strip mine
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Il libro Samantha Kofer, giovane e promettente avvocato associato da tre anni del più importante studio legale di New York, ha davanti a sé una brillante carriera, o almeno così crede. Ma è il 2008 e con l’esplosione della crisi finanziaria, le cui ripercussioni in tutto il mondo sono ben note, moltissimi professionisti restano senza lavoro. Gli istituti bancari, gli hedge fund e i grandi studi legali ridimensionano drasticamente spese e personale. E così, ad appena due settimane dal crollo di Lehman Brothers, Samantha perde il suo lavoro, la sua sicurezza e il suo futuro. Al tempo stesso, però, è anche una delle poche persone a cui viene offerta l’opportunità di lavorare gratuitamente per un anno in un piccolo studio di assistenza legale a Brady, una sperduta cittadina di 2200 anime sui monti Appalachi, in attesa di tempi migliori. è un cambiamento di vita radicale. Samantha si ritrova infatti in un mondo lontano anni luce da quello in cui ha sempre vissuto, e grazie all’indomita Mattie Wyatt, capo della Mountain Legal Aid Clinic, e all’affascinante e misterioso nipote di lei, l’avvocato Donovan Gray, capisce subito cosa significa doversi confrontare con veri clienti e problemi reali. Ma soprattutto dovrà fare i conti con il torbido e pericoloso business dell’industria carbonifera, vera risorsa del paese. Un mondo in cui le leggi non vengono rispettate, la violenza è sempre in agguato e la terra stessa è minacciata. Perché ci sono segreti a Brady che avrebbero dovuto restare sepolti per sempre nelle montagne. In questo nuovo appassionante legal thriller, John Grisham descrive gli spregiudicati retroscena di Big Coal e il costante pericolo a cui sono sottoposti le vite di chi vi lavora e l’intero ecosistema, raccontando la storia di una giovane donna coraggiosa, la prima protagonista femminile dai tempi del Rapporto Pelican. L’autore John Grisham è autore di ventisette romanzi, un saggio, una raccolta di racconti e quattro romanzi per ragazzi. www.jgrisham.com John Grisham I SEGRETI DI GRAY MOUNTAIN Traduzione di Nicoletta Lamberti I SEGRETI DI GRAY MOUNTAIN In memoria di Rick Hemba 1954-2013 Ciao, Ace 1 L’orrore era nell’attesa: l’ignoto, l’insonnia, l’ulcera. I colleghi si ignoravano e lavoravano dietro porte chiuse a chiave. Segretarie e paralegali riferivano le indiscrezioni ed evitavano di guardarsi negli occhi. Tutti avevano i nervi tesi e si chiedevano: “Chi sarà il prossimo?”. I soci, i pezzi grossi, sembravano sotto shock da bombardamento e sfuggivano qualsiasi contatto con i subordinati. Era possibile che tra non molto ricevessero l’ordine di massacrarli. Le voci erano spaventose. Dieci associati della divisione Cause civili eliminati: vero in parte, solo sette. L’intera divisione Proprietà immobiliari chiusa, soci e tutto il resto: vero. Otto soci dell’Antitrust stavano scappando in un altro studio legale: falso, per il momento. L’atmosfera era così avvelenata che Samantha lasciava il palazzo ogni volta che le era possibile e lavorava con il laptop nei caffè di lower Manhattan. Seduta su una panchina nel parco in una bella giornata – dieci giorni dopo il crollo di Lehman Brothers – aveva guardato l’alto edificio poco distante nella strada. Era chiamato 110 Broad e la metà superiore era affittata a Scully & Pershing, il più grande studio legale che il mondo avesse mai visto. Lo studio di Samantha, per il momento, anche se il futuro era tutt’altro che certo. Duemila avvocati in venti paesi, metà dei quali solo nella città di New York, un migliaio proprio lassù, stipati tutti insieme nei piani dal trentesimo al sessantacinquesimo. Quanti avrebbero voluto andarsene? Samantha non era in grado di dirlo, ma non era la sola. Il più grande studio legale del mondo si stava ridimensionando nel caos, così come i suoi concorrenti. I grandi studi – Big Law, come veniva chiamato il sistema – erano nel panico esattamente come gli hedge fund, le banche di investimenti, le banche tradizionali, i conglomerati assicurativi, Washington e, scendendo lungo la catena alimentare, i piccoli commercianti in Main Street. Il decimo giorno era passato senza spargimenti di sangue, e anche il successivo. Il dodicesimo giorno c’era stato un lampo di ottimismo quando Ben, uno dei colleghi di Samantha, aveva riferito un’indiscrezione secondo la quale i mercati del credito londinesi si sarebbero sciolti leggermente. Forse gli investitori avrebbero potuto trovare un po’ di contanti, dopo tutto. Ma nel tardo pomeriggio la voce si era già sgonfiata: non c’era niente di vero. Così avevano continuato ad aspettare. La divisione Immobili commerciali di Scully & Pershing era diretta da due soci. Uno, ormai prossimo alla pensione, era già stato buttato fuori. L’altro era Andy Grubman, un quarantenne imbrattacarte che non aveva mai visto un’aula di tribunale in vita sua. Come socio, aveva un bell’ufficio con vista sull’Hudson in lontananza, acqua che non notava da anni. Sopra un ripiano dietro la scrivania, esattamente al centro della sua “parete dell’ego”, c’era una collezione di grattacieli in miniatura. “I miei palazzi”, amava definirli Grubman. Appena un edificio veniva completato, ne commissionava la riproduzione in scala a uno scultore ed era anche solito regalare generosamente un trofeo più piccolo a ogni membro della “sua squadra”. Nei tre anni trascorsi da S&P, Samantha aveva collezionato sei edifici, e quello sarebbe stato il massimo a cui sarebbe mai arrivata. «Sedetevi» ordinò Andy Grubman, chiudendo la porta. Samantha si accomodò sulla poltroncina accanto a Ben, il quale sedeva vicino a Izabelle. I tre associati si studiarono i piedi. Samantha provò l’impulso di afferrare la mano di Ben, come un prigioniero terrorizzato davanti al plotone di esecuzione. Andy si lasciò cadere sulla sua poltrona e, evitando di incontrare gli sguardi ma deciso a togliersi il pensiero, riassunse il disastro in cui si trovavano. «Come sapete, due settimane fa Lehman Brothers ha chiuso i battenti.» Ma cosa mi dici, Andy! La crisi finanziaria e la catastrofe creditizia avevano portato il mondo sull’orlo dell’abisso, e lo sapevano tutti. Ma era anche vero che Andy raramente aveva un pensiero originale. «Abbiamo cinque progetti in corso d’opera, tutti finanziati da Lehman. Ho parlato a lungo con i proprietari, e tutti e cinque si stanno tirando indietro. Avevamo altri tre progetti in vista, due con Lehman e uno con i Lloyd’s e, be’, tutto il credito è congelato. I banchieri se ne stanno rinchiusi nei loro bunker, spaventati all’idea di prestare anche un solo centesimo.» Sì, Andy, sappiamo anche questo. È in prima pagina. Cerca di farla finita prima che ti saltiamo addosso. «Il comitato esecutivo si è riunito ieri e ha deciso alcuni tagli. Trenta associati al primo anno stanno per essere mandati via: alcuni licenziati, altri sospesi senza stipendio. Qualsiasi nuova assunzione è rinviata a tempo indeterminato. La divisione Testamenti e Successioni sparisce. E, insomma, non esiste un modo facile per dirlo, ma tutta la nostra divisione è stata dismessa. Tagliata. Eliminata. Chissà quando i proprietari ricominceranno a occuparsi di immobili, se mai lo faranno. Lo studio non è disposto a tenervi a libro paga mentre il mondo aspetta il credito. Accidenti, è possibile che si stia andando verso una grande depressione. Questo probabilmente è solo il primo giro di tagli. Mi dispiace, ragazzi. Mi dispiace davvero.» Fu Ben il primo a parlare: «Quindi, siamo licenziati in tronco?». «No. Io mi sono battuto per voi, okay? All’inizio pensavano al foglio rosa del licenziamento. Non ho bisogno di ricordarvi che la nostra è la divisione più piccola dello studio e probabilmente quella più in crisi in questo momento. Li ho convinti a concedervi quella che potremmo definire aspettativa. Adesso ve ne andate e in futuro tornate, forse.» «Forse?» disse Samantha. Izabelle si asciugò una lacrima, ma mantenne la compostezza. «Sì, un grosso, enorme forse. Per ora non c’è niente di definito, Samantha, okay? Ci stiamo dando da fare tutti, ma con pochi risultati. Tra sei mesi potremmo ritrovarci tutti alla mensa dei poveri. Avete visto anche voi le vecchie foto del 1929.» Ma dài, Andy: la mensa dei poveri? Come socio, l’anno scorso ti sei portato a casa 2,8 milioni di dollari, la media nello studio S&P, il quale per inciso è risultato quarto in classifica come profitto netto per socio. E quarto non era abbastanza, almeno finché Lehman è saltata, Bear Stearns è implosa ed è scoppiata la bolla dei mutui subprime. All’improvviso il quarto posto sembrava piuttosto buono, almeno per alcuni. «In che consiste l’aspettativa?» chiese Ben. «Ecco l’idea: lo studio vi tiene sotto contratto per i prossimi dodici mesi, ma senza stipendio.» «Bello» borbottò Izabelle. Andy la ignorò e proseguì: «Manterrete l’assicurazione sanitaria, ma solo se andrete a lavorare come stagisti presso un’organizzazione non profit qualificata. L’ufficio Risorse umane sta mettendo insieme un elenco di organizzazioni idonee. Voi ci andate, fate il vostro numero da bravo benefattore, salvate il mondo, sperate con tutte le vostre forze che l’economia si riprenda e poi, tra un anno o giù di lì, rientrate in studio senza perdere l’anzianità. Non tornerete in Immobili commerciali, ma lo studio vi troverà un posto». «Abbiamo il posto garantito al termine dell’aspettativa?» domandò Samantha. «No, non c’è niente di garantito. Francamente, nessuno è così in gamba da poter prevedere come saremo messi l’anno prossimo. Siamo nel bel mezzo di un’elezione, l’Europa sta andando a rotoli, i cinesi scappano spaventati, le banche chiudono, i mercati crollano, nessuno costruisce e nessuno compra. Il mondo si sta avviando alla fine.» Per un momento rimasero a sedere immobili nel silenzio cupo dell’ufficio di Andy, tutti e quattro schiacciati dalla realtà apocalittica. Poi Ben domandò: «Anche tu, Andy?». «No, mi trasferiscono alla divisione Tasse. Ci pensate? Io odio le tasse, ma l’alternativa era andare a guidare un taxi. Comunque ho un master in diritto tributario, così hanno pensato di potermi risparmiare.» «Congratulazioni» disse Ben. «Mi dispiace, ragazzi.» «No, dico sul serio. Sono contento per te.» «Tra un mese potrei dovermene andare anch’io. Chi può saperlo?» «Noi quando ce ne andiamo?» chiese Izabelle. «Subito. La procedura consiste nel firmare l’accordo di aspettativa, inscatolare le vostre cose, sgombrare la scrivania e scendere in strada. Quelli delle Risorse umane vi manderanno via e-mail un elenco di organizzazioni non profit e tutta la documentazione. Mi dispiace, ragazzi.» «Per favore, non ripeterlo» reagì Samantha. «Niente di quello che puoi dire ci è d’aiuto in questa situazione.» «Vero, ma poteva andare peggio. Alla maggior parte di quelli sulla vostra stessa barca non viene offerta l’aspettativa. Vengono licenziati in tronco.» «Ti chiedo scusa, Andy» disse Samantha. «Ci sono parecchie emozioni in gioco in questo momento.» «È tutto okay. Mi rendo conto. Avete il diritto di essere arrabbiati e sconvolti. Guardatevi: tutti e tre avete una laurea in legge della Ivy League e stanno per scortarvi fuori dal palazzo come ladri. Mandati a casa come operai di una fabbrica. È orribile, davvero orribile. Alcuni soci si sono offerti di dimezzarsi lo stipendio per evitare questa cosa.» «Scommetto che è stato un gruppo ristretto» disse Ben. «Sì, ristretto. Molto ristretto, temo. Ma la decisione è stata presa.» Una donna in tailleur nero e cravatta nera aspettava in piedi nel locale quadrato dove Samantha condivideva lo “spazio” con tre colleghi, tra cui Izabelle. Ben lavorava in fondo al corridoio. La donna cercò di sorridere mentre diceva: «Io sono Carmen. Posso aiutarla?». Reggeva uno scatolone di cartone, senza alcuna scritta in modo che nessuno sapesse che quello era il contenitore ufficiale di Scully & Pershing per tutte le cianfrusaglie da ufficio dei dipendenti messi in aspettativa, licenziati o quello che era. «No, grazie» rispose Samantha, e riuscì a dirlo educatamente. Avrebbe potuto reagire in modo sgarbato, ma Carmen stava solo facendo il suo lavoro. Samantha cominciò ad aprire cassetti e a estrarre tutti gli oggetti personali. In un cassetto c’erano alcune pratiche S&P. «E queste?» domandò. «Restano qui» rispose Carmen mentre seguiva ogni mossa, quasi temendo che Samantha potesse tentare di portarsi via qualche bene prezioso. La verità era che tutto ciò che aveva realmente valore era dentro i computer: il PC che Samantha usava nella sua postazione in ufficio e il laptop che portava con sé praticamente ovunque. Il laptop di Scully & Pershing. Anche quello sarebbe rimasto lì. Samantha poteva accedere a qualsiasi file dal suo laptop personale, ma sapeva che i codici erano già stati cambiati. Come una sonnambula, svuotò i cassetti e sistemò con cura nello scatolone i sei grattacieli in miniatura della sua collezione, anche se per un attimo aveva pensato di buttarli nel cestino dei rifiuti. Arrivò Izabelle, alla quale venne consegnato il suo scatolone personale. Tutti gli altri – associati, segretarie, paralegali – all’improvviso avevano trovato qualcosa da fare altrove. Era stato rapidamente adottato un protocollo: quando qualcuno sgombra la scrivania, lasciaglielo fare in pace. Niente testimoni, niente occhi puntati, niente vacui addii. Gli occhi di Izabelle erano gonfi e arrossati. Evidentemente era andata a piangere in bagno. Sussurrò: «Telefonami. Andiamo a bere qualcosa insieme stasera». «Certo» disse Samantha. Terminò di cacciare tutto nello scatolone, comprese la valigetta e la voluminosa borsa firmata, e senza voltarsi marciò dietro Carmen lungo il corridoio fino agli ascensori del quarantottesimo piano. Mentre aspettavano, si rifiutò di dare un’ultima occhiata all’ambiente. Le porte dell’ascensore si aprirono. La cabina era misericordiosamente vuota. «Glielo porto io» si offrì Carmen, indicando lo scatolone, che stava già aumentando di peso e volume. «No» disse Samantha, entrando in ascensore. Carmen premette il pulsante per il piano terra. Perché, esattamente, la stavano scortando fuori dall’edificio? Più Samantha rifletteva sulla questione, più si arrabbiava. Avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto imprecare, ma ciò che voleva davvero era telefonare a sua madre. L’ascensore si fermò al quarantatreesimo piano e nella cabina entrò un giovane elegante. Aveva uno scatolone identico a quello di Samantha, una cartella a tracolla e una valigetta di pelle sotto un braccio. E la stessa espressione stordita di paura e confusione. Samantha lo aveva già incontrato in ascensore, ma non gli aveva mai parlato. Che accidenti di studio legale. Così mastodontico che gli associati dovevano esibire la targhetta con il nome in occasione del terrificante party di Natale. Dopo il giovanotto entrò anche un’altra guardia di sicurezza in completo nero e, quando tutti furono in posizione, Carmen premette di nuovo il pulsante per il piano terra. Samantha studiava il pavimento, decisa a non parlare anche se qualcuno le avesse rivolto la parola. Al trentanovesimo piano, l’ascensore si fermò di nuovo e Mr Kirk Knight entrò nella cabina esaminando il suo cellulare. Una volta che le porte si richiusero, si guardò intorno, vide i due scatoloni e sembrò trattenere il fiato e irrigidire la spina dorsale. Knight era socio anziano, divisione Fusioni & Acquisizioni, e membro del comitato esecutivo. Trovandosi all’improvviso faccia a faccia con due delle sue vittime, deglutì vistosamente e fissò le porte. Poi, di colpo, premette il pulsante per il ventottesimo piano. Samantha era troppo stordita per insultarlo. L’altro associato aveva gli occhi chiusi. Quando l’ascensore si fermò, Knight si affrettò a uscire. Le porte si richiusero e Samantha si ricordò che i piani affittati dello studio erano quelli dal trentesimo al sessantacinquesimo. Perché Knight era uscito improvvisamente di scena al ventottesimo? Ma che importanza aveva? Carmen la scortò attraverso l’atrio e fuori dalla porta, in Broad Street. Offrì un debole “Mi dispiace”, ma Samantha non rispose. Carica come un mulo da soma, si lasciò trasportare dal traffico dei pedoni, senza alcuna meta particolare. Poi ricordò le foto sui giornali degli impiegati di Lehman e di Bear Stearns che uscivano dai rispettivi palazzi con scatoloni pieni delle loro cose, come se gli edifici fossero stati in fiamme e loro stessero fuggendo per salvarsi la vita. In una fotografia, grande e a colori, sulla prima pagina della sezione Affari & Finanza del “Times”, una trader della Lehman era stata immortalata con le lacrime che le scorrevano lungo le guance mentre se ne stava immobile e impotente in piedi sul marciapiede. Ma ora immagini del genere non facevano più notizia e Samantha non vide macchine fotografiche. Posò lo scatolone a terra all’angolo tra Broad e Wall e aspettò un taxi. 2 Nell’elegante loft a SoHo che le costava duemila dollari al mese, Samantha lasciò cadere le sue cianfrusaglie da ufficio sul pavimento e crollò sul divano. Afferrò il cellulare, ma aspettò. Fece un respiro profondo, gli occhi chiusi, controllando in qualche modo le emozioni. Aveva bisogno della voce e delle rassicurazioni di sua madre, ma non voleva sembrare debole, ferita, vulnerabile. Il sollievo arrivò con l’improvvisa consapevolezza di essere stata appena liberata da un lavoro che disprezzava. Quella sera alle sette avrebbe potuto guardare un film o andare a cena con gli amici, invece di sgobbare in ufficio come una schiava con il tassametro in funzione. Domenica avrebbe potuto lasciare la città senza un solo pensiero su Andy Grubman e la montagna di documenti riguardanti il suo prossimo, cruciale affare. Il FirmFone, un piccolo e mostruoso gadget che aveva tenuto incollato al proprio corpo per tre anni, era stato restituito. Si sentiva sciolta e meravigliosamente alleggerita. La paura arrivò al pensiero della perdita di reddito e dell’improvvisa svolta nella carriera. Come associata al terzo anno, guadagnava centottantamila dollari l’anno come stipendio base, più un simpatico bonus. Un bel po’ di denaro, ma la vita in città aveva un suo modo per divorarlo. Metà svaniva in tasse. Samantha aveva un conto di risparmio, di cui ammetteva con scarso entusiasmo l’esistenza. Se sei una ventinovenne single e libera in città, con una professione la cui retribuzione l’anno prossimo supererà lo stipendio più bonus di quest’anno, perché dovresti preoccuparti di risparmiare? Aveva un amico dei tempi della scuola di legge alla Columbia che, dopo cinque anni da S&P, era appena stato promosso socio junior e quell’anno avrebbe guadagnato circa mezzo milione di dollari. Samantha era stata su quella stessa strada. Aveva anche amici che avevano abbandonato quel lavoraccio dopo soli dodici mesi ed erano felicemente fuggiti dall’orribile mondo di Big Law. Uno di loro adesso faceva il maestro di sci in Vermont: già direttore della “Columbia Law Review” e reduce dalle viscere di S&P, abitava in una casetta di tronchi in riva a un torrente e raramente rispondeva al cellulare. In appena tredici mesi di lavoro, da ambizioso giovane associato si era trasformato in un idiota poco equilibrato che dormiva sulla scrivania. Solo un attimo prima che intervenissero le Risorse umane, era crollato del tutto e aveva lasciato la città. Samantha pensava spesso a lui, di solito con una fitta di gelosia. Sollievo, paura. E umiliazione. I suoi genitori le avevano pagato una costosa istruzione in una scuola privata di Washington. Si era laureata, magna cum laude, in scienze politiche a Georgetown. Aveva veleggiato brillantemente attraverso la scuola di legge e aveva concluso gli studi con il massimo dei voti. Dopo un periodo come assistente presso una corte federale, diversi megastudi le avevano offerto un impiego. I primi ventinove anni della sua esistenza avevano visto straordinari successi e ben pochi fallimenti. Essere stata scaricata in quel modo era devastante. Essere stata scortata fuori dall’edificio era degradante. Non si trattava semplicemente di un piccolo inciampo in una lunga e gratificante carriera. I numeri potevano dare un po’ di conforto. Dopo il collasso di Lehman, erano migliaia i giovani professionisti che venivano buttati in mezzo a una strada. Mal comune eccetera, ma al momento Samantha non riusciva a provare molta solidarietà nei confronti di qualcun altro. «Karen Kofer, per favore» disse al telefono. Sdraiata sul divano, perfettamente immobile, controllò il proprio respiro. Poi: «Mamma, sono io. Lo hanno fatto. Mi hanno licenziata». Si morse il labbro e lottò contro le lacrime. «Mi dispiace tanto, Sam. Quando è successo?» «Circa un’ora fa. Non è stata una vera sorpresa, ma faccio ancora fatica a crederci.» «Lo capisco, bambina. Mi dispiace moltissimo.» Per tutta la settimana precedente non avevano parlato che di un probabile licenziamento. «Sei a casa?» chiese Karen. «Sì, e sto bene. Blythe è al lavoro. Non gliel’ho ancora detto. Non l’ho detto a nessuno.» «Mi dispiace tanto.» Ex compagna di università alla Columbia, Blythe era un’amica che lavorava in un altro megastudio. Lei e Samantha condividevano l’appartamento, ma non molto delle loro vite. Quando lavori dalle settantacinque alle cento ore la settimana, hai poco da condividere. Le cose non andavano bene neppure allo studio di Blythe, che si aspettava il peggio. «Sto bene, mamma.» «No, non è vero. Perché non vieni a casa per qualche giorno?» Casa era un bersaglio mobile. La madre di Samantha abitava in un delizioso appartamento in affitto nei pressi di Dupont Circle, il padre in un appartamento in condominio vicino al fiume ad Alexandria. Samantha non aveva mai trascorso più di un mese in nessuna delle due abitazioni, e in quel momento non ci pensava proprio. «Lo farò» rispose «ma non subito.» Una lunga pausa, poi un sommesso: «Che programmi hai, Samantha?». «Non ne ho, mamma. In questo momento sono sotto shock e non riesco a pensare oltre la prossima ora.» «Capisco. Vorrei essere lì con te.» «Sto bene, mamma. Giuro.» L’ultima cosa di cui Samantha aveva bisogno in quel momento era l’incombente presenza di sua madre e gli interminabili consigli su cosa fare. «È un licenziamento definitivo o una specie di sospensione?» «Lo studio la chiama aspettativa. È un accordo in base al quale noi andiamo a lavorare come stagisti in un’organizzazione non profit per un anno o due e manteniamo l’assicurazione sanitaria. Poi, se la situazione cambia, lo studio ci riprende senza perdita di anzianità.» «Sembra un patetico tentativo di tenervi al guinzaglio.» Grazie, mamma, per la tua tipica schiettezza. Karen proseguì: «Perché non dici a quegli idioti di andare al diavolo?». «Perché vorrei tenermi la mia assicurazione sanitaria e mi piacerebbe sapere che un giorno potrebbe esserci l’opzione del rientro.» «Puoi trovarti un lavoro in un altro posto.» Tipico, da parte di una burocrate di carriera. Karen Kofer era avvocato senior presso il dipartimento di Giustizia a Washington, l’unico impiego legale che avesse mai avuto, e lo aveva ormai da quasi trent’anni. Il suo posto di lavoro, come quello di ogni persona intorno a lei, godeva della protezione più totale. Indipendentemente da depressioni, guerre, blocco delle attività amministrative del governo, catastrofi nazionali, sconvolgimenti politici o qualsiasi altra possibile calamità, la busta paga di Karen Kofer era inviolabile. Era da questo che derivava l’arroganza noncurante di tanti intoccabili burocrati. Siamo preziosi perché siamo necessari. «No, mamma, in questo momento non ci sono posti di lavoro» disse Samantha. «Nel caso tu non ne abbia sentito parlare, siamo in piena crisi finanziaria e con una depressione proprio dietro l’angolo. Gli studi legali buttano fuori associati a valanghe e poi chiudono la porta a chiave.» «Dubito che le cose vadano così male.» «Oh, davvero? Scully & Pershing ha sospeso tutte le nuove assunzioni, questo significa che circa una decina dei più brillanti laureati in legge di Harvard sono stati appena informati che l’impiego promesso per il prossimo settembre non esiste più. Stessa cosa per Yale, Stanford, Columbia.» «Ma tu hai così tanto talento, Samantha.» Mai discutere con un burocrate. Samantha fece un respiro profondo e stava per chiudere la conversazione quando una chiamata urgente “dalla Casa Bianca” costrinse Karen a salutarla. Promise di richiamare, appena avesse salvato la repubblica. Bene, mamma, disse Samantha. Da sua madre riceveva tutta l’attenzione che poteva sopportare. Era figlia unica, il che in retrospettiva era un bene alla luce del disastro provocato dal divorzio dei suoi genitori. Era una bella giornata serena, dal punto di vista meteorologico, e Samantha sentì il bisogno di una passeggiata. Girovagò per SoHo e poi nel West Village. Fu in un caffè deserto che finalmente telefonò a suo padre. Un tempo Marshall Kofer era stato un avvocato ad alto numero di ottani specializzato in cause civili contro compagnie aeree a seguito di incidenti. Aveva creato uno studio legale aggressivo e di successo a Washington e passava sei notti alla settimana in hotel in giro per il mondo, a caccia di cause o a discuterle in tribunale. Aveva guadagnato una fortuna, spendeva a piene mani e da adolescente Samantha era stata acutamente consapevole del fatto che la sua famiglia aveva parecchio di più di molti dei suoi compagni alla scuola privata. Mentre suo padre saltava da una causa di alto profilo all’altra, sua madre la cresceva tranquilla, pur impegnandosi con ostinazione per la propria carriera al dipartimento di Giustizia. Se i suoi genitori litigavano, Samantha non se ne era mai accorta: semplicemente, suo padre non era mai a casa. A un certo punto, nessuno avrebbe mai saputo dire con esattezza quando, nel quadro era entrata una giovane e graziosa paralegale, e Marshall si era buttato. L’avventura era diventata una relazione, poi una storia d’amore e dopo un paio d’anni Karen Kofer si era insospettita. Aveva affrontato il marito, che all’inizio aveva mentito, ma poi aveva ammesso la verità. Voleva il divorzio; aveva trovato l’amore della sua vita. Per coincidenza, più o meno nello stesso periodo in cui stava complicando la propria vita familiare, Marshall aveva preso anche qualche altra cattiva decisione. Una riguardava un piano per trasferire il ricavato di una grossa parcella su un conto offshore. Un jumbo degli Emirati Arabi si era schiantato nello Sri Lanka, con quaranta americani a bordo. Non c’erano stati superstiti e, come prevedibile, Marshall Kofer era arrivato prima di chiunque altro. Durante le trattative per l’accordo stragiudiziale, aveva creato una serie di società di comodo nei Carabi e in Asia per trasferire, ritrasferire e, alla fine, nascondere i suoi sostanziosi onorari. Samantha aveva uno spesso dossier con ritagli di giornale e rapporti investigativi sul tentativo di frode, piuttosto goffo, di suo padre. Il tutto avrebbe potuto fornire materiale per un libro avvincente, ma Samantha non aveva alcun interesse a scriverlo. Marshall era stato scoperto, umiliato, svergognato in prima pagina, condannato, radiato dall’ordine e mandato in carcere per tre anni. Gli era stata concessa la libertà su cauzione due settimane prima che Samantha si laureasse a Georgetown. Ora Marshall era una specie di consulente in un piccolo ufficio nella parte vecchia di Alexandria. Secondo quando affermava, dava consigli ad altri avvocati impegnati in class action per risarcimenti danni, ma era sempre vago sui dettagli. Samantha era convinta, così come sua madre, che Marshall fosse riuscito a seppellire un notevole bottino da qualche parte nei Caraibi. Karen aveva smesso di cercare. Marshall lo avrebbe sempre sospettato e Karen lo avrebbe sempre negato, ma lui aveva la netta sensazione che ci fosse stato lo zampino della ex moglie nella sua incriminazione. Karen aveva una posizione di potere al dipartimento di Giustizia, molto potere, e un mucchio di amici. «Papà, mi hanno licenziato» disse Samantha a bassa voce al cellulare. Il locale era deserto, ma il barista era vicino. «Oh, Sam, mi dispiace!» esclamò Marshall. «Raccontami cos’è successo.» Per quello che Samantha poteva dire, suo padre in prigione aveva imparato una cosa soltanto. Non l’umiltà, non la pazienza, non il perdono. Nessuna delle caratteristiche standard che una persona può acquisire dopo una caduta così umiliante. Marshall era aggressivo e ambizioso esattamente come prima, sempre ansioso di affrontare ogni giornata di petto e travolgere chiunque gli bloccasse la strada. Per qualche ragione, però, Marshall Kofer aveva imparato ad ascoltare, per lo meno sua figlia. Samantha ripeté lentamente tutta la storia e suo padre prestò attenzione a ogni parola. Lei gli assicurò che sarebbe stata bene. A un certo punto Marshall le diede quasi l’impressione di essere sul punto di piangere. Di norma avrebbe fatto commenti sprezzanti sul modo in cui sua figlia aveva deciso di praticare la professione. Marshall odiava i grandi studi perché li aveva combattuti per anni. Li vedeva come mere imprese commerciali, non come associazioni di veri avvocati che si battevano per i loro clienti. Aveva una riserva pronta da cui poteva attingere almeno una decina di sermoni sui mali di Big Law. Samantha li aveva ascoltati tutti e non era assolutamente dell’umore giusto per ascoltarli di nuovo. «Vuoi che venga da te, Sam? Posso essere lì in tre ore.» «Grazie, ma no. Non ancora. Dammi un giorno o due. Ho bisogno di una pausa e sto pensando di andare fuori città per un po’.» «Vengo a prenderti.» «Non ora. Sto bene, papà, te lo giuro.» «No, non stai bene. Hai bisogno di tuo padre.» Le sembrava ancora strano sentire una frase del genere da un uomo che era stato assente per i primi vent’anni della sua vita. Ma almeno ci stava provando, pensò Samantha. «Grazie, papà. Ti richiamo.» «Ci facciamo un viaggio insieme, troviamo una spiaggia da qualche parte e ce ne stiamo lì a bere rum.» Samantha non poté fare a meno di ridere perché non avevano mai fatto un viaggio insieme, non loro due da soli. C’era stata qualche frettolosa vacanza quando lei era ancora bambina, tipici viaggi nelle città europee, quasi sempre interrotti da pressanti questioni di lavoro in patria. L’idea di oziare in spiaggia con suo padre non offriva un fascino immediato, a prescindere dalle circostanze. «Grazie, papà. Magari più avanti, ma non adesso. Ho degli affari da sistemare qui.» «Posso trovarti un lavoro» disse Marshall. «Un lavoro vero.» “Ci risiamo” pensò Samantha, ma lasciò perdere. Erano parecchi anni ormai che suo padre cercava di attirarla in un lavoro vero, vero nel senso che avrebbe comportato fare causa a grandi società per ogni tipo di illecito. Nel mondo di Marshall Kofer, ogni società di una certa dimensione doveva avere commesso peccati inenarrabili per avere avuto successo nel mondo di tagliagole del capitalismo occidentale. Era compito e vocazione degli avvocati (e forse degli ex avvocati) come lui scoprirne le malefatte e citare in giudizio senza pietà. «Grazie, papà. Ci risentiamo.» Era un’ironia che suo padre cercasse ancora di convincerla a impegnarsi nello stesso ramo della giurisprudenza che lo aveva fatto finire in galera. Samantha non nutriva alcun interesse per le aule di tribunale, né per le controversie. Non sapeva bene cosa volesse, probabilmente un tranquillo lavoro da scrivania con un bello stipendio. Soprattutto grazie al suo sesso e al suo cervello, un tempo aveva avuto una discreta possibilità di diventare socia di Scully & Pershing. Ma a quale costo? Forse voleva ancora quella carriera, o forse no. In quel momento voleva solo vagabondare per le strade di lower Manhattan e schiarirsi le idee. Gironzolò per Tribeca e lasciò passare le ore. Sua madre la chiamò due volte e suo padre una, ma evitò di rispondere. Telefonarono anche Izabelle e Ben, ma Samantha non aveva voglia di parlare. Si ritrovò davanti al Moke’s Pub vicino a Chinatown e per un momento si fermò a guardare all’interno. Il suo primo drink con Henry era stato proprio al Moke’s, tanti anni prima. Erano stati degli amici comuni a presentarli. Lui era un aspirante attore, uno del milione in città, e lei un’associata neoassunta di S&P. Erano stati insieme per un anno, poi la storia era finita a causa della tensione dei suoi brutali orari di lavoro e della disoccupazione di Henry. Il quale se n’era andato a Los Angeles dove, secondo l’ultimo avvistamento, faceva l’autista di limousine per attori sconosciuti e piccole particine mute in spot pubblicitari. Samantha avrebbe potuto amarlo, in circostanze diverse. Henry aveva dimostrato di avere il tempo, l’interesse e la passione. Lei era stata troppo esausta. Non era insolito per le donne di Big Law svegliarsi di colpo a quarant’anni e rendersi conto di essere ancora single e che un decennio era appena scivolato via. Si allontanò dal Moke’s e puntò a nord, verso SoHo. Anna delle Risorse umane si dimostrò notevolmente efficiente. Alle diciassette Samantha ricevette una lunga e-mail con i nomi di dieci organizzazioni non profit che qualcuno aveva giudicato adatte per stage non retribuiti da parte delle anime ammaccate, abbattute e messe improvvisamente in aspettativa dal più grande studio legale del mondo. Marshkeepers a Lafayette, Louisiana. The Pittsburgh Women’s Shelter. Immigrant Initiative a Tampa. Mountain Legal Aid Clinic a Brady, Virginia. The Euthanasia Society di Greater Tucson. Un ente per i senzatetto a Louisville. Lake Erie Defense Fund. E così via. Nessuna delle dieci era remotamente nelle vicinanze dell’area metropolitana di New York. Samantha fissò a lungo l’elenco e meditò sulla prospettiva di dover lasciare la città. Ci aveva vissuto per sei degli ultimi sette anni: tre alla Columbia e tre come associata. Dopo la scuola di legge, aveva lavorato come assistente di un giudice federale a Washington e poi era tornata precipitosamente a New York. Tra New York e Washington, non aveva mai vissuto al di là delle luci sfavillanti. Lafayette, Louisiana? Brady, Virginia? In un linguaggio fin troppo ricercato per l’occasione, Anna avvertiva i soggetti in aspettativa che l’offerta di lavoro in alcune delle organizzazioni non profit sopra citate poteva essere limitata. In altre parole, fate in fretta a candidarvi, altrimenti potreste perdere l’occasione di trasferirvi in capo al mondo e lavorare gratis per i prossimi dodici mesi. Ma Samantha era troppo stordita per fare in fretta qualsiasi cosa. Blythe fece un salto a casa per un saluto veloce e un piatto di pasta al microonde. Samantha aveva comunicato la grande notizia via SMS e la sua coinquilina arrivò quasi in lacrime. Ma in pochi minuti lei riuscì a calmarla e ad assicurarle che la vita sarebbe continuata. Lo studio legale di Blythe rappresentava moltissimi prestatori ipotecari e l’atmosfera era cupa esattamente come da Scully & Pershing. Erano giorni ormai che le due amiche non parlavano d’altro che della possibilità di essere licenziate. A metà del piatto di pasta, il cellulare di Blythe cominciò a vibrare: era il suo socio supervisore che la stava cercando. E così, alle diciotto e trenta, Blythe schizzò fuori di casa, in preda alla frenesia di tornare in ufficio e alla paura che il minimo ritardo potesse farla licenziare. Samantha si versò un bicchiere di vino, riempì la vasca di acqua calda, si immerse, sorseggiò il vino e decise che, malgrado i soldi, odiava Big Law e non sarebbe mai tornata indietro. Non avrebbe mai più permesso a se stessa di lasciarsi sgridare perché non era in ufficio dopo il tramonto o prima dell’alba. Non si sarebbe mai più lasciata sedurre dal denaro. Non avrebbe mai più fatto un sacco di cose. Sul fronte finanziario la situazione era instabile, ma non del tutto deprimente. Aveva trentunmila dollari di risparmi e nessun debito, eccetto altri tre mesi di affitto del loft. Se avesse ridimensionato notevolmente le spese e messo insieme un po’ di soldi con lavori part-time, forse sarebbe riuscita a resistere fino a quando fosse passata la tempesta. Sempre presumendo, ovviamente, che non si materializzasse la fine del mondo. Non riusciva a vedersi mentre serviva ai tavoli o vendeva scarpe, ma era pur vero che non aveva mai immaginato una fine così brusca della sua prestigiosa carriera. Tra non molto la città sarebbe stata strapiena di cameriere e commesse laureate. Tornando a Big Law, l’obiettivo di Samantha era stato diventare socia all’età di trentacinque anni, una delle poche donne al vertice, e impadronirsi di un ufficio d’angolo dal quale giocare le grandi partite insieme ai maschi. Avrebbe avuto una segretaria, un assistente, qualche paralegale, un autista sempre a disposizione, un conto spese sontuoso e un guardaroba firmato. Le cento ore di lavoro settimanali si sarebbero ridotte a qualcosa di più accettabile. Si sarebbe messa in tasca due milioni e più all’anno per vent’anni e poi sarebbe andata in pensione e avrebbe girato il mondo. Strada facendo, si sarebbe trovata un marito, avrebbe fatto un figlio o due e la vita sarebbe stata grandiosa. Tutto era stato pianificato e tutto era sembrato a portata di mano. Incontrò Izabelle per un martini nell’atrio del Mercer Hotel, distante quattro isolati dal suo loft. Avevano invitato anche Ben, che però aveva una nuova moglie e altre preoccupazioni. L’aspettativa stava producendo effetti diversi. Samantha era nella fase dell’accettazione, stava addirittura cominciando a ridimensionare la cosa e a escogitare strategie di sopravvivenza. Lei però era fortunata, dato che non aveva debiti studenteschi. I suoi genitori avevano avuto il denaro per assicurarle un’ottima istruzione. Ma Izabelle era soffocata dal peso di vecchi prestiti e si tormentava per il futuro. Bevve un lungo sorso di martini e il gin le andò dritto al cervello. «Io non posso resistere un anno senza stipendio» disse. «E tu?» «Forse sì» rispose Samantha. «Se riduco tutto al minimo e vivo di minestre in scatola, posso vivacchiare e restare in città.» «Io no» ribadì triste Izabelle, e bevve un altro sorso. «Conosco un tizio delle Cause civili che ha avuto l’aspettativa nel tardo pomeriggio di ieri. Ha già telefonato a cinque organizzazioni non profit e tutte e cinque gli hanno detto che gli stage erano stati arraffati da altri associati. Riesci a crederci? Così ha chiamato le Risorse umane, ha scatenato un casino e loro gli hanno detto che stanno ancora lavorando sull’elenco, che stanno ancora ricevendo richieste da organizzazioni non profit a caccia di lavoro a bassissimo costo. Quindi non solo ci fanno fuori, ma quel bel programmino dell’aspettativa non sta funzionando troppo bene. Non ci vuole nessuno, neppure se lavoriamo gratis. È abbastanza nauseante.» Samantha bevve un piccolo sorso e assaporò il liquido anestetizzante. «Non sono molto incline ad accettare la proposta di aspettativa.» «E come farai con l’assicurazione sanitaria? Non puoi restare scoperta.» «Forse sì.» «Ma se ti ammali perderai tutto.» «Non ho molto.» «È una stupidaggine, Sam.» Un altro sorso di martini, anche se un po’ più piccolo. «Quindi vuoi rinunciare a un brillante futuro presso il vecchio, caro Scully & Pershing.» «È lo studio che ha rinunciato a me, e a te e a un mucchio di altri. Deve esserci un posto migliore dove lavorare, e un modo migliore per guadagnarsi da vivere.» «Brindiamoci su.» Comparve una cameriera, e ordinarono un altro giro. 3 Samantha dormì per dodici ore e si svegliò con l’impulso irresistibile di scappare dalla città. Distesa sul letto, lo sguardo fisso sulle vecchie travi di legno del soffitto, rifletté sull’ultimo mese e si rese conto di non essersi allontanata da Manhattan da sette settimane. Un lungo weekend d’agosto a Southampton era stato bruscamente annullato da Andy Grubman e, invece di dormire e andare alle feste, aveva trascorso il sabato e la domenica in ufficio, correggendo bozze di contratti spesse trenta centimetri. Sette settimane. Fece una doccia veloce e cacciò qualche genere essenziale in valigia. Alle dieci, salì su un treno alla Penn Station e lasciò un messaggio sulla segreteria del cellulare di Blythe: stava andando a Washington, dove sarebbe rimasta per qualche giorno. Chiamami, se ti fanno fuori. Mentre il treno rollava attraverso il New Jersey, la curiosità ebbe la meglio. Inviò un’e-mail al Lake Erie Defense Fund e un’altra al Pittsburgh Women’s Shelter. Passarono trenta minuti senza risposta, durante i quali Samantha lesse il “Times”. Non una parola sulla carneficina di S&P mentre la catastrofe economica continuava implacabile. Licenziamenti di massa nelle società finanziarie. Banche che rifiutavano prestiti e altre banche che chiudevano i battenti. Il Congresso che girava a vuoto. Obama che dava la colpa a Bush. McCain/Palin che davano la colpa ai democratici. Samantha controllò il laptop e trovò un’altra email della beata Anna delle Risorse umane. Erano saltate fuori sei nuove organizzazioni non profit che si erano unite alla festa. Meglio darsi da fare! Il Women’s Shelter rispose con un cortese messaggio in cui ringraziava Ms Kofer per l’interessamento, ma purtroppo la posizione era appena stata assegnata. Cinque minuti dopo, la brava gente che lottava per salvare il lago Erie le scrisse più o meno la stessa cosa. Samantha, che a quel punto si sentiva sfidata, inviò una raffica di e-mail ad altre cinque organizzazioni non profit dell’elenco di Anna, poi ne mandò una alla stessa Anna chiedendole educatamente di darsi da fare con un po’ più di entusiasmo con gli aggiornamenti. Tra Philadelphia e Wilmington, i Marshkeepers della Louisiana le dissero no. Il Georgia Innocence Project disse no. L’Immigrant Initiative di Tampa disse no. La Death Penalty Clearinghouse disse no e il Legal Aid di Greater St Louis disse no. No, ma grazie dell’interessamento. Gli incarichi di stagista erano già stati assegnati. Zero su sette. Samantha non riusciva a trovarsi un lavoro nemmeno come volontaria! Salì su un taxi alla Union Station vicino al Campidoglio e sprofondò nel sedile posteriore mentre l’auto arrancava nel traffico di Washington. Isolato dopo isolato di uffici governativi, quartieri generali di mille organizzazioni e associazioni, hotel e nuovi, scintillanti condomini, sterminati uffici pieni di avvocati e lobbisti, marciapiedi brulicanti di gente indaffarata che correva avanti e indietro, occupandosi con urgenza degli affari del paese mentre il mondo era sull’orlo dell’abisso. Samantha aveva vissuto i primi ventidue anni della sua vita in quella città, che ora però trovava noiosa. Washington continuava ad attirare fiumi di giovani brillanti, che però parlavano soltanto di politica e di investimenti immobiliari. I lobbisti erano i peggiori. Ormai il loro numero superava quello degli avvocati e dei politici messi insieme ed erano loro a comandare. Erano i proprietari del Congresso e di conseguenza controllavano il denaro, e durante i cocktail o le cene ti annoiavano a morte con i particolari dei loro più recenti, eroici sforzi per uno scambio di favori con i politici o per l’inserimento di una scappatoia nella normativa fiscale. Ogni amico di Samantha, d’infanzia e di Georgetown, incassava uno stipendio che in qualche modo comprendeva sempre dollari federali. Sua madre stessa guadagnava centoquarantacinquemila dollari all’anno come avvocato al dipartimento di Giustizia. Samantha non sapeva bene come suo padre si guadagnasse da vivere. Decise di andare a trovare lui per primo. Sua madre lavorava fino a tardi e sarebbe tornata a casa molto dopo il tramonto. Samantha entrò nell’appartamento della madre solo per posare la valigia e poi, a bordo dello stesso taxi, attraversò il Potomac e raggiunse la Old Town ad Alexandria. Suo padre l’accolse con un abbraccio, un sorriso e tutto il tempo del mondo. Si era trasferito in un palazzo molto più bello e aveva ribattezzato la propria ditta The Kofer Group. «Fa pensare a un branco di lobbisti» osservò Samantha, mentre si guardava intorno nell’ingresso ben arredato. «Oh, no» protestò Marshall. «Noi ci teniamo alla larga da quel circo laggiù» e indicò con un gesto in direzione di Washington come se fosse stato un ghetto. Percorsero un corridoio, passando davanti alle porte aperte di piccoli uffici. “Allora, cosa fai esattamente, papà?” Ma Samantha decise di rinviare la domanda. Marshall la guidò in un grande ufficio d’angolo con vista sul fiume Potomac in lontananza, non molto diverso da quello di Andy Grubman in un’altra vita. Si sedettero in poltrone di pelle intorno a un tavolino mentre una segretaria andava a prendere il caffè. «Come stai?» chiese Marshall, con sincero interesse e una mano sul ginocchio della figlia come se fosse appena caduta dalle scale. «Bene» rispose Samantha, che sentì stringersi immediatamente la gola. “Mantieni il controllo.” Deglutì a fatica e disse: «È solo che le cose sono precipitate. Sai, un mese fa le cose andavano bene, tutto sui giusti binari, nessun problema. Un mucchio di ore, ma è la normale vita lavorativa. Poi abbiamo cominciato a sentire voci, tamburi lontani che dicevano che le cose stavano andando male. Adesso sembra così improvviso». «Sì, è vero. Questo crollo è come una bomba.» Il caffè arrivò su un vassoio e la segretaria se ne andò chiudendo la porta dietro di sé. «Tu leggi Trottman?» domandò Marshall. «Chi?» «Okay, scrive una newsletter settimanale sui mercati e la politica. Fa base qui a Washington, è in giro da un bel po’ di tempo ed è parecchio in gamba. Sei mesi fa aveva previsto la catastrofe dei mutui subprime, aveva detto che si stava preparando da anni, che ci sarebbe stato un crollo e una pesante recessione. Aveva consigliato a tutti di uscire dai mercati, da tutti i mercati.» «Tu lo hai fatto?» «Io non avevo proprio niente nei mercati. E se avessi avuto qualcosa, non sono sicuro che avrei seguito il suo consiglio. Sei mesi fa vivevamo ancora nel sogno che il valore degli immobili non sarebbe mai diminuito. Il credito era maledettamente a buon mercato e tutti si indebitavamo in modo massiccio. Il limite era solo il cielo.» «E oggi cosa dice questo Trottman?» «Be’, quando non si pavoneggia, spiega alla Fed cosa deve fare. Lui prevede una grande recessione, in tutto il mondo, ma non come quella del 1929. Ritiene che i mercati affonderanno per metà, che la disoccupazione aumenterà toccando nuovi livelli, che in novembre vinceranno i democratici, che un paio di grosse banche andranno sotto, che ci sarà parecchia paura e incertezza, ma che il mondo in qualche modo sopravvivrà. Tu cosa senti dire a Wall Street? Sei tu quella che vive al centro degli eventi. O forse viveva.» Marshall calzava lo stesso tipo di mocassini neri con nappine che preferiva da sempre. L’abito scuro era probabilmente fatto su misura, proprio come quelli dei tempi gloriosi. Lana pettinata, molto costosa. Cravatta di seta con nodo perfetto. Gemelli ai polsini della camicia. La prima volta che Samantha era andata a trovarlo in prigione, suo padre indossava una camicia cachi e una salopette verde oliva, la tenuta standard, e lui si era lamentato spiegandole quanto gli mancasse il suo guardaroba. Marshall Kofer aveva sempre amato i bei vestiti e, ora che era tornato, stava chiaramente spendendo parecchi soldi in abbigliamento. «Nulla, a parte il panico» rispose Samantha. «Ieri due suicidi, secondo il “Times”.» «Hai pranzato?» «Ho mangiato un sandwich in treno.» «Allora andiamo a cena, solo noi due.» «Ho promesso alla mamma di cenare con lei, ma domani a pranzo sono libera.» «Ti prenoto. Come sta Karen?» Secondo Marshall, lui e la ex moglie si facevano un’amichevole chiacchierata telefonica almeno una volta al mese. Secondo Karen, tali conversazioni avevano luogo circa una volta all’anno. A Marshall sarebbe piaciuto che fossero rimasti amici, ma Karen si trascinava dietro un bagaglio di rancore troppo pesante. Samantha non aveva mai neppure tentato di negoziare un armistizio. «Sta bene, immagino. Lavora tantissimo eccetera.» «Frequenta qualcuno?» «Io non glielo chiedo. E tu che mi dici?» La giovane e graziosa paralegale lo aveva scaricato due mesi dopo che era finito in prigione, per cui Marshall era single da diversi anni. Single, ma raramente solo. Aveva quasi sessant’anni, era ancora snello e in forma, con i capelli grigi lisciati all’indietro e un sorriso killer. «Oh, sono ancora in pista» rispose con una risata. «E tu? Qualcuno di interessante?» «No, papà, temo proprio di no. Ho passato gli ultimi tre anni in una spelonca mentre il mondo mi passava di fianco. Ho ventinove anni e sono di nuovo vergine.» «Non c’è bisogno di approfondire. Quanto ti fermi in città?» «Sono appena arrivata. Non lo so. Ti ho detto della proposta di aspettativa che offre lo studio e sto verificando la cosa.» «Fai la volontaria per un anno e poi ti ridanno il tuo vecchio lavoro senza perdere l’anzianità?» «Qualcosa del genere.» «Mi puzza un po’. Tu non ti fidi davvero di quei tipi, giusto?» Samantha fece un respiro profondo, poi bevve un sorso di caffè. A quel punto la conversazione poteva avvitarsi in spirale fino ad arrivare ad argomenti che al momento non si sentiva di affrontare. «No, non proprio. Posso dire sinceramente di non fidarmi dei soci che dirigono Scully & Pershing. No.» Marshall stava già scuotendo la testa, esprimendo felice il suo accordo. «E non vuoi veramente tornare là, giusto? Non adesso, non tra dodici mesi, giusto?» «Non so cosa penserò tra dodici mesi, ma non riesco a vedere un grande futuro in quello studio.» «Giusto, giusto.» Marshall posò la tazza di caffè sul tavolino e si piegò in avanti. «Ascolta, Samantha: io posso offrirti un lavoro qui da me, un lavoro ben retribuito che ti terrà occupata per un anno o giù di lì mentre decidi cosa fare. Forse potrà diventare un impiego permanente, forse no, ma avrai un bel po’ di tempo per prendere una decisione. Non praticherai la professione legale, la vera professione legale come la chiamano, ma d’altra parte non sono sicuro che tu l’abbia praticata molto negli ultimi tre anni.» «La mamma dice che hai due soci e che anche loro sono stati radiati dall’ordine.» Suo padre finse una risata, ma la verità era sgradevole. «È tipico di Karen dirlo, no? Comunque è vero: qui siamo in tre, tutti e tre rinviati a giudizio, condannati, radiati, incarcerati e, sono felice di dirlo, completamente riabilitati.» «Scusami, papà, ma non riesco a vedermi in uno studio gestito da tre avvocati radiati dall’ordine.» Le spalle di Marshall si abbassarono leggermente. Il sorriso scomparve. «Non è un vero studio legale, giusto?» chiese Samantha. «Giusto. Non possiamo esercitare la professione perché non siamo stati riammessi nell’ordine.» «Allora cosa fate?» Marshall si riprese rapidamente e rispose: «Facciamo un sacco di soldi, mia cara. Operiamo come consulenti». «Tutti fanno i consulenti, papà. A chi fai consulenze e cosa gli racconti?» «Sai qualcosa del litigation funding?» «Ai fini della discussione, diciamo che la risposta è no.» «Okay, i litigation funders, in pratica i finanziatori di cause legali, sono società private che raccolgono denaro dai loro investitori per partecipare a grosse controversie. Per esempio, supponiamo che una piccola società di software sia convinta che uno dei giganti, per esempio la Microsoft, abbia rubato un suo software: non c’è modo in cui la piccola società possa permettersi di intentare causa alla Microsoft e affrontarla alla pari in tribunale. Impossibile. Perciò la piccola società si rivolge a una società di finanziamento cause, la società studia il caso e, se decide che ci sono basi solide, mette a disposizione un bel po’ di soldi per le parcelle e le spese legali. Dieci milioni, venti milioni, non importa. Un mucchio di soldi. Ovviamente in caso di vittoria i finanziatori si prenderanno una fetta della torta. Lo scontro diventa alla pari e di solito si arriva a una lucrosa transazione. In questo quadro, il nostro lavoro consiste nel consigliare ai finanziatori se farsi coinvolgere o no. Non tutte le potenziali azioni legali possono essere portate avanti, nemmeno in questo paese. Anche i miei due soci, soci stipendiati posso aggiungere, erano esperti in complesse cause civili, finché, come dire, sono stati invitati ad abbandonare la professione. Il nostro business è in espansione, a prescindere da questa piccola recessione. Anzi, noi pensiamo addirittura che l’attuale casino incrementerà i nostri affari. Moltissime banche stanno per essere citate in giudizio, e per somme enormi.» Samantha sorseggiò il caffè e rammentò a se stessa che stava ascoltando un uomo che un tempo riusciva regolarmente a convincere i giurati a dargli milioni di dollari. «Allora, cosa ne pensi?» chiese suo padre. “Sembra terribile” pensò Samantha, ma mantenne la fronte aggrottata come se stesse riflettendo attentamente. «Interessante» riuscì a dire. «Riteniamo che ci sia un enorme potenziale di crescita.» “Sì, e con tre ex detenuti a dirigere lo spettacolo è solo questione di tempo prima che arrivino i guai.” «Io non so niente di cause in tribunale, papà. Ho sempre cercato di tenermi alla larga. Io ero nella finanza, ricordi?» «Oh, imparerai. Ti insegnerò io. Ci divertiremo. Provaci, almeno. Prova per qualche mese mentre sistemi le tue cose.» «Ma io non sono ancora stata radiata dall’ordine.» Risero tutti e due, ma la battuta non era stata poi così divertente. «Ci penserò, papà. Grazie.» «Ti troverai bene, te lo prometto. Quaranta ore la settimana, un bell’ufficio, gente simpatica. Sicuramente meglio della competizione sfrenata di New York.» «Ma New York è casa mia, papà. Non Washington.» «Okay, okay. Non voglio insistere. L’offerta è sempre valida.» «E io lo apprezzo.» Una segretaria bussò alla porta e infilò la testa nell’ufficio. «La sua riunione delle quattro, signore.» Marshall aggrottò la fronte e guardò l’orologio per avere conferma dell’ora. «Arrivo tra un momento» disse. La segretaria scomparve. Samantha afferrò la borsa e annunciò: «Devo andare». «Non c’è fretta, cara. La riunione può aspettare.» «So che sei occupato. Ci vediamo domani a pranzo.» «Ci divertiremo. Salutami Karen. Mi farebbe piacere vederla.» Non una sola possibilità. «Certo, papà. A domani.» Si abbracciarono davanti alla porta, poi Samantha se ne andò di fretta. L’ottavo rifiuto arrivò dalla Chesapeake Society di Baltimora, il nono da un’organizzazione che si batteva per salvare le sequoie della California settentrionale. Mai, nella sua vita privilegiata, Samantha Kofer era stata rifiutata nove volte in un solo giorno. Neppure in una settimana, o in un mese. Non era ben sicura di riuscire a incassare il numero dieci. Sorseggiava un decaffeinato nel bar di Kramerbooks vicino a Dupont Circle, aspettando e scambiando e-mail con gli amici. Blythe aveva ancora un lavoro, ma la situazione cambiava di ora in ora: comunicò a Samantha la voce di corridoio secondo la quale anche il suo studio, il quarto più grande al mondo, stava facendo strage di associati e aveva inoltre concertato lo stesso piano aspettativa per scaricare i suoi elementi più brillanti sul maggior numero possibile di organizzazioni non profit spiantate e in lotta per la sopravvivenza. Blythe scriveva: “Là fuori devono essere migliaia quelli che bussano alle varie porte implorando un lavoro”. Samantha non se la sentì di ammettere che il suo risultato era zero su nove. Poi arrivò il numero dieci. Era un conciso messaggio di una certa Mattie Wyatt della Mountain Legal Aid Clinic di Brady, Virginia: “Se può, mi chiami subito sul cellulare”, seguiva il numero. Dopo nove sprezzanti rifiuti consecutivi, era come un invito alla cerimonia di insediamento del presidente. Samantha fece un respiro profondo, bevve un altro sorso di caffè, si guardò intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando, come se gli altri clienti fossero stati interessati ai suoi affari, e poi digitò il numero sul cellulare. 4 La Mountain Legal Aid Clinic svolgeva la sua attività a basso budget in un ex negozio di ferramenta in Main Street a Brady, Virginia, abitanti duemiladuecento e in diminuzione a ogni censimento. Brady si trovava nella Virginia sudoccidentale, sui monti Appalachi, la regione del carbone. Dai ricchi sobborghi di Washington nella Virginia settentrionale, Brady distava cinquecento chilometri nello spazio e un secolo nel tempo. Mattie Wyatt era direttore esecutivo dello studio fin dal giorno in cui lei stessa aveva fondato l’organizzazione ventisei anni prima. Afferrò il cellulare e diede la sua abituale risposta: «Mattie Wyatt». Una voce piuttosto timida all’altro capo della linea disse: «Sì, sono Samantha Kofer. Ho appena ricevuto la sua email». «Grazie, Ms Kofer. Ho ricevuto la sua domanda questo pomeriggio, insieme ad altre. Sembra che i tempi siano piuttosto difficili per alcuni dei megastudi.» «Sì, può ben dirlo.» «Bene, non abbiamo mai avuto uno stagista proveniente da un grande studio newyorkese, ma un po’ d’aiuto fa sempre comodo quassù. Di certo non c’è carenza di povera gente e relativi problemi. Lei è mai stata nel Sudovest della Virginia?» Samantha non c’era mai stata. Aveva visto il mondo, ma non si era mai avventurata negli Appalachi. «Temo di no» rispose, con la massima cortesia possibile. La voce di Mattie era amichevole, l’accento leggermente nasale, e Samantha decise che erano necessarie le sue migliori maniere. «Allora l’aspetta una sorpresa» disse Mattie. «Senta, Ms Kofer, oggi ho ricevuto e-mail da tre come lei, e a noi non servono tre novellini che non sanno fare niente, capisce cosa intendo? L’unico sistema che conosco per scegliere un candidato è quello del colloquio. Lei potrebbe fare un salto qui? Gli altri due hanno detto che avrebbero cercato di venire. Credo che uno sia del suo stesso studio legale.» «Be’, certo, potrei venire in auto» rispose Samantha. Cos’altro poteva dire? Il minimo accenno di riluttanza e avrebbe incassato davvero il suo decimo rifiuto. «Quando aveva in mente?» «Domani, dopodomani, quando vuole. Non mi aspettavo di essere travolta da avvocati licenziati in lotta per un impiego, addirittura non retribuito. Tutto a un tratto c’è competizione per questo lavoro, per cui tanto prima, tanto meglio. New York, però, è lontana.» «In realtà sono a Washington. Potrei essere da lei domani pomeriggio, credo.» «Okay. Non ho molto tempo da dedicare ai colloqui, perciò è probabile che assuma il primo che si presenta e lasci perdere gli altri. Cioè, sempre che il primo mi piaccia.» Samantha chiuse gli occhi per qualche secondo e cercò di mettere tutto nella giusta prospettiva. Il mattino del giorno prima si era seduta alla sua scrivania nello studio legale più grande del mondo, uno studio che la pagava generosamente e le prometteva una lunga carriera remunerativa. Adesso, circa trenta ore dopo, si ritrovava disoccupata, seduta nel bar di Kramerbooks, impegnata a sgomitare per un impiego temporaneo e non retribuito nel bel mezzo delle lande più desolate in cui si potesse capitare. Mattie continuò: «L’anno scorso sono andata in auto a Washington per una conferenza e ci ho impiegato sei ore. Facciamo domani pomeriggio verso le quattro?». «Certo. Ci vediamo domani. E grazie, Ms Wyatt.» «No, grazie a lei. E mi chiamo Mattie.» Samantha cercò in rete e trovò il sito del centro di assistenza legale gratuita. La sua mission era chiara: “Fornire servizi legali gratuiti a clienti a basso reddito nella Virginia sudoccidentale”. Le aree di intervento comprendevano rapporti familiari, ripianificazioni debitorie, assistenza sanitaria, istruzione e indennità per la malattia del polmone nero. La formazione legale di Samantha aveva toccato brevemente alcune di quelle specializzazioni, la sua carriera mai. Il centro non si occupava di questioni penali. Oltre a Mattie Wyatt, c’era un altro avvocato, un paralegale e un addetto al ricevimento, tutte donne. Samantha decise che ne avrebbe discusso con sua madre e poi ci avrebbe dormito su. Non possedeva un’auto e, francamente, non si vedeva a sprecare tempo guidando fino agli Appalachi. Servire ai tavoli a SoHo le sembrava più invitante. Mentre fissava il suo laptop, il rifugio dei senzatetto di Louisville le rispose con un educato no. Dieci rifiuti in un solo giorno. Basta: Samantha decise di mettere fine alla sua ricerca per salvare il mondo. Karen Kofer arrivò al Firefly poco dopo le sette. Gli occhi le si riempirono di lacrime quando abbracciò la sua unica figlia e, dopo poche parole di comprensione, Samantha le chiese di smetterla, per favore. Andarono al bar e, in attesa del tavolo, ordinarono un bicchiere di vino. Karen aveva cinquantacinque anni e invecchiava in modo splendido. Spendeva la maggior parte dei suoi soldi in vestiti ed era sempre alla moda, addirittura chic. Per quello che ricordava Samantha, sua madre si era sempre lamentata della mancanza di stile al dipartimento di Giustizia, come se fosse stato compito suo risollevare la situazione. Era single da dieci anni e non c’era mai stata carenza di uomini, ma quello giusto non era mai arrivato. Come d’abitudine, Karen esaminò sua figlia, dagli orecchini fino alle scarpe, e fece la sua valutazione nel giro di pochi secondi. No comment. A Samantha non importava. In quel giorno orribile, aveva altre cose per la testa. «Papà ti saluta» disse, nel tentativo di indirizzare la conversazione lontano dalle urgenti questioni al dipartimento di Giustizia. «Oh, lo hai visto?» chiese Karen, le sopracciglia inarcate, il radar improvvisamente in massima allerta. «Sì, ho fatto un salto nel suo studio. Sembra che se la stia cavando bene, ha un bell’aspetto e sta allargando il suo business, dice.» «Ti ha offerto un impiego?» «Sì. Inizio immediato, quaranta ore la settimana in un ufficio pieno di gente meravigliosa.» «Sono stati tutti radiati, lo sai?» «Sì, me lo hai detto.» «L’attività sembrerebbe legale, almeno per il momento. Di sicuro non vorrai lavorare per Marshall. Quella è una banda di ladri e probabilmente non passerà molto tempo prima che si caccino nei guai.» «Quindi, li stai tenendo d’occhio?» «Diciamo che ho degli amici, Sam. Un sacco di amici nei posti giusti.» «E ti piacerebbe vederlo di nuovo in galera?» «No, tesoro, ho superato quella fase. Ci siamo separati anni fa e ci ho messo parecchio per riprendermi. Marshall ha nascosto soldi e mi ha fregato nel divorzio, ma finalmente sento che non mi importa più. Ho una buona vita e non intendo sprecare energie per Marshall Kofer.» Bevvero insieme un sorso di vino e osservarono il barista, un aitante ragazzo sui venticinque anni in maglietta nera aderente. «No, mamma, non ho intenzione di andare a lavorare con papà. Sarebbe un disastro.» La direttrice di sala le accompagnò al tavolo e un cameriere versò acqua ghiacciata nei bicchieri. Una volta sole, Karen disse: «Mi dispiace così tanto, Sam. Non riesco ancora a crederci». «Mamma, per favore. Basta.» «Lo so, ma sono tua madre e non riesco a trattenermi.» «Puoi prestarmi la tua macchina per un paio di giorni?» «Certo. Come mai hai bisogno dell’auto?» «C’è un centro di assistenza legale gratuita a Brady, Virginia, una delle organizzazioni non profit del mio elenco, e sto pensando di andare a dare un’occhiata. Probabilmente sarà una perdita di tempo, ma non è che sia molto impegnata in questi giorni. Anzi, domani non ho proprio niente da fare e una lunga gita in macchina potrebbe aiutare a schiarirmi le idee.» «Ma... assistenza legale gratuita?» «Perché no? È solo un colloquio per uno stage. Se non ottengo il lavoro, resto disoccupata. Se invece lo ottengo, potrò sempre andarmene se non mi piace.» «E non pagano niente?» «Niente. È parte dell’accordo. Io faccio volontariato per dodici mesi e lo studio mi tiene all’interno del sistema.» «Di sicuro potresti trovarti un piccolo e decoroso studio a New York.» «Ne abbiamo già discusso, mamma. I grandi studi legali stanno mandando a casa la gente e quelli piccoli stanno chiudendo. Non hai idea dell’isterismo nelle strade di New York di questi tempi. Tu te ne stai tranquilla al sicuro e nessuno dei tuoi amici perderà mai il posto di lavoro. Là fuori, nel mondo reale, non c’è altro che paura e caos.» «Io non sono nel mondo reale?» Fortunatamente si ripresentò il cameriere, con una lunga esposizione delle specialità. Quando se ne andò, Samantha e sua madre finirono il vino e diedero un’occhiata ai tavoli intorno a loro. Poi Karen disse: «Sam, io penso che tu stia commettendo un errore. Non puoi andartene e scomparire per un anno. E il tuo appartamento? I tuoi amici?». «I miei amici sono in aspettativa esattamente come me, almeno la maggior parte di loro. E non è che ne abbia poi così tanti.» «È che proprio non mi convince.» «Splendido, mamma. Ma quali sarebbero le mie opzioni? Accettare un impiego al Kofer Group?» «Che Dio non voglia. Probabilmente finiresti in galera.» «Verresti a trovarmi? Sei mai andata a trovare papà?» «Non ci ho mai neppure pensato. Sono stata felicissima quando lo hanno schiaffato dentro. Un giorno capirai, mia cara, ma solo se l’uomo che ami ti scaricherà per un’altra. Prego perché non ti capiti mai.» «Okay, posso comprenderlo. Ma è successo tanto tempo fa.» «Certe cose non si dimenticano.» «Tu stai cercando di dimenticare?» «Vedi, Sam, ogni figlio vuole che i suoi genitori stiano insieme. È un fondamentale istinto di sopravvivenza. E quando i genitori si separano, il figlio vuole che restino almeno amici. C’è chi ci riesce e chi no. Io non voglio trovarmi nella stessa stanza con Marshall Kofer e preferisco non parlare di lui. Chiudiamola qui.» «D’accordo.» Il tentativo era stato quanto di più prossimo a una mediazione Samantha avesse mai azzardato. Batté rapidamente in ritirata. Il cameriere servì le insalate e loro ordinarono una bottiglia di vino. «Come sta Blythe?» chiese Karen, deviando verso argomenti più facili. «Preoccupata, ma ancora con un lavoro.» Parlarono di Blythe per qualche minuto, poi passarono a un uomo di nome Forest che si aggirava nell’appartamento di Karen da circa un mese. Era di qualche anno più giovane di lei, come Karen preferiva, ma non c’era una vera storia d’amore. Forest era un avvocato consulente nella campagna di Obama e la conversazione si spostò in quella direzione. Mentre bevevano vino, analizzarono il primo dibattito presidenziale. Samantha però era stanca di elezioni e Karen, a causa del suo lavoro, esitava a parlare di politica. «Avevo dimenticato che non possiedi una macchina» disse. «Non ne ho avuto bisogno per anni. Immagino di poterne noleggiare una per qualche mese, se mi servirà.» «Adesso che ci penso, domani sera avrò bisogno della mia: vado a giocare a bridge a casa di un amico a McLean.» «Nessun problema, ne noleggerò una per un paio di giorni. Più ci penso, più non vedo l’ora di farmi un lungo viaggio in macchina, da sola.» «Quanto lungo?» «Sei ore.» «Puoi arrivare a New York in sei ore.» «Be’, domani andrò nella direzione opposta.» Arrivarono gli antipasti. Entrambe stavano morendo di fame. 5 Samantha ci mise un’ora per noleggiare una Toyota Prius, e poi si destreggiò nel traffico di Washington stringendo con forza il volante e tenendo sotto costante controllo gli specchietti. Erano mesi che non guidava e si sentiva a disagio. Le corsie in entrata erano gremite di pendolari che dai sobborghi puntavano verso la città, ma il traffico diretto a ovest procedeva molto meno congestionato. Superata Manassas, l’interstatale si svuotò in misura considerevole e Samantha finalmente si rilassò. Izabelle la chiamò e chiacchierarono per quindici minuti. Nel tardo pomeriggio del giorno prima, Scully & Pershing aveva messo in aspettativa altri associati, tra cui un altro compagno della scuola di legge. Un’ulteriore infornata di soci stipendiati era finita per strada. Più o meno una decina di soci anziani aveva optato per il pensionamento anticipato, a quanto pareva con la pistola puntata alla tempia. Il personale amministrativo era stato tagliato del quindici per cento. Lo studio era paralizzato dalla paura, con gli avvocati che chiudevano la porta a chiave e si nascondevano sotto la scrivania. Izabelle disse che forse si sarebbe trasferita a Wilmington, dove avrebbe abitato nel seminterrato di sua sorella, avrebbe fatto volontariato in un programma di sostegno all’infanzia e si sarebbe cercata un impiego part-time. Dubitava che sarebbe mai tornata a New York, ma era troppo presto per fare previsioni. La situazione era troppo instabile, in rapido cambiamento e, insomma, nessuno era in grado di dire dove sarebbe stata tra un anno. Samantha ammise di sentirsi euforica perché era fuori dallo studio legale e sulla strada. Telefonò a suo padre e annullò l’appuntamento a pranzo. Marshall sembrò deluso, ma fu veloce nel consigliare di non precipitarsi in un insensato stage nel cuore del “terzo mondo”. Parlò di nuovo della sua proposta di lavoro e insistette un po’ troppo. Così Samantha gli disse chiaramente di no: «No, papà, non voglio quel lavoro, ma grazie lo stesso». «Stai commettendo un errore.» «Non ho chiesto il tuo consiglio, papà.» «Forse ne hai bisogno. Per favore, ascolta qualcuno con un po’ di buon senso.» «Ciao, papà. Ti richiamo.» Vicino alla cittadina di Strasburg, si immise nell’interstatale 81 in direzione sud e si ritrovò in una corsia affollata di autotreni, tutti apparentemente ignari del limite di velocità. Studiando la mappa, Samantha aveva immaginato un piacevole viaggio attraverso la valle di Shenandoah, invece si ritrovò a scansare grossi TIR in un’autostrada a quattro corsie. Migliaia di TIR . Ogni tanto riusciva a rubare un’occhiata a est, alle basse colline del Blue Ridge, o a ovest, ai monti Appalachi. Era il primo giorno di ottobre e le foglie cominciavano a cambiare colore, ma ammirare il panorama non era prudente con un traffico del genere. Il cellulare continuava a ronzare annunciando SMS , ma riuscì a ignorarli. Si fermò in un fast food nei pressi di Staunton per un’insalata appassita. Mangiò facendo lunghi respiri, ascoltando chiacchierare la gente del posto e cercando di calmarsi. C’era un’e-mail di Henry, il vecchio boyfriend che, di nuovo in città, proponeva un drink insieme. Aveva saputo la brutta notizia e voleva consolarla. A Los Angeles la sua carriera di attore era andata addirittura peggio che a New York e si era stancato di guidare limousine per attori di infima categoria e di talento inferiore al suo. Diceva di sentire la sua mancanza, di avere pensato spesso a lei e, visto che adesso era disoccupata, forse avrebbero potuto passare un po’ di tempo insieme, perfezionando i rispettivi curricula ed esaminando le offerte di impiego sui giornali. Samantha decise di non rispondere, non in quel momento almeno. Magari quando fosse stata di nuovo a New York, molto annoiata e davvero sola. Nonostante i TIR e il traffico, cominciava a godersi la solitudine del viaggio. Si sintonizzò due o tre volte su NPR , ma trovò sempre la stessa storia: il tracollo dell’economia, la grande recessione. Un mucchio di gente intelligente prevedeva una depressione. Altri ritenevano che il panico sarebbe passato e il mondo sarebbe sopravvissuto. A Washington i cervelli sembravano essersi congelati mentre strategie contrastanti venivano proposte, dibattute e scartate. Alla fine Samantha ignorò sia la radio che il cellulare e continuò a guidare in silenzio, persa nei suoi pensieri. Il navigatore GPS le disse di lasciare l’interstatale a Abingdon, Virginia, e lei fu felice di ubbidire. Per due ore procedette verso ovest, tra le montagne. A mano a mano che le strade si facevano più strette, si chiese più di una volta cosa esattamente stesse facendo. Dove stava andando? Cosa poteva mai trovare a Brady, Virginia, da indurla a passarci l’anno successivo? Niente: era quella la risposta. Ma era comunque decisa ad arrivare a Brady e portare a termine quella piccola avventura. Forse le avrebbe fornito materiale per qualche chiacchiera divertente davanti a un cocktail una volta tornata in città, o forse no. Per il momento continuava a sentirsi sollevata all’idea di essere lontana da New York. Superato il confine di Noland County, svoltò nella Route 36 e la strada diventò ancora più stretta, le montagne si fecero più ripide, le foglie più brillanti di giallo e arancione bruciato. Era sola sulla strada e più si inoltrava tra le montagne, più si domandava se, in effetti, ci fosse un’altra via di uscita. Ovunque si trovasse, Brady sembrava essere in fondo a una strada senza uscita. Le orecchie le scoppiettarono e si rese conto che lei e la sua piccola Prius rossa stavano salendo lentamente. Un ammaccato cartello stradale annunciò l’avvicinamento a Dunne Spring, abitanti 201; Samantha arrivò in cima a una collina e superò una stazione di servizio alla sua sinistra e uno spaccio di alimentari sulla destra. Pochi secondi dopo, dietro il paraurti posteriore si materializzò un’auto con luci lampeggianti azzurre. Poi Samantha udì il lamento di una sirena. In preda al panico, frenò di colpo, facendosi quasi tamponare dal poliziotto, poi andò subito a fermarsi in un piccolo spazio vicino a un ponte. Quando l’agente si avvicinò alla portiera, Samantha stava lottando per trattenere le lacrime. Afferrò il cellulare per inviare un messaggio a qualcuno, ma non c’era campo. L’uomo le disse qualcosa che suonò vagamente come: «La patente, per favore». Samantha afferrò la borsa, trovò il portafoglio e, alla fine, anche la patente, che passò all’agente con mano tremante. Lui prese il documento e se lo avvicinò quasi al naso, come se avesse avuto problemi di vista. Finalmente Samantha lo guardò: erano evidenti anche altri difetti. L’uniforme era un confuso insieme, liso e macchiato, di pantaloni cachi, camicia marrone sbiadita piena di distintivi di ogni tipo, stivali da combattimento neri e sporchi e un cappello da ranger tipo orso Smokey che, di almeno due misure troppo grande, poggiava sulle orecchie sovradimensionate. Da sotto il cappello spuntavano ciuffi di capelli neri e arruffati. «New York?» chiese l’uomo. La dizione era lungi dall’essere chiara, ma il tono bellicoso era inequivocabile. «Sì, signore. Io vivo a New York.» «Allora perché guida una macchina del Vermont?» «È un’auto a noleggio» rispose Samantha, afferrando il contratto Avis sul cruscotto. Lo porse all’uomo, che però stava ancora studiando la patente, quasi avesse avuto problemi di lettura. «Cos’è una Prius?» domandò. Calcando molto sulla “i”. «È un’ibrida, della Toyota.» «Una cosa?» Samantha non sapeva niente di automobili, ma in quel momento non aveva importanza. Conoscenze approfondite non l’avrebbero aiutata a spiegare il concetto di vettura ibrida. «Ecco, è un’auto che funziona sia a benzina che a elettricità.» «Non mi dica.» Samantha non riuscì a trovare un commento adeguato e, mentre l’uomo aspettava, si limitò a sorridere. L’occhio sinistro dell’agente sembrò spostarsi in direzione del naso. «Be’, comunque deve andare piuttosto veloce» disse. «L’ho cronometrata mentre viaggiava a ottanta chilometri l’ora in un tratto dove il limite è trenta. Cinquanta chilometri in eccesso. È guida pericolosa, qui in Virginia. Non so a New York o in Vermont, ma da queste parti è guida pericolosa. Sissignora, proprio così.» «Ma io non ho visto alcun segnale di limite di velocità.» «Se lei non vede, io non posso farci niente, signora, le pare?» Un vecchio pick-up si avvicinò frontalmente, rallentò e sembrò sul punto di fermarsi. Il conducente sporse la testa dal finestrino e gridò: «Dài, Romey! Adesso basta». Il poliziotto si voltò e strillò: «Togliti dai piedi!». Il pick-up si fermò al centro della strada e l’autista disse: «Devi piantarla, amico». Il poliziotto aprì la fondina ed estrasse la pistola. «Mi hai sentito? Togliti dai piedi.» Il pick-up partì sgommando sulle ruote posteriori e si allontanò a tutta velocità. Quando fu a una ventina di metri di distanza, il poliziotto puntò la pistola al cielo ed esplose un fragoroso colpo che risuonò secco attraverso la valle e rimbalzò echeggiando dalle montagne. Samantha gridò e cominciò a piangere. L’agente guardò scomparire il pick-up e poi disse: «È tutto okay, tutto okay. Quel tizio non fa che intromettersi di continuo. Dunque, dove eravamo?». Rimise la pistola nella fondina e armeggiò con il laccetto di chiusura, continuando a parlare. «Non lo so» rispose Samantha, cercando di asciugarsi gli occhi con le mani tremanti. Frustrato, il poliziotto disse: «Tutto okay, signora. È okay. Allora, lei ha una patente dello Stato di New York e targhe del Vermont su questa strana macchinina, inoltre ha superato il limite di velocità di cinquanta chilometri. Cosa ci fa da queste parti?». “Non sono affari tuoi!” fu quasi sul punto di scattare Samantha, ma un atteggiamento di sfida avrebbe soltanto causato ulteriori guai. Guardò fisso davanti a sé, fece alcuni respiri profondi e si sforzò di ricomporsi. Poi finalmente rispose: «Sto andando a Brady. Ho un colloquio di lavoro». Le fischiavano le orecchie. L’uomo rise goffamente. «A Brady non c’è nessun lavoro, questo glielo posso garantire.» «Ho un colloquio alla Mountain Legal Aid Clinic» disse Samantha, i denti stretti, le sue stesse parole che le sembravano vuote e surreali. La risposta sembrò confondere l’uomo, che diede l’impressione di essere incerto sulla prossima mossa. «Be’, io comunque devo portarla dentro. Cinquanta chilometri oltre il limite significa estrema imprudenza. Probabile che il giudice le scarichi addosso tutto il codice. Devo portarla dentro.» «Dentro dove?» «Nel carcere di contea a Brady.» Il mento le cadde sul petto. Samantha si massaggiò le tempie. «Non ci posso credere.» «Spiacente, signora. Scenda dalla macchina. La lascerò sedere davanti con me.» Il poliziotto aspettava con le mani sui fianchi, la destra pericolosamente vicina alla fondina. «Sta dicendo sul serio?» chiese Samantha «Serio come un infarto.» «Posso fare una telefonata?» «Assolutamente no. Forse in carcere. E poi qui non c’è campo.» «Mi sta arrestando e mi porta in carcere?» «Vedo che ha capito. Sono sicuro che qui in Virginia facciamo le cose diversamente. Andiamo.» «E la mia macchina?» «Verrà a prenderla il carro attrezzi. Le costerà altri quaranta dollari. Andiamo.» Samantha non riusciva a pensare con chiarezza, ma qualsiasi altra opzione sembrava doversi concludere con altri spari. Lentamente, afferrò la sua borsa e scese dall’auto. Con il suo metro e settanta e le ballerine ai piedi, era più alta di Romey di almeno cinque centimetri. Si avvicinò all’auto del poliziotto, la cui luce azzurra continuava a lampeggiare. Guardò la portiera ma non vide nulla. L’agente intuì quello che lei stava pensando e disse: «È un’auto senza contrassegni. Ecco perché non mi ha notato. Funziona sempre. Si sieda davanti. La porterò dentro senza ammanettarla». Samantha riuscì a biascicare un debole “grazie”. Era una Ford blu scuro di qualche tipo e aveva una vaga somiglianza con una vecchia auto di pattuglia ormai in disuso da una decina d’anni. Il sedile anteriore era unico e il vinile era rigato da larghe fenditure che rivelavano l’imbottitura in gommapiuma, sporca. C’erano due radio fissate alla consolle. Romey afferrò un microfono e, in parole veloci a malapena decifrabili, disse qualcosa del tipo: «Unità dieci in arrivo a Brady con il soggetto. Tempo previsto cinque minuti. Avvertire il giudice. Serve un carro attrezzi a Thack’s Bridge per una strana macchina giapponese». Non ci fu risposta, come se in ascolto non ci fosse stato nessuno. Samantha si chiese se la radio funzionasse. Sul sedile, tra lei e il poliziotto, c’era uno scanner della polizia, anch’esso muto come la radio. Romey fece scattare un interruttore e spense le luci azzurre. «Vuole sentire la sirena?» chiese sorridendo, come un bambino con i suoi giocattoli. Samantha scosse la testa. No. Pensò che il giorno prima era stato una schifezza, con i dieci rifiuti e tutto il resto. Il giorno prima ancora era stata mandata a casa dallo studio e scortata fuori dall’edificio. E adesso questo: arrestata in un posto sconosciuto in mezzo al nulla e portata in prigione. Il cuore le batteva forte e aveva problemi a deglutire. Non c’erano cinture di sicurezza. Romey premette l’acceleratore e poco dopo stavano sfrecciando al centro della carreggiata, sulla vecchia Ford che sferragliava in ogni sua parte, dal paraurti anteriore a quello posteriore. Dopo due o tre chilometri l’agente disse: «Mi dispiace davvero, ma sto solo facendo il mio lavoro». «Lei è un poliziotto, un vicesceriffo o cosa?» gli chiese Samantha. «Sono un agente. Mi occupo prevalentemente di controllo del traffico.» Samantha annuì, come se la risposta avesse chiarito tutto. Romey guidava con il polso sinistro posato mollemente sul volante, che vibrava. Lungo un tratto di strada piatto, spinse sull’acceleratore e la turbolenza aumentò. Samantha lanciò uno sguardo al tachimetro, che non funzionava. L’uomo abbaiò di nuovo nel microfono come un cattivo attore e, di nuovo, nessuno rispose. Imboccarono una curva, troppo velocemente, ma quando l’auto cominciò a sbandare di coda, Romey sterzò con calma e premette leggermente il freno. “Sto per morire” pensò Samantha. O per mano di un killer fuori di testa o in un tragico incidente stradale. Sentì rovesciarsi lo stomaco e le sembrò di svenire. Strinse con forza la sua borsa, chiuse gli occhi e cominciò a pregare. Alla periferia di Brady riuscì finalmente a respirare in modo normale. Se quell’uomo aveva intenzione di violentarla, ucciderla e buttare il suo cadavere giù da una montagna, non lo avrebbe fatto in città. Passarono davanti a negozi con parcheggi a ghiaia e a file di ordinate casette, tutte dipinte di bianco. Guardando avanti, Samantha vide campanili di chiese svettare sopra gli alberi. Prima di arrivare in Main Street, Romey svoltò bruscamente e si fermò in derapata nel parcheggio non asfaltato della prigione di Noland County. «Mi segua» ordinò. Per una frazione di secondo, Samantha si sentì sollevata all’idea di essere arrivata in carcere. Mentre seguiva l’agente verso la porta d’ingresso, si guardò intorno per assicurarsi che nessuno stesse guardando. Ma di chi, esattamente, si preoccupava? Una volta all’interno, si fermarono entrambi in una polverosa e stipata area di attesa. Sulla sinistra c’era una porta sopra la quale era stampigliata la parola PRIGIONE . Romey indicò verso destra e disse: «Si sieda lì mentre io sbrigo le scartoffie. E niente scherzi, okay?». Non era presente nessun altro. «Dove vuole che vada?» chiese Samantha. «Non ho più la macchina.» «Stia seduta lì tranquilla.» Samantha si accomodò su una sedia di plastica mentre Romey scompariva oltre la porta. Evidentemente le pareti erano molto sottili perché lo sentì dire: «Ho una ragazza di New York là fuori, l’ho beccata a Dunne Spring mentre sfrecciava a ottanta chilometri l’ora. Riesci a crederci?». Una voce maschile replicò con durezza: «Oh, per favore, Romey! Un’altra volta?». «Sissignore. L’ho colta in flagrante.» «Devi piantarla con queste stronzate, Romey.» «Adesso non ricominciare, Doug.» Ci furono passi pesanti, le voci si abbassarono fino a svanire. Poi, dalle profondità del carcere, esplosero toni alterati. Anche se Samantha non riusciva a capire cosa stessero dicendo, era evidente che erano almeno due gli uomini impegnati in una discussione con Romey. Quindi le voci tacquero e i minuti passarono. Finalmente un tipo paffuto in uniforme varcò la porta del carcere e disse: «Salve. Lei è Miss Kofer?». «Sì, sono io» rispose Samantha, guardandosi intorno nella stanza vuota. L’uomo le restituì la patente. «Solo un minuto, okay?» «Certo.» Cos’altro poteva dire? Da qualche parte nei meandri della prigione, voci si alzarono e si abbassarono, poi cessarono del tutto. Samantha inviò un SMS a sua madre, uno a suo padre e uno a Blythe. Se il suo corpo non fosse stato mai più ritrovato, almeno loro sarebbero stati al corrente di qualche dettaglio. La porta si riaprì e nell’area di attesa entrò un uomo giovane. Indossava jeans sbiaditi, scarponi da trekking, un’elegante giacca sportiva e niente cravatta. Sorrise disinvolto. «Lei è Samantha Kofer?» «Sì.» L’uomo avvicinò un’altra sedia di plastica e si sedette accanto a Samantha, le ginocchia che quasi si toccavano. «Mi chiamo Donovan Gray. Sono il suo avvocato e l’ho appena fatta prosciogliere da tutte le accuse. Suggerisco di andarcene di qui immediatamente.» Parlando, le aveva passato un biglietto da visita, che Samantha studiò. Sembrava vero. Lo studio era a Brady, in Main Street. «Okay, e dove andiamo?» chiese cauta Samantha. «A prendere la sua auto.» «E quell’agente di polizia?» «Le spiegherò per strada.» Si affrettarono a uscire e a salire su una Jeep Cherokee ultimo modello. Acceso il motore, Springsteen ruggì dallo stereo, che Gray spense subito. Era fra i trentacinque e i quarant’anni, ipotizzò Samantha, con capelli neri arruffati, barba di almeno tre giorni e malinconici occhi scuri. Mentre faceva retromarcia, Samantha disse: «Aspetti, devo mandare degli SMS ». «Certo. Per qualche chilometro avrà ancora campo.» Inviò un messaggio a sua madre, al padre e a Blythe, comunicando la notizia che non era più in carcere e che la situazione sembrava stesse migliorando, considerate le circostanze. Non preoccupatevi, non ancora. Si sentiva più sicura, per il momento. Più tardi avrebbe telefonato e spiegato. Quando la città fu alle loro spalle, l’avvocato disse: «Romey non è davvero un poliziotto, un agente di polizia o una persona con qualche autorità. La prima cosa che lei deve capire è che non c’è del tutto con la testa, ha un paio di viti allentate. Forse più di un paio. Ha sempre desiderato fare lo sceriffo e così ogni tanto si sente obbligato ad andare in pattuglia, sempre nei dintorni di Dunne Spring. Se lei è di passaggio e proviene da un altro Stato, Romey se ne accorge subito. Se la sua targa è, poniamo, del Tennessee o del North Carolina, Romey non la disturba. Ma se lei viene dal Nord, Romey si eccita e può fare quello che ha fatto a lei. È davvero convinto di fare una cosa buona portando dentro gli automobilisti indisciplinati, specie se vengono dallo Stato di New York e dal Vermont». «Perché qualcuno non lo ferma?» «Oh, ci proviamo. Tutti lo sgridano, ma non lo si può tenere d’occhio ventiquattr’ore al giorno. È molto sfuggente e conosce queste strade meglio di chiunque altro. Di solito ferma un automobilista indisciplinato, magari un povero disgraziato del New Jersey, lo spaventa a morte e poi lo lascia andare. Nessuno lo viene mai a sapere. Ma ogni tanto si presenta al carcere con qualcuno che ha fermato e insiste perché venga arrestato.» «Non ci posso credere.» «Romey non ha mai fatto male a nessuno, ma...» «Ha sparato un colpo a un altro automobilista. Mi fischiano ancora le orecchie.» «Okay, sembra un matto, come molti da queste parti.» «Allora rinchiudetelo. Di sicuro ci sono delle leggi che proibiscono il sequestro di persona e l’arresto illegale.» «Romey è cugino dello sceriffo.» Samantha scosse la testa. «È vero» riprese Gray. «Suo cugino è il nostro sceriffo da tantissimo tempo. Romey è molto invidioso: una volta si è addirittura candidato contro di lui. Ha avuto più o meno dieci voti in tutta la contea e questo lo ha sconvolto. Ha cominciato a fermare yankee a destra e a manca finché non lo hanno mandato via per qualche mese.» «Mandatelo via di nuovo.» «Non è così semplice. Lei comunque è stata fortunata che Romey non l’abbia portata nel suo carcere.» «Il suo carcere?» Donovan Gray stava sorridendo, godendosi il racconto. «Oh, sì. Circa cinque anni fa, il fratello di Romey trova una berlina ultimo modello con targa dell’Ohio parcheggiata dietro un granaio della fattoria di famiglia. Si guarda intorno, sente un rumore e trova un tizio dell’Ohio rinchiuso in uno dei box dei cavalli. Salta fuori che Romey aveva dotato il box di rete metallica e filo spinato, e che quel poveraccio era là dentro da tre giorni. Aveva parecchia roba da mangiare ed era sistemato molto comodamente. Disse che Romey andava a vedere come stava parecchie volte al giorno e che non avrebbe potuto essere più gentile.» «Se lo sta inventando.» «Per niente. Romey non stava prendendo i suoi farmaci e attraversava un brutto periodo. La situazione precipitò. Il tizio dell’Ohio scatenò l’inferno e assunse degli avvocati, che citarono in giudizio Romey per detenzione illegale e un mucchio di altri reati, ma la causa non portò a niente. Romey non possiede beni, a parte la sua autopattuglia, per cui una causa civile è inutile. Insistettero perché venisse accusato di sequestro di persona e tutto il resto, e alla fine Romey si dichiarò colpevole in cambio di un’accusa più lieve. Scontò trenta giorni di carcere, non il suo carcere, quello di contea, poi lo rimandarono nel centro di igiene mentale dello Stato per una messa a punto. Non è una cattiva persona, dico sul serio.» «No, un vero incantatore.» «Francamente, alcuni poliziotti di qui sono più pericolosi di lui. A me Romey è simpatico. Una volta mi sono occupato di un caso per suo zio. Met.» «Met?» «Metanfetamina in cristalli. Dopo il carbone, è probabilmente la fonte di reddito più importante da queste parti.» «Posso chiederle una cosa che potrebbe sembrare un po’ personale?» «Certo. Sono il suo avvocato, mi può chiedere qualunque cosa.» «Perché tiene lì quella pistola?» Samantha indicò con un cenno della testa il ripiano appena sotto il suo gomito sinistro, dove, in piena vista, c’era una pistola nera, piuttosto grossa. «È legale. Mi procuro sempre un sacco di nemici.» «Che tipo di nemici?» «Io faccio causa alle società del carbone.» Samantha ritenne che una spiegazione avrebbe richiesto parecchio tempo, così fece un respiro profondo e si mise a guardare la strada. Dopo il racconto delle avventure di Romey, Donovan sembrava soddisfatto di godersi il silenzio. Samantha si rese conto che non le aveva ancora chiesto cosa ci facesse a Noland County, l’ovvia domanda. All’altezza di Thack’s Bridge, Donovan fece inversione al centro della strada e si fermò dietro la Prius. «Allora, le devo una parcella?» «Certo. Una tazza di caffè» rispose Donovan. «Caffè, da queste parti?» «Sì, c’è un bel caffè in città. Mattie è in tribunale e probabilmente sarà impegnata fino alle cinque, per cui lei ha un po’ di tempo da far passare.» Samantha avrebbe voluto dire qualcosa, ma le mancarono le parole. Donovan continuò: «Mattie è mia zia. È lei la ragione per cui ho frequentato la scuola di legge ed è stata lei ad aiutarmi per tutta la durata degli studi. Ho lavorato nel suo centro quando ero studente e poi per altri tre anni dopo avere superato l’esame di ammissione all’ordine. Adesso lavoro in proprio». «E Mattie le ha detto che io mi sarei presentata per un colloquio?» Per la prima volta, Samantha notò la fede all’anulare di Donovan. «Una coincidenza. La mattina presto faccio spesso un salto da lei in ufficio per una tazza di caffè e due chiacchiere. Mi ha parlato di tutte quelle email di avvocati newyorkesi che tutto a un tratto vogliono fare volontariato e mi ha detto che uno di loro forse si sarebbe fatto vivo oggi per un colloquio. È divertente per gli avvocati di qui vedere colleghi dei grandi studi scappare verso le montagne, le nostre montagne. Poi è capitato che fossi al carcere per parlare con un cliente quando il suo amico Romey è arrivato con un nuovo trofeo. Ed eccoci qui.» «Non avevo in programma di tornare a Brady. Anzi, stavo pensando di fare dietrofront su quella piccola macchinina rossa e scappare via di qui.» «Be’, rallenti quando passa da Dunne Spring.» «Non si preoccupi.» Una pausa, lo sguardo fisso sulla Prius. Poi Donovan disse: «Okay, offro io il caffè. Credo che le piacerà conoscere Mattie. Non la biasimo se se ne vuole andare, ma le prime impressioni sono spesso sbagliate. Brady è una cittadina simpatica e Mattie ha un mucchio di clienti ai quali il suo aiuto servirebbe molto». «Non ho portato la pistola.» Donovan sorrise. «Non la porta neppure Mattie.» «Che tipo di legale è Mattie?» «Un grande avvocato, totalmente dedita ai suoi clienti, nessuno dei quali può pagarla. Faccia un tentativo. Almeno parli con lei.» «La mia specializzazione è finanziare grattacieli a Manhattan. Non sono sicura di essere tagliata per il lavoro di Mattie, quale che sia.» «Imparerà in fretta, e il lavoro le piacerà perché le permetterà di aiutare persone che hanno bisogno di lei, persone con problemi veri.» L’istinto di Samantha le diceva: scappa! Ma dove, esattamente? Lo spirito di avventura la convinse almeno a rivedere la città. Se il suo avvocato era armato di pistola, quella non era già una misura di protezione? «Ci sto» disse. «Lo consideri come il pagamento della sua parcella.» «Okay, mi segua.» «Devo preoccuparmi per Romey?» «No, ho fatto due chiacchiere con lui. Così come suo cugino. Stia solo attaccata al mio paraurti.» Un rapido giro di Main Street rivelò sei isolati di edifici fine secolo, un quarto dei quali vuoti e con sbiaditi cartelli VENDESI fissati alle finestre. Lo studio di Donovan era a due piani con grandi finestre, un balcone che sporgeva sul marciapiede e il nome scritto in caratteri piccoli. Sul lato opposto della strada, a tre isolati di distanza, c’era il vecchio negozio di ferramenta, ora sede della Mountain Legal Aid Clinic. E all’estremità ovest c’era un piccolo e grazioso tribunale, sede della maggior parte delle autorità che governavano Noland County. Entrarono nel Brady Grill e si sedettero in un séparé quasi in fondo al locale. Passando accanto a un tavolo, tre uomini guardarono in cagnesco Donovan, il quale sembrò non badarci. Una cameriera servì il caffè. Samantha si piegò in avanti e disse a bassa voce: «Quei tre uomini... non sembrano trovarla molto simpatico. Li conosce?». Donovan lanciò un’occhiata sopra la spalla, annuì e rispose: «Io conosco tutti gli abitanti di Brady e credo che circa la metà mi odi ferocemente. Come dicevo, io faccio causa alle società del carbone, e da queste parti il carbone è il principale datore di lavoro. È il principale datore di lavoro in tutti gli Appalachi». «E perché fa causa a quelle società?» Donovan sorrise, bevve un sorso di caffè e diede un’occhiata all’orologio. «Potrebbe volerci un po’ di tempo.» «Non è che sia così impegnata.» «Be’, le società minerarie creano un sacco di problemi. Ce ne sono due o tre decenti, ma la maggior parte di loro non si preoccupa minimamente dell’ambiente o della salute dei propri dipendenti. Estrarre carbone è una faccenda sporca, lo è sempre stata. Ma oggi è molto peggio. Ha mai sentito parlare di rimozione della cima delle montagne?» «No.» «È un procedimento noto anche come strip mining. Qui da noi si è cominciato a estrarre carbone nell’Ottocento, in miniere sotterranee: scavavano gallerie nelle montagne ed estraevano il carbone. Da allora qui l’industria mineraria è stata un modo di vivere. Mio nonno era minatore, così come suo padre. Mio padre invece è un’altra storia. Comunque nel 1920 erano ottocentomila i minatori che lavoravano nei bacini carboniferi, dalla Pennsylvania giù fino al Tennessee. L’estrazione del carbone è un mestiere pericoloso e ha una lunga storia di problemi di lavoro, lotte sindacali, violenza, corruzione, ogni sorta di dramma. Parliamo sempre di estrazione in profondità, il metodo tradizionale. Un metodo che richiedeva parecchia mano d’opera. Intorno al 1970, le società decisero che potevano passare allo strip mining e risparmiare milioni in costi di mano d’opera. Le miniere a cielo aperto sono molto meno costose di quelle sotterranee perché richiedono un numero di minatori di gran lunga inferiore. Oggi non restano che ottantamila minatori, metà dei quali lavora nelle miniere a cielo aperto.» La cameriera passò accanto al tavolo e Donovan si interruppe per qualche istante. Bevve un sorso di caffè, si guardò intorno con aria indifferente, aspettò che la donna si allontanasse e poi riprese a parlare: «La rimozione della cima delle montagne non è altro che estrazione a cielo aperto portata alle estreme conseguenze. Negli Appalachi il carbone si trova in vene, un po’ come gli strati di una torta. In cima alla montagna c’è la foresta, poi c’è il soprassuolo, poi c’è uno strato di roccia e infine c’è il giacimento di carbone, che può avere uno spessore di un metro, ma anche di cinque o sei. Quando una società mineraria ottiene il permesso di strip mining, aggredisce letteralmente la montagna con ogni tipo di macchinario pesante. Prima di tutto abbatte gli alberi: totale deforestazione. Gli alberi vengono rimossi con i bulldozer e il terreno viene in pratica scotennato. Stessa cosa per lo strato del soprassuolo, che non è molto spesso. Poi c’è lo strato di roccia, che viene fatto saltare con gli esplosivi. Gli alberi, il terriccio e le rocce vengono spesso buttati nelle valli tra le montagne, creando quelli che vengono chiamati riempimenti delle valli, i quali a loro volta distruggono la vegetazione, la fauna selvatica e i corsi d’acqua naturali. Ennesimo disastro ambientale. Se vivi a valle, sei fottuto. E, come vedrà, da queste parti viviamo tutti a valle». «E tutto questo è legale?» «Sì e no. Lo strip mining è legale in virtù di una legge federale, ma il processo estrattivo vero e proprio comporta molte attività illegali. Abbiamo una lunga, brutta storia di legislatori e controllori troppo amici delle società minerarie. La realtà è sempre la stessa: le società se ne fregano completamente del territorio e della gente perché hanno i soldi e il potere.» «Tornando in argomento: eravamo arrivati al giacimento di carbone.» «Sì, ecco, appena trovano il carbone fanno arrivare altri macchinari, lo estraggono, lo portano via e poi procedono con le esplosioni fino al giacimento successivo. Non è insolito che rimuovano centocinquanta metri dalla cima di una montagna. L’operazione richiede un numero limitato di operai. In effetti, una squadra di poche persone può distruggere completamente una montagna nel giro di qualche mese.» La cameriera riempì di nuovo le tazze di caffè e Donovan osservò in silenzio, ignorandola del tutto. Quando la donna si fu allontanata, si sporse un po’ in avanti e disse: «Una volta portato via dai camion, il carbone viene lavato, e questo è un altro disastro. Il lavaggio del carbone produce una melma nera che contiene sostanze chimiche tossiche e metalli pesanti. Questa melma è conosciuta anche come fanghiglia, un termine che sentirà spesso. Dato che non può essere smaltita, le società carbonifere la stoccano in quelli che si definiscono bacini di fanghiglia, dietro pareti-dighe di terra. La loro progettazione e realizzazione lasciano molto a desiderare, di conseguenza le dighe non fanno che cedere di continuo, con risultati catastrofici». «Per quanto tempo la fanghiglia resta nei bacini?» Donovan si strinse nelle spalle e si guardò intorno. Non era nervoso o spaventato, semplicemente non voleva farsi sentire. Era calmo, eloquente, con il leggero accento nasale delle montagne; Samantha era affascinata, sia dal racconto che dagli occhi scuri. «Per sempre: nessuno se ne preoccupa. La tengono nel bacino finché la diga non cede e allora un’ondata di schifezze tossiche si riversa giù dalla montagna e arriva nelle case, nelle scuole e nelle città, distruggendo tutto. Lei sicuramente ricorderà il famoso disastro della Exxon Valdez, la superpetroliera che andò a incagliarsi in una scogliera in Alaska. Più di centotrenta milioni di litri di petrolio greggio sversati in acque incontaminate. Prima pagina su tutti i giornali per settimane e l’intero paese incazzato. Ricorda tutte quelle lontre coperte di melma nera? Ma scommetto che non ha mai sentito parlare dello sversamento di Martin County, il più grande disastro ambientale a est del Mississippi. È successo otto anni fa in Kentucky, quando le pareti di contenimento di un deposito di scorie hanno ceduto e un miliardo e trecentosessanta milioni di litri di fanghiglia si sono riversati a valle. Dieci volte più della Valdez, e per tutto il paese è stato un non evento. E sa perché?» «Okay, perché?» «Perché siamo negli Appalachi. Le società minerarie distruggono le nostre montagne, le città, la cultura e le vite umane, ma non fa notizia.» «Allora perché quei tizi la odiano tanto?» «Perché sono convinti che il grande affare del carbone sia una buona cosa. Dà lavoro, e da queste parti di lavoro ce n’è poco. Non sono cattive persone, sono solo male informate e mal guidate. La rimozione della cima delle montagne sta uccidendo le nostre comunità. Da sola ha cancellato decine di migliaia di posti di lavoro. La gente è costretta a lasciare le proprie case a causa delle esplosioni, delle polveri, della fanghiglia e delle inondazioni. Le strade non sono sicure per via di quei grossi camion che scendono a tutta velocità dalle montagne. Negli ultimi cinque anni ho intentato cinque cause per risarcimento danni da omicidio colposo, persone schiacciate da camion che trasportavano novanta tonnellate di carbone. Molte città sono semplicemente svanite nel nulla. Spesso le società minerarie acquistano le case circostanti il sito e le abbattono. Tutte le contee dell’area carbonifera hanno perso abitanti nel corso degli ultimi vent’anni. Eppure un sacco di persone, compresi i tre gentiluomini seduti là, pensano che pochi posti di lavoro siano meglio che nessun posto di lavoro.» «Se quelli sono gentiluomini, allora perché lei gira con una pistola?» «Perché si sa che alcune società minerarie si servono di gorilla. Parliamo di intimidazione, o anche peggio, e non è niente di nuovo. Senta, Samantha, io sono figlio del paese del carbone, un montanaro fiero di esserlo, e potrei raccontarle per ore episodi della sanguinosa storia di Big Coal.» «Teme veramente per la sua vita?» Donovan fece una pausa e distolse lo sguardo per un secondo. «Lo scorso anno a New York sono stati commessi circa mille omicidi. Lei teme per la sua vita?» «Non proprio.» Donovan sorrise, annuì e disse: «Per me è la stessa cosa. Abbiamo avuto tre omicidi l’anno scorso, tutti collegati alla metanfetamina. Bisogna solo stare attenti». Nella tasca gli vibrò il cellulare. Donovan lo estrasse, lesse il messaggio e annunciò: «È Mattie. È uscita dal tribunale, sta tornando in studio ed è pronta a incontrarla». «Un momento, come fa Mattie a sapere che sono con lei?» «Questa è una piccola città, Samantha.» 