Il
martedì dopo la sentenza,
la società offrì un milione e
mezzo. Lisa Tate intendeva
accettare. Donovan lasciò
cadere l’informazione che
avrebbe
incassato
il
quaranta per cento, per cui
sentiva già il profumo di
un bel giorno di paga.
Il mercoledì, Donovan,
Jeff
e
Samantha
incontrarono Buddy e
Mavis Ryzer per discutere
dell’eventuale causa contro
la Lonerock Coal e Casper
Slate. I Ryzer rimasero
devastati alla notizia che lo
studio legale aveva saputo
per anni che Buddy era
malato di polmone nero e
che aveva nascosto le
prove. «Fate causa a quei
bastardi per tutto» disse
Buddy rabbioso, e mai
durante
le
due
ore
dell’incontro fece un passo
indietro. La coppia uscì
dallo studio di Donovan
furiosa e determinata a
combattere fino alla fine.
Quella sera, di nuovo
davanti a un drink,
Donovan
confidò
a
Samantha e a Jeff che
aveva parlato della causa
con due colleghi di due
diversi studi in West
Virginia, tra i suoi migliori
amici specializzati in cause
in tribunale. Nessuno di
loro era incline a passare i
cinque anni successivi
azzuffandosi con Casper
Slate, a prescindere da
quanto fosse stato orribile
il suo comportamento.
Una settimana dopo,
Donovan
volò
a
Charleston per depositare
gli atti della causa per
l’inquinamento
di
Hammer Valley. Davanti
al tribunale federale, di
fronte a una squadra di
giornalisti e con altri
quattro avvocati al suo
fianco, spiegò i termini
della causa contro la Krull
Mining. “Proprietari russi”
naturalmente. Dichiarò che
la società stava inquinando
le falde acquifere da
quindici anni; che sapeva
cosa stava succedendo e
che lo aveva tenuto
nascosto; e che la Krull
Mining sapeva da almeno
dieci anni che le sue
sostanze chimiche erano la
causa di una delle più alte
incidenze di cancro in
America.
Donovan
dichiarò con sicurezza:
«Proveremo
tutto,
e
abbiamo
anche
dei
documenti a ulteriore
conferma».
Lui
era
l’avvocato leader e il suo
gruppo
rappresentava
oltre quaranta famiglie di
Hammer Valley.
Come la maggior parte
degli avvocati specializzati
in cause in tribunale,
Donovan
amava
l’attenzione.
Samantha
sospettava che avesse
affrettato il deposito degli
atti Hammer Valley perché
era ancora sotto i riflettori
del verdetto Tate. Cercò di
prendere le distanze e di
ignorare i fratelli Gray per
qualche giorno, ma erano
tutti e due insistenti. Jeff
voleva invitarla a cena.
Donovan aveva bisogno
del suo parere, così diceva,
perché
entrambi
rappresentavano
Buddy
Ryzer.
Samantha
si
rendeva
conto
della
crescente frustrazione di
Donovan a causa dei suoi
amici-colleghi, nessuno dei
quali dava segni di
entusiasmo alla proposta
di scontrarsi con Casper
Slate. Più di una volta,
Donovan disse che avrebbe
lavorato da solista, se fosse
stato
necessario.
“Più
onorari per me.” Era
ossessionato dal caso e
parlava con Marshall Kofer
tutti i giorni. Con loro
sorpresa,
Marshall
mantenne ciò che aveva
promesso: trovò i soldi. Un
litigation fund offriva una
linea di credito fino a due
milioni in cambio del
trenta per cento del
risarcimento.
Donovan ricominciò a
fare pressione su Samantha
perché andasse a lavorare
da lui. Tra non molto il
caso Hammer Valley e il
caso
Tate
avrebbero
richiesto moltissimo tempo
e lavoro, e lui aveva
bisogno di aiuto. Era ferma
opinione di Samantha che
Donovan avesse bisogno
di un intero staff di
associati, non solo di una
stagista part-time. Quando
Donovan
si
accordò
verbalmente sul caso Tate
per
un
milione
e
settecentomila dollari, le
propose un impiego a
tempo pieno con uno
stipendio
generoso.
Samantha
rifiutò,
di
nuovo. Gli ricordò che: a)
era ancora molto diffidente
nei confronti delle cause
per danni e non stava
cercando un impiego; b) lei
era solo di passaggio, più o
meno in prestito finché a
New York non si fosse
posata la polvere, dopo di
che avrebbe pensato alla
fase successiva della sua
vita, una fase che non
avrebbe avuto niente a che
fare con Brady, Virginia; c)
aveva preso un impegno
con il centro di assistenza
legale gratuita e aveva veri
clienti
che
avevano
bisogno di lei. Quello che
non gli disse, fu che lui e il
suo stile da cowboy
nell’esercizio
della
professione
la
spaventavano.
Era
convinta che Donovan, o
qualcuno che lavorava per
lui,
avesse
rubato
importanti documenti alla
Krull Mining e che questo
sarebbe
inevitabilmente
saltato fuori. Donovan non
aveva paura di infrangere
regole e leggi, e non
esitava a violare ordinanze
della corte. Era spinto
dall’odio, bruciava dal
desiderio di vendetta e,
almeno
a
parere
di
Samantha, era sulla strada
giusta per cacciarsi in guai
seri. Inoltre, suo malgrado,
Samantha
doveva
ammettere
di
sentirsi
vulnerabile
nei
suoi
confronti. Tra loro due una
storia
sarebbe
potuta
divampare senza troppi
sforzi, e questo sarebbe
stato un errore terribile.
Ciò di cui lei aveva
bisogno, era trascorrere
meno tempo in compagnia
di Donovan Gray, non più
tempo.
Non sapeva bene come
gestire Jeff, che era
giovane, single e sexy: una
rarità da quelle parti.
Inoltre le stava facendo
una
corte
serrata
e
Samantha sapeva già che
la cena, sempre che si
potesse trovare un posto
per una cena carina,
avrebbe
portato
a
qualcos’altro. Dopo tre
settimane a Brady, l’idea
cominciava a piacerle.
Il 12 novembre Donovan,
sempre senza colleghi
associati alla causa, entrò a
passo deciso nel tribunale
federale di Lexington,
Kentucky – città dove
aveva sede uno studio
legale di ottocento avvocati
ufficialmente noto come
Casper, Slate & Huges –, e
depositò
la
citazione
contro i bastardi. Fece
causa anche alla Lonerock
Coal, una società del
Nevada. Buddy e Mavis
erano con Donovan il
quale, naturalmente, aveva
avvisato la stampa. I tre
chiacchierarono con alcuni
giornalisti e uno di loro
chiese come mai gli atti
fossero stati depositati a
Lexington.
Donovan
spiegò
che
voleva
smascherare Casper Slate
davanti
ai
suoi
concittadini. Voleva la
scena del delitto. La
stampa si scatenò con
quella storia e Donovan
raccolse i ritagli dei
giornali.
Due settimane prima, a
Charleston,
aveva
depositato
l’atto
di
citazione Hammer Valley
contro Krull Mining e la
notizia aveva avuto una
copertura regionale.
Due settimane prima
ancora, aveva vinto il caso
Tate con un verdetto
spettacolare e il suo nome
era comparso su diversi
giornali.
Il 24 novembre, tre
giorni
prima
di
Thanksgiving, lo trovarono
morto.
23
L’incubo cominciò a metà
mattina di lunedì, mentre
le tre avvocatesse stavano
lavorando tranquille alle
loro scrivanie, senza clienti
all’orizzonte. Il silenzio
venne infranto dall’urlo di
Mattie,
un
penetrante
grido di dolore che
Samantha non avrebbe mai
dimenticato. Corsero tutte
nell’ufficio di Mattie. «È
morto!» gemette. «È morto!
Donovan è morto!» Era in
piedi, con una mano sulla
fronte
e
l’altra
che
stringeva il telefono a
mezz’aria. La bocca era
aperta, gli occhi pieni di
terrore. «Cosa?!» gridò
Annette.
«Lo
hanno
appena
trovato. Il suo aereo è
precipitato. È morto.»
Annette crollò su una
sedia
e
cominciò
a
singhiozzare. Samantha e
Mattie si fissarono negli
occhi, entrambe per un
secondo
incapaci
di
parlare. Barb era sulla
soglia, con le mani sulla
bocca.
Samantha
finalmente si mosse e
afferrò il telefono. «Chi è?»
chiese.
«Jeff» rispose Mattie,
mentre
si
sedeva
lentamente e si nascondeva
il volto fra le mani.
Samantha disse qualcosa al
telefono, ma in linea non
c’era più nessuno. Sentì
cederle le ginocchia e si
lasciò cadere su una sedia.
Barb collassò su un’altra.
Passò un momento, un
momento carico di paura,
shock e incertezza. Poteva
trattarsi di un errore? No,
non se l’unico fratello di
Donovan
telefonava
all’amata
zia
per
comunicarle la peggiore
notizia possibile. No, non
era un errore o uno
scherzo: era l’incredibile
verità. Il telefono squillò di
nuovo mentre le spie
ammiccanti di tutte e tre le
linee segnalavano che la
notizia
si
stava
diffondendo velocemente
in tutta la città.
Mattie deglutì. «Jeff ha
detto che ieri Donovan era
volato a Charleston per
incontrare alcuni colleghi.
Jeff era fuori città per il
weekend e Donovan era da
solo. Il controllo del
traffico aereo ha perso il
contatto con lui verso le
undici
di
ieri
sera.
Qualcuno a terra ha sentito
un boato e questa mattina
hanno trovato l’aereo in un
bosco, pochi chilometri a
sud
di
Pikeville,
Kentucky.» La voce le
venne a mancare e chinò la
testa.
Annette
stava
mormorando: «Non ci
posso credere. Non ci
posso credere». Samantha
era senza parole. Barb era
un disastro balbettante.
Continuarono a piangere
per
qualche
minuto,
cercando di assimilare ciò
che stava succedendo. Si
calmarono un po’ quando
il primo accenno di realtà
prese piede. Samantha uscì
dalla stanza e andò a
chiudere
la
porta
d’ingresso.
Passò
in
silenzio da un ufficio
all’altro, chiudendo tende
e
persiane.
L’oscurità
inghiottì lo studio.
Rimasero sedute con
Mattie
mentre
in
lontananza
i
telefoni
continuavano a squillare e
gli orologi sembravano
essersi fermati. Chester,
usando la sua chiave, entrò
dalla porta sul retro e si
unì alla veglia. Si sedette
sul bordo della scrivania,
dando colpetti gentili sulla
spalla della moglie, che
continuava a piangere
mormorando tra sé.
A bassa voce, Chester le
chiese: «Hai parlato con
Judy?».
Mattie scosse la testa.
«No. Jeff ha detto che le
avrebbe telefonato lui.»
«Povero Jeff. Dov’è?»
«Era a Pikeville, a
occuparsi
di
tutto,
qualunque cosa significhi.
Non stava troppo bene.»
Qualche minuto più
tardi,
Chester
disse:
«Andiamo a casa, Mattie.
Hai bisogno di distenderti.
Tanto qui oggi non
lavorerà nessuno».
Samantha chiuse la porta
del suo ufficio e si lasciò
cadere sulla poltroncina.
Era troppo stordita per
pensare a qualsiasi altra
cosa, così fissò a lungo la
finestra
e
cercò
di
organizzare
i
propri
pensieri. Non ci riuscì e
all’improvviso si sentì
travolgere dal desiderio di
scappare da Brady, da
Noland County e dagli
Appalachi, e forse di non
tornarci mai più. Era la
settimana di Thanksgiving
e aveva avuto comunque
in programma di partire,
andare a Washington e
passare un po’ di tempo
con i genitori e magari
qualche amico. Mattie
l’aveva invitata a casa sua
per
il
pranzo
di
Thanksgiving,
ma
lei
aveva già declinato.
Davvero uno splendido
Thanksgiving. Ciò che li
aspettava era un funerale.
Il cellulare vibrò. Era
Jeff.
Erano le quattro e mezzo
del pomeriggio e Jeff
sedeva a un tavolo da
picnic in una remota area
panoramica nei pressi di
Knox, a Curry County. Il
suo
pick-up
era
parcheggiato poco lontano
e lui era solo, come
previsto. Non si voltò per
vedere se era Samantha,
non si mosse mentre lei gli
si avvicinava camminando
sulla ghiaia. Aveva lo
sguardo fisso, perso in un
mondo di pensieri confusi.
Samantha gli diede un
bacio sulla guancia e gli
disse: «Mi dispiace tanto».
«Anche a me.» Jeff riuscì
a produrre un rapido
sorriso, così sforzato che
durò appena un secondo.
Samantha gli si sedette
accanto e lui le prese la
mano. Ginocchio contro
ginocchio, guardarono in
silenzio le colline sotto di
loro. Non ci furono lacrime
e le parole furono poche,
all’inizio. Jeff era un duro,
troppo macho per essere
meno che stoico. Samantha
sospettava che avrebbe
pianto
da
solo.
Abbandonato dal padre,
orfano di madre e ora la
morte lo aveva derubato
dell’unica persona alla
quale avesse mai voluto
davvero bene. Samantha
non riusciva neppure a
immaginare
la
sua
angoscia in quel momento
terribile. Lei stessa si
sentiva come se avesse
avuto una specie di buco
nello stomaco, e aveva
frequentato Donovan per
meno di due mesi.
«Tu sai che lo hanno
ucciso loro» disse Jeff,
mettendo finalmente in
parole ciò su cui si erano
interrogati per tutto il
giorno.
«Chi
sono
loro?»
domandò Samantha.
«Chi sono? I cattivi, e ce
ne sono tantissimi. Sono
spietati e calcolatori, e per
loro uccidere non è un
problema.
Uccidono
i
minatori
con
miniere
pericolose. Uccidono la
gente di montagna con
l’acqua
inquinata.
Uccidono i bambini che
dormono tranquilli nel
loro caravan. Uccidono
intere comunità quando le
loro dighe cedono e i
fanghi tossici invadono le
valli. Hanno ucciso mia
madre. Anni fa uccidevano
i
sindacalisti
che
scioperavano per avere
salari migliori. E dubito
che mio fratello sia il
primo avvocato che hanno
ucciso.»
«Puoi dimostrarlo?»
«Non lo so, ma ci
proveremo.
Questa
mattina ero a Pikeville... ho
dovuto
identificare
il
cadavere... e sono andato a
parlare con lo sceriffo. Gli
ho detto che sospetto un
omicidio e che l’aereo deve
essere trattato come scena
del crimine. Ho già
avvertito i federali. L’aereo
non si è incendiato, è solo
precipitato. Non credo che
Donovan abbia sofferto.
Immagina
di
dover
identificare il cadavere di
tuo fratello.»
Le spalle di Samantha si
abbassarono
a
quel
pensiero. Scosse la testa.
Jeff emise un grugnito e
proseguì: «Era all’obitorio,
proprio come si vede in
televisione. Aprono lo
sportello, lo tirano fuori e
sollevano
il
lenzuolo
bianco. Stavo quasi per
vomitare. Aveva il cranio
fracassato».
«Basta
così»
disse
Samantha.
«Sì,
basta
così.
Suppongo che nella vita ci
siano
cose
che
non
penseresti mai di dover
fare. E dopo che le hai fatte
giuri a te stesso che non
succederà mai più. La
maggior parte della gente
non passa forse tutta la
vita
senza
dover
identificare un cadavere?»
«Parliamo
di
qualcos’altro.»
«Okay, buona idea. Di
cosa vuoi che parliamo?»
«Come
farai
a
dimostrare che è stato un
delitto?»
«Assumeremo
degli
esperti che esamineranno
l’aereo dall’elica alla coda.
La National Transportation
Safety Board controllerà le
comunicazioni via radio
per vedere cosa stava
succedendo subito prima
dell’incidente. Metteremo
insieme tutti i pezzi e
vedremo di capire. Una
sera limpida, condizioni
meteo perfette, un pilota
esperto con tremila ore di
volo, uno degli aerei più
sicuri della storia: non ha
senso pensare a qualcosa
di diverso. Immagino che
alla fine Donovan avesse
rotto le palle alle persone
sbagliate.»
Da est arrivò una folata
fredda che sparpagliò le
foglie. Samantha e Jeff si
rannicchiarono
stringendosi l’una all’altro
come vecchi amanti, cosa
che non erano. Né vecchi,
né nuovi, se è per questo.
Erano usciti a cena insieme
due volte, niente di più.
L’ultima cosa di cui
Samantha aveva bisogno
era una complicata storia
d’amore con una precisa
data di scadenza. Non era
ben sicura di cosa volesse
Jeff. Passava molto tempo
lontano da Brady, e lei
sospettava che potesse
entrarci una donna. Non
avevano assolutamente un
futuro insieme. Forse il
presente poteva essere
divertente: un po’ di sesso
senza problemi, un po’ di
capriole,
un
po’
di
compagnia nelle notti
fredde, ma Samantha non
aveva
intenzione
di
precipitare le cose.
Jeff riprese a parlare:
«Sai,
avevo
sempre
pensato che il giorno più
brutto della mia vita fosse
stato quello in cui zia
Mattie entrò in aula a
scuola e mi disse che mia
madre era morta. Avevo
nove anni. Ma questo è
peggio, molto peggio. Sono
stordito, così tramortito
che potresti conficcarmi
dei coltelli in corpo e io
non sentirei niente. Vorrei
essere stato con lui».
«No, non dire così. Una
perdita è già abbastanza.»
«Non
riesco
a
immaginare la mia vita
senza Donovan. Eravamo
praticamente orfani, sai,
siamo stati cresciuti da
parenti in città diverse. Lui
mi ha sempre seguito,
sostenuto. Io mi sono
cacciato in parecchi guai,
ma non ho mai avuto
paura dei parenti, degli
insegnanti, dei poliziotti e
neppure
dei
giudici.
Avevo paura di Donovan,
e non in senso fisico.
Avevo paura di deluderlo.
L’ultima volta che sono
finito in tribunale avevo
diciannove anni, lui aveva
appena finito la scuola di
legge. Mi avevano beccato
con un po’ di erba, una
piccola quantità che avevo
effettivamente intenzione
di vendere, ma loro non lo
sapevano. Il giudice ebbe
la mano leggera: qualche
mese nel carcere di contea,
niente
di
serio.
Avvicinandomi al banco
del giudice, mi voltai e
guardai l’aula. Vidi mio
fratello, in piedi di fianco a
zia Mattie, con le lacrime
agli occhi. Non lo avevo
mai visto piangere. A quel
punto piansi anch’io e dissi
al giudice che non avrebbe
mai più rivisto la mia
faccia. E così è stato. Da
allora ho preso solo una
multa per eccesso di
velocità.» La voce si
incrinò
leggermente
mentre si stringeva il naso
tra le dita. Ma ancora
niente lacrime. «Donovan
era mio fratello, il mio
migliore amico, il mio eroe,
il mio capo, il mio
confidente. Era il mio
mondo. Non so cosa farò
adesso.»
Samantha stava per
mettersi
a
piangere.
“Ascoltalo e basta” si
disse. “Ha bisogno di
parlare.”
«Io li troverò, Samantha,
hai capito? Dovesse volerci
ogni centesimo che ho e
ogni centesimo che dovrò
rubare, li troverò e mi
vendicherò. Donovan non
aveva paura di morire, e
non ho paura neppure io.
Spero
che
loro
ce
l’abbiano.»
«Chi è il tuo sospettato
numero uno?»
«La
Krull
Mining,
direi.»
«E questo a causa dei
documenti?»
Jeff si voltò e le lanciò
un’occhiata. «Come fai a
sapere dei documenti?»
«Un sabato Donovan e
io siamo volati a Hammer
Valley. Abbiamo pranzato
con Vic a Rockville. Loro
due hanno parlato della
Krull Mining e si sono
lasciati sfuggire qualcosa.»
«Mi
sorprende.
Donovan di solito era più
cauto.»
«La Krull Mining sa che
tuo fratello aveva quei
documenti?»
«Sanno che non si
trovano
e
sospettano
fortemente che siano in
mano
nostra.
Quei
documenti sono letali,
avvelenati e meravigliosi.»
«Tu li hai visti?»
Jeff esitò a lungo, poi
disse: «Sì, li ho visti e so
dove sono. Non puoi
neppure immaginare cosa
c’è in quelle carte. Nessuno
potrebbe.»
Rimase
in
silenzio per un momento,
come se sentisse il dovere
di tacere, ma allo stesso
tempo volesse parlare. Se
Donovan si era fidato così
tanto di Samantha, forse
poteva fidarsi anche lui.
Riprese a parlare: «C’è un
memo dell’amministratore
delegato di Pittsburgh al
quartier generale a Londra
in cui si stimano in ottanta
milioni di dollari i costi per
risanare il disastro di Peck
Mountain. Gli eventuali
risarcimenti alle famiglie
colpite
dal
cancro
venivano valutati in un
massimo di appena dieci
milioni,
stando
abbondanti. All’epoca le
cause per risarcimento
danni non erano ancora
state intentate, e non c’era
alcuna
certezza
che
sarebbe mai successo. Per
cui era di gran lunga più
vantaggioso lasciare che la
gente bevesse l’acqua,
morisse di cancro e poi
magari versare qualche
dollaro
in
accordi
stragiudiziali,
piuttosto
che bloccare le infiltrazioni
del bacino di fanghiglia».
«E
dov’è
questo
memo?»
«Insieme a tutto il resto.
Ventimila
pagine
di
documenti
in
quattro
scatoloni, nascosti in un
posto sicuro.»
«Da qualche parte qui
vicino?»
«Non lontano da dove ci
troviamo.
Non
posso
dirtelo perché è troppo
pericoloso.»
«Non dirmelo. Tutto a
un tratto so più di quello
che voglio sapere.»
Jeff le lasciò la mano e si
alzò dal tavolo da picnic. Si
chinò e raccolse una
manciata di sassolini, che
cominciò a scagliare nel
burrone
sottostante,
mormorando qualcosa che
Samantha non riuscì a
capire. Raccolse un’altra
manciata, poi una terza,
lanciando i sassolini verso
nulla in particolare. Si
stavano formando ombre e
c’erano nuvole che si
avvicinavano.
Jeff tornò al tavolo, si
fermò accanto a Samantha
e disse: «Però c’è una cosa
che
devi
sapere.
Probabilmente sei sotto
controllo: il tuo telefono in
ufficio, forse una cimice o
due nel tuo appartamento.
La
settimana
scorsa
abbiamo fatto venire un
tizio a setacciare di nuovo
lo studio di Donovan e,
ovviamente, c’erano cimici
dappertutto. Perciò stai
attenta a quello che dici:
qualcuno
ti
sta
ascoltando».
«Stai scherzando, vero?»
«Per qualche strana
ragione, Samantha, oggi
non
sono
dell’umore
giusto per scherzare.»
«Va bene, scusami. Ma
perché io?»
«Ci tengono d’occhio, in
particolare
tenevano
d’occhio Donovan. Da anni
viveva
partendo
dal
presupposto di essere
ascoltato. Probabilmente è
questa la ragione per cui
ieri era volato a Charleston
per parlare faccia a faccia
con i colleghi: si riunivano
sempre in una camera
d’hotel,
lontani
dalla
sorveglianza.
Quei
criminali ti hanno vista
passare molto tempo con
noi. Hanno tutti i soldi del
mondo e quindi sono in
grado
di
sorvegliare
chiunque vada o venga,
specie un nuovo avvocato
in città.»
«Non so cosa dire. Ho
parlato con mio padre di
disastri aerei per tutto il
pomeriggio.»
«Da quale telefono?»
«Tutti e due: ufficio e
cellulare.»
«Stai attenta in ufficio.
Usa solo il cellulare. Forse
dovremmo cominciare a
servirci
di
cellulari
prepagati.»
«Non ci posso credere.»
Jeff si sedette accanto a
Samantha, le prese la mano
e si tirò su il colletto della
giacca. Il sole stava
scendendo
dietro
le
montagne e la brezza si era
fatta più sostenuta. Con la
mano sinistra, Jeff si
asciugò lentamente una
lacrima sulla guancia.
Quando parlò, lo fece con
voce rauca e incerta.
«Ricordo che quando morì
mia madre non riuscivo a
smettere di piangere.»
«Piangere fa bene, Jeff.»
«Be’, se non piango per
mio fratello, credo che non
piangerò per nessuno.»
«Prova. Potrebbe farti
sentire meglio.»
Jeff rimase in silenzio
per qualche minuto, ma
senza piangere. Si strinsero
ancora di più l’uno all’altra
mentre
l’oscurità
avvolgeva tutto e il vento
andava e veniva. Dopo
una
lunga
pausa,
Samantha disse: «Oggi
pomeriggio ho parlato con
mio padre. Anche lui è
devastato. In un mese o
poco più, con Donovan
erano diventati grandi
amici. Papà lo ammirava
moltissimo.
Sai,
lui
conosce tutti in quel
particolare settore e può
trovare gli esperti giusti
per analizzare l’incidente.
Ha detto che nel corso
degli anni si è occupato di
numerosi incidenti mortali
in cui erano coinvolti
piccoli aerei».
«Qualcuno
provocato
deliberatamente?»
«In effetti, sì. Due. Uno
in Idaho e uno in
Colombia. Se conosco bene
mio padre, in questo
momento è al telefono e al
computer, a cercare esperti
in disastri di piccoli
Cessna. Ha detto che in
questo momento la cosa
essenziale è accertarsi che
l’aereo sia al sicuro.»
«Lo è.»
«In ogni caso Marshall
Kofer è pronto a darsi da
fare, se avremo bisogno di
lui.»
«Grazie. Mi piace tuo
padre.»
«Anche a me, quasi
sempre.»
«Io ho freddo, e tu?»
«Sì.»
«E dobbiamo andare da
Mattie, vero?»
«Credo di sì.»
Dato che era rimasto ben
poco della famiglia Gray e
che la casa era stata
distrutta anni prima, torte
e pirofile dovevano essere
consegnate da qualche
altra parte. L’abitazione di
Mattie era la scelta più
logica. Il cibo cominciò ad
arrivare
nel
tardo
pomeriggio e, con esso,
una lunga visita di chi lo
aveva cucinato. Vennero
versate lacrime, espresse
condoglianze,
formulate
promesse di ogni aiuto
possibile e, cosa più
importante, sviscerati i
particolari. Gli uomini
ciondolavano in veranda e
di fianco al vialetto
d’accesso,
fumando,
chiacchierando
e
chiedendosi
cosa
effettivamente
avesse
causato l’incidente. Un
guasto
al
motore?
Donovan era finito fuori
rotta? Qualcuno disse che
non aveva lanciato il
“mayday,”
il
segnale
universale di difficoltà dei
piloti. Questo cosa poteva
significare? La maggior
parte di quegli uomini
aveva volato solo una o
due volte in tutta la vita,
alcuni mai, ma tale
inesperienza non influiva
sul dibattito. Dentro casa,
le donne organizzavano la
marea di cibo in arrivo,
spesso con piccoli assaggi
per un rapido test di
qualità,
mentre
si
prendevano cura di Mattie
e analizzavano ad alta voce
la
situazione
del
matrimonio di Donovan e
Judy, una giovane donna
che non aveva mai trovato
il proprio posto a Brady,
ma che in quel momento
veniva
ricordata
con
sconfinato affetto.
Judy e Mattie alla fine
avevano
trovato
un
accordo. Judy avrebbe
preferito aspettare fino al
sabato per una cerimonia
di commemorazione, ma
Mattie riteneva sbagliato
costringere la gente a
trascorrere un penoso
Thanksgiving
con
la
prospettiva di un impegno
così
malinconico.
Osservando tutto dalla
maggior
distanza
possibile, Samantha stava
imparando
che
le
tradizioni erano importanti
negli Appalachi, e che non
c’era alcuna fretta di
seppellire il defunto. Dopo
sei anni a New York, si era
abituata a rapidi commiati
in modo che i vivi
potessero
riprendere
subito vita e lavoro. Anche
Mattie
era
sembrata
ansiosa di velocizzare le
cose e alla fine aveva
convinto Judy a tenere la
funzione
il
mercoledì
pomeriggio.
Donovan
sarebbe già stato sottoterra
giovedì mattina, quando la
gente si sarebbe svegliata
nel giorno di festa.
United
Methodist
Church,
ore
sedici,
mercoledì 26 novembre,
con successiva sepoltura
nel cimitero dietro la
chiesa. Donovan e Judy
erano stati membri della
congregazione, anche se da
anni non frequentavano
più la chiesa.
Jeff avrebbe voluto
seppellire suo fratello a
Gray Mountain, ma a Judy
l’idea non era piaciuta. Jeff
non era simpatico a Judy e
l’avversione era reciproca.
Quale moglie di Donovan,
Judy
aveva
autorità
assoluta
sull’organizzazione.
Era
una tradizione, non una
legge, e tutti la capivano,
Jeff compreso.
Quel
lunedì
sera
Samantha si trattenne a
casa di Mattie per un’ora,
ma si stancò presto del
rituale consistente nello
starsene a sedere con gli
altri, spiluccare i piatti che
coprivano il tavolo della
cucina
e
uscire
un
momento per una boccata
di aria fresca. Si stancò
delle chiacchiere inutili di
gente che conosceva bene
Mattie e Chester, ma non il
loro nipote. Si stancò dei
pettegolezzi e delle ipotesi.
La divertì la velocità con
cui la cittadina si era
impossessata
della
tragedia,
decisa
a
esprimersi al massimo, ma
il
divertimento
si
trasformò
presto
in
frustrazione.
Anche Jeff sembrava
annoiato e frustrato. Dopo
essere stato abbracciato e
commiserato da grasse
signore che quasi non
conosceva,
scomparve
silenziosamente.
Baciò
Samantha sulla guancia e
disse che aveva bisogno di
stare un po’ da solo. Poco
dopo se ne andò anche
Samantha, che attraversò a
piedi la cittadina tranquilla
e tornò a casa. Annette la
invitò da lei e le due donne
bevvero tè nel soggiorno
buio fino a mezzanotte,
parlando solo di Donovan
Gray.
Prima
dell’alba,
Samantha
era
già
sveglissima e sorseggiava
caffè
navigando
in
internet. Il quotidiano di
Roanoke pubblicava un
breve
articolo
sull’incidente, ma non
c’erano novità. Donovan
veniva descritto come un
devoto paladino dei diritti
dei
minatori
e
dei
proprietari terrieri. Veniva
citato il verdetto Tate e si
parlava anche della causa
Hammer Valley contro
Krull Mining e della causa
Ryzer contro Lonerock
Coal e i suoi avvocati. Un
collega e amico del West
Virginia
descriveva
Donovan
come
“un
coraggioso protettore della
primitiva bellezza degli
Appalachi” e “un leale
nemico di ostinate società
del carbone”. Non si
faceva alcun cenno a un
possibile atto doloso. Tutte
le agenzie competenti
stavano
svolgendo
indagini
sull’incidente.
Donovan
Gray
aveva
appena
compiuto
trentanove anni e lasciava
una moglie e una figlia.
Marshall
telefonò
presto,
chiedendo
di
sapere del funerale. Si offrì
di raggiungere Samantha e
di starle vicino durante la
funzione, ma lei rispose:
no, grazie. Suo padre
aveva passato la maggior
parte del lunedì dandosi
da
fare
al
telefono,
cercando
di
ottenere
quante più informazioni
riservate
possibile.
Promise che avrebbe avuto
“qualcosa”
quando
si
sarebbero
visti,
pochi
giorni dopo. Avrebbero
discusso anche del caso
Ryzer, ora nel limbo per
ovvie ragioni.
La Legal Aid Clinic
sembrava un’agenzia di
pompe funebri, buia, triste
e senza alcuna prospettiva
di una giornata piacevole.
Barb appese una corona di
fiori alla porta, che poi
chiuse a chiave. Mattie
rimase a casa e il resto
dello staff avrebbe dovuto
fare
lo
stesso.
Gli
appuntamenti
vennero
annullati e le telefonate
ignorate. La Mountain
Legal Aid Clinic non era
operativa.
Né lo era lo studio
legale di Donovan M.
Gray, distante tre isolati in
Main Street. Alla porta
chiusa a chiave era appesa
un’identica corona di fiori.
All’interno, Jeff discuteva
con la segretaria e il
paralegale cercando di fare
il punto della situazione. I
tre
erano
gli
unici
impiegati rimasti dello
studio, uno studio che
adesso era morto.
24
Una morte tragica, un
avvocato molto conosciuto,
l’ingresso
libero,
una
comunità impicciona, un
altro noioso mercoledì
pomeriggio:
se
si
mescolano tutti questi
ingredienti non stupirà che
la
chiesa
fosse
già
stracolma ben prima delle
sedici, ora in cui il
reverendo Condry si alzò
in piedi per dare inizio alla
cerimonia. Cominciò con
un’ampollosa preghiera e
si sedette di nuovo quando
il coro attaccò il primo di
molti canti funebri. Tornò
ad alzarsi per un po’ di
Sacre Scritture e un paio di
cupe
riflessioni
sconclusionate. La prima
orazione funebre fu di
Mattie, che lottò per
controllare
l’emozione
mentre parlava del nipote.
Dimostrò di essere capace
di parlare piangendo e, in
vari momenti, riuscì a far
piangere tutti gli altri
insieme a lei. Quando
raccontò del giorno in cui
Donovan aveva trovato il
cadavere della madre, la
sua cara sorella Rose, la
voce le si incrinò e tacque
per un momento. Deglutì a
fatica e riprese a parlare
con difficoltà.
Samantha era seduta in
quinta fila tra Barb e
Annette, e tutte e tre
avevano in mano fazzoletti
di carta con cui si
tamponavano le guance. E
tutte e tre pensavano la
stessa cosa: “Forza, Mattie,
puoi farcela. Ma adesso
chiudi”. Mattie, però, non
aveva fretta. Quella era
l’unica cerimonia di addio
a Donovan e nessuno
doveva avere fretta.
La bara chiusa era ai
piedi del pulpito, coperta
di fiori. Annette aveva
sussurrato che, da quelle
parti, molti funerali si
svolgevano con la cassa
aperta, in modo che i
dolenti fossero tenuti a
vedere
il
defunto
e
contemporaneamente
farne grandi elogi. Era una
vecchia tradizione, pensata
per rendere il momento
ancora più drammatico del
dovuto. Annette aveva
detto che intendeva farsi
cremare. Samantha aveva
confessato di non avere
ancora
preso
in
considerazione le varie
opzioni.
Fortunatamente
Judy
aveva avuto il buon senso
di non permettere uno
spettacolo del genere. Era
seduta con la figlia in
prima fila, a un paio di
metri dalla bara. Come
annunciato, era bellissima,
una bruna slanciata con gli
occhi scuri come quelli di
Donovan.
Sua
figlia,
Haley, aveva sei anni e
stava ancora soffrendo per
la separazione dei genitori.
Ora era completamente
distrutta dalla morte del
padre. Stretta a sua madre,
non smise mai di piangere.
Samantha
aveva
caricato l’auto, che aveva il
muso già puntato a nord.
Desiderava
disperatamente andarsene
da Brady e precipitarsi a
Washington, a casa di sua
madre, che le aveva
promesso di aspettarla con
del sushi e una bella
bottiglia di Chablis. Il
giorno
dopo,
Thanksgiving, avrebbero
dormito fino a tardi e poi si
sarebbero concesse un
lungo pranzo in un kebab
afgano, che nei giorni di
festa era sempre affollato
di americani ai quali non
piaceva il tacchino, o che
volevano tenersi alla larga
dalla famiglia.
Mattie
finalmente
cedette a un’ondata di
emozioni. Si scusò e andò a
sedersi. Un altro inno.
Qualche altra osservazione
del reverendo Condry,
tratta
dalla
saggezza
dell’apostolo Paolo. E
un’altra lunga orazione
funebre, questa volta di un
caro amico di Donovan fin
dai tempi della scuola di
legge al William & Mary.
Dopo un’ora, i pianti erano
quasi finiti e la gente era
pronta
ad
andarsene.
Quando
il
reverendo
chiuse la cerimonia con la
benedizione,
tutti
i
presenti
uscirono.
La
maggior parte di loro andò
dietro la chiesa e poi si
raccolse intorno a una
tenda
color
porpora
accanto alla fossa. Il
reverendo fu conciso. Le
sue
osservazioni
sembrarono improvvisate,
ma comunque adeguate.
Pregò con eloquenza e,
quando si avvicinò alla
conclusione,
Samantha
cominciò ad allontanarsi
cautamente. Era tradizione
che tutti sfilassero davanti
alla famiglia del defunto
per pronunciare qualche
parola di conforto, ma
Samantha ne aveva già
avuto abbastanza.
Abbastanza
delle
usanze locali. Abbastanza
di Brady. Abbastanza dei
fratelli Gray, di tutto il loro
dramma e del loro passato.
Con il serbatoio pieno e la
vescica vuota, Samantha
guidò determinata per
cinque ore senza fermarsi
fino all’appartamento di
sua madre, in centro a
Washington. Per alcuni
istanti rimase ferma sul
marciapiede di fianco
all’auto
per
assorbire
visioni e suoni, il traffico e
la
confusione,
e
la
prossimità di tante persone
che vivevano così vicine
l’una all’altra. Era quello il
suo
mondo.
Sentiva
moltissimo la mancanza di
SoHo
e
dell’energia
frenetica della grande città.
Karen
era
già
in
pigiama. Samantha disfece
velocemente il bagaglio e
si cambiò. Per due ore,
sedute sui grandi cuscini
del soggiorno, mangiarono
e
sorseggiarono
vino,
ridendo e parlando allo
stesso tempo.
Il
fondo
che
aveva
promesso di finanziare la
causa
per
frode
e
associazione
per
delinquere
contro
la
Lonerock Coal e Casper
Slate si era già defilato.
L’affare
era
sfumato.
Donovan aveva intentato
la causa da pistolero
solitario, con la promessa
che
altri
avvocati
sarebbero presto saltati a
bordo per formare una
squadra
di
prima
categoria. Adesso, però,
con Donovan morto e i
suoi colleghi che correvano
a nascondersi, il caso non
sarebbe andato da nessuna
parte. Marshall Kofer era
enormemente
frustrato
dalla situazione. Quella era
una “causa stupenda”, una
che lui avrebbe colto al
volo in un istante, se solo
avesse potuto.
Non
intendeva
rinunciare.
Spiegò
a
Samantha
che
stava
presentando il caso alla
sua vasta rete di contatti
da costa a costa e che
contava di riuscire a
mettere insieme la giusta
squadra di avvocati, una
squadra
che
avrebbe
ottenuto i fondi sufficienti
da un altro gruppo
d’investitori. Era pronto a
metterci anche soldi suoi e
ad assumere un ruolo
attivo nella causa. Si
vedeva come l’allenatore a
bordo campo, quello che
dettava lo schema di gioco
al quarterback.
Era il giorno dopo
Thanksgiving, e Marshall e
Samantha erano a pranzo.
Samantha
avrebbe
preferito evitare argomenti
riguardanti cause legali,
Donovan, il caso Ryzer, la
Lonerock Coal e simili, in
realtà qualunque cosa
avesse a che fare con
Brady, la Virginia e gli
Appalachi. Ma, mentre
giocherellava con la sua
insalata, si rese conto che
avrebbe dovuto essere
grata per la causa. Senza,
lei e suo padre avrebbero
avuto molto poco di cui
discutere. Con la causa,
potevano chiacchierare per
ore.
Marshall
parlava
sottovoce, con gli occhi che
saettavano a destra e a
sinistra
come
se
il
ristorante potesse essere
pieno di spie. «Ho una
fonte all’NTSB » annunciò,
compiaciuto come sempre
quando riusciva a carpire
qualche
informazione
riservata. «Donovan non
ha lanciato l’SOS . Stava
volando a duemila metri in
condizioni meteo normali,
nessun segno di problemi e
poi, tutto a un tratto, è
scomparso dal radar. Se
avesse avuto qualcosa al
motore, avrebbe avuto
tutto il tempo di dirlo e
comunicare la sua esatta
posizione.
E
invece
niente.»
«Forse era in preda al
panico» osservò Samantha.
«Di sicuro era in preda
al panico. L’aereo comincia
a
perdere
quota...
accidenti, chiunque si fa
prendere dal panico.»
«Possono determinare
se aveva inserito il pilota
automatico?»
«No. I piccoli aerei non
hanno la scatola nera, per
cui non ci sono dati
registrati di quello che
stava succedendo. Perché
chiedi
del
pilota
automatico?»
«Perché
una
volta,
mentre eravamo in volo,
Donovan mi aveva detto
che ogni tanto faceva un
pisolino. Il ronzio del
motore gli faceva venire
sonno, così inseriva il
pilota
automatico
e
sonnecchiava un po’. Non
sono sicura di come lo si
attivi, ma se Donovan si
fosse addormentato e in
qualche
modo
avesse
premuto
il
pulsante
sbagliato? È possibile?»
«Sono tante le cose
possibili, Samantha, e la
tua teoria mi piace di più
dello scenario doloso. Mi è
difficile credere che l’aereo
sia stato sabotato. Sarebbe
omicidio, di gran lunga
troppo rischioso perfino
per i cattivi con cui
Donovan aveva a che fare.
Lonerock
Coal,
Krull
Mining, Casper Slate... tutti
pessimi soggetti, certo, ma
correrebbero il rischio di
commettere un omicidio e
di essere scoperti? Io non
credo. Sarebbe un caso di
alto profilo, oggetto di
indagini
approfondite.
Non mi convince.»
«Be’, di sicuro convince
Jeff.»
«Lui ha una diversa
prospettiva e lo posso
capire. Jeff ha tutta la mia
comprensione. Ma cosa ci
guadagna quella gente a
togliere
di
mezzo
Donovan? Nella causa
Krull Mining, ci sono altri
tre studi legali al tavolo
degli attori e tutti e tre,
potrei aggiungere, con
molta più esperienza di
Donovan in materia di
cause per inquinamento.»
«Ma Donovan aveva i
documenti.»
Marshall rifletté per un
momento. «Gli altri tre
studi sono in possesso di
quei documenti?»
«Non
credo.
Ho
l’impressione che siano
sepolti da qualche parte.»
«Be’, in ogni caso la
Krull non lo sa, comunque
non ancora. In effetti, se io
fossi un legale della Krull,
partirei dal presupposto
che tutti gli avvocati degli
attori hanno accesso ai
documenti. Per cui, di
nuovo, cosa ci guadagnano
a farne fuori solo uno dei
quattro?»
«Se seguiamo la tua
linea di ragionamento, la
Lonerock Coal e Casper
Slate avrebbero avuto un
motivo
enorme
per
toglierlo
di
mezzo.
Donovan era il pistolero
solitario, come dici tu. Non
ci sono altri nomi sulla
denuncia. Un bel giorno
Donovan muore e nel giro
di quarantott’ore i fondi
per la causa spariscono. La
causa è finita e loro
vincono.»
Marshall
stava
scuotendo la testa. Si
guardò di nuovo intorno;
nessuno aveva notato la
loro
presenza.
«Senti,
Samantha, io detesto le
società come la Lonerock e
gli studi legali come
Casper Slate. Mi sono
costruito
una
carriera
combattendo contro gente
come quella. Li odio, okay?
Ma sono rispettabili, con
una buona reputazione...
accidenti, la Lonerock è
quotata in Borsa. Non
riuscirai mai a convincermi
che
sono
capaci
di
assassinare un avvocato
che gli ha fatto causa. La
Krull è un’altra questione;
è una società canaglia di
proprietà di un ricco
criminale che va in giro
per il mondo creando guai.
La Krull è capace di tutto
ma, di nuovo: perché? Nel
lungo
termine,
avere
eliminato Donovan non
servirà a migliorare la loro
posizione.»
«Parliamo d’altro.»
«Scusami. Donovan era
tuo amico e a me piaceva
molto. Mi ricordava me
stesso da giovane.»
«È una cosa devastante,
davvero. Devo tornare a
Brady, ma non sono sicura
di volerlo.»
«Adesso hai dei clienti,
persone vere con problemi
veri.»
«Lo so, papà. Sono un
avvocato vero, non un
passacarte in uno studio
legale industriale. Hai
vinto.»
«Non è quello che ho
detto, e questa non è una
competizione.»
«Lo hai detto per tre
anni, e per te tutto è
competizione.»
«Siamo un po’ nervosi,
vero?» disse Marshall,
tendendo un braccio sul
tavolino per sfiorare la
mano
della
figlia.
«Scusami. So che è stata
una settimana difficile.»
All’improvviso
Samantha sentì gli occhi
riempirsi di lacrime e la
gola stringersi. «Adesso
vorrei andare» disse.
25
Erano in quattro, quattro
persone grandi e grosse,
arrabbiate e dall’aria rozza,
due uomini e due donne,
età tra i quarantacinque e i
sessant’anni,
immaginò
Samantha, con i capelli
grigi, rotoli di grasso e
abiti
dozzinali.
Erano
arrivati in città per un raro
Thanksgiving
in
compagnia della mamma,
ma ora erano costretti a
trattenersi, perdendo ore
di lavoro, per risolvere un
pasticcio legale che non era
opera loro. Mentre si
avvicinava a piedi allo
studio, Samantha li vide
davanti
alla
porta
d’ingresso, in impaziente
attesa dell’apertura, e capì
istintivamente chi erano e
cosa volevano. Pensò di
entrare nel negozio di
trapunte, il Betty’s Quilts, e
starsene nascosta per un
paio d’ore, ma poi di cosa
avrebbero parlato, lei e
Betty? Così fece il giro
dell’isolato ed entrò nello
studio dal retro. Accese le
luci, preparò il caffè e
finalmente andò ad aprire
la porta d’ingresso. I
quattro stavano ancora
aspettando,
sempre
arrabbiati; era già da
parecchio
tempo
che
ribollivano.
«Buongiorno»
salutò
Samantha nel tono più
allegro possibile. Anche un
cieco avrebbe capito che
l’ora successiva sarebbe
stata molto sgradevole.
Il capo, il più vecchio,
ringhiò: «Stiamo cercando
Samantha Kofer». Fece un
passo avanti, e lo stesso
fecero gli altri tre.
Sempre
sorridendo,
Samantha disse: «Sono io.
Cosa posso fare per voi?».
Una sorella tirò fuori un
documento ripiegato e
chiese: «È stata lei a
scrivere questa roba per
Francine Crump?».
Il fratello più anziano
aggiunse: «È il testamento
di
nostra
madre».
Sembrava
pronto
a
sputarle in faccia.
Seguirono
Samantha
nella sala riunioni e si
sedettero intorno al tavolo.
Samantha offrì gentilmente
il caffè e, quando tutti e
quattro rifiutarono, andò
nel cucinotto e si versò con
calma una tazza. Stava
prendendo
tempo,
in
attesa
che
arrivasse
qualcun altro. Erano le otto
e mezzo e normalmente
Mattie sarebbe stata chiusa
nel
suo
ufficio
a
chiacchierare
con
Donovan. Samantha però
dubitava che quel giorno
Mattie sarebbe arrivata
prima di mezzogiorno.
Con la seconda tazza di
caffè,
si
sedette
a
capotavola.
Jonah,
sessantun anni, viveva a
Bristol. Irma, sessant’anni,
abitava a Louisville. Euna
Faye,
cinquantasette,
viveva a Rome, Georgia.
Lonnie,
cinquantuno,
viveva
a
Knoxville.
DeLoss, il “piccolo” di
quarantacinque
anni,
abitava a Durham e al
momento era a casa con la
mamma, che era molto
turbata. Era stato un
Thanksgiving burrascoso.
Samantha prese appunti e
cercò di far passare un po’
di tempo in modo che i
visitatori
riprendessero
fiato e si calmassero. Dopo
dieci minuti di chiacchiere
a senso unico, però, fu
chiaro che ai quattro
prudevano le mani e
volevano la rissa.
«Cosa diavolo è questo
Mountain Trust?» chiese
Jonah.
Samantha lo descrisse
dettagliatamente.
Euna Faye dichiarò: «La
mamma ci ha detto di non
avere mai sentito nominare
nessun Mountain Trust.
Ha detto che è stata lei a
saltarsene fuori con questa
cosa. È così?».
Samantha
spiegò
pazientemente che Mrs
Crump aveva chiesto il suo
consiglio su come lasciare
in eredità la sua proprietà.
La signora voleva che
andasse a una persona o a
un’organizzazione
che
avrebbe protetto quella
terra da qualsiasi miniera a
cielo aperto. Samantha
aveva effettuato alcune
ricerche
e
aveva
individuato
due
organizzazioni non profit
negli Appalachi adatte allo
scopo.
I quattro ascoltarono
attenti, ma non sentirono
una parola.
«Perché non ci ha
informati?»
chiese
sgarbatamente
Lonnie.
Quindici
minuti
di
riunione ed era già
evidente che non esisteva
una vera gerarchia in
quella famiglia. Ognuno di
loro voleva comandare.
Ognuno di loro cercava di
essere l’osso più duro.
Anche se si sentiva sotto
attacco, Samantha rimase
calma e cercò di capire.
Quelle non erano persone
ricche, anzi, lottavano per
restare nella classe media.
Un’eredità sarebbe stata
un colpo di fortuna, di cui
avevano
certamente
bisogno. La proprietà di
famiglia era di trentadue
ettari, molto più di quanto
ciascuno di loro avesse mai
posseduto.
Samantha spiegò che la
sua cliente era Francine
Crump, non la famiglia di
Francine Crump. E la sua
cliente non aveva voluto
che i figli sapessero cosa
stava facendo.
«Lei pensa che la
mamma non si fidi di noi,
della sua carne e del suo
sangue?» domandò Irma.
In
base
alle
conversazioni
con
Francine, per Samantha era
abbondantemente chiaro
che la signora non si fidava
affatto dei suoi figli, e al
diavolo la carne e il
sangue. Ma rispose con
calma: «Io so solo quello
che mi ha detto la mia
cliente. È stata molto
chiara su quello che voleva
e che non voleva».
«Lei ha diviso la nostra
famiglia, se ne rende
conto?» intervenne Jonah.
«Ha scavato un solco tra
una madre e i suoi cinque
figli. Non riesco a capire
come lei possa avere fatto
una cosa così scorretta.»
«È la nostra terra»
borbottò Irma. «La nostra
terra.»
Lonnie si picchiettò la
tempia e disse: «La
mamma non è del tutto a
posto, se capisce cosa
intendo. È già da un po’
che non c’è di testa,
Alzheimer probabilmente,
o qualcosa del genere.
Avevamo
paura
che
potesse combinare qualche
stupidaggine con la nostra
terra, capisce, ma mai
niente del genere».
Samantha spiegò che, il
giorno della firma del
testamento, lei e altri due
avvocati
dello
studio
avevano trascorso del
tempo con Mrs Crump, e
tutti e tre si erano convinti
che la signora sapesse
perfettamente cosa stava
facendo. Mrs Crump era
legalmente “capace di
intendere e di volere”, e
questo
era
ciò
che
richiedeva la legge. Il
testamento avrebbe retto in
tribunale.
