a dieci anni dalla sua scomparsa
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a dieci anni dalla sua scomparsa
INDAGINI SULLA NARRATIVA DI GIORGIO BASSANI a dieci anni dalla sua scomparsa Atti del Convegno di Studi Ferrara, 14 ottobre 2010 a cura di Donatella Capodarca e Tina Matarrese Le Lettere INDICE Tabula gratulatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 9 Premessa di Tina Matarrese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11 CHIARA RUBBOLI, La collaborazione di Giorgio Bassani a «Il Giornale» (1946-1951): le sinopie del futuro scrittore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 17 BENEDETTA PANIERI, Il linguaggio snob nei Finzi-Contini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 35 PAOLA POLITO, Sul manzonismo di Bassani in Dentro le mura: la verbalizzazione del non verbale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49 PAOLO VANELLI, Il «romanzo personale» di Giorgio Bassani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 73 SERGIO PARUSSA, Attesa del passato e nostalgia del futuro. Memoria, ebraismo e scrittura nell’opera di Giorgio Bassani . . . . . . . . . . . . . . . . » 87 ALBERTO RONCACCIA, Emergenze polemiche del discorso critico bassaniano negli anni Sessanta e Settanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 117 –7– VALTER LEONARDO PUCCETTI, Bassani narratore e Bassani ambientalista: questioni di arte e di paesaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 141 FILIPPO SECCHIERI, La meditatio mortis nella scrittura di Bassani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161 –8– Benedetta Panieri Università di Bologna IL LINGUAGGIO SNOB NEI FINZI-CONTINI Nel Giardino dei Finzi-Contini, da cui citeremo alternando la princeps einaudiana del 1962 (d’ora in poi GFC ’62)1 all’edizione poi variata e racchiusa nel Romanzo di Ferrara (d’ora in poi GFC ’80)2, l’uso di esagerazioni e di un’enfasi non sempre richiesta dalle circostanze fanno di Micòl una vera «Signorina Snob»: è questo un personaggio reso famoso dalle satire radiofoniche di Franca Valeri, poi confluite in un libro3, che molto deve alla «signorina Memè» del «Marc’Aurelio» (dal 1950 «Memè Mezzosecolo»). Il lessico di queste signorine alla moda spazia dagli aulicismi ai termini dialettali, mentre veri segni distintivi sono i superlativi, le voci straniere e i nomi alterati: accrescitivi come «i pescatoroni, una seratona, i soldoni», cui aggiungere i micoliani «albergone» («magari in qualche “albergone” di quelli preferiti anche dalla nonna Josette» GFC ’62, p. 140) e «macchinone» («Il guaio è anche che beve talmente, questo macchinone!» GFC ’80, p. 416; corsivo nel testo). Non è solo alla protagonista che il linguaggio snob è da ascrivere: si consideri questa variante, nei ricordi del narratore: si era voltato a sollecitare il facchino, sfiorando nello stesso tempo me, che mi ero girato per protestare (GFC ’62, p. 69); – 35 – si era voltato a sollecitare il facchino, [...]. Quando mi ero girato per protestare dell’urtone, mi aveva rivolto un’occhiata distratta (GFC ’80, p. 369; corsivo nostro). Forse l’urto era stato violento, e l’accrescitivo non scomodato invano. In questo altro brano attribuito ad Alberto, invece, le forzature ironiche sono innegabili, e da noi segnalate in corsivo: Lui e Micòl avevano deciso di fare una decina di telefonate in giro, al nobile scopo, per l’appunto, che fossero rinnovati i fasti tennistici dell’anno scorso. Avevano telefonato all’Adriana Trentini, a Bruno Lattes, al ragazzo Sani, al ragazzo Collevatti, e a diversi magnifici esemplari d’ambo i sessi. (GFC ’80, p. 521). Il narratore nel Giardino dovrà «degnarsi» di fare visita ad Alberto, e magari partecipare ad «un’automobilata fino a Venezia»4 per «capitare addosso alla sorellina»: se nelle rassegne di linguaggio snob si trova yachttata: «gita in yacht»5, non andrà esclusa questa derivazione solo perché il mezzo di trasporto è più comune. Se Alberto e Micòl incarnano i prototipi dei giovani snob, altri vengono attratti nell’orbita dell’enfasi gratuita e del superlativo facile; ecco che, per lo più nelle ultime redazioni, la moda dei superlativi contagia anche Malnate (i corsivi sono nostri): Al contrario, esso [il male] veniva da molto lontano: e cioè dagli anni del primo Risorgimento (GFC ’62, p. 161); Veniva da molto lontano, invece, e cioè dagli anni del primissimo Risorgimento (GFC ’80, p. 454). Ben pochi, temeva, un’esigua minoranza, se anche a Ferrara, come Alberto gli aveva detto più volte, il numero di essi [gli israeliti] iscritti al Fascio era sempre stato elevato (GFC ’62, p. 163); Ben pochi, temeva, un’esigua minoranza, se anche a Ferrara, come Alberto gli aveva detto più volte, il numero di loro iscritti al Fascio era sempre stato altissimo (GFC ’80, p. 455-456). – 36 – Quest’ultima variante interessa perché, nel discorso riportato di secondo grado, il superlativo aumenta il numero degli ebrei acquiescenti al fascismo ed inasprisce l’accusa politica. In controtendenza, all’interno dello stesso discorso, va un’eliminazione del superlativo assoluto in favore non di una mitigazione dei toni, ma dell’entrata nella sfera dell’incomparabile: Mussolini e compari stavano accumulando contro gli ebrei italiani infamie e soprusi gravissimi. (GFC ’62, p. 163); Mussolini e compari stavano accumulando contro gli ebrei italiani infamie e soprusi d’ogni genere (GFC ’80, p. 455). Si è considerato sinora il superlativo dell’aggettivo. Ma una caratteristica del linguaggio snob è la presenza di «superlativi inconsueti»6, come quelli tratti da nomi («rivistissima», «in ordinissimo»). In virtù dell’inusuale «nessunissimo», Micòl si sottopone a una specie di giuramento esclusivo: «non c’è di mezzo nessunissimo altro»7. La studentessa fuori sede a Venezia accosta poi superlativi in sé ammessi dall’uso (come «moltissimo») con altri avverbi intensivi: si ha così «moltissimo meglio»8. Nella stessa pagina compare un aggettivo come «chic»9, che al superlativo «chicchissimo» è massimo indice di snobismo linguistico; anche nella forma positiva, «chic» denota un parlante che ritaglia per sé e i suoi affini un’elite del gusto: è così che Angelo Fabi lo ha citato per la seconda volta nel suo articolo dedicato al linguaggio snob su «Lingua Nostra»10. Come prudentemente suggeriva il Migliorini, l’aggettivo può essere usato da chi è elegante o «da uno che affetta eleganza»11, e l’evoluzione dell’uso negli ultimi decenni parrebbe far propendere per questa seconda eventualità. Bassani impiega il termine negli anni Sessanta, in tempi in cui essere chic era essere alla moda, seguire la corrente del consumo e non aggrapparsi a una nicchia demodé dello stile. Micòl usa l’aggettivo per Cocteau, lo scrittore più recente nel suo canone; si ritrova poi il termine nell’aggettivare del Bassani poeta e – 37 – del Bassani critico. Cominciamo da quest’ultimo: le pagine veneziane delle Mie prigioni di Silvio Pellico «non saranno molto brillanti, molto chic»12. Lo scrittore lo asserisce nel suo saggio più corposo, Le parole preparate13, e non vi si sofferma, quasi che già aver nominato «quelle pagine modeste ma assolute»14 sia render loro giustizia. Nell’orizzonte di attesa del creatore di Clelia Trotti dovette emergere soprattutto questo brano del Pellico: Il vivere libero è assai più bello del vivere in carcere; chi ne dubita? Eppure anche nelle miserie d’un carcere, quando ivi si pensa che Dio è presente, che