6 Camminarono lungo il marciapiede fino allo studio di Donovan, davanti al quale si salutarono stringendosi la mano. Samantha ringraziò il collega per l’attività gratuita in veste di suo legale e si complimentò per il lavoro ben fatto. Si promisero, nel caso lei avesse deciso di trattenersi in città per qualche mese, di pranzare insieme al Brady Grill, un giorno o l’altro. Mancavano pochi minuti alle diciassette quando Samantha si affrettò ad attraversare la strada, non sulle strisce pedonali e quasi aspettandosi di essere arrestata per questo. Guardò verso ovest, dove le montagne stavano già bloccando il sole del tardo pomeriggio. Le ombre consumavano la città, dandole un’atmosfera da inverno precoce. Samantha entrò nello stipato ingresso del centro di assistenza legale facendo tintinnare il campanello della porta. Una scrivania ingombra indicava che di solito in quella postazione c’era qualcuno che rispondeva al telefono e accoglieva i clienti, ma al momento l’area di ricevimento era deserta. Samantha si guardò intorno, aspettò, esaminò l’ambiente. La pianta dello studio era semplice: uno stretto corridoio si sviluppava al centro di quello che per decenni era stato l’indaffarato dominio del negozio di ferramenta. Tutto aveva l’aria, e dava la sensazione, di essere vecchio e molto usato. La pareti erano divisori imbiancati che non arrivavano al soffitto in pannelli di rame. I pavimenti erano coperti da una sottile moquette lisa. L’arredamento, per lo meno lì dove si trovava, era una collezione raccogliticcia di avanzi da mercatino dell’usato. Alle pareti, però, era appesa un’interessante serie di oli e pastelli di artisti locali, tutti in vendita a prezzi ragionevoli. Le opere d’arte. L’anno precedente tra i soci di Scully & Pershing era scoppiata una guerra a proposito della proposta di un arredatore di spendere due milioni di dollari per alcuni sconcertanti dipinti d’avanguardia da appendere nell’atrio principale dello studio. Alla fine l’arredatore era stato cacciato via, i quadri erano stati dimenticati e la somma era stata distribuita in bonus. A metà del corridoio si aprì una porta e comparve una donna bassa, un po’ tarchiata e scalza. «Immagino che lei sia Samantha» disse, andandole incontro. «Sono Mattie Wyatt. Ho saputo che le è stato riservato un benvenuto piuttosto scortese a Noland County. Mi dispiace davvero.» «Lieta di conoscerla» disse Samantha, osservando gli occhiali da lettura quadratie di un rosa acceso sulla punta del naso di Mattie. Il rosa degli occhiali riprendeva quello delle punte dei capelli, che erano corti, a ciuffi irti e decolorati in un bianco severo. Era uno stile che Samantha non aveva mai visto, ma che sembrava funzionare, almeno lì dentro. Naturalmente a Manhattan aveva visto look anche molto più bizzarri, ma mai su un avvocato. «Da questa parte» disse Mattie, indicando il proprio ufficio. Una volta entrate, chiuse la porta e aggiunse: «Immagino che quel pazzo di Romey dovrà fare del male a qualcuno perché lo sceriffo si decida a prendere una decisione. Mi dispiace molto. Si accomodi». «È tutto okay. Sto bene, e adesso ho una storia che sono sicura racconterò per molti anni.» «Questo è certo, e se resta da queste parti di storie ne collezionerà parecchie. Gradisce un caffè?» Mattie si lasciò cadere sulla sedia a dondolo dietro una scrivania che sembrava perfettamente organizzata. «No, grazie. Ho appena preso un caffè con suo nipote.» «Sì, naturalmente. Sono contenta che abbia conosciuto Donovan. È uno dei pochi svegli da queste parti. Sa, in pratica l’ho cresciuto io. Tragedia familiare e quello che ne consegue. Donovan è totalmente dedito al suo lavoro. Ed è anche abbastanza gradevole da guardare, non le pare?» «È simpatico» rispose cauta Samantha, restia a fare commenti sull’aspetto di Donovan e decisa a tenersi alla larga dalla sua tragedia familiare. «Comunque, eccoci qui. Domani dovrei incontrare un altro reietto di Wall Street, e con quello chiudo. Non ho molto tempo da perdere in colloqui, capisce. Oggi ho ricevuto altre quattro e-mail, ma ho smesso di rispondere. Vedrò quel tizio domani e poi il nostro consiglio di amministrazione si riunirà per scegliere il vincitore.» «Okay. Chi c’è nel consiglio?» «In pratica solo Donovan e io. Abbiamo un altro avvocato, Annette, e dovrebbe partecipare anche lei ai colloqui, ma è fuori città. Noi lavoriamo con celerità, senza tanta burocrazia. Se decidessimo di scegliere lei, quando potrebbe iniziare?» «Non saprei. Le cose stanno succedendo così in fretta.» «Pensavo che non fosse molto occupata in questi giorni.» «È vero. Immagino che potrei cominciare presto, ma vorrei avere un giorno o due per rifletterci su» disse Samantha, cercando di rilassarsi su una rigida sedia di legno che sembrava inclinarsi ogni volta che respirava. «Non sono proprio sicura.» «Okay, non c’è problema. Non è che un nuovo stagista faccia una grande differenza qui dentro. Sa, ne abbiamo già avuti in passato. In effetti tempo fa abbiamo avuto per un paio d’anni un soggetto molto in gamba: veniva dai campi carboniferi e aveva frequentato la scuola di legge a Stanford, poi è stato assunto in un grande studio di Philadelphia.» «Cosa faceva qui quell’avvocato?» «Era una donna, Evelyn, e si occupava di polmone nero e sicurezza in miniera. Grande lavoratrice, molto brillante, ma poi se n’è andata lasciandoci una montagna di pratiche aperte. Mi chiedo se oggi sia in mezzo a una strada anche lei. La situazione deve essere terribile da quelle parti.» «Lo è. Mi scusi se glielo dico, Ms Wyatt, ma...» «Chiamami Mattie.» «Okay, Mattie. Non mi sembri molto entusiasta all’idea di una stagista.» «Oh, scusa, mi dispiace. No, in realtà abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Come ti ho detto al telefono, qui non mancano i poveracci con problemi legali. Tutta gente che non può permettersi un avvocato. La disoccupazione è alta, l’uso della metanfetamina è anche più alto e le società minerarie si dimostrano brillanti quando si tratta di trovare nuovi metodi per fregare la gente. Credimi, mia cara, abbiamo bisogno di qualsiasi aiuto riusciamo a trovare.» «Cosa dovrei fare?» «Di tutto. Da rispondere al telefono ad aprire la posta, a depositare gli atti per cause federali. Il tuo curriculum dice che sei abilitata sia in Virginia che nello Stato di New York.» «Dopo la scuola di legge ho fatto l’assistente di un giudice a Washington e ho superato l’esame di ammissione all’ordine in Virginia.» «Hai mai visto un’aula di tribunale negli ultimi tre anni?» «No.» Mattie esitò per un istante, come se l’informazione potesse rappresentare la fine della trattativa. «Be’, immagino che sia una fortuna, in un certo senso. E immagino anche che tu non sia mai stata neppure in prigione, vero?» «Non prima di oggi pomeriggio.» «Ah, giusto. Di nuovo scusa per quello che ti è successo. Imparerai in fretta. Che tipo di lavoro facevi a New York?» Samantha fece un respiro profondo e pensò a come evitare la domanda pur dicendo la verità. La fantasia non le venne in soccorso e rispose: «Ero negli immobili commerciali, roba abbastanza noiosa, in realtà. Anzi, incredibilmente noiosa. Rappresentavamo un branco di odiosi ricconi che costruiscono grattacieli su e giù lungo la Costa orientale, soprattutto a New York. Come associata di medio livello, di solito passavo il mio tempo a revisionare gli accordi finanziari con le banche, contratti voluminosi che dovevano essere preparati e corretti da qualcuno». Da sopra gli occhiali quadrati rosa, gli occhi di Mattie offrirono un’espressione di pura pietà. «Sembra orribile.» «Lo era. Lo è ancora, credo.» «Ti senti sollevata adesso che sei lontana da quella roba?» «Se devo essere sincera, Mattie, non so come mi sento. Un mese fa arrancavo come tutti nella corsa dei topi, sgomitando e prendendo gomitate per correre verso qualcosa, qualcosa che non riesco neppure a ricordare. Fuori si stavano addensando nubi scure, ma noi eravamo troppo occupati per accorgercene. Poi Lehman è crollata e per due settimane ho avuto paura della mia stessa ombra. Lavoravamo ancora più sodo, nella speranza che qualcuno se ne accorgesse, nella speranza che cento ore la settimana potessero salvarci, se novanta ore non bastavano. Poi all’improvviso è finita e siamo stati buttati tutti per strada. Niente liquidazione, niente di niente, se non qualche promessa che dubito qualcuno possa mantenere.» Mattie sembrava sul punto di piangere. «Torneresti là?» «In questo momento non lo so. Non credo. Il lavoro non mi piaceva, non mi piaceva la maggior parte della gente dello studio e di sicuro non mi piacevano i clienti. Tristemente, la maggior parte degli avvocati che conosco prova le stesse sensazioni.» «Bene, mia cara, qui alla Legal Aid Clinic noi amiamo i nostri clienti e loro amano noi.» «Sono sicura che sono molto migliori di quelli con cui avevo a che fare io.» Mattie diede un’occhiata all’orologio, un quadrante giallo vivo assicurato al polso da un cinturino in vinile verde, e domandò: «Che programmi hai?». Samantha si strinse nelle spalle e scosse la testa. «Non ci ho ancora pensato.» «Be’, di sicuro non puoi tornare a Washington in macchina questa sera.» «Romey fa anche il turno di notte? Le strade sono sicure?» Mattie ridacchiò e disse: «Le strade sono insidiose. Non puoi andare. Cominciamo con la cena e poi vediamo». «No, sul serio, io non posso...» «Sciocchezze. Samantha, sei negli Appalachi, in mezzo alle montagne, e noi non cacciamo via gli ospiti all’ora di cena. Casa mia è proprio dietro l’angolo e mio marito è un cuoco eccellente. Ci beviamo un drink in veranda e facciamo due chiacchiere. Ti racconterò tutto quello che hai bisogno di sapere di Brady.» Mattie trovò le scarpe e chiuse lo studio. Disse che la Prius era al sicuro dove si trovava, parcheggiata in Main Street. «Io vado al lavoro a piedi» continuò. «È più o meno tutta la mia attività fisica.» I negozi e gli uffici erano chiusi. I due caffè stavano servendo le prime cene a clientele poco numerose. Mattie e Samantha camminarono in salita sul fianco di una collina, passando accanto a bambini sui marciapiedi e a gente seduta in veranda. Dopo due isolati voltarono in Third Street, una strada alberata con una fila di ordinate case fine secolo in mattoni rossi, quasi tutte identiche, con le verande bianche e i tetti a due spioventi. Samantha avrebbe voluto mettersi in viaggio e raggiungere velocemente Abingdon, dove allo svincolo aveva notato diversi motel di note catene. Ma non c’era modo di rifiutare con gentilezza l’ospitalità di Mattie. Chester Wyatt stava leggendo il giornale su una sedia a dondolo di vimini, quando venne presentato a Samantha. «Le ho detto che sei un ottimo cuoco» lo informò Mattie. «Immagino significhi che devo preparare io la cena» disse Chester con un sorriso. «Benvenuta.» «E sta morendo di fame» aggiunse Mattie. «Cosa ti andrebbe?» chiese Chester. «Mi va bene tutto» rispose Samantha. «Cosa ne dite di pollo al forno con riso alla messicana?» propose Mattie. «Proprio quello che stavo pensando» confermò Chester. «Prima ci facciamo un bicchiere di vino?» Sorseggiarono vino rosso per un’ora, mentre l’oscurità calava intorno a loro. Samantha ci andava piano, attenta a non bere troppo perché preoccupata del viaggio in auto per andarsene da Noland County. Brady sembrava non avere né hotel né motel e, considerando l’aspetto decadente della città, Samantha dubitava di poter trovare una camera decente da qualche parte. Chiacchierando, sondò educatamente i padroni di casa e venne a sapere che i Wyatt avevano due figli adulti i quali, dopo il college, erano scappati dalla regione. C’erano anche tre nipotini, che Mattie e il marito vedevano di rado. Donovan era come un figlio per loro. Chester era un dipendente delle poste in pensione che per decenni aveva consegnato lettere in zone rurali e conosceva tutti. Adesso faceva volontariato in un gruppo ambientalista che sorvegliava le miniere a cielo aperto e sporgeva denunce contro decine di enti burocratici. Suo padre e suo nonno erano stati minatori. Il padre di Mattie aveva lavorato nelle miniere di carbone sotterranee per trent’anni e poi era morto a sessantun anni a causa del polmone nero. «Adesso io ho sessantun anni» osservò Mattie. «È stato orribile.» Mentre le donne chiacchieravano, Chester andava avanti e indietro dalla cucina, controllando la cottura del pollo e versando vino. Durante un’assenza del marito, Mattie disse: «Non preoccuparti, cara, abbiamo una camera per gli ospiti». «No, davvero, io...» «Per favore, insisto. In città non c’è una sola stanza decente, credimi. Solo un paio di alberghi a ore, ma anche loro stanno per chiudere. Una cosa triste, immagino. Una volta la gente ci andava di nascosto per un po’ di sesso illecito, adesso invece le persone vanno a vivere insieme e giocano alla famiglia.» «Quindi si fa sesso da queste parti?» domandò Samantha. «Spero proprio di sì. Mia madre ha avuto sette figli, la madre di Chester sei. Non c’è molto altro da fare qui. E in questo periodo dell’anno, settembre e ottobre, i neonati saltano fuori come conigli.» «Come mai?» «Grandi manovre subito dopo Natale.» Chester varcò la porta a zanzariera e chiese: «Di cosa state parlando?». «Di sesso» rispose Mattie. «Samantha è sorpresa che qui la gente faccia sesso.» «Qualcuno lo fa» confermò Chester. «Così ho sentito» disse Mattie con un sorriso. «Non ho sollevato io l’argomento» si schermì Samantha sulla difensiva. «Mattie ha parlato di una camera per gli ospiti.» «Sì, ed è tutta tua. Ricordati solo di chiudere la porta a chiave e non ci saranno problemi» scherzò Chester, scomparendo dentro casa. «È innocuo, credimi» sussurrò Mattie. Donovan passò per un saluto e fortunatamente si perse quella parte della conversazione. Abitava “fuori città, in montagna” e stava andando a casa dopo il lavoro. Declinò l’offerta di vino e se ne andò dopo un quarto d’ora. Sembrava distratto e disse che era stanco. «Poverino» commentò subito dopo Mattie. «Lui e sua moglie si sono separati, lei è tornata a Roanoke con la figlia, una bambina di cinque anni che è forse la creatura più carina che ti possa capitare di vedere. Sua moglie, Judy, non si è mai adattata alla vita qui e a un certo punto non ce l’ha più fatta. Io non la vedo bene per quei due. E tu, Chester?» «No davvero. Judy è una persona meravigliosa, ma qui non è mai stata felice. E poi, quando sono cominciati i guai, è crollata. È stato allora che se n’è andata.» La parola “guai” aleggiò nell’aria per qualche secondo e nessuno dei due Wyatt decise di approfondire l’argomento. Poi Chester annunciò: «La cena è pronta». Samantha seguì i padroni di casa in cucina, dove la tavola era stata apparecchiata per tre. Chester servì direttamente dal forno: pollo al vapore con riso e panini fatti in casa. Mattie posò una ciotola d’insalata al centro del tavolo e versò l’acqua da una grande caraffa di plastica. Evidentemente era già stato servito abbastanza vino. «Ha un profumo delizioso» osservò Samantha, scostando una sedia dal tavolo e mettendosi a sedere. «Serviti l’insalata» la invitò Mattie mentre imburrava un panino. Cominciarono a mangiare e per un momento la conversazione languì. Samantha avrebbe voluto mantenerla su argomenti riguardanti i Wyatt, non lei, ma prima che potesse proporli, Chester disse: «Parlaci della tua famiglia, Samantha». Lei sorrise e poi rispose con gentilezza: «Be’, non c’è molto da raccontare». «Oh, ti aiutiamo noi» intervenne Mattie con una risata. «Sei cresciuta a Washington, giusto? Deve essere stato interessante.» Samantha si limitò ai punti principali: figlia unica di due ambiziosi avvocati, educazione privilegiata, scuole private, studentessa a Georgetown, i problemi di suo padre, la condanna e la detenzione, l’umiliazione della caduta e della perdita di potere, ampiamente riportata dai media. «Mi sembra di ricordare la storia» disse Chester. «Era su tutti i giornali.» Samantha descrisse le sue visite in prigione, una cosa che il padre aveva sempre scoraggiato. Il dolore del divorzio, il desiderio di andarsene da Washington, lontano dai genitori, la scuola di legge alla Columbia, l’impiego federale, la seduzione di Big Law e i tre anni da Scully & Pershing, tutt’altro che piacevoli. Amava Manhattan e non riusciva a immaginare di vivere da nessun’altra parte, ma ora il suo mondo si era capovolto e, insomma, non c’era nulla di certo nel suo futuro. Mentre lei parlava, i Wyatt la osservavano attenti e assorbivano ogni parola. Quando ebbe detto abbastanza, addentò un boccone di pollo e si ripromise di masticarlo a lungo. «Di certo un modo brutale di trattare la gente» osservò Chester. «Dipendenti fidati buttati per strada» disse Mattie, scuotendo la testa per l’incredulità e la disapprovazione. Samantha annuì e continuò a masticare. Non aveva bisogno che glielo ricordassero. Mentre Chester versava l’acqua, chiese: «Bevete solo acqua in bottiglia?». Per qualche ragione la domanda venne ritenuta divertente. «Oh, sì» rispose Mattie. «Nessuno beve l’acqua di qui. I nostri impavidi amministratori ci assicurano che si può fare in tutta sicurezza, ma nessuno ci crede. Con quella dell’acquedotto ci laviamo, laviamo piatti e stoviglie, facciamo il bucato. Qualcuno la usa anche per lavarsi i denti, ma non io.» «Molti dei nostri torrenti, fiumi e pozzi sono stati inquinati dalle miniere a cielo aperto» disse Chester. «I corsi d’acqua di sorgente sono stati sotterrati dai riempimenti delle valli. Le fuoriuscite dai bacini di fanghiglia avvelenano le falde. Bruciare carbone produce tonnellate di cenere, che le società scaricano nei nostri fiumi. Per cui, Samantha, fammi il favore di non bere l’acqua del rubinetto.» «Ho capito.» «È una delle ragioni per cui beviamo così tanto vino» disse Mattie. «Anzi, credo che me ne farò un altro po’, Chester, se non ti dispiace.» Chester, il quale evidentemente era sia lo chef che il barista, non esitò ad afferrare una bottiglia dal ripiano della cucina. Dato che non avrebbe guidato, Samantha accettò un altro bicchiere. Quasi all’istante, il vino sembrò innescare Mattie, che cominciò a parlare della sua carriera e del centro di assistenza legale che aveva fondato ventisei anni prima. Mentre lei parlava, Samantha la stimolò con un certo numero di domande, anche se Mattie non aveva bisogno di essere sollecitata. Il calore della cucina accogliente, il persistente aroma del pollo, il sapore del cibo casalingo, l’euforia dovuta al vino, la cordialità di due persone estremamente ospitali e la promessa di un letto caldo si fusero in un tutto unico a metà della cena, e Samantha si rilassò davvero per la prima volta da mesi. In città non riusciva mai ad allentare la tensione, ogni momento di ozio era monitorato dall’orologio. Non dormiva da tre settimane. Entrambi i suoi genitori la irritavano. Le sei ore d’auto erano state per lo più snervanti. Poi c’era stato l’episodio con Romey. Finalmente Samantha sentiva la pesantezza abbandonare le sue spalle. All’improvviso aveva fame. Si servì altro pollo, cosa che fece un enorme piacere ai padroni di casa. «Prima, in veranda, mentre parlavamo di Donovan, avete accennato ai “guai”. È un argomento off-limits?» I Wyatt si guardarono e poi si strinsero entrambi nelle spalle. Lo loro, dopo tutto, era una piccola cittadina ed erano ben poche le cose off-limits. Chester cedette subito il passo e si versò altro vino. Mattie allontanò il proprio piatto. «Ha avuto una vita tragica, Donovan.» «Se è troppo personale, possiamo lasciar perdere» disse Samantha, ma solo per cortesia. Voleva lo scoop. Mattie tirò dritto. Lasciò perdere l’offerta di Samantha e proseguì. «È una storia risaputa, non c’è niente di segreto» dichiarò, spazzando via qualunque ostacolo alle confidenze. «Donovan è figlio di mia sorella Rose, la mia defunta sorella, purtroppo. È morta quando lui aveva sedici anni.» «È una lunga storia» aggiunse Chester, come se la vicenda comportasse troppe cose per poterla spiegare tutta adeguatamente. Mattie lo ignorò. «Il padre di Donovan è un uomo di nome Webster Gray, che ancora vive da qualche parte. Aveva ereditato centoventi ettari qui vicino, a Curry County. La proprietà era della famiglia Gray da sempre, fin dai primi dell’Ottocento. Bel terreno, colline e montagne, torrenti e valli. Tutto splendido e incontaminato. È lì che Donovan e suo fratello Jeff sono nati e cresciuti. Il padre e il nonno, Curtis Gray, hanno cominciato a portare i ragazzi nei boschi appena sono stati in grado di camminare: a caccia, a pesca, in esplorazione. Come tanti ragazzini degli Appalachi, Donovan e Jeff sono cresciuti a contatto con la terra. Qui da noi c’è tanta bellezza naturale, o quello che ne resta, ma la proprietà Gray era qualcosa di speciale. Dopo che Rose sposò Webster, andavamo sempre là per i picnic e le riunioni di famiglia. Rivedo ancora Donovan, Jeff, i miei figli e tutti i cugini nuotare nel Crooked Creek, vicino al nostro posto preferito per il camping.» Una pausa, un attento sorso di vino. «Curtis morì nel 1980, mi pare, e Webster ereditò la proprietà. Curtis era un minatore che aveva lavorato nelle miniere sotterranee, un sindacalista tosto e orgoglioso di esserlo, come la maggior parte degli anziani di qui. Ma non aveva mai voluto che Webster lavorasse in miniera. Webster, come poi risultò, non era interessato a nessun tipo di lavoro e non faceva che saltare da un impiego all’altro, senza mai concludere molto. La famiglia era in difficoltà e il matrimonio con Rose cominciò a traballare. Webster iniziò anche a bere e questo causò altri problemi. Una volta finì in prigione sei mesi per ricettazione e la famiglia per poco non morì di fame. Noi eravamo seriamente preoccupati per loro.» «Webster non era una brava persona» commentò Chester, riaffermando l’ovvio. «Il punto più alto della proprietà era Gray Mountain: novecento metri e pieno di alberi. Le società minerarie sanno dove se ne sta sepolto ogni singolo chilo di carbone negli Appalachi; hanno fatto i rilievi geologici decenni fa. E non era un segreto che Gray Mountain avesse alcuni dei giacimenti più ricchi di questa zona. Nel corso degli anni, Webster aveva accennato all’idea di affittare parte dei suoi terreni alle società minerarie, ma noi non gli credevamo. Lo strip mining era già cominciato e suscitava molta preoccupazione.» «Niente di paragonabile a oggi, comunque» precisò Chester. «Oh, no, niente a paragone di oggi. Insomma, senza dire niente alla sua famiglia, Webster firmò un contratto di affitto con una società di Richmond, la Vayden Coal, per una miniera a cielo aperto a Gray Mountain.» «Non mi piace la definizione “miniera a cielo aperto”» disse Chester. «Suona troppo legale. Non è altro che strip mining.» «Webster fu molto attento, insomma, quell’uomo non era uno stupido. Vide la cosa come la sua possibilità di fare soldi veri e si trovò un buon avvocato per redigere il contratto. Webster avrebbe incassato due dollari per ogni tonnellata di carbone, che a quel tempo era molto di più di quello che prendevano altri. Il giorno prima che si presentassero i bulldozer, Webster finalmente disse a Rose e ai ragazzi cosa aveva fatto. Indorò la pillola, assicurando che la società mineraria sarebbe stata tenuta sotto stretto controllo dagli amministratori pubblici e dagli avvocati, che il terreno sarebbe stato bonificato e ripristinato una volta estratto il carbone e che i tanti soldi avrebbero più che compensato i piccoli problemi a breve termine. Quella sera Rose mi telefonò in lacrime. Qui da noi chi vende la proprietà alle società minerarie non è tenuto in grande considerazione e mia sorella era terrorizzata all’idea di quello che i suoi vicini avrebbero pensato. Era anche preoccupata per la tenuta. Mi disse che Webster e Donovan erano in aperto conflitto, che la situazione era terribile. E quello era solo l’inizio. La mattina dopo un piccolo esercito di bulldozer si inerpicò fino in cima a Gray Mountain e diede inizio a...» «Allo stupro del territorio» concluse Chester, scuotendo la testa. «Sì, e non solo. Abbatterono la foresta, rasa al suolo, e buttarono migliaia di alberi nella valle sottostante. Quindi rimossero il soprassuolo e lo buttarono di sotto, sopra gli alberi. Poi, quando cominciarono le esplosioni, si scatenò l’inferno.» Mattie bevve un sorso di vino e fu Chester a continuare il racconto. «I Gray vivevano in una vecchia casa meravigliosa giù nella valle, vicino al Crooked Creek. Apparteneva alla famiglia da decenni, penso che il padre di Curtis l’avesse costruita ai primi del Novecento. Le fondamenta erano di pietra e poco tempo dopo le pietre cominciarono a spaccarsi. Webster fece il diavolo a quattro con la società mineraria, ma fu una perdita di tempo.» Intervenne di nuovo Mattie. «La polvere era terribile, come una nebbia sulle valli intorno alla montagna. Rose era fuori di sé e io andavo spesso da lei. La terra tremava parecchie volte al giorno quando c’erano le esplosioni. La casa cominciò a inclinarsi, le porte non si chiudevano più. Inutile dire che fu un incubo per la famiglia, e per il matrimonio. Dopo che la Vayden ebbe rimosso la cima della montagna, quasi cento metri, trovarono il primo giacimento, e quando cominciarono a portare via il carbone, Webster sollecitò i suoi soldi. La società prese tempo, poi finalmente effettuò uno o due pagamenti. Non andavano neppure vicino a quello che Webster si aspettava. Fece intervenire i suoi avvocati e questo irritò sul serio la società mineraria. La guerra era iniziata e tutti sapevano chi avrebbe vinto.» Chester, che stava scuotendo la testa ripensando a quell’incubo, disse: «Il torrente scomparve, sepolto e soffocato dal riempimento della valle. È questo che succede. Negli ultimi vent’anni abbiamo perso quasi duemila chilometri di sorgenti negli Appalachi. Orribile». «Rose alla fine se ne andò di casa» riprese Mattie. «Lei e i ragazzi vennero a stare con noi, ma Webster si rifiutò di andarsene. Beveva e si comportava come un pazzo. Se ne stava seduto in veranda con il suo fucile da caccia e sfidava chiunque della società ad avvicinarsi. Rose era preoccupata per lui, così lei e i ragazzi tornarono a casa. Webster promise di riparare l’abitazione e sistemare tutto appena fossero arrivati i soldi. Presentò esposti alle autorità locali e intentò causa alla Vayden, ma in tribunale lo bloccarono. È difficile battere una società mineraria.» «L’acqua del pozzo di casa era contaminata dallo zolfo» disse Chester. «L’aria era sempre densa di polvere a causa delle esplosioni e dei camion del carbone. Non era un posto sicuro, così Rose se ne andò di nuovo. Lei e i ragazzi rimasero per qualche settimana in un motel, quindi tornarono da noi e poi si spostarono da qualche altra parte. La faccenda durò più o meno un anno, vero, Mattie?» «Come minimo. Intanto la montagna continuava a rimpicciolirsi a mano a mano che passavano da un giacimento a quello sottostante. Vederla scomparire faceva stare male. Il prezzo del carbone era alto, per cui quelli della Vayden estraevano come matti, sette giorni la settimana con tutti i macchinari e i camion disponibili. Un giorno Webster ricevette un assegno di trentamila dollari. Il suo avvocato lo rispedì al mittente con un reclamo rabbioso. Quello fu l’ultimo assegno.» «All’improvviso tutto finì» disse Chester. «Il prezzo del carbone crollò vertiginosamente e la Vayden scomparve dalla sera alla mattina. L’avvocato di Webster presentò un conto di quattrocentomila dollari, unitamente a un’altra citazione in giudizio. Circa un mese dopo la Vayden depositò un’istanza di fallimento e scomparve dalla scena. Si ristrutturò creando una nuova società, che è tuttora in giro. Di proprietà di qualche miliardario di New York.» «Quindi la famiglia non ne ricavò nulla?» domandò Samantha. «Non molto» rispose Mattie. «Qualche piccola somma all’inizio, ma solo una frazione di ciò che prevedeva il contratto.» «È uno dei trucchi preferiti dalle società minerarie» disse Chester. «Estraggono il carbone e poi dichiarano bancarotta per evitare i pagamenti e gli obblighi di risanamento ambientale. Ma prima o poi rispuntano fuori. Stessi orrendi personaggi, ma nome e logo nuovi.» «È disgustoso» commentò Samantha. «No, è la legge.» «Cosa successe alla famiglia?» Chester e Mattie si scambiarono una lunga occhiata triste. «Racconta tu, Chester» disse Mattie, e bevve un sorso di vino. «Non molto tempo dopo la partenza della Vayden, ci furono grandi piogge, e un’alluvione. Se fiumi e torrenti sono bloccati e sepolti, l’acqua devia lungo altri percorsi. Le alluvioni sono un problema enorme, a dir poco. Una valanga di fango, alberi e terriccio si riversò nella valle e spazzò via la casa dei Gray: distrutta, e i detriti sparpagliati per chilometri a valle. Fortunatamente non c’era nessuno, la casa a quel punto era già inabitabile e neppure Webster osava starci. Un’altra causa legale, un’altra perdita di tempo e di denaro. Le leggi sulla bancarotta sono come il Teflon. Poi, in una giornata di sole, Rose salì in auto, andò a casa e trovò qualche pietra delle fondamenta. Scelse il posto giusto e si suicidò.» Samantha emise un gemito, si passò una mano sulla fronte e mormorò: «Oh, no». «Webster scomparve, per sempre. Le ultime voci che abbiamo sentito su di lui lo davano in Montana, a fare chissà cosa. Jeff andò a vivere con un’altra zia e Donovan rimase qui con noi fino al diploma del liceo. Ha fatto tre diversi lavori per mantenersi al college. Al momento della laurea sapeva esattamente cosa voleva fare: diventare avvocato e passare il resto della vita a combattere le società del carbone. Lo abbiamo aiutato noi durante la scuola di legge. Mattie poi lo ha preso a lavorare al centro e qualche anno dopo Donovan ha aperto uno studio suo. Ha intentato centinaia di cause e ha attaccato ogni società mineraria che abbia anche solo pensato di attivare una strip mine. È implacabile e non ha paura di niente.» «Ed è brillante» aggiunse orgogliosamente Mattie. «Lo è senz’altro» confermò Chester. «Vince?» I Wyatt tacquero e si scambiarono un’occhiata incerta. Poi Mattie rispose: «Sì e no. È dura combattere le società minerarie in tribunale. Quella è gente senza scrupoli. Mentono, barano, insabbiano e assumono grandi studi legali come il tuo per fare muro contro chiunque li denunci. Donovan vince e perde, ma è sempre all’attacco». «E naturalmente lo odiano» aggiunse Chester. «Oh, sì, questo è certo. Ho detto che Donovan è implacabile, giusto? Non segue sempre le regole. Lui accusa le società minerarie di piegare le regole della procedura legale, e di conseguenza è costretto a fare lo stesso.» «Ed è stato questo a causare i “guai”?» chiese Samantha. Fu Mattie a rispondere. «Proprio così. Cinque anni fa a Madison County, West Virginia, a circa centocinquanta chilometri da qui, una diga cedette e un muro di fanghiglia si riversò a valle e sulla cittadina di Prentiss. Quattro persone morirono e praticamente tutte le case andarono distrutte, un vero disastro. Donovan accettò il caso, fece squadra con altri avvocati ambientalisti in West Virginia e intentò una grossa causa federale. Si ritrovò con la foto sui giornali, i giornalisti sotto casa e probabilmente parlò troppo. Tra le altre cose, definì la controparte come “la più sudicia società di tutta l’America”. Fu allora che iniziò la persecuzione. Telefonate anonime. Lettere minatorie. Brutti ceffi nell’ombra. Cominciarono a seguirlo. Cosa che continuano a fare.» «Donovan è pedinato?» domandò Samantha. «Oh, sì» confermò Mattie. «Allora è per questo che va in giro con una pistola.» «Pistole, al plurale. E sa anche come usarle» precisò Chester. «Siete preoccupati per lui?» Chester e Mattie trattennero a stento una risatina. Chester disse: «Non proprio. Donovan sa quello che fa e sa badare a se stesso». «Cosa ne dite di una tazza di caffè in veranda?» propose Mattie. «Certo, ci penso io» si offrì Chester, alzandosi da tavola. Samantha seguì Mattie e si accomodò sulla sedia a dondolo. L’aria era quasi troppo fresca per stare fuori. La strada era silenziosa, molte case erano già buie. Incoraggiata dal vino, Samantha chiese: «Come andò la causa?». «Si è conclusa l’anno scorso. Una accordo confidenziale che è ancora segreto.» «Ma se la causa è conclusa, perché lo seguono ancora?» «Perché Donovan è il loro nemico numero uno. Gioca sporco quando deve farlo, e le società minerarie lo sanno.» Chester si presentò con il vassoio del caffè, decaffeinato, e poi andò a lavare i piatti. Dopo pochi sorsi, e pochi minuti di dolce dondolio, Samantha stava quasi per appisolarsi. «Ho una piccola borsa per la notte in macchina. Devo andare a prenderla.» «Vengo con te» si offrì Mattie. «Non ci seguiranno, vero?» «No, mia cara, noi non siamo una minaccia.» Le due donne scomparvero nel buio. 7 I due signori alla sua destra bevevano whiskey e discutevano febbrilmente di come salvare Fannie Mae, la Federal National Mortgage Association. I tre alla sua sinistra a quanto pareva lavoravano al Tesoro, che sembrava essere l’epicentro del collasso, e continuavano a buttare giù martini, gentile omaggio dei contribuenti. In tutto il bar del Bistro Venezia non si parlava d’altro che della fine dei tempi. Uno spaccone alle sue spalle stava riferendo, a tutto volume, la conversazione che aveva avuto proprio quel pomeriggio con un esperto consulente della campagna McCain/Palin, sul quale aveva scaricato un’ondata di validi consigli che, temeva, sarebbero stati del tutto ignorati. Due baristi si dolevano per il crollo del mercato azionario, quasi stessero perdendo milioni. Qualcuno azzardò previsioni sull’operato della Fed. Bush veniva consigliato male. Obama stava crescendo nei sondaggi. Goldman aveva bisogno di denaro fresco. Gli ordinativi delle industrie cinesi erano crollati in maniera drammatica. Al centro della tempesta, Samantha sorseggiava una bibita dietetica e aspettava suo padre, che era in ritardo. Le venne in mente che nessuno a Brady le era sembrato neppure remotamente consapevole del fatto che il mondo era sull’orlo di una catastrofica depressione. Forse le montagne proteggevano la cittadina, tenendola isolata e al sicuro. O forse la vita a Brady era depressa da così tanto tempo che un crollo in più non aveva molta importanza. Il cellulare vibrò e Samantha lo estrasse dalla tasca. Era Mattie Wyatt. «Samantha, com’è andato il viaggio?» «Bene, grazie. Sono a Washington adesso.» «Ottimo. Senti, il consiglio si è appena riunito e ha votato all’unanimità per offrire a te il posto di stagista. Oggi pomeriggio ho parlato con l’altro candidato, un ragazzo piuttosto nervoso che viene dal tuo stesso studio: non ci interessa. Mi ha dato l’impressione di essere solo di passaggio, probabilmente è saltato in macchina e ha continuato a guidare verso un posto qualsiasi lontano da New York. Non scommetterei sul suo equilibrio. Comunque, Donovan e io non abbiamo visto molto potenziale in lui e gli abbiamo detto subito di no. Tu quando puoi cominciare?» «Il candidato ha incontrato Romey?» Mattie ridacchiò e rispose: «Non credo». «Devo andare a New York a prendere alcune cose. Sarò da te lunedì.» «Eccellente. Chiamami tra un giorno o due.» «Grazie, Mattie. Ho voglia di cominciare.» Vide suo padre dall’altro lato della sala e si allontanò dal bar. Una hostess li guidò a un tavolo d’angolo e consegnò i menu. Il ristorante era affollatissimo e chiacchiere nervose rimbombavano da ogni direzione. Un minuto dopo, un direttore di sala in smoking si avvicinò e annunciò in tono grave: «Sono davvero spiacente, ma abbiamo bisogno di questo tavolo». Marshall reagì seccato: «Prego?». «Per favore, signore. Abbiamo un altro tavolo per voi.» In quel momento un corteo di SUV neri si fermò in N Street davanti al ristorante. Gli sportelli si spalancarono e un esercito di agenti si rovesciò sul marciapiede. Samantha e Marshall si allontanarono dal tavolo, osservando, come tutti, il circo all’esterno. Spettacoli del genere erano comuni a Washington e in quel momento tutti stavano formulando ipotesi. Che fosse il presidente? Dick Cheney? Con quale pezzo grosso potremo dire di avere cenato? Finalmente emerse il VIP , che venne scortato all’interno del locale dove i clienti, improvvisamente immobili, aspettavano a bocca aperta. «Chi accidenti è quello?» domandò qualcuno. «Mai visto prima.» «Oh, credo che sia quell’israeliano, l’ambasciatore.» Dal ristorante si alzò un notevole flusso d’aria appena gli avventori si resero conto che tutta quella scena era per una celebrità di secondo piano. Anche se del tutto ignoto, il VIP era evidentemente un potenziale bersaglio. Il suo tavolo – l’ex tavolo dei Kofer – venne spinto in un angolo e protetto con divisori materializzati dal nulla. Ogni ristorante serio di Washington ha in magazzino divisori di piombo, giusto? Il VIP si sedette con la sua compagna e cercò di assumere un’aria normale, il tipico uomo medio uscito a cena per un boccone veloce. Nel frattempo i suoi gorilla armati pattugliavano il marciapiede e sorvegliavano N Street per bloccare eventuali attentatori suicidi. Marshall maledisse il direttore del ristorante e disse alla figlia: «Andiamocene di qui. A volte odio questa città». Camminarono per tre isolati lungo Wisconsin Avenue e trovarono un pub trascurato dai jihadisti. Samantha ordinò un’altra bibita dietetica e Marshall una doppia vodka. «Allora, cos’è successo laggiù?» Al telefono aveva già fatto il quarto grado a Samantha, che però aveva voluto tenere da parte la sua storia per una conversazione faccia a faccia. Sorrise e cominciò con Romey. A metà del racconto, si accorse di quanto si stesse godendo l’avventura. Marshall era incredulo e voleva fare causa a qualcuno, ma si calmò dopo qualche sorso di vodka. Ordinarono pizza, e Samantha descrisse la cena con Mattie e Chester. «Non vorrai sul serio andare a lavorare là, vero?» disse Marshall. «Ho ottenuto il posto. Proverò per qualche mese. Se mi annoio, torno a New York e vado a vendere scarpe da Barneys.» «Non hai bisogno di vendere scarpe e non hai bisogno di fare assistenza legale gratuita. Quanto hai in banca?» «Abbastanza da sopravvivere. Tu quanto hai in banca?» Marshall aggrottò la fronte e ordinò un altro drink. Samantha insistette: «Parecchio, vero? La mamma è convinta che tu abbia nascosto miliardi offshore e che l’abbia fregata nel divorzio. È così?». «No, non è vero. Ma anche se fosse, pensi che lo ammetterei?» «No, mai. Negare, negare, negare: non è la prima regola dell’avvocato penalista?» «Non saprei. E comunque, io ho ammesso i miei reati e mi sono dichiarato colpevole. Cosa ne sai tu di diritto penale?» «Niente, ma sto imparando. Tanto per cominciare, sono stata arrestata.» «Be’, io anche, e non lo augurerei a nessuno. Se non altro, tu hai evitato le manette. Cos’altro dice tua madre di me?» «Niente di buono. Da qualche parte in fondo al mio cervello sovraffaticato c’è questa fantasia di noi tre seduti per una bella cena in un ristorante delizioso. Non come una famiglia, Dio non voglia, ma come tre adulti che potrebbero forse avere un paio di cose in comune.» «Io ci sto.» «Ma la mamma no. Troppo rancore.» «Come siamo finiti a parlare di questo argomento?» «Non lo so. Scusami. Hai mai fatto causa a una società mineraria?» Marshall fece tintinnare i cubetti di ghiaccio nel bicchiere e rifletté per un secondo. Aveva intentato causa a così tante società importanti... «No, non credo» ammise tristemente. «La mia specialità erano i disastri aerei, ma Frank, uno dei miei soci, una volta è stato coinvolto in una causa relativa al carbone. Un disastro ambientale per quelle schifezze che tengono nei bacini. Frank non ne parla molto, e questo probabilmente significa che ha perso.» «La schifezza si chiama melma, o fanghiglia, scegli tu. Si tratta di scorie tossiche, sottoprodotti del processo di lavaggio del carbone. Le società le stoccano dietro dighe di terra dove restano a marcire per anni, infiltrandosi nel terreno e contaminando l’acqua potabile.» «Santo cielo, adesso sai tutto.» «Oh, ho imparato parecchio nelle ultime ventiquattr’ore. Tu lo sapevi che alcune contee nelle zone carbonifere hanno il più alto tasso di cancro del paese?» «Sembra materiale buono per una causa.» «È difficile vincere una causa, laggiù, perché il carbone regna sovrano e molti giurati simpatizzano con le società.» «È meraviglioso, Samantha. Adesso stiamo parlando di professione legale vera, non di costruzione di grattacieli. Sono orgoglioso di te. Facciamo causa a qualcuno.» Arrivò la pizza, che mangiarono direttamente dalla piastra di cottura. Passò una formosa brunetta in gonna corta e Marshall le lanciò istintivamente uno sguardo interessato, smettendo per un secondo di masticare. Poi si riprese e cercò di comportarsi come se nulla fosse. «Che tipo di lavoro farai?» domandò impacciato, un occhio ancora sulla gonna. «Hai sessant’anni e lei ha più o meno la mia età. Quando la smetterai?» «Mai. Cosa c’è di male a guardare?» «Non lo so. Immagino che sia il primo passo.» «Samantha, tu proprio non capisci gli uomini. Guardare è automatico e inoffensivo. Tutti guardiamo, dài.» «Quindi, non puoi farne a meno?» «No. E perché stiamo parlando di questo? Preferirei discutere di cause alle società del carbone.» «Non ho altro da aggiungere. Ti ho detto tutto quello che so.» «Farai causa?» «Ne dubito. Però ho conosciuto un tale che si occupa solo di casi riguardanti il carbone. La sua famiglia è stata distrutta da una strip mine quando era ancora un ragazzino e ora vuole vendetta. Gira con una pistola. L’ho vista.» «Un tale? Ti piace?» «È sposato.» «Bene. Preferirei che tu non ti innamorassi di un montanaro. Perché gira armato?» «Credo che laggiù lo facciano in molti. Lui dice che le società minerarie non lo trovano molto simpatico e che nel settore c’è una lunga storia di violenze.» Marshall si pulì la bocca con un tovagliolo di carta e bevve un sorso d’acqua. «Consentimi di riassumere tutto ciò che ho sentito. Quello è un posto dove permettono ai malati di mente di indossare un’uniforme, qualificarsi come poliziotti, guidare auto con lampeggianti, fermare viaggiatori di altri Stati e a volte addirittura portarli in galera. Altri, che evidentemente non sono malati di mente, esercitano la professione legale con la pistola nella valigetta. Altri ancora propongono lavori temporanei ad avvocati appena licenziati e non li pagano.» «È un’analisi accurata.» «E tu cominci lunedì mattina?» «Proprio così.» Marshall scosse la testa e prese un altro spicchio di pizza. «Immagino che sia meglio di Big Law a Wall Street.» «Vedremo.» Blythe riuscì a evadere dallo studio per un pranzo veloce. Si trovarono in un’affollata tavola calda non lontano e, mangiando insalata, arrivarono a un accordo. Samantha avrebbe pagato la sua parte di affitto per i tre mesi che mancavano alla scadenza del contratto, ma non poteva impegnarsi oltre. Blythe restava aggrappata al suo impiego ed era leggermente ottimista sulla possibilità di non perderlo. Avrebbe voluto tenere l’appartamento, ma non poteva permettersi la rata intera. Samantha le assicurò che c’erano molte possibilità che tornasse presto in città, a fare qualcosa. Più tardi, nel pomeriggio, si trovò con Izabelle per un caffè e qualche pettegolezzo. Izabelle aveva già fatto le valige e stava per tornare a casa, a Wilmington, dove avrebbe abitato da una sorella che aveva una stanza libera nel seminterrato. Avrebbe fatto volontariato in un gruppo di sostegno all’infanzia e cercato un lavoro vero. Era depressa, amareggiata e incerta sulla propria sopravvivenza. Quando si salutarono con un abbraccio, entrambe sapevano che sarebbe passato molto tempo prima che si rivedessero. Il buon senso diceva a Samantha di noleggiare un’auto nell’area metropolitana di New York, caricare i bagagli e puntare in direzione sud. Tuttavia, scoprì rapidamente che qualunque auto a noleggio avrebbe avuto la targa di New York. Probabilmente avrebbe potuto trovare una vettura in New Jersey, o magari in Connecticut, ma in ogni caso sarebbero state un segnale di allarme a Brady. Samantha non riusciva a togliersi Romey dalla mente. Dopo tutto era ancora in libertà, pronto a fare altri danni. Così riempì due valige e una grande borsa di tela con tutto ciò che le sembrava necessario per il luogo in cui era diretta. Un taxi la scaricò davanti a Penn Station. Cinque ore dopo, un altro taxi la caricò a Union Station a Washington. Samantha e Karen cenarono in pigiama con sushi a domicilio e guardarono un vecchio film. Marshall non venne mai menzionato. Il sito web della Gasko Leasing a Falls Church prometteva un’ampia selezione di splendide vetture usate, pagamenti comodi, documentazione virtualmente priva di problemi, assicurazione veloce e totale soddisfazione del cliente. Le conoscenze automobilistiche di Samantha erano limitate, ma qualcosa le suggerì che un modello nazionale aveva forse un potenziale minore, come fonte di grane, di qualcosa proveniente, per esempio, dal Giappone. Curiosando online, notò una Ford Hatchback del 2004 che le sembrò adatta. Al telefono, il venditore le disse che l’auto era ancora disponibile e, cosa più importante, le garantì che le targhe sarebbero state della Virginia. «Sì, signora. Davanti e dietro.» Samantha raggiunse in taxi Falls Church, dove incontrò Ernie, il venditore. Ernie era un tipo eccessivamente cordiale che parlava troppo e osservava pochissimo. Fosse stato un po’ più astuto, si sarebbe accorto di quanto fosse terrorizzata Samantha all’idea di un leasing di dodici mesi per un’auto usata. In realtà aveva pensato di telefonare a suo padre per chiedergli aiuto, ma poi aveva lasciato perdere. Si era convinta di essere abbastanza in gamba per quel compito relativamente poco importante. Dopo due lunghe ore con Ernie, finalmente se ne andò a bordo di una Ford del tutto anonima e chiaramente di proprietà di un abitante del Commonwealth of Virginia. 8 L’intero orientamento professionale consisteva in un colloquio alle otto di mattina con un nuovo cliente. Fortunatamente per Samantha, la quale non aveva idea di come gestire un incontro del genere, fu Mattie ad assumere il controllo. Sussurrò: «Tu limitati a prendere appunti, aggrotta parecchio la fronte e cerca di sembrare intelligente». Nessun problema: era esattamente il modo in cui Samantha era sopravvissuta nei primi due anni da Scully & Pershing. La cliente era Lady Purvis, una donna sulla quarantina, madre di tre adolescenti. Suo marito, Stocky, era al momento detenuto nel carcere della vicina Hopper County. Mattie non le domandò se Lady fosse il suo nome vero: il dettaglio, se importante, sarebbe emerso in seguito. Tuttavia, considerando l’aspetto rustico e il linguaggio grossolano della cliente, era difficile immaginare i suoi genitori imporle ufficialmente il nome Lady. La donna, che dava l’impressione di una vita dura da qualche parte nelle profondità delle valli, si irritò quando Mattie le disse che non poteva fumare nello studio. Samantha, la fronte aggrottata, scarabocchiava furiosamente e in silenzio. Fin dalla prima frase, non ci furono che sfortuna e disgrazie. La famiglia viveva in una casa mobile, ipotecata, ed era indietro con i pagamenti; era indietro con tutto. Le due figlie maggiori avevano lasciato la scuola per cercare un lavoro che non esisteva, non a Noland County, non a Hopper County e nemmeno a Curry County. Minacciavano di scappare di casa e andarsene da qualche parte nell’Ovest, dove forse avrebbero potuto rimediare un salario raccogliendo arance. Lady si dava da fare con lavori saltuari, pulendo case nei weekend e facendo la baby sitter per cinque dollari l’ora, qualunque cosa pur di portare a casa un po’ di soldi. Il crimine di Stocky: eccesso di velocità. Cosa che aveva portato l’agente a controllare la sua patente di guida, scaduta due giorni prima. Il totale tra multe e spese processuali ammontava a centosettantacinque dollari, denaro che Stocky non aveva. Hopper County aveva un contratto con una società privata per spremere soldi da Stocky e da altri disgraziati così sfortunati da avere commesso piccoli reati e infrazioni stradali. Se Stocky avesse potuto firmare un assegno, lo avrebbe fatto e se ne sarebbe tornato a casa. Ma essendo povero e completamente al verde, il suo caso era stato trattato in modo diverso: il giudice aveva ordinato che venisse gestito dai lestofanti della Judicial Response Associates. Lady e Stocky avevano incontrato un rappresentante della JRA il giorno in cui si erano presentati in tribunale e l’uomo aveva spiegato come avrebbe funzionato il piano di pagamento. La sua società addebitava dei costi: una commissione iniziale di settantacinque dollari, un onorario mensile di trentacinque e un onorario finale al termine dell’operazione, sempre ammesso che i debitori arrivassero a quel punto, un autentico affare a soli venticinque dollari. Le spese processuali e altri addebiti non ben definiti avevano portato la somma a quattrocento dollari. Lady e Stocky avevano pensato di poter pagare cinquanta dollari al mese, il minimo consentito dalla JRA , ma si erano resi presto conto che trentacinque dei cinquanta dollari venivano divorati dall’onorario mensile. Avevano cercato di rinegoziare, ma la JRA era stata irremovibile. Dopo due versamenti, Stocky aveva smesso di pagare, ed era stato allora che erano cominciati i guai seri. Due vicesceriffi si erano presentati al suo caravan dopo mezzanotte e lo avevano arrestato. Lady aveva protestato, così come aveva fatto il figlio maggiore, e i vice avevano minacciato di friggerli tutti e due con i loro Taser nuovi di zecca. Quando Stocky era stato trascinato di nuovo davanti al giudice, si erano aggiunte nuove spese e nuove multe. Il totale era salito a cinquecentocinquanta dollari. Stocky aveva spiegato di essere senza soldi e senza lavoro, e il giudice lo aveva rispedito in carcere. Era lì da due mesi. Nel frattempo, la JRA continuava a addebitare il suo amato onorario mensile, che per qualche misteriosa ragione era salito a quarantacinque dollari al mese. «Più resta in prigione, più andiamo a fondo» concluse Lady, scoraggiata. In un sacchetto di carta c’erano tutti i documenti, che Mattie cominciò a esaminare. C’erano lettere rabbiose del costruttore del caravan, il quale ne finanziava anche l’acquisto, avvisi di pignoramento, bollette scadute, solleciti dell’ufficio imposte, carte del tribunale e un mucchio di comunicazioni varie della JRA . Mattie leggeva e passava il documento a Samantha, la quale non aveva idea di cosa fare, se non prendere nota di tutte le disgrazie. Lady a un certo punto crollò. «Devo fumare. Datemi cinque minuti.» Le mani le tremavano. «Certo» disse Mattie. «Però vada fuori.» «Grazie.» «Quanti pacchetti al giorno?» «Solo due.» «Che marca?» «Charlie’s. So che dovrei smettere, e ci ho provato, ma fumare è l’unica cosa che mi calma i nervi.» Lady afferrò la borsa e uscì dall’ufficio. Mattie disse: «Le Charlie’s sono la marca di sigarette preferita negli Appalachi; sono economiche, ma costano pur sempre quattro dollari a pacchetto, vale a dire otto dollari al giorno, duecentocinquanta al mese. E scommetto che Stocky fuma altrettanto. Probabilmente spendono cinquecento dollari al mese in sigarette e chissà quanto in birra. E se mai avanza un dollaro, è quasi sicuro che finisce in biglietti della lotteria». «È assurdo» commentò Samantha, sollevata perché finalmente poteva dire qualcosa. «Ma perché? Potrebbero saldare le multe in un mese e lui uscirebbe di prigione.» «Loro non la vedono così. Il fumo crea dipendenza, non possono smettere così su due piedi.» «Okay, posso fare una domanda?» «Certo. Scommetto che ti stai chiedendo in che modo una persona come Stocky può venire buttata in carcere per debiti, una cosa che questo paese ha messo fuori legge circa duecento anni fa. Giusto?» Samantha annuì lentamente. Mattie continuò: «Quasi certamente, saprai che mandare qualcuno in galera perché non può pagare una multa o una parcella viola la clausola di uguale protezione del Quattordicesimo emendamento. E senza dubbio conosci la sentenza della Corte Suprema del 1983, in questo momento mi sfugge il nome, secondo la quale prima di mandare in carcere una persona per non avere pagato una multa occorre dimostrare la sua volontà di non pagare. In altre parole, il soggetto poteva pagare ma si è rifiutato di farlo. Tutto questo e altro ancora, giusto?». «È un buon riassunto.» «Sta succedendo dappertutto. La JRA assedia i tribunali per i reati minori in una decina di Stati del Sud. In media, le amministrazioni locali incassano circa il trenta per cento del denaro delle multe. Arriva la JRA e promette il settanta per cento, senza spese per i contribuenti. Quelli della JRA sostengono che è tutto finanziato dai soggetti come Stocky che vengono risucchiati nel giro. Ogni città e ogni contea hanno bisogno di soldi, così firmano un contratto con la JRA e i tribunali le passano i casi. Le vittime restano a piede libero e, se non possono pagare, vengono sbattute in galera, e naturalmente a quel punto sono i contribuenti a pagare le spese. Per alloggiare e nutrire Stocky stanno spendendo trenta dollari al giorno.» «Questa cosa non può essere legale.» «È legale perché non è specificamente illegale. Parliamo di povera gente, Samantha, persone in fondo alla scala sociale, e laggiù le leggi sono diverse. È per questo che noi siamo in affari, per così dire.» «È spaventoso.» «È vero, e può essere anche peggio. Come insolvente in libertà vigilata, a Stocky possono togliere i buoni spesa del governo, l’assistenza abitativa e la patente di guida. In certi Stati potrebbero addirittura privarlo del diritto di voto, sempre che si si sia preso il disturbo di registrarsi.» Lady rientrò, puzzolente di fumo e nervosa esattamente come prima. Procedettero con fatica a esaminare tutti gli altri conti non pagati. «Potete aiutarmi in qualche modo?» domandò Lady con gli occhi pieni di lacrime. «Naturalmente» rispose Mattie con ottimismo fin troppo eccessivo. «Nelle negoziazioni con la JRA ho conseguito diversi successi. Non sono abituati a vedere comparire degli avvocati e, per essere tipi così tosti, sono facili da intimidire. Sanno di avere torto e hanno paura che qualcuno possa colpirli duro. Conosco il giudice del posto e ormai devono essersi già stancati di dover nutrire Stocky. Possiamo farlo uscire di prigione e rimandarlo a lavorare. Poi probabilmente valuteremo la possibilità della bancarotta per salvare la casa e dimenticare parte di questi conti. Vedrò di trattare con le società dei servizi, luce, acqua e il resto.» Snocciolò quelle mosse audaci come se fossero già state realizzate e Samantha si sentì improvvisamente meglio. Lady riuscì a produrre un sorriso, il primo e l’unico. «Ci dia un paio di giorni e metteremo insieme un piano d’azione» riprese Mattie. «Se ha delle domande, telefoni pure a Samantha: saprà tutto del suo caso.» La stagista sentì il suo cuore perdere un colpo quando udì il proprio nome. In quel momento aveva la sensazione di non sapere niente di niente. «Allora, ho due avvocati?» chiese Lady. «Certamente.» «E siete... be’, gratis?» «Proprio così, Lady. Noi garantiamo assistenza legale gratuita. Non facciamo pagare i nostri servizi.» Lady si coprì gli occhi con entrambe le mani e cominciò a piangere. Samantha non si era ancora ripresa dal primo colloquio con un cliente quando venne convocata per il secondo. Annette Brevard, “socia giovane” della Mountain Legal Aid Clinic, pensava che per la nuova stagista potesse essere istruttivo avere un autentico assaggio di violenza domestica. Annette, madre divorziata di due figli, viveva a Brady da dieci anni. Un tempo aveva abitato a Richmond ed esercitato la professione in uno studio di medie dimensioni, poi un brutto divorzio l’aveva spinta a fare i bagagli e andarsene. Era scappata a Brady con i figli e aveva accettato l’impiego con Mattie perché non c’era altro disponibile nel Commonwealth. Di sicuro non aveva avuto in programma di restare a Brady, ma chi è così in gamba da poter pianificare il resto della propria vita? Annette abitava in una vecchia casa in centro. Dietro la casa c’era un garage, e sopra il garage c’era un appartamento di due camere, la casa di Samantha per i mesi a venire. Annette aveva deciso che, se lo stage era gratuito, allora doveva esserlo anche l’alloggio. Avevano discusso su questo punto, ma Annette era stata irremovibile. Non avendo altre opzioni, Samantha aveva preso possesso dell’appartamento con la promessa di fare gratuitamente la baby sitter. Aveva addirittura il permesso di parcheggiare l’auto nel garage. Il cliente era una donna di trentasei anni di nome Phoebe. Era sposata con Randy e la coppia aveva appena vissuto un bruttissimo weekend. Randy era in prigione a circa sei isolati di distanza (la stessa prigione che Samantha aveva evitato per un soffio) e Phoebe era seduta nell’ufficio di un avvocato, con l’occhio sinistro gonfio, un taglio sul naso e il terrore negli occhi. Con compassione e tatto, Annette la guidò nel racconto della sua storia. Di nuovo, Samantha aggrottò la fronte con aria intelligente senza emettere un suono, prese pagine di appunti e si chiese quanti pazzi vivessero da quelle parti. Con una voce così calma da tranquillizzare perfino Samantha, Annette continuò a pungolare Phoebe per farla parlare. Ci furono molte lacrime e momenti di emozione. Randy spacciava metanfetamina, da cui era anche dipendente. Inoltre era alcolizzato e da un anno e mezzo la picchiava. Non lo aveva mai fatto quando il padre di Phoebe era vivo – Randy era terrorizzato da lui –, ma alla sua morte, due anni prima, erano cominciati gli abusi. Randy non faceva che minacciare di ucciderla. Sì, anche lei faceva uso di metanfetamina, ma stava attenta e di certo non era una tossica. Avevano tre figli, tutti sotto i dieci anni. Per lei era il secondo matrimonio, per lui il terzo. Randy aveva quarantadue anni e aveva molti amici pericolosi nel business della metanfetamina. Lei aveva paura di quegli uomini. Avevano soldi e da un momento all’altro avrebbero pagato la cauzione per Randy, il quale, appena libero, quasi certamente sarebbe corso a cercarla. Era furioso perché lei si era finalmente decisa a chiamare la polizia e l’aveva fatto arrestare. Ma Randy conosceva bene lo sceriffo e non sarebbe rimasto in carcere. L’avrebbe picchiata finché lei non avesse ritirato la denuncia per maltrattamenti. Phoebe consumò una pila di fazzolettini di carta mentre singhiozzava raccontando la sua storia. Ogni tanto Samantha scarabocchiava domande fondamentali come: “Dove sono?” e “Cosa ci faccio qui?”. Phoebe aveva paura di tornare nella casa in affitto. I tre bambini erano nascosti da una zia in Kentucky. Un vicesceriffo le aveva detto che Randy sarebbe comparso davanti al giudice lunedì. Forse proprio in quel momento era in tribunale e il giudice stava fissando la cauzione. Dopo di che i suoi amici avrebbero sganciato i soldi e lui sarebbe uscito. «Dovete aiutarmi» disse Phoebe, più e più volte. «Mi ucciderà.» «No, non lo farà» dichiarò Annette con uno strano senso di sicurezza. A giudicare dalle lacrime, dall’espressione impaurita e dal linguaggio del corpo di Phoebe, Samantha era d’accordo con la cliente e aveva il sospetto che Randy potesse entrare da un momento all’altro e creare guai. Annette, però, non sembrava minimamente preoccupata da quella possibilità. “Ci è già passata centinaia di volte” pensò Samantha. Annette le disse: «Per favore, vai in internet e controlla il calendario della corte». Enunciò velocemente il sito web degli uffici pubblici di Noland County e la stagista aprì rapidamente il suo laptop per iniziare la ricerca, ignorando per un momento la cliente e le sue emozioni. «Devo ottenere il divorzio» stava dicendo Phoebe. «Non esiste che io torni a casa.» «Okay, domani depositeremo la richiesta di divorzio e otterremo un ordine restrittivo nei confronti di Randy.» «Cos’è un ordine restrittivo?» «È un ordine del tribunale, e se tuo marito non si terrà a distanza da te farà arrabbiare sul serio il giudice, che lo rimanderà in galera.» L’informazione fece sorridere Phoebe, ma solo per un secondo. «Devo lasciare la città. Non posso restare qui. Randy si ritroverà di nuovo strafatto, si dimenticherà dell’ordine restrittivo e del giudice e mi salterà addosso. Devono tenerlo dentro ancora per un po’. È possibile?» «Di cosa è accusato, Samantha?» chiese Annette. «Lesioni volontarie aggravate» rispose Samantha, proprio nell’attimo in cui trovava la causa in rete. «Udienza oggi alle tredici. Non è stata fissata alcuna cauzione.» «Lesioni aggravate? Con cosa ti ha colpito, Phoebe?» Le lacrime sgorgarono immediatamente e Phoebe si asciugò le guance con il dorso della mano. «Con una pistola. La teniamo in un cassetto in cucina, scarica per via dei bambini, ma i proiettili sono sopra il frigorifero, giusto in caso di necessità. Stavamo litigando e lui a un certo punto ha preso la pistola, come se volesse caricarla e, immagino, farmi fuori. Io ho cercato di strappargliela, ma lui mi ha colpito alla testa con il calcio. Poi ha lasciato cadere la pistola sul pavimento e ha cominciato a prendermi a schiaffi. Sono riuscita a scappare, sono corsa dai vicini e ho chiamato la polizia.» Annette alzò con calma una mano per fermarla. «È questa l’aggravante: l’uso di un’arma.» Lo disse guardando sia Phoebe che Samantha, per informare entrambe. «In Virginia la pena può andare dai cinque ai vent’anni, a seconda delle circostanze: arma, lesioni eccetera.» Di nuovo, Samantha stava prendendo appunti furiosamente. Aveva sentito parte di tutto ciò alla scuola di legge, tanti anni prima. Annette proseguì: «Dunque, Phoebe, possiamo aspettarci che tuo marito dica che sei stata tu a prendere la pistola per prima, che tu lo abbia colpito e così via. Potrebbe addirittura tentare di sporgere denuncia contro di te. Tu come risponderesti?». «Randy è venti centimetri più alto di me e pesa cinquanta chili più di me. Nessuno sano di mente può credere che sia stata io ad aggredirlo per prima. I poliziotti, se diranno la verità, confermeranno che era ubriaco e fuori di testa. Ha addirittura lottato contro di loro finché non gli hanno scaricato il Taser in quel suo grosso culo.» Annette sorrise, soddisfatta. Diede un’occhiata all’orologio, aprì una pratica e ne estrasse alcuni documenti. «Tra cinque minuti devo fare una telefonata. Samantha, questo è il nostro questionario per il divorzio. È molto semplice. Compilalo insieme a Phoebe e vedi di raccogliere tutte le informazioni che puoi. Io torno tra mezz’ora.» Samantha prese il questionario come se ne avesse già compilati decine. Un’ora più tardi, sola e al sicuro nel suo ufficio improvvisato, chiuse gli occhi e respirò a fondo. La stanza sembrava essere un ex ripostiglio, minuscolo e soffocante con due sedie instabili e un tavolo tondo dal ripiano in vinile. Mattie e Annette si erano scusate e avevano promesso un miglioramento, a un certo punto in futuro. Una parete era dominata da una grande finestra che dava sul parcheggio sul retro. Samantha era grata per la luce. Per quanto l’ufficio fosse piccolo, quello di New York non era molto più ampio. Suo malgrado, i pensieri di Samantha restavano fissi su New York, sul grande studio e su tutte le sue promesse e i suoi orrori. Sorrise quando le venne in mente che non stava lavorando a tassametro: sparita l’implacabile pressione per fatturare sempre più ore, per fare sempre più soldi per i pezzi grossi al vertice e per impressionarli, con l’obiettivo di diventare un giorno esattamente come loro. Guardò l’orologio. Erano le undici e trenta e non aveva fatturato un solo minuto, né lo avrebbe fatto. Il vecchio telefono gracchiò e Samantha non poté non rispondere. «C’è una chiamata sulla due» annunciò Barb. «Chi è?» chiese nervosamente Samantha: era la sua prima telefonata. «Un certo Joe Duncan. Il nome non mi suggerisce niente.» «Perché vuole parlare con me?» «Non ha detto di voler parlare con te. Ha detto solo che ha bisogno di un avvocato, e in questo momento Mattie e Annette sono impegnate. È tuo di default.» «Che tipo di caso è?» domandò Samantha, lanciando un’occhiata ai suoi sei grattacieli sopra un classificatore d’archivio proveniente dalle eccedenze dell’esercito. «Previdenza sociale. Stai attenta. Linea due.» Barb lavorava part-time e si occupava del ricevimento clienti. Samantha aveva parlato con lei solo per pochi secondi quella mattina presto, quando gliel’avevano presentata. Il centro disponeva anche di una paralegale part-time di nome Claudelle. Uno show tutto al femminile. Premette il tasto della linea due e disse: «Samantha Kofer». Mr Duncan salutò e la interrogò per accertarsi che fosse veramente un avvocato. Samantha gli assicurò che lo era, anche se al momento aveva dei dubbi. Nel giro di pochi secondi, Duncan si lanciò. Stava attraversando un brutto periodo e aveva davvero bisogno di parlarne. Su di lui e sulla sua famiglia si era abbattuto ogni tipo di disgrazie e, in base ai primi dieci minuti del suo racconto, Mr Duncan aveva abbastanza problemi da tenere occupato un piccolo studio legale per parecchi mesi. Era disoccupato – era stato ingiustamente licenziato, ma questa era un’altra storia –, però il suo vero problema era la salute. Soffriva di ernia del disco e non poteva lavorare. Aveva presentato domanda di invalidità, ma era stata respinta. Adesso stava perdendo tutto. Dato che aveva ben poco da offrirgli, Samantha lo lasciò sfogare liberamente. Dopo mezz’ora, però, cominciò ad annoiarsi. Chiudere la conversazione fu una sfida – Duncan era disperato e appiccicoso – ma finalmente Samantha riuscì a convincerlo che avrebbe esaminato subito il suo caso insieme agli specialisti della previdenza sociale dello studio e lo avrebbe richiamato. A mezzogiorno era affamata ed esausta. Non era l’affaticamento causato da ore e ore di lettura e riflessione su voluminosi documenti, o dalla continua pressione determinata dalla necessità di fare colpo, o dalla paura di non essere all’altezza e venire quindi spintonata fuori dalla strada che portava alla nomina di socio. Non era lo sfinimento che aveva vissuto negli ultimi tre anni. Era svuotata per lo shock e la paura di avere dovuto guardare il disastro emotivo di esseri umani veri, persone disperate che avevano poche speranze e contavano su di lei per un aiuto. Ma per gli altri membri dello studio quello era un tipico lunedì mattina. Di solito si ritrovavano tutte per un pranzo veloce portato da casa nella sala riunioni principale, un rito settimanale durante il quale discutevano dei vari casi, dei clienti o di qualunque altra questione ritenessero necessario parlare. Quel lunedì, tuttavia, l’argomento principale fu la nuova stagista. Erano ansiose di esaminarla. Alla fine venne incoraggiata a parlare. «Be’, ho bisogno di aiuto» disse Samantha. «Ho appena parlato al telefono con un uomo la cui domanda d’invalidità alla previdenza sociale è stata respinta. Se ho capito bene.» La cosa fu accolta con un misto di risate e battute. Il termine “invalidità” sembrava suscitare una certa reazione nel resto dello studio. «Non accettiamo più casi che riguardano la previdenza sociale» dichiarò Barb dalla linea del fronte. «Come si chiamava?» domandò Claudelle. Samantha esitò e guardò i visi interessati intorno a lei. «Okay, prima le cose più importanti. Non so bene come ci si comporta qui per quanto riguarda la riservatezza. Discutete... discutiamo apertamente tutti i casi dello studio, oppure ognuna di noi è vincolata alle norme che regolano il rapporto avvocato-cliente?» La domanda suscitò altre risate. Tutte e quattro si misero a parlare insieme, ridendo e mangiucchiando i rispettivi sandwich. Per Samantha fu subito chiaro che, all’interno di quelle mura, le quattro signore parlavano di tutto e di tutti. «Qui dentro non ci sono regole» disse Mattie. «Ma fuori, non una parola.» «Mi sta bene.» «Il tizio si chiama Joe Duncan» intervenne Barb. «A pensarci bene, mi ricorda qualcosa.» «L’ho avuto io qualche anno fa» disse Claudelle. «Aveva presentato domanda ed era stata respinta. Credo che si trattasse di una spalla malandata.» «Be’, adesso il male si è esteso alla zona lombare» precisò Samantha. «Sembrerebbe un vero disastro.» «Mr Duncan è un richiedente seriale di indennità» disse Claudelle. «E questa è una delle ragioni per cui non accettiamo più casi riguardanti la previdenza sociale. Ci sono troppe frodi in giro. Il sistema è parecchio corrotto, specie da queste parti.» «Allora, cosa dico a Mr Duncan?» «A Abington c’è uno studio legale dedicato ai casi di invalidità.» Intervenne Annette: «Lo studio Cockrell & Rhodes, meglio noto come Cock & Roach, abbreviato in Cockroachs, scarafaggi. Cattivi ragazzi che hanno creato un racket con alcuni medici e giudici nel giro della previdenza sociale. Tutti i loro clienti ottengono l’assegno. Cento per cento di successi». Mattie aggiunse: «Un triatleta potrebbe presentare domanda d’invalidità e i Cockroachs gli farebbero ottenere l’indennità». «Quindi, noi non...» «No, mai.» Samantha diede un morso al suo sandwich al tacchino e fissò apertamente Barb. Fu tentata di rivolgerle la domanda ovvia: “Se noi non accettiamo questi casi, perché mi hai passato la telefonata?”. Invece si prese l’appunto mentale di tenere le antenne dritte. Tre anni di Big Law avevano affilato come un rasoio le sue abilità di sopravvivenza. Gole tagliate e pugnalate alla schiena erano state la norma, e lei aveva imparato a evitare entrambe le cose. Non avrebbe sollevato adesso l’argomento con Barb, ma lo avrebbe fatto al momento giusto. Claudelle sembrava essere il clown del gruppo. Aveva solo ventiquattro anni, era sposata da meno di uno, era incinta e non se la passava molto bene. Aveva trascorso la mattinata in bagno, lottando contro la nausea e formulando pensieri orribili sul figlio non ancora nato, al quale era già stato imposto il nome del padre e che stava già causando tanti problemi. Il tono della conversazione era sorprendentemente licenzioso. In quarantacinque minuti le signore dibatterono non solo sugli affari urgenti dello studio, ma riuscirono anche a discutere di nausee mattutine, crampi mestruali, travaglio e parto, uomini e sesso: nessuna sembrava averne abbastanza. Annette mise fine alla riunione quando guardò Samantha e le disse: «Tra un quarto d’ora dobbiamo essere in tribunale». 9 Parlando in generale, le sue esperienze in tribunale non erano state piacevoli. Alcune visite le erano state imposte, altre erano state volontarie. L’anno in cui frequentava la nona classe, il grande Marshall Kofer era stato impegnato in corte federale in centro a Washington e aveva convinto l’insegnante di educazione civica di Samantha che l’apprendimento dei suoi studenti sarebbe stato enormemente arricchito dall’osservarlo in azione. Per due interi giorni, i ragazzini erano rimasti seduti in una noia ottenebrante mentre periti di parte si scontravano sulle conseguenze aerodinamiche della formazione di ghiaccio. Lungi dall’essere orgogliosa di suo padre, Samantha si era sentita mortificata da quell’attenzione non richiesta. Fortunatamente per Marshall, gli studenti erano già tornati in classe quando la giuria si era pronunciata con un verdetto a favore del costruttore, infliggendogli una delle sue rare sconfitte. Sette anni dopo Samantha era tornata in quello stesso palazzo di giustizia, ma in un’aula diversa, per guardare suo padre mentre si dichiarava colpevole dei reati ascrittigli. Era una bella giornata per la madre, che non aveva mai nemmeno contemplato l’idea di accompagnarla, e così Samantha si era seduta accanto a uno zio, uno dei fratelli di Marshall, e si era tamponata gli occhi con i fazzolettini di carta. Un corso propedeutico della scuola di legge a Georgetown aveva previsto l’obbligo di assistere a parte di un processo penale, ma una leggera influenza glielo aveva impedito. Tutti gli studenti di legge devono confrontarsi con simulazioni di processi e a Samantha questo era anche piaciuto, fino a un certo punto, ma non aveva mai voluto saperne del dibattimento vero e proprio. Durante l’impiego di assistente aveva visto di rado un’aula di tribunale. E nel corso dei colloqui di lavoro, aveva sempre detto con chiarezza di volerne stare alla larga. E ora stava entrando nel tribunale di Noland County, diretta verso l’aula principale. L’edificio era una vecchia e bella struttura in mattoni rossi con un luccicante tetto di stagno. All’interno, un atrio polveroso esibiva sbiaditi ritratti di eroi barbuti; una parete era rivestita da avvisi legali fissati disordinatamente ai tabelloni. Samantha seguì Annette al primo piano, dove passarono davanti a un anziano cancelliere che sonnecchiava sulla sua sedia. Varcarono le spesse porte doppie ed entrarono nell’aula. Di fronte a loro, un giudice stava lavorando seduto dietro il proprio banco mentre due o tre avvocati sfogliavano documenti e si scambiavano battute. Sulla destra c’era il box della giuria, vuoto. Le alte pareti erano decorate con altri ritratti sbiaditi: tutti uomini, tutti con la barba e tutti con l’aria di prendere molto sul serio le faccende legali. Un paio di impiegate chiacchieravano e flirtavano con gli avvocati. Numerosi spettatori osservavano in attesa che la giustizia trionfasse. Annette bloccò un pubblico accusatore, che presentò rapidamente alla propria stagista come Richard. Lo informò che lei e la collega erano i legali di Phoebe Fanning, la quale avrebbe fatto domanda di divorzio appena possibile. «Quanto ne sai?» domandò a Richard. I tre si spostarono in un angolo accanto al box della giuria in modo che nessuno li sentisse. Richard disse: «Secondo i poliziotti, marito e moglie erano entrambi strafatti e avevano deciso di regolare le loro divergenze con una sana scazzottata. Lui ha vinto, lei ha perso. In qualche modo è saltata fuori una pistola, scarica, con cui il marito ha colpito la moglie alla testa». Annette espose la versione di Phoebe e Richard ascoltò attento. Poi disse: «L’avvocato del marito è Hump, al quale ora interessa soltanto ottenere una cauzione bassa. Io la chiederò alta e forse riusciremo a tenere quel bravo ragazzo in galera ancora per qualche giorno, in modo che si calmi mentre la moglie taglia la corda». Annette annuì e si dichiarò d’accordo. «Grazie, Richard.» Hump era Cal Humphrey, un’istituzione in città; Annette e Samantha erano appena passate davanti al suo studio con vetrina sulla strada. Annette lo salutò e gli presentò Samantha, che rimase stupefatta dalle dimensioni del suo stomaco. Delle vistose bretelle erano tese al limite e sembravano sul punto di saltare, con conseguenze sulle quali sarebbe stato troppo volgare soffermarsi. Hump sussurrò che il “suo uomo”, Randy (per un secondo non riuscì a ricordare il cognome), doveva essere rilasciato perché stava perdendo giornate di lavoro. Non si lasciò convincere dalla versione dei fatti fornita da Phoebe e ribatté che lo scontro era iniziato quando lei aveva aggredito il suo cliente con la pistola scarica. «È per questo che abbiamo i processi» sibilò Annette mentre si allontanava da Hump insieme a Samantha. Randy Fanning e altri due detenuti vennero scortati in aula e fatti sedere in prima fila. Vennero tolte le manette e un vicesceriffo si piazzò in piedi vicino a loro. I tre avrebbero potuto essere membri della stessa gang: tute arancione sbiadito del carcere, facce non rasate, capelli arruffati, espressioni dure. Annette e Samantha sedevano tra il pubblico, il più lontano possibile. Barb entrò in punta di piedi nell’aula, passò un fascicolo ad Annette e disse: «Ecco il divorzio». Quando il giudice chiamò Randy Fanning, Annette inviò un SMS a Phoebe, seduta in auto davanti al tribunale. Randy prese posizione di fronte al giudice, con Hump alla sua destra e Richard alla sua sinistra, ma più scostato. Hump attaccò un tortuoso discorso su quanto il suo cliente avesse bisogno di lavorare, su come fossero profonde le sue radici a Noland County, su come si poteva essere sicuri che si sarebbe presentato in tribunale in qualsiasi momento gli fosse stato richiesto e così via. Si trattava di una semplice disputa coniugale e le cose potevano essere risolte senza coinvolgere ulteriormente il sistema giudiziario. Mentre Hump blaterava, Phoebe entrò in aula e si sedette di fianco ad Annette. Le mani le tremavano, gli occhi erano pieni di lacrime. Richard, per l’accusa, si soffermò sulla gravità dei reati e sulla concreta possibilità di una lunga detenzione per Fanning. Sciocchezze, ribatté Hump, il suo uomo era innocente. Il suo uomo era stato aggredito dalla moglie “squilibrata”. E se quella donna avesse insistito nel procedere legalmente, forse alla fine sarebbe stata lei a ritrovarsi in prigione. I due avvocati continuarono a duellare. Il giudice, un vecchio gentiluomo pacioso con la testa liscia, chiese calmo: «Mi dicono che la presunta vittima si trova qui in aula. È così, Ms Brevard?». Passò lo sguardo sul pubblico. Annette balzò in piedi e rispose: «Sì, è qui, vostro onore». Varcò il cancelletto come se fosse stata la proprietaria dell’aula, con la cliente al seguito. «Noi rappresentiamo Phoebe Fanning, della quale depositeremo la domanda di divorzio tra dieci minuti.» Ancora al sicuro tra il pubblico, Samantha guardò Randy Fanning, che fissava con rabbia la moglie. Richard colse l’attimo e disse: «Vostro onore, potrebbe essere utile osservare le evidenti lesioni sul viso di Ms Fanning. Questa donna è stata pestata quasi a morte». «Non sono cieco» replicò il giudice. «Mr Fanning, non vedo alcun danno sul suo viso. La corte prende inoltre nota del fatto che lei è alto più di un metro e ottanta e piuttosto robusto. Sua moglie è, diciamo, parecchio più minuta. L’ha picchiata?» Randy spostò il proprio considerevole peso da un piede all’altro, con atteggiamento palesemente colpevole, e riuscì a rispondere: «Abbiamo litigato, giudice. È stata lei a cominciare». «Ne sono sicuro. Credo sia meglio che lei continui a calmarsi ancora per un giorno o due. La rimando in carcere e ci rivedremo giovedì. Nel frattempo, Ms Brevard, lei e la sua cliente occupatevi delle urgenti questioni legali della signora e tenetemi aggiornato.» «Ma, vostro onore» protestò Hump «il mio cliente perderà l’impiego.» «Lui non ha un impiego» scattò Phoebe. «Fa il boscaiolo part-time e spaccia metanfetamina a tempo pieno.» Sembrò che tutti deglutissero a fatica mentre le parole della donna rimbalzavano nell’aula. Randy era pronto a riprendere la lite e fissò la moglie con odio omicida. «Basta così» disse il giudice. «Riportatemelo giovedì.» Un funzionario afferrò Randy per un braccio e lo guidò fuori dall’aula. In piedi davanti alla porta c’erano due uomini, una coppia di brutti ceffi con capelli lunghi e tatuaggi. Fissarono Annette, Samantha e Phoebe mentre passavano. Nel corridoio, Phoebe sussurrò: «Quei delinquenti sono compari di Randy, tutti nel giro della met. Devo andarmene da questa città». “Possibile che io ti segua a ruota” pensò Samantha. Entrarono nella cancelleria del tribunale distrettuale e depositarono la domanda di divorzio. Annette chiese un’udienza immediata per un ordine restrittivo che tenesse Randy lontano dalla famiglia. «Il primo buco disponibile è mercoledì pomeriggio» le informò l’impiegata. «Va bene» disse Annette. I due gorilla aspettavano davanti all’ingresso principale del tribunale. Erano stati raggiunti da un terzo uomo, giovane e molto arrabbiato. Si piazzò davanti a Phoebe e latrò: «Farai meglio a ritirare la denuncia, ragazza, o te ne pentirai». Phoebe non si fece indietro. Anzi, guardò l’uomo in un modo che trasmetteva anni di familiarità e di disprezzo. Si rivolse ad Annette e disse: «Questo è Tony, il fratello di Randy appena uscito di galera». «Mi hai sentito? Devi ritirare la denuncia!» ribadì Tony con un ringhio più alto. «Ho appena chiesto il divorzio, Tony. È finita. Me ne vado da questa città il più in fretta possibile, ma sta’ sicuro che tornerò quando Randy andrà a processo. Non ritiro la denuncia, perciò vedi di toglierti dai piedi.» Uno dei due delinquenti guardò Samantha, l’altro Annette. Il breve confronto terminò quando Hump e Richard uscirono dal tribunale e videro quello che stava succedendo. «Adesso basta» intimò Richard, e Tony si tirò indietro. «Andiamo, ragazze» disse Hump. «Vi accompagno allo studio.» Mentre Hump arrancava pesantemente lungo Main Street, parlando senza posa di un altro caso in cui si ritrovava ad affrontare Annette, Samantha, ancora scossa dall’incidente, si domandò se non fosse davvero il caso di tenere una pistola nella borsetta. Non c’era da meravigliarsi se Donovan praticava la sua professione avvalendosi di un piccolo arsenale. Il resto del pomeriggio di Samantha fu misericordiosamente privo di clienti. Aveva già ascoltato abbastanza disgrazie per un giorno solo, e aveva bisogno di studiare. Annette le prestò alcune dispense di seminari, molto consultate, pensate per avvocati alle prime armi, con sezioni che riguardavano divorzio e relazioni familiari, testamenti ed eredità, fallimenti, rapporti inquilino-proprietario, lavoro, immigrazione e assistenza governativa. Un fascicolo sulle indennità previste per il polmone nero era stato aggiunto in un secondo tempo. Era tutto materiale arido e noioso, almeno da leggere, ma Samantha aveva già imparato di prima mano che i casi erano tutto tranne che noiosi. Alle diciassette finalmente telefonò a Mr Joe Duncan e lo informò che non poteva occuparsi della sua domanda alla previdenza sociale. I capi dello studio vietavano casi del genere. Gli comunicò i nomi dei due legali privati che invece li accettavano e gli augurò buona fortuna. Mr Duncan non fu molto soddisfatto della conversazione. Poi Samantha andò nell’ufficio di Mattie per ricapitolare insieme il suo primo giorno di lavoro. Fino a quel momento tutto bene, anche se Samantha era ancora turbata dal breve confronto sulla scalinata del tribunale. «Non si inguaieranno con un avvocato» le assicurò Mattie. «Specie se è una donna. Faccio questo mestiere da ventisei anni e non sono mai stata aggredita.» «Congratulazioni. Sei mai stata minacciata?» «Forse un paio di volte, ma niente che mi abbia spaventato sul serio. Starai benissimo.» Samantha si sentiva benissimo quando uscì dallo studio e si avviò verso la sua auto, anche se non poté fare a meno di guardarsi intorno. Stava calando una lieve nebbia e la cittadina si faceva sempre più buia. Parcheggiò nel garage sotto il suo appartamento e salì i gradini. La figlia di Annette, Kim, aveva tredici anni, Adam, il figlio, dieci. Erano entrambi affascinati dalla loro nuova “coinquilina” e insistettero perché Samantha cenasse con loro. Ma Samantha non aveva alcuna intenzione di condividere la cena tutte le sere. A causa del suo orario di lavoro pazzesco, e di quello identico di Blythe, si era abituata a mangiare da sola. Come professionista con un lavoro stressante, Annette aveva poco tempo per cucinare. Ed era evidente che anche le pulizie di casa non erano una priorità. La cena fu a base di maccheroni al formaggio cotti nel microonde e un’insalata di pomodori provenienti dall’orto di un cliente. Bevvero acqua da bottiglie di plastica: mai acqua del rubinetto. Mentre mangiavano, i ragazzi tempestarono Samantha di domande sulla sua vita: com’era stato crescere a Washington, vivere e lavorare a New York e per quale ragione al mondo aveva deciso di trasferirsi a Brady. Erano brillanti, sicuri di sé, facili da accontentare e per niente timorosi di rivolgere domande personali. Erano anche ben educati e non mancavano mai di dire: “Sì, signora” e “No, signora”. Decisero che lei era troppo giovane per chiamarla Miss Kofer, e a Adam sembrava che il nome Samantha fosse troppo lungo. Alla fine si accordarono su Miss Sam, anche se Samantha sperava che il “Miss” scomparisse presto. Disse ai ragazzi che sarebbe stata la loro baby sitter e l’informazione sembrò renderli perplessi. «Ce ne serve una?» domandò Kim. «Così vostra madre potrà uscire e fare quello che vuole» spiegò Samantha. I ragazzi trovarono la risposta divertente. Adam disse: «Ma la mamma non esce mai». «È vero» confermò Annette. «Non c’è molto da fare qui a Brady. Anzi, non c’è proprio niente da fare, a meno che tu non voglia andare in chiesa tre sere la settimana.» «Voi non andate in chiesa?» chiese Samantha. Nel breve periodo trascorso negli Appalachi, si era convinta che ogni cinque famiglie ci fosse una minuscola chiesa di loro proprietà, completa di campanile bianco inclinato. C’erano chiese dappertutto, tutte convintissime dell’infallibilità delle Sacre Scritture, ma evidentemente in accordo su ben poco altro. «Ogni tanto, la domenica» rispose Kim. Dopo cena, Kim e Adam sparecchiarono diligentemente e impilarono i piatti nell’acquaio. Niente lavastoviglie. I ragazzi volevano guardare la televisione con Miss Sam e ignorare i compiti, ma Annette alla fine riuscì a spedirli nelle rispettive camere da letto. Intuendo che la sua ospite forse si stava annoiando, disse: «Facciamoci un tè e due chiacchiere». Non avendo altro da fare, Samantha accettò. Annette raccolse una pila di indumenti sporchi e li buttò nella lavatrice di fianco al frigorifero. Versò il detersivo e ruotò una manopola. «Il rumore coprirà quello che diciamo» spiegò, aprendo un pensile per prendere le bustine di tè. «Ti va bene il deteinato?» «Certo» rispose Samantha, passando in soggiorno, una stanza dominata da scaffali imbarcati sotto il peso dei libri, montagne di riviste e divani e poltrone sui quali l’aspirapolvere non passava da mesi. In un angolo c’era un televisore a schermo piatto (l’appartamento sopra il garage ne era sprovvisto) e in un altro angolo Annette aveva sistemato una piccola scrivania con un computer e una pila di pratiche. Entrò con due tazze di tè fumante, ne passò una a Samantha e disse: «Sediamoci sul divano e parliamo di cose da ragazze». «Okay. Cos’hai in mente?» Mentre tutte e due si sistemavano, Annette rispose: «Be’, il sesso, per cominciare. Con che frequenza si fa a New York?». Samantha rise per la franchezza, poi esitò, come se non riuscisse a ricordare l’ultima volta che lo aveva fatto. «Non è così scatenato, in realtà. Cioè, lo è se sei nel giro giusto, ma nel mio lavoriamo tutti troppo per poterci divertire. Per noi una serata fuori significa una bella cena e qualcosa da bere, dopo di che io sono sempre troppo stanca per fare qualcosa che non sia andare a dormire, da sola.» «È difficile da credere, con tutti quei ricchi e giovani professionisti a caccia di prede. Ho guardato Sex and the City, più volte. Da sola, ovviamente, dopo che i ragazzi erano andati a dormire.» «Be’, io no. Ne ho sentito parlare, ma io di solito sono in studio. Ho avuto un solo boyfriend negli ultimi tre anni. Henry, un attore morto di fame. Davvero carino e anche divertente a letto, ma poi si è stancato dei miei orari e del mio sfinimento. Certo, incontri un mucchio di uomini, ma la maggior parte di loro è concentrata sul lavoro. Le donne sono usa e getta. Conosci anche un mucchio di stronzi, tipi arroganti che parlano solo di soldi e si vantano di quello che possono comprare.» «Sono sbalordita.» «Non esserlo. Non è così glamour come pensi.» «Mai?» «Oh, certo, ogni tanto capita di rimorchiare un bel tipo, ma nessuno che ricordi in particolare.» Samantha bevve un sorso di tè. «E tu? C’è molto movimento a Brady?» Fu la volta di Annette di ridere. Fece una pausa, bevve un sorso e diventò triste. «Qui non succede mai granché. Ho fatto una scelta, ora la vivo e va bene così.» «Una scelta?» «Sì, sono arrivata qui dieci anni fa, in completa ritirata. Il mio divorzio era stato un incubo e dovevo allontanarmi dal mio ex. Dovevo allontanare anche i miei figli. Lui non ha quasi più contatti con loro. Ora ho quarantacinque anni, sono abbastanza attraente e abbastanza in forma, a differenza di... be’...» «Capito.» «Diciamo solo che non c’è molta concorrenza a Noland County. Negli anni ci sono stati due o tre tipi carini, ma nessuno con cui volessi convivere. Uno aveva vent’anni più di me, e non potevo fare una cosa simile ai miei figli. Nei primi tempi sembrava che metà delle donne della città volessero sistemarmi con un loro cugino. Poi mi sono resa conto che in realtà volevano che mi sposassi in modo da non doversi preoccupare per i rispettivi mariti. Ma gli uomini sposati non mi tentano per niente. Troppe complicazioni, qui o in città.» «Perché resti?» «È il grande quesito. E poi non sono così sicura di restare. Questo è un posto tranquillo dove crescere i ragazzi, anche se siamo preoccupati per i rischi ambientali. Brady è okay, ma non lontano da qui, negli insediamenti e nei villaggi, i bambini sono sempre ammalati a causa dell’acqua inquinata e della polvere di carbone. Per rispondere alla tua domanda, sono rimasta qui perché amo il mio lavoro. Amo la gente che ha bisogno del mio aiuto. Io posso fare una piccola differenza nella loro vita. Oggi li hai visti. Hai visto la loro paura e la loro disperazione. Hanno bisogno di me. Se me ne vado, forse ci sarà qualcuno che prenderà il mio posto, forse no.» «Come fai a staccare quando esci dallo studio?» «Non sempre ci riesco. I problemi di quella gente sono troppo personali, ci perdo parecchie ore di sonno.» «Mi fa piacere sentirtelo dire perché non faccio che pensare a Phoebe Fanning, con la faccia massacrata, i figli nascosti da un parente e un marito violento che probabilmente la ucciderà appena uscito di prigione.» Annette offrì un sorriso affettuoso. «Ho visto un mucchio di donne nella stessa situazione, e sono sopravvissute tutte. Phoebe se la caverà. Si trasferirà da qualche parte, con il nostro aiuto, e divorzierà. Non dimenticare che in questo momento suo marito è in prigione e sta assaggiando la vita dietro le sbarre. Se farà qualcosa di stupido, potrebbe passare lì il resto dei suoi giorni.» «Non mi ha dato l’impressione di uno che pensa molto.» «Hai ragione, è un idiota e un tossico. Non voglio sottovalutare la situazione di Phoebe, ma se la caverà.» Samantha posò la tazza sul tavolino. «Devi scusarmi, è tutto così nuovo per me.» «Parli dell’avere a che fare con persone vere?» «Sì. Persone oppresse dai loro problemi e ansiose che io li risolva. L’ultima pratica su cui ho lavorato a New York riguardava un cliente davvero equivoco, uno che vale circa un miliardo di dollari. Voleva costruire un hotel altissimo e affusolato nel bel mezzo del Greenwich Village. Era di gran lunga il progetto più orrendo che avessi mai visto, veramente pacchiano. Il cliente aveva licenziato tre o quattro architetti e ogni volta il suo grattacielo diventava sempre più alto e più brutto. L’amministrazione cittadina gli ha detto: “Cavolo, no” e così lui ha intentato causa, si è arruffianato i politici e si è comportato come molti dei costruttori di Manhattan. L’ho visto solo una volta per pochi minuti quando è venuto in studio per strillare contro il mio collega. Un essere viscido. Ed era il nostro cliente, il mio cliente. L’ho odiato. Volevo che perdesse.» «E perché no?» «Alla fine infatti ha perso e in segreto eravamo tutti contenti. Pensaci, lavoriamo una montagna di ore, addebitiamo una fortuna e ci viene voglia di festeggiare quando il progetto viene respinto. Cosa te ne pare come relazione con il cliente?» «Avrei festeggiato anch’io.» «Adesso mi preoccupo per Lady Purvis, il cui marito è in carcere per debiti, e sono sulle spine per Phoebe perché voglio che lasci la città prima che il marito esca su cauzione.» «Benvenuta nel nostro mondo, Samantha. Domani ci sarà dell’altro ancora.» «Non sono sicura di essere tagliata per questo lavoro.» «Sì che lo sei. In questo mestiere bisogna essere tosti, e tu sei molto più tosta di quanto pensi.» Adam era tornato, i compiti improvvisamente finiti, e voleva sfidare Miss Sam in una partita a gin rummy. «Crede di essere un asso con le carte» avvertì Annette. «E bara.» «Io non ho mai giocato a gim rummy» disse Miss Sam. Adam stava mischiando le carte come un mazziere di Las Vegas. 