«Col
cavolo
che
reggerà» ribatté rabbioso
Jonah. «Non finirà in
tribunale perché sta per
essere cambiato.»
«Questo dipende da
vostra madre» osservò
Samantha.
Euna Faye guardò il
proprio cellulare e disse:
«Ci sono, DeLoss e la
mamma.
Sono
parcheggiati qui fuori».
«Possono
entrare?»
chiese Lonnie.
«Naturalmente» rispose
Samantha, perché non
c’era altro da dire.
Francine
sembrava
ancora più debole e fragile
di quanto fosse stata un
mese prima. I cinque figli
scattarono tutti in piedi e
andarono ad aiutare la loro
amata
madre
mentre
varcava faticosamente la
porta
d’ingresso,
si
trascinava
lungo
il
corridoio ed entrava nella
sala
riunioni.
La
sistemarono su una sedia e
si raccolsero intorno a lei.
Poi
guardarono
tutti
Samantha. Francine si
godeva
l’attenzione
e
sorrise al suo avvocato.
«Forza, mamma» la
sollecitò Lonnie. «Dille
quello che hai detto a noi
sulla firma del testamento,
che non ti ricordi e...»
Euna Faye si inserì
interrompendolo:
«Che
non avevi mai saputo di
nessun Mountain Trust e
che non vuoi che si prenda
la nostra terra. Dài, forza».
«È la nostra terra» ripeté
Irma per la decima volta.
Francine esitò, come se
avesse avuto bisogno di
ulteriori sollecitazioni, ma
alla fine disse: «È che quel
testamento non mi piace
più».
“Cosa ti hanno fatto,
vecchia? Ti hanno legata a
un albero e ti hanno
picchiata con un manico di
scopa?” avrebbe voluto
chiedere Samantha. “E
com’è stata la cena di
Thanksgiving, con tutti i
familiari che si passavano
il nuovo testamento e
schiumavano talmente di
rabbia da rischiare un
infarto?” Ma, prima che
potesse reagire, Annette
entrò nella stanza e augurò
a tutti il buongiorno.
Samantha
la
presentò
velocemente ai rampolli
Crump
e,
altrettanto
velocemente, Annette lesse
perfettamente la situazione
e scostò una sedia dal
tavolo. Non si tirava mai
indietro davanti a un
confronto, e in quel
momento
Samantha
avrebbe
potuto
abbracciarla.
«I Crump non sono
contenti del testamento che
abbiamo redatto il mese
scorso» disse.
«E non siamo contenti
neanche
di
voialtri
avvocati» tenne a precisare
Jonah.
«Proprio
non
capiamo
come
avete
potuto complottare alle
nostre spalle per tentare di
tagliarci fuori in questo
modo.
Non
c’è
da
meravigliarsi se la vostra
categoria
ha
una
reputazione così brutta.
Accidenti,
ve
la
guadagnate giorno dopo
giorno.»
Con freddezza, Annette
chiese: «Chi ha trovato il
nuovo testamento?».
Fu
Euna
Faye
a
rispondere:
«Nessuno.
L’altro giorno la mamma
ne stava parlando, e dopo
tanti discorsi lei è andata a
prenderlo. Per poco non ci
è venuto un colpo quando
abbiamo letto cosa ci
avevate messo dentro. Fin
da
quando
eravamo
bambini, mamma e papà
hanno sempre detto che la
terra sarebbe rimasta in
famiglia. E adesso voi
cercate di tagliarci fuori
per regalarla a un branco
di ambientalisti fanatici di
Lexington.
Dovreste
vergognarvi».
«Vostra madre vi ha
spiegato che è venuta da
noi e ci ha chiesto di
redigere,
gratuitamente,
un testamento che lasciava
la proprietà a qualcun
altro?» chiese Annette. «Su
questo è stata chiara?»
«Non
è
sempre
lucidissima
in
questi
giorni» disse DeLoss.
Francine
gli
lanciò
un’occhiataccia e scattò:
«Sono più lucida di quello
che credi tu».
«Dài, mamma...» disse
Euna Faye, mentre Irma
toccava
Francine
per
calmarla.
Samantha guardò la
vecchia signora e le chiese:
«Allora, vuole che prepari
un nuovo testamento?».
Tutti e sei annuirono
all’unisono,
anche
se
Francine lo fece a un ritmo
palesemente più lento.
«Okay, e presumo che il
nuovo testamento lascerà il
terreno ai suoi cinque figli
in parti uguali, giusto?»
Tutti
e
sei
confermarono.
Annette
disse: «Molto bene. Saremo
liete
di
provvedere.
Tuttavia la mia collega ha
lavorato per parecchie ore
ricevendo a colloquio Mrs
Crump,
fornendo
consulenza
legale
e
redigendo
l’attuale
testamento. Come sapete,
noi non addebitiamo nulla
per i nostri servizi, ma
questo non significa che
non abbiamo dei limiti.
Abbiamo moltissimi clienti
e siamo sempre indietro
con il lavoro. Prepareremo
un nuovo testamento, ma
poi basta. Se cambierà
ancora idea, Mrs Crump,
dovrà rivolgersi a un altro
studio. Ha capito?».
Francine
fissò
inespressiva il tavolo,
mentre i suoi cinque figli
annuivano.
«Quanto ci vorrà?»
chiese Lonnie. «Io sto
perdendo ore di lavoro.»
«Anche noi» ribatté
seccamente
Annette.
«Abbiamo altri clienti, altri
impegni. In effetti, sia Ms
Kofer che io dobbiamo
essere in tribunale fra
trenta minuti. E la vostra
non è una faccenda di
particolare urgenza.»
«Oh, andiamo!» latrò
Jonah. «Si tratta di un
semplice testamento, sì e
no un paio di pagine, ci
metterete un quarto d’ora.
Mentre voi preparate il
testamento,
noi
accompagniamo
la
mamma al bar a fare
colazione,
poi
la
riportiamo qui a firmarlo.»
«Noi non ce ne andiamo
finché il nuovo testamento
non è firmato» dichiarò
arrogante Irma, come se lei
e i fratelli avessero potuto
accamparsi
nella
sala
riunioni.
«Oh, invece sì» fece
Annette.
«Altrimenti
chiamo
lo
sceriffo.
Samantha, quando pensi
che
sarà
pronto
il
testamento?»
«Mercoledì
pomeriggio.»
«Perfetto. Mrs Crump,
ci vediamo mercoledì.»
«Ma insomma!» esplose
DeLoss, scattando in piedi
rosso in viso. «Avete già
quel maledetto documento
nel computer. Dovete solo
fare
le
modifiche
e
stamparlo, ci vorranno
meno di cinque minuti. Poi
la mamma lo firma. Non
possiamo stare qui a
ciondolare per tutta la
settimana.
Dovevamo
ripartire ieri.»
«Signori, sto chiedendo
a tutti voi di andarvene
immediatamente»
disse
Annette. «E se volete un
servizio più veloce, Main
Street è piena di avvocati.»
«Avvocati veri, si spera»
sibilò Euna Faye, alzandosi
dal tavolo. Anche gli altri
si alzarono lentamente in
piedi e aiutarono Francine
ad andare verso la porta.
Mentre stavano uscendo,
Samantha
domandò:
«Vuole davvero un nuovo
testamento, Mrs Crump?».
«Ci può giurare che lo
vuole» disse Jonah, pronto
a sferrare un pugno.
Francine però non rispose.
Uscirono senza aggiungere
altro, sbattendo la porta.
Quando questa smise di
vibrare, Annette disse:
«Non
preparare
il
testamento. Aspetta che
lascino la città, poi telefona
a Francine e dille che noi
non ne vogliamo sapere.
Le hanno puntato la
pistola alla testa. Tutta
questa faccenda mi puzza.
Se Francine vuole un
nuovo testamento, che lo
paghi. I Crump possono
mettere insieme duecento
dollari.
Noi
abbiamo
sprecato già abbastanza
tempo».
«D’accordo. Dobbiamo
andare in tribunale?»
«Sì. Ho ricevuto una
telefonata,
ieri
sera.
Phoebe e Randy Fanning
sono in carcere, li hanno
arrestati sabato con un
carico di metanfetamina. Li
aspettano anni di galera.»
«Wow. Alla faccia di un
tranquillo lunedì. Dove
sono i figli?»
«Non
lo
so,
ma
dobbiamo scoprirlo.»
La
retata
aveva
intrappolato sette membri
della banda, anche se la
polizia di Stato prevedeva
altri arresti. Phoebe sedeva
accanto a Randy in prima
fila; c’era anche Tony, che
era uscito di galera solo
quattro mesi prima e ora
stava per tornarci per un
decennio. Di fianco a Tony
sedeva uno dei gorilla che
avevano
minacciato
Samantha, in occasione
della sua prima esperienza
in tribunale. Gli altri tre
sembravano
arrivare
direttamente dal casting:
capelli lunghi e sporchi,
tatuaggi
che
salivano
strisciando fino al collo,
visi non rasati, gli occhi
gonfi e arrossati dei tossici
che si sono strafatti per
molto tempo. Uno alla
volta, andarono davanti al
banco
del
giudice,
dichiararono di essere
innocenti e tornarono a
sedersi. Annette convinse
Richard,
il
pubblico
accusatore, a concederle un
momento in privato con
Phoebe. Si spostarono in
un
angolo,
con
un
vicesceriffo accanto a loro.
Phoebe era dimagrita
dall’ultima volta e il viso
mostrava la devastazione
della dipendenza da met.
Gli occhi le si riempirono
subito di lacrime e le sue
prime parole furono: «Mi
dispiace tanto, non riesco a
crederci».
Annette non mostrò
alcuna
comprensione.
«Non scusarti con me. Non
sono tua madre. Sono qui
perché sono preoccupata
per i tuoi figli. Dove
sono?» Parlava a voce
bassa, ma con durezza.
«Da un’amica. Puoi
farmi uscire?»
«Noi
non
facciamo
cause penali, Phoebe, solo
civili. Tra pochi minuti la
corte ti assegnerà un altro
avvocato.»
Le lacrime svanirono
con la stessa rapidità con
cui si erano materializzate.
«Adesso cosa succederà ai
miei bambini?» chiese
Phoebe.
«Be’, se le accuse si
avvicinano anche solo di
poco alla verità, tu e Randy
passerete parecchi anni in
prigione,
in
strutture
separate,
naturalmente.
Hai qualche parente che
possa crescere i tuoi figli?»
«Non credo. No. La mia
famiglia mi ha voltato le
spalle. I parenti di Randy
sono tutti dentro, a parte
sua madre che però è
pazza. Io non posso andare
in prigione, capisci? Devo
occuparmi dei miei figli.»
Tornarono le lacrime, che
le
gocciolarono
immediatamente
dalle
guance. Phoebe si piegò in
due come se qualcuno le
avesse sferrato un pugno
nella pancia e cominciò a
tremare. «Non possono
prendersi i miei figli» disse
a voce troppo alta. Il
giudice lanciò un’occhiata.
Samantha non poté fare
a meno di pensare: “I tuoi
figli dov’erano mentre
spacciavi?”.
Passò
a
Phoebe un fazzolettino di
carta e le diede qualche
colpetto sulla spalla.
«Vedrò cosa posso fare»
disse Annette. Phoebe si
riunì al gruppo in tuta
arancione. Samantha e
Annette presero posto
sull’altro lato dell’aula.
Annette
mormorò:
«Tecnicamente non è più
nostra cliente. Il nostro
mandato si è estinto
quando abbiamo ritirato la
domanda di divorzio».
«Allora perché siamo
qui?»
«Il
Commonwealth
cercherà di annullare la
potestà
genitoriale.
È
qualcosa che dovremo
monitorare, ma non c’è
molto che possiamo fare.»
Annette
e
Samantha
guardarono e aspettarono
per qualche minuto mentre
il pubblico accusatore e il
giudice discutevano la
questione delle udienze
relative
alle
cauzioni.
Annette lesse un SMS ed
esclamò: «Oh, Gesù. L’FBI
ha fatto irruzione nello
studio di Donovan, e
Mattie ha bisogno di aiuto.
Andiamo».
«L’FBI ?»
«Allora ne hai sentito
parlare?»
bisbigliò
Annette, mentre si alzava
in piedi e si affrettava
lungo la corsia centrale.
Sul portoncino dello
studio di Donovan, tenuto
aperto da una bietta, c’era
ancora la corona di fiori.
All’interno
Dawn,
la
segretaria, sedeva alla sua
scrivania e si asciugava le
lacrime. Indicò con il dito e
disse: «Là dentro». Dalla
sala riunioni alle sue spalle
arrivavano voci molto alte.
Mattie stava gridando a
qualcuno. Quando Annette
e Samantha entrarono,
vennero salutate da: «E voi
chi diavolo siete?».
C’erano almeno quattro
giovani uomini in abito
scuro, tutti molto tesi e
pronti a impugnare la
pistola. Scatole di pratiche
erano
impilate
sul
pavimento, i cassetti erano
aperti, il tavolo era coperto
di carte. Era il capo, un
certo agente Frohmeyer,
quello
che
stava
abbaiando. Prima che
Annette
potesse
rispondergli, grugnì di
nuovo: «Chi diavolo siete
voi due?».
«Sono
avvocati
e
lavorano con me» rispose
Mattie. Indossava jeans e
felpa, ed era chiaramente
agitata. «Come le ripeto, io
sono la zia di Donovan
Gray e sono anche il legale
garante del testamento.»
«E io glielo chiedo di
nuovo: è stata nominata
formalmente dalla corte?»
disse Frohmeyer.
«Non
ancora.
Mio
nipote è stato sepolto
mercoledì scorso. Non ha il
minimo
senso
della
decenza?»
«Io ho un mandato di
perquisizione, signora, ed
è tutto quello che mi
interessa.»
«Questo l’ho capito.
Vuole almeno permetterci
di leggere il mandato,
prima di cominciare a
portare via roba?»
Frohmeyer afferrò il
mandato di perquisizione
dal tavolo e lo tese a
Mattie. «Ha cinque minuti,
signora, non uno di più.»
Gli agenti uscirono dalla
stanza. Mattie chiuse la
porta e si portò l’indice
sulle labbra. Il messaggio
era chiaro: “Non dite
niente di importante”.
«Cosa sta succedendo?»
chiese Annette.
«Chi lo sa? Dawn mi ha
telefonato in preda al
panico subito dopo che i
gorilla
hanno
fatto
irruzione. Ed eccoci qui.»
Stava
leggendo
velocemente il mandato di
perquisizione
quando
cominciò a mormorare tra
sé: «Ogni e qualsivoglia
pratica,
file,
appunto,
reperto, riassunto, su carta
o in video, audio, su
supporto
elettronico,
digitale o in qualsiasi altra
forma,
riguardanti,
attinenti o in qualsiasi
modo concernenti la Krull
Mining
o
una
sua
sussidiaria e... e qui c’è
l’elenco
di
tutti
i
quarantuno attori della
causa Hammer Valley».
Mattie voltò pagina, diede
una scorsa veloce, voltò
un’altra pagina.
«Be’, se si prendono i
computer, avranno accesso
a tutto» osservò Annette
«che sia coperto dal
mandato o no.»
«Sì, tutto quello che c’è
qui dentro» confermò
Mattie. Strizzò l’occhio ad
Annette
e
Samantha,
quindi voltò di nuovo
pagina.
Lesse
qualcos’altro,
borbottò
qualcos’altro, poi gettò il
mandato sul tavolo e disse:
«È un assegno in bianco.
Possono prendere qualsiasi
cosa dall’ufficio, che sia
collegata
alla
causa
Hammer Valley o no».
Frohmeyer bussò e
contemporaneamente aprì
la porta. «Tempo scaduto,
signore» declamò come un
cattivo attore, mentre gli
altri agenti ricomparivano
in massa. Adesso erano in
cinque,
e
tutti
non
aspettavano altro che un
po’
di
movimento.
Frohmeyer aggiunse: «Se
adesso volete togliervi dai
piedi, per favore...».
«Sicuro» disse Mattie.
«Ma,
come
esecutore
testamentario, voglio un
inventario di tutto quello
che portate via.»
«Certo, appena sarà
stata
nominata
formalmente.» Due agenti
stavano già aprendo altri
armadietti.
«Tutto!» gridò quasi
Mattie.
«Sì, sì» disse Frohmeyer,
liquidandola con un cenno
della
mano.
«Buona
giornata, signore.»
Mentre
le
tre
avvocatesse uscivano dalla
stanza,
Frohmeyer
aggiunse: «Tanto perché lei
lo sappia, in questo
momento
c’è
un’altra
squadra
che
sta
perquisendo l’abitazione».
«Splendido.
E
cosa
potete mai cercare lì?»
«Si legga il mandato di
perquisizione.»
Erano scosse, confuse e
sospettavano che qualcuno
le stesse tenendo d’occhio,
così decisero di non andare
alla Legal Aid Clinic. Si
diressero al Brady Grill e
trovarono un séparé in
fondo dove si sentirono
abbastanza
al
sicuro.
Mattie, che non sorrideva
da una settimana, stava
quasi ridendo quando
disse: «Non troveranno
niente nei computer, Jeff
ha rimosso gli hard drive
mercoledì scorso, prima
del funerale».
«Allora torneranno a
cercarli»
osservò
Samantha.
Mattie scrollò le spalle.
«E allora? Non possiamo
controllare quello che fa
l’FBI .»
«Vediamo se ho capito
bene» disse Annette. «La
Krull Mining è convinta
che Donovan sia riuscito in
qualche modo a mettere le
mani su documenti che
non dovevano essere in
suo possesso, il che
probabilmente è vero.
Adesso che la causa è stata
intentata, quelli della Krull
hanno il terrore che i
documenti
vengano
divulgati. Così si rivolgono
al procuratore federale, il
quale apre un fascicolo,
per furto, immagino, e
manda i suoi gorilla a
cercare i documenti. Ora
che Donovan è morto,
pensano che non possa più
tenerli nascosti.»
«Più o meno è così»
aggiunse Mattie. «La Krull
Mining si serve del
procuratore federale per
fare pressione sugli attori e
i
loro
avvocati.
Tu
minaccia un’azione penale,
e il carcere, e i tuoi
avversari gettano subito la
spugna. È un vecchio
trucco, che fra l’altro
funziona.»
«Un motivo in più per
evitare
le
cause
in
tribunale» disse Samantha.
«Sei davvero l’esecutore
testamentario?»
chiese
Annette.
«No. L’esecutore è Jeff.
Io sono il suo legale e
anche il garante del
testamento. Donovan lo
aveva aggiornato due mesi
fa, lo teneva sempre
aggiornato. L’originale è
sempre stato nella mia
cassetta di sicurezza in
banca. Ha lasciato metà dei
suoi beni a Judy e a sua
figlia, parte della quale in
un fondo vincolato, e
l’altra metà l’ha divisa in
tre: un terzo a Jeff, un terzo
a me e un terzo a un
gruppo di organizzazioni
non profit che operano qui
negli Appalachi, compresa
la Legal Aid Clinic.
Mercoledì mattina Jeff e io
andremo in tribunale per
aprire la successione. A
quanto pare, il nostro
primo compito sarà cercare
di ottenere l’inventario
dall’FBI .»
«Judy sa di non essere
lei l’esecutore?» domandò
Annette.
«Sì, ne abbiamo parlato
diverse volte dopo il
funerale. A Judy sta bene.
Tra noi c’è un buon
rapporto. Lei e Jeff... be’, è
un’altra storia.»
«Hai
idea
della
consistenza dell’eredità?»
«Non proprio. Jeff ha gli
hard drive e sta mettendo
insieme
l’elenco
delle
cause in corso, alcune delle
quali dovranno aspettare
ancora anni prima di
arrivare alla conclusione.
Gli atti di Hammer Valley
sono
appena
stati
depositati e presumo che
gli avvocati degli altri
attori prenderanno la palla
al balzo e andranno avanti
con la causa. Al momento
il caso Ryzer sembra essere
morto. Poi c’è l’accordo
verbale con la Strayhorn
Coal per chiudere il caso
Tate a un milione e
settecentomila dollari.»
«Sospetto che in banca
ci siano altri soldi» disse
Annette.
«Io ne sono sicura.
Inoltre Donovan aveva
decine di altri casi più
piccoli. Non so bene che
fine faranno. Forse noi
potremmo gestirne due o
tre, ma non di più. Io
dicevo sempre a Donovan
che doveva trovarsi un
socio, o almeno un buon
associato, ma a lui piaceva
starsene per conto suo.
Raramente seguiva i miei
consigli.»
«Mattie, Donovan ti
adorava, lo sai» disse
Annette.
Ci
fu
un
momento
di
silenzio
raccolto. La cameriera
riempì di nuovo le tazze e,
mentre si allontanava,
Samantha si rese conto che
era la stessa ragazza che
l’aveva servita la prima
volta che era stata al Brady
Grill. Donovan l’aveva
appena salvata da Romey e
dalla prigione e Mattie la
stava
aspettando
allo
studio per il colloquio.
Erano passati nemmeno
due mesi, ma sembravano
anni. Adesso Donovan era
morto e stavano parlando
della sua eredità.
Mattie deglutì e disse:
«Nel tardo pomeriggio
dobbiamo incontrarci con
Jeff per discutere di alcune
questioni. Solo noi tre,
lontano dall’ufficio».
«Perché sono compresa
anch’io?» chiese Samantha.
«Sono solo una stagista,
una di passaggio, come
ami dire.»
«Bella
domanda»
osservò Annette.
«Jeff vuole che tu ci sia»
disse Mattie.
26
Jeff prese una camera allo
Starlight
Motel,
venti
dollari l’ora, e cercò di
convincere il direttore che
non stava organizzando
niente di immorale. Il
direttore finse sorpresa e
incomprensione,
finse
addirittura di sentirsi un
po’ offeso all’idea che
qualcuno
potesse
ipotizzare comportamenti
scorretti in un albergo a
ore come il suo. Jeff gli
spiegò che aspettava tre
donne, tutte avvocato, una
delle
quali
sua
zia
sessantenne, e che avevano
solo bisogno di un posto
tranquillo dove discutere
alcune questioni riservate.
Fatti vostri, disse il
direttore.
Desidera
la
fattura? No.
In un’altra giornata,
Mattie avrebbe potuto
infastidirsi al pensiero che
qualcuno vedesse la sua
auto al motel, ma una
settimana dopo la morte di
Donovan non le importava
affatto. Era troppo stordita
per preoccuparsi di tali
banalità. Quella era una
piccola
città:
che
chiacchierassero pure. La
sua mente era concentrata
su questioni di gran lunga
più importanti. Annette
era seduta davanti in auto,
Samantha era dietro e,
quando parcheggiarono di
fianco al pick-up, notò che
Jeff era sulla soglia della
camera che era stata
occupata
da
Pamela
Booker. In quella accanto
avevano dormito Trevor e
Mandy. Per quattro notti –
molto tempo prima, le
sembrava – i Booker
avevano trovato rifugio nel
motel dopo avere vissuto
in macchina per un mese.
Con l’impavida azione
legale di Samantha e la
generosità della Legal Aid
Clinic, la famiglia Booker
era stata salvata da una
vita allo stato brado e ora
viveva tranquilla in un
caravan in affitto pochi
chilometri fuori Colton.
Pamela lavorava di nuovo
alla fabbrica di lampade.
La causa contro la Top
Market Solutions, la prima
di Samantha, era ancora in
sospeso, ma la famiglia era
felice e al sicuro.
«Probabilmente è già
stato qui» disse Annette,
mentre
tutte
e
tre
guardavano Jeff.
«Adesso basta» fece
Mattie. Le tre donne
scesero
dall’auto
ed
entrarono nella minuscola
stanza.
«Fai proprio sul serio
con questa storia dello
spionaggio, vero?» chiese
Annette,
la
quale
chiaramente non faceva
affatto sul serio.
Jeff si appoggiò ai
cuscini sul letto traballante
e indicò con un gesto tre
sedie
dozzinali.
«Benvenute allo Starlight.»
«Ci sono già stata» disse
Samantha.
«Chi era il fortunato?»
«Non sono affari tuoi.»
Le tre donne si sedettero.
Sul letto c’erano fascicoli e
blocchi per gli appunti.
«Sì,
faccio
maledettamente sul serio
con questa storia dello
spionaggio» disse Jeff. «Lo
studio di Donovan era
infestato di cimici. Lo
stesso casa sua. Mio
fratello sospettava che
loro,
chiunque
siano,
guardassero e ascoltassero,
quindi è meglio non
correre rischi.»
«L’FBI cos’ha portato via
da casa?» chiese Mattie.
«Sono stati là dentro
due ore e non hanno
trovato niente. Hanno
preso i computer, ma a
quest’ora avranno già visto
che gli hard drive sono
stati sostituiti. Tutto quello
che troveranno è una
montagna di insulti a
chiunque stia ficcando il
naso. Per cui immagino
che
torneranno.
Non
importa. Non troveranno
niente.»
«Tu sei consapevole che
ti stai muovendo ai
margini della legge» disse
Annette.
Jeff sorrise e si strinse
nelle spalle. «Sai che
impressione. E tu credi che
in questo momento la
Krull Mining se ne stia
seduta
tranquilla,
preoccupandosi di chi
gioca secondo le regole?
No, non è così. In questo
momento sono al telefono
con il procuratore federale,
ansiosi di sapere cosa
hanno raccolto i ragazzi
dell’FBI nei loro raid di
oggi.»
«È un’indagine penale,
Jeff» osservò Annette con
una punta di acidità.
«Un’indagine mirata a
Donovan e a quelli che
lavoravano con lui. In
primo luogo a te, se sei
davvero in possesso di
documenti
acquisiti
illegalmente, o se hai
accesso a quei documenti.
Quella
gente
non
scomparirà solo perché
l’hai battuta in astuzia con
gli hard drive.»
«Io non ho i documenti»
disse Jeff con noncuranza,
dichiarazione alla quale
nessuno credette.
Mattie agitò una mano e
disse: «Va bene, va bene,
adesso basta. Mercoledì
dobbiamo
andare
in
tribunale per aprire la
successione e io pensavo
che avremmo parlato di
questo».
«Sì, ma ci sono questioni
più urgenti. Io sono
convinto che mio fratello
sia stato assassinato. Non è
stato un incidente. L’aereo
è stato messo in sicurezza e
io ho assunto due esperti
che lavoreranno con la
polizia
di
Stato
in
Kentucky. Per ora non c’è
niente di nuovo, ma stanno
ancora effettuando i test.
Donovan si era fatto un
sacco di nemici, ma
nessuno più potente della
Krull
Mining.
Alcuni
documenti sono scomparsi
e la Krull sospettava che
fosse stato Donovan a
metterci le mani sopra.
Quelle carte sono mortali e
la Krull Mining stava
sudando sangue nell’attesa
di vedere se Donovan
avrebbe intentato causa.
Lui lo ha fatto e li ha
spaventati a morte, ma
senza rivelare niente che
provenisse
da
quei
documenti. Adesso mio
fratello è morto e la Krull
immagina che sarà difficile
esibire quel materiale. Il
prossimo bersaglio potrei
essere io. So che mi stanno
seguendo, e probabilmente
anche ascoltando. La Krull
si serve dell’FBI per fare il
lavoro sporco. Stanno
stringendo il cappio, per
cui di tanto in tanto io
sparirò. Se qualcuno si farà
male, probabilmente sarà il
tizio che mi segue. Sono
incazzato per mio fratello e
il dito sul grilletto mi
prude da morire.»
«Andiamo, Jeff...» disse
Mattie.
«Parlo sul serio, Mattie.
Se hanno fatto fuori una
persona in vista come
Donovan, non esiteranno
un secondo a eliminare
uno fuori dal giro come
me, specie se credono che
abbia io i documenti.»
Samantha
aveva
socchiuso una finestra nel
vano tentativo di avere un
po’ di aria fresca. Il soffitto
bianco era sporco di
nicotina e c’erano vecchie
macchie
sulla
pelosa
moquette
verde.
Non
ricordava che la stanza le
fosse
così
deprimente
quando c’erano stati i
Booker. Adesso invece
voleva andarsene. Alla fine
sbottò: «Chiedo scusa. Non
so bene cosa ci faccio qui.
Io sono solo una stagista di
passaggio,
come
ben
sappiamo, e non voglio
ascoltare quello che sto
ascoltando,
okay?
Qualcuno ha intenzione di
spiegarmi, per favore,
perché sono qui?».
Annette alzò gli occhi al
cielo per la frustrazione,
Mattie si mise a braccia
conserte.
Fu
Jeff
a
rispondere: «Perché ti ho
invitata io. Donovan ti
ammirava e ti ha detto
cose in confidenza».
«Davvero? Scusa, non
me n’ero accorta.»
«Tu fai parte della
squadra, Samantha» ribadì
Jeff.
«Quale squadra? Io non
ho chiesto di farne parte.»
Si massaggiò le tempie
come se avesse avuto mal
di testa. Ci fu un momento
di silenzio, poi Mattie
disse: «Dobbiamo parlare
dell’eredità».
Jeff tese una mano verso
una pila di fogli, ne afferrò
alcuni e li fece circolare.
«Questo
è
l’elenco
approssimativo dei casi
pendenti.» Samantha si
sentì come un guardone
mentre
leggeva
informazioni che nessuno
studio legale, grande o
piccolo,
avrebbe
mai
divulgato spontaneamente.
A pagina 1, sotto il titolo
“Importanti”,
erano
elencati quattro casi: la
causa Hammer Valley, la
causa
Ryzer
contro
Lonerock Coal e i suoi
avvocati e il verdetto Tate.
Il quarto era quello relativo
all’Eastpoint Mining per
l’omicidio
colposo
di
Gretchen Bane, il cui
nuovo
processo
era
programmato per maggio.
«Per il caso Tate c’era
un accordo verbale, ma
non ho trovato niente di
scritto» disse Jeff, voltando
pagina. «Per gli altri tre ci
vorranno anni prima di
arrivare
a
una
conclusione.»
«Puoi
scordarti
di
Ryzer, a meno che non
arrivino altri avvocati»
disse
Samantha.
«Il
litigation fund ha annullato
il
finanziamento.
Noi
chiederemo l’indennità per
il polmone nero, ma la
causa di Donovan per
frode e associazione per
delinquere non andrà più
da nessuna parte.»
«Perché non te ne
occupi tu?» suggerì Jeff.
«Conosci i fatti.»
La proposta scioccò
Samantha,
che
rise
sarcastica.
«Stai
scherzando? Parliamo di
un
complicato
caso
federale per risarcimento
danni
che
coinvolge
diversi Stati, un caso
basato su una teoria che
deve
ancora
essere
dimostrata. Io devo ancora
vincere la mia prima causa
e sono tuttora terrorizzata
dai dibattimenti in aula.»
Mattie,
che
stava
sfogliando le pagine, disse:
«Jeff, la Legal Aid Clinic
può farsi carico di alcune
pratiche, ma non di tutte.
Qui conto quattordici casi
di polmone nero. Tre
omicidi
colposi.
Una
decina di denunce per reati
ambientali. Non so come
facesse Donovan a seguire
tutta questa roba».
«Okay,
eccovi
una
domanda
da
non
avvocato» disse Jeff. «È
possibile
assumere
qualcuno che venga a
gestire lo studio, si occupi
dei casi minori e magari
dia una mano in quelli più
importanti? Io non lo so,
sto solo chiedendo.»
Annette
stava
già
scuotendo la testa. «I
clienti non resterebbero,
perché il nuovo avvocato
per loro sarebbe un
estraneo. E puoi essere
sicuro che gli altri legali
della città stanno già
volando in cerchio come
avvoltoi. Nel giro di un
mese tutti i casi più
interessanti
di
questo
elenco saranno spariti.»
«E a noi resteranno gli
scarti» aggiunse Mattie.
«Jeff, non c’è modo di
tenere aperto lo studio
perché non c’è nessuno che
lo diriga» riprese Annette.
«Noi ci prenderemo in
carico quello che potremo.
La causa Hammer Valley
ha alle spalle un lavoro
legale di grande talento.
Scordati di Ryzer. Per
quanto riguarda il caso
Bane, Donovan aveva un
collega associato in West
Virginia, per cui se la causa
andrà in porto, gli eredi
avranno diritto a una
parcella, ma non sarà un
granché. Non conosco gli
altri casi di omicidio
colposo, ma mi sembra che
le
prove
della
responsabilità
della
controparte non siano
troppo solide.»
«Sono d’accordo» disse
Mattie. «Nei prossimi
giorni esamineremo più a
fondo tutte le pratiche. Il
caso più significativo è il
verdetto Tate, ma quei
soldi non sono ancora in
banca.»
«È meglio che esca da
qui» disse Samantha.
«Sciocchezze»
ribatté
Mattie. «L’omologazione
di un testamento non è una
questione
confidenziale,
Samantha. La pratica del
tribunale
sarà
un
documento pubblico e
chiunque potrà andare in
cancelleria
a
dare
un’occhiata. Inoltre, non
esistono veri segreti qui a
Brady. Ormai dovresti
saperlo.»
Jeff,
che
stava
distribuendo altri fogli,
disse: «La segretaria di
Donovan e io abbiamo
esaminato questi conti
durante il weekend. La
parcella Tate è di quasi
settecentomila dollari...».
«Meno
le
tasse,
naturalmente»
precisò
Mattie.
«Naturalmente. E, come
dicevo, abbiamo solo un
accordo verbale. Immagino
che ora i legali della
Strayhorn
possano
decidere di fare marcia
indietro, giusto, Mattie?»
«Oh, sì, e non sarà una
sorpresa se lo faranno. Con
Donovan fuori dal quadro,
potrebbero
benissimo
cambiare
strategia
e
mostrarci il dito medio.»
Samantha
stava
scuotendo la testa. «Un
momento. Se hanno già
accettato
un
accordo
stragiudiziale,
come
possono cambiare idea?»
«Non c’è niente di
scritto» spiegò Mattie. «O
almeno niente che abbiamo
trovato. Di solito, in un
caso come questo, le due
parti firmano un breve
accordo e poi lo fanno
approvare dal tribunale.»
«Secondo la segretaria»
aggiunse
Jeff
«nel
computer c’è una bozza
dell’accordo, che però non
è mai stato firmato.»
«Per cui siamo fregati»
commentò
Samantha,
lasciandosi sfuggire suo
malgrado il “siamo”.
«Non necessariamente»
replicò Mattie. «Se si
rimangiano
la
parola
sull’accordo, la causa va in
appello, cosa che non
preoccupava
affatto
Donovan. Quello in primo
grado è stato un bel
processo pulito, senza
errori procedurali che
possano
determinarne
l’invalidità,
almeno
a
parere di Donovan. Tra
circa diciotto mesi il
verdetto dovrebbe essere
confermato in appello. Se
la Corte Suprema dovesse
annullare la sentenza, si
ripartirebbe con un nuovo
processo.»
«E
chi
sarebbe
l’avvocato
della
parte
attrice?»
domandò
Samantha.
«Ce ne preoccuperemo
se e quando succederà.»
«Cos’altro
c’è
nell’eredità?»
chiese
Annette.
Jeff stava guardando gli
appunti che aveva scritto a
mano. «Be’, prima di tutto
Donovan
aveva
una
polizza vita di mezzo
milione di dollari. La
beneficiaria è Judy e,
secondo il commercialista,
quei soldi non rientrano
nell’asse ereditario. Quindi
Judy è sistemata piuttosto
bene.
Donovan
aveva
quarantamila dollari in un
conto bancario personale,
centomila nel conto dello
studio e trecentomila in un
fondo
d’investimento.
Inoltre aveva un fondo
spese per le cause di
duecentomila dollari. C’è il
Cessna,
che
adesso
naturalmente non vale
niente, ma che è assicurato
per sessantamila dollari.
La casa e relativo terreno
sono stimati dalla contea
sui centoquarantamila, e
Donovan
vuole
che
vengano
venduti.
L’immobile sede dello
studio
vale
centonovantamila e, in
base al testamento, verrà a
me. La casa ha una piccola
ipoteca, lo studio no. Poi ci
sono
i
beni
meno
importanti: la Jeep, il pickup, l’arredamento dello
studio e il resto.»
«E
la
fattoria
di
famiglia?» chiese Annette.
«No. Gray Mountain è
ancora di proprietà di
nostro padre e non
parliamo con lui da anni.
Non
ho
bisogno
di
ricordarvi che non si è
fatto vedere al funerale di
suo figlio la settimana
scorsa. D’altra parte quel
terreno non vale molto.
Immagino che un giorno
sarò io a ereditarlo, ma
non è che stia già contando
i soldi.»
«Sul serio, non credo
che dovrei ascoltare questa
conversazione» insistette
Samantha: «È personale e
riservata, e in questo
momento ne so più io della
moglie di Donovan».
Jeff scrollò le spalle e
disse:
«Andiamo,
Samantha».
Samantha afferrò il
pomolo della porta. «Voi
discutete pure di tutto
quello che volete. Io ne ho
abbastanza. Vado a casa.»
Prima
che
gli
altri
potessero reagire, era già
uscita
e
stava
attraversando a grandi
passi il parcheggio a
ghiaia. Il motel era al
confine della città, non
lontano dal carcere dove
l’aveva portata Romey
appena qualche settimana
prima. Aveva bisogno di
aria fresca e di camminare,
e
aveva
bisogno
di
allontanarsi dai ragazzi
Gray e da tutti i loro guai.
Provava una grande pena
per Jeff e per la scomparsa
di suo fratello, lei stessa
avvertiva una sensazione
di vuoto, ma era anche
spaventata
dalla
sprezzante imprudenza di
Jeff. Pasticciare con i
computer era una garanzia
di ulteriori guai con l’FBI .
Jeff
era
abbastanza
arrogante da pensare di
essere più furbo dei
federali
e
di
poter
scomparire in qualunque
momento avesse voluto,
ma lei ne dubitava.
Passò davanti ad alcune
case in Main Street e
sorrise osservando le scene
all’interno. Quasi tutte le
famiglie stavano cenando
o
sparecchiando.
I
televisori erano accesi, i
bambini erano a tavola.
Passò davanti allo studio
di Donovan e avvertì un
nodo alla gola. Era morto
da una settimana e lei ne
sentiva
moltissimo
la
mancanza. Se fosse stato
single, non aveva dubbi
che, non molto dopo il suo
arrivo a Brady, tra loro
sarebbe
nata
qualche
forma di relazione. Due
giovani avvocati in una
piccola
città
che
apprezzano la reciproca
compagnia, che flirtano e
studiano strategie: sarebbe
stato inevitabile. Ripensò
agli
avvertimenti
di
Annette
riguardo
a
Donovan, alla sua passione
per le donne, e si chiese di
nuovo se Annette fosse
stata sincera. O aveva
cercato semplicemente di
difendere
i
propri
interessi? Aveva Donovan
tutto per sé e non voleva
condividerlo?
Jeff
era
convinto che suo fratello
fosse stato assassinato;
Marshall no. Ma che
importanza aveva tutto
questo davanti alla cruda
realtà, e cioè che Donovan
se n’era andato per
sempre?
Fece dietro-front e tornò
verso il Brady Grill. Entrò,
ordinò un’insalata e un
caffè e cercò di ammazzare
il tempo. Non aveva voglia
di tornare in studio, e
neppure di starsene seduta
nel suo appartamento.
Dopo due mesi a Brady,
cominciava a sentirne la
noia. Le piaceva il suo
lavoro e le piacevano i
drammi quotidiani alla
Legal Aid Clinic, ma la
mancanza di qualcosa da
fare
alla
sera
stava
diventando una spiacevole
abitudine.
Mangiò
in
fretta, pagò il conto a
Sarge,
l’anziano
e
scontroso proprietario del
locale, gli augurò la
buonanotte e se ne andò.
Erano le sette e mezzo,
ancora troppo presto per
andare a casa, così riprese
la passeggiata, godendosi
l’aria
frizzante
e
sgranchendosi le gambe.
Aveva già percorso a piedi
tutte le strade di Brady e
sapeva che erano sicure.
Poteva capitare che un
cane ringhiasse o che un
adolescente fischiasse, ma
lei era una ragazza tosta di
città e aveva affrontato
situazioni peggiori.
In una strada buia
dietro il liceo sentì dei
passi alle spalle, passi
pesanti di qualcuno che
non si preoccupava di
seguirla senza farsi notare.
Samantha girò un angolo e
i passi fecero lo stesso.
Vide
una
strada
fiancheggiata da case,
quasi tutte con la luce della
veranda accesa, e la
imboccò.
I
passi
la
seguirono. A un incrocio, e
in un punto dove avrebbe
potuto urlare e farsi sentire
dalla gente, si fermò e si
voltò. L’uomo continuò ad
avanzare finché fu solo a
un metro e mezzo da lei.
«Desidera
qualcosa?»
domandò
Samantha,
pronta
a
calciare,
a
graffiare e a strillare, se
fosse stato necessario.
«No, sto solo facendo
una
passeggiata,
esattamente come lei.»
Maschio
bianco,
quarant’anni, barba folta,
quasi un metro e novanta,
capelli cespugliosi che
spuntavano da sotto un
berretto anonimo e un
pesante
giaccone.
Entrambe le mani infilate
nelle grandi tasche.
«Stronzate, tu mi stai
seguendo.
Inventati
qualcosa in fretta, prima
che mi metta a urlare.»
«Lei non sa in cosa si è
cacciata, Ms Kofer» disse
l’uomo. Leggera cadenza
di montagna, sicuramente
uno del posto. Ma sapeva
il suo nome!
«Conosci il mio nome.
Qual è il tuo?»
«Ne scelga uno. Mi
chiami Fred, se vuole.»
«Oh, io preferisco Bozo,
come il clown. Fred è
orribile. Vada per Bozo.»
«Come vuole. Mi fa
piacere che lei trovi la cosa
divertente.»
«Cos’hai
in
mente,
Bozo?»
Impassibile, immobile,
l’uomo rispose: «Si è messa
con la gente sbagliata e sta
giocando una partita di cui
non conosce le regole.
Deve tenere il suo bel
culetto dentro il centro di
assistenza legale, dove può
prendersi
cura
dei
poveracci e restare lontano
dai guai. Meglio ancora,
per lei e per tutti: metta la
sua merda in valigia e se
ne torni a New York».
«Mi stai minacciando,
Bozo?» Eccome, se la stava
minacciando. E la minaccia
veniva formulata in modo
teatrale e inequivocabile.
«La prenda come vuole,
Ms Kofer.»
«Mi chiedo per chi
lavori.
Krull
Mining,
Lonerock Coal, Strayhorn
Coal, Eastpoint Mining...
sono tanti i delinquenti tra
i quali scegliere. E non
dimentichiamo
quei
criminali ben vestiti di
Camper Slate. Chi firma i
tuoi assegni, Bozo?»
«Mi pagano in contanti»
rispose l’uomo, facendo un
passo avanti. Samantha
alzò entrambe le mani e
disse: «Un altro passo,
Bozo, e strillerò così forte
che mezza Brady si
precipiterà qui di corsa».
Un rumoroso gruppo di
teenager
si
stava
avvicinando alle spalle
dell’uomo. Bozo sembrò
colto in contropiede e,
quasi sottovoce, disse: «La
terremo d’occhio».
«Anch’io»
ribatté
Samantha, ma non aveva
idea di cosa intendesse.
Lasciò uscire il fiato e si
accorse di quanto fosse
arida la bocca. Il cuore le
batteva forte e aveva
bisogno di sedersi. Bozo
scomparve
mentre
i
ragazzi passavano, senza
una parola o un’occhiata.
Samantha iniziò un veloce
zigzag
verso
il
suo
appartamento.
A un isolato da casa, un
altro uomo si materializzò
dall’oscurità e la fermò sul
marciapiede. «Dobbiamo
parlare.» Era Jeff.
«Deve essere proprio la
mia
serata»
disse
Samantha,
mentre
si
allontanavano
dall’appartamento.
Raccontò
a
Jeff
dell’incontro con Bozo,
continuando a cercare con
gli occhi segni della sua
presenza. Ma non c’era
niente nell’ombra. Jeff
ascoltava e annuiva, come
se
conoscesse
Bozo
personalmente.
«Ti spiego cosa sta
succedendo» disse. «Oggi
l’FBI è venuto a trovarci,
ma ha fatto visita anche
agli altri tre studi legali che
avevano firmato per la
causa Hammer Valley
contro la Krull Mining.
Parliamo di avvocati amici
di Donovan, erano tutti al
suo funerale la settimana
scorsa. Due studi a
Charleston,
uno
a
Louisville.
Legali
specializzati in cause per
risarcimenti
da
inquinamento con sostanze
tossiche che mettono in
comune risorse finanziarie
e
forza
lavoro
per
combattere i cattivi. Bene,
anche loro oggi hanno
subito una perquisizione, e
questo significa, tra le altre
cose, che l’FBI , e riteniamo
anche la Krull Mining, ora
sanno la verità, e la verità è
che Donovan non aveva
passato i documenti rubati
agli altri avvocati. Non
ancora.
Non
era
in
programma. Donovan è
stato molto cauto con quei
documenti: non voleva
incriminare i colleghi, per
cui si era limitato a
comunicare il contenuto
delle carte. La strategia
concordata
consisteva
nell’intentare la causa,
portare la Krull Mining in
tribunale,
spingere
la
società e i suoi avvocati a
raccontare un mucchio di
bugie sotto giuramento e
poi esibire i documenti per
la gioia del giudice e della
giuria. Secondo l’opinione
generale dei legali, quei
documenti
valgono
almeno mezzo miliardo di
dollari in danni punitivi.
Con
ogni
probabilità,
determineranno
anche
indagini
penali,
incriminazioni e altro.»
«Quindi
l’FBI
si
ripresenterà
presto,
e
questa volta cercherà te.»
«Sì, credo di sì. Sono
convinti che Donovan
avesse i documenti, adesso
sanno per certo che i suoi
colleghi non ne sono in
possesso, perciò dove
sono?»
«Dove sono?»
«Qui vicino.»
«E li hai tu?»
«Sì.»
Percorsero un isolato
senza parlare. Jeff salutò
un anziano seduto in
veranda con una coperta
sulle gambe. Dopo pochi
passi, Samantha chiese:
«Donovan come se li era
procurati?».
«Davvero
vuoi
saperlo?»
«Non ne sono sicura.
Ma essere informati non è
un reato, giusto?»
«Sei tu l’avvocato.»
Voltarono in una strada
meno illuminata. Jeff tossì,
si schiarì la voce e
cominciò:
«All’inizio
Donovan aveva assunto un
hacker, un israeliano che
gira per il mondo offrendo
i suoi talenti in cambio di
consistenti
somme
di
denaro. La Krull aveva
digitalizzato parte della
sua
documentazione
interna e l’hacker si inserì
nel sistema senza troppe
difficoltà.
Trovò
del
materiale relativo al sito di
Peck Mountain e al bacino
dei fanghi, abbastanza
interessante da eccitare
Donovan. Ma era evidente
che la Krull teneva un
mucchio di dati fuori dal
suo
sistema
di
archiviazione
digitale.
L’hacker si spinse fin dove
poteva, poi si tirò fuori,
coprì le sue tracce e
scomparve. Quindicimila
dollari per una settimana
di lavoro. Non male, direi.
Rischioso, però, perché tre
mesi fa si è fatto beccare e
adesso si trova in galera a
Vancouver.
Comunque,
Donovan decise di andare
a caccia di informazioni
nella sede centrale della
Krull, che si trova vicino a
Harlan, Kentucky. È una
piccola cittadina ed è
abbastanza strano che una
società così importante
abbia il proprio quartier
generale in un’area rurale
come quella, ma non è del
tutto insolito nei bacini
carboniferi. Donovan ci
andò due o tre volte,
cambiando
sempre
travestimento;
gli
piacevano le avventure di
cappa e spada e pensava di
essere un vero genio dello
spionaggio. E in effetti era
molto in gamba. Scelse un
weekend
festivo,
il
Memorial Day dell’anno
scorso,
e
il
venerdì
pomeriggio si presentò
travestito da tecnico dei
telefoni. Aveva affittato un
furgone
bianco
senza
insegne, che lasciò in un
parcheggio insieme ad
altre auto. Arrivò a mettere
targhe false sul furgone.
Una volta entrato nella
sede, andò a nascondersi
in un sottotetto e aspettò la
chiusura.
All’esterno
c’erano
guardie
della
sicurezza
armate
e
telecamere di sorveglianza,
ma dentro non c’era
granché. Vic e io eravamo
appostati nelle vicinanze,
entrambi armati e pronti
con un piano di emergenza
nel caso qualcosa fosse
andato storto. Per tre
giorni, Donovan rimase
chiuso nell’edificio e noi
restammo nascosti nel
bosco, in osservazione, in
attesa, combattendo contro
zecche e zanzare. Una cosa
tremenda. Ci servivamo di
radio ad alta frequenza per
restare in contatto e per
tenerci svegli l’un l’altro.
Donovan trovò la cucina,
mangiò tutto il cibo e
dormì su un divano
nell’atrio.
Vic
e
io
dormivamo nei nostri
pick-up. Donovan trovò
anche i documenti, un
tesoro di carte incriminanti
che
illustravano
in
dettaglio l’operazione di
copertura del sito di Peck
Mountain e tutti i relativi
problemi. Fece migliaia di
fotocopie e poi rimise gli
originali al loro posto,
come se nulla fosse
successo. Quel lunedì, il
Memorial Day, arrivò una
squadra di addetti alle
pulizie e per poco non
venne scoperto. Fui io a
vederli per primo, così
chiamai Donovan e lui fece
appena in tempo a tornare
nel sottotetto prima che
entrassero
nell’edificio.
Rimase lì dentro tre ore,
soffocando per il caldo».
«Come portò fuori i
documenti?»
«Sacchi
per
la
spazzatura. Ne scaricò
sette in un cassonetto
dietro il palazzo. Noi
sapevano che il camion
della
raccolta
sarebbe
passato il martedì mattina.
Vic e io lo seguimmo alla
discarica. Donovan uscì, si
cambiò per trasformarsi in
un agente dell’FBI e si
presentò alla discarica con
tanto di distintivo. A quelli
che
lavorano
nella
discarica non interessa
minimamente da dove
arriva la spazzatura, o che
cosa le succede, e così,
dopo qualche parola decisa
dell’agente Donovan, non
opposero
resistenza.
Caricammo i nostri sacchi
sul furgone a noleggio e
tornammo di corsa a
Brady. Per tre giorni
lavorammo giorno e notte
per
classificare
i
documenti, organizzarli e
indicizzarli,
poi
li
nascondemmo
in
un
piccolo
deposito
non
lontano dalla casa di Vic,
vicino a Beckley. In seguito
li abbiamo spostati, più
volte.»
«E quei bravi ragazzi
della Krull non ebbero mai
alcun sentore che qualcuno
aveva violato i loro uffici?»