le gioie del mondo sono fugaci, che il vero bene sta nella coscienza e non negli oggetti esteriori, puossi con piacere sentire la vita15. Un attaccamento, laico ma altrettanto ponderato, alle mura che la reclusero, è quello che la martire socialista non può scordare: Quando io uscii dal carcere, nel ’30, lasciai il mio numero 36 [...] con vera malinconia, come se ci abbandonassi una parte di me stessa. Ogni angolo, ogni parete, ogni piccola cosa portavano la traccia del dolore, là dentro. La verità è che i luoghi dove si ha pianto, dove si ha sofferto, e dove si trovarono molte risorse interne per sperare e resistere, sono proprio quelli a cui ci si affeziona di più16. Ascendenze simili a quelle del personaggio, cioè «chic», sono vantate nella poesia Storia di famiglia, in cui una ricca zia ereditiera «usciva da un clan ebraico-agrario assai chic genere / Finzi-Contini per intenderci»17. Si rafforzano i legami intertestuali tra le opere, continuando a garantire che solo di cose chic può circondarsi Micòl. Suona più dinamica e attualizzata la quarta occorrenza di «chic», ancora da un testo poetico: Giralo dunque il vasto mondo dài / cambia pur letto ogni notte – 38 – se ci / tieni / piglia e lascia tutte quante le / belle tipe chic che vorrai. / Stufi d’un vino lo si / pianta / ma la mia bocca / la mia lingua eh com’erano? / Quel giorno che tu cominciassi / a scordartene vieni / torna18. E ancora, la Micòl che tesse le lodi dei vecchi romanzi ne garantisce la «sciccheria», con adattamento derivativo tutto italiano, non esistendo in francese una parola autonoma esprimente la «qualità di ciò che è chic»19. Un altro aspetto dello snobismo di Micòl è la tendenza a sminuire apparentemente ciò che la riguarda, in realtà nobilitandolo per antifrasi. È ciò che compie Micòl, relativamente alle proprie capacità di applicazione, nel passaggio del romanzo in cui sia etichettata senza velatura come «snob»: Micòl sostiene di essere una mediocre studentessa, mentre il narratore sa che è vero il contrario. [M.:] «Inoltre, francamente, studiare non è mai stato il mio forte». [G*:] «Bugiarda. Bugiarda e snob». [M.:] «Ma no, giuro. E quest’autunno, di mettermi lì buona buona me la sento ancora meno» (GFC ’80, p. 377). Tratti di linguaggio snob sono disseminati lungo l’intero dialogo; se ne indicano alcuni sulla scia degli esempi e delle categorie forniti da De Mauro e Fabi20: – antifrasi enfatiche con riduzione dei meriti di un luogo riconosciuto dai più come pregevole: «mentre a me, la Perla della Laguna, dopo un po’...» (GFC ’80, p. 377); – superlativi svuotati dell’intenzione elativa: «lana mistissima»; «Venezia sarà bellissima, non discuto, però non mi ci trovo» (ibidem); – Lessico e fraseologia colloquiale: «Sai che bottoni chilometrici ti attaccherei» (GFC ’80, p. 422); «Con la governante [...] alle calcagna» (ivi, p. 377); «Dovrei stare alle costole del professore» (ibidem); – 39 – – plurali enfatici: «dozzine di nonne e di parenti vari»; «passare a Venezia degli interi quindici giorni» (ibidem). L’enfasi dei «gagà» sembra tornare ciclicamente nella storia: dagli anni Trenta al dopoguerra (luogo di ritrovo, via Veneto), si arriva agli Ottanta degli snob di Piperno. Nel suo libro Con le peggiori intenzioni, il cadavere di nonno Bepi è definito «chiccoso», mentre l’intero capitolo è intitolato «Mai visto un cadavere così chic»21: si tratta dell’epicedio sui generis di «quel Mida ebraico» che è stato il nonno, nelle cui mani «tutto diviene “splendido”, “meraviglioso”, “inimitabile”. Non esiste vacanza dove non si sia divertito, o ristorante dove non abbia gustato una portata “indimenticabile”. La vita, a sentirgliela descrivere, è corsa su un carro dorato. La sua aggettivazione