10 Quasi tutte le giornate lavorative di Mattie cominciavano con il caffè alle otto in punto, porta dell’ufficio chiusa, telefono ignorato e Donovan seduto di fronte a lei per l’aggiornamento sugli ultimi pettegolezzi. In realtà non c’era alcun bisogno di chiudere la porta perché nessuno si presentava al lavoro prima delle otto e trenta circa, quando Annette arrivava in studio dopo avere accompagnato i figli a scuola. Ciononostante, Mattie teneva moltissimo alla privacy con suo nipote e intendeva proteggerla. Le regole e le procedure dello studio sembravano essere molto rilassate e a Samantha era stato detto di presentarsi “verso le nove” e lavorare finché avesse trovato il momento buono per smettere nel tardo pomeriggio. All’inizio si era preoccupata che la transizione da cento a quaranta ore la settimana potesse essere difficile, ma non fu così. Erano anni che non dormiva fino alle sette di mattina e stava scoprendo che era qualcosa di molto piacevole. Alle otto, tuttavia, cominciò a scalpitare, ansiosa di cominciare la giornata. Il martedì varcò la porta d’ingresso, passò davanti all’ufficio di Mattie, sentì voci smorzate all’interno e andò a controllare la caffettiera nel cucinotto. Si era appena sistemata dietro la sua scrivania per un paio d’ore di studio, o fino a quando l’avessero chiamata per assistere a un altro colloquio con un cliente, quando all’improvviso comparve Donovan, che le disse: «Benvenuta in città». «Ehi, salve.» Donovan si guardò intorno. «Scommetto che il tuo ufficio a New York era molto più grande.» «Non proprio. Noi principianti eravamo rinchiusi in quelli che chiamano quads, quei minuscoli spazi stipati in cui, se hai bisogno, puoi allungare un braccio e toccare il tuo collega. Risparmiano sull’affitto in modo che i soci possano salvaguardare i loro profitti.» «Sembra proprio che tu soffra di nostalgia.» «Credo di essere ancora stordita.» Samantha indicò l’unica sedia e disse: «Accomodati». Donovan si sedette disinvolto. «Mattie mi ha detto che sei stata in tribunale nel tuo primissimo giorno di lavoro.» «È così. Cos’altro ti ha detto?» Samantha si chiese se i propri movimenti quotidiani sarebbero stati esaminati ogni mattina sorseggiando il caffè. «Niente, le solite chiacchiere oziose da avvocati di campagna. Randy Fanning un tempo era un brav’uomo, poi ha cominciato con la met. Finirà morto o in galera, come molti altri di queste parti.» «Mi presti una delle tue pistole?» Una risata, e poi: «Non ne avrai bisogno. Gli spacciatori di met sono di gran lunga meno pericolosi delle società minerarie. Comincia a fare causa a loro e ti darò una pistola. So che è ancora presto, ma hai già pensato al pranzo?». «Non ho ancora pensato neppure alla colazione.» «Ti invito a pranzo. Un pranzo di lavoro nel mio studio. Sandwich all’insalata di pollo?» «Come potrei rifiutare?» «Mezzogiorno può andare bene con la tua agenda?» Samantha finse di consultare la sua fitta agenda e rispose: «È il tuo giorno fortunato. Si dà il caso che abbia giusto un buco». Donovan scattò in piedi. «Allora a dopo.» Samantha studiò in silenzio per un po’, sperando che nessuno la disturbasse. Attraverso le pareti sottili, sentiva Annette discutere un caso con Mattie. Ogni tanto squillava il telefono e, ogni volta, Samantha tratteneva il fiato e sperava che Barb passasse la chiamata a un altro ufficio, a qualcuno che sapesse cosa fare. La sua fortuna durò fino quasi alle dieci, quando Barb sporse la testa dalla porta e disse: «Esco per un’ora. La reception è tua». Scomparve prima che Samantha potesse chiederle cosa significasse esattamente quella frase. Significava starsene seduta alla scrivania di Barb nell’area di ricevimento, sola, vulnerabile ed esposta alla possibilità di essere contattata da un poveraccio che non aveva soldi per assumere un avvocato vero. Significava rispondere al telefono e passare le chiamate a Mattie o ad Annette, oppure semplicemente prendere tempo. Una persona chiese di Annette, che era con un cliente. Un’altra chiese di Mattie, che era in tribunale. Un’altra ancora voleva un parere su una domanda di invalidità e Samantha fu lieta di poterla dirottare a uno studio privato. Poi la porta di ingresso si aprì e comparve Mrs Francine Crump, con una questione legale che avrebbe ossessionato Samantha per mesi. Tutto ciò che Mrs Crump voleva era un testamento, uno che “non costasse niente”. I normali testamenti sono documenti semplici, la cui stesura può essere facilmente affrontata perfino dal più inesperto degli avvocati. Anzi, i principianti di solito colgono al volo la possibilità di redigere un testamento perché è difficile combinare casini. All’improvviso sicura di sé, Samantha guidò Mrs Crump in una saletta riunioni nel retro, lasciando la porta aperta in modo da poter tenere d’occhio l’area di ricevimento. Mrs Crump aveva ottant’anni e li dimostrava tutti. Il marito era morto molto tempo prima e i suoi cinque figli erano sparsi per il paese, nessuno vicino a casa. La signora disse di essere stata dimenticata da loro: andavano di rado a trovarla e di rado le telefonavano. Voleva un semplice testamento in cui non avrebbe lasciato niente ai figli. «Li lascio tutti fuori» dichiarò con amarezza disarmante. A giudicare dall’aspetto della donna, e dal fatto che voleva un testamento gratis, Samantha ipotizzò che ci fosse ben poco in termini di disponibilità. Mrs Crump viveva a Eufaula, una piccola comunità “nel profondo di Jacob’s Holler”. Samantha prese nota come se sapesse perfettamente dove si trovava. Non c’erano debiti né beni veri e propri, a parte una vecchia casa e trentadue ettari di terreno, proprietà della famiglia da sempre. «Ha idea di quanto valga il terreno?» chiese Samantha. Mrs Crump fece scricchiolare la dentiera e poi rispose: «Molto più di quanto si pensi. Vede, l’anno scorso si sono presentati da me quelli della società del carbone perché volevano comprarlo, è da un po’ che ci provano, ma io li ho cacciati via. Io non vendo a nessuna società del carbone, nossignora. Stanno usando gli esplosivi non lontano dalla mia proprietà: buttano giù Cat Mountain, ed è una vera vergogna. Non voglio avere niente a che fare con nessuna società del carbone». «Quanto le avevano offerto?» «Parecchio. Non l’ho detto ai miei figli e non glielo dirò. Sa, io non sto tanto bene di salute e tra non molto me ne andrò. Se il terreno finisce ai miei figli, loro lo venderanno a quelli del carbone prima ancora che io mi raffreddi. È esattamente quello che farebbero, io li conosco.» Frugò nella borsetta ed estrasse alcuni fogli ripiegati. «Questo è il testamento che ho firmato cinque anni fa. I miei figli mi avevano portato nello studio di un avvocato, proprio in fondo a questa strada, e me lo hanno fatto firmare.» Samantha dispiegò lentamente i fogli e lesse il testamento con le ultime volontà di Francine Cooper Crump. Il terzo paragrafo lasciava tutto ai cinque figli, in parti uguali. Samantha scribacchiò qualche appunto inutile e poi disse: «Okay, Mrs Crump, ai fini dell’imposta di successione, ho bisogno di sapere la stima approssimativa del terreno». «Che cosa?» «Quanto le ha offerto la società del carbone?» Mrs Crump assunse l’espressione di chi è stato insultato, poi si chinò in avanti e sussurrò: «Duecentomila e rotti, ma il valore è almeno doppio. Forse triplo. Non ci si può fidare di quella gente. Giocano sempre al ribasso e poi si inventano modi per fregarti alla fine». Tutto a un tratto il semplice testamento non era più così semplice. Samantha procedette con cautela e chiese: «Bene. Quindi a chi vanno i trentadue ettari nel nuovo testamento?». «Voglio darli alla mia vicina di casa, Jolene. Vive dall’altra parte del torrente, sulla sua terra. E neppure lei vende. Mi fido di lei, e ha promesso che si prenderà cura della mia proprietà.» «Ne ha già discusso con la signora?» «Ne parliamo di continuo. Lei e suo marito Hank dicono che faranno anche loro un nuovo testamento e lasceranno a me il loro terreno, nel caso se ne vadano per primi. Ma loro stanno meglio di me di salute, capisce? Immagino che sarò io ad andarmene per prima.» «E se invece se ne vanno prima loro?» «Ne dubito. Io ho la pressione alta, il cuore malandato e anche la borsite.» «Certo, ma se dovessero andarsene prima loro, lei erediterebbe la loro proprietà, che andrebbe a unirsi alla sua. Alla sua morte, a chi andrebbe tutto quel terreno?» «Non ai miei figli e neppure ai figli di Jolene e Hank. Che Dio non voglia. I miei figli saranno cattivi, ma i loro...» «Ho capito, però ci deve essere comunque un erede. Ha in mente qualcuno?» «È per questo che sono venuta qui, per parlare con un avvocato. Ho bisogno di un consiglio su cosa fare.» A quel punto, con un patrimonio in gioco, si aprivano diversi scenari. Di sicuro il nuovo testamento sarebbe stato contestato dai cinque figli, e Samantha, a parte quello che aveva appena leggiucchiato sui testi dei seminari, non sapeva niente di impugnazioni. Ricordava vagamente un paio di casi esaminati alla scuola di legge, ma erano passati troppi anni. Riuscì a prendere tempo, a scarabocchiare appunti e a formulare domande appropriate per mezz’ora, e alla fine convinse Mrs Crump a ripresentarsi qualche giorno dopo, una volta che lo studio avesse valutato la sua situazione. Barb intanto era tornata e si dimostrò abilissima nell’aiutare Samantha a scortare la nuova cliente all’uscita. «Di cosa si trattava?» chiese Barb dopo che Mrs Crump se ne fu andata. «Non so ancora bene. Sono nel mio ufficio.» Lo studio di Donovan era in condizioni molto migliori della Legal Aid Clinic. Poltrone in pelle, spessi tappeti, pavimenti in legno ben lucidati, un originale lampadario appeso al centro dell’atrio. Il primo pensiero di Samantha fu che, finalmente, c’era qualcuno a Brady capace di mettere insieme qualche dollaro. La receptionist, Dawn, la salutò educatamente e le disse che il boss la stava aspettando di sopra. Le comunicò anche che lei ora sarebbe andata a pranzo. Salendo la scala circolare, Samantha sentì chiudere a chiave la porta d’ingresso. Non c’era segno di altre persone presenti. Donovan era al telefono dietro una grande scrivania di legno che sembrava molto vecchia. Le fece cenno di entrare, le indicò una grande poltrona e concluse la chiamata: «Adesso devo salutarti». Riattaccò e disse: «Benvenuta nel mio regno. È qui che si fa il gioco duro, grandi rischi per grandi poste». «Niente male» commentò Samantha, guardandosi intorno. La stanza era ampia e si apriva sul balcone. Le pareti erano coperte da belle librerie, tutte cariche del solito assortimento di trattati e tomi studiato per fare colpo. In un angolo c’era una rastrelliera sulla quale erano esposte almeno otto armi letali. Samantha non era in grado di distinguere una doppietta da un fucile per la caccia al cervo, ma la collezione le sembrava in ottimo stato e pronta all’uso. «Armi ovunque» osservò. «Vado molto a caccia, da sempre. Se cresci tra queste montagne, cresci nei boschi. Ho ucciso il mio primo cervo a sei anni, con l’arco.» «Congratulazioni. Perché mi hai invitata a pranzo?» «L’avevi promesso, ricordi? La settimana scorsa, quando ti hanno arrestata e io ti ho salvato dalla prigione.» «Ma eravamo d’accordo per pranzare alla tavola calda.» «Ho pensato che qui avremmo avuto più privacy. Inoltre cerco sempre di evitare i locali del posto. Come ti ho detto, c’è un mucchio di gente alla quale non vado a genio. A volte si lasciano andare e fanno scenate in pubblico, il che potrebbe rovinare un buon pranzo.» «Non vedo cibo.» «È nella stanza della guerra, la mia sala operativa. Vieni con me.» Donovan balzò in piedi e Samantha lo seguì per un breve corridoio fino a una lunga stanza priva di finestre. A un capo di un tavolo ingombro c’erano due contenitori di plastica per cibo e due bottiglie d’acqua, che Donovan indicò dicendo: «Il pranzo è servito». Samantha si avvicinò a una parete e studiò un ingrandimento fotografico alto almeno due metri e mezzo. Era a colori e rappresentava una scena scioccante e tragica. Un masso delle dimensioni di una piccola auto era precipitato sopra un caravan, sventrandolo e provocando danni gravissimi. «Che cos’è?» domandò. Donovan le si avvicinò e rispose: «Be’, tanto per cominciare è una causa. Per circa un milione di anni, quel masso ha fatto parte di Enid Mountain, a una sessantina di chilometri da qui, a Hopper County. Un paio d’anni fa, cominciarono lo strip mining della montagna: fecero saltare la cima e iniziarono a estrarre il carbone. Il quattordici marzo dell’anno scorso, alle quattro di mattina, un bulldozer di proprietà di un’impresa di furfanti chiamata Strayhorn Coal, e manovrato da un suo dipendente, stava sgombrando le rocce, senza permesso, e questo masso venne buttato giù, nell’area di riempimento nella valle. A causa delle dimensioni, il masso prese velocità precipitando lungo il letto di questo torrente, molto scosceso». Donovan stava indicando una mappa ingrandita accanto alla foto. «A quasi un chilometro e mezzo di distanza dal punto in cui aveva lasciato il bulldozer, il masso è piombato su questo piccolo caravan. Dentro c’erano i due fratelli Tate: Eddie, di undici anni, e Brandon, di otto. Profondamente addormentati, come prevedibile. Il padre era in prigione per avere cucinato met. La madre era al lavoro in un minimarket. I ragazzi sono morti sul colpo, schiacciati.» Samantha fissò incredula la foto. «È orribile.» «Lo è stato, e lo è. La vita nei pressi di una strip mine non è mai noiosa. Le esplosioni fanno tremare la terra e danneggiano le fondamenta. La polvere di carbone riempie l’aria e ricopre tutto. L’acqua dei pozzi diventa arancione. Volano di continuo frammenti di roccia. Due anni fa ho avuto un caso in West Virginia: in un caldo sabato pomeriggio, Mr e Mrs Herzog se ne stavano seduti accanto alla loro piccola piscina quando un masso di una tonnellata è piovuto dal nulla ed è precipitato dritto nell’acqua. Loro due si sono infradiciati. La piscina si è spaccata. Abbiamo fatto causa alla società e abbiamo incassato qualcosa, ma non molto.» «Hai intentato causa alla Strayhorn Coal?» «Oh, sì. Andiamo a processo lunedì prossimo a Colton, tribunale distrettuale.» «La società non ha voluto un accordo stragiudiziale?» «La società è stata multata dai nostri impavidi amministratori, i quali hanno colpito duro per ben ventimila dollari. La società è ricorsa in appello. No, non sono disposti a negoziare un accordo. Unitamente alla loro compagnia assicurativa, avevano offerto centomila.» «Centomila dollari per due bambini morti?» «I bambini morti non valgono molto, specialmente negli Appalachi. Non hanno valore economico perché, ovviamente, non lavorano. Questo è un caso solidissimo per una richiesta di danni punitivi, e visto che la capitalizzazione della Strayhorn Coal è di mezzo miliardo di dollari, io chiederò un milione o due. Ma anni fa i saggi che fanno le leggi della Virginia hanno deciso di fissare un tetto ai risarcimenti.» «Mi sembra di ricordarlo dai tempi dell’esame di ammissione all’ordine.» «Il tetto è di trecentocinquantamila dollari, non importa quanto orribile sia stata l’azione del convenuto. È stato un regalo della nostra Assemblea generale all’industria delle assicurazioni, come sempre nel caso dei tetti massimi.» «Mi sembra di sentir parlare mio padre.» «Vuoi mangiare o vuoi restare in piedi per tutta la prossima ora?» «Non sono sicura di avere fame.» «Be’, io ce l’ho.» Si sedettero al tavolo e scartarono i sandwich. Samantha diede un morso al suo, ma non aveva appetito. «Tu hai cercato di negoziare un accordo?» domandò. «Io ho chiesto un milione e loro hanno fatto una controfferta di centomila, per cui la distanza è enorme. Loro, gli avvocati dell’assicurazione e la società mineraria, dicono che la famiglia era incasinata e non così legata. Contano anche sul fatto che molti giurati di queste parti hanno paura di Big Coal, oppure sono tacitamente solidali. Qui negli Appalachi, quando fai causa a una società del carbone non sempre puoi contare su una giuria imparziale. Perfino quelli che le disprezzano tendono a tenere la bocca chiusa. Tutti hanno un parente o un amico che lavora nel settore. Questo determina dinamiche molto interessanti in aula.» Samantha mangiò un altro piccolo boccone e si guardò intorno. Le pareti erano rivestite da mappe e ingrandimenti fotografici a colori, alcuni contrassegnati come prove processuali, altri apparentemente in attesa di processo. «Mi ricorda lo studio di mio padre, tanto tempo fa.» «Marshall Kofer. Ho fatto qualche ricerca. Ai suoi tempi è stato il massimo come avvocato di tribunale.» «Sì, è vero. Da bambina, se volevo vederlo di solito dovevo andare nel suo ufficio, sempre che fosse in città. Lavorava senza sosta. Dirigeva un grande studio. Quando non stava volando in giro per il mondo all’inseguimento dell’ultimo disastro aereo, era in ufficio a lavorare sul processo. Aveva una grande stanza ingombra... adesso che ci penso, anche lui la chiamava stanza della guerra.» «Non ho inventato io la definizione. Quasi tutti gli avvocati ne hanno una.» «Le pareti erano rivestite da grandi foto, diagrammi e ogni tipo di documento. Era impressionante, perfino per una bambina. Si trattava di grandi disastri aerei, con tante vittime, tanti avvocati e tutto il resto. In seguito mio padre mi ha spiegato che nella maggior parte dei casi si arrivava a un accordo stragiudiziale subito prima del processo. Stabilire la responsabilità di rado costituiva un problema: l’aereo era precipitato e la colpa non poteva certo essere dei passeggeri. Le compagnie aeree sono ricchissime e assicurate, e si preoccupano per la loro immagine, così si accordano. Per cifre enormi.» «Hai mai preso in considerazione l’idea di lavorare con tuo padre?» «No, mai. Mio padre è un uomo impossibile, o almeno lo era allora. Ego smisurato, lavorodipendente, parecchio stronzo. Non volevo saperne del suo mondo.» «E poi si è rovinato da solo.» «Proprio così.» Samantha si alzò in piedi e si avvicinò a un’altra foto: un’auto accartocciata. I soccorritori stavano cercando di estrarre qualcuno intrappolato all’interno. Donovan rimase seduto, masticò una patatina, poi disse: «Sono andato a processo per quel caso tre anni fa a Martin County, West Virginia. Ho perso». «Cos’era successo?» «Un camion di carbone, sovraccarico e in eccesso di velocità, stava scendendo dalla montagna, ha sbandato oltre la linea spartitraffico e si è scontrato con quella piccola Honda. La conducente era Gretchen Bane, di sedici anni, la mia cliente, deceduta sulla scena. Se guardi attentamente, puoi vedere il suo piede sinistro che spunta dalla portiera, lì sul fondo.» «Temevo che fosse un piede. La giuria ha visto questa foto?» «Oh, sì. I giurati hanno visto tutto. Per cinque giorni ho esposto i fatti alla giuria, ma non è servito a niente.» «Come mai hai perso?» «Io perdo circa metà delle cause. In questo caso particolare, l’autista del camion è salito sul banco dei testimoni, ha giurato di dire la verità e poi ha mentito per tre ore. Ha dichiarato che era stata Gretchen a superare la linea mediana e a provocare l’incidente, ha fatto sembrare la cosa come se lei avesse voluto suicidarsi. Le società minerarie sono furbe e non mandano mai giù un solo camion alla volta: viaggiano in coppia, così c’è sempre un testimone pronto a deporre. Camion che trasportano cento tonnellate di carbone e sfrecciano su vecchi ponti che hanno una portata di venti ancora utilizzati dagli scuolabus, camion che ignorano ogni norma stradale. E quando capita un incidente, di solito è grave. In West Virginia, questi camion uccidono un automobilista innocente ogni settimana. L’autista giura che non stava facendo niente di sbagliato, il suo collega gli tiene corda, non ci sono altri testimoni e così la giuria si schiera con Big Coal.» «Non puoi ricorrere in appello?» Donovan rise come se Samantha avesse appena fatto una battuta. Bevve un lungo sorso d’acqua e rispose: «Certo, abbiamo ancora quel diritto. Ma il West Virginia elegge i propri giudici, il che è un abominio. La Virginia ha qualche legge parecchio discutibile, ma almeno noi non eleggiamo i giudici. Là non è così. La Corte Suprema del West Virginia è composta da cinque giudici, i quali restano in carica per quattro anni e poi si candidano per essere rieletti. Indovina chi versa i contributi più consistenti alle loro campagne elettorali». «Le società del carbone.» «Bingo. Le società sono padrone dei politici, dei legislatori, dei giudici e spesso controllano anche le giurie. Per cui non è esattamente il clima ideale per noi avvocati di tribunale.» «Alla faccia del processo equo» disse Samantha, continuando a guardare le foto. «Ogni tanto vinciamo. Nel caso di Gretchen abbiamo avuto fortuna. Un mese dopo il processo, lo stesso camionista si è scontrato con un’altra auto. Per fortuna nessuno è morto, solo qualche osso rotto. Il vicesceriffo sulla scena si è incuriosito e ha fermato il camionista per accertamenti. Si comportava in modo strano e alla fine ha ammesso che aveva guidato per quindici ore di fila. Oltre a questo, aveva bevuto Red Bull con vodka e sniffato cristalli di met. Il vice ha acceso un registratore e lo ha interrogato sull’incidente Bane. Il camionista ha ammesso che il suo datore di lavoro lo aveva minacciato, costringendolo a mentire. Ho avuto una copia del verbale e ho depositato una valanga di memorie e istanze. La corte alla fine ha indetto un nuovo processo, che stiamo ancora aspettando. Alla fine li inchioderò.» «Cosa ne è stato del camionista?» «È diventato un pentito e ha vuotato il sacco sulla Eastpoint Mining, il suo datore di lavoro. Qualcuno gli ha tagliato gli pneumatici e ha sparato due colpi alla finestra della sua cucina, per cui ora se ne sta nascosto, in un altro Stato. Gli do un po’ di soldi per sopravvivere.» «È legale?» «Questa non è una domanda opportuna nel paese del carbone. Niente è tutto bianco o tutto nero nel mio mondo. Il nemico infrange ogni regola, per cui la lotta non è mai leale. Se giochi secondo le regole, perdi, anche se hai ragione.» Samantha tornò a sedersi al tavolo e mangiucchiò una patatina. «Sapevo che era cosa saggia evitare le cause in tribunale.» «Mi dispiace sentirlo» disse Donovan con un sorriso, gli occhi scuri che assorbivano ogni mossa di Samantha. «Perché stavo pensando di offrirti un impiego.» «Prego?» «Parlo sul serio. Mi sarebbe utile qualcuno che facesse il lavoro di ricerca. Ti pagherei. So quanto guadagni al centro di assistenza legale, per cui ho pensato che forse avresti accettato un secondo lavoro come assistente ricercatrice.» «Qui, nel tuo studio?» «Dove, altrimenti? Niente che interferisca con il tuo stage, rigorosamente dopo l’orario di lavoro e nei weekend. Se qui a Brady non ti sei già annoiata, non ci metterai molto.» «Perché io?» «Perché non c’è nessun altro. Ho due paralegali e uno se ne va domani. Non posso fidarmi di nessun altro avvocato in città, né di qualcuno di altri studi legali. Sono paranoico per quanto riguarda la segretezza e tu evidentemente non sei qui da abbastanza tempo per conoscere qualcuno o qualcosa. Sei il candidato perfetto.» «Non so cosa rispondere. Hai parlato con Mattie?» «No, non di questo. Ma, se sei interessata, farò due chiacchiere con lei. Raramente mi dice di no. Pensaci. Ma se non vuoi, capirò.» «Okay, ci penserò. Ma ho appena cominciato un lavoro e non avevo intenzione di cercarmene un altro, non così presto, comunque. Inoltre le cause proprio non mi piacciono.» «Non dovrai andare in tribunale. Te ne staresti nascosta qui a fare ricerche, redigere memorie e lavorare per tutte le ore a cui sei abituata.» «Stavo cercando di farla finita con quegli orari.» «Me ne rendo conto. Riflettici su e ne riparliamo.» Si diedero da fare con i sandwich per un momento, ma il silenzio era troppo pesante. Alla fine fu Samantha a romperlo. «Mattie mi ha detto del tuo passato.» Donovan sorrise e spinse da parte il cibo. «Cosa vuoi sapere? Sono un libro aperto.» Samantha ne dubitava. Avrebbe potuto fargli diverse domande: che fine ha fatto tuo padre? È seria la separazione da tua moglie? Con che frequenza la vedi? Magari in seguito. «In realtà niente» rispose. «La tua è una storia interessante, ecco tutto.» «Interessante, triste, tragica, piena di avventura. Tutto quanto. Ho trentotto anni e morirò giovane.» Non le venne in mente niente da dire. 11 Serpeggiando tra le montagne, la highway che portava a Colton saliva e scendeva, regalando viste mozzafiato di compatte catene montuose, e poi si tuffava in valli cosparse di gruppetti di baracche e case mobili cadenti, con auto scassate sparse tutt’intorno. Costeggiava torrenti con rapide poco profonde dall’acqua limpidissima e, proprio mentre ci si riabituava alla bellezza del panorama, sfiorava l’ennesimo insediamento di minuscole case solitarie, raggruppate l’una accanto all’altra nell’ombra eterna delle montagne. Il contrasto era sorprendente: la bellezza dei monti e la povertà della gente che viveva in quelle zone. C’erano alcune case graziose con prati ben curati e steccati bianchi, ma in genere i vicini non erano altrettanto benestanti. Mattie guidava e parlava, mentre Samantha ammirava lo scenario. In un tratto di strada in salita, un raro rettilineo, un lungo camion si avvicinò dalla direzione opposta. Era sporco, impolverato e con il vano di carico coperto da un telone. Stava scendendo dalla montagna, chiaramente oltre il limite di velocità, ma nella giusta corsia. Una volta passato, Samantha disse: «Immagino che fosse un camion di carbone». Mattie controllò nello specchietto retrovisore, come se non avesse notato il veicolo. «Oh, sì. Portano via il carbone dopo il lavaggio, pronto per il mercato. Sono dappertutto.» «Donovan me ne ha parlato proprio ieri. Non ha una bella opinione di quei camion.» «Scommetto che quello era sovraccarico e probabilmente non supererebbe un’ispezione.» «Nessuno li controlla?» «Non con regolarità. E in genere le società sanno in anticipo quando arriveranno gli ispettori. I miei preferiti sono quelli incaricati della sicurezza nelle miniere, che devono monitorare le esplosioni. Seguono un programma prestabilito, per cui quando si presentano in una strip mine... indovina? Tutto è in perfetto ordine, come da manuale. Appena se ne vanno, la società ricomincia con le sue esplosioni senza alcun rispetto delle regole.» Samantha dava per scontato che Mattie sapesse del suo pranzo con Donovan il giorno prima. Aspettò un momento per vedere se veniva sollevato l’argomento dell’offerta di lavoro. Non accadde. Arrivarono in cima a una montagna e iniziarono un’altra discesa. «Voglio farti vedere una cosa» disse Mattie. «Ci vorrà solo un minuto.» Rallentò e voltò in una highway più stretta, addirittura con più curve e rilievi ancora più ripidi. Stavano salendo di nuovo. Un cartello annunciò che poco più avanti c’era un’area picnic con vista panoramica. Si fermarono in una piccola striscia di terreno con due tavoli di legno e un bidone per la spazzatura. Davanti a loro c’erano chilometri e chilometri di montagne ondulate rivestite da una fitta vegetazione. Scesero dall’auto e si avvicinarono a un precario parapetto, installato per impedire a persone e auto di precipitare in fondo a una valle dove non sarebbero mai più state ritrovate. «Questo è un buon punto per vedere da una certa distanza la rimozione della cima delle montagne» disse Mattie. «Tre siti...» Indicò qualcosa alla sua sinistra. «Quella è la miniera di Cat Mountain, non lontana da Brady. Più avanti nella stessa direzione c’è la miniera Loose Creek in Kentucky. E là, sulla destra, c’è la Little Utah, sempre in Kentucky. Tutte attive, tutte che estraggono carbone alla massima velocità umanamente possibile. Una volta quelle montagne erano alte quasi mille metri, come le loro vicine. Guardale adesso.» Erano state scotennate, spogliate di tutta la vegetazione e ridotte a roccia e polvere. Le loro cime erano scomparse e ora si stagliavano come dita mozzate, protuberanze di una mano mutilata. Erano circondate da montagne intatte, incendiate dall’arancione e dal giallo di metà autunno, tutto di una bellezza perfetta, se non fosse stato per quell’obbrobrio. Immobile, Samantha guardava incredula, cercando di assimilare quella devastazione. Alla fine disse: «Non può essere legale». «Invece temo proprio di sì, secondo la legge federale. Tecnicamente è legale. Ma il modo in cui operano è estremamente illegale.» «Non c’è modo di fermare questo scempio?» «Le cause infuriano da vent’anni. Abbiamo avuto qualche vittoria a livello federale, ma poi tutte le sentenze sono state ribaltate in appello. Il Quarto circuito è stracolmo di nominati repubblicani. E quindi lo stupro continua. Noi, comunque, continuiamo a combattere.» «Noi?» «I buoni, i nemici delle strip mines. Non sono personalmente coinvolta come avvocato, ma faccio parte della squadra giusta. Siamo in netta minoranza qui in zona, ma la lotta va avanti.» Mattie diede un’occhiata all’orologio e disse: «Sarà meglio che ci muoviamo». Di nuovo in auto, Samantha chiese: «È una cosa che ti fa stare male, vero?». «Hanno distrutto gran parte del nostro modo di vivere qui negli Appalachi, per cui, sì, mi fa stare male.» Quando entrarono nella città di Colton, la highway diventò Center Street e, dopo pochi isolati, sulla destra comparve il tribunale. «Donovan ha un processo qui la settimana prossima» disse Samantha. «Oh, sì, uno grosso. Quei due ragazzini. Che cosa triste.» «Conosci il caso?» «Sì, certo. Non si parlava d’altro quando sono rimasti uccisi. So più di quello che vorrei sapere. Spero solo che Donovan vinca. Io gli avevo consigliato di cercare un accordo, di ottenere qualcosa per la famiglia, ma lui vuole farne un caso esemplare, dare un segnale forte.» «Quindi non accetta sempre i tuoi consigli.» «Donovan di solito fa quello che vuole, e di solito ha ragione lui.» Parcheggiarono dietro il tribunale ed entrarono nel palazzo. Molto diverso dal tribunale di Noland County, quello di Hopper County era una sconcertante struttura moderna il cui progetto un giorno doveva avere fatto indubbiamente sensazione. Tutto in pietra e vetro, in certi punti sporgeva e in altri si ritraeva, sprecando un mucchio di spazio a vantaggio del suo audace design. Samantha immaginò che in seguito all’architetto fosse stata revocata l’abilitazione professionale. «Il vecchio tribunale era bruciato» disse Mattie mentre salivano le scale. «Ma è anche vero che bruciano tutti.» Samantha non era sicura di cosa significasse quella frase. Lady Purvis, che sedeva nervosa nel corridoio fuori dall’aula, sorrise con grande sollievo quando vide i suoi avvocati. C’erano altre due o tre persone che ciondolavano nel corridoio, in attesa che la corte si riunisse. Dopo pochi preliminari, Lady indicò un giovanotto dalla faccia pallida e molle che indossava una giacca sportiva di poliestere e lucidi stivali a punta. «È lui, quello che lavora per la JRA . Si chiama Snowden, Laney Snowden.» «Aspetta qui» disse Mattie. Con Samantha al seguito, puntò direttamente su Mr Snowden, i cui occhi sembrarono farsi sempre più grandi a mano a mano che Mattie gli si avvicinava. «È lei che rappresenta la JRA ?» «Sì, sono io» confermò Snowden con orgoglio. Mattie tese un biglietto da visita come se fosse stato un coltello a serramanico. «Io sono Mattie Wyatt, l’avvocato di Stocky Purvis. Questa è la mia associata, Samantha Kofer. Siamo state assunte per far uscire dal carcere il nostro cliente.» Mattie fece un passo avanti, Snowden uno indietro. Samantha non sapeva bene cosa fare, perciò assunse rapidamente una postura e un atteggiamento aggressivi. Fissò minacciosa Snowden mentre lui la guardava inespressivo, tentando di assimilare il fatto che un disgraziato come Stocky Purvis avesse assunto non uno, ma due avvocati. «Bene» disse finalmente. «Basta che sganci i soldi e lo facciamo uscire.» «Il mio cliente non ha soldi, Mr Snowden. Ormai dovrebbe essere evidente. E non è in grado di procurarsene finché lo tenete rinchiuso in galera. Aggiungete pure tutti gli addebiti illegali che volete, ma la verità è che il mio cliente non può guadagnare un centesimo se continua a starsene dove si trova adesso.» «Io ho un’ordinanza del tribunale» dichiarò Snowden fingendo sicurezza. «Be’, tra poco parleremo proprio di questo con il giudice. L’ordinanza verrà modificata e farà uscire Stocky. Se lei non è disposto a negoziare, si ritroverà nei guai e si prenderà tutte le colpe.» «Okay, voi ragazze cosa avete in mente?» «Non mi chiami ragazza!» abbaiò Mattie. Snowden indietreggiò spaventato, quasi temendo una di quelle denunce per molestie sessuali di cui si leggeva sui giornali. Mentre il viso cambiava colore, Mattie gli si avvicinò ancora di più. «Ecco la proposta. Il mio cliente deve alla contea circa duecento dollari tra multe e spese varie. Voialtri ne avete aggiunti altri quattrocento per i vostri giochetti. Di questi ne pagheremo cento, per un totale massimo di trecento dollari, e avremo sei mesi di tempo. Questo è quanto, prendere o lasciare.» Snowden esibì un sorriso fasullo e scosse la testa «Mi dispiace, Ms Wyatt, ma non possiamo accettare.» Senza togliergli gli occhi di dosso, Mattie aprì la valigetta ed estrasse rabbiosamente alcuni fogli. «Allora provate ad accettare questa.» Agitò le carte davanti alla faccia di Snowden. «È una denuncia presso la corte federale contro la Judicial Response Associates, a cui poi aggiungerò anche il suo nome, per arresto illegale e detenzione illegale. Vede, Mr Snowden, la costituzione dice, molto chiaramente, che non si può mandare in carcere una persona povera perché non riesce a pagare i suoi debiti. Non mi aspetto che lei lo sappia, visto che lavora per una banda di farabutti. Comunque, mi creda, i giudici federali lo sanno perché hanno letto la costituzione, almeno quasi tutti. La detenzione per debiti è illegale. Ha mai sentito parlare della clausola di uguale protezione?» Nonostante la bocca aperta, Snowden era senza parole. Mattie insistette. «No, non credo. Forse i suoi avvocati potranno spiegarglielo, a trecento dollari l’ora. Io glielo sto dicendo perché lei possa riferire ai suoi capi che vi terrò inchiodati in tribunale per i prossimi due anni. Vi seppellirò sotto le carte. Dovrete trascinare il culo in ore e ore di deposizioni e scoprirò i vostri sporchi trucchetti. Verrà fuori tutto. Vi perseguiterò e vi renderò la vita impossibile. Avrete gli incubi quando penserete a me. E alla fine io vincerò la causa, e in più incasserò la mia parcella.» Spinse il documento contro il petto di Snowden, che lo prese in mano con riluttanza. Mattie e Samantha fecero dietro-front e si allontanarono a passo di marcia, lasciando uno Snowden sotto shock da bombardamento, con le ginocchia molli e già con un’idea dei futuri incubi. Samantha, anche lei a suo modo sbalordita, sussurrò: «Non possiamo fare bancarotta per i trecento dollari?». Improvvisamente calma e composta, Mattie rispose sorridendo: «Certo che possiamo. E lo faremo». Trenta minuti più tardi, Mattie, in piedi davanti al giudice, annunciava che era stato raggiunto un accordo per l’immediato rilascio del suo cliente, Mr Stocky Purvis. Lady era in lacrime quando uscì dal tribunale per andare al carcere. Durante il viaggio di ritorno a Brady, Mattie disse: «La professione legale è uno strumento potente, quando viene utilizzata per aiutare la povera gente. I delinquenti come Snowden sono abituati a fare i prepotenti con chi non può permettersi una rappresentanza legale. Ma coinvolgi un buon avvocato e le prepotenze cessano subito». «Anche tu non scherzi in quanto a prepotenza.» «Ho fatto pratica.» «Quando hai preparato la denuncia?» «Le teniamo pronte in magazzino, sotto la voce “Cause finte”. Inserisci i nomi, dissemini ovunque le parole “Corte federale” e vedi che scappano tutti come topi.» Cause finte. Scappano come topi. Samantha si chiese quanti dei suoi compagni alla Columbia fossero entrati in contatto con tattiche legali del genere. Alle due di quello stesso pomeriggio, Samantha era seduta nell’aula principale del tribunale di Noland County e dava colpetti tranquillizzanti sul ginocchio di una terrorizzata Phoebe Fanning. I lividi sul viso avevano assunto un colore blu scuro e sembravano ancora peggiori. Phoebe era arrivata con uno spesso strato di fondotinta, ma Annette non aveva approvato e le aveva dato istruzioni di andare in bagno a lavarsi la faccia. Ancora una volta, Randy Fanning entrò in aula accompagnato dalla scorta e con un’espressione addirittura più accigliata di due giorni prima. Gli era stata notificata copia della domanda di divorzio, e la cosa sembrava averlo irritato. Mentre il vice gli toglieva le manette, lanciò un’occhiata cattiva a sua moglie, e a Samantha. Il giudice della corte distrettuale era Jeb Battle, un giovane zelante che non dimostrava più di trent’anni. Dato che il centro di assistenza legale gratuita si occupava spesso di questioni familiari, Annette era una figura abituale in quel tribunale e sosteneva di andare molto d’accordo con il giudice. Battle dichiarò aperta l’udienza e iniziò con altre cause, approvando alcune questioni non contestate dalle parti. Quando chiamò “Fanning contro Fanning”, Annette, Samantha e la loro cliente varcarono il cancelletto e presero posizione a un tavolo vicino al banco del giudice. Randy Fanning, sempre con un vice accanto, si sedette a un altro tavolo e aspettò che Hump lo raggiungesse ciabattando. Battle osservò con attenzione Phoebe e il suo viso pieno di lividi e, senza una parola, prese la sua decisione. «Questa domanda di divorzio è stato depositata lunedì» disse. «Le è stata notificata una copia, Mr Fanning? Può restare seduto.» «Sì, signore, ho una copia.» «Mr Humphrey, immagino che in mattinata verrà fissata la cauzione, è esatto?» «Sì, signore.» «Siamo qui per decidere su una richiesta di ordinanza restrittiva temporanea. Phoebe Fanning chiede alla corte di imporre a Randall Fanning di non avvicinarsi alla residenza della coppia, ai tre figli della coppia, a Phoebe stessa e a chiunque tra i suoi parenti più prossimi. Lei ha obiezioni, Mr Humphrey?» «Certo che ne ho, vostro onore. Questa faccenda si sta gonfiando all’inverosimile.» Hump era in piedi, gesticolava in modo teatrale e la sua voce si faceva più vibrante a ogni frase. «La coppia ha avuto una lite. Non è stata la prima, e non tutte sono state causate dal mio cliente. Comunque, sì, il mio cliente ha litigato con la moglie. È evidente che i signori Fanning hanno dei problemi, ma stanno tentando di risolverli. Se solo potessimo semplicemente fare tutti un bel respiro profondo, lasciar uscire Randy dal carcere e rimandarlo al lavoro, io sono sicuro che i due troveranno il modo di appianare gran parte delle loro divergenze. Il mio cliente sente molto la mancanza dei suoi figli e vuole veramente tornare a casa.» «La signora ha chiesto il divorzio, Mr Humphrey» fece notare severo il giudice. «Mi sembra che faccia sul serio riguardo alla separazione.» «Le domande di divorzio possono essere ritirate con la stessa velocità con cui sono state presentate. Lo vediamo succedere di continuo, vostro onore. Il mio cliente è disposto addirittura ad andare da uno di quei consulenti matrimoniali, se questo può fare contenta la signora.» Annette intervenne: «Giudice, ormai siamo ben oltre i consulenti matrimoniali. Il cliente di Mr Humphrey dovrà vedersela con l’accusa di lesioni volontarie aggravate, e forse anche con una pena detentiva. Il mio collega spera che tutto questo semplicemente scompaia e che il suo cliente possa uscire tranquillo. Questo non succederà. La domanda di divorzio non verrà ritirata.» «La casa a chi appartiene?» chiese il giudice Battle. «A un locatore. La coppia è in affitto.» «E dove sono i figli?» «Fuori città, in un posto sicuro.» A parte pochi mobili scompagnati, la casa era già vuota. Phoebe aveva portato quasi tutto in un deposito. Si nascondeva in un motel a Grundy, Virginia, a un’ora di distanza. Era il centro di assistenza legale, grazie al suo fondo di emergenza, che le pagava vitto e alloggio. I piani di Phoebe consistevano nel trasferirsi in Kentucky e andare ad abitare vicino a una parente, ma non c’era ancora niente di certo. Il giudice Battle guardò in direzione di Randy Fanning e disse: «Mr Fanning, accolgo la richiesta formulata in questa istanza, parola per parola. Quando lei uscirà dal carcere, non dovrà avere alcun contatto con sua moglie, con i suoi figli o con qualsiasi parente stretto di sua moglie. Fino a nuovo ordine, non dovrà avvicinarsi all’abitazione che lei e sua moglie avete in affitto. Nessun contatto. Stia alla larga, ha capito?». Randy si chinò sul suo avvocato e mormorò qualcosa. Hump disse: «Giudice, il mio cliente può avere un’ora per prendere i suoi abiti e le sue cose?». «Un’ora, e manderò un vicesceriffo con lui. Mi faccia sapere quando verrà rilasciato.» Annette si alzò in piedi. «Vostro onore, la mia cliente ha paura e si sente minacciata. Lunedì, all’uscita dal tribunale, siamo state bloccate sulla scalinata dal fratello di Mr Fanning, Tony, e da altri due tipi poco raccomandabili. Alla mia cliente è stato detto di ritirare la denuncia, altrimenti... È stato un incontro breve, ma inquietante.» Il giudice Battle guardò di nuovo Randy Fanning e gli chiese: «È vero?». «Non lo so, giudice, io non c’ero.» «Era suo fratello?» «Forse. Se lei dice così.» «Non apprezzo molto le intimidazioni, Mr Fanning. Le suggerisco di fare due chiacchiere con suo fratello e di metterlo in riga. In caso contrario farò intervenire lo sceriffo.» «Grazie, vostro onore» disse Annette. Randy venne ammanettato e scortato fuori dall’aula, seguito da Hump che gli sussurrava che sarebbe andato tutto bene. Il giudice Battle picchiò il martelletto e annunciò una pausa. Samantha, Annette e Phoebe uscirono dall’aula e poi dal tribunale, quasi sicure di trovare altri guai. Tony Fanning e un suo amico aspettavano dietro un pick-up parcheggiato in Main Street. Videro le tre donne e si avviarono verso di loro, entrambi fumando ed entrambi con l’espressione da duro. «Oh, cavolo» mormorò Annette. «Non mi fanno paura» dichiarò Phoebe. I due uomini bloccarono il marciapiede, ma proprio mentre Tony stava per parlare, Donovan Gray si materializzò dal nulla e a voce molto alta disse: «Allora, gentili signore, com’è andata?». Tony e il suo amico persero fino all’ultimo grammo dell’aggressività che avevano mostrato solo pochi secondi prima. Si fecero indietro, evitando il contatto visivo: non volevano avere niente a che fare con Donovan. «Scusateci, ragazzi» disse Donovan, tentando di provocarli. Mentre si avvicinava, fissò deciso Tony, che sostenne il suo sguardo solo per un secondo. Dopo tre cene consecutive con Annette e i suoi figli, Samantha si scusò dicendo che aveva bisogno di studiare e di andare a dormire presto. Si scaldò una zuppa sul fornello elettrico e passò un’altra ora sulle dispense dei seminari, che poi mise da parte. Era difficile immaginare di gestire uno studio legale generico in Main Street, cercando di sopravvivere con divorzi consensuali e contratti immobiliari. Annette le aveva detto più di una volta che quasi tutti gli avvocati di Brady dovevano lottare per guadagnarsi da vivere e riuscire a mettere insieme trentamila dollari l’anno. Il suo stipendio era di quarantamila, esattamente come quello di Mattie. Ridendo, Annette aveva osservato: “Probabilmente questo è l’unico posto in tutto il paese in cui gli avvocati dell’assistenza legale gratuita incassano più dell’avvocato privato medio”. Aveva aggiunto che Donovan guadagnava molto di più di chiunque altro, ma era anche vero che correva rischi di gran lunga maggiori. Donovan era anche il maggior benefattore del centro di assistenza legale, che viveva solo di contributi privati. Arrivava un po’ di denaro da alcune fondazioni e qualche grosso studio legale “del Nord” interveniva generosamente, ma Mattie doveva comunque lottare per raggiungere l’obiettivo annuale di duecentomila dollari. Annette aveva detto: “Ci piacerebbe pagarti qualcosa, ma proprio non ci sono i soldi”. Samantha le aveva assicurato di essere contenta del loro accordo. La connessione internet avveniva tramite il sistema satellitare di Annette, forse il più lento di tutto il Nord America. “Ci vuole pazienza” aveva ammesso Annette. Per fortuna la pazienza abbondava in quei giorni, giorni in cui Samantha si sorprendeva a adagiarsi soddisfatta in una routine che comprendeva serate tranquille e molte ore di sonno. Andò in rete per dare un’occhiata ai quotidiani locali, il “Times” di Roanoke e la “Gazette” di Charleston, West Virginia. Nella “Gazette” trovò un articolo interessante sotto il titolo Ecoterroristi sospettati per l’ultimo raid. Erano ormai due anni che una banda prendeva di mira i macchinari pesanti di parecchie strip mine in West Virginia. Il portavoce di una società del carbone parlava di “ecoterroristi” e minacciava ogni tipo di rappresaglia se e quando i responsabili fossero stati catturati. Il metodo di distruzione preferito consisteva nell’attendere le ore immediatamente precedenti l’alba e sparare dalla sicurezza delle colline circostanti. Erano tiratori eccellenti, usavano le più recenti armi in dotazione alle forze armate e si stavano dimostrando molto efficienti nel mettere fuori uso gli autocarri da cento tonnellate costruiti dalla Caterpillar. Gli pneumatici di questi veicoli avevano una circonferenza di quattro metri e mezzo, pesavano quasi cinquecento chili e costavano diciottomila dollari l’uno. Ogni autocarro ne montava sei, evidentemente bersagli facili per i tiratori. Una foto ritraeva una decina di camion gialli, tutti inutilizzabili e ordinatamente allineati in un’impressionante esibizione di potenza. Un caposquadra indicava gli pneumatici danneggiati: erano ventotto. L’uomo dichiarava che il guardiano notturno era stato sorpreso alle tre e quaranta di notte, all’inizio dell’attacco. In un’azione perfettamente coordinata, i proiettili avevano cominciato a centrare gli pneumatici, che erano esplosi come piccole bombe. Il guardiano si era saggiamente messo al riparo in un fosso e aveva telefonato allo sceriffo. Quando le forze dell’ordine erano arrivate sul posto, gli sparatori si erano già divertiti abbastanza e se n’erano andati da un pezzo. Lo sceriffo dichiarava che stava lavorando sodo sul caso, ma ammetteva che sarebbe stato difficile individuare i “delinquenti”. Il sito, noto come Bull Forge Mine, era vicino a Winnow Mountain e a Helley’s Bluff, entrambi alti quasi mille metri e coperti di alberi. Dalle profondità di quelle foreste era facile sparare ai camion restandosene nascosti, di giorno o di notte. In ogni caso lo sceriffo affermava che, a suo parere, non si trattava semplicemente di un branco di teppistelli con fucili da caccia al cervo che volevano divertirsi un po’. Dalle postazioni in cui stavano nascosti centravano bersagli distanti diverse centinaia di metri. Le pallottole rinvenute in alcuni pneumatici erano da 51 millimetri, munizioni militari, chiaramente sparate da sofisticati fucili da tiratore scelto. L’articolo riepilogava gli attacchi più recenti. Gli ecoterroristi sceglievano con cura i loro obiettivi e, dato che in zona non c’era carenza di strip mine, sembravano aspettare con pazienza il momento in cui i camion da miniera erano parcheggiati esattamente nel posto giusto. Veniva fatto notare che, a quanto pareva, i tiratori si preoccupavano di non colpire mai le persone. Non avevano ancora sparato a un veicolo che non fosse parcheggiato, e molte delle miniere erano attive ventiquattr’ore al giorno. Sei settimane prima, nel sito di Red Valley a Martin County, ventidue pneumatici erano stati distrutti da un fuoco di sbarramento che era sembrato durare solo pochi secondi, secondo quanto affermato da un altro guardiano notturno. Al momento erano quattro le società del carbone che offrivano una taglia, per un totale di duecentomila dollari. Non c’era alcun collegamento con l’attacco alla Bullington Mine di due anni prima, quando, nel più ardito atto di sabotaggio da decenni, esplosivi prelevati dal deposito della società stessa erano stati utilizzati per danneggiare sei autocarri con cassone ribaltabile, due ruspe, due escavatori a benna trascinata, la struttura temporanea che ospitava gli uffici e anche il deposito. I danni avevano superato i cinque milioni di dollari. In mancanza di sospettati, nessuno era mai stato arrestato. Samantha scavò negli archivi dei quotidiani e si sorprese a fare il tifo per gli ecoterroristi. Poi, mentre cominciava ad appisolarsi, andò con riluttanza sul sito del “New York Times”. Nei suoi giorni newyorkesi, a parte qualche rara domenica mattina, difficilmente dava al quotidiano più di un’occhiata veloce. Ora, saltando l’inserto dedicato alle materie finanziarie, scorse velocemente le pagine, ma si fermò di colpo su quelle riservate ai locali. Il critico gastronomico massacrava un nuovo ristorante di Tribeca, un posto alla moda dove era stata solo un mese prima. C’era una foto del bar: giovani professionisti ammassati l’uno sull’altro che sorseggiavano drink e sorridevano mentre aspettavano il loro tavolo. Samantha ricordava i piatti del ristorante come eccellenti e perse presto interesse nelle critiche del recensore. Fissò invece la fotografia. Le sembrava quasi di sentire il chiasso prodotto dalla gente, ne percepiva l’energia frenetica. Quanto le sarebbe piaciuto un martini in quel momento? E una lunga cena di due ore con le amiche, sempre con un occhio attento ai tipi più carini? Per la prima volta sentì una punta di nostalgia, che però scacciò in fretta. Avrebbe potuto andarsene anche l’indomani, se avesse voluto. Di certo in città avrebbe guadagnato più di quanto guadagnava a Brady. Se avesse voluto andarsene, niente avrebbe potuto trattenerla. 12 L’escursione iniziava alla fine di un sentiero per il trasporto del legname, abbandonato da tempo e che nessuno, a parte Donovan, sarebbe stato in grado di trovare. Il viaggio in auto per arrivarci richiese l’abilità e i nervi saldi di uno stunt driver e ci furono occasioni in cui Samantha fu sicura che stessero per precipitare nella valle. Ma Donovan riuscì ad arrivare in una piccola radura ombreggiata da querce, eucalipti e castani. «Qui finisce la strada» annunciò. «Tu la chiami strada?» scherzò Samantha, mentre apriva lentamente lo sportello dell’auto. Donovan rise e disse: «È un’autostrada in confronto ad alcuni di questi sentieri». Samantha stava pensando che la vita nella grande città non aveva fatto nulla per prepararla a quel momento, ma si sentiva anche euforica all’idea dell’avventura. L’unico consiglio che Donovan le aveva dato era stato: “Mettiti degli scarponi da trekking e indumenti di colori neutri”. Samantha aveva capito gli scarponi, ma l’abbigliamento aveva richiesto una spiegazione. “Dobbiamo fonderci con l’ambiente” aveva risposto Donovan. “Loro staranno in allerta e noi saremo illegalmente in una proprietà privata.” “Qualche possibilità di essere arrestata di nuovo?” “Scarse. Non possono prenderci.” Gli scarponi erano stati acquistati il giorno prima nel minimarket a prezzi popolari di Brady: quarantacinque dollari, un po’ duri e stretti. Samantha indossava un vecchio paio di pantaloni cachi e una felpa grigia con la scritta COLUMBIA LAW in piccoli caratteri sul davanti. Donovan, per contro, era in mimetica verde da cacciatore e calzava scarponi da trekking all’avanguardia, ordinati per posta e già usati per un migliaio di chilometri. Aprì il portellone posteriore della Jeep ed estrasse prima uno zaino che si sistemò sulle spalle, poi un fucile con un grande cannocchiale da puntamento. Appena lo vide, Samantha domandò: «Andiamo a caccia?». «No, è per proteggerci. Ci sono molti orsi da queste parti.» Samantha ne dubitava, ma non sapeva bene cosa credere. Per qualche minuto camminarono lungo un sentiero che qualcuno aveva già usato, ma non spesso. La pendenza era lieve, il sottobosco fitto di sassofrassi, alberi di Giuda, tiarelle e silene, piante che Donovan ogni tanto indicava, dando quasi l’impressione di parlare un’altra lingua. A beneficio di Samantha, procedeva a passo normale, ma lei sapeva che avrebbe potuto aggredire la salita di corsa in qualunque momento avesse voluto. Poco dopo Samantha aveva già il fiato corto e stava sudando, ma era decisa a tenere il passo di Donovan. Per tutti i professionisti single della città, era obbligatorio essere iscritto a una palestra, e non una palestra qualsiasi. Doveva essere quella giusta: il posto giusto, l’abbigliamento giusto, l’orario giusto, di giorno o di sera, per essere visto sudare, grugnire e tenersi adeguatamente in forma, il tutto per duecentocinquanta dollari al mese. La frequenza di Samantha era collassata sotto le spietate esigenze di Scully & Pershing: l’iscrizione era scaduta due anni prima e lei non ne aveva sentito affatto la mancanza. Tutto il suo esercizio fisico si era ridotto a lunghe camminate. Queste, e le sue parche abitudini alimentari, avevano mantenuto il peso sotto controllo, ma Samantha era lungi dall’essere in forma. Mentre zigzagavano in salita, gli scarponi nuovi diventavano sempre più pesanti a ogni tornante. Si fermarono in una piccola radura e, attraverso gli alberi, guardarono una lunga valle profonda, con catene di montagne in lontananza. La vista era spettacolare, e Samantha apprezzò la sosta. Donovan allungò un braccio e disse: «Queste sono le montagne con la maggiore biodiversità in tutto il Nord America, molto più antiche di qualunque altra catena. Qui ci sono migliaia di specie di piante e animali che non si trovano da nessun’altra parte. Ci hanno messo un’eternità per diventare ciò che sono adesso». Una pausa, mentre si immergeva nello scenario. Come una guida turistica che non aveva bisogno di sollecitazioni, riprese a parlare: «Circa un milione di anni fa, cominciò a formarsi il carbone, giacimenti di carbone. È stata quella la maledizione. Adesso per estrarlo stiamo distruggendo le montagne a velocità supersonica in modo da disporre di tutta l’energia a basso costo che possiamo divorare. Ogni abitante di questo paese consuma nove chili di carbone al giorno. Ho fatto qualche ricerca sull’utilizzo del carbone per aree geografiche, c’è un sito web. Lo sai che l’abitante medio di Manhattan consuma ogni giorno tre chili e mezzo di carbone ricavato dallo strip mining negli Appalachi?». «No, spiacente, non lo sapevo. E gli altri cinque chili e mezzo da dove vengono?» «Miniere sotterranee qui nell’Est: Ohio, Pennsylvania, posti dove estraggono il carbone in modo tradizionale per proteggere le montagne.» Donovan posò lo zaino a terra ed estrasse il binocolo, con cui scrutò il panorama fino a trovare ciò che cercava. Passò il binocolo a Samantha e disse: «Laggiù, a ore due circa, si intravede un’area tutta grigia e marrone». Samantha guardò nel binocolo e mise a fuoco le lenti. «Okay, la vedo.» «Quella è la Bull Forge Mine in West Virginia, una delle più grosse operazioni di strip mining che si siano mai viste.» «Ho letto qualcosa proprio ieri sera. Due o tre mesi fa hanno avuto un piccolo problema: qualcuno ha usato gli pneumatici dei camion come bersagli per il tiro a segno.» Donovan si voltò e le sorrise. «Hai fatto i compiti a casa, eh?» «Ho un laptop che riesce ad agganciare Google a Brady. Gli ecoterroristi hanno colpito di nuovo, giusto?» «È quello che dicono.» «Chi sono?» «Spero che non si sappia mai.» In piedi poco più avanti di Samantha, lo sguardo ancora fisso in lontananza, Donovan parlando aveva arretrato istintivamente la mano sinistra di alcuni centimetri, fino a toccare il calcio del fucile. Samantha lo notò a malapena. Lasciarono la radura e attaccarono la vera salita. Il sentiero, quando c’era, era appena visibile, ma Donovan sembrava non farci caso. Passava da un albero all’altro, guardando avanti in cerca del punto di riferimento successivo, lanciando occhiate in basso per controllare il punto di appoggio. La salita si fece ancora più ripida e Samantha cominciò a sentir dolere le cosce e le caviglie. Gli scarponi a buon mercato le premevano dolorosamente sull’arcata dei piedi. Il respiro era affannoso e, dopo quindici minuti di silenziosa ascesa, chiese: «Hai portato dell’acqua?». Un vecchio tronco marcio servì come gradito sedile per riposarsi e dividere una bottiglia d’acqua. Donovan non chiese a Samantha come stava e lei non gli chiese per quanto tempo ancora avrebbero camminato. Una volta ripreso fiato, Donovan disse: «Siamo seduti sulla Dublin Mountain, a circa cento metri dalla cima. Siamo accanto a Enid Mountain, che vedrai tra pochi minuti. Se tutto va come previsto, tra circa sei mesi la Strayhorn Coal arriverà con i suoi bulldozer, scotennerà completamente questa montagna, distruggerà tutta questa bella vegetazione, metterà in fuga gli animali e poi comincerà a far saltare tutto. La domanda per il permesso di strip mining ormai è praticamente approvata. Abbiamo combattuto per due anni, ma è già tutto deciso». Indicò gli alberi e aggiunse: «Tutto questo sparirà prima ancora che ce ne accorgiamo». «Perché almeno non tagliano e commercializzano gli alberi?» «Perché sono dei selvaggi. Appena una società del carbone ha il semaforo verde, impazzisce. Vogliono il carbone, maledizione, e niente altro ha importanza. Distruggono tutto quello che trovano sulla loro strada, foreste, boschi, animali... e travolgono chiunque li ostacoli, proprietari terrieri, residenti, amministratori, politici e soprattutto attivisti e ambientalisti. È una guerra, senza compromessi.» Samantha guardò la foresta e scosse incredula la testa. «Non può essere legale.» «È legale perché non è illegale. La legalità della rimozione della cima delle montagne è oggetto di cause giudiziarie da anni. Ma niente li ha fermati.» «Chi è il proprietario di questo terreno?» «Adesso è la Strayhorn, per cui abbiamo commesso violazione di proprietà privata. E, credimi, sarebbero ben felici di beccarmi qui, tre giorni prima del processo. Ma non preoccuparti, siamo al sicuro. Per circa cento anni questa terra è stata di proprietà della famiglia Herman. L’hanno venduta due anni fa e si sono costruiti una villa su una spiaggia, da qualche parte.» Indicò alla sua destra e aggiunse: «C’è una vecchia casa proprio oltre quella collina, meno di un chilometro giù a valle, è stata della famiglia per decenni. Adesso è vuota, abbandonata. I bulldozer impiegheranno un paio d’ore per raderla al suolo, insieme a tutti gli annessi. Sotto una vecchia quercia, non lontano dalla casa, c’è un piccolo cimitero di famiglia, circondato da uno steccato bianco. Molto caratteristico. Butteranno tutto giù nella valle: lapidi, bare, ossa, qualsiasi cosa. Alla Strayhorn non importa un accidente e gli Herman sono abbastanza ricchi da poter dimenticare da dove vengono». Samantha bevve un altro sorso d’acqua e cercò di muovere le dita dei piedi. Donovan frugò nello zaino, prese due barrette ai cereali e gliene offrì una. «Grazie.» «Mattie sa che sei qui?» domandò Donovan. «Vivo basandomi sul presupposto che Mattie, Annette, Barb e probabilmente anche Claudelle siano sempre a conoscenza di ogni mossa che faccio. Come ami dire: “È una piccola città”.» «Io non ho detto niente.» «È venerdì pomeriggio e in studio il lavoro andava a rilento. Ho detto a Mattie che mi avevi chiesto se avevo voglia di fare un giro turistico. Ecco tutto.» «Bene, allora siamo andati a fare un giro turistico. Mattie non ha bisogno di sapere dove.» «Lei pensa che tu dovresti negoziare un accordo, ottenere almeno qualcosa per la madre dei due ragazzini.» Donovan sorrise e diede un grosso morso. Passarono i secondi, poi un intero minuto e Samantha si rese conto che le lunghe pause in una conversazione non mettevano affatto a disagio Donovan. Che poi finalmente disse: «Io voglio bene a mia zia, ma lei non sa niente di cause per danni. Me ne sono andato dal suo piccolo studio perché volevo fare grandi cose, occuparmi di cause importanti, ottenere risarcimenti, far espiare alle società minerarie i loro peccati. Ho avuto vittorie importanti e sconfitte brucianti e, come molti altri avvocati di tribunale, vivo al limite. Alti e bassi. Pieno di soldi un anno e al verde l’anno dopo. Sono sicuro che da ragazzina anche tu hai sperimentato qualcosa del genere». «No, noi non siamo mai stati al verde, anzi. Mi rendevo conto che ogni tanto mio padre perdeva, ma c’era sempre molto denaro. O almeno c’è stato finché non ha perso tutto ed è finito in prigione.» «Che effetto ti ha fatto, dal tuo punto di vista? Tu eri ancora un’adolescente, no?» «Senti, Donovan, tu sei separato da tua moglie e non vuoi parlarne. Bene. Mio padre è stato in galera e io non voglio parlarne. Facciamo questo patto.» «Mi sembra giusto. Ora dobbiamo muoverci.» Ripresero a salire, sempre più lentamente a mano a mano che il sentiero scompariva del tutto e la salita si faceva ancora più ripida. Pietre e sassolini rotolavano dietro di loro mentre si aiutavano aggrappandosi a piante o alberelli. A un certo punto si fermarono per rifiatare e Donovan suggerì a Samantha di stargli davanti, in modo che se fosse inciampata e scivolata all’indietro, lui avrebbe potuto afferrarla. Fecero così, con Donovan che la seguiva da vicino tenendole una mano su un fianco, un po’ per guidarla, un po’ per spingerla gentilmente. Finalmente raggiunsero la cima di Dublin Mountain e quando dalla foresta emersero in una piccola radura rocciosa, Donovan disse: «Adesso dobbiamo stare attenti. Questo è il nostro nascondiglio. Appena oltre quelle rocce c’è Enid Mountain, dove la Stayhorn è in piena attività. Hanno degli addetti alla sicurezza che ogni tanto osservano anche questa area. Siamo in causa da più di un anno e abbiamo avuto un paio di confronti abbastanza spiacevoli». «Tipo?» Donovan posò lo zaino e appoggiò il fucile a una roccia. «Hai visto le fotografie nel mio studio. La prima volta che siamo venuti qui con un fotografo ci hanno sorpresi e hanno provato a denunciarci. Io mi sono precipitato dal giudice e ho ottenuto un’ordinanza che ci permetteva l’accesso, su base molto limitata. Dopo di che, il giudice ci ha intimato di stare alla larga dalla proprietà.» «Non ho visto orsi. Perché il fucile?» «Protezione. Abbassati e vieni qui.» Si chinarono e dopo pochi metri raggiunsero uno stretto spazio tra due massi. Sotto di loro c’erano i resti di Enid Mountain, che in passato aveva svettato per novecentosettantacinque metri, ma che ora era ridotta a un panorama butterato fatto di polvere, rocce e macchinari brulicanti. Il sito, molto vasto, si estendeva da ciò che restava della montagna fino ai crinali circostanti. Camion da miniera che trasportavano cento tonnellate di carbone grezzo e non lavato sobbalzavano lungo una miriade di strade a tornanti, scendendo disciplinati come formiche che marciassero ottusamente in formazione. Un enorme escavatore, grande quanto il palazzo d’appartamenti di Samantha, ruotava avanti e indietro, la benna che azzannava la terra, ne strappava centoquaranta metri cubi e li scaricava formando pile ordinate. Escavatori con benna più piccola lavoravano metodicamente per raccogliere quel materiale e rovesciarlo su un’altra flotta di camion, che lo avrebbe trasportato fino all’area dove poi i bulldozer l’avrebbero buttato nella valle. Più in basso, altri escavatori raccoglievano il carbone dalla vena già a nudo e lo lasciavano cadere sui camion che, una volta a pieno carico, si allontanavano lenti per il peso. Nubi di polvere incombevano su ogni fase dell’operazione. A bassa voce, quasi potesse essere sentito, Donovan disse cupo: «Uno shock, vero?». «Shock è la parola giusta» rispose Samantha. «Mercoledì, mentre andavamo a Colton, Mattie mi ha fatto vedere tre strip mines, ma non eravamo così vicine. Ti fa sentire male.» «Sì, e non ci si abitua mai. È un continuo stupro della terra, ogni giorno una nuova aggressione.» La violenza era lenta, metodica e concreta. Dopo qualche minuto, Donovan disse: «In due anni hanno buttato giù duecentocinquanta metri di montagna. Hanno esaurito quattro o cinque giacimenti, e gliene restano circa altrettanti. Quando tutto sarà finito, Enid Mountain avrà regalato circa due milioni di tonnellate di carbone, a un prezzo medio di sessanta dollari la tonnellata. Il calcolo è semplice». Si rannicchiarono più vicini, attenti a non toccarsi, e osservarono quella desolazione. Un bulldozer spinse un carico pericolosamente vicino al bordo e le rocce più grosse ruzzolarono giù da un muro di detriti alto trecento metri, rimbalzando e cadendo fino a scomparire, molto più in basso. Donovan disse: «Ecco com’è successo. Prova a immaginare questa montagna più alta di centocinquanta metri, com’era diciotto mesi fa. È stato allora che uno di quei bulldozer ha spinto il masso, che ha viaggiato per più di un chilometro prima di centrare il caravan dove dormivano i ragazzi Tate». Afferrò il binocolo, guardò cercando qualcosa e poi lo passò a Samantha. «Laggiù, nella valle, oltre il riempimento, si intravede un piccolo edificio bianco. Una volta era una chiesa. Trovato?» Dopo pochi secondi Samantha rispose: «Trovato». «Proprio oltre la chiesa c’era un minuscolo insediamento, due o tre case e qualche caravan. Da qui non si vede, gli alberi bloccano la visuale. Al processo, abbiamo intenzione di mostrare un video che ricostruisce la traiettoria del masso. È letteralmente volato sopra la chiesa, probabilmente a una velocità di circa centotrenta chilometri l’ora, in base al suo peso, è rimbalzato un paio di volte e poi si è schiantato sul caravan dei Tate.» «Hai il masso?» «Sì e no. Pesa sei tonnellate, per cui non ce lo porteremo in aula. Ma è ancora là e abbiamo un sacco di fotografie. Quattro giorni dopo l’incidente, la società mineraria ha tentato di farlo sparire con esplosivi e macchinari, ma siamo riusciti a fermarli. Criminali, nient’altro che criminali. Il giorno dopo il funerale si sono presentati con una squadra al completo e sono entrati in una proprietà in cui non avevano il diritto di entrare, decisi a distruggere il masso senza preoccuparsi di quanti danni avrebbero causato a tutto il resto. Ho chiamato lo sceriffo e ci sono stati momenti di vera tensione.» «Avevi già il caso quattro giorni dopo l’incidente?» «No, ho avuto il caso il giorno dopo l’incidente. Dopo meno di ventiquattr’ore. Avevo contattato il fratello della madre. Devi essere svelto da queste parti.» «Mio padre sarebbe impressionato.» Donovan controllò l’ora e guardò Enid Mountain. «Hanno in programma delle esplosioni alle sedici, per cui aspettati qualcosa di eccitante.» «Muoio dall’impazienza.» «Vedi quello strano veicolo con un braccio tipo gru fissato sul retro, laggiù all’estrema sinistra?» «Stai scherzando? Ce ne sono almeno cento.» «Non è un camion da trasporto, è molto più piccolo. È da solo, lontano dagli altri.» «Okay, sì, lo vedo. Che cos’è?» «Non so se ha un nome ufficiale, ma lo chiamano camion delle esplosioni.» Con il binocolo, Samantha mise a fuoco il veicolo e la squadra indaffarata che vi si muoveva intorno. «Cosa stanno facendo?» «In questo momento stanno cominciando a perforare. Le norme permettono di arrivare a diciotto metri di profondità per il fornello di mina, che deve avere un diametro di diciotto centimetri. I fornelli devono distare tre metri l’uno dall’altro, in una sorta di griglia. La normativa limita a quaranta il numero dei fornelli per ogni esplosione. In teoria un mucchio di regole. Ma non è una sorpresa che vengano sistematicamente ignorate e che società come la Strayhorn siano abituate a fare quello che vogliono. Nessuno controlla davvero, a parte forse qualche gruppo ambientalista. Magari girano un video, sporgono denuncia, la società si prende una multa ridicola, con uno schiaffetto sulla mano, e la vita continua. Gli amministratori pubblici ritirano i loro assegni e dormono sonni tranquilli.» Un omone con la barba strisciò silenziosamente dietro di loro, diede una pacca sulla spalla a Donovan e urlò: «Bum!». Donovan gridò: «Merda!». Samantha strillò e lasciò cadere il binocolo. Sorpresi, si girarono di scatto e videro la faccia sorridente di un uomo massiccio con cui nessuno avrebbe mai voluto fare a pugni. «Figlio di puttana» sibilò Donovan, ma senza allungare la mano verso il fucile. Samantha stava cercando disperatamente una via di fuga. L’uomo rise. Tese la mano a Samantha e disse: «Vic Canzarro, amico delle montagne». Samantha stava ancora cercando di riprendere fiato e non riuscì a stringergli la mano. «Dovevi proprio spaventarci così?» ringhiò Donovan. «No, però è stato divertente.» «Lo conosci?» chiese Samantha. «Temo di sì. È un amico, o qualcosa di più di un conoscente. Vic, questa è Samantha Kofer, stagista allo studio di Mattie.» Finalmente i due si strinsero la mano. «È un piacere» disse Vic. «Cosa ti porta tra le miniere di carbone?» «È una lunga storia» rispose Samantha, lasciando uscire il fiato. Cuore e polmoni ora funzionavano regolarmente. «Molto lunga.» Vic lasciò cadere il suo zaino a terra e si sedette su un masso. Stava sudando dopo la camminata in salita e aveva bisogno di bere. Offrì una bottiglia d’acqua a Samantha, che rifiutò. «Columbia Law?» domandò Vic, guardando la felpa. «Sì. Fino a dieci giorni fa lavoravo a New York, poi il mondo è crollato e mi sono ritrovata in congedo o in aspettativa o qualcosa del genere. Sei avvocato anche tu?» Si sedette su un altro masso. Donovan si mise accanto a lei. «Accidenti, no. Ero un ispettore per la sicurezza in miniera, ma sono riuscito a farmi licenziare. È un’altra lunga storia.» «Abbiamo tutti lunghe storie» disse Donovan, prendendo una bottiglia d’acqua. «Il qui presente Vic è il mio perito di parte. Il tipico perito: pagalo abbastanza e dirà alla giuria tutto quello che vuoi. La settimana prossima passerà una lunga giornata sul banco dei testimoni snocciolando un interminabile elenco di violazioni alla sicurezza commesse dalla Strayhorn Coal. Poi gli avvocati della difesa lo massacreranno e gli faranno fare la figura dell’idiota.» Vic rise. «Non vedo l’ora» disse. «Andare a processo con Donovan è sempre eccitante, specie quando vince, cosa che non succede molto spesso.» «Ne vinco quante ne perdo.» Con la sua camicia di flanella, i jeans scoloriti e gli scarponi incrostati di fango, Vic aveva l’aspetto di un esperto di trekking in grado di estrarre una tenda dallo zaino e passare una settimana nel bosco. «Stanno già trapanando?» chiese a Donovan. «Hanno appena cominciato, le esplosioni sono previste per le quattro.» Vic diede un’occhiata all’orologio e domandò: «Siamo pronti per il processo?». «Oh, sì. Questo pomeriggio hanno raddoppiato l’offerta portandola a duecentomila. Io ne ho chiesti novecentocinquantamila.» «Tu sei pazzo, lo sai? Prendi i soldi e rimedia qualcosa per la famiglia.» Guardò Samantha e le domandò: «Sei al corrente dei fatti?». «Più o meno. Ho visto le fotografie e le mappe.» «Mai fidarsi di una giuria di queste parti. Lo dico sempre a Donovan, ma lui non vuole ascoltarmi.» «Sei pronto a filmare?» chiese Donovan, cambiando argomento. «Naturalmente.» I tre chiacchierarono per alcuni minuti, con i due uomini che continuavano a controllare l’ora. Vic estrasse una piccola videocamera dallo zaino e prese posizione tra i due massi. Donovan disse a Samantha: «Dato che non ci sono ispettori presenti, diamo per scontato che la Strayhorn infrangerà qualche norma quando comincerà con le esplosioni. Noi filmeremo le violazioni e forse la settimana prossima le mostreremo alla giuria. Non che ce ne sia davvero bisogno, visto che abbiamo già a disposizione un bel campionario di porcherie. Chiameranno a testimoniare i loro tecnici, i quali mentiranno spiegando come si attengano rigorosamente a tutte le regole. Noi dimostreremo il contrario». Donovan e Samantha si sistemarono accanto a Vic, che stava riprendendo, assorto nel suo lavoro. Donovan disse: «Ogni fornello viene riempito con una miscela nota come ANFO , composta principalmente da nitrato di ammonio e gasolio. È un esplosivo troppo pericoloso da trasportare e così lo preparano sul posto. È quello che stanno facendo adesso. Quel camion sta versando il gasolio nei fornelli, mentre quella squadra sulla sinistra sta sistemando i cartocci e i detonatori. Quanti sono i fornelli, Vic?». «Io ne conto sessanta.» «Quindi stanno chiaramente violando le norme, il che è tipico.» Samantha guardò con il binocolo gli uomini con le pale che cominciavano a riempire di nuovo i fornelli. Dalla sommità di ogni fornello partiva un filo e due uomini erano impegnati a raggruppare tutti i fili in un unico fascio. Sacchi di nitrato d’alluminio venivano lasciati cadere nei fornelli, su cui poi venivano versati litri di gasolio. Il lavoro era lento: le sedici arrivarono e passarono. Finalmente il camion delle esplosioni si allontanò e Donovan disse: «Non ci vorrà ancora molto». Le squadre di operai e i camion scomparvero, sgombrando la griglia. Suonò una sirena e sul sito scese il silenzio. Le esplosioni furono un lontano brontolio tonante, che sprigionò nell’aria pennacchi di polvere e fumo. Ogni esplosione seguiva la precedente di appena un secondo. Mentre i pennacchi si alzavano in formazione perfetta, come fontane in uno spettacolo di giochi d’acqua a Las Vegas, la terra cominciò a sbriciolarsi. Un’ampia striscia di roccia crollò in ondate violente. La polvere salì ribollendo dal sito delle esplosioni, sopra il quale si condensò in una spessa nube. In assenza di vento, la nube rimase sospesa sopra i detriti, senza poter andare da nessun’altra parte. Esprimendosi in un modo molto simile a un cronista sportivo, Donovan disse: «Fanno tre esplosioni al giorno. Il permesso ne consente soltanto due. Moltiplicate il tutto per decine di miniere di superficie attive e vedrete che impiegano quasi cinquecento tonnellate di esplosivi al giorno, qui nella terra del carbone». «Abbiamo un problema» annunciò Vic con calma. «Ci hanno visto.» «Dove?» chiese Donovan, prendendo il binocolo da Samantha. «Là, vicino al caravan.» Donovan mise a fuoco. Sopra una piattaforma accanto al caravan, due uomini con il casco protettivo stavano apparentemente guardando nella sua direzione, anche loro con il binocolo. Donovan salutò con la mano; uno dei due fece la stessa cosa. Donovan gli mostrò il medio, l’uomo ricambiò. «Da quanto tempo sono lì?» chiese. «Non lo so» rispose Vic. «Comunque adesso andiamocene.» Afferrarono zaini e fucile e cominciarono una veloce discesa dalla montagna. Samantha scivolò e per poco non cadde. Vic l’afferrò al volo e poi la tenne stretta per mano. Tutti e due seguivano Donovan, che slalomeggiava tra gli alberi, schivava i massi e apriva la strada nel sottobosco, senza alcun sentiero visibile. Qualche minuto dopo si fermarono in una stretta radura. Vic puntò l’indice e disse: «Io sono venuto da là. Chiamatemi, quando arrivate alla vostra Jeep» e scomparve nel bosco. Donovan e Samantha ripresero a scendere. Il sentiero non era tanto ripido e riuscirono a corricchiare con cautela per qualche centinaio di metri. «Siamo salvi?» chiese alla fine Samantha. «Non c’è pericolo» rispose calmo Donovan. «Loro non conoscono i sentieri come li conosco io. E anche se ci dovessero prendere, non possono certo ucciderci.» Samantha non si sentì molto sollevata. La pendenza del sentiero diminuì ancora e loro aumentarono la velocità. La Jeep comparve a un centinaio di metri davanti a loro e Donovan si fermò qualche secondo per assicurarsi che non ci fossero altri veicoli. «Non ci hanno trovato» disse. Mentre si allontanavano, inviò un messaggio a Vic. Via libera. La Jeep scese ballonzolando dalla montagna, evitando buche e burroni abbastanza grandi da inghiottirla, e dopo pochi minuti Donovan annunciò: «Non siamo più nella proprietà della Strayhorn». Svoltò in una strada asfaltata proprio mentre un grosso pick-up ricoperto di polvere spuntava veloce da una curva. «Sono loro» disse Donovan. Il pick-up si portò in mezzo alla strada per bloccare la Jeep, ma Donovan premette sull’acceleratore e lo superò passando sul bordo della carreggiata. A bordo del pick-up c’erano almeno tre uomini, il casco protettivo in testa e l’espressione minacciosa di chi è in cerca di guai. Il pick-up si fermò di colpo e cominciò a fare inversione per inseguire la Jeep, che però riuscì a dileguarsi. Donovan sfrecciò lungo strade secondarie di Hopper County con un occhio sullo specchietto retrovisore, senza parlare. «Pensi che abbiano preso il tuo numero di targa?» chiese Samantha. «Oh, sanno che sono io. Lunedì mattina correranno dal giudice a piangere come bambini. Io negherò tutto e dirò di smettere di frignare perché c’è una giuria da selezionare.» Passarono davanti al tribunale di Colton in Center Street. Donovan lo indicò con un cenno della testa e disse: «Eccolo. Ground zero. Il più brutto tribunale della Virginia». «Ci sono stata mercoledì, con Mattie.» «Ti è piaciuta l’aula?» «Mi è sembrato tutto un po’ strano, ma io non sono un’esperta di aule di tribunale. Ho sempre cercato di evitarle.» «Io le adoro. È l’unico posto al mondo dove la persona più umile può affrontare faccia a faccia e alla pari una grande, importante società disonesta. Una persona che non ha niente... né soldi, né potere... niente se non una serie di fatti concreti può fare causa e costringere una società che vale miliardi di dollari a presentarsi per uno scontro leale.» «Ma non sempre è leale, giusto?» «Certo che lo è. Se loro barano, allora baro anch’io. Se giocano sporco, io gioco ancora più sporco. Non si può non amare la giustizia.» «Sembri mio padre. Fai paura.» «E tu sembri mia moglie. Lei non ha lo stomaco per sopportare il lavoro che faccio.» «Parliamo di qualcos’altro.» «Okay, hai programmi per domani?» «Sabato a Brady. Il centro di assistenza legale è chiuso, quindi che opzioni ho?» «Cosa ne dici di un’altra avventura?» «Comporta armi da fuoco?» «No, prometto che non ne porterò.» «Entreremo illegalmente in un’altra proprietà privata? C’è la possibilità di essere arrestati?» «No, lo prometto.» «Allora mi sembra tutto abbastanza noioso. Ci sto.» 13 Blythe telefonò nella prima mattinata di un luminoso sabato mattina, comunicando l’incredibile notizia che aveva la giornata libera, una rarità nel suo mondo. La situazione lavorativa si era stabilizzata: a quanto pareva, il suo studio aveva interrotto il massacro. Negli ultimi cinque giorni nessuno era stato scortato all’uscita e finalmente dall’alto cominciava ad arrivare qualche rassicurazione. Una splendida giornata d’autunno in città, con niente da fare se non andare per negozi, pensare a cosa mangiare a pranzo e godersi il fatto di essere giovane e single. Blythe disse che sentiva la mancanza della sua coinquilina e in quel momento Samantha provò una fitta dolorosa di nostalgia. Era via solo da due settimane, ma, a causa della distanza, le sembrava un anno. Chiacchierarono per una mezz’ora prima che entrambe decidessero di cominciare la loro giornata. Samantha si fece una doccia e si vestì velocemente, ansiosa di uscire dal vialetto d’accesso prima che Kim e Adam arrivassero saltellando con un elenco di cose da fare. Fino a quel momento, sembrava che Annette e i suoi figli permettessero alla loro ospite di andare e venire senza avvertire. Samantha viveva nel modo più tranquillo possibile e non aveva ancora visto i tre sbirciare attraverso le veneziane o da dietro le tende. Ma era anche consapevole del fatto che quasi tutta Brady era incuriosita dall’aliena proveniente da New York. Per quella ragione, e dato che la sua situazione matrimoniale era instabile, Donovan le aveva suggerito di raggiungerlo all’aeroporto della contea, diciotto chilometri a est della città. Lì avrebbe avuto inizio l’avventura, i cui dettagli aveva tenuto per sé. Samantha era rimasta sorpresa nello scoprire l’esistenza di un aeroporto in un raggio di centocinquanta chilometri da Brady. Venerdì notte aveva fatto ricerche in rete e non aveva trovato niente. Com’era possibile che un aeroporto non avesse un sito web? Non solo non aveva un sito web, non aveva neppure aerei, o per lo meno nessuno che Samantha potesse vedere al termine della strada a ghiaia, davanti al Noland County Airfield. La Jeep di Donovan, parcheggiata accanto a un piccolo edificio di lamiera, era il solo veicolo in vista. Samantha varcò l’unica porta che vide e attraversò quella che sembrava essere l’atrio, con sedie pieghevoli e tavoli di metallo cosparsi di riviste di volo. Le pareti erano coperte di foto sbiadite di aerei e di panorami ripresi dall’alto. L’altra porta si apriva sul campo di volo, dove Donovan si stava dando da fare intorno a un piccolissimo aereo. Samantha uscì e chiese: «Che cos’è?». «Buongiorno» la salutò Donovan con un ampio sorriso. «Dormito bene?» «Otto ore. Sei un pilota?» «Sì, e questo è un Cessna 172, meglio noto come Skyhawk. Io esercito in cinque Stati e il giocattolino che hai davanti mi serve per andare in giro. Inoltre è uno strumento prezioso quando si tratta di spiare le società del carbone.» «Naturalmente. Stiamo andando a spiare?» «Qualcosa del genere.» Donovan abbassò con delicatezza la cappottatura che proteggeva il motore e la bloccò. «I controlli pre volo sono stati effettuati e siamo pronti a partire. Il tuo sportello è dall’altra parte.» Samantha non si mosse. «Non so. Non ho mai volato su una cosa così piccola.» «Questo è l’aereo più sicuro che sia mai stato costruito. Io ho tremila ore di volo e sono altamente qualificato, specie in una giornata perfetta come questa. Non una nuvola in cielo, temperatura ideale e alberi accesi dai colori dell’autunno. È il sogno di ogni pilota.» «Non saprei.» «Dài, dov’è il tuo senso dell’avventura?» «Ma c’è un motore solo.» «È tutto quello che serve. E se il motore cede, l’aereo continuerà a volare come un aliante finché non troveremo un bel pascolo da qualche parte.» «Un pascolo tra queste montagne?» «Forza, muoviti.» Samantha fece lentamente il giro dell’aereo passando davanti alla coda e raggiunse lo sportello di destra, sotto l’ala. Donovan l’aiutò a sistemarsi sul sedile e le assicurò la cintura di sicurezza e l’imbracatura. Richiuse lo sportello, lo bloccò e si portò sul lato sinistro. Samantha guardò l’ingombro sedile posteriore alle sue spalle e poi il muro di strumenti e indicatori davanti a lei. «Soffri di claustrofobia?» chiese Donovan, mentre allacciava la cintura e si sistemava l’imbracatura. Tra la sua spalla e quella di Samantha c’erano solo pochi centimetri. «Adesso sì.» «Ti piacerà. Prima che la giornata finisca saprai già pilotare.» Le passò una cuffia. «Mettitela. Ci sarà parecchio rumore qui dentro e parleremo con queste.» Si sistemarono le cuffie. «Di’ qualcosa» la esortò Donovan. «Qualcosa.» Pollici in alto: le cuffie funzionavano. Donovan afferrò il portablocco con la checklist e verificò ogni voce, sfiorando delicatamente ogni strumento e ogni indicatore a mano a mano che procedeva. Spinse avanti e indietro la cloche. Una cloche identica davanti a Samantha si mosse in tandem. «Tu non toccarla, per favore.» Samantha scosse immediatamente la testa; non aveva intenzione di toccare nulla. «Tutto okay» dichiarò Donovan, e girò la chiave. Il motore prese vita e l’elica cominciò a girare. L’aereo ebbe una scossa quando venne dato gas. Donovan annunciò le sue intenzioni via radio e il velivolo iniziò a rullare sulla pista, che sembrava corta e stretta, almeno a parere di Samantha. «C’è qualcuno in ascolto?» chiese. «Ne dubito. C’è molta calma questa mattina.» «Il tuo è l’unico aereo privato in tutta Noland County?» Donovan indicò alcuni piccoli hangar più avanti, lungo la pista. «Ce n’è qualcun altro laggiù. Non molti.» Verso il termine della pista, aumentò di nuovo i giri del motore e ricontrollò strumenti e indicatori. «Tieniti stretta.» Spinse in avanti il pedale dell’acceleratore e rilasciò delicatamente i freni. Mentre l’aereo prendeva velocità, cominciò a contare con calma: «Centoventi chilometri l’ora, centoquaranta, centosessanta...». Poi tirò verso di sé la cloche e l’aereo si staccò dall’asfalto. Per un momento Samantha si sentì senza peso e lo stomaco fece una capriola. «Tutto bene?» domandò Donovan, senza guardarla. «Benissimo» rispose Samantha a denti stretti. Mentre salivano, Donovan iniziò a virare a sinistra e completò un arco di centottanta gradi. Volando basso, non molto al di sopra degli alberi, puntò sulla highway principale. «Vedi quel camion verde, quello fermo davanti al negozio?» domandò. Samantha annuì. «È lo stronzo che mi ha seguito questa mattina. Tieniti forte.» Manovrò la cloche a piccoli scatti e l’aereo oscillò facendo “sbattere” le ali: un saluto allo stronzo del camion verde. Appena il veicolo fu fuori vista, Donovan ricominciò a salire. «Perché mai dovrebbero seguirti di sabato mattina?» chiese Samantha, le nocche bianche premute sulle ginocchia. «Chiedilo a loro. Forse per quello che è successo ieri. Forse perché lunedì ci presentiamo in aula per un processo importante. Chi lo sa. Mi seguono di continuo.» Tutto a un tratto Samantha si sentì più sicura in aria. Quando raggiunsero Brady, era già più rilassata e si godeva il panorama non molto sotto di loro. Donovan sorvolò la cittadina a una quota di centocinquanta metri e le fece vedere dall’alto i luoghi dove abitava e lavorava. A parte un breve giro in mongolfiera nei Catskills, Samantha non aveva mai visto la terra da una quota così bassa e trovò l’esperienza affascinante, addirittura eccitante. Volando tra le colline, Donovan salì a trecento metri e si portò in assetto di volo orizzontale. La radio era muta, come quella sulla finta auto della polizia di Romey. Samantha domandò: «Cosa mi dici del radar, dei controllori del traffico aereo e roba del genere? Non c’è nessuno laggiù?». «Probabilmente no. Stiamo viaggiando in VFR , cioè secondo le regole del volo a vista, per cui non siamo tenuti a registrarci al controllo del traffico aereo. Se fosse un viaggio di lavoro, presenterei un piano di volo e verrei inserito nel sistema. Ma oggi no. È solo per divertimento.» Indicò uno schermo e spiegò: «Quello è il mio radar. Se ci avviciniamo a un altro aereo, ce lo farà vedere. Rilassati, non sono mai precipitato». «Ci sei mai andato vicino?» «Mai. Prendo il volo molto seriamente, come la maggior parte dei piloti.» «Bene. Dove stiamo andando?» «Non lo so. Dove ti piacerebbe andare?» «Tu sei il pilota e non sai dove stiamo andando?» Donovan sorrise, inclinò l’aereo in una virata a sinistra e indicò uno strumento. «Questo è l’altimetro: serve a monitorare la quota, cosa parecchio importante quando voli tra le montagne.» Si portarono gradualmente a quattrocentocinquanta metri e ripresero l’assetto orizzontale. Donovan indicò qualcosa all’esterno e disse: «Quella è Cat Mountain, o ciò che ne rimane. Una grossa operazione». Davanti a Samantha, alla sua destra, c’era la strip mine, che aveva lo stesso aspetto di tutte le altre: un panorama spoglio di rocce e terriccio in mezzo a splendide montagne, con i detriti buttati nei riempimenti molto più in basso, nelle valli. Samantha pensò a Francine Crump, la cliente a caccia di un testamento gratuito, e alla proprietà che voleva salvare. Il terreno doveva essere laggiù, da qualche parte vicino a Cat Mountain. C’erano piccole case lungo i torrenti e, qua e là, qualche insediamento. Lo Skyhawk si inclinò deciso a destra e, mentre effettuava una perfetta virata a trecentosessanta gradi, Samantha guardò i mezzi meccanici e gli altri macchinari direttamente sotto di lei. Un camion degli esplosivi, pale meccaniche, un escavatore a benna trascinata, camion da miniera e da trasporto, ruspe. Le sue conoscenze si stavano ampliando. Notò, in piedi accanto a un ufficio, un caposquadra che sforzava la vista per seguire l’aereo. «Lavorano anche di sabato, eh?» domandò. Donovan annuì. «A volte anche sette giorni la settimana. I sindacati sono spariti.» Raggiunsero i novecento metri e tornarono in assetto orizzontale. «Adesso siamo in Kentucky, diretti a ovest e poi a nord.» Se non fosse stato per le cuffie, avrebbe dovuto strillare per sovrastare il ruggito del motore. «Guarda giù. Troppe per poterle contare.» Le strip mines, decine per quello che poteva vedere Samantha, punteggiavano le montagne come brutte cicatrici. Ne sorvolarono molte. Tra l’una e l’altra, Samantha notò vaste aree aperte con chiazze d’erba e qualche alberello. «Quello cos’è?» domandò, indicando davanti a sé. «Quell’area piatta senza alberi?» «Una vittima, un sito bonificato dove prima c’era una strip mine. Quella era Persimmon Mountain, altezza settecentocinquanta metri. Hanno rimosso la cima, hanno estratto il carbone e poi hanno cominciato le operazioni di bonifica e ripristino. La legge impone che alla fine il sito riacquisti “approssimativamente il profilo originale”. Sono le parole chiave, ma come fai a ricostruire una montagna che non c’è più?» «Ho letto qualcosa in merito. Il territorio deve risultare uguale o migliore di quanto fosse prima dell’estrazione mineraria.» «Una barzelletta. Le società del carbone ti diranno che il terreno bonificato è perfetto come area edificabile: centri commerciali, condomini e cose del genere. In un sito in Virginia hanno costruito una prigione. E in un altro hanno fatto un campo da golf. Il problema è che da queste parti nessuno gioca a golf. La bonifica è una presa in giro.» Sorvolarono un’altra strip mine, poi un’altra ancora. Dopo un po’ sembravano tutte uguali. «A oggi, quante sono attive?» chiese Samantha. «Decine. Negli ultimi trent’anni abbiamo perso circa seicento montagne a causa delle strip mines, e al ritmo con cui procedono non ne resteranno molte. La domanda di carbone è in aumento, il prezzo è alto e di conseguenza le società sono molto aggressive nella richiesta dei permessi per cominciare a sbancare.» Donovan virò a destra e disse: «Adesso andiamo a nord, in West Virginia». «Tu hai la licenza per esercitare anche là?» «Sì, e anche in Virginia e in Kentucky.» «Hai accennato a cinque Stati, prima del decollo.» «A volte mi spingo fino in Tennessee e in North Carolina, ma non molto spesso. Siamo in causa per una discarica di ceneri di carbone in North Carolina, un sacco di avvocati coinvolti. Una grossa causa.» Donovan amava le sue grosse cause. Le montagne perdute del West Virginia erano identiche a quelle del Kentucky. Il Cessna zigzagò, piegandosi a destra e a sinistra, consentendo a Samantha di dare un’altra buona occhiata alla devastazione sottostante, poi tornò in assetto orizzontale per andare a sorvolarne un’altra. «Quella è la Bull Forge Mine» disse Donovan. «Ieri l’hai vista da terra.» «Oh, sì. Gli ecoterroristi. Quei tizi stanno facendo arrabbiare sul serio le società del carbone.» «Sembrerebbe essere quella la loro intenzione.» «Peccato che tu non abbia portato il fucile. Potevamo far saltare qualche pneumatico dall’alto.» «Ci avevo pensato.» Dopo un’ora di volo, Donovan iniziò una lenta discesa. A quel punto Samantha aveva già preso confidenza con l’altimetro, l’indicatore di velocità e la bussola. A seicento metri, domandò: «Abbiamo una destinazione?». «Sì, ma prima voglio farti vedere un’altra cosa. Tra poco, dalla tua parte, vedrai un’area nota come Hammer Valley.» Ci volle un minuto per superare un crinale, oltre il quale comparve una lunga valle profonda. «Cominciamo da qui, all’estremità della valle, vicino a Rockville, trecento abitanti.» Dagli alberi spuntarono due campanili, poi comparve l’abitato, un piccolo villaggio pittoresco rannicchiato lungo un torrente e circondato dalle montagne. Lo sorvolarono e seguirono il torrente. Decine di case, per lo più caravan, erano sparse lungo strette strade di campagna. «Ecco quello che viene definito un cluster di tumori. Hammer Valley ha la più alta incidenza di casi di cancro di tutto il Nord America, quasi venti volte la media nazionale. Brutti tumori: fegato, rene, stomaco, utero, e parecchie persone con la leucemia.» Tirò delicatamente la cloche verso di sé e l’aereo salì mentre davanti a loro compariva un massiccio rilievo. Lo superarono di una cinquantina di metri e all’improvviso si ritrovarono sopra un sito bonificato. «E questa è la ragione» disse Donovan. «La strip mine di Peck Mountain.» La montagna era sparita, sostituita da collinette spianate dai bulldozer e chiazzate di erba marrone. Dietro un argine di terra, si stendeva sinistra una massa di liquido nero. «Quello è il bacino dei fanghi tossici. Una trentina d’anni fa, la Starke Energy arrivò qui, rimosse la cima della montagna ed estrasse tutto il carbone, una delle prime grandi strip mine negli Appalachi. Il carbone lo lavavano sul posto e scaricavano le acque reflue in un laghetto, un tempo incontaminato. Poi costruirono quella diga, ingrandendo di molto il lago.» Stavano volando in cerchio sul bacino a un’altezza di trecento metri. «La Starke in seguito venne acquistata dalla Krull Mining, un’altra società senza volto che in realtà è di proprietà di un oligarca russo, un criminale con le mani in pasta in un sacco di miniere in tutto il mondo.» «Un russo?» «Oh, sì. Abbiamo russi, ucraini, cinesi, indiani, canadesi, nonché il solito assortimento di cowboy di Wall Street e rinnegati locali. Abbiamo moltissimi proprietari assenteisti e lontani, quindi puoi immaginare quanto gliene freghi del territorio e della gente.» Donovan virò di nuovo e Samantha si ritrovò a guardare direttamente la melma che, da un’altezza di trecento metri, sembrava avere la consistenza del petrolio grezzo. «È davvero orribile» commentò. «Un’altra causa?» «La più grande di sempre.» Atterrarono su una pista ancora più piccola di quella di Noland County e priva di qualsiasi indizio che facesse pensare a una città nelle vicinanze. Mentre rullavano verso la baracca di legno che fungeva da terminal, Samantha vide Vic Canzarro appoggiato alla recinzione, in attesa. L’aereo si fermò vicino al terminal. Non ce ne erano altri in vista. Donovan spense il motore ed effettuò i controlli post volo, poi scese dallo Skyhawk con Samantha. Come prevedibile, Vic guidava un robusto pickup a trazione integrale adatto a incontri fuori strada con guardie di sicurezza. Samantha si accomodò sul sedile posteriore in compagnia di un frigo portatile, alcuni zaini e, naturalmente, un paio di fucili. Vic era un fumatore, non accanito, ma comunque entusiasta. Abbassò di un paio di centimetri il finestrino sul lato del conducente, quel tanto che bastava per fare uscire metà dei suoi fumi di scarico, mentre l’altra metà fluttuava nell’abitacolo. Dopo la seconda sigaretta, Samantha, che stava boccheggiando, abbassò il finestrino posteriore dietro a Donovan. Lui le chiese perché. Lei glielo spiegò con molta chiarezza e questo innescò una tesa conversazione tra Donovan e Vic a proposito delle abitudini di quest’ultimo. Vic giurò che stava tentando di smettere, anzi, aveva già smesso parecchie volte, e ammise francamente che lo spaventava la probabilità di una morte orribile per cancro ai polmoni. Donovan continuò a martellarlo e Samantha ebbe la netta impressione che i due litigassero sull’argomento già da diverso tempo. Niente venne risolto e Vic si accese un’altra sigaretta. Le colline e i sentieri li portarono nel cuore di Hammer Valley e, al termine del viaggio, alla casa cadente di un certo Jesse McKeever. «Chi è McKeever, e perché andiamo a trovarlo?» domandò Samantha dal sedile posteriore, mentre il pick-up si immetteva nel vialetto d’accesso. «Un potenziale cliente» rispose Donovan. «Ha perso la moglie, un figlio, una figlia, un fratello e due cugini a causa del cancro. Rene, fegato, polmoni, cervello, praticamente ogni parte del corpo.» Il pick-up si fermò, ma dovettero aspettare un momento a causa del cane. Un pit bull cattivissimo saltò giù dalla veranda e corse verso di loro, pronto a mangiarsi gli pneumatici. Vic suonò il clacson e Jesse finalmente emerse dalla casa. Richiamò il cane, lo colpì con il suo bastone, lo maledisse e gli ordinò di andarsene nel cortile dietro casa. Il cane obbedì e scomparve. Si sedettero su casse di legno e malconce sedie da esterno sotto un albero nel cortile davanti a casa. Samantha non venne presentata a Jesse, il quale la ignorò completamente. Era uno strano tipo scontroso che sembrava molto più vecchio dei suoi sessant’anni, con pochi denti, rughe profonde scavate da una vita difficile e un cipiglio fisso sul viso. Vic aveva fatto esaminare l’acqua del pozzo di McKeever e i risultati, per quanto prevedibili, erano nefasti. L’acqua era inquinata da composti organici volatili: veleni come cloruro di vinile, tricloroetilene, mercurio, piombo e una decina di altri elementi. Con grande pazienza, Vic spiegò il significato di quei paroloni e Jesse afferrò la sostanza del messaggio. Non solo l’acqua non si poteva bere, ma non doveva essere utilizzata per nessun altro scopo, punto. Non per cucinare, non per fare il bagno, lavarsi i denti, fare il bucato o lavare i piatti. Niente. Jesse spiegò che avevano cominciato a procurarsi altrove l’acqua da bere una quindicina di anni prima, ma avevano continuato a usare quella del pozzo per lavarsi e per le pulizie di casa. Il primo a morire era stato suo figlio, cancro all’apparato digerente. Donovan accese un registratore, che sistemò sopra una cassetta di plastica per il latte capovolta. Nel corso di una conversazione amichevole, e in totale empatia, riuscì a ottenere un’ora di storia della famiglia di Jesse e dei tumori che l’avevano devastata. Vic ascoltava, fumava e ogni tanto interveniva con una domanda. Le storie erano tremende, ma Jesse le raccontò con scarsa emozione. Aveva sofferto troppo, e il dolore lo aveva indurito. «Voglio che lei si unisca alla nostra causa, Mr McKeever» disse Donovan dopo avere spento il registratore. «Abbiamo intenzione di intentare causa alla Krull Mining in corte federale. Pensiamo di poter dimostrare che hanno scaricato una montagna di scorie in quel loro bacino lassù e che da anni erano a conoscenza delle perdite e delle infiltrazioni nella falda acquifera.» Jesse posò il mento sul suo bastone e sembrò quasi appisolarsi. «Nessuna causa me li riporterà indietro. Se ne sono andati per sempre.» «È vero, ma non dovevano morire. È stato quel bacino di fanghiglia a ucciderli, e i proprietari del bacino dovrebbero pagare.» «Quanto?» «Non posso prometterle un centesimo, ma noi chiederemo milioni di dollari alla Krull. Avrà molta compagnia, Mr McKeever. In questo momento ho una trentina di famiglie di Hammer Valley che hanno già firmato e sono pronte a procedere. Tutte hanno perso qualcuno a causa del cancro, e tutte nel corso degli ultimi dieci anni.» Jesse voltò la testa, sputò, si passò la manica sulla bocca e disse: «Ho sentito parlare di lei. Un mucchio di chiacchiere su e giù per tutta la vallata. Qualcuno vuole fare causa, altri hanno ancora paura della società del carbone, anche se ormai lassù ha finito di estrarre. Io non so cosa fare, sul serio. Cosa vuole che le dica? Non so da che parte andare». «Okay, ci pensi su. Ma mi prometta una cosa: quando si sentirà pronto a combattere, si rivolga a me, non a un altro avvocato. Sono tre anni ormai che lavoro su questo caso e non abbiamo ancora depositato l’atto di citazione. Ho bisogno di averla dalla mia parte, Mr McKeever.» Jesse disse che ci avrebbe riflettuto e Donovan promise di tornare a trovarlo nel giro di un paio di settimane. Lasciarono Jesse all’ombra, con il cane di nuovo al suo fianco, e se ne andarono a bordo del pick-up. Nessuno aprì bocca finché Samantha chiese: «Okay, come farete a dimostrare che la società sapeva che il suo bacino stava inquinando l’acqua di Mr McKeever?». I due seduti davanti si scambiarono un’occhiata e per alcuni secondi non ci fu alcuna risposta. Poi Vic si accese una sigaretta e Donovan rispose: «Ci sono dei documenti interni della società in grado di dimostrare chiaramente che sapevano della contaminazione e che non hanno mai fatto niente; anzi, hanno insabbiato tutto per dieci anni». Samantha aprì di nuovo il finestrino, prese aria e chiese: «Come fate a essere in possesso di quei documenti, visto che non avete ancora depositato gli atti?». «Non ho detto che siamo in possesso dei documenti» rispose Donovan, un po’ sulla difensiva. Vic aggiunse: «Ci sono state delle indagini, da parte dell’Environmental Protection Agency e di altri enti di controllo. C’è un sacco di documentazione cartacea». «È stata l’EPA a trovare quei documenti?» domandò Samantha. I due uomini sembrarono incerti su come rispondere. «Non tutti» rispose Vic. Samantha non insistette e ci fu una pausa nella conversazione. Svoltarono in una strada sterrata e proseguirono ballonzolando per un paio di chilometri. «Quando depositerai l’atto di citazione?» domandò finalmente Samantha. «Presto» rispose Donovan. «Be’, se devo venire a lavorare da te ho bisogno di sapere queste cose, no?» Donovan non replicò. Arrivarono davanti a un vecchio caravan e parcheggiarono dietro un’auto sudicia, priva di coprimozzi e con un paraurti tenuto dal filo di ferro. «E qui chi ci abita?» chiese Samantha. «Dolly Swaney» rispose Donovan. «Suo marito è morto due anni fa per un cancro al fegato. Aveva quarantun anni.» «È una cliente?» «Non ancora» disse Donovan aprendo la portiera. Dolly Swaney emerse in veranda, una fatiscente aggiunta al caravan con gli scalini rotti. Era enorme e indossava un vestito macchiato che le arrivava quasi ai piedi nudi. «Credo che vi aspetterò qui» disse Samantha. Pranzarono presto nell’unica tavola calda del centro di Rockville, un locale in cui il clima era soffocante e l’odore di grasso appesantiva l’aria. La cameriera posò sul tavolo tre bicchieri pieni di acqua ghiacciata, che nessuno toccò. Insieme ai sandwich ordinarono invece bibite dietetiche. Non c’era nessuno seduto vicino a loro e Samantha decise di continuare l’interrogatorio. «Allora, se avete già trenta clienti e tu lavori su questo caso da tre anni, come mai non avete ancora depositato gli atti?» I due uomini si guardarono intorno come se qualcuno avesse potuto ascoltare. Tranquillizzato, Donovan rispose sottovoce: «Questo è un caso enorme, Samantha. Decine di morti, un convenuto con le tasche bene imbottite e una responsabilità civile che credo di poter dimostrare nel corso del processo. Ho già speso circa centomila dollari per questa causa e ce ne vorranno molti di più per portarla davanti a una giuria. Ci vuole tempo: tempo per far firmare i clienti, tempo per effettuare le ricerche, tempo per mettere insieme una squadra in grado di opporsi all’esercito di avvocati e periti che la Krull Mining butterà in campo per la sua difesa». «È anche pericoloso» aggiunse Vic. «Ci sono moltissimi cattivi soggetti nel ramo carbone, e la Krull Mining è uno dei peggiori. Non solo è priva di scrupoli per quanto riguarda le strip mines, è anche una controparte feroce in tribunale. La nostra è una bellissima causa, ma l’idea di doversela vedere con la Krull Mining ha già fatto scappare molti avvocati, gente di solito sempre pronta a salire a bordo nelle grandi cause riguardanti l’ambiente.» «Ecco perché ho bisogno di aiuto» disse Donovan. «Se ti stai annoiando e hai voglia di un po’ di movimento, allora mettiamoci al lavoro. Ho una tonnellata di documenti che devono essere riesaminati.» Samantha trattenne una risata e disse: «Stupendo, di nuovo revisione di documenti. Ho passato il primo anno allo studio sepolta in una tomba a revisionare documenti. È la maledizione di ogni associato alle prime armi». «Da me sarà diverso, te lo assicuro.» «Stiamo parlando dei documenti incriminanti, la roba buona?» I due uomini si guardarono di nuovo intorno. La cameriera arrivò con le bibite dietetiche e si allontanò. Che le interessassero le cause legali era molto dubbio. Samantha si piegò in avanti e colpì duro con: «Tu hai già quei documenti, vero?». «Diciamo che abbiamo accesso alla loro consultazione» rispose Donovan. «Sono andati persi. La Krull Mining sa che non si trovano più, ma non sa chi li ha. Dopo che avrò depositato l’atto di citazione, la società verrà a conoscenza che io ho accesso a quelle carte. È tutto quello che posso rivelare.» Mentre Donovan parlava, Vic fissava attento Samantha per coglierne le reazioni. La sua espressione suggeriva: “Possiamo fidarci di lei?”