«Non fu un’operazione
pulitissima.
Donovan
dovette scassinare qualche
serratura e forzare qualche
armadietto dell’archivio.
Inoltre prese con sé alcuni
documenti originali. Lasciò
delle tracce. All’esterno
c’erano
telecamere
di
sorveglianza e siamo sicuri
che abbiano registrato la
sua immagine. Ma nessuno
potrebbe mai identificarlo
con sicurezza per via del
travestimento.
D’altra
parte Donovan e Vic
reputavano importante che
la Krull sapesse che
qualcuno era stato nei suoi
uffici. Nel pomeriggio di
quel martedì tornammo
alla sede e guardammo la
scena da lontano. C’erano
auto della polizia che
andavano e venivano.
Quelli della Krull erano
chiaramente agitati.»
«È una grande storia,
ma
mi
colpisce
per
l’incredibile
spericolatezza.»
«Non lo nego. Ma mio
fratello era così. La sua
filosofia era che siccome i
cattivi
imbrogliano
sempre...»
«Lo so, lo so. Lo ha
detto anche a me, più di
una volta. Cosa c’è negli
hard
drive
del
suo
computer?»
«Niente
di
particolarmente riservato.
Donovan non era stupido.»
«Allora perché li hai
presi?»
«Me lo aveva detto lui.
Avevo precise istruzioni,
nell’eventualità che gli
fosse successo qualcosa.
Qualche anno fa c’è stato
un caso in Mississippi, l’FBI
fece irruzione in uno
studio legale e portò via
tutti i computer. Donovan
viveva nel terrore che
capitasse anche a lui.»
«E cosa saresti tenuto a
fare con i documenti della
Krull?»
«Devo consegnarli agli
altri avvocati prima che li
trovi l’FBI .»
«L’FBI può trovarli?»
«È
estremamente
improbabile.» Si stavano
avvicinando al tribunale
da una stretta strada
laterale. Jeff estrasse un
oggetto dalla tasca e lo
porse a Samantha. «È un
cellulare
prepagato»
spiegò. «Il tuo telefono
personale.»
Samantha lo guardò e
disse: «Ho già un telefono.
Grazie».
«Ma il tuo non è sicuro.
Questo sì.»
Samantha fissò Jeff,
senza prendere il cellulare.
«E perché dovrei averne
bisogno?»
«Per parlare con me e
Vic, nessun altro.»
Samantha fece un passo
indietro e scosse la testa.
«Non ci posso credere, Jeff.
Se prendo quel cellulare,
entro a far parte della
vostra piccola associazione
per delinquere. Perché
proprio io?»
«Perché ci fidiamo di
te.»
«Non mi conoscete
neppure. Sono qui solo da
due mesi.»
«Esatto. Tu non conosci
nessuno, non sai niente.
Non sei stata corrotta. Non
parli perché non hai
nessuno con cui parlare.
Sei in gamba, sei una
compagnia divertente e sei
anche molto carina.»
«Oh, splendido. Proprio
quello che ho bisogno di
sentirmi dire. Sarò uno
spettacolo
in
tuta
arancione e con le catene
alle caviglie.»
«Sì, lo saresti. Tu sei
spettacolare con qualsiasi
cosa addosso, o anche
senza niente.»
«È una battuta per
rimorchiare?»
«Può darsi.»
«Okay, la risposta è no,
non adesso. Jeff, sto
seriamente considerando
l’idea di fare le valige,
saltare sulla mia macchina
a nolo, far schizzare la
ghiaia da sotto le ruote,
come amate dire voi locali,
e non fermarmi fino a
quando arrivo a New
York, che è casa mia. Non
mi piace quello che sta
succedendo intorno a me e
non ho chiesto io tutti
questi problemi.»
«Non puoi partire. Sai
troppo.»
«Dopo ventiquattr’ore a
Manhattan, dimenticherò
tutto, credimi.»
In fondo alla strada,
Sarge chiuse la porta del
locale e si allontanò a passi
pesanti.
Nient’altro
si
muoveva in Main Street.
Jeff prese delicatamente
Samantha per un braccio e
la
guidò
giù
dal
marciapiede, fino a un
punto buio sotto alcuni
alberi
accanto
al
monumento ai caduti di
Noland County. Indicò
qualcosa
dietro
al
tribunale, a due isolati di
distanza.
Quasi
sussurrando, disse: «Vedi
quel pick-up Ford nero
parcheggiato vicino alla
vecchia Volkswagen?».
«Io non distinguo un
Ford da un Dodge. Chi è?»
«Sono
in
due.
Probabilmente
il
tuo
nuovo amico Bozo e un
idiota che io chiamo
Jimmy.»
«Jimmy?»
«Jimmy Carter. Grandi
denti,
grande
sorriso,
capelli biondo rossiccio.»
«Capito,
molto
spiritoso. E cosa fanno
Bozo e Jimmy dentro un
pick-up parcheggiato alle
otto e mezzo di sera?»
«Parlano di noi.»
«Voglio andare a New
York, dove sarò al sicuro.»
«Non posso biasimarti.
Senti, io adesso sparirò per
un paio di giorni. Per
favore,
prendi
questo
cellulare, almeno avrò
qualcuno con cui parlare.»
Fece scivolare il telefono
nella mano di Samantha
che, dopo un paio di
secondi, lo strinse tra le
dita.
27
Nel primo mattino di
martedì, Samantha partì da
Brady diretta a Madison,
West Virginia, un viaggio
in auto di un’ora e mezzo
che avrebbe potuto durare
anche il doppio, se avesse
trovato le strade intasate
dai camion del carbone e
dagli scuolabus. Un vento
forte sparpagliava le poche
foglie rimaste sugli alberi. I
colori erano scomparsi e le
catene montuose e le valli
erano immerse in una
monotona,
deprimente
tonalità di marrone che
non sarebbe cambiata fino
a primavera. Per il giorno
dopo c’era la possibilità di
una leggera nevicata, la
prima
della
stagione.
Samantha si sorprendeva a
sbirciare nello specchietto
retrovisore e, ogni tanto,
riusciva a sorridere della
propria paranoia. Perché
qualcuno avrebbe dovuto
sprecare
tempo
seguendola
tra
gli
Appalachi? Lei era solo
una stagista, che giorno
dopo
giorno
sentiva
aumentare sempre di più
la nostalgia di casa. Aveva
in programma di passare il
Natale a New York,
riallacciando i contatti con
gli amici e i luoghi, e si
stava già chiedendo se
avrebbe avuto il coraggio
di tornare.
Il suo nuovo cellulare
era
sul
sedile
del
passeggero. Gli lanciò
un’occhiata e si domandò
cosa stesse facendo Jeff.
Per un’ora, pensò di
chiamarlo solo per vedere
se il telefonino funzionava,
ma sapeva già che era così.
E quando, esattamente, si
supponeva che lei si
servisse del maledetto
aggeggio? E a che scopo?
Lungo
la
highway
principale a sud della città
trovò
il
luogo
dell’appuntamento:
la
Cedar Grove Missionary
Baptist Church. Aveva
spiegato ai suoi clienti che
dovevano
parlare,
in
privato, e non nella
stazione di servizio dove
Buddy si faceva il suo caffè
del mattino e tutti si
sentivano autorizzati a
intervenire
in
ogni
conversazione. I Ryzer
avevano suggerito la loro
chiesa e Samantha aveva
ipotizzato che lo avessero
fatto perché non volevano
che lei vedesse la loro casa.
Seduti sul pick-up di
Buddy nel parcheggio, i
due guardavano passare le
rare auto, apparentemente
senza
una
sola
preoccupazione al mondo.
Mavis abbracciò Samantha
come se fosse stata di
famiglia e poi tutti e tre si
avviarono verso la sala
parrocchiale
dietro
la
piccola cappella. La porta
non era chiusa a chiave e il
grande locale era deserto.
Sistemarono
tre
sedie
pieghevoli intorno a un
tavolino da gioco e
parlarono del tempo e dei
programmi per il Natale.
Poi,
finalmente,
Samantha andò al sodo:
«Credo
che
abbiate
ricevuto la lettera dallo
studio di Donovan con la
tragica notizia».
I due Ryzer annuirono
con aria triste. Buddy
mormorò: «Una persona
così per bene». Mavis
domandò: «Questo avrà
delle conseguenze? Voglio
dire, per noi e per la
causa?».
«È la ragione per cui
sono qui. Per spiegare e
per rispondere alle vostre
domande. La richiesta di
indennità per il polmone
nero andrà avanti, e con la
massima velocità. È stata
presentata il mese scorso e,
come sapete, siamo in
attesa degli esami medici.
Temo però che la grande
causa sia morta, almeno
per ora. Quando Donovan
ha depositato gli atti a
Lexington, agiva da solo.
Normalmente per queste
grosse
cause,
e
specialmente per quelle
che durano anni e si
mangiano un sacco di
soldi, Donovan metteva
insieme una squadra con
parecchi colleghi e altri
studi legali. Avrebbero
suddiviso il lavoro e le
spese. Ma per quanto
riguarda la vostra causa,
Donovan stava ancora
cercando di convincere
alcuni dei suoi amici
avvocati a salire a bordo.
E, francamente, loro erano
molto riluttanti. Attaccare
la Lonerock Coal e cercare
di
dimostrare
un
comportamento criminale
è un impegno enorme.»
«Tutte queste cose ce le
avete già spiegate» disse
bruscamente Buddy.
«Ve le aveva spiegate
Donovan. Io ero presente,
ma,
come
dichiarato
esplicitamente, non avevo
alcuna
intenzione
di
partecipare alla grande
causa
in
veste
di
avvocato.»
«Quindi non abbiamo
più nessuno?» domandò
Mavis.
«È così. In questo
momento non c’è nessuno
che si occupi della causa,
alla
quale
purtroppo
dobbiamo rinunciare. Mi
dispiace.»
Il respiro di Buddy era
già abbastanza laborioso
quando era perfettamente
sereno, ma il minimo
accenno di stress o di
disaccordo
lo
faceva
addirittura boccheggiare.
«Non è giusto» disse, con
la bocca spalancata per
succhiare aria. Mavis fissò
incredula Samantha, poi si
asciugò una lacrima sulla
guancia.
«No, non è giusto»
ammise Samantha. «Ma
non è giusto nemmeno
quello che è successo a
Donovan.
Aveva
solo
trentanove anni e come
avvocato stava facendo un
lavoro splendido. La sua
morte è stata una tragedia
assurda, che ha lasciato
allo scoperto tutti i suoi
clienti. Voi non siete i soli.»
«Sospettate qualcosa di
doloso?» chiese Buddy.
«Le
indagini
sono
ancora in corso e a
tutt’oggi non c’è alcuna
evidenza che sia stato
commesso un reato. Un
mucchio
di
domande
senza risposta, ma nessuna
prova concreta.»
«A me puzza» disse
Buddy. «Becchiamo quei
figli di puttana con le mani
nel
sacco,
possiamo
dimostrare
che
nascondono dei documenti
fottendo la gente, Donovan
gli fa causa per un
miliardo di dollari e il suo
aereo
precipita
in
circostanze misteriose.»
«Buddy, controllati» lo
rimproverò Mavis. «Siamo
in chiesa.»
«Questa è la sala
parrocchiale. La chiesa è di
là.»
«È
sempre
chiesa.
Attento a come parli.»
Debitamente
rimbrottato,
Buddy
si
strinse
nelle
spalle.
«Scommetto
che
troveranno qualcosa.»
«Stanno perseguitando
Buddy sul posto di lavoro»
disse Mavis. «È cominciato
subito dopo che abbiamo
depositato gli atti della
grande causa a Lexington.
Raccontaglielo, Buddy. Lei
non
crede
che
sia
importante,
Samantha?
Non deve saperlo anche
lei?»
«Niente che io non
possa gestire» assicurò
Buddy. «Solo un leggero
atto di disturbo. Mi hanno
messo di nuovo su un
autocarro. Un po’ più duro
che
manovrare
un
escavatore a cingoli, ma
non è un grosso problema.
E la settimana scorsa mi
hanno assegnato tre volte
al turno di notte. Il mio
programma
era
già
stabilito per mesi e adesso
mi sbattono da un turno
all’altro.
Posso
sopportarlo. Ho ancora un
lavoro e un buon salario.
Accidenti, per come stanno
le cose adesso, senza
protezione
sindacale,
potrebbero licenziarmi su
due piedi anche domani. E
io non potrei farci niente.
Hanno fatto fuori il nostro
sindacato vent’anni fa e da
allora siamo tutti carne da
macello. Sono fortunato ad
avere ancora un lavoro.»
«È vero» disse Mavis
«ma non potrai lavorare
ancora per molto. Per
salire su quel camion,
Buddy deve arrampicarsi
sui gradini, e ce la fa a
malapena. Loro lo tengono
d’occhio, aspettano solo
che cada o qualcosa del
genere, in modo da poter
dire che non è più idoneo e
di
conseguenza
rappresenta un pericolo.
Così
poi
possono
licenziarlo.»
«Possono
licenziarmi
comunque, l’ho appena
detto.»
Mavis si morse la lingua
mentre Buddy inspirava
rumorosamente. Samantha
estrasse alcuni fogli dalla
valigetta e li posò sul
tavolo. «Questo è l’atto di
rinuncia all’azione. Ho
bisogno che me lo firmi.»
«Quale azione?» chiese
Buddy, anche se sapeva
già la risposta. Si rifiutava
di guardare i fogli.
«La
causa
federale
contro Lonerock Coal e
Casper Slate.»
«Chi
presenterebbe
l’atto di rinuncia?»
«Avete
conosciuto
Mattie, il mio capo allo
studio. È la zia di Donovan
ed è anche l’avvocato
garante del testamento. Il
tribunale
le
conferirà
l’autorità di sistemare tutti
gli affari di suo nipote.»
«E se io non firmassi?»
Questo Samantha non lo
aveva
previsto
e,
conoscendo ben poco delle
procedure federali, non
sapeva bene come reagire.
Ma una risposta veloce era
comunque necessaria: «Se
la causa non verrà portata
avanti da lei, che è la parte
attrice, alla fine sarà il
tribunale che provvederà a
estinguere l’azione».
«Per cui la causa è
morta comunque?» chiese
Buddy.
«Sì.»
«Okay, io non lascio
perdere. Non firmo.»
Mavis sbottò. «Perché
non prende il nostro caso?
Lei è avvocato.» I Ryzer
fissarono attenti Samantha;
era
chiaro
che
quell’interrogativo
era
stato dibattuto a lungo.
Questo invece Samantha
lo aveva previsto. «Sì, sono
avvocato, ma non ho
esperienza di tribunali
federali e non ho la licenza
per
esercitare
in
Kentucky.»
I
Ryzer
assorbirono la risposta
senza fare commenti, e
senza capirla veramente.
Un
avvocato
è
un
avvocato, giusto?
Mavis cambiò marcia.
«Allora, tornando alla
domanda di indennità, lei
aveva detto che avrebbe
calcolato tutti gli arretrati
ai quali abbiamo diritto. E
anche che, se vinciamo, gli
arretrati partiranno dal
giorno in cui abbiamo
presentato
la
prima
richiesta, più o meno nove
anni fa. È esatto?»
«Esatto»
confermò
Samantha, cercando alcuni
appunti. «E, in base ai
nostri calcoli, la cifra
dovrebbe aggirarsi intorno
agli
ottantacinquemila
dollari.»
«Non
è
molto»
commentò
Buddy
disgustato, come se quella
somma irrisoria fosse colpa
di Samantha. Inspirò con
forza
e
continuò:
«Dovrebbero pagarmi di
più, molto di più dopo
tutto quello che mi hanno
fatto.
Avrei
dovuto
smettere di lavorare in
miniera dieci anni fa,
quando mi sono ammalato,
e lo avrei fatto se avessi
ottenuto
l’indennità.
Invece no, cavolo, no, ho
dovuto
continuare
a
lavorare e a respirare le
polveri».
«Ammalandoti sempre
di più» aggiunse Mavis in
tono grave.
«Adesso potrò lavorare
ancora per un anno, due al
massimo. E anche se li
porteremo in tribunale,
non dovranno pagare
quasi nulla. Non è giusto.»
«Sono d’accordo» disse
Samantha.
«Ma
ne
abbiamo
già
parlato,
Buddy, più di una volta.»
«È per questo che voglio
fare causa a quei bastardi
in un tribunale federale.»
«Bada a come parli,
Buddy.»
«Maledizione, Mavis, se
ho voglia di dire parolacce,
le dico.»
«Sentite, adesso devo
proprio andare.» Samantha
afferrò la sua valigetta. «La
prego di riconsiderare la
decisione di non firmare
l’atto
di
rinuncia
all’azione.»
«Io non lascio perdere»
ansimò Buddy.
«Bene, ma io non
tornerò più qui per questa
storia. Capito?»
Buddy si limitò ad
annuire. Mavis uscì con
Samantha, lasciando solo il
marito per qualche minuto.
Arrivate all’auto, disse:
«La
ringrazio
tanto,
Samantha.
Le
siamo
riconoscenti. Siamo andati
avanti per anni senza un
avvocato e adesso è
consolante
sapere
di
averne uno. Lui sta
morendo e lo sa, così gli
capita di avere delle brutte
giornate in cui non è molto
simpatico».
«Lo capisco.»
Alla vecchia stazione di
servizio della Conoco,
Samantha si fermò per il
pieno e, sperava, una tazza
di caffè bevibile. C’erano
due
o
tre
veicoli
parcheggiati di fianco
all’edificio, tutti con targa
del West Virginia e
nessuno che Samantha
riconoscesse. Jeff le aveva
raccomandato di stare più
attenta, di osservare ogni
macchina e ogni pick-up,
di notare ogni targa, di
studiare i visi senza fissarli
e di ascoltare le voci
fingendo disinteresse. Parti
sempre dal presupposto
che qualcuno ti stia
osservando,
l’aveva
avvertita Jeff, ma lei
trovava difficile accettarlo.
“Sono convinti che noi
abbiamo qualcosa che loro
vogliono disperatamente”
le aveva detto. Quel “noi”
la preoccupava ancora.
Non ricordava di essersi
unita alla squadra di
qualcuno.
Mentre
guardava la pompa di
benzina, notò un uomo
entrare
nell’emporio,
anche se nei cinque minuti
precedenti non aveva visto
arrivare nessun veicolo.
Bozo
era
tornato.
Samantha pagò alla pompa
con la carta di credito e a
quel punto avrebbe potuto
tagliare la corda, ma aveva
bisogno
di
conferme.
Varcò la porta del negozio
e salutò il commesso alla
cassa. Intorno a una stufa
panciuta, c’erano diversi
anziani sulle sedie a
dondolo e nessuno di loro
sembrò accorgersi di lei.
Qualche altro passo e
Samantha si ritrovò nel
minuscolo bar, niente di
più che una modesta
aggiunta all’edificio, con
una decina di tavoli coperti
da tovaglie a quadretti.
Cinque persone stavano
mangiando, sorseggiando
caffè e chiacchierando.
Bozo era seduto al
bancone e osservava la
griglia, sulla quale un
cuoco stava friggendo il
bacon.
Samantha
non
poteva vederlo in viso e
non voleva una scenata,
così, per un secondo,
rimase
immobile
e
imbarazzata al centro del
locale, incerta sul da farsi.
Si accorse di qualche
occhiata e decise di
andarsene.
Tornò
a
Madison e si fermò a un
minimarket per comprare
una carta stradale. La sua
Ford era dotata di GPS , ma
non si era mai preoccupata
di programmarlo. Aveva
bisogno di indicazioni, in
fretta.
Mezz’ora più tardi,
mentre guidava lungo una
strada di campagna da
qualche parte a Lawrence
County, Kentucky, il suo
nuovo cellulare finalmente
trovò campo sufficiente
per una chiamata. Jeff
rispose al quarto squillo.
Samantha gli spiegò con
calma
cosa
stava
succedendo e lui le fece
ripetere
tutto
al
rallentatore.
«Voleva che tu lo
vedessi»
disse
Jeff.
«Altrimenti
perché
avrebbe rischiato di dare
nell’occhio? Non è una
tattica insolita. Lui sa che
tu non puoi prenderlo a
pugni o altro, per cui si
limita semplicemente a
trasmettere un messaggio,
neppure troppo sottile.»
«Che sarebbe?»
«Ti teniamo d’occhio.
Siamo sempre in grado di
trovarti. Stai insieme alle
persone sbagliate e potresti
finire con il farti male.»
«Okay,
messaggio
ricevuto. E adesso?»
«Niente. Tieni solo gli
occhi aperti e, quando
torni a Brady, vedi se ti sta
aspettando.»
«Io non voglio tornare a
Brady.»
«Scusa?»
«Tu dove sei?»
«Sono in giro, per
qualche giorno.»
«Troppo vago.»
Samantha
arrivò
a
Brady poco prima di
mezzogiorno e non notò
alcun individuo sospetto.
Parcheggiò in strada vicino
allo studio e, da dietro gli
occhiali da sole, controllò
l’area prima di entrare. Da
un lato si sentiva un’idiota,
dall’altro si aspettava quasi
di vedere Bozo in agguato
dietro un albero. Cosa
diavolo aveva intenzione
di
fare
quell’uomo?
Pedinare lei avrebbe fatto
morire di noia qualsiasi
detective privato.
La nidiata Crump non
faceva
che
telefonare.
Evidentemente
Francine
aveva detto a uno dei figli
che aveva cambiato idea
ancora una volta, che
aveva intenzione di parlare
con Ms Kofer e che non
avrebbe apportato alcun
cambiamento
al
testamento
esistente.
Questo,
naturalmente,
aveva fatto infuriare i
Crump, i quali stavano
rendendo roventi le linee
telefoniche nel tentativo di
trovare
Ms
Kofer
e
chiarirle bene le idee, di
nuovo. Nessuno alla Legal
Aid Clinic aveva sentito
Francine. Con riluttanza,
Samantha prese la pila dei
messaggi telefonici da
Barb, la quale le diede il
consiglio non richiesto di
telefonare a uno soltanto
dei Crump, magari Jonah,
il maggiore, spiegando che
la loro cara madre non
aveva contattato lo studio
e chiedendo con decisione
che la piantassero di
assediare il centralino.
Samantha chiuse la
porta del suo ufficio e
chiamò Jonah, che rispose
al telefono abbastanza
gentilmente,
ma
poi
minacciò
subito
di
denunciarla e di farla
radiare dall’albo se avesse
pasticciato di nuovo con il
“testamento
della
mamma”. Samantha gli
disse di non avere né visto
né sentito Francine nelle
ultime ventiquattr’ore e di
non avere in agenda alcun
appuntamento con lei.
L’informazione calmò un
po’ Jonah, anche se restava
pronto a esplodere da un
momento all’altro.
«È possibile che vostra
madre vi stia prendendo in
giro?» chiese Samantha.
«La mamma non pensa
in quel modo.»
Samantha gli chiese
cortesemente di smettere
di infastidire lo studio e di
chiedere ai fratelli di non
telefonare
più.
Jonah
rifiutò, ma alla fine si
arrivò a un accordo: se
Francine
si
fosse
presentata allo studio per
avere un parere legale,
Samantha
l’avrebbe
invitata a telefonare a
Jonah per informarlo di
quello che stava facendo.
Samantha riattaccò e,
due secondi dopo, la
chiamò Barb: «È l’FBI »
annunciò.
La persona si identificò
come agente Banahan,
dell’ufficio di Roanoke, e
disse che stava cercando
un uomo di nome Jeff
Gray. Samantha ammise di
conoscere Jeff Gray e poi
chiese all’agente come
poteva avere conferma
della sua identità. Banahan
rispose che sarebbe stato
lieto di passare in studio
entro una mezz’ora: era già
in zona. Samantha gli disse
che non voleva discutere
di niente al telefono e
acconsentì
all’incontro.
Venti minuti più tardi,
Banahan era nell’area di
ricevimento della Legal
Aid Clinic e veniva
esaminato da Barb, che lo
valutò come piuttosto
carino, valutando se stessa
come molto seduttiva.
Banahan
non
sembrò
particolarmente
impressionato e passò
nella piccola sala riunioni,
dove Samantha e Mattie lo
stavano aspettando con un
registratore sul tavolo.
Dopo
brevi
presentazioni e un attento
esame delle credenziali di
Banahan, Mattie cominciò
dicendo: «Jeff Gray è mio
nipote».
«Lo sappiamo» disse
Banahan con un sorriso
compiaciuto, e le due
donne
lo
trovarono
istantaneamente
antipatico. «Sapete dov’è?»
Mattie
guardò
Samantha. «Io non lo so. E
tu?»
«No.» Non era una
bugia, in quel momento
Samantha non aveva idea
di dove Jeff si stesse
nascondendo.
«Quando è stata l’ultima
volta che ha parlato con
lui?»
chiese
l’agente,
rivolgendosi a Samantha.
«Senta, il fratello di Jeff
è morto lunedì della
settimana
scorsa»
si
intromise
Mattie.
«Lo
abbiamo
sepolto
mercoledì, cinque giorni
prima che i vostri facessero
irruzione nel suo studio. In
base
ai
termini
del
testamento,
Jeff
è
l’esecutore e io sono
l’avvocato dell’esecutore.
Per cui, sì, io parlo molto
spesso con mio nipote.
L’FBI cosa vuole da lui?»
«Abbiamo
parecchie
domande.»
«Avete un mandato
d’arresto a suo nome?»
«No.»
«Bene,
quindi
mio
nipote
non
si
sta
sottraendo all’arresto.»
«Esatto. Noi vogliamo
soltanto parlargli.»
«Ogni
conversazione
con Jeff Gray, di qualsiasi
natura, avrà luogo qui, a
questo tavolo. Capito? Io
gli consiglierò di non dire
nulla, se non in mia
presenza e in presenza di
Ms Kofer, okay?»
«Benissimo, Ms Wyatt.
Quindi quando potremo
parlare con lui?»
Mattie si rilassò e
rispose: «Be’, non so dove
si trovi oggi. Ho provato a
chiamarlo al cellulare e ha
risposto la segreteria».
Samantha scosse la testa,
come se non avesse parlato
con Jeff da settimane.
Mattie
continuò:
«Avevamo in programma
di andare in tribunale
domani per aprire la
successione e cominciare la
procedura
di
omologazione
del
testamento, ma il giudice
ha riprogrammato il tutto
per la settimana prossima.
Non so dove sia Jeff in
questo momento».
«Tutto questo ha a che
fare con l’irruzione dell’FBI
di ieri, quando avete
sequestrato le pratiche
dello studio di Donovan
Gray?»
domandò
Samantha.
Banahan le mostrò i
palmi delle mani e rispose:
«Non è evidente?».
«Così sembrerebbe. Su
chi state indagando, ora
che Donovan Gray è
morto?»
«Non sono autorizzato a
dare queste informazioni.»
«Jeff è oggetto di
indagine da parte vostra?»
chiese Mattie.
«No, non al momento.»
«Jeff non ha fatto niente
di male» disse Mattie.
28
I danni alla Millard Break
Mine
nei
pressi
di
Wittsburg,
Kentucky,
vennero inferti nel corso di
un attacco simile ai
precedenti. Sparando da
una
postazione
sul
versante est di Trace
Mountain,
un
rilievo
densamente
boscoso
centocinquanta metri sopra
la strip mine, i tiratori
inquadrarono il bersaglio
da una distanza di circa
seicento
metri
e
si
divertirono un mondo a
distruggere quarantasette
pneumatici, ognuno dei
quali
pesava
oltre
quattrocento chili e costava
diciottomila dollari. In
seguito i due guardiani
notturni, armati anche
loro, riferirono alle autorità
che l’attacco era durato più
o meno dieci minuti e che
in certi momenti era
sembrato una vera e
propria guerra, con i fucili
degli
assalitori
che
sparavano echeggiando in
tutta la vallata e gli
pneumatici
che
esplodevano vicino a loro.
La prima scarica di
proiettili colpì alle tre e
cinque del mattino. Tutti i
macchinari della miniera
erano fermi, tutti gli
operatori al sicuro nelle
loro case. Una delle due
guardie saltò su un pickup con l’idea di lanciarsi
nella caccia – sebbene non
sapesse esattamente dove
andare – ma venne subito
dissuaso quando il veicolo
prese fuoco e lui si ritrovò
con due pneumatici a
terra. L’altra guardia corse
in un caravan-ufficio per
chiamare la polizia, ma fu
costretto a cercare riparo
quando una raffica di colpi
mandò in frantumi tutte le
finestre. Si trattava di
eventi significativi perché
mettevano direttamente in
pericolo vite umane. Negli
attacchi precedenti, gli
assalitori erano sempre
stati attenti a non fare del
male a nessuno. L’obiettivo
erano i macchinari, non le
persone.
Ora,
però,
stavano
infrangendo
seriamente la legge. Le
guardie ritenevano che i
fucili in azione fossero stati
almeno tre, anche se, per
loro stessa ammissione, era
difficile dirlo con certezza
a causa del caos.
La società proprietaria,
Krull Mining, rilasciò alla
stampa
le
solite
dichiarazioni minacciose e
offrì
una
taglia
impressionante. Lo sceriffo
della
contea
promise
un’indagine a tutto campo
e arresti in tempi rapidi,
dichiarazioni
piuttosto
miopi e da spaccone, visto
che erano ormai due anni
che “questi ecoterroristi”
scorrazzavano
impunemente nella parte
meridionale
degli
Appalachi.
L’articolo
proseguiva
elencando gli attacchi
recenti e ipotizzando che
gli aggressori avessero
usato le stesse armi di
sempre: la cartuccia da 51
millimetri, infatti, veniva
normalmente sparata dal
fucile di precisione M24E,
lo stesso utilizzato in Iraq
dai
tiratori
scelti
dell’esercito, capaci di
centrare il bersaglio da una
distanza
superiore
ai
novecento metri. Veniva
citato un esperto il quale
dichiarava che l’utilizzo di
un’arma del genere da una
tale distanza, nel cuore
della notte e con una
tecnologia ottica facilmente
reperibile, avrebbe reso
praticamente impossibile
individuare i tiratori.
La
Krull
Mining
affermava
che
c’era
carenza di pneumatici sul
mercato e che era possibile
che la miniera restasse
chiusa per parecchi giorni.
Samantha lesse l’articolo
sul suo laptop il venerdì
mattina, in ufficio. Aveva
la sgradevole sensazione
che Jeff fosse coinvolto
nella gang, che potesse
esserne addirittura il capo.
Quasi due settimane dopo
la morte di suo fratello, Jeff
aveva sentito il bisogno di
fare un gesto pubblico di
denuncia, di applicare una
propria idea di castigo e
sferrare un colpo alla Krull
Mining. Se l’impressione
di
Samantha
corrispondeva al vero, era
una ragione in più per fare
i bagagli. Inviò l’articolo
via e-mail a Mattie, poi
entrò nel suo ufficio e le
disse: «Se devo essere
sincera, io credo che Jeff
sia coinvolto in questa
faccenda».
Mattie reagì con una
risata fasulla, poi disse:
«Samantha, oggi è il primo
venerdì di dicembre, il
giorno in cui decoriamo
l’ufficio, così come fanno
tutti quanti qui a Brady.
Da quando Donovan è
morto, oggi è la prima
volta in cui sono riuscita a
sentirmi bene e a sorridere
davvero.
Non
voglio
rovinarmi
la
giornata
preoccupandomi di quello
che sta combinando Jeff.
Gli hai parlato?».
«No,
perché
avrei
dovuto? Noi due non
stiamo insieme, come ami
dire tu. Jeff non è tenuto a
dirmi cosa fa.»
«Bene, lasciamo perdere
Jeff e cerchiamo di mettere
insieme un po’ di spirito
natalizio.»
Barb accese la radio e lo
studio risuonò subito di
canti natalizi. Barb era
anche
responsabile
dell’albero, una piccola e
triste
riproduzione
in
plastica che nel resto
dell’anno se ne stava nel
ripostiglio delle scope, ma
che, una volta appese le
decorazioni e le luci,
mostrò segni di vita.
Annette sistemò edera e
vischio in tutta la veranda
e fissò una ghirlanda alla
porta d’ingresso. Si fecero
portare da mangiare in
studio e il pranzo fu una
piacevole pausa nella sala
riunioni, con Chester che
fornì anche uno stufato di
carne. Il lavoro venne
dimenticato,
i
clienti
ignorati. Il telefono squillò
di rado, come se anche
tutto il resto della contea
fosse impegnato a entrare
nello spirito natalizio.
Dopo pranzo Samantha
andò in tribunale e lungo
la strada notò che ogni
negozio e ogni ufficio era
decorato. Una squadra di
operai comunali stava
appendendo
campane
argentate ai lampioni.
Un’altra stava ancorando
un grande abete appena
tagliato nel parco vicino al
tribunale. All’improvviso il
Natale era nell’aria e la
cittadina stava entrando
nello spirito.
Quando scese il buio,
tutta Brady uscì di casa e
frotte
di
persone
intasarono i marciapiedi di
Main Street, bevendo sidro
caldo e mangiando biscotti
di pan di zenzero per
strada, passando da un
negozio all’altro. La via
venne chiusa al traffico e i
bambini
aspettarono
eccitati la parata, che si
materializzò verso le sette,
quando in lontananza si
udirono le sirene. La folla
premette in avanti, lungo
entrambi i lati di Main
Street. Samantha era in
compagnia di Kim, Adam
e Annette. Fu lo sceriffo ad
aprire la parata a bordo
della sua autopattuglia
bianca
e
marrone,
scintillante per la recente
lucidatura. Lo seguì tutta
la sua flotta. Samantha si
chiese se il vecchio Romey
fosse riuscito a intrufolarsi,
ma non ne vide traccia. La
banda del liceo sfilò
suonando una versione
piuttosto discutibile di O
Come, All Ye Faithful. Era
una piccola banda di un
piccolo liceo.
«Non sono molto bravi,
vero?» sussurrò Adam.
«Io invece credo che
siano bravissimi» ribatté
Samantha.
Sfilarono a passo di
marcia le guide, seguite
dai boy scout. Poi passò un
carro
che
trasportava
alcuni veterani disabili in
sedia a rotelle, tutti felici di
essere ancora vivi e di
godersi un altro Natale. La
star era Mr Arnold Potter,
novantunenne,
sopravvissuto del D-day di
sessantaquattro
anni
prima. Era il più grande
eroe vivente della contea.
Gli Shriners sfrecciarono
sulle
loro
minimoto,
rubando la scena come
sempre. Sul carro del
Rotary Club era raffigurata
una scena della Natività,
con vere pecore e vere
capre che, per il momento,
si stavano comportando
bene. Un grande carro
trainato da un pick-up
Ford
ultimo
modello
trasportava i bambini del
coro della First Baptist
Church.
I
piccoli
indossavano
tuniche
bianche e le loro voci
angeliche intonavano quasi
alla perfezione O Little
Town of Bethlehem. Il
sindaco sfilò a bordo di
una
Thunderbird
decappottabile del 1958.
Salutava con la mano e
sorrideva, ma a nessuno
sembrava
importare.
Passarono altre auto della
polizia, il camion dei
pompieri di una brigata di
volontari e un altro carro
con un gruppo bluegrass
che
strimpellava
una
chiassosa versione di Jingle
Bells. Un club ippico sfilò
trottando in sella a cavalli
Quarter
Horse,
tutti
abbigliati in uno splendore
da rodeo, umani e animali.
Roy Rogers e Trigger ne
sarebbero stati orgogliosi.
Il titolare del locale
distributore di benzina
aveva
un
nuovo,
scintillante camion con un
serbatoio
da
quarantacinquemila litri e
qualcuno aveva pensato
che sarebbe stato una
simpatica aggiunta alla
sfilata.
Per
divertirsi,
l’autista nero sparava a
tutto volume rap per
niente
natalizi
dai
finestrini abbassati.
Infine
comparve
la
ragione vera della festa:
dalla sua slitta, Babbo
Natale salutava con la
mano bambini e bambine e
lanciava dolci ai loro piedi.
Con
un
altoparlante,
cantilenava: «Ho, Ho, Ho»
ma niente altro.
Quando
la
sfilata
scomparve alla vista, la
maggior
parte
degli
spettatori si mosse verso il
tribunale e si riunì nel
parco di fianco all’edificio.
Il sindaco diede a tutti il
benvenuto e blaterò troppo
a lungo. Un altro coro di
bambini cantò O Holy
Night.
Miss
Noland
County, una bella rossa,
stava intonando Sweet
Little Jesus Boy, quando
Samantha sentì qualcuno
toccarle il gomito sinistro.
Era Jeff, con un berretto in
testa e occhiali da sole che
lei non gli aveva mai visto.
Samantha si scostò da Kim
e Adam, si aprì un varco
tra la folla e si allontanò,
raggiungendo un punto
buio vicino al monumento
ai caduti. Era stata lì con
Jeff la sera di lunedì, a
guardare Bozo e Jimmy da
lontano.
«Sei libera domani?»
chiese Jeff, quasi in un
sussurro.
«Domani
è
sabato,
ovvio che non ho niente da
fare.»
«Faremo un’escursione
in montagna.»
Samantha
esitò,
guardando il sindaco che
premeva un interruttore e
l’albero di Natale del
municipio
che
si
illuminava. «Dove?»
Jeff le fece scivolare in
mano
un
foglietto
ripiegato e disse: «Le
istruzioni. Ci vediamo
domattina». Le diede un
bacio sulla guancia e sparì.
Guidò fino alla cittadina di
Knox a Curry County e
lasciò l’auto nel parcheggio
della biblioteca, a un
isolato da Main Street. Se
qualcuno l’aveva seguita,
non se n’era accorta. Con
aria indifferente, raggiunse
a piedi Main Street,
proseguì per tre isolati in
direzione ovest ed entrò
nel Knox Market, un bar e
coffee shop. Chiese della
toilette e le venne indicato
il retro del locale. Trovò
una porta che dava su un
vicolo, il quale sfociava in
Fifth Street. Come da
istruzioni, camminò per
due isolati, allontanandosi
dal centro, e finalmente
vide il fiume. Mentre si
avvicinava al Larry’s Trout
Deck sotto il ponte, Jeff
uscì dal negozio di esche e
le indicò con il dito una jon
boat, un barchino di sei
metri.
Senza
una
parola,
salirono entrambi a bordo:
Samantha
davanti,
infagottata per ripararsi
dal freddo, e Jeff dietro,
dove avviò il motore
fuoribordo. Allontanò la
barca dalla banchina e
diede gas. Erano al centro
del fiume Curry e la città
andava
scomparendo
rapidamente.
Passarono
sotto un altro ponte e la
civiltà sembrò finire. Per
chilometri, o comunque si
misurasse
la
distanza
lungo un fiume tortuoso –
Samantha non ne aveva
idea
–,
scivolarono
sull’acqua
scura
e
immobile. Il Curry era
stretto e profondo, senza
rocce
o
rapide.
Serpeggiava
tra
le
montagne, nascondendosi
dal sole grazie alle ripide
pareti di roccia che lo
fiancheggiavano e che
arrivavano quasi a toccarsi
sopra l’acqua. Superarono
la barca di un pescatore
solitario che fissava senza
speranza la sua lenza.
Passarono davanti a un
piccolo
insediamento
vicino a un banco di
sabbia, una serie di barche
e di baracche galleggianti.
“Topi di fiume” li avrebbe
definiti Jeff in seguito. Si
inoltrarono sempre più in
profondità nel canyon e,
dopo ogni ansa, il Curry si
faceva più stretto e più
buio.
Il forte ronzio del
fuoribordo
impediva
qualsiasi
conversazione,
non che avessero molto da
dire. Era ovvio che Jeff la
stava portando in un posto
dove non era mai stata, ma
Samantha
non
aveva
paura, né esitazioni. Si
fidava di Jeff, nonostante le
sue complicazioni, la sua
rabbia, la sua attuale
instabilità emotiva e la sua
imprudenza. O almeno si
fidava
abbastanza
da
andare a fare trekking con
lui, o qualunque altra cosa
Jeff avesse in mente per
quel giorno.
Jeff ridusse la velocità e
il barchino virò verso
destra. Un vecchio cartello
segnalava
SCORCIATOIA
CURRY ,
dopo di che
comparve una rampa di
cemento. Jeff l’aggirò e fece
scivolare la barca sopra
una striscia di sabbia.
«Salta
giù»
disse,
e
Samantha
scese.
Jeff
incatenò la jon boat a una
rastrelliera
metallica
accanto alla rampa e si
fermò un momento per
sgranchirsi
le
gambe.
Avevano viaggiato per
quasi un’ora.
«Bene, buongiorno a lei,
signore» disse Samantha.
Jeff sorrise e rispose:
«Altrettanto a te. Grazie
per essere venuta».
«Come se avessi avuto
scelta.
Dove
siamo
esattamente?»
«Da qualche parte a
Curry County. Seguimi.»
«Agli ordini.»
Lasciarono la striscia di
sabbia, si inoltrarono nei
boschi e cominciarono a
salire lungo un sentiero
privo di indicazioni che
solo uno come Jeff poteva
seguire. O come Donovan.
A mano a mano che la
salita si faceva più ripida,
Jeff sembrava accelerare il
passo. Poi, proprio mentre
le cosce e i polpacci di
Samantha
stavano
cominciando a urlare, si
fermò di colpo in una
piccola radura e afferrò
alcuni rami di cedro. Li
gettò di lato ed ecco,
naturalmente, un quad
Honda pronto a partire.
«I ragazzi e i loro
giocattoli»
commentò
Samantha.
«Mai stata su uno di
questi?» le chiese Jeff.
«Io vivo a Manhattan.»
«Salta su.» Samantha
ubbidì. C’era un minuscolo
sedile dietro Jeff. Samantha
gli passò le braccia intorno
alla vita mentre lui avviava
il motore e lo faceva
ruggire. «Tieniti stretta.» E
partirono,
sfrecciando
lungo lo stesso sentiero
che, solo pochi secondi
prima,
era
stato
a
malapena largo abbastanza
per due umani. Il sentiero
portò a una strada a ghiaia,
che Jeff imboccò come uno
stuntman. «Tieniti stretta!»
ripeté. Il quad fece un salto
e praticamente si alzò in
volo. Samantha avrebbe
voluto chiedere a Jeff di
rallentare, ma si limitò a
stringersi più forte a lui e a
chiudere gli occhi. La corsa
era eccitante e terrificante,
ma sapeva che Jeff non
l’avrebbe mai messa in
pericolo. Dalla strada a
ghiaia, voltarono in una
pista sterrata che saliva in
ripida pendenza. Gli alberi
erano troppo fitti per
consentire acrobazie e Jeff
si fece più cauto. La corsa
comunque continuava a
essere faticosa e pericolosa.
Dopo mezz’ora sul quad,
Samantha
ripensò
al
barchino con affettuosa
nostalgia.
«Posso chiederti dove
stiamo andando?» disse a
un orecchio di Jeff.
«A fare trekking, no?»
La salita terminò e corsero
lungo un crinale. Jeff voltò
in un altro sentiero e
cominciarono una discesa,
un percorso infido che
comportava scivolate da
un lato all’altro per
slalomeggiare tra alberi e
massi. Rallentarono per un
attimo in una radura per
guardare alla loro destra.
«Gray Mountain» disse
Jeff, indicando con un
cenno del capo la collina
spoglia in distanza. «Tra
un momento saremo nella
nostra proprietà.»
Samantha tenne duro
per l’ultimo tratto e,
quando attraversarono lo
Yellow Creek tra spruzzi
d’acqua, finalmente vide la
piccola casa di legno. Era
rannicchiata sul fianco di
una collina, una rozza
costruzione quadrata fatta
di vecchi tronchi, con una
veranda davanti e un
camino a un’estremità. Jeff
parcheggiò il quad lì
accanto
e
disse:
«Benvenuta nel nostro
piccolo nascondiglio».
«Sono sicura che c’è un
modo più facile per
arrivarci.»
«Oh, certo. C’è una
strada di campagna non
molto lontano da qui. Più
tardi te la farò vedere.
Carina, eh?»
«Immagino di sì. Non so
molto di case di tronchi.
Donovan me l’aveva fatta
vedere, ma eravamo a
trecento metri d’altezza. Se
ricordo bene, diceva che
non c’è acqua corrente e
neppure riscaldamento o
elettricità.»
«Proprio così. Se questa
notte
restiamo
qui,
dormiremo accanto al
fuoco.»
L’ipotesi
di
pernottamento non era mai
stata discussa, ma a quel
punto Samantha non era
sorpresa. Seguì Jeff sui
gradini,
attraverso
la
veranda e nel locale
principale della casa. Nel
caminetto c’era un ceppo
che stava finendo di
bruciare. «Da quando sei
qui?» domandò.
«Sono arrivato ieri notte
tardi, ho dormito davanti
al fuoco. Molto piacevole e
intimo. Ti va una birra?»
Samantha
guardò
l’orologio: le undici e
quarantacinque. «È un po’
presto.» C’era un frigo
portatile accanto a un
piccolo tavolo da pranzo.
«Hai
dell’acqua?»
domandò.
Jeff le passò una
bottiglia d’acqua e aprì
una lattina di birra. Si
sedettero su due sedie di
legno vicino al caminetto.
Jeff bevve un sorso e disse:
«Sono stati qui, questa
settimana. Qualcuno. Non
so chi, ma dubito che
fossero
dell’FBI .
Probabilmente
erano
operativi che lavorano per
la Krull o per qualche altra
società».
«Come fai a sapere che
sono stati qui?»
«Li ho in video. Due
mesi fa, Donovan e io
abbiamo montato due
videocamere
di
sorveglianza. La prima è
su un albero sull’altra riva
del torrente, la seconda su
un albero distante una
quindicina di metri dalla
veranda. Si attivano qui,
alla porta d’ingresso. Se
qualcuno la apre, le
videocamere partono e
registrano
per
trenta
minuti. Non c’è modo di
accorgersene.
Mercoledì
scorso, alle tre e ventuno
minuti per la precisione,
quattro gorilla sono entrati
qui dentro e hanno
perquisito la casa. Sono
sicuro che cercavano i
documenti, o gli hard
drive, o i laptop, o
qualsiasi altra cosa potesse
essere
utile.
L’aspetto
interessante, però, è che
non hanno lasciato la
minima traccia. Niente.
Nemmeno la polvere è
stata toccata, per cui
bisogna concludere che è
gente parecchio in gamba.
Credono anche che io sia
stupido, ma adesso so che
aspetto hanno. Ho le
quattro facce, e quando le
vedrò sarò pronto.»
«E adesso ci stanno
osservando?»
«Ne dubito. Il mio pickup è nascosto in un posto
che non vedranno mai.
Questa è la nostra terra,
Samantha,
e
noi
la
conosciamo meglio di
chiunque altro. Vuoi dare
un’occhiata?»
«Andiamo.»
Jeff afferrò uno zaino e
Samantha
lo
seguì
all’esterno. Camminarono
lungo il corso dello Yellow
Creek per quasi un
chilometro e si fermarono
in una radura per godersi
qualche sparuto raggio di
sole. Jeff disse: «Non so
quanto ti abbia detto
Donovan, ma questa è
l’unica parte della nostra
proprietà che non è stata
distrutta da quelli delle
strip mines. Qui abbiamo
circa dieci ettari che sono
rimasti intatti. Oltre quel
crinale c’è Gray Mountain
e il resto della nostra
proprietà, tutto devastato».
Proseguirono
l’escursione,
salendo
finché il bosco si aprì e
consentì di fermarsi per
guardare quella rovina. La
visione era già desolante
da un aereo a trecento
metri di altezza, ma da
terra
era
davvero
deprimente. La montagna
era
stata
ridotta
a
un’oscena, butterata gobba
di roccia ed erbacce. Con
grande sforzo, salirono
fino in cima e osservarono
le valli soffocate e intasate
sotto di loro. Pranzarono
con i sandwich all’ombra
di un caravan in rovina che
un
tempo
era
stato
utilizzato come quartier
generale della miniera. Jeff
raccontò storie di quando
da bambino aveva assistito
a quel disastro. Aveva
nove anni quando era
iniziata l’attività mineraria.
Samantha era curiosa di
sapere perché mai Jeff
avesse scelto proprio Gray
Mountain
come
destinazione della loro gita
del
sabato.
Come
Donovan, Jeff preferiva
non parlare di quello che
era successo in quei luoghi.
L’escursione era ben lungi
dall’essere piacevole. I
panorami e le vedute
erano per la maggior parte
del tutto rovinati. Si
trovavano nel bel mezzo
dei monti Appalachi, con
migliaia di chilometri di
sentieri incontaminati a
loro
disposizione.
La
situazione con la Krull
Mining era estremamente
pericolosa; forse qualcuno
li aveva seguiti.
Allora perché Gray
Mountain? Ma Samantha
non lo chiese. Forse lo
avrebbe fatto più tardi, ma
non in quel momento.
Nel corso della discesa,
passarono accanto a una
discarica di macchinari
arrugginiti e seminascosti
da
rampicanti,
evidentemente
abbandonati dalla Vayden
Coal quando era scappata
dal sito. Rovesciato su un
fianco
e
parzialmente
coperto di erbacce, c’era
anche
un
enorme
pneumatico. Samantha si
avvicinò e chiese: «A cosa
serviva?».
«Per gli autocarri da
trasporto.
Questo
è
piccolo, solo tre metri di
diametro. Oggi sono molto
più grandi.»
«Hai letto l’articolo sulla
sparatoria alla Millard
Break dell’altra notte? Hai
presente,
quegli
ecoterroristi...»
«Certo, li conoscono
tutti.»
Samantha si voltò e lo
fissò senza battere ciglio.
Jeff fece un passo indietro
e domandò: «Cosa c’è?».
Samantha continuò a
fissarlo e disse: «Oh,
niente.
Ho
solo
la
sensazione
che
l’ecoterrorismo
potesse
piacere a Donovan e possa
piacere a te, e forse anche a
Vic Canzarro».
«Faccio il tifo per quei
ragazzi, chiunque siano.
Ma non ho alcuna voglia di
finire in prigione.» Lo
disse mentre stava già
allontanandosi. Arrivati ai
piedi di Gray Mountain,
camminarono lungo un
torrente. Non c’era acqua:
non ce n’era più da
parecchio
tempo.
Jeff
spiegò che, molto prima
che il riempimento della
valle seppellisse il torrente,
lui, Donovan e il padre
andavano spesso a pescare
proprio lì. Accompagnò
Samantha dove un tempo
c’era stata la loro casa, la
casa costruita da suo
nonno.
Si
fermarono
davanti alla croce, nel
punto in cui Donovan
aveva trovato la loro
madre, Rose. Jeff rimase a
lungo in ginocchio accanto
alla croce.
Il
sole
stava
scomparendo
oltre
le
montagne; il pomeriggio
era scivolato via. Il vento
era più pungente, un
fronte
freddo
stava
avanzando e portava con
sé la possibilità di qualche
spruzzata di neve. Quando
furono di nuovo allo
Yellow
Creek,
Jeff
domandò: «Vuoi restare
qui
questa
notte
o
preferisci
tornare
a
Brady?».