è schiava del grado assoluto»22. Questa tendenza elativa viene ereditata dalla generazione del narratore, che non può rinunciare alle sentenze snob: «“Le lasagne più strepitose di Manhattan” aggiungo trionfalmente per conformarmi al suo registro. Il superlativo assoluto23 è un’eredità di quegli anni. Affidavamo a quell’euforia grammaticale i nostri continui rilanci»24. Anche negli Occhiali d’oro si esplica il riferimento ironico ai «magnifici esemplari» della gioventù dell’epoca, e a quanto è «magnifico» come loro: (lui stesso, Nino, benché conoscesse assai bene Alberto FinziContini, non era mai riuscito a mettere piede nel loro magnifico campo di tennis)25; (lui stesso, quantunque conoscesse parecchio bene Alberto Finzi-Contini, non era mai riuscito a farsi invitare a giocare a tennis a casa loro, nel loro magnifico campo di tennis privato!)26. Un’ipotesi non da scartare suppone che qui Nino stia degradando, con toni da giornale umoristico, il colorito snob che Micòl e Alberto apportavano ai loro pronunciamenti. Ritro- – 40 – viamo il superlativo semantico «magnifico» nei chiarimenti di Micòl con G* dopo la scena del bacio. Eh, sì, tagliare la corda è facile. Ma a cosa porta, quasi sempre, specie in materia di “situazioni morbide”? Novantanove volte su cento la brace continua a covare sotto la cenere, col magnifico risultato che più tardi, quando due si rivedono, parlarsi tranquillamente, da buoni amici, è diventato difficilissimo, pressoché impossibile (GFC ’80, p. 509). L’enfasi non manca, come segnalato dai corsivi, che sono nostri: ben due sono i superlativi, e l’alta percentuale dei casi esaminati (il 99%) conferisce al discorso l’apporto di un’immaginaria casistica che conferma la micoliana fenomenologia dell’amore. Capolavoro di disinvoltura e di levità, questa discettazione condotta con l’ausilio del «due» impersonale serve a trarre Micòl da una situazione che rischia di diventare troppo personale; certo, la ragazza ha avuto i suoi torti nello sfuggire sinora un confronto diretto col narratore. Con perizia Micòl è disposta a riconoscere questa colpa, anzi, caricando ancora i toni, «dispostissima»: L’aveva capito subito, lei, che tra noi era nato qualcosa di falso, di sbagliato, di molto pericoloso: e la colpa maggiore era stata sua, dispostissima ad ammetterlo, se la frana era poi rotolata ancora per un bel pezzo giù per la china (ibidem). Astutamente, la ragazza ammanta l’amicizia di termini positivi («tranquillamente, buoni»), facendola sembrare un valore supremo minacciato da quel «qualcosa di falso» che è l’implicazione sentimentale. Non sfugga la climax del tricolon: amare sarebbe un errore quanto al contenuto di verità («falso»), sul piano morale («sbagliato»), una minaccia all’integrità e preludio alla catastrofe («molto pericoloso»). I superlativi servono come garanzia: Micòl è «dispostissima» ad ammettere l’errore ma non a perseverarvi. Di qui la distanza dal manzoniano «disposto sempre all’obbedienza»27: – 41 – lì la remissione verso l’intellighenzia fascista è reale, e le partite di tennis vengono interrotte. Al contrario, quando Micòl finge deferenza impone il suo volere; il superlativo concede sul piano del discorso per meglio negare su quello della realtà. La stessa ironica distanza si rileva nel mea culpa di Alberto, «prontissimo a pagare», di fronte a Malnate, per la sua appartenenza alla «rea progenie» dei proprietari terrieri: (Alberto rideva fino alle lacrime, sotto le sue invettive, e intanto accennava col capo di sì, che lui per conto suo era prontissimo a pagare) (GFC ’62, p. 163); (piegato in due come per difendersi dalle raffiche di un uragano, Alberto rideva fino alle lacrime, e intanto accennava col capo di sì, lui per