humor vacui - Tralerighe
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Times NICOLÒ MAZZA DE’ PICCIOLI HUMOR VACUI L’imprevedibile durata dell’attimo Copyright © 2016 Tralerighe s.n.c. via A. Tantardini, 7 - 20136 Milano Tel. 02/36577292 - Fax 02/92877149 [email protected] - www.tralerighe.biz In copertina: illustrazione di Marta Cavicchioni con licenza Creative Commons Tutti i diritti sono riservati, compresi la traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione, la comunicazione al pubblico e la messa a disposizione con qualsiasi mezzo e/o su qualunque supporto (ivi compresi i microfilm, i film, le fotocopie, i supporti elettronici o digitali) nonché la memorizzazione elettronica e qualsiasi sistema di immagazzinamento e recupero di informazioni. Per altre informazioni o richieste di riproduzione si veda la sezione «Note legali» sul sito www.tralerighe.biz Prima edizione: maggio 2016 ISBN 978-88-99575-07-6 Mamma, papà, fratello, sorella, Marta, cani e gatti per la pazienza. Sognava di poter passeggiare anni e anni per città e per foreste, di non essere in nessun posto e dappertutto. Il sognatore ha il gusto divino dell’onnipresenza. (Pierre Drieu La Rochelle, Gilles) . Prefazione di Giacomo Paris Lo scrittore fa quello che fa il bambino giocando: crea un mondo di fantasia che prende molto sul serio. Non dobbiamo però immaginarci i prodotti di questa attività fantastica come castelli in aria, sogni a occhi aperti rigidi e immutabili. Si adattano invece alle variabili impressioni offerte dalla vita, mutano a ogni cambiamento della nostra posizione e da ogni nuova vivace esperienza traggono, per così dire, un contrassegno temporale. Il rapporto della fantasia con il tempo è molto significativo in questi racconti. Si muovono tutti su tre tempi: quello dell’impressione attuale, un’occasione offerta dal presente e promotrice di grandi desideri; quello dell’esperienza anteriore, risalente ai ricordi innocenti dell’infanzia; quello del sogno futuro, che si configura come appagamento almeno parziale di quei desideri e di quei ricordi. La lingua tedesca preserva l’affinità che sussiste tra il gioco e la scrittura, e tra la scrittura e il tempo, indicando con lo stesso termine i testi, ossia le produzio- ni scritte che richiedono un appoggio a oggetti reali e tangibili (Spiele) e i giochi (Spiele); lo scrittore è poi lo Schauspieler, cioè il giocatore che dà spettacolo all’interno della ruota del tempo, quasi ingoiato dalle fauci di Cronos. Da questa apparente irrealtà del mondo della scrittura derivano conseguenze assai notevoli per l’arte creativa in generale: molte cose che, in quanto reali, non produrrebbero alcun piacere o godimento, possono invece farlo nell’infinito gioco della fantasia. Questo è ciò che riesce a fare lo scrittore, questo è il suo particolarissimo segreto. Il piacere estetico procuratoci da questi racconti ci mette nella condizione di gustare d’ora in poi le nostre fantasie senza vergogna e senza sensi di colpa. Certo, incontrare la scrittura di Nicolò Mazza de’ Piccioli significa anche, per converso, incamminarsi verso l’abisso. Per questo motivo essa richiede una devozione quasi religiosa, una predisposizione al sacro. Si ha l’impressione ogni volta di essere segregati, come trasferiti in un mondo di improvvisa insanabilità: il racconto, nel suo intersecarsi, regala sempre un trauma, mite e stranamente gratificante ma anche violento; tutto è angoscia e conflitto e nel contempo salvezza purificata dal dubbio. Ogni racconto una tappa, un purgatorio, una finestra sul mondo dell’io e del non-io. La sua scrittura è alla fine un luogo di villeggiatura, dove ci si muove a fiato lento