«Restiamo»
rispose
Samantha.
Cucinarono due bistecche
sulla griglia in veranda e le
mangiarono accanto al
caminetto, bevendo vino
rosso in bicchieri di carta.
Vuotata la prima bottiglia,
Jeff ne aprì una seconda.
Poi sistemarono una pila di
trapunte davanti al fuoco.
Cominciarono a baciarsi,
all’inizio con cautela; non
c’era fretta, la notte era
lunga. Labbra e lingue
erano macchiate dal merlot
a buon mercato e ne risero
tutti e due. Parlarono del
passato di lei, poi di quello
di lui. Jeff non accennò mai
a Donovan e anche
Samantha fu attenta a
evitare l’argomento. Il
passato
era
facile
a
paragone del futuro. Jeff
era senza lavoro e non
aveva idea di cosa fare. Gli
ci erano voluti cinque anni
per terminarne due di
college, non era un
granché come studente.
Aveva scontato quattro
mesi nel carcere di contea
per
possesso
di
stupefacenti, un reato che
figurava ancora sulla sua
fedina penale e che lo
avrebbe perseguitato a
lungo. Adesso si teneva
alla larga dalla droga:
troppi amici rovinati dalla
metanfetamina. Magari un
po’ d’erba ogni tanto, ma
non fumava molto, né
beveva molto. Lentamente,
arrivarono al tema delle
loro
vite
amorose.
Samantha parlò di Henry,
facendo sembrare quella
storia più coinvolgente di
quanto fosse stata in realtà.
Francamente, però, lei era
stata troppo impegnata nel
lavoro e troppo esausta per
cominciare e portare avanti
una relazione seria. Jeff era
stato fidanzato con quella
che era la sua ragazza da
sempre, ma i mesi trascorsi
in
carcere
avevano
mandato all’aria i loro
progetti. Mentre lui era al
fresco, lei era scappata con
un altro spezzandogli il
cuore. Così per molto
tempo Jeff aveva avuto
scarsissima considerazione
delle donne, che aveva
trattato come se fossero
state utili per una cosa
sola. Ora però si stava
ammorbidendo e da un
anno frequentava una
giovane
divorziata
di
Wise. Lei lavorava al
college,
aveva
un
bell’impiego e anche due
marmocchi. Il problema
era che lui non sopportava
i due ragazzini. Il padre
era schizofrenico e quei
due
cominciavano
a
mostrare gli stessi sintomi.
Il
rapporto
con
la
divorziata
si
era
notevolmente raffreddato.
«Hai la mano sotto la
mia
camicetta»
disse
Samantha.
«Sì, e si trova bene, lì.»
«In effetti è vero. È
passato molto tempo.»
Finalmente si baciarono
sul serio, un lungo bacio
esplorativo, con le mani
che
si
muovevano
frenetiche e i bottoni che
saltavano. Si fermarono un
attimo per slacciare le
cinture e togliersi le scarpe.
Il bacio successivo fu più
tenero, ma tutte e quattro
le
mani
ripresero
a
lavorare,
togliendo
indumenti.
Completamente
nudi,
fecero l’amore illuminati
dal fuoco. All’inizio il
ritmo fu goffo. Lui era un
po’ rude, lei un po’
arrugginita, ma ben presto
i loro corpi trovarono la
sintonia. Il primo round fu
veloce perché tutti e due
avevano bisogno di un
piacere
liberatorio.
Il
secondo fu molto più
appagante,
ricco
di
esplorazioni e posizioni
diverse.
Poi
si
abbandonarono
sulle
coperte,
esausti,
accarezzandosi
delicatamente.
Erano quasi le nove di
sera.
A metà mattina il velo di
neve era già sparito. Il sole
splendeva e l’aria era
limpida. Fecero trekking
per un’ora intorno a Gray
Mountain. Saltarono su
torrenti prosciugati dove
un tempo brulicavano
trote brune e trote iridee, si
infilarono in basse caverne
che in un’altra vita i
ragazzi avevano usato
come
fortini,
si
arrampicarono su massi
fatti esplodere dalla terra
due
decenni
prima,
camminarono su sentieri
tortuosi che nessun altro
avrebbe potuto trovare.
Samantha non si sentiva
indolenzita
per
la
maratona della sera prima,
ma certi muscoli le
sembravano comunque un
po’ molli. Jeff invece
sembrava indistruttibile.
Che si trattasse di scalare
montagne o di fare sesso
davanti al caminetto, la
sua capacità di resistenza
era inesauribile.
Samantha lo seguì in
una gola alla base della
montagna, poi in un altro
sentiero che scompariva
nel
bosco.
Si
arrampicarono su delle
rocce,
parte
di
una
formazione naturale, ed
entrarono in una grotta,
impossibile
da
notare
anche da una distanza di
pochi metri. Jeff accese una
torcia e la sollevò al di
sopra della spalla. «Tutto
bene?»
«Sono dietro di te»
rispose
Samantha,
praticamente aggrappata a
lui.
«Dove
stiamo
andando?»
«Voglio
mostrarti
qualcosa.» Si abbassarono
per passare sotto una
parete di roccia e si
inoltrarono nella grotta
che, se non fosse stato per
la
torcia,
era
completamente
buia.
Avanzavano lentamente,
come se avessero dovuto
cogliere
qualcuno
di
sorpresa. Se Jeff avesse
gridato
“Serpente!”
Samantha sarebbe svenuta
o
morta
d’infarto
all’istante.
Entrarono in una sala,
uno spazio semicircolare
appena illuminato da un
raggio di sole che in
qualche modo riusciva a
filtrare attraverso la roccia.
Era un magazzino, in uso
già da diverso tempo. Due
file
di
armadietti
provenienti
dalle
eccedenze
dell’esercito
erano allineate lungo una
parete,
una
pila
di
contenitori di cartone era
sistemata contro un’altra.
C’era anche un tavolo, un
asse di spesso compensato
appoggiato su blocchi di
cemento, sopra il quale si
trovava una serie di scatole
di
plastica,
sigillate
ermeticamente.
«Venivamo a giocare qui
da bambini» disse Jeff. «La
grotta è a circa sessanta
metri all’interno della base
di Gray Mountain, troppo
in profondità per essere
rovinata dalla miniera.
Questa sala era una delle
nostre preferite perché c’è
luce, è asciutta, niente
umidità,
e
ha
una
temperatura costante per
tutto l’anno.»
Samantha
indicò
il
tavolo e disse: «E quelli
sono i documenti che avete
rubato alla Krull Mining,
giusto?».
Jeff annuì con un
sorriso. «Giusto.»
«Adesso sono complice
di un reato. Perché mi hai
portata qui?»
«Non
sei
complice
perché non hai avuto
niente a che fare con il
reato e queste scatole tu
non le hai mai viste. Tu
non sei mai stata qui,
okay?»
«Non so. Non mi suona
bene. Te lo ripeto: perché
mi hai portata qui?»
«È semplice, Samantha,
e allo stesso tempo non lo
è.
Questi
documenti
devono essere consegnati
agli altri avvocati, i
colleghi di Donovan. E
presto. Io ho trovato un
modo per farlo, ma non
sarà facile. L’FBI è all’erta.
La Krull ci tiene d’occhio.
A tutti piacerebbe da
morire beccarmi con questi
documenti. Accidenti, ho
dato una mano a rubarli e
adesso sono nascosti nella
proprietà
della
mia
famiglia, per cui non avrei
molte possibilità di difesa,
ti pare?»
«Sei nei guai.»
«Infatti, e se mi succede
qualcosa prima di poterli
consegnare, qualcuno deve
sapere dove si trovano.»
«E quel qualcuno sarei
io, immagino.»
«Sei
abbastanza
intelligente da capirlo.»
«Ne dubito. Chi altri sa
di questo posto?»
«Solo Vic Canzarro.
Nessun altro.»
Samantha
fece
un
respiro profondo e si
avvicinò. «Non c’è niente
di semplice in questa
storia, Jeff. Da un lato,
questi sono documenti
rubati
che
potrebbero
costare una fortuna alla
Krull Mining e costringerla
a rimediare al disastro che
ha fatto. Dall’altro lato,
questi stessi documenti
potrebbero
comportare
un’accusa penale per te o
per chiunque ne sia in
possesso. Hai parlato con
gli altri avvocati, i colleghi
di Donovan?»
«Non da quando è
morto. Voglio che lo faccia
tu, Samantha. Io non sono
un avvocato. Tu sì. E
bisogna agire presto: un
incontro segreto, in un
posto dove nessuno possa
guardare o ascoltare.»
Samantha scosse la
testa, con la sensazione di
ritrovarsi
sempre
più
invischiata nella ragnatela.
Aveva
finalmente
raggiunto il punto di non
ritorno? «Devo pensarci.
Perché non parlate tu e Vic
con gli avvocati?»
«Vic non ci starebbe. Ha
paura. Inoltre ha molti
precedenti
ingombranti
qui, nei campi carboniferi.
È una lunga storia.»
«Ci sono storie corte da
queste parti?»
Samantha si avvicinò
agli armadietti e domandò:
«E qui dentro cosa c’è?».
«La nostra collezione di
armi.»
Samantha pensò di
aprire uno sportello per
dare
un’occhiata
all’interno, ma non sapeva
niente di armi e non aveva
intenzione di imparare.
Senza guardare Jeff, gli
chiese: «Che probabilità ci
sono di trovare un fucile
militare da tiratore scelto,
con ottica da visione
notturna e una scorta di
cartucce
da
51
millimetri?». Si voltò e lo
guardò, ma Jeff distolse lo
sguardo e rispose: «Io non
aprirei quell’armadietto, se
fossi in te».
Samantha si diresse
verso
l’entrata,
passò
accanto a lui e disse:
«Andiamocene di qui».
Uscirono dalla grotta e
poco dopo stavano di
nuovo serpeggiando lungo
i sentieri. A Samantha
venne in mente che, se
fosse successo qualcosa a
Jeff, non sarebbe mai
riuscita a ritrovare la
strada per arrivare alla
grotta. E anche che, se
fosse successo qualcosa a
Jeff, lei sarebbe stata a
Manhattan prima ancora
che
Mattie
potesse
organizzare
un
altro
funerale.
Non venne detto nulla
per
molto
tempo.
Pranzarono in veranda
dividendosi un barattolo
di pessimo chili, che
mandarono
giù
con
l’ultimo vino rimasto, e poi
fecero
un
sonnellino
accanto al fuoco. Quando
si
svegliarono,
si
ritrovarono di nuovo a
stringersi e a baciarsi. Gli
stessi indumenti sparirono
di nuovo, gettati a caso
nella stanza. Quello che
passarono insieme fu un
delizioso
domenicale.
pomeriggio
29
La cauzione di Phoebe
Fanning era stata ridotta
da centomila a soli mille
dollari e alle nove di
lunedì mattina il denaro
venne versato da un
garante. La trattativa si era
conclusa con successo
perché Samantha aveva
martellato il giudice e lo
aveva convinto a rilasciare
la madre, trattenendo però
il padre in carcere. In gioco
c’era il benessere di tre
bambini innocenti e, dopo
due giorni di fastidiose
insistenze, il giudice aveva
ceduto.
L’avvocato
d’ufficio di Phoebe aveva
dichiarato
di
essere
oberato di lavoro e quindi
di non avere tempo per le
questioni preliminari, per
cui era dovuta intervenire
Samantha per ottenere il
rilascio. Uscì dal tribunale
insieme a Phoebe e
l’accompagnò a casa in
auto. Aspettò con lei per
un’ora che una lontana
cugina le riportasse i figli. I
bambini non vedevano la
madre da più di una
settimana
ed
erano
chiaramente stati avvertiti
che con ogni probabilità
Phoebe avrebbe dovuto
scontare una pena in
carcere. Ci furono molte
lacrime e molti abbracci,
che presto annoiarono
Samantha. Aveva spiegato
con precisione a Phoebe
che l’aspettavano almeno
cinque anni di carcere –
molti di più per Randy, se
fosse stato condannato – e
che doveva preparare i
figli
all’inevitabile
catastrofe.
Se ne stava andando dai
Fanning
quando
il
cellulare ronzò. Era Mattie,
dallo studio: aveva appena
saputo
che
Francine
Crump era stata colpita da
un grave ictus ed era
ricoverata in ospedale. La
saga
del
testamento
continuava.
In
ospedale,
una
terrificante e antiquata
struttura
che
avrebbe
dovuto ispirare sani stili di
vita a tutti gli abitanti di
Nolan County, Samantha
trovò un’infermiera del
reparto di terapia intensiva
disposta a concederle due
o tre parole. La paziente
era stata ricoverata poco
dopo la mezzanotte, in
stato di incoscienza e con
pressione sanguigna non
rilevabile. La TAC aveva
evidenziato una grave
emorragia cerebrale. La
signora era stata intubata
ed era in coma. «La
situazione non è buona»
disse l’infermiera, molto
accigliata. «A quanto pare,
sono passate ore prima che
qualcuno la trovasse. E poi
ha ottant’anni.» Poiché non
era una parente, Samantha
non ebbe il permesso di
sbirciare in reparto per
vedere
chi
ci
fosse
eventualmente
con
Francine.
Quando
rientrò
in
studio, trovò i messaggi
delle telefonate di Jonah e
DeLoss Crump. Dato che
la madre stava morendo,
volevano a tutti costi
parlare dell’eredità. Se
Francine aveva firmato un
nuovo testamento, non era
stato redatto dagli avvocati
della Mountain Legal Aid
Clinic. Se non c’era un
nuovo testamento, e se
Francine restava in coma
fino al momento della
morte,
allora
era
assolutamente chiaro che
Samantha avrebbe dovuto
vedersela
con
quelle
persone sgradevoli per
molti mesi a venire. Quella
che
stava
prendendo
forma era una dura
battaglia testamentaria.
Samantha decise che per
il
momento
avrebbe
ignorato le telefonate. Con
ogni probabilità i cinque
fratelli
si
stavano
precipitando a Brady e lei
avrebbe avuto loro notizie
fin troppo presto.
Quel lunedì la pausa
pranzo venne impiegata
per digerire diverse notizie
deprimenti. Come Mattie
aveva
previsto,
gli
avvocati della Strayhorn
Coal
si
stavano
rimangiando la promessa
di accordo per il caso Tate.
Le avevano mandato una
lettera, quale presunto
legale
garante
del
testamento di Donovan,
annunciando
che
non
avrebbero pagato. Anzi,
avevano tutte le intenzioni
di ricorrere in appello.
Mattie aveva inviato un’email di risposta con
l’impertinente
suggerimento
che
avrebbero fatto meglio a
controllare
la
loro
aggressività. La sua teoria
era che i legali della
Strayhorn
tendessero
all’appello, sperando in un
ribaltamento
della
sentenza per puntare a un
nuovo
processo,
con
Donovan fuori dai piedi. Il
nuovo processo si sarebbe
celebrato dopo tre anni,
come minimo, e mentre gli
avvocati sarebbero stati
pagati per aspettare e
perdere tempo, il denaro
del cliente sarebbe stato
messo a frutto da qualche
altra parte. Annette era
furiosa e sollecitò Mattie a
portare
la
questione
all’attenzione del giudice.
La Strayhorn e Donovan
avevano raggiunto un
accordo per chiudere a un
milione e settecentomila
dollari.
Era
sleale,
addirittura inconcepibile,
che ora il convenuto si
tirasse indietro solo perché
l’avvocato dell’attore era
deceduto.
Mattie
era
d’accordo, però fino a quel
momento nessuno dello
studio di Donovan aveva
trovato qualcosa di scritto.
Sembrava che le parti si
fossero
accordate
per
telefono, ma nessun memo
era stato redatto prima
della morte di Donovan.
Senza linee guida scritte,
Mattie dubitava che la
corte
avrebbe
potuto
imporre l’accordo. Si era
consultata con un avvocato
specialista in risarcimenti e
con
un
giudice
in
pensione:
entrambi
pensavano
che
non
avrebbe avuto fortuna.
Mattie
aveva
in
programma di fare due
chiacchiere informali con il
giudice
che
aveva
presieduto il processo per
farsi un’idea di quale fosse
il suo pensiero. In ogni
caso la conclusione, a
quanto pareva, era che gli
eredi
di
Donovan
sarebbero stati costretti ad
assumere un legale che si
occupasse dell’appello.
Cambiando argomento,
Barb riferì che quella
mattina lo studio aveva
ricevuto undici telefonate
dal clan Crump, tutte per
richiedere un colloquio con
Ms Kofer. Ms Kofer disse
che
pensava
di
programmare un incontro
nel pomeriggio. Non fu
una sorpresa che sia Mattie
sia
Annette
avessero
l’agenda piena e non
potessero occuparsi dei
Crump. Samantha roteò gli
occhi e disse okay, ma
quegli
individui
non
sarebbero scomparsi tanto
presto.
Francine morì alle sedici
e
trenta
di
quel
pomeriggio. Non aveva
mai ripreso conoscenza, né
aveva mai trovato il tempo
di modificare il testamento
redatto da Samantha.
Nel primo pomeriggio di
martedì, Jeff scivolò nello
studio dalla porta sul retro
e fu davanti alla scrivania
di Samantha prima ancora
che lei se ne rendesse
conto. Si sorrisero e si
salutarono, ma non ci fu
alcun movimento teso a
qualcosa di più affettuoso.
La porta dell’ufficio era
aperta e, come sempre, lo
studio traboccava di donne
incredibilmente rumorose.
Jeff si mise a sedere e disse:
«Allora,
quando
ti
andrebbe di fare di nuovo
un po’ di trekking?».
Samantha si portò un
dito sulle labbra e rispose
piano: «Appena potrò
inserirlo
nella
mia
agenda». Aveva pensato al
sesso più nelle ultime
ventiquattr’ore
che
in
qualsiasi altro momento
negli ultimi due anni, dopo
la rottura con Henry.
«Dovrò controllare con
la
mia
segretaria»
aggiunse. Trovava ancora
difficile
credere
che
qualcuno potesse ascoltare
le conversazioni nel suo
ufficio, ma non voleva
correre rischi. Data la sua
paranoia, Jeff non diceva
quasi nulla. Riuscì a
sussurrare: «Okay».
«Posso
offrirti
un
caffè?»
«No.»
«Allora sarà meglio che
andiamo.»
Percorsero il corridoio
fino alla sala riunioni sul
davanti, dove Mattie stava
aspettando.
Alle
quattordici
esatte,
gli
agenti
Banahan,
Frohmeyer
e
Zimmer
irruppero nella Legal Aid
Clinic, con una tale cupa
determinazione da far
pensare che avrebbero
prima sparato e poi fatto le
domande.
Era
stato
Frohmeyer a guidare la
truppa durante il raid nello
studio di Donovan, e
Zimmer era uno dei suoi
tirapiedi. Banahan era già
passato di lì. Dopo un
rapido
giro
di
presentazioni, presero tutti
posto, con Jeff seduto tra
Mattie e Samantha da un
lato del tavolo e i
governativi
dall’altro.
Annette si sistemò a
capotavola e accese il
registratore.
Mattie chiese di nuovo
se Jeff fosse oggetto di
indagini da parte dell’FBI ,
del procuratore federale, di
una qualsiasi altra agenzia
o
di
qualcuno
del
dipartimento di Giustizia.
Frohmeyer le assicurò che
Jeff non era indagato.
Frohmeyer diede il via
alla riunione e dedicò
qualche minuto a scavare
nel background di Jeff.
Samantha prese appunti.
Dopo il weekend piuttosto
intimo, durante il quale
Jeff le aveva detto così
tanto di sé, non venne a
sapere niente di nuovo.
Frohmeyer lo interrogò sui
suoi rapporti con il fratello
defunto. Per quanto tempo
aveva lavorato per lui?
Cosa
faceva?
Quanto
veniva pagato? Come
istruito da Mattie e
Annette, Jeff diede risposte
succinte e non fornì mai
particolari extra.
Mentire a un agente
dell’FBI è di per sé un
reato, ovunque e in
qualunque
modo
l’interrogatorio si svolga.
“Fa’ quello che vuoi”
aveva
raccomandato
Mattie più volte “ma non
mentire.”
Come suo fratello, Jeff
era
sembrato
assolutamente pronto a
dire il falso, se solo fosse
stato utile alla causa. Dava
per scontato che i cattivi –
le società minerarie e ora
anche
il
governo
–
prendessero
scorciatoie,
barassero e scendessero a
qualunque compromesso
pur di vincere. E se loro
giocavano sporco, perché
lui non poteva fare
altrettanto? Perché, gli
aveva ripetuto Mattie, tu
puoi finire in prigione. Le
società minerarie e i loro
avvocati no.
Seguendo
i
suoi
appunti,
Frohmeyer
finalmente
arrivò
alle
questioni
importanti.
Spiegò che i computer
sequestrati
dall’FBI
la
settimana prima erano stati
manomessi. Gli hard drive
erano stati sostituiti. Jeff ne
sapeva qualcosa?
Mattie scattò: «Non
rispondere».
Disse
a
Frohmeyer
che
aveva
parlato con il procuratore
federale e che era chiaro
come Donovan fosse morto
senza sapere di essere
oggetto di una nuova
indagine. Non ne era stato
informato e non c’era nulla
di scritto. Di conseguenza,
per quanto riguardava le
pratiche e l’archivio dello
studio
di
Donovan,
qualsiasi azione compiuta
dai dipendenti dopo il suo
decesso non era stata
effettuata per ostacolare
un’indagine.
Ufficiosamente,
la
versione di Jeff era che
aveva rimosso gli hard
drive dai computer dello
studio e di casa e poi li
aveva bruciati. Samantha,
però,
sospettava
che
esistessero ancora. Non
che avesse importanza. Jeff
le aveva assicurato che nei
computer di Donovan non
si sarebbe trovato niente di
importante
che
riguardasse
la
Krull
Mining.
“E io so dove sono i
documenti”
pensò
Samantha, quasi incredula.
Il fatto che Mattie avesse
contattato il procuratore
federale irritò Frohmeyer.
A lei non importava. I due
cavillarono per un po’
sull’interrogatorio, ma ben
presto fu evidente chi
aveva il controllo, per lo
meno in quella riunione.
Se Mattie diceva a Jeff di
non
rispondere,
Frohmeyer non otteneva
niente. L’agente raccontò
la storia di un mucchio di
documenti scomparsi dal
quartier generale della
Krull Mining nei pressi di
Harlan, Kentucky, e chiese
a Jeff se ne sapeva
qualcosa. Jeff si strinse
nelle spalle e scosse la testa
in segno di diniego prima
ancora che Mattie potesse
dire: «Non rispondere».
«Si appella al Quinto
emendamento?»
chiese
frustrato Frohmeyer.
«Il mio cliente non è
sotto giuramento» sparò
Mattie, come se Frohmeyer
fosse uno stupido.
Samantha
dovette
confessare, almeno a se
stessa,
che
si
stava
godendo lo scontro. L’FBI
con tutto il suo potere da
un lato; Jeff, il loro cliente,
certamente colpevole di
qualcosa, dall’altro lato,
poderosamente protetto da
legali agguerriti e vincente,
per il momento.
«Mi sembra che stiamo
perdendo tempo» disse
Frohmeyer, alzando le
mani.
«Grazie
dell’ospitalità. Sono certo
che ci rincontreremo.»
«Prego» disse Mattie. «E
nessun contatto con il mio
cliente senza che io venga
avvertita, capito?»
«Vedremo»
disse
Frohmeyer
da
vero
stronzo,
mentre
allontanava bruscamente
la sedia e si alzava in piedi.
Banahan
e
Zimmer
uscirono a passo di marcia
insieme a lui.
Un’ora
più
tardi,
Samantha, Mattie e Jeff
erano seduti in ultima fila
nell’aula principale del
tribunale, in attesa del
giudice
che
avrebbe
sovrinteso
all’omologazione
del
testamento di Donovan. Le
udienze non erano ancora
iniziate e una manciata di
avvocati
ciondolava
davanti al banco del
giudice,
scambiando
battute con i cancellieri.
Sottovoce, Jeff disse:
«Questa mattina ho parlato
con i nostri esperti. Finora
non hanno trovato alcuna
prova di manomissione al
Cessna
di
Donovan.
L’incidente è avvenuto per
un
improvviso
spegnimento del motore,
causato
dal
mancato
afflusso di carburante. Il
serbatoio
era
pieno:
facevamo sempre il pieno a
Charleston perché lì costa
meno. È un miracolo che
l’aereo
non
si
sia
incendiato scavando un
buco nel terreno».
«Come mai il carburante
non arrivava al motore?»
chiese Mattie.
«È questa la grande
domanda.
Se
diamo
credito a un’ipotesi di
sabotaggio, allora abbiamo
una
teoria
molto
attendibile. Dalla pompa
del carburante parte un
tubo
che
arriva
al
carburatore, al quale è
fissato da quello che viene
chiamato dado B. Se il
dado
B
viene
deliberatamente allentato,
il
motore
partirà
e
funzionerà senza problemi,
ma le vibrazioni faranno sì
che il dado si sviti
lentamente da solo. A quel
punto
il
tubo
del
carburante si stacca e lo
spegnimento del motore è
solo questione di tempo.
Prima
comincerà
a
sputacchiare e poi si
pianterà completamente.
Succede tutto in modo
molto rapido, senza alcun
allarme o avvertimento, ed
è
impossibile
farlo
ripartire. Se il pilota sta
guardando l’indicatore del
carburante, al quale si dà
un’occhiata solo di tanto in
tanto, potrà forse notare un
improvviso
calo
di
pressione più o meno nello
stesso momento in cui il
motore
comincia
a
spegnersi.
Tutti
sottolineano il fatto che
Donovan non ha lanciato
l’SOS , ma sono sciocchezze.
Pensaci:
stai
volando
tranquillo di sera e tutto a
un tratto il motore si
spegne. Hai pochi secondi
per reagire, ma il panico è
totale. Cerchi di far
ripartire il motore, ma non
ci riesci. Ti vengono in
mente dieci cose nello
stesso
momento,
ma
l’ultima è chiedere aiuto. E
come diavolo potrebbero
aiutarti?»
«È facile manomettere
quel dado B?» chiese
Samantha.
«In sé non è difficile.
Tutto sta nel non farsi
prendere. Devi aspettare
che sia buio, entrare di
soppiatto
nell’area
recintata del parcheggio,
togliere la copertura del
motore e lavorare con
torcia e chiave inglese. Ci
si può può riuscire in venti
minuti al massimo. La sera
in questione, c’erano altri
diciassette
aerei
nello
stesso parcheggio, ma il
traffico
era
quasi
inesistente. L’area era
molto tranquilla. Abbiamo
controllato i video della
sorveglianza e non si è
trovato niente. Abbiamo
parlato con gli addetti in
servizio quella sera e loro
non hanno visto niente.
Abbiamo controllato le
registrazioni
della
manutenzione
con
il
tecnico di Roanoke e
naturalmente
tutto
funzionava alla perfezione
quando ha firmato il
modulo
dell’ultima
ispezione.»
«In che condizioni è il
motore adesso?» chiese
Mattie.
«Un
disastro.
Evidentemente il Cessna
ha urtato degli alberi.
L’impressione
è
che
Donovan stesse cercando
di atterrare su una strada
di campagna, forse aveva
visto i fari di un’auto,
chissà...
Comunque,
quando ha colpito gli
alberi l’aereo si è inclinato
in avanti e si è schiantato a
terra con il muso. Il motore
è andato in pezzi e ora è
impossibile determinare la
posizione del dado B. È
facile
arrivare
alla
conclusione che il flusso
del carburante si sia
interrotto, ma a parte
questo non ci sono molti
altri indizi.»
Il giudice entrò in aula e
si sedette dietro il banco.
Passò lo sguardo sul
pubblico e disse qualcosa a
un cancelliere.
«E
adesso
cosa
succede?»
sussurrò
Samantha.
«Continueremo
a
scavare» rispose Jeff, ma
con scarsa convinzione.
Il giudice guardò verso
il fondo dell’aula e disse:
«Ms Wyatt».
Mattie presentò Jeff al
giudice, il quale espresse
cortesemente
le
sue
condoglianze e disse belle
cose di Donovan. Jeff lo
ringraziò, mentre Mattie
cominciava a presentare i
documenti per la firma. Il
giudice lesse il testamento
prendendosela comoda e
commentando
diverse
clausole. Poi discusse con
Mattie la strategia in base
alla
quale
l’avvocato
garante del testamento
avrebbe potuto assumere
un collega per gestire
l’appello Tate. Jeff venne
interrogato sulla situazione
finanziaria di Donovan, sui
suoi beni e sui suoi debiti.
Un’ora dopo, tutte le
carte erano state firmate e
la
successione
era
ufficialmente
aperta.
Mattie si trattenne in
tribunale
per
un’altra
questione, ma Jeff ebbe il
permesso di andarsene.
Mentre tornava a piedi allo
studio
con
Samantha,
disse: «Sto per sparire per
qualche settimana, perciò
usa il cellulare prepagato».
«Un
posto
in
particolare?»
«No.»
«Non mi sorprende.
Vado via anch’io, per le
vacanze
di
Natale.
Washington e poi New
York. Immagino che per
un po’ non ci vedremo.»
«Quindi siamo al buon
Natale e felice anno
nuovo?»
«Credo di sì. Buon
Natale e felice anno
nuovo.»
Jeff si fermò e le diede
un bacio veloce sulla
guancia. «Altrettanto a te.»
Svoltò in una strada
laterale e si allontanò in
fretta, come se qualcuno lo
stesse inseguendo.
Il funerale di Francine
Crump venne celebrato
alle undici di mercoledì
mattina, in una chiesa
pentecostale della Santità
persa in mezzo al nulla.
Samantha non aveva mai
preso in considerazione
l’idea di partecipare, e
Annette
glielo
aveva
vivamente
sconsigliato,
data l’alta probabilità che i
fedeli facessero comparire i
serpenti per poi cominciare
a danzare. Samantha aveva
preso
sul
serio
l’avvertimento. Annette in
seguito aveva ammesso di
avere esagerato. Non si
conoscevano
congregazioni
di
“maneggiatori di serpenti”
ancora attive in Virginia,
spiegò. “Ormai tutti i
membri sono morti.”
Ma un nido di rabbiosi
serpenti a sonagli non
avrebbe potuto essere
peggio della banda dei
Crump che si presentò più
tardi in giornata per una
resa dei conti con “Missus
Kofer”. Calarono sulla
Legal Aid Clinic con
un’esibizione di forza che
Mattie non aveva mai
visto: i cinque fratelli,
alcuni dei loro coniugi,
qualche robusto figlio e
diversi parenti assortiti.
La loro adorata mamma
era morta ed era arrivato il
momento di spartirsi i
soldi.
Mattie
assunse
il
comando e ordinò alla
maggior parte dei Crump
di andarsene. Solo i cinque
fratelli
avrebbero
partecipato alla riunione, il
resto poteva aspettare a
bordo dei pick-up. Mattie e
Annette
guidarono
il
gregge in una sala riunioni
e, quando tutti furono
seduti, entrò Samantha.
Nel loro insieme, i Crump
erano
un
disastro.
Avevano appena sepolto la
madre. Erano terrorizzati
al pensiero di perdere la
proprietà di famiglia e i
soldi, quali che fossero, ed
erano arrabbiati con coloro
che avevano agevolato il
verificarsi
di
quella
situazione. Erano anche
assediati da parenti che
avevano
sentito
voci
relative al denaro delle
società del carbone. Erano
lontano
da
casa
e
perdevano ore di lavoro. E
infine,
sospettava
Samantha,
stavano
litigando tra loro.
Cominciò spiegando che
nessun avvocato della
Legal Aid Clinic aveva
stilato un altro testamento
per la loro madre; anzi,
nessuno aveva più sentito
una
sola
parola
da
Francine
dall’ultima
riunione
di
famiglia
intorno a quello stesso
tavolo, circa nove giorni
prima. Se Francine aveva
detto loro qualcosa di
diverso,
semplicemente
non era vero. Né Samantha
era a conoscenza di un
altro avvocato in città che
avesse redatto un nuovo
testamento. Mattie spiegò
che in quel caso era buona
abitudine,
anche
se
assolutamente non un
obbligo, che il nuovo
legale avvertisse il collega.
Comunque
fosse,
per
quello che ne sapeva lo
studio,
il
testamento
firmato da Francine due
mesi prima era l’ultimo, ed
era ancora valido.
I Crump ascoltarono
ribollenti di rabbia, a
malapena in grado di
controllare il loro odio.
Samantha finì di parlare,
aspettandosi un torrente di
insulti, probabilmente da
parte di tutti e cinque.
Invece ci fu una lunga
pausa, poi Jonah, il
maggiore dei Crump con i
suoi
sessantun
anni,
annunciò: «La mamma ha
distrutto quel testamento».
Samantha non reagì.
Annette corrugò la fronte,
mentre la mente correva ai
vecchi
statuti
della
Virginia
riguardanti
testamenti
smarriti
o
distrutti. Mattie rimase
colpita dall’astuzia del
piano e riuscì a malapena a
reprimere un sorriso.
Jonah continuò: «Sono
sicuro che voi avete una
copia del testamento, ma,
per come l’ho capita io,
quando la mamma ha
distrutto l’originale, la
copia è diventata inutile. È
così?».
Mattie
annuì
lentamente,
prendendo
atto del fatto evidente che
Jonah aveva pagato per un
veloce consiglio legale. Ma
perché pagare un avvocato
per una consulenza e non
per un nuovo testamento?
Perché Francine non aveva
accettato di firmarne uno
nuovo. «Come sa che sua
madre lo ha distrutto?»
domandò.
Euna Faye si intromise:
«Me lo ha detto lei stessa la
settimana scorsa».
«Lo ha detto anche a
me» fece sapere Irma. «Lo
ha bruciato nel caminetto».
DeLoss aggiunse: «E noi
abbiamo
cercato
dappertutto
e
non
l’abbiamo trovato».
Era tutto ben provato e
recitato e, finché i cinque
avessero tenuto duro, la
storia avrebbe retto. Come
da
copione,
Lonnie
domandò: «E se non c’è
testamento, allora la terra
viene a noi in cinque parti
uguali, giusto?».
«Immagino
di
sì»
rispose Mattie. «Non so
bene
che
posizione
assumerà il Mountain
Trust.»
«Be’, lei dica a quelli del
Mountain Trust di andare
al diavolo, capito?» ringhiò
Jonah. «Accidenti, non
avevano
mai
sentito
nemmeno parlare della
nostra proprietà finché non
li avete tirati dentro voi.
Quella terra è della nostra
famiglia, lo è sempre
stata.»
I
quattro
fratelli
annuirono
con
convinzione.
In un lampo, Samantha
cambiò
bandiera.
Se
Francine
aveva
effettivamente distrutto il
testamento, o se quei
cinque stavano mentendo
e non c’era modo di
dimostrarlo,
allora
diamogli
i
maledetti
trentadue ettari e tanti
saluti. L’ultima cosa che
voleva, era una causa tra i
Crump e il Mountain
Trust, con lei come
superteste a beccarsi il
fuoco di fila di entrambe le
parti. Non voleva rivedere
mai più quelle persone.
Lo stesso valeva per
Annette
e
Mattie.
Cambiarono
bandiera
anche loro, con Mattie che
disse: «Sentite, gente, noi
come
avvocati
non
cercheremo di omologare il
testamento. Non è compito
nostro. Dubito seriamente
che il Mountain Trust
voglia impegolarsi in un
contenzioso che durerebbe
anni. Le spese legali
supererebbero il valore del
terreno.
Se
non
c’è
testamento, allora non c’è
testamento. Dovete solo
trovarvi un avvocato che
apra la successione e faccia
nominare
un
amministratore».
«Non potete farlo voi?»
chiese Jonah.
Le
tre
avvocatesse
inorridirono all’idea di
rappresentare quella gente.
Fu Annette che riuscì a
parlare per prima: «Oh, no.
Non possiamo perché
siamo state noi a redarre il
testamento».
«Si tratta di semplice
routine» aggiunse subito
Mattie. «Può occuparsene
un qualsiasi avvocato di
Main Street.»
Euna Faye fece un
sorriso e disse: «Be’,
grazie».
Lonnie domandò: «E noi
dividiamo in cinque parti,
giusto?».
«È la legge» rispose
Mattie
«ma
dovrete
verificare con il vostro
avvocato.» Lonnie, che già
di natura aveva uno
sguardo
ambiguo
e
sfuggente,
si
stava
guardando intorno nella
stanza. I Crump avrebbero
cominciato a litigare prima
ancora di andarsene da
Brady. E poi c’erano i
parenti in attesa fuori,
pronti a buttarsi su tutti
quei soldi del carbone.
I cinque se ne andarono
in pace e, quando la porta
d’ingresso si chiuse dietro
l’ultimo di loro, Annette,
Mattie
e
Samantha
decisero di festeggiare.
Chiusero la porta a chiave,
scalciarono via le scarpe e
tornarono in sala riunioni
per un sorso di vino da
fine pomeriggio e un
mucchio di risate. Annette
cercò di descrivere la scena
del primo Crump arrivato
a casa, che frugava
ovunque alla disperata
ricerca
del
maledetto
testamento. Poi il secondo,
poi il terzo. La madre era
ancora sul tavolo delle
pompe funebri e loro
ribaltavano
mobili
e
svuotavano cassetti in una
caccia
frenetica.
Se
avevano
trovato
il
testamento, di sicuro lo
avevano bruciato.
Nessuna
delle
tre
credeva
davvero
che
Francine
lo
avesse
distrutto.
E avevano ragione.
L’originale arrivò con la
posta del mattino dopo,
con una nota di Francine
che chiedeva a Samantha,
per
favore,
di
farlo
rispettare.
I
Crump
sarebbero
tornati, alla fine.
30
Per
il
terzo
anno
consecutivo, Karen Kofer
passò il Natale a New York
con sua figlia. Il terzo
marito
di
una
sua
carissima amica dei tempi
del college era un anziano
industriale, ora messo
fuori gioco dalla demenza
senile e sistemato in una
sontuosa casa di riposo a
Great Neck. L’enorme
appartamento della coppia
in Fifth Avenue dava su
Central Park ed era
praticamente
deserto.
Karen ebbe una sua suite
personale per la settimana
e venne trattata come una
regina. Una suite identica
venne offerta anche a
Samantha, che però preferì
stare
con
Blythe
nell’appartamento a SoHo.
Il
contratto
d’affitto
sarebbe scaduto il 31
dicembre
e
Samantha
doveva imballare le sue
cose e organizzarsi per
sistemare alcuni mobili in
un deposito. Blythe, ancora
aggrappata
al
quarto
studio legale più grande
del mondo, sarebbe andata
ad abitare con due amiche
a Chelsea.
Dopo tre mesi a Brady,
Samantha si sentì come
liberata. Fece shopping con
sua madre in centro,
lottando con la ressa ma
godendosi
l’energia
frenetica.
Si
concesse
alcuni drink nel tardo
pomeriggio con gli amici
in tutti i bar giusti e di
tendenza e, pur godendosi
l’ambiente, si sorprese
annoiata
dalle
conversazioni.
Carriere,
proprietà immobiliari e la
Grande Recessione. Karen
comprò due biglietti per
un musical di Broadway,
un enorme successo che
risultò essere solo una
fregatura
per
turisti.
Uscirono
da
teatro
nell’intervallo
e
si
trovarono un tavolo da
Orso. Samantha incontrò
una vecchia compagna di
Georgetown per un brunch
da Balthazar e l’amica
quasi squittì quando le
indicò un famoso attore
televisivo che Samantha
non aveva mai visto né
sentito nominare. Fece
lunghe
e
solitarie
passeggiate
in
lower
Manhattan. La cena di
Natale fu un banchetto
nell’appartamento in Fifth
Avenue in compagnia di
una folla di estranei, ma
dopo molto vino la
conversazione si sciolse e
quella che era cominciata
come una dura prova si
trasformò in una festa
scatenata che si protrasse
per ore. Samantha dormì
in una stanza per gli ospiti
più grande del suo
appartamento e si svegliò
con un leggero mal di
testa. Una cameriera in
uniforme le servì in camera
succo d’arancia, caffè e
ibuprofene. Andò a pranzo
con Henry, che l’aveva
assediata a lungo, e si rese
conto che loro due non
avevano nulla in comune.
Henry dava per scontato
che sarebbe tornata in città
in
un
futuro
molto
prossimo ed era ansioso di
riallacciare qualche forma
di rapporto. Samantha
cercò di spiegargli che non
sapeva
bene
quando
sarebbe tornata. Non c’era
un impiego ad aspettarla, e
ormai
neppure
un
appartamento.
Il
suo
futuro era incerto, così
come lo era quello di
Henry. Il quale aveva
rinunciato alla carriera di
attore e stava pensando di
entrare
nell’eccitante
mondo degli hedge fund.
Una scelta bizzarra dati i
tempi, pensò Samantha.
Quella gente non stava
perdendo fiumi di soldi e
cercando
di
scansare
denunce? La laurea breve
di Henry alla Cornell era
in lingua araba. Non
sarebbe
arrivato
da
nessuna parte e Samantha
non voleva sprecare un
altro minuto con lui.
Due giorni dopo Natale
era seduta in un bar a
SoHo quando sentì ronzare
un cellulare. All’inizio non
riconobbe il suono che
arrivava dalle profondità
della sua borsa, poi capì
che era il prepagato
consegnatole da Jeff. Lo
trovò appena in tempo e
rispose. «Buon anno» disse
Jeff. «Dove sei?»
«Buon anno anche a te.
Io sono in città. E tu?»
«Anch’io. Mi piacerebbe
vederti. Hai tempo per un
caffè?»
Per un attimo Samantha
pensò
che
stesse
scherzando. Non riusciva a
immaginare Jeff Gray in
giro per le strade di
Manhattan. Ma perché no,
tutto sommato? La città
attirava gente di ogni tipo
da ogni luogo. «Certo.
Anzi, sto bevendo un caffè
proprio
in
questo
momento. Da sola.»
«Indirizzo?»
Mentre
aspettava,
Samantha si divertì per il
flusso dei suoi pensieri. La
reazione iniziale era stata
di
sorpresa,
seguita
immediatamente da un
accesso di pura lussuria.
Come poteva far entrare
Jeff
nell’appartamento
evitando Blythe? Non che
a
Blythe
sarebbe
importato, ma Samantha
non aveva voglia di
domande. Dove alloggiava
Jeff? Un simpatico hotel,
quello sarebbe andato
bene. Era solo? Oppure
divideva la stanza con un
amico?
“Calma, ragazza” si
disse. Jeff entrò nel locale
venti minuti dopo. Si
baciarono sulle labbra e,
mentre aspettavano il loro
doppio
espresso,
Samantha fece la domanda
più ovvia: «Cosa ci fai
qui?».
«Ci sono già stato. Mi
muovo parecchio in questi
giorni. E volevo vederti.»
«Una telefonata sarebbe
stata
gradita.»
Jeans
scoloriti, maglietta nera,
giacca sportiva di lana,
scarponcini stringati, barba
di tre giorni, capelli ribelli
al punto giusto. Jeff non
era certo uno dei cloni di
Wall Street, ma a SoHo
nessuno
avrebbe
mai
sospettato che arrivasse
dagli Appalachi. E a chi
importava? In realtà, Jeff
aveva l’aria di un attore
disoccupato molto più di
Henry.
«Volevo
farti
una
sorpresa.»
«Okay, sono sorpresa.
Come sei arrivato in città?»
«Jet privato. È una
lunga storia.»
«Sono stanca di lunghe
storie. Dove alloggi?»
«All’Hilton, a midtown.
Da solo. E tu?»
«Nel mio appartamento,
mio ancora per qualche
giorno. Poi il contratto
scade.»
Il barista li avvertì che i
caffè erano pronti e Jeff
andò a prendere le due
tazze. Versò un’intera
bustina di zucchero nella
sua e mescolò lentamente.
Samantha
rifiutò
lo
zucchero. Si avvicinarono
l’uno all’altra mentre il
locale si riempiva sempre
più
di
gente.
«Ora,
possiamo
tornare
alla
faccenda del jet privato?»
chiese
Samantha.
«Ti
dispiacerebbe darmi i
particolari?»
«Sono qui per due
ragioni. Prima di tutto
volevo vederti e magari
passare un po’ di tempo
insieme. Sai, potremmo
passeggiare per la città e
poi trovarci un caminetto
da qualche parte. Ma forse
basterebbe un bel letto
caldo. È quello che mi
piacerebbe, ma se sei
troppo
impegnata,
lo
capirò.
Non
voglio
monopolizzare
il
tuo
tempo, okay?»
«Puoi dimenticare il
caminetto.»
«Capito.
Io
sono
disponibile a partire da
questo momento.»
«Sono
sicura
che
troveremo il tempo. E
l’altra ragione?»
«Ecco, il jet è di
proprietà di un avvocato,
Jarrett
London
di
Louisville. Forse ne hai
sentito parlare.»
«Come
faccio
a
conoscere un avvocato di
Louisville?»
«Be’, lui e Donovan
erano molto amici. Jarrett è
venuto al funerale. Un tipo
alto, sui sessant’anni, con
lunghi capelli grigi e barba
sale e pepe. Donovan lo
considerava
il
suo
mentore, quasi il suo eroe.
Lo studio di Jarrett è uno
dei tre che si erano uniti
alla causa contro la Krull
Mining
per
il
caso
Hammer Valley. L’FBI ha
fatto irruzione da London
lo stesso giorno in cui l’ha
fatta da noi. Inutile dire
che un tipo come lui non
apprezza molto queste
tattiche da Gestapo e sta
sputando fiamme. Un ego
enorme, tipico della sua
razza.»
Samantha
stava
annuendo. «Uguale a mio
padre.»
«Sì, naturalmente. In
effetti London dice di
avere conosciuto tuo padre
anni fa, a qualche bisboccia
di avvocati. Comunque,
London ha una nuova
fidanzata, una vera scema,
e lei voleva venire in città.
Io
ho
scroccato
un
passaggio.»
«Molto comodo.»
«London
avrebbe
piacere
di
conoscerti,
salutarti e parlare dei
documenti.»
«Quali
documenti?
Andiamo, Jeff! Sono già fin
troppo coinvolta. Dove sta
andando
questa
conversazione?»
«Devi
aiutarmi,
Samantha. Mio fratello non
c’è più e io ho bisogno di
qualcuno con cui parlare,
qualcuno che conosca la
legge
e
possa
consigliarmi.»
Samantha irrigidì la
spina dorsale e si ritrasse.
Guardò male Jeff e avrebbe
voluto sfogarsi. Invece si
guardò intorno, deglutì e
disse:
«Tu
mi
stai
deliberatamente
risucchiando
in
una
situazione che può farmi
finire in guai seri. L’FBI sta
indagando
su
questa
faccenda e tu vuoi tirarmi
dentro. Sei spericolato
come tuo fratello e non ti
interessa
cosa
può
succedere a me. Senti, chi
dice che tornerò a Brady?
In questo momento mi
sento incredibilmente al
sicuro. Casa mia è qui, è
questo il mio posto».
Il
corpo
lungo
e
slanciato di Jeff sembrò
restringersi di qualche
centimetro, il mento si
abbassò.
Sembrava
smarrito e impotente. «Mi
importa moltissimo di te e
mi importa quello che ti
succede. È solo che in
questo
momento
ho
bisogno di aiuto.»
«Senti,
siamo
stati
meravigliosamente bene
un paio di settimane fa a
Gray Mountain. Ci ho
riflettuto molto, ma quello
che non capisco è perché
mi hai portato in quella
grotta, o come diavolo si
chiama, e mi hai mostrato i
documenti. A quel...»
«Nessuno lo saprà mai.»
«A quel punto io sono
diventata in qualche modo
complice. Mi rendo conto
che quei documenti sono
preziosi, incriminanti, ma
questo non cambia il fatto
che sono stati rubati.»
«Qualcuno deve sapere
dove si trovano, nel caso
mi succedesse qualcosa.»
«Lascia che se ne occupi
Vic.»
«Te l’ho detto, Vic è
andato, ha chiuso. La sua
ragazza è incinta e lui è un
uomo diverso. Non è più
disposto a rischiare. Non
risponde
neppure
al
telefono.»
«È furbo.»
L’espresso
si
stava
raffreddando.
Jeff
si
ricordò del suo e bevve un
sorso. Samantha lo ignorò
e si mise a studiare la folla.
Alla fine, Jeff disse: «Ce ne
andiamo?».
Trovarono
una
panchina in Washington
Square Park. Le panchine
erano tutte vuote perché il
vento
ululava
e
la
temperatura era appena al
di sopra del livello di
congelamento. «Quanto sa
di me quel London?»
chiese Samantha.
«Sa che hai il caso
Ryzer, almeno la parte del
polmone nero. Sa che hai
scoperto
la
frode
e
l’omissione da parte degli
avvocati della Lonerock
Coal. È rimasto molto
colpito da questo. Sa che io
mi fido di te e che
Donovan si fidava di te. Sa
che Donovan ti aveva
messo al corrente dei
documenti.»
«Sa che li ho visti?»
«No. Te l’ho già detto:
nessuno lo saprà mai. Ho
sbagliato a portarti là.»
«Grazie.»
«Senti, andiamo almeno
a parlare con London e
sentiamo cosa dice. Per
favore. Non ci sarebbe
niente di male, no?»
«Non so.»
«Sì che lo sai. Non c’è
nulla
di
remotamente
irregolare in un incontro
con Jarrett London. Sarà
estremamente
confidenziale. E inoltre lui
è un tipo interessante.»
«Quando vuole che ci
incontriamo?»
«Gli telefonerò. Sto
gelando. Tu abiti qui
vicino?»
«Non molto lontano, ma
l’appartamento
è
un
disastro.
Stiamo
imballando tutto.»
«Non mi importa.»
Due
ore
più
tardi,
Samantha entrò nella hall
del Peninsula Hotel in
Fifty-fifth Street. Salì la
scala alla sua sinistra,
arrivò al primo piano e,
come previsto, vide Jeff
seduto al bar. Senza dire
una parola, lui le passò un
foglietto su cui era scritto:
“Stanza 1926”. La guardò
voltarsi e andarsene, poi si
piazzò accanto alla scala
per vedere se qualcun altro
avesse notato qualcosa.
Samantha salì in ascensore
al diciannovesimo piano e
premette il campanello
della stanza. Un uomo alto
con troppi capelli grigi aprì
la porta dopo pochi
secondi e disse: «Salve, Ms
Kofer. È un onore. Sono
Jarrett London».
La numero 1926 era una
suite enorme con un
grande
soggiorno
a
un’estremità.
Nessun
segno della fidanzata di
London. Pochi minuti
dopo l’arrivo di Samantha,
fu Jeff a suonare il
campanello. Si sedettero in
soggiorno e sbrigarono gli
inevitabili
convenevoli.