. Era anche un’espressione scettica. Avrebbe voluto parlare di qualcos’altro. «Cosa farà la Krull Mining quando verrà a sapere del tuo accesso ai documenti?» chiese Samantha. «Darà di matto, ma chi se frega. Saremo in corte federale, speriamo con un buon giudice, uno che li tenga in riga e sotto pressione.» Arrivarono le ordinazioni, scarni sandwich con accanto montagne di patatine fritte, e cominciarono a mangiare. Vic chiese a Samantha di New York e della sua vita nella metropoli. I due uomini erano incuriositi dal suo lavoro in uno studio legale con mille avvocati nel medesimo edificio e dalla sua specializzazione nella costruzione di grattacieli. Samantha ebbe la tentazione di dare al tutto una spolverata di glamour, ma non riuscì ad attivare le necessarie capacità di inganno. Ignorando il sandwich e giocherellando con le patatine, non poté fare a meno di chiedersi dove stessero pranzando Blythe e i suoi amici in quel momento. Senza dubbio in un elegante ristorante del Village con tovaglioli di tessuto, lista dei vini e alta cucina. Un altro mondo. 14 Lo Skyhawk salì a millecinquecento metri e si portò in assetto di volo orizzontale. «Sei pronta?» chiese Donovan. A quel punto Samantha si stava godendo i panorami e il volo a quote più basse, ma non aveva alcun desiderio di prendere i comandi. «Stringi delicatamente la cloche» disse Donovan, e Samantha eseguì. «La tengo anch’io, perciò non preoccuparti» proseguì con calma Donovan. «La cloche controlla la posizione del muso, su e giù, e serve anche per virare. Tutti i movimenti devono essere lenti e morbidi. Gira leggermente a destra.» Samantha ubbidì e l’aereo cominciò una graduale virata. Riportò la cloche verso sinistra e l’aereo riprese l’assetto originale. Spinse la cloche in avanti e il muso dell’aereo si abbassò e iniziarono a perdere quota. Samantha diede un’occhiata all’altimetro. «Portati a milletrecento metri» disse Donovan. «E mantieni l’assetto.» Da milletrecento salirono a millecinquecento e Donovan si mise le mani in grembo. «Come ci si sente?» «Grandioso. Non riesco a credere che lo sto facendo davvero. È così facile.» Lo Skyhawk rispondeva al minimo movimento della cloche. Una volta sicura che non l’avrebbe fatto precipitare, Samantha riuscì a rilassarsi un po’ e a godersi l’eccitazione del suo primo volo. «Questo è un aereo grandioso, semplice e sicuro, e tu lo stai pilotando. Nel giro di un mese potresti volare da sola.» «Non affrettiamo troppo le cose.» Continuarono a volare in silenzio per qualche minuto. Samantha teneva sotto controllo tutti gli strumenti, lanciando solo brevi occhiate alle montagne di sotto. «Allora, capitano, dove stiamo andando?» chiese Donovan. «Non ne ho idea. Non so bene dove siamo e non so dove stiamo andando.» «Cosa ti piacerebbe vedere?» Samantha rifletté per un momento. «Mattie mi ha parlato della proprietà della tua famiglia e di quello che è successo. Vorrei vedere Gray Mountain.» Donovan esitò per un attimo, poi disse: «Allora guarda il girodirezionale e vira a sinistra: rotta centonovanta gradi. Fallo lentamente e mantieni l’assetto». Samantha eseguì perfettamente la virata tenendo lo Skyhawk in quota. Dopo qualche minuto domandò: «Okay, cosa succederebbe se il motore si bloccasse?». Donovan accennò una scrollata di spalle, come se il pensiero non gli fosse mai passato per la mente. «Per prima cosa cercherei di farlo ripartire. Se non funzionasse, proverei a individuare una superficie piatta, un pascolo, magari, o addirittura una strada. A millecinquecento metri, uno Skyhawk volerà come un aliante per una decina di chilometri, per cui c’è un mucchio di tempo. Una volta trovata la mia pista, ci farei un giro intorno, cercherei di valutare il vento di discesa ed effettuerei un perfetto atterraggio di emergenza.» «Non vedo aree pianeggianti laggiù.» «Allora scegliti una montagna e spera per il meglio.» «Scusa se te l’ho chiesto.» «Rilassati. Gli incidenti con questo aereo sono rari e sono sempre causati da un errore del pilota.» Donovan sbadigliò e per un po’ rimase in silenzio. Samantha trovava impossibile rilassarsi del tutto, ma si sentiva sempre più sicura di sé a ogni minuto che passava. Dopo una lunga pausa nella conversazione, lanciò un’occhiata al suo copilota, che le sembrò appisolato. Stava prendendola in giro oppure dormiva davvero? Il primo impulso fu di strillare nel microfono e spaventarlo, poi invece controllò gli strumenti, si assicurò che l’aereo stesse volando diritto e le ali fossero perfettamente in orizzontale e soffocò l’impulso urgente di cedere al panico. Si sorprese a stringere con forza la cloche e per un secondo la lasciò andare. L’indicatore del carburante segnalava un serbatoio pieno a metà. Se Donovan voleva dormire, che facesse pure. Gli avrebbe concesso qualche minuto per sonnecchiare, poi il panico. Lasciò andare di nuovo la cloche e si rese conto che l’aereo volava da solo e che per le correzioni bastava un tocco leggero ogni tanto. Guardò l’orologio. Cinque minuti, dieci, quindici. Sotto di loro le montagne sfilavano lentamente. Non c’era nulla sul radar che indicasse traffico. Samantha manteneva il controllo, ma avvertiva un crescente bisogno di urlare. Donovan si svegliò con un colpo di tosse e passò rapidamente lo sguardo sugli strumenti. «Bel lavoro, Samantha.» «Com’è stato il sonnellino?» «Ottimo. A volte mi viene sonno quassù. Il ronzio del motore diventa monotono e ho difficoltà a restare sveglio. Durante i viaggi lunghi, inserisco il pilota automatico e sonnecchio per qualche minuto.» Samantha non sapeva bene come reagire all’informazione e lasciò perdere. «Sai dove siamo?» domandò. Donovan guardò avanti e, senza esitare, rispose: «Certo. Ci stiamo avvicinando a Noland County. A ore undici c’è Cat Mountain. Tieniti a sinistra della montagna, da lì in poi ci penso io. Scendi a milleduecento metri». Sorvolarono i confini di Brady a un’altezza di novecento metri, poi Donovan prese i comandi. «Ti andrà di volare di nuovo?» domandò. «Forse. Non lo so. Quanto tempo ci vuole per imparare tutto?» «Circa trenta ore di lezioni, o di studio autodidatta, e altre trenta ore di volo. Il problema è che non ci sono istruttori qui in zona. Ce n’era uno, ma è morto. In un incidente aereo.» «Credo che mi accontenterò di guidare la macchina. Sono cresciuta in un mondo costellato di tragedie dell’aria, per cui sono sempre stata molto diffidente nei confronti degli aerei. Volare lo lascio te.» «Quando vuoi» disse Donovan sorridendo. Tenne il muso dell’aereo puntato in basso finché raggiunse i trecento metri di quota. Volarono di fianco a una strip mine dove c’erano esplosioni in corso; una densa nube di fumo nero gravava bassa sul terreno. All’orizzonte, da sopra gli alberi spuntavano campanili. «Sei mai stata a Knox?» «No, non ancora.» «È il capoluogo di Curry County, dove sono nato. Graziosa cittadina, più o meno delle stesse dimensioni e della stessa raffinatezza di Brady, per cui non ti sei persa molto.» Sorvolarono la città, ma non c’era granché da vedere, per lo meno non da quell’altezza. Ripresero quota, facendo zigzag tra i picchi più alti fino a ritrovarsi nel bel mezzo delle montagne. Ne sorvolarono una e Donovan disse: «Ecco, questo è ciò che resta di Gray Mountain. La società mineraria l’ha abbandonata vent’anni fa, e quando se n’è andata se n’era andata anche la maggior parte del carbone. Le cause legali hanno bloccato tutto per anni. Come vedi, il sito non è stato bonificato. Con ogni probabilità è il posto più brutto di tutti gli Appalachi». Era un panorama desolato, con squarci aperti nei punti in cui veniva estratto il carbone quando le squadre avevano interrotto di colpo i lavori, cumuli di scorie abbandonate per sempre sul posto e alberi scheletrici che cercavano disperatamente di sopravvivere. Quasi tutto il sito era roccia e terriccio, ma erano spuntate chiazze di erba marrone. Il riempimento della valle era in parte coperto da cespugli e rampicanti. Cominciando a volare in circolo, Donovan disse: «L’unica cosa peggiore di una strip mine bonificata è una strip mine abbandonata. È quello che è successo qui. Mi dà ancora la nausea». «Chi è il proprietario adesso?» «Mio padre. Il terreno è tuttora della famiglia, ma non vale niente. La terra è rovinata. Torrenti e ruscelli sono scomparsi sotto il riempimento, i pesci sono spariti. L’acqua è veleno. Gli animali selvatici sono scappati in cerca di posti più sicuri. Mattie ti ha raccontato cos’è successo a mia madre?» «Sì, ma non in dettaglio.» Donovan scese di quota e virò a destra in modo che Samantha potesse guardare direttamente di sotto. «Vedi quella croce bianca, con le rocce intorno?» «Sì, la vedo.» «È lì che è morta. Lì c’era la nostra casa, una vecchia residenza di famiglia costruita da mio nonno, che faceva il minatore sottoterra. Dopo che l’inondazione distrusse la casa, mia madre si trovò un posto laggiù, vicino alle rocce, ed è lì che successe. Mio fratello Jeff e io abbiamo recuperato qualche vecchio pezzo di legno della casa e abbiamo fatto quella croce.» «Chi ha trovato vostra madre?» Donovan prese un respiro profondo. «Quindi Mattie non ti ha detto tutto?» «Immagino di no.» «L’ho trovata io.» Non venne detto nulla per qualche minuto, mentre Donovan volava basso sopra la valle, sul lato est di Gray Mountain. Non c’erano strade, case o segni della presenza di esseri umani. Donovan virò di nuovo e disse: «Subito oltre questo crinale c’è l’unica parte della proprietà che non è stata rovinata. L’acqua scorre in un’altra direzione e la valle si è salvata dalla miniera. Vedi quel torrente laggiù?». Inclinò lateralmente l’aereo in modo che Samantha potesse vedere. «Sì, lo vedo.» «È lo Yellow Creek. Ho una capanna di tronchi di legno lungo quel torrente, un nascondiglio di cui pochissimi sono a conoscenza. Una volta o l’altra ti ci porto.» “Non ne sono tanto sicura” pensò Samantha. “Noi due siamo già abbastanza vicini e, finché non ci saranno cambiamenti nel tuo stato coniugale, non ho in programma di avvicinarmi ulteriormente.” Però annuì e disse: «Sì, mi piacerebbe». «Quello è il camino: si nota a malapena, sia da qui che a terra. Niente impianto idraulico, niente elettricità, si dorme in amaca. Ho costruito io la capanna, con l’aiuto di mio fratello Jeff.» «Tuo padre dov’è?» «Le ultime notizie lo davano in Montana, ma sono parecchi anni che non gli parlo. Hai visto abbastanza?» «Credo di sì.» Al Noland County Airfield, Donovan si avvicinò al terminal, ma non spense il motore. «Okay» disse «voglio che tu scenda qui. Passa da dietro e fai molta attenzione, l’elica sta ancora girando.» «Tu non scendi?» domandò Samantha, slacciando la cintura di sicurezza. «No, vado a Roanoke a trovare mia moglie e mia figlia. Torno domani.» Samantha scese sotto l’ala, sentì il flusso d’aria dell’elica, passò dietro la coda e aspettò davanti alla porta del terminal. Salutò con la mano Donovan, che rispose con i pollici in alto e iniziò a rullare sulla pista. Samantha lo guardò decollare, poi salì in auto e tornò a Brady. La cena di sabato consisteva nel leggendario chili texano di Chester. Chester non era mai stato in Texas, per quello che poteva ricordare, però aveva trovato una ricetta meravigliosa (solo due anni prima) in un sito web. La parte della leggenda sembrava essere più o meno frutto della sua immaginazione, ma il suo entusiasmo per la cucina e l’intrattenimento degli ospiti era contagioso. Mattie preparò pane con farina di mais e Annette portò un dolce al cioccolato per dessert. Samantha non aveva mai imparato a cucinare e ora viveva in un minuscolo appartamento dotato soltanto di un fornello elettrico e di un tostapane, per cui era esonerata. Mentre Chester mescolava il contenuto della pentola, aggiungeva spezie e parlava ininterrottamente, Kim e Adam prepararono la pizza nella cucina di zia Mattie. Quella del sabato per loro era sempre la serata della pizza e Samantha era felicissima di trovarsi a casa dei Wyatt e non intrappolata ancora una volta con Annette e i ragazzi, agli occhi dei quali lei non era più un’inquilina/baby sitter: in una sola settimana era assurta al rango di sorella maggiore. I ragazzi le volevano bene e Samantha voleva bene a loro, ma aveva la sensazione che le pareti si stessero stringendo intorno a lei. Annette sembrava non badare al fatto che i suoi figli la soffocassero. Cenarono sopra un tavolo da picnic nel cortile dietro casa, sotto un acero splendente di foglie giallo vivo. Anche il terreno era coperto di foglie, un bellissimo tappeto che tra non molto sarebbe scomparso. Quando il sole sparì dietro le montagne vennero accese le candele. Più tardi al gruppo si unì anche Claudelle, la paralegale. Mattie aveva una regola: a cena non si parlava di lavoro. Niente chiacchiere sul centro di assistenza legale, sui clienti e, in particolare, niente di neppure remotamente collegato al carbone. Di conseguenza, parlarono di politica: Obama contro McCain, Biden contro Palin. La politica naturalmente portò a discussioni sul disastro economico che infuriava nel mondo. Le notizie erano cattive e, mentre gli esperti si accapigliavano sostenendo le tesi di una modesta depressione o di una grave recessione, il tutto sembrava lontanissimo, come l’ennesimo genocidio in Africa. Terribile, ma niente che avesse a che fare con Brady, non ancora. Erano tutti curiosi di sapere degli amici di Samantha a New York. Per la terza o quarta volta nel corso del pomeriggio e della serata, Samantha notò una freddezza distaccata nelle parole e nell’atteggiamento di Annette, che era la solita di sempre quando parlava con gli altri, ma diventava appena un po’ più brusca quando si rivolgeva a lei. Samantha all’inizio non ci badò. Ma al termine della cena era ormai certa che qualcosa stesse rodendo Annette. Era strano, perché tra loro due non era successo niente. Poi, finalmente, le venne il sospetto che potesse avere qualcosa a che fare con Donovan. 15 Samantha si svegliò al gradevole suono di campane in lontananza. Sembravano esserci numerose melodie nell’aria, alcune più vicine, o solo più forti, altre più lontane, ma tutte decise a svegliare gli abitanti della cittadina ricordando loro, con scarsa delicatezza, che la domenica era arrivata e le porte delle chiese erano aperte. Secondo la sua sveglia digitale erano le nove e due minuti, e ancora una volta Samantha si meravigliò della propria capacità di dormire. Pensò di voltarsi dall’altra parte e continuare ancora po’, ma poi decise che dieci ore di sonno erano abbastanza. Il caffè era pronto, l’aroma le arrivò fluttuando dall’altra stanza. Si versò una tazza, si sedette sul divano e rifletté sulla sua giornata. Con poco da fare, il primo obiettivo era evitare Annette e i ragazzi. Telefonò a sua madre e per mezz’ora chiacchierarono del più e del meno. Karen, come al solito, era assorbita dall’ultima crisi al dipartimento di Giustizia e ne parlò diffusamente. Il suo capo stava organizzando riunioni urgenti allo scopo di elaborare piani per indagare su grandi banche, erogatori di mutui subprime e ogni tipo di delinquenti di Wall Street, e tutto questo sarebbe iniziato appena il polverone si fosse posato e il dipartimento avesse capito chi esattamente era responsabile del disastro. Il racconto annoiò Samantha, che però resistette valorosamente, sorseggiando il caffè in pigiama e ascoltando lo scampanio continuo. Karen accennò all’idea di raggiungerla a Brady in un prossimo futuro per dare la sua prima vera occhiata alla vita tra le montagne, ma Samantha sapeva che erano solo chiacchiere. Sua madre di rado lasciava Washington: il lavoro era troppo importante. Finalmente le chiese notizie sullo stage e il centro di assistenza legale. «Per quanto tempo resterai lì ancora?» domandò. Samantha rispose che non aveva in programma di andarsene molto presto. Quando le campane smisero di suonare, indossò un paio di jeans e uscì dall’appartamento. L’auto di Annette era ancora davanti a casa, indicazione del fatto che lei e i ragazzi avrebbero saltato la funzione in chiesa di quella bella domenica mattina. Da un distributore vicino allo studio di Donovan, Samantha comprò una copia del “Roanoke Times”, che lesse in un caffè deserto mangiando un waffle con pancetta. Dopo la colazione, passeggiò per un po’ nelle strade di Brady. Non le ci volle molto per vederla tutta. Passò davanti a una decina di chiese, tutte apparentemente affollatissime a giudicare dai parcheggi gremiti. Cercò di ricordare l’ultima volta che aveva visto l’interno di una chiesa. Suo padre era un cattolico non praticante, sua madre una protestante disinteressata e lei non era stata cresciuta in alcuna fede. Trovò le scuole, tutte vecchie quanto il tribunale e tutte con condizionatori arrugginiti che pendevano tristi dalle finestre. Salutò con un buongiorno una veranda piena di anziani della casa di riposo che passavano il tempo cullandosi sulle sedie a dondolo, chiaramente troppo vecchi perfino per andare in chiesa. Passò davanti al minuscolo ospedale e giurò di non ammalarsi mai finché fosse rimasta a Brady. Percorse Main Street e si chiese come accidenti facessero i piccoli commercianti a non fallire. Terminato il tour, salì in auto e partì. Sulla mappa, la highway 119 attraversava sinuosa la zona carbonifera dell’estremo est del Kentucky fino ad arrivare in West Virginia. Il giorno prima Samantha aveva visto gli Appalachi dall’alto, ora avrebbe provato a fare lo stesso dalla strada. Con Charleston come vaga destinazione finale, partì portando con sé solo una carta stradale e una bottiglia d’acqua. Poco dopo era già in Kentucky, anche se la frontiera di Stato significava ben poco. Gli Appalachi erano gli Appalachi, e non badava ai confini che qualcuno aveva tracciato un’eternità prima. Una terra di una bellezza mozzafiato, di colline ripide e montagne coperte di fitte foreste, di torrenti e rapide che tagliavano le valli, di deprimente povertà, di minuscole cittadine con edifici in mattoni rossi e case dipinte di bianco, e di chiese, tante chiese. Quasi tutte sembravano essere battiste, anche se i vari marchi di fabbrica erano motivo di irrimediabile confusione. Southern Baptist, General Baptist, Primitive Baptist, Missionary Baptist. Comunque fosse, erano tutte in fervente attività. Samantha si fermò a Pikeville, Kentucky, settemila abitanti, trovò il centro della cittadina e si concesse un caffè in un bar dall’aria viziata. Fu oggetto di diverse occhiate, ma tutte amichevoli. Ascoltò attenta le chiacchiere, a volte incerta se fossero nella sua stessa lingua, e addirittura ridacchiò a una battuta. Vicino al confine con il West Virginia, non riuscì a resistere e si fermò in un emporio di campagna che vantava il “Manzo jerky fatto in casa famoso in tutto il mondo”. Ne comprò una confezione, diede un morso, buttò il resto in un bidone dei rifiuti e sorseggiò acqua per venticinque chilometri prima di riuscire a mandare via il sapore. Era decisa a non pensare al carbone, l’argomento l’aveva stancata. Ma il carbone era ovunque: nei camion padroni della strada, nei cartelloni sbiaditi che invocavano la forza del sindacato, nella visione fugace di una strip mine o della cima di una montagna che veniva rimossa, nella battaglia degli adesivi sui paraurti, con VUOI L’ELETTRICITÀ? AMA IL CARBONE da un lato e SALVIAMO LE MONTAGNE dall’altro, e nei minuscoli musei che celebravano la storia delle miniere. Si fermò a un’indicazione di sito storico e lesse il resoconto del Disastro di Bark Valley, un’esplosione in una miniera sotterranea che nel 1961 aveva ucciso trenta uomini. Gli Amici del Carbone avevano messo in atto un’aggressiva campagna e Samantha, guidando, notò molti dei loro cartelloni che dichiaravano CARBONE UGUALE LAVORO. Il carbone era il tessuto vitale, da quelle parti, ma sulle strip mines i pareri erano divisi. Secondo le ricerche che Samantha aveva effettuato in rete, chi era contrario sosteneva che quel sistema aveva distrutto l’occupazione e aveva i numeri per supportare la sua tesi. I minatori al momento erano ottantamila, metà dei quali impiegati nelle miniere a cielo aperto e quasi tutti non iscritti al sindacato. Decenni prima, quando ancora si doveva iniziare a far saltare le cime delle montagne, i minatori avevano quasi raggiunto il milione. Finalmente Samantha arrivò a Charleston, la capitale. Non si sentiva ancora a proprio agio nel traffico, che trovò più intenso di quanto si fosse aspettata. Non aveva idea di dove stesse andando e all’improvviso ebbe paura di perdersi. Erano quasi le quattordici, l’ora di pranzo era già passata ed era quasi il momento di tornare indietro. Il primo tratto della gita si concluse con una sosta in un centro commerciale lungo la strada, scelto a caso e circondato da fast food. Moriva dalla voglia di un hamburger con patatine. Molto dopo il tramonto, nello studio di Donovan le luci erano ancora tutte accese. Samantha ci passò davanti verso le otto, fu sul punto di bussare, ma poi decise di non disturbarlo. Soprattutto per evitare di tornare all’appartamento, alle nove era seduta alla sua scrivania in ufficio, ma non stava lavorando veramente. Chiamò Donovan al cellulare. «Sei occupato?» domandò. «Ovvio che sono occupato. Domani comincio un processo. Tu cosa stai facendo?» «Sono in studio, a lavoricchiare e ad annoiarmi.» «Vieni qui da me. Voglio farti conoscere una persona.» Erano nella stanza della guerra al primo piano, i tavoli coperti da libri, dossier e blocchi per appunti. Donovan presentò a Samantha un certo Lenny Charlton di Knoxville, consulente per le giurie. Lo descrisse come un analista che si faceva pagare troppo, ma che spesso si rivelava di grande utilità. Descrisse Samantha semplicemente come un avvocato/amica che stava dalla sua parte. Lei si chiese se Donovan avesse l’abitudine di mancare di riguardo a tutti gli esperti di cui si serviva. «Hai mai sentito parlare di Marshall Kofer di Washington, un tempo massimo specialista in processi per disastri aerei?» domandò Donovan a Charlton. «Naturalmente.» «È il padre di Samantha. Ma stavolta il DNA si smentisce: lei si tiene alla larga dalle aule di tribunale.» «Saggia decisione.» I due uomini stavano concludendo una lunga seduta durante la quale avevano esaminato l’elenco di sessanta potenziali giurati. Lenny spiegò, a beneficio di Samantha, che la sua ditta veniva retribuita con somme più che modeste per svolgere ricerche di fondo su ogni persona dell’elenco, e che quel compito era difficile, data la natura chiusa e incestuosa delle comunità nell’area del carbone. «Scuse, solo scuse» borbottò Donovan, quasi sottovoce. Lenny chiarì inoltre che scegliere i giurati in quella zona era rischioso, perché tutti avevano un amico o un parente che lavorava per una società del carbone o per un’impresa che forniva servizi all’industria mineraria. Samantha ascoltò affascinata i due discutere sugli ultimi nomi della lista. Il fratello di una potenziale giurata lavorava in una strip mine. Il padre di un’altra donna era stato un minatore tradizionale. Un uomo aveva perso il figlio in un incidente in un cantiere, ma non c’erano collegamenti con il carbone. E così via. Sembrava esserci qualcosa di sbagliato in quel gioco di spionaggio, nel permettere alle parti di sbirciare nelle vite private di persone ignare. Samantha ne avrebbe parlato con Donovan in seguito, se se ne fosse presentata l’occasione. Ora sembrava stanco, e anche un po’ nervoso. Lenny se ne andò qualche minuto prima delle dieci. Una volta sola con Donovan, Samantha domandò: «Perché non hai colleghi che lavorino con te in questo processo?». «Ne ho spesso, ma non in questo caso. Preferisco fare da solo. La Strayhorn e la sua assicurazione avranno una decina di avvocati in abito scuro ammassati intorno al loro tavolo. Mi piace l’idea del contrasto: solo Lisa Tate e io.» «Davide e Golia, eh?» «Qualcosa del genere.» «Fino a che ora pensi di lavorare?» «Non lo so. Questa notte non dormirò molto. Neppure per il resto della settimana, se è per questo. Fa parte del mestiere.» «Senti, so che è tardi e che hai cose più importanti di cui preoccuparti, ma devo chiederti una cosa. Tu mi hai offerto un impiego part-time come assistente ricercatrice, un impiego retribuito, tanto che diventerei dipendente del tuo studio, giusto?» «Giusto. Dove vuoi arrivare?» «Aspetta solo un attimo. Non sono sicura di voler lavorare per te.» Donovan si strinse nelle spalle. Nessun problema. «Non insisto.» «Ecco la mia domanda: sei in possesso di documenti, i documenti cattivi, come li chiamate tu e Vic, di proprietà della Krull Mining e relativi all’inquinamento delle falde acquifere di Hammer Valley? Documenti che tu non dovresti avere?» Ci fu un lampo di collera negli occhi scuri e stanchi di Donovan, che però si morse la lingua, esitò un istante e poi sorrise. «È una domanda diretta, avvocato» insistette Samantha. «L’ho capito. Quindi, se la risposta fosse sì, immagino che rifiuteresti il lavoro e noi due resteremmo amici, giusto?» «Prima rispondi alla domanda.» «E se la risposta fosse no, allora potresti prendere in considerazione l’idea di lavorare per me, esatto?» «Sto ancora aspettando, avvocato.» «Mi appello al Quinto emendamento.» «Bene. Ti ringrazio per l’offerta, ma devo rispondere di no.» «Come vuoi. Ho un mucchio di lavoro da fare.» “Malattia del polmone nero” è una definizione legalmente riconosciuta di una patologia professionale. Più formalmente, è nota come pneumoconiosi dei lavoratori del carbone (PLC ) ed è provocata da una prolungata esposizione alle polveri di carbone. Una volta inalate, queste non possono più essere rimosse o eliminate dall’organismo. Si depositano e si accumulano progressivamente nei polmoni e possono determinare infiammazioni, fibrosi, addirittura necrosi. La malattia può presentarsi come “PLC semplice” o “PLC complicata” (o fibrosi polmonare massiva progressiva). La malattia del polmone nero è una patologia comune tra i minatori del carbone, sia che operino in miniere sotterranee sia che lavorino in miniere a cielo aperto. È stato stimato che il 10 per cento dei minatori con venticinque anni di anzianità lavorativa sviluppa la malattia, che è debilitante e di solito fatale. Sono circa 1500 i minatori che muoiono ogni anno a causa del polmone nero e, data la natura insidiosa della malattia, le morti sono quasi sempre lente e dolorose. Non esistono cure né trattamenti medici efficaci. I sintomi sono dispnea e tosse costante, spesso accompagnata da espettorato nerastro. A mano a mano che i sintomi peggiorano, il minatore si trova ad affrontare il dilemma se richiedere o meno le indennità previste. La diagnosi è semplice e si basa su: 1) certezza di esposizione alle polveri di carbone; 2) radiografia del torace; e 3) esclusione di altre cause. Nel 1969 il Congresso approvò la Legge federale per la salute e la sicurezza nelle miniere di carbone, che prevedeva un sistema di previdenze a favore delle vittime del polmone nero. Tale legge fissava inoltre misure standard volte a ridurre le polveri. Due anni dopo, il Congresso istituì il Fondo invalidità polmone nero e lo finanziò con una tassa federale sulla produzione del carbone. Secondo questa norma, l’industria carbonifera accettava un sistema studiato per facilitare l’individuazione della malattia e garantire le indennità al lavoratore. Nel caso in cui un minatore avesse lavorato dieci anni e fosse in possesso della dovuta documentazione medica – radiografie o prove autoptiche comprovanti la presenza del polmone nero –, in teoria avrebbe avuto diritto alle indennità previste. Inoltre, il minatore affetto da polmone nero, ma ancora al lavoro, avrebbe dovuto essere trasferito a mansioni che comportassero una minore esposizione alle polveri, senza alcuna riduzione di retribuzione, benefit e anzianità. A partire dal 1° luglio 2008, un minatore affetto da polmone nero riceve dal fondo 900 dollari al mese. Lo scopo della nuova legge era ridurre drasticamente l’esposizione alle polveri di carbone. Ben presto entrarono in vigore standard severi e i minatori ebbero diritto a una radiografia toracica gratuita ogni cinque anni. Le radiografie dimostrarono che, su dieci minatori esaminati, quattro erano affetti da malattia del polmone nero, a vari livelli di gravità. Ma negli anni successivi all’entrata in vigore della legge, i nuovi casi si ridussero del novanta per cento. Medici ed esperti predissero che la patologia sarebbe stata eliminata. Tuttavia, già nel 1995 studi governativi cominciarono a evidenziare un aumento del tasso di morbilità, poi un aumento ancora maggiore. Altrettanto inquietante, la malattia sembrava progredire più rapidamente e si manifestava nei polmoni di minatori più giovani. Gli esperti hanno formulato due teorie per spiegare questo fenomeno: 1) i minatori lavorano per turni più lunghi e sono quindi esposti a quantità maggiori di polveri; 2) l’industria carbonifera espone i minatori a concentrazioni illegali di polveri di carbone. La malattia del polmone nero è ora epidemica nelle aree carbonifere e l’unica ragione possibile è una prolungata esposizione a una quantità di polveri maggiore di quanto consenta la legge. Per decenni le società carbonifere hanno fatto resistenza ai tentativi di imporre standard di sicurezza più severi, e hanno avuto successo. Le leggi federali non prevedono il pagamento di onorari legali, di conseguenza il minatore che intenda presentare richiesta di indennità dovrà orizzontarsi da solo nel sistema previdenziale. L’industria carbonifera oppone sempre strenua resistenza alle denunce, quali che siano le prove prodotte dal minatore in questione, e lo fa servendosi di avvocati esperti in grado di manipolare abilmente il sistema. Anche nel caso in cui il minatore alla fine prevalga, il procedimento sarà durato in media circa cinque anni. Per Thomas Wilcox l’ordalia si protrasse per dodici anni. Era nato nel 1925 nei pressi di Brady, Virginia, aveva combattuto in guerra, era stato ferito due volte, era stato decorato e, tornato a casa, si era sposato ed era andato a lavorare in miniera. Era un minatore orgoglioso, un sindacalista convinto, un leale democratico e un ottimo marito e padre. Nel 1974 gli venne diagnosticata la malattia del polmone nero e presentò domanda per ottenere l’indennità. Era malato ormai da parecchi anni ed era quasi troppo debole per poter lavorare. Le lastre toraciche evidenziavano con chiarezza PLC complicata. Aveva lavorato sottoterra per ventotto anni e non aveva mai fumato. La sua richiesta venne inizialmente accolta, ma la società carbonifera ricorse in appello. Nel 1976, all’età di cinquantuno anni, Thomas non ebbe altra scelta se non licenziarsi. Continuò a peggiorare ed entro breve dovette ricorrere all’ossigeno ventiquattr’ore al giorno. Senza alcun reddito, la famiglia lottò per sopravvivere e provvedere alle spese mediche. Thomas e la moglie furono costretti a vendere la casa e a trasferirsi presso una figlia. La domanda venne insabbiata in profondità nel sistema federale da scaltri avvocati al soldo della società mineraria. All’epoca Thomas avrebbe avuto diritto a circa 300 dollari al mese, più le spese mediche. Alla fine Thomas era ridotto a uno scheletro rinsecchito che, inchiodato su una sedia a rotelle, boccheggiava cercando di respirare e, mentre trascorrevano gli ultimi giorni, la famiglia pregava per una fine pietosa. Non riusciva più a parlare e veniva nutrito con omogeneizzati per bambini dalla moglie e dalle figlie. Grazie alla generosità di amici e vicini di casa, e agli instancabili sforzi della famiglia, la fornitura di ossigeno non venne mai a mancare. Al momento del decesso nel 1986, all’età di sessantuno anni, Thomas pesava quarantasette chili. L’autopsia provò in modo incontrovertibile la presenza della malattia del polmone nero. Quattro mesi più tardi la società carbonifera ritirò il ricorso in appello. Dodici anni dopo la presentazione della domanda, la vedova di Thomas ricevette una somma a forfait a saldo delle indennità per malattia del polmone nero. Nota: Thomas Wilcox era mio padre. Era un orgoglioso eroe di guerra, anche se non parlò mai delle sue vicende. Era un figlio delle montagne, di cui amava la bellezza, la storia e il modo di vita. Insegnò a tutti noi come pescare nei torrenti, accamparsi nelle caverne e perfino cacciare un cervo per sfamarci. Era un uomo attivo che dormiva poco e al quale piaceva leggere fino a tarda notte. Assistemmo al suo declino a mano a mano che la malattia progrediva. Ogni minatore ha paura del polmone nero, ma non pensa mai che possa succedere a lui. Quando la realtà fu innegabile, Thomas perse ogni energia e cominciò a intristirsi. Anche i lavori più semplici alla fattoria diventarono difficili. E quando fu costretto a lasciare la miniera, sprofondò in un lungo periodo di grave depressione. Il corpo si fece sempre più debole e minuto, e parlare divenne troppo faticoso. Aveva bisogno di tutta la sua energia solo per respirare. Nei suoi ultimi giorni, noi familiari facemmo a turno per sederci accanto a lui e leggergli i suoi libri preferiti. C’erano spesso lacrime nei suoi occhi. Mattie Wyatt, 1° luglio 2008 Il rapporto era nell’ultima sezione dello spesso raccoglitore di dispense dei seminari, ed era stato chiaramente inserito in un secondo tempo. Samantha non lo aveva mai notato prima. Mise da parte il raccoglitore, trovò le scarpe da corsa e uscì per una lunga camminata intorno a Brady. Erano le undici passate di domenica sera e in giro per le strade non vide nessuno. 16 Mattie era in tribunale a Curry County, Annette era in ritardo, Barb non si era ancora vista e Claudelle il lunedì si presentava solo a mezzogiorno, per cui Samantha era sola nel momento in cui Pamela Booker fece il suo rumoroso ingresso con due bambini sporchi al seguito. La donna stava già piangendo quando disse il suo nome e cominciò a implorare aiuto. Samantha guidò il gruppetto nella saletta riunioni e impiegò i primi cinque minuti cercando di assicurare a Pamela che tutto si sarebbe sistemato, anche se non aveva la minima idea di cosa fosse questo “tutto”. I bambini erano muti, con gli occhi sbarrati e l’espressione stupita di chi ha subito un trauma. E avevano fame. Appena si calmò, Pamela chiese: «Non avrebbe qualcosa da mangiare?». Samantha corse nel cucinotto, trovò qualche biscotto stantio, una confezione di cracker, un sacchetto di patatine, due bibite dietetiche della scorta di Barb e posò il tutto sul tavolo, davanti ai due bambini che afferrarono i biscotti e cominciarono a mangiare a grandi morsi. Fra altre lacrime, Pamela ringraziò e poi cominciò a parlare. Il racconto divenne così torrenziale che Samantha non ebbe il tempo di prendere appunti. Guardò i bambini divorare il cibo mentre la madre riferiva la loro storia. Abitavano in macchina. Venivano da una cittadina poco lontana, a Hopper County, e da quando il mese prima avevano perso la casa, Pamela era alla ricerca di un avvocato che li salvasse. Nessuno era disposto ad aiutarla, ma qualcuno a un certo punto aveva accennato alla Mountain Legal Aid Clinic a Brady. Ed eccoli lì. Pamela aveva lavorato in una fabbrica che produceva lampade per una catena di motel. Non era un gran lavoro, ma serviva a pagare l’affitto e da mangiare. Nel quadro non compariva un marito. Quattro mesi prima, una società di cui Pamela non aveva mai sentito parlare aveva cominciato a pignorare parte del suo salario, un terzo, e lei non era riuscita a impedirlo. Si era lamentata con il datore di lavoro, il quale le aveva sventolato sotto il naso l’ordinanza della corte. Poi l’aveva minacciata di licenziamento, dicendo che odiava gli ordini di pignoramento per via delle seccature che creavano. Pamela si era messa a discutere, lui aveva dato seguito alla sua minaccia e lei adesso era disoccupata. Era andata a parlare con il giudice e gli aveva spiegato tutto, che non poteva pagare l’affitto e comprare da mangiare, ma lui non si era dimostrato per niente comprensivo. Aveva detto che la legge era la legge. Il problema era una vecchia ingiunzione relativa a un debito con un ente finanziario per spese effettuate con carta di credito, debito al quale Pamela non pensava da dieci anni. Evidentemente la società aveva ceduto il credito, vendendolo a qualche agenzia di riscossioni di infimo livello e, senza che Pamela ne sapesse niente, era stato emesso un ordine di pignoramento presso terzi dello stipendio. Lei non era più stata in grado di pagare l’affitto del caravan, e il padrone di casa, un vero stronzo, aveva chiamato lo sceriffo e l’aveva sbattuta fuori a calci. Si era sistemata da una cugina per qualche giorno, ma la cosa non aveva funzionato e così si era trasferita da un’amica. Non era andata bene neppure quella volta e da due settimane Pamela e i bambini vivevano in macchina, la quale era a corto di tutto: olio, benzina, liquido per i freni... il cruscotto si illuminava come un albero di Natale. Il giorno prima Pamela aveva rubato delle barrette al cioccolato e le aveva date ai ragazzi. Lei non mangiava da due giorni. Samantha assimilò le informazioni e cercò di nascondere lo shock. Come si fa, esattamente, a vivere in macchina? Cominciò a prendere appunti senza avere la minima idea di cosa fare sul fronte legale. Pamela estrasse dei documenti dalla sua borsa taroccata e fece scivolare la pila di carte sul tavolo. Samantha lesse velocemente l’ingiunzione della corte mentre la sua nuova cliente le spiegava di essere arrivata agli ultimi due dollari e di non sapere se spenderli in benzina o in cibo. Finalmente prese un biscotto con la mano che tremava. Due cose furono subito chiare a Samantha. La prima era che lei era l’ultima linea di difesa per quella famiglia. La seconda era che i Booker non sarebbero usciti tanto presto. Non avevano un posto dove andare. Quando Barb finalmente arrivò, Samantha le diede venti dollari e le chiese di correre a comprare quanti più sandwich alla salsiccia possibile. «Abbiamo qualche dollaro qui in studio» disse Barb. «Ne avremo bisogno.» Phoebe Fanning continuava a nascondersi dal marito in un motel, omaggio dello studio, e Samantha sapeva che Mattie teneva sempre un po’ di denaro per emergenze del genere. Dopo che Barb se ne fu andata, Samantha guardò il parcheggio da una finestra sul retro. L’auto di Pamela, anche una volta rifornita di benzina e di tutti gli altri liquidi necessari, aveva l’aria di non potercela fare a tornare a Hopper County. Era una piccola vettura d’importazione con un milione di chilometri, che ora veniva utilizzata come casa. Biscotti e cracker erano spariti quando Samantha rientrò nella saletta. Disse a Pamela che aveva mandato a prendere qualcosa da mangiare e questo provocò altre lacrime. Il bambino, Trevor, di sette anni, disse: «Grazie, Miss Kofer». La ragazzina, Mandy di undici anni, domandò: «Posso andare in bagno, per favore?». «Ma certo» rispose Samantha. L’accompagnò in fondo al corridoio e poi tornò a sedersi al tavolo per prendere altri appunti. Cominciarono dall’inizio e ripercorsero lentamente tutta la storia. L’ingiunzione relativa alla carta di credito era datata luglio 1999 e indicava un totale di 3398 dollari, somma che comprendeva ogni sorta di spese giudiziarie, oscure parcelle e perfino, per buona misura, interessi vari. Pamela spiegò che la sentenza di divorzio, la cui copia era allegata agli altri documenti, aveva imposto al suo ex marito il pagamento di quel debito. Poi erano passati nove anni senza una sola parola, almeno che Pamela sapesse. Lei si era trasferita parecchie volte e forse la posta non era riuscita a tenere il passo. Chi poteva saperlo? Comunque fosse, l’agenzia di riscossioni l’aveva rintracciata e aveva dato inizio ai guai. Samantha notò che Trevor era nato dopo il divorzio, ma di questo non valeva la pena parlare. C’erano numerosi provvedimenti giudiziari nei confronti dell’ex marito per oltraggio alla corte a causa del mancato mantenimento di Mandy. «Dov’è adesso?» chiese Samantha. «Non ne ho idea» rispose Pamela. «Sono anni che non ne so più niente.» Barb entrò con un sacchetto di sandwich e sistemò il pranzo sul tavolo. Scompigliò i capelli a Trevor e disse a Mandy quanto le facesse piacere la loro visita. Tutti e tre i Booker ringraziarono educatamente e poi attaccarono a mangiare come profughi. Samantha chiuse la porta e si consultò con Barb nell’area di ricevimento. «Qual è il problema?» chiese Barb, e Samantha le diede le informazioni di base. Barb, la quale pensava di avere visto tutto, poteva essere perplessa, ma mai timida. «Io comincerei con il datore di lavoro. Scaricagli addosso l’inferno, minaccialo di fargli causa per triplici danni e poi attacca la società di riscossioni.» Il telefono stava squillando e Barb andò a rispondere, lasciando Samantha, l’avvocato, sola con la sua confusione. Scaricare l’inferno? Triplici danni? E per cosa, esattamente? E il consiglio arrivava da un non avvocato. Samantha pensò di prendere tempo finché non fosse arrivata Mattie, o Annette, ma lavorava al centro già da una settimana e il periodo d’orientamento era finito. Andò nel suo ufficio, chiuse la porta e digitò nervosamente il numero della fabbrica di lampade. Un certo Mr Simmons si mostrò piacevolmente sorpreso nel sentire che Pamela Booker si era trovata un avvocato. Disse che Pamela era un’ottima dipendente, che gli era dispiaciuto perderla eccetera, ma accidenti a quei maledetti ordini di pignoramento dello stipendio: trasformavano la sua contabilità in un incubo. Aveva già sostituito Pamela e si era assicurato che la neoassunta non avesse problemi legali. «Be’, è possibile che lei non si sia del tutto liberato dei problemi legali» disse Samantha freddamente. Bluffando, e per niente sicura delle sue asserzioni, spiegò che un’azienda non poteva licenziare un dipendente solo perché parte del suo salario veniva pignorato. Questo irritò Mr Simmons, che borbottò qualcosa a proposito del proprio avvocato. Ottimo, ribatté Samantha, mi dia il numero di telefono e discuterò la faccenda direttamente con lei. Non era una donna, chiarì Simmons, e comunque l’avvocato gli addebitava duecento dollari l’ora. Che Samantha gli lasciasse un po’ di tempo per riflettere. Samantha promise di richiamarlo nel pomeriggio e alla fine concordarono che le quindici sarebbe stato un orario comodo per entrambi. Tornò nella saletta riunioni e vide che Barb, la quale aveva trovato una scatola di pastelli e qualche album da colorare, era occupata a organizzare giochi e intrattenimenti per Trevor e Mandy. Pamela aveva ancora mezzo sandwich in mano e fissava il pavimento, come in trance. Quando finalmente arrivò Annette, Samantha le andò incontro nel corridoio e, sussurrando, l’aggiornò in dettaglio. Annette era ancora un po’ scostante e irritata da qualcosa, ma il lavoro era lavoro. «Quell’ingiunzione è prescritta già da anni» fu la sua prima reazione. «Controlla la normativa su questo punto. Scommetto che la società della carta di credito l’ha ceduta a quelli delle riscossioni per qualche centesimo a dollaro e adesso stanno cercando di far valere un’ordinanza ormai scaduta.» «Lo hai già visto succedere?» «Qualcosa di simile, molto tempo fa. Non ricordo i nomi. Fai le tue ricerche e poi contatta l’agenzia di recupero crediti. Di solito è brutta gente che non si lascia spaventare facilmente.» «Possiamo fare causa?» «Di sicuro possiamo minacciare di farla. Non sono abituati a persone come Pamela che tutto a un tratto si presentano con un avvocato. Telefona al datore di lavoro e metti il fuoco al culo anche a lui.» «Già fatto.» Annette sorrise. «E lui cosa ha detto?» «Gli ho spiegato che non si può licenziare un dipendente solo per un ordine di pignoramento dello stipendio. Non so se la legge dica questo, ma l’ho fatto sembrare veritiero. Sono riuscita a preoccuparlo. Siamo d’accordo di risentirci nel pomeriggio.» «Non è del tutto vero, ma è un simpatico bluff, il che è spesso più importante di quello che dice la legge. La causa sarà contro l’agenzia di recupero crediti, se in effetti si prende soldi dal salario di Pamela in virtù di un’ingiunzione prescritta.» «Grazie» disse Samantha con un sospiro «ma abbiamo questioni anche più urgenti. I Booker sono tutti là dentro, e non hanno dove andare.» «Ti suggerisco di impiegare le prossime ore occupandoti dei problemi di base: cibo, bucato, un posto dove dormire. I bambini evidentemente non sono a scuola: di questo preoccupati domani. Abbiamo un fondo segreto per coprire qualche spesa.» «Hai parlato di bucato?» «Sì. Chi ha detto che il lavoro di assistenza legale sia tutto glamour?» La seconda crisi del mattino esplose pochi minuti più tardi, quando Phoebe Fanning si presentò senza alcun preavviso in compagnia di suo marito Randy e informò Annette che voleva ritirare la domanda di divorzio. Si erano riconciliati, per così dire, e lei e i bambini erano tornati a casa, dove le cose si erano sistemate. Furiosa, Annette chiamò Samantha nel suo ufficio perché assistesse al colloquio. Randy Fanning era uscito di prigione tre giorni prima e, senza la tuta arancione della contea, era solo un po’ più presentabile. Sedeva sogghignando e teneva una mano sul braccio di Phoebe, che faceva del suo meglio per spiegare il cambiamento di programma. Lei lo amava, non poteva vivere senza di lui e i loro tre figli erano molto più felici con i genitori riuniti. Phoebe era stanca di starsene nascosta in un motel, i bambini erano stanchi di starsene nascosti dai parenti e tutti avevano fatto pace con tutti. Annette le ricordò che era stata picchiata da suo marito, il quale la guardava con odio dall’altro lato della scrivania e sembrava poter esplodere da un momento all’altro. Annette non sembrava impaurita, ma Samantha cercava di starsene nascosta in un angolo. Era stata solo una zuffa, spiegò Phoebe, non proprio una zuffa ad armi pari, ma comunque una zuffa. Si erano scaldati un po’ troppo e le cose erano sfuggite di mano, ma non sarebbe successo mai più. Randy, che fino ad allora aveva preferito non parlare, a quel punto intervenne e confermò che, sì, tutti e due avevano promesso di smetterla con i litigi. Annette lo ascoltò senza credere a una sola parola. Gli rammentò che, standosene lì seduto, violava i termini dell’ordinanza restrittiva. Se il giudice lo avesse scoperto, sarebbe tornato in prigione. Randy disse che Hump, il suo avvocato, gli aveva promesso che avrebbe ottenuto senza problemi l’annullamento dell’ordinanza. C’erano ancora tracce bluastre sul viso di Phoebe. Il divorzio era una cosa, le accuse penali un’altra. Annette arrivò alla parte seria quando domandò ai Fanning se avessero già parlato con il pubblico accusatore del ritiro della denuncia per lesioni volontarie aggravate. Non ancora, ma pensavano di farlo appena risolta la faccenda del divorzio. Annette spiegò che la cosa non sarebbe stata automatica. La polizia aveva una dichiarazione della vittima, aveva le fotografie, aveva altri testimoni. Il tutto sembrava un po’ confuso e perfino Samantha non era troppo sicura: se la vittima, nonché testimone principale, si tira indietro, come fai a insistere con le accuse? Le due avvocatesse avevano lo stesso dubbio: Randy aveva picchiato di nuovo la moglie per convincerla a lasciar perdere tutto? Annette era irritata e continuò a martellare con domande dure, ma nessuno dei due Fanning cedette. Erano decisi a dimenticare i loro guai e ad andare avanti, verso una vita più felice. Quando arrivò il momento di concludere il colloquio, Annette sfogliò il fascicolo e calcolò che aveva lavorato venti ore sul divorzio. Senza alcun addebito, naturalmente. La prossima volta, trovati un altro avvocato. Dopo che i Fanning se ne furono andati, Annette li descrisse come una coppia di tossici chiaramente instabili e probabilmente dipendenti l’uno dall’altra. «Speriamo solo che lui non l’ammazzi» concluse. Mentre la mattinata si consumava, diventava sempre più chiaro che la famiglia Booker non aveva in programma di andarsene. E nessuno glielo chiese, al contrario. Lo staff aveva adottato i tre e a brevi intervalli qualcuno andava a dare un’occhiata. A un certo punto Barb sussurrò a Samantha: «Abbiamo avuto clienti che hanno dormito qui per un paio di notti. Non è l’ideale, ma a volte non c’è scelta». Con un cilindro di monete da un quarto, Pamela uscì per andare a cercare una lavanderia automatica. Mandy e Trevor rimasero nella saletta riunioni, colorando con i pastelli, leggendo, ridacchiando ogni tanto tra loro. Samantha lavorava all’altro capo del tavolo, scavando tra codici e precedenti legali. Alle undici in punto, Mrs Francine Crump si presentò per quella che doveva essere una firma su un breve testamento. Samantha aveva preparato il documento e Mattie lo aveva rivisto. La piccola cerimonia avrebbe richiesto meno di dieci minuti e Francine se ne sarebbe andata con un regolare testamento per il quale non avrebbe pagato nulla. Invece quella diventò la terza crisi del mattino. Come da istruzioni, Samantha aveva redatto un testamento che lasciava i trentadue ettari di Francine ai vicini, Hank e Jolene Mott. I cinque figli adulti di Francine non avrebbero avuto niente e questo avrebbe comportato inevitabilmente guai in futuro. “Non importa” aveva detto Mattie. “La proprietà è di Francine, non è gravata da ipoteche e lei può disporne come vuole. Ci occuperemo dei guai in seguito. No, non siamo tenute a comunicare ai figli che rimangono esclusi dal testamento. Lo scopriranno dopo il funerale.” O forse no? Mentre Samantha chiudeva la porta del suo ufficio e prendeva la pratica, Francine cominciò a piangere. Asciugandosi le guance con un fazzoletto di carta, raccontò la sua storia. “Tre di fila, tutte in lacrime” pensò Samantha. Nel weekend, Hank e Jolene Mott avevano svelato un orribile segreto a Francine: avevano deciso di vendere i loro quaranta ettari a una società mineraria e di trasferirsi in Florida, dove avevano dei nipotini. Non avrebbero voluto vendere, naturalmente, ma stavano invecchiando – che diavolo, erano già vecchi, ma questo non era una scusa per vendere e scappare, un mucchio di vecchi si tenevano stretta la loro terra –, e comunque avevano bisogno dei soldi per la pensione e per le spese mediche. Francine era furiosa con i suoi vicini e non riusciva ancora a crederci. Non solo aveva perso i suoi amici, aveva perso anche le due persone che era certa avrebbero protetto la sua proprietà. E il peggio doveva ancora venire: stavano programmando una strip mine proprio vicino a lei! La gente di Jacob’s Holler era furibonda, ma era quello che facevano le società del carbone: mettevano un vicino contro l’altro, il fratello contro la sorella. In giro si diceva che i Mott se ne sarebbero andati appena possibile. Scappavano come conigli, per dirla con Francine. Meglio sbarazzarsi di gente come quella. Samantha diede prova di pazienza, in effetti era stata paziente per tutta la mattina mentre le scorte di fazzolettini di carta dello studio andavano esaurendosi, ma a poco a poco si rese conto che il suo primo approccio con il mondo dei testamenti sarebbe stato un fallimento. Riuscì a guidare Francine verso la domanda più ovvia: se non ai Mott, allora a chi andava la proprietà? Francine non sapeva cosa fare. Era proprio per quello che stava parlando con un avvocato. Il pranzo portato da casa del lunedì nella sala riunioni principale subì alcune modifiche in modo da includere anche Mandy e Trevor Booker i quali, pur avendo mangiato per tutta la mattina, avevano ancora abbastanza fame da farsi un sandwich in compagnia dello staff. La loro madre stava facendo il bucato e i due ragazzi non avevano un posto dove andare. La conversazione si mantenne su toni leggeri: pettegolezzi della parrocchia e clima, argomenti adatti a giovani orecchie e ben lontani da quelli salaci che Samantha aveva ascoltato la settimana prima. Il tutto fu molto noioso e il pranzo si concluse in venti minuti. Samantha aveva bisogno di consigli e non voleva disturbare di nuovo Annette. Chiese a Mattie un paio di minuti e chiuse la porta dell’ufficio. Porse alcuni fogli a Mattie e annunciò con orgoglio: «La mia prima citazione in giudizio». Mattie sorrise e prese subito i documenti. «Bene, bene, congratulazioni. Era ora. Siediti mentre leggo.» Il convenuto era la Top Market Solutions, un’equivoca società di Norfolk, Virginia, con filiali in molti Stati del Sud. Numerose telefonate avevano prodotto poche informazioni sulla società, ma Samantha aveva tutto ciò che serviva per sparare il primo colpo. Più approfondiva le ricerche, più chiari diventavano i punti in discussione. Annette aveva ragione: l’ordinanza era decaduta sette anni dopo essere stata emessa e non era più stata riazionata. La società della carta di credito aveva ceduto l’ingiunzione prescritta alla Top Market con un grosso sconto. A sua volta, la Top Market l’aveva ripresentata a Hopper County e aveva cominciato a sfruttare il sistema legale per raccattare i soldi. Uno degli strumenti era il pignoramento di parte del salario. «Conciso e accurato» commentò Mattie quando finì di leggere. «E sei sicura dei fatti?» «Sì. In realtà, non è poi così complicato.» «Potrai sempre apportare modifiche in seguito. Mi piace. Ti senti un vero avvocato adesso?» «Sì. Non ci avevo mai pensato prima. Mi scrivo la citazione, formulo le accuse che voglio, deposito gli atti, li notifico al convenuto, il quale non ha scelta se non presentarsi in tribunale, e poi o troviamo un accordo o andiamo a processo.» «Benvenuta in America. Ti ci abituerai.» «Sto pensando di depositare la citazione oggi pomeriggio. I Booker sono senza casa, sai. Prima si procede, meglio è.» «Apri il fuoco» disse Mattie, restituendo a Samantha la citazione. «Io invierei anche una copia via e-mail al convenuto per avvertirlo.» «Grazie. Darò gli ultimi ritocchi e poi andrò in tribunale.» Alle tre del pomeriggio Mr Simmons della fabbrica di lampade fu molto meno cordiale di quanto fosse stato durante la prima conversazione. Disse che aveva parlato con il suo avvocato, il quale gli aveva assicurato che licenziare un dipendente per un ordine di pignoramento dello stipendio non era illegale nel Commonwealth of Virginia, contrariamente a quanto aveva affermato Ms Kofer quella mattina. «Non conosce la legge?» domandò Simmons. «La conosco benissimo» ribatté Samantha, ansiosa di chiudere la telefonata. «Immagino che ci vedremo in tribunale.» Con una citazione già pronta a partire, non poteva fare a meno di sentirsi una dal grilletto facile. «Mi hanno fatto causa avvocati migliori di lei» disse Mr Simmons, e riattaccò. I Booker finalmente se ne andarono. Seguirono Samantha fino a un motel nella zona est della cittadina, uno dei due di Brady. L’intero staff aveva dibattuto su quale dei due fosse meno squallido e lo Starlight aveva vinto con uno stretto margine. Il motel era un tuffo negli anni Cinquanta, con stanze minuscole e porte che si aprivano sul parcheggio. Samantha aveva parlato due volte al telefono con il proprietario, il quale le aveva promesso due camere adiacenti, pulite e con televisore, e dopo qualche trattativa aveva accettato un prezzo ridotto di venticinque dollari a notte per stanza. A Mattie era piaciuto definire il motel come un albergo a ore, ma non c’erano segni di comportamenti illeciti, per lo meno non alle tre di un lunedì pomeriggio. Le altre diciotto camere sembravano libere. La biancheria pulita di Pamela era ordinatamente ripiegata in sacchetti per alimentari. Mentre i Booker scaricavano l’auto, Samantha si rese conto che in quel momento la famigliola stava facendo un bel passo avanti per risalire la china. Mandy e Trevor erano eccitati all’idea di stare in un motel: avevano addirittura una camera tutta per loro. Pamela aveva una nuova vivacità nel passo e un grande sorriso. Abbracciò forte Samantha e la ringraziò per l’ennesima volta. Samantha ripartì in auto con i tre in piedi di fianco alla macchina che la salutavano con la mano. Dopo un’ora passata a zigzagare tra le montagne e a evitare camion carichi di carbone, alle cinque meno un quarto Samantha arrivò in Center Street a Colton. Depositò la citazione a carico della Top Market Solutions, pagò la tassa con un assegno dello studio, compilò i moduli per la notifica al convenuto e, quando tutto fu a posto, uscì dalla cancelleria sentendosi molto orgogliosa della sua prima citazione, ora ufficialmente registrata. Si affrettò a raggiungere l’aula, sperando che l’udienza non fosse ancora stata aggiornata. L’aula era semipiena e soffocante, con un livello di tensione ben percepibile mentre accigliati uomini in abito scuro osservavano attenti le sette persone sedute nel box della giuria. La selezione dei giurati si era conclusa; Donovan aveva sperato che venisse portata a termine nel corso del primo giorno. Era seduto accanto a Lisa Tate, la madre dei due ragazzini. Erano soli al tavolo della parte attrice, che si trovava vicino al box della giuria. Sull’altro lato dell’aula, al tavolo del convenuto, un piccolo esercito si muoveva indaffarato; tutti avevano un’espressione dura e scontenta, come se fossero stati presi in contropiede e raggirati nella fase iniziale del processo. Il giudice stava parlando alla sua nuova giuria, impartendo istruzioni su cosa i giurati potevano fare o non fare nel corso del processo. In tono severo, quasi li costrinse a promettere di denunciare immediatamente qualsiasi contatto con persone che avessero cercato di parlare del processo. Samantha studiò i giurati e cercò di capire quali fossero quelli voluti da Donovan e quali quelli che erano stati ritenuti favorevoli alle società minerarie. Impossibile. Tutti bianchi, quattro donne e tre uomini, il più giovane intorno ai venticinque anni, il più vecchio di almeno settanta. Chi mai avrebbe potuto prevedere le dinamiche di gruppo della giuria al momento di valutare le prove? Forse Lenny Charlton, il consulente. Samantha lo vide in terza fila, intento a studiare i giurati che ascoltavano le istruzioni del giudice. Anche altri osservavano, senza dubbio i consulenti assunti dalla Strayhorn Coal e dall’assicurazione. Tutti gli occhi erano puntati sui giurati. In gioco c’erano somme enormi ed era loro compito assegnarle o no. Samantha sorrise al contrasto. Donovan aveva trascinato lì, in un’aula carica di tensione, un’altra ricca società per costringerla a rispondere delle sue azioni. Avrebbe richiesto risarcimenti per milioni di dollari. Nelle settimane a venire, avrebbe citato in giudizio per un miliardo di dollari la Krull Mining, un caso che avrebbe impegnato anni di lavoro e una fortuna in spese legali. Lei, per contro, aveva nella valigetta la sua prima citazione con la quale richiedeva cinquemila dollari di risarcimento a un’oscura società che molto probabilmente era già a un passo dal fallimento. Donovan si alzò in piedi per rivolgersi alla corte. Indossava la sua più elegante tenuta da avvocato, un bell’abito blu scuro che cadeva a pennello sul suo corpo slanciato. I capelli lunghi erano stati appena spuntati per l’occasione. Una volta tanto era perfettamente sbarbato. Si muoveva nell’aula come se ne fosse stato il padrone. I giurati seguirono ogni sua mossa e assimilarono ogni parola quando annunciò che la parte attrice era soddisfatta della giuria e non intendeva opporre altre ricusazioni. Alle diciassette e quarantacinque il giudice dichiarò chiusa l’udienza. Samantha si affrettò a uscire ed evitò la ressa. Guidò per quattro isolati fino alla scuola frequentata da Mandy e da Trevor. In giornata aveva avuto due conversazioni telefoniche con la preside, e gli insegnanti dei ragazzini avevano già preparato compiti e lezioni. La preside aveva saputo che la famiglia dormiva in macchina ed era molto preoccupata. Samantha le assicurò che ora i Booker alloggiavano in un posto adeguato e che la situazione stava migliorando. Sperava che i ragazzi sarebbero tornati a scuola nel giro di pochi giorni. Nel frattempo avrebbe fatto in modo che si mantenessero al passo con le lezioni e facessero i compiti. Mentre si allontanava in auto, Samantha ammise di sentirsi più un’assistente sociale che un avvocato, e che in questo non c’era niente di male. Da Scully & Pershing, il suo lavoro era stato forse più adatto a un contabile o a un analista finanziario, a volte a un impiegato di basso livello o a un semplice passacarte. Ricordò a se stessa che lei era un vero avvocato, anche se spesso aveva qualche dubbio. Mentre guidava uscendo da Colton, un pick-up bianco le si avvicinò da dietro fino quasi a toccarla, poi si staccò. La seguì fino a Brady, mantenendo sempre la stessa distanza, mai troppo vicino, ma mai fuori vista. 17 Le pizzerie delle grandi città si avvalgono di italiani o di loro discendenti, gente che sa che la vera pizza nasce a Napoli, dove si usa una base di pasta sottile e i condimenti sono semplici. La pizza preferita di Samantha era quella di Lazio’s, un buco a Tribeca dove i cuochi strillavano in italiano mentre cuocevano le pizze nei forni di mattoni. Come quasi tutto della sua vita attuale, Lazio’s era lontanissimo. Così come la pizza. L’unico posto a Brady in cui era possibile trovarne una era in un centro commerciale a buon mercato lungo la strada. Pizza Hut, come la maggior parte delle altre catene nazionali, non era penetrata in profondità nelle cittadine degli Appalachi. La pizza aveva uno spessore di tre centimetri. Samantha guardò il pizzaiolo tagliarla a spicchi e inscatolarla. Otto dollari per una pizza al salame piccante e formaggio che sembrava pesare più di due chili. La portò in auto al motel dove i Booker aspettavano guardando la televisione. Si erano lavati e avevano un aspetto molto migliore con gli abiti puliti. Erano anche riconoscenti in modo imbarazzante per quei cambiamenti. Samantha comunicò ai ragazzi la brutta notizia che aveva con sé i compiti a casa per la settimana successiva, ma la novità non diminuì affatto il loro buon umore. Cenarono nella stanza di Pamela, pizza e bibite, con “La Ruota della Fortuna” in sottofondo a volume basso. I bambini parlarono della scuola, dei loro insegnanti e degli amici di Colton di cui sentivano la mancanza. La trasformazione rispetto al mattino era stupefacente: spaventati e affamati, non avevano quasi detto una parola. Adesso non tacevano un attimo. Finita la pizza, Pamela fece schioccare la frusta e mandò i figli a studiare. Temeva che rimanessero indietro. Dopo qualche timida obiezione, i bambini andarono nella loro camera e si misero al lavoro. A bassa voce, Samantha e Pamela parlarono della causa e di cosa avrebbe potuto significare. Con un po’ di fortuna, la società avrebbe potuto riconoscere il proprio errore e rendersi disponibile a un accordo stragiudiziale. In caso contrario, Samantha li avrebbe portati in tribunale al più presto possibile. Riuscì a trasmettere alla sua cliente la sicurezza di un avvocato esperto e non accennò mai al fatto che quella era la sua prima vera causa. Aveva inoltre in programma di andare a parlare con Mr Simmons della fabbrica di lampade per spiegargli l’equivoco che aveva portato al pignoramento dello stipendio. Pamela non era una che non pagava i debiti, anzi: in quel momento stava subendo le angherie di gente disonesta che abusava del sistema legale. Allontanandosi in macchina dallo Starlight Motel, Samantha si rese conto di avere passato la maggior parte delle ultime dodici ore rappresentando in modo battagliero Pamela Booker e i suoi figli. Se quella mattina non fossero capitati allo studio, in quel momento se ne sarebbero stati nascosti da qualche parte sul sedile posteriore dell’auto, affamati, infreddoliti, spaventati e vulnerabili. Il cellulare ronzò mentre si stava cambiando e infilava un paio di jeans. Era Annette, distante una trentina di metri sull’altro lato del cortile. «I ragazzi sono nelle loro camere. Hai tempo per una tazza di tè?» domandò. Era necessario parlare, far uscire tutto e arrivare in fondo a ciò che inquietava Annette, qualunque cosa fosse. Kim e Adam interruppero i compiti solo per scendere a salutare Samantha. Avrebbero voluto averla a cena tutte le sere, con un po’ di televisione e magari un paio di videogame dopo cena. Samantha, però, aveva bisogno di spazio. Di certo Annette stava dando una mano. Dopo che i ragazzi furono risaliti in camera e il tè fu versato, le due donne si sedettero nel soggiorno in penombra e parlarono del loro lunedì. Secondo Annette, c’era moltissima gente senza casa nelle montagne. Non si vedono chiedere l’elemosina in strada, come in città, perché di solito conoscono qualcuno disposto a concedere una stanza o un garage per una settimana o più. Quasi tutti hanno parenti che vivono non molto lontano. Non esistono rifugi per i senzatetto, né organizzazioni non profit che si occupino di loro. Una volta Annette aveva avuto una cliente con un figlio adolescente malato di mente così violento che era stata costretta a cacciarlo di casa. Il ragazzo aveva vissuto in una tenda nei boschi, sopravvivendo grazie a piccoli furti e qualche offerta occasionale. In inverno moriva di freddo e una volta per poco non era annegato durante un’alluvione. C’erano voluti quattro anni per riuscire a farlo ricoverare in una struttura. Lui però era scappato e da allora non se ne era saputo più niente. La madre continuava a sentirsi in colpa. Molto triste. Parlarono dei Booker, di Phoebe Fanning e della povera Ms Crump che non sapeva a chi lasciare la sua proprietà. Questo fece venire in mente ad Annette un cliente che le aveva chiesto un testamento gratuito. Aveva molto denaro perché non ne aveva mai speso – “un vero taccagno” – e le aveva mostrato un precedente testamento, stilato da un avvocato il cui studio era poco oltre il loro sulla stessa strada. Il vecchio non aveva una famiglia sua, non gli piacevano i pochi lontani parenti e non sapeva a chi lasciare i soldi. Insomma, il primo avvocato aveva inserito parecchi paragrafi in un indecifrabile gergo legale che, in pratica, lasciavano tutto all’avvocato stesso. Dopo qualche mese il vecchio si era insospettito e si era presentato nell’ufficio di Annette, la quale aveva redatto un testamento molto più semplice che lasciava tutto a una chiesa. Quando il cliente era morto, il primo avvocato aveva pianto alla veglia funebre, al funerale e alla sepoltura e poi aveva dato fuori di matto quando era venuto a sapere dell’ultimo testamento. Annette aveva minacciato di denunciarlo all’ordine e lui si era calmato subito. Kim e Adam ricomparvero in pigiama per augurare la buonanotte. Annette si allontanò per metterli a letto e rimboccare le coperte. Chiuse le porte delle camere dei ragazzi, versò altro tè e si sedette a un’estremità del divano. Bevve un sorso e passò agli argomenti seri. «So che ti vedi con Donovan» disse, come se il fatto costituisse una violazione di qualche norma. Samantha non poteva negarlo. Perché poi avrebbe dovuto? Era forse tenuta a dare spiegazioni? «Sabato scorso abbiamo fatto un giro in aereo e il giorno prima un’escursione su Dublin Mountain. Perché?» «Devi stare attenta, Samantha. Donovan è una persona complicata, inoltre è ancora sposato, lo sai?» «Io non sono mai andata a letto con uno sposato. E tu?» Annette ignorò la domanda. «Non sono sicura che essere sposato significhi molto per Donovan. Gli piacciono le donne, gli sono sempre piaciute, e adesso che vive da solo, credo che nessuna possa sentirsi al sicuro. Ha una certa reputazione.» «Dimmi di sua moglie.» Un respiro profondo, un altro sorso di tè. «Judy è una bella ragazza, ma la loro è sempre stata una coppia male assortita. Lei è di Roanoke, una ragazza di città, di sicuro un’estranea qui in montagna. Si sono conosciuti al college e hanno lottato per il loro futuro insieme. Dicono che una donna si sposa con la convinzione di poter cambiare il marito, e invece non può. E che un uomo si sposa con la convinzione che la moglie non cambierà mai, e invece lei cambia. È proprio così. Judy non è riuscita a cambiare Donovan, e più lei ci provava, più lui resisteva. E di sicuro lei è cambiata. Quando è arrivata a Brady si è sforzata davvero di inserirsi. Ha piantato un giardino e ha fatto volontariato qua e là. Tutti e due hanno cominciato a frequentare una chiesa e Judy a cantare nel coro. Donovan però era sempre più ossessionato dal lavoro e questo ha avuto delle ripercussioni. Judy cercava di farlo rallentare, di convincerlo a lasciar perdere alcune cause contro le società del carbone, ma Donovan proprio non ci riusciva. Credo che l’ultima goccia sia stato il problema della figlia. Judy non voleva che studiasse nelle scuole di qui, il che è una vergogna. I miei figli si trovano benissimo.» «Il matrimonio è finito?» «Chi lo sa? Ormai vivono separati da un paio d’anni. Donovan adora sua figlia e va a trovarla ogni volta che può. Lui e Judy dicono che stanno cercando di trovare una soluzione, ma io non riesco a vederne. Lui non vuole lasciare le montagne. Lei non vuole lasciare la città. Ho una sorella che vive ad Atlanta, senza figli. Suo marito vive a Chicago, dove ha un ottimo lavoro. Lui pensa che il Sud sia un posto arretrato dove ci si sposa tra consanguinei. Lei pensa che Chicago sia gelida e inospitale. Nessuno dei due cederà mai, ma entrambi sostengono di essere felici così e non pensano minimamente a separarsi. Immagino che per alcuni possa funzionare. Però sembra strano.» «La moglie sa che Donovan si dà da fare in giro?» «Io non so cosa sa. Però non mi sorprenderebbe se quei due avessero un accordo, una specie di rapporto aperto.» Annette lo disse distogliendo lo sguardo, come se avesse saputo di più ma non potesse rivelarlo. Ciò che avrebbe dovuto essere già evidente, lo diventò all’improvviso, per Samantha almeno. Domandò: «Te lo ha detto lui?». Le sembrava improbabile che Annette si lanciasse in speculazioni su una questione così privata. Una pausa. «No, naturalmente no» rispose Annette, senza convinzione. Possibile che Donovan usasse la frase preferita dell’uomo sposato? “Facciamolo, tesoro, tanto lo fa anche mia moglie.” Forse Annette non era poi così affamata di compagnia come fingeva di essere. Un’altra tessera del puzzle andò al proprio posto. Era probabile che Annette avesse una storia con Donovan, di sesso, d’amore o entrambe le cose. E la nuova ragazza in città aveva suscitato l’interesse di Donovan. La tensione non era altro che gelosia vecchio stile, una cosa che Annette non avrebbe mai ammesso, ma che neppure era in grado di nascondere. «Mattie e Chester mi hanno parlato di Donovan» disse Samantha. «A quanto pare, pensano che Judy si sia spaventata quando sono cominciate le molestie. Hanno accennato a telefonate anonime, minacce, auto di sconosciuti...» «Vero, e Donovan non è la persona più popolare in città. Il suo lavoro irrita parecchia gente. Judy ne ha subito le conseguenze un paio di volte. E invecchiando Donovan è diventato addirittura più spericolato. Gioca sporco, e quindi vince un mucchio di cause. Ha fatto parecchi soldi e, come capita a tutti gli avvocati di tribunale, il suo ego si è espanso proporzionalmente al conto in banca.» «Sembra che ci siano parecchie ragioni per la separazione.» «Temo di sì» disse Annette con tristezza, ma poca partecipazione. Sorseggiarono il tè riflettendo, senza parlare. Samantha decise di andare fino in fondo e arrivare al nocciolo. Annette era sempre così franca quando si parlava di sesso, per cui valeva la pena tentare. «Donovan ci ha mai provato con te?» «No. Io ho quarantacinque anni e due figli. Troppo vecchia per lui. A Donovan piacciono più giovani.» Mentì in modo passabile. «Qualcuna in particolare?» «Non proprio. Hai conosciuto suo fratello, Jeff?» «No. Donovan lo ha menzionato un paio di volte. È più giovane, vero?» «Di sette anni. Dopo il suicidio della madre, i ragazzi hanno vissuto un po’ qua e un po’ là. Mattie poi è intervenuta per crescere Donovan, mentre Jeff è andato a stare con un’altra parente. I due fratelli sono molto legati. Jeff è stato quello che l’ha presa peggio: ha piantato gli studi al college, è andato un po’ alla deriva. Donovan lo ha sempre tenuto d’occhio e adesso Jeff lavora per lui. Investigatore, procacciatore di affari, guardia del corpo, fattorino, tu dimmi un lavoro e Jeff lo fa. È anche bello almeno quanto Donovan, ed è single.» «Non sono sul mercato, se è di questo che stai parlando.» «Siamo sempre sul mercato, Samantha. Non prenderti in giro. Magari non per una relazione fissa, ma tutti noi siamo in cerca d’amore, perfino del tipo mordi e fuggi.» «Dubito che la mia vita diventerebbe meno complicata se tornassi a New York con un montanaro al seguito. A proposito di coppie male assortite.» Annette rise. Sembrava che la tensione si stesse allentando e, ora che ne conosceva il motivo, Samantha sapeva di poter gestire la situazione. Aveva già deciso che lei e Donovan erano fin troppo vicini. Lui era affascinante, eccitante, sicuramente sexy, ma significava anche guai certi. Con l’eccezione del primo incontro, Samantha aveva sempre avuto la sensazione che fossero a un passo dal togliersi i vestiti. Se avesse accettato l’offerta di lavoro di Donovan, sarebbe stato difficile, se non impossibile, evitare una storia, non fosse stato altro che per noia. Dopo essersi augurate la buonanotte, Samantha tornò nel suo appartamento. Mentre saliva la scala buia sopra il garage, la domanda si presentò di colpo: quante volte Annette aveva messo i figli a letto e poi era sgattaiolata lì, nel suo piccolo nido d’amore, per un po’ di sesso veloce con Donovan? Molte, rispose qualcosa dentro di lei. Moltissime. 18 Samantha trovò la fabbrica di lampade in una trascurata zona industriale alla periferia di Brushy, a Hopper County. La maggior parte degli edifici era abbandonata. Quelli ancora in attività contavano solo poche auto e pick-up nei parcheggi. Era il triste barometro di un’economia da molto tempo in declino, ben lontana dal grazioso poster immaginato dalla Camera di commercio. All’inizio, al telefono, Mr Simmons aveva detto di non avere tempo per un colloquio, ma Samantha aveva insistito e, esercitando tutto il suo fascino, era riuscita a ottenere trenta minuti. Nell’area di ricevimento c’era puzza di fumo di sigaretta e un pavimento di linoleum che non veniva spazzato da settimane. Un impiegato scontroso scortò Samantha fino a una stanza in fondo al corridoio. Attraverso le pareti sottili filtravano voci e si udiva il ruggito di macchinari provenire da qualche parte nel retro. La fabbrica dava la sensazione di un’attività che tentava coraggiosamente di evitare il destino dei suoi vicini producendo grandi quantità di lampade a buon mercato per motel a buon mercato ai costi più bassi possibile, escludendo nel modo più assoluto qualsiasi benefit aggiuntivo. Pamela Booker aveva spiegato che il contratto prevedeva una settimana di ferie non pagate e tre giorni di malattia, sempre non pagati. Di assicurazione sanitaria, neppure parlarne. Samantha si calmò ripensando a tutte le riunioni che le erano toccate in passato, colloqui con alcuni dei più incredibili stronzi che il mondo avesse mai visto, uomini dall’immensa ricchezza che si erano impadroniti di Manhattan e che calpestavano chiunque trovassero sulla loro strada. Aveva visto quegli uomini divorare e annientare i loro soci, compreso Andy Grubman, un tipo di cui ogni tanto sentiva davvero la mancanza. Li aveva uditi strillare, minacciare e maledire, e in diverse occasioni le loro urla erano state rivolte a lei. Ma era sopravvissuta. Per quanto Mr Simmons potesse essere stronzo, era comunque un gattino a paragone di quei mostri. Mr Simmons si dimostrò sorprendentemente cordiale. Le diede il benvenuto, la fece accomodare nel suo modesto ufficio e chiuse la porta. «Grazie per avere accettato di ricevermi» disse Samantha. «Sarò breve.» «Posso offrirle un caffè?» chiese educatamente Simmons. Samantha pensò alla polvere, alle nubi di fumo di sigaretta e riuscì quasi a visualizzare le incrostazioni all’interno della caffettiera comune. «No, grazie.» Mr Simmons lanciò uno sguardo alle gambe della visitatrice e si sistemò dietro la scrivania, rilassato come se avesse avuto tutto il giorno a disposizione. Samantha lo catalogò come il classico cascamorto. Cominciò riassumendo le ultime avventure della famiglia Booker. Simmons ne rimase toccato: non sapeva che fossero senza casa. Samantha gli passò una copia riveduta e rilegata degli incartamenti e lo guidò passo dopo passo attraverso quel pasticcio legale. L’ultimo documento era una copia dell’atto di citazione che aveva depositato il giorno prima. Assicurò a Mr Simmons che la Top Market Solutions non aveva via di scampo. «Li tengo per le palle» dichiarò, in un deliberato sforzo di volgarità per valutare la reazione dell’uomo. Simmons sorrise di nuovo. In poche parole, la vecchia ingiunzione relativa alla carta di credito era prescritta e la Top Market lo sapeva. Il pignoramento dello stipendio non avrebbe mai dovuto essere consentito e l’assegno di Pamela Booker non avrebbe dovuto essere toccato. Pamela, inoltre, avrebbe dovuto avere ancora il suo lavoro. «Lei vuole che le ridia l’impiego?» chiese Mr Simmons, con un’ovvia domanda. «Sì, signore. Se Pamela riavrà il suo lavoro, potrà tirare avanti. I suoi figli devono andare a scuola. Noi possiamo aiutarla a trovare un posto dove vivere. Io trascinerò in tribunale quelli della Top Market e li costringerò a sputare fuori quello che hanno rubato a Pamela, che incasserà un bell’assegno. Ma ci vorrà tempo. Quello di cui Pamela ha bisogno in questo momento è riavere il suo vecchio lavoro. E lei sa che è giusto così.» Mr Simmons smise di sorridere e guardò l’orologio. «Le dico cosa posso fare. Lei fa revocare quel maledetto ordine di pignoramento in modo che non debba più diventarci matto e io rimetto Pamela a libro paga. Quanto tempo ci vorrà?» Samantha non ne aveva idea, ma istintivamente rispose: «Forse una settimana». «Allora siamo d’accordo?» «D’accordo.» «Posso farle una domanda?» «Quello che vuole.» «Qual è la sua tariffa oraria? Perché, vede, io ho un avvocato a Grundy, mica tanto in gamba, anche lento a richiamarmi al telefono, è lento in tutto, e mi costa duecento dollari l’ora. Magari può non essere una grossa cifra nelle grandi città, ma lei vede dove siamo. Io gli darei anche più lavoro, accidenti, però non ne vale la pena. Ho fatto qualche ricerca in giro, ma non ci sono molti avvocati con pretese ragionevoli da queste parti. Immagino che invece lei sia ragionevole, se Pamela Booker può permettersela. Allora, qual è la sua tariffa?» «Niente. Zero.» Mr Simmons la fissò a bocca aperta. «Lavoro per la difesa d’ufficio» spiegò Samantha. «Che cos’è?» «Assistenza legale gratuita per persone a basso reddito.» Era un concetto alieno. Simmons sorrise e chiese: «Assistete anche le fabbriche di lampade?». «Spiacente. Solo povera gente.» «Noi stiamo perdendo soldi, glielo giuro. Le mostro i libri contabili.» «La ringrazio, Mr Simmons.» Mentre guidava veloce in direzione di Brady per portare le buone notizie, Samantha pensò a come riuscire a far revocare l’ordine di pignoramento. E più ci pensava, più si rendeva conto di quanto poco sapesse dei fondamentali di pratica legale. A New York usciva di rado dallo studio nel tardo pomeriggio per andare direttamente a casa. C’erano troppi bar a impedirglielo, troppi professionisti single a caccia, troppi contatti da creare, troppa socializzazione, troppi rapporti e, be’, troppi drink di cui occuparsi. Ogni settimana qualcuno scopriva un nuovo bar o un nuovo club dove bisognava andare prima che qualcun altro lo individuasse e orde di gente lo rendessero infrequentabile. A Brady le ore dopo il lavoro erano diverse. Samantha non aveva ancora visto l’interno di un bar: da fuori sembravano poco invitanti, tutti e due. Non aveva ancora conosciuto un solo giovane professionista scapolo. Di conseguenza la sua scelta si riduceva a ciondolare in studio per non tornare a casa a contemplare le pareti. Anche Mattie preferiva trattenersi in ufficio e tutti i pomeriggi verso le cinque e trenta cominciava a vagare per lo studio, senza scarpe, in cerca di Samantha. Il rituale era ancora in corso di evoluzione, ma per il momento consisteva nel sorseggiare una bibita dietetica nella sala riunioni e spettegolare guardando la strada dalla finestra. Samantha avrebbe voluto estorcere qualche informazione sull’eventuale storia di sesso tra Annette e Donovan, ma non lo faceva. Forse in seguito, forse un giorno, quando avesse avuto più prove, o probabilmente mai. Era ancora troppo nuova in città per immischiarsi in faccende così delicate. Inoltre, sapeva che Mattie era ferocemente protettiva nei confronti di suo nipote. Si erano appena sedute ed erano pronte per una mezz’ora di chiacchiere quando sentirono suonare la campanella della porta d’ingresso. Mattie aggrottò la fronte. «Devo avere dimenticato di chiudere.» «Vado io» si offrì Samantha, mentre Mattie andava a cercare le scarpe. Erano i signori Ryzer, Buddy e Mavis dai boschi selvaggi, concluse Samantha dopo una sbrigativa presentazione e un’occhiata veloce. La loro documentazione riempiva due sporte di tela, debitamente macchiate. «Abbiamo bisogno di un avvocato» disse Mavis. «Nessuno vuole il mio caso» disse Buddy. «Di cosa si tratta?» chiese Samantha. «Polmone nero.» In sala riunioni, Samantha ignorò le sporte della spesa e prese nota dei punti fondamentali. Buddy aveva quarantun anni e negli ultimi venti aveva lavorato come minatore in una miniera a cielo aperto (ma non una strip mine) per la Lonerock Coal, il terzo maggior produttore degli Stati Uniti. Al momento guadagnava ventidue dollari l’ora manovrando un escavatore a cingoli alla Murray Gap Mine a Mingo County, West Virginia. Parlava respirando affannosamente e a volte doveva intervenire Mavis. Tre figli, tutti adolescenti “ancora a scuola”. Una casa e un mutuo. Buddy era affetto dalla malattia del polmone nero causata dalle polveri di carbone inalate durante i suoi turni di dodici ore. Mattie finalmente trovò le scarpe ed entrò nella stanza. Si presentò ai Ryzer, lanciò un’occhiata alle sporte, si sedette di fianco a Samantha e cominciò a sua volta a prendere appunti. A un certo punto disse: «Vediamo un numero sempre maggiore di minatori di superficie malati di polmone nero. Non sappiamo bene perché, ma una delle teorie ipotizza che voi facciate turni più lunghi e di conseguenza inaliate una maggiore quantità di polveri». «È da molto tempo che ha il polmone nero» disse Mavis. «E peggiora ogni mese.» «Però devo continuare a lavorare» aggiunse Buddy. Circa dodici anni prima, intorno al 1996, non ne erano sicuri, aveva cominciato a notare che gli mancava il fiato, inoltre aveva spesso una tosse fastidiosa. Non aveva mai fumato ed era sempre stato sano e attivo. Una domenica, mentre stava giocando a T-ball con i ragazzi, il respiro si era fatto così affannato che aveva pensato a un attacco di cuore. Quella era stata la prima volta che ne aveva parlato a Mavis. La tosse era continuata e, durante un attacco, aveva notato del muco nero nei fazzoletti di carta. Non se l’era sentita di chiedere l’indennità di malattia perché temeva ritorsioni da parte della Lonerock, così aveva continuato a lavorare e non aveva detto niente. Finalmente, nel 1999, aveva presentato la domanda in conformità alla legge federale sul polmone nero. Era stato visitato da un medico del lavoro. La sua era la forma più grave della malattia del polmone nero, più formalmente “pneumoconiosi complicata dei lavoratori del carbone”. Il governo aveva imposto alla Lonerock di versare a Buddy un’indennità mensile di novecentotrentanove dollari. Lui aveva continuato a lavorare e le sue condizioni a peggiorare. Come sempre, la Lonerock Coal aveva presentato ricorso e si rifiutava di dare inizio ai pagamenti. Mattie, che aveva a che fare con il polmone nero da cinquant’anni, scarabocchiava e scuoteva la testa. Avrebbe potuto scrivere tutta la storia dormendo. «Hanno fatto ricorso?» chiese Samantha. A lei il caso sembrava chiarissimo. «Lo fanno sempre» disse Mattie. «E più o meno a quell’epoca avete fatto conoscenza con quei bravi ragazzi di Casper Slate, giusto?» domandò ai Ryzer. Le due teste si abbassarono al solo suono di quel nome. Mattie guardò Samantha e spiegò: «Casper Slate è una banda di delinquenti che indossano abiti costosi e si nascondono dietro la facciata di uno studio legale, quartier generale a Lexington e filiali in tutta la regione degli Appalachi. Dove trovi una società del carbone, trovi anche Casper Slate che fa il suo sporco lavoro. Lo studio difende società che scaricano sostanze chimiche nei fiumi, inquinano gli oceani, nascondono rifiuti tossici, violano gli standard della qualità dell’aria, discriminano i dipendenti, truccano gli appalti del governo... Scegli un’attività ambigua o illecita e lo studio Casper Slate è lì a difenderla. La sua specializzazione, comunque, è la normativa riguardante l’estrazione mineraria. Lo studio è nato qui, nei campi carboniferi, un centinaio di anni fa, e quasi tutte le grandi industrie del settore hanno un contratto con loro. Hanno metodi spietati e contrari all’etica. Il soprannome dello studio è Castrate, e gli si adatta perfettamente». Buddy non poté fare a meno di borbottare: «Figli di puttana». Non aveva un legale, di conseguenza lui e Mavis erano stati costretti a battersi contro le orde di Casper Slate, avvocati che padroneggiavano le procedure e sapevano esattamente come manipolare il sistema federale del polmone nero. Buddy era stato visitato dai loro medici – gli stessi le cui ricerche venivano finanziate dall’industria del carbone – e gli accertamenti non avevano rilevato alcuna traccia di polmone nero. Le condizioni di salute di Buddy venivano attribuite a una formazione benigna nel polmone sinistro. Due anni dopo la presentazione della domanda d’indennità, l’approvazione della stessa era stata annullata da un giudice amministrativo che si era basato sull’enorme mole di prove presentate dai medici della Lonerock. Mattie disse: «Gli avvocati delle società sfruttano le debolezze del sistema e i loro medici cercano i modi per imputare le condizioni di salute a tutto meno che al polmone nero. Non c’è da sorprendersi se solo il cinque per cento circa dei minatori affetti dalla malattia ottiene qualche risarcimento. È così che molte domande legittime vengono respinte e molti minatori si sentono troppo scoraggiati per insistere nelle loro richieste». Erano le diciotto passate e la riunione sarebbe potuta andare avanti per ore. Mattie prese in mano la situazione e disse: «Sentite, noi leggeremo tutto il materiale ed esamineremo il vostro caso. Dateci un paio di giorni e vi richiameremo. Per favore, non telefonateci. Non ci dimenticheremo di voi, ma ci serve un po’ di tempo per macinare tutta questa roba. Okay?». Buddy e Mavis sorrisero e ringraziarono educatamente. Mavis disse: «Abbiamo provato con un mucchio di avvocati, ma nessuno ha voluto aiutarci». «Siamo già contenti che ci abbiate lasciati entrare» aggiunse Buddy. Mattie li accompagnò alla porta, con Buddy che respirava affannosamente e barcollava come un vecchio. Quando se ne furono andati, tornò nella sala riunioni e si sedette di fronte a Samantha. Dopo qualche secondo chiese: «A cosa stai pensando?». «A un mucchio di cose. Buddy ha quarantuno anni e ne dimostra sessanta. È difficile credere che stia ancora lavorando.» «Lo licenzieranno presto, sostenendo che rappresenta un pericolo, il che probabilmente è vero. La Lonerock Coal ha fatto fuori i sindacati vent’anni fa, per cui non c’è più alcuna protezione. Buddy non avrà più un lavoro, e neppure fortuna. E morirà di una morte orribile. Ho visto mio padre rattrappirsi, prosciugarsi e boccheggiare fino alla fine.» «Che è la ragione per cui fai tutto questo.» «Sì. Donovan è andato alla scuola di legge per un solo motivo: combattere le società del carbone su un palcoscenico più grande. Io sono andata alla scuola di legge per un solo motivo: aiutare i minatori e le loro famiglie. Non stiamo vincendo le nostre piccole guerre, Samantha, il nemico è troppo grande e potente. Il meglio in cui possiamo sperare è punzecchiarlo un po’ alla volta, un caso alla volta, cercando di fare una differenza nella vita dei nostri clienti.» «Accetterai questo caso?» Mattie bevve un sorso con la cannuccia, si strinse nelle spalle e disse: «Come fai a rifiutare?». «Infatti.» «Non è così facile, sai. Non possiamo dire sì a tutti i casi di polmone nero. Ce ne sono troppi. Gli avvocati privati non ne vogliono nemmeno sentir parlare perché verrebbero pagati solo alla fine, sempre presumendo di vincere. E l’esito non è mai preventivabile. Non è raro che una causa si trascini per dieci, quindici, perfino vent’anni. Non puoi biasimare un avvocato che esercita privatamente se dice di no, di conseguenza a noi arrivano moltissimi casi mandati da altri. Metà del mio lavoro riguarda il polmone nero, e se ogni tanto non dicessi di no non sarei in grado di rappresentare gli altri clienti.» Mattie bevve un altro sorso, osservando con attenzione Samantha. «L’argomento ti interessa?» «Non so. Mi piacerebbe dare una mano, ma non saprei da dove cominciare.» «Esattamente come per gli altri tuoi casi, giusto?» Sorrisero entrambe, godendosi il momento. Poi Mattie disse: «Ti spiego qual è il problema. Queste cause richiedono tempo, anni e anni perché le società del carbone danno battaglia e dispongono di ogni risorsa. Il tempo è dalla loro parte. Prima o poi il minatore morirà, e prematuramente, dato che non esistono cure. Se le polveri ti sono entrate nel corpo, non c’è modo di rimuoverle o distruggerle. E una volta che la malattia del polmone nero si è manifestata, non fa che peggiorare. Le società del carbone pagano gli attuari e corrono il rischio, così le cause si trascinano. Rendono il procedimento così difficile ed elefantiaco da scoraggiare non solo il minatore malato, ma anche i suoi colleghi. È una delle ragioni per cui si battono così ferocemente. Un’altra ragione è che vogliono spaventare gli avvocati e farli scappare. Tu fra qualche mese te ne sarai andata, sarai tornata a New York, ma quando partirai ti lascerai dietro diverse pratiche ancora aperte, tutto lavoro che scaricherai sulle nostre scrivanie. Pensaci, Samantha. Tu dimostri sensibilità e sembri essere una grande promessa per questo lavoro, ma sei solo di passaggio. Sei una ragazza di città, e orgogliosa di esserlo. Non c’è niente di male in questo. Ma pensa al tuo ufficio, al giorno in cui lo lascerai e a tutto il lavoro che resterà piantato a metà». «Giusta osservazione.» «Adesso vado a casa. Sono stanca e credo che Chester abbia detto che ceneremo con degli avanzi. Ci vediamo domattina.» «Buonanotte, Mattie.» Mattie se n’era andata da parecchio tempo e Samantha sedeva nella sala riunioni scarsamente illuminata pensando ai Ryzer. Ogni tanto guardava le sporte che contenevano la triste storia della loro lotta per ottenere ciò che avevano il diritto di avere. E lei se ne stava lì a sedere, un avvocato perfettamente capace e abilitato, con il cervello e le risorse per garantire vera assistenza, per andare in aiuto di qualcuno che aveva bisogno di rappresentanza legale. Cosa c’era da temere? Perché si sentiva intimidita? Il Brady Grill chiudeva alle otto. Aveva fame e uscì a fare due passi. Passò davanti allo studio di Donovan e vide che tutte le luci erano accese. Si chiese come stesse andando il processo Tate, ma sapeva che Donovan era troppo occupato per chiacchierare con lei. Al grill comprò un sandwich, se lo portò nella sala riunioni e svuotò cautamente le sporte dei Ryzer. Erano diverse settimane che non si faceva un’intera nottata di lavoro. 