attraverso stadi intermedi di convalescenza, una sorta di mito di Sisifo consolato dalla poesia della parola. Il settimino L’argano era ormai entrato in funzione. Uno alla volta, i suoi mobili stavano abbandonando lui e la sua casa, per sempre. Per ognuno di loro aveva un ricordo, come fossero bare di vecchi amici che gli sfilavano davanti al funerale. “Quelle sedie”, pensava, “avevano fatto accomodare allo stesso modo le più prestigiose autorità cittadine e i più giovani e promettenti artisti. Magari privi di grandi disponibilità, ma famelici di enorme conoscenza”. E mentre pronunciava col pensiero la parola enorme, i suoi occhi si spalancavano e le sue mani si aprivano in un abbraccio. Come in ogni casa in cui per qualche tempo sia entrata della luce, i quadri rimossi avevano lasciato un segno indelebile della loro presenza sulla carta da parati del salotto. I cuscini del divano, invece, li aveva fatti imbottire lui stesso con lana d’importazione di rarissima qualità, proprio come ebbe a suggerirgli nientemeno che un effendi di Bisanzio, come ancora s’intestardiva a chiamare Istanbul. 12 nicolò mazza de’ piccioli «Lo stretto del Bosforo», insegnava ai suoi ragazzi, «è la vagina da cui è stato partorito l’Occidente. Più che all’Atlantico o al Pacifico, per comprendere a fondo le vostre origini vi invito a guardare, e a guardarvi, dal Bosforo». E l’ultimo accento, accompagnato dal gesto dell’abbraccio e dallo strabuzzare degli occhi, cadeva con smisurata enfasi sulla prima o. «Come lei crede, signor maestro», rispondevano in coro gli studenti. Appellarsi e contestare erano per lui nient’altro che espedienti dialettici e fini artifici accademici, quindi non seppe in che modo opporsi a quell’esecuzione di sfratto. Le parole si erano fatte polveri bagnate. Rimase educatamente in disparte, stretto nei suoi ricordi, mentre gli pignoravano l’intera sua vita. Senza farsi notare dagli uomini incaricati del trasporto, era però riuscito a sottrarre una cornicetta da uno degli scatoloni destinati all’incanto. All’interno vi era una vecchia fotografia di suo padre da giovane. La impugnava con entrambe le mani e stringeva così forte che sembrava stesse cercando di lasciarci cadere forzatamente una lacrima, ma proprio allora gli addetti al trasloco si apprestarono a svuotare e rimuovere il settimino che fu suo. Benché fossero trascorsi già sei mesi dalla morte, non aveva ancora trovato il coraggio di profanare il paterno ordine maniacale impartito a quei sette cassetti: il primo era destinato ai soli guanti. Ogni varietà di guanti, anche se ne indossava un solo paio a stagione. humor vacui 13 Il secondo era soltanto per le cravatte. Rigorosamente a tinte unite. Nel successivo si trovavano i fazzoletti da taschino e via via giù, fino all’ultimo cassetto – che non era stato mai neppure aperto in sua presenza – destinato a calzini e mutande. La biancheria intima del padre si stava ammucchiando adesso sulle lastre di marmo del pavimento, i cassetti svuotati. Rimase solo, con una fotografia in mano e una negli occhi. Fu in quel preciso istante che comprese con quanta indifferenza suo padre, ammalandosi e morendo, così come gli aveva donato la vita, lo stava ora privando di ogni cosa. Espropriato, non avrebbe mai potuto immaginare che la sua vita, integralmente votata allo studio della luce e al suo insegnamento, si sarebbe d’un tratto inchiodata di fronte alla profondità cieca di un pozzo. Un pozzo nero che gli era stato scavato sotto la punta delle scarpe senza che nemmeno se ne accorgesse. Comprese che quella malattia non gli apparteneva. Lo aveva privato, al contempo, di suo padre e della convinzione di averlo mai conosciuto realmente.