London
accennò
a
qualcosa da bere, che i suoi
ospiti
rifiutarono,
poi
passò a parlare del lavoro
di Samantha nel caso
Ryzer
sottolineando
quanto
fosse
stato
brillante. Lui e Donovan ne
avevano discusso a lungo.
London e i suoi soci
stavano ancora dibattendo
se partecipare alla causa
quando Donovan si era
lanciato e aveva depositato
i maledetti atti. «Troppo
prematuro»
osservò
London. «Ma Donovan era
fatto così.»
Lui,
London,
stava
ancora riflettendoci sopra.
Non capitava tutti i giorni
di beccare un grande
studio come Casper Slate
con le mani nel sacco in
una frode, giusto? Il caso
avrebbe fatto una grossa
presa sulla giuria. Si
dilungò sulla bellezza della
causa, come se Samantha
non se ne fosse mai resa
conto. Aveva già sentito
tutto, da Donovan e da suo
padre. E ora la Krull
Mining: con Donovan fuori
dal quadro, London adesso
era l’avvocato leader per la
parte attrice. La citazione
era stata depositata il 29
ottobre. Alla Krull era stato
concesso altro tempo per
redigere e depositare la
propria
comparsa
di
risposta.
Per
inizio
gennaio, London e la sua
squadra si aspettavano che
la
Krull
presentasse
un’istanza di archiviazione
e a quel punto la guerra
sarebbe cominciata sul
serio. Presto, molto presto,
ci sarebbe stato bisogno
dei documenti.
«Lei quanto sa di quei
documenti?»
domandò
Samantha.
London
espirò
rumorosamente, come se la
domanda fosse stata così
complessa che non sapeva
da dove cominciare, poi si
alzò in piedi e andò al
minibar. «Una birra?» Jeff
e Samantha rifiutarono, di
nuovo. London aprì una
lattina di Heineken e si
avvicinò a una finestra.
Bevve un lungo sorso e
disse: «Abbiamo tenuto la
nostra prima riunione circa
un anno fa a Charleston,
nello studio di Gordie
Mace, uno della nostra
gang. Donovan ci aveva
convocato
tutti
per
convincerci a lavorare con
lui nella causa Hammer
Valley. Ci informò di avere
alcuni documenti il cui
possesso non era stato
acquisito con i metodi
consueti.
Noi
non
facemmo domande, lui
non chiarì. Ci disse però
che
c’erano
più
di
ventimila
pagine
di
materiale
estremamente
incriminante. La Krull
Mining
sapeva
dell’inquinamento, sapeva
delle infiltrazioni nelle
falde acquifere in tutta la
valle, sapeva che la gente
continuava
a
bere
quell’acqua, sapeva che la
gente si ammalava e
moriva,
sapeva
che
avrebbe dovuto bonificare
il sito, ma sapeva anche
che era meno costoso
fregare la gente e tenersi i
soldi. Donovan non aveva
i documenti con sé, ma
aveva appunti dettagliati,
che distrusse dopo la
riunione. Ci descrisse una
ventina di quei documenti,
i più incriminanti e,
francamente,
tutti
noi
restammo
stupefatti.
Sbalorditi. Oltraggiati. Ci
arruolammo tutti subito e
scaldammo i motori in
vista della causa. Donovan
fece
sempre
molta
attenzione a non definire
mai
quei
documenti
“rubati” e li tenne lontano
da noi. Se ce li avesse dati
in un qualsiasi momento
dell’anno scorso, tutti noi,
con
ogni
probabilità,
saremmo stati arrestati
dall’FBI all’inizio di questo
mese».
«E adesso come farete a
entrare in possesso dei
documenti senza farvi
arrestare?»
chiese
Samantha.
«È la grande domanda.
In questi giorni stiamo
avendo
dei
colloqui
indiretti con uno degli
assistenti del giudice del
processo, un canale di
comunicazione
segreto,
molto
riservato
ed
estremamente
inusuale.
Noi riteniamo di poter
acquisire i documenti,
offrirli
immediatamente
alla corte e farli mettere
sottochiave dal giudice.
Poi chiederemo al giudice
di fare pressione sul
procuratore
federale
perché
sospenda
l’indagine
finché
i
documenti non verranno
divulgati.
Parliamoci
chiaro: la persona che li
aveva rubati è morta. Ci
siamo consultati con i
colleghi penalisti e loro
concordano che dal punto
di vista legale il nostro
rischio sarà minimo. Noi
siamo disposti a correrlo. I
rischi riguardano quello
che può succedere ai
documenti
prima
che
arrivino alla corte. La Krull
Mining farà qualsiasi cosa
pur di distruggerli e al
momento ha l’FBI al suo
fianco. C’è pericolo là
fuori.»
Samantha lanciò a Jeff
uno sguardo che avrebbe
potuto uccidere.
London
si
sedette
accanto a lei e la fissò negli
occhi. «Ci servirebbe un
po’
di
aiuto
a
Washington.»
«Ehm, mi dispiace,
ma...»
«Ci sono tre persone nel
cerchio
magico
del
procuratore generale degli
Stati Uniti. Una è Leonna
Kent, sono sicuro che la
conosce.»
Confusa,
Samantha
disse: «Be’, l’ho incontrata
qualche anno fa».
«Leonna Kent e sua
madre hanno cominciato a
lavorare
insieme
al
dipartimento di Giustizia,
trent’anni fa. Sua madre,
Samantha, è tenuta in
grande considerazione e
ricopre
un
ruolo
importante. Ha anche
qualche potere.»
«Ma non in aree come
questa.»
«Oh, sì, Samantha. Una
parola o due da Karen
Kofer a Leonna Kent, da
Leonna
Kent
al
procuratore generale, dal
procuratore generale al
procuratore federale in
Kentucky e potremmo
vedere l’FBI fare un passo
indietro.
Questo
ci
lascerebbe con la sola Krull
di cui preoccuparci.»
«È questo il motivo del
nostro
incontro?
Mia
madre?»
«Professionalmente,
Samantha,
non
personalmente,
capisce.
Lei ha mai discusso di
questa faccenda con sua
madre?»
«No, naturalmente no.
Non ho nemmeno mai
pensato di farlo. È fuori dal
suo ambito, okay?»
«Io non credo. Noi
abbiamo contatti affidabili
a Washington, e loro sono
convinti che Karen Kofer
potrebbe aiutarci.»
Samantha
era
sconcertata e confusa.
Guardò Jeff e gli chiese: «È
per questo che sei venuto a
New York, per coinvolgere
mia madre?».
«No, questa è la prima
volta che ne sento parlare»
ribatté Jeff, piccato. «Io non
sapevo nemmeno dove
lavora tua madre.» Era
sincero come un bambino
accusato ingiustamente, e
Samantha gli credette.
«Non ne ho discusso
con Jeff» disse London.
«L’informazione
arriva
dalle
nostre
fonti
a
Washington.»
«I vostri lobbisti.»
«Sì, naturalmente. Chi
non ha i propri lobbisti?
Puoi amarli o odiarli, però
conoscono lo scenario.
Temo che lei abbia preso
questa cosa a un livello
troppo personale. Non le
stiamo
chiedendo
di
convincere sua madre a
lasciarsi
coinvolgere
direttamente
in
un’indagine federale, ma
d’altra parte sappiamo
come funzionano le cose.
Le persone sono persone,
gli amici sono amici, una
parolina qui, una parolina
là e le cose possono
succedere. Mi dica solo che
ci penserà, okay?»
Samantha
fece
un
respiro
profondo.
«Prenderò
in
considerazione l’idea di
pensarci.»
«Grazie.» London si
alzò in piedi e si sgranchì
le
gambe.
Samantha
guardò Jeff, che stava
studiando i propri stivali.
Piuttosto
goffamente,
London disse: «Bene, Jeff,
vogliamo parlare della
consegna dei documenti?».
Samantha
scattò
in
piedi.
«Ci
vediamo,
signori.»
Jeff le afferrò un braccio,
delicatamente. «Per favore,
non andare. Ho bisogno
dei tuoi consigli.»
Samantha
liberò
il
braccio. «Io non faccio
parte del vostro piccolo
complotto. Voi ragazzi
chiacchierate
di
tutto
quello che volete. Non
avete bisogno di me. È
stato un piacere.» Spalancò
la porta e scomparve.
Jeff
la
raggiunse
nell’atrio e uscì dall’hotel
insieme a lei. Si scusò e
Samantha gli assicurò che
non era arrabbiata. Lei non
conosceva Jarrett London,
di sicuro non si fidava di
un estraneo e non aveva
intenzione di discutere
questioni riservate in sua
presenza. Risalirono Fifth
Avenue, persi nella folla, e
riuscirono a mantenere la
conversazione lontano da
qualsiasi cosa avesse a che
fare con il carbone.
Samantha indicò a Jeff
l’edificio in cui sua madre
al momento viveva nel
lusso. In serata Samantha
stessa
era
attesa
all’ennesima
cena
nel
palazzo, ma aveva già
disdetto l’impegno. Aveva
promesso la notte a Jeff.
Sospettando
che
Jeff
potesse non apprezzare
una maratona di tre ore in
un ristorante a quattro
stelle, Samantha evitò i
locali di lusso e prenotò al
Mas nel West Village. In
una serata gelida, era la
scelta
perfetta:
un
ristorante caldo e intimo,
con
l’atmosfera
di
un’autentica
fattoria
francese. Il menu cambiava
ogni giorno e non era
molto ricco. Jeff lo lesse
con attenzione e confessò
di non riconoscere un solo
piatto.
Un
cameriere
suggerì la cena a prezzo
fisso, quattro portate per
sessantotto
dollari,
e
Samantha approvò. Jeff
rimase
sgomento
dai
prezzi,
ma
molto
impressionato dal cibo.
Gamberi in crosta con
spaghetti squash, salsiccia
di maiale e mela, pesce
persico con fonduta di
porri e torta al cioccolato.
Bevvero una bottiglia di
syrah della valle del
Rodano. Quando passò il
carrello dei formaggi, Jeff
per poco non lo inseguì.
Samantha
chiamò
il
cameriere e spiegò che
avrebbero
gradito
aggiungere il formaggio al
menu, con altro vino.
Mentre aspettavano il
carrello, Jeff si protese
verso di lei e le chiese:
«Penserai a quella cosa?».
«Non prometto niente.
Non sono sicura di fidarmi
di te.»
«Grazie. Senti, so che
potrà sembrarti pazzesco e
sono
stato
davvero
combattuto se parlartene o
no.
Sto
ancora
combattendo, comunque te
lo dico.»
Per una spaventosa
frazione
di
secondo,
Samantha temette che Jeff
stesse per chiederle di
sposarlo.
Non
erano
nemmeno una coppia! E lei
non aveva assolutamente
in programma di fare sul
serio. Fino a quel momento
avevano privilegiato il
sesso rispetto a qualsiasi
ipotesi amorosa. Di sicuro
quel ragazzo di montagna
un po’ rustico non era così
innamorato da inciampare
in
una
proposta
di
matrimonio.
Non lo era, ma la sua
idea era quasi altrettanto
destabilizzante: «Io sono il
proprietario dello studio
legale, o lo sarò dopo
l’omologazione
del
testamento. Sono anche
l’esecutore testamentario
di Donovan, per cui devo
occuparmi dei suoi affari.
Io, Mattie e il giudice,
immagino. Tu hai visto
l’elenco dei casi di mio
fratello: ne ha lasciati
parecchi in sospeso. Mattie
se ne prenderà alcuni, ma
non molti. Ha già la
scrivania
piena
e
comunque non è il suo tipo
di attività. Quello che ci
serve, è qualcuno che
prenda in mano lo studio.
C’è denaro per assumere
un avvocato che finisca il
lavoro
di
Donovan.
Francamente, in tutta la
contea non c’è nessun altro
che
prenderemmo
in
considerazione».
Samantha
aveva
trattenuto il respiro nel
timore di una goffa
proposta di matrimonio,
trovandosi
invece
ad
ascoltare una proposta
bizzarra.
Quando
Jeff
tacque, lasciò uscire il fiato
e disse: «Oh, accidenti».
«Lavoreresti in stretto
contatto con Mattie e
Annette, e io sarei sempre
nei paraggi.»
Non era proprio uno
shock. Per almeno due
volte,
Mattie
aveva
accennato
vagamente
all’idea di assumere un
avvocato per chiudere le
pratiche di Donovan. In
entrambe le occasioni le
parole erano come rimaste
sospese
nell’aria,
ma
Samantha aveva avuto la
sensazione che fossero
rivolte a lei.
«Posso
pensare
ad
almeno dieci ragioni per
cui non funzionerebbe»
disse.
«Posso pensare a undici
ragioni
per
cui
funzionerebbe» ribatté Jeff
con un sorriso. Il carrello
dei formaggi si fermò
accanto
al
tavolo,
avvolgendoli
nei
suoi
profumi e aromi pungenti.
Samantha ne scelse tre tipi.
Jeff
prima
indicò
il
cheddar industriale da
supermercato, ma poi si
corresse e chiese gli stessi
formaggi di Samantha.
Quando il carrello si
allontanò,
disse:
«Comincia tu. Spiegami le
tue ragioni e io ti spiegherò
le mie».
«Non sono qualificata.»
«Tu sei incredibilmente
in gamba e impari in fretta.
Con l’aiuto di Mattie, puoi
fare
qualsiasi
cosa.
Prossima ragione.»
«Tra
qualche
mese
potrei non esserci più.»
«Tu puoi andartene
quando vuoi. Non c’è un
contratto che ti imponga di
tornare qui tra dodici mesi.
L’hai detto tu stessa che il
mercato legale è saturo e
depresso e che non ci sono
posti
di
lavoro.
La
prossima.»
«Non sono specializzata
in cause in tribunale. Lo
studio di Donovan faceva
soprattutto questo.»
«Tu hai ventinove anni
e
puoi
affrontare
qualunque
situazione.
Mattie mi ha detto che sei
svelta e che in aula sei già
migliore della maggior
parte
degli
azzeccagarbugli locali.»
«Ha detto proprio così?»
«Ti mentirei mai?»
«Oh, sì.»
«Non ti sto mentendo.
Prossima ragione.»
«Non mi sono mai
occupata di appelli, tanto
meno di un appello
riguardante un grosso
verdetto.»
«Questa finora è la
ragione più debole. Un
appello è solo lavoro di
ricerca e redazione di
documenti.
Una
passeggiata. La prossima.»
«Jeff, io sono una
ragazza di città. Guardati
intorno: è questa la mia
vita.
Non
posso
sopravvivere a Brady.»
«Okay, questo è un
buon punto. Ma chi dice
che dovrai restare a Brady
per sempre? Provaci per
due o tre anni, aiutaci a
chiudere i casi di Donovan
e a incassare le parcelle. Là
fuori c’è un po’ di denaro e
io non voglio perderlo. La
prossima.»
«Alcune
cause
di
Donovan
potrebbero
trascinarsi per anni. Non
posso
prendere
un
impegno del genere.»
«Allora impegnati per
l’appello Tate. Stiamo
parlando di diciotto mesi
al massimo. Voleranno, e
poi decideremo cosa fare.
E in quell’arco di tempo
potrai
selezionare
e
accettare altri casi che ti
sembrino promettenti. Io ti
darò una mano. Sono
abbastanza bravo come
cacciatore di ambulanze.
La prossima.»
«Non voglio avere a che
fare con la moglie di
Donovan.»
«Non succederà, te lo
prometto. Di Judy ci
occuperemo Mattie e io.
Prossima?»
Samantha spalmò un
po’ di camembert sopra un
crostino e diede un morso.
Masticando, disse: «Non
voglio gente che mi segua.
Non mi piacciono le armi».
«Potrai esercitare la
professione anche senza
pistola. Guarda Mattie:
hanno paura di lei. E, come
dicevo, io ti starò vicino e
ti proteggerò».
Samantha inghiottì e
bevve un sorso di porto.
«Okay, eccoti una ragione
che non puoi confutare, e
non c’è modo di parlarne
senza essere brutale. Tu e
Donovan avete sempre
giocato seguendo regole
diverse dalle mie. Avete
rubato i documenti della
causa Krull Mining e sono
sicura che avete preso
scorciatoie anche in altri
casi. Ho la sensazione che
alcune
pratiche
dello
studio siano... diciamo
contaminate. Io non voglio
averci niente a che fare.
L’FBI ha già fatto irruzione
una
volta.
Non
ho
intenzione
di
essere
presente
quando
ne
faranno un’altra.»
«Non succederà, te lo
giuro. Non c’è niente di cui
preoccuparsi, a parte la
Krull. E io non metterò mai
in pericolo né te né lo
studio, lo prometto.»
«Non mi fido del tutto
di te.»
«Grazie.
Ma
mi
guadagnerò
la
tua
fiducia.»
Un altro boccone di
formaggio, un altro sorso
di porto. Anche Jeff stava
mangiando,
in
attesa.
Contò sulle dita e disse:
«Mi hai dato solo nove
ragioni, che io ho demolito
brillantemente».
«Okay, numero dieci:
non sono sicura di riuscire
a lavorare molto, con te in
giro.»
«Ottimo punto. Vuoi
che tenga giù le mani?»
«Non ho detto questo.
Guardami, Jeff, non mi
interessa
una
storia
d’amore, okay? Punto e
basta. Possiamo divertirci
finché
ci
pare,
ma,
appunto,
sarà
solo
divertimento.
Nel
momento in cui le cose
dovessero diventare serie,
avremmo dei problemi.»
Jeff ridacchiò. «Allora,
vediamo se ho capito bene.
Tu vuoi dedicarti a ogni
tipo di attività sessuale, ma
senza il minimo accenno di
impegno. Accidenti, è
dura. Affare fatto, hai
vinto. Senti, io sono uno
scapolo di trentadue anni e
mi piace essere single.
Devi capire che Donovan e
io siamo rimasti feriti e
segnati da ragazzini. I
nostri
genitori
erano
infelici insieme e non
sopportavano neppure di
vedersi. È stata una guerra
e le vittime siamo stati mio
fratello e io. Per noi
“matrimonio” è sempre
stata una parolaccia. È uno
dei
motivi
per
cui
Donovan e Judy si sono
separati.»
«Annette ha detto che
Donovan si dava parecchio
da fare in giro.»
«Annette
dovrebbe
saperlo.»
«Lo sospettavo. Sono
stati insieme per molto
tempo?»
«Chi tiene il conto? E
comunque Donovan non
mi diceva tutto. Era molto
riservato, come sai. Ci
aveva provato anche con
te?»
«No.»
«E se lo avesse fatto?»
«Ammetto che sarebbe
stato difficile dirgli di no.»
«Pochissime
donne
dicevano no a Donovan,
Annette compresa.»
«Mattie lo sa?»
Jeff bevve un sorso di
porto e si guardò intorno
nella sala. «Ne dubito. Non
le sfugge molto di quello
che succede a Brady, ma
credo che Donovan e
Annette fossero molto
discreti. Se Mattie l’avesse
scoperto, ci sarebbero state
delle complicazioni. Lei
adora Judy e si considera
la nonna di Haley.»
Il
cameriere
passò
accanto
al
tavolo
e
Samantha gli chiese il
conto. Jeff si offrì di pagare
la cena, ma Samantha
insistette:
«Tu
puoi
invitarmi a Brady. A New
York pago io».
«Non un cattivo affare.»
Il formaggio era sparito
e il porto stava finendo.
Rimasero
seduti
ad
ascoltare le conversazioni
intorno a loro, alcune in
lingue straniere. Jeff sorrise
e osservò: «Brady è molto
lontana, vero?».
«Sì, davvero. Un altro
mondo, che non è il mio. Ti
ho dato dieci ragioni, Jeff, e
sono sicura che potrei
trovarne altre dieci. Non
resterò a lungo, perciò, per
favore, cerca di capire.»
«Lo capisco, Samantha,
e non ti biasimo.»
31
Jeff iniziò il nuovo anno
con il botto, facendosi
arrestare all’aeroporto di
Charleston, West Virginia.
Verso le ventidue della
prima domenica dell’anno,
una guardia che faceva il
giro dell’area riservata ai
voli privati notò un uomo
che cercava di nascondersi
all’ombra di un Beech
Bonanza,
parcheggiato
insieme a molti altri piccoli
aerei. La guardia estrasse
la
pistola
e
ordinò
all’uomo,
Jeff,
di
allontanarsi dal velivolo.
Fu chiamata la polizia. Jeff
venne
ammanettato
e
portato
in
carcere.
Telefonò a Samantha alle
sei della mattina seguente,
ma solo per informarla.
Non aveva bisogno che
andasse a salvarlo perché
aveva
diversi
amici
avvocati a Charleston.
Samantha gli fece la
domanda
più
ovvia:
«Perché stavi ficcanasando
in giro per l’aeroporto di
domenica sera?».
«Indagini» rispose Jeff.
Qualcuno stava gridando
in sottofondo.
Samantha scosse la
testa, frustrata per tanta
imprudenza. «Okay, cosa
posso fare?»
«Niente. Si tratta solo di
violazione di proprietà
privata. Tra poche ore sarò
fuori. Ti richiamo.»
Samantha si affrettò ad
andare in studio e preparò
il caffè prima delle sette.
Non aveva tempo per
preoccuparsi di Jeff e della
sua ultima avventura.
Rivide gli appunti, preparò
la pratica, si versò una
tazza di caffè per il viaggio
e alle sette e trenta partì
per Colton, un’ora e mezzo
d’auto che impiegò per
provare di nuovo le sue
argomentazioni
per
il
giudice e per il legale della
Top Market Solutions.
Entrò nel tribunale di
Hopper County, da sola.
Erano finiti i giorni in cui
Mattie o Annette le
facevano da scudo. Adesso
poteva contare soltanto su
di sé, almeno per il caso
Booker. Pamela le andò
incontro nel corridoio e la
ringraziò
di
nuovo.
Entrarono nell’aula e si
sedettero allo stesso tavolo
dove, meno di tre mesi
prima, Donovan Gray
sedeva con Lisa e la teneva
per mano mentre la giuria
pronunciava un giusto
verdetto. A Samantha non
sfuggiva il fatto che con
ogni probabilità sarebbe
stata coinvolta nell’appello
contro quel verdetto. Ma
non quel giorno. Quel
giorno non si sarebbe
combattuto per qualcosa
che andasse anche solo
vicino a tre milioni. Erano
più probabili cinquemila
dollari, ma, a giudicare dai
nervi
di
Samantha,
avrebbero potuto essere
milioni.
Il giudice aprì l’udienza
e disse a Samantha di
procedere. Lei fece un
respiro
profondo,
si
guardò intorno, vide che
non c’erano spettatori,
rammentò a se stessa che
quella era una banale
causa per una cifra
irrisoria
e
si
buttò.
Cominciò con qualche
breve osservazione di
apertura e poi chiamò la
sua cliente sul banco dei
testimoni.
Pamela
descrisse
la
vecchia
ingiunzione di pagamento
della vecchia carta di
credito, citò la sentenza di
divorzio, raccontò di come
si fosse ritrovata con parte
del salario pignorata e poi
senza lavoro, e infine fece
una splendida esibizione
raccontando l’esperienza
di
avere
vissuto
in
macchina con i suoi due
figli. Samantha presentò al
giudice copie certificate
dell’ingiunzione relativa
alla carta di credito, della
sentenza
di
divorzio,
dell’ordine
di
pignoramento presso terzi
e del libro paga della
fabbrica di lampade. Dopo
un’ora sul banco dei
testimoni, Pamela tornò al
tavolo del suo legale.
La
Top
Market
Solutions aveva una linea
difensiva debole e un
rappresentante ancora più
debole.
Si
chiamava
Kipling, un avvocato di
basso livello di uno studio
di due soci di Abingdon,
chiaramente
poco
entusiasta sia del caso che
del suo cliente. Spiegò con
scarsa partecipazione come
la Top Market fosse stata
ingannata dalla società
della carta di credito e
avesse agito in buona fede.
Il suo cliente non aveva
idea che l’ingiunzione che
aveva cercato di far valere
fosse prescritta.
Il giudice dimostrò
scarsa
pazienza
nei
confronti di Kipling e dei
suoi sproloqui. «La sua
richiesta di archiviazione è
respinta, Mr Kipling. E
adesso parliamo in via
ufficiosa.» Lo stenotipista
si rilassò e afferrò una
tazza di caffè. Il giudice
proseguì: «Voglio che
questa faccenda venga
risolta, e subito. Mr
Kipling, è evidente che il
suo cliente ha commesso
un errore e ha provocato
un estremo disagio a Ms
Booker. Possiamo avere un
processo in piena regola
tra un mese circa, proprio
qui davanti a me, senza
giuria, ma sarebbe una
perdita di tempo perché io
ho già preso la mia
decisione. Le assicuro che
al suo cliente costerà meno
accettare
un
accordo
adesso».
«Be’... certo, vostro
onore» balbettò Kipling,
teso.
Era
decisamente
insolito che un giudice
fosse
così
esplicito
riguardo a una sua futura
delibera.
«Le spiego cosa ritengo
giusto» continuò il giudice.
In altre parole, ecco quale
sarebbe la mia sentenza in
un processo. «Il suo cliente
ha illecitamente pignorato
parte del salario di Ms
Booker, undici assegni, per
un totale di milletrecento
dollari. A causa di tale
pignoramento, la signora è
stata sfrattata dal proprio
caravan. Il suo cliente,
inoltre,
è
stato
direttamente responsabile
del licenziamento di Ms
Booker, anche se so che in
seguito ha riavuto il suo
impiego. In ogni caso la
signora ha vissuto giorni
di disperazione e, senza
casa, è finita a vivere in
macchina con i suoi due
figli. Tutto questo per
responsabilità del suo
cliente. Ms Booker ha
diritto a un risarcimento.
Nella sua citazione, la
signora
ha
chiesto
cinquemila dollari, ma a
me sembra un po’ poco. Se
dovessi
emettere
una
sentenza
oggi,
le
riconoscerei milletrecento
dollari per il salario perso,
più altri diecimila per i
danni subiti. Se dovrò
decidere il mese prossimo,
le assicuro che queste cifre
le sembreranno un affare.
Cosa mi dice, Mr Kipling?»
Kipling
stava
parlottando con il suo
cliente, un rappresentante
della Top Market, un
ometto tozzo dal viso
arrossato e l’abito a buon
mercato troppo stretto. Era
furioso e sudava, ma era in
grado di capire quello che
stava succedendo. Era
chiaro che avvocato e
cliente non si fidavano
l’uno dell’altro. Finalmente
Kipling
disse:
«Può
concederci cinque minuti,
vostro onore?».
«Certo, ma non di più.»
I due uscirono dall’aula
con passo pesante.
Pamela si chinò verso
Samantha
e
sussurrò
nervosa: «Non ci posso
credere».
Samantha annuì sicura
di sé, come se quello fosse
stato solo un giorno in
tribunale come tanti. Finse
di essere presa da un
documento, aggrottando la
fronte e sottolineando
alcune parole terribilmente
importanti, ma avrebbe
voluto urlare: “Non riesco
a crederci neppure io.
Questo è il mio primo
processo!”.
Naturalmente non era
un
processo
vero
e
proprio, si trattava più di
un’udienza. Ma quella era
la sua prima causa, e
vincere in modo così
clamoroso era eccitante.
La porta dell’aula si aprì
e la controparte tornò al
suo tavolo. Kipling guardò
il giudice e disse: «Vostro
onore, ecco... be’, a quanto
pare il mio cliente ha
commesso alcuni errori ed
è veramente dispiaciuto
per i problemi che ha
causato. Quella che lei ha
suggerito è una soluzione
equa. L’accettiamo».
Samantha tornò a Brady
fluttuando a mezz’aria.
Pensò a Donovan e a Jeff
dopo il verdetto Tate, che
facevano ritorno in città
con un verdetto da tre
milioni di dollari in tasca.
Non potevano essere stati
più eccitati e trionfanti di
quanto fosse lei in quel
momento. Samantha e le
sue
colleghe
avevano
salvato i Booker dal
vagabondaggio,
addirittura dalla fame, e li
avevano reinseriti in una
vita normale. Avevano
cercato
giustizia
con
determinazione,
e
l’avevano trovata. I cattivi
erano stati sbaragliati.
Come avvocato, non si
era mai sentita così
meritevole. Come persona,
non si era mai sentita così
necessaria.
Il pranzo portato da
casa
del
lunedì
fu
consumato festeggiando la
schiacciante vittoria di
Samantha nella sua prima
causa. Annette le consigliò
di godersi il momento
perché nel loro mestiere le
vittorie erano rare. Mattie
l’ammonì a non gioire
troppo presto: l’assegno
non era ancora arrivato.
Una volta discusso e
ridiscusso il caso Booker,
la conversazione si spostò
su altri argomenti. Mattie
disse che Jeff era uscito di
prigione a Charleston.
Aveva pagato la cauzione
o era evaso? domandò
Samantha. Un eminente
avvocato del posto, un
amico di Donovan, aveva
ottenuto il suo rilascio. No,
Jeff non aveva fornito
particolari
sul
suo
presunto reato.
Quella mattina, Annette
aveva
ricevuto
una
telefonata ufficiosa da
parte di un cancelliere del
tribunale, il quale l’aveva
avvertiva della possibilità
che un avvocato della
famiglia Crump, di cui non
faceva il nome, avesse in
programma di chiedere
l’omologazione del primo
testamento di Francine
Crump, quello che la
defunta aveva firmato
cinque anni prima e
presumibilmente lo stesso
che aveva mostrato a
Samantha. La famiglia
sosteneva
che
quel
testamento
era
valido
perché l’ultimo, quello
redatto
gratuitamente
dalla Legal Aid Clinic, era
stato distrutto dalla stessa
Francine. Era un pasticcio
che incombeva minaccioso,
nel quale nessuno intorno
al tavolo aveva voglia di
cacciarsi. Che i Crump si
tenessero il terreno e lo
vendessero a una società
del carbone: a loro non
importava. Tuttavia, come
spiegò Mattie, in qualità di
avvocati loro tre erano
funzionari della corte, e di
conseguenza erano tenute
a impedire, se possibile,
una frode. Erano in
possesso dell’originale del
testamento
gratuito,
inviato per posta da
qualche
misterioso
personaggio dopo che
Francine era stata colpita
dall’ictus. Francine non lo
aveva distrutto, anzi, lo
aveva nascosto ai figli e
voleva che lo studio lo
facesse rispettare e lo
omologasse.
Dovevano
presentare il testamento
subito e dare inizio a una
guerra
che
avrebbe
infuriato per parecchi
anni? Oppure era meglio
aspettare e vedere cosa
avrebbero
sostenuto
i
Crump?
Era
molto
probabile che la famiglia
insistesse nella menzogna
della
distruzione
del
testamento da parte di
Francine. Se quelle bugie
fossero state ripetute sotto
giuramento,
e
poi
smascherate,
avrebbero
potuto
esserci
serie
conseguenze
per
la
famiglia.
Con
ogni
probabilità i Crump si
stavano cacciando da soli
in una trappola, una
trappola che la Legal Aid
Clinic
poteva
evitare
presentando
subito
il
testamento.
Era un pantano legale,
una classica domanda da
esame alla scuola di legge,
studiata per fare impazzire
gli studenti. Decisero di
aspettare
un’altra
settimana, anche se tutte e
tre
le
avvocatesse,
unitamente a Claudelle e a
Barb, sapevano che il
testamento doveva essere
presentato e la famiglia
avvertita.
Era prevista una forte
nevicata a cominciare dal
tardo
pomeriggio
e
vennero discussi i piani
per
lo
studio.
Normalmente,
Mattie,
Annette
e
Samantha
andavano comunque al
lavoro a piedi, per cui la
Legal Aid Clinic sarebbe
rimasta aperta. Claudelle
era incinta di otto mesi e
nessuno si aspettava che si
facesse
vedere.
Barb
abitava
in
aperta
campagna, in una strada
dove
lo
spazzaneve
passava di rado.
Alle tre la neve stava già
cadendo. Samantha la
stava guardando dalla sua
scrivania, sognando a
occhi aperti ed evitando le
pratiche,
quando
il
cellulare prepagato ronzò
nella borsa. Jeff le disse di
essere ancora nella zona di
Charleston. «Come era la
prigione?»
chiese
Samantha.
«Attenta a quello che
dici.»
«Oh, giusto, mi ero
dimenticata.» Samantha si
alzò in piedi e andò in
veranda.
Jeff raccontò di essere
entrato
nell’area
voli
privati passando da un
cancello nella recinzione
metallica.
Il
piccolo
terminal era aperto, ma era
presente
un
solo
impiegato, una ragazza
che sfogliava riviste di
gossip seduta dietro una
scrivania.
Nascosto
nell’ombra, Jeff aveva
osservato la zona per una
mezz’ora e non aveva
notato alcun movimento.
In lontananza, al terminal
principale, aveva visto un
certo traffico, ma nessun
piccolo
aereo.
Nel
parcheggio c’erano tredici
velivoli, compresi quattro
Skyhawk. Jeff era scivolato
all’interno di uno dei due
aperti ed era rimasto lì al
buio per dieci minuti.
In altre parole, non c’era
virtualmente
alcuna
sorveglianza.
Avrebbe
potuto
manomettere
qualsiasi aereo. Poi aveva
visto una guardia e aveva
deciso di farsi arrestare. Si
trattava solo di violazione
di proprietà privata, un
reato minore. Era stato
accusato di reati molto più
seri, ricordò a Samantha.
La guardia era stata gentile
e lui aveva sfoderato tutto
il suo charme. Aveva detto
di essere un pilota e che
possedere
un
Beech
Bonanza era sempre stato
il suo sogno; aveva solo
voluto vederne uno da
vicino. Non aveva cattive
intenzioni. La guardia gli
aveva creduto ed era stata
comprensiva, ma doveva
fare il suo lavoro.
La prigione non sarebbe
stata un grosso problema.
L’avvocato
si
sarebbe
occupato di tutto.
Ma,
chiacchierando
amichevolmente,
Jeff
aveva chiesto alla guardia
dei suoi colleghi, persone
che avevano lavorato lì al
parcheggio e che magari se
ne erano andate. Era
riuscito ad avere un nome,
un uomo che si era
licenziato prima di Natale
e che ora lui stava
cercando di rintracciare.
Samantha chiuse gli
occhi e gli disse di stare
attento. Sapeva che Jeff
avrebbe passato il resto
della sua vita cercando di
trovare gli uomini che gli
avevano ucciso il fratello.
L’eccitazione della causa si
attenuò
alquanto
due
giorni
dopo,
quando
Samantha
accompagnò
Mattie a un’udienza per
polmone nero davanti al
giudice
amministrativo
(GA ) del tribunale federale
di Charleston. Il minatore,
Wally
Landry,
aveva
cinquantotto anni e non
lavorava da sette. Era
attaccato a una bombola
d’ossigeno e costretto su
una
sedia
a
rotelle.
Quattordici anni prima
aveva presentato domanda
per l’indennità da polmone
nero in base a una perizia
medica che lo dichiarava
affetto da pneumoconiosi
complicata. Il direttore
distrettuale
del
dipartimento del Lavoro
aveva accolto la richiesta.
Il datore di lavoro, Braley
Resources, si era appellato
al GA , il quale aveva
suggerito a Mr Landry di
trovarsi
un
avvocato.
Mattie aveva accettato di
rappresentarlo,
aveva
prevalso davanti al GA e la
Braley aveva fatto ricorso
presso la Commissione
revisione indennità (CRI ) a
Washington. Il caso era
rimbalzato
avanti
e
indietro tra GA e CRI per
cinque anni, prima che la
CRI
decidesse
definitivamente a favore di
Landry.
La società era quindi
ricorsa
alla
Corte
d’Appello federale, dove la
pratica era rimasta a
prendere polvere per due
anni prima di essere
rinviata per competenza al
GA .
Il
giudice
amministrativo
aveva
richiesto ulteriori perizie
mediche e gli esperti si
erano di nuovo dati
battaglia. Landry aveva
cominciato a fumare all’età
di quindici anni, aveva
smesso vent’anni dopo e,
in quanto fumatore, era
stato martellato dal solito
fuoco di fila di pareri
medici a sostegno della tesi
che i suoi problemi
polmonari
erano
stati
provocati dal catrame e
dalla nicotina, non dalle
polveri di carbone.
“Qualsiasi cosa tranne
le polveri di carbone”
aveva detto Mattie, più e
più volte. “È sempre
questa la loro strategia.”
Erano tredici anni che
Mattie lavorava a quel
caso,
aveva
investito
cinquecentocinquanta ore
e, se alla fine avesse vinto,
avrebbe
dovuto
combattere
per
farsi
riconoscere
duecento
dollari l’ora. La parcella
sarebbe stata pagata dalla
Braley Resources e dalla
sua assicurazione, i cui
avvocati addebitavano ben
più di duecento dollari
l’ora. Nelle rare occasioni
in cui la Legal Aid Clinic
incassava una parcella per
un caso di polmone nero, il
denaro finiva in un conto
speciale che contribuiva a
coprire le spese di futuri
casi analoghi. Al momento
sul conto c’erano circa
ventimila dollari.
L’udienza si teneva in
una piccola aula. Mattie
disse che era almeno la
terza
volta
che
si
ritrovavano tutti lì per
rimasticare
le
stesse
contrastanti
perizie
mediche. Lei e Samantha
sedevano a un tavolo. Non
molto lontano, un gruppo
di azzimati avvocati dello
studio Casper Slate stava
vuotando le voluminose
valigette, incurante di loro.
Alle spalle di Samantha era
seduto
un
rinsecchito
Wally Landry, con la
moglie al fianco e una
cannula nel naso che gli
consentiva di respirare.
Quattordici anni prima,
quando aveva presentato
la sua prima domanda di
indennità, Wally aveva
avuto
diritto
a
seicentoquarantuno dollari
al mese. Le spese legali
sostenute dalla Braley
all’epoca ammontavano ad
almeno seicento dollari
l’ora, secondo i calcoli
approssimativi di Mattie,
la quale diceva di non
provare neppure a dare un
senso alla cosa. Le spese
legali
affrontate
dalle
società del carbone e dalle
loro
assicurazioni
eccedevano di gran lunga
le indennità che volevano
evitare a ogni costo, ma
non era quello il punto. Gli
ostacoli
e
i
ritardi
scoraggiavano le eventuali
domande di altri minatori
e di sicuro spaventavano
gli avvocati. Nel lungo
termine, le società del
carbone vincevano, come
sempre.
Un damerino in abito
scuro
si
avvicinò
disinvolto al loro tavolo e
disse: «Salve, Mattie. Sono
contento di rivederti».
Riluttante, Mattie si alzò in
piedi, tese una mano molle
e rispose: «Buongiorno,
Trent. È sempre un
piacere».
Trent
aveva
circa
cinquant’anni, capelli che
andavano ingrigendosi e
un’aria sicura di sé. Aveva
anche un sorriso falso e
melenso e, quando disse:
«Mi dispiace molto per tuo
nipote. Donovan era un
eccellente
avvocato».
Mattie ritirò subito la
mano. «Non parliamo di
lui.»
«Scusami, naturalmente
no. E lei chi è?» domandò,
guardando Samantha, che
era in piedi e rispose:
«Samantha Kofer, stagista
alla Legal Aid Clinic».
«Ah, sì, la brillante
investigatrice
che
ha
scavato
nelle
cartelle
cliniche di Ryzer. Io sono
Trent Fuller.» Tese la
mano, ma Samantha la
ignorò.
«Io sono un avvocato,
non un investigatore. E
rappresento Mr Ryzer per
la domanda d’indennità
per polmone nero.»
«Sì, così mi dicono.» Il
sorriso svanì e gli occhi di
Fuller
si
strinsero,
lampeggiando odio. Parlò
puntando un dito contro
Samantha.
«Siamo
profondamente offesi dalle
accuse che il suo cliente, in
quella sua disgraziata
causa, ha mosso senza
alcuna prova contro il
nostro studio. L’avverto,
non commetta di nuovo lo
stesso errore.» Fuller aveva
alzato il volume della voce
mentre
ammoniva
Samantha. Gli altri tre abiti
scuri di Castrate si erano
immobilizzati e anche loro
la stavano fissando.
Samantha
era
sbalordita, ma non c’era
modo di nascondersi. «Lei
sa che quelle accuse sono
vere» disse.
Fuller fece un passo
avanti e le puntò il dito in
faccia. «Faremo causa a lei
e al suo cliente per
calunnia, ha capito?»
Mattie tese un braccio e
scostò gentilmente la mano
di Fuller. «Adesso basta,
Trent, torna nella tua
gabbia.»
Fuller si rilassò ed esibì
il suo sorriso untuoso. Ma
continuò
a
fissare
Samantha e, a voce più
bassa, le disse: «Il suo
cliente ci ha causato
grande
imbarazzo
e
disagio, Ms Kofer. Anche
se la causa è stata
abbandonata, dà ancora
molto
fastidio.
La
domanda di indennità di
Mr Ryzer riceverà il
trattamento completo dal
nostro studio».
«Non lo ricevono forse
tutte le domande?» scattò
Mattie. «Accidenti, quella
di oggi è in ballo da
quattordici anni e voi
continuate a lottare con le
unghie e con i denti.»
«È quello che facciamo
sempre, Mattie. È il nostro
mestiere» dichiarò con
orgoglio Fuller, mentre si
allontanava e raggiungeva
il suo fan club.
«Fai un bel respiro»
disse Mattie a Samantha,
mentre tutte e due si
sedevano.
«Non ci posso credere.»
Samantha
era
ancora
stupefatta. «Sono stata
minacciata in un’aula di
tribunale.»
«Oh, non hai ancora
visto
niente.
Ti
minacceranno in tribunale,
fuori dal tribunale, nei
corridoi, al telefono, per email, per fax e negli atti
giudiziari.
Non
ha
importanza. Sono dei bruti
prepotenti, proprio come i
loro clienti, e il più delle
volte la fanno franca.»
«Chi è Fuller?»
«Uno dei loro cecchini
di maggior talento. Socio
anziano, uno dei sei della
divisione polmone nero.
Circa
cento
associati,
decine di paralegali e tutto
il
personale
amministrativo
di
cui
hanno bisogno. Te lo
immagini uno come Wally
Landry seduto qui senza
un avvocato?»
«No.»
L’immagine
sembrava così inverosimile
che doveva per forza
essere illegale.
«Be’,
succede
di
continuo.»
Per una frazione di
secondo
Samantha
desiderò disperatamente la
forza e la sicurezza di
Scully & Pershing, uno
studio quattro volte più
grande di Casper Slate e
molto più ricco. Nessuno si
permetteva di fare il
prepotente con gli avvocati
specializzati in cause in
tribunale del suo vecchio
studio; anzi, spesso erano
loro quelli considerati
prepotenti.
In
un
combattimento di cani,
potevano
sempre
far
intervenire un branco di
lupi per proteggere i loro
clienti.
Trent
Fuller
non
avrebbe mai preso in
considerazione
un’aggressione del genere
a un avvocato di un altro
grande studio. Faceva il
gradasso, e si sentiva
libero di spadroneggiare,
perché al tavolo della
controparte vedeva due
donne,
due
legali
sottopagati
che
rappresentavano pro bono
un minatore moribondo.
L’audacia
era
sorprendente: il suo studio
era colpevole di frode e
associazione
per
delinquere, era stato colto
con le mani nel sacco da
Samantha ed era stato
smascherato
quando
Donovan aveva depositato
gli atti Ryzer. Ora che la
causa non esisteva più,
Fuller e il suo studio non si
preoccupavano affatto dei
loro reati. Certo che no, si
preoccupavano
soltanto
della
loro
immagine
appannata.
Né Fuller avrebbe mai
azzardato una mossa del
genere se ci fosse stato
Donovan.
In
effetti,
nessuno dei quattro bei
ragazzi all’altro tavolo
avrebbe
rischiato
un
pugno in faccia per una
parola
di
troppo
o
un’inutile minaccia.
Loro due erano donne,
che
i
ragazzi
consideravano facili da
intimidire e fisicamente
vulnerabili.
Stavano
battendosi per una causa
persa e nessuno le pagava,
di conseguenza erano
chiaramente inferiori.
Samantha ribolliva di
rabbia
mentre
Mattie
sfogliava documenti. Il
giudice prese posto e
dichiarò aperta l’udienza.
Samantha guardò dall’altra
parte dell’aula e, di nuovo,
incontrò lo sguardo di
Fuller
che
la
stava
fissando. Fuller le sorrise,
come per dirle: “Questo è
il mio territorio, e tu sei
fuori posto”.
32
L’e-mail diceva:
Cara Samantha, mi ha fatto
molto piacere il nostro
breve incontro a New York
e non vedo l’ora di avere
un’altra conversazione con
lei. Ieri, 6 gennaio, la Krull
Mining ha presentato
istanza di archiviazione
della nostra causa Hammer
Valley presso il tribunale
federale
di Charleston. Questo era
previsto, così come erano
previste lunghezza
e aggressività del
documento. È chiaro che la
Krull Mining è terrorizzata
dalla causa e vuole
sbarazzarsene. In
trentacinque anni non ho
mai visto un’istanza dal
tono così violento e
sgradevole. E sarà difficile
elaborare una memoria di
replica, senza quelle prove
ancora
da sviluppare. Possiamo
rivederci in un prossimo
futuro? Infine, nessun
segno di soccorso da
Washington. Il suo amico,
Jarrett London.
Da un lato Samantha
aveva sperato che Jarrett
London fosse ormai solo
un ricordo che andava
sbiadendo.
Dall’altro,
aveva pensato molto a lui
dopo l’incontro con Trent
Fuller. Un avvocato con
una reputazione e una
forte presenza in aula non
sarebbe
mai
stato
sottoposto a una tale
avvilente imboscata. A
parte
suo
padre
e
Donovan, London era
l’unico legale del genere
che Samantha avesse mai
conosciuto, e nessuno dei
tre avrebbe tollerato le
sceneggiate di Fuller. In
realtà, se quei tre fossero
stati presenti in aula, Fuller
se ne sarebbe rimasto nel
suo angolo e non avrebbe
proferito parola.
Comunque, Samantha
non era certo ansiosa di
rivedere
London.
Lui
voleva complicità e lei
invece non aveva alcuna
intenzione di lasciarsi
coinvolgere ulteriormente.
L’espressione
“prove
ancora da sviluppare”
significava che London era
disperato e voleva
documenti.
Samantha gli rispose:
i
Salve, Jarrett. Lieta di
avere sue notizie. Sono
certamente disponibile a un
incontro, mi faccia solo
sapere quando.
Washington è stata
informata. SK
Washington
non
era
stata informata, non del
tutto. Sul treno per
Washington
dopo
le
vacanze
di
Natale,
Samantha
aveva
raccontato a sua madre
parte della storia e, nel
farlo, aveva enfatizzato le
tattiche “abusive” adottate
dall’FBI tese a intimidire gli
attori per conto della Krull
Mining. Non aveva detto
niente
dei
documenti
nascosti,
né
aveva
accennato
agli
altri
drammi che in quel
momento
si
stavano
svolgendo
nella
sua
piccola parte della terra del
carbone.
Karen era sembrata
interessata, fino a un certo
punto, ma aveva osservato
che l’FBI era noto per
esagerare
sempre
e
cacciarsi nei guai. Visti
dalla sua elevata posizione
al
dipartimento
di
Giustizia, gli agenti giù
nelle strade appartenevano
a un altro mondo. A Karen
non interessava quello che
facevano, negli Appalachi,
a New York o a Chicago.
Al momento il suo mondo
era consumato da strategie
ad alto livello sulle
politiche da implementare
in
relazione
allo
sconsiderato
comportamento di certe
grandi banche e di certi
erogatori
di
mutui
subprime,
eccetera
eccetera...
La
seconda
e-mail
significativa
della
mattinata fu quella di un
certo dottor Draper, un
pneumologo di Beckley
che era stato incaricato dal
dipartimento del Lavoro di
visitare Buddy Ryzer. Il
suo messaggio andava
diritto al punto:
Avvocato Kofer, le allego la
mia perizia. Mr Ryzer soffre
di fibrosi polmonare
massiva, nota anche come
pneumoconiosi
dei lavoratori del carbone.
Lo stadio della malattia è
avanzato.
So che il paziente continua
tuttora a lavorare;
francamente ritengo
che non dovrebbe, anche
se la mia perizia non dà
indicazioni in questo senso.
Sono a disposizione per
eventuali domande via email. LKD
Samantha stava ancora
studiando
la
perizia
quando arrivò il terzo
messaggio. Era di Andy
Grubman,
ma
non
proveniva dal suo solito
indirizzo
di
posta
elettronica presso Scully &
Pershing.
Cara Samantha, felice anno
nuovo. Spero che questo
messaggio
ti trovi in buona salute
mentre ti dai da fare per
salvare il mondo.
Mi manca il tuo viso
sorridente e spero di vederti
presto. Sarò breve e andrò
dritto al punto. Ho deciso di
lasciare Scully & Pershing
alla fine di febbraio. Non
sono stato costretto ad
andarmene e non sono in
aspettativa, niente del
genere. Lo studio e io ci
separiamo
in modo amichevole. La
verità è che non ne posso
più di diritto tributario. Lo
trovo incredibilmente
noioso e mi manca il mio
vecchio mondo. Ho un
amico che ha lavorato per
molti anni
nel settore immobiliare
presso un altro studio e che
è stato fatto fuori. Abbiamo
deciso di aprire una bottega
tutta nostra – Spane &
Grubman – con uffici nel
distretto finanziario. Ci
siamo già accaparrati due
grossi clienti – una banca
coreana e un fondo del
Kuwait –, ed entrambi sono
pronti a buttarsi su palazzi
in difficoltà economiche
lungo tutta la Costa
orientale. Come sai bene,
non mancano di sicuro le
imprese indebitate fino al
collo finite sott’acqua a
causa della recessione.
Inoltre, questi clienti
ritengono che sia il
momento perfetto per
cominciare a pianificare
nuove costruzioni, da
iniziare tra un paio d’anni
quando la recessione sarà
finita. Hanno una montagna
di soldi e sono pronti a
muoversi.
Comunque, Nick Spane e
io stiamo pensando a uno
studio con una ventina di
associati. La retribuzione
sarà vicina a quella
standard di Big Law e non è
nostra intenzione uccidere
noi stessi né i nostri
dipendenti. Quello che
vogliamo è un simpatico,
piccolo studio boutique
dove gli avvocati lavorino
sodo ma riescano anche a
divertirsi un po’. Prometto
che gli associati non
supereranno mai le ottanta
ore la settimana. Pensiamo
che cinquanta sia un
obiettivo accettabile.
L’espressione “qualità della
vita” è una barzelletta nel
nostro settore, ma noi la
prendiamo sul serio. Sono
stanco e ho solo quarantun
anni.
Ti sto offrendo un lavoro.