19 Mercoledì mattina Samantha non passò in studio e partì proprio mentre gli scuolabus facevano i loro giri, il che risultò non essere una buona idea. Il traffico si muoveva lento lungo la highway tortuosa, con fermate e attese mentre ignari ragazzini di dieci anni, in astinenza di sonno e curvi sotto gli zaini ingombranti, salivano a bordo dei bus prendendosela comoda. Superata la montagna e il confine con il Kentucky, gli scuolabus scomparvero e furono i camion delle miniere a intasare le strade. Dopo un’ora e mezzo, Samantha si ritrovò nelle vicinanze della cittadina di Madison, West Virginia, e si fermò, come da istruzioni, a un emporio sotto una sbiadita insegna della Conoco. Buddy Ryzer sedeva a un tavolo sul retro, sorseggiando caffè mentre leggeva un giornale. Fu felice e sorpreso di vedere Samantha, che presentò a uno dei suoi amici come “il mio nuovo avvocato”. Samantha non fece commenti e passò a Buddy una cartellina con le autorizzazioni che le avrebbero consentito di ottenere tutte le sue cartelle cliniche. Nel 1997, prima di presentare la sua azione di rivalsa contro la Lonerock Coal, Buddy si era sottoposto a un esame medico di routine. Una radiografia aveva evidenziato una piccola massa nel polmone destro. Il suo medico era certo che fosse benigna, e aveva avuto ragione. Nel corso di un intervento di due ore, la formazione gli era stata asportata e poi Buddy era stato rimandato a casa con la buona notizia. Dato che l’operazione non aveva niente a che fare con la successiva richiesta di indennità per polmone nero, non era stata mai più menzionata. Mattie riteneva che fosse imperativo raccogliere tutta la documentazione medica, ed era questa la ragione del viaggio di Samantha a Madison. La sua destinazione era l’ospedale di Beckley, West Virginia, una cittadina di ventimila abitanti. Buddy la accompagnò all’auto e, quando furono finalmente soli, Samantha lo informò che lo studio stava ancora valutando la situazione. Al momento non era stata presa alcuna decisione sul suo caso. Avrebbero esaminato la pratica eccetera. Buddy disse di capire perfettamente, ma era chiaro che si sentiva già bordo. Non accettarlo come cliente sarebbe stato doloroso. Samantha partì in direzione di Beckley, un’ora d’auto attraverso il cuore della terra del carbone, lì dove era partita la rimozione della cima delle montagne. Nell’aria c’era talmente tanta polvere che si domandò se un automobilista di passaggio potesse ammalarsi di polmone nero. Trovò senza troppi problemi l’ospedale di Beckley e ne superò faticosamente varie tappe fino ad arrivare all’impiegato giusto in archivio. Compilò i moduli di richiesta, consegnò le autorizzazioni firmate da Mr Ryzer e aspettò. Trascorse un’ora, che Samantha passò mandando e-mail a tutti quelli che le vennero in mente. Si trovava in una stanzetta senza finestre e priva di ventilazione. Passò un’altra mezz’ora, poi si aprì una porta e comparve l’impiegato, che spingeva un carrello. Sul carrello c’era solo una piccola scatola, e questo fu un sollievo. Forse non ci sarebbe voluta un’eternità a esaminare la documentazione. «Mr Aaron F. Ryzer, ricoverato il 15 agosto 1997» annunciò l’impiegato. «È lui. La ringrazio.» L’uomo se ne andò senza aggiungere altro. Samantha estrasse il primo fascicolo dalla scatola e poco dopo era già persa in una cartella clinica incredibilmente superficiale. Sembrava che il patologo non fosse al corrente del fatto che il paziente era un minatore, e neppure che avesse cercato indizi di polmone nero. Nello stadio iniziale la malattia non è immediatamente evidente, ma a quei tempi, nell’agosto del 1997, Buddy ne mostrava già i sintomi, anche se non aveva ancora inoltrato la sua richiesta di indennità. Il lavoro del chirurgo era stato semplice: rimuovere la massa, assicurarsi che fosse di natura benigna, ricucire il paziente e mandarlo a casa. Non c’era niente di particolare nell’intervento o nella degenza di Buddy in ospedale. Due anni più tardi, quando Buddy aveva presentato la sua richiesta di indennità per polmone nero, gli avvocati di Casper Slate erano entrati in azione e avevano cominciato a passare al setaccio la sua anamnesi. Samantha lesse le loro prime lettere indirizzate al patologo di Beckley. Gli avvocati erano risaliti all’intervento del 1997 e avevano trovato una serie di diapositive del tessuto polmonare. Avevano chiesto al medico di mandare le diapositive a due degli esperti preferiti dello studio, il dottor Foy di Baltimora e il dottor Aberdeen di Chicago. Per qualche ragione, il dottor Foy aveva inviato al patologo di Beckley copia della sua relazione in cui dichiarava che il tessuto rivelava pneumoconiosi, o malattia del polmone nero complicata. Dato che il patologo non era più coinvolto nelle cure di Buddy, non aveva fatto alcun uso di quell’informazione. E poiché all’epoca Buddy non aveva un avvocato, nessuno che lavorasse per lui aveva mai esaminato i documenti che ora Samantha aveva in mano. Samantha fece un respiro profondo, si sedette e rilesse il rapporto attentamente. Al momento sembrava proprio che, all’inizio del 2000, gli avvocati di Casper Slate fossero venuti a sapere da almeno uno dei loro esperti che Buddy soffriva di polmone nero già dal 1997. Tuttavia si erano opposti alla sua richiesta e alla fine avevano vinto. Buddy non aveva avuto alcuna indennità, ma era tornato in miniera mentre gli avvocati di Casper Slate occultavano prove cruciali. Samantha richiamò l’attenzione dell’impiegato, il quale accettò con riluttanza di farle qualche fotocopia, a mezzo dollaro l’una. Dopo tre ore nelle viscere dell’ospedale, Samantha rivide la luce del sole e se ne andò. Vagò in auto nella cittadina per quindici minuti prima di individuare il palazzo federale dove, parecchi anni prima, Buddy Ryzer aveva sottoposto il suo caso a un giudice amministrativo. Il suo unico avvocato era stata Mavis. Sull’altro lato della stanza, si erano trovati di fronte una falange di costosi avvocati Castrate abituati a rimestare quotidianamente nei torbidi meandri legali del polmone nero. Quando entrò nell’atrio deserto dell’edificio, Samantha venne praticamente sottoposta a perquisizione corporale completa da due annoiate guardie non ben identificate. Il tabellone accanto agli ascensori la indirizzò all’archivio al primo piano. Un impiegato, ovviamente dipendente federale, protetto e inamovibile, dopo un po’ le chiese che cosa voleva. Con la massima cortesia possibile, Samantha spiegò che stava cercando una certa pratica relativa a un caso di polmone nero. Naturalmente i documenti che presentò non erano in ordine. L’impiegato aggrottò la fronte, comportandosi come se fosse stato commesso un reato. Le consegnò alcuni moduli in bianco, mitragliando istruzioni su come richiedere correttamente l’accesso a pratiche del genere: occorrevano due firme del richiedente. Samantha se ne andò con niente in mano, a parte la frustrazione. Alle nove del mattino seguente, andò di nuovo a trovare Buddy alla stazione di servizio della Conoco a Madison. Buddy fu eccitatissimo nel vedere il suo avvocato per il terzo giorno di seguito e lo presentò a Weasel, il proprietario dell’emporio. «Viene direttamente da New York» dichiarò con orgoglio, come se il suo caso fosse stato così importante da dover importare da fuori un grande talento. Completati e perfezionati i moduli, Samantha salutò e tornò al tribunale di Beckley. I guerrieri armati che così coraggiosamente avevano difeso l’atrio il mercoledì, evidentemente il giovedì andavano a pescare. Non c’era nessuno che potesse palparla e perquisirla. Il metal detector era scollegato. Gli astuti terroristi che tenevano d’occhio Beckley dovevano solo aspettare il giovedì per beffare il dipartimento della Sicurezza interna e far saltare in aria l’edificio. Lo stesso impiegato del giorno prima esaminò i moduli e cercò invano un pretesto per respingerli, ma non trovò nulla su cui cavillare. Samantha lo seguì in una grande sala le cui pareti erano nascoste da schedari metallici contenenti migliaia di vecchi casi. L’impiegato premette alcuni pulsanti su uno schermo e i meccanismi ronzarono mettendo in movimento gli scaffali, poi aprì un cassetto ed estrasse quattro grandi cartelle a soffietto. «Può usare uno di quei tavoli» disse, indicandoli come se ne fosse stato il proprietario. Samantha lo ringraziò, svuotò la sua valigetta, sistemò il suo nido e si tolse le scarpe. Anche Mattie era scalza in quel tardo pomeriggio di giovedì quando Samantha rientrò in studio. Tutte le altre se ne erano già andate a casa e la porta d’ingresso era chiusa a chiave. Andarono nella sala riunioni in modo da poter parlare guardando il traffico in Main Street. Nel corso dei suoi trent’anni di carriera come avvocato, e in particolare negli ultimi ventisei alla Legal Aid Clinic, Mattie si era ripetutamente scontrata con i ragazzi (sempre uomini, mai donne) di Casper Slate. L’aggressività che era il loro marchio di fabbrica spesso sconfinava nella condotta immorale, forse addirittura in comportamenti delinquenziali. Circa dieci anni prima, Mattie era arrivata alla misura estrema di presentare all’ordine degli avvocati della Virginia un esposto contro Casper Slate per comportamenti contrari al codice deontologico. Due legali della Castrate avevano ricevuto un richiamo scritto, niente di serio, e il risultato non era valso lo sforzo. Per rappresaglia, Casper Slate aveva attaccato Mattie in ogni occasione possibile, colpendo con ferocia addirittura maggiore nei suoi casi di polmone nero. Chi aveva subito le conseguenze erano stati proprio i clienti e lei si era pentita di avere sfidato apertamente la Castrate. Conosceva benissimo il dottor Foy e il dottor Aberdeen, due noti ed eminenti ricercatori che erano stati comperati dalle società del carbone molti anni prima. Gli ospedali nei quali lavoravano ricevevano milioni in sovvenzioni per la ricerca dall’industria carbonifera. Per quanto Mattie fosse diffidente nei confronti di Casper Slate, rimase comunque sorpresa dalla scoperta di Samantha. Lesse la copia della relazione che il dottor Foy aveva inviato al patologo di Beckley. Stranamente, né Foy né Aberdeen erano stati menzionati nel corso dell’udienza Ryzer. La perizia medica di Foy non era stata prodotta come prova. Gli avvocati di Casper Slate avevano utilizzato un altro gruppo di medici, nessuno dei quali aveva accennato alle rilevazioni del dottor Foy. Erano stati informati di quei dati? «Estremamente improbabile» disse Mattie. «È risaputo che gli avvocati della Castrate nascondono qualsiasi prova non sia utile alle società del carbone. Possiamo dare per scontato che entrambi i medici abbiano visto il tessuto polmonare e siano arrivati alla stessa conclusione: che Buddy soffriva di malattia del polmone nero complicata. Di conseguenza gli avvocati hanno occultato la prova e si sono trovati degli altri periti.» «Ma com’è possibile seppellire le prove?» chiese Samantha, una domanda che si stava ponendo da molte ore. «È facile per quella gente. Tieni presente che tutto questo è successo davanti a un giudice amministrativo, non a un giudice federale. Parliamo di una sorta di udienza, non di un processo. In un vero processo ci sono regole severe per ciò che concerne lo scambio di documenti tra le parti e l’obbligo di rendere note le informazioni. Non è così in un’udienza per polmone nero. Le norme sono molto meno rigide e quella gente ha un’esperienza di decenni nel truccare e manipolare le regole. In circa la metà dei casi il minatore, come Buddy, non ha un avvocato, quindi non è mai uno scontro leale.» «Questo lo capisco, ma spiegami com’è possibile che gli avvocati della Lonerock Coal sapessero per certo che Buddy era malato già nel 1997 e poi abbiano insabbiato tutto, trovando altri medici i quali hanno testimoniato, sotto giuramento, che Buddy non soffriva di polmone nero.» «Perché sono dei delinquenti.» «E noi non possiamo farci niente? A me sembra che si tratti di frode e associazione per delinquere. Perché non possiamo fare causa a quella gente? Se hanno fatto così con Buddy Ryzer, puoi scommettere che lo hanno fatto con migliaia di altri.» «Pensavo che non ti piacessero le cause in tribunale.» «Sto cambiando idea. Non è giusto, Mattie.» Mattie sorrise, contenta dell’indignazione di Samantha. “Ci siamo passati tutti” pensò. «Sarebbe uno sforzo enorme attaccare uno studio legale potente come Casper Slate.» «Sì, lo so, e non so niente di cause in tribunale. Ma la frode è frode, e in questo caso non dovrebbe essere difficile da dimostrare. Questo non aprirebbe la strada ai danni punitivi?» «Forse, ma nessuno studio legale di queste parti farà mai causa direttamente a Casper Slate. Costerebbe una fortuna, durerebbe anni e, se anche tu ottenessi una sentenza con un grosso risarcimento, non riusciresti a sostenere lo sforzo. Ricorda, Samantha, che in West Virginia i giudici della Corte Suprema vengono eletti, e indovina chi versa i contributi più sostanziosi alle loro campagne elettorali?» «Portiamoli in corte federale.» Mattie rifletté per un momento, poi disse: «Non so. Non sono un’esperta in quel tipo di cause. Dovrai chiedere a Donovan». Qualcuno bussò alla porta, ma nessuna delle due si mosse. Erano le sei passate, era quasi buio e, semplicemente, non se la sentivano di ricevere l’ennesimo cliente inaspettato. Si udì bussare di nuovo, poi la persona se ne andò. Samantha chiese: «Allora, come procediamo con la richiesta di indennità di Buddy?». «Quindi accetti il suo caso?» «Sì. Non posso lavarmene le mani sapendo quello che so adesso. Se mi aiuti, presento la domanda e parto per la guerra.» «Okay, i primi passi sono facili. Presenta la domanda e aspetta gli esami medici. Dopo di che, presumendo che i risultati siano quelli previsti, dovranno passare circa sei mesi prima che il direttore distrettuale conceda l’indennità, che oggi è più o meno di milleduecento dollari al mese. La Lonerock farà ricorso e a quel punto comincerà la vera guerra. Questa è la normale routine. Comunque in questo caso chiederemo alla corte di riesaminare il caso alla luce di nuove prove e chiederemo che l’indennità sia retroattiva, a partire dalla prima domanda. Probabilmente vinceremo e la Lonerock farà senza dubbio ricorso.» «Non possiamo minacciare la società del carbone e i suoi avvocati di smascherarli pubblicamente?» Mattie sorrise e sembrò divertita dalla domanda di Samantha. «Sai, c’è gente che possiamo minacciare, perché siamo avvocati e i nostri clienti hanno ragione. Altra gente la lasciamo stare. Il nostro obiettivo è ottenere quanto più denaro possibile per Buddy Ryzer, non fare una crociata contro gli avvocati disonesti.» «Sembra un caso perfetto per Donovan.» «Allora chiediglielo. A proposito, vuole che facciamo un salto da lui per bere qualcosa insieme. I testimoni sono stati ascoltati tutti e la giuria dovrebbe cominciare a lavorare entro domani a mezzogiorno. Secondo Donovan, le cose sono andate come voleva lui e si sente molto sicuro di sé.» «Questo non mi meraviglia.» Stavano sorseggiando whisky intorno a un tavolo ingombro nella stanza della guerra al primo piano, senza giacca, con la cravatta allentata e l’espressione da guerrieri esausti ma comunque soddisfatti. Mentre Donovan presentava a Samantha Jeff, suo fratello minore, Vic Canzarro andò a prendere altri due bicchieri da uno scaffale. Samantha, per quello che poteva ricordare, non aveva mai bevuto un superalcolico. Forse ce n’era stato un po’ negli intrugli a qualche party delle confraternite al college, ma lei non se n’era mai accorta. Preferiva vino, birra e martini. In quel momento, però, non c’erano alternative. I ragazzi si stavano gustando il loro George Dickel liscio, senza ghiaccio. Il liquore le bruciò le labbra, le ustionò la lingua e le incendiò l’esofago, ma quando Donovan le chiese: «Com’è?» riuscì a sorridere e rispose «Buono». Fece schioccare le labbra come se non avesse mai assaggiato niente di così delizioso, ripromettendosi di versare il tutto nel water appena avesse trovato un bagno. Annette aveva ragione. Jeff era bello almeno quanto il fratello maggiore, con gli stessi occhi scuri e gli stessi capelli ribelli, anche se Donovan li aveva un po’ domati a beneficio della sua giuria. Jeff indossava giacca e cravatta, ma anche jeans e stivali. Non era avvocato, anzi secondo Annette aveva mollato il college, ma secondo Mattie operava a stretto contatto con Donovan, sbrigando gran parte del lavoro sporco. Il giorno prima Vic aveva trascorso quattro ore sul banco dei testimoni ed era ancora divertito dagli scontri con gli avvocati della Strayhorn Coal. Una storia portò a un’altra storia. Mattie chiese a Jeff: «Cosa ne pensi della giuria?». «Sono tutti con noi» rispose Jeff senza esitare. «Forse con una sola eccezione, comunque siamo messi bene.» Donovan disse: «Oggi pomeriggio, dopo l’ultimo testimone, la controparte ha offerto mezzo milione di dollari per chiudere la faccenda. Li abbiamo spaventati». «Prendi i soldi, idiota» fece Vic. «Mattie, tu cosa faresti?» chiese Donovan. «Be’, mezzo milione non è molto per due ragazzi morti, ma è molto per Hopper County. Nessuno di quei giurati ha mai visto una somma del genere e avrebbero dei problemi a darli a una di loro.» «Prendere i soldi o lanciare i dadi?» domandò Donovan. «Prendi i soldi.» «Jeff?» «Prendi i soldi.» «Samantha?» Samantha stava respirando con la bocca, cercando di estinguere le fiamme. Si passò la lingua sulle labbra e rispose: «Due settimane fa non sapevo neppure scrivere correttamente la parola “causa” e tu adesso vuoi che ti dica se accettare o no l’accordo?». «Sì, devi votare, altrimenti taglieremo gli alcolici.» «Sì, fallo, per favore. Io sono solo un modesto avvocato da assistenza legale gratuita, per cui prenderei i soldi e scapperei.» Donovan bevve un piccolo sorso, sorrise e disse: «Quattro contro uno. Mi piace». Ma era solo un voto quello che contava, ed era chiaro che non ci sarebbe stato alcun accordo. Mattie domandò: «E la tua arringa conclusiva? Possiamo sentirla?». «Naturalmente.» Donovan scattò in piedi, si raddrizzò la cravatta e posò il suo bicchiere su uno scaffale. Cominciò a camminare avanti e indietro lungo un lato del tavolo, fissando negli occhi il suo pubblico come una vecchia volpe del palcoscenico. Mattie sussurrò a Samantha: «Gli piace allenarsi con noi, quando c’è tempo». Donovan si fermò, guardò direttamente Samantha e attaccò: «Signore e signori della giuria, una montagna di denaro non riporterà indietro Eddie e Brandon Tate. Sono morti da diciotto mesi, e sono stati gli uomini che lavorano per la Strayhorn Coal a schiacciare le loro vite. Ma il denaro è tutto ciò che abbiamo a disposizione per misurare i danni in casi come questo. Freddo, duro denaro: è questo che dice la legge. Sta a voi, ora, decidere quanto. E dunque cominciamo con Brandon, il più giovane dei due, un bambino fragile di soli otto anni, nato prematuro a sette mesi. Sapeva già leggere a quattro anni e adorava il suo computer, che, tra parentesi, era sotto il suo letto quando è piovuto il masso di sei tonnellate. Anche il computer è stato trovato dilaniato, senza vita come Brandon». Donovan era disinvolto senza essere esibizionista. Diretto, senza la minima traccia di qualcosa che non fosse la sincerità. Non aveva appunti e non gli servivano. Samantha, che era rimasta immediatamente affascinata, gli avrebbe riconosciuto qualunque cifra avesse chiesto. Donovan continuava a camminare avanti e indietro, come un grande attore di teatro, padrone assoluto della scena. A un certo punto, però, Mattie sorprese tutti con: «Obiezione, questo lei non può dirlo». Donovan rise. «Chiedo scusa, vostro onore. Pregherò i giurati di ignorare quello che ho appena detto, cosa che naturalmente è impossibile e che è anche la ragione per cui l’ho detto.» «Obiezione» ripeté Mattie. Non ci furono parole in eccesso, nessuna iperbole, nessuna citazione a effetto dalla Bibbia o da Shakespeare, nessuna falsa emozione, niente se non un’argomentazione attentamente calibrata a favore del suo cliente, e contro una società mineraria orribile. Il tutto pronunciato con naturalezza, in modo spontaneo. Donovan propose un milione di dollari per ciascun ragazzino, più un milione di danni punitivi. Totale tre milioni, una grossa somma per lui, e di sicuro anche per i giurati, ma una goccia nel mare per la Strayhorn Coal. L’anno precedente il reddito lordo settimanale della società era stato di quattordici milioni di dollari. Quando finì di parlare, Donovan aveva già in tasca quella particolare giuria. Quella vera non sarebbe stata altrettanto facile da convincere. Mentre Vic versava altro whisky, Donovan sfidò i presenti a trovare falle nella sua arringa. Disse che sarebbe rimasto in piedi tutta la notte per rivederla. Dichiarò che il whisky liberava la sua creatività e che alcune delle sue migliori arringhe erano il risultato di alcune ore di sorsi meditativi. Mattie osservò che tre milioni erano troppi. Cifre del genere potevano funzionare in città più grandi, ma non a Hopper County, e nemmeno a Nolan County, se era per quello. Ricordò a Donovan che nessuna delle due contee aveva mai visto un verdetto da un milione di dollari, e Donovan ricordò a lei che per tutto c’era una prima volta. E che nessuno poteva presentare una serie di fatti giuridici migliore della sua, fatti che aveva appena esposto chiaramente e in modo magistrale alla giuria. Dopo una serie di batti e ribatti, Samantha si scusò e andò in bagno. Versò il suo whisky nello scarico e sperò di non doverlo assaggiare mai più. Salutò tutti, augurò a Donovan tutta la fortuna del mondo e raggiunse in auto lo Starlight Motel, dove la famiglia Booker si stava godendo un lungo soggiorno. Samantha aveva portato dolci per i bambini e due romanzi d’amore per Pamela. Mentre Mandy e Trevor fingevano di fare i compiti, le due donne uscirono, si appoggiarono al cofano della Ford e parlarono delle prossime mosse. Pamela era euforica perché un’amica aveva trovato un appartamentino a Colton, a soli quattrocento dollari al mese. I ragazzi erano indietro con le lezioni e, dopo tre notti al motel, lei era pronta a muoversi. Decisero che la mattina seguente sarebbero partite presto, per accompagnare i bambini a scuola e andare a dare un’occhiata all’appartamento. L’autista sarebbe stato Samantha. 20 Dopo due settimane a Brady, o per essere precisi dopo tre settimane lontano da Scully & Pershing, la deprivazione di sonno era stata del tutto esorcizzata e Samantha era tornata alle vecchie abitudini. Alle cinque di quel venerdì mattina stava sorseggiando caffè a letto mentre digitava un promemoria di tre pagine che aveva per oggetto il polmone nero di Buddy Ryzer e il comportamento fraudolento di Casper Slate che gli aveva negato l’indennità. Alle sei inviò il memo per e-mail a Mattie, a Donovan e a suo padre. La reazione di Marshall Kofer era qualcosa che era ansiosa di conoscere. Una nuova, grande causa legale era l’ultima cosa cui Donovan poteva pensare e Samantha non aveva intenzione di infastidirlo in quella giornata memorabile. Sperava solo che durante il weekend trovasse il tempo di leggere la storia di Mr Ryzer e di comunicarle i suoi pensieri. Li ricevette dieci minuti dopo. L’e-mail diceva: “Ho combattuto con le unghie e con i denti contro quegli esseri viscidi per dodici anni e li odio con tutto me stesso. Il processo dei miei sogni è una gigantesca resa dei conti in un’aula di tribunale a faccia a faccia con la Castrate, uno spettacolare svelamento di tutti i loro peccati. Mi piace il tuo caso! Ne parliamo poi. Ora parto per il fronte di Colton. Dovrebbe essere divertente!!”. Samantha rispose. “Lo sarà. Buona fortuna.” Alle sette andò a prendere i Booker allo Starlight Motel. Mandy e Trevor indossavano i loro abiti migliori ed erano ansiosi di tornare a scuola. Mentre Samantha guidava, mangiarono le ciambelle che lei aveva portato e chiacchierarono senza sosta. Di nuovo, la linea di confine tra professione legale e lavoro sociale stava diventando confusa, ma non aveva importanza. Secondo Mattie, oltre all’assistenza legale, il loro lavoro spesso comprendeva anche attività quali consulenze matrimoniali, car pooling, preparazione cibi, ricerca lavoro, ripetizioni scolastiche, consulenze finanziarie, ricerca alloggi, prestazioni da baby sitter. Amava dire: “Noi non lavoriamo a tariffa oraria, ma a cliente”. Davanti alla scuola di Colton, Samantha rimase in auto mentre Pamela entrava con i bambini per salutare gli insegnanti e spiegare la situazione. Samantha aveva inviato email quotidiane agli insegnanti e alla preside, che si erano dimostrati comprensivi. Con i ragazzi al sicuro là dove dovevano essere, Samantha e Pamela passarono le due ore successive esaminando l’offerta, piuttosto scarsa, di appartamenti in affitto a Colton e dintorni. Quello magnificato dall’amica di Pamela si trovava a pochi isolati dalla scuola ed era uno dei quattro presenti in un edificio commerciale che aveva cessato l’attività ed era stato parzialmente riconvertito. L’appartamento era abbastanza pulito e aveva anche qualche mobile, cosa importante perché Pamela non ne aveva affatto. L’affitto era di quattrocento dollari al mese, una cifra che sembrava ragionevole viste le condizioni. Mentre se ne andavano, Pamela disse senza troppo entusiasmo: «Immagino che potremmo vivere lì dentro». Il fondo segreto di Mattie sarebbe stato utilizzabile solo per un paio di mesi, anche se Samantha non lo disse. Trasmise comunque a Pamela l’impressione, esatta, che i soldi erano pochi e che doveva trovarsi un lavoro il più presto possibile. Non era ancora stata fissata alcuna udienza riguardo al pignoramento dello stipendio; anzi, Samantha non aveva ancora sentito una sola parola dal convenuto, la Top Market Solutions. Aveva telefonato due volte alla fabbrica di lampade per assicurarsi che Mr Simmons fosse ancora di umore semibuono e che Pamela avrebbe riavuto il suo lavoro appena il problema si fosse risolto. Le prospettive di trovare un altro impiego a Hopper County erano scarse. Samantha non aveva mai visto l’interno di una casa mobile, né aveva mai pensato di vederlo, ma tre chilometri a est del confine della città, in fondo a una strada a ghiaia, ebbe la sua prima esperienza. Era un bel caravan, pulito, arredato e a soli cinquecentocinquanta dollari al mese. Pamela confessò di essere cresciuta in un caravan, come molti dei suoi amici, e di apprezzarne la privacy. A Samantha quella casa mobile all’inizio sembrò incredibilmente angusta, ma dopo averla visitata dovette ammettere che a Manhattan aveva visto alloggi molto più piccoli. C’era una casetta bifamiliare in una collina sopra la città, con un bel panorama, ma i vicini della porta accanto mostravano tutti i segni di essere insopportabili. C’era una casa disponibile in una zona malfamata della città. Samantha e Pamela la guardarono dalla strada e non scesero neppure dall’auto. A quel punto la ricerca si concluse e decisero di concedersi un caffè in centro, non lontano dal tribunale. Samantha resistette alla tentazione di andarci, sgattaiolare in ultima fila e guardare Donovan che si esibiva per la giuria. In un séparé vicino, due persone del posto non parlavano che del processo. Una disse di essere andata in tribunale alle otto e mezzo e di avere trovato l’aula già stracolma. Secondo la sua pomposa opinione, quello era “il più grande processo che si era mai tenuto a Colton”. «Di cosa si tratta?» chiese affabile Samantha. «Lei non sa del processo Tate?» domandò l’uomo, incredulo. «No, non sono di qui.» «Oh, santo cielo.» Scosse la testa e agitò la mano. Arrivarono i suoi pancake e perse ogni interesse nel tenere salotto. Erano troppe le cose che sapeva per poterle raccontare in così poco tempo. Pamela aveva un’amica a Colton che doveva incontrare. Samantha la lasciò nel caffè e tornò a Brady. Entrò nel suo ufficio allo studio e Mattie la seguì immediatamente dicendo: «Jeff ha appena inviato un SMS . Donovan non ha accettato l’accordo e il caso è in mano alla giuria. Prendiamo un sandwich, ce lo mangiamo in macchina e andiamo in tribunale». «Sono appena tornata da Colton» disse Samantha. «E poi non ci sono più posti a sedere in aula.» «E tu come lo sai?» «Ho le mie fonti.» Mangiarono i loro sandwich nella sala riunioni insieme a Claudelle, aspettando nervosamente il messaggio successivo. Poi, visto che non arrivava, tornarono nei rispettivi uffici a lavoricchiare, sempre in attesa. Alle tredici Mrs Francine Crump si presentò puntuale per firmare ufficialmente il suo testamento gratuito. Sembrava strano che una donna proprietaria di un terreno che valeva almeno duecentomila dollari fosse di manica così stretta, ma la verità era che non possedeva niente a parte quel terreno (e il carbone che c’era sotto). Samantha aveva avuto uno scambio di corrispondenza con il Mountain Trust, un’affidabile associazione ambientalista specializzata nell’acquisizione e nella salvaguardia di terreni. Nel suo semplice testamento, Francine lasciava i suoi trentadue ettari al Mountain Trust, escludendo i cinque figli adulti. Quando Samantha le lesse il testamento e le spiegò tutto con precisione, Francine cominciò a piangere. Una cosa era arrabbiarsi e “tagliare fuori i ragazzi” altra cosa, molto diversa, vederlo scritto. Samantha cominciò a preoccuparsi per la firma. Perché il testamento fosse valido, Francine doveva essere legalmente “capace di intendere e volere” e sicura di ciò che stava facendo. Invece, almeno per il momento, era incerta e in preda alle emozioni. A ottant’anni, e in cattiva salute, non sarebbe vissuta ancora a lungo. I figli avrebbero sicuramente impugnato il testamento. E dato che non avrebbero potuto affermare l’indebita influenza del Mountain Trust sulla loro madre, sarebbero stati costretti a sostenere che al momento della firma non era sana di mente. E Samantha si sarebbe ritrovata nel bel mezzo di una brutta rissa familiare. Come rinforzi, convocò sia Annette che Mattie. Le due veterane avevano già visto situazioni del genere e passarono qualche minuto con Francine, chiacchierando di questo e quello finché le lacrime non cessarono. Annette chiese dei figli e dei nipoti, ma l’umore di Francine non migliorò. Disse che li vedeva molto di rado. Che si erano dimenticati di lei. I nipotini crescevano così in fretta, e lei si stava perdendo tutto. Mattie le spiegò che alla sua morte, e una volta che la famiglia avesse saputo del terreno lasciato in eredità al Mountain Trust, ci sarebbero stati dei problemi. Con ogni probabilità i suoi figli avrebbero assunto un avvocato e impugnato il testamento. Era questo che voleva? Francine tenne la posizione. Ce l’aveva con i vicini che avevano venduto a una società del carbone ed era decisa a proteggere la sua proprietà. Non si fidava dei figli: sapeva che avrebbero arraffato i soldi alla maggior velocità possibile. Con le emozioni ora sotto controllo, firmò il testamento. I testimoni furono le tre avvocatesse, che firmarono anche una dichiarazione giurata attestante la sanità mentale della cliente. Dopo che Francine se ne fu andata, Mattie disse: «Ce lo ritroveremo tra i piedi». Alle quattordici, ancora senza notizie dal tribunale, Samantha informò Mattie che doveva tornare a Colton per prelevare i Booker. Mattie balzò in piedi e tutte e due se ne andarono in fretta. Donovan stava ammazzando il tempo in un gazebo dietro l’orribile tribunale. Seduto su una panchina, chiacchierava con Lisa Tate, madre dei due ragazzini e parte attrice nel processo. Poco distante, Jeff parlava al telefono fumando un sigaro. Sembrava nervoso. Donovan presentò Mattie e Samantha a Lisa e disse cose gentili sul modo in cui la sua cliente aveva affrontato i cinque giorni del processo. I giurati stavano ancora discutendo, aggiunse, indicando una finestra al primo piano del tribunale. «Quella è la sala della giuria. Sono lì dentro da circa tre ore.» «Lisa, mi dispiace tanto per i suoi figli» disse Mattie. «Una tragedia così insensata.» «Grazie» disse a bassa voce la donna, ma senza mostrare interesse a continuare quella conversazione. «Allora, com’è stata la tua arringa?» chiese Samantha dopo una pausa di imbarazzo. Donovan esibì il sorriso del vincitore e rispose: «Probabilmente fra le migliori tre di tutti i tempi. Li ho fatti piangere, non è vero, Lisa?». La donna annuì. «È stata molto coinvolgente.» Jeff concluse la telefonata e raggiunse gli altri. «Perché ci mettono tanto?» chiese a Donovan. «Rilassati. Si sono goduti un bel pranzo, omaggio della contea, e adesso stanno valutando le prove. Gli do un’altra ora.» «E poi cosa succede?» domandò Mattie. «Un verdetto clamoroso» rispose Donovan con un altro sorriso. «Un record per Hopper County.» «La Strayhorn ha offerto novecentomila dollari, quando la giuria si è ritirata» disse Jeff. «Il nostro Perry Mason, qui, ha rifiutato.» Donovan guardò di traverso il fratello, come a lasciar intendere: “Tu cosa ne sai? Aspetta e ti farò vedere io”. Samantha era colpita dall’assoluta temerarietà delle decisioni di Donovan. La sua cliente era una povera donna, poco istruita e con scarse prospettive di una vita migliore. Il marito era in prigione per spaccio di droga. Al momento della tragedia, Lisa viveva con i figli in un piccolo caravan sperduto tra le colline. Adesso era sola, senza niente a parte una causa legale. Avrebbe potuto andarsene con almeno mezzo milione di dollari in contanti, più di quanti avesse mai sognato, ma il suo avvocato aveva detto di no, preferendo lanciare i dadi. Accecato dal sogno di trovare la vena d’oro, Donovan aveva riso alla possibilità di incassare una somma più che decorosa. E se la giuria avesse preso la direzione sbagliata e avesse detto no? E se la società del carbone avesse silenziosamente esercitato pressioni in sedi di cui nessuno avrebbe mai saputo? Samantha non riusciva neppure a immaginare l’orrore di una Lisa Tate che usciva dall’aula a mani vuote, con niente da rivendicare per la morte dei suoi bambini. Donovan invece sembrava tranquillo, addirittura arrogante. Di certo sembrava più calmo di chiunque altro nel gruppo. Il padre di Samantha aveva sempre detto che gli avvocati di tribunale erano una strana razza. Camminano sul filo del rasoio, tra verdetti strepitosi e fallimenti catastrofici, e i più grandi tra loro non hanno paura dei rischi. Mattie e Samantha non potevano trattenersi: i Booker stavano aspettando. Salutarono tutti e Donovan le invitò a passare più tardi dal suo studio per festeggiare. Pamela Booker aveva scelto il caravan. Aveva parlato e negoziato con il proprietario, riuscendo a farsi abbassare l’affitto a cinquecento dollari al mese per sei mesi. Mattie la informò che il centro di assistenza legale poteva pagarle i primi tre, ma che dopo l’affitto sarebbe stato interamente a suo carico. Passarono a prendere i bambini da scuola e Pamela li informò della nuova casa, che andarono direttamente a vedere. La telefonata arrivò alle diciassette e venti, e la notizia era splendida. Donovan aveva ottenuto il suo verdetto milionario: tre milioni per la precisione, l’importo che aveva chiesto alla giuria. Un milione per ogni figlio e un milione come danni punitivi. Un verdetto senza precedenti in quella parte del mondo. Jeff disse a Mattie che alla sua lettura l’aula era ancora stracolma e che il pubblico aveva applaudito con entusiasmo prima che il giudice riuscisse a imporre di nuovo la calma. Samantha era nella sala riunioni con Mattie e Annette, e tutte e tre esultarono per il verdetto. Si diedero il cinque, agitarono i pugni in aria e strepitarono eccitate come se fosse stato il loro piccolo studio a ottenere qualcosa di grandioso. Non era il primo verdetto milionario di Donovan – ne aveva già ottenuto uno in West Virginia e uno in Kentucky, entrambi relativi a incidenti provocati da camion delle miniere –, ma questo era il più grosso. Erano felici, addirittura stordite, ma nessuna di loro avrebbe saputo dire se era più eccitata per la vittoria o più rilassata per avere evitato la sconfitta. Non aveva importanza. “Allora è questo che significa combattere in una causa in tribunale” pensò Samantha. Forse stava cominciando a capire. Era quella la scarica di adrenalina, lo sballo, la droga che spingeva gli avvocati al limite. Era quello il brivido che cercava Donovan quando rifiutava un accordo stragiudiziale con i soldi già sul tavolo. Era quella l’overdose di testosterone che costringeva uomini come suo padre a sfrecciare in giro per il mondo a caccia di casi. Mattie annunciò che avrebbe organizzato un party. Telefonò a Chester e lo fece scattare al massimo dei giri. Hamburger alla griglia nel cortile dietro casa, con champagne per cominciare e birra per finire. Due ore dopo, la festa si materializzò in modo perfetto nella serata fresca. Donovan dimostrò di saper vincere con stile, sottraendosi alle congratulazioni e dando tutto il merito alla sua cliente. C’era anche Lisa al party, da sola. Oltre ai padroni di casa e a Samantha, erano presenti Annette con Kim e Adam, Barb con suo marito, Wilt, Claudelle e il marito, Vic Canzarro con la sua ragazza e Jeff. Durante un brindisi, Mattie disse: «Nel nostro mestiere le vittorie sono rare, per cui godiamoci questo momento, il bene che trionfa sul male eccetera, e facciamoci fuori queste tre bottiglie di champagne. Salute!». Seduta sul dondolo di vimini nel patio, Samantha stava chiacchierando con Kim quando Jeff le chiese se voleva che le riempisse di nuovo il bicchiere. Samantha rispose di sì e Jeff glielo prese. Quando tornò, guardò il piccolo spazio vuoto di fianco a Samantha, che lo invitò a sedersi. Tutto molto intimo. Dopo un po’ Kim si annoiò e li lasciò soli. L’aria era fresca, ma lo champagne li scaldò. 21 La seconda avventura di Samantha a bordo del Cessna Skyhawk fu molto meno eccitante della prima. Aspettarono per un’ora al campo di volo di Noland County che il tempo cambiasse. Forse avrebbero dovuto aspettare più a lungo. A un certo punto Donovan borbottò qualcosa a proposito di rinviare il viaggio. Jeff, anche lui pilota, sembrò essere d’accordo, ma poi si aprì uno squarcio nel fronte temporalesco e i due fratelli conclusero che potevano farcela. Dopo averli visti studiare lo schermo del meteo al terminal e innervosirsi a causa della “turbolenza”, Samantha sperava segretamente che avrebbero rinunciato. Ma non fu così. Decollarono, salirono tra le nubi e per i primi dieci minuti Samantha temette di vomitare. Dal posto di pilotaggio, Donovan disse: «Tieniti stretta», mentre il piccolo aereo veniva sballottato qua e là. Stretta a cosa, esattamente? Samantha era sul sedile posteriore, angusto perfino per lei. Era stata relegata in seconda classe e stava già giurando a se stessa che non ci sarebbe cascata mai più. Raffiche di pioggia si abbattevano con violenza sul parabrezza. A milleottocento metri le nubi si diradarono notevolmente e il volo si fece più tranquillo. Entrambi i piloti sembrarono rilassarsi. Tutti e tre avevano le cuffie e Samantha, che ora respirava normalmente, era affascinata dalla radio. Lo Skyhawk veniva gestito dal controllo del traffico aereo di Washington e c’erano almeno altri quattro aerei sulla stessa frequenza. Tutti erano su di giri per via delle condizioni meteo e i piloti riferivano gli ultimi aggiornamenti in base a ciò che avevano appena visto. Ma la fascinazione si trasformò rapidamente in noia, mentre l’aereo ronzava tranquillo, sobbalzando appena sopra la sommità delle nubi. Samantha non vedeva niente sotto di sé e niente neppure ai lati. Dopo un’ora fu quasi sul punto di addormentarsi. Due ore e quindici minuti dopo il decollo da Brady, atterrarono in un piccolo aeroporto a Manassas, Virginia. Noleggiarono un’auto, trovarono un drive-thru dove comprarono il pranzo a base di tacos e alle tredici arrivarono alla nuova sede del Kofer Group ad Alexandria. Marshall li accolse con calore e si scusò perché gli uffici erano deserti. Dopo tutto era sabato. Marshall era felicissimo di vedere sua figlia, specie considerate le circostanze. Samantha se ne andava in giro con un vero avvocato di tribunale e sembrava molto interessata a prendere in considerazione una promettente causa contro i cattivi delle grandi società. Dopo sole due settimane nei campi carboniferi era già sulla strada di un’autentica conversione. Erano anni che lui tentava invano di mostrarle la luce. Dopo qualche chiacchiera, disse a Donovan: «Congratulazioni per il verdetto. Difficile ottenerne uno così in un posto come quello». Samantha non aveva parlato del verdetto Tate a suo padre. Gli aveva inviato due e-mail con i dettagli relativi alla riunione, ma non aveva accennato al processo. «Grazie» disse Donovan. «Il quotidiano di Roanoke ha pubblicato un paio di righe. Immagino che lei le abbia viste.» «Quelle me le sono perse. Ma noi monitoriamo moltissimi processi tramite una rete nazionale. La tua storia è saltata fuori ieri sera e ho letto il riassunto. Grande esposizione dei fatti.» Sedevano intorno a un tavolo quadrato con fiori veri al centro, accanto a una caffettiera d’argento. Vestito in modo meno formale del solito, Marshall si era abbassato a un maglione di cachemire e pantaloni sportivi. I ragazzi Gray erano in jeans e vecchia giacca sportiva. Anche Samantha indossava jeans e maglione. Donovan ringraziò di nuovo e rispose alle domande di Marshall sul processo. Jeff stava in silenzio e non si perdeva nulla. Ogni tanto lui e Samantha si scambiavano uno sguardo. Samantha si versò dell’altro caffè e disse: «Forse dovremmo procedere». «Giusto» approvò Marshall, bevendo un sorso. «Sono abbastanza informato?» «Non c’è niente di nuovo» rispose Samantha. «Ho appena cominciato a scavare e sono sicura che verremo a sapere molto di più dopo che avrò presentato la domanda di indennità per il polmone nero.» «Casper Slate ha una brutta reputazione» osservò Marshall. «Se la sono guadagnata» disse Donovan. «È da molto tempo che combatto con loro.» «Spiegatemi la vostra causa. La vostra strategia.» Donovan fece un respiro profondo, lanciò un’occhiata a Samantha e poi disse: «Corte federale, probabilmente Kentucky. Forse West Virginia. Di certo non la Virginia per via del tetto ai risarcimenti. Intentiamo causa con una sola parte attrice, Buddy Ryzer, e citiamo in giudizio sia Casper Slate che la Lonerock Coal. Li denunciamo per frode e associazione per delinquere, forse anche racket, e chiediamo la luna. È un caso esemplare di danni punitivi. La Lonerock Coal attualmente è capitalizzata a sei miliardi e completamente assicurata. Casper Slate è un’impresa privata e non sappiamo quanto valga, ma lo scopriremo. Scavando a fondo, speriamo di trovare altri casi di frode. Più ne abbiamo, meglio è. Ma anche se non ne troveremo, saremo comunque pronti a portare il caso Ryzer davanti alla giuria e a chiedere una fortuna in danni punitivi». Marshall annuiva come se fosse stato d’accordo e come se avesse sentito le stesse cose centinaia di volte. Donovan fece una pausa e poi chiese: «Cosa ne pensa?». «Fin qui, tutto okay. Suona bene, specie se la frode esiste davvero e non c’è modo di inventare qualche spiegazione. Di sicuro la causa sembra fondata e l’appeal sulla giuria sarà fantastico. In effetti, penso che sia brillante. Uno studio legale corrotto, pieno di avvocati strapagati che nascondono prove mediche per negare a un povero minatore malato la sua modesta indennità. Wow! È il sogno di ogni legale. È un chiaro caso di danni punitivi, con un notevole potenziale.» Fece una pausa, bevve un calcolato sorso di caffè e riprese a parlare: «Ma prima, naturalmente, c’è la piccola questione della causa in quanto tale. Tu eserciti da solo, Donovan, quasi senza staff e, diciamo, con risorse limitate. Una causa come questa durerà cinque anni e costerà due milioni di dollari, come minimo». «Un milione» ribatté Donovan. «Incontriamoci a metà strada: un milione e mezzo. Presumo che sia comunque una cifra al di là della tua portata.» «Lo è, ma io ho degli amici, Mr Kofer.» «Solo Marshall, okay?» «Va bene, Marshall. Ci sono due studi legali in West Virginia e due in Kentucky con cui sono solito collaborare. Mettiamo spesso denaro e risorse in comune e ci dividiamo il lavoro. Tuttavia non sono sicuro che possiamo rischiare una somma simile. Immagino sia per questo che siamo qui.» Marshall si strinse nelle spalle, rise e disse: «È il mio lavoro. Le guerre in tribunale. Faccio il consulente per gli avvocati e per i litigation funds. Sono il sensale tra quelli che hanno i soldi e quelli che hanno i casi». «Quindi sei in grado di trovare uno o due milioni per le spese della causa?» «Certo, non è quello il problema, non in questo business. La maggior parte del nostro lavoro comporta finanziamenti tra i dieci e i cinquanta milioni. Due milioni sono facili da trovare.» «E quanto costerebbe a noi, agli avvocati?» «Dipende dal fondo. Il grande vantaggio di questo caso è che costerà due milioni e non, diciamo, trenta. Meno prendi per le spese, più ti tieni come onorario. Presumo che tu chieda il cinquanta per cento del risarcimento ottenuto.» «Io non ho mai chiesto il cinquanta per cento.» «Be’, benvenuto nel grande giro, Donovan. Al giorno d’oggi, in tutte le cause più importanti gli avvocati si prendono il cinquanta per cento. E perché no? Sei tu che ti assumi tutti i rischi, che fai tutto il lavoro e che ci metti i soldi. Un grosso verdetto favorevole è una manna per un cliente come Buddy Ryzer. Quel poveraccio sta cercando di avere mille dollari al mese. Dagli qualche milione e sarà un uomo felice, ti pare?» «Ci penserò. Non ho mai preso più del quaranta.» «Be’, potrebbe essere difficile organizzare il finanziamento se non siamo al cinquanta. È così che funziona. Bene, facciamo che noi ci mettiamo il denaro: cosa mi dici della forza lavoro? Casper Slate ti scaglierà addosso un esercito di avvocati, i migliori, i più perfidi e viscidi, e se tu pensi che giochino sporco adesso, aspetta quando ci sarà la loro testa in ballo e cercheranno di nascondere la biancheria sporca. Sarà una guerra, Donovan, una guerra come se ne vedono di rado.» «Tu hai mai fatto causa a uno studio legale?» «No. Ero troppo occupato a fare causa alle compagnie aeree. Credimi, erano abbastanza toste.» «Qual è stato il tuo verdetto più grosso?» Samantha fu sul punto di dire: “No, per favore!”. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era Marshall Kofer che saliva sul palcoscenico e raccontava le sue storie di guerra. Senza la minima esitazione, Marshall esibì quel suo sorriso compiaciuto e rispose: «Nel 1982 a San Juan, Puerto Rico, ho spremuto quaranta milioni alla Braniff. Ci sono volute sette settimane». Samantha avrebbe voluto chiedere: “Grandioso, papà. Ed è stata quella la parcella che hai sepolto offshore e che hai tenuto nascosta finché la mamma l’ha scoperta?”. Marshall continuò: «Io ero l’avvocato leader, ma eravamo in quattro e abbiamo lavorato tutti come muli. Il punto è, Donovan, che avrai bisogno di aiuto ad altissimo livello. Il fondo valuterà attentamente sia te che la tua squadra, prima di impegnarsi con i soldi». «Non mi preoccupa la squadra, o il lavoro di preparazione, o il processo. Per tutta la mia carriera ho cercato un caso come questo. Gli avvocati con cui collaborerò sono tutti veterani e conoscono il terreno. Stiamo parlando del nostro cortile di casa. I giurati saranno gente nostra. Il giudice, possiamo sperare, sarà al di là della portata dei convenuti. E in appello, il verdetto sarà nelle mani di giudici federali, non dei giudici dello Stato eletti dalle società del carbone.» «Me ne rendo conto» disse Marshall. «Non ha risposto alla domanda» intervenne Jeff, quasi in modo maleducato. «Quanto dovremo dare in cambio del finanziamento?» Marshall gli lanciò un’occhiata dura, poi sorrise istintivamente e rispose: «Dipende. È negoziabile. Arrivare a definire l’accordo fa parte del mio lavoro, ma, tanto per fare un’ipotesi, direi che il fondo che ho in mente potrebbe chiedere un quarto di quanto incasseranno gli avvocati. Come sapete, è impossibile prevedere quello che deciderà una giuria e di conseguenza è impossibile prevedere quali saranno gli onorari. Se la giuria vi riconosce, diciamo, dieci milioni, e le spese ammontano a due milioni, allora prima vengono dedotte le spese e poi gli avvocati si dividono i rimanenti otto con il cliente. Il cliente incassa quattro milioni, gli avvocati altrettanto. Il fondo si prende un quarto dei vostri quattro. Voi vi tenete il resto. Non è un grande affare per il fondo, ma non è neppure una perdita: un guadagno del cinquanta per cento. Inutile dire che più è grosso il verdetto, meglio è. Personalmente penso che dieci milioni siano pochi. Vedo già una giuria estremamente irritata con Casper Slate e la Lonerock Coal, una giuria assetata di sangue». Marshall era molto convincente e Samantha dovette rammentare a se stessa che c’era stato un tempo in cui suo padre riusciva a strappare somme enormi. «Chi sono i tizi del fondo?» chiese Donovan. «Investitori, altri fondi, hedge fund, operatori di private equity, scegli tu. C’è un numero sorprendente di asiatici che ha scoperto il giochino. Sono impietriti dal nostro sistema risarcitorio, ma ne sono anche affascinati. Pensano di essersi persi qualcosa. Ho anche diversi avvocati in pensione che ai loro tempi si sono arricchiti: conoscono bene le cause per danni e non hanno paura dei rischi. Hanno guadagnato piuttosto bene in questo business.» Donovan sembrava incerto. «Mi devi scusare» disse. «Ma è tutto nuovo per me. Ho sentito parlare dei litigation funds, ma non ci sono mai andato neppure vicino.» «È solo capitalismo vecchio stile, ma dalla nostra parte» spiegò Marshall. «Oggi un avvocato con un grande caso ma senza soldi può attaccare i cattivi delle società dove preferisce e combattere ad armi pari.» «E i tizi del fondo esaminano il caso e prevedono il risultato?» «Quello in realtà è il mio lavoro. Io agisco come consulente per entrambe le parti: l’avvocato e il fondo. In base a quello che mi ha detto Samantha, all’esame della documentazione e specialmente grazie alla tua crescente reputazione in aula, non esiterò a raccomandare il tuo caso a uno dei miei fondi. Il quale approverà un finanziamento da uno a due milioni senza problemi, e tu sarai dentro.» Donovan guardò Jeff, che guardò Marshall e gli domandò: «Ai suoi tempi, Mr Kofer, lei avrebbe portato questo caso in tribunale?». «Senza pensarci un attimo. I grandi studi legali sono sempre pessimi convenuti, specie quando li sorprendi con la pistola fumante in pugno.» Donovan chiese a Samantha: «Pensi che Buddy Ryzer sia all’altezza della sfida?». «Non ne ho idea. Lui vuole solo la sua indennità, arretrati compresi. Non abbiamo mai discusso di una causa come questa. Non è neppure a conoscenza di tutto quello che ho scoperto nelle sue cartelle cliniche. Pensavo di parlargli la settimana prossima.» «Qual è la tua sensazione di pancia?» «Vuoi sapere la mia sensazione per qualcosa di cui non so niente?» «Sì o no?» «Sì. Buddy è un combattente.» Raggiunsero a piedi un bar sport poco lontano. I cinque grandi schermi mostravano tutti partite di football del college. Donovan era un tifoso della Virginia Tech, fanatico come tutti loro, ed era ansioso di conoscere i risultati. Ordinarono birra e si sedettero a un tavolo. Dopo che il cameriere ebbe piazzato un alto boccale davanti a ognuno di loro, Marshall disse a Donovan: «Ieri sera è saltato fuori il tuo nome in rete. Stavo leggendo dei casi di inquinamento nei campi carboniferi... scusate, ma sono queste le mie letture... e sono capitato sul bacino di fanghiglia di Peck Mountain e sul cluster di cancro di Hammer Valley. Secondo un articolo del quotidiano di Charleston, tu stai indagando sul caso già da qualche tempo. C’è niente in cantiere?». Donovan cercò lo sguardo di Samantha, che scosse subito la testa: no, io non ho detto una parola. «Stiamo ancora indagando, e raccogliendo clienti.» «Raccogliere clienti significa fare causa, giusto? Non voglio ficcanasare, sono solo un po’ curioso. Sembrerebbe un caso enorme, e parecchio costoso. La Krull Mining è un mostro.» «Conosco la Krull molto bene» disse cauto Donovan. Mai, nemmeno per un attimo, si sarebbe fidato di Marshall Kofer tanto da confidargli informazioni che avrebbe potuto scambiare o barattare in un’altra operazione. Quando fu evidente che Donovan preferiva non parlare, Marshall disse: «Oh, be’, conosco due fondi specializzati in cause per rifiuti tossici. È un ramo estremamente redditizio, posso aggiungere». “È tutto redditizio, papà?” avrebbe voluto chiedere Samantha. Poi pensò: “Che match perfetto!”, Donovan Gray e la sua banda, che sono in possesso di – o hanno accesso a – un tesoro di documenti acquisiti illegalmente, un tempo di proprietà della Krull Mining, e il Kofer Group, una gang di avvocati radiati dall’ordine che, se si fossero trovati in difficoltà, avrebbero senza dubbio pasticciato di nuovo con la legge. Questi in un angolo del ring. Nell’angolo opposto c’era la Krull Mining, una società che in materia di sicurezza sul lavoro vantava i peggiori precedenti di tutta la storia della produzione carbonifera degli Stati Uniti, nonché un proprietario ritenuto uno dei gangster più implacabili della cricca di Putin. E al centro del ring, a schivare i proiettili, c’erano le povere anime di Hammer Valley, che erano state attirate fuori dai loro caravan e convinte a firmare per partecipare a quell’eccitante avventura nel sistema giudiziario americano. Sarebbero diventate parti attrici e avrebbero fatto causa per un miliardo di dollari. Se avessero incassato un migliaio di dollari a testa, lo avrebbero speso in sigarette e biglietti della lotteria. Wow! Samantha bevve qualche sorso di birra e, ancora una volta, giurò di evitare qualsiasi seria causa per danni. Seguiva il football su due schermi, ma non aveva idea di chi stesse giocando. Marshall stava raccontando una storia riguardante due jet – uno proveniente dalla Corea e uno dall’India – che nel 1992 erano entrati in collisione sopra l’aeroporto di Hanoi. Tutti i passeggeri erano morti, e nessuno di loro era americano, tuttavia Marshall aveva intentato causa a Houston, dove le giurie capiscono i grossi verdetti. Il racconto affascinava Donovan e Jeff sembrava blandamente interessato. Come pubblico per Marshall era sufficiente. Samantha continuò a guardare la partita di football. Dopo una birra – Donovan doveva pilotare l’aereo – tornarono a piedi in ufficio e si salutarono. Samantha notò che era uscito il sole e che il cielo era sgombro di nubi. Forse il viaggio di ritorno sarebbe stato tranquillo e piacevole, con un’ottima visibilità. Salutò suo padre con un bacio veloce sulla guancia e promise di telefonargli. 22 Il verdetto Tate suscitò grande eccitazione in zona e fu spunto di infiniti pettegolezzi e ipotesi. Secondo un articolo pubblicato dal quotidiano di Roanoke, la Strayhorn Coal prometteva un vigoroso ricorso in appello. I suoi avvocati erano parchi di dichiarazioni, ma altri non erano così timidi. Un vicepresidente della società definì il verdetto “scioccante”. Il portavoce di un gruppo per lo sviluppo economico si dichiarò preoccupato all’idea che “un tale pesante verdetto” potesse danneggiare la reputazione dello Stato come luogo favorevole alle imprese. Vennero citate le parole esatte di uno dei giurati (anonimo), il quale affermò che in sala di consiglio erano state versate molte lacrime. Lisa Tate non era disposta a rilasciare commenti, ma il suo avvocato sì. Samantha osservava e ascoltava e la sera tardi andava a bere qualcosa in compagnia di Donovan e Jeff. Bibite analcoliche per lei, Dickel per loro. Forse quando la Strayhorn minacciava il ricorso in appello era solo una posa, ma Donovan diceva che in realtà la società voleva un accordo. Con la morte di due ragazzini in gioco, la Strayhorn sapeva che sarebbe stato difficile vincere. I danni punitivi sarebbero stati automaticamente ridotti da un milione a trecentocinquantamila dollari, per cui quasi un quarto della somma riconosciuta dal verdetto se n’era già andato. Il martedì dopo la sentenza, la società offrì un milione e mezzo. Lisa Tate intendeva accettare. Donovan lasciò cadere l’informazione che avrebbe incassato il quaranta per cento, per cui sentiva già il profumo di un bel giorno di paga. Il mercoledì, Donovan, Jeff e Samantha incontrarono Buddy e Mavis Ryzer per discutere dell’eventuale causa contro la Lonerock Coal e Casper Slate. I Ryzer rimasero devastati alla notizia che lo studio legale aveva saputo per anni che Buddy era malato di polmone nero e che aveva nascosto le prove. «Fate causa a quei bastardi per tutto» disse Buddy rabbioso, e mai durante le due ore dell’incontro fece un passo indietro. La coppia uscì dallo studio di Donovan furiosa e determinata a combattere fino alla fine. Quella sera, di nuovo davanti a un drink, Donovan confidò a Samantha e a Jeff che aveva parlato della causa con due colleghi di due diversi studi in West Virginia, tra i suoi migliori amici specializzati in cause in tribunale. Nessuno di loro era incline a passare i cinque anni successivi azzuffandosi con Casper Slate, a prescindere da quanto fosse stato orribile il suo comportamento. Una settimana dopo, Donovan volò a Charleston per depositare gli atti della causa per l’inquinamento di Hammer Valley. Davanti al tribunale federale, di fronte a una squadra di giornalisti e con altri quattro avvocati al suo fianco, spiegò i termini della causa contro la Krull Mining. “Proprietari russi” naturalmente. Dichiarò che la società stava inquinando le falde acquifere da quindici anni; che sapeva cosa stava succedendo e che lo aveva tenuto nascosto; e che la Krull Mining sapeva da almeno dieci anni che le sue sostanze chimiche erano la causa di una delle più alte incidenze di cancro in America. Donovan dichiarò con sicurezza: «Proveremo tutto, e abbiamo anche dei documenti a ulteriore conferma». Lui era l’avvocato leader e il suo gruppo rappresentava oltre quaranta famiglie di Hammer Valley. Come la maggior parte degli avvocati specializzati in cause in tribunale, Donovan amava l’attenzione. Samantha sospettava che avesse affrettato il deposito degli atti Hammer Valley perché era ancora sotto i riflettori del verdetto Tate. Cercò di prendere le distanze e di ignorare i fratelli Gray per qualche giorno, ma erano tutti e due insistenti. Jeff voleva invitarla a cena. Donovan aveva bisogno del suo parere, così diceva, perché entrambi rappresentavano Buddy Ryzer. Samantha si rendeva conto della crescente frustrazione di Donovan a causa dei suoi amici-colleghi, nessuno dei quali dava segni di entusiasmo alla proposta di scontrarsi con Casper Slate. Più di una volta, Donovan disse che avrebbe lavorato da solista, se fosse stato necessario. “Più onorari per me.” Era ossessionato dal caso e parlava con Marshall Kofer tutti i giorni. Con loro sorpresa, Marshall mantenne ciò che aveva promesso: trovò i soldi. Un litigation fund offriva una linea di credito fino a due milioni in cambio del trenta per cento del risarcimento. Donovan ricominciò a fare pressione su Samantha perché andasse a lavorare da lui. Tra non molto il caso Hammer Valley e il caso Tate avrebbero richiesto moltissimo tempo e lavoro, e lui aveva bisogno di aiuto. Era ferma opinione di Samantha che Donovan avesse bisogno di un intero staff di associati, non solo di una stagista part-time. Quando Donovan si accordò verbalmente sul caso Tate per un milione e settecentomila dollari, le propose un impiego a tempo pieno con uno stipendio generoso. Samantha rifiutò, di nuovo. Gli ricordò che: a) era ancora molto diffidente nei confronti delle cause per danni e non stava cercando un impiego; b) lei era solo di passaggio, più o meno in prestito finché a New York non si fosse posata la polvere, dopo di che avrebbe pensato alla fase successiva della sua vita, una fase che non avrebbe avuto niente a che fare con Brady, Virginia; c) aveva preso un impegno con il centro di assistenza legale gratuita e aveva veri clienti che avevano bisogno di lei. Quello che non gli disse, fu che lui e il suo stile da cowboy nell’esercizio della professione la spaventavano. Era convinta che Donovan, o qualcuno che lavorava per lui, avesse rubato importanti documenti alla Krull Mining e che questo sarebbe inevitabilmente saltato fuori. Donovan non aveva paura di infrangere regole e leggi, e non esitava a violare ordinanze della corte. Era spinto dall’odio, bruciava dal desiderio di vendetta e, almeno a parere di Samantha, era sulla strada giusta per cacciarsi in guai seri. Inoltre, suo malgrado, Samantha doveva ammettere di sentirsi vulnerabile nei suoi confronti. Tra loro due una storia sarebbe potuta divampare senza troppi sforzi, e questo sarebbe stato un errore terribile. Ciò di cui lei aveva bisogno, era trascorrere meno tempo in compagnia di Donovan Gray, non più tempo. Non sapeva bene come gestire Jeff, che era giovane, single e sexy: una rarità da quelle parti. Inoltre le stava facendo una corte serrata e Samantha sapeva già che la cena, sempre che si potesse trovare un posto per una cena carina, avrebbe portato a qualcos’altro. Dopo tre settimane a Brady, l’idea cominciava a piacerle. Il 12 novembre Donovan, sempre senza colleghi associati alla causa, entrò a passo deciso nel tribunale federale di Lexington, Kentucky – città dove aveva sede uno studio legale di ottocento avvocati ufficialmente noto come Casper, Slate & Huges –, e depositò la citazione contro i bastardi. Fece causa anche alla Lonerock Coal, una società del Nevada. Buddy e Mavis erano con Donovan il quale, naturalmente, aveva avvisato la stampa. I tre chiacchierarono con alcuni giornalisti e uno di loro chiese come mai gli atti fossero stati depositati a Lexington. Donovan spiegò che voleva smascherare Casper Slate davanti ai suoi concittadini. Voleva la scena del delitto. La stampa si scatenò con quella storia e Donovan raccolse i ritagli dei giornali. Due settimane prima, a Charleston, aveva depositato l’atto di citazione Hammer Valley contro Krull Mining e la notizia aveva avuto una copertura regionale. Due settimane prima ancora, aveva vinto il caso Tate con un verdetto spettacolare e il suo nome era comparso su diversi giornali. Il 24 novembre, tre giorni prima di Thanksgiving, lo trovarono morto. 23 L’incubo cominciò a metà mattina di lunedì, mentre le tre avvocatesse stavano lavorando tranquille alle loro scrivanie, senza clienti all’orizzonte. Il silenzio venne infranto dall’urlo di Mattie, un penetrante grido di dolore che Samantha non avrebbe mai dimenticato. Corsero tutte nell’ufficio di Mattie. «È morto!» gemette. «È morto! Donovan è morto!» Era in piedi, con una mano sulla fronte e l’altra che stringeva il telefono a mezz’aria. La bocca era aperta, gli occhi pieni di terrore. «Cosa?!» gridò Annette. «Lo hanno appena trovato. Il suo aereo è precipitato. È morto.» Annette crollò su una sedia e cominciò a singhiozzare. Samantha e Mattie si fissarono negli occhi, entrambe per un secondo incapaci di parlare. Barb era sulla soglia, con le mani sulla bocca. Samantha finalmente si mosse e afferrò il telefono. «Chi è?» chiese. «Jeff» rispose Mattie, mentre si sedeva lentamente e si nascondeva il volto fra le mani. Samantha disse qualcosa al telefono, ma in linea non c’era più nessuno. Sentì cederle le ginocchia e si lasciò cadere su una sedia. Barb collassò su un’altra. Passò un momento, un momento carico di paura, shock e incertezza. Poteva trattarsi di un errore? No, non se l’unico fratello di Donovan telefonava all’amata zia per comunicarle la peggiore notizia possibile. No, non era un errore o uno scherzo: era l’incredibile verità. Il telefono squillò di nuovo mentre le spie ammiccanti di tutte e tre le linee segnalavano che la notizia si stava diffondendo velocemente in tutta la città. Mattie deglutì. «Jeff ha detto che ieri Donovan era volato a Charleston per incontrare alcuni colleghi. Jeff era fuori città per il weekend e Donovan era da solo. Il controllo del traffico aereo ha perso il contatto con lui verso le undici di ieri sera. Qualcuno a terra ha sentito un boato e questa mattina hanno trovato l’aereo in un bosco, pochi chilometri a sud di Pikeville, Kentucky.» La voce le venne a mancare e chinò la testa. Annette stava mormorando: «Non ci posso credere. Non ci posso credere». Samantha era senza parole. Barb era un disastro balbettante. Continuarono a piangere per qualche minuto, cercando di assimilare ciò che stava succedendo. Si calmarono un po’ quando il primo accenno di realtà prese piede. Samantha uscì dalla stanza e andò a chiudere la porta d’ingresso. Passò in silenzio da un ufficio all’altro, chiudendo tende e persiane. L’oscurità inghiottì lo studio. Rimasero sedute con Mattie mentre in lontananza i telefoni continuavano a squillare e gli orologi sembravano essersi fermati. Chester, usando la sua chiave, entrò dalla porta sul retro e si unì alla veglia. Si sedette sul bordo della scrivania, dando colpetti gentili sulla spalla della moglie, che continuava a piangere mormorando tra sé. A bassa voce, Chester le chiese: «Hai parlato con Judy?». Mattie scosse la testa. «No. Jeff ha detto che le avrebbe telefonato lui.» «Povero Jeff. Dov’è?» «Era a Pikeville, a occuparsi di tutto, qualunque cosa significhi. Non stava troppo bene.» Qualche minuto più tardi, Chester disse: «Andiamo a casa, Mattie. Hai bisogno di distenderti. Tanto qui oggi non lavorerà nessuno». Samantha chiuse la porta del suo ufficio e si lasciò cadere sulla poltroncina. Era troppo stordita per pensare a qualsiasi altra cosa, così fissò a lungo la finestra e cercò di organizzare i propri pensieri. Non ci riuscì e all’improvviso si sentì travolgere dal desiderio di scappare da Brady, da Noland County e dagli Appalachi, e forse di non tornarci mai più. Era la settimana di Thanksgiving e aveva avuto comunque in programma di partire, andare a Washington e passare un po’ di tempo con i genitori e magari qualche amico. Mattie l’aveva invitata a casa sua per il pranzo di Thanksgiving, ma lei aveva già declinato. Davvero uno splendido Thanksgiving. Ciò che li aspettava era un funerale. Il cellulare vibrò. Era Jeff. Erano le quattro e mezzo del pomeriggio e Jeff sedeva a un tavolo da picnic in una remota area panoramica nei pressi di Knox, a Curry County. Il suo pick-up era parcheggiato poco lontano e lui era solo, come previsto. Non si voltò per vedere se era Samantha, non si mosse mentre lei gli si avvicinava camminando sulla ghiaia. Aveva lo sguardo fisso, perso in un mondo di pensieri confusi. Samantha gli diede un bacio sulla guancia e gli disse: «Mi dispiace tanto». «Anche a me.» Jeff riuscì a produrre un rapido sorriso, così sforzato che durò appena un secondo. Samantha gli si sedette accanto e lui le prese la mano. Ginocchio contro ginocchio, guardarono in silenzio le colline sotto di loro. Non ci furono lacrime e le parole furono poche, all’inizio. Jeff era un duro, troppo macho per essere meno che stoico. Samantha sospettava che avrebbe pianto da solo. Abbandonato dal padre, orfano di madre e ora la morte lo aveva derubato dell’unica persona alla quale avesse mai voluto davvero bene. Samantha non riusciva neppure a immaginare la sua angoscia in quel momento terribile. Lei stessa si sentiva come se avesse avuto una specie di buco nello stomaco, e aveva frequentato Donovan per meno di due mesi. «Tu sai che lo hanno ucciso loro» disse Jeff, mettendo finalmente in parole ciò su cui si erano interrogati per tutto il giorno. «Chi sono loro?» domandò Samantha. «Chi sono? I cattivi, e ce ne sono tantissimi. Sono spietati e calcolatori, e per loro uccidere non è un problema. Uccidono i minatori con miniere pericolose. Uccidono la gente di montagna con l’acqua inquinata. Uccidono i bambini che dormono tranquilli nel loro caravan. Uccidono intere comunità quando le loro dighe cedono e i fanghi tossici invadono le valli. Hanno ucciso mia madre. Anni fa uccidevano i sindacalisti che scioperavano per avere salari migliori. E dubito che mio fratello sia il primo avvocato che hanno ucciso.» «Puoi dimostrarlo?» «Non lo so, ma ci proveremo. Questa mattina ero a Pikeville... ho dovuto identificare il cadavere... e sono andato a parlare con lo sceriffo. Gli ho detto che sospetto un omicidio e che l’aereo deve essere trattato come scena del crimine. Ho già avvertito i federali. L’aereo non si è incendiato, è solo precipitato. Non credo che Donovan abbia sofferto. Immagina di dover identificare il cadavere di tuo fratello.» Le spalle di Samantha si abbassarono a quel pensiero. Scosse la testa. Jeff emise un grugnito e proseguì: «Era all’obitorio, proprio come si vede in televisione. Aprono lo sportello, lo tirano fuori e sollevano il lenzuolo bianco. Stavo quasi per vomitare. Aveva il cranio fracassato». «Basta così» disse Samantha. «Sì, basta così. Suppongo che nella vita ci siano cose che non penseresti mai di dover fare. E dopo che le hai fatte giuri a te stesso che non succederà mai più. La maggior parte della gente non passa forse tutta la vita senza dover identificare un cadavere?» «Parliamo di qualcos’altro.» «Okay, buona idea. Di cosa vuoi che parliamo?» «Come farai a dimostrare che è stato un delitto?» «Assumeremo degli esperti che esamineranno l’aereo dall’elica alla coda. La National Transportation Safety Board controllerà le comunicazioni via radio per vedere cosa stava succedendo subito prima dell’incidente. Metteremo insieme tutti i pezzi e vedremo di capire. Una sera limpida, condizioni meteo perfette, un pilota esperto con tremila ore di volo, uno degli aerei più sicuri della storia: non ha senso pensare a qualcosa di diverso. Immagino che alla fine Donovan avesse rotto le palle alle persone sbagliate.» Da est arrivò una folata fredda che sparpagliò le foglie. Samantha e Jeff si rannicchiarono stringendosi l’una all’altro come vecchi amanti, cosa che non erano. Né vecchi, né nuovi, se è per questo. Erano usciti a cena insieme due volte, niente di più. L’ultima cosa di cui Samantha aveva bisogno era una complicata storia d’amore con una precisa data di scadenza. Non era ben sicura di cosa volesse Jeff. Passava molto tempo lontano da Brady, e lei sospettava che potesse entrarci una donna. Non avevano assolutamente un futuro insieme. Forse il presente poteva essere divertente: un po’ di sesso senza problemi, un po’ di capriole, un po’ di compagnia nelle notti fredde, ma Samantha non aveva intenzione di precipitare le cose. Jeff riprese a parlare: «Sai, avevo sempre pensato che il giorno più brutto della mia vita fosse stato quello in cui zia Mattie entrò in aula a scuola e mi disse che mia madre era morta. Avevo nove anni. Ma questo è peggio, molto peggio. Sono stordito, così tramortito che potresti conficcarmi dei coltelli in corpo e io non sentirei niente. Vorrei essere stato con lui». «No, non dire così. Una perdita è già abbastanza.» «Non riesco a immaginare la mia vita senza Donovan. Eravamo praticamente orfani, sai, siamo stati cresciuti da parenti in città diverse. Lui mi ha sempre seguito, sostenuto. Io mi sono cacciato in parecchi guai, ma non ho mai avuto paura dei parenti, degli insegnanti, dei poliziotti e neppure dei giudici. Avevo paura di Donovan, e non in senso fisico. Avevo paura di deluderlo. L’ultima volta che sono finito in tribunale avevo diciannove anni, lui aveva appena finito la scuola di legge. Mi avevano beccato con un po’ di erba, una piccola quantità che avevo effettivamente intenzione di vendere, ma loro non lo sapevano. Il giudice ebbe la mano leggera: qualche mese nel carcere di contea, niente di serio. Avvicinandomi al banco del giudice, mi voltai e guardai l’aula. Vidi mio fratello, in piedi di fianco a zia Mattie, con le lacrime agli occhi. Non lo avevo mai visto piangere. A quel punto piansi anch’io e dissi al giudice che non avrebbe mai più rivisto la mia faccia. E così è stato. Da allora ho preso solo una multa per eccesso di velocità.» La voce si incrinò leggermente mentre si stringeva il naso tra le dita. Ma ancora niente lacrime. «Donovan era mio fratello, il mio migliore amico, il mio eroe, il mio capo, il mio confidente. Era il mio mondo. Non so cosa farò adesso.» Samantha stava per mettersi a piangere. “Ascoltalo e basta” si disse. “Ha bisogno di parlare.” «Io li troverò, Samantha, hai capito? Dovesse volerci ogni centesimo che ho e ogni centesimo che dovrò rubare, li troverò e mi vendicherò. Donovan non aveva paura di morire, e non ho paura neppure io. Spero che loro ce l’abbiano.» «Chi è il tuo sospettato numero uno?» «La Krull Mining, direi.» «E questo a causa dei documenti?» Jeff si voltò e le lanciò un’occhiata. «Come fai a sapere dei documenti?» «Un sabato Donovan e io siamo volati a Hammer Valley. Abbiamo pranzato con Vic a Rockville. Loro due hanno parlato della Krull Mining e si sono lasciati sfuggire qualcosa.» «Mi sorprende. Donovan di solito era più cauto.» «La Krull Mining sa che tuo fratello aveva quei documenti?» «Sanno che non si trovano e sospettano fortemente che siano in mano nostra. Quei documenti sono letali, avvelenati e meravigliosi.» «Tu li hai visti?» Jeff esitò a lungo, poi disse: «Sì, li ho visti e so dove sono. Non puoi neppure immaginare cosa c’è in quelle carte. Nessuno potrebbe.» Rimase in silenzio per un momento, come se sentisse il dovere di tacere, ma allo stesso tempo volesse parlare. Se Donovan si era fidato così tanto di Samantha, forse poteva fidarsi anche lui. Riprese a parlare: «C’è un memo dell’amministratore delegato di Pittsburgh al quartier generale a Londra in cui si stimano in ottanta milioni di dollari i costi per risanare il disastro di Peck Mountain. Gli eventuali risarcimenti alle famiglie colpite dal cancro venivano valutati in un massimo di appena dieci milioni, stando abbondanti. All’epoca le cause per risarcimento danni non erano ancora state intentate, e non c’era alcuna certezza che sarebbe mai successo. Per cui era di gran lunga più vantaggioso lasciare che la gente bevesse l’acqua, morisse di cancro e poi magari versare qualche dollaro in accordi stragiudiziali, piuttosto che bloccare le infiltrazioni del bacino di fanghiglia». «E dov’è questo memo?» «Insieme a tutto il resto. Ventimila pagine di documenti in quattro scatoloni, nascosti in un posto sicuro.» «Da qualche parte qui vicino?» «Non lontano da dove ci troviamo. Non posso dirtelo perché è troppo pericoloso.» «Non dirmelo. Tutto a un tratto so più di quello che voglio sapere.» Jeff le lasciò la mano e si alzò dal tavolo da picnic. Si chinò e raccolse una manciata di sassolini, che cominciò a scagliare nel burrone sottostante, mormorando qualcosa che Samantha non riuscì a capire. Raccolse un’altra manciata, poi una terza, lanciando i sassolini verso nulla in particolare. Si stavano formando ombre e c’erano nuvole che si avvicinavano. Jeff tornò al tavolo, si fermò accanto a Samantha e disse: «Però c’è una cosa che devi sapere. Probabilmente sei sotto controllo: il tuo telefono in ufficio, forse una cimice o due nel tuo appartamento. La settimana scorsa abbiamo fatto venire un tizio a setacciare di nuovo lo studio di Donovan e, ovviamente, c’erano cimici dappertutto. Perciò stai attenta a quello che dici: qualcuno ti sta ascoltando». «Stai scherzando, vero?» «Per qualche strana ragione, Samantha, oggi non sono dell’umore giusto per scherzare.» «Va bene, scusami. Ma perché io?» «Ci tengono d’occhio, in particolare tenevano d’occhio Donovan. Da anni viveva partendo dal presupposto di essere ascoltato. Probabilmente è questa la ragione per cui ieri era volato a Charleston per parlare faccia a faccia con i colleghi: si riunivano sempre in una camera d’hotel, lontani dalla sorveglianza. Quei criminali ti hanno vista passare molto tempo con noi. Hanno tutti i soldi del mondo e quindi sono in grado di sorvegliare chiunque vada o venga, specie un nuovo avvocato in città.» «Non so cosa dire. Ho parlato con mio padre di disastri aerei per tutto il pomeriggio.» «Da quale telefono?» «Tutti e due: ufficio e cellulare.» «Stai attenta in ufficio. Usa solo il cellulare. Forse dovremmo cominciare a servirci di cellulari prepagati.» «Non ci posso credere.» Jeff si sedette accanto a Samantha, le prese la mano e si tirò su il colletto della giacca. Il sole stava scendendo dietro le montagne e la brezza si era fatta più sostenuta. Con la mano sinistra, Jeff si asciugò lentamente una lacrima sulla guancia. Quando parlò, lo fece con voce rauca e incerta. «Ricordo che quando morì mia madre non riuscivo a smettere di piangere.» «Piangere fa bene, Jeff.» «Be’, se non piango per mio fratello, credo che non piangerò per nessuno.» «Prova. Potrebbe farti sentire meglio.» Jeff rimase in silenzio per qualche minuto, ma senza piangere. Si strinsero ancora di più l’uno all’altra mentre l’oscurità avvolgeva tutto e il vento andava e veniva. Dopo una lunga pausa, Samantha disse: «Oggi pomeriggio ho parlato con mio padre. Anche lui è devastato. In un mese o poco più, con Donovan erano diventati grandi amici. Papà lo ammirava moltissimo. Sai, lui conosce tutti in quel particolare settore e può trovare gli esperti giusti per analizzare l’incidente. Ha detto che nel corso degli anni si è occupato di numerosi incidenti mortali in cui erano coinvolti piccoli aerei». «Qualcuno provocato deliberatamente?» «In effetti, sì. Due. Uno in Idaho e uno in Colombia. Se conosco bene mio padre, in questo momento è al telefono e al computer, a cercare esperti in disastri di piccoli Cessna. Ha detto che in questo momento la cosa essenziale è accertarsi che l’aereo sia al sicuro.» «Lo è.» «In ogni caso Marshall Kofer è pronto a darsi da fare, se avremo bisogno di lui.» «Grazie. Mi piace tuo padre.» «Anche a me, quasi sempre.» «Io ho freddo, e tu?» «Sì.» «E dobbiamo andare da Mattie, vero?» «Credo di sì.» Dato che era rimasto ben poco della famiglia Gray e che la casa era stata distrutta anni prima, torte e pirofile dovevano essere consegnate da qualche altra parte. L’abitazione di Mattie era la scelta più logica. Il cibo cominciò ad arrivare nel tardo pomeriggio e, con esso, una lunga visita di chi lo aveva cucinato. Vennero versate lacrime, espresse condoglianze, formulate promesse di ogni aiuto possibile e, cosa più importante, sviscerati i particolari. Gli uomini ciondolavano in veranda e di fianco al vialetto d’accesso, fumando, chiacchierando e chiedendosi cosa effettivamente avesse causato l’incidente. Un guasto al motore? Donovan era finito fuori rotta? Qualcuno disse che non aveva lanciato il “mayday,” il segnale universale di difficoltà dei piloti. Questo cosa poteva significare? La maggior parte di quegli uomini aveva volato solo una o due volte in tutta la vita, alcuni mai, ma tale inesperienza non influiva sul dibattito. Dentro casa, le donne organizzavano la marea di cibo in arrivo, spesso con piccoli assaggi per un rapido test di qualità, mentre si prendevano cura di Mattie e analizzavano ad alta voce la situazione del matrimonio di Donovan e Judy, una giovane donna che non aveva mai trovato il proprio posto a Brady, ma che in quel momento veniva ricordata con sconfinato affetto. Judy e Mattie alla fine avevano trovato un accordo. Judy avrebbe preferito aspettare fino al sabato per una cerimonia di commemorazione, ma Mattie riteneva sbagliato costringere la gente a trascorrere un penoso Thanksgiving con la prospettiva di un impegno così malinconico. Osservando tutto dalla maggior distanza possibile, Samantha stava imparando che le tradizioni erano importanti negli Appalachi, e che non c’era alcuna fretta di seppellire il defunto. Dopo sei anni a New York, si era abituata a rapidi commiati in modo che i vivi potessero riprendere subito vita e lavoro. Anche Mattie era sembrata ansiosa di velocizzare le cose e alla fine aveva convinto Judy a tenere la funzione il mercoledì pomeriggio. Donovan sarebbe già stato sottoterra giovedì mattina, quando la gente si sarebbe svegliata nel giorno di festa. United Methodist Church, ore sedici, mercoledì 26 novembre, con successiva sepoltura nel cimitero dietro la chiesa. Donovan e Judy erano stati membri della congregazione, anche se da anni non frequentavano più la chiesa. Jeff avrebbe voluto seppellire suo fratello a Gray Mountain, ma a Judy l’idea non era piaciuta. Jeff non era simpatico a Judy e l’avversione era reciproca. Quale moglie di Donovan, Judy aveva autorità assoluta sull’organizzazione. Era una tradizione, non una legge, e tutti la capivano, Jeff compreso. Quel lunedì sera Samantha si trattenne a casa di Mattie per un’ora, ma si stancò presto del rituale consistente nello starsene a sedere con gli altri, spiluccare i piatti che coprivano il tavolo della cucina e uscire un momento per una boccata di aria fresca. Si stancò delle chiacchiere inutili di gente che conosceva bene Mattie e Chester, ma non il loro nipote. Si stancò dei pettegolezzi e delle ipotesi. La divertì la velocità con cui la cittadina si era impossessata della tragedia, decisa a esprimersi al massimo, ma il divertimento si trasformò presto in frustrazione. Anche Jeff sembrava annoiato e frustrato. Dopo essere stato abbracciato e commiserato da grasse signore che quasi non conosceva, scomparve silenziosamente. Baciò Samantha sulla guancia e disse che aveva bisogno di stare un po’ da solo. Poco dopo se ne andò anche Samantha, che attraversò a piedi la cittadina tranquilla e tornò a casa. Annette la invitò da lei e le due donne bevvero tè nel soggiorno buio fino a mezzanotte, parlando solo di Donovan Gray. Prima dell’alba, Samantha era già sveglissima e sorseggiava caffè navigando in internet. Il quotidiano di Roanoke pubblicava un breve articolo sull’incidente, ma non c’erano novità. Donovan veniva descritto come un devoto paladino dei diritti dei minatori e dei proprietari terrieri. Veniva citato il verdetto Tate e si parlava anche della causa Hammer Valley contro Krull Mining e della causa Ryzer contro Lonerock Coal e i suoi avvocati. Un collega e amico del West Virginia descriveva Donovan come “un coraggioso protettore della primitiva bellezza degli Appalachi” e “un leale nemico di ostinate società del carbone”. Non si faceva alcun cenno a un possibile atto doloso. Tutte le agenzie competenti stavano svolgendo indagini sull’incidente. Donovan Gray aveva appena compiuto trentanove anni e lasciava una moglie e una figlia. Marshall telefonò presto, chiedendo di sapere del funerale. Si offrì di raggiungere Samantha e di starle vicino durante la funzione, ma lei rispose: no, grazie. Suo padre aveva passato la maggior parte del lunedì dandosi da fare al telefono, cercando di ottenere quante più informazioni riservate possibile. Promise che avrebbe avuto “qualcosa” quando si sarebbero visti, pochi giorni dopo. Avrebbero discusso anche del caso Ryzer, ora nel limbo per ovvie ragioni. La Legal Aid Clinic sembrava un’agenzia di pompe funebri, buia, triste e senza alcuna prospettiva di una giornata piacevole. Barb appese una corona di fiori alla porta, che poi chiuse a chiave. Mattie rimase a casa e il resto dello staff avrebbe dovuto fare lo stesso. Gli appuntamenti vennero annullati e le telefonate ignorate. La Mountain Legal Aid Clinic non era operativa. Né lo era lo studio legale di Donovan M. Gray, distante tre isolati in Main Street. Alla porta chiusa a chiave era appesa un’identica corona di fiori. All’interno, Jeff discuteva con la segretaria e il paralegale cercando di fare il punto della situazione. I tre erano gli unici impiegati rimasti dello studio, uno studio che adesso era morto. 24 Una morte tragica, un avvocato molto conosciuto, l’ingresso libero, una comunità impicciona, un altro noioso mercoledì pomeriggio: se si mescolano tutti questi ingredienti non stupirà che la chiesa fosse già stracolma ben prima delle sedici, ora in cui il reverendo Condry si alzò in piedi per dare inizio alla cerimonia. Cominciò con un’ampollosa preghiera e si sedette di nuovo quando il coro attaccò il primo di molti canti funebri. Tornò ad alzarsi per un po’ di Sacre Scritture e un paio di cupe riflessioni sconclusionate. La prima orazione funebre fu di Mattie, che lottò per controllare l’emozione mentre parlava del nipote. Dimostrò di essere capace di parlare piangendo e, in vari momenti, riuscì a far piangere tutti gli altri insieme a lei. Quando raccontò del giorno in cui Donovan aveva trovato il cadavere della madre, la sua cara sorella Rose, la voce le si incrinò e tacque per un momento. Deglutì a fatica e riprese a parlare con difficoltà. Samantha era seduta in quinta fila tra Barb e Annette, e tutte e tre avevano in mano fazzoletti di carta con cui si tamponavano le guance. E tutte e tre pensavano la stessa cosa: “Forza, Mattie, puoi farcela. Ma adesso chiudi”. Mattie, però, non aveva fretta. Quella era l’unica cerimonia di addio a Donovan e nessuno doveva avere fretta. La bara chiusa era ai piedi del pulpito, coperta di fiori. Annette aveva sussurrato che, da quelle parti, molti funerali si svolgevano con la cassa aperta, in modo che i dolenti fossero tenuti a vedere il defunto e contemporaneamente farne grandi elogi. Era una vecchia tradizione, pensata per rendere il momento ancora più drammatico del dovuto. Annette aveva detto che intendeva farsi cremare. Samantha aveva confessato di non avere ancora preso in considerazione le varie opzioni. Fortunatamente Judy aveva avuto il buon senso di non permettere uno spettacolo del genere. Era seduta con la figlia in prima fila, a un paio di metri dalla bara. Come annunciato, era bellissima, una bruna slanciata con gli occhi scuri come quelli di Donovan. Sua figlia, Haley, aveva sei anni e stava ancora soffrendo per la separazione dei genitori. Ora era completamente distrutta dalla morte del padre. Stretta a sua madre, non smise mai di piangere. Samantha aveva caricato l’auto, che aveva il muso già puntato a nord. Desiderava disperatamente andarsene da Brady e precipitarsi a Washington, a casa di sua madre, che le aveva promesso di aspettarla con del sushi e una bella bottiglia di Chablis. Il giorno dopo, Thanksgiving, avrebbero dormito fino a tardi e poi si sarebbero concesse un lungo pranzo in un kebab afgano, che nei giorni di festa era sempre affollato di americani ai quali non piaceva il tacchino, o che volevano tenersi alla larga dalla famiglia. Mattie finalmente cedette a un’ondata di emozioni. Si scusò e andò a sedersi. Un altro inno. Qualche altra osservazione del reverendo Condry, tratta dalla saggezza dell’apostolo Paolo. E un’altra lunga orazione funebre, questa volta di un caro amico di Donovan fin dai tempi della scuola di legge al William & Mary. Dopo un’ora, i pianti erano quasi finiti e la gente era pronta ad andarsene. Quando il reverendo chiuse la cerimonia con la benedizione, tutti i presenti uscirono. La maggior parte di loro andò dietro la chiesa e poi si raccolse intorno a una tenda color porpora accanto alla fossa. Il reverendo fu conciso. Le sue osservazioni sembrarono improvvisate, ma comunque adeguate. Pregò con eloquenza e, quando si avvicinò alla conclusione, Samantha cominciò ad allontanarsi cautamente. Era tradizione che tutti sfilassero davanti alla famiglia del defunto per pronunciare qualche parola di conforto, ma Samantha ne aveva già avuto abbastanza. Abbastanza delle usanze locali. Abbastanza di Brady. Abbastanza dei fratelli Gray, di tutto il loro dramma e del loro passato. Con il serbatoio pieno e la vescica vuota, Samantha guidò determinata per cinque ore senza fermarsi fino all’appartamento di sua madre, in centro a Washington. Per alcuni istanti rimase ferma sul marciapiede di fianco all’auto per assorbire visioni e suoni, il traffico e la confusione, e la prossimità di tante persone che vivevano così vicine l’una all’altra. Era quello il suo mondo. Sentiva moltissimo la mancanza di SoHo e dell’energia frenetica della grande città. Karen era già in pigiama. Samantha disfece velocemente il bagaglio e si cambiò. Per due ore, sedute sui grandi cuscini del soggiorno, mangiarono e sorseggiarono vino, ridendo e parlando allo stesso tempo. Il fondo che aveva promesso di finanziare la causa per frode e associazione per delinquere contro la Lonerock Coal e Casper Slate si era già defilato. L’affare era sfumato. Donovan aveva intentato la causa da pistolero solitario, con la promessa che altri avvocati sarebbero presto saltati a bordo per formare una squadra di prima categoria. Adesso, però, con Donovan morto e i suoi colleghi che correvano a nascondersi, il caso non sarebbe andato da nessuna parte. Marshall Kofer era enormemente frustrato dalla situazione. Quella era una “causa stupenda”, una che lui avrebbe colto al volo in un istante, se solo avesse potuto. Non intendeva rinunciare. Spiegò a Samantha che stava presentando il caso alla sua vasta rete di contatti da costa a costa e che contava di riuscire a mettere insieme la giusta squadra di avvocati, una squadra che avrebbe ottenuto i fondi sufficienti da un altro gruppo d’investitori. Era pronto a metterci anche soldi suoi e ad assumere un ruolo attivo nella causa. Si vedeva come l’allenatore a bordo campo, quello che dettava lo schema di gioco al quarterback. Era il giorno dopo Thanksgiving, e Marshall e Samantha erano a pranzo. Samantha avrebbe preferito evitare argomenti riguardanti cause legali, Donovan, il caso Ryzer, la Lonerock Coal e simili, in realtà qualunque cosa avesse a che fare con Brady, la Virginia e gli Appalachi. Ma, mentre giocherellava con la sua insalata, si rese conto che avrebbe dovuto essere grata per la causa. Senza, lei e suo padre avrebbero avuto molto poco di cui discutere. Con la causa, potevano chiacchierare per ore. Marshall parlava sottovoce, con gli occhi che saettavano a destra e a sinistra come se il ristorante potesse essere pieno di spie. «Ho una fonte all’NTSB » annunciò, compiaciuto come sempre quando riusciva a carpire qualche informazione riservata. «Donovan non ha lanciato l’SOS . Stava volando a duemila metri in condizioni meteo normali, nessun segno di problemi e poi, tutto a un tratto, è scomparso dal radar. Se avesse avuto qualcosa al motore, avrebbe avuto tutto il tempo di dirlo e comunicare la sua esatta posizione. E invece niente.» «Forse era in preda al panico» osservò Samantha. «Di sicuro era in preda al panico. L’aereo comincia a perdere quota... accidenti, chiunque si fa prendere dal panico.» «Possono determinare se aveva inserito il pilota automatico?» «No. I piccoli aerei non hanno la scatola nera, per cui non ci sono dati registrati di quello che stava succedendo. Perché chiedi del pilota automatico?» «Perché una volta, mentre eravamo in volo, Donovan mi aveva detto che ogni tanto faceva un pisolino. Il ronzio del motore gli faceva venire sonno, così inseriva il pilota automatico e sonnecchiava un po’. Non sono sicura di come lo si attivi, ma se Donovan si fosse addormentato e in qualche modo avesse premuto il pulsante sbagliato? È possibile?» «Sono tante le cose possibili, Samantha, e la tua teoria mi piace di più dello scenario doloso. Mi è difficile credere che l’aereo sia stato sabotato. Sarebbe omicidio, di gran lunga troppo rischioso perfino per i cattivi con cui Donovan aveva a che fare. Lonerock Coal, Krull Mining, Casper Slate... tutti pessimi soggetti, certo, ma correrebbero il rischio di commettere un omicidio e di essere scoperti? Io non credo. Sarebbe un caso di alto profilo, oggetto di indagini approfondite. Non mi convince.» «Be’, di sicuro convince Jeff.» «Lui ha una diversa prospettiva e lo posso capire. Jeff ha tutta la mia comprensione. Ma cosa ci guadagna quella gente a togliere di mezzo Donovan? Nella causa Krull Mining, ci sono altri tre studi legali al tavolo degli attori e tutti e tre, potrei aggiungere, con molta più esperienza di Donovan in materia di cause per inquinamento.» «Ma Donovan aveva i documenti.» Marshall rifletté per un momento. «Gli altri tre studi sono in possesso di quei documenti?» «Non credo. Ho l’impressione che siano sepolti da qualche parte.» «Be’, in ogni caso la Krull non lo sa, comunque non ancora. In effetti, se io fossi un legale della Krull, partirei dal presupposto che tutti gli avvocati degli attori hanno accesso ai documenti. Per cui, di nuovo, cosa ci guadagnano a farne fuori solo uno dei quattro?» «Se seguiamo la tua linea di ragionamento, la Lonerock Coal e Casper Slate avrebbero avuto un motivo enorme per toglierlo di mezzo. Donovan era il pistolero solitario, come dici tu. Non ci sono altri nomi sulla denuncia. Un bel giorno Donovan muore e nel giro di quarantott’ore i fondi per la causa spariscono. La causa è finita e loro vincono.» Marshall stava scuotendo la testa. Si guardò di nuovo intorno; nessuno aveva notato la loro presenza. «Senti, Samantha, io detesto le società come la Lonerock e gli studi legali come Casper Slate. Mi sono costruito una carriera combattendo contro gente come quella. Li odio, okay? Ma sono rispettabili, con una buona reputazione... accidenti, la Lonerock è quotata in Borsa. Non riuscirai mai a convincermi che sono capaci di assassinare un avvocato che gli ha fatto causa. La Krull è un’altra questione; è una società canaglia di proprietà di un ricco criminale che va in giro per il mondo creando guai. La Krull è capace di tutto ma, di nuovo: perché? Nel lungo termine, avere eliminato Donovan non servirà a migliorare la loro posizione.» «Parliamo d’altro.» «Scusami. Donovan era tuo amico e a me piaceva molto. Mi ricordava me stesso da giovane.» «È una cosa devastante, davvero. Devo tornare a Brady, ma non sono sicura di volerlo.» «Adesso hai dei clienti, persone vere con problemi veri.» «Lo so, papà. Sono un avvocato vero, non un passacarte in uno studio legale industriale. Hai vinto.» «Non è quello che ho detto, e questa non è una competizione.» «Lo hai detto per tre anni, e per te tutto è competizione.» «Siamo un po’ nervosi, vero?» disse Marshall, tendendo un braccio sul tavolino per sfiorare la mano della figlia. «Scusami. So che è stata una settimana difficile.» All’improvviso Samantha sentì gli occhi riempirsi di lacrime e la gola stringersi. «Adesso vorrei andare» disse. 25 Erano in quattro, quattro persone grandi e grosse, arrabbiate e dall’aria rozza, due uomini e due donne, età tra i quarantacinque e i sessant’anni, immaginò Samantha, con i capelli grigi, rotoli di grasso e abiti dozzinali. Erano arrivati in città per un raro Thanksgiving in compagnia della mamma, ma ora erano costretti a trattenersi, perdendo ore di lavoro, per risolvere un pasticcio legale che non era opera loro. Mentre si avvicinava a piedi allo studio, Samantha li vide davanti alla porta d’ingresso, in impaziente attesa dell’apertura, e capì istintivamente chi erano e cosa volevano. Pensò di entrare nel negozio di trapunte, il Betty’s Quilts, e starsene nascosta per un paio d’ore, ma poi di cosa avrebbero parlato, lei e Betty? Così fece il giro dell’isolato ed entrò nello studio dal retro. Accese le luci, preparò il caffè e finalmente andò ad aprire la porta d’ingresso. I quattro stavano ancora aspettando, sempre arrabbiati; era già da parecchio tempo che ribollivano. «Buongiorno» salutò Samantha nel tono più allegro possibile. Anche un cieco avrebbe capito che l’ora successiva sarebbe stata molto sgradevole. Il capo, il più vecchio, ringhiò: «Stiamo cercando Samantha Kofer». Fece un passo avanti, e lo stesso fecero gli altri tre. Sempre sorridendo, Samantha disse: «Sono io. Cosa posso fare per voi?». Una sorella tirò fuori un documento ripiegato e chiese: «È stata lei a scrivere questa roba per Francine Crump?». Il fratello più anziano aggiunse: «È il testamento di nostra madre». Sembrava pronto a sputarle in faccia. Seguirono Samantha nella sala riunioni e si sedettero intorno al tavolo. Samantha offrì gentilmente il caffè e, quando tutti e quattro rifiutarono, andò nel cucinotto e si versò con calma una tazza. Stava prendendo tempo, in attesa che arrivasse qualcun altro. Erano le otto e mezzo e normalmente Mattie sarebbe stata chiusa nel suo ufficio a chiacchierare con Donovan. Samantha però dubitava che quel giorno Mattie sarebbe arrivata prima di mezzogiorno. Con la seconda tazza di caffè, si sedette a capotavola. Jonah, sessantun anni, viveva a Bristol. Irma, sessant’anni, abitava a Louisville. Euna Faye, cinquantasette, viveva a Rome, Georgia. Lonnie, cinquantuno, viveva a Knoxville. DeLoss, il “piccolo” di quarantacinque anni, abitava a Durham e al momento era a casa con la mamma, che era molto turbata. Era stato un Thanksgiving burrascoso. Samantha prese appunti e cercò di far passare un po’ di tempo in modo che i visitatori riprendessero fiato e si calmassero. Dopo dieci minuti di chiacchiere a senso unico, però, fu chiaro che ai quattro prudevano le mani e volevano la rissa. «Cosa diavolo è questo Mountain Trust?» chiese Jonah. Samantha lo descrisse dettagliatamente. Euna Faye dichiarò: «La mamma ci ha detto di non avere mai sentito nominare nessun Mountain Trust. Ha detto che è stata lei a saltarsene fuori con questa cosa. È così?». Samantha spiegò pazientemente che Mrs Crump aveva chiesto il suo consiglio su come lasciare in eredità la sua proprietà. La signora voleva che andasse a una persona o a un’organizzazione che avrebbe protetto quella terra da qualsiasi miniera a cielo aperto. Samantha aveva effettuato alcune ricerche e aveva individuato due organizzazioni non profit negli Appalachi adatte allo scopo. I quattro ascoltarono attenti, ma non sentirono una parola. «Perché non ci ha informati?» chiese sgarbatamente Lonnie. Quindici minuti di riunione ed era già evidente che non esisteva una vera gerarchia in quella famiglia. Ognuno di loro voleva comandare. Ognuno di loro cercava di essere l’osso più duro. Anche se si sentiva sotto attacco, Samantha rimase calma e cercò di capire. Quelle non erano persone ricche, anzi, lottavano per restare nella classe media. Un’eredità sarebbe stata un colpo di fortuna, di cui avevano certamente bisogno. La proprietà di famiglia era di trentadue ettari, molto più di quanto ciascuno di loro avesse mai posseduto. Samantha spiegò che la sua cliente era Francine Crump, non la famiglia di Francine Crump. E la sua cliente non aveva voluto che i figli sapessero cosa stava facendo. «Lei pensa che la mamma non si fidi di noi, della sua carne e del suo sangue?» domandò Irma. In base alle conversazioni con Francine, per Samantha era abbondantemente chiaro che la signora non si fidava affatto dei suoi figli, e al diavolo la carne e il sangue. Ma rispose con calma: «Io so solo quello che mi ha detto la mia cliente. È stata molto chiara su quello che voleva e che non voleva». «Lei ha diviso la nostra famiglia, se ne rende conto?» intervenne Jonah. «Ha scavato un solco tra una madre e i suoi cinque figli. Non riesco a capire come lei possa avere fatto una cosa così scorretta.» «È la nostra terra» borbottò Irma. «La nostra terra.» Lonnie si picchiettò la tempia e disse: «La mamma non è del tutto a posto, se capisce cosa intendo. È già da un po’ che non c’è di testa, Alzheimer probabilmente, o qualcosa del genere. Avevamo paura che potesse combinare qualche stupidaggine con la nostra terra, capisce, ma mai niente del genere». Samantha spiegò che, il giorno della firma del testamento, lei e altri due avvocati dello studio avevano trascorso del tempo con Mrs Crump, e tutti e tre si erano convinti che la signora sapesse perfettamente cosa stava facendo. Mrs Crump era legalmente “capace di intendere e di volere”, e questo era ciò che richiedeva la legge. Il testamento avrebbe retto in tribunale. «Col cavolo che reggerà» ribatté rabbioso Jonah. «Non finirà in tribunale perché sta per essere cambiato.» «Questo dipende da vostra madre» osservò Samantha. Euna Faye guardò il proprio cellulare e disse: «Ci sono, DeLoss e la mamma. Sono parcheggiati qui fuori». «Possono entrare?» chiese Lonnie. «Naturalmente» rispose Samantha, perché non c’era altro da dire. Francine sembrava ancora più debole e fragile di quanto fosse stata un mese prima. I cinque figli scattarono tutti in piedi e andarono ad aiutare la loro amata madre mentre varcava faticosamente la porta d’ingresso, si trascinava lungo il corridoio ed entrava nella sala riunioni. La sistemarono su una sedia e si raccolsero intorno a lei. Poi guardarono tutti Samantha. Francine si godeva l’attenzione e sorrise al suo avvocato. «Forza, mamma» la sollecitò Lonnie. «Dille quello che hai detto a noi sulla firma del testamento, che non ti ricordi e...» Euna Faye si inserì interrompendolo: «Che non avevi mai saputo di nessun Mountain Trust e che non vuoi che si prenda la nostra terra. Dài, forza». «È la nostra terra» ripeté Irma per la decima volta. Francine esitò, come se avesse avuto bisogno di ulteriori sollecitazioni, ma alla fine disse: «È che quel testamento non mi piace più». “Cosa ti hanno fatto, vecchia? Ti hanno legata a un albero e ti hanno picchiata con un manico di scopa?” avrebbe voluto chiedere Samantha. “E com’è stata la cena di Thanksgiving, con tutti i familiari che si passavano il nuovo testamento e schiumavano talmente di rabbia da rischiare un infarto?” Ma, prima che potesse reagire, Annette entrò nella stanza e augurò a tutti il buongiorno. Samantha la presentò velocemente ai rampolli Crump e, altrettanto velocemente, Annette lesse perfettamente la situazione e scostò una sedia dal tavolo. Non si tirava mai indietro davanti a un confronto, e in quel momento Samantha avrebbe potuto abbracciarla. «I Crump non sono contenti del testamento che abbiamo redatto il mese scorso» disse. «E non siamo contenti neanche di voialtri avvocati» tenne a precisare Jonah. «Proprio non capiamo come avete potuto complottare alle nostre spalle per tentare di tagliarci fuori in questo modo. Non c’è da meravigliarsi se la vostra categoria ha una reputazione così brutta. Accidenti, ve la guadagnate giorno dopo giorno.» Con freddezza, Annette chiese: «Chi ha trovato il nuovo testamento?». Fu Euna Faye a rispondere: «Nessuno. L’altro giorno la mamma ne stava parlando, e dopo tanti discorsi lei è andata a prenderlo. Per poco non ci è venuto un colpo quando abbiamo letto cosa ci avevate messo dentro. Fin da quando eravamo bambini, mamma e papà hanno sempre detto che la terra sarebbe rimasta in famiglia. E adesso voi cercate di tagliarci fuori per regalarla a un branco di ambientalisti fanatici di Lexington. Dovreste vergognarvi». «Vostra madre vi ha spiegato che è venuta da noi e ci ha chiesto di redigere, gratuitamente, un testamento che lasciava la proprietà a qualcun altro?» chiese Annette. «Su questo è stata chiara?» «Non è sempre lucidissima in questi giorni» disse DeLoss. Francine gli lanciò un’occhiataccia e scattò: «Sono più lucida di quello che credi tu». «Dài, mamma...» disse Euna Faye, mentre Irma toccava Francine per calmarla. Samantha guardò la vecchia signora e le chiese: «Allora, vuole che prepari un nuovo testamento?». Tutti e sei annuirono all’unisono, anche se Francine lo fece a un ritmo palesemente più lento. «Okay, e presumo che il nuovo testamento lascerà il terreno ai suoi cinque figli in parti uguali, giusto?» Tutti e sei confermarono. Annette disse: «Molto bene. Saremo liete di provvedere. Tuttavia la mia collega ha lavorato per parecchie ore ricevendo a colloquio Mrs Crump, fornendo consulenza legale e redigendo l’attuale testamento. Come sapete, noi non addebitiamo nulla per i nostri servizi, ma questo non significa che non abbiamo dei limiti. Abbiamo moltissimi clienti e siamo sempre indietro con il lavoro. Prepareremo un nuovo testamento, ma poi basta. Se cambierà ancora idea, Mrs Crump, dovrà rivolgersi a un altro studio. Ha capito?». Francine fissò inespressiva il tavolo, mentre i suoi cinque figli annuivano. «Quanto ci vorrà?» chiese Lonnie. «Io sto perdendo ore di lavoro.» «Anche noi» ribatté seccamente Annette. «Abbiamo altri clienti, altri impegni. In effetti, sia Ms Kofer che io dobbiamo essere in tribunale fra trenta minuti. E la vostra non è una faccenda di particolare urgenza.» «Oh, andiamo!» latrò Jonah. «Si tratta di un semplice testamento, sì e no un paio di pagine, ci metterete un quarto d’ora. Mentre voi preparate il testamento, noi accompagniamo la mamma al bar a fare colazione, poi la riportiamo qui a firmarlo.» «Noi non ce ne andiamo finché il nuovo testamento non è firmato» dichiarò arrogante Irma, come se lei e i fratelli avessero potuto accamparsi nella sala riunioni. «Oh, invece sì» fece Annette. «Altrimenti chiamo lo sceriffo. Samantha, quando pensi che sarà pronto il testamento?» «Mercoledì pomeriggio.» «Perfetto. Mrs Crump, ci vediamo mercoledì.» «Ma insomma!» esplose DeLoss, scattando in piedi rosso in viso. «Avete già quel maledetto documento nel computer. Dovete solo fare le modifiche e stamparlo, ci vorranno meno di cinque minuti. Poi la mamma lo firma. Non possiamo stare qui a ciondolare per tutta la settimana. Dovevamo ripartire ieri.» «Signori, sto chiedendo a tutti voi di andarvene immediatamente» disse Annette. «E se volete un servizio più veloce, Main Street è piena di avvocati.» «Avvocati veri, si spera» sibilò Euna Faye, alzandosi dal tavolo. Anche gli altri si alzarono lentamente in piedi e aiutarono Francine ad andare verso la porta. Mentre stavano uscendo, Samantha domandò: «Vuole davvero un nuovo testamento, Mrs Crump?». «Ci può giurare che lo vuole» disse Jonah, pronto a sferrare un pugno. Francine però non rispose. Uscirono senza aggiungere altro, sbattendo la porta. Quando questa smise di vibrare, Annette disse: «Non preparare il testamento. Aspetta che lascino la città, poi telefona a Francine e dille che noi non ne vogliamo sapere. Le hanno puntato la pistola alla testa. Tutta questa faccenda mi puzza. Se Francine vuole un nuovo testamento, che lo paghi. I Crump possono mettere insieme duecento dollari. Noi abbiamo sprecato già abbastanza tempo». «D’accordo. Dobbiamo andare in tribunale?» «Sì. Ho ricevuto una telefonata, ieri sera. Phoebe e Randy Fanning sono in carcere, li hanno arrestati sabato con un carico di metanfetamina. Li aspettano anni di galera.» «Wow. Alla faccia di un tranquillo lunedì. Dove sono i figli?» «Non lo so, ma dobbiamo scoprirlo.» La retata aveva intrappolato sette membri della banda, anche se la polizia di Stato prevedeva altri arresti. Phoebe sedeva accanto a Randy in prima fila; c’era anche Tony, che era uscito di galera solo quattro mesi prima e ora stava per tornarci per un decennio. Di fianco a Tony sedeva uno dei gorilla che avevano minacciato Samantha, in occasione della sua prima esperienza in tribunale. Gli altri tre sembravano arrivare direttamente dal casting: capelli lunghi e sporchi, tatuaggi che salivano strisciando fino al collo, visi non rasati, gli occhi gonfi e arrossati dei tossici che si sono strafatti per molto tempo. Uno alla volta, andarono davanti al banco del giudice, dichiararono di essere innocenti e tornarono a sedersi. Annette convinse Richard, il pubblico accusatore, a concederle un momento in privato con Phoebe. Si spostarono in un angolo, con un vicesceriffo accanto a loro. Phoebe era dimagrita dall’ultima volta e il viso mostrava la devastazione della dipendenza da met. Gli occhi le si riempirono subito di lacrime e le sue prime parole furono: «Mi dispiace tanto, non riesco a crederci». Annette non mostrò alcuna comprensione. «Non scusarti con me. Non sono tua madre. Sono qui perché sono preoccupata per i tuoi figli. Dove sono?» Parlava a voce bassa, ma con durezza. «Da un’amica. Puoi farmi uscire?» «Noi non facciamo cause penali, Phoebe, solo civili. Tra pochi minuti la corte ti assegnerà un altro avvocato.» Le lacrime svanirono con la stessa rapidità con cui si erano materializzate. «Adesso cosa succederà ai miei bambini?» chiese Phoebe. «Be’, se le accuse si avvicinano anche solo di poco alla verità, tu e Randy passerete parecchi anni in prigione, in strutture separate, naturalmente. Hai qualche parente che possa crescere i tuoi figli?» «Non credo. No. La mia famiglia mi ha voltato le spalle. I parenti di Randy sono tutti dentro, a parte sua madre che però è pazza. Io non posso andare in prigione, capisci? Devo occuparmi dei miei figli.» Tornarono le lacrime, che le gocciolarono immediatamente dalle guance. Phoebe si piegò in due come se qualcuno le avesse sferrato un pugno nella pancia e cominciò a tremare. «Non possono prendersi i miei figli» disse a voce troppo alta. Il giudice lanciò un’occhiata. Samantha non poté fare a meno di pensare: “I tuoi figli dov’erano mentre spacciavi?”