conto proprio avrebbe pagato più che volentieri) (GFC ’80, p. 456). Troviamo qui il superlativo «prontissimo» sostituito da una frase esplicita. Il comparativo dell’avverbio accompagna ancora la disponibilità a cedere nel testo definitivo («più che volentieri»), ma si resta sul piano delle divagazioni deliranti, delle raffiche di uragano fuorvianti, non su quello delle concessioni fattive. Un altro esempio di superlativo che nella prima edizione introduceva un rifiuto, «spiacentissimi, non possiamo accettare», è successivamente ridotto a «spiacenti»: Avevano qualcosa contro Bruno? Se ce l’avevano, con lui, potevano vietargli di iscriversi al torneo. Dirgli francamente: «Siccome le cose stanno così e così, spiacentissimi, non possiamo accettare la tua iscrizione» (GFC ’62, p. 84). Avevano qualcosa contro Bruno? Se ce l’avevano, potevano benissimo vietargli di iscriversi al torneo. Dirgli onestamente: «Siccome le cose stanno così e così, spiacenti, non possiamo accettare la tua iscrizione» (GFC ’80, p. 383). Il superlativo si è spostato ad accompagnare il potere effettivo: l’iscrizione di Lattes può «benissimo» essere impedita. – 42 – Il marchese e i gerarchi che lo pilotano sono «spiacenti»: l’aggettivo nella forma positiva è meno magniloquente e anche meno ipocrita. Persino un critico illustre, accordandosi alla falsa gentilezza di un mondo elitario, fa uso di superlativi ironici. Così Montale descrive l’espulsione dal circolo «Eleonora d’Este»: «il circolo ferrarese del tennis informa i soci ebrei che le loro signorie illustrissime sono espulse dal sodalizio»28. Non tutti i superlativi sono da epurare, pena perdere quel tratto della lingua di Micòl che le fa “caricare” ogni vocabolo di espressività giovanile e snobistica: così Malnate ed il narratore sono «due tipi bravissimi»29, mentre Perotti «guida malissimo» ed il vecchio cavallo Star fa ancora una «pessima figura»30. Tutt’altro che sottaciuti i superlativi sono messi in rilievo in alcune varianti, come nel caso seguente: sistema utilissimo, raccomandabilissimo (GFC ’62, p. 128); meccanismo utilissimo, raccomandabilissimo (GFC ’80, p. 422). L’omeoteleuto dei due superlativi non è estraneo, complice un gioco di assonanze, alla parte finale del sostantivo «meccanismo», qui preferito a «sistema» per designare la rete di derivazioni telefoniche disposta nella magna domus. Micòl “spinge” sulle parole cosicché ogni suo pronunciamento assume il valore di una dichiarazione giurata: «Ma no, giuro»31. La bionda studentessa avrà come il presentimento di non essere creduta se, come si è visto, marcherà l’assenza di altri corteggiatori col superlativo: «Non c’è di mezzo nessunissimo altro»32. Nasce in molti il sospetto che Micòl stia mentendo; che lo faccia con grande dispiegamento di mezzi e con pari naturalezza: «Naturalmente Micòl si serve della tecnica della menzogna, non è una propagandista di se stessa, dice esattamente il contrario di quello che pensa»33. Nell’elencare le sue frequentazioni universitarie, la ragazza assume un’aria «furba, decisamente canagliesca», che atterrisce il narratore. Così come l’excusatio sull’innocenza dei flirt è, in realtà, un altro – 43 – fendente contro G*: «Ma tutti piccoli flirts, intendiamoci, cose molto innocue... e anche abbastanza barbose»34. Riguardo agli adeguamenti grafici delle parole straniere, sarà stato il revisore editoriale a lasciare la «-s» del plurale, e anzi a integrarla in alcuni casi da una edizione all’altra35. Egli uniforma poi l’impiego dei corsivi, non usandoli con forestierismi ormai entrati nell’uso e facenti parte a pieno titolo del vocabolario italiano, come «opossum», «boxe» e «sprint». Qualche dubbio persiste sugli accenti francesi: minima la correzione