Izabelle ha già accettato.
Ben ha trovato
qualcos’altro, e temo che si
sia avventurato fuori dalla
riserva. Tu cosa mi dici?
Nessuna pressione, ma ho
bisogno
di una risposta entro la fine
del mese. Inutile
aggiungere che c’è
un’infinità di avvocati in giro
per strada in questi giorni.
Il tuo boss preferito, Andy
Samantha
lesse
di
nuovo l’e-mail, poi chiuse
la porta dell’ufficio e la
rilesse per la terza volta.
Andy era sostanzialmente
una
brava
persona
dell’Indiana che aveva
passato troppo tempo a
New York. Le aveva
mandato un messaggio
gentile
con
un’offerta
allettante e generosa, ma
non aveva potuto fare a
meno di rammentarle che
c’erano
moltissimi
avvocati alla disperata
ricerca di un lavoro.
Samantha
spense
il
computer
e
la
luce
dell’ufficio e, senza farsi
sentire, scivolò fuori dallo
studio dalla porta sul retro.
Salì sulla sua Ford ed era
già più di un chilometro
fuori città quando si chiese
dove stesse andando. Non
aveva importanza.
Mancavano
ventiquattro
giorni
al
trentuno gennaio.
Continuando a guidare,
pensò ai suoi clienti.
Buddy Ryzer fu il primo
che le venne in mente. Non
si era impegnata a seguire
il suo caso fino alla fine,
ma aveva promesso a
Mattie
che
avrebbe
presentato la domanda di
indennità e si sarebbe
occupata della prima e più
impegnativa fase iniziale.
E
ciò
avrebbe
rappresentato solo una
seccatura,
a
paragone
dell’enorme causa che
qualcuno avrebbe dovuto
intentare di nuovo contro
la Lonerock Coal e Casper
Slate. Restava ancora in
sospeso
la
questione
dell’ultimo testamento di
Francine Crump, e questo,
a dire la verità, sarebbe
stato un’ottima ragione per
telefonare subito a Andy e
accettare il lavoro. C’erano
i
Merryweather,
una
simpatica
e
semplice
coppia che aveva investito
tutti i risparmi in una
casetta, ora minacciata da
un
viscido
prestatore
subprime che li aveva citati
in
giudizio
esigendo
l’intero saldo. Samantha si
stava dando da fare per
ottenere
un’ingiunzione
che
bloccasse
il
pignoramento
dell’immobile. C’erano due
divorzi, per il momento
consensuali,
ma
che
difficilmente
sarebbero
rimasti
tali.
Poi,
naturalmente, c’era la
causa Hammer Valley, per
la quale non l’avrebbero
lasciata in pace. A essere
sinceri, un altro motivo per
andarsene. Stava aiutando
Mattie in tre fallimenti e in
due
casi
di
discriminazione sul lavoro.
Era ancora in attesa
dell’assegno di Pamela
Booker, per cui quella
pratica non era ancora
chiusa, e stava dando una
mano ad Annette in altri
due divorzi. Poi c’era il
pasticcio Phoebe Fanning:
sia la mamma che il papà
stavano per finire in galera
e
nessuno
voleva
i
bambini.
Per
concludere,
avvocato Kofer, in questo
momento c’è troppa gente
che conta su di te per poter
fare i bagagli e tagliare la
corda. Non si supponeva
che la decisione di tornare
a New York dovesse essere
presa adesso, dopo soli tre
mesi di un’aspettativa di
dodici. Si supponeva che
tu avessi più tempo a
disposizione, tempo per
aprire nuove pratiche,
aiutare qualche persona,
tenerti
blandamente
occupata con un occhio sul
calendario mentre i mesi
passavano, la recessione
finiva e le occasioni di
lavoro spuntavano come
funghi in tutta Manhattan.
Era quello il programma,
no? Forse non un ritorno
alle tediose sfacchinate di
Big Law, ma di certo a un
rispettabile impiego in
qualcosa tipo... uno studio
boutique?
Un piccolo studio, pochi
avvocati
soddisfatti,
cinquanta ore la settimana,
uno stipendio notevole con
tutti i soliti benefit? Nel
2007, il suo ultimo presso
Scully, Samantha aveva
fatturato tremila ore. Il
calcolo
era
semplice:
sessanta ore fatturabili a
settimana per cinquanta
settimane, anche se non
aveva potuto godersi le
sue due settimane di
vacanza retribuita. Per
fatturare sessanta ore la
settimana, aveva dovuto
lavorarne
almeno
settantacinque, spesso di
più. Per coloro così
fortunati da godersi la vita
senza tenere gli occhi fissi
su
un
orologio,
settantacinque
ore
la
settimana
significava,
almeno per Samantha,
arrivare in ufficio alle otto
di mattina e andarsene
dodici ore dopo, dal lunedì
al sabato, magari con
qualche ora anche la
domenica. E questa era la
normalità. Se poi capitava
l’urgenza di una scadenza
importante, uno dei clienti
di Andy in crisi, una
settimana di novanta ore
non era insolita.
E
adesso
lui
ne
prometteva
solo
cinquanta?
Samantha ora era in
Kentucky e si stava
avvicinando alla cittadina
di Whitesburg, a un’ora da
Brady. Le strade erano
sgombre, ma fiancheggiate
da cumuli di neve sporca.
Vide un caffè e parcheggiò
poco
distante.
La
cameriera la informò che
c’erano focaccine calde,
appena sfornate. Come si
poteva rifiutare? Seduta a
un tavolo accanto alla
vetrata, Samantha imburrò
una focaccina e aspettò che
si raffreddasse. Sorseggiò il
caffè e osservò il traffico
che scorreva languido
lungo Main Street. Inviò
un
SMS
a
Mattie,
spiegandole che doveva
sbrigare
alcune
commissioni.
Mangiò una focaccina
con marmellata di fragole e
scarabocchiò
qualche
appunto. Non avrebbe
detto di no all’offerta di
Andy, e non avrebbe detto
di sì. Aveva bisogno di
tempo, di qualche giorno
almeno, per raccogliere i
pensieri,
analizzarli,
mettere insieme tutte le
informazioni e aspettare
che una voce fantasma le
suggerisse
cosa
fare.
Preparò una risposta che
avrebbe inviato più tardi
nel pomeriggio dalla sua
scrivania. La prima bozza
diceva:
Caro Andy, felice anno
nuovo anche a te. Devo
ammettere che sono sotto
shock per la tua e-mail e
per l’offerta di un impiego
così promettente. In tutta
franchezza, negli ultimi tre
mesi non è successo niente
che mi preparasse a un
ritorno in città così veloce.
Pensavo di avere almeno
un anno per meditare sulla
mia vita e il mio futuro, ma
tu di colpo hai messo tutto
sottosopra. Ho bisogno di
un po’ di tempo per
riflettere.
Non sono ancora riuscita
a salvare il mondo, ma sto
facendo progressi. I miei
clienti sono povera gente
che non ha voce. Non si
aspettano che io faccia
miracoli e qualsiasi sforzo
in
loro
favore
è
enormemente apprezzato.
Ogni tanto vado anche in
tribunale. Pensa, ho visto
davvero
l’interno
di
un’aula, ed è tutto molto
diverso che in televisione.
Anche se, come sai, non
avevo mai tempo per la
televisione. Lunedì scorso
ho vinto il mio primo
processo. Diecimila dollari
per la mia cliente, che a me
sono sembrati un milione.
Con un po’ di esperienza,
forse potrei imparare ad
apprezzare il lavoro in
tribunale.
E ora passiamo alla tua
proposta. Alcuni dettagli.
Chi sono gli altri associati e
da dove vengono? Niente
stronzi, Andy, okay? Non
voglio lavorare con un
branco di pistoleri e
tagliagole.
Qual
è
il
rapporto uomini/donne in
termini numerici? Non
voglio
un
club
esclusivamente maschile.
Chi è Nick Spane e qual è la
sua storia? Sono sicura che
è un grande avvocato, ma è
una brava persona? Ha un
matrimonio solido o è uno
che salta da un letto
all’altro? Avvertilo che se
solo mi tocca, gli faccio
causa
per
molestie.
Mandami la sua biografia,
per favore. Dove sono gli
uffici? Non ho intenzione di
assoggettarmi a condizioni
di lavoro miserevoli. Tutto
quello che ho sempre
voluto era un piccolo
ufficio – il mio ufficio! – con
una bella finestra, un po’ di
sole e una parete tutta mia
alla quale appendere quello
che mi pare. Questa tua
garanzia di cinquanta ore la
settimana... me la metterai
per iscritto? Attualmente è
proprio questo il mio orario
di lavoro ed è meraviglioso.
Chi saranno i clienti, oltre
ai coreani e ai kuwaitiani?
Sono certa che si tratta di
grandi società e roba del
genere, o grandi personaggi
dal grande ego; in ogni
caso, il punto è che non mi
lascerò rimproverare da un
cliente urlante. (Qui i miei
clienti mi chiamano Miss
Sam e mi portano i biscotti.)
Possiamo parlarne. Per
finire, quale futuro? Qui di
futuro non ce n’è, per cui
non resterò. Io sono una
newyorkese, Andy, e oggi
lo sono ancora di più di tre
mesi fa, ma mi piacerebbe
conoscere la struttura del
nuovo studio e sapere come
tu e Spane lo vedete tra
dieci anni da adesso. Ti
sembra ragionevole?
Ti ringrazio per avere
pensato a me. Sei sempre
stato una persona leale; non
sempre uno zuccherino, ma
non sono sicura che sia nel
tuo DNA .
Teniamoci in contatto.
Samantha
La temperatura era intorno
ai dieci gradi sottozero e la
neve
era
gelata,
sormontata da uno strato
di ghiaccio che rifletteva la
luce della luna. Dopo una
cena calda con Annette e i
suoi figli, Samantha si
ritirò
nel
suo
appartamento sopra il
garage, dove il piccolo
impianto di riscaldamento
si affannava tentando di
intaccare il gelo. Se
Samantha
fosse
stata
ancora in un appartamento
dall’affitto
salato
a
Manhattan, avrebbe fatto
una piazzata a qualcuno.
Ma non a Brady. Non dove
non pagava alcun affitto e
la padrona di casa era
probabilmente a corto di
contanti. Così si avvolse
nelle coperte e, mentre il
tempo passava lento, lesse
per due ore. Poi posò il
libro e pensò a New York,
a Andy e al suo studio
nuovo di zecca. Erano tanti
i
pensieri
che
si
rincorrevano nella sua
mente.
Non c’era dubbio che
avrebbe risposto di sì, e
l’idea la eccitava. Il lavoro
era
perfetto;
sarebbe
tornata a casa, nella città
che amava, e con un
impiego
prestigioso
e
promettente.
Avrebbe
potuto evitare gli orrori di
Big Law, pur creandosi
una carriera significativa. Il
problema era andarsene.
Non
poteva
semplicemente tagliare la
corda tra un mese o giù di
lì e scaricare tutto su
Mattie. No, doveva esserci
un’uscita di scena più
garbata e corretta. Stava
pensando a una breve
dilazione: accettare subito
l’impiego e iniziare sei
mesi dopo. Sarebbe stato
un comportamento onesto,
o almeno quanto più
onesto possibile. Poteva
andare bene sia per Mattie
che per Andy, giusto?
Un
telefono
stava
ronzando sotto una pila di
carte.
Finalmente
Samantha lo trovò e
rispose: «Sì?». Era il
cellulare spia di Jeff, che le
domandò: «Hai freddo?».
Samantha
sorrise
e
chiese: «Dove sei?».
«A circa dieci metri da
te, nascosto nel buio dietro
il garage, con i piedi
piantati in venti centimetri
di neve ghiacciata. Non mi
senti battere i denti?»
«Mi pare di sì. Cosa ci
fai qui?»
«Dovrebbe
essere
evidente. Senti, Annette ha
appena spento tutte le luci,
per cui la via è libera.
Credo
che
dovresti
preparare un po’ di caffè,
decaffeinato se ce l’hai, e
aprirmi quella maledetta
porta. Fidati, non mi vedrà
nessuno. I vicini dormono
da due ore. Ancora una
volta, tutta Brady è
morta.»
Samantha aprì la porta
e, senza nemmeno uno
scricchiolio, Jeff comparve
dalla scala buia e le diede
un bacio veloce sulle
labbra. Si tolse le scarpe e
le piazzò accanto a quelle
di Samantha. «Vedo che
pensi di trattenerti» disse
Samantha,
versando
l’acqua nella macchina per
il caffè.
Jeff si sfregò le mani e
osservò: «Credo che faccia
più caldo fuori. Hai
protestato con la padrona
di casa?».
«Non ci ho neppure
pensato. Niente affitto
significa niente lamentele.
È bello vederti fuori di
galera.»
«Non puoi immaginare
quello che ho scoperto.»
«Ed è la ragione per cui
sei qui, per raccontarmi
tutto.»
«Tra le altre cose.»
La sera in cui Donovan
era morto, il suo Cessna
era rimasto parcheggiato
all’aeroporto di Charleston
per circa sette ore, dalle
quindici e venti alle
ventidue
e
trentuno,
secondo le registrazioni del
controllo traffico aereo e i
dati del terminal dei voli
privati.
Dopo
essere
atterrato, Donovan aveva
noleggiato un’auto ed era
andato alla riunione con la
sua
squadra
legale.
Durante la sua assenza,
erano
arrivati
quattro
piccoli aerei; due avevano
fatto
rifornimento,
avevano
scaricato
un
passeggero
ed
erano
ripartiti, gli altri due erano
stati parcheggiati per la
notte. Uno era un Beech
Baron, l’altro un King Air
210, un popolare bimotore
a turboelica che poteva
ospitare sei passeggeri. Il
King Air era arrivato alle
diciannove e trentacinque,
con due piloti e un
passeggero. Tutti e tre
erano scesi dall’aereo,
erano entrati nel terminal,
avevano
compilato
i
documenti richiesti e se
n’erano andati insieme a
un altro tizio a bordo di un
furgone.
Samantha
ascoltava
senza dire una parola.
Versò il decaffeinato.
Secondo
Brad,
un
impiegato di turno al
terminal quella sera, in
realtà sul King Air c’erano
due passeggeri e uno dei
due era rimasto a bordo.
Proprio così: aveva passato
la notte nell’aereo. Mentre
i due piloti sbrigavano la
routine post volo, Brad per
caso aveva notato il
passeggero a terra che
parlava
con
qualcuno
ancora a bordo. Da
lontano, aveva seguitola
scena, aspettato e visto i
piloti chiudere l’unico
portellone del King Air.
Una volta messo in
sicurezza l’aereo per la
notte, questi erano entrati
nel
terminal
con
il
passeggero, come se tutto
fosse stato normale.
Una cosa bizzarra, ma
in realtà Brad lo aveva già
visto succedere un paio
d’anni prima, quando un
pilota era atterrato di notte
e, non avendo né una
camera
prenotata
né
un’auto a noleggio, aveva
deciso di dormire qualche
ora in cabina di pilotaggio
per poi decollare all’alba.
La differenza era che quel
pilota aveva comunicato le
proprie intenzioni e il
personale dell’aeroporto
sapeva cosa stava facendo.
Con il King Air, invece,
solo Brad era stato al
corrente di quello che
stava succedendo. Aveva
tenuto d’occhio l’aereo fino
alle ventidue, quando
aveva timbrato il cartellino
e se n’era andato a casa.
Due giorni dopo era stato
licenziato per assenza
ingiustificata. Quel lavoro
non gli era mai piaciuto e
detestava il suo capo. Suo
fratello gli aveva trovato
un impiego in Florida e
Brad aveva lasciato la città.
Nessuno lo aveva mai
interrogato
sugli
avvenimenti di quella
notte.
Fino
a
quel
momento, naturalmente.
«Come lo hai trovato?»
chiese Samantha.
«È stata la guardia che
mi ha arrestato domenica
sera a darmi il suo nome. È
risultato che Mack, la
guardia, è un tipo davvero
a posto. Lunedì sera tardi
ci siamo fatti qualche birra
insieme, ho pagato io,
naturalmente, e Mack mi
ha raccontato la storia di
Brad, il quale ora è di
nuovo a Charleston. Ieri
sera l’ho rintracciato e, in
un altro bar, abbiamo
bevuto qualcosa insieme.
Questa
sera
devo
disintossicarmi, per cui
non offrirmi niente.»
«Non c’è una goccia
d’alcol in tutta la casa.»
«Bene.»
«Quindi, qual è la tua
teoria?»
«La mia teoria è questa:
il misterioso passeggero ha
aspettato
il
momento
opportuno, ha aperto il
portellone del King Air, ha
percorso una trentina di
metri
al
buio
per
raggiungere il Cessna di
Donovan e in una ventina
di minuti ha allentato il
dado B. Poi è tornato
indietro, è risalito sul King
Air e probabilmente è
rimasto in osservazione
fino alle ventidue e
quindici circa, quando
Donovan è arrivato in
aeroporto per ripartire.
Dopo di che si è tolto le
scarpe e ha dormito fino
all’alba.»
«Sembra impossibile da
provare.»
«Forse, ma ci sto
arrivando.»
«Chi è il proprietario del
King Air?»
«Un servizio charter di
York, Pennsylvania, una
società
che
lavora
moltissimo con le società
minerarie. Il King Air è il
loro cavallo da tiro per
l’area del carbone perché è
robusto, ha un buon carico
utile e decolla e atterra
anche su piste molto corte.
Quella società ha quattro
King Air disponibili per
servizi
charter.
Le
registrazioni
ufficiali
abbondano per cui presto
sapremo tutto su quel
volo. Brad dice che se
serve
rilascerà
una
dichiarazione giurata, ma
non sono così sicuro di
lui.»
«Questa
storia
è
incredibile, Jeff.»
«È
la
svolta.
Gli
investigatori torchieranno i
proprietari dell’aereo, i
piloti, il passeggero o i
passeggeri e chiunque
abbia noleggiato il King
Air per il volo. Ci stiamo
avvicinando,
Samantha.
Questo
è
un
passo
decisivo.»
«Bel lavoro, Sherlock.»
«A
volte
basta
semplicemente
farsi
arrestare. Hai una trapunta
extra da qualche parte?»
«Sono tutte sul letto. E
io prima ero proprio a
letto, a leggere.»
«È un suggerimento per
rimorchiare?»
«Ci
siamo
già
rimorchiati, Jeff. Il tema
del momento è il sesso e
detesto doverti dire che
non succederà. Non è il
momento migliore del
mese.»
«Oh, mi dispiace.»
«Avresti
potuto
telefonare.»
«Immagino di sì. Senti,
allora perché non ci
rannicchiamo
a
letto,
condividiamo il calore
corporeo e dormiamo
insieme? Intendo dire
dormiamo davvero.»
«Credo
che
possa
funzionare.»
33
Non aveva idea di quando
lui se ne fosse andato. Si
svegliò e vide qualche
raggio di luce penetrare tra
le tende e le finestre. Erano
quasi le sei del mattino. Il
lato del letto di Jeff non era
caldo, come se fosse già
trascorsa qualche ora dalla
sua partenza. Non aveva
importanza. Jeff viveva tra
le ombre, lasciava poche
tracce dietro di sé e a lei
andava bene. Jeff era
oppresso da pesi e ricordi
che lei non avrebbe mai
capito,
perciò
perché
preoccuparsi? Samantha
pensò a lui per alcuni
istanti, mentre sbirciava da
sotto
le
trapunte
e
osservava le nuvolette di
umidità che seguivano il
suo respiro. Faceva freddo
là
fuori
e
doveva
ammettere di desiderare il
calore di Jeff.
Desiderava anche una
doccia calda, ma non ci
sarebbe stata. Contò fino a
dieci, scostò le coperte di
colpo e corse verso la
caffettiera.
Ci
volle
un’eternità prima che il
caffè fosse pronto, subito
dopo tornò sotto le coperte
con la tazza e pensò a New
York. Il suo programma
consisteva innanzitutto nel
mettere a punto l’e-mail
per Andy e spedirgliela.
Era una risposta troppo
aggressiva,
troppo
presuntuosa? Lei dopo
tutto era disoccupata e
Andy le stava offrendo un
impiego
meraviglioso.
Aveva il diritto di fare la
schizzinosa riguardo agli
associati, ai clienti, a Mr
Nick
Spane
e
alle
dimensioni del nuovo
ufficio? La sua proposta
dilatoria
avrebbe
soddisfatto Andy o lo
avrebbe irritato? Samantha
non era sicura, ma Andy
era un tipo coriaceo. Se lei
non si fosse imposta fin
dall’inizio,
di
sicuro
sarebbe stata schiacciata in
seguito.
Lasciò perdere la doccia
gelida e si lavò a pezzi con
l’acqua
tiepida
del
lavandino. Senza alcun
impegno in tribunale in
agenda, indossò in fretta e
furia jeans e stivali,
camicia di flanella e
maglione. Adeguatamente
infagottata, si passò la
tracolla della cartella su
una spalla, quella della
borsa sull’altra e si avviò a
piedi verso lo studio.
L’aria
era
pulita
e
frizzante, il sole si alzava
brillante. Era una bella
giornata d’inverno, con la
neve
ancora
intatta
ammucchiata in grossi
cumuli contro le case. Non
un brutto modo per andare
al lavoro, pensò Samantha
mentre attraversava Brady.
Vedendo le cose dal lato
negativo: a New York
sarebbe stata schiacciata in
un affollato treno della
metropolitana
e
poi
avrebbe
dovuto
farsi
strada tra la calca dei
pedoni. O forse sarebbe
stata seduta sul retro di un
taxi sporco, bloccato nel
traffico.
Scambiò due parole con
Mr Gantry, uscito di casa
per raccogliere il suo
quotidiano
dal
marciapiede. Andava per i
novanta, viveva solo da
quando l’anno prima era
morta la moglie e, nella
bella stagione, vantava il
prato più curato di tutta la
strada. Nella sua proprietà,
tutta la neve era stata
meticolosamente raschiata
e spalata.
Come
ormai
d’abitudine, Samantha fu
la prima ad arrivare in
studio e, quale stagista,
andò subito a preparare il
caffè. Mentre aspettava,
riordinò
il
cucinotto,
svuotò i cestini dei rifiuti e
raddrizzò
le
riviste
nell’area di ricevimento.
Nessuno le aveva mai
detto di fare quelle cose.
Vedendo le cose dal lato
positivo: a New York, lo
studio Spane & Grubman
avrebbe pagato qualcuno
per quelle mansioni.
Vedendo le cose dal lato
neutro: a Samantha non
importava sbrigare quei
lavoretti, non a Brady
almeno. Non le sarebbe
mai passato per la mente
in uno studio vero, ma alla
Mountain Legal Aid Clinic
tutte davano una mano.
Si sedette in sala
riunioni e osservò il
traffico del primo mattino
in Main Street. Adesso che
stava
pensando
di
andarsene, era stupita nel
constatare quanto si fosse
affezionata a quel posto in
soli tre mesi. Decise di
rinviare la discussione con
Mattie finché non avesse
saputo di più dell’offerta
di Andy. Il pensiero di
dirle che sarebbe partita
così presto la turbava
molto.
Le mattine di Mattie
erano ancora lente, tuttavia
sembrava che lei stesse
ritrovando la vecchia se
stessa.
L’assenza
di
Donovan era una ferita
aperta che non si sarebbe
mai
rimarginata,
ma
Mattie
non
poteva
smettere di vivere. Aveva
troppi clienti che avevano
bisogno di lei, troppi
impegni in agenda. Arrivò
poco dopo le nove e disse a
Samantha di raggiungerla
nel suo ufficio. Con la
porta chiusa, spiegò che
quella notte non aveva
dormito a causa dei
maledetti Crump e della
defunta, la povera, vecchia
Francine. L’unica cosa
eticamente giusta da fare
era interrogare tutti gli
avvocati locali e scoprire se
qualcuno
fosse
stato
assunto dalla famiglia. In
caso positivo, lo studio
avrebbe
prodotto
a
sorpresa una copia del
testamento e dato inizio
alla guerra. Mattie passò
un elenco a Samantha e le
disse: «Escluse noi, ci sono
quattordici avvocati a
Brady: qui sono in ordine
alfabetico, con relativi
numeri di telefono. Io ho
già parlato con tre di loro,
compreso Jackie Sporz,
quello che aveva redatto il
primo testamento cinque
anni fa. Nessuno è stato
contattato dalla famiglia.
Tu te ne prendi cinque e
vediamo di chiudere in
mattinata. Sono stanca di
preoccuparmi per questa
storia».
Samantha
ormai
conosceva
tutti
gli
avvocati, tranne due. Andò
nel suo ufficio, afferrò il
telefono e telefonò a
Hump, il quale rispose che
no, non aveva mai sentito
nominare i Crump. Beato
lui. La seconda telefonata
fu a Hayes Sinclair, uno
che non usciva mai dal suo
studio e che si diceva
soffrisse di agorafobia. No,
mai sentito parlare dei
Crump. La terza telefonata
fu a Lee Chatham, un
legale che non era mai nel
suo studio e si aggirava
sempre
in
tribunale,
atteggiandosi come se
avesse importanti faccende
da sbrigare e scambiando
pettegolezzi, la maggior
parte dei quali di sua
invenzione. Bingo. Mr
Chatham rispose di sì:
aveva incontrato molti dei
Crump e aveva firmato un
contratto
per
rappresentare la famiglia.
Evidentemente i Crump
insistevano nella finzione
secondo la quale la madre
aveva
distrutto
il
testamento redatto dalle
imbroglione dell’assistenza
legale gratuita e pensavano
che di conseguenza la
situazione sarebbe tornata
a
essere
quella
del
testamento precedente, con
l’eredità divisa in parti
uguali. Il programma di
Mr Chatham consisteva
nell’aprire entro breve la
successione e procedere
con il primo testamento. I
Crump
però
stavano
litigando su chi dovesse
essere l’esecutore. Jonah, il
più anziano, era stato
indicato come esecutore da
Francine
cinque
anni
prima, ma al momento
aveva problemi di cuore
(causati
dallo
stress
dell’attuale situazione) e
probabilmente
non
avrebbe potuto assumere
l’incarico. Quando Mr
Chatham aveva accennato
all’idea di sostituire Jonah,
tra gli altri quattro era
scoppiato un diverbio.
L’avvocato stava ancora
cercando di mediare la
faccenda.
Samantha sganciò la
bomba del misterioso plico
che aveva ricevuto il
giorno dopo il funerale. Si
assicurò che Mr Chatham
capisse bene che né lei né
nessun’altra alla Legal Aid
Clinic
desiderava
minimamente
essere
coinvolta in una disputa
testamentaria,
ma
era
importante per lui sapere
che i suoi clienti stavano
mentendo.
Quando
Samantha
riattaccò,
Chatham
stava
borbottando
frasi
incoerenti tra sé. Samantha
gli inviò per fax copia
dell’ultimo testamento e
poi andò a riferire a Mattie.
«I
Crump
si
incazzeranno di brutto,
non credi?» osservò Mattie
dopo avere sentito la
novità. «Una sola minaccia
e vado dallo sceriffo.»
«Dobbiamo procurarci
qualche
pistola?»
domandò Samantha.
«Non ancora.» Mattie
gettò delle carte sulla
scrivania.
«Da’
un’occhiata.»
Il
plico,
qualunque cosa fosse, era
spesso e Samantha si mise
a sedere. «Che cos’è?»
chiese, sfogliando una
pagina.
«Strayhorn, notifica di
appello per il caso Tate. La
settimana scorsa ho parlato
con il giudice del processo
a proposito del presunto
accordo. Inutile dire che
non si è mostrato per
niente comprensivo, per
cui siamo fregate. Adesso
dobbiamo
sgobbare
arrancando nel processo
d’appello e sperare che la
Corte Suprema non ribalti
il verdetto.»
«Perché dovrei tenere in
mano questa roba?»
«Ho pensato che potesse
interessarti. E francamente,
Samantha,
abbiamo
bisogno che ti occupi tu
dell’appello.»
«Un po’ me l’aspettavo.
Mattie, io non ho mai
neppure
sfiorato
un
appello.»
«Non avevi mai sfiorato
nemmeno la maggior parte
delle cose di cui ci
occupiamo qui allo studio.
C’è sempre una prima
volta. Senti, io farò da
supervisore e tu ti renderai
conto in fretta che si tratta
solo di un mucchio di carta
e lavoro di ricerca. La
Strayhorn parte per prima
e deposita la sua grossa
memoria entro novanta
giorni. Sosterranno che il
processo è stato viziato da
ogni tipo di grave errore.
Noi rispondiamo, punto
per punto. Tra sei mesi
quasi tutto il lavoro sarà
fatto e tu sarai in attesa
della convocazione per
l’argomentazione orale.»
“Ma tra sei mesi io me
ne sarò andata” avrebbe
voluto dire Samantha.
«Sarà
una
grande
esperienza»
insistette
Mattie. «E per il resto della
tua vita potrai sempre dire
di avere sostenuto un
appello davanti alla Corte
Suprema
del
Commonwealth
of
Virginia.
C’è
forse
qualcosa
di
meglio?»
Mattie ostentava un tono
leggero,
ma
era
chiaramente in ansia.
«Quante ore?» chiese
Samantha. Stava facendo
rapidi calcoli e aveva già
concluso
che
avrebbe
potuto
svolgere
virtualmente tutto il lavoro
di ricerca nel corso dei sei
mesi successivi, prima di
andarsene.
«Donovan giurava che
era stato un processo
pulito, con niente di
importante su cui cavillare
per ricorrere in appello. Io
direi cinquecento ore, da
adesso
fino
all’argomentazione orale,
che si terrà fra circa
quindici mesi. So che per
allora te ne sarai già
andata, quindi sarà una di
noi a occuparsi di quella
fase. Il lavoro pesante è
adesso. Annette e io
proprio non ne abbiamo il
tempo.»
Samantha
sorrise
e
disse: «Sei tu il capo».
«E tu sei un tesoro.
Grazie, Samantha.»
Andy rispose a stretto giro:
Cara Miss Sam, grazie
tante per la tua deliziosa
epistola. Come
sei diventata dolce in soli
tre mesi. Devono essere
tutti quei
biscotti. Se ho capito bene,
vuoi che ti venga assicurato
che sarai
adorata dai tuoi capi,
idolatrata dai tuoi colleghi,
apprezzata dai tuoi clienti,
virtualmente destinata a
diventare socia dello studio,
cosa che ti garantirà una
vita lunga, piena e felice,
e soddisfatta delle
dimensioni del tuo ufficio,
nonostante gli osceni prezzi
al metro quadro
attualmente richiesti dai
proprietari di immobili a
Manhattan (nostri clienti),
recessione o no.
Vedrò cosa posso fare.
Allego biografia di Nick
Spane.
Abbastanza stranamente,
ha avuto un solo divorzio
ed è sposato
con la stessa meravigliosa
donna da circa quindici
anni. Come vedrai, non è
mai stato condannato per
stupro, abusi su minori
ecc.,
né è mai stato accusato di
reati pedopornografici.
Inoltre non
è mai stato citato in giudizio
per molestie sessuali, né
per altro,
se è per questo. (Il divorzio
è stato consensuale.) In
realtà è un’ottima persona,
te lo giuro. Un uomo del
Sud – Tulane, Vanderbilt
Law – dai modi impeccabili.
Insolito, per quelle parti.
Ci sentiamo, Andy
Il cellulare spia ronzò
alle due e mezzo, mentre
Samantha stava rileggendo
la notifica della Strayhorn
e ripassando le regole della
procedura di appello. «Sei
davanti al mio ufficio in
mezzo
alla
neve?»
domandò,
avviandosi
verso il cucinotto, che
presumeva
libero
da
cimici.
«No, sono a Pikeville
per parlare con alcuni
investigatori. Mi è piaciuta
la notte scorsa, ho dormito
sodo e al caldo. E tu?»
«Ho dormito bene. A
che ora te ne sei andato
questa mattina?»
«Poco dopo le quattro.
Sai, non dormo molto in
questi giorni. C’è sempre
qualcuno alle spalle, in
osservazione. È difficile
dormire.»
«Okay.
Cos’hai
in
mente?»
«Sabato, trekking nella
neve intorno a Gray
Mountain. Bistecca alla
griglia in veranda. Un po’
di vino rosso. Leggere
davanti al fuoco. Quel
genere di cose. Ci stai?»
«Fammici pensare.»
«Cosa c’è da pensare?
Scommetto che se dai
un’occhiata alla tua agenda
vedrai che non c’è scritto
niente per sabato. Su,
andiamo.»
«In questo momento ho
da fare. Ti richiamo.»
Anche se nessuno allo
studio gliene aveva mai
parlato, Samantha stava
imparando che il freddo e
le giornate corte di gennaio
rallentavano
considerevolmente
gli
affari. Il telefono squillava
meno e Barb passava più
tempo lontano dalla sua
scrivania,
sempre
per
“sbrigare
qualche
commissione”. Claudelle
era incinta di otto mesi e
doveva restare a riposo a
letto. I tribunali, che non
avevano
mai
fretta,
macinavano il lavoro a un
ritmo ancora più lento.
Mattie e Annette erano
occupate come sempre con
i casi aperti, ma non ne
stavano
arrivando
di
nuovi. Era come se conflitti
e guai si prendessero una
pausa quando arrivava la
malinconia
dell’inverno.
Almeno per un po’.
Venerdì,
dopo
l’imbrunire,
Samantha
stava
ancora
lavoricchiando
quando
sentì qualcuno entrare in
studio. Anche Mattie era
ancora in ufficio, con la
porta chiusa; tutte le altre
se ne erano già andate per
il weekend. Samantha
passò
nell’area
di
ricevimento
e
salutò
Buddy e Mavis Ryzer. Non
avevano appuntamento e
non avevano telefonato.
Avevano semplicemente
guidato per un’ora e
mezzo dal West Virginia a
Brady
in
un
tardo
pomeriggio di venerdì per
cercare guida e conforto
dal
loro
avvocato.
Samantha li abbracciò e
capì immediatamente che
il loro mondo era andato in
pezzi. Li accompagnò in
sala riunioni e offrì una
bibita,
che
i
Ryzer
rifiutarono. Poi chiuse la
porta, domandò cos’era
successo
ed
entrambi
cominciarono a piangere.
Quella mattina Buddy
era stato licenziato dalla
Lonerock
Coal.
Il
caposquadra lo aveva
dichiarato
fisicamente
inabile,
da
cui
l’interruzione immediata
del
rapporto.
Nessun
incentivo,
nessuna
buonuscita
e
nessun
orologio da quattro soldi
per un lavoro sempre ben
fatto, e di certo nessun
paracadute d’oro. Solo un
calcio nel sedere, con
l’assicurazione
che
l’assegno
dell’ultimo
stipendio sarebbe arrivato
per posta. Buddy era
rientrato a casa ed era
crollato subito sul divano.
«Non ho più niente»
diceva tra un respiro e
l’altro, mentre Mavis si
asciugava le lacrime e
continuava a parlare. «Non
ho più niente.»
«Senza lavoro, così, da
un momento all’altro»
piagnucolò Mavis. «Niente
stipendio, niente indennità
per il polmone nero e
nessuna prospettiva di
trovare un altro impiego,
di qualsiasi tipo. Tutto
quello che ha fatto in vita
sua è stato lavorare nel
carbone. Cosa dovrebbe
fare adesso? Lei deve
aiutarci, Samantha. Deve
fare qualcosa. Non è
giusto.»
«Lo sa che non è giusto»
disse Buddy. Ogni parola
gli costava fatica, il petto si
alzava e si abbassava a
ogni respiro affannoso.
«Ma non c’è rimedio.
Hanno fatto fuori il
sindacato vent’anni fa e
così adesso non abbiamo
nessuna tutela. Niente.»
Samantha ascoltava con
grande partecipazione. Era
strano vedere un uomo
forte
come
Buddy
asciugarsi le guance con il
dorso della mano. Gli occhi
erano gonfi e arrossati.
Normalmente
mostrare
simili emozioni lo avrebbe
messo in imbarazzo, ma
ormai non c’era più niente
da
nascondere.
Dopo
qualche istante Samantha
disse:
«Abbiamo
presentato la domanda e
dalla nostra abbiamo una
solida perizia medica. È
tutto quello che possiamo
fare, per il momento.
Purtroppo in certi Stati un
dipendente può essere
licenziato a piacimento dal
datore di lavoro per
qualsiasi causa, o anche
per nessuna causa».
Stava pensando a un
aspetto evidente, al quale
però
non
avrebbe
accennato: Buddy non era
in condizione di lavorare.
Per quanto lei disprezzasse
la Lonerock Coal, capiva
perché la società non
voleva un dipendente in
quelle
condizioni
alla
guida
di
macchinari
pesanti.
Ci fu un lungo silenzio,
rotto solo da Mattie, che
diede un colpetto alla
porta ed entrò. Salutò i
Ryzer, percepì che quello
in corso era un colloquio
poco piacevole e batté
rapidamente in ritirata. «Ci
vediamo a cena, Sam?»
«Ci sarò. Verso le
sette?»
La porta si richiuse e
nella stanza tornò il
silenzio. Poi Mavis disse:
«Mio cugino ci ha messo
undici anni per ottenere
l’indennità per il polmone
nero. Adesso è sotto
ossigeno. A mio zio ne
sono serviti nove. Ho
sentito che la media è sui
cinque anni. È così?».
«Per le domande che
vengono contestate, sì. La
media è dai cinque ai sette
anni.»
«Tra cinque anni sarò
morto» disse Buddy. Tutti
e
tre
ci
pensarono.
Nessuno lo contraddisse.
«Ma lei dice che tutte le
domande
vengono
contestate, giusto?» chiese
Mavis.
«Temo di sì.»
Buddy si limitò a
scuotere
la
testa,
lentamente,
ma
senza
fermarsi. Mavis rimase in
silenzio, lo sguardo fisso
sul tavolo. Buddy tossì
diverse volte e sembrò
quasi
sul
punto
di
soffocare, ma riuscì a
deglutire a fatica ed evitò
la crisi. I suoi respiri
disperati suonavano come
ruggiti smorzati all’interno
del corpo. Si schiarì la voce
e disse: «Lei lo sa, avrei
dovuto avere la mia
indennità dieci anni fa e, se
l’avessi avuta, avrei potuto
lasciare le miniere e
trovarmi un posto da
qualche altra parte. Allora
avevo solo trent’anni, i
bambini erano piccoli e
avrei
potuto
fare
qualcos’altro, lontano dalle
polveri, capisce. Qualcosa
che non facesse peggiorare
la malattia. Ma la società si
è opposta, ha vinto e io
non ho avuto altra scelta se
non continuare a lavorare
in miniera e respirare le
polveri. Io mi accorgevo di
peggiorare, uno se ne
rende conto. La malattia ti
si insinua dentro a poco a
poco, ma tu ti accorgi che
salire i quattro scalini della
veranda è più faticoso
dell’anno prima. Arrivare
a piedi in fondo al vialetto
ti richiede un po’ più di
tempo. Non molto, ma
rallenti in tutto». Una
pausa per un paio di
respiri profondi. Mavis gli
diede qualche colpetto
gentile
sulla
mano.
«Ricordo ancora quei tizi
in tribunale, davanti al
giudice
amministrativo.
Erano tre o quattro, vestiti
di scuro, con le scarpe nere
lucide, e se ne andavano in
giro
impettiti
con
quell’aria
tronfia.
Ci
guardavano come se noi
due fossimo stati dei
pezzenti, sa, un minatore
ignorante con sua moglie
altrettanto ignorante, solo
uno dei tanti imbroglioni
che cercano di fregare il
sistema per un assegno
mensile. Mi sembra di
vederli, quegli stronzi
arroganti, così sicuri e
soddisfatti di sé solo
perché loro sapevano come
fare per vincere e noi no.
So che odiare non è molto
cristiano, ma disprezzavo
davvero quella gente. E
oggi è anche peggio,
perché adesso conosciamo
la verità, e la verità è che
quei delinquenti sapevano
che avevo il polmone nero.
Lo sapevano e hanno
insabbiato tutto. Hanno
mentito alla corte. Hanno
chiamato un altro gruppo
di dottori bugiardi che
hanno
detto,
sotto
giuramento, che io non
avevo il polmone nero.
Hanno mentito tutti. E
hanno vinto. Mi hanno
buttato fuori dal tribunale
a calci e mi hanno
rimandato in miniera, per
altri dieci anni.»
Si interruppe e si sfregò
gli occhi con le dita.
«Hanno
imbrogliato,
hanno vinto, e lo faranno
ancora perché sono loro a
scrivere le regole. Credo
che non ci sia modo di
fermarli. Dalla loro hanno i
soldi, il potere, i medici e,
forse, anche i giudici.
Proprio un bel sistema.»
«Davvero non li si può
fermare,
Samantha?»
implorò Mavis.
«Una causa, suppongo.
Quella di Donovan. E c’è
ancora la possibilità che un
altro studio legale la
intenti di nuovo. Non
abbiamo rinunciato.»
«Però lei non se ne
vuole occupare, vero?»
«Mavis,
gliel’ho
spiegato. Io sono di New
York, okay? Sono una
stagista, resterò qui solo
per pochi mesi e poi me ne
andrò.
Non
posso
cominciare una causa che
richiederà cinque anni di
lavoro intenso in corte
federale. Ne abbiamo già
parlato, no?»
Nessuno dei due Ryzer
rispose.
Passarono i minuti e lo
studio si fece ancora più
silenzioso; l’unico suono
era il respiro penoso di
Buddy, che si schiarì
ancora la voce e disse:
«Senta, Samantha, lei è
l’unico
avvocato
che
abbiamo mai avuto, l’unico
che sia stato disposto ad
aiutarci. Se dieci anni fa
avessimo avuto un legale,
forse le cose sarebbero
andate
diversamente.
Comunque, non si può
tornare indietro. Noi oggi
siamo venuti qui per dirle
solo una cosa, e cioè grazie
per essersi occupata del
mio caso».
«E per essere stata così
gentile con noi» aggiunse
Mavis. «Noi ringraziamo
ogni giorno il Signore per
lei
e
per
la
sua
disponibilità.»
«Per noi significa più di
quanto
possa
immaginare.»
«Il solo fatto di avere un
vero avvocato che si batte
al tuo fianco vuole dire
moltissimo.»
Entrambi
stavano
piangendo di nuovo.
34
La sua prima visione di
Gray Mountain era stata
da un aereo. La seconda da
una barca e poi da un
quad, una visita molto più
intima, due settimane e
mezzo prima di Natale. La
terza fu da un pick-up, un
mezzo di trasporto più
tradizionale da quelle
parti.
Jeff
passò
a
prenderla a Knox, dove
Samantha aveva lasciato
l’auto al solito parcheggio
della
biblioteca.
Un’occhiata al pick-up e
domandò:
«Ne
hai
comprato uno nuovo?».
Era un veicolo massiccio,
un Dodge o qualcosa del
genere, di sicuro non il
pick-up che Samantha
aveva già visto.
«No. È di un amico»
rispose Jeff, vago come
sempre.
Sul
pianale
c’erano
due
barchette
rosse, un frigo portatile e
diversi zaini. «Andiamo.»
Uscirono
rapidamente
dalla città. Jeff sembrava
teso e i suoi occhi
continuavano a sfrecciare
da
uno
specchietto
retrovisore all’altro.
«Sono canoe quelle là
dietro?» chiese Samantha.
«No, sono kayak.»
«Okay. E cosa ci si fa
con un kayak?»
«Non sei mai stata su un
kayak?»
«Te lo ripeto, io vengo
dalla città.»
«Okay, con un kayak si
va in kayak.»
«Oppure ci si siede
vicino al fuoco con un libro
e un bicchiere di vino. Io
non ho intenzione di
bagnarmi, capito?»
«Rilassati, Sam.»
«Preferisco Samantha,
specie
se
si
tratta
dell’uomo con cui vado a
letto al momento. Sam va
bene se lo dice mio padre,
ma non mia madre, e
adesso è autorizzata anche
Mattie.
Sammie
provocherà uno schiaffo.
Questa
cosa
può
confondere, lo so, ma tu
attieniti
a
Samantha,
okay?»
«È il tuo nome. Dato che
godo di sesso senza legami
o strascichi sentimentali, ti
chiamerò con qualsiasi
nome tu voglia.»
«Dritto al punto, vero?»
Jeff rise e accese lo
stereo:
Faith
Hill.
Lasciarono la highway
principale
e
ballonzolarono lungo una
stretta strada di contea.
Avevano appena iniziato
una ripida salita quando
Jeff svoltò di colpo in una
strada a ghiaia che correva
lungo
un
crinale
fiancheggiato da canyon
ripidissimi.
Samantha
cercò di non guardare, ma
ebbe un flash della sua
prima
avventura
con
Donovan, quando erano
saliti in cima a Dublin
Mountain
per
vedere
dall’alto il sito dell’Enid
Mine. Poi Vic li aveva
spaventati e tutti e tre
erano stati individuati dal
servizio
di
sicurezza.
Sembrava fosse successo
tanto tempo prima, e ora
Donovan era morto.
Jeff svoltò in un’altra
strada, poi svoltò di nuovo
e di nuovo. «Sono sicura
che sai dove stai andando»
osservò Samantha, ma solo
per comunicare la propria
preoccupazione.
«Io
qui
ci
sono
cresciuto» disse Jeff, senza
guardarla. Attraverso gli
alberi, Samantha vide la
piccola casa di legno.
Mentre scaricavano il
pick-up, domandò: «E i
kayak? Io non mi carico in
spalla quei cosi».
«Prima
dobbiamo
controllare il torrente.
Temo che l’acqua possa
essere
troppo
bassa.»
Scaricarono
il
frigo
portatile e gli zaini e
portarono tutto alla casa,
distante una cinquantina
di metri. La neve era alta
dieci centimetri e segnata
da orme di animali. Non
sembrava
ci
fossero
impronte di scarpe o altri
segni di visitatori umani.
Samantha si compiacque
di avere notato cose del
genere. Ormai era una vera
ragazza di montagna.
Jeff aprì la porta della
casa, entrò con cautela
come se avesse potuto
disturbare qualcosa e si
guardò
intorno.
Sistemarono il frigo in
cucina e gli zaini sul
divano. «Ci sono ancora le
videocamere là fuori?»
chiese Samantha.
«Sì, e noi le abbiamo
appena attivate.»
«Qualche
intruso
ultimamente?»
«Non che io sappia.»
«Quando è stata l’ultima
volta che sei venuto qui?»
«È passato parecchio
tempo. Troppo movimento
insospettisce. Andiamo a
vedere il torrente.»
Camminarono
sulle
rocce che fiancheggiavano
il corso d’acqua. Jeff
annunciò che il livello era
troppo basso per i kayak,
così seguirono a piedi il
torrente inoltrandosi nelle
colline e allontanandosi
sempre di più dalla casa e
dalla
proprietà
della
famiglia Gray. Anche se
non
ne
era
sicura,
Samantha riteneva che
stessero procedendo in
direzione ovest, lontano da
Gray Mountain. Con il
terreno nascosto dalla
neve,
era
impossibile
individuare i sentieri. Non
che ce ne fosse bisogno:
Jeff, come suo fratello, si
muoveva come se fosse
stato solito camminare in
quelle lande tutti i giorni.
Cominciarono una salita
che si fece sempre più
ripida e a un certo punto si
fermarono per bere un po’
d’acqua e mangiare una
barretta alla frutta secca e
cereali. Jeff spiegò che si
trovavano su Chock Ridge,
una lunga collina ripida
traboccante di carbone e di
proprietà di persone che
non
avrebbero
mai
venduto:
la
famiglia
Cosgrove,
di
Knox.
Donovan e Jeff erano
cresciuti con i ragazzi
Cosgrove. Tutte brave
persone. Salirono per altri
centocinquanta metri e
arrivarono in cima. Jeff
indicò Gray Mountain in
lontananza.
Anche
rivestita da un manto
bianco, sembrava spoglia,
desolata, violata.
Era anche molto lontana
e,
dopo
un’ora
che
arrancava
nella
neve,
Samantha
cominciò
a
sentire i piedi gelati.
Decise di aspettare ancora
qualche minuto prima di
cominciare a lamentarsi.
Mentre iniziavano una
discesa,
sentirono
risuonare
degli
spari,
rumorosi, tonanti colpi di
armi
da
fuoco
che
echeggiarono tra le colline.
Samantha avrebbe voluto
buttarsi a terra, ma Jeff non
sembrava
per
niente
preoccupato. «Sono solo
cacciatori di cervi» disse,
senza rallentare il passo.
Aveva uno zaino, ma
niente fucile. Samantha,
però, era sicura che là
dentro,
insieme
alle
barrette ai cereali, ci fosse
anche un’arma.
Finalmente,
quando
ormai era convinta che si
fossero
persi
senza
speranza
nei
boschi,
domandò:
«Stiamo
tornando alla casa?».
Jeff guardò l’orologio e
rispose: «Certo, si sta
facendo
tardi.
Hai
freddo?».
«Ho i piedi congelati.»
«Nessuno ti ha mai
detto che hai delle belle
dita dei piedi?»
«Mi succede tutti i
giorni.»
«No, sul serio?»
«Sto arrossendo? No,
Jeff,
posso
dire
sinceramente
di
non
ricordare che qualcuno me
lo abbia mai detto.»
«Comunque è vero.»
«Immagino di doverti
ringraziare.»
«Andiamo
a
scongelarle.»
Il percorso di ritorno
richiese un tempo quasi
doppio rispetto all’andata
e la valle era già buia
quando arrivarono alla
casa di legno. Jeff accese
subito il fuoco e il freddo
venne sostituito da un
tepore
fumoso
che
Samantha ben presto sentì
penetrarle nelle ossa. Jeff
accese tre lampade a gas e,
mentre lui portava in casa
legna da ardere sufficiente
per la notte, Samantha aprì
il
frigo
portatile
ed
esaminò la cena. Due
bistecche, due patate e due
pannocchie di granturco.
C’erano tre bottiglie di
merlot, che Jeff aveva
scelto perché chiuse da un
tappo a vite. Bevvero il
primo
bicchiere
scaldandosi davanti al
fuoco e parlando di
politica. Obama avrebbe
prestato giuramento pochi
giorni dopo e Jeff stava
pensando a un viaggio in
auto a Washington per
assistere ai festeggiamenti.
Il padre di Samantha,
molto tempo prima della
sua
caduta,
aveva
sostenuto la causa del
partito
democratico
nell’ordine degli avvocati,
e ora sembrava stesse
recuperando entusiasmo
per la lotta. Aveva invitato
Samantha a raggiungerlo
per
condividere
quel
momento. A lei l’idea di
assistere
alla
storia
piaceva, ma non era sicura
dei suoi impegni in
agenda.
Non aveva parlato con
nessuno della proposta di
Andy, e non lo avrebbe
fatto
neppure
adesso.
Avrebbe solo complicato le
cose. A metà del secondo
bicchiere, Jeff le chiese:
«Come vanno le dita dei
piedi?».
