I distillati

Transcript

I distillati
Unità didattica 1
I distillati
Obiettivi:
Conoscenze
Competenze-abilità
• Conosce l’origine storica dei distillati.
• Conosce le tipologie di distillazione.
• Conosce tutti i distillati partendo dal
•
6
BAR
•
prodotto di origine.
Sa consigliare in base alla distillazione un distillato.
È in grado di proporre un distillato in genere, evidenziandone pregi e curiosità.
1.1
Storia dei distillati
Furono i potenti sacerdoti delle civiltà egiziane e mesopotamiche, uomini sapienti, da sempre attenti a ricavare dalla natura prodigi per stupire i popoli e mantenere il loro potere, i primi ad imparare ad estrarre dai vegetali, le essenze aromatiche
capaci di produrre piacere per la psiche e singolari benefici per il corpo. Ma il primo nome a giungere fino a noi è quello di un medico greco, Galeno, nato a Pergamo nel 129 d.C., così abile nello sfruttare le sostanze naturali per la cura delle malattie, che ancor oggi il suo nome si usa per indicare le preparazioni di farmacia.
Agli Arabi dobbiamo la messa punto dell’alambicco, utilizzato per ottenere essenze e profumi, anche se in raffigurazioni risalenti a ben 18 secoli prima di
Cristo, in Mesopotamia, è testimoniato l’uso di un alambicco semplice. In greco ambix significa “vaso tronco di forma conica munito di un becco”, ed è la
parola da cui deriva quella araba al-ambiq e la nostra “alambicco”; anche il termine “alcol” deriva dall’arabo al-kohol.
In Europa durante il periodo medievale la ricerca proseguì grazie alla fervida e
continua ricerca dei monaci delle abbazie e dei monasteri. Ancora oggi infatti ci
sono prodotti come birre, amari, liquori, ecc. che vantano origini e tradizioni legate a luoghi di culto. Il motivo di tale riferimento è semplice: in quei periodi di
carestie e veloci cambiamenti sociali, gli unici che potevano dedicarsi allo studio
e alla ricerca erano gli uomini di fede, che nei terreni protetti dei monasteri potevano coltivare orti e vigneti, perfezionare le tecniche di vinificazione, studiare le