. Passò a Phoebe un fazzolettino di carta e le diede qualche colpetto sulla spalla. «Vedrò cosa posso fare» disse Annette. Phoebe si riunì al gruppo in tuta arancione. Samantha e Annette presero posto sull’altro lato dell’aula. Annette mormorò: «Tecnicamente non è più nostra cliente. Il nostro mandato si è estinto quando abbiamo ritirato la domanda di divorzio». «Allora perché siamo qui?» «Il Commonwealth cercherà di annullare la potestà genitoriale. È qualcosa che dovremo monitorare, ma non c’è molto che possiamo fare.» Annette e Samantha guardarono e aspettarono per qualche minuto mentre il pubblico accusatore e il giudice discutevano la questione delle udienze relative alle cauzioni. Annette lesse un SMS ed esclamò: «Oh, Gesù. L’FBI ha fatto irruzione nello studio di Donovan, e Mattie ha bisogno di aiuto. Andiamo». «L’FBI ?» «Allora ne hai sentito parlare?» bisbigliò Annette, mentre si alzava in piedi e si affrettava lungo la corsia centrale. Sul portoncino dello studio di Donovan, tenuto aperto da una bietta, c’era ancora la corona di fiori. All’interno Dawn, la segretaria, sedeva alla sua scrivania e si asciugava le lacrime. Indicò con il dito e disse: «Là dentro». Dalla sala riunioni alle sue spalle arrivavano voci molto alte. Mattie stava gridando a qualcuno. Quando Annette e Samantha entrarono, vennero salutate da: «E voi chi diavolo siete?». C’erano almeno quattro giovani uomini in abito scuro, tutti molto tesi e pronti a impugnare la pistola. Scatole di pratiche erano impilate sul pavimento, i cassetti erano aperti, il tavolo era coperto di carte. Era il capo, un certo agente Frohmeyer, quello che stava abbaiando. Prima che Annette potesse rispondergli, grugnì di nuovo: «Chi diavolo siete voi due?». «Sono avvocati e lavorano con me» rispose Mattie. Indossava jeans e felpa, ed era chiaramente agitata. «Come le ripeto, io sono la zia di Donovan Gray e sono anche il legale garante del testamento.» «E io glielo chiedo di nuovo: è stata nominata formalmente dalla corte?» disse Frohmeyer. «Non ancora. Mio nipote è stato sepolto mercoledì scorso. Non ha il minimo senso della decenza?» «Io ho un mandato di perquisizione, signora, ed è tutto quello che mi interessa.» «Questo l’ho capito. Vuole almeno permetterci di leggere il mandato, prima di cominciare a portare via roba?» Frohmeyer afferrò il mandato di perquisizione dal tavolo e lo tese a Mattie. «Ha cinque minuti, signora, non uno di più.» Gli agenti uscirono dalla stanza. Mattie chiuse la porta e si portò l’indice sulle labbra. Il messaggio era chiaro: “Non dite niente di importante”. «Cosa sta succedendo?» chiese Annette. «Chi lo sa? Dawn mi ha telefonato in preda al panico subito dopo che i gorilla hanno fatto irruzione. Ed eccoci qui.» Stava leggendo velocemente il mandato di perquisizione quando cominciò a mormorare tra sé: «Ogni e qualsivoglia pratica, file, appunto, reperto, riassunto, su carta o in video, audio, su supporto elettronico, digitale o in qualsiasi altra forma, riguardanti, attinenti o in qualsiasi modo concernenti la Krull Mining o una sua sussidiaria e... e qui c’è l’elenco di tutti i quarantuno attori della causa Hammer Valley». Mattie voltò pagina, diede una scorsa veloce, voltò un’altra pagina. «Be’, se si prendono i computer, avranno accesso a tutto» osservò Annette «che sia coperto dal mandato o no.» «Sì, tutto quello che c’è qui dentro» confermò Mattie. Strizzò l’occhio ad Annette e Samantha, quindi voltò di nuovo pagina. Lesse qualcos’altro, borbottò qualcos’altro, poi gettò il mandato sul tavolo e disse: «È un assegno in bianco. Possono prendere qualsiasi cosa dall’ufficio, che sia collegata alla causa Hammer Valley o no». Frohmeyer bussò e contemporaneamente aprì la porta. «Tempo scaduto, signore» declamò come un cattivo attore, mentre gli altri agenti ricomparivano in massa. Adesso erano in cinque, e tutti non aspettavano altro che un po’ di movimento. Frohmeyer aggiunse: «Se adesso volete togliervi dai piedi, per favore...». «Sicuro» disse Mattie. «Ma, come esecutore testamentario, voglio un inventario di tutto quello che portate via.» «Certo, appena sarà stata nominata formalmente.» Due agenti stavano già aprendo altri armadietti. «Tutto!» gridò quasi Mattie. «Sì, sì» disse Frohmeyer, liquidandola con un cenno della mano. «Buona giornata, signore.» Mentre le tre avvocatesse uscivano dalla stanza, Frohmeyer aggiunse: «Tanto perché lei lo sappia, in questo momento c’è un’altra squadra che sta perquisendo l’abitazione». «Splendido. E cosa potete mai cercare lì?» «Si legga il mandato di perquisizione.» Erano scosse, confuse e sospettavano che qualcuno le stesse tenendo d’occhio, così decisero di non andare alla Legal Aid Clinic. Si diressero al Brady Grill e trovarono un séparé in fondo dove si sentirono abbastanza al sicuro. Mattie, che non sorrideva da una settimana, stava quasi ridendo quando disse: «Non troveranno niente nei computer, Jeff ha rimosso gli hard drive mercoledì scorso, prima del funerale». «Allora torneranno a cercarli» osservò Samantha. Mattie scrollò le spalle. «E allora? Non possiamo controllare quello che fa l’FBI .» «Vediamo se ho capito bene» disse Annette. «La Krull Mining è convinta che Donovan sia riuscito in qualche modo a mettere le mani su documenti che non dovevano essere in suo possesso, il che probabilmente è vero. Adesso che la causa è stata intentata, quelli della Krull hanno il terrore che i documenti vengano divulgati. Così si rivolgono al procuratore federale, il quale apre un fascicolo, per furto, immagino, e manda i suoi gorilla a cercare i documenti. Ora che Donovan è morto, pensano che non possa più tenerli nascosti.» «Più o meno è così» aggiunse Mattie. «La Krull Mining si serve del procuratore federale per fare pressione sugli attori e i loro avvocati. Tu minaccia un’azione penale, e il carcere, e i tuoi avversari gettano subito la spugna. È un vecchio trucco, che fra l’altro funziona.» «Un motivo in più per evitare le cause in tribunale» disse Samantha. «Sei davvero l’esecutore testamentario?» chiese Annette. «No. L’esecutore è Jeff. Io sono il suo legale e anche il garante del testamento. Donovan lo aveva aggiornato due mesi fa, lo teneva sempre aggiornato. L’originale è sempre stato nella mia cassetta di sicurezza in banca. Ha lasciato metà dei suoi beni a Judy e a sua figlia, parte della quale in un fondo vincolato, e l’altra metà l’ha divisa in tre: un terzo a Jeff, un terzo a me e un terzo a un gruppo di organizzazioni non profit che operano qui negli Appalachi, compresa la Legal Aid Clinic. Mercoledì mattina Jeff e io andremo in tribunale per aprire la successione. A quanto pare, il nostro primo compito sarà cercare di ottenere l’inventario dall’FBI .» «Judy sa di non essere lei l’esecutore?» domandò Annette. «Sì, ne abbiamo parlato diverse volte dopo il funerale. A Judy sta bene. Tra noi c’è un buon rapporto. Lei e Jeff... be’, è un’altra storia.» «Hai idea della consistenza dell’eredità?» «Non proprio. Jeff ha gli hard drive e sta mettendo insieme l’elenco delle cause in corso, alcune delle quali dovranno aspettare ancora anni prima di arrivare alla conclusione. Gli atti di Hammer Valley sono appena stati depositati e presumo che gli avvocati degli altri attori prenderanno la palla al balzo e andranno avanti con la causa. Al momento il caso Ryzer sembra essere morto. Poi c’è l’accordo verbale con la Strayhorn Coal per chiudere il caso Tate a un milione e settecentomila dollari.» «Sospetto che in banca ci siano altri soldi» disse Annette. «Io ne sono sicura. Inoltre Donovan aveva decine di altri casi più piccoli. Non so bene che fine faranno. Forse noi potremmo gestirne due o tre, ma non di più. Io dicevo sempre a Donovan che doveva trovarsi un socio, o almeno un buon associato, ma a lui piaceva starsene per conto suo. Raramente seguiva i miei consigli.» «Mattie, Donovan ti adorava, lo sai» disse Annette. Ci fu un momento di silenzio raccolto. La cameriera riempì di nuovo le tazze e, mentre si allontanava, Samantha si rese conto che era la stessa ragazza che l’aveva servita la prima volta che era stata al Brady Grill. Donovan l’aveva appena salvata da Romey e dalla prigione e Mattie la stava aspettando allo studio per il colloquio. Erano passati nemmeno due mesi, ma sembravano anni. Adesso Donovan era morto e stavano parlando della sua eredità. Mattie deglutì e disse: «Nel tardo pomeriggio dobbiamo incontrarci con Jeff per discutere di alcune questioni. Solo noi tre, lontano dall’ufficio». «Perché sono compresa anch’io?» chiese Samantha. «Sono solo una stagista, una di passaggio, come ami dire.» «Bella domanda» osservò Annette. «Jeff vuole che tu ci sia» disse Mattie. 26 Jeff prese una camera allo Starlight Motel, venti dollari l’ora, e cercò di convincere il direttore che non stava organizzando niente di immorale. Il direttore finse sorpresa e incomprensione, finse addirittura di sentirsi un po’ offeso all’idea che qualcuno potesse ipotizzare comportamenti scorretti in un albergo a ore come il suo. Jeff gli spiegò che aspettava tre donne, tutte avvocato, una delle quali sua zia sessantenne, e che avevano solo bisogno di un posto tranquillo dove discutere alcune questioni riservate. Fatti vostri, disse il direttore. Desidera la fattura? No. In un’altra giornata, Mattie avrebbe potuto infastidirsi al pensiero che qualcuno vedesse la sua auto al motel, ma una settimana dopo la morte di Donovan non le importava affatto. Era troppo stordita per preoccuparsi di tali banalità. Quella era una piccola città: che chiacchierassero pure. La sua mente era concentrata su questioni di gran lunga più importanti. Annette era seduta davanti in auto, Samantha era dietro e, quando parcheggiarono di fianco al pick-up, notò che Jeff era sulla soglia della camera che era stata occupata da Pamela Booker. In quella accanto avevano dormito Trevor e Mandy. Per quattro notti – molto tempo prima, le sembrava – i Booker avevano trovato rifugio nel motel dopo avere vissuto in macchina per un mese. Con l’impavida azione legale di Samantha e la generosità della Legal Aid Clinic, la famiglia Booker era stata salvata da una vita allo stato brado e ora viveva tranquilla in un caravan in affitto pochi chilometri fuori Colton. Pamela lavorava di nuovo alla fabbrica di lampade. La causa contro la Top Market Solutions, la prima di Samantha, era ancora in sospeso, ma la famiglia era felice e al sicuro. «Probabilmente è già stato qui» disse Annette, mentre tutte e tre guardavano Jeff. «Adesso basta» fece Mattie. Le tre donne scesero dall’auto ed entrarono nella minuscola stanza. «Fai proprio sul serio con questa storia dello spionaggio, vero?» chiese Annette, la quale chiaramente non faceva affatto sul serio. Jeff si appoggiò ai cuscini sul letto traballante e indicò con un gesto tre sedie dozzinali. «Benvenute allo Starlight.» «Ci sono già stata» disse Samantha. «Chi era il fortunato?» «Non sono affari tuoi.» Le tre donne si sedettero. Sul letto c’erano fascicoli e blocchi per gli appunti. «Sì, faccio maledettamente sul serio con questa storia dello spionaggio» disse Jeff. «Lo studio di Donovan era infestato di cimici. Lo stesso casa sua. Mio fratello sospettava che loro, chiunque siano, guardassero e ascoltassero, quindi è meglio non correre rischi.» «L’FBI cos’ha portato via da casa?» chiese Mattie. «Sono stati là dentro due ore e non hanno trovato niente. Hanno preso i computer, ma a quest’ora avranno già visto che gli hard drive sono stati sostituiti. Tutto quello che troveranno è una montagna di insulti a chiunque stia ficcando il naso. Per cui immagino che torneranno. Non importa. Non troveranno niente.» «Tu sei consapevole che ti stai muovendo ai margini della legge» disse Annette. Jeff sorrise e si strinse nelle spalle. «Sai che impressione. E tu credi che in questo momento la Krull Mining se ne stia seduta tranquilla, preoccupandosi di chi gioca secondo le regole? No, non è così. In questo momento sono al telefono con il procuratore federale, ansiosi di sapere cosa hanno raccolto i ragazzi dell’FBI nei loro raid di oggi.» «È un’indagine penale, Jeff» osservò Annette con una punta di acidità. «Un’indagine mirata a Donovan e a quelli che lavoravano con lui. In primo luogo a te, se sei davvero in possesso di documenti acquisiti illegalmente, o se hai accesso a quei documenti. Quella gente non scomparirà solo perché l’hai battuta in astuzia con gli hard drive.» «Io non ho i documenti» disse Jeff con noncuranza, dichiarazione alla quale nessuno credette. Mattie agitò una mano e disse: «Va bene, va bene, adesso basta. Mercoledì dobbiamo andare in tribunale per aprire la successione e io pensavo che avremmo parlato di questo». «Sì, ma ci sono questioni più urgenti. Io sono convinto che mio fratello sia stato assassinato. Non è stato un incidente. L’aereo è stato messo in sicurezza e io ho assunto due esperti che lavoreranno con la polizia di Stato in Kentucky. Per ora non c’è niente di nuovo, ma stanno ancora effettuando i test. Donovan si era fatto un sacco di nemici, ma nessuno più potente della Krull Mining. Alcuni documenti sono scomparsi e la Krull sospettava che fosse stato Donovan a metterci le mani sopra. Quelle carte sono mortali e la Krull Mining stava sudando sangue nell’attesa di vedere se Donovan avrebbe intentato causa. Lui lo ha fatto e li ha spaventati a morte, ma senza rivelare niente che provenisse da quei documenti. Adesso mio fratello è morto e la Krull immagina che sarà difficile esibire quel materiale. Il prossimo bersaglio potrei essere io. So che mi stanno seguendo, e probabilmente anche ascoltando. La Krull si serve dell’FBI per fare il lavoro sporco. Stanno stringendo il cappio, per cui di tanto in tanto io sparirò. Se qualcuno si farà male, probabilmente sarà il tizio che mi segue. Sono incazzato per mio fratello e il dito sul grilletto mi prude da morire.» «Andiamo, Jeff...» disse Mattie. «Parlo sul serio, Mattie. Se hanno fatto fuori una persona in vista come Donovan, non esiteranno un secondo a eliminare uno fuori dal giro come me, specie se credono che abbia io i documenti.» Samantha aveva socchiuso una finestra nel vano tentativo di avere un po’ di aria fresca. Il soffitto bianco era sporco di nicotina e c’erano vecchie macchie sulla pelosa moquette verde. Non ricordava che la stanza le fosse così deprimente quando c’erano stati i Booker. Adesso invece voleva andarsene. Alla fine sbottò: «Chiedo scusa. Non so bene cosa ci faccio qui. Io sono solo una stagista di passaggio, come ben sappiamo, e non voglio ascoltare quello che sto ascoltando, okay? Qualcuno ha intenzione di spiegarmi, per favore, perché sono qui?». Annette alzò gli occhi al cielo per la frustrazione, Mattie si mise a braccia conserte. Fu Jeff a rispondere: «Perché ti ho invitata io. Donovan ti ammirava e ti ha detto cose in confidenza». «Davvero? Scusa, non me n’ero accorta.» «Tu fai parte della squadra, Samantha» ribadì Jeff. «Quale squadra? Io non ho chiesto di farne parte.» Si massaggiò le tempie come se avesse avuto mal di testa. Ci fu un momento di silenzio, poi Mattie disse: «Dobbiamo parlare dell’eredità». Jeff tese una mano verso una pila di fogli, ne afferrò alcuni e li fece circolare. «Questo è l’elenco approssimativo dei casi pendenti.» Samantha si sentì come un guardone mentre leggeva informazioni che nessuno studio legale, grande o piccolo, avrebbe mai divulgato spontaneamente. A pagina 1, sotto il titolo “Importanti”, erano elencati quattro casi: la causa Hammer Valley, la causa Ryzer contro Lonerock Coal e i suoi avvocati e il verdetto Tate. Il quarto era quello relativo all’Eastpoint Mining per l’omicidio colposo di Gretchen Bane, il cui nuovo processo era programmato per maggio. «Per il caso Tate c’era un accordo verbale, ma non ho trovato niente di scritto» disse Jeff, voltando pagina. «Per gli altri tre ci vorranno anni prima di arrivare a una conclusione.» «Puoi scordarti di Ryzer, a meno che non arrivino altri avvocati» disse Samantha. «Il litigation fund ha annullato il finanziamento. Noi chiederemo l’indennità per il polmone nero, ma la causa di Donovan per frode e associazione per delinquere non andrà più da nessuna parte.» «Perché non te ne occupi tu?» suggerì Jeff. «Conosci i fatti.» La proposta scioccò Samantha, che rise sarcastica. «Stai scherzando? Parliamo di un complicato caso federale per risarcimento danni che coinvolge diversi Stati, un caso basato su una teoria che deve ancora essere dimostrata. Io devo ancora vincere la mia prima causa e sono tuttora terrorizzata dai dibattimenti in aula.» Mattie, che stava sfogliando le pagine, disse: «Jeff, la Legal Aid Clinic può farsi carico di alcune pratiche, ma non di tutte. Qui conto quattordici casi di polmone nero. Tre omicidi colposi. Una decina di denunce per reati ambientali. Non so come facesse Donovan a seguire tutta questa roba». «Okay, eccovi una domanda da non avvocato» disse Jeff. «È possibile assumere qualcuno che venga a gestire lo studio, si occupi dei casi minori e magari dia una mano in quelli più importanti? Io non lo so, sto solo chiedendo.» Annette stava già scuotendo la testa. «I clienti non resterebbero, perché il nuovo avvocato per loro sarebbe un estraneo. E puoi essere sicuro che gli altri legali della città stanno già volando in cerchio come avvoltoi. Nel giro di un mese tutti i casi più interessanti di questo elenco saranno spariti.» «E a noi resteranno gli scarti» aggiunse Mattie. «Jeff, non c’è modo di tenere aperto lo studio perché non c’è nessuno che lo diriga» riprese Annette. «Noi ci prenderemo in carico quello che potremo. La causa Hammer Valley ha alle spalle un lavoro legale di grande talento. Scordati di Ryzer. Per quanto riguarda il caso Bane, Donovan aveva un collega associato in West Virginia, per cui se la causa andrà in porto, gli eredi avranno diritto a una parcella, ma non sarà un granché. Non conosco gli altri casi di omicidio colposo, ma mi sembra che le prove della responsabilità della controparte non siano troppo solide.» «Sono d’accordo» disse Mattie. «Nei prossimi giorni esamineremo più a fondo tutte le pratiche. Il caso più significativo è il verdetto Tate, ma quei soldi non sono ancora in banca.» «È meglio che esca da qui» disse Samantha. «Sciocchezze» ribatté Mattie. «L’omologazione di un testamento non è una questione confidenziale, Samantha. La pratica del tribunale sarà un documento pubblico e chiunque potrà andare in cancelleria a dare un’occhiata. Inoltre, non esistono veri segreti qui a Brady. Ormai dovresti saperlo.» Jeff, che stava distribuendo altri fogli, disse: «La segretaria di Donovan e io abbiamo esaminato questi conti durante il weekend. La parcella Tate è di quasi settecentomila dollari...». «Meno le tasse, naturalmente» precisò Mattie. «Naturalmente. E, come dicevo, abbiamo solo un accordo verbale. Immagino che ora i legali della Strayhorn possano decidere di fare marcia indietro, giusto, Mattie?» «Oh, sì, e non sarà una sorpresa se lo faranno. Con Donovan fuori dal quadro, potrebbero benissimo cambiare strategia e mostrarci il dito medio.» Samantha stava scuotendo la testa. «Un momento. Se hanno già accettato un accordo stragiudiziale, come possono cambiare idea?» «Non c’è niente di scritto» spiegò Mattie. «O almeno niente che abbiamo trovato. Di solito, in un caso come questo, le due parti firmano un breve accordo e poi lo fanno approvare dal tribunale.» «Secondo la segretaria» aggiunse Jeff «nel computer c’è una bozza dell’accordo, che però non è mai stato firmato.» «Per cui siamo fregati» commentò Samantha, lasciandosi sfuggire suo malgrado il “siamo”. «Non necessariamente» replicò Mattie. «Se si rimangiano la parola sull’accordo, la causa va in appello, cosa che non preoccupava affatto Donovan. Quello in primo grado è stato un bel processo pulito, senza errori procedurali che possano determinarne l’invalidità, almeno a parere di Donovan. Tra circa diciotto mesi il verdetto dovrebbe essere confermato in appello. Se la Corte Suprema dovesse annullare la sentenza, si ripartirebbe con un nuovo processo.» «E chi sarebbe l’avvocato della parte attrice?» domandò Samantha. «Ce ne preoccuperemo se e quando succederà.» «Cos’altro c’è nell’eredità?» chiese Annette. Jeff stava guardando gli appunti che aveva scritto a mano. «Be’, prima di tutto Donovan aveva una polizza vita di mezzo milione di dollari. La beneficiaria è Judy e, secondo il commercialista, quei soldi non rientrano nell’asse ereditario. Quindi Judy è sistemata piuttosto bene. Donovan aveva quarantamila dollari in un conto bancario personale, centomila nel conto dello studio e trecentomila in un fondo d’investimento. Inoltre aveva un fondo spese per le cause di duecentomila dollari. C’è il Cessna, che adesso naturalmente non vale niente, ma che è assicurato per sessantamila dollari. La casa e relativo terreno sono stimati dalla contea sui centoquarantamila, e Donovan vuole che vengano venduti. L’immobile sede dello studio vale centonovantamila e, in base al testamento, verrà a me. La casa ha una piccola ipoteca, lo studio no. Poi ci sono i beni meno importanti: la Jeep, il pickup, l’arredamento dello studio e il resto.» «E la fattoria di famiglia?» chiese Annette. «No. Gray Mountain è ancora di proprietà di nostro padre e non parliamo con lui da anni. Non ho bisogno di ricordarvi che non si è fatto vedere al funerale di suo figlio la settimana scorsa. D’altra parte quel terreno non vale molto. Immagino che un giorno sarò io a ereditarlo, ma non è che stia già contando i soldi.» «Sul serio, non credo che dovrei ascoltare questa conversazione» insistette Samantha: «È personale e riservata, e in questo momento ne so più io della moglie di Donovan». Jeff scrollò le spalle e disse: «Andiamo, Samantha». Samantha afferrò il pomolo della porta. «Voi discutete pure di tutto quello che volete. Io ne ho abbastanza. Vado a casa.» Prima che gli altri potessero reagire, era già uscita e stava attraversando a grandi passi il parcheggio a ghiaia. Il motel era al confine della città, non lontano dal carcere dove l’aveva portata Romey appena qualche settimana prima. Aveva bisogno di aria fresca e di camminare, e aveva bisogno di allontanarsi dai ragazzi Gray e da tutti i loro guai. Provava una grande pena per Jeff e per la scomparsa di suo fratello, lei stessa avvertiva una sensazione di vuoto, ma era anche spaventata dalla sprezzante imprudenza di Jeff. Pasticciare con i computer era una garanzia di ulteriori guai con l’FBI . Jeff era abbastanza arrogante da pensare di essere più furbo dei federali e di poter scomparire in qualunque momento avesse voluto, ma lei ne dubitava. Passò davanti ad alcune case in Main Street e sorrise osservando le scene all’interno. Quasi tutte le famiglie stavano cenando o sparecchiando. I televisori erano accesi, i bambini erano a tavola. Passò davanti allo studio di Donovan e avvertì un nodo alla gola. Era morto da una settimana e lei ne sentiva moltissimo la mancanza. Se fosse stato single, non aveva dubbi che, non molto dopo il suo arrivo a Brady, tra loro sarebbe nata qualche forma di relazione. Due giovani avvocati in una piccola città che apprezzano la reciproca compagnia, che flirtano e studiano strategie: sarebbe stato inevitabile. Ripensò agli avvertimenti di Annette riguardo a Donovan, alla sua passione per le donne, e si chiese di nuovo se Annette fosse stata sincera. O aveva cercato semplicemente di difendere i propri interessi? Aveva Donovan tutto per sé e non voleva condividerlo? Jeff era convinto che suo fratello fosse stato assassinato; Marshall no. Ma che importanza aveva tutto questo davanti alla cruda realtà, e cioè che Donovan se n’era andato per sempre? Fece dietro-front e tornò verso il Brady Grill. Entrò, ordinò un’insalata e un caffè e cercò di ammazzare il tempo. Non aveva voglia di tornare in studio, e neppure di starsene seduta nel suo appartamento. Dopo due mesi a Brady, cominciava a sentirne la noia. Le piaceva il suo lavoro e le piacevano i drammi quotidiani alla Legal Aid Clinic, ma la mancanza di qualcosa da fare alla sera stava diventando una spiacevole abitudine. Mangiò in fretta, pagò il conto a Sarge, l’anziano e scontroso proprietario del locale, gli augurò la buonanotte e se ne andò. Erano le sette e mezzo, ancora troppo presto per andare a casa, così riprese la passeggiata, godendosi l’aria frizzante e sgranchendosi le gambe. Aveva già percorso a piedi tutte le strade di Brady e sapeva che erano sicure. Poteva capitare che un cane ringhiasse o che un adolescente fischiasse, ma lei era una ragazza tosta di città e aveva affrontato situazioni peggiori. In una strada buia dietro il liceo sentì dei passi alle spalle, passi pesanti di qualcuno che non si preoccupava di seguirla senza farsi notare. Samantha girò un angolo e i passi fecero lo stesso. Vide una strada fiancheggiata da case, quasi tutte con la luce della veranda accesa, e la imboccò. I passi la seguirono. A un incrocio, e in un punto dove avrebbe potuto urlare e farsi sentire dalla gente, si fermò e si voltò. L’uomo continuò ad avanzare finché fu solo a un metro e mezzo da lei. «Desidera qualcosa?» domandò Samantha, pronta a calciare, a graffiare e a strillare, se fosse stato necessario. «No, sto solo facendo una passeggiata, esattamente come lei.» Maschio bianco, quarant’anni, barba folta, quasi un metro e novanta, capelli cespugliosi che spuntavano da sotto un berretto anonimo e un pesante giaccone. Entrambe le mani infilate nelle grandi tasche. «Stronzate, tu mi stai seguendo. Inventati qualcosa in fretta, prima che mi metta a urlare.» «Lei non sa in cosa si è cacciata, Ms Kofer» disse l’uomo. Leggera cadenza di montagna, sicuramente uno del posto. Ma sapeva il suo nome! «Conosci il mio nome. Qual è il tuo?» «Ne scelga uno. Mi chiami Fred, se vuole.» «Oh, io preferisco Bozo, come il clown. Fred è orribile. Vada per Bozo.» «Come vuole. Mi fa piacere che lei trovi la cosa divertente.» «Cos’hai in mente, Bozo?» Impassibile, immobile, l’uomo rispose: «Si è messa con la gente sbagliata e sta giocando una partita di cui non conosce le regole. Deve tenere il suo bel culetto dentro il centro di assistenza legale, dove può prendersi cura dei poveracci e restare lontano dai guai. Meglio ancora, per lei e per tutti: metta la sua merda in valigia e se ne torni a New York». «Mi stai minacciando, Bozo?» Eccome, se la stava minacciando. E la minaccia veniva formulata in modo teatrale e inequivocabile. «La prenda come vuole, Ms Kofer.» «Mi chiedo per chi lavori. Krull Mining, Lonerock Coal, Strayhorn Coal, Eastpoint Mining... sono tanti i delinquenti tra i quali scegliere. E non dimentichiamo quei criminali ben vestiti di Camper Slate. Chi firma i tuoi assegni, Bozo?» «Mi pagano in contanti» rispose l’uomo, facendo un passo avanti. Samantha alzò entrambe le mani e disse: «Un altro passo, Bozo, e strillerò così forte che mezza Brady si precipiterà qui di corsa». Un rumoroso gruppo di teenager si stava avvicinando alle spalle dell’uomo. Bozo sembrò colto in contropiede e, quasi sottovoce, disse: «La terremo d’occhio». «Anch’io» ribatté Samantha, ma non aveva idea di cosa intendesse. Lasciò uscire il fiato e si accorse di quanto fosse arida la bocca. Il cuore le batteva forte e aveva bisogno di sedersi. Bozo scomparve mentre i ragazzi passavano, senza una parola o un’occhiata. Samantha iniziò un veloce zigzag verso il suo appartamento. A un isolato da casa, un altro uomo si materializzò dall’oscurità e la fermò sul marciapiede. «Dobbiamo parlare.» Era Jeff. «Deve essere proprio la mia serata» disse Samantha, mentre si allontanavano dall’appartamento. Raccontò a Jeff dell’incontro con Bozo, continuando a cercare con gli occhi segni della sua presenza. Ma non c’era niente nell’ombra. Jeff ascoltava e annuiva, come se conoscesse Bozo personalmente. «Ti spiego cosa sta succedendo» disse. «Oggi l’FBI è venuto a trovarci, ma ha fatto visita anche agli altri tre studi legali che avevano firmato per la causa Hammer Valley contro la Krull Mining. Parliamo di avvocati amici di Donovan, erano tutti al suo funerale la settimana scorsa. Due studi a Charleston, uno a Louisville. Legali specializzati in cause per risarcimenti da inquinamento con sostanze tossiche che mettono in comune risorse finanziarie e forza lavoro per combattere i cattivi. Bene, anche loro oggi hanno subito una perquisizione, e questo significa, tra le altre cose, che l’FBI , e riteniamo anche la Krull Mining, ora sanno la verità, e la verità è che Donovan non aveva passato i documenti rubati agli altri avvocati. Non ancora. Non era in programma. Donovan è stato molto cauto con quei documenti: non voleva incriminare i colleghi, per cui si era limitato a comunicare il contenuto delle carte. La strategia concordata consisteva nell’intentare la causa, portare la Krull Mining in tribunale, spingere la società e i suoi avvocati a raccontare un mucchio di bugie sotto giuramento e poi esibire i documenti per la gioia del giudice e della giuria. Secondo l’opinione generale dei legali, quei documenti valgono almeno mezzo miliardo di dollari in danni punitivi. Con ogni probabilità, determineranno anche indagini penali, incriminazioni e altro.» «Quindi l’FBI si ripresenterà presto, e questa volta cercherà te.» «Sì, credo di sì. Sono convinti che Donovan avesse i documenti, adesso sanno per certo che i suoi colleghi non ne sono in possesso, perciò dove sono?» «Dove sono?» «Qui vicino.» «E li hai tu?» «Sì.» Percorsero un isolato senza parlare. Jeff salutò un anziano seduto in veranda con una coperta sulle gambe. Dopo pochi passi, Samantha chiese: «Donovan come se li era procurati?». «Davvero vuoi saperlo?» «Non ne sono sicura. Ma essere informati non è un reato, giusto?» «Sei tu l’avvocato.» Voltarono in una strada meno illuminata. Jeff tossì, si schiarì la voce e cominciò: «All’inizio Donovan aveva assunto un hacker, un israeliano che gira per il mondo offrendo i suoi talenti in cambio di consistenti somme di denaro. La Krull aveva digitalizzato parte della sua documentazione interna e l’hacker si inserì nel sistema senza troppe difficoltà. Trovò del materiale relativo al sito di Peck Mountain e al bacino dei fanghi, abbastanza interessante da eccitare Donovan. Ma era evidente che la Krull teneva un mucchio di dati fuori dal suo sistema di archiviazione digitale. L’hacker si spinse fin dove poteva, poi si tirò fuori, coprì le sue tracce e scomparve. Quindicimila dollari per una settimana di lavoro. Non male, direi. Rischioso, però, perché tre mesi fa si è fatto beccare e adesso si trova in galera a Vancouver. Comunque, Donovan decise di andare a caccia di informazioni nella sede centrale della Krull, che si trova vicino a Harlan, Kentucky. È una piccola cittadina ed è abbastanza strano che una società così importante abbia il proprio quartier generale in un’area rurale come quella, ma non è del tutto insolito nei bacini carboniferi. Donovan ci andò due o tre volte, cambiando sempre travestimento; gli piacevano le avventure di cappa e spada e pensava di essere un vero genio dello spionaggio. E in effetti era molto in gamba. Scelse un weekend festivo, il Memorial Day dell’anno scorso, e il venerdì pomeriggio si presentò travestito da tecnico dei telefoni. Aveva affittato un furgone bianco senza insegne, che lasciò in un parcheggio insieme ad altre auto. Arrivò a mettere targhe false sul furgone. Una volta entrato nella sede, andò a nascondersi in un sottotetto e aspettò la chiusura. All’esterno c’erano guardie della sicurezza armate e telecamere di sorveglianza, ma dentro non c’era granché. Vic e io eravamo appostati nelle vicinanze, entrambi armati e pronti con un piano di emergenza nel caso qualcosa fosse andato storto. Per tre giorni, Donovan rimase chiuso nell’edificio e noi restammo nascosti nel bosco, in osservazione, in attesa, combattendo contro zecche e zanzare. Una cosa tremenda. Ci servivamo di radio ad alta frequenza per restare in contatto e per tenerci svegli l’un l’altro. Donovan trovò la cucina, mangiò tutto il cibo e dormì su un divano nell’atrio. Vic e io dormivamo nei nostri pick-up. Donovan trovò anche i documenti, un tesoro di carte incriminanti che illustravano in dettaglio l’operazione di copertura del sito di Peck Mountain e tutti i relativi problemi. Fece migliaia di fotocopie e poi rimise gli originali al loro posto, come se nulla fosse successo. Quel lunedì, il Memorial Day, arrivò una squadra di addetti alle pulizie e per poco non venne scoperto. Fui io a vederli per primo, così chiamai Donovan e lui fece appena in tempo a tornare nel sottotetto prima che entrassero nell’edificio. Rimase lì dentro tre ore, soffocando per il caldo». «Come portò fuori i documenti?» «Sacchi per la spazzatura. Ne scaricò sette in un cassonetto dietro il palazzo. Noi sapevano che il camion della raccolta sarebbe passato il martedì mattina. Vic e io lo seguimmo alla discarica. Donovan uscì, si cambiò per trasformarsi in un agente dell’FBI e si presentò alla discarica con tanto di distintivo. A quelli che lavorano nella discarica non interessa minimamente da dove arriva la spazzatura, o che cosa le succede, e così, dopo qualche parola decisa dell’agente Donovan, non opposero resistenza. Caricammo i nostri sacchi sul furgone a noleggio e tornammo di corsa a Brady. Per tre giorni lavorammo giorno e notte per classificare i documenti, organizzarli e indicizzarli, poi li nascondemmo in un piccolo deposito non lontano dalla casa di Vic, vicino a Beckley. In seguito li abbiamo spostati, più volte.» «E quei bravi ragazzi della Krull non ebbero mai alcun sentore che qualcuno aveva violato i loro uffici?» «Non fu un’operazione pulitissima. Donovan dovette scassinare qualche serratura e forzare qualche armadietto dell’archivio. Inoltre prese con sé alcuni documenti originali. Lasciò delle tracce. All’esterno c’erano telecamere di sorveglianza e siamo sicuri che abbiano registrato la sua immagine. Ma nessuno potrebbe mai identificarlo con sicurezza per via del travestimento. D’altra parte Donovan e Vic reputavano importante che la Krull sapesse che qualcuno era stato nei suoi uffici. Nel pomeriggio di quel martedì tornammo alla sede e guardammo la scena da lontano. C’erano auto della polizia che andavano e venivano. Quelli della Krull erano chiaramente agitati.» «È una grande storia, ma mi colpisce per l’incredibile spericolatezza.» «Non lo nego. Ma mio fratello era così. La sua filosofia era che siccome i cattivi imbrogliano sempre...» «Lo so, lo so. Lo ha detto anche a me, più di una volta. Cosa c’è negli hard drive del suo computer?» «Niente di particolarmente riservato. Donovan non era stupido.» «Allora perché li hai presi?» «Me lo aveva detto lui. Avevo precise istruzioni, nell’eventualità che gli fosse successo qualcosa. Qualche anno fa c’è stato un caso in Mississippi, l’FBI fece irruzione in uno studio legale e portò via tutti i computer. Donovan viveva nel terrore che capitasse anche a lui.» «E cosa saresti tenuto a fare con i documenti della Krull?» «Devo consegnarli agli altri avvocati prima che li trovi l’FBI .» «L’FBI può trovarli?» «È estremamente improbabile.» Si stavano avvicinando al tribunale da una stretta strada laterale. Jeff estrasse un oggetto dalla tasca e lo porse a Samantha. «È un cellulare prepagato» spiegò. «Il tuo telefono personale.» Samantha lo guardò e disse: «Ho già un telefono. Grazie». «Ma il tuo non è sicuro. Questo sì.» Samantha fissò Jeff, senza prendere il cellulare. «E perché dovrei averne bisogno?» «Per parlare con me e Vic, nessun altro.» Samantha fece un passo indietro e scosse la testa. «Non ci posso credere, Jeff. Se prendo quel cellulare, entro a far parte della vostra piccola associazione per delinquere. Perché proprio io?» «Perché ci fidiamo di te.» «Non mi conoscete neppure. Sono qui solo da due mesi.» «Esatto. Tu non conosci nessuno, non sai niente. Non sei stata corrotta. Non parli perché non hai nessuno con cui parlare. Sei in gamba, sei una compagnia divertente e sei anche molto carina.» «Oh, splendido. Proprio quello che ho bisogno di sentirmi dire. Sarò uno spettacolo in tuta arancione e con le catene alle caviglie.» «Sì, lo saresti. Tu sei spettacolare con qualsiasi cosa addosso, o anche senza niente.» «È una battuta per rimorchiare?» «Può darsi.» «Okay, la risposta è no, non adesso. Jeff, sto seriamente considerando l’idea di fare le valige, saltare sulla mia macchina a nolo, far schizzare la ghiaia da sotto le ruote, come amate dire voi locali, e non fermarmi fino a quando arrivo a New York, che è casa mia. Non mi piace quello che sta succedendo intorno a me e non ho chiesto io tutti questi problemi.» «Non puoi partire. Sai troppo.» «Dopo ventiquattr’ore a Manhattan, dimenticherò tutto, credimi.» In fondo alla strada, Sarge chiuse la porta del locale e si allontanò a passi pesanti. Nient’altro si muoveva in Main Street. Jeff prese delicatamente Samantha per un braccio e la guidò giù dal marciapiede, fino a un punto buio sotto alcuni alberi accanto al monumento ai caduti di Noland County. Indicò qualcosa dietro al tribunale, a due isolati di distanza. Quasi sussurrando, disse: «Vedi quel pick-up Ford nero parcheggiato vicino alla vecchia Volkswagen?». «Io non distinguo un Ford da un Dodge. Chi è?» «Sono in due. Probabilmente il tuo nuovo amico Bozo e un idiota che io chiamo Jimmy.» «Jimmy?» «Jimmy Carter. Grandi denti, grande sorriso, capelli biondo rossiccio.» «Capito, molto spiritoso. E cosa fanno Bozo e Jimmy dentro un pick-up parcheggiato alle otto e mezzo di sera?» «Parlano di noi.» «Voglio andare a New York, dove sarò al sicuro.» «Non posso biasimarti. Senti, io adesso sparirò per un paio di giorni. Per favore, prendi questo cellulare, almeno avrò qualcuno con cui parlare.» Fece scivolare il telefono nella mano di Samantha che, dopo un paio di secondi, lo strinse tra le dita. 27 Nel primo mattino di martedì, Samantha partì da Brady diretta a Madison, West Virginia, un viaggio in auto di un’ora e mezzo che avrebbe potuto durare anche il doppio, se avesse trovato le strade intasate dai camion del carbone e dagli scuolabus. Un vento forte sparpagliava le poche foglie rimaste sugli alberi. I colori erano scomparsi e le catene montuose e le valli erano immerse in una monotona, deprimente tonalità di marrone che non sarebbe cambiata fino a primavera. Per il giorno dopo c’era la possibilità di una leggera nevicata, la prima della stagione. Samantha si sorprendeva a sbirciare nello specchietto retrovisore e, ogni tanto, riusciva a sorridere della propria paranoia. Perché qualcuno avrebbe dovuto sprecare tempo seguendola tra gli Appalachi? Lei era solo una stagista, che giorno dopo giorno sentiva aumentare sempre di più la nostalgia di casa. Aveva in programma di passare il Natale a New York, riallacciando i contatti con gli amici e i luoghi, e si stava già chiedendo se avrebbe avuto il coraggio di tornare. Il suo nuovo cellulare era sul sedile del passeggero. Gli lanciò un’occhiata e si domandò cosa stesse facendo Jeff. Per un’ora, pensò di chiamarlo solo per vedere se il telefonino funzionava, ma sapeva già che era così. E quando, esattamente, si supponeva che lei si servisse del maledetto aggeggio? E a che scopo? Lungo la highway principale a sud della città trovò il luogo dell’appuntamento: la Cedar Grove Missionary Baptist Church. Aveva spiegato ai suoi clienti che dovevano parlare, in privato, e non nella stazione di servizio dove Buddy si faceva il suo caffè del mattino e tutti si sentivano autorizzati a intervenire in ogni conversazione. I Ryzer avevano suggerito la loro chiesa e Samantha aveva ipotizzato che lo avessero fatto perché non volevano che lei vedesse la loro casa. Seduti sul pick-up di Buddy nel parcheggio, i due guardavano passare le rare auto, apparentemente senza una sola preoccupazione al mondo. Mavis abbracciò Samantha come se fosse stata di famiglia e poi tutti e tre si avviarono verso la sala parrocchiale dietro la piccola cappella. La porta non era chiusa a chiave e il grande locale era deserto. Sistemarono tre sedie pieghevoli intorno a un tavolino da gioco e parlarono del tempo e dei programmi per il Natale. Poi, finalmente, Samantha andò al sodo: «Credo che abbiate ricevuto la lettera dallo studio di Donovan con la tragica notizia». I due Ryzer annuirono con aria triste. Buddy mormorò: «Una persona così per bene». Mavis domandò: «Questo avrà delle conseguenze? Voglio dire, per noi e per la causa?». «È la ragione per cui sono qui. Per spiegare e per rispondere alle vostre domande. La richiesta di indennità per il polmone nero andrà avanti, e con la massima velocità. È stata presentata il mese scorso e, come sapete, siamo in attesa degli esami medici. Temo però che la grande causa sia morta, almeno per ora. Quando Donovan ha depositato gli atti a Lexington, agiva da solo. Normalmente per queste grosse cause, e specialmente per quelle che durano anni e si mangiano un sacco di soldi, Donovan metteva insieme una squadra con parecchi colleghi e altri studi legali. Avrebbero suddiviso il lavoro e le spese. Ma per quanto riguarda la vostra causa, Donovan stava ancora cercando di convincere alcuni dei suoi amici avvocati a salire a bordo. E, francamente, loro erano molto riluttanti. Attaccare la Lonerock Coal e cercare di dimostrare un comportamento criminale è un impegno enorme.» «Tutte queste cose ce le avete già spiegate» disse bruscamente Buddy. «Ve le aveva spiegate Donovan. Io ero presente, ma, come dichiarato esplicitamente, non avevo alcuna intenzione di partecipare alla grande causa in veste di avvocato.» «Quindi non abbiamo più nessuno?» domandò Mavis. «È così. In questo momento non c’è nessuno che si occupi della causa, alla quale purtroppo dobbiamo rinunciare. Mi dispiace.» Il respiro di Buddy era già abbastanza laborioso quando era perfettamente sereno, ma il minimo accenno di stress o di disaccordo lo faceva addirittura boccheggiare. «Non è giusto» disse, con la bocca spalancata per succhiare aria. Mavis fissò incredula Samantha, poi si asciugò una lacrima sulla guancia. «No, non è giusto» ammise Samantha. «Ma non è giusto nemmeno quello che è successo a Donovan. Aveva solo trentanove anni e come avvocato stava facendo un lavoro splendido. La sua morte è stata una tragedia assurda, che ha lasciato allo scoperto tutti i suoi clienti. Voi non siete i soli.» «Sospettate qualcosa di doloso?» chiese Buddy. «Le indagini sono ancora in corso e a tutt’oggi non c’è alcuna evidenza che sia stato commesso un reato. Un mucchio di domande senza risposta, ma nessuna prova concreta.» «A me puzza» disse Buddy. «Becchiamo quei figli di puttana con le mani nel sacco, possiamo dimostrare che nascondono dei documenti fottendo la gente, Donovan gli fa causa per un miliardo di dollari e il suo aereo precipita in circostanze misteriose.» «Buddy, controllati» lo rimproverò Mavis. «Siamo in chiesa.» «Questa è la sala parrocchiale. La chiesa è di là.» «È sempre chiesa. Attento a come parli.» Debitamente rimbrottato, Buddy si strinse nelle spalle. «Scommetto che troveranno qualcosa.» «Stanno perseguitando Buddy sul posto di lavoro» disse Mavis. «È cominciato subito dopo che abbiamo depositato gli atti della grande causa a Lexington. Raccontaglielo, Buddy. Lei non crede che sia importante, Samantha? Non deve saperlo anche lei?» «Niente che io non possa gestire» assicurò Buddy. «Solo un leggero atto di disturbo. Mi hanno messo di nuovo su un autocarro. Un po’ più duro che manovrare un escavatore a cingoli, ma non è un grosso problema. E la settimana scorsa mi hanno assegnato tre volte al turno di notte. Il mio programma era già stabilito per mesi e adesso mi sbattono da un turno all’altro. Posso sopportarlo. Ho ancora un lavoro e un buon salario. Accidenti, per come stanno le cose adesso, senza protezione sindacale, potrebbero licenziarmi su due piedi anche domani. E io non potrei farci niente. Hanno fatto fuori il nostro sindacato vent’anni fa e da allora siamo tutti carne da macello. Sono fortunato ad avere ancora un lavoro.» «È vero» disse Mavis «ma non potrai lavorare ancora per molto. Per salire su quel camion, Buddy deve arrampicarsi sui gradini, e ce la fa a malapena. Loro lo tengono d’occhio, aspettano solo che cada o qualcosa del genere, in modo da poter dire che non è più idoneo e di conseguenza rappresenta un pericolo. Così poi possono licenziarlo.» «Possono licenziarmi comunque, l’ho appena detto.» Mavis si morse la lingua mentre Buddy inspirava rumorosamente. Samantha estrasse alcuni fogli dalla valigetta e li posò sul tavolo. «Questo è l’atto di rinuncia all’azione. Ho bisogno che me lo firmi.» «Quale azione?» chiese Buddy, anche se sapeva già la risposta. Si rifiutava di guardare i fogli. «La causa federale contro Lonerock Coal e Casper Slate.» «Chi presenterebbe l’atto di rinuncia?» «Avete conosciuto Mattie, il mio capo allo studio. È la zia di Donovan ed è anche l’avvocato garante del testamento. Il tribunale le conferirà l’autorità di sistemare tutti gli affari di suo nipote.» «E se io non firmassi?» Questo Samantha non lo aveva previsto e, conoscendo ben poco delle procedure federali, non sapeva bene come reagire. Ma una risposta veloce era comunque necessaria: «Se la causa non verrà portata avanti da lei, che è la parte attrice, alla fine sarà il tribunale che provvederà a estinguere l’azione». «Per cui la causa è morta comunque?» chiese Buddy. «Sì.» «Okay, io non lascio perdere. Non firmo.» Mavis sbottò. «Perché non prende il nostro caso? Lei è avvocato.» I Ryzer fissarono attenti Samantha; era chiaro che quell’interrogativo era stato dibattuto a lungo. Questo invece Samantha lo aveva previsto. «Sì, sono avvocato, ma non ho esperienza di tribunali federali e non ho la licenza per esercitare in Kentucky.» I Ryzer assorbirono la risposta senza fare commenti, e senza capirla veramente. Un avvocato è un avvocato, giusto? Mavis cambiò marcia. «Allora, tornando alla domanda di indennità, lei aveva detto che avrebbe calcolato tutti gli arretrati ai quali abbiamo diritto. E anche che, se vinciamo, gli arretrati partiranno dal giorno in cui abbiamo presentato la prima richiesta, più o meno nove anni fa. È esatto?» «Esatto» confermò Samantha, cercando alcuni appunti. «E, in base ai nostri calcoli, la cifra dovrebbe aggirarsi intorno agli ottantacinquemila dollari.» «Non è molto» commentò Buddy disgustato, come se quella somma irrisoria fosse colpa di Samantha. Inspirò con forza e continuò: «Dovrebbero pagarmi di più, molto di più dopo tutto quello che mi hanno fatto. Avrei dovuto smettere di lavorare in miniera dieci anni fa, quando mi sono ammalato, e lo avrei fatto se avessi ottenuto l’indennità. Invece no, cavolo, no, ho dovuto continuare a lavorare e a respirare le polveri». «Ammalandoti sempre di più» aggiunse Mavis in tono grave. «Adesso potrò lavorare ancora per un anno, due al massimo. E anche se li porteremo in tribunale, non dovranno pagare quasi nulla. Non è giusto.» «Sono d’accordo» disse Samantha. «Ma ne abbiamo già parlato, Buddy, più di una volta.» «È per questo che voglio fare causa a quei bastardi in un tribunale federale.» «Bada a come parli, Buddy.» «Maledizione, Mavis, se ho voglia di dire parolacce, le dico.» «Sentite, adesso devo proprio andare.» Samantha afferrò la sua valigetta. «La prego di riconsiderare la decisione di non firmare l’atto di rinuncia all’azione.» «Io non lascio perdere» ansimò Buddy. «Bene, ma io non tornerò più qui per questa storia. Capito?» Buddy si limitò ad annuire. Mavis uscì con Samantha, lasciando solo il marito per qualche minuto. Arrivate all’auto, disse: «La ringrazio tanto, Samantha. Le siamo riconoscenti. Siamo andati avanti per anni senza un avvocato e adesso è consolante sapere di averne uno. Lui sta morendo e lo sa, così gli capita di avere delle brutte giornate in cui non è molto simpatico». «Lo capisco.» Alla vecchia stazione di servizio della Conoco, Samantha si fermò per il pieno e, sperava, una tazza di caffè bevibile. C’erano due o tre veicoli parcheggiati di fianco all’edificio, tutti con targa del West Virginia e nessuno che Samantha riconoscesse. Jeff le aveva raccomandato di stare più attenta, di osservare ogni macchina e ogni pick-up, di notare ogni targa, di studiare i visi senza fissarli e di ascoltare le voci fingendo disinteresse. Parti sempre dal presupposto che qualcuno ti stia osservando, l’aveva avvertita Jeff, ma lei trovava difficile accettarlo. “Sono convinti che noi abbiamo qualcosa che loro vogliono disperatamente” le aveva detto. Quel “noi” la preoccupava ancora. Non ricordava di essersi unita alla squadra di qualcuno. Mentre guardava la pompa di benzina, notò un uomo entrare nell’emporio, anche se nei cinque minuti precedenti non aveva visto arrivare nessun veicolo. Bozo era tornato. Samantha pagò alla pompa con la carta di credito e a quel punto avrebbe potuto tagliare la corda, ma aveva bisogno di conferme. Varcò la porta del negozio e salutò il commesso alla cassa. Intorno a una stufa panciuta, c’erano diversi anziani sulle sedie a dondolo e nessuno di loro sembrò accorgersi di lei. Qualche altro passo e Samantha si ritrovò nel minuscolo bar, niente di più che una modesta aggiunta all’edificio, con una decina di tavoli coperti da tovaglie a quadretti. Cinque persone stavano mangiando, sorseggiando caffè e chiacchierando. Bozo era seduto al bancone e osservava la griglia, sulla quale un cuoco stava friggendo il bacon. Samantha non poteva vederlo in viso e non voleva una scenata, così, per un secondo, rimase immobile e imbarazzata al centro del locale, incerta sul da farsi. Si accorse di qualche occhiata e decise di andarsene. Tornò a Madison e si fermò a un minimarket per comprare una carta stradale. La sua Ford era dotata di GPS , ma non si era mai preoccupata di programmarlo. Aveva bisogno di indicazioni, in fretta. Mezz’ora più tardi, mentre guidava lungo una strada di campagna da qualche parte a Lawrence County, Kentucky, il suo nuovo cellulare finalmente trovò campo sufficiente per una chiamata. Jeff rispose al quarto squillo. Samantha gli spiegò con calma cosa stava succedendo e lui le fece ripetere tutto al rallentatore. «Voleva che tu lo vedessi» disse Jeff. «Altrimenti perché avrebbe rischiato di dare nell’occhio? Non è una tattica insolita. Lui sa che tu non puoi prenderlo a pugni o altro, per cui si limita semplicemente a trasmettere un messaggio, neppure troppo sottile.» «Che sarebbe?» «Ti teniamo d’occhio. Siamo sempre in grado di trovarti. Stai insieme alle persone sbagliate e potresti finire con il farti male.» «Okay, messaggio ricevuto. E adesso?» «Niente. Tieni solo gli occhi aperti e, quando torni a Brady, vedi se ti sta aspettando.» «Io non voglio tornare a Brady.» «Scusa?» «Tu dove sei?» «Sono in giro, per qualche giorno.» «Troppo vago.» Samantha arrivò a Brady poco prima di mezzogiorno e non notò alcun individuo sospetto. Parcheggiò in strada vicino allo studio e, da dietro gli occhiali da sole, controllò l’area prima di entrare. Da un lato si sentiva un’idiota, dall’altro si aspettava quasi di vedere Bozo in agguato dietro un albero. Cosa diavolo aveva intenzione di fare quell’uomo? Pedinare lei avrebbe fatto morire di noia qualsiasi detective privato. La nidiata Crump non faceva che telefonare. Evidentemente Francine aveva detto a uno dei figli che aveva cambiato idea ancora una volta, che aveva intenzione di parlare con Ms Kofer e che non avrebbe apportato alcun cambiamento al testamento esistente. Questo, naturalmente, aveva fatto infuriare i Crump, i quali stavano rendendo roventi le linee telefoniche nel tentativo di trovare Ms Kofer e chiarirle bene le idee, di nuovo. Nessuno alla Legal Aid Clinic aveva sentito Francine. Con riluttanza, Samantha prese la pila dei messaggi telefonici da Barb, la quale le diede il consiglio non richiesto di telefonare a uno soltanto dei Crump, magari Jonah, il maggiore, spiegando che la loro cara madre non aveva contattato lo studio e chiedendo con decisione che la piantassero di assediare il centralino. Samantha chiuse la porta del suo ufficio e chiamò Jonah, che rispose al telefono abbastanza gentilmente, ma poi minacciò subito di denunciarla e di farla radiare dall’albo se avesse pasticciato di nuovo con il “testamento della mamma”. Samantha gli disse di non avere né visto né sentito Francine nelle ultime ventiquattr’ore e di non avere in agenda alcun appuntamento con lei. L’informazione calmò un po’ Jonah, anche se restava pronto a esplodere da un momento all’altro. «È possibile che vostra madre vi stia prendendo in giro?» chiese Samantha. «La mamma non pensa in quel modo.» Samantha gli chiese cortesemente di smettere di infastidire lo studio e di chiedere ai fratelli di non telefonare più. Jonah rifiutò, ma alla fine si arrivò a un accordo: se Francine si fosse presentata allo studio per avere un parere legale, Samantha l’avrebbe invitata a telefonare a Jonah per informarlo di quello che stava facendo. Samantha riattaccò e, due secondi dopo, la chiamò Barb: «È l’FBI » annunciò. La persona si identificò come agente Banahan, dell’ufficio di Roanoke, e disse che stava cercando un uomo di nome Jeff Gray. Samantha ammise di conoscere Jeff Gray e poi chiese all’agente come poteva avere conferma della sua identità. Banahan rispose che sarebbe stato lieto di passare in studio entro una mezz’ora: era già in zona. Samantha gli disse che non voleva discutere di niente al telefono e acconsentì all’incontro. Venti minuti più tardi, Banahan era nell’area di ricevimento della Legal Aid Clinic e veniva esaminato da Barb, che lo valutò come piuttosto carino, valutando se stessa come molto seduttiva. Banahan non sembrò particolarmente impressionato e passò nella piccola sala riunioni, dove Samantha e Mattie lo stavano aspettando con un registratore sul tavolo. Dopo brevi presentazioni e un attento esame delle credenziali di Banahan, Mattie cominciò dicendo: «Jeff Gray è mio nipote». «Lo sappiamo» disse Banahan con un sorriso compiaciuto, e le due donne lo trovarono istantaneamente antipatico. «Sapete dov’è?» Mattie guardò Samantha. «Io non lo so. E tu?» «No.» Non era una bugia, in quel momento Samantha non aveva idea di dove Jeff si stesse nascondendo. «Quando è stata l’ultima volta che ha parlato con lui?» chiese l’agente, rivolgendosi a Samantha. «Senta, il fratello di Jeff è morto lunedì della settimana scorsa» si intromise Mattie. «Lo abbiamo sepolto mercoledì, cinque giorni prima che i vostri facessero irruzione nel suo studio. In base ai termini del testamento, Jeff è l’esecutore e io sono l’avvocato dell’esecutore. Per cui, sì, io parlo molto spesso con mio nipote. L’FBI cosa vuole da lui?» «Abbiamo parecchie domande.» «Avete un mandato d’arresto a suo nome?» «No.» «Bene, quindi mio nipote non si sta sottraendo all’arresto.» «Esatto. Noi vogliamo soltanto parlargli.» «Ogni conversazione con Jeff Gray, di qualsiasi natura, avrà luogo qui, a questo tavolo. Capito? Io gli consiglierò di non dire nulla, se non in mia presenza e in presenza di Ms Kofer, okay?» «Benissimo, Ms Wyatt. Quindi quando potremo parlare con lui?» Mattie si rilassò e rispose: «Be’, non so dove si trovi oggi. Ho provato a chiamarlo al cellulare e ha risposto la segreteria». Samantha scosse la testa, come se non avesse parlato con Jeff da settimane. Mattie continuò: «Avevamo in programma di andare in tribunale domani per aprire la successione e cominciare la procedura di omologazione del testamento, ma il giudice ha riprogrammato il tutto per la settimana prossima. Non so dove sia Jeff in questo momento». «Tutto questo ha a che fare con l’irruzione dell’FBI di ieri, quando avete sequestrato le pratiche dello studio di Donovan Gray?» domandò Samantha. Banahan le mostrò i palmi delle mani e rispose: «Non è evidente?». «Così sembrerebbe. Su chi state indagando, ora che Donovan Gray è morto?» «Non sono autorizzato a dare queste informazioni.» «Jeff è oggetto di indagine da parte vostra?» chiese Mattie. «No, non al momento.» «Jeff non ha fatto niente di male» disse Mattie. 28 I danni alla Millard Break Mine nei pressi di Wittsburg, Kentucky, vennero inferti nel corso di un attacco simile ai precedenti. Sparando da una postazione sul versante est di Trace Mountain, un rilievo densamente boscoso centocinquanta metri sopra la strip mine, i tiratori inquadrarono il bersaglio da una distanza di circa seicento metri e si divertirono un mondo a distruggere quarantasette pneumatici, ognuno dei quali pesava oltre quattrocento chili e costava diciottomila dollari. In seguito i due guardiani notturni, armati anche loro, riferirono alle autorità che l’attacco era durato più o meno dieci minuti e che in certi momenti era sembrato una vera e propria guerra, con i fucili degli assalitori che sparavano echeggiando in tutta la vallata e gli pneumatici che esplodevano vicino a loro. La prima scarica di proiettili colpì alle tre e cinque del mattino. Tutti i macchinari della miniera erano fermi, tutti gli operatori al sicuro nelle loro case. Una delle due guardie saltò su un pickup con l’idea di lanciarsi nella caccia – sebbene non sapesse esattamente dove andare – ma venne subito dissuaso quando il veicolo prese fuoco e lui si ritrovò con due pneumatici a terra. L’altra guardia corse in un caravan-ufficio per chiamare la polizia, ma fu costretto a cercare riparo quando una raffica di colpi mandò in frantumi tutte le finestre. Si trattava di eventi significativi perché mettevano direttamente in pericolo vite umane. Negli attacchi precedenti, gli assalitori erano sempre stati attenti a non fare del male a nessuno. L’obiettivo erano i macchinari, non le persone. Ora, però, stavano infrangendo seriamente la legge. Le guardie ritenevano che i fucili in azione fossero stati almeno tre, anche se, per loro stessa ammissione, era difficile dirlo con certezza a causa del caos. La società proprietaria, Krull Mining, rilasciò alla stampa le solite dichiarazioni minacciose e offrì una taglia impressionante. Lo sceriffo della contea promise un’indagine a tutto campo e arresti in tempi rapidi, dichiarazioni piuttosto miopi e da spaccone, visto che erano ormai due anni che “questi ecoterroristi” scorrazzavano impunemente nella parte meridionale degli Appalachi. L’articolo proseguiva elencando gli attacchi recenti e ipotizzando che gli aggressori avessero usato le stesse armi di sempre: la cartuccia da 51 millimetri, infatti, veniva normalmente sparata dal fucile di precisione M24E, lo stesso utilizzato in Iraq dai tiratori scelti dell’esercito, capaci di centrare il bersaglio da una distanza superiore ai novecento metri. Veniva citato un esperto il quale dichiarava che l’utilizzo di un’arma del genere da una tale distanza, nel cuore della notte e con una tecnologia ottica facilmente reperibile, avrebbe reso praticamente impossibile individuare i tiratori. La Krull Mining affermava che c’era carenza di pneumatici sul mercato e che era possibile che la miniera restasse chiusa per parecchi giorni. Samantha lesse l’articolo sul suo laptop il venerdì mattina, in ufficio. Aveva la sgradevole sensazione che Jeff fosse coinvolto nella gang, che potesse esserne addirittura il capo. Quasi due settimane dopo la morte di suo fratello, Jeff aveva sentito il bisogno di fare un gesto pubblico di denuncia, di applicare una propria idea di castigo e sferrare un colpo alla Krull Mining. Se l’impressione di Samantha corrispondeva al vero, era una ragione in più per fare i bagagli. Inviò l’articolo via e-mail a Mattie, poi entrò nel suo ufficio e le disse: «Se devo essere sincera, io credo che Jeff sia coinvolto in questa faccenda». Mattie reagì con una risata fasulla, poi disse: «Samantha, oggi è il primo venerdì di dicembre, il giorno in cui decoriamo l’ufficio, così come fanno tutti quanti qui a Brady. Da quando Donovan è morto, oggi è la prima volta in cui sono riuscita a sentirmi bene e a sorridere davvero. Non voglio rovinarmi la giornata preoccupandomi di quello che sta combinando Jeff. Gli hai parlato?». «No, perché avrei dovuto? Noi due non stiamo insieme, come ami dire tu. Jeff non è tenuto a dirmi cosa fa.» «Bene, lasciamo perdere Jeff e cerchiamo di mettere insieme un po’ di spirito natalizio.» Barb accese la radio e lo studio risuonò subito di canti natalizi. Barb era anche responsabile dell’albero, una piccola e triste riproduzione in plastica che nel resto dell’anno se ne stava nel ripostiglio delle scope, ma che, una volta appese le decorazioni e le luci, mostrò segni di vita. Annette sistemò edera e vischio in tutta la veranda e fissò una ghirlanda alla porta d’ingresso. Si fecero portare da mangiare in studio e il pranzo fu una piacevole pausa nella sala riunioni, con Chester che fornì anche uno stufato di carne. Il lavoro venne dimenticato, i clienti ignorati. Il telefono squillò di rado, come se anche tutto il resto della contea fosse impegnato a entrare nello spirito natalizio. Dopo pranzo Samantha andò in tribunale e lungo la strada notò che ogni negozio e ogni ufficio era decorato. Una squadra di operai comunali stava appendendo campane argentate ai lampioni. Un’altra stava ancorando un grande abete appena tagliato nel parco vicino al tribunale. All’improvviso il Natale era nell’aria e la cittadina stava entrando nello spirito. Quando scese il buio, tutta Brady uscì di casa e frotte di persone intasarono i marciapiedi di Main Street, bevendo sidro caldo e mangiando biscotti di pan di zenzero per strada, passando da un negozio all’altro. La via venne chiusa al traffico e i bambini aspettarono eccitati la parata, che si materializzò verso le sette, quando in lontananza si udirono le sirene. La folla premette in avanti, lungo entrambi i lati di Main Street. Samantha era in compagnia di Kim, Adam e Annette. Fu lo sceriffo ad aprire la parata a bordo della sua autopattuglia bianca e marrone, scintillante per la recente lucidatura. Lo seguì tutta la sua flotta. Samantha si chiese se il vecchio Romey fosse riuscito a intrufolarsi, ma non ne vide traccia. La banda del liceo sfilò suonando una versione piuttosto discutibile di O Come, All Ye Faithful. Era una piccola banda di un piccolo liceo. «Non sono molto bravi, vero?» sussurrò Adam. «Io invece credo che siano bravissimi» ribatté Samantha. Sfilarono a passo di marcia le guide, seguite dai boy scout. Poi passò un carro che trasportava alcuni veterani disabili in sedia a rotelle, tutti felici di essere ancora vivi e di godersi un altro Natale. La star era Mr Arnold Potter, novantunenne, sopravvissuto del D-day di sessantaquattro anni prima. Era il più grande eroe vivente della contea. Gli Shriners sfrecciarono sulle loro minimoto, rubando la scena come sempre. Sul carro del Rotary Club era raffigurata una scena della Natività, con vere pecore e vere capre che, per il momento, si stavano comportando bene. Un grande carro trainato da un pick-up Ford ultimo modello trasportava i bambini del coro della First Baptist Church. I piccoli indossavano tuniche bianche e le loro voci angeliche intonavano quasi alla perfezione O Little Town of Bethlehem. Il sindaco sfilò a bordo di una Thunderbird decappottabile del 1958. Salutava con la mano e sorrideva, ma a nessuno sembrava importare. Passarono altre auto della polizia, il camion dei pompieri di una brigata di volontari e un altro carro con un gruppo bluegrass che strimpellava una chiassosa versione di Jingle Bells. Un club ippico sfilò trottando in sella a cavalli Quarter Horse, tutti abbigliati in uno splendore da rodeo, umani e animali. Roy Rogers e Trigger ne sarebbero stati orgogliosi. Il titolare del locale distributore di benzina aveva un nuovo, scintillante camion con un serbatoio da quarantacinquemila litri e qualcuno aveva pensato che sarebbe stato una simpatica aggiunta alla sfilata. Per divertirsi, l’autista nero sparava a tutto volume rap per niente natalizi dai finestrini abbassati. Infine comparve la ragione vera della festa: dalla sua slitta, Babbo Natale salutava con la mano bambini e bambine e lanciava dolci ai loro piedi. Con un altoparlante, cantilenava: «Ho, Ho, Ho» ma niente altro. Quando la sfilata scomparve alla vista, la maggior parte degli spettatori si mosse verso il tribunale e si riunì nel parco di fianco all’edificio. Il sindaco diede a tutti il benvenuto e blaterò troppo a lungo. Un altro coro di bambini cantò O Holy Night. Miss Noland County, una bella rossa, stava intonando Sweet Little Jesus Boy, quando Samantha sentì qualcuno toccarle il gomito sinistro. Era Jeff, con un berretto in testa e occhiali da sole che lei non gli aveva mai visto. Samantha si scostò da Kim e Adam, si aprì un varco tra la folla e si allontanò, raggiungendo un punto buio vicino al monumento ai caduti. Era stata lì con Jeff la sera di lunedì, a guardare Bozo e Jimmy da lontano. «Sei libera domani?» chiese Jeff, quasi in un sussurro. «Domani è sabato, ovvio che non ho niente da fare.» «Faremo un’escursione in montagna.» Samantha esitò, guardando il sindaco che premeva un interruttore e l’albero di Natale del municipio che si illuminava. «Dove?» Jeff le fece scivolare in mano un foglietto ripiegato e disse: «Le istruzioni. Ci vediamo domattina». Le diede un bacio sulla guancia e sparì. Guidò fino alla cittadina di Knox a Curry County e lasciò l’auto nel parcheggio della biblioteca, a un isolato da Main Street. Se qualcuno l’aveva seguita, non se n’era accorta. Con aria indifferente, raggiunse a piedi Main Street, proseguì per tre isolati in direzione ovest ed entrò nel Knox Market, un bar e coffee shop. Chiese della toilette e le venne indicato il retro del locale. Trovò una porta che dava su un vicolo, il quale sfociava in Fifth Street. Come da istruzioni, camminò per due isolati, allontanandosi dal centro, e finalmente vide il fiume. Mentre si avvicinava al Larry’s Trout Deck sotto il ponte, Jeff uscì dal negozio di esche e le indicò con il dito una jon boat, un barchino di sei metri. Senza una parola, salirono entrambi a bordo: Samantha davanti, infagottata per ripararsi dal freddo, e Jeff dietro, dove avviò il motore fuoribordo. Allontanò la barca dalla banchina e diede gas. Erano al centro del fiume Curry e la città andava scomparendo rapidamente. Passarono sotto un altro ponte e la civiltà sembrò finire. Per chilometri, o comunque si misurasse la distanza lungo un fiume tortuoso – Samantha non ne aveva idea –, scivolarono sull’acqua scura e immobile. Il Curry era stretto e profondo, senza rocce o rapide. Serpeggiava tra le montagne, nascondendosi dal sole grazie alle ripide pareti di roccia che lo fiancheggiavano e che arrivavano quasi a toccarsi sopra l’acqua. Superarono la barca di un pescatore solitario che fissava senza speranza la sua lenza. Passarono davanti a un piccolo insediamento vicino a un banco di sabbia, una serie di barche e di baracche galleggianti. “Topi di fiume” li avrebbe definiti Jeff in seguito. Si inoltrarono sempre più in profondità nel canyon e, dopo ogni ansa, il Curry si faceva più stretto e più buio. Il forte ronzio del fuoribordo impediva qualsiasi conversazione, non che avessero molto da dire. Era ovvio che Jeff la stava portando in un posto dove non era mai stata, ma Samantha non aveva paura, né esitazioni. Si fidava di Jeff, nonostante le sue complicazioni, la sua rabbia, la sua attuale instabilità emotiva e la sua imprudenza. O almeno si fidava abbastanza da andare a fare trekking con lui, o qualunque altra cosa Jeff avesse in mente per quel giorno. Jeff ridusse la velocità e il barchino virò verso destra. Un vecchio cartello segnalava SCORCIATOIA CURRY , dopo di che comparve una rampa di cemento. Jeff l’aggirò e fece scivolare la barca sopra una striscia di sabbia. «Salta giù» disse, e Samantha scese. Jeff incatenò la jon boat a una rastrelliera metallica accanto alla rampa e si fermò un momento per sgranchirsi le gambe. Avevano viaggiato per quasi un’ora. «Bene, buongiorno a lei, signore» disse Samantha. Jeff sorrise e rispose: «Altrettanto a te. Grazie per essere venuta». «Come se avessi avuto scelta. Dove siamo esattamente?» «Da qualche parte a Curry County. Seguimi.» «Agli ordini.» Lasciarono la striscia di sabbia, si inoltrarono nei boschi e cominciarono a salire lungo un sentiero privo di indicazioni che solo uno come Jeff poteva seguire. O come Donovan. A mano a mano che la salita si faceva più ripida, Jeff sembrava accelerare il passo. Poi, proprio mentre le cosce e i polpacci di Samantha stavano cominciando a urlare, si fermò di colpo in una piccola radura e afferrò alcuni rami di cedro. Li gettò di lato ed ecco, naturalmente, un quad Honda pronto a partire. «I ragazzi e i loro giocattoli» commentò Samantha. «Mai stata su uno di questi?» le chiese Jeff. «Io vivo a Manhattan.» «Salta su.» Samantha ubbidì. C’era un minuscolo sedile dietro Jeff. Samantha gli passò le braccia intorno alla vita mentre lui avviava il motore e lo faceva ruggire. «Tieniti stretta.» E partirono, sfrecciando lungo lo stesso sentiero che, solo pochi secondi prima, era stato a malapena largo abbastanza per due umani. Il sentiero portò a una strada a ghiaia, che Jeff imboccò come uno stuntman. «Tieniti stretta!» ripeté. Il quad fece un salto e praticamente si alzò in volo. Samantha avrebbe voluto chiedere a Jeff di rallentare, ma si limitò a stringersi più forte a lui e a chiudere gli occhi. La corsa era eccitante e terrificante, ma sapeva che Jeff non l’avrebbe mai messa in pericolo. Dalla strada a ghiaia, voltarono in una pista sterrata che saliva in ripida pendenza. Gli alberi erano troppo fitti per consentire acrobazie e Jeff si fece più cauto. La corsa comunque continuava a essere faticosa e pericolosa. Dopo mezz’ora sul quad, Samantha ripensò al barchino con affettuosa nostalgia. «Posso chiederti dove stiamo andando?» disse a un orecchio di Jeff. «A fare trekking, no?» La salita terminò e corsero lungo un crinale. Jeff voltò in un altro sentiero e cominciarono una discesa, un percorso infido che comportava scivolate da un lato all’altro per slalomeggiare tra alberi e massi. Rallentarono per un attimo in una radura per guardare alla loro destra. «Gray Mountain» disse Jeff, indicando con un cenno del capo la collina spoglia in distanza. «Tra un momento saremo nella nostra proprietà.» Samantha tenne duro per l’ultimo tratto e, quando attraversarono lo Yellow Creek tra spruzzi d’acqua, finalmente vide la piccola casa di legno. Era rannicchiata sul fianco di una collina, una rozza costruzione quadrata fatta di vecchi tronchi, con una veranda davanti e un camino a un’estremità. Jeff parcheggiò il quad lì accanto e disse: «Benvenuta nel nostro piccolo nascondiglio». «Sono sicura che c’è un modo più facile per arrivarci.» «Oh, certo. C’è una strada di campagna non molto lontano da qui. Più tardi te la farò vedere. Carina, eh?» «Immagino di sì. Non so molto di case di tronchi. Donovan me l’aveva fatta vedere, ma eravamo a trecento metri d’altezza. Se ricordo bene, diceva che non c’è acqua corrente e neppure riscaldamento o elettricità.» «Proprio così. Se questa notte restiamo qui, dormiremo accanto al fuoco.» L’ipotesi di pernottamento non era mai stata discussa, ma a quel punto Samantha non era sorpresa. Seguì Jeff sui gradini, attraverso la veranda e nel locale principale della casa. Nel caminetto c’era un ceppo che stava finendo di bruciare. «Da quando sei qui?» domandò. «Sono arrivato ieri notte tardi, ho dormito davanti al fuoco. Molto piacevole e intimo. Ti va una birra?» Samantha guardò l’orologio: le undici e quarantacinque. «È un po’ presto.» C’era un frigo portatile accanto a un piccolo tavolo da pranzo. «Hai dell’acqua?» domandò. Jeff le passò una bottiglia d’acqua e aprì una lattina di birra. Si sedettero su due sedie di legno vicino al caminetto. Jeff bevve un sorso e disse: «Sono stati qui, questa settimana. Qualcuno. Non so chi, ma dubito che fossero dell’FBI . Probabilmente erano operativi che lavorano per la Krull o per qualche altra società». «Come fai a sapere che sono stati qui?» «Li ho in video. Due mesi fa, Donovan e io abbiamo montato due videocamere di sorveglianza. La prima è su un albero sull’altra riva del torrente, la seconda su un albero distante una quindicina di metri dalla veranda. Si attivano qui, alla porta d’ingresso. Se qualcuno la apre, le videocamere partono e registrano per trenta minuti. Non c’è modo di accorgersene. Mercoledì scorso, alle tre e ventuno minuti per la precisione, quattro gorilla sono entrati qui dentro e hanno perquisito la casa. Sono sicuro che cercavano i documenti, o gli hard drive, o i laptop, o qualsiasi altra cosa potesse essere utile. L’aspetto interessante, però, è che non hanno lasciato la minima traccia. Niente. Nemmeno la polvere è stata toccata, per cui bisogna concludere che è gente parecchio in gamba. Credono anche che io sia stupido, ma adesso so che aspetto hanno. Ho le quattro facce, e quando le vedrò sarò pronto.» «E adesso ci stanno osservando?» «Ne dubito. Il mio pickup è nascosto in un posto che non vedranno mai. Questa è la nostra terra, Samantha, e noi la conosciamo meglio di chiunque altro. Vuoi dare un’occhiata?» «Andiamo.» Jeff afferrò uno zaino e Samantha lo seguì all’esterno. Camminarono lungo il corso dello Yellow Creek per quasi un chilometro e si fermarono in una radura per godersi qualche sparuto raggio di sole. Jeff disse: «Non so quanto ti abbia detto Donovan, ma questa è l’unica parte della nostra proprietà che non è stata distrutta da quelli delle strip mines. Qui abbiamo circa dieci ettari che sono rimasti intatti. Oltre quel crinale c’è Gray Mountain e il resto della nostra proprietà, tutto devastato». Proseguirono l’escursione, salendo finché il bosco si aprì e consentì di fermarsi per guardare quella rovina. La visione era già desolante da un aereo a trecento metri di altezza, ma da terra era davvero deprimente. La montagna era stata ridotta a un’oscena, butterata gobba di roccia ed erbacce. Con grande sforzo, salirono fino in cima e osservarono le valli soffocate e intasate sotto di loro. Pranzarono con i sandwich all’ombra di un caravan in rovina che un tempo era stato utilizzato come quartier generale della miniera. Jeff raccontò storie di quando da bambino aveva assistito a quel disastro. Aveva nove anni quando era iniziata l’attività mineraria. Samantha era curiosa di sapere perché mai Jeff avesse scelto proprio Gray Mountain come destinazione della loro gita del sabato. Come Donovan, Jeff preferiva non parlare di quello che era successo in quei luoghi. L’escursione era ben lungi dall’essere piacevole. I panorami e le vedute erano per la maggior parte del tutto rovinati. Si trovavano nel bel mezzo dei monti Appalachi, con migliaia di chilometri di sentieri incontaminati a loro disposizione. La situazione con la Krull Mining era estremamente pericolosa; forse qualcuno li aveva seguiti. Allora perché Gray Mountain? Ma Samantha non lo chiese. Forse lo avrebbe fatto più tardi, ma non in quel momento. Nel corso della discesa, passarono accanto a una discarica di macchinari arrugginiti e seminascosti da rampicanti, evidentemente abbandonati dalla Vayden Coal quando era scappata dal sito. Rovesciato su un fianco e parzialmente coperto di erbacce, c’era anche un enorme pneumatico. Samantha si avvicinò e chiese: «A cosa serviva?». «Per gli autocarri da trasporto. Questo è piccolo, solo tre metri di diametro. Oggi sono molto più grandi.» «Hai letto l’articolo sulla sparatoria alla Millard Break dell’altra notte? Hai presente, quegli ecoterroristi...» «Certo, li conoscono tutti.» Samantha si voltò e lo fissò senza battere ciglio. Jeff fece un passo indietro e domandò: «Cosa c’è?». Samantha continuò a fissarlo e disse: «Oh, niente. Ho solo la sensazione che l’ecoterrorismo potesse piacere a Donovan e possa piacere a te, e forse anche a Vic Canzarro». «Faccio il tifo per quei ragazzi, chiunque siano. Ma non ho alcuna voglia di finire in prigione.» Lo disse mentre stava già allontanandosi. Arrivati ai piedi di Gray Mountain, camminarono lungo un torrente. Non c’era acqua: non ce n’era più da parecchio tempo. Jeff spiegò che, molto prima che il riempimento della valle seppellisse il torrente, lui, Donovan e il padre andavano spesso a pescare proprio lì. Accompagnò Samantha dove un tempo c’era stata la loro casa, la casa costruita da suo nonno. Si fermarono davanti alla croce, nel punto in cui Donovan aveva trovato la loro madre, Rose. Jeff rimase a lungo in ginocchio accanto alla croce. Il sole stava scomparendo oltre le montagne; il pomeriggio era scivolato via. Il vento era più pungente, un fronte freddo stava avanzando e portava con sé la possibilità di qualche spruzzata di neve. Quando furono di nuovo allo Yellow Creek, Jeff domandò: «Vuoi restare qui questa notte o preferisci tornare a Brady?». «Restiamo» rispose Samantha. Cucinarono due bistecche sulla griglia in veranda e le mangiarono accanto al caminetto, bevendo vino rosso in bicchieri di carta. Vuotata la prima bottiglia, Jeff ne aprì una seconda. Poi sistemarono una pila di trapunte davanti al fuoco. Cominciarono a baciarsi, all’inizio con cautela; non c’era fretta, la notte era lunga. Labbra e lingue erano macchiate dal merlot a buon mercato e ne risero tutti e due. Parlarono del passato di lei, poi di quello di lui. Jeff non accennò mai a Donovan e anche Samantha fu attenta a evitare l’argomento. Il passato era facile a paragone del futuro. Jeff era senza lavoro e non aveva idea di cosa fare. Gli ci erano voluti cinque anni per terminarne due di college, non era un granché come studente. Aveva scontato quattro mesi nel carcere di contea per possesso di stupefacenti, un reato che figurava ancora sulla sua fedina penale e che lo avrebbe perseguitato a lungo. Adesso si teneva alla larga dalla droga: troppi amici rovinati dalla metanfetamina. Magari un po’ d’erba ogni tanto, ma non fumava molto, né beveva molto. Lentamente, arrivarono al tema delle loro vite amorose. Samantha parlò di Henry, facendo sembrare quella storia più coinvolgente di quanto fosse stata in realtà. Francamente, però, lei era stata troppo impegnata nel lavoro e troppo esausta per cominciare e portare avanti una relazione seria. Jeff era stato fidanzato con quella che era la sua ragazza da sempre, ma i mesi trascorsi in carcere avevano mandato all’aria i loro progetti. Mentre lui era al fresco, lei era scappata con un altro spezzandogli il cuore. Così per molto tempo Jeff aveva avuto scarsissima considerazione delle donne, che aveva trattato come se fossero state utili per una cosa sola. Ora però si stava ammorbidendo e da un anno frequentava una giovane divorziata di Wise. Lei lavorava al college, aveva un bell’impiego e anche due marmocchi. Il problema era che lui non sopportava i due ragazzini. Il padre era schizofrenico e quei due cominciavano a mostrare gli stessi sintomi. Il rapporto con la divorziata si era notevolmente raffreddato. «Hai la mano sotto la mia camicetta» disse Samantha. «Sì, e si trova bene, lì.» «In effetti è vero. È passato molto tempo.» Finalmente si baciarono sul serio, un lungo bacio esplorativo, con le mani che si muovevano frenetiche e i bottoni che saltavano. Si fermarono un attimo per slacciare le cinture e togliersi le scarpe. Il bacio successivo fu più tenero, ma tutte e quattro le mani ripresero a lavorare, togliendo indumenti. Completamente nudi, fecero l’amore illuminati dal fuoco. All’inizio il ritmo fu goffo. Lui era un po’ rude, lei un po’ arrugginita, ma ben presto i loro corpi trovarono la sintonia. Il primo round fu veloce perché tutti e due avevano bisogno di un piacere liberatorio. Il secondo fu molto più appagante, ricco di esplorazioni e posizioni diverse. Poi si abbandonarono sulle coperte, esausti, accarezzandosi delicatamente. Erano quasi le nove di sera. A metà mattina il velo di neve era già sparito. Il sole splendeva e l’aria era limpida. Fecero trekking per un’ora intorno a Gray Mountain. Saltarono su torrenti prosciugati dove un tempo brulicavano trote brune e trote iridee, si infilarono in basse caverne che in un’altra vita i ragazzi avevano usato come fortini, si arrampicarono su massi fatti esplodere dalla terra due decenni prima, camminarono su sentieri tortuosi che nessun altro avrebbe potuto trovare. Samantha non si sentiva indolenzita per la maratona della sera prima, ma certi muscoli le sembravano comunque un po’ molli. Jeff invece sembrava indistruttibile. Che si trattasse di scalare montagne o di fare sesso davanti al caminetto, la sua capacità di resistenza era inesauribile. Samantha lo seguì in una gola alla base della montagna, poi in un altro sentiero che scompariva nel bosco. Si arrampicarono su delle rocce, parte di una formazione naturale, ed entrarono in una grotta, impossibile da notare anche da una distanza di pochi metri. Jeff accese una torcia e la sollevò al di sopra della spalla. «Tutto bene?» «Sono dietro di te» rispose Samantha, praticamente aggrappata a lui. «Dove stiamo andando?» «Voglio mostrarti qualcosa.» Si abbassarono per passare sotto una parete di roccia e si inoltrarono nella grotta che, se non fosse stato per la torcia, era completamente buia. Avanzavano lentamente, come se avessero dovuto cogliere qualcuno di sorpresa. Se Jeff avesse gridato “Serpente!” Samantha sarebbe svenuta o morta d’infarto all’istante. Entrarono in una sala, uno spazio semicircolare appena illuminato da un raggio di sole che in qualche modo riusciva a filtrare attraverso la roccia. Era un magazzino, in uso già da diverso tempo. Due file di armadietti provenienti dalle eccedenze dell’esercito erano allineate lungo una parete, una pila di contenitori di cartone era sistemata contro un’altra. C’era anche un tavolo, un asse di spesso compensato appoggiato su blocchi di cemento, sopra il quale si trovava una serie di scatole di plastica, sigillate ermeticamente. «Venivamo a giocare qui da bambini» disse Jeff. «La grotta è a circa sessanta metri all’interno della base di Gray Mountain, troppo in profondità per essere rovinata dalla miniera. Questa sala era una delle nostre preferite perché c’è luce, è asciutta, niente umidità, e ha una temperatura costante per tutto l’anno.» Samantha indicò il tavolo e disse: «E quelli sono i documenti che avete rubato alla Krull Mining, giusto?». Jeff annuì con un sorriso. «Giusto.» «Adesso sono complice di un reato. Perché mi hai portata qui?» «Non sei complice perché non hai avuto niente a che fare con il reato e queste scatole tu non le hai mai viste. Tu non sei mai stata qui, okay?» «Non so. Non mi suona bene. Te lo ripeto: perché mi hai portata qui?» «È semplice, Samantha, e allo stesso tempo non lo è. Questi documenti devono essere consegnati agli altri avvocati, i colleghi di Donovan. E presto. Io ho trovato un modo per farlo, ma non sarà facile. L’FBI è all’erta. La Krull ci tiene d’occhio. A tutti piacerebbe da morire beccarmi con questi documenti. Accidenti, ho dato una mano a rubarli e adesso sono nascosti nella proprietà della mia famiglia, per cui non avrei molte possibilità di difesa, ti pare?» «Sei nei guai.» «Infatti, e se mi succede qualcosa prima di poterli consegnare, qualcuno deve sapere dove si trovano.» «E quel qualcuno sarei io, immagino.» «Sei abbastanza intelligente da capirlo.» «Ne dubito. Chi altri sa di questo posto?» «Solo Vic Canzarro. Nessun altro.» Samantha fece un respiro profondo e si avvicinò. «Non c’è niente di semplice in questa storia, Jeff. Da un lato, questi sono documenti rubati che potrebbero costare una fortuna alla Krull Mining e costringerla a rimediare al disastro che ha fatto. Dall’altro lato, questi stessi documenti potrebbero comportare un’accusa penale per te o per chiunque ne sia in possesso. Hai parlato con gli altri avvocati, i colleghi di Donovan?» «Non da quando è morto. Voglio che lo faccia tu, Samantha. Io non sono un avvocato. Tu sì. E bisogna agire presto: un incontro segreto, in un posto dove nessuno possa guardare o ascoltare.» Samantha scosse la testa, con la sensazione di ritrovarsi sempre più invischiata nella ragnatela. Aveva finalmente raggiunto il punto di non ritorno? «Devo pensarci. Perché non parlate tu e Vic con gli avvocati?» «Vic non ci starebbe. Ha paura. Inoltre ha molti precedenti ingombranti qui, nei campi carboniferi. È una lunga storia.» «Ci sono storie corte da queste parti?» Samantha si avvicinò agli armadietti e domandò: «E qui dentro cosa c’è?». «La nostra collezione di armi.» Samantha pensò di aprire uno sportello per dare un’occhiata all’interno, ma non sapeva niente di armi e non aveva intenzione di imparare. Senza guardare Jeff, gli chiese: «Che probabilità ci sono di trovare un fucile militare da tiratore scelto, con ottica da visione notturna e una scorta di cartucce da 51 millimetri?». Si voltò e lo guardò, ma Jeff distolse lo sguardo e rispose: «Io non aprirei quell’armadietto, se fossi in te». Samantha si diresse verso l’entrata, passò accanto a lui e disse: «Andiamocene di qui». Uscirono dalla grotta e poco dopo stavano di nuovo serpeggiando lungo i sentieri. A Samantha venne in mente che, se fosse successo qualcosa a Jeff, non sarebbe mai riuscita a ritrovare la strada per arrivare alla grotta. E anche che, se fosse successo qualcosa a Jeff, lei sarebbe stata a Manhattan prima ancora che Mattie potesse organizzare un altro funerale. Non venne detto nulla per molto tempo. Pranzarono in veranda dividendosi un barattolo di pessimo chili, che mandarono giù con l’ultimo vino rimasto, e poi fecero un sonnellino accanto al fuoco. Quando si svegliarono, si ritrovarono di nuovo a stringersi e a baciarsi. Gli stessi indumenti sparirono di nuovo, gettati a caso nella stanza. Quello che passarono insieme fu un delizioso domenicale. pomeriggio 29 La cauzione di Phoebe Fanning era stata ridotta da centomila a soli mille dollari e alle nove di lunedì mattina il denaro venne versato da un garante. La trattativa si era conclusa con successo perché Samantha aveva martellato il giudice e lo aveva convinto a rilasciare la madre, trattenendo però il padre in carcere. In gioco c’era il benessere di tre bambini innocenti e, dopo due giorni di fastidiose insistenze, il giudice aveva ceduto. L’avvocato d’ufficio di Phoebe aveva dichiarato di essere oberato di lavoro e quindi di non avere tempo per le questioni preliminari, per cui era dovuta intervenire Samantha per ottenere il rilascio. Uscì dal tribunale insieme a Phoebe e l’accompagnò a casa in auto. Aspettò con lei per un’ora che una lontana cugina le riportasse i figli. I bambini non vedevano la madre da più di una settimana ed erano chiaramente stati avvertiti che con ogni probabilità Phoebe avrebbe dovuto scontare una pena in carcere. Ci furono molte lacrime e molti abbracci, che presto annoiarono Samantha. Aveva spiegato con precisione a Phoebe che l’aspettavano almeno cinque anni di carcere – molti di più per Randy, se fosse stato condannato – e che doveva preparare i figli all’inevitabile catastrofe. Se ne stava andando dai Fanning quando il cellulare ronzò. Era Mattie, dallo studio: aveva appena saputo che Francine Crump era stata colpita da un grave ictus ed era ricoverata in ospedale. La saga del testamento continuava. In ospedale, una terrificante e antiquata struttura che avrebbe dovuto ispirare sani stili di vita a tutti gli abitanti di Nolan County, Samantha trovò un’infermiera del reparto di terapia intensiva disposta a concederle due o tre parole. La paziente era stata ricoverata poco dopo la mezzanotte, in stato di incoscienza e con pressione sanguigna non rilevabile. La TAC aveva evidenziato una grave emorragia cerebrale. La signora era stata intubata ed era in coma. «La situazione non è buona» disse l’infermiera, molto accigliata. «A quanto pare, sono passate ore prima che qualcuno la trovasse. E poi ha ottant’anni.» Poiché non era una parente, Samantha non ebbe il permesso di sbirciare in reparto per vedere chi ci fosse eventualmente con Francine. Quando rientrò in studio, trovò i messaggi delle telefonate di Jonah e DeLoss Crump. Dato che la madre stava morendo, volevano a tutti costi parlare dell’eredità. Se Francine aveva firmato un nuovo testamento, non era stato redatto dagli avvocati della Mountain Legal Aid Clinic. Se non c’era un nuovo testamento, e se Francine restava in coma fino al momento della morte, allora era assolutamente chiaro che Samantha avrebbe dovuto vedersela con quelle persone sgradevoli per molti mesi a venire. Quella che stava prendendo forma era una dura battaglia testamentaria. Samantha decise che per il momento avrebbe ignorato le telefonate. Con ogni probabilità i cinque fratelli si stavano precipitando a Brady e lei avrebbe avuto loro notizie fin troppo presto. Quel lunedì la pausa pranzo venne impiegata per digerire diverse notizie deprimenti. Come Mattie aveva previsto, gli avvocati della Strayhorn Coal si stavano rimangiando la promessa di accordo per il caso Tate. Le avevano mandato una lettera, quale presunto legale garante del testamento di Donovan, annunciando che non avrebbero pagato. Anzi, avevano tutte le intenzioni di ricorrere in appello. Mattie aveva inviato un’email di risposta con l’impertinente suggerimento che avrebbero fatto meglio a controllare la loro aggressività. La sua teoria era che i legali della Strayhorn tendessero all’appello, sperando in un ribaltamento della sentenza per puntare a un nuovo processo, con Donovan fuori dai piedi. Il nuovo processo si sarebbe celebrato dopo tre anni, come minimo, e mentre gli avvocati sarebbero stati pagati per aspettare e perdere tempo, il denaro del cliente sarebbe stato messo a frutto da qualche altra parte. Annette era furiosa e sollecitò Mattie a portare la questione all’attenzione del giudice. La Strayhorn e Donovan avevano raggiunto un accordo per chiudere a un milione e settecentomila dollari. Era sleale, addirittura inconcepibile, che ora il convenuto si tirasse indietro solo perché l’avvocato dell’attore era deceduto. Mattie era d’accordo, però fino a quel momento nessuno dello studio di Donovan aveva trovato qualcosa di scritto. Sembrava che le parti si fossero accordate per telefono, ma nessun memo era stato redatto prima della morte di Donovan. Senza linee guida scritte, Mattie dubitava che la corte avrebbe potuto imporre l’accordo. Si era consultata con un avvocato specialista in risarcimenti e con un giudice in pensione: entrambi pensavano che non avrebbe avuto fortuna. Mattie aveva in programma di fare due chiacchiere informali con il giudice che aveva presieduto il processo per farsi un’idea di quale fosse il suo pensiero. In ogni caso la conclusione, a quanto pareva, era che gli eredi di Donovan sarebbero stati costretti ad assumere un legale che si occupasse dell’appello. Cambiando argomento, Barb riferì che quella mattina lo studio aveva ricevuto undici telefonate dal clan Crump, tutte per richiedere un colloquio con Ms Kofer. Ms Kofer disse che pensava di programmare un incontro nel pomeriggio. Non fu una sorpresa che sia Mattie sia Annette avessero l’agenda piena e non potessero occuparsi dei Crump. Samantha roteò gli occhi e disse okay, ma quegli individui non sarebbero scomparsi tanto presto. Francine morì alle sedici e trenta di quel pomeriggio. Non aveva mai ripreso conoscenza, né aveva mai trovato il tempo di modificare il testamento redatto da Samantha. Nel primo pomeriggio di martedì, Jeff scivolò nello studio dalla porta sul retro e fu davanti alla scrivania di Samantha prima ancora che lei se ne rendesse conto. Si sorrisero e si salutarono, ma non ci fu alcun movimento teso a qualcosa di più affettuoso. La porta dell’ufficio era aperta e, come sempre, lo studio traboccava di donne incredibilmente rumorose. Jeff si mise a sedere e disse: «Allora, quando ti andrebbe di fare di nuovo un po’ di trekking?». Samantha si portò un dito sulle labbra e rispose piano: «Appena potrò inserirlo nella mia agenda». Aveva pensato al sesso più nelle ultime ventiquattr’ore che in qualsiasi altro momento negli ultimi due anni, dopo la rottura con Henry. «Dovrò controllare con la mia segretaria» aggiunse. Trovava ancora difficile credere che qualcuno potesse ascoltare le conversazioni nel suo ufficio, ma non voleva correre rischi. Data la sua paranoia, Jeff non diceva quasi nulla. Riuscì a sussurrare: «Okay». «Posso offrirti un caffè?» «No.» «Allora sarà meglio che andiamo.» Percorsero il corridoio fino alla sala riunioni sul davanti, dove Mattie stava aspettando. Alle quattordici esatte, gli agenti Banahan, Frohmeyer e Zimmer irruppero nella Legal Aid Clinic, con una tale cupa determinazione da far pensare che avrebbero prima sparato e poi fatto le domande. Era stato Frohmeyer a guidare la truppa durante il raid nello studio di Donovan, e Zimmer era uno dei suoi tirapiedi. Banahan era già passato di lì. Dopo un rapido giro di presentazioni, presero tutti posto, con Jeff seduto tra Mattie e Samantha da un lato del tavolo e i governativi dall’altro. Annette si sistemò a capotavola e accese il registratore. Mattie chiese di nuovo se Jeff fosse oggetto di indagini da parte dell’FBI , del procuratore federale, di una qualsiasi altra agenzia o di qualcuno del dipartimento di Giustizia. Frohmeyer le assicurò che Jeff non era indagato. Frohmeyer diede il via alla riunione e dedicò qualche minuto a scavare nel background di Jeff. Samantha prese appunti. Dopo il weekend piuttosto intimo, durante il quale Jeff le aveva detto così tanto di sé, non venne a sapere niente di nuovo. Frohmeyer lo interrogò sui suoi rapporti con il fratello defunto. Per quanto tempo aveva lavorato per lui? Cosa faceva? Quanto veniva pagato? Come istruito da Mattie e Annette, Jeff diede risposte succinte e non fornì mai particolari extra. Mentire a un agente dell’FBI è di per sé un reato, ovunque e in qualunque modo l’interrogatorio si svolga. “Fa’ quello che vuoi” aveva raccomandato Mattie più volte “ma non mentire.” Come suo fratello, Jeff era sembrato assolutamente pronto a dire il falso, se solo fosse stato utile alla causa. Dava per scontato che i cattivi – le società minerarie e ora anche il governo – prendessero scorciatoie, barassero e scendessero a qualunque compromesso pur di vincere. E se loro giocavano sporco, perché lui non poteva fare altrettanto? Perché, gli