«Mi pizzicano» rispose
Samantha. Le dita in
questione erano ancora al
caldo
negli
spessi
calzettoni di lana, che lei
non
aveva
alcuna
intenzione di togliersi,
qualunque cosa stesse per
succedere. Jeff andò ad
accendere il carbone della
griglia in veranda e poco
dopo
stavano
già
preparando
la
cena.
Mangiarono a lume di
candela sopra un primitivo
tavolo per due. Dopo cena
tentarono di leggere alla
luce
del
fuoco,
ma
abbandonarono
rapidamente l’idea per
questioni più importanti e
pressanti.
Samantha si svegliò in
mezzo a trapunte e
piumoni, nuda a parte i
calzettoni. Le ci volle
qualche
secondo
per
rendersi conto che Jeff non
era da qualche parte sotto
la pila di coperte. Nel
caminetto
le
braci
covavano sotto la cenere
mentre l’ultimo ceppo
andava
spegnendosi.
Samantha trovò una torcia
e chiamò Jeff, che però non
era in casa. Guardò
l’orologio: erano le quattro
e quaranta di mattina.
Fuori era buio pesto. Si
avvicinò alla veranda, ci
passò sopra il raggio di
luce, chiamò di nuovo Jeff
a bassa voce e poi tornò
velocemente al suo posto
caldo accanto al fuoco.
Rifiutò di farsi prendere
dal panico. Jeff non
l’avrebbe lasciata sola, se
fosse stata in pericolo.
Oppure sì? Indossò i jeans
e una camicia e cercò di
dormire, ma era troppo
tesa. Era anche spaventata
e, a mano a mano che i
minuti passavano, si sforzò
di reprimere la rabbia. Sola
al buio in una casetta nel
bosco...
non
sarebbe
dovuto succedere. Ogni
rumore dall’esterno poteva
essere
una
minaccia.
Lentamente, arrivarono le
cinque. Samantha fu sul
punto di appisolarsi, ma si
riprese. Aveva portato uno
zainetto con lo spazzolino
da denti e un cambio
d’abiti. Jeff invece ne aveva
portati tre grandi, del tipo
da
professionisti.
Samantha li aveva notati
subito sul pianale del pickup a Knox e ogni tanto
aveva lanciato un’occhiata.
Jeff ne aveva usato uno per
l’escursione; gli altri due,
che erano sembrati pieni di
qualcosa,
erano
stati
buttati prima sul divano,
poi sistemati vicino alla
porta. Adesso non c’erano
più.
Samantha si tolse jeans e
camicia e gettò il tutto sul
divano, come se non fosse
successo niente. Quando si
sentì di nuovo calma e
calda, fece qualche respiro
profondo e valutò la
situazione. Quello che era
già evidente lo diventò
ancora di più. Per chi
seguiva ogni mossa di Jeff,
la visita di quel giorno a
Gray Mountain non era
stata niente più di una
passeggiata romantica. I
kayak erano stati un tocco
simpatico, rossi e lucenti
sul retro del pick-up
perché tutti li vedessero,
ma di certo non destinati a
bagnarsi.
Kayak,
camminate, grigliate in
veranda, coccole davanti al
fuoco... solo un piacevole
appuntamento
con
la
nuova ragazza in città.
Nelle prime ore del
mattino, quando la valle
era al massimo della
quiete, Jeff si era svegliato
ed era uscito con l’abilità
di un ladro acrobata. In
quel momento era nelle
viscere di Gray Mountain,
indaffarato a riempire gli
zaini con le preziose carte
rubate alla Krull Mining.
Jeff la stava usando
come copertura.
La porta si aprì e il
cuore le si fermò. Non
riusciva a vedere niente
nel buio totale e anche il
divano le bloccava la
visuale. Distesa sopra uno
spesso materasso sotto
strati di trapunte e coperte,
Samantha
cercò
di
respirare normalmente e
pregò che la persona
appena entrata fosse Jeff.
L’uomo rimase in piedi
perfettamente
immobile
per quella che sembrò
un’ora, poi si mosse
leggero. Quando posò i
jeans sul divano, la fibbia
della
cintura
tintinnò
appena. Svestito, si infilò
cauto sotto le coperte,
attento a non toccarla e a
non svegliarla.
Samantha sperava con
tutta se stessa che l’uomo
nudo a pochi centimetri da
lei
fosse
Jeff
Gray.
Fingendo di dormire, si
voltò e gli passò un braccio
sul petto. Lui si finse
sorpreso
e
borbottò
qualcosa.
Mormorò
qualcosa anche lei, ora
certa di conoscere quel
tizio. Con una mano che
era un po’ troppo fredda
per l’occasione, Jeff le
accarezzò il fondo schiena.
Samantha sussurrò no e si
voltò. Jeff le si fece più
vicino e poi finse di
addormentarsi. Prima di
lasciarsi andare al sonno,
Samantha decise che per il
momento sarebbe stata al
gioco. Si sarebbe presa un
po’ di tempo per riflettere
e avrebbe tenuto d’occhio
quegli zaini.
Il ladro acrobata si stava
muovendo di nuovo. Si
alzò in piedi lentamente e
tese una mano verso il
mucchio di legna. Gettò
due ceppi nel caminetto,
attizzò il fuoco e sussurrò:
«Sei sveglia?».
«Credo di sì.»
«Qui dentro si gela.»
Era in ginocchio e stava
scostando le coperte per
rituffarsi sotto con lei.
«Dormiamo un altro po’»
disse, stringendola in cerca
del calore del suo corpo.
Samantha grugnì qualcosa
in risposta, come se fosse
stata in coma. Il fuoco
stava
schioccando
e
scoppiettando,
all’improvviso il gelo era
scomparso e Samantha
riuscì
finalmente
addormentarsi.
a
35
Le previsioni per lunedì
annunciavano
una
temperatura massima di
sette gradi e tanto sole. Ciò
che restava della neve si
stava
già
sciogliendo
rapidamente
mentre
Samantha andava a piedi
al lavoro. 12 gennaio, ma
sembrava primavera. Aprì
lo studio e sbrigò la sua
solita
routine
d’inizio
mattinata. La prima e-mail
era di Izabelle:
Ciao, Sam. Andy dice che ti
ha contattato e che sei
quasi a bordo. Mi ha fatto
promettere di non parlare
con te del lavoro e relativi
dettagli: probabilmente ha
paura che confrontiamo i
nostri appunti e poi
cerchiamo di spremergli
condizioni migliori. Non è
che Andy mi sia mancato
molto. E a te? Di certo non
mi è mancato lo studio e
neppure la città, e non sono
sicura di voler tornare. Ho
detto
a Andy che accettavo
l’impiego, ma ci sto
ripensando. Di sicuro non
posso mollare tutto ed
essere da lui tra un mese.
E tu? E non mi è mancata
neppure l’eccitazione di
dovere leggere e
revisionare contratti per
dieci ore al giorno. Mi
servono i soldi e tutto il
resto, ma sto
sopravvivendo bene e il
lavoro mi piace sul serio.
Come sai, noi difendiamo
minori che sono stati
condannati come adulti
e vengono detenuti in
carceri per adulti. È meglio
che non cominci a parlare
di questo argomento. Il
lavoro è affascinante e allo
stesso tempo deprimente,
ma ogni giorno ho la
sensazione di marcare una
piccola differenza. La
settimana scorsa abbiamo
fatto uscire
di prigione un ragazzino. I
suoi genitori lo aspettavano
all’uscita
e tutti hanno pianto, me
compresa. Per tua
informazione: uno degli altri
nuovi associati di Spane &
Grubman è quello stronzo
di Sylvio della divisione
Tasse. Te lo ricordi? La
peggior alitosi di tutto lo
studio. Ti faceva svenire
anche se stava all’altro lato
del tavolo. E lui vuole
sempre parlarti naso contro
naso. E sputacchia anche.
Rivoltante! Per tua
informazione: secondo una
fonte anonima, uno dei
clienti
“a cinque stelle” di Spane &
Grubman sarà Chuck
Randover, il grande,
impunito scansaincriminazioni, che crede di
poterti tastare il culo
solo perché ti paga
novecento dollari l’ora. Lo
conosci fin troppo bene.
Io però non te l’ho mai
detto.
Sto riflettendo seriamente
se cambiare idea. E tu?
Izzie
Samantha
ridacchiò
leggendo l’e-mail. Non
perse tempo e scrisse
immediatamente
risposta:
la
Iz, non so bene cosa Andy
stia architettando, ma io
non ho ancora accettato. E
se sta già manipolando così
i fatti, devo mettere in
dubbio tutto quello che
dice. No, non posso fare i
bagagli e andarmene da qui
tra un mese, non con la
coscienza a posto. Sto
pensando di chiedere
di cominciare qualche mese
più tardi, diciamo verso
l’inizio di settembre.
Randover è stato l’unico
cliente che mi abbia mai
fatto piangere. Una volta mi
ha ridicolizzato durante una
riunione. Sono riuscita a
trattenermi finché non ho
potuto correre in bagno. E
quell’idiota di Andy se ne
stava seduto a guardare la
scena, senza pensare
minimamente a proteggere
la sua gente.
Nel modo più assoluto. Non
voleva contrariare un
cliente.
Io avevo sbagliato, ma si
trattava di un errore piccolo
e innocuo.
Hai idea di quale sia il
pacchetto assunzione?
Izabelle rispose:
Ho giurato che non lo avrei
divulgato. Ma è davvero
impressionante. Ci
sentiamo.
La prima sorpresa della
giornata arrivò con la
posta. La Top Market
Solutions aveva inviato un
assegno
di
undicimilatrecento dollari,
intestato a Pamela Booker,
allegando i relativi moduli
di ricevuta da firmare.
Samantha
fotocopiò
l’assegno con l’intenzione
di incorniciarlo. La sua
prima causa e la sua prima
vittoria. Andò a mostrare
orgogliosamente l’assegno
a Mattie, che le suggerì di
saltare in macchina, andare
alla fabbrica di lampade e
fare una sorpresa alla sua
cliente. Un’ora più tardi,
Samantha entrò nella città
di Brushy e poi raggiunse
la semiabbandonata zona
industriale in periferia.
Passò a salutare Mr
Simmons e lo ringraziò di
nuovo per avere riassunto
Pamela.
Durante
la
pausa,
Pamela firmò la ricevuta e
pianse
guardando
l’assegno. Non aveva mai
visto tanti soldi tutti
insieme
e
sembrava
completamente sopraffatta.
Erano sedute nell’auto di
Samantha nel parcheggio,
in mezzo a una triste
collezione di antichi pickup e qualche vecchia,
sporca
utilitaria
d’importazione. «Non so
bene cosa fare con questi
soldi» disse Pamela.
Nella sua veste di legale
gratuito plurispecializzato,
Samantha aveva qualche
consiglio finanziario da
offrire. «Be’, prima di tutto
non dire niente a nessuno.
Se solo apri bocca, ti
ritroverai con nuovi amici
di tutti i tipi. A quanto
ammonta il tuo debito con
la carta di credito?»
«Circa duemila dollari.»
«Saldalo, e poi taglia a
metà tutte le tue carte di
credito. Niente debiti per
almeno un anno. Usa solo
contanti e assegni, ma
niente carte di credito.»
«Dici su serio?»
«Hai
bisogno
di
un’auto, per cui io ne
comprerei una versando
un anticipo di duemila
dollari e rateizzando il
resto in due anni. Paga
tutti i conti in sospeso,
metti cinquemila dollari in
un conto di risparmio e poi
dimenticatene.»
«Tu quanto ti prenderai
di questi soldi?»
«Zero.
Noi
non
addebitiamo parcelle, se
non in rari casi. Sono tutti
tuoi, Pamela, e ti meriti
ogni centesimo. Adesso
corri a portare l’assegno in
banca, prima che quegli
imbroglioni te lo facciano
trovare scoperto.»
Con le labbra che
tremavano e le lacrime che
colavano lungo le guance,
Pamela si piegò di lato e
abbracciò il suo avvocato.
«Grazie, Samantha. Grazie,
Grazie.»
Mentre si allontanava in
auto, Samantha guardò
nello
specchietto
retrovisore. Ancora ferma
in piedi, Pamela guardava
e salutava con la mano.
Samantha
non
stava
piangendo, ma sentiva un
nodo alla gola.
La seconda sorpresa della
giornata arrivò durante il
pranzo portato da casa del
lunedì. Mentre Barb stava
raccontando la storia di un
tale che il giorno prima era
svenuto in chiesa, il
cellulare di Mattie vibrò
sul tavolo, accanto alla sua
insalata.
Numero
sconosciuto. Mattie rispose
e una voce stranamente
familiare,
ma
non
identificata, disse: «Tra
mezz’ora l’FBI sarà da voi
con un mandato di
perquisizione.
Fate
immediatamente
un
backup di tutti i vostri
file».
Mattie spalancò la bocca
mentre sbiancava in viso.
«Chi parla?» domandò. Ma
in linea non c’era più
nessuno.
Mattie
riferì
il
messaggio con calma e
tutte fecero un respiro
profondo, di paura. A
giudicare dalle tattiche
adottate dall’FBI durante
l’irruzione nello studio di
Donovan, si poteva dare
per scontato che gli agenti
se ne sarebbero andati con
tutto quello che potevano
portarsi via. Il primo,
frenetico ordine di servizio
fu trovare qualche flash
drive e cominciare a
scaricare i dati importanti.
«Dobbiamo pensare che
questa cosa sia collegata
alla Krull Mining» disse
Annette,
guardando
sospettosa Samantha.
Mattie
si
stava
massaggiando le tempie,
cercando di restare calma.
«Non può essere altro. I
federali devono avere
pensato che noi abbiamo
qualcosa perché io sono
l’avvocato garante del
testamento di Donovan.
Strano,
assurdo,
oltraggioso, non riesco a
trovare
abbastanza
aggettivi. Io... noi non
abbiamo niente che non
abbiano già visto. Non c’è
niente di nuovo.»
Per Samantha, però, il
raid aveva un significato di
gran lunga più sinistro. Lei
e Jeff se ne erano andati da
Gray Mountain domenica
mattina, ed era quasi certa
che quegli zaini fossero
pieni di documenti. Poco
più di ventiquattr’ore dopo
l’FBI si lanciava all’attacco,
ficcando il naso per conto
della Krull Mining. Era
una
spedizione
esplorativa, ma anche un
atto
di
autentica
intimidazione. Samantha
non disse nulla, ma si
affrettò ad andare nel suo
ufficio, dove cominciò a
trasferire i dati.
Le donne della Legal
Aid Clinic si davano da
fare sussurrando tra loro.
Annette ebbe la brillante
idea di suggerire che Barb
se ne andasse con tutti i
loro
laptop.
All’FBI
avrebbero detto che Barb li
stava portando a Wise per
farli revisionare da un
tecnico. Barb li caricò tutti
e fu più che felice di
lasciare la città. Mattie
telefonò a Hump, che era
uno dei migliori penalisti
della città, lo assunse su
due piedi e gli chiese di
raggiungerla allo studio
appena fosse iniziata la
perquisizione. Hump disse
che non se lo sarebbe perso
per niente al mondo. Una
volta caricati i flash drive,
Samantha li infilò in una
grande busta, insieme al
suo cellulare spia, e andò a
piedi in tribunale. Al terzo
piano, la contea manteneva
un’ignorata,
trascurata
biblioteca legale che non
veniva pulita da anni.
Samantha nascose la busta
in mezzo a una pila di
polverosi numeri di “ABA
Journal”
degli
anni
Settanta e si affrettò a
tornare in ufficio.
Furono
gli
agenti
Frohmeyer e Banahan,
entrambi in abito scuro, a
guidare
l’impavida
squadra che irruppe negli
uffici
massicciamente
fortificati della Mountain
Legal Aid Clinic. I capi
erano seguiti da altri tre
agenti, tutti in giubbotto
blu con la scritta “FBI ”
stampigliata da spalla a
spalla in caratteri gialli, i
più grandi e vistosi
possibile. Mattie li accolse
nel corridoio con un: «Oh,
no, ancora voi».
«Temo di sì» disse
Frohmeyer.
«Ecco
il
mandato.»
Mattie lo prese e
dichiarò: «Non ho tempo
di leggerlo. Mi illustri solo
a cosa si riferisce».
«Ogni documento, di
qualsiasi tipo, collegabile
alle pratiche dello studio
legale di Donovan Gray
riguardante
corrispondenza, causa, ecc.
e riferibile a quello che è
comunemente conosciuto
come il caso Hammer
Valley.»
«Vi siete già presi tutto
l’altra volta, Frohmeyer.
Donovan è morto da sette
settimane. Pensate che stia
ancora
producendo
documenti?»
«Io sto solo eseguendo
gli ordini.»
«Giusto, giusto. Senta,
Mr Frohmeyer, le pratiche
di Donovan sono ancora là,
dall’altro lato della strada.
L’unica pratica che ho io è
quella dell’omologazione
del testamento. Noi non
siamo
coinvolte
nella
causa. Lo capisce? Non è
complicato.»
«Ho i miei ordini.»
Hump
fece
un
rumoroso ingresso in scena
abbaiando: «Io rappresento
la Mountain Legal Aid
Clinic.
Cosa
diavolo
succede?».
Annette
e
Samantha
guardavano
dalle porte dei rispettivi
uffici.
«Hump,
questo
è
l’agente Frohmeyer, il capo
di questa piccola posse»
disse Mattie. «Pensa di
avere il diritto di prendersi
tutte le nostre pratiche e i
computer.»
«Neanche per sogno!»
latrò
Annette
all’improvviso. «Nel mio
ufficio non c’è un solo
pezzo di carta che sia
remotamente collegato a
Donovan Gray o a una
qualunque delle sue cause.
Quello che ho, è un ufficio
pieno di pratiche di
carattere
delicato
e
riservato
e
di
casi
riguardanti faccende come
divorzi, molestie a minori,
abusi
domestici,
dipendenza
da
stupefacenti
e
riabilitazione,
infermità
mentale e un lungo, triste
elenco di disgrazie umane.
E lei, signore, non ha il
diritto di vedere niente di
tutto questo. Se solo prova
a
toccare
qualcosa,
opporrò resistenza con
tutta la forza che riuscirò a
trovare. Mi arresti pure, se
vuole, ma le prometto che
domani mattina per prima
cosa
depositerò
una
citazione federale con il
suo nome sopra, Mr
Frohmeyer, e con i nomi di
tutti voi gorilla, bene in
vista
quali
convenuti.
Dopo
di
che
vi
perseguiterò
fino
all’inferno e ritorno.»
Ce ne voleva per
scuotere un duro come
Frohmeyer, ma per un
secondo le sue spalle si
abbassarono, di poco. Gli
altri
quattro
agenti
ascoltavano con gli occhi
spalancati,
incerti.
Samantha per poco non
scoppiò a ridere. Mattie
stava
effettivamente
sorridendo.
«Ben detto, Ms Brevard»
confermò
Hump.
«Riassume efficacemente
la nostra posizione, e io
sarò lieto di telefonare
subito
al
procuratore
federale per chiarire le
cose.»
«Abbiamo
più
di
duecento pratiche attive e
un altro migliaio in
archivio. Nessuna ha a che
vedere con Donovan Gray
e i suoi affari. Volete
davvero portarle tutte nei
vostri
uffici
per
esaminarle?»
«Di sicuro avete di
meglio da fare» ringhiò
Annette.
Hump alzò entrambe le
mani e chiese silenzio.
Frohmeyer raddrizzò la
schiena
e
guardò
Samantha. «Cominceremo
dal
suo
ufficio.
Se
troveremo
quello
che
stiamo cercando, ce lo
prenderemo e ce ne
andremo.»
«E cosa potete mai
cercare?»
«Legga il mandato.»
Hump
domandò:
«Quante pratiche ha, Ms
Kofer?».
«Circa quindici, credo.»
«Okay, facciamo così»
propose Hump. «Mettiamo
tutte le pratiche di Ms
Kofer sul tavolo della sala
riunioni e voi ragazzi date
un’occhiata. Perquisite il
suo ufficio e ispezionate
quello che volete, ma
prima di portare via
qualsiasi
cosa,
ne
parliamo. Okay?»
«Ci prendiamo tutti i
suoi computer, desktop e
laptop» disse Frohmeyer.
Mattie
e
Annette
sembravano
sconcertate
dall’improvviso interesse
per
le
pratiche
di
Samantha, che si strinse
nelle spalle come se non
avesse avuto alcuna idea in
proposito. «Il mio laptop
non è qui» annunciò.
«E
dov’è?»
scattò
Frohmeyer.
«Ce l’ha il tecnico. Una
specie di virus, penso.»
«Quando
gliel’ha
portato?»
Hump alzò una mano.
«Ms Kofer non è tenuta a
rispondere. Il mandato di
perquisizione non vi dà il
diritto
di
interrogare
potenziali testimoni.»
Frohmeyer ribollì in
silenzio per un secondo,
poi esibì un sorriso
melenso. Seguì Samantha
nel suo ufficio e la tenne
d’occhio
mentre
lei
estraeva le pratiche dallo
schedario. «Proprio un bel
posticino, il suo» disse, da
vero stronzo. «Non ci
vorrà molto per perquisire
questo ufficio.» Samantha
lo ignorò. Portò le pratiche
in sala riunioni, dove
Banahan e un altro agente
cominciarono a sfogliarle.
Tornò in ufficio e osservò
Frohmeyer
frugare
lentamente nei suoi due
armadietti e nei cassetti
della scrivania malandata.
L’agente toccò ogni pezzo
di carta, ma non prese
nulla. Samantha lo odiò
per quell’invasione del suo
spazio privato.
Un agente seguì Mattie
nel suo ufficio, un altro
fece lo stesso con Annette.
Cassetto dopo cassetto,
controllarono
tutte
le
pratiche, ma non presero
nulla. Hump passava da
una
porta
all’altra,
osservando e aspettando la
lite.
«I laptop sono spariti
tutti?» chiese Frohmeyer a
Hump quando finì di
scavare
nell’ufficio
di
Samantha.
Annette
sentì
la
domanda e disse: «Sì, li
abbiamo mandati tutti
insieme dal tecnico».
«Molto
opportuno.
Credo che torneremo con
un altro mandato di
perquisizione.»
«Sarà uno spasso.»
I federali esaminarono
centinaia
di
pratiche
archiviate. Tre di loro
salirono nel solaio e
scovarono fascicoli che
Mattie non vedeva da
decenni.
L’eccitazione
cedette il passo alla
monotonia.
Hump
si
sedette in corridoio e fece
due
chiacchiere
con
Frohmeyer,
mentre
le
signore
cercavano
di
rispondere alle telefonate.
Dopo due ore, il raid perse
slancio e gli agenti se ne
andarono, portando con
loro solo il desktop di
Samantha.
Mentre li guardava
uscire, Samantha si sentì
come
una
vittima
impotente in un paese
arretrato dove la polizia
agiva incontrollata e i
diritti non esistevano. Non
era giusto. Stava subendo
soprusi da parte dell’FBI a
causa dei suoi rapporti con
Jeff. Beni di sua proprietà
venivano sequestrati e il
rapporto confidenziale con
i suoi clienti veniva
compromesso. Non si era
mai sentita così impotente.
L’ultima cosa di cui
sentiva il bisogno era un
bel terzo grado da parte di
Mattie e Annette. A quel
punto dovevano essere
molto sospettose nei suoi
confronti. Quanto sapeva
della faccenda Krull? Cosa
le aveva detto Jeff? Aveva
visto qualche documento?
Riuscì a sgattaiolare fuori
dalla porta sul retro e andò
a recuperare i flash drive e
il cellulare spia nella
biblioteca legale. Poi fece
un altro lungo giro in
macchina.
Jeff
non
rispondeva al telefono e
questo la irritò. In quel
momento aveva bisogno di
lui.
Quando tornò in studio
era buio, e scoprì che
Mattie la stava aspettando.
I laptop erano tornati, sani
e salvi.
«Andiamo da me. Ci
sediamo in veranda e ci
facciamo un bicchiere di
vino»
disse
Mattie.
«Dobbiamo parlare.»
«Cucina Chester?»
«Be’, noi non saltiamo
mai la cena.»
Fecero una piacevole
passeggiata fino a casa di
Mattie e lungo la strada
decisero che faceva troppo
freddo per starsene in
veranda.
Chester
era
occupato altrove, per cui
erano sole. Si sedettero in
soggiorno e bevvero due o
tre sorsi prima che Mattie
dicesse: «Ora raccontami
tutto».
«Okay.»
36
Più o meno alla stessa ora,
Buddy Ryzer parcheggiò il
suo pick-up in un punto
panoramico e percorse
duecento metri lungo il
sentiero che portava a
un’area picnic. Si sedette a
un tavolo, si infilò la canna
di una pistola in bocca e
premette il grilletto. Il
corpo venne trovato nella
tarda serata di lunedì da
due campeggiatori, che
chiamarono il 911. Mavis,
da ore al telefono, sentì
bussare alla porta. Poi
arrivarono i vicini in preda
al panico e in casa si
scatenò il caos.
Samantha
stava
dormendo profondamente
quando
il
cellulare
cominciò a vibrare. Non lo
sentì. Se non per un
arresto,
perché
mai
qualcuno avrebbe dovuto
sentire il bisogno di
chiamare il suo avvocato a
mezzanotte di un lunedì?
Controllò il cellulare alle
cinque e trenta, poco dopo
essersi svegliata in un
nebbioso replay del raid
dell’FBI . C’erano state tre
chiamate senza risposta da
parte di Mavis Ryzer,
l’ultima a mezzanotte e
quaranta.
Una
voce
tremante
nella
casella
vocale
comunicava
la
notizia.
Samantha
dimenticò di colpo l’FBI .
Cominciava davvero a
non poterne più di tutte
quelle morti. Era ancora
tormentata da quella di
Donovan. La morte di
Francine Crump non era
stata certo prematura, ma
le
sue
conseguenze
stavano creando problemi.
Due giorni prima, a Gray
Mountain,
Samantha
aveva visto di nuovo la
croce bianca che indicava il
luogo dove Rose si era
tolta la vita. Non aveva
mai conosciuto i ragazzi
Tate, ma si sentiva toccata
dalla
loro
tragedia.
Pensava spesso al padre di
Mattie e a come era stato
ucciso dal polmone nero.
La vita poteva essere dura
nella terra del carbone, e in
quel momento Samantha
sentiva la mancanza delle
strade agitate della grande
città.
Ora era morto anche il
suo cliente preferito e lei
sarebbe dovuta andare a
un altro funerale. Indossò
jeans e parka e uscì per
una passeggiata. Mentre il
cielo
cominciava
a
schiarirsi, rabbrividì per il
freddo e, una volta di più,
si chiese cosa stesse
facendo esattamente a
Brady, Virginia. Perché
stava piangendo per un
minatore
che
aveva
conosciuto solo tre mesi
prima? Perché non se ne
andava e basta?
Come
sempre,
non
c’erano risposte semplici.
Vide la luce accesa nella
cucina
di
Mattie
e
picchiettò sul vetro della
finestra.
Chester,
in
accappatoio,
stava
preparando il caffè. La fece
entrare e andò a chiamare
Mattie, presumibilmente
già sveglia. Mattie prese
male la notizia e le due
avvocatesse rimasero a
lungo sedute al tavolo
della cucina, cercando di
dare un senso a una
tragedia insensata.
Da qualche parte nella
montagna di documenti
dei Ryzer, Samantha aveva
visto un pagamento per
un’assicurazione sulla vita
di cinquantamila dollari.
«Non c’è una clausola
che esclude il suicidio dalle
cause
di
morte?»
domandò, stringendo la
tazza con entrambe le
mani.
«In genere sì, ma vale
solo per il primo anno
circa. Se non fosse così,
una persona potrebbe
stipulare
una
grossa
assicurazione e subito
dopo buttarsi giù da un
ponte. Se la polizza di
Buddy è più vecchia,
l’esclusione probabilmente
non vale più.»
«Allora sembra proprio
che si sia ucciso per i
soldi.»
«Chi può dirlo? Chi si
suicida
non
pensa
razionalmente,
ma
sospetto che scopriremo
che
quell’assicurazione
sulla vita è stato un fattore
determinante. Buddy non
aveva più un lavoro, non
aveva indennità e il suo
piccolo conto di risparmio
era prosciugato. Aggiungi
tre figli ancora in casa e
una moglie senza lavoro.
Lo aspettavano anni in
condizioni
di
salute
sempre peggiori e la fine
non
sarebbe
stata
piacevole. Ogni minatore
del carbone conosce una
vittima della malattia.»
«La cosa comincia ad
avere un senso.»
«Già. Vuoi un po’ di
colazione,
magari
un
toast?»
«No, grazie. Mi sembra
di
essermene
appena
andata da qui.» Mentre
Mattie riempiva di nuovo
le tazze di caffè, Samantha
disse: «Ho una domanda
ipotetica da farti. Difficile.
Se dieci anni fa Buddy
avesse avuto un avvocato,
come sarebbe andato il suo
caso?».
Mattie versò un po’ di
zucchero
nella
tazza,
mescolò e aggrottò la
fronte, mentre rifletteva.
«Non si può mai dire, ma
se l’avvocato fosse stato in
gamba, avesse trovato le
cartelle cliniche che hai
scoperto tu e a un certo
punto avesse portato la
frode e l’omissione di
prove da parte di Casper
Slate all’attenzione della
corte, allora dovremmo
pensare che Buddy si
sarebbe visto riconoscere la
sua indennità. Sono solo
speculazioni, ma sono
convinta che quelli di
Casper Slate si sarebbero
mossi in fretta per tenere i
loro crimini ben lontani dal
tribunale.
Avrebbero
accolto la domanda di
Buddy,
facendo
una
ritirata strategica, per così
dire, e Buddy avrebbe
incassato i suoi assegni.»
«E non avrebbe dovuto
respirare altre polveri di
carbone per i successivi
dieci anni.»
«Probabilmente no. Gli
assegni non sono granché,
ma i Ryzer avrebbero
avuto
di
che
sopravvivere.»
Rimasero per un po’ in
un
silenzio
assoluto,
nessuna
delle
due
desiderosa di parlare o di
muoversi.
Chester
comparve sulla soglia con
una tazza vuota in mano,
le vide immobili e assorte
nei
loro
pensieri
e
scomparve
senza
fare
rumore. Alla fine Mattie
scostò la sedia dal tavolo e
si alzò in piedi. Prese la
confezione
di
pane
integrale, inserì due fette
nel tostapane e poi prese
burro e marmellata dal
frigo.
Dopo un paio di
bocconi, Samantha disse:
«Oggi non me la sento
proprio di andare in
studio. Mi sembra come se
fosse stato violato, capisci?
Ieri mi hanno portato via il
computer e hanno messo le
mani in tutte le mie
pratiche. Jeff crede che
l’ufficio sia pieno di cimici,
e
lo
credeva
anche
Donovan. Ho bisogno di
staccare».
«Prenditi un giorno
libero, anche due. Sai che
per noi non c’è problema.»
«Grazie. Vado fuori città
e ci vediamo domani.»
Uscì da Brady e guidò per
un’ora,
prima
di
concedersi
un’occhiata
nello
specchietto
retrovisore.
Nessuno,
niente. Jeff la chiamò due
volte, ma lei si rifiutò di
rispondergli. A Roanoke
puntò
verso
est,
allontanandosi
dalla
Shenandoah Valley e dal
traffico
dell’interstatale.
Con la prospettiva di
dover far passare ore, si
diede da fare al telefono,
definendo particolari ed
esercitando
pressioni
mentre viaggiava sulle
strade
tortuose
della
Virginia
centrale.
A
Charlottesville pranzò con
un’amica dei tempi di
Georgetown.
Alle
diciassette e cinquanta
prese posizione a un tavolo
d’angolo nel bar dell’Hay-
AdamsHotel, a un isolato
dalla Casa Bianca. Il campo
neutro era obbligatorio.
Fu Marshall Kofer ad
arrivare per primo alle
diciotto in punto, elegante
come
sempre.
Aveva
accettato
subito
di
partecipare
all’incontro.
Karen si era mostrata un
po’ più riluttante, ma sua
figlia aveva bisogno di
aiuto. Ciò di cui Samantha
aveva davvero bisogno,
era
che
i
genitori
l’ascoltassero e le dessero
qualche consiglio.
Karen arrivò con soli
cinque minuti di ritardo.
Abbracciò
Samantha,
diede il doveroso bacetto
sulla guancia al suo ex e si
sedette. Un cameriere
prese le ordinazioni dei
drink. Il tavolo era distante
dal bar per cui garantiva
una certa privacy, almeno
per il momento. Samantha
avrebbe preso il comando
della
conversazione
–
quello era il suo show – e
non avrebbe consentito
pause imbarazzanti tra i
genitori, seduti allo stesso
tavolo per la prima volta
da almeno undici anni. Al
telefono aveva detto a tutti
e due che non si trattava di
un evento sociale e di
sicuro nemmeno di un suo
malaccorto tentativo per
rattoppare
vecchi
problemi. Le questioni
all’ordine del giorno erano
molto più importanti.
Arrivarono i drink e
tutti presero in mano il
bicchiere.
Samantha
ringraziò i genitori per il
tempo che le dedicavano,
si scusò per il breve
preavviso e poi si lanciò
nel suo racconto. Cominciò
con la vertenza Hammer
Valley, poi seguirono Krull
Mining e Donovan Gray
con la sua causa. Marshall
conosceva i fatti già da un
po’ e Karen era venuta a
saperne la maggior parte
subito dopo Natale. Ma
nessuno dei due era al
corrente dei documenti
rubati, e Samantha non
risparmiò alcun dettaglio.
Lei li aveva visti e riteneva
che fossero ancora sepolti
nelle profondità di Gray
Mountain.
Almeno
la
maggior parte. La Krull
Mining li voleva e ora
aveva
arruolato
l’FBI
perché facesse il lavoro
sporco. Samantha confessò
che si vedeva con Jeff, ma
assicurò che non si trattava
di
niente
di
serio.
Francamente, non doveva
alcuna spiegazione ai suoi
genitori. Entrambi finsero
disinteresse per la sua
nuova relazione.
Il cameriere tornò e
ordinarono un altro giro di
drink, con qualcosa da
mangiucchiare. Samantha
descrisse l’incontro con
Jarrett London a New York
e le pressioni esercitate
dall’avvocato su di lei e
Jeff
perché
gli
consegnassero i documenti
il più presto possibile.
Ammise di avere la
sensazione
di
sentirsi
risucchiata in un’attività
che, se non proprio
illegale, era comunque
chiaramente
discutibile.
Era stata oggetto di un raid
dell’FBI che, anche se poco
redditizio,
era
stato
comunque drammatico e
spaventoso. Per quanto ne
sapeva,
a
guidare
l’indagine
era
il
procuratore federale del
West Virginia, il quale
evidentemente
era
convinto che la Krull
Mining fosse stata vittima
di furto e associazione per
delinquere.
Avrebbe
dovuto essere il contrario,
sottolineò Samantha: il
colpevole era la Krull
Mining, ed era la Krull
Mining a dover comparire
davanti alla giustizia.
Marshall
era
sinceramente d’accordo su
tutto. Rivolse a Samantha
alcune domande, tutte
riguardanti il procuratore
federale e il segretario alla
Giustizia. Karen fu cauta
nei suoi commenti e nelle
sue domande. Ciò che
Marshall stava pensando,
ma non poteva dire, era
che con ogni probabilità
dieci anni prima Karen
aveva esercitato la sua
notevole influenza per
rovinarlo e mandarlo in
galera. E con un potere del
genere, perché mai adesso
non poteva aiutare sua
figlia?
Arrivò un vassoio di
formaggi,
ma
venne
ignorato.
Entrambi
i
genitori furono d’accordo
nel
sostenere
che
Samantha non doveva
toccare quei documenti.
Che fosse Jeff a correre i
rischi, se voleva, ma lei
non doveva entrare in
quella faccenda. Jarrett
London e tutta la sua
banda di avvocati avevano
le risorse e i soldi necessari
per occuparsi del lavoro
sporco, e se i documenti
erano
preziosi
come
pensavano,
avrebbero
trovato un modo per
inchiodare la Krull Mining.
Puoi convincere l’FBI a
fare un passo indietro?
domandò Samantha a sua
madre. Karen rispose che
si
sarebbe
attivata
immediatamente,
ma
sottolineò
di
avere
scarsissima influenza su
quella gente.
“Eccome, se ce l’hai!” fu
sul punto di esclamare
Marshall.
Era
stato
rinchiuso in prigione per
tre anni, studiando modi
per vendicarsi della ex
moglie e dei suoi colleghi.
Ma, con il passare del
tempo, aveva accettato la
realtà: i suoi problemi
erano stati causati dalla
sua stessa cupidigia.
Non hai pensato di
andartene? chiese Karen a
Samantha. Di fare i bagagli
e partire? Di prendere
tutto come un’avventura
conclusa e tornartene in
città? Tu hai fatto del tuo
meglio e ora ti ritrovi con
l’FBI che ti alita sul collo.
Cosa ci fai ancora laggiù?
Marshall
sembrò
condividere quella linea.
Era stato in prigione con
alcuni colletti bianchi che,
tecnicamente, non avevano
infranto alcuna legge. Se i
federali vogliono fregarti,
troveranno
il
modo.
L’associazione
per
delinquere era uno dei loro
preferiti.
Più Samantha parlava,
più voleva parlare. Non
riusciva
a
ricordare
l’ultima volta che aveva
avuto
la
completa
attenzione
dei
suoi
genitori. Anzi, non era
sicura che fosse mai
successo prima. Forse
quando era ancora molto
piccola, ma chi poteva
ricordarlo? E, ascoltando le
sue preoccupazioni e i suoi
guai, sia sua madre che
suo padre sembravano
dimenticare
i
loro
problemi e fare fronte
comune per aiutarla. Il
bagaglio di rancori veniva
ignorato, almeno per il
momento.
Perché
si
sentiva
obbligata
a
restare
“laggiù”?
Samantha
rispose raccontando la
storia di Buddy Ryzer e
della
sua
domanda
d’indennità per il polmone
nero. Sentì un groppo in
gola quando arrivò al
suicidio
di
Buddy,
avvenuto
circa
ventiquattr’ore prima. Tra
non molto sarebbe andata
a un funerale in una
graziosa
chiesetta
di
campagna
e
avrebbe
guardato da una certa
distanza la povera Mavis e
i suoi tre figli sciogliersi
nell’angoscia. Se avessero
avuto un avvocato, le cose
sarebbero potute andare
diversamente. Adesso che
ne avevano uno, lei non
poteva fare i bagagli e
scappare nel momento
peggiore. E c’erano anche
altri clienti, altre persone
dalla voce flebile le quali
avevano bisogno che lei
restasse
almeno
per
qualche mese ancora e
cercasse di ottenere un po’
di giustizia per loro.
Informò
i
genitori
dell’offerta di lavoro di
Andy
Grubman.
A
Marshall,
come
era
prevedibile, l’idea non
piacque affatto e ne parlò
come di “una versione
edulcorata
del
solito
vecchio
studio
specializzato in diritto
societario”. Non si sarebbe
trattato che di spostare
carte sulla scrivania con un
occhio all’orologio. Mise in
guardia
Samantha,
avvertendola che lo studio
sarebbe cresciuto sempre
di più e nel giro di poco
tempo sarebbe diventato
esattamente come Scully &
Pershing. Karen invece
pensava che la prospettiva
fosse molto più attraente
che continuare a restare a
Brady. Samantha confessò
di
avere
sensazioni
contrastanti,
ma
che
comunque era propensa ad
accettare l’offerta, prima o
poi.
Cenarono nel ristorante
dell’hotel: insalata, pesce,
vino, addirittura dolce e
caffè. Samantha aveva
parlato talmente tanto da
sentirsi esausta, ma era
riuscita a esternare le sue
paure perché venissero
ascoltate dai suoi genitori,
e il sollievo era enorme.
Non era stata presa alcuna
decisione. Non si era
risolto nulla. I consigli dei
suoi
erano
stati
ampiamente prevedibili,
ma anche il solo averne
discusso si era rivelato
terapeutico.
Samantha
aveva
prenotato una camera in
albergo. Marshall aveva
un’auto con autista e si
offrì di accompagnare
Karen a casa. Si salutarono
nell’atrio. Samantha aveva
gli occhi colmi di lacrime
mentre guardava i suoi
genitori
che
uscivano
insieme.
37
Seguendo le istruzioni,
parcheggiò in Church
Street nel centro di
Lynchburg, Virginia, e
percorse a piedi due isolati
fino alla Main. Il traffico
era intenso nella parte
vecchia della città. In
lontananza si intravedeva
il fiume James. Samantha
era sicura che qualcuno la
stesse tenendo d’occhio e
sperava che fosse Jeff. La
prenotazione all’RA Bistro
era stata fatta a nome
Kofer, sempre come da
istruzioni.
Chiese
alla
cameriera un séparé in
fondo alla sala e fu lì che si
accomodò a mezzogiorno
in punto di mercoledì 14
gennaio.
Ordinò
un
analcolico e prese a
giocherellare
con
il
cellulare, tenendo anche
d’occhio l’ingresso mentre
i clienti cominciavano ad
affluire lentamente per il
pranzo. Dieci minuti dopo,
Jeff comparve dal nulla e si
sedette di fronte a lei. Si
salutarono e Samantha
domandò: «Qualcuno mi
ha seguita?».
«Bisogna darlo sempre
per
scontato,
giusto?
Com’è
andata
a
Washington?»
«Ho avuto una cena
deliziosa con i miei
genitori, per la prima volta
nella storia moderna. In
effetti
non
riesco
a
ricordare l’ultima volta in
cui abbiamo mangiato
insieme tutti e tre. È triste,
non credi?»
«Tu
almeno
hai
entrambi i genitori. Hai
detto
a
tua
madre
dell’irruzione dell’FBI ?»
«Sì, e le ho chiesto di
fare qualche telefonata.
Non si tirerà indietro, ma
non è troppo sicura del
risultato.»
«Come sta Marshall?»
«Benissimo, grazie, ti
manda i suoi saluti. Ho un
paio di domande per te.
Lunedì sei stato tu a
telefonare allo studio per
avvertirci
del
raid
dell’FBI ?»
Jeff sorrise e distolse lo
sguardo. Fu uno di quei
momenti in cui Samantha
avrebbe voluto urlare.
Sapeva che Jeff non
avrebbe risposto. «Okay»
disse. «Hai saputo la
notizia di Buddy Ryzer?»
Jeff aggrottò la fronte.
«Sì. Veramente terribile.
Un altro caduto nella
guerra del carbone. È un
peccato che non riusciamo
a trovare un avvocato
disposto a sfidare la
Lonerock Coal e la cricca
di Casper Slate.»
«L’osservazione
è
diretta a me?»
«No.»
Un cameriere gentile si
fermò al tavolo, elencò i
piatti
del
giorno
e
scomparve.
«Ho un’altra domanda»
disse Samantha.
«Perché questo terzo
grado? Avevo in mente un
piacevole pranzo, lontano
dalla noia di Brady. Mi
sembri piuttosto nervosa.»
«Quanti documenti hai
portato via da Gray
Mountain? Eravamo là lo
scorso weekend. Mi sono
svegliata alle quattro e
quaranta del mattino e tu
non c’eri. Per un minuto
sono andata nel panico. Sei
rientrato
intorno
alle
cinque e ti sei rannicchiato
nel letto come se non fosse
successo niente. Io ho visto
gli zaini, tutti e tre. Tu non
hai fatto che spostarli di
qua e di là ed erano
notevolmente più pesanti
quando ce ne siamo andati.
Dimmi come stanno le
cose, Jeff. Ormai ne so
troppo.»
Jeff si guardò intorno,
fece schioccare le nocche e
disse: «Circa un terzo, e
devo andare a prendere il
resto».
«Dove li stai portando?»
«Vuoi proprio saperlo?»
«Sì.»
«Diciamo che sono ben
nascosti. Jarrett London ha
bisogno dei documenti, di
tutti i documenti, il più
presto
possibile.
Li
consegnerà alla corte e a
quel punto saranno al
sicuro. Mi serve il tuo aiuto
per portarli via da Gray
Mountain.»
«Lo so, Jeff, lo so. Non
sono stupida. Hai bisogno
di me come copertura: la
tipa che te la dà davanti al
caminetto durante lunghi e
romantici weekend nella
tua proprietà. Basta una
ragazza, una qualsiasi, in
modo da convincere i
cattivi che non facciamo
altro che andare in kayak e
cuocere
bistecche
alla
griglia in veranda. Una
coppietta che passa le
lunghe notti d’inverno
scopando,
mentre
tu
invece
attraversi
di
nascosto i boschi con i
documenti.»
Jeff sorrise. «Abbastanza
esatto, ma non è che vada
bene
una
ragazza
qualsiasi, sai? Tu sei stata
attentamente selezionata.»
«Quale onore.»
«Se mi dai una mano,
possiamo portare via tutto
questo weekend e farla
finita.»
«Jeff,
io
non
ho
intenzione di toccare quei
documenti.»
«Non ce n’è bisogno. Tu
devi solo fare la ragazza.
Loro
sanno
chi
sei.
Tengono d’occhio anche te.
Hanno
cominciato
a
seguire la tua pista tre
mesi fa, quando sei
arrivata in città e hai
cominciato a frequentare
Donovan.»
Arrivarono le insalate e
Jeff chiese una birra. Dopo
parecchi bocconi, disse: «Ti
prego,
Samantha,
ho
bisogno del tuo aiuto».
«Non sono sicura di
seguirti. Perché questa
notte, o domani notte, non
vai semplicemente nella
tua proprietà, da solo,
prendi i documenti, li
carichi e li porti allo studio
di Jarrett London a
Louisville? Perché sarebbe
così complicato?»
Di nuovo gli occhi al
cielo, di nuovo un’occhiata
a eventuali ascoltatori, di
nuovo una forchettata di
insalata. «Te lo dico io
perché: è troppo rischioso.
Loro sono sempre in
osservazione, okay?»
«Ti stanno tenendo
d’occhio anche in questo
momento?»
Jeff si passò una mano
sul mento e rifletté sulla
domanda. «Probabilmente
sanno che sono da qualche
parte
a
Lynchburg,
Virginia. Forse non sanno
esattamente dove, ma non
perdono la mia pista. Non
dimenticare che hanno
tutto il denaro del mondo e
si fanno da soli le loro
regole. Pensano che io sia il
collegamento
con
i
documenti. Non riescono a
trovarli da nessuna altra
parte, per cui anche se
seguirmi
costa
una
fortuna,
non
c’è
problema.» Arrivarono le
birre e Jeff bevve un sorso.
«Se nei weekend vado a
Gray Mountain con te, loro
non si insospettiscono.
Perché dovrebbero? Due
trentenni in una casetta nel
bosco con la loro piccola
storia d’amore, come dici
tu. Io sono sicuro che loro
sono nei dintorni, ma il
fatto che siamo lì tutti e
due ha un senso. Invece, se
ci andassi da solo il loro
radar si attiverebbe subito.
Potrebbero farsi vivi, un
brutto incontro per poter
vedere che cosa sto
facendo. Non si sa mai. È
una partita a scacchi,
Samantha: loro cercano di
prevedere cosa farò, e io
cerco di essere sempre un
passo avanti. Io ho il
vantaggio di conoscere la
mia prossima mossa. Loro
hanno il vantaggio di una
forza illimitata. Se una
delle due parti commette
un errore, qualcuno si farà
male.» Bevve un altro
sorso e lanciò un’occhiata a
una coppia che studiava il
menu a tre metri da loro.
«E lascia che ti dica una
cosa: non ce la faccio più.
Sono
veramente
allo
stremo. Ho bisogno di
sbarazzarmi
di
quei
documenti prima di fare
qualche stupidaggine per
colpa della stanchezza.»
«Che auto guidi in
questo momento?»
«Un
Maggiolino
Volkswagen,
dell’autonoleggio Casey’s
Rent-A-Wreck di Roanoke.
Quaranta
dollari
in
contanti al giorno, più
benzina e chilometraggio.
Niente male.»
Samantha scosse la
testa, incredula. «Sanno
che io sono qui?»
«Io non so cosa sanno,
ma do per scontato che ti
seguano. E continueranno
a monitorare i movimenti
di entrambi finché i
documenti non saranno
consegnati. Non posso
saperlo con certezza, ma ci
scommetterei tutti i soldi
che ho.»
«Trovo
difficile
crederlo.»
«Non essere ingenua,
Samantha. La posta in
gioco è troppo alta.»
Quando entrò nel suo
ufficio alle cinque e venti
di quel pomeriggio, il
computer
troneggiava
sulla
scrivania,
esattamente lì dove si
trovava lunedì, prima che
l’FBI lo portasse via. La
tastiera e la stampante
erano al loro posto, tutti i
cavi passavano dove si
supponeva
dovessero
passare. Mentre Samantha
guardava,
Mattie
si
avvicinò alla porta e disse:
«Sorpresa, eh?».
«Quando ha trovato la
strada del ritorno?»
«Circa un’ora fa. Lo ha
riportato uno degli agenti.
Devono essersi resi conto
che dentro non c’è niente.»
O era così, oppure
Karen Kofer aveva molti
più amici di quanti fosse
disposta ad ammettere.
Samantha avrebbe voluto
telefonare alla madre, ma,
nel suo stato di paranoia,
decise di aspettare.
«Il funerale di Ryzer è
fissato
per
venerdì
pomeriggio» disse Mattie.
«Vuoi venire in macchina
con me?»
«Certo. Grazie, Mattie.»
38
16/1/2009
Ciao, Sam.
Sono un po’ confuso, non
capisco bene perché pensi
di avere diritto di veto sulle
assunzioni dei tuoi futuri
colleghi presso Spane
& Grubman. Sono
ugualmente sconcertato
dalle tue preoccupazioni
relative ai clienti che lo
studio potrebbe attirare. A
questo punto sembra quasi
che la cosa più intelligente
che possiamo fare sia
prenderti subito come socia
anziana e non romperti più
le scatole. Vuoi un ufficio
d’angolo? Un’auto con
autista?
No, non possiamo
aspettarti fino al primo di
settembre. Apriamo bottega
tra sei settimane e la
situazione è già un po’
caotica. Si è sparsa la voce
e siamo sommersi di
richieste. Otto associati
hanno già firmato e
abbiamo dieci offerte
d’impiego pendenti,
compresa la tua. Il telefono
squilla in continuazione per
le chiamate di giovani
avvocati alla disperata
ricerca di un lavoro... anche
se pochi, naturalmente,
hanno il tuo talento.
L’offerta è di
centocinquantamila dollari
all’anno più tutti i soliti
benefit. Tre settimane di
vacanze pagate, e insisterò
perché tu le faccia.
La struttura dello studio
sarà in continua evoluzione,
ma ti assicuro che sarà
molto più ricca di promesse
di qualunque altro studio di
Big Law.