di «ecarté» in «écarté»36, ma non del tutto perdonabile la svista se si pensa che Bassani aveva incontrato il verbo écarter traducendo il romanzo di Furetière37. Nel processo di composizione, l’autore si aiutava con annotazioni che ribadivano la corretta resa degli accenti francesi: ne è un esempio il foglio autografo ritrovato assieme al manoscritto 1956-57, in cui è vergato: «Va bene la bohème // La bohème va bene». Lontani da Micòl questi dubbi sugli accenti. La sua pronuncia è sempre corretta, e «nel suo amore per i forestierismi la Snob predilige l’avverbio inglese»38, o l’aggettivo: si giustifica così l’impiego di voci straniere, implicita opposizione della gioventù antifascista all’autarchia linguistica imposta dal regime. Ferma era l’intenzione di rifarsi agli anni Venti, aperti a un contesto europeo, e non alle nuove coniazioni dell’imposizione autarchica, sentite come ridicole. Lo Spinazzola critico degli Occhiali d’oro ha rilevato termini che ricorrono anche qui: sono «stranierismi, specie anglosassoni, entrati in voga fra i giovani lungo gli anni Trenta, “flirt”, “au pair”, “slow”, “jazz”, anche “question juive”39». Quest’ultima definizione è al centro di un pentimento in senso più che mai snob: «la cosiddetta question juive»40 diventa, sulle labbra della Lavezzoli, la «vecchissima e vessatissima question juive»41. Obbediscono a un linguaggio più sofisticato e alla moda anche le varianti «tipo luna» da «lunare»42, e «nel modo più degno» da «degnamente»43. Si torni al Giardino. Anche quando la sinonimia è praticabile, le preferenze vanno all’uso straniero: persiste «chauf– 44 – feur» su «autista», «week-end» su «fine settimana», «partner» su «compagno». Prospettando gli svaghi cui a Venezia non può dedicarsi, Micòl ne identifica le cause impedienti: La questione è che per giocare a tennis, e ballare, ci vuole il partner, mentre io a Venezia non conosco nessuno di adatto (GFC ’62, p. 78). La questione è che per giocare a tennis e ballare ci vuole il partner, mentre io a Venezia non conosco nessuno di adatto (GFC ’80 p. 377). Non stupisce il primo corsivo, dovuto al forestierismo, quanto il secondo, applicato all’aggettivo «adatto» soltanto in variante, nell’ultima edizione. Micòl non fa i nomi dei pretendenti perché nessuno di questi ha superato il vaglio della snob; preferisce calcare le sillabe di «adatto» per rendere ancora più inappellabile la sentenza d’esclusione degli aspiranti. In apparenza siamo di fronte a un corsivo che valorizza una certa parola, ma va notato che nella pagina considerata dell’ultima edizione ci sono altre parole in corsivo, quindi connotate da Micòl (donna terribile, giuro, filare “flirtare”). Una corsa all’enfasi, alla sottolineatura marcata, che parrebbe inusuale se non ci fosse dietro un solido sistema adottato da Alberto e Micòl: Parlavano entrambi nello stesso modo: spiccando le sillabe di certi vocaboli di cui essi soli sembravano conoscere il vero senso, il vero peso, e invece scivolando bizzarramente su quelle di altri, che uno avrebbe detto di importanza molto maggiore. Mettevano una sorta di puntiglio nell’esprimersi così. Questa particolare, inimitabile, tutta privata deformazione dell’italiano era la loro vera lingua. Le davano persino un nome: il finzi-continico (GFC ’80, p. 355). Si potrebbe concludere che la porta d’accesso di questa «vera lingua» è il corsivo, che ci fa sentire il “parlato” di Micòl, il parlato di una Signorina Snob. – 45 – NOTE 1 Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Torino, Einaudi, 1962. 