aveva ripetuto Mattie, tu puoi finire in prigione. Le società minerarie e i loro avvocati no. Seguendo i suoi appunti, Frohmeyer finalmente arrivò alle questioni importanti. Spiegò che i computer sequestrati dall’FBI la settimana prima erano stati manomessi. Gli hard drive erano stati sostituiti. Jeff ne sapeva qualcosa? Mattie scattò: «Non rispondere». Disse a Frohmeyer che aveva parlato con il procuratore federale e che era chiaro come Donovan fosse morto senza sapere di essere oggetto di una nuova indagine. Non ne era stato informato e non c’era nulla di scritto. Di conseguenza, per quanto riguardava le pratiche e l’archivio dello studio di Donovan, qualsiasi azione compiuta dai dipendenti dopo il suo decesso non era stata effettuata per ostacolare un’indagine. Ufficiosamente, la versione di Jeff era che aveva rimosso gli hard drive dai computer dello studio e di casa e poi li aveva bruciati. Samantha, però, sospettava che esistessero ancora. Non che avesse importanza. Jeff le aveva assicurato che nei computer di Donovan non si sarebbe trovato niente di importante che riguardasse la Krull Mining. “E io so dove sono i documenti” pensò Samantha, quasi incredula. Il fatto che Mattie avesse contattato il procuratore federale irritò Frohmeyer. A lei non importava. I due cavillarono per un po’ sull’interrogatorio, ma ben presto fu evidente chi aveva il controllo, per lo meno in quella riunione. Se Mattie diceva a Jeff di non rispondere, Frohmeyer non otteneva niente. L’agente raccontò la storia di un mucchio di documenti scomparsi dal quartier generale della Krull Mining nei pressi di Harlan, Kentucky, e chiese a Jeff se ne sapeva qualcosa. Jeff si strinse nelle spalle e scosse la testa in segno di diniego prima ancora che Mattie potesse dire: «Non rispondere». «Si appella al Quinto emendamento?» chiese frustrato Frohmeyer. «Il mio cliente non è sotto giuramento» sparò Mattie, come se Frohmeyer fosse uno stupido. Samantha dovette confessare, almeno a se stessa, che si stava godendo lo scontro. L’FBI con tutto il suo potere da un lato; Jeff, il loro cliente, certamente colpevole di qualcosa, dall’altro lato, poderosamente protetto da legali agguerriti e vincente, per il momento. «Mi sembra che stiamo perdendo tempo» disse Frohmeyer, alzando le mani. «Grazie dell’ospitalità. Sono certo che ci rincontreremo.» «Prego» disse Mattie. «E nessun contatto con il mio cliente senza che io venga avvertita, capito?» «Vedremo» disse Frohmeyer da vero stronzo, mentre allontanava bruscamente la sedia e si alzava in piedi. Banahan e Zimmer uscirono a passo di marcia insieme a lui. Un’ora più tardi, Samantha, Mattie e Jeff erano seduti in ultima fila nell’aula principale del tribunale, in attesa del giudice che avrebbe sovrinteso all’omologazione del testamento di Donovan. Le udienze non erano ancora iniziate e una manciata di avvocati ciondolava davanti al banco del giudice, scambiando battute con i cancellieri. Sottovoce, Jeff disse: «Questa mattina ho parlato con i nostri esperti. Finora non hanno trovato alcuna prova di manomissione al Cessna di Donovan. L’incidente è avvenuto per un improvviso spegnimento del motore, causato dal mancato afflusso di carburante. Il serbatoio era pieno: facevamo sempre il pieno a Charleston perché lì costa meno. È un miracolo che l’aereo non si sia incendiato scavando un buco nel terreno». «Come mai il carburante non arrivava al motore?» chiese Mattie. «È questa la grande domanda. Se diamo credito a un’ipotesi di sabotaggio, allora abbiamo una teoria molto attendibile. Dalla pompa del carburante parte un tubo che arriva al carburatore, al quale è fissato da quello che viene chiamato dado B. Se il dado B viene deliberatamente allentato, il motore partirà e funzionerà senza problemi, ma le vibrazioni faranno sì che il dado si sviti lentamente da solo. A quel punto il tubo del carburante si stacca e lo spegnimento del motore è solo questione di tempo. Prima comincerà a sputacchiare e poi si pianterà completamente. Succede tutto in modo molto rapido, senza alcun allarme o avvertimento, ed è impossibile farlo ripartire. Se il pilota sta guardando l’indicatore del carburante, al quale si dà un’occhiata solo di tanto in tanto, potrà forse notare un improvviso calo di pressione più o meno nello stesso momento in cui il motore comincia a spegnersi. Tutti sottolineano il fatto che Donovan non ha lanciato l’SOS , ma sono sciocchezze. Pensaci: stai volando tranquillo di sera e tutto a un tratto il motore si spegne. Hai pochi secondi per reagire, ma il panico è totale. Cerchi di far ripartire il motore, ma non ci riesci. Ti vengono in mente dieci cose nello stesso momento, ma l’ultima è chiedere aiuto. E come diavolo potrebbero aiutarti?» «È facile manomettere quel dado B?» chiese Samantha. «In sé non è difficile. Tutto sta nel non farsi prendere. Devi aspettare che sia buio, entrare di soppiatto nell’area recintata del parcheggio, togliere la copertura del motore e lavorare con torcia e chiave inglese. Ci si può può riuscire in venti minuti al massimo. La sera in questione, c’erano altri diciassette aerei nello stesso parcheggio, ma il traffico era quasi inesistente. L’area era molto tranquilla. Abbiamo controllato i video della sorveglianza e non si è trovato niente. Abbiamo parlato con gli addetti in servizio quella sera e loro non hanno visto niente. Abbiamo controllato le registrazioni della manutenzione con il tecnico di Roanoke e naturalmente tutto funzionava alla perfezione quando ha firmato il modulo dell’ultima ispezione.» «In che condizioni è il motore adesso?» chiese Mattie. «Un disastro. Evidentemente il Cessna ha urtato degli alberi. L’impressione è che Donovan stesse cercando di atterrare su una strada di campagna, forse aveva visto i fari di un’auto, chissà... Comunque, quando ha colpito gli alberi l’aereo si è inclinato in avanti e si è schiantato a terra con il muso. Il motore è andato in pezzi e ora è impossibile determinare la posizione del dado B. È facile arrivare alla conclusione che il flusso del carburante si sia interrotto, ma a parte questo non ci sono molti altri indizi.» Il giudice entrò in aula e si sedette dietro il banco. Passò lo sguardo sul pubblico e disse qualcosa a un cancelliere. «E adesso cosa succede?» sussurrò Samantha. «Continueremo a scavare» rispose Jeff, ma con scarsa convinzione. Il giudice guardò verso il fondo dell’aula e disse: «Ms Wyatt». Mattie presentò Jeff al giudice, il quale espresse cortesemente le sue condoglianze e disse belle cose di Donovan. Jeff lo ringraziò, mentre Mattie cominciava a presentare i documenti per la firma. Il giudice lesse il testamento prendendosela comoda e commentando diverse clausole. Poi discusse con Mattie la strategia in base alla quale l’avvocato garante del testamento avrebbe potuto assumere un collega per gestire l’appello Tate. Jeff venne interrogato sulla situazione finanziaria di Donovan, sui suoi beni e sui suoi debiti. Un’ora dopo, tutte le carte erano state firmate e la successione era ufficialmente aperta. Mattie si trattenne in tribunale per un’altra questione, ma Jeff ebbe il permesso di andarsene. Mentre tornava a piedi allo studio con Samantha, disse: «Sto per sparire per qualche settimana, perciò usa il cellulare prepagato». «Un posto in particolare?» «No.» «Non mi sorprende. Vado via anch’io, per le vacanze di Natale. Washington e poi New York. Immagino che per un po’ non ci vedremo.» «Quindi siamo al buon Natale e felice anno nuovo?» «Credo di sì. Buon Natale e felice anno nuovo.» Jeff si fermò e le diede un bacio veloce sulla guancia. «Altrettanto a te.» Svoltò in una strada laterale e si allontanò in fretta, come se qualcuno lo stesse inseguendo. Il funerale di Francine Crump venne celebrato alle undici di mercoledì mattina, in una chiesa pentecostale della Santità persa in mezzo al nulla. Samantha non aveva mai preso in considerazione l’idea di partecipare, e Annette glielo aveva vivamente sconsigliato, data l’alta probabilità che i fedeli facessero comparire i serpenti per poi cominciare a danzare. Samantha aveva preso sul serio l’avvertimento. Annette in seguito aveva ammesso di avere esagerato. Non si conoscevano congregazioni di “maneggiatori di serpenti” ancora attive in Virginia, spiegò. “Ormai tutti i membri sono morti.” Ma un nido di rabbiosi serpenti a sonagli non avrebbe potuto essere peggio della banda dei Crump che si presentò più tardi in giornata per una resa dei conti con “Missus Kofer”. Calarono sulla Legal Aid Clinic con un’esibizione di forza che Mattie non aveva mai visto: i cinque fratelli, alcuni dei loro coniugi, qualche robusto figlio e diversi parenti assortiti. La loro adorata mamma era morta ed era arrivato il momento di spartirsi i soldi. Mattie assunse il comando e ordinò alla maggior parte dei Crump di andarsene. Solo i cinque fratelli avrebbero partecipato alla riunione, il resto poteva aspettare a bordo dei pick-up. Mattie e Annette guidarono il gregge in una sala riunioni e, quando tutti furono seduti, entrò Samantha. Nel loro insieme, i Crump erano un disastro. Avevano appena sepolto la madre. Erano terrorizzati al pensiero di perdere la proprietà di famiglia e i soldi, quali che fossero, ed erano arrabbiati con coloro che avevano agevolato il verificarsi di quella situazione. Erano anche assediati da parenti che avevano sentito voci relative al denaro delle società del carbone. Erano lontano da casa e perdevano ore di lavoro. E infine, sospettava Samantha, stavano litigando tra loro. Cominciò spiegando che nessun avvocato della Legal Aid Clinic aveva stilato un altro testamento per la loro madre; anzi, nessuno aveva più sentito una sola parola da Francine dall’ultima riunione di famiglia intorno a quello stesso tavolo, circa nove giorni prima. Se Francine aveva detto loro qualcosa di diverso, semplicemente non era vero. Né Samantha era a conoscenza di un altro avvocato in città che avesse redatto un nuovo testamento. Mattie spiegò che in quel caso era buona abitudine, anche se assolutamente non un obbligo, che il nuovo legale avvertisse il collega. Comunque fosse, per quello che ne sapeva lo studio, il testamento firmato da Francine due mesi prima era l’ultimo, ed era ancora valido. I Crump ascoltarono ribollenti di rabbia, a malapena in grado di controllare il loro odio. Samantha finì di parlare, aspettandosi un torrente di insulti, probabilmente da parte di tutti e cinque. Invece ci fu una lunga pausa, poi Jonah, il maggiore dei Crump con i suoi sessantun anni, annunciò: «La mamma ha distrutto quel testamento». Samantha non reagì. Annette corrugò la fronte, mentre la mente correva ai vecchi statuti della Virginia riguardanti testamenti smarriti o distrutti. Mattie rimase colpita dall’astuzia del piano e riuscì a malapena a reprimere un sorriso. Jonah continuò: «Sono sicuro che voi avete una copia del testamento, ma, per come l’ho capita io, quando la mamma ha distrutto l’originale, la copia è diventata inutile. È così?». Mattie annuì lentamente, prendendo atto del fatto evidente che Jonah aveva pagato per un veloce consiglio legale. Ma perché pagare un avvocato per una consulenza e non per un nuovo testamento? Perché Francine non aveva accettato di firmarne uno nuovo. «Come sa che sua madre lo ha distrutto?» domandò. Euna Faye si intromise: «Me lo ha detto lei stessa la settimana scorsa». «Lo ha detto anche a me» fece sapere Irma. «Lo ha bruciato nel caminetto». DeLoss aggiunse: «E noi abbiamo cercato dappertutto e non l’abbiamo trovato». Era tutto ben provato e recitato e, finché i cinque avessero tenuto duro, la storia avrebbe retto. Come da copione, Lonnie domandò: «E se non c’è testamento, allora la terra viene a noi in cinque parti uguali, giusto?». «Immagino di sì» rispose Mattie. «Non so bene che posizione assumerà il Mountain Trust.» «Be’, lei dica a quelli del Mountain Trust di andare al diavolo, capito?» ringhiò Jonah. «Accidenti, non avevano mai sentito nemmeno parlare della nostra proprietà finché non li avete tirati dentro voi. Quella terra è della nostra famiglia, lo è sempre stata.» I quattro fratelli annuirono con convinzione. In un lampo, Samantha cambiò bandiera. Se Francine aveva effettivamente distrutto il testamento, o se quei cinque stavano mentendo e non c’era modo di dimostrarlo, allora diamogli i maledetti trentadue ettari e tanti saluti. L’ultima cosa che voleva, era una causa tra i Crump e il Mountain Trust, con lei come superteste a beccarsi il fuoco di fila di entrambe le parti. Non voleva rivedere mai più quelle persone. Lo stesso valeva per Annette e Mattie. Cambiarono bandiera anche loro, con Mattie che disse: «Sentite, gente, noi come avvocati non cercheremo di omologare il testamento. Non è compito nostro. Dubito seriamente che il Mountain Trust voglia impegolarsi in un contenzioso che durerebbe anni. Le spese legali supererebbero il valore del terreno. Se non c’è testamento, allora non c’è testamento. Dovete solo trovarvi un avvocato che apra la successione e faccia nominare un amministratore». «Non potete farlo voi?» chiese Jonah. Le tre avvocatesse inorridirono all’idea di rappresentare quella gente. Fu Annette che riuscì a parlare per prima: «Oh, no. Non possiamo perché siamo state noi a redarre il testamento». «Si tratta di semplice routine» aggiunse subito Mattie. «Può occuparsene un qualsiasi avvocato di Main Street.» Euna Faye fece un sorriso e disse: «Be’, grazie». Lonnie domandò: «E noi dividiamo in cinque parti, giusto?». «È la legge» rispose Mattie «ma dovrete verificare con il vostro avvocato.» Lonnie, che già di natura aveva uno sguardo ambiguo e sfuggente, si stava guardando intorno nella stanza. I Crump avrebbero cominciato a litigare prima ancora di andarsene da Brady. E poi c’erano i parenti in attesa fuori, pronti a buttarsi su tutti quei soldi del carbone. I cinque se ne andarono in pace e, quando la porta d’ingresso si chiuse dietro l’ultimo di loro, Annette, Mattie e Samantha decisero di festeggiare. Chiusero la porta a chiave, scalciarono via le scarpe e tornarono in sala riunioni per un sorso di vino da fine pomeriggio e un mucchio di risate. Annette cercò di descrivere la scena del primo Crump arrivato a casa, che frugava ovunque alla disperata ricerca del maledetto testamento. Poi il secondo, poi il terzo. La madre era ancora sul tavolo delle pompe funebri e loro ribaltavano mobili e svuotavano cassetti in una caccia frenetica. Se avevano trovato il testamento, di sicuro lo avevano bruciato. Nessuna delle tre credeva davvero che Francine lo avesse distrutto. E avevano ragione. L’originale arrivò con la posta del mattino dopo, con una nota di Francine che chiedeva a Samantha, per favore, di farlo rispettare. I Crump sarebbero tornati, alla fine. 30 Per il terzo anno consecutivo, Karen Kofer passò il Natale a New York con sua figlia. Il terzo marito di una sua carissima amica dei tempi del college era un anziano industriale, ora messo fuori gioco dalla demenza senile e sistemato in una sontuosa casa di riposo a Great Neck. L’enorme appartamento della coppia in Fifth Avenue dava su Central Park ed era praticamente deserto. Karen ebbe una sua suite personale per la settimana e venne trattata come una regina. Una suite identica venne offerta anche a Samantha, che però preferì stare con Blythe nell’appartamento a SoHo. Il contratto d’affitto sarebbe scaduto il 31 dicembre e Samantha doveva imballare le sue cose e organizzarsi per sistemare alcuni mobili in un deposito. Blythe, ancora aggrappata al quarto studio legale più grande del mondo, sarebbe andata ad abitare con due amiche a Chelsea. Dopo tre mesi a Brady, Samantha si sentì come liberata. Fece shopping con sua madre in centro, lottando con la ressa ma godendosi l’energia frenetica. Si concesse alcuni drink nel tardo pomeriggio con gli amici in tutti i bar giusti e di tendenza e, pur godendosi l’ambiente, si sorprese annoiata dalle conversazioni. Carriere, proprietà immobiliari e la Grande Recessione. Karen comprò due biglietti per un musical di Broadway, un enorme successo che risultò essere solo una fregatura per turisti. Uscirono da teatro nell’intervallo e si trovarono un tavolo da Orso. Samantha incontrò una vecchia compagna di Georgetown per un brunch da Balthazar e l’amica quasi squittì quando le indicò un famoso attore televisivo che Samantha non aveva mai visto né sentito nominare. Fece lunghe e solitarie passeggiate in lower Manhattan. La cena di Natale fu un banchetto nell’appartamento in Fifth Avenue in compagnia di una folla di estranei, ma dopo molto vino la conversazione si sciolse e quella che era cominciata come una dura prova si trasformò in una festa scatenata che si protrasse per ore. Samantha dormì in una stanza per gli ospiti più grande del suo appartamento e si svegliò con un leggero mal di testa. Una cameriera in uniforme le servì in camera succo d’arancia, caffè e ibuprofene. Andò a pranzo con Henry, che l’aveva assediata a lungo, e si rese conto che loro due non avevano nulla in comune. Henry dava per scontato che sarebbe tornata in città in un futuro molto prossimo ed era ansioso di riallacciare qualche forma di rapporto. Samantha cercò di spiegargli che non sapeva bene quando sarebbe tornata. Non c’era un impiego ad aspettarla, e ormai neppure un appartamento. Il suo futuro era incerto, così come lo era quello di Henry. Il quale aveva rinunciato alla carriera di attore e stava pensando di entrare nell’eccitante mondo degli hedge fund. Una scelta bizzarra dati i tempi, pensò Samantha. Quella gente non stava perdendo fiumi di soldi e cercando di scansare denunce? La laurea breve di Henry alla Cornell era in lingua araba. Non sarebbe arrivato da nessuna parte e Samantha non voleva sprecare un altro minuto con lui. Due giorni dopo Natale era seduta in un bar a SoHo quando sentì ronzare un cellulare. All’inizio non riconobbe il suono che arrivava dalle profondità della sua borsa, poi capì che era il prepagato consegnatole da Jeff. Lo trovò appena in tempo e rispose. «Buon anno» disse Jeff. «Dove sei?» «Buon anno anche a te. Io sono in città. E tu?» «Anch’io. Mi piacerebbe vederti. Hai tempo per un caffè?» Per un attimo Samantha pensò che stesse scherzando. Non riusciva a immaginare Jeff Gray in giro per le strade di Manhattan. Ma perché no, tutto sommato? La città attirava gente di ogni tipo da ogni luogo. «Certo. Anzi, sto bevendo un caffè proprio in questo momento. Da sola.» «Indirizzo?» Mentre aspettava, Samantha si divertì per il flusso dei suoi pensieri. La reazione iniziale era stata di sorpresa, seguita immediatamente da un accesso di pura lussuria. Come poteva far entrare Jeff nell’appartamento evitando Blythe? Non che a Blythe sarebbe importato, ma Samantha non aveva voglia di domande. Dove alloggiava Jeff? Un simpatico hotel, quello sarebbe andato bene. Era solo? Oppure divideva la stanza con un amico? “Calma, ragazza” si disse. Jeff entrò nel locale venti minuti dopo. Si baciarono sulle labbra e, mentre aspettavano il loro doppio espresso, Samantha fece la domanda più ovvia: «Cosa ci fai qui?». «Ci sono già stato. Mi muovo parecchio in questi giorni. E volevo vederti.» «Una telefonata sarebbe stata gradita.» Jeans scoloriti, maglietta nera, giacca sportiva di lana, scarponcini stringati, barba di tre giorni, capelli ribelli al punto giusto. Jeff non era certo uno dei cloni di Wall Street, ma a SoHo nessuno avrebbe mai sospettato che arrivasse dagli Appalachi. E a chi importava? In realtà, Jeff aveva l’aria di un attore disoccupato molto più di Henry. «Volevo farti una sorpresa.» «Okay, sono sorpresa. Come sei arrivato in città?» «Jet privato. È una lunga storia.» «Sono stanca di lunghe storie. Dove alloggi?» «All’Hilton, a midtown. Da solo. E tu?» «Nel mio appartamento, mio ancora per qualche giorno. Poi il contratto scade.» Il barista li avvertì che i caffè erano pronti e Jeff andò a prendere le due tazze. Versò un’intera bustina di zucchero nella sua e mescolò lentamente. Samantha rifiutò lo zucchero. Si avvicinarono l’uno all’altra mentre il locale si riempiva sempre più di gente. «Ora, possiamo tornare alla faccenda del jet privato?» chiese Samantha. «Ti dispiacerebbe darmi i particolari?» «Sono qui per due ragioni. Prima di tutto volevo vederti e magari passare un po’ di tempo insieme. Sai, potremmo passeggiare per la città e poi trovarci un caminetto da qualche parte. Ma forse basterebbe un bel letto caldo. È quello che mi piacerebbe, ma se sei troppo impegnata, lo capirò. Non voglio monopolizzare il tuo tempo, okay?» «Puoi dimenticare il caminetto.» «Capito. Io sono disponibile a partire da questo momento.» «Sono sicura che troveremo il tempo. E l’altra ragione?» «Ecco, il jet è di proprietà di un avvocato, Jarrett London di Louisville. Forse ne hai sentito parlare.» «Come faccio a conoscere un avvocato di Louisville?» «Be’, lui e Donovan erano molto amici. Jarrett è venuto al funerale. Un tipo alto, sui sessant’anni, con lunghi capelli grigi e barba sale e pepe. Donovan lo considerava il suo mentore, quasi il suo eroe. Lo studio di Jarrett è uno dei tre che si erano uniti alla causa contro la Krull Mining per il caso Hammer Valley. L’FBI ha fatto irruzione da London lo stesso giorno in cui l’ha fatta da noi. Inutile dire che un tipo come lui non apprezza molto queste tattiche da Gestapo e sta sputando fiamme. Un ego enorme, tipico della sua razza.» Samantha stava annuendo. «Uguale a mio padre.» «Sì, naturalmente. In effetti London dice di avere conosciuto tuo padre anni fa, a qualche bisboccia di avvocati. Comunque, London ha una nuova fidanzata, una vera scema, e lei voleva venire in città. Io ho scroccato un passaggio.» «Molto comodo.» «London avrebbe piacere di conoscerti, salutarti e parlare dei documenti.» «Quali documenti? Andiamo, Jeff! Sono già fin troppo coinvolta. Dove sta andando questa conversazione?» «Devi aiutarmi, Samantha. Mio fratello non c’è più e io ho bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che conosca la legge e possa consigliarmi.» Samantha irrigidì la spina dorsale e si ritrasse. Guardò male Jeff e avrebbe voluto sfogarsi. Invece si guardò intorno, deglutì e disse: «Tu mi stai deliberatamente risucchiando in una situazione che può farmi finire in guai seri. L’FBI sta indagando su questa faccenda e tu vuoi tirarmi dentro. Sei spericolato come tuo fratello e non ti interessa cosa può succedere a me. Senti, chi dice che tornerò a Brady? In questo momento mi sento incredibilmente al sicuro. Casa mia è qui, è questo il mio posto». Il corpo lungo e slanciato di Jeff sembrò restringersi di qualche centimetro, il mento si abbassò. Sembrava smarrito e impotente. «Mi importa moltissimo di te e mi importa quello che ti succede. È solo che in questo momento ho bisogno di aiuto.» «Senti, siamo stati meravigliosamente bene un paio di settimane fa a Gray Mountain. Ci ho riflettuto molto, ma quello che non capisco è perché mi hai portato in quella grotta, o come diavolo si chiama, e mi hai mostrato i documenti. A quel...» «Nessuno lo saprà mai.» «A quel punto io sono diventata in qualche modo complice. Mi rendo conto che quei documenti sono preziosi, incriminanti, ma questo non cambia il fatto che sono stati rubati.» «Qualcuno deve sapere dove si trovano, nel caso mi succedesse qualcosa.» «Lascia che se ne occupi Vic.» «Te l’ho detto, Vic è andato, ha chiuso. La sua ragazza è incinta e lui è un uomo diverso. Non è più disposto a rischiare. Non risponde neppure al telefono.» «È furbo.» L’espresso si stava raffreddando. Jeff si ricordò del suo e bevve un sorso. Samantha lo ignorò e si mise a studiare la folla. Alla fine, Jeff disse: «Ce ne andiamo?». Trovarono una panchina in Washington Square Park. Le panchine erano tutte vuote perché il vento ululava e la temperatura era appena al di sopra del livello di congelamento. «Quanto sa di me quel London?» chiese Samantha. «Sa che hai il caso Ryzer, almeno la parte del polmone nero. Sa che hai scoperto la frode e l’omissione da parte degli avvocati della Lonerock Coal. È rimasto molto colpito da questo. Sa che io mi fido di te e che Donovan si fidava di te. Sa che Donovan ti aveva messo al corrente dei documenti.» «Sa che li ho visti?» «No. Te l’ho già detto: nessuno lo saprà mai. Ho sbagliato a portarti là.» «Grazie.» «Senti, andiamo almeno a parlare con London e sentiamo cosa dice. Per favore. Non ci sarebbe niente di male, no?» «Non so.» «Sì che lo sai. Non c’è nulla di remotamente irregolare in un incontro con Jarrett London. Sarà estremamente confidenziale. E inoltre lui è un tipo interessante.» «Quando vuole che ci incontriamo?» «Gli telefonerò. Sto gelando. Tu abiti qui vicino?» «Non molto lontano, ma l’appartamento è un disastro. Stiamo imballando tutto.» «Non mi importa.» Due ore più tardi, Samantha entrò nella hall del Peninsula Hotel in Fifty-fifth Street. Salì la scala alla sua sinistra, arrivò al primo piano e, come previsto, vide Jeff seduto al bar. Senza dire una parola, lui le passò un foglietto su cui era scritto: “Stanza 1926”. La guardò voltarsi e andarsene, poi si piazzò accanto alla scala per vedere se qualcun altro avesse notato qualcosa. Samantha salì in ascensore al diciannovesimo piano e premette il campanello della stanza. Un uomo alto con troppi capelli grigi aprì la porta dopo pochi secondi e disse: «Salve, Ms Kofer. È un onore. Sono Jarrett London». La numero 1926 era una suite enorme con un grande soggiorno a un’estremità. Nessun segno della fidanzata di London. Pochi minuti dopo l’arrivo di Samantha, fu Jeff a suonare il campanello. Si sedettero in soggiorno e sbrigarono gli inevitabili convenevoli. London accennò a qualcosa da bere, che i suoi ospiti rifiutarono, poi passò a parlare del lavoro di Samantha nel caso Ryzer sottolineando quanto fosse stato brillante. Lui e Donovan ne avevano discusso a lungo. London e i suoi soci stavano ancora dibattendo se partecipare alla causa quando Donovan si era lanciato e aveva depositato i maledetti atti. «Troppo prematuro» osservò London. «Ma Donovan era fatto così.» Lui, London, stava ancora riflettendoci sopra. Non capitava tutti i giorni di beccare un grande studio come Casper Slate con le mani nel sacco in una frode, giusto? Il caso avrebbe fatto una grossa presa sulla giuria. Si dilungò sulla bellezza della causa, come se Samantha non se ne fosse mai resa conto. Aveva già sentito tutto, da Donovan e da suo padre. E ora la Krull Mining: con Donovan fuori dal quadro, London adesso era l’avvocato leader per la parte attrice. La citazione era stata depositata il 29 ottobre. Alla Krull era stato concesso altro tempo per redigere e depositare la propria comparsa di risposta. Per inizio gennaio, London e la sua squadra si aspettavano che la Krull presentasse un’istanza di archiviazione e a quel punto la guerra sarebbe cominciata sul serio. Presto, molto presto, ci sarebbe stato bisogno dei documenti. «Lei quanto sa di quei documenti?» domandò Samantha. London espirò rumorosamente, come se la domanda fosse stata così complessa che non sapeva da dove cominciare, poi si alzò in piedi e andò al minibar. «Una birra?» Jeff e Samantha rifiutarono, di nuovo. London aprì una lattina di Heineken e si avvicinò a una finestra. Bevve un lungo sorso e disse: «Abbiamo tenuto la nostra prima riunione circa un anno fa a Charleston, nello studio di Gordie Mace, uno della nostra gang. Donovan ci aveva convocato tutti per convincerci a lavorare con lui nella causa Hammer Valley. Ci informò di avere alcuni documenti il cui possesso non era stato acquisito con i metodi consueti. Noi non facemmo domande, lui non chiarì. Ci disse però che c’erano più di ventimila pagine di materiale estremamente incriminante. La Krull Mining sapeva dell’inquinamento, sapeva delle infiltrazioni nelle falde acquifere in tutta la valle, sapeva che la gente continuava a bere quell’acqua, sapeva che la gente si ammalava e moriva, sapeva che avrebbe dovuto bonificare il sito, ma sapeva anche che era meno costoso fregare la gente e tenersi i soldi. Donovan non aveva i documenti con sé, ma aveva appunti dettagliati, che distrusse dopo la riunione. Ci descrisse una ventina di quei documenti, i più incriminanti e, francamente, tutti noi restammo stupefatti. Sbalorditi. Oltraggiati. Ci arruolammo tutti subito e scaldammo i motori in vista della causa. Donovan fece sempre molta attenzione a non definire mai quei documenti “rubati” e li tenne lontano da noi. Se ce li avesse dati in un qualsiasi momento dell’anno scorso, tutti noi, con ogni probabilità, saremmo stati arrestati dall’FBI all’inizio di questo mese». «E adesso come farete a entrare in possesso dei documenti senza farvi arrestare?» chiese Samantha. «È la grande domanda. In questi giorni stiamo avendo dei colloqui indiretti con uno degli assistenti del giudice del processo, un canale di comunicazione segreto, molto riservato ed estremamente inusuale. Noi riteniamo di poter acquisire i documenti, offrirli immediatamente alla corte e farli mettere sottochiave dal giudice. Poi chiederemo al giudice di fare pressione sul procuratore federale perché sospenda l’indagine finché i documenti non verranno divulgati. Parliamoci chiaro: la persona che li aveva rubati è morta. Ci siamo consultati con i colleghi penalisti e loro concordano che dal punto di vista legale il nostro rischio sarà minimo. Noi siamo disposti a correrlo. I rischi riguardano quello che può succedere ai documenti prima che arrivino alla corte. La Krull Mining farà qualsiasi cosa pur di distruggerli e al momento ha l’FBI al suo fianco. C’è pericolo là fuori.» Samantha lanciò a Jeff uno sguardo che avrebbe potuto uccidere. London si sedette accanto a lei e la fissò negli occhi. «Ci servirebbe un po’ di aiuto a Washington.» «Ehm, mi dispiace, ma...» «Ci sono tre persone nel cerchio magico del procuratore generale degli Stati Uniti. Una è Leonna Kent, sono sicuro che la conosce.» Confusa, Samantha disse: «Be’, l’ho incontrata qualche anno fa». «Leonna Kent e sua madre hanno cominciato a lavorare insieme al dipartimento di Giustizia, trent’anni fa. Sua madre, Samantha, è tenuta in grande considerazione e ricopre un ruolo importante. Ha anche qualche potere.» «Ma non in aree come questa.» «Oh, sì, Samantha. Una parola o due da Karen Kofer a Leonna Kent, da Leonna Kent al procuratore generale, dal procuratore generale al procuratore federale in Kentucky e potremmo vedere l’FBI fare un passo indietro. Questo ci lascerebbe con la sola Krull di cui preoccuparci.» «È questo il motivo del nostro incontro? Mia madre?» «Professionalmente, Samantha, non personalmente, capisce. Lei ha mai discusso di questa faccenda con sua madre?» «No, naturalmente no. Non ho nemmeno mai pensato di farlo. È fuori dal suo ambito, okay?» «Io non credo. Noi abbiamo contatti affidabili a Washington, e loro sono convinti che Karen Kofer potrebbe aiutarci.» Samantha era sconcertata e confusa. Guardò Jeff e gli chiese: «È per questo che sei venuto a New York, per coinvolgere mia madre?». «No, questa è la prima volta che ne sento parlare» ribatté Jeff, piccato. «Io non sapevo nemmeno dove lavora tua madre.» Era sincero come un bambino accusato ingiustamente, e Samantha gli credette. «Non ne ho discusso con Jeff» disse London. «L’informazione arriva dalle nostre fonti a Washington.» «I vostri lobbisti.» «Sì, naturalmente. Chi non ha i propri lobbisti? Puoi amarli o odiarli, però conoscono lo scenario. Temo che lei abbia preso questa cosa a un livello troppo personale. Non le stiamo chiedendo di convincere sua madre a lasciarsi coinvolgere direttamente in un’indagine federale, ma d’altra parte sappiamo come funzionano le cose. Le persone sono persone, gli amici sono amici, una parolina qui, una parolina là e le cose possono succedere. Mi dica solo che ci penserà, okay?» Samantha fece un respiro profondo. «Prenderò in considerazione l’idea di pensarci.» «Grazie.» London si alzò in piedi e si sgranchì le gambe. Samantha guardò Jeff, che stava studiando i propri stivali. Piuttosto goffamente, London disse: «Bene, Jeff, vogliamo parlare della consegna dei documenti?». Samantha scattò in piedi. «Ci vediamo, signori.» Jeff le afferrò un braccio, delicatamente. «Per favore, non andare. Ho bisogno dei tuoi consigli.» Samantha liberò il braccio. «Io non faccio parte del vostro piccolo complotto. Voi ragazzi chiacchierate di tutto quello che volete. Non avete bisogno di me. È stato un piacere.» Spalancò la porta e scomparve. Jeff la raggiunse nell’atrio e uscì dall’hotel insieme a lei. Si scusò e Samantha gli assicurò che non era arrabbiata. Lei non conosceva Jarrett London, di sicuro non si fidava di un estraneo e non aveva intenzione di discutere questioni riservate in sua presenza. Risalirono Fifth Avenue, persi nella folla, e riuscirono a mantenere la conversazione lontano da qualsiasi cosa avesse a che fare con il carbone. Samantha indicò a Jeff l’edificio in cui sua madre al momento viveva nel lusso. In serata Samantha stessa era attesa all’ennesima cena nel palazzo, ma aveva già disdetto l’impegno. Aveva promesso la notte a Jeff. Sospettando che Jeff potesse non apprezzare una maratona di tre ore in un ristorante a quattro stelle, Samantha evitò i locali di lusso e prenotò al Mas nel West Village. In una serata gelida, era la scelta perfetta: un ristorante caldo e intimo, con l’atmosfera di un’autentica fattoria francese. Il menu cambiava ogni giorno e non era molto ricco. Jeff lo lesse con attenzione e confessò di non riconoscere un solo piatto. Un cameriere suggerì la cena a prezzo fisso, quattro portate per sessantotto dollari, e Samantha approvò. Jeff rimase sgomento dai prezzi, ma molto impressionato dal cibo. Gamberi in crosta con spaghetti squash, salsiccia di maiale e mela, pesce persico con fonduta di porri e torta al cioccolato. Bevvero una bottiglia di syrah della valle del Rodano. Quando passò il carrello dei formaggi, Jeff per poco non lo inseguì. Samantha chiamò il cameriere e spiegò che avrebbero gradito aggiungere il formaggio al menu, con altro vino. Mentre aspettavano il carrello, Jeff si protese verso di lei e le chiese: «Penserai a quella cosa?». «Non prometto niente. Non sono sicura di fidarmi di te.» «Grazie. Senti, so che potrà sembrarti pazzesco e sono stato davvero combattuto se parlartene o no. Sto ancora combattendo, comunque te lo dico.» Per una spaventosa frazione di secondo, Samantha temette che Jeff stesse per chiederle di sposarlo. Non erano nemmeno una coppia! E lei non aveva assolutamente in programma di fare sul serio. Fino a quel momento avevano privilegiato il sesso rispetto a qualsiasi ipotesi amorosa. Di sicuro quel ragazzo di montagna un po’ rustico non era così innamorato da inciampare in una proposta di matrimonio. Non lo era, ma la sua idea era quasi altrettanto destabilizzante: «Io sono il proprietario dello studio legale, o lo sarò dopo l’omologazione del testamento. Sono anche l’esecutore testamentario di Donovan, per cui devo occuparmi dei suoi affari. Io, Mattie e il giudice, immagino. Tu hai visto l’elenco dei casi di mio fratello: ne ha lasciati parecchi in sospeso. Mattie se ne prenderà alcuni, ma non molti. Ha già la scrivania piena e comunque non è il suo tipo di attività. Quello che ci serve, è qualcuno che prenda in mano lo studio. C’è denaro per assumere un avvocato che finisca il lavoro di Donovan. Francamente, in tutta la contea non c’è nessun altro che prenderemmo in considerazione». Samantha aveva trattenuto il respiro nel timore di una goffa proposta di matrimonio, trovandosi invece ad ascoltare una proposta bizzarra. Quando Jeff tacque, lasciò uscire il fiato e disse: «Oh, accidenti». «Lavoreresti in stretto contatto con Mattie e Annette, e io sarei sempre nei paraggi.» Non era proprio uno shock. Per almeno due volte, Mattie aveva accennato vagamente all’idea di assumere un avvocato per chiudere le pratiche di Donovan. In entrambe le occasioni le parole erano come rimaste sospese nell’aria, ma Samantha aveva avuto la sensazione che fossero rivolte a lei. «Posso pensare ad almeno dieci ragioni per cui non funzionerebbe» disse. «Posso pensare a undici ragioni per cui funzionerebbe» ribatté Jeff con un sorriso. Il carrello dei formaggi si fermò accanto al tavolo, avvolgendoli nei suoi profumi e aromi pungenti. Samantha ne scelse tre tipi. Jeff prima indicò il cheddar industriale da supermercato, ma poi si corresse e chiese gli stessi formaggi di Samantha. Quando il carrello si allontanò, disse: «Comincia tu. Spiegami le tue ragioni e io ti spiegherò le mie». «Non sono qualificata.» «Tu sei incredibilmente in gamba e impari in fretta. Con l’aiuto di Mattie, puoi fare qualsiasi cosa. Prossima ragione.» «Tra qualche mese potrei non esserci più.» «Tu puoi andartene quando vuoi. Non c’è un contratto che ti imponga di tornare qui tra dodici mesi. L’hai detto tu stessa che il mercato legale è saturo e depresso e che non ci sono posti di lavoro. La prossima.» «Non sono specializzata in cause in tribunale. Lo studio di Donovan faceva soprattutto questo.» «Tu hai ventinove anni e puoi affrontare qualunque situazione. Mattie mi ha detto che sei svelta e che in aula sei già migliore della maggior parte degli azzeccagarbugli locali.» «Ha detto proprio così?» «Ti mentirei mai?» «Oh, sì.» «Non ti sto mentendo. Prossima ragione.» «Non mi sono mai occupata di appelli, tanto meno di un appello riguardante un grosso verdetto.» «Questa finora è la ragione più debole. Un appello è solo lavoro di ricerca e redazione di documenti. Una passeggiata. La prossima.» «Jeff, io sono una ragazza di città. Guardati intorno: è questa la mia vita. Non posso sopravvivere a Brady.» «Okay, questo è un buon punto. Ma chi dice che dovrai restare a Brady per sempre? Provaci per due o tre anni, aiutaci a chiudere i casi di Donovan e a incassare le parcelle. Là fuori c’è un po’ di denaro e io non voglio perderlo. La prossima.» «Alcune cause di Donovan potrebbero trascinarsi per anni. Non posso prendere un impegno del genere.» «Allora impegnati per l’appello Tate. Stiamo parlando di diciotto mesi al massimo. Voleranno, e poi decideremo cosa fare. E in quell’arco di tempo potrai selezionare e accettare altri casi che ti sembrino promettenti. Io ti darò una mano. Sono abbastanza bravo come cacciatore di ambulanze. La prossima.» «Non voglio avere a che fare con la moglie di Donovan.» «Non succederà, te lo prometto. Di Judy ci occuperemo Mattie e io. Prossima?» Samantha spalmò un po’ di camembert sopra un crostino e diede un morso. Masticando, disse: «Non voglio gente che mi segua. Non mi piacciono le armi». «Potrai esercitare la professione anche senza pistola. Guarda Mattie: hanno paura di lei. E, come dicevo, io ti starò vicino e ti proteggerò». Samantha inghiottì e bevve un sorso di porto. «Okay, eccoti una ragione che non puoi confutare, e non c’è modo di parlarne senza essere brutale. Tu e Donovan avete sempre giocato seguendo regole diverse dalle mie. Avete rubato i documenti della causa Krull Mining e sono sicura che avete preso scorciatoie anche in altri casi. Ho la sensazione che alcune pratiche dello studio siano... diciamo contaminate. Io non voglio averci niente a che fare. L’FBI ha già fatto irruzione una volta. Non ho intenzione di essere presente quando ne faranno un’altra.» «Non succederà, te lo giuro. Non c’è niente di cui preoccuparsi, a parte la Krull. E io non metterò mai in pericolo né te né lo studio, lo prometto.» «Non mi fido del tutto di te.» «Grazie. Ma mi guadagnerò la tua fiducia.» Un altro boccone di formaggio, un altro sorso di porto. Anche Jeff stava mangiando, in attesa. Contò sulle dita e disse: «Mi hai dato solo nove ragioni, che io ho demolito brillantemente». «Okay, numero dieci: non sono sicura di riuscire a lavorare molto, con te in giro.» «Ottimo punto. Vuoi che tenga giù le mani?» «Non ho detto questo. Guardami, Jeff, non mi interessa una storia d’amore, okay? Punto e basta. Possiamo divertirci finché ci pare, ma, appunto, sarà solo divertimento. Nel momento in cui le cose dovessero diventare serie, avremmo dei problemi.» Jeff ridacchiò. «Allora, vediamo se ho capito bene. Tu vuoi dedicarti a ogni tipo di attività sessuale, ma senza il minimo accenno di impegno. Accidenti, è dura. Affare fatto, hai vinto. Senti, io sono uno scapolo di trentadue anni e mi piace essere single. Devi capire che Donovan e io siamo rimasti feriti e segnati da ragazzini. I nostri genitori erano infelici insieme e non sopportavano neppure di vedersi. È stata una guerra e le vittime siamo stati mio fratello e io. Per noi “matrimonio” è sempre stata una parolaccia. È uno dei motivi per cui Donovan e Judy si sono separati.» «Annette ha detto che Donovan si dava parecchio da fare in giro.» «Annette dovrebbe saperlo.» «Lo sospettavo. Sono stati insieme per molto tempo?» «Chi tiene il conto? E comunque Donovan non mi diceva tutto. Era molto riservato, come sai. Ci aveva provato anche con te?» «No.» «E se lo avesse fatto?» «Ammetto che sarebbe stato difficile dirgli di no.» «Pochissime donne dicevano no a Donovan, Annette compresa.» «Mattie lo sa?» Jeff bevve un sorso di porto e si guardò intorno nella sala. «Ne dubito. Non le sfugge molto di quello che succede a Brady, ma credo che Donovan e Annette fossero molto discreti. Se Mattie l’avesse scoperto, ci sarebbero state delle complicazioni. Lei adora Judy e si considera la nonna di Haley.» Il cameriere passò accanto al tavolo e Samantha gli chiese il conto. Jeff si offrì di pagare la cena, ma Samantha insistette: «Tu puoi invitarmi a Brady. A New York pago io». «Non un cattivo affare.» Il formaggio era sparito e il porto stava finendo. Rimasero seduti ad ascoltare le conversazioni intorno a loro, alcune in lingue straniere. Jeff sorrise e osservò: «Brady è molto lontana, vero?». «Sì, davvero. Un altro mondo, che non è il mio. Ti ho dato dieci ragioni, Jeff, e sono sicura che potrei trovarne altre dieci. Non resterò a lungo, perciò, per favore, cerca di capire.» «Lo capisco, Samantha, e non ti biasimo.» 31 Jeff iniziò il nuovo anno con il botto, facendosi arrestare all’aeroporto di Charleston, West Virginia. Verso le ventidue della prima domenica dell’anno, una guardia che faceva il giro dell’area riservata ai voli privati notò un uomo che cercava di nascondersi all’ombra di un Beech Bonanza, parcheggiato insieme a molti altri piccoli aerei. La guardia estrasse la pistola e ordinò all’uomo, Jeff, di allontanarsi dal velivolo. Fu chiamata la polizia. Jeff venne ammanettato e portato in carcere. Telefonò a Samantha alle sei della mattina seguente, ma solo per informarla. Non aveva bisogno che andasse a salvarlo perché aveva diversi amici avvocati a Charleston. Samantha gli fece la domanda più ovvia: «Perché stavi ficcanasando in giro per l’aeroporto di domenica sera?». «Indagini» rispose Jeff. Qualcuno stava gridando in sottofondo. Samantha scosse la testa, frustrata per tanta imprudenza. «Okay, cosa posso fare?» «Niente. Si tratta solo di violazione di proprietà privata. Tra poche ore sarò fuori. Ti richiamo.» Samantha si affrettò ad andare in studio e preparò il caffè prima delle sette. Non aveva tempo per preoccuparsi di Jeff e della sua ultima avventura. Rivide gli appunti, preparò la pratica, si versò una tazza di caffè per il viaggio e alle sette e trenta partì per Colton, un’ora e mezzo d’auto che impiegò per provare di nuovo le sue argomentazioni per il giudice e per il legale della Top Market Solutions. Entrò nel tribunale di Hopper County, da sola. Erano finiti i giorni in cui Mattie o Annette le facevano da scudo. Adesso poteva contare soltanto su di sé, almeno per il caso Booker. Pamela le andò incontro nel corridoio e la ringraziò di nuovo. Entrarono nell’aula e si sedettero allo stesso tavolo dove, meno di tre mesi prima, Donovan Gray sedeva con Lisa e la teneva per mano mentre la giuria pronunciava un giusto verdetto. A Samantha non sfuggiva il fatto che con ogni probabilità sarebbe stata coinvolta nell’appello contro quel verdetto. Ma non quel giorno. Quel giorno non si sarebbe combattuto per qualcosa che andasse anche solo vicino a tre milioni. Erano più probabili cinquemila dollari, ma, a giudicare dai nervi di Samantha, avrebbero potuto essere milioni. Il giudice aprì l’udienza e disse a Samantha di procedere. Lei fece un respiro profondo, si guardò intorno, vide che non c’erano spettatori, rammentò a se stessa che quella era una banale causa per una cifra irrisoria e si buttò. Cominciò con qualche breve osservazione di apertura e poi chiamò la sua cliente sul banco dei testimoni. Pamela descrisse la vecchia ingiunzione di pagamento della vecchia carta di credito, citò la sentenza di divorzio, raccontò di come si fosse ritrovata con parte del salario pignorata e poi senza lavoro, e infine fece una splendida esibizione raccontando l’esperienza di avere vissuto in macchina con i suoi due figli. Samantha presentò al giudice copie certificate dell’ingiunzione relativa alla carta di credito, della sentenza di divorzio, dell’ordine di pignoramento presso terzi e del libro paga della fabbrica di lampade. Dopo un’ora sul banco dei testimoni, Pamela tornò al tavolo del suo legale. La Top Market Solutions aveva una linea difensiva debole e un rappresentante ancora più debole. Si chiamava Kipling, un avvocato di basso livello di uno studio di due soci di Abingdon, chiaramente poco entusiasta sia del caso che del suo cliente. Spiegò con scarsa partecipazione come la Top Market fosse stata ingannata dalla società della carta di credito e avesse agito in buona fede. Il suo cliente non aveva idea che l’ingiunzione che aveva cercato di far valere fosse prescritta. Il giudice dimostrò scarsa pazienza nei confronti di Kipling e dei suoi sproloqui. «La sua richiesta di archiviazione è respinta, Mr Kipling. E adesso parliamo in via ufficiosa.» Lo stenotipista si rilassò e afferrò una tazza di caffè. Il giudice proseguì: «Voglio che questa faccenda venga risolta, e subito. Mr Kipling, è evidente che il suo cliente ha commesso un errore e ha provocato un estremo disagio a Ms Booker. Possiamo avere un processo in piena regola tra un mese circa, proprio qui davanti a me, senza giuria, ma sarebbe una perdita di tempo perché io ho già preso la mia decisione. Le assicuro che al suo cliente costerà meno accettare un accordo adesso». «Be’... certo, vostro onore» balbettò Kipling, teso. Era decisamente insolito che un giudice fosse così esplicito riguardo a una sua futura delibera. «Le spiego cosa ritengo giusto» continuò il giudice. In altre parole, ecco quale sarebbe la mia sentenza in un processo. «Il suo cliente ha illecitamente pignorato parte del salario di Ms Booker, undici assegni, per un totale di milletrecento dollari. A causa di tale pignoramento, la signora è stata sfrattata dal proprio caravan. Il suo cliente, inoltre, è stato direttamente responsabile del licenziamento di Ms Booker, anche se so che in seguito ha riavuto il suo impiego. In ogni caso la signora ha vissuto giorni di disperazione e, senza casa, è finita a vivere in macchina con i suoi due figli. Tutto questo per responsabilità del suo cliente. Ms Booker ha diritto a un risarcimento. Nella sua citazione, la signora ha chiesto cinquemila dollari, ma a me sembra un po’ poco. Se dovessi emettere una sentenza oggi, le riconoscerei milletrecento dollari per il salario perso, più altri diecimila per i danni subiti. Se dovrò decidere il mese prossimo, le assicuro che queste cifre le sembreranno un affare. Cosa mi dice, Mr Kipling?» Kipling stava parlottando con il suo cliente, un rappresentante della Top Market, un ometto tozzo dal viso arrossato e l’abito a buon mercato troppo stretto. Era furioso e sudava, ma era in grado di capire quello che stava succedendo. Era chiaro che avvocato e cliente non si fidavano l’uno dell’altro. Finalmente Kipling disse: «Può concederci cinque minuti, vostro onore?». «Certo, ma non di più.» I due uscirono dall’aula con passo pesante. Pamela si chinò verso Samantha e sussurrò nervosa: «Non ci posso credere». Samantha annuì sicura di sé, come se quello fosse stato solo un giorno in tribunale come tanti. Finse di essere presa da un documento, aggrottando la fronte e sottolineando alcune parole terribilmente importanti, ma avrebbe voluto urlare: “Non riesco a crederci neppure io. Questo è il mio primo processo!”. Naturalmente non era un processo vero e proprio, si trattava più di un’udienza. Ma quella era la sua prima causa, e vincere in modo così clamoroso era eccitante. La porta dell’aula si aprì e la controparte tornò al suo tavolo. Kipling guardò il giudice e disse: «Vostro onore, ecco... be’, a quanto pare il mio cliente ha commesso alcuni errori ed è veramente dispiaciuto per i problemi che ha causato. Quella che lei ha suggerito è una soluzione equa. L’accettiamo». Samantha tornò a Brady fluttuando a mezz’aria. Pensò a Donovan e a Jeff dopo il verdetto Tate, che facevano ritorno in città con un verdetto da tre milioni di dollari in tasca. Non potevano essere stati più eccitati e trionfanti di quanto fosse lei in quel momento. Samantha e le sue colleghe avevano salvato i Booker dal vagabondaggio, addirittura dalla fame, e li avevano reinseriti in una vita normale. Avevano cercato giustizia con determinazione, e l’avevano trovata. I cattivi erano stati sbaragliati. Come avvocato, non si era mai sentita così meritevole. Come persona, non si era mai sentita così necessaria. Il pranzo portato da casa del lunedì fu consumato festeggiando la schiacciante vittoria di Samantha nella sua prima causa. Annette le consigliò di godersi il momento perché nel loro mestiere le vittorie erano rare. Mattie l’ammonì a non gioire troppo presto: l’assegno non era ancora arrivato. Una volta discusso e ridiscusso il caso Booker, la conversazione si spostò su altri argomenti. Mattie disse che Jeff era uscito di prigione a Charleston. Aveva pagato la cauzione o era evaso? domandò Samantha. Un eminente avvocato del posto, un amico di Donovan, aveva ottenuto il suo rilascio. No, Jeff non aveva fornito particolari sul suo presunto reato. Quella mattina, Annette aveva ricevuto una telefonata ufficiosa da parte di un cancelliere del tribunale, il quale l’aveva avvertiva della possibilità che un avvocato della famiglia Crump, di cui non faceva il nome, avesse in programma di chiedere l’omologazione del primo testamento di Francine Crump, quello che la defunta aveva firmato cinque anni prima e presumibilmente lo stesso che aveva mostrato a Samantha. La famiglia sosteneva che quel testamento era valido perché l’ultimo, quello redatto gratuitamente dalla Legal Aid Clinic, era stato distrutto dalla stessa Francine. Era un pasticcio che incombeva minaccioso, nel quale nessuno intorno al tavolo aveva voglia di cacciarsi. Che i Crump si tenessero il terreno e lo vendessero a una società del carbone: a loro non importava. Tuttavia, come spiegò Mattie, in qualità di avvocati loro tre erano funzionari della corte, e di conseguenza erano tenute a impedire, se possibile, una frode. Erano in possesso dell’originale del testamento gratuito, inviato per posta da qualche misterioso personaggio dopo che Francine era stata colpita dall’ictus. Francine non lo aveva distrutto, anzi, lo aveva nascosto ai figli e voleva che lo studio lo facesse rispettare e lo omologasse. Dovevano presentare il testamento subito e dare inizio a una guerra che avrebbe infuriato per parecchi anni? Oppure era meglio aspettare e vedere cosa avrebbero sostenuto i Crump? Era molto probabile che la famiglia insistesse nella menzogna della distruzione del testamento da parte di Francine. Se quelle bugie fossero state ripetute sotto giuramento, e poi smascherate, avrebbero potuto esserci serie conseguenze per la famiglia. Con ogni probabilità i Crump si stavano cacciando da soli in una trappola, una trappola che la Legal Aid Clinic poteva evitare presentando subito il testamento. Era un pantano legale, una classica domanda da esame alla scuola di legge, studiata per fare impazzire gli studenti. Decisero di aspettare un’altra settimana, anche se tutte e tre le avvocatesse, unitamente a Claudelle e a Barb, sapevano che il testamento doveva essere presentato e la famiglia avvertita. Era prevista una forte nevicata a cominciare dal tardo pomeriggio e vennero discussi i piani per lo studio. Normalmente, Mattie, Annette e Samantha andavano comunque al lavoro a piedi, per cui la Legal Aid Clinic sarebbe rimasta aperta. Claudelle era incinta di otto mesi e nessuno si aspettava che si facesse vedere. Barb abitava in aperta campagna, in una strada dove lo spazzaneve passava di rado. Alle tre la neve stava già cadendo. Samantha la stava guardando dalla sua scrivania, sognando a occhi aperti ed evitando le pratiche, quando il cellulare prepagato ronzò nella borsa. Jeff le disse di essere ancora nella zona di Charleston. «Come era la prigione?» chiese Samantha. «Attenta a quello che dici.» «Oh, giusto, mi ero dimenticata.» Samantha si alzò in piedi e andò in veranda. Jeff raccontò di essere entrato nell’area voli privati passando da un cancello nella recinzione metallica. Il piccolo terminal era aperto, ma era presente un solo impiegato, una ragazza che sfogliava riviste di gossip seduta dietro una scrivania. Nascosto nell’ombra, Jeff aveva osservato la zona per una mezz’ora e non aveva notato alcun movimento. In lontananza, al terminal principale, aveva visto un certo traffico, ma nessun piccolo aereo. Nel parcheggio c’erano tredici velivoli, compresi quattro Skyhawk. Jeff era scivolato all’interno di uno dei due aperti ed era rimasto lì al buio per dieci minuti. In altre parole, non c’era virtualmente alcuna sorveglianza. Avrebbe potuto manomettere qualsiasi aereo. Poi aveva visto una guardia e aveva deciso di farsi arrestare. Si trattava solo di violazione di proprietà privata, un reato minore. Era stato accusato di reati molto più seri, ricordò a Samantha. La guardia era stata gentile e lui aveva sfoderato tutto il suo charme. Aveva detto di essere un pilota e che possedere un Beech Bonanza era sempre stato il suo sogno; aveva solo voluto vederne uno da vicino. Non aveva cattive intenzioni. La guardia gli aveva creduto ed era stata comprensiva, ma doveva fare il suo lavoro. La prigione non sarebbe stata un grosso problema. L’avvocato si sarebbe occupato di tutto. Ma, chiacchierando amichevolmente, Jeff aveva chiesto alla guardia dei suoi colleghi, persone che avevano lavorato lì al parcheggio e che magari se ne erano andate. Era riuscito ad avere un nome, un uomo che si era licenziato prima di Natale e che ora lui stava cercando di rintracciare. Samantha chiuse gli occhi e gli disse di stare attento. Sapeva che Jeff avrebbe passato il resto della sua vita cercando di trovare gli uomini che gli avevano ucciso il fratello. L’eccitazione della causa si attenuò alquanto due giorni dopo, quando Samantha accompagnò Mattie a un’udienza per polmone nero davanti al giudice amministrativo (GA ) del tribunale federale di Charleston. Il minatore, Wally Landry, aveva cinquantotto anni e non lavorava da sette. Era attaccato a una bombola d’ossigeno e costretto su una sedia a rotelle. Quattordici anni prima aveva presentato domanda per l’indennità da polmone nero in base a una perizia medica che lo dichiarava affetto da pneumoconiosi complicata. Il direttore distrettuale del dipartimento del Lavoro aveva accolto la richiesta. Il datore di lavoro, Braley Resources, si era appellato al GA , il quale aveva suggerito a Mr Landry di trovarsi un avvocato. Mattie aveva accettato di rappresentarlo, aveva prevalso davanti al GA e la Braley aveva fatto ricorso presso la Commissione revisione indennità (CRI ) a Washington. Il caso era rimbalzato avanti e indietro tra GA e CRI per cinque anni, prima che la CRI decidesse definitivamente a favore di Landry. La società era quindi ricorsa alla Corte d’Appello federale, dove la pratica era rimasta a prendere polvere per due anni prima di essere rinviata per competenza al GA . Il giudice amministrativo aveva richiesto ulteriori perizie mediche e gli esperti si erano di nuovo dati battaglia. Landry aveva cominciato a fumare all’età di quindici anni, aveva smesso vent’anni dopo e, in quanto fumatore, era stato martellato dal solito fuoco di fila di pareri medici a sostegno della tesi che i suoi problemi polmonari erano stati provocati dal catrame e dalla nicotina, non dalle polveri di carbone. “Qualsiasi cosa tranne le polveri di carbone” aveva detto Mattie, più e più volte. “È sempre questa la loro strategia.” Erano tredici anni che Mattie lavorava a quel caso, aveva investito cinquecentocinquanta ore e, se alla fine avesse vinto, avrebbe dovuto combattere per farsi riconoscere duecento dollari l’ora. La parcella sarebbe stata pagata dalla Braley Resources e dalla sua assicurazione, i cui avvocati addebitavano ben più di duecento dollari l’ora. Nelle rare occasioni in cui la Legal Aid Clinic incassava una parcella per un caso di polmone nero, il denaro finiva in un conto speciale che contribuiva a coprire le spese di futuri casi analoghi. Al momento sul conto c’erano circa ventimila dollari. L’udienza si teneva in una piccola aula. Mattie disse che era almeno la terza volta che si ritrovavano tutti lì per rimasticare le stesse contrastanti perizie mediche. Lei e Samantha sedevano a un tavolo. Non molto lontano, un gruppo di azzimati avvocati dello studio Casper Slate stava vuotando le voluminose valigette, incurante di loro. Alle spalle di Samantha era seduto un rinsecchito Wally Landry, con la moglie al fianco e una cannula nel naso che gli consentiva di respirare. Quattordici anni prima, quando aveva presentato la sua prima domanda di indennità, Wally aveva avuto diritto a seicentoquarantuno dollari al mese. Le spese legali sostenute dalla Braley all’epoca ammontavano ad almeno seicento dollari l’ora, secondo i calcoli approssimativi di Mattie, la quale diceva di non provare neppure a dare un senso alla cosa. Le spese legali affrontate dalle società del carbone e dalle loro assicurazioni eccedevano di gran lunga le indennità che volevano evitare a ogni costo, ma non era quello il punto. Gli ostacoli e i ritardi scoraggiavano le eventuali domande di altri minatori e di sicuro spaventavano gli avvocati. Nel lungo termine, le società del carbone vincevano, come sempre. Un damerino in abito scuro si avvicinò disinvolto al loro tavolo e disse: «Salve, Mattie. Sono contento di rivederti». Riluttante, Mattie si alzò in piedi, tese una mano molle e rispose: «Buongiorno, Trent. È sempre un piacere». Trent aveva circa cinquant’anni, capelli che andavano ingrigendosi e un’aria sicura di sé. Aveva anche un sorriso falso e melenso e, quando disse: «Mi dispiace molto per tuo nipote. Donovan era un eccellente avvocato». Mattie ritirò subito la mano. «Non parliamo di lui.» «Scusami, naturalmente no. E lei chi è?» domandò, guardando Samantha, che era in piedi e rispose: «Samantha Kofer, stagista alla Legal Aid Clinic». «Ah, sì, la brillante investigatrice che ha scavato nelle cartelle cliniche di Ryzer. Io sono Trent Fuller.» Tese la mano, ma Samantha la ignorò. «Io sono un avvocato, non un investigatore. E rappresento Mr Ryzer per la domanda d’indennità per polmone nero.» «Sì, così mi dicono.» Il sorriso svanì e gli occhi di Fuller si strinsero, lampeggiando odio. Parlò puntando un dito contro Samantha. «Siamo profondamente offesi dalle accuse che il suo cliente, in quella sua disgraziata causa, ha mosso senza alcuna prova contro il nostro studio. L’avverto, non commetta di nuovo lo stesso errore.» Fuller aveva alzato il volume della voce mentre ammoniva Samantha. Gli altri tre abiti scuri di Castrate si erano immobilizzati e anche loro la stavano fissando. Samantha era sbalordita, ma non c’era modo di nascondersi. «Lei sa che quelle accuse sono vere» disse. Fuller fece un passo avanti e le puntò il dito in faccia. «Faremo causa a lei e al suo cliente per calunnia, ha capito?» Mattie tese un braccio e scostò gentilmente la mano di Fuller. «Adesso basta, Trent, torna nella tua gabbia.» Fuller si rilassò ed esibì il suo sorriso untuoso. Ma continuò a fissare Samantha e, a voce più bassa, le disse: «Il suo cliente ci ha causato grande imbarazzo e disagio, Ms Kofer. Anche se la causa è stata abbandonata, dà ancora molto fastidio. La domanda di indennità di Mr Ryzer riceverà il trattamento completo dal nostro studio». «Non lo ricevono forse tutte le domande?» scattò Mattie. «Accidenti, quella di oggi è in ballo da quattordici anni e voi continuate a lottare con le unghie e con i denti.» «È quello che facciamo sempre, Mattie. È il nostro mestiere» dichiarò con orgoglio Fuller, mentre si allontanava e raggiungeva il suo fan club. «Fai un bel respiro» disse Mattie a Samantha, mentre tutte e due si sedevano. «Non ci posso credere.» Samantha era ancora stupefatta. «Sono stata minacciata in un’aula di tribunale.» «Oh, non hai ancora visto niente. Ti minacceranno in tribunale, fuori dal tribunale, nei corridoi, al telefono, per email, per fax e negli atti giudiziari. Non ha importanza. Sono dei bruti prepotenti, proprio come i loro clienti, e il più delle volte la fanno franca.» «Chi è Fuller?» «Uno dei loro cecchini di maggior talento. Socio anziano, uno dei sei della divisione polmone nero. Circa cento associati, decine di paralegali e tutto il personale amministrativo di cui hanno bisogno. Te lo immagini uno come Wally Landry seduto qui senza un avvocato?» «No.» L’immagine sembrava così inverosimile che doveva per forza essere illegale. «Be’, succede di continuo.» Per una frazione di secondo Samantha desiderò disperatamente la forza e la sicurezza di Scully & Pershing, uno studio quattro volte più grande di Casper Slate e molto più ricco. Nessuno si permetteva di fare il prepotente con gli avvocati specializzati in cause in tribunale del suo vecchio studio; anzi, spesso erano loro quelli considerati prepotenti. In un combattimento di cani, potevano sempre far intervenire un branco di lupi per proteggere i loro clienti. Trent Fuller non avrebbe mai preso in considerazione un’aggressione del genere a un avvocato di un altro grande studio. Faceva il gradasso, e si sentiva libero di spadroneggiare, perché al tavolo della controparte vedeva due donne, due legali sottopagati che rappresentavano pro bono un minatore moribondo. L’audacia era sorprendente: il suo studio era colpevole di frode e associazione per delinquere, era stato colto con le mani nel sacco da Samantha ed era stato smascherato quando Donovan aveva depositato gli atti Ryzer. Ora che la causa non esisteva più, Fuller e il suo studio non si preoccupavano affatto dei loro reati. Certo che no, si preoccupavano soltanto della loro immagine appannata. Né Fuller avrebbe mai azzardato una mossa del genere se ci fosse stato Donovan. In effetti, nessuno dei quattro bei ragazzi all’altro tavolo avrebbe rischiato un pugno in faccia per una parola di troppo o un’inutile minaccia. Loro due erano donne, che i ragazzi consideravano facili da intimidire e fisicamente vulnerabili. Stavano battendosi per una causa persa e nessuno le pagava, di conseguenza erano chiaramente inferiori. Samantha ribolliva di rabbia mentre Mattie sfogliava documenti. Il giudice prese posto e dichiarò aperta l’udienza. Samantha guardò dall’altra parte dell’aula e, di nuovo, incontrò lo sguardo di Fuller che la stava fissando. Fuller le sorrise, come per dirle: “Questo è il mio territorio, e tu sei fuori posto”. 32 L’e-mail diceva: Cara Samantha, mi ha fatto molto piacere il nostro breve incontro a New York e non vedo l’ora di avere un’altra conversazione con lei. Ieri, 6 gennaio, la Krull Mining ha presentato istanza di archiviazione della nostra causa Hammer Valley presso il tribunale federale di Charleston. Questo era previsto, così come erano previste lunghezza e aggressività del documento. È chiaro che la Krull Mining è terrorizzata dalla causa e vuole sbarazzarsene. In trentacinque anni non ho mai visto un’istanza dal tono così violento e sgradevole. E sarà difficile elaborare una memoria di replica, senza quelle prove ancora da sviluppare. Possiamo rivederci in un prossimo futuro? Infine, nessun segno di soccorso da Washington. Il suo amico, Jarrett London. Da un lato Samantha aveva sperato che Jarrett London fosse ormai solo un ricordo che andava sbiadendo. Dall’altro, aveva pensato molto a lui dopo l’incontro con Trent Fuller. Un avvocato con una reputazione e una forte presenza in aula non sarebbe mai stato sottoposto a una tale avvilente imboscata. A parte suo padre e Donovan, London era l’unico legale del genere che Samantha avesse mai conosciuto, e nessuno dei tre avrebbe tollerato le sceneggiate di Fuller. In realtà, se quei tre fossero stati presenti in aula, Fuller se ne sarebbe rimasto nel suo angolo e non avrebbe proferito parola. Comunque, Samantha non era certo ansiosa di rivedere London. Lui voleva complicità e lei invece non aveva alcuna intenzione di lasciarsi coinvolgere ulteriormente. L’espressione “prove ancora da sviluppare” significava che London era disperato e voleva documenti. Samantha gli rispose: i Salve, Jarrett. Lieta di avere sue notizie. Sono certamente disponibile a un incontro, mi faccia solo sapere quando. Washington è stata informata. SK Washington non era stata informata, non del tutto. Sul treno per Washington dopo le vacanze di Natale, Samantha aveva raccontato a sua madre parte della storia e, nel farlo, aveva enfatizzato le tattiche “abusive” adottate dall’FBI tese a intimidire gli attori per conto della Krull Mining. Non aveva detto niente dei documenti nascosti, né aveva accennato agli altri drammi che in quel momento si stavano svolgendo nella sua piccola parte della terra del carbone. Karen era sembrata interessata, fino a un certo punto, ma aveva osservato che l’FBI era noto per esagerare sempre e cacciarsi nei guai. Visti dalla sua elevata posizione al dipartimento di Giustizia, gli agenti giù nelle strade appartenevano a un altro mondo. A Karen non interessava quello che facevano, negli Appalachi, a New York o a Chicago. Al momento il suo mondo era consumato da strategie ad alto livello sulle politiche da implementare in relazione allo sconsiderato comportamento di certe grandi banche e di certi erogatori di mutui subprime, eccetera eccetera... La seconda e-mail significativa della mattinata fu quella di un certo dottor Draper, un pneumologo di Beckley che era stato incaricato dal dipartimento del Lavoro di visitare Buddy Ryzer. Il suo messaggio andava diritto al punto: Avvocato Kofer, le allego la mia perizia. Mr Ryzer soffre di fibrosi polmonare massiva, nota anche come pneumoconiosi dei lavoratori del carbone. Lo stadio della malattia è avanzato. So che il paziente continua tuttora a lavorare; francamente ritengo che non dovrebbe, anche se la mia perizia non dà indicazioni in questo senso. Sono a disposizione per eventuali domande via email. LKD Samantha stava ancora studiando la perizia quando arrivò il terzo messaggio. Era di Andy Grubman, ma non proveniva dal suo solito indirizzo di posta elettronica presso Scully & Pershing. Cara Samantha, felice anno nuovo. Spero che questo messaggio ti trovi in buona salute mentre ti dai da fare per salvare il mondo. Mi manca il tuo viso sorridente e spero di vederti presto. Sarò breve e andrò dritto al punto. Ho deciso di lasciare Scully & Pershing alla fine di febbraio. Non sono stato costretto ad andarmene e non sono in aspettativa, niente del genere. Lo studio e io ci separiamo in modo amichevole. La verità è che non ne posso più di diritto tributario. Lo trovo incredibilmente noioso e mi manca il mio vecchio mondo. Ho un amico che ha lavorato per molti anni nel settore immobiliare presso un altro studio e che è stato fatto fuori. Abbiamo deciso di aprire una bottega tutta nostra – Spane & Grubman – con uffici nel distretto finanziario. Ci siamo già accaparrati due grossi clienti – una banca coreana e un fondo del Kuwait –, ed entrambi sono pronti a buttarsi su palazzi in difficoltà economiche lungo tutta la Costa orientale. Come sai bene, non mancano di sicuro le imprese indebitate fino al collo finite sott’acqua a causa della recessione. Inoltre, questi clienti ritengono che sia il momento perfetto per cominciare a pianificare nuove costruzioni, da iniziare tra un paio d’anni quando la recessione sarà finita. Hanno una montagna di soldi e sono pronti a muoversi. Comunque, Nick Spane e io stiamo pensando a uno studio con una ventina di associati. La retribuzione sarà vicina a quella standard di Big Law e non è nostra intenzione uccidere noi stessi né i nostri dipendenti. Quello che vogliamo è un simpatico, piccolo studio boutique dove gli avvocati lavorino sodo ma riescano anche a divertirsi un po’. Prometto che gli associati non supereranno mai le ottanta ore la settimana. Pensiamo che cinquanta sia un obiettivo accettabile. L’espressione “qualità della vita” è una barzelletta nel nostro settore, ma noi la prendiamo sul serio. Sono stanco e ho solo quarantun anni. Ti sto offrendo un lavoro. Izabelle ha già accettato. Ben ha trovato qualcos’altro, e temo che si sia avventurato fuori dalla riserva. Tu cosa mi dici? Nessuna pressione, ma ho bisogno di una risposta entro la fine del mese. Inutile aggiungere che c’è un’infinità di avvocati in giro per strada in questi giorni. Il tuo boss preferito, Andy Samantha lesse di nuovo l’e-mail, poi chiuse la porta dell’ufficio e la rilesse per la terza volta. Andy era sostanzialmente una brava persona dell’Indiana che aveva passato troppo tempo a New York. Le aveva mandato un messaggio gentile con un’offerta allettante e generosa, ma non aveva potuto fare a meno di rammentarle che c’erano moltissimi avvocati alla disperata ricerca di un lavoro. Samantha spense il computer e la luce dell’ufficio e, senza farsi sentire, scivolò fuori dallo studio dalla porta sul retro. Salì sulla sua Ford ed era già più di un chilometro fuori città quando si chiese dove stesse andando. Non aveva importanza. Mancavano ventiquattro giorni al trentuno gennaio. Continuando a guidare, pensò ai suoi clienti. Buddy Ryzer fu il primo che le venne in mente. Non si era impegnata a seguire il suo caso fino alla fine, ma aveva promesso a Mattie che avrebbe presentato la domanda di indennità e si sarebbe occupata della prima e più impegnativa fase iniziale. E ciò avrebbe rappresentato solo una seccatura, a paragone dell’enorme causa che qualcuno avrebbe dovuto intentare di nuovo contro la Lonerock Coal e Casper Slate. Restava ancora in sospeso la questione dell’ultimo testamento di Francine Crump, e questo, a dire la verità, sarebbe stato un’ottima ragione per telefonare subito a Andy e accettare il lavoro. C’erano i Merryweather, una simpatica e semplice coppia che aveva investito tutti i risparmi in una casetta, ora minacciata da un viscido prestatore subprime che li aveva citati in giudizio esigendo l’intero saldo. Samantha si stava dando da fare per ottenere un’ingiunzione che bloccasse il pignoramento dell’immobile. C’erano due divorzi, per il momento consensuali, ma che difficilmente sarebbero rimasti tali. Poi, naturalmente, c’era la causa Hammer Valley, per la quale non l’avrebbero lasciata in pace. A essere sinceri, un altro motivo per andarsene. Stava aiutando Mattie in tre fallimenti e in due casi di discriminazione sul lavoro. Era ancora in attesa dell’assegno di Pamela Booker, per cui quella pratica non era ancora chiusa, e stava dando una mano ad Annette in altri due divorzi. Poi c’era il pasticcio Phoebe Fanning: sia la mamma che il papà stavano per finire in galera e nessuno voleva i bambini. Per concludere, avvocato Kofer, in questo momento c’è troppa gente che conta su di te per poter fare i bagagli e tagliare la corda. Non si supponeva che la decisione di tornare a New York dovesse essere presa adesso, dopo soli tre mesi di un’aspettativa di dodici. Si supponeva che tu avessi più tempo a disposizione, tempo per aprire nuove pratiche, aiutare qualche persona, tenerti blandamente occupata con un occhio sul calendario mentre i mesi passavano, la recessione finiva e le occasioni di lavoro spuntavano come funghi in tutta Manhattan. Era quello il programma, no? Forse non un ritorno alle tediose sfacchinate di Big Law, ma di certo a un rispettabile impiego in qualcosa tipo... uno studio boutique? Un piccolo studio, pochi avvocati soddisfatti, cinquanta ore la settimana, uno stipendio notevole con tutti i soliti benefit? Nel 2007, il suo ultimo presso Scully, Samantha aveva fatturato tremila ore. Il calcolo era semplice: sessanta ore fatturabili a settimana per cinquanta settimane, anche se non aveva potuto godersi le sue due settimane di vacanza retribuita. Per fatturare sessanta ore la settimana, aveva dovuto lavorarne almeno settantacinque, spesso di più. Per coloro così fortunati da godersi la vita senza tenere gli occhi fissi su un orologio, settantacinque ore la settimana significava, almeno per Samantha, arrivare in ufficio alle otto di mattina e andarsene dodici ore dopo, dal lunedì al sabato, magari con qualche ora anche la domenica. E questa era la normalità. Se poi capitava l’urgenza di una scadenza importante, uno dei clienti di Andy in crisi, una settimana di novanta ore non era insolita. E adesso lui ne prometteva solo cinquanta? Samantha ora era in Kentucky e si stava avvicinando alla cittadina di Whitesburg, a un’ora da Brady. Le strade erano sgombre, ma fiancheggiate da cumuli di neve sporca. Vide un caffè e parcheggiò poco distante. La cameriera la informò che c’erano focaccine calde, appena sfornate. Come si poteva rifiutare? Seduta a un tavolo accanto alla vetrata, Samantha imburrò una focaccina e aspettò che si raffreddasse. Sorseggiò il caffè e osservò il traffico che scorreva languido lungo Main Street. Inviò un SMS a Mattie, spiegandole che doveva sbrigare alcune commissioni. Mangiò una focaccina con marmellata di fragole e scarabocchiò qualche appunto. Non avrebbe detto di no all’offerta di Andy, e non avrebbe detto di sì. Aveva bisogno di tempo, di qualche giorno almeno, per raccogliere i pensieri, analizzarli, mettere insieme tutte le informazioni e aspettare che una voce fantasma le suggerisse cosa fare. Preparò una risposta che avrebbe inviato più tardi nel pomeriggio dalla sua scrivania. La prima bozza diceva: Caro Andy, felice anno nuovo anche a te. Devo ammettere che sono sotto shock per la tua e-mail e per l’offerta di un impiego così promettente. In tutta franchezza, negli ultimi tre mesi non è successo niente che mi preparasse a un ritorno in città così veloce. Pensavo di avere almeno un anno per meditare sulla mia vita e il mio futuro, ma tu di colpo hai messo tutto sottosopra. Ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere. Non sono ancora riuscita a salvare il mondo, ma sto facendo progressi. I miei clienti sono povera gente che non ha voce. Non si aspettano che io faccia miracoli e qualsiasi sforzo in loro favore è enormemente apprezzato. Ogni tanto vado anche in tribunale. Pensa, ho visto davvero l’interno di un’aula, ed è tutto molto diverso che in televisione. Anche se, come sai, non avevo mai tempo per la televisione. Lunedì scorso ho vinto il mio primo processo. Diecimila dollari per la mia cliente, che a me sono sembrati un milione. Con un po’ di esperienza, forse potrei imparare ad apprezzare il lavoro in tribunale. E ora passiamo alla tua proposta. Alcuni dettagli. Chi sono gli altri associati e da dove vengono? Niente stronzi, Andy, okay? Non voglio lavorare con un branco di pistoleri e tagliagole. Qual è il rapporto uomini/donne in termini numerici? Non voglio un club esclusivamente maschile. Chi è Nick Spane e qual è la sua storia? Sono sicura che è un grande avvocato, ma è una brava persona? Ha un matrimonio solido o è uno che salta da un letto all’altro? Avvertilo che se solo mi tocca, gli faccio causa per molestie. Mandami la sua biografia, per favore. Dove sono gli uffici? Non ho intenzione di assoggettarmi a condizioni di lavoro miserevoli. Tutto quello che ho sempre voluto era un piccolo ufficio – il mio ufficio! – con una bella finestra, un po’ di sole e una parete tutta mia alla quale appendere quello che mi pare. Questa tua garanzia di cinquanta ore la settimana... me la metterai per iscritto? Attualmente è proprio questo il mio orario di lavoro ed è meraviglioso. Chi saranno i clienti, oltre ai coreani e ai kuwaitiani? Sono certa che si tratta di grandi società e roba del genere, o grandi personaggi dal grande ego; in ogni caso, il punto è che non mi lascerò rimproverare da un cliente urlante. (Qui i miei clienti mi chiamano Miss Sam e mi portano i biscotti.) Possiamo parlarne. Per finire, quale futuro? Qui di futuro non ce n’è, per cui non resterò. Io sono una newyorkese, Andy, e oggi lo sono ancora di più di tre mesi fa, ma mi piacerebbe conoscere la struttura del nuovo studio e sapere come tu e Spane lo vedete tra dieci anni da adesso. Ti sembra ragionevole? Ti ringrazio per avere pensato a me. Sei sempre stato una persona leale; non sempre uno zuccherino, ma non sono sicura che sia nel tuo DNA . Teniamoci in contatto. Samantha La temperatura era intorno ai dieci gradi sottozero e la neve era gelata, sormontata da uno strato di ghiaccio che rifletteva la luce della luna. Dopo una cena calda con Annette e i suoi figli, Samantha si ritirò nel suo appartamento sopra il garage, dove il piccolo impianto di riscaldamento si affannava tentando di intaccare il gelo. Se Samantha fosse stata ancora in un appartamento dall’affitto salato a Manhattan, avrebbe fatto una piazzata a qualcuno. Ma non a Brady. Non dove non pagava alcun affitto e la padrona di casa era probabilmente a corto di contanti. Così si avvolse nelle coperte e, mentre il tempo passava lento, lesse per due ore. Poi posò il libro e pensò a New York, a Andy e al suo studio nuovo di zecca. Erano tanti i pensieri che si rincorrevano nella sua mente. Non c’era dubbio che avrebbe risposto di sì, e l’idea la eccitava. Il lavoro era perfetto; sarebbe tornata a casa, nella città che amava, e con un impiego prestigioso e promettente. Avrebbe potuto evitare gli orrori di Big Law, pur creandosi una carriera significativa. Il problema era andarsene. Non poteva semplicemente tagliare la corda tra un mese o giù di lì e scaricare tutto su Mattie. No, doveva esserci un’uscita di scena più garbata e corretta. Stava pensando a una breve dilazione: accettare subito l’impiego e iniziare sei mesi dopo. Sarebbe stato un comportamento onesto, o almeno quanto più onesto possibile. Poteva andare bene sia per Mattie che per Andy, giusto? Un telefono stava ronzando sotto una pila di carte. Finalmente Samantha lo trovò e rispose: «Sì?». Era il cellulare spia di Jeff, che le domandò: «Hai freddo?». Samantha sorrise e chiese: «Dove sei?». «A circa dieci metri da te, nascosto nel buio dietro il garage, con i piedi piantati in venti centimetri di neve ghiacciata. Non mi senti battere i denti?» «Mi pare di sì. Cosa ci fai qui?» «Dovrebbe essere evidente. Senti, Annette ha appena spento tutte le luci, per cui la via è libera. Credo che dovresti preparare un po’ di caffè, decaffeinato se ce l’hai, e aprirmi quella maledetta porta. Fidati, non mi vedrà nessuno. I vicini dormono da due ore. Ancora una volta, tutta Brady è morta.» Samantha aprì la porta e, senza nemmeno uno scricchiolio, Jeff comparve dalla scala buia e le diede un bacio veloce sulle labbra. Si tolse le scarpe e le piazzò accanto a quelle di Samantha. «Vedo che pensi di trattenerti» disse Samantha, versando l’acqua nella macchina per il caffè. Jeff si sfregò le mani e osservò: «Credo che faccia più caldo fuori. Hai protestato con la padrona di casa?». «Non ci ho neppure pensato. Niente affitto significa niente lamentele. È bello vederti fuori di galera.» «Non puoi immaginare quello che ho scoperto.» «Ed è la ragione per cui sei qui, per raccontarmi tutto.» «Tra le altre cose.» La sera in cui Donovan era morto, il suo Cessna era rimasto parcheggiato all’aeroporto di Charleston per circa sette ore, dalle quindici e venti alle ventidue e trentuno, secondo le registrazioni del controllo traffico aereo e i dati del terminal dei voli privati. Dopo essere atterrato, Donovan aveva noleggiato un’auto ed era andato alla riunione con la sua squadra legale. Durante la sua assenza, erano arrivati quattro piccoli aerei; due avevano fatto rifornimento, avevano scaricato un passeggero ed erano ripartiti, gli altri due erano stati parcheggiati per la notte. Uno era un Beech Baron, l’altro un King Air 210, un popolare bimotore a turboelica che poteva ospitare sei passeggeri. Il King Air era arrivato alle diciannove e trentacinque, con due piloti e un passeggero. Tutti e tre erano scesi dall’aereo, erano entrati nel terminal, avevano compilato i documenti richiesti e se n’erano andati insieme a un altro tizio a bordo di un furgone. Samantha ascoltava senza dire una parola. Versò il decaffeinato. Secondo Brad, un impiegato di turno al terminal quella sera, in realtà sul King Air c’erano due passeggeri e uno dei due era rimasto a bordo. Proprio così: aveva passato la notte nell’aereo. Mentre i due piloti sbrigavano la routine post volo, Brad per caso aveva notato il passeggero a terra che parlava con qualcuno ancora a bordo. Da lontano, aveva seguitola scena, aspettato e visto i piloti chiudere l’unico portellone del King Air. Una volta messo in sicurezza l’aereo per la notte, questi erano entrati nel terminal con il passeggero, come se tutto fosse stato normale. Una cosa bizzarra, ma in realtà Brad lo aveva già visto succedere un paio d’anni prima, quando un pilota era atterrato di notte e, non avendo né una camera prenotata né un’auto a noleggio, aveva deciso di dormire qualche ora in cabina di pilotaggio per poi decollare all’alba. La differenza era che quel pilota aveva comunicato le proprie intenzioni e il personale dell’aeroporto sapeva cosa stava facendo. Con il King Air, invece, solo Brad era stato al corrente di quello che stava succedendo. Aveva tenuto d’occhio l’aereo fino alle ventidue, quando aveva timbrato il cartellino e se n’era andato a casa. Due giorni dopo era stato licenziato per assenza ingiustificata. Quel lavoro non gli era mai piaciuto e detestava il suo capo. Suo fratello gli aveva trovato un impiego in Florida e Brad aveva lasciato la città. Nessuno lo aveva mai interrogato sugli avvenimenti di quella notte. Fino a quel momento, naturalmente. «Come lo hai trovato?» chiese Samantha. «È stata la guardia che mi ha arrestato domenica sera a darmi il suo nome. È risultato che Mack, la guardia, è un tipo davvero a posto. Lunedì sera tardi ci siamo fatti qualche birra insieme, ho pagato io, naturalmente, e Mack mi ha raccontato la storia di Brad, il quale ora è di nuovo a Charleston. Ieri sera l’ho rintracciato e, in un altro bar, abbiamo bevuto qualcosa insieme. Questa sera devo disintossicarmi, per cui non offrirmi niente.» «Non c’è una goccia d’alcol in tutta la casa.» «Bene.» «Quindi, qual è la tua teoria?» «La mia teoria è questa: il misterioso passeggero ha aspettato il momento opportuno, ha aperto il portellone del King Air, ha percorso una trentina di metri al buio per raggiungere il Cessna di Donovan e in una ventina di minuti ha allentato il dado B. Poi è tornato indietro, è risalito sul King Air e probabilmente è rimasto in osservazione fino alle ventidue e quindici circa, quando Donovan è arrivato in aeroporto per ripartire. Dopo di che si è tolto le scarpe e ha dormito fino all’alba.» «Sembra impossibile da provare.» «Forse, ma ci sto arrivando.» «Chi è il proprietario del King Air?» «Un servizio charter di York, Pennsylvania, una società che lavora moltissimo con le società minerarie. Il King Air è il loro cavallo da tiro per l’area del carbone perché è robusto, ha un buon carico utile e decolla e atterra anche su piste molto corte. Quella società ha quattro King Air disponibili per servizi charter. Le registrazioni ufficiali abbondano per cui presto sapremo tutto su quel volo. Brad dice che se serve rilascerà una dichiarazione giurata, ma non sono così sicuro di lui.» «Questa storia è incredibile, Jeff.» «È la svolta. Gli investigatori torchieranno i proprietari dell’aereo, i piloti, il passeggero o i passeggeri e chiunque abbia noleggiato il King Air per il volo. Ci stiamo avvicinando, Samantha. Questo è un passo decisivo.» «Bel lavoro, Sherlock.» «A volte basta semplicemente farsi arrestare. Hai una trapunta extra da qualche parte?» «Sono tutte sul letto. E io prima ero proprio a letto, a leggere.» «È un suggerimento per rimorchiare?» «Ci siamo già rimorchiati, Jeff. Il tema del momento è il sesso e detesto doverti dire che non succederà. Non è il momento migliore del mese.» «Oh, mi dispiace.» «Avresti potuto telefonare.» «Immagino di sì. Senti, allora perché non ci rannicchiamo a letto, condividiamo il calore corporeo e dormiamo insieme? Intendo dire dormiamo davvero.» «Credo che possa funzionare.» 33 Non aveva idea di quando lui se ne fosse andato. Si svegliò e vide qualche raggio di luce penetrare tra le tende e le finestre. Erano quasi le sei del mattino. Il lato del letto di Jeff non era caldo, come se fosse già trascorsa qualche ora dalla sua partenza. Non aveva importanza. Jeff viveva tra le ombre, lasciava poche tracce dietro di sé e a lei andava bene. Jeff era oppresso da pesi e ricordi che lei non avrebbe mai capito, perciò perché preoccuparsi? Samantha pensò a lui per alcuni istanti, mentre sbirciava da sotto le trapunte e osservava le nuvolette di umidità che seguivano il suo respiro. Faceva freddo là fuori e doveva ammettere di desiderare il calore di Jeff. Desiderava anche una doccia calda, ma non ci sarebbe stata. Contò fino a dieci, scostò le coperte di colpo e corse verso la caffettiera. Ci volle un’eternità prima che il caffè fosse pronto, subito dopo tornò sotto le coperte con la tazza e pensò a New York. Il suo programma consisteva innanzitutto nel mettere a punto l’e-mail per Andy e spedirgliela. Era una risposta troppo aggressiva, troppo presuntuosa? Lei dopo tutto era disoccupata e Andy le stava offrendo un impiego meraviglioso. Aveva il diritto di fare la schizzinosa riguardo agli associati, ai clienti, a Mr Nick Spane e alle dimensioni del nuovo ufficio? La sua proposta dilatoria avrebbe soddisfatto Andy o lo avrebbe irritato? Samantha non era sicura, ma Andy era un tipo coriaceo. Se lei non si fosse imposta fin dall’inizio, di sicuro sarebbe stata schiacciata in seguito. Lasciò perdere la doccia gelida e si lavò a pezzi con l’acqua tiepida del lavandino. Senza alcun impegno in tribunale in agenda, indossò in fretta e furia jeans e stivali, camicia di flanella e maglione. Adeguatamente infagottata, si passò la tracolla della cartella su una spalla, quella della borsa sull’altra e si avviò a piedi verso lo studio. L’aria era pulita e frizzante, il sole si alzava brillante. Era una bella giornata d’inverno, con la neve ancora intatta ammucchiata in grossi cumuli contro le case. Non un brutto modo per andare al lavoro, pensò Samantha mentre attraversava Brady. Vedendo le cose dal lato negativo: a New York sarebbe stata schiacciata in un affollato treno della metropolitana e poi avrebbe dovuto farsi strada tra la calca dei pedoni. O forse sarebbe stata seduta sul retro di un taxi sporco, bloccato nel traffico. Scambiò due parole con Mr Gantry, uscito di casa per raccogliere il suo quotidiano dal marciapiede. Andava per i novanta, viveva solo da quando l’anno prima era morta la moglie e, nella bella stagione, vantava il prato più curato di tutta la strada. Nella sua proprietà, tutta la neve era stata meticolosamente raschiata e spalata. Come ormai d’abitudine, Samantha fu la prima ad arrivare in studio e, quale stagista, andò subito a preparare il caffè. Mentre aspettava, riordinò il cucinotto, svuotò i cestini dei rifiuti e raddrizzò le riviste nell’area di ricevimento. Nessuno le aveva mai detto di fare quelle cose. Vedendo le cose dal lato positivo: a New York, lo studio Spane & Grubman avrebbe pagato qualcuno per quelle mansioni. Vedendo le cose dal lato neutro: a Samantha non importava sbrigare quei lavoretti, non a Brady almeno. Non le sarebbe mai passato per la mente in uno studio vero, ma alla Mountain Legal Aid Clinic tutte davano una mano. Si sedette in sala riunioni e osservò il traffico del primo mattino in Main Street. Adesso che stava pensando di andarsene, era stupita nel constatare quanto si fosse affezionata a quel posto in soli tre mesi. Decise di rinviare la discussione con Mattie finché non avesse saputo di più dell’offerta di Andy. Il pensiero di dirle che sarebbe partita così presto la turbava molto. Le mattine di Mattie erano ancora lente, tuttavia sembrava che lei stesse ritrovando la vecchia se stessa. L’assenza di Donovan era una ferita aperta che non si sarebbe mai rimarginata, ma Mattie non poteva smettere di vivere. Aveva troppi clienti che avevano bisogno di lei, troppi impegni in agenda. Arrivò poco dopo le nove e disse a Samantha di raggiungerla nel suo ufficio. Con la porta chiusa, spiegò che quella notte non aveva dormito a causa dei maledetti Crump e della defunta, la povera, vecchia Francine. L’unica cosa eticamente giusta da fare era interrogare tutti gli avvocati locali e scoprire se qualcuno fosse stato assunto dalla famiglia. In caso positivo, lo studio avrebbe prodotto a sorpresa una copia del testamento e dato inizio alla guerra. Mattie passò un elenco a Samantha e le disse: «Escluse noi, ci sono quattordici avvocati a Brady: qui sono in ordine alfabetico, con relativi numeri di telefono. Io ho già parlato con tre di loro, compreso Jackie Sporz, quello che aveva redatto il primo testamento cinque anni fa. Nessuno è stato contattato dalla famiglia. Tu te ne prendi cinque e vediamo di chiudere in mattinata. Sono stanca di preoccuparmi per questa storia». Samantha ormai conosceva tutti gli avvocati, tranne due. Andò nel suo ufficio, afferrò il telefono e telefonò a Hump, il quale rispose che no, non aveva mai sentito nominare i Crump. Beato lui. La seconda telefonata fu a Hayes Sinclair, uno che non usciva mai dal suo studio e che si diceva soffrisse di agorafobia. No, mai sentito parlare dei Crump. La terza telefonata fu a Lee Chatham, un legale che non era mai nel suo studio e si aggirava sempre in tribunale, atteggiandosi come se avesse importanti faccende da sbrigare e scambiando pettegolezzi, la maggior parte dei quali di sua invenzione. Bingo. Mr Chatham rispose di sì: aveva incontrato molti dei Crump e aveva firmato un contratto per rappresentare la famiglia. Evidentemente i Crump insistevano nella finzione secondo la quale la madre aveva distrutto il testamento redatto dalle imbroglione dell’assistenza legale gratuita e pensavano che di conseguenza la situazione sarebbe tornata a essere quella del testamento precedente, con l’eredità divisa in parti uguali. Il programma di Mr Chatham consisteva nell’aprire entro breve la successione e procedere con il primo testamento. I Crump però stavano litigando su chi dovesse essere l’esecutore. Jonah, il più anziano, era stato indicato come esecutore da Francine cinque anni prima, ma al momento aveva problemi di cuore (causati dallo stress dell’attuale situazione) e probabilmente non avrebbe potuto assumere l’incarico. Quando Mr Chatham aveva accennato all’idea di sostituire Jonah, tra gli altri quattro era scoppiato un diverbio. L’avvocato stava ancora cercando di mediare la faccenda. Samantha sganciò la bomba del misterioso plico che aveva ricevuto il giorno dopo il funerale. Si assicurò che Mr Chatham capisse bene che né lei né nessun’altra alla Legal Aid Clinic desiderava minimamente essere coinvolta in una disputa testamentaria, ma era importante per lui sapere che i suoi clienti stavano mentendo. Quando Samantha riattaccò, Chatham stava borbottando frasi incoerenti tra sé. Samantha gli inviò per fax copia dell’ultimo testamento e poi andò a riferire a Mattie. «I Crump si incazzeranno di brutto, non credi?» osservò Mattie dopo avere sentito la novità. «Una sola minaccia e vado dallo sceriffo.» «Dobbiamo procurarci qualche pistola?» domandò Samantha. «Non ancora.» Mattie gettò delle carte sulla scrivania. «Da’ un’occhiata.» Il plico, qualunque cosa fosse, era spesso e Samantha si mise a sedere. «Che cos’è?» chiese, sfogliando una pagina. «Strayhorn, notifica di appello per il caso Tate. La settimana scorsa ho parlato con il giudice del processo a proposito del presunto accordo. Inutile dire che non si è mostrato per niente comprensivo, per cui siamo fregate. Adesso dobbiamo sgobbare arrancando nel processo d’appello e sperare che la Corte Suprema non ribalti il verdetto.» «Perché dovrei tenere in mano questa roba?» «Ho pensato che potesse interessarti. E francamente, Samantha, abbiamo bisogno che ti occupi tu dell’appello.» «Un po’ me l’aspettavo. Mattie, io non ho mai neppure sfiorato un appello.» «Non avevi mai sfiorato nemmeno la maggior parte delle cose di cui ci occupiamo qui allo studio. C’è sempre una prima volta. Senti, io farò da supervisore e tu ti renderai conto in fretta che si tratta solo di un mucchio di carta e lavoro di ricerca. La Strayhorn parte per prima e deposita la sua grossa memoria entro novanta giorni. Sosterranno che il processo è stato viziato da ogni tipo di grave errore. Noi rispondiamo, punto per punto. Tra sei mesi quasi tutto il lavoro sarà fatto e tu sarai in attesa della convocazione per l’argomentazione orale.» “Ma tra sei mesi io me ne sarò andata” avrebbe voluto dire Samantha. «Sarà una grande esperienza» insistette Mattie. «E per il resto della tua vita potrai sempre dire di avere sostenuto un appello davanti alla Corte Suprema del Commonwealth of Virginia. C’è forse qualcosa di meglio?» Mattie ostentava un tono leggero, ma era chiaramente in ansia. «Quante ore?» chiese Samantha. Stava facendo rapidi calcoli e aveva già concluso che avrebbe potuto svolgere virtualmente tutto il lavoro di ricerca nel corso dei sei mesi successivi, prima di andarsene. «Donovan giurava che era stato un processo pulito, con niente di importante su cui cavillare per ricorrere in appello. Io direi cinquecento ore, da adesso fino all’argomentazione orale, che si terrà fra circa quindici mesi. So che per allora te ne sarai già andata, quindi sarà una di noi a occuparsi di quella fase. Il lavoro pesante è adesso. Annette e io proprio non ne abbiamo il tempo.» Samantha sorrise e disse: «Sei tu il capo». «E tu sei un tesoro. Grazie, Samantha.» Andy rispose a stretto giro: Cara Miss Sam, grazie tante per la tua deliziosa epistola. Come sei diventata dolce in soli tre mesi. Devono essere tutti quei biscotti. Se ho capito bene, vuoi che ti venga assicurato che sarai adorata dai tuoi capi, idolatrata dai tuoi colleghi, apprezzata dai tuoi clienti, virtualmente destinata a diventare socia dello studio, cosa che ti garantirà una vita lunga, piena e felice, e soddisfatta delle dimensioni del tuo ufficio, nonostante gli osceni prezzi al metro quadro attualmente richiesti dai proprietari di immobili a Manhattan (nostri clienti), recessione o no. Vedrò cosa posso fare. Allego biografia di Nick Spane. Abbastanza stranamente, ha avuto un solo divorzio ed è sposato con la stessa meravigliosa donna da circa quindici anni. Come vedrai, non è mai stato condannato per stupro, abusi su minori ecc., né è mai stato accusato di reati pedopornografici. Inoltre non è mai stato citato in giudizio per molestie sessuali, né per altro, se è per questo. (Il divorzio è stato consensuale.) In realtà è un’ottima persona, te lo giuro. Un uomo del Sud – Tulane, Vanderbilt Law – dai modi impeccabili. Insolito, per quelle parti. Ci sentiamo, Andy Il cellulare spia ronzò alle due e mezzo, mentre Samantha stava rileggendo la notifica della Strayhorn e ripassando le regole della procedura di appello. «Sei davanti al mio ufficio in mezzo alla neve?» domandò, avviandosi verso il cucinotto, che presumeva libero da cimici. «No, sono a Pikeville per parlare con alcuni investigatori. Mi è piaciuta la notte scorsa, ho dormito sodo e al caldo. E tu?» «Ho dormito bene. A che ora te ne sei andato questa mattina?» «Poco dopo le quattro. Sai, non dormo molto in questi giorni. C’è sempre qualcuno alle spalle, in osservazione. È difficile dormire.» «Okay. Cos’hai in mente?» «Sabato, trekking nella neve intorno a Gray Mountain. Bistecca alla griglia in veranda. Un po’ di vino rosso. Leggere davanti al fuoco. Quel genere di cose. Ci stai?» «Fammici pensare.» «Cosa c’è da pensare? Scommetto che se dai un’occhiata alla tua agenda vedrai che non c’è scritto niente per sabato. Su, andiamo.» «In questo momento ho da fare. Ti richiamo.» Anche se nessuno allo studio gliene aveva mai parlato, Samantha stava imparando che il freddo e le giornate corte di gennaio rallentavano considerevolmente gli affari. Il telefono squillava meno e Barb passava più tempo lontano dalla sua scrivania, sempre per “sbrigare qualche commissione”. Claudelle era incinta di otto mesi e doveva restare a riposo a letto. I tribunali, che non avevano mai fretta, macinavano il lavoro a un ritmo ancora più lento. Mattie e Annette erano occupate come sempre con i casi aperti, ma non ne stavano arrivando di nuovi. Era come se conflitti e guai si prendessero una pausa quando arrivava la malinconia dell’inverno. Almeno per un po’. Venerdì, dopo l’imbrunire, Samantha stava ancora lavoricchiando quando sentì qualcuno entrare in studio. Anche Mattie era ancora in ufficio, con la porta chiusa; tutte le altre se ne erano già andate per il weekend. Samantha passò nell’area di ricevimento e salutò Buddy e Mavis Ryzer. Non avevano appuntamento e non avevano telefonato. Avevano semplicemente guidato per un’ora e mezzo dal West Virginia a Brady in un tardo pomeriggio di venerdì per cercare guida e conforto dal loro avvocato. Samantha li abbracciò e capì immediatamente che il loro mondo era andato in pezzi. Li accompagnò in sala riunioni e offrì una bibita, che i Ryzer rifiutarono. Poi chiuse la porta, domandò cos’era successo ed entrambi cominciarono a piangere. Quella mattina Buddy era stato licenziato dalla Lonerock Coal. Il caposquadra lo aveva dichiarato fisicamente inabile, da cui l’interruzione immediata del rapporto. Nessun incentivo, nessuna buonuscita e nessun orologio da quattro soldi per un lavoro sempre ben fatto, e di certo nessun paracadute d’oro. Solo un calcio nel sedere, con l’assicurazione che l’assegno dell’ultimo stipendio sarebbe arrivato per posta. Buddy era rientrato a casa ed era crollato subito sul divano. «Non ho più niente» diceva tra un respiro e l’altro, mentre Mavis si asciugava le lacrime e continuava a parlare. «Non ho più niente.» «Senza lavoro, così, da un momento all’altro» piagnucolò Mavis. «Niente stipendio, niente indennità per il polmone nero e nessuna prospettiva di trovare un altro impiego, di qualsiasi tipo. Tutto quello che ha fatto in vita sua è stato lavorare nel carbone. Cosa dovrebbe fare adesso? Lei deve aiutarci, Samantha. Deve fare qualcosa. Non è giusto.» «Lo sa che non è giusto» disse Buddy. Ogni parola gli costava fatica, il petto si alzava e si abbassava a ogni respiro affannoso. «Ma non c’è rimedio. Hanno fatto fuori il sindacato vent’anni fa e così adesso non abbiamo nessuna tutela. Niente.» Samantha ascoltava con grande partecipazione. Era strano vedere un uomo forte come Buddy asciugarsi le guance con il dorso della mano. Gli occhi erano gonfi e arrossati. Normalmente mostrare simili emozioni lo avrebbe messo in imbarazzo, ma ormai non c’era più niente da nascondere. Dopo qualche istante Samantha disse: «Abbiamo presentato la domanda e dalla nostra abbiamo una solida perizia medica. È tutto quello che possiamo fare, per il momento. Purtroppo in certi Stati un dipendente può essere licenziato a piacimento dal datore di lavoro per qualsiasi causa, o anche per nessuna causa». Stava pensando a un aspetto evidente, al quale però non avrebbe accennato: Buddy non era in condizione di lavorare. Per quanto lei disprezzasse la Lonerock Coal, capiva perché la società non voleva un dipendente in quelle condizioni alla guida di macchinari pesanti. Ci fu un lungo silenzio, rotto solo da Mattie, che diede un colpetto alla porta ed entrò. Salutò i Ryzer, percepì che quello in corso era un colloquio poco piacevole e batté rapidamente in ritirata. «Ci vediamo a cena, Sam?» «Ci sarò. Verso le sette?» La porta si richiuse e nella stanza tornò il silenzio. Poi Mavis disse: «Mio cugino ci ha messo undici anni per ottenere l’indennità per il polmone nero. Adesso è sotto ossigeno. A mio zio ne sono serviti nove. Ho sentito che la media è sui cinque anni. È così?». «Per le domande che vengono contestate, sì. La media è dai cinque ai sette anni.» «Tra cinque anni sarò morto» disse Buddy. Tutti e tre ci pensarono. Nessuno lo contraddisse. «Ma lei dice che tutte le domande vengono contestate, giusto?» chiese Mavis. «Temo di sì.» Buddy si limitò a scuotere la testa, lentamente, ma senza fermarsi. Mavis rimase in silenzio, lo sguardo fisso sul tavolo. Buddy tossì diverse volte e sembrò quasi sul punto di soffocare, ma riuscì a deglutire a fatica ed evitò la crisi. I suoi respiri disperati suonavano come ruggiti smorzati all’interno del corpo. Si schiarì la voce e disse: «Lei lo sa, avrei dovuto avere la mia indennità dieci anni fa e, se l’avessi avuta, avrei potuto lasciare le miniere e trovarmi un posto da qualche altra parte. Allora avevo solo trent’anni, i bambini erano piccoli e avrei potuto fare qualcos’altro, lontano dalle polveri, capisce. Qualcosa che non facesse peggiorare la malattia. Ma la società si è opposta, ha vinto e io non ho avuto altra scelta se non continuare a lavorare in miniera e respirare le polveri. Io mi accorgevo di peggiorare, uno se ne rende conto. La malattia ti si insinua dentro a poco a poco, ma tu ti accorgi che salire i quattro scalini della veranda è più faticoso dell’anno prima. Arrivare a piedi in fondo al vialetto ti richiede un po’ più di tempo. Non molto, ma rallenti in tutto». Una pausa per un paio di respiri profondi. Mavis gli diede qualche colpetto gentile sulla mano. «Ricordo ancora quei tizi in tribunale, davanti al giudice amministrativo. Erano tre o quattro, vestiti di scuro, con le scarpe nere lucide, e se ne andavano in giro impettiti con quell’aria tronfia. Ci guardavano come se noi due fossimo stati dei pezzenti, sa, un minatore ignorante con sua moglie altrettanto ignorante, solo uno dei tanti imbroglioni che cercano di fregare il sistema per un assegno mensile. Mi sembra di vederli, quegli stronzi arroganti, così sicuri e soddisfatti di sé solo perché loro sapevano come fare per vincere e noi no. So che odiare non è molto cristiano, ma disprezzavo davvero quella gente. E oggi è anche peggio, perché adesso conosciamo la verità, e la verità è che quei delinquenti sapevano che avevo il polmone nero. Lo sapevano e hanno insabbiato tutto. Hanno mentito alla corte. Hanno chiamato un altro gruppo di dottori bugiardi che hanno detto, sotto giuramento, che io non avevo il polmone nero. Hanno mentito tutti. E hanno vinto. Mi hanno buttato fuori dal tribunale a calci e mi hanno rimandato in miniera, per altri dieci anni.» Si interruppe e si sfregò gli occhi con le dita. «Hanno imbrogliato, hanno vinto, e lo faranno ancora perché sono loro a scrivere le regole. Credo che non ci sia modo di fermarli. Dalla loro hanno i soldi, il potere, i medici e, forse, anche i giudici. Proprio un bel sistema.» «Davvero non li si può fermare, Samantha?» implorò Mavis. «Una causa, suppongo. Quella di Donovan. E c’è ancora la possibilità che un altro studio legale la intenti di nuovo. Non abbiamo rinunciato.» «Però lei non se ne vuole occupare, vero?» «Mavis, gliel’ho spiegato. Io sono di New York, okay? Sono una stagista, resterò qui solo per pochi mesi e poi me ne andrò. Non posso cominciare una causa che richiederà cinque anni di lavoro intenso in corte federale. Ne abbiamo già parlato, no?» Nessuno dei due Ryzer rispose. Passarono i minuti e lo studio si fece ancora più silenzioso; l’unico suono era il respiro penoso di Buddy, che si schiarì ancora la voce e disse: «Senta, Samantha, lei è l’unico avvocato che abbiamo mai avuto, l’unico che sia stato disposto ad aiutarci. Se dieci anni fa avessimo avuto un legale, forse le cose sarebbero andate diversamente. Comunque, non si può tornare indietro. Noi oggi siamo venuti qui per dirle solo una cosa, e cioè grazie per essersi occupata del mio caso». «E per essere stata così gentile con noi» aggiunse Mavis. «Noi ringraziamo ogni giorno il Signore per lei e per la sua disponibilità.» «Per noi significa più di quanto possa immaginare.» «Il solo fatto di avere un vero avvocato che si batte al tuo fianco vuole dire moltissimo.» Entrambi stavano piangendo di nuovo. 