Possiamo aspettare la tua
grandiosa entrata in scena
fino al primo maggio, ma ho
comunque bisogno di una
risposta entro la fine di
questo mese. Con affetto,
Andy
Mattie prevedeva il
tutto esaurito, e aveva
ragione. Durante il viaggio
in auto per raggiungere
Madison, provò a spiegare
perché i funerali rurali,
specie quelli di fedeli
devoti, richiamavano le
folle. Non necessariamente
in ordine di importanza, le
ragioni erano: 1) i funerali
sono importanti funzioni
religiose durante le quali i
vivi danno l’addio ai
defunti, che a quel punto
sono già in paradiso a
ricevere
la
loro
ricompensa; 2) in base a
un’antica e incrollabile
tradizione,
le
persone
rispettabili e ben educate
devono
ossequiare
la
famiglia del morto; 3) la
gente di campagna è
sempre annoiata e in cerca
di qualcosa da fare; 4) tutti
desiderano un mucchio di
gente al proprio funerale,
per cui sarà meglio che tu
stia al gioco finché puoi; 5)
c’è sempre un sacco di
roba da mangiare. E così
via. Mattie spiegò che una
morte scioccante come
quella di Buddy garantiva
la partecipazione di una
moltitudine. Tutti vogliono
avere un ruolo nella
tragedia. E vogliono anche
i pettegolezzi. Mattie tentò
di spiegare anche le
contrastanti
posizioni
teologiche in relazione al
suicidio. Molti cristiani lo
considerano un peccato
imperdonabile. Altri sono
convinti
che
nessun
peccato sia imperdonabile.
Sarebbe stato interessante
vedere come il predicatore
avrebbe
affrontato
l’argomento.
Quando
avevano
sepolto
sua
sorella Rose, la madre di
Jeff, il suicidio non era mai
stato menzionato. E perché
avrebbe dovuto? C’era già
abbastanza angoscia anche
senza
parlarne.
Tutti
sapevano che Rose si era
suicidata.
Arrivarono alla Cedar
Grove Missionary Baptist
Church con mezz’ora di
anticipo e riuscirono a
malapena
a
entrare.
L’incaricato
le
fece
accomodare nel terzultimo
banco. Nel giro di pochi
minuti tutti i posti a sedere
vennero occupati e la gente
cominciò a sistemarsi in
piedi lungo le pareti.
Attraverso una finestra,
Samantha vide che i
ritardatari
venivano
dirottati
nella
sala
parrocchiale, la stessa in
cui
aveva
incontrato
Buddy e Mavis dopo la
morte
di
Donovan.
Quando l’organo cominciò
a suonare, i presenti
tacquero, in attesa. Alle
quattro e dieci, il coro si
dispose in fila dietro il
pulpito e il predicatore
prese posizione. Ci fu
movimento
alla
porta
d’ingresso. Il predicatore
alzò le mani e disse: «Tutti
in piedi».
Gli addetti delle pompe
funebri spinsero il carrello
con la bara lungo la corsia
centrale, in modo che tutti
potessero vederla. Per
fortuna la cassa era chiusa.
Mattie l’aveva previsto,
per via della ferita. Mavis,
sostenuta
dal
figlio
maggiore,
seguiva
il
feretro. I due avanzavano a
passo lento e angosciato.
Poi c’erano le due figlie:
Hope, quattordici anni, e
Keely, tredici. Per qualche
mistero dell’adolescenza,
Hope, di soli dieci mesi più
vecchia, era di almeno
trenta centimetri più alta
di
Keely.
Entrambe
piangevano singhiozzando
in quel doloroso rituale.
Mattie aveva cercato di
spiegare che molto di ciò
che avrebbero visto era
pensato per massimizzare
il dramma e l’angoscia.
Quello era l’ultimo hurrah
per Buddy e l’avrebbero
spremuto per ricavarne
tutta l’emozione possibile.
Il resto della famiglia
entrò in formazione sciolta:
fratelli, sorelle, cugini, zii.
Le prime due file di banchi
su entrambi i lati della
corsia
centrale
erano
riservate ai familiari e,
quando tutti i parenti
furono seduti, l’organo
stava già suonando a tutto
volume, il coro cantava a
piena voce e in tutta la
chiesa la gente cominciava
a piangere.
La funzione fu una
maratona di un’ora e,
quando
terminò,
non
c’erano più lacrime da
versare. Tutte le emozioni
erano state consumate. I
dolenti avevano dato tutto
ciò che avevano. Samantha
aveva gli occhi asciutti, ma
si
sentiva
comunque
svuotata. Non riusciva a
ricordare l’ultima volta in
cui aveva voluto scappare
da
un
posto
così
disperatamente. Tuttavia
andò con tutti gli altri nel
cimitero dietro la chiesa,
dove Buddy trovò l’eterno
riposo
tra
lunghe
preghiere e una versione
strappalacrime di How
Great Thou Art. Il brano,
cantato a cappella dal
baritono, suscitò profonda
commozione e colpì a
sorpresa Samantha, che
finalmente
dovette
asciugarsi una lacrima.
Come imponeva la
tradizione,
i
familiari
rimasero seduti accanto
alla tomba mentre tutti
sfilavano davanti a loro
per qualche parola di
conforto. La fila si snodava
intorno alla tenda della
sepoltura e procedeva
lentamente. Mattie disse
che non era il caso di
andarsene
senza
farsi
vedere, così lei e Samantha
avanzarono adagio pochi
centimetri alla volta, dietro
centinaia di estranei in
attesa di stringere la mano
a Mavis e ai suoi figli, che
a quel punto stavano
singhiozzando da ore.
«Cosa
devo
dire?»
sussurrò
Samantha
a
Mattie,
mentre
si
avvicinavano alla tomba.
«Basta un semplice
“Che Dio vi benedica”, o
qualcosa del genere, e poi
allontanati
subito.»
Samantha lo disse ai figli,
ma poi Mavis alzò lo
sguardo, la vide, emise un
lungo gemito e si lanciò su
di lei stringendola in un
abbraccio da orso.
«Ragazzi, lei è il nostro
avvocato, Miss Samantha,
ve ne ho parlato» disse
Mavis, a voce fin troppo
alta. Ma i suoi figli erano
troppo
storditi
per
interessarsi.
Volevano
andarsene da lì addirittura
più di Samantha. Mavis
aggiunse: «Per favore,
restate
a
mangiare
qualcosa con noi. Ci
vediamo dopo».
«Certo» disse Samantha,
dato
che
non
c’era
alternativa. Quando si
liberò dall’abbraccio e si
allontanò dalla tenda,
Mavis si lasciò andare a un
altro, forte gemito.
Il rinfresco era un
“picnic battista”, come lo
definì Mattie, nella sala
parrocchiale.
I
lunghi
tavoli erano carichi di
pietanze e dolci e la folla
sembrò
addirittura
ingrossarsi
quando
si
formarono due file per il
buffet.
Samantha
non
aveva appetito e non
poteva credere di essere
ancora lì. Guardò l’orda
attaccare il cibo e pensò
che la maggior parte di
quella
gente
avrebbe
potuto
permettersi
di
saltare un paio di pasti.
Mattie
le
portò
un
bicchiere di plastica con
del tè ghiacciato e insieme
cominciarono a studiare
come andarsene in modo
rispettoso. Però Mavis le
aveva viste, e loro avevano
promesso di restare.
La
famiglia
rimase
accanto alla tomba finché
non fu calata la bara. Era
già buio e il rinfresco era in
pieno
svolgimento,
quando Mavis e i figli
entrarono
nella
sala
parrocchiale. Furono fatti
accomodare a un tavolo
d’angolo privilegiato e
vennero serviti. Appena
Mavis vide Samantha e
Mattie, agitò la mano
facendo
segno
di
avvicinarsi e insistette
perché si sedessero con la
famiglia.
Un pianoforte suonava
discreto in sottofondo
mentre
il
rinfresco
continuava. Poi la gente
cominciò ad andarsene e
tutti si fermarono per
un’ultima parola a Mavis,
che non aveva toccato cibo.
Ogni tanto spuntava una
lacrima, ma ora c’era anche
qualche sorriso, addirittura
una
risata
quando
qualcuno
ricordò
una
storia divertente su Buddy.
Samantha giocherellava
con una grossa fetta di
qualche tipo di torta rossa,
tentando di spiluccarla
quel tanto che bastava per
mostrarsi educata quando
Keely, la tredicenne, si
sedette sulla sedia di
fianco alla sua. Aveva
capelli castano ramati,
corti, ed era piena di
lentiggini; i piccoli occhi
erano gonfi e arrossati. La
ragazzina
riuscì
a
sorridere, un sorriso a cui
mancava qualche dente e
che sembrava più adatto a
una bambina di dieci anni.
«Lei piaceva molto al mio
papà.»
Samantha esitò per un
secondo, poi disse: «Era
una persona per bene».
«Mi terrebbe la mano?»
domandò Keely, tendendo
la propria. Samantha gliela
prese e le sorrise. Tutti gli
altri al tavolo stavano
parlando o mangiando.
Keely disse: «Secondo
papà lei era l’unico
avvocato
abbastanza
coraggioso da opporsi alle
società del carbone».
Quasi senza parole,
Samantha
riuscì
a
rispondere: «Be’, tuo padre
era molto gentile, ma ci
sono altri avvocati bravi».
«Sì, signora, ma lei era
quella che piaceva di più a
papà. Diceva di sperare
che non tornasse a New
York. Diceva che se
l’avesse incontrata dieci
anni fa non si sarebbe
ritrovato in un disastro
simile.»
«Te lo ripeto, tuo padre
era molto gentile.»
«Lei resterà qui e ci
aiuterà, vero, Miss Sam?»
Keely stava stringendo con
maggiore forza la mano di
Samantha, quasi avesse
voluto
trattenerla
fisicamente
per
avere
protezione.
«Resterò per tutto il
tempo
che
mi
sarà
possibile.»
«Ci deve aiutare, Miss
Sam. Lei è l’unica che può
farlo, almeno è questo che
diceva papà.»
39
La forte pioggia di metà
settimana si era riversata
nei fiumi e nei torrenti di
Curry County e ora il
livello di Yellow Creek era
abbastanza alto per i
kayak. Faceva caldo per
metà gennaio, e Samantha
e Jeff trascorsero la
maggior
parte
del
pomeriggio
di
sabato
sfidandosi su e giù lungo il
torrente, schivando massi,
scivolando sulle acque
calme
ed
evitando
qualsiasi
incidente.
Accesero il fuoco su una
striscia
di
sabbia
e
cucinarono hot dog per un
pranzo ritardato. Verso le
sedici Jeff decise che era
ora di tornare alla casa di
legno, che era a monte e
distava
quasi
un
chilometro.
Arrivarono
esausti. Senza perdere
tempo, Jeff afferrò tre zaini
e un fucile. «Dammi trenta
minuti» disse, e sparì in
direzione
di
Gray
Mountain.
Samantha
mise
un
ciocco di legna sul fuoco e
decise di andare ad
aspettare in veranda. Prese
con sé una trapunta, ci si
sistemò sotto e cercò di
leggere
un
romanzo.
Guardò
due
cervi
avvicinarsi
cauti
al
torrente, abbeverarsi e poi
scomparire nel folto del
bosco.
Se tutto fosse andato
come programmato, se ne
sarebbe andata con Jeff
dopo il tramonto. A bordo
della
Jeep,
la
Jeep
Cherokee di Donovan,
avrebbero avuto tutti i
rimanenti documenti della
Krull Mining. Jeff ne
stimava il peso in circa
quarantacinque chili. Li
avrebbero portati in un
luogo che Jeff non le aveva
ancora rivelato. Meno le
diceva, meno lei sarebbe
stata complice. Giusto?
Samantha non ne era così
sicura. Jeff le aveva
promesso che lei non
avrebbe mai toccato i
documenti e, si sperava,
nemmeno mai visti. Se in
qualche modo fossero stati
scoperti, in quel momento
o in seguito, si sarebbe
assunto
lui
ogni
responsabilità. Samantha
era riluttante a dargli una
mano, ma era anche
ansiosa di chiudere quel
complicato capitolo della
sua vita e andare avanti.
Tutto a un tratto
risuonarono due colpi di
fucile e Samantha sussultò
per lo spavento. Poi altri
due!
Venivano
dalla
direzione
di
Gray
Mountain. Samantha si
alzò in piedi e guardò da
quella parte. Un altro
sparo, cinque in totale, poi
nient’altro. Sentiva il cuore
batterle forte, ma per il
resto
il
silenzio
era
assoluto. Passarono cinque
minuti, poi dieci. Quindici.
Samantha stringeva il
cellulare nella mano, ma
non c’era campo.
Qualche minuto dopo
Jeff emerse dal bosco, non
lungo il sentiero, ma tra gli
alberi fitti. Camminava alla
maggiore velocità possibile
consentita dal peso dei tre
zaini. Samantha gli corse
incontro e gliene prese
uno. «Stai bene?»
«Sì, sto bene» rispose
Jeff. Restò in silenzio
mentre lasciavano cadere
gli zaini in veranda, poi si
sedette
sugli
scalini,
respirando
affannosamente,
quasi
ansimando. Samantha gli
passò
una
bottiglia
d’acqua. «Cos’è successo?»
domandò.
Jeff bevve a lunghi sorsi,
poi si versò un po’ d’acqua
sul viso. «Mentre stavo
uscendo dalla caverna, ho
visto due uomini, entrambi
armati di fucile. Mi
avevano seguito, ma poi
dovevano avermi perso,
immagino. Ho fatto un
rumore. Loro si sono
voltati e hanno sparato, ma
hanno
mancato
il
bersaglio. Io ne ho colpito
uno a una gamba e ho
spaventato l’altro.»
«Hai sparato a un
uomo!»
«Ci puoi scommettere.
Se gli altri sono armati, è
meglio che spari tu prima
che ti sparino loro. Credo
che quel tipo stia bene, non
che me ne importi. Si è
messo a urlare e l’ultima
cosa che ho visto è stato il
suo amico che lo trascinava
via.» Jeff bevve di nuovo; il
respiro ora quasi regolare.
«Torneranno. Scommetto
che hanno chiesto rinforzi
e che stanno arrivando
altri gorilla.»
«Cosa
facciamo
adesso?»
«Ce ne andiamo da qui.
Erano troppo vicini alla
caverna
e
potrebbero
avermi visto entrare. Posso
prendere tutti i documenti
che restano con un altro
carico.»
«Si sta facendo buio,
Jeff. Non puoi tornare là.»
Jeff non la ascoltò
neppure
e
mormorò:
«Dobbiamo muoverci in
fretta». Scattò in piedi,
afferrò due zaini e con il
dito indicò il terzo:
«Prendilo».
All’interno
della casa aprirono gli
zaini, estrassero con cura
fasci di carte e posarono il
bottino sul tavolo. Due
piccoli e sospetti frigoriferi
portatili se ne stavano in
un angolo fin dalla prima
visita di Samantha. Jeff li
avvicinò al tavolo e li aprì.
Dalla tasca interna del
giubbotto estrasse una
pistola nera e la posò sul
tavolo. Prese Samantha per
le spalle e le disse:
«Ascoltami bene. Appena
esco, metti i documenti nei
frigoriferi. Dentro troverai
un rotolo di nastro da
imballaggio. Assicurati che
siano ben sigillati. Io sarò
di ritorno tra un’ora circa».
«C’è una pistola sul
tavolo» disse Samantha
con gli occhi sbarrati.
Jeff la prese in mano e
domandò: «Ne hai mai
usata una?».
«Naturalmente no. E
non ho intenzione di
cominciare
neppure
adesso.»
«Se sarà necessario lo
farai. È una Glock 9
millimetri automatica. Ho
tolto la sicura, per cui è
pronta a sparare. Appena
esco, chiudi a chiave la
porta e siediti lì, sul
divano.
Se
qualcuno
cercherà di entrare, non
avrai
scelta.
Dovrai
premere questo piccolo
grilletto.»
«Voglio andare a casa.»
«Tranquilla, Samantha,
okay?
Puoi
farcela.
Abbiamo quasi finito. Poi
ce ne andiamo.»
Jeff ispirava fiducia. Che
fosse per pazzia, coraggio,
amore per l’avventura o
scarica di adrenalina, era
deciso, sicuro di sé e
riusciva a farle credere che
sarebbe stata in grado di
difendere il fortino. Se Jeff
era abbastanza temerario
da
tornare
a
Gray
Mountain con il buio, il
minimo che lei poteva fare
era starsene seduta accanto
al fuoco con una pistola in
mano.
Il minimo che poteva
fare? Ma perché si trovava
lì?
Jeff le diede un bacio
sulla guancia e disse:
«Adesso vado. Il tuo
cellulare ha campo?».
«No, per niente.»
Jeff afferrò gli zaini
vuoti e il fucile e uscì.
Samantha lo seguì e, ferma
in veranda, lo guardò
scomparire nel bosco,
scuotendo la testa davanti
a
quella
temerarietà.
Donovan
sapeva
che
sarebbe morto giovane. E
Jeff? Una volta che accetti
la morte, è più facile
lanciarsi alla carica nel
buio? Lei non lo avrebbe
mai saputo.
Rientrata in casa, afferrò
con cautela la Glock e la
posò
sulla
credenza.
Guardò i documenti e, per
una frazione di secondo, fu
tentata di dare almeno
un’occhiata veloce a un
paio di fogli. Perché no,
dopo
tutte
quelle
traversie? Ma la curiosità
svanì
rapidamente
e
Samantha sistemò le carte
nei frigoriferi, il cui spazio
era appena sufficiente.
Stava armeggiando con il
nastro adesivo, quando
sentì
due
spari
in
lontananza.
Dimenticò la Glock e
corse in veranda. Dopo
pochi secondi ci fu un
terzo sparo, poi un grido
di natura indefinibile.
Considerate le circostanze,
Samantha
fu
ragionevolmente certa che
fosse l’urlo di un uomo
raggiunto da un colpo
d’arma da fuoco, anche se
non aveva esperienza di
situazioni del genere. Con
il passare dei secondi, si
convinse
che
l’uomo
colpito fosse Jeff. Caduto
in
un’imboscata
dei
rinforzi dei gorilla, o dei
delinquenti, o di come li si
volesse chiamare.
Samantha
si
avviò
lungo il torrente, diretta al
sentiero dove aveva visto
scomparire Jeff. Si fermò
per un secondo e pensò
alla pistola, poi riprese a
camminare. Non valeva la
pena
morire
per
i
documenti, non quando
era la sua vita a essere in
pericolo.
Stava
scommettendo sul fatto
che se i cattivi l’avessero
presa, non l’avrebbero
uccisa. Non se fosse stata
disarmata, comunque. Se
invece si fosse precipitata
nel bosco sparando come
una pazza, non sarebbe
durata
nemmeno
tre
secondi. E poi quanto
poteva farsi valere in uno
scontro a fuoco? No,
Samantha, le armi non
fanno per te. Molla la
Glock là nella casa, insieme
ai maledetti documenti, e
lascia che i cattivi se li
prendano. Vivi ancora un
altro giorno e tra non
molto sarai di nuovo a
New York, che è il tuo
posto.
Si trovava al margine
del bosco, e guardava nel
buio. Si immobilizzò in
ascolto: niente. Chiamò
sottovoce: «Jeff. Jeff. Stai
bene?». Jeff non rispose.
Un passo dopo l’altro,
lentamente, si inoltrò nel
bosco per una quindicina
di metri e chiamò di
nuovo. Trenta metri, e non
riuscì più a vedere il varco
dietro di sé.
Tentare di trovare Jeff o
chiunque altro, in quel
momento, in quella foresta,
era
un’idea
ridicola.
Samantha
non
stava
eseguendo gli ordini. Le
era stato detto di restare
chiusa dentro la casa e di
montare la guardia. Fece
dietro-front e si avviò a
passo veloce. Qualcosa
schioccò rumorosamente
alle sue spalle. Samantha
trattenne il fiato. Si voltò e
non vide nulla, ma riprese
a camminare ancora più
spedita. Fuori dal bosco, il
cielo era un po’ più
luminoso e lei riuscì a
distinguere la sagoma
della casa, distante un
centinaio di metri. Corse
lungo
il
torrente
e
raggiunse la veranda a
tutta velocità. Si sedette
sugli scalini, tentando di
riprendere fiato, fissando il
sentiero, pregando per un
miracolo.
Entrò, chiuse la porta a
chiave, accese una lanterna
e per poco non svenne.
I frigo portatili erano
spariti, così come la Glock.
Dalla
veranda
provenivano rumori: passi
pesanti,
qualcosa
che
veniva lasciato cadere, un
colpo di tosse maschile.
L’uomo tentò di aprire la
porta, poi la scosse e gridò:
«Samantha,
sono
io.
Apri!».
Avvolta in una vecchia
trapunta, rannicchiata in
un angolo, Samantha era
armata
solo
di
un
attizzatoio, pronta a usarlo
in una lotta all’ultimo
sangue, se necessario. Jeff
trovò la chiave e irruppe
all’interno.
«Cosa
diavolo...!»
esclamò.
Samantha posò a terra la
sua arma e cominciò a
piangere. Jeff le corse
accanto e le chiese: «Cos’è
successo?».
Samantha
glielo
raccontò. Lui mantenne la
calma e si limitò a dire:
«Andiamocene da qui.
Subito!». Versò acqua sul
fuoco, spense la lanterna e
chiuse la porta a chiave.
«Prendi quello» disse,
indicando uno dei tre
zaini. Se ne caricò uno
sulla schiena, si passò la
tracolla dell’altro sulla
spalla e impugnò il fucile.
Sudato e agitato, abbaiò:
«Seguimi!».
Come se Samantha
avesse potuto scegliere una
diversa linea di azione.
Si diressero verso la
Jeep che, come tutto il
resto, era persa nella notte.
L’ultima
volta
che
Samantha
aveva
controllato il cellulare,
erano le sette e cinque
minuti. Il sentiero era
diritto e raggiunsero la
radura in pochi minuti. Jeff
azionò
sulla
chiave
l’apertura a distanza delle
portiere e le luci della Jeep
lampeggiarono. Spalancò
lo sportello del bagagliaio
e, mentre buttavano gli
zaini all’interno, Samantha
vide i due frigoriferi.
Riuscì solo a dire: «Ma
cosa...?».
«Sali. Poi ti spiego.»
Mentre si allontanavano a
bordo della Jeep, Jeff
spense i fari e proseguì a
velocità ridotta lungo la
strada a ghiaia. «È una
classica manovra tattica»
disse. «I buoni sono sul
campo per eseguire una
missione. Sanno che i
cattivi li stanno tenendo
d’occhio, che li seguono.
Quello che i cattivi non
sanno, è che i buoni hanno
una loro squadra di
supporto che a sua volta
tiene d’occhio e segue loro,
una specie di anello di
sicurezza.»
Samantha
mormorò:
«Un’altra cosa che non ci
hanno
insegnato
alla
scuola di legge».
Una
luce
gialla
lampeggiò
due
volte
davanti a loro e Jeff fermò
la Jeep. «Ecco la nostra
squadra di supporto.» Vic
Canzarro aprì una portiera
posteriore e saltò a bordo.
Niente
saluti,
niente
convenevoli,
niente,
tranne: «Bella mossa, Sam.
Perché sei uscita dalla
casa?».
«Piantala» abbaiò Jeff da
sopra la spalla. «Hai visto
qualcosa?»
«No. Andiamo!»
Jeff riaccese i fari e
furono di nuovo in
movimento, ora a velocità
molto maggiore. Poco
dopo arrivarono su una
strada asfaltata. La paura
andava
svanendo,
sostituita da un minimo di
sollievo. Ogni chilometro li
portava
un
po’
più
lontano. Passarono cinque
minuti senza che venisse
detta una parola. Vic stava
inviando SMS , il fucile
sempre in grembo.
Finalmente, con calma,
Jeff chiese a Samantha:
«Perché sei uscita dalla
casa?».
«Perché ci sono stati
degli spari e mi è sembrato
di sentire qualcuno che
gridava. Ho pensato che tu
fossi ferito, così mi sono
fatta prendere dal panico e
sono andata verso il
sentiero.»
«Cosa diavolo erano
quegli spari?» tuonò Vic
dal sedile posteriore.
Jeff cominciò a ridere,
piuttosto divertito. «Be’,
stavo correndo nel bosco,
nel buio più completo,
quando sono andato a
sbattere contro un orso
nero. Grosso. In questo
periodo dell’anno sono in
ibernazione
e
hanno
praticamente
l’elettroencefalogramma
piatto. Quindi il ragazzo
non si muoveva con
troppa velocità, ma era
comunque
irritato.
Insomma, lui è convinto
che quello sia il suo pezzo
di bosco e si offende se un
intruso gli va addosso.
Abbiamo litigato, ma non
voleva spostarsi. Non ho
avuto scelta, ho dovuto
sparargli.»
«Hai sparato all’orso?»
«Sì, Samantha, e ho
sparato anche a un umano,
che però sospetto se la sia
cavata.»
«La polizia non ti
preoccupa?»
Vic rise rumorosamente
mentre abbassava di poco
il vetro del finestrino e si
accendeva una sigaretta.
«Non si fuma qui
dentro» disse Jeff.
«Va bene, va bene.»
Jeff lanciò un’occhiata a
Samantha e disse: «No,
cara,
non
sono
preoccupato per la polizia,
per lo sceriffo o per
chiunque altro, di certo
non perché ho sparato a un
malvivente armato che mi
minacciava
nella
mia
proprietà. Questi sono gli
Appalachi.
Nessun
poliziotto indagherà e
nessun
procuratore
incriminerà
nessuno
perché nessuna giuria
condannerebbe
mai
nessuno».
«Cosa succederà a quel
tizio?»
«Immagino
che
la
gamba gli farà male. È
fortunato. Il proiettile
poteva centrarlo in mezzo
agli occhi.»
«Parli come un tiratore
scelto.»
«Quel tale si presenterà
a un pronto soccorso e
racconterà qualche balla»
disse Vic. «Hai preso
tutto?» chiese a Jeff.
«Ogni
singolo
documento. Ogni foglietto
prelevato con tanta abilità
dal mio caro fratello.»
«Donovan sarebbe fiero
di noi» dichiarò Vic.
Nella città di Big Stone
Gap, si fermarono a un
Taco Bell e si misero in fila
al drive-thru. Jeff ordinò
un sacchetto di cibo e
bibite e, mentre stava
pagando, Vic aprì la
portiera, scese dalla Jeep e
disse: «Andiamo a Bristol».
Jeff annuì, come se se lo
fosse aspettato. Osservò
attentamente Vic aprire la
portiera del suo pick-up,
un veicolo che Samantha
riconobbe dalla gita a
Hammer
Valley
con
Donovan.
«Okay, e adesso cosa
facciamo?» domandò.
«Vic ci seguirà fino a
Bristol e ci guarderà le
spalle. Inoltre, ha con sé i
documenti che abbiamo
portato via sabato scorso,
la prima infornata.»
«Mi sembrava tu avessi
detto che Vic aveva una
fidanzata incinta e non
voleva più saperne di
questa storia.»
«È vero. La ragazza è
incinta, ma si sono sposati
una settimana fa. Vuoi un
taco?»
«Voglio un martini.»
«Dubito che tu possa
trovarne uno decente da
queste parti.»
«Se mi è concesso
chiederlo, cosa c’è a
Bristol?»
«Un aeroporto. A parte
questo, se ti dicessi altro
poi dovrei ucciderti.»
«Ti stai comportando da
pazzo, continua pure così.»
All’improvviso furono
colpiti dall’odore del cibo
ed entrambi si accorsero
che stavano morendo di
fame.
C’erano solo cinque aerei
nel parcheggio voli privati
del Tri-Cities Regional
Airport nei pressi di
Bristol,
Tennessee.
I
quattro aerei più piccoli,
due Cessna e due Piper,
sembravano nani accanto
al quinto, uno splendido,
scintillante jet privato con
tutte le luci accese e la
scaletta
abbassata.
Samantha, Jeff e Vic lo
ammirarono da una certa
distanza, in attesa di
istruzioni. Pochi minuti
dopo,
tre
robusti
giovanotti vestiti di nero li
raggiunsero davanti al
terminal. I documenti,
contenuti in due frigo
portatili, tre zaini e due
scatoloni,
vennero
consegnati ai tre in nero e
immediatamente
trasportati con un carrello
fino al jet.
Uno dei tre disse a Jeff:
«Mr London desidererebbe
vedervi». Vic si strinse
nelle spalle e disse: «Oh,
perché no? Andiamo a
dare un’occhiata al suo
giocattolino».
«Io in effetti ci ho
volato» disse Jeff. «È un
gradino
sopra
lo
Skyhawk.»
«Il solito pezzo grosso»
ringhiò Vic.
Samantha, Jeff e Vic
vennero scortati attraverso
il terminal deserto e il
parcheggio, fino al jet.
Jarrett London li aspettava
in cima alla scaletta, con
un enorme sorriso e un
bicchiere in mano. Fece
cenno di salire e diede a
tutti il benvenuto nella sua
“seconda casa”.
Samantha aveva un
amico a Georgetown la cui
famiglia possedeva un jet,
per cui non era la prima
volta che ne vedeva uno.
Le massicce poltrone erano
rivestite in morbida pelle.
Tutte le finiture erano
placcate in oro. Si sedettero
intorno a un tavolo e
l’assistente di volo prese
nota delle ordinazioni.
Portatemi a Parigi, avrebbe
voluto dire Samantha. E
tornate a prendermi tra un
mese.
Era chiaro che Vic e
London si conoscevano
bene. Mentre Jeff riferiva i
particolari della fuga da
Gray Mountain, vennero
serviti i drink. «Gradirebbe
cenare?» chiese London,
rivolgendosi a Samantha.
«Oh, no, Jeff mi ha
viziato con il Taco Bell.
Sono strapiena.»
Il suo martini era
perfetto.
Jeff
e
Vic
bevevano
Dickel
con
ghiaccio. London spiegò
che i documenti sarebbero
partiti subito in volo per
Cincinnati, dove domenica
sarebbero stati fotocopiati.
Lunedì
gli
originali
sarebbero
volati
a
Charleston e consegnati a
un US Marshal. Il giudice
aveva accettato di tenerli
sotto chiave finché non
avesse potuto esaminarli.
La Krull Mining non era
stata
informata
dell’accordo e non aveva
idea di quello che stava per
succedere. L’FBI era uscito
di scena, almeno per il
momento.
«Samantha, di questo
dobbiamo
ringraziare
qualche
amico
a
Washington?»
chiese
London.
Samantha
sorrise
e
rispose: «Può darsi, non ne
sono sicura».
London bevve un sorso,
fece tintinnare i cubetti di
ghiaccio e disse: «Che
programmi ha adesso?».
«Perché me lo chiede?»
«Be’, sarebbe bello avere
un altro avvocato in campo
per la causa Krull. Lei
evidentemente
ha
familiarità con il caso.
Donovan si fidava di lei e
il suo studio può ancora
aspettarsi
parecchio
denaro. Ci sono cinquanta
probabilità su cento che la
Krull si arrenda appena
verrà a sapere che abbiamo
i documenti. Un accordo
stragiudiziale non è da
escludere,
anche
se
probabilmente
sarà
confidenziale. Se invece
dovessero decidere per il
gioco duro, scalderemo i
motori e spingeremo per
un
processo.
E
francamente è proprio
quello che vorremmo: uno
spettacolo, una clamorosa
denuncia
pubblica,
un’esibizione lunga due
mesi durante la quale tutta
la
robaccia
viene
presentata in dettaglio in
un’aula di tribunale. E poi
un verdetto grandioso.»
Ombre di Donovan.
Ombre di Marshall Kofer.
London
ormai
era
lanciato: «C’è un mucchio
di
lavoro
per
tutti,
compresa lei, Samantha.
Potrebbe entrare nel mio
studio
a
Louisville.
Potrebbe
aprire
una
bottega tutta sua a Brady.
Potrebbe rilevare lo studio
di Donovan. Ha davanti
parecchie opzioni. Ma il
punto è che abbiamo
bisogno di lei».
«Grazie, Mr London»
disse
educatamente
Samantha, e bevve un altro
sorso. Era sotto tiro e non
le piaceva.
Vic lo intuì e cambiò
argomento, rivolgendo a
London domande sul jet.
Un Gulfstream V, l’ultima
meraviglia.
Autonomia
virtualmente
illimitata,
quota
di
crociera
dodicimila
metri,
parecchio al di sopra degli
aerei di linea. Tutto molto
tranquillo, lassù. Poi la
conversazione
perse
vigore,
London
diede
un’occhiata all’orologio e
domandò: «Posso darvi un
passaggio
da
qualche
parte?».
Ah, i privilegi di un jet
privato. Scarica qualcuno
qui, carica qualcuno là.
Tutto è possibile.
I tre ospiti declinarono
l’invito, accennando a
posti
dove
dovevano
andare.
London
li
ringraziò di nuovo con
calore per la consegna dei
documenti
e
li
accompagnò a piedi fino al
terminal.
40
Lunedì Mattie arrivò in
studio prima del solito e le
due
avvocatesse
si
chiusero subito nel suo
ufficio. Samantha disse che
i documenti erano stati
consegnati, più o meno in
sicurezza, e che se tutto
fosse andato come da
programma,
sarebbero
stati
affidati
a
un
funzionario della corte già
in giornata. Tralasciò gli
aspetti più pittoreschi
dell’avventura:
la
sparatoria
che
aveva
lasciato qualcuno con una
gamba menomata, l’orso
morto,
la
presenza
inaspettata di Vic Canzarro
e il veloce cocktail sul
bellissimo jet di Jarrett
London. Certe cose era
meglio non raccontarle.
Comunque fosse, ora i
documenti erano in mani
più sicure e altri avvocati
si sarebbero azzuffati per
loro. Qualcun altro si
sarebbe occupato di dare
un senso a quelle carte.
Samantha riteneva che l’FBI
si fosse ritirato a bordo
campo. C’era addirittura
qualche
segnale
che
l’indagine potesse fare
un’inversione
di
centottanta
gradi
e
cominciare a ficcare il naso
nell’operato della Krull
Mining. Ancora niente di
preciso, soltanto qualche
parola da Washington.
Dopo la morte di Buddy
Ryzer e il dramma dei
documenti, forse ora la vita
poteva
tornare
alla
normalità tra i muri della
Mountain Legal Aid Clinic.
Di certo le due avvocatesse
lo speravano. Samantha
doveva essere in aula alle
dieci, per un caso che non
aveva niente a che fare con
carbone, documenti o
autorità federali. Pensava
con piacere a una giornata
priva di scossoni. Ma trovò
Jeff che si aggirava in
tribunale, quasi fosse stato
a conoscenza del suo
programma.
«Possiamo
parlare?» domandò mentre
salivano la scala che
portava all’aula principale.
«Speravo di non vederti
per
un
po’»
disse
Samantha.
«Spiacente, niente da
fare. Per quanto tempo
sarai in aula?»
«Un’ora.»
«Ti aspetto nello studio
di
Donovan.
È
importante.»
Dawn, la segretaria e
addetta al ricevimento non
c’era più, licenziata. Lo
studio
aveva
cessato
l’attività e negli uffici si
accumulava la polvere. Jeff
aprì la porta d’ingresso,
fece entrare Samantha e
poi richiuse a chiave.
Salirono la scala che
portava al primo piano ed
entrarono nella sala della
guerra, le cui pareti erano
ancora
rivestite
da
ingrandimenti fotografici e
altri
documenti
del
processo
Tate.
Libri,
fascicoli e carte erano
sparsi
ovunque,
persistente ricordo del raid
dell’FBI .
A
Samantha
sembrò strano che nessuno
si fosse preso il disturbo di
sistemare quel disastro, di
riordinare la stanza. Metà
delle luci era spenta. Il
lungo tavolo era coperto di
polvere. Donovan era
morto da quasi due mesi e
Samantha, guardando il
suo lavoro e ciò che
restava dei suoi grandi
casi, si sentì sommergere
da un’ondata di tristezza e
nostalgia.
Aveva
conosciuto Donovan solo
per poco tempo, ma per un
secondo desiderò poter
rivedere il suo sorriso
scanzonato.
Si sedettero su due sedie
pieghevoli e bevvero caffè
in bicchieri di carta. Jeff
indicò la stanza intorno a
sé con un ampio gesto
della mano e disse: «Cosa
dovrei fare di questo
edificio? Mio fratello lo ha
lasciato a me e nessuno lo
vuole. Non riusciamo a
trovare un avvocato che
rilevi l’attività dello studio,
nessuno vuole comprarlo».
«È
ancora
presto»
osservò
Samantha.
«Questo è un edificio
molto bello, qualcuno lo
comprerà.»
«Certo.
Metà
dei
bellissimi edifici di Main
Street è vuota. Questa città
sta morendo.»
«Era questa la faccenda
importante di cui mi volevi
parlare?»
«No. Senti, io vado via
per qualche mese. Un mio
amico gestisce un rifugio
per cacciatori in Montana e
gli farò una lunga visita.
Ho bisogno di andare
lontano da qui. Sono
stanco di essere seguito,
stanco di preoccuparmi di
chi c’è là dietro, stanco di
pensare a mio fratello. Mi
serve una pausa.»
«È un’ottima idea. E il
tuo lavoro di tiratore
scelto? Ho visto che adesso
la taglia è di un milione di
dollari, in contanti. L’aria
comincia a essere un po’
troppo calda, vero?»
Jeff bevve un lungo
sorso di caffè e ignorò il
commento. «Ogni tanto
farò un salto qui a Brady
per
prendermi
cura
dell’eredità di Donovan,
tutte le volte che Mattie
avrà bisogno di me. Ma nel
lungo termine penso che
mi trasferirò da qualche
parte
nell’Ovest.
C’è
troppa storia da queste
parti, troppi brutti ricordi.»
Samantha
capiva
e
annuì. Ma non reagì. Jeff
stava tentando di mettere
in scena un piccolo
dramma con un patetico
addio da amante? Se era
così, lei non aveva nulla da
dargli. Quel ragazzo le
piaceva, certo, ma in quel
momento
si
sentiva
sollevata nel sentirgli dire
che stava partendo per il
Montana. Passò un intero
minuto senza che venisse
pronunciata
una
sola
parola, poi un altro.
Finalmente, Jeff disse:
«Credo di sapere chi ha
ucciso Donovan». Una
pausa,
nell’attesa
che
Samantha gli chiedesse:
“Chi?”. Ma lei si morse la
lingua e non abboccò. Jeff
continuò: «Ci vorrà tempo,
cinque, forse dieci anni, ma
io me ne starò nascosto nel
bosco e piazzerò le mie
trappole, per così dire. A
loro piacciono gli incidenti
aerei e io gliene darò un
altro».
«Non voglio ascoltarti,
Jeff. Vuoi davvero passare
il resto della vita in
prigione?»
«Non succederà.»
«Le
ultime
parole
famose. Senti, adesso devo
andare in studio.»
«Lo so. Scusami.»
Alla Legal Aid Clinic
non
c’era
niente
di
particolare, a parte il
pranzo portato da casa del
lunedì,
uno
scatenato
festino del gossip che
Samantha
detestava
perdersi. Tra le cinque
donne
partecipanti
sembrava essere in vigore
un codice: se non ci sei,
probabilmente
sarai
oggetto
di
lunghe
discussioni.
«Okay, so che hai da
fare» disse Jeff. «Io tornerò
tra un paio di mesi. Tu ci
sarai?»
«Non lo so, ma non
pensare a me.»
«Invece penserò a te,
non posso evitarlo.»
«Facciamo un patto, Jeff.
Io non mi preoccupo se tu
torni o meno, e tu non ti
preoccupi se io sono qui o
a New York. Intesi?»
«Okay, okay. Posso
almeno darti un bacio di
addio?»
«Sì, ma tieni le mani a
posto.»
Samantha tornò alla sua
scrivania e venne accolta
dalle ultime notizie da
New York. Andy scriveva:
Cara Samantha,
Lo studio Spane &
Grubman sta bruciando le
tappe. Al momento ha già
arruolato diciassette dei
migliori associati per quella
che promette di essere
un’eccitante avventura. Ce
ne servono altri due o tre.
Abbiamo bisogno di te! Io
ho lavorato solo con alcune
di queste brillanti persone –
Nick Spane ha lavorato con
altre –, per cui è giusto dire
che non le conosco tutte.
Però conosco te
e so che di te posso
fidarmi. Ti voglio nella mia
squadra, anche per
coprirmi le spalle. Ci sono
un sacco di squali quassù,
come ben sai.
Ecco il pacchetto completo:
1) stipendio iniziale di
centosessantamila dollari
(leggermente aumentato.
Finora è l’offerta più alta,
per cui per favore tieni la
bocca chiusa, non vorrei
che i problemi
cominciassero fin
dall’inizio); 2) un bonus
annuale da determinare in
base ai risultati personali e
alla produttività totale dello
studio (no, i due soci non
intendono tenersi tutti i
profitti); 3) assicurazione
sanitaria completa: medica,
odontoiatrica, oculistica
(tutto tranne il Botox e
l’addominoplastica); 4) un
piano di risparmio e
pensionamento
comprendente pari
versamenti a un fondo
401K piuttosto generoso;
5) straordinari pagati
quando si superino le
cinquanta ore settimanali,
(sì, mia cara, hai letto bene:
S&G è probabilmente il
primo studio legale nella
storia che riconosce gli
straordinari. Facciamo
sul serio riguardo alle
cinquanta ore la settimana);
6) tre settimane di ferie
pagate; 7) un tuo ufficio
privato con una segretaria
scelta
da te (e probabilmente
anche un tuo paralegale,
ma questo al momento non
posso prometterlo); 8)
carriera: non vogliamo che i
nostri associati si taglino la
gola a vicenda per
diventare soci, quindi
stiamo considerando un
piano in base al quale
l’associato potrà richiedere
la posizione di socio dopo
sette-dieci anni di attività
nello studio.
Puoi forse trovare di
meglio? E potrai cominciare
dal primo luglio invece che
dal primo maggio.
Resto in attesa, mia cara.
Ma ho bisogno di una
risposta entro una
settimana o poco più. Per
favore.
Andy
Samantha lesse due
volte il messaggio, lo
stampò
e
dovette
ammettere che cominciava
a stancarsi di Andy e delle
sue e-mail. Afferrò il suo
sacchetto marrone e andò a
pranzo.
Erano
le
sei
del
pomeriggio,
quando
l’ultimo cliente di Mattie se
ne andò. Samantha aveva
lavoricchiato alla scrivania,
ammazzando il tempo in
attesa del momento giusto.
Infilò la testa nell’ufficio di
Mattie e domandò: «Hai
tempo per un drink?».
Mattie sorrise e rispose: sì,
naturalmente.
I drink del lunedì in
genere erano a base di
bibite
dietetiche.
Si
versarono invece qualcosa
di più forte e passarono in
sala riunioni. Samantha
fece scivolare sul tavolo
l’ultima e-mail di Andy.
Mattie la lesse lentamente,
sorrise, posò il foglio e
disse: «Wow. Questa sì che
è un’offerta. Bello essere
così desiderata. Immagino
che te ne andrai prima del
previsto». Il sorriso era
svanito.
«Non sono pronta a
tornare a New York,
Mattie. La proposta può
anche sembrare generosa,
ma il lavoro è noioso:
un’ora dopo l’altra di
lettura,
correzione
e
stesura di documenti. Per
quanto ci possano provare,
non riusciranno mai a
renderlo più vivace o
anche solo remotamente
eccitante. Proprio non me
la sento, e penso che non
me la sentirò mai. Mi
piacerebbe restare qui per
un po’.»
Mattie sorrise di nuovo,
un
piccolo
sorriso
compiaciuto
che
comunicava
grande
soddisfazione.
«Sono
sicura che hai qualcosa in
mente.»
«Be’, fino a non molto
tempo fa ero una stagista
non retribuita. Adesso mi
ritrovo a scansare offerte di
impiego, nessuna delle
quali
trovo
molto
attraente.
Non
ho
intenzione di tornare a
New York, almeno non
adesso.
E
non
ho
intenzione di lavorare per
Jarrett London. Assomiglia
troppo a mio padre.
Diffido degli avvocati
specializzati in cause per
risarcimento che saltano da
un posto all’altro del paese
a bordo del loro jet privato.
Non voglio lo studio di
Donovan: troppi problemi.
Jeff
diventerà
il
proprietario dell’immobile,
quindi sarà lui a reggere il
gioco e, conoscendolo
intimamente
come
lo
conosco
io,
posso
prevedere un mucchio di
guai. Jeff si assumerebbe il
ruolo del boss e ci sarebbe
tensione fin dal primo
giorno.
È
un
tipo
pericoloso e incosciente, e
io voglio prendere le
distanze da lui, non
avvicinarmi di più. Ogni
tanto facciamo sesso, ma
non è niente di serio.
D’altra parte, Jeff dice che
sta per lasciare la città.»
«Quindi, vuoi restare
qui?»
«Se è possibile.»
«Per quanto tempo?»
«Ci sono tre cose che
voglio fare. Il cliente più
importante è la famiglia
Ryzer. Sento che hanno
bisogno di me e non posso
semplicemente andarmene
e abbandonarli tra qualche
mese. In questo momento
sono vulnerabili e per
qualche ragione pensano
che io sia l’unica in grado
di aiutarli. Ho intenzione
di fare del mio meglio. Mi
piace l’idea di occuparmi
dell’appello
Tate,
dall’inizio alla fine. Lisa
Tate ha bisogno di noi.
Quella povera donna vive
di buoni spesa e soffre
ancora per il suo lutto.
Voglio vincere l’appello e
farle avere il denaro che le
spetta. A proposito, credo
che il quaranta per cento
agli eredi di Donovan sia
troppo. Donovan può
essersi guadagnato quei
soldi, ma ormai è morto.
Lisa ha perso i suoi figli,
Donovan no. Con quel
materiale
in
mano,
moltissimi
avvocati
avrebbero potuto vincere
la causa. Immagino che di
questo potremo discutere
più avanti.»
«Avevo pensato anch’io
la stessa cosa.»
«Durante il secondo
anno alla scuola di legge
dovemmo
fare
la
simulazione di un processo
di appello: redigere gli atti
e tenere l’argomentazione
orale davanti a un collegio
di tre giudici. In realtà
erano solo tre professori,
ma erano famosi per come
massacravano gli studenti.
L’argomentazione
orale
era una cosa seria: giacca e
cravatta, tailleur e scarpe
con il tacco, hai presente?»
Mattie
annuiva,
sorridendo. «Lo abbiamo
fatto anche noi.»
«Credo che ci siano
passati tutti gli studenti di
legge. Io ero così nervosa
che la notte prima non
riuscii a dormire. Il mio
codifensore mi diede uno
Xanax due ore prima, ma
non servì a niente. Ero così
paralizzata che riuscii a
malapena a balbettare la
prima parola, ma poi
successe
qualcosa
di
strano. Uno dei giudici mi
sparò una battutaccia, un
colpo basso, e io mi
arrabbiai. Cominciai a
discutere con lui. Gli
scaricai
addosso
un
precedente dopo l’altro a
sostegno della nostra tesi e
lo
distrussi.
Mi
ero
dimenticata della paura,
ero troppo concentrata
nello sforzo di dimostrare
a quel giudice che avevo
ragione. I miei dieci minuti
volarono e, quando tornai
a sedermi, tutti mi stavano
fissando.
Il
mio
codifensore si chinò verso
di me e mi sussurrò una
sola parola: “Brillante”.
«Insomma, quello è
stato il mio momento
migliore alla scuola di
legge, un momento che
non dimenticherò mai.
Questo per dire che mi
piacerebbe portare il caso
Tate fino alla Corte
Suprema della Virginia,
presentare
la
mia
argomentazione orale, far
fare la figura degli idioti
agli
avvocati
della
Strayhorn Coal e vincere la
causa per Lisa Tate.»
«Brava la mia ragazza. Il
caso è tutto tuo.»
«Quindi, sono diciotto
mesi, giusto?»
«Qualcosa del genere.
Hai detto che erano tre le
cose che volevi fare.»
«La
terza
è
semplicemente concludere
le mie pratiche in corso,
prenderne di nuove a
mano a mano che si
presentano e cercare di
aiutare i nostri clienti. E,
nel farlo, vorrei passare
più tempo in aula.»
«È qualcosa per cui hai
grande talento, Samantha.
È evidente.»
«Grazie, Mattie. Sei
molto gentile. Non mi va
di essere maltrattata o
tiranneggiata dai Trent
Fuller di questo mondo.
Voglio rispetto, e l’unico
modo
per
averlo
è
guadagnarselo.
Quando
entro in un’aula, voglio
che tutti i ragazzi si
raddrizzino sulla sedia e si
accorgano di me, e non
solo del mio sedere.»
«Santo
cielo,
ne
abbiamo fatta di strada,
eh?»
«Sì, ne abbiamo fatta
parecchia.
E
adesso
parliamo di questo stage.
Se passerò qui i prossimi
due anni, ho bisogno di
qualche tipo di stipendio.
Non molto, ma qualcosa
che mi permetta di vivere.»
«Ci stavo pensando.
Non siamo certo in grado
di competere con il tuo
amico di New York, ma
possiamo
raggiungere
buoni livelli per la Virginia
rurale. Annette e io
facciamo
quarantamila
all’anno, per cui quello è il
tetto. Lo studio può
pagarti ventimila. Dato che
gestirai l’appello Tate,
posso farmi autorizzare
dal
tribunale
altri
ventimila dal patrimonio
di Donovan. Cosa ne dici?»
«Quarantamila
potrebbero suscitare un
po’ di risentimento in tu
sai chi.»
«Annette?»
«Sì.
Facciamo
trentanovemila.»
«Vada
per
trentanovemila.
Affare
fatto.» Mattie tese la mano
attraverso il tavolo e
Samantha gliela strinse.
Poi prese l’e-mail di Andy
e disse: «E adesso vado a
sbarazzarmi di questo
rompiscatole».
NOTA
DELL’AUTORE
Per fortuna esistono decine
di organizzazioni non
profit che lavorano con
passione
nelle
aree
carbonifere per proteggere
l’ambiente, cambiare la
politica e combattere per i
diritti dei minatori e delle
loro famiglie. Una di
queste organizzazioni è
l’Appalachian
Citizens’
Law Center di Whitesburg,
Kentucky;
due
suoi
meravigliosi
avvocati,
Mary Cromer e Wes
Addington, mi hanno
fornito informazioni e
consigli in occasione delle
mie prime perlustrazioni
nella
loro
regione.
Appalachian Voices è un
vitale
gruppo
ambientalista con sede a
Boone, North Carolina. Il
suo direttore operativo è
Matt Wasson, che è stato
una risorsa preziosa per le
mie ricerche.
Grazie anche a Rick
Middleton,
Hayward
Evans, Wes Blank e Mike
Nicholson.
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