2 Id., Opere, a cura di Roberto Cotroneo e Paola Italia, Milano, Mondadori, 2001 (che riproduce l’edizione definitiva del Giardino dei Finzi-Contini uscita nell’edizione 1980 delle Opere) 3 Franca Valeri, Diario della Signorina Snob, Milano, Mondadori, 1951. Il Diario è punto di partenza per una ricognizione sulla scrittura giovanilistica che giunge ai nostri giorni in Massimo Arcangeli, Giovani scrittori, scritture giovani, Roma, Carocci, 2007. 4 GFC ’62, p. 144; sic GFC ’80, p. 437. 5 Angelo Fabi, Appunti sul linguaggio snob, «Lingua Nostra», XII, 1952, p. 54. 6 Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963, p. 178. 7 GFC ’80, p. 514. 8 GFC ’62, p. 213; sic GFC ’80, p. 502. 9 «Conoscevo Les enfants terribles di Cocteau? [...] Non era male, era divertente e chic», GFC 1980, p. 502. Si tratta del libro preferito di Umberto Saba: «Credo che, dopo Les enfants terribles di Cocteau, sia il più bel libro moderno che ho letto», lett. a Comisso del 28 maggio 1932, in Umberto Saba, Italo Svevo, Giovanni Comisso, Lettere inedite, Padova, Gruppo di Lettere Moderne, 1968. 10 A. Fabi, Appunti sul linguaggio snob, cit., p. 54. 11 Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Milano, Bompiani, 19986, p. 662. 12 G. Bassani, Opere, cit., p. 1197. 13 Uscito con il sottotitolo Considerazioni sul tema di Venezia nella letteratura in Giorgio Bassani, Le parole preparate, Torino, Einaudi, 1966, ristampato in Opere, cit. 14 Ivi, p. 1198. 15 Silvio Pellico, Le mie prigioni, Foggia, Bastogi, 2004, p. 213. 16 Giorgio Bassani, Le storie ferraresi, Torino, Einaudi, 1960, pp. 176-177. 17 Storia di famiglia, vv. 39-40, in G. Bassani, Opere, cit., p. 1443 (corsivo nostro). 18 Da Hofmannsthal, vv. 7-17, ivi, p. 1426. 19 Nella traduzione francese, «dal lato sciccheria» è reso con una perifrasi: «pour ce qui était d’être ‘chic’», G. Bassani, Le jardin des Finzi-Contini, traduit de l’italien par Michel Arnaud, Paris, Gallimard, 1964, p. 271. – 46 – 20 T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, cit., pp. 178-179 e A. Fabi, Appunti sul linguaggio snob, cit., p. 54. 21 Alessandro Piperno, Con le peggiori intenzioni, Milano, Mondadori, 2005, p. 28. 22 Ivi, p. 40. 23 L’autore non sembra essersi accorto che quello che ha appena riportato è un superlativo relativo. 24 Ivi, p. 192. 25 G. Bassani, Le storie ferraresi, cit., p. 298. 26 G. Bassani, Opere, cit., p. 293. 27 «“E tuo padre”, domandai, “che cosa ha risposto?”. “Che cosa vuoi che rispondesse!”, rise Alberto. “Non gli restava che comportarsi come Don Abbondio. Inchinarsi, e mormorare: ‘Disposto sempre all’obbedienza’”» (GFC ’80, p. 522). 28 Eugenio Montale, Vita e morte di Micòl, in Id., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, p. 2445. 29 GFC ’62, p. 395. 30 GFC ’80, p. 416 (corsivo del testo). 31 Ivi, p. 377. 32 Ivi, p. 514. 33 Cfr. Claudio Toscani, Incontro con Bassani, «Il Ragguaglio librario», giugno 1973, p. 199. 34 GFC ’80, p. 514. 35 Si veda GFC ’62, p. 15: «Come i bunker di cui i soldati tedeschi hanno sparso vanamente l’Europa» e GFC ’80, p. 321: «come i bunkers di cui i soldati tedeschi hanno sparso invano l’Europa». 36 GFC ’80, p. 225. 37 «La quêteuse en rougit de honte, et du doigt écarta le plus qu’elle put cette menue monnaie», Antoine Furetière, Le Roman bourgeois, Paris, Gallimard, 1981, p. 35; «arrossì la cercatrice per l’onta. E col dito cercò, meglio che poté, di mettere da parte tutti quegli spiccioli», AA. VV. Romanzi francesi dei secoli XVII e XVIII, a cura di Michele Rago, Milano, Bompiani, 1951, vol. I, p. 73. 38 A. Fabi, Appunti sul linguaggio snob, cit., p. 55. 39 Vittorio Spinazzola, L’egemonia del romanzo. La narrativa italiana nel secondo Novecento, Milano, il Saggiatore, 2007, p. 210. 40 G. Bassani, Le storie ferraresi, cit., p. 277. 41 G. Bassani, Opere, cit., p. 270. 42 GFC ’62, p. 278 e GFC ’80, p. 271. 43 GFC ’62., p. 279 e GFC ’80, p. 271. – 47 –