34 La sua prima visione di Gray Mountain era stata da un aereo. La seconda da una barca e poi da un quad, una visita molto più intima, due settimane e mezzo prima di Natale. La terza fu da un pick-up, un mezzo di trasporto più tradizionale da quelle parti. Jeff passò a prenderla a Knox, dove Samantha aveva lasciato l’auto al solito parcheggio della biblioteca. Un’occhiata al pick-up e domandò: «Ne hai comprato uno nuovo?». Era un veicolo massiccio, un Dodge o qualcosa del genere, di sicuro non il pick-up che Samantha aveva già visto. «No. È di un amico» rispose Jeff, vago come sempre. Sul pianale c’erano due barchette rosse, un frigo portatile e diversi zaini. «Andiamo.» Uscirono rapidamente dalla città. Jeff sembrava teso e i suoi occhi continuavano a sfrecciare da uno specchietto retrovisore all’altro. «Sono canoe quelle là dietro?» chiese Samantha. «No, sono kayak.» «Okay. E cosa ci si fa con un kayak?» «Non sei mai stata su un kayak?» «Te lo ripeto, io vengo dalla città.» «Okay, con un kayak si va in kayak.» «Oppure ci si siede vicino al fuoco con un libro e un bicchiere di vino. Io non ho intenzione di bagnarmi, capito?» «Rilassati, Sam.» «Preferisco Samantha, specie se si tratta dell’uomo con cui vado a letto al momento. Sam va bene se lo dice mio padre, ma non mia madre, e adesso è autorizzata anche Mattie. Sammie provocherà uno schiaffo. Questa cosa può confondere, lo so, ma tu attieniti a Samantha, okay?» «È il tuo nome. Dato che godo di sesso senza legami o strascichi sentimentali, ti chiamerò con qualsiasi nome tu voglia.» «Dritto al punto, vero?» Jeff rise e accese lo stereo: Faith Hill. Lasciarono la highway principale e ballonzolarono lungo una stretta strada di contea. Avevano appena iniziato una ripida salita quando Jeff svoltò di colpo in una strada a ghiaia che correva lungo un crinale fiancheggiato da canyon ripidissimi. Samantha cercò di non guardare, ma ebbe un flash della sua prima avventura con Donovan, quando erano saliti in cima a Dublin Mountain per vedere dall’alto il sito dell’Enid Mine. Poi Vic li aveva spaventati e tutti e tre erano stati individuati dal servizio di sicurezza. Sembrava fosse successo tanto tempo prima, e ora Donovan era morto. Jeff svoltò in un’altra strada, poi svoltò di nuovo e di nuovo. «Sono sicura che sai dove stai andando» osservò Samantha, ma solo per comunicare la propria preoccupazione. «Io qui ci sono cresciuto» disse Jeff, senza guardarla. Attraverso gli alberi, Samantha vide la piccola casa di legno. Mentre scaricavano il pick-up, domandò: «E i kayak? Io non mi carico in spalla quei cosi». «Prima dobbiamo controllare il torrente. Temo che l’acqua possa essere troppo bassa.» Scaricarono il frigo portatile e gli zaini e portarono tutto alla casa, distante una cinquantina di metri. La neve era alta dieci centimetri e segnata da orme di animali. Non sembrava ci fossero impronte di scarpe o altri segni di visitatori umani. Samantha si compiacque di avere notato cose del genere. Ormai era una vera ragazza di montagna. Jeff aprì la porta della casa, entrò con cautela come se avesse potuto disturbare qualcosa e si guardò intorno. Sistemarono il frigo in cucina e gli zaini sul divano. «Ci sono ancora le videocamere là fuori?» chiese Samantha. «Sì, e noi le abbiamo appena attivate.» «Qualche intruso ultimamente?» «Non che io sappia.» «Quando è stata l’ultima volta che sei venuto qui?» «È passato parecchio tempo. Troppo movimento insospettisce. Andiamo a vedere il torrente.» Camminarono sulle rocce che fiancheggiavano il corso d’acqua. Jeff annunciò che il livello era troppo basso per i kayak, così seguirono a piedi il torrente inoltrandosi nelle colline e allontanandosi sempre di più dalla casa e dalla proprietà della famiglia Gray. Anche se non ne era sicura, Samantha riteneva che stessero procedendo in direzione ovest, lontano da Gray Mountain. Con il terreno nascosto dalla neve, era impossibile individuare i sentieri. Non che ce ne fosse bisogno: Jeff, come suo fratello, si muoveva come se fosse stato solito camminare in quelle lande tutti i giorni. Cominciarono una salita che si fece sempre più ripida e a un certo punto si fermarono per bere un po’ d’acqua e mangiare una barretta alla frutta secca e cereali. Jeff spiegò che si trovavano su Chock Ridge, una lunga collina ripida traboccante di carbone e di proprietà di persone che non avrebbero mai venduto: la famiglia Cosgrove, di Knox. Donovan e Jeff erano cresciuti con i ragazzi Cosgrove. Tutte brave persone. Salirono per altri centocinquanta metri e arrivarono in cima. Jeff indicò Gray Mountain in lontananza. Anche rivestita da un manto bianco, sembrava spoglia, desolata, violata. Era anche molto lontana e, dopo un’ora che arrancava nella neve, Samantha cominciò a sentire i piedi gelati. Decise di aspettare ancora qualche minuto prima di cominciare a lamentarsi. Mentre iniziavano una discesa, sentirono risuonare degli spari, rumorosi, tonanti colpi di armi da fuoco che echeggiarono tra le colline. Samantha avrebbe voluto buttarsi a terra, ma Jeff non sembrava per niente preoccupato. «Sono solo cacciatori di cervi» disse, senza rallentare il passo. Aveva uno zaino, ma niente fucile. Samantha, però, era sicura che là dentro, insieme alle barrette ai cereali, ci fosse anche un’arma. Finalmente, quando ormai era convinta che si fossero persi senza speranza nei boschi, domandò: «Stiamo tornando alla casa?». Jeff guardò l’orologio e rispose: «Certo, si sta facendo tardi. Hai freddo?». «Ho i piedi congelati.» «Nessuno ti ha mai detto che hai delle belle dita dei piedi?» «Mi succede tutti i giorni.» «No, sul serio?» «Sto arrossendo? No, Jeff, posso dire sinceramente di non ricordare che qualcuno me lo abbia mai detto.» «Comunque è vero.» «Immagino di doverti ringraziare.» «Andiamo a scongelarle.» Il percorso di ritorno richiese un tempo quasi doppio rispetto all’andata e la valle era già buia quando arrivarono alla casa di legno. Jeff accese subito il fuoco e il freddo venne sostituito da un tepore fumoso che Samantha ben presto sentì penetrarle nelle ossa. Jeff accese tre lampade a gas e, mentre lui portava in casa legna da ardere sufficiente per la notte, Samantha aprì il frigo portatile ed esaminò la cena. Due bistecche, due patate e due pannocchie di granturco. C’erano tre bottiglie di merlot, che Jeff aveva scelto perché chiuse da un tappo a vite. Bevvero il primo bicchiere scaldandosi davanti al fuoco e parlando di politica. Obama avrebbe prestato giuramento pochi giorni dopo e Jeff stava pensando a un viaggio in auto a Washington per assistere ai festeggiamenti. Il padre di Samantha, molto tempo prima della sua caduta, aveva sostenuto la causa del partito democratico nell’ordine degli avvocati, e ora sembrava stesse recuperando entusiasmo per la lotta. Aveva invitato Samantha a raggiungerlo per condividere quel momento. A lei l’idea di assistere alla storia piaceva, ma non era sicura dei suoi impegni in agenda. Non aveva parlato con nessuno della proposta di Andy, e non lo avrebbe fatto neppure adesso. Avrebbe solo complicato le cose. A metà del secondo bicchiere, Jeff le chiese: «Come vanno le dita dei piedi?». «Mi pizzicano» rispose Samantha. Le dita in questione erano ancora al caldo negli spessi calzettoni di lana, che lei non aveva alcuna intenzione di togliersi, qualunque cosa stesse per succedere. Jeff andò ad accendere il carbone della griglia in veranda e poco dopo stavano già preparando la cena. Mangiarono a lume di candela sopra un primitivo tavolo per due. Dopo cena tentarono di leggere alla luce del fuoco, ma abbandonarono rapidamente l’idea per questioni più importanti e pressanti. Samantha si svegliò in mezzo a trapunte e piumoni, nuda a parte i calzettoni. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto che Jeff non era da qualche parte sotto la pila di coperte. Nel caminetto le braci covavano sotto la cenere mentre l’ultimo ceppo andava spegnendosi. Samantha trovò una torcia e chiamò Jeff, che però non era in casa. Guardò l’orologio: erano le quattro e quaranta di mattina. Fuori era buio pesto. Si avvicinò alla veranda, ci passò sopra il raggio di luce, chiamò di nuovo Jeff a bassa voce e poi tornò velocemente al suo posto caldo accanto al fuoco. Rifiutò di farsi prendere dal panico. Jeff non l’avrebbe lasciata sola, se fosse stata in pericolo. Oppure sì? Indossò i jeans e una camicia e cercò di dormire, ma era troppo tesa. Era anche spaventata e, a mano a mano che i minuti passavano, si sforzò di reprimere la rabbia. Sola al buio in una casetta nel bosco... non sarebbe dovuto succedere. Ogni rumore dall’esterno poteva essere una minaccia. Lentamente, arrivarono le cinque. Samantha fu sul punto di appisolarsi, ma si riprese. Aveva portato uno zainetto con lo spazzolino da denti e un cambio d’abiti. Jeff invece ne aveva portati tre grandi, del tipo da professionisti. Samantha li aveva notati subito sul pianale del pickup a Knox e ogni tanto aveva lanciato un’occhiata. Jeff ne aveva usato uno per l’escursione; gli altri due, che erano sembrati pieni di qualcosa, erano stati buttati prima sul divano, poi sistemati vicino alla porta. Adesso non c’erano più. Samantha si tolse jeans e camicia e gettò il tutto sul divano, come se non fosse successo niente. Quando si sentì di nuovo calma e calda, fece qualche respiro profondo e valutò la situazione. Quello che era già evidente lo diventò ancora di più. Per chi seguiva ogni mossa di Jeff, la visita di quel giorno a Gray Mountain non era stata niente più di una passeggiata romantica. I kayak erano stati un tocco simpatico, rossi e lucenti sul retro del pick-up perché tutti li vedessero, ma di certo non destinati a bagnarsi. Kayak, camminate, grigliate in veranda, coccole davanti al fuoco... solo un piacevole appuntamento con la nuova ragazza in città. Nelle prime ore del mattino, quando la valle era al massimo della quiete, Jeff si era svegliato ed era uscito con l’abilità di un ladro acrobata. In quel momento era nelle viscere di Gray Mountain, indaffarato a riempire gli zaini con le preziose carte rubate alla Krull Mining. Jeff la stava usando come copertura. La porta si aprì e il cuore le si fermò. Non riusciva a vedere niente nel buio totale e anche il divano le bloccava la visuale. Distesa sopra uno spesso materasso sotto strati di trapunte e coperte, Samantha cercò di respirare normalmente e pregò che la persona appena entrata fosse Jeff. L’uomo rimase in piedi perfettamente immobile per quella che sembrò un’ora, poi si mosse leggero. Quando posò i jeans sul divano, la fibbia della cintura tintinnò appena. Svestito, si infilò cauto sotto le coperte, attento a non toccarla e a non svegliarla. Samantha sperava con tutta se stessa che l’uomo nudo a pochi centimetri da lei fosse Jeff Gray. Fingendo di dormire, si voltò e gli passò un braccio sul petto. Lui si finse sorpreso e borbottò qualcosa. Mormorò qualcosa anche lei, ora certa di conoscere quel tizio. Con una mano che era un po’ troppo fredda per l’occasione, Jeff le accarezzò il fondo schiena. Samantha sussurrò no e si voltò. Jeff le si fece più vicino e poi finse di addormentarsi. Prima di lasciarsi andare al sonno, Samantha decise che per il momento sarebbe stata al gioco. Si sarebbe presa un po’ di tempo per riflettere e avrebbe tenuto d’occhio quegli zaini. Il ladro acrobata si stava muovendo di nuovo. Si alzò in piedi lentamente e tese una mano verso il mucchio di legna. Gettò due ceppi nel caminetto, attizzò il fuoco e sussurrò: «Sei sveglia?». «Credo di sì.» «Qui dentro si gela.» Era in ginocchio e stava scostando le coperte per rituffarsi sotto con lei. «Dormiamo un altro po’» disse, stringendola in cerca del calore del suo corpo. Samantha grugnì qualcosa in risposta, come se fosse stata in coma. Il fuoco stava schioccando e scoppiettando, all’improvviso il gelo era scomparso e Samantha riuscì finalmente addormentarsi. a 35 Le previsioni per lunedì annunciavano una temperatura massima di sette gradi e tanto sole. Ciò che restava della neve si stava già sciogliendo rapidamente mentre Samantha andava a piedi al lavoro. 12 gennaio, ma sembrava primavera. Aprì lo studio e sbrigò la sua solita routine d’inizio mattinata. La prima e-mail era di Izabelle: Ciao, Sam. Andy dice che ti ha contattato e che sei quasi a bordo. Mi ha fatto promettere di non parlare con te del lavoro e relativi dettagli: probabilmente ha paura che confrontiamo i nostri appunti e poi cerchiamo di spremergli condizioni migliori. Non è che Andy mi sia mancato molto. E a te? Di certo non mi è mancato lo studio e neppure la città, e non sono sicura di voler tornare. Ho detto a Andy che accettavo l’impiego, ma ci sto ripensando. Di sicuro non posso mollare tutto ed essere da lui tra un mese. E tu? E non mi è mancata neppure l’eccitazione di dovere leggere e revisionare contratti per dieci ore al giorno. Mi servono i soldi e tutto il resto, ma sto sopravvivendo bene e il lavoro mi piace sul serio. Come sai, noi difendiamo minori che sono stati condannati come adulti e vengono detenuti in carceri per adulti. È meglio che non cominci a parlare di questo argomento. Il lavoro è affascinante e allo stesso tempo deprimente, ma ogni giorno ho la sensazione di marcare una piccola differenza. La settimana scorsa abbiamo fatto uscire di prigione un ragazzino. I suoi genitori lo aspettavano all’uscita e tutti hanno pianto, me compresa. Per tua informazione: uno degli altri nuovi associati di Spane & Grubman è quello stronzo di Sylvio della divisione Tasse. Te lo ricordi? La peggior alitosi di tutto lo studio. Ti faceva svenire anche se stava all’altro lato del tavolo. E lui vuole sempre parlarti naso contro naso. E sputacchia anche. Rivoltante! Per tua informazione: secondo una fonte anonima, uno dei clienti “a cinque stelle” di Spane & Grubman sarà Chuck Randover, il grande, impunito scansaincriminazioni, che crede di poterti tastare il culo solo perché ti paga novecento dollari l’ora. Lo conosci fin troppo bene. Io però non te l’ho mai detto. Sto riflettendo seriamente se cambiare idea. E tu? Izzie Samantha ridacchiò leggendo l’e-mail. Non perse tempo e scrisse immediatamente risposta: la Iz, non so bene cosa Andy stia architettando, ma io non ho ancora accettato. E se sta già manipolando così i fatti, devo mettere in dubbio tutto quello che dice. No, non posso fare i bagagli e andarmene da qui tra un mese, non con la coscienza a posto. Sto pensando di chiedere di cominciare qualche mese più tardi, diciamo verso l’inizio di settembre. Randover è stato l’unico cliente che mi abbia mai fatto piangere. Una volta mi ha ridicolizzato durante una riunione. Sono riuscita a trattenermi finché non ho potuto correre in bagno. E quell’idiota di Andy se ne stava seduto a guardare la scena, senza pensare minimamente a proteggere la sua gente. Nel modo più assoluto. Non voleva contrariare un cliente. Io avevo sbagliato, ma si trattava di un errore piccolo e innocuo. Hai idea di quale sia il pacchetto assunzione? Izabelle rispose: Ho giurato che non lo avrei divulgato. Ma è davvero impressionante. Ci sentiamo. La prima sorpresa della giornata arrivò con la posta. La Top Market Solutions aveva inviato un assegno di undicimilatrecento dollari, intestato a Pamela Booker, allegando i relativi moduli di ricevuta da firmare. Samantha fotocopiò l’assegno con l’intenzione di incorniciarlo. La sua prima causa e la sua prima vittoria. Andò a mostrare orgogliosamente l’assegno a Mattie, che le suggerì di saltare in macchina, andare alla fabbrica di lampade e fare una sorpresa alla sua cliente. Un’ora più tardi, Samantha entrò nella città di Brushy e poi raggiunse la semiabbandonata zona industriale in periferia. Passò a salutare Mr Simmons e lo ringraziò di nuovo per avere riassunto Pamela. Durante la pausa, Pamela firmò la ricevuta e pianse guardando l’assegno. Non aveva mai visto tanti soldi tutti insieme e sembrava completamente sopraffatta. Erano sedute nell’auto di Samantha nel parcheggio, in mezzo a una triste collezione di antichi pickup e qualche vecchia, sporca utilitaria d’importazione. «Non so bene cosa fare con questi soldi» disse Pamela. Nella sua veste di legale gratuito plurispecializzato, Samantha aveva qualche consiglio finanziario da offrire. «Be’, prima di tutto non dire niente a nessuno. Se solo apri bocca, ti ritroverai con nuovi amici di tutti i tipi. A quanto ammonta il tuo debito con la carta di credito?» «Circa duemila dollari.» «Saldalo, e poi taglia a metà tutte le tue carte di credito. Niente debiti per almeno un anno. Usa solo contanti e assegni, ma niente carte di credito.» «Dici su serio?» «Hai bisogno di un’auto, per cui io ne comprerei una versando un anticipo di duemila dollari e rateizzando il resto in due anni. Paga tutti i conti in sospeso, metti cinquemila dollari in un conto di risparmio e poi dimenticatene.» «Tu quanto ti prenderai di questi soldi?» «Zero. Noi non addebitiamo parcelle, se non in rari casi. Sono tutti tuoi, Pamela, e ti meriti ogni centesimo. Adesso corri a portare l’assegno in banca, prima che quegli imbroglioni te lo facciano trovare scoperto.» Con le labbra che tremavano e le lacrime che colavano lungo le guance, Pamela si piegò di lato e abbracciò il suo avvocato. «Grazie, Samantha. Grazie, Grazie.» Mentre si allontanava in auto, Samantha guardò nello specchietto retrovisore. Ancora ferma in piedi, Pamela guardava e salutava con la mano. Samantha non stava piangendo, ma sentiva un nodo alla gola. La seconda sorpresa della giornata arrivò durante il pranzo portato da casa del lunedì. Mentre Barb stava raccontando la storia di un tale che il giorno prima era svenuto in chiesa, il cellulare di Mattie vibrò sul tavolo, accanto alla sua insalata. Numero sconosciuto. Mattie rispose e una voce stranamente familiare, ma non identificata, disse: «Tra mezz’ora l’FBI sarà da voi con un mandato di perquisizione. Fate immediatamente un backup di tutti i vostri file». Mattie spalancò la bocca mentre sbiancava in viso. «Chi parla?» domandò. Ma in linea non c’era più nessuno. Mattie riferì il messaggio con calma e tutte fecero un respiro profondo, di paura. A giudicare dalle tattiche adottate dall’FBI durante l’irruzione nello studio di Donovan, si poteva dare per scontato che gli agenti se ne sarebbero andati con tutto quello che potevano portarsi via. Il primo, frenetico ordine di servizio fu trovare qualche flash drive e cominciare a scaricare i dati importanti. «Dobbiamo pensare che questa cosa sia collegata alla Krull Mining» disse Annette, guardando sospettosa Samantha. Mattie si stava massaggiando le tempie, cercando di restare calma. «Non può essere altro. I federali devono avere pensato che noi abbiamo qualcosa perché io sono l’avvocato garante del testamento di Donovan. Strano, assurdo, oltraggioso, non riesco a trovare abbastanza aggettivi. Io... noi non abbiamo niente che non abbiano già visto. Non c’è niente di nuovo.» Per Samantha, però, il raid aveva un significato di gran lunga più sinistro. Lei e Jeff se ne erano andati da Gray Mountain domenica mattina, ed era quasi certa che quegli zaini fossero pieni di documenti. Poco più di ventiquattr’ore dopo l’FBI si lanciava all’attacco, ficcando il naso per conto della Krull Mining. Era una spedizione esplorativa, ma anche un atto di autentica intimidazione. Samantha non disse nulla, ma si affrettò ad andare nel suo ufficio, dove cominciò a trasferire i dati. Le donne della Legal Aid Clinic si davano da fare sussurrando tra loro. Annette ebbe la brillante idea di suggerire che Barb se ne andasse con tutti i loro laptop. All’FBI avrebbero detto che Barb li stava portando a Wise per farli revisionare da un tecnico. Barb li caricò tutti e fu più che felice di lasciare la città. Mattie telefonò a Hump, che era uno dei migliori penalisti della città, lo assunse su due piedi e gli chiese di raggiungerla allo studio appena fosse iniziata la perquisizione. Hump disse che non se lo sarebbe perso per niente al mondo. Una volta caricati i flash drive, Samantha li infilò in una grande busta, insieme al suo cellulare spia, e andò a piedi in tribunale. Al terzo piano, la contea manteneva un’ignorata, trascurata biblioteca legale che non veniva pulita da anni. Samantha nascose la busta in mezzo a una pila di polverosi numeri di “ABA Journal” degli anni Settanta e si affrettò a tornare in ufficio. Furono gli agenti Frohmeyer e Banahan, entrambi in abito scuro, a guidare l’impavida squadra che irruppe negli uffici massicciamente fortificati della Mountain Legal Aid Clinic. I capi erano seguiti da altri tre agenti, tutti in giubbotto blu con la scritta “FBI ” stampigliata da spalla a spalla in caratteri gialli, i più grandi e vistosi possibile. Mattie li accolse nel corridoio con un: «Oh, no, ancora voi». «Temo di sì» disse Frohmeyer. «Ecco il mandato.» Mattie lo prese e dichiarò: «Non ho tempo di leggerlo. Mi illustri solo a cosa si riferisce». «Ogni documento, di qualsiasi tipo, collegabile alle pratiche dello studio legale di Donovan Gray riguardante corrispondenza, causa, ecc. e riferibile a quello che è comunemente conosciuto come il caso Hammer Valley.» «Vi siete già presi tutto l’altra volta, Frohmeyer. Donovan è morto da sette settimane. Pensate che stia ancora producendo documenti?» «Io sto solo eseguendo gli ordini.» «Giusto, giusto. Senta, Mr Frohmeyer, le pratiche di Donovan sono ancora là, dall’altro lato della strada. L’unica pratica che ho io è quella dell’omologazione del testamento. Noi non siamo coinvolte nella causa. Lo capisce? Non è complicato.» «Ho i miei ordini.» Hump fece un rumoroso ingresso in scena abbaiando: «Io rappresento la Mountain Legal Aid Clinic. Cosa diavolo succede?». Annette e Samantha guardavano dalle porte dei rispettivi uffici. «Hump, questo è l’agente Frohmeyer, il capo di questa piccola posse» disse Mattie. «Pensa di avere il diritto di prendersi tutte le nostre pratiche e i computer.» «Neanche per sogno!» latrò Annette all’improvviso. «Nel mio ufficio non c’è un solo pezzo di carta che sia remotamente collegato a Donovan Gray o a una qualunque delle sue cause. Quello che ho, è un ufficio pieno di pratiche di carattere delicato e riservato e di casi riguardanti faccende come divorzi, molestie a minori, abusi domestici, dipendenza da stupefacenti e riabilitazione, infermità mentale e un lungo, triste elenco di disgrazie umane. E lei, signore, non ha il diritto di vedere niente di tutto questo. Se solo prova a toccare qualcosa, opporrò resistenza con tutta la forza che riuscirò a trovare. Mi arresti pure, se vuole, ma le prometto che domani mattina per prima cosa depositerò una citazione federale con il suo nome sopra, Mr Frohmeyer, e con i nomi di tutti voi gorilla, bene in vista quali convenuti. Dopo di che vi perseguiterò fino all’inferno e ritorno.» Ce ne voleva per scuotere un duro come Frohmeyer, ma per un secondo le sue spalle si abbassarono, di poco. Gli altri quattro agenti ascoltavano con gli occhi spalancati, incerti. Samantha per poco non scoppiò a ridere. Mattie stava effettivamente sorridendo. «Ben detto, Ms Brevard» confermò Hump. «Riassume efficacemente la nostra posizione, e io sarò lieto di telefonare subito al procuratore federale per chiarire le cose.» «Abbiamo più di duecento pratiche attive e un altro migliaio in archivio. Nessuna ha a che vedere con Donovan Gray e i suoi affari. Volete davvero portarle tutte nei vostri uffici per esaminarle?» «Di sicuro avete di meglio da fare» ringhiò Annette. Hump alzò entrambe le mani e chiese silenzio. Frohmeyer raddrizzò la schiena e guardò Samantha. «Cominceremo dal suo ufficio. Se troveremo quello che stiamo cercando, ce lo prenderemo e ce ne andremo.» «E cosa potete mai cercare?» «Legga il mandato.» Hump domandò: «Quante pratiche ha, Ms Kofer?». «Circa quindici, credo.» «Okay, facciamo così» propose Hump. «Mettiamo tutte le pratiche di Ms Kofer sul tavolo della sala riunioni e voi ragazzi date un’occhiata. Perquisite il suo ufficio e ispezionate quello che volete, ma prima di portare via qualsiasi cosa, ne parliamo. Okay?» «Ci prendiamo tutti i suoi computer, desktop e laptop» disse Frohmeyer. Mattie e Annette sembravano sconcertate dall’improvviso interesse per le pratiche di Samantha, che si strinse nelle spalle come se non avesse avuto alcuna idea in proposito. «Il mio laptop non è qui» annunciò. «E dov’è?» scattò Frohmeyer. «Ce l’ha il tecnico. Una specie di virus, penso.» «Quando gliel’ha portato?» Hump alzò una mano. «Ms Kofer non è tenuta a rispondere. Il mandato di perquisizione non vi dà il diritto di interrogare potenziali testimoni.» Frohmeyer ribollì in silenzio per un secondo, poi esibì un sorriso melenso. Seguì Samantha nel suo ufficio e la tenne d’occhio mentre lei estraeva le pratiche dallo schedario. «Proprio un bel posticino, il suo» disse, da vero stronzo. «Non ci vorrà molto per perquisire questo ufficio.» Samantha lo ignorò. Portò le pratiche in sala riunioni, dove Banahan e un altro agente cominciarono a sfogliarle. Tornò in ufficio e osservò Frohmeyer frugare lentamente nei suoi due armadietti e nei cassetti della scrivania malandata. L’agente toccò ogni pezzo di carta, ma non prese nulla. Samantha lo odiò per quell’invasione del suo spazio privato. Un agente seguì Mattie nel suo ufficio, un altro fece lo stesso con Annette. Cassetto dopo cassetto, controllarono tutte le pratiche, ma non presero nulla. Hump passava da una porta all’altra, osservando e aspettando la lite. «I laptop sono spariti tutti?» chiese Frohmeyer a Hump quando finì di scavare nell’ufficio di Samantha. Annette sentì la domanda e disse: «Sì, li abbiamo mandati tutti insieme dal tecnico». «Molto opportuno. Credo che torneremo con un altro mandato di perquisizione.» «Sarà uno spasso.» I federali esaminarono centinaia di pratiche archiviate. Tre di loro salirono nel solaio e scovarono fascicoli che Mattie non vedeva da decenni. L’eccitazione cedette il passo alla monotonia. Hump si sedette in corridoio e fece due chiacchiere con Frohmeyer, mentre le signore cercavano di rispondere alle telefonate. Dopo due ore, il raid perse slancio e gli agenti se ne andarono, portando con loro solo il desktop di Samantha. Mentre li guardava uscire, Samantha si sentì come una vittima impotente in un paese arretrato dove la polizia agiva incontrollata e i diritti non esistevano. Non era giusto. Stava subendo soprusi da parte dell’FBI a causa dei suoi rapporti con Jeff. Beni di sua proprietà venivano sequestrati e il rapporto confidenziale con i suoi clienti veniva compromesso. Non si era mai sentita così impotente. L’ultima cosa di cui sentiva il bisogno era un bel terzo grado da parte di Mattie e Annette. A quel punto dovevano essere molto sospettose nei suoi confronti. Quanto sapeva della faccenda Krull? Cosa le aveva detto Jeff? Aveva visto qualche documento? Riuscì a sgattaiolare fuori dalla porta sul retro e andò a recuperare i flash drive e il cellulare spia nella biblioteca legale. Poi fece un altro lungo giro in macchina. Jeff non rispondeva al telefono e questo la irritò. In quel momento aveva bisogno di lui. Quando tornò in studio era buio, e scoprì che Mattie la stava aspettando. I laptop erano tornati, sani e salvi. «Andiamo da me. Ci sediamo in veranda e ci facciamo un bicchiere di vino» disse Mattie. «Dobbiamo parlare.» «Cucina Chester?» «Be’, noi non saltiamo mai la cena.» Fecero una piacevole passeggiata fino a casa di Mattie e lungo la strada decisero che faceva troppo freddo per starsene in veranda. Chester era occupato altrove, per cui erano sole. Si sedettero in soggiorno e bevvero due o tre sorsi prima che Mattie dicesse: «Ora raccontami tutto». «Okay.» 36 Più o meno alla stessa ora, Buddy Ryzer parcheggiò il suo pick-up in un punto panoramico e percorse duecento metri lungo il sentiero che portava a un’area picnic. Si sedette a un tavolo, si infilò la canna di una pistola in bocca e premette il grilletto. Il corpo venne trovato nella tarda serata di lunedì da due campeggiatori, che chiamarono il 911. Mavis, da ore al telefono, sentì bussare alla porta. Poi arrivarono i vicini in preda al panico e in casa si scatenò il caos. Samantha stava dormendo profondamente quando il cellulare cominciò a vibrare. Non lo sentì. Se non per un arresto, perché mai qualcuno avrebbe dovuto sentire il bisogno di chiamare il suo avvocato a mezzanotte di un lunedì? Controllò il cellulare alle cinque e trenta, poco dopo essersi svegliata in un nebbioso replay del raid dell’FBI . C’erano state tre chiamate senza risposta da parte di Mavis Ryzer, l’ultima a mezzanotte e quaranta. Una voce tremante nella casella vocale comunicava la notizia. Samantha dimenticò di colpo l’FBI . Cominciava davvero a non poterne più di tutte quelle morti. Era ancora tormentata da quella di Donovan. La morte di Francine Crump non era stata certo prematura, ma le sue conseguenze stavano creando problemi. Due giorni prima, a Gray Mountain, Samantha aveva visto di nuovo la croce bianca che indicava il luogo dove Rose si era tolta la vita. Non aveva mai conosciuto i ragazzi Tate, ma si sentiva toccata dalla loro tragedia. Pensava spesso al padre di Mattie e a come era stato ucciso dal polmone nero. La vita poteva essere dura nella terra del carbone, e in quel momento Samantha sentiva la mancanza delle strade agitate della grande città. Ora era morto anche il suo cliente preferito e lei sarebbe dovuta andare a un altro funerale. Indossò jeans e parka e uscì per una passeggiata. Mentre il cielo cominciava a schiarirsi, rabbrividì per il freddo e, una volta di più, si chiese cosa stesse facendo esattamente a Brady, Virginia. Perché stava piangendo per un minatore che aveva conosciuto solo tre mesi prima? Perché non se ne andava e basta? Come sempre, non c’erano risposte semplici. Vide la luce accesa nella cucina di Mattie e picchiettò sul vetro della finestra. Chester, in accappatoio, stava preparando il caffè. La fece entrare e andò a chiamare Mattie, presumibilmente già sveglia. Mattie prese male la notizia e le due avvocatesse rimasero a lungo sedute al tavolo della cucina, cercando di dare un senso a una tragedia insensata. Da qualche parte nella montagna di documenti dei Ryzer, Samantha aveva visto un pagamento per un’assicurazione sulla vita di cinquantamila dollari. «Non c’è una clausola che esclude il suicidio dalle cause di morte?» domandò, stringendo la tazza con entrambe le mani. «In genere sì, ma vale solo per il primo anno circa. Se non fosse così, una persona potrebbe stipulare una grossa assicurazione e subito dopo buttarsi giù da un ponte. Se la polizza di Buddy è più vecchia, l’esclusione probabilmente non vale più.» «Allora sembra proprio che si sia ucciso per i soldi.» «Chi può dirlo? Chi si suicida non pensa razionalmente, ma sospetto che scopriremo che quell’assicurazione sulla vita è stato un fattore determinante. Buddy non aveva più un lavoro, non aveva indennità e il suo piccolo conto di risparmio era prosciugato. Aggiungi tre figli ancora in casa e una moglie senza lavoro. Lo aspettavano anni in condizioni di salute sempre peggiori e la fine non sarebbe stata piacevole. Ogni minatore del carbone conosce una vittima della malattia.» «La cosa comincia ad avere un senso.» «Già. Vuoi un po’ di colazione, magari un toast?» «No, grazie. Mi sembra di essermene appena andata da qui.» Mentre Mattie riempiva di nuovo le tazze di caffè, Samantha disse: «Ho una domanda ipotetica da farti. Difficile. Se dieci anni fa Buddy avesse avuto un avvocato, come sarebbe andato il suo caso?». Mattie versò un po’ di zucchero nella tazza, mescolò e aggrottò la fronte, mentre rifletteva. «Non si può mai dire, ma se l’avvocato fosse stato in gamba, avesse trovato le cartelle cliniche che hai scoperto tu e a un certo punto avesse portato la frode e l’omissione di prove da parte di Casper Slate all’attenzione della corte, allora dovremmo pensare che Buddy si sarebbe visto riconoscere la sua indennità. Sono solo speculazioni, ma sono convinta che quelli di Casper Slate si sarebbero mossi in fretta per tenere i loro crimini ben lontani dal tribunale. Avrebbero accolto la domanda di Buddy, facendo una ritirata strategica, per così dire, e Buddy avrebbe incassato i suoi assegni.» «E non avrebbe dovuto respirare altre polveri di carbone per i successivi dieci anni.» «Probabilmente no. Gli assegni non sono granché, ma i Ryzer avrebbero avuto di che sopravvivere.» Rimasero per un po’ in un silenzio assoluto, nessuna delle due desiderosa di parlare o di muoversi. Chester comparve sulla soglia con una tazza vuota in mano, le vide immobili e assorte nei loro pensieri e scomparve senza fare rumore. Alla fine Mattie scostò la sedia dal tavolo e si alzò in piedi. Prese la confezione di pane integrale, inserì due fette nel tostapane e poi prese burro e marmellata dal frigo. Dopo un paio di bocconi, Samantha disse: «Oggi non me la sento proprio di andare in studio. Mi sembra come se fosse stato violato, capisci? Ieri mi hanno portato via il computer e hanno messo le mani in tutte le mie pratiche. Jeff crede che l’ufficio sia pieno di cimici, e lo credeva anche Donovan. Ho bisogno di staccare». «Prenditi un giorno libero, anche due. Sai che per noi non c’è problema.» «Grazie. Vado fuori città e ci vediamo domani.» Uscì da Brady e guidò per un’ora, prima di concedersi un’occhiata nello specchietto retrovisore. Nessuno, niente. Jeff la chiamò due volte, ma lei si rifiutò di rispondergli. A Roanoke puntò verso est, allontanandosi dalla Shenandoah Valley e dal traffico dell’interstatale. Con la prospettiva di dover far passare ore, si diede da fare al telefono, definendo particolari ed esercitando pressioni mentre viaggiava sulle strade tortuose della Virginia centrale. A Charlottesville pranzò con un’amica dei tempi di Georgetown. Alle diciassette e cinquanta prese posizione a un tavolo d’angolo nel bar dell’Hay- AdamsHotel, a un isolato dalla Casa Bianca. Il campo neutro era obbligatorio. Fu Marshall Kofer ad arrivare per primo alle diciotto in punto, elegante come sempre. Aveva accettato subito di partecipare all’incontro. Karen si era mostrata un po’ più riluttante, ma sua figlia aveva bisogno di aiuto. Ciò di cui Samantha aveva davvero bisogno, era che i genitori l’ascoltassero e le dessero qualche consiglio. Karen arrivò con soli cinque minuti di ritardo. Abbracciò Samantha, diede il doveroso bacetto sulla guancia al suo ex e si sedette. Un cameriere prese le ordinazioni dei drink. Il tavolo era distante dal bar per cui garantiva una certa privacy, almeno per il momento. Samantha avrebbe preso il comando della conversazione – quello era il suo show – e non avrebbe consentito pause imbarazzanti tra i genitori, seduti allo stesso tavolo per la prima volta da almeno undici anni. Al telefono aveva detto a tutti e due che non si trattava di un evento sociale e di sicuro nemmeno di un suo malaccorto tentativo per rattoppare vecchi problemi. Le questioni all’ordine del giorno erano molto più importanti. Arrivarono i drink e tutti presero in mano il bicchiere. Samantha ringraziò i genitori per il tempo che le dedicavano, si scusò per il breve preavviso e poi si lanciò nel suo racconto. Cominciò con la vertenza Hammer Valley, poi seguirono Krull Mining e Donovan Gray con la sua causa. Marshall conosceva i fatti già da un po’ e Karen era venuta a saperne la maggior parte subito dopo Natale. Ma nessuno dei due era al corrente dei documenti rubati, e Samantha non risparmiò alcun dettaglio. Lei li aveva visti e riteneva che fossero ancora sepolti nelle profondità di Gray Mountain. Almeno la maggior parte. La Krull Mining li voleva e ora aveva arruolato l’FBI perché facesse il lavoro sporco. Samantha confessò che si vedeva con Jeff, ma assicurò che non si trattava di niente di serio. Francamente, non doveva alcuna spiegazione ai suoi genitori. Entrambi finsero disinteresse per la sua nuova relazione. Il cameriere tornò e ordinarono un altro giro di drink, con qualcosa da mangiucchiare. Samantha descrisse l’incontro con Jarrett London a New York e le pressioni esercitate dall’avvocato su di lei e Jeff perché gli consegnassero i documenti il più presto possibile. Ammise di avere la sensazione di sentirsi risucchiata in un’attività che, se non proprio illegale, era comunque chiaramente discutibile. Era stata oggetto di un raid dell’FBI che, anche se poco redditizio, era stato comunque drammatico e spaventoso. Per quanto ne sapeva, a guidare l’indagine era il procuratore federale del West Virginia, il quale evidentemente era convinto che la Krull Mining fosse stata vittima di furto e associazione per delinquere. Avrebbe dovuto essere il contrario, sottolineò Samantha: il colpevole era la Krull Mining, ed era la Krull Mining a dover comparire davanti alla giustizia. Marshall era sinceramente d’accordo su tutto. Rivolse a Samantha alcune domande, tutte riguardanti il procuratore federale e il segretario alla Giustizia. Karen fu cauta nei suoi commenti e nelle sue domande. Ciò che Marshall stava pensando, ma non poteva dire, era che con ogni probabilità dieci anni prima Karen aveva esercitato la sua notevole influenza per rovinarlo e mandarlo in galera. E con un potere del genere, perché mai adesso non poteva aiutare sua figlia? Arrivò un vassoio di formaggi, ma venne ignorato. Entrambi i genitori furono d’accordo nel sostenere che Samantha non doveva toccare quei documenti. Che fosse Jeff a correre i rischi, se voleva, ma lei non doveva entrare in quella faccenda. Jarrett London e tutta la sua banda di avvocati avevano le risorse e i soldi necessari per occuparsi del lavoro sporco, e se i documenti erano preziosi come pensavano, avrebbero trovato un modo per inchiodare la Krull Mining. Puoi convincere l’FBI a fare un passo indietro? domandò Samantha a sua madre. Karen rispose che si sarebbe attivata immediatamente, ma sottolineò di avere scarsissima influenza su quella gente. “Eccome, se ce l’hai!” fu sul punto di esclamare Marshall. Era stato rinchiuso in prigione per tre anni, studiando modi per vendicarsi della ex moglie e dei suoi colleghi. Ma, con il passare del tempo, aveva accettato la realtà: i suoi problemi erano stati causati dalla sua stessa cupidigia. Non hai pensato di andartene? chiese Karen a Samantha. Di fare i bagagli e partire? Di prendere tutto come un’avventura conclusa e tornartene in città? Tu hai fatto del tuo meglio e ora ti ritrovi con l’FBI che ti alita sul collo. Cosa ci fai ancora laggiù? Marshall sembrò condividere quella linea. Era stato in prigione con alcuni colletti bianchi che, tecnicamente, non avevano infranto alcuna legge. Se i federali vogliono fregarti, troveranno il modo. L’associazione per delinquere era uno dei loro preferiti. Più Samantha parlava, più voleva parlare. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva avuto la completa attenzione dei suoi genitori. Anzi, non era sicura che fosse mai successo prima. Forse quando era ancora molto piccola, ma chi poteva ricordarlo? E, ascoltando le sue preoccupazioni e i suoi guai, sia sua madre che suo padre sembravano dimenticare i loro problemi e fare fronte comune per aiutarla. Il bagaglio di rancori veniva ignorato, almeno per il momento. Perché si sentiva obbligata a restare “laggiù”? Samantha rispose raccontando la storia di Buddy Ryzer e della sua domanda d’indennità per il polmone nero. Sentì un groppo in gola quando arrivò al suicidio di Buddy, avvenuto circa ventiquattr’ore prima. Tra non molto sarebbe andata a un funerale in una graziosa chiesetta di campagna e avrebbe guardato da una certa distanza la povera Mavis e i suoi tre figli sciogliersi nell’angoscia. Se avessero avuto un avvocato, le cose sarebbero potute andare diversamente. Adesso che ne avevano uno, lei non poteva fare i bagagli e scappare nel momento peggiore. E c’erano anche altri clienti, altre persone dalla voce flebile le quali avevano bisogno che lei restasse almeno per qualche mese ancora e cercasse di ottenere un po’ di giustizia per loro. Informò i genitori dell’offerta di lavoro di Andy Grubman. A Marshall, come era prevedibile, l’idea non piacque affatto e ne parlò come di “una versione edulcorata del solito vecchio studio specializzato in diritto societario”. Non si sarebbe trattato che di spostare carte sulla scrivania con un occhio all’orologio. Mise in guardia Samantha, avvertendola che lo studio sarebbe cresciuto sempre di più e nel giro di poco tempo sarebbe diventato esattamente come Scully & Pershing. Karen invece pensava che la prospettiva fosse molto più attraente che continuare a restare a Brady. Samantha confessò di avere sensazioni contrastanti, ma che comunque era propensa ad accettare l’offerta, prima o poi. Cenarono nel ristorante dell’hotel: insalata, pesce, vino, addirittura dolce e caffè. Samantha aveva parlato talmente tanto da sentirsi esausta, ma era riuscita a esternare le sue paure perché venissero ascoltate dai suoi genitori, e il sollievo era enorme. Non era stata presa alcuna decisione. Non si era risolto nulla. I consigli dei suoi erano stati ampiamente prevedibili, ma anche il solo averne discusso si era rivelato terapeutico. Samantha aveva prenotato una camera in albergo. Marshall aveva un’auto con autista e si offrì di accompagnare Karen a casa. Si salutarono nell’atrio. Samantha aveva gli occhi colmi di lacrime mentre guardava i suoi genitori che uscivano insieme. 37 Seguendo le istruzioni, parcheggiò in Church Street nel centro di Lynchburg, Virginia, e percorse a piedi due isolati fino alla Main. Il traffico era intenso nella parte vecchia della città. In lontananza si intravedeva il fiume James. Samantha era sicura che qualcuno la stesse tenendo d’occhio e sperava che fosse Jeff. La prenotazione all’RA Bistro era stata fatta a nome Kofer, sempre come da istruzioni. Chiese alla cameriera un séparé in fondo alla sala e fu lì che si accomodò a mezzogiorno in punto di mercoledì 14 gennaio. Ordinò un analcolico e prese a giocherellare con il cellulare, tenendo anche d’occhio l’ingresso mentre i clienti cominciavano ad affluire lentamente per il pranzo. Dieci minuti dopo, Jeff comparve dal nulla e si sedette di fronte a lei. Si salutarono e Samantha domandò: «Qualcuno mi ha seguita?». «Bisogna darlo sempre per scontato, giusto? Com’è andata a Washington?» «Ho avuto una cena deliziosa con i miei genitori, per la prima volta nella storia moderna. In effetti non riesco a ricordare l’ultima volta in cui abbiamo mangiato insieme tutti e tre. È triste, non credi?» «Tu almeno hai entrambi i genitori. Hai detto a tua madre dell’irruzione dell’FBI ?» «Sì, e le ho chiesto di fare qualche telefonata. Non si tirerà indietro, ma non è troppo sicura del risultato.» «Come sta Marshall?» «Benissimo, grazie, ti manda i suoi saluti. Ho un paio di domande per te. Lunedì sei stato tu a telefonare allo studio per avvertirci del raid dell’FBI ?» Jeff sorrise e distolse lo sguardo. Fu uno di quei momenti in cui Samantha avrebbe voluto urlare. Sapeva che Jeff non avrebbe risposto. «Okay» disse. «Hai saputo la notizia di Buddy Ryzer?» Jeff aggrottò la fronte. «Sì. Veramente terribile. Un altro caduto nella guerra del carbone. È un peccato che non riusciamo a trovare un avvocato disposto a sfidare la Lonerock Coal e la cricca di Casper Slate.» «L’osservazione è diretta a me?» «No.» Un cameriere gentile si fermò al tavolo, elencò i piatti del giorno e scomparve. «Ho un’altra domanda» disse Samantha. «Perché questo terzo grado? Avevo in mente un piacevole pranzo, lontano dalla noia di Brady. Mi sembri piuttosto nervosa.» «Quanti documenti hai portato via da Gray Mountain? Eravamo là lo scorso weekend. Mi sono svegliata alle quattro e quaranta del mattino e tu non c’eri. Per un minuto sono andata nel panico. Sei rientrato intorno alle cinque e ti sei rannicchiato nel letto come se non fosse successo niente. Io ho visto gli zaini, tutti e tre. Tu non hai fatto che spostarli di qua e di là ed erano notevolmente più pesanti quando ce ne siamo andati. Dimmi come stanno le cose, Jeff. Ormai ne so troppo.» Jeff si guardò intorno, fece schioccare le nocche e disse: «Circa un terzo, e devo andare a prendere il resto». «Dove li stai portando?» «Vuoi proprio saperlo?» «Sì.» «Diciamo che sono ben nascosti. Jarrett London ha bisogno dei documenti, di tutti i documenti, il più presto possibile. Li consegnerà alla corte e a quel punto saranno al sicuro. Mi serve il tuo aiuto per portarli via da Gray Mountain.» «Lo so, Jeff, lo so. Non sono stupida. Hai bisogno di me come copertura: la tipa che te la dà davanti al caminetto durante lunghi e romantici weekend nella tua proprietà. Basta una ragazza, una qualsiasi, in modo da convincere i cattivi che non facciamo altro che andare in kayak e cuocere bistecche alla griglia in veranda. Una coppietta che passa le lunghe notti d’inverno scopando, mentre tu invece attraversi di nascosto i boschi con i documenti.» Jeff sorrise. «Abbastanza esatto, ma non è che vada bene una ragazza qualsiasi, sai? Tu sei stata attentamente selezionata.» «Quale onore.» «Se mi dai una mano, possiamo portare via tutto questo weekend e farla finita.» «Jeff, io non ho intenzione di toccare quei documenti.» «Non ce n’è bisogno. Tu devi solo fare la ragazza. Loro sanno chi sei. Tengono d’occhio anche te. Hanno cominciato a seguire la tua pista tre mesi fa, quando sei arrivata in città e hai cominciato a frequentare Donovan.» Arrivarono le insalate e Jeff chiese una birra. Dopo parecchi bocconi, disse: «Ti prego, Samantha, ho bisogno del tuo aiuto». «Non sono sicura di seguirti. Perché questa notte, o domani notte, non vai semplicemente nella tua proprietà, da solo, prendi i documenti, li carichi e li porti allo studio di Jarrett London a Louisville? Perché sarebbe così complicato?» Di nuovo gli occhi al cielo, di nuovo un’occhiata a eventuali ascoltatori, di nuovo una forchettata di insalata. «Te lo dico io perché: è troppo rischioso. Loro sono sempre in osservazione, okay?» «Ti stanno tenendo d’occhio anche in questo momento?» Jeff si passò una mano sul mento e rifletté sulla domanda. «Probabilmente sanno che sono da qualche parte a Lynchburg, Virginia. Forse non sanno esattamente dove, ma non perdono la mia pista. Non dimenticare che hanno tutto il denaro del mondo e si fanno da soli le loro regole. Pensano che io sia il collegamento con i documenti. Non riescono a trovarli da nessuna altra parte, per cui anche se seguirmi costa una fortuna, non c’è problema.» Arrivarono le birre e Jeff bevve un sorso. «Se nei weekend vado a Gray Mountain con te, loro non si insospettiscono. Perché dovrebbero? Due trentenni in una casetta nel bosco con la loro piccola storia d’amore, come dici tu. Io sono sicuro che loro sono nei dintorni, ma il fatto che siamo lì tutti e due ha un senso. Invece, se ci andassi da solo il loro radar si attiverebbe subito. Potrebbero farsi vivi, un brutto incontro per poter vedere che cosa sto facendo. Non si sa mai. È una partita a scacchi, Samantha: loro cercano di prevedere cosa farò, e io cerco di essere sempre un passo avanti. Io ho il vantaggio di conoscere la mia prossima mossa. Loro hanno il vantaggio di una forza illimitata. Se una delle due parti commette un errore, qualcuno si farà male.» Bevve un altro sorso e lanciò un’occhiata a una coppia che studiava il menu a tre metri da loro. «E lascia che ti dica una cosa: non ce la faccio più. Sono veramente allo stremo. Ho bisogno di sbarazzarmi di quei documenti prima di fare qualche stupidaggine per colpa della stanchezza.» «Che auto guidi in questo momento?» «Un Maggiolino Volkswagen, dell’autonoleggio Casey’s Rent-A-Wreck di Roanoke. Quaranta dollari in contanti al giorno, più benzina e chilometraggio. Niente male.» Samantha scosse la testa, incredula. «Sanno che io sono qui?» «Io non so cosa sanno, ma do per scontato che ti seguano. E continueranno a monitorare i movimenti di entrambi finché i documenti non saranno consegnati. Non posso saperlo con certezza, ma ci scommetterei tutti i soldi che ho.» «Trovo difficile crederlo.» «Non essere ingenua, Samantha. La posta in gioco è troppo alta.» Quando entrò nel suo ufficio alle cinque e venti di quel pomeriggio, il computer troneggiava sulla scrivania, esattamente lì dove si trovava lunedì, prima che l’FBI lo portasse via. La tastiera e la stampante erano al loro posto, tutti i cavi passavano dove si supponeva dovessero passare. Mentre Samantha guardava, Mattie si avvicinò alla porta e disse: «Sorpresa, eh?». «Quando ha trovato la strada del ritorno?» «Circa un’ora fa. Lo ha riportato uno degli agenti. Devono essersi resi conto che dentro non c’è niente.» O era così, oppure Karen Kofer aveva molti più amici di quanti fosse disposta ad ammettere. Samantha avrebbe voluto telefonare alla madre, ma, nel suo stato di paranoia, decise di aspettare. «Il funerale di Ryzer è fissato per venerdì pomeriggio» disse Mattie. «Vuoi venire in macchina con me?» «Certo. Grazie, Mattie.» 38 16/1/2009 Ciao, Sam. Sono un po’ confuso, non capisco bene perché pensi di avere diritto di veto sulle assunzioni dei tuoi futuri colleghi presso Spane & Grubman. Sono ugualmente sconcertato dalle tue preoccupazioni relative ai clienti che lo studio potrebbe attirare. A questo punto sembra quasi che la cosa più intelligente che possiamo fare sia prenderti subito come socia anziana e non romperti più le scatole. Vuoi un ufficio d’angolo? Un’auto con autista? No, non possiamo aspettarti fino al primo di settembre. Apriamo bottega tra sei settimane e la situazione è già un po’ caotica. Si è sparsa la voce e siamo sommersi di richieste. Otto associati hanno già firmato e abbiamo dieci offerte d’impiego pendenti, compresa la tua. Il telefono squilla in continuazione per le chiamate di giovani avvocati alla disperata ricerca di un lavoro... anche se pochi, naturalmente, hanno il tuo talento. L’offerta è di centocinquantamila dollari all’anno più tutti i soliti benefit. Tre settimane di vacanze pagate, e insisterò perché tu le faccia. La struttura dello studio sarà in continua evoluzione, ma ti assicuro che sarà molto più ricca di promesse di qualunque altro studio di Big Law. Possiamo aspettare la tua grandiosa entrata in scena fino al primo maggio, ma ho comunque bisogno di una risposta entro la fine di questo mese. Con affetto, Andy Mattie prevedeva il tutto esaurito, e aveva ragione. Durante il viaggio in auto per raggiungere Madison, provò a spiegare perché i funerali rurali, specie quelli di fedeli devoti, richiamavano le folle. Non necessariamente in ordine di importanza, le ragioni erano: 1) i funerali sono importanti funzioni religiose durante le quali i vivi danno l’addio ai defunti, che a quel punto sono già in paradiso a ricevere la loro ricompensa; 2) in base a un’antica e incrollabile tradizione, le persone rispettabili e ben educate devono ossequiare la famiglia del morto; 3) la gente di campagna è sempre annoiata e in cerca di qualcosa da fare; 4) tutti desiderano un mucchio di gente al proprio funerale, per cui sarà meglio che tu stia al gioco finché puoi; 5) c’è sempre un sacco di roba da mangiare. E così via. Mattie spiegò che una morte scioccante come quella di Buddy garantiva la partecipazione di una moltitudine. Tutti vogliono avere un ruolo nella tragedia. E vogliono anche i pettegolezzi. Mattie tentò di spiegare anche le contrastanti posizioni teologiche in relazione al suicidio. Molti cristiani lo considerano un peccato imperdonabile. Altri sono convinti che nessun peccato sia imperdonabile. Sarebbe stato interessante vedere come il predicatore avrebbe affrontato l’argomento. Quando avevano sepolto sua sorella Rose, la madre di Jeff, il suicidio non era mai stato menzionato. E perché avrebbe dovuto? C’era già abbastanza angoscia anche senza parlarne. Tutti sapevano che Rose si era suicidata. Arrivarono alla Cedar Grove Missionary Baptist Church con mezz’ora di anticipo e riuscirono a malapena a entrare. L’incaricato le fece accomodare nel terzultimo banco. Nel giro di pochi minuti tutti i posti a sedere vennero occupati e la gente cominciò a sistemarsi in piedi lungo le pareti. Attraverso una finestra, Samantha vide che i ritardatari venivano dirottati nella sala parrocchiale, la stessa in cui aveva incontrato Buddy e Mavis dopo la morte di Donovan. Quando l’organo cominciò a suonare, i presenti tacquero, in attesa. Alle quattro e dieci, il coro si dispose in fila dietro il pulpito e il predicatore prese posizione. Ci fu movimento alla porta d’ingresso. Il predicatore alzò le mani e disse: «Tutti in piedi». Gli addetti delle pompe funebri spinsero il carrello con la bara lungo la corsia centrale, in modo che tutti potessero vederla. Per fortuna la cassa era chiusa. Mattie l’aveva previsto, per via della ferita. Mavis, sostenuta dal figlio maggiore, seguiva il feretro. I due avanzavano a passo lento e angosciato. Poi c’erano le due figlie: Hope, quattordici anni, e Keely, tredici. Per qualche mistero dell’adolescenza, Hope, di soli dieci mesi più vecchia, era di almeno trenta centimetri più alta di Keely. Entrambe piangevano singhiozzando in quel doloroso rituale. Mattie aveva cercato di spiegare che molto di ciò che avrebbero visto era pensato per massimizzare il dramma e l’angoscia. Quello era l’ultimo hurrah per Buddy e l’avrebbero spremuto per ricavarne tutta l’emozione possibile. Il resto della famiglia entrò in formazione sciolta: fratelli, sorelle, cugini, zii. Le prime due file di banchi su entrambi i lati della corsia centrale erano riservate ai familiari e, quando tutti i parenti furono seduti, l’organo stava già suonando a tutto volume, il coro cantava a piena voce e in tutta la chiesa la gente cominciava a piangere. La funzione fu una maratona di un’ora e, quando terminò, non c’erano più lacrime da versare. Tutte le emozioni erano state consumate. I dolenti avevano dato tutto ciò che avevano. Samantha aveva gli occhi asciutti, ma si sentiva comunque svuotata. Non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui aveva voluto scappare da un posto così disperatamente. Tuttavia andò con tutti gli altri nel cimitero dietro la chiesa, dove Buddy trovò l’eterno riposo tra lunghe preghiere e una versione strappalacrime di How Great Thou Art. Il brano, cantato a cappella dal baritono, suscitò profonda commozione e colpì a sorpresa Samantha, che finalmente dovette asciugarsi una lacrima. Come imponeva la tradizione, i familiari rimasero seduti accanto alla tomba mentre tutti sfilavano davanti a loro per qualche parola di conforto. La fila si snodava intorno alla tenda della sepoltura e procedeva lentamente. Mattie disse che non era il caso di andarsene senza farsi vedere, così lei e Samantha avanzarono adagio pochi centimetri alla volta, dietro centinaia di estranei in attesa di stringere la mano a Mavis e ai suoi figli, che a quel punto stavano singhiozzando da ore. «Cosa devo dire?» sussurrò Samantha a Mattie, mentre si avvicinavano alla tomba. «Basta un semplice “Che Dio vi benedica”, o qualcosa del genere, e poi allontanati subito.» Samantha lo disse ai figli, ma poi Mavis alzò lo sguardo, la vide, emise un lungo gemito e si lanciò su di lei stringendola in un abbraccio da orso. «Ragazzi, lei è il nostro avvocato, Miss Samantha, ve ne ho parlato» disse Mavis, a voce fin troppo alta. Ma i suoi figli erano troppo storditi per interessarsi. Volevano andarsene da lì addirittura più di Samantha. Mavis aggiunse: «Per favore, restate a mangiare qualcosa con noi. Ci vediamo dopo». «Certo» disse Samantha, dato che non c’era alternativa. Quando si liberò dall’abbraccio e si allontanò dalla tenda, Mavis si lasciò andare a un altro, forte gemito. Il rinfresco era un “picnic battista”, come lo definì Mattie, nella sala parrocchiale. I lunghi tavoli erano carichi di pietanze e dolci e la folla sembrò addirittura ingrossarsi quando si formarono due file per il buffet. Samantha non aveva appetito e non poteva credere di essere ancora lì. Guardò l’orda attaccare il cibo e pensò che la maggior parte di quella gente avrebbe potuto permettersi di saltare un paio di pasti. Mattie le portò un bicchiere di plastica con del tè ghiacciato e insieme cominciarono a studiare come andarsene in modo rispettoso. Però Mavis le aveva viste, e loro avevano promesso di restare. La famiglia rimase accanto alla tomba finché non fu calata la bara. Era già buio e il rinfresco era in pieno svolgimento, quando Mavis e i figli entrarono nella sala parrocchiale. Furono fatti accomodare a un tavolo d’angolo privilegiato e vennero serviti. Appena Mavis vide Samantha e Mattie, agitò la mano facendo segno di avvicinarsi e insistette perché si sedessero con la famiglia. Un pianoforte suonava discreto in sottofondo mentre il rinfresco continuava. Poi la gente cominciò ad andarsene e tutti si fermarono per un’ultima parola a Mavis, che non aveva toccato cibo. Ogni tanto spuntava una lacrima, ma ora c’era anche qualche sorriso, addirittura una risata quando qualcuno ricordò una storia divertente su Buddy. Samantha giocherellava con una grossa fetta di qualche tipo di torta rossa, tentando di spiluccarla quel tanto che bastava per mostrarsi educata quando Keely, la tredicenne, si sedette sulla sedia di fianco alla sua. Aveva capelli castano ramati, corti, ed era piena di lentiggini; i piccoli occhi erano gonfi e arrossati. La ragazzina riuscì a sorridere, un sorriso a cui mancava qualche dente e che sembrava più adatto a una bambina di dieci anni. «Lei piaceva molto al mio papà.» Samantha esitò per un secondo, poi disse: «Era una persona per bene». «Mi terrebbe la mano?» domandò Keely, tendendo la propria. Samantha gliela prese e le sorrise. Tutti gli altri al tavolo stavano parlando o mangiando. Keely disse: «Secondo papà lei era l’unico avvocato abbastanza coraggioso da opporsi alle società del carbone». Quasi senza parole, Samantha riuscì a rispondere: «Be’, tuo padre era molto gentile, ma ci sono altri avvocati bravi». «Sì, signora, ma lei era quella che piaceva di più a papà. Diceva di sperare che non tornasse a New York. Diceva che se l’avesse incontrata dieci anni fa non si sarebbe ritrovato in un disastro simile.» «Te lo ripeto, tuo padre era molto gentile.» «Lei resterà qui e ci aiuterà, vero, Miss Sam?» Keely stava stringendo con maggiore forza la mano di Samantha, quasi avesse voluto trattenerla fisicamente per avere protezione. «Resterò per tutto il tempo che mi sarà possibile.» «Ci deve aiutare, Miss Sam. Lei è l’unica che può farlo, almeno è questo che diceva papà.» 39 La forte pioggia di metà settimana si era riversata nei fiumi e nei torrenti di Curry County e ora il livello di Yellow Creek era abbastanza alto per i kayak. Faceva caldo per metà gennaio, e Samantha e Jeff trascorsero la maggior parte del pomeriggio di sabato sfidandosi su e giù lungo il torrente, schivando massi, scivolando sulle acque calme ed evitando qualsiasi incidente. Accesero il fuoco su una striscia di sabbia e cucinarono hot dog per un pranzo ritardato. Verso le sedici Jeff decise che era ora di tornare alla casa di legno, che era a monte e distava quasi un chilometro. Arrivarono esausti. Senza perdere tempo, Jeff afferrò tre zaini e un fucile. «Dammi trenta minuti» disse, e sparì in direzione di Gray Mountain. Samantha mise un ciocco di legna sul fuoco e decise di andare ad aspettare in veranda. Prese con sé una trapunta, ci si sistemò sotto e cercò di leggere un romanzo. Guardò due cervi avvicinarsi cauti al torrente, abbeverarsi e poi scomparire nel folto del bosco. Se tutto fosse andato come programmato, se ne sarebbe andata con Jeff dopo il tramonto. A bordo della Jeep, la Jeep Cherokee di Donovan, avrebbero avuto tutti i rimanenti documenti della Krull Mining. Jeff ne stimava il peso in circa quarantacinque chili. Li avrebbero portati in un luogo che Jeff non le aveva ancora rivelato. Meno le diceva, meno lei sarebbe stata complice. Giusto? Samantha non ne era così sicura. Jeff le aveva promesso che lei non avrebbe mai toccato i documenti e, si sperava, nemmeno mai visti. Se in qualche modo fossero stati scoperti, in quel momento o in seguito, si sarebbe assunto lui ogni responsabilità. Samantha era riluttante a dargli una mano, ma era anche ansiosa di chiudere quel complicato capitolo della sua vita e andare avanti. Tutto a un tratto risuonarono due colpi di fucile e Samantha sussultò per lo spavento. Poi altri due! Venivano dalla direzione di Gray Mountain. Samantha si alzò in piedi e guardò da quella parte. Un altro sparo, cinque in totale, poi nient’altro. Sentiva il cuore batterle forte, ma per il resto il silenzio era assoluto. Passarono cinque minuti, poi dieci. Quindici. Samantha stringeva il cellulare nella mano, ma non c’era campo. Qualche minuto dopo Jeff emerse dal bosco, non lungo il sentiero, ma tra gli alberi fitti. Camminava alla maggiore velocità possibile consentita dal peso dei tre zaini. Samantha gli corse incontro e gliene prese uno. «Stai bene?» «Sì, sto bene» rispose Jeff. Restò in silenzio mentre lasciavano cadere gli zaini in veranda, poi si sedette sugli scalini, respirando affannosamente, quasi ansimando. Samantha gli passò una bottiglia d’acqua. «Cos’è successo?» domandò. Jeff bevve a lunghi sorsi, poi si versò un po’ d’acqua sul viso. «Mentre stavo uscendo dalla caverna, ho visto due uomini, entrambi armati di fucile. Mi avevano seguito, ma poi dovevano avermi perso, immagino. Ho fatto un rumore. Loro si sono voltati e hanno sparato, ma hanno mancato il bersaglio. Io ne ho colpito uno a una gamba e ho spaventato l’altro.» «Hai sparato a un uomo!» «Ci puoi scommettere. Se gli altri sono armati, è meglio che spari tu prima che ti sparino loro. Credo che quel tipo stia bene, non che me ne importi. Si è messo a urlare e l’ultima cosa che ho visto è stato il suo amico che lo trascinava via.» Jeff bevve di nuovo; il respiro ora quasi regolare. «Torneranno. Scommetto che hanno chiesto rinforzi e che stanno arrivando altri gorilla.» «Cosa facciamo adesso?» «Ce ne andiamo da qui. Erano troppo vicini alla caverna e potrebbero avermi visto entrare. Posso prendere tutti i documenti che restano con un altro carico.» «Si sta facendo buio, Jeff. Non puoi tornare là.» Jeff non la ascoltò neppure e mormorò: «Dobbiamo muoverci in fretta». Scattò in piedi, afferrò due zaini e con il dito indicò il terzo: «Prendilo». All’interno della casa aprirono gli zaini, estrassero con cura fasci di carte e posarono il bottino sul tavolo. Due piccoli e sospetti frigoriferi portatili se ne stavano in un angolo fin dalla prima visita di Samantha. Jeff li avvicinò al tavolo e li aprì. Dalla tasca interna del giubbotto estrasse una pistola nera e la posò sul tavolo. Prese Samantha per le spalle e le disse: «Ascoltami bene. Appena esco, metti i documenti nei frigoriferi. Dentro troverai un rotolo di nastro da imballaggio. Assicurati che siano ben sigillati. Io sarò di ritorno tra un’ora circa». «C’è una pistola sul tavolo» disse Samantha con gli occhi sbarrati. Jeff la prese in mano e domandò: «Ne hai mai usata una?». «Naturalmente no. E non ho intenzione di cominciare neppure adesso.» «Se sarà necessario lo farai. È una Glock 9 millimetri automatica. Ho tolto la sicura, per cui è pronta a sparare. Appena esco, chiudi a chiave la porta e siediti lì, sul divano. Se qualcuno cercherà di entrare, non avrai scelta. Dovrai premere questo piccolo grilletto.» «Voglio andare a casa.» «Tranquilla, Samantha, okay? Puoi farcela. Abbiamo quasi finito. Poi ce ne andiamo.» Jeff ispirava fiducia. Che fosse per pazzia, coraggio, amore per l’avventura o scarica di adrenalina, era deciso, sicuro di sé e riusciva a farle credere che sarebbe stata in grado di difendere il fortino. Se Jeff era abbastanza temerario da tornare a Gray Mountain con il buio, il minimo che lei poteva fare era starsene seduta accanto al fuoco con una pistola in mano. Il minimo che poteva fare? Ma perché si trovava lì? Jeff le diede un bacio sulla guancia e disse: «Adesso vado. Il tuo cellulare ha campo?». «No, per niente.» Jeff afferrò gli zaini vuoti e il fucile e uscì. Samantha lo seguì e, ferma in veranda, lo guardò scomparire nel bosco, scuotendo la testa davanti a quella temerarietà. Donovan sapeva che sarebbe morto giovane. E Jeff? Una volta che accetti la morte, è più facile lanciarsi alla carica nel buio? Lei non lo avrebbe mai saputo. Rientrata in casa, afferrò con cautela la Glock e la posò sulla credenza. Guardò i documenti e, per una frazione di secondo, fu tentata di dare almeno un’occhiata veloce a un paio di fogli. Perché no, dopo tutte quelle traversie? Ma la curiosità svanì rapidamente e Samantha sistemò le carte nei frigoriferi, il cui spazio era appena sufficiente. Stava armeggiando con il nastro adesivo, quando sentì due spari in lontananza. Dimenticò la Glock e corse in veranda. Dopo pochi secondi ci fu un terzo sparo, poi un grido di natura indefinibile. Considerate le circostanze, Samantha fu ragionevolmente certa che fosse l’urlo di un uomo raggiunto da un colpo d’arma da fuoco, anche se non aveva esperienza di situazioni del genere. Con il passare dei secondi, si convinse che l’uomo colpito fosse Jeff. Caduto in un’imboscata dei rinforzi dei gorilla, o dei delinquenti, o di come li si volesse chiamare. Samantha si avviò lungo il torrente, diretta al sentiero dove aveva visto scomparire Jeff. Si fermò per un secondo e pensò alla pistola, poi riprese a camminare. Non valeva la pena morire per i documenti, non quando era la sua vita a essere in pericolo. Stava scommettendo sul fatto che se i cattivi l’avessero presa, non l’avrebbero uccisa. Non se fosse stata disarmata, comunque. Se invece si fosse precipitata nel bosco sparando come una pazza, non sarebbe durata nemmeno tre secondi. E poi quanto poteva farsi valere in uno scontro a fuoco? No, Samantha, le armi non fanno per te. Molla la Glock là nella casa, insieme ai maledetti documenti, e lascia che i cattivi se li prendano. Vivi ancora un altro giorno e tra non molto sarai di nuovo a New York, che è il tuo posto. Si trovava al margine del bosco, e guardava nel buio. Si immobilizzò in ascolto: niente. Chiamò sottovoce: «Jeff. Jeff. Stai bene?». Jeff non rispose. Un passo dopo l’altro, lentamente, si inoltrò nel bosco per una quindicina di metri e chiamò di nuovo. Trenta metri, e non riuscì più a vedere il varco dietro di sé. Tentare di trovare Jeff o chiunque altro, in quel momento, in quella foresta, era un’idea ridicola. Samantha non stava eseguendo gli ordini. Le era stato detto di restare chiusa dentro la casa e di montare la guardia. Fece dietro-front e si avviò a passo veloce. Qualcosa schioccò rumorosamente alle sue spalle. Samantha trattenne il fiato. Si voltò e non vide nulla, ma riprese a camminare ancora più spedita. Fuori dal bosco, il cielo era un po’ più luminoso e lei riuscì a distinguere la sagoma della casa, distante un centinaio di metri. Corse lungo il torrente e raggiunse la veranda a tutta velocità. Si sedette sugli scalini, tentando di riprendere fiato, fissando il sentiero, pregando per un miracolo. Entrò, chiuse la porta a chiave, accese una lanterna e per poco non svenne. I frigo portatili erano spariti, così come la Glock. Dalla veranda provenivano rumori: passi pesanti, qualcosa che veniva lasciato cadere, un colpo di tosse maschile. L’uomo tentò di aprire la porta, poi la scosse e gridò: «Samantha, sono io. Apri!». Avvolta in una vecchia trapunta, rannicchiata in un angolo, Samantha era armata solo di un attizzatoio, pronta a usarlo in una lotta all’ultimo sangue, se necessario. Jeff trovò la chiave e irruppe all’interno. «Cosa diavolo...!» esclamò. Samantha posò a terra la sua arma e cominciò a piangere. Jeff le corse accanto e le chiese: «Cos’è successo?». Samantha glielo raccontò. Lui mantenne la calma e si limitò a dire: «Andiamocene da qui. Subito!». Versò acqua sul fuoco, spense la lanterna e chiuse la porta a chiave. «Prendi quello» disse, indicando uno dei tre zaini. Se ne caricò uno sulla schiena, si passò la tracolla dell’altro sulla spalla e impugnò il fucile. Sudato e agitato, abbaiò: «Seguimi!». Come se Samantha avesse potuto scegliere una diversa linea di azione. Si diressero verso la Jeep che, come tutto il resto, era persa nella notte. L’ultima volta che Samantha aveva controllato il cellulare, erano le sette e cinque minuti. Il sentiero era diritto e raggiunsero la radura in pochi minuti. Jeff azionò sulla chiave l’apertura a distanza delle portiere e le luci della Jeep lampeggiarono. Spalancò lo sportello del bagagliaio e, mentre buttavano gli zaini all’interno, Samantha vide i due frigoriferi. Riuscì solo a dire: «Ma cosa...?». «Sali. Poi ti spiego.» Mentre si allontanavano a bordo della Jeep, Jeff spense i fari e proseguì a velocità ridotta lungo la strada a ghiaia. «È una classica manovra tattica» disse. «I buoni sono sul campo per eseguire una missione. Sanno che i cattivi li stanno tenendo d’occhio, che li seguono. Quello che i cattivi non sanno, è che i buoni hanno una loro squadra di supporto che a sua volta tiene d’occhio e segue loro, una specie di anello di sicurezza.» Samantha mormorò: «Un’altra cosa che non ci hanno insegnato alla scuola di legge». Una luce gialla lampeggiò due volte davanti a loro e Jeff fermò la Jeep. «Ecco la nostra squadra di supporto.» Vic Canzarro aprì una portiera posteriore e saltò a bordo. Niente saluti, niente convenevoli, niente, tranne: «Bella mossa, Sam. Perché sei uscita dalla casa?». «Piantala» abbaiò Jeff da sopra la spalla. «Hai visto qualcosa?» «No. Andiamo!» Jeff riaccese i fari e furono di nuovo in movimento, ora a velocità molto maggiore. Poco dopo arrivarono su una strada asfaltata. La paura andava svanendo, sostituita da un minimo di sollievo. Ogni chilometro li portava un po’ più lontano. Passarono cinque minuti senza che venisse detta una parola. Vic stava inviando SMS , il fucile sempre in grembo. Finalmente, con calma, Jeff chiese a Samantha: «Perché sei uscita dalla casa?». «Perché ci sono stati degli spari e mi è sembrato di sentire qualcuno che gridava. Ho pensato che tu fossi ferito, così mi sono fatta prendere dal panico e sono andata verso il sentiero.» «Cosa diavolo erano quegli spari?» tuonò Vic dal sedile posteriore. Jeff cominciò a ridere, piuttosto divertito. «Be’, stavo correndo nel bosco, nel buio più completo, quando sono andato a sbattere contro un orso nero. Grosso. In questo periodo dell’anno sono in ibernazione e hanno praticamente l’elettroencefalogramma piatto. Quindi il ragazzo non si muoveva con troppa velocità, ma era comunque irritato. Insomma, lui è convinto che quello sia il suo pezzo di bosco e si offende se un intruso gli va addosso. Abbiamo litigato, ma non voleva spostarsi. Non ho avuto scelta, ho dovuto sparargli.» «Hai sparato all’orso?» «Sì, Samantha, e ho sparato anche a un umano, che però sospetto se la sia cavata.» «La polizia non ti preoccupa?» Vic rise rumorosamente mentre abbassava di poco il vetro del finestrino e si accendeva una sigaretta. «Non si fuma qui dentro» disse Jeff. «Va bene, va bene.» Jeff lanciò un’occhiata a Samantha e disse: «No, cara, non sono preoccupato per la polizia, per lo sceriffo o per chiunque altro, di certo non perché ho sparato a un malvivente armato che mi minacciava nella mia proprietà. Questi sono gli Appalachi. Nessun poliziotto indagherà e nessun procuratore incriminerà nessuno perché nessuna giuria condannerebbe mai nessuno». «Cosa succederà a quel tizio?» «Immagino che la gamba gli farà male. È fortunato. Il proiettile poteva centrarlo in mezzo agli occhi.» «Parli come un tiratore scelto.» «Quel tale si presenterà a un pronto soccorso e racconterà qualche balla» disse Vic. «Hai preso tutto?» chiese a Jeff. «Ogni singolo documento. Ogni foglietto prelevato con tanta abilità dal mio caro fratello.» «Donovan sarebbe fiero di noi» dichiarò Vic. Nella città di Big Stone Gap, si fermarono a un Taco Bell e si misero in fila al drive-thru. Jeff ordinò un sacchetto di cibo e bibite e, mentre stava pagando, Vic aprì la portiera, scese dalla Jeep e disse: «Andiamo a Bristol». Jeff annuì, come se se lo fosse aspettato. Osservò attentamente Vic aprire la portiera del suo pick-up, un veicolo che Samantha riconobbe dalla gita a Hammer Valley con Donovan. «Okay, e adesso cosa facciamo?» domandò. «Vic ci seguirà fino a Bristol e ci guarderà le spalle. Inoltre, ha con sé i documenti che abbiamo portato via sabato scorso, la prima infornata.» «Mi sembrava tu avessi detto che Vic aveva una fidanzata incinta e non voleva più saperne di questa storia.» «È vero. La ragazza è incinta, ma si sono sposati una settimana fa. Vuoi un taco?» «Voglio un martini.» «Dubito che tu possa trovarne uno decente da queste parti.» «Se mi è concesso chiederlo, cosa c’è a Bristol?» «Un aeroporto. A parte questo, se ti dicessi altro poi dovrei ucciderti.» «Ti stai comportando da pazzo, continua pure così.» All’improvviso furono colpiti dall’odore del cibo ed entrambi si accorsero che stavano morendo di fame. C’erano solo cinque aerei nel parcheggio voli privati del Tri-Cities Regional Airport nei pressi di Bristol, Tennessee. I quattro aerei più piccoli, due Cessna e due Piper, sembravano nani accanto al quinto, uno splendido, scintillante jet privato con tutte le luci accese e la scaletta abbassata. Samantha, Jeff e Vic lo ammirarono da una certa distanza, in attesa di istruzioni. Pochi minuti dopo, tre robusti giovanotti vestiti di nero li raggiunsero davanti al terminal. I documenti, contenuti in due frigo portatili, tre zaini e due scatoloni, vennero consegnati ai tre in nero e immediatamente trasportati con un carrello fino al jet. Uno dei tre disse a Jeff: «Mr London desidererebbe vedervi». Vic si strinse nelle spalle e disse: «Oh, perché no? Andiamo a dare un’occhiata al suo giocattolino». «Io in effetti ci ho volato» disse Jeff. «È un gradino sopra lo Skyhawk.» «Il solito pezzo grosso» ringhiò Vic. Samantha, Jeff e Vic vennero scortati attraverso il terminal deserto e il parcheggio, fino al jet. Jarrett London li aspettava in cima alla scaletta, con un enorme sorriso e un bicchiere in mano. Fece cenno di salire e diede a tutti il benvenuto nella sua “seconda casa”. Samantha aveva un amico a Georgetown la cui famiglia possedeva un jet, per cui non era la prima volta che ne vedeva uno. Le massicce poltrone erano rivestite in morbida pelle. Tutte le finiture erano placcate in oro. Si sedettero intorno a un tavolo e l’assistente di volo prese nota delle ordinazioni. Portatemi a Parigi, avrebbe voluto dire Samantha. E tornate a prendermi tra un mese. Era chiaro che Vic e London si conoscevano bene. Mentre Jeff riferiva i particolari della fuga da Gray Mountain, vennero serviti i drink. «Gradirebbe cenare?» chiese London, rivolgendosi a Samantha. «Oh, no, Jeff mi ha viziato con il Taco Bell. Sono strapiena.» Il suo martini era perfetto. Jeff e Vic bevevano Dickel con ghiaccio. London spiegò che i documenti sarebbero partiti subito in volo per Cincinnati, dove domenica sarebbero stati fotocopiati. Lunedì gli originali sarebbero volati a Charleston e consegnati a un US Marshal. Il giudice aveva accettato di tenerli sotto chiave finché non avesse potuto esaminarli. La Krull Mining non era stata informata dell’accordo e non aveva idea di quello che stava per succedere. L’FBI era uscito di scena, almeno per il momento. «Samantha, di questo dobbiamo ringraziare qualche amico a Washington?» chiese London. Samantha sorrise e rispose: «Può darsi, non ne sono sicura». London bevve un sorso, fece tintinnare i cubetti di ghiaccio e disse: «Che programmi ha adesso?». «Perché me lo chiede?» «Be’, sarebbe bello avere un altro avvocato in campo per la causa Krull. Lei evidentemente ha familiarità con il caso. Donovan si fidava di lei e il suo studio può ancora aspettarsi parecchio denaro. Ci sono cinquanta probabilità su cento che la Krull si arrenda appena verrà a sapere che abbiamo i documenti. Un accordo stragiudiziale non è da escludere, anche se probabilmente sarà confidenziale. Se invece dovessero decidere per il gioco duro, scalderemo i motori e spingeremo per un processo. E francamente è proprio quello che vorremmo: uno spettacolo, una clamorosa denuncia pubblica, un’esibizione lunga due mesi durante la quale tutta la robaccia viene presentata in dettaglio in un’aula di tribunale. E poi un verdetto grandioso.» Ombre di Donovan. Ombre di Marshall Kofer. London ormai era lanciato: «C’è un mucchio di lavoro per tutti, compresa lei, Samantha. Potrebbe entrare nel mio studio a Louisville. Potrebbe aprire una bottega tutta sua a Brady. Potrebbe rilevare lo studio di Donovan. Ha davanti parecchie opzioni. Ma il punto è che abbiamo bisogno di lei». «Grazie, Mr London» disse educatamente Samantha, e bevve un altro sorso. Era sotto tiro e non le piaceva. Vic lo intuì e cambiò argomento, rivolgendo a London domande sul jet. Un Gulfstream V, l’ultima meraviglia. Autonomia virtualmente illimitata, quota di crociera dodicimila metri, parecchio al di sopra degli aerei di linea. Tutto molto tranquillo, lassù. Poi la conversazione perse vigore, London diede un’occhiata all’orologio e domandò: «Posso darvi un passaggio da qualche parte?». Ah, i privilegi di un jet privato. Scarica qualcuno qui, carica qualcuno là. Tutto è possibile. I tre ospiti declinarono l’invito, accennando a posti dove dovevano andare. London li ringraziò di nuovo con calore per la consegna dei documenti e li accompagnò a piedi fino al terminal. 40 Lunedì Mattie arrivò in studio prima del solito e le due avvocatesse si chiusero subito nel suo ufficio. Samantha disse che i documenti erano stati consegnati, più o meno in sicurezza, e che se tutto fosse andato come da programma, sarebbero stati affidati a un funzionario della corte già in giornata. Tralasciò gli aspetti più pittoreschi dell’avventura: la sparatoria che aveva lasciato qualcuno con una gamba menomata, l’orso morto, la presenza inaspettata di Vic Canzarro e il veloce cocktail sul bellissimo jet di Jarrett London. Certe cose era meglio non raccontarle. Comunque fosse, ora i documenti erano in mani più sicure e altri avvocati si sarebbero azzuffati per loro. Qualcun altro si sarebbe occupato di dare un senso a quelle carte. Samantha riteneva che l’FBI si fosse ritirato a bordo campo. C’era addirittura qualche segnale che l’indagine potesse fare un’inversione di centottanta gradi e cominciare a ficcare il naso nell’operato della Krull Mining. Ancora niente di preciso, soltanto qualche parola da Washington. Dopo la morte di Buddy Ryzer e il dramma dei documenti, forse ora la vita poteva tornare alla normalità tra i muri della Mountain Legal Aid Clinic. Di certo le due avvocatesse lo speravano. Samantha doveva essere in aula alle dieci, per un caso che non aveva niente a che fare con carbone, documenti o autorità federali. Pensava con piacere a una giornata priva di scossoni. Ma trovò Jeff che si aggirava in tribunale, quasi fosse stato a conoscenza del suo programma. «Possiamo parlare?» domandò mentre salivano la scala che portava all’aula principale. «Speravo di non vederti per un po’» disse Samantha. «Spiacente, niente da fare. Per quanto tempo sarai in aula?» «Un’ora.» «Ti aspetto nello studio di Donovan. È importante.» Dawn, la segretaria e addetta al ricevimento non c’era più, licenziata. Lo studio aveva cessato l’attività e negli uffici si accumulava la polvere. Jeff aprì la porta d’ingresso, fece entrare Samantha e poi richiuse a chiave. Salirono la scala che portava al primo piano ed entrarono nella sala della guerra, le cui pareti erano ancora rivestite da ingrandimenti fotografici e altri documenti del processo Tate. Libri, fascicoli e carte erano sparsi ovunque, persistente ricordo del raid dell’FBI . A Samantha sembrò strano che nessuno si fosse preso il disturbo di sistemare quel disastro, di riordinare la stanza. Metà delle luci era spenta. Il lungo tavolo era coperto di polvere. Donovan era morto da quasi due mesi e Samantha, guardando il suo lavoro e ciò che restava dei suoi grandi casi, si sentì sommergere da un’ondata di tristezza e nostalgia. Aveva conosciuto Donovan solo per poco tempo, ma per un secondo desiderò poter rivedere il suo sorriso scanzonato. Si sedettero su due sedie pieghevoli e bevvero caffè in bicchieri di carta. Jeff indicò la stanza intorno a sé con un ampio gesto della mano e disse: «Cosa dovrei fare di questo edificio? Mio fratello lo ha lasciato a me e nessuno lo vuole. Non riusciamo a trovare un avvocato che rilevi l’attività dello studio, nessuno vuole comprarlo». «È ancora presto» osservò Samantha. «Questo è un edificio molto bello, qualcuno lo comprerà.» «Certo. Metà dei bellissimi edifici di Main Street è vuota. Questa città sta morendo.» «Era questa la faccenda importante di cui mi volevi parlare?» «No. Senti, io vado via per qualche mese. Un mio amico gestisce un rifugio per cacciatori in Montana e gli farò una lunga visita. Ho bisogno di andare lontano da qui. Sono stanco di essere seguito, stanco di preoccuparmi di chi c’è là dietro, stanco di pensare a mio fratello. Mi serve una pausa.» «È un’ottima idea. E il tuo lavoro di tiratore scelto? Ho visto che adesso la taglia è di un milione di dollari, in contanti. L’aria comincia a essere un po’ troppo calda, vero?» Jeff bevve un lungo sorso di caffè e ignorò il commento. «Ogni tanto farò un salto qui a Brady per prendermi cura dell’eredità di Donovan, tutte le volte che Mattie avrà bisogno di me. Ma nel lungo termine penso che mi trasferirò da qualche parte nell’Ovest. C’è troppa storia da queste parti, troppi brutti ricordi.» Samantha capiva e annuì. Ma non reagì. Jeff stava tentando di mettere in scena un piccolo dramma con un patetico addio da amante? Se era così, lei non aveva nulla da dargli. Quel ragazzo le piaceva, certo, ma in quel momento si sentiva sollevata nel sentirgli dire che stava partendo per il Montana. Passò un intero minuto senza che venisse pronunciata una sola parola, poi un altro. Finalmente, Jeff disse: «Credo di sapere chi ha ucciso Donovan». Una pausa, nell’attesa che Samantha gli chiedesse: “Chi?”. Ma lei si morse la lingua e non abboccò. Jeff continuò: «Ci vorrà tempo, cinque, forse dieci anni, ma io me ne starò nascosto nel bosco e piazzerò le mie trappole, per così dire. A loro piacciono gli incidenti aerei e io gliene darò un altro». «Non voglio ascoltarti, Jeff. Vuoi davvero passare il resto della vita in prigione?» «Non succederà.» «Le ultime parole famose. Senti, adesso devo andare in studio.» «Lo so. Scusami.» Alla Legal Aid Clinic non c’era niente di particolare, a parte il pranzo portato da casa del lunedì, uno scatenato festino del gossip che Samantha detestava perdersi. Tra le cinque donne partecipanti sembrava essere in vigore un codice: se non ci sei, probabilmente sarai oggetto di lunghe discussioni. «Okay, so che hai da fare» disse Jeff. «Io tornerò tra un paio di mesi. Tu ci sarai?» «Non lo so, ma non pensare a me.» «Invece penserò a te, non posso evitarlo.» «Facciamo un patto, Jeff. Io non mi preoccupo se tu torni o meno, e tu non ti preoccupi se io sono qui o a New York. Intesi?» «Okay, okay. Posso almeno darti un bacio di addio?» «Sì, ma tieni le mani a posto.» Samantha tornò alla sua scrivania e venne accolta dalle ultime notizie da New York. Andy scriveva: Cara Samantha, Lo studio Spane & Grubman sta bruciando le tappe. Al momento ha già arruolato diciassette dei migliori associati per quella che promette di essere un’eccitante avventura. Ce ne servono altri due o tre. Abbiamo bisogno di te! Io ho lavorato solo con alcune di queste brillanti persone – Nick Spane ha lavorato con altre –, per cui è giusto dire che non le conosco tutte. Però conosco te e so che di te posso fidarmi. Ti voglio nella mia squadra, anche per coprirmi le spalle. Ci sono un sacco di squali quassù, come ben sai. Ecco il pacchetto completo: 1) stipendio iniziale di centosessantamila dollari (leggermente aumentato. Finora è l’offerta più alta, per cui per favore tieni la bocca chiusa, non vorrei che i problemi cominciassero fin dall’inizio); 2) un bonus annuale da determinare in base ai risultati personali e alla produttività totale dello studio (no, i due soci non intendono tenersi tutti i profitti); 3) assicurazione sanitaria completa: medica, odontoiatrica, oculistica (tutto tranne il Botox e l’addominoplastica); 4) un piano di risparmio e pensionamento comprendente pari versamenti a un fondo 401K piuttosto generoso; 5) straordinari pagati quando si superino le cinquanta ore settimanali, (sì, mia cara, hai letto bene: S&G è probabilmente il primo studio legale nella storia che riconosce gli straordinari. Facciamo sul serio riguardo alle cinquanta ore la settimana); 6) tre settimane di ferie pagate; 7) un tuo ufficio privato con una segretaria scelta da te (e probabilmente anche un tuo paralegale, ma questo al momento non posso prometterlo); 8) carriera: non vogliamo che i nostri associati si taglino la gola a vicenda per diventare soci, quindi stiamo considerando un piano in base al quale l’associato potrà richiedere la posizione di socio dopo sette-dieci anni di attività nello studio. Puoi forse trovare di meglio? E potrai cominciare dal primo luglio invece che dal primo maggio. Resto in attesa, mia cara. Ma ho bisogno di una risposta entro una settimana o poco più. Per favore. Andy Samantha lesse due volte il messaggio, lo stampò e dovette ammettere che cominciava a stancarsi di Andy e delle sue e-mail. Afferrò il suo sacchetto marrone e andò a pranzo. Erano le sei del pomeriggio, quando l’ultimo cliente di Mattie se ne andò. Samantha aveva lavoricchiato alla scrivania, ammazzando il tempo in attesa del momento giusto. Infilò la testa nell’ufficio di Mattie e domandò: «Hai tempo per un drink?». Mattie sorrise e rispose: sì, naturalmente. I drink del lunedì in genere erano a base di bibite dietetiche. Si versarono invece qualcosa di più forte e passarono in sala riunioni. Samantha fece scivolare sul tavolo l’ultima e-mail di Andy. Mattie la lesse lentamente, sorrise, posò il foglio e disse: «Wow. Questa sì che è un’offerta. Bello essere così desiderata. Immagino che te ne andrai prima del previsto». Il sorriso era svanito. «Non sono pronta a tornare a New York, Mattie. La proposta può anche sembrare generosa, ma il lavoro è noioso: un’ora dopo l’altra di lettura, correzione e stesura di documenti. Per quanto ci possano provare, non riusciranno mai a renderlo più vivace o anche solo remotamente eccitante. Proprio non me la sento, e penso che non me la sentirò mai. Mi piacerebbe restare qui per un po’.» Mattie sorrise di nuovo, un piccolo sorriso compiaciuto che comunicava grande soddisfazione. «Sono sicura che hai qualcosa in mente.» «Be’, fino a non molto tempo fa ero una stagista non retribuita. Adesso mi ritrovo a scansare offerte di impiego, nessuna delle quali trovo molto attraente. Non ho intenzione di tornare a New York, almeno non adesso. E non ho intenzione di lavorare per Jarrett London. Assomiglia troppo a mio padre. Diffido degli avvocati specializzati in cause per risarcimento che saltano da un posto all’altro del paese a bordo del loro jet privato. Non voglio lo studio di Donovan: troppi problemi. Jeff diventerà il proprietario dell’immobile, quindi sarà lui a reggere il gioco e, conoscendolo intimamente come lo conosco io, posso prevedere un mucchio di guai. Jeff si assumerebbe il ruolo del boss e ci sarebbe tensione fin dal primo giorno. È un tipo pericoloso e incosciente, e io voglio prendere le distanze da lui, non avvicinarmi di più. Ogni tanto facciamo sesso, ma non è niente di serio. D’altra parte, Jeff dice che sta per lasciare la città.» «Quindi, vuoi restare qui?» «Se è possibile.» «Per quanto tempo?» «Ci sono tre cose che voglio fare. Il cliente più importante è la famiglia Ryzer. Sento che hanno bisogno di me e non posso semplicemente andarmene e abbandonarli tra qualche mese. In questo momento sono vulnerabili e per qualche ragione pensano che io sia l’unica in grado di aiutarli. Ho intenzione di fare del mio meglio. Mi piace l’idea di occuparmi dell’appello Tate, dall’inizio alla fine. Lisa Tate ha bisogno di noi. Quella povera donna vive di buoni spesa e soffre ancora per il suo lutto. Voglio vincere l’appello e farle avere il denaro che le spetta. A proposito, credo che il quaranta per cento agli eredi di Donovan sia troppo. Donovan può essersi guadagnato quei soldi, ma ormai è morto. Lisa ha perso i suoi figli, Donovan no. Con quel materiale in mano, moltissimi avvocati avrebbero potuto vincere la causa. Immagino che di questo potremo discutere più avanti.» «Avevo pensato anch’io la stessa cosa.» «Durante il secondo anno alla scuola di legge dovemmo fare la simulazione di un processo di appello: redigere gli atti e tenere l’argomentazione orale davanti a un collegio di tre giudici. In realtà erano solo tre professori, ma erano famosi per come massacravano gli studenti. L’argomentazione orale era una cosa seria: giacca e cravatta, tailleur e scarpe con il tacco, hai presente?» Mattie annuiva, sorridendo. «Lo abbiamo fatto anche noi.» «Credo che ci siano passati tutti gli studenti di legge. Io ero così nervosa che la notte prima non riuscii a dormire. Il mio codifensore mi diede uno Xanax due ore prima, ma non servì a niente. Ero così paralizzata che riuscii a malapena a balbettare la prima parola, ma poi successe qualcosa di strano. Uno dei giudici mi sparò una battutaccia, un colpo basso, e io mi arrabbiai. Cominciai a discutere con lui. Gli scaricai addosso un precedente dopo l’altro a sostegno della nostra tesi e lo distrussi. Mi ero dimenticata della paura, ero troppo concentrata nello sforzo di dimostrare a quel giudice che avevo ragione. I miei dieci minuti volarono e, quando tornai a sedermi, tutti mi stavano fissando. Il mio codifensore si chinò verso di me e mi sussurrò una sola parola: “Brillante”. «Insomma, quello è stato il mio momento migliore alla scuola di legge, un momento che non dimenticherò mai. Questo per dire che mi piacerebbe portare il caso Tate fino alla Corte Suprema della Virginia, presentare la mia argomentazione orale, far fare la figura degli idioti agli avvocati della Strayhorn Coal e vincere la causa per Lisa Tate.» «Brava la mia ragazza. Il caso è tutto tuo.» «Quindi, sono diciotto mesi, giusto?» «Qualcosa del genere. Hai detto che erano tre le cose che volevi fare.» «La terza è semplicemente concludere le mie pratiche in corso, prenderne di nuove a mano a mano che si presentano e cercare di aiutare i nostri clienti. E, nel farlo, vorrei passare più tempo in aula.» «È qualcosa per cui hai grande talento, Samantha. È evidente.» «Grazie, Mattie. Sei molto gentile. Non mi va di essere maltrattata o tiranneggiata dai Trent Fuller di questo mondo. Voglio rispetto, e l’unico modo per averlo è guadagnarselo. Quando entro in un’aula, voglio che tutti i ragazzi si raddrizzino sulla sedia e si accorgano di me, e non solo del mio sedere.» «Santo cielo, ne abbiamo fatta di strada, eh?» «Sì, ne abbiamo fatta parecchia. E adesso parliamo di questo stage. Se passerò qui i prossimi due anni, ho bisogno di qualche tipo di stipendio. Non molto, ma qualcosa che mi permetta di vivere.» «Ci stavo pensando. Non siamo certo in grado di competere con il tuo amico di New York, ma possiamo raggiungere buoni livelli per la Virginia rurale. Annette e io facciamo quarantamila all’anno, per cui quello è il tetto. Lo studio può pagarti ventimila. Dato che gestirai l’appello Tate, posso farmi autorizzare dal tribunale altri ventimila dal patrimonio di Donovan. Cosa ne dici?» «Quarantamila potrebbero suscitare un po’ di risentimento in tu sai chi.» «Annette?» «Sì. Facciamo trentanovemila.» «Vada per trentanovemila. Affare fatto.» Mattie tese la mano attraverso il tavolo e Samantha gliela strinse. Poi prese l’e-mail di Andy e disse: «E adesso vado a sbarazzarmi di questo rompiscatole». NOTA DELL’AUTORE Per fortuna esistono decine di organizzazioni non profit che lavorano con passione nelle aree carbonifere per proteggere l’ambiente, cambiare la politica e combattere per i diritti dei minatori e delle loro famiglie. Una di queste organizzazioni è l’Appalachian Citizens’ Law Center di Whitesburg, Kentucky; due suoi meravigliosi avvocati, Mary Cromer e Wes Addington, mi hanno fornito informazioni e consigli in occasione delle mie prime perlustrazioni nella loro regione. Appalachian Voices è un vitale gruppo ambientalista con sede a Boone, North Carolina. Il suo direttore operativo è Matt Wasson, che è stato una risorsa preziosa per le mie ricerche. Grazie anche a Rick Middleton, Hayward Evans, Wes Blank e Mike Nicholson. Indice Illibro L’autore Frontespizio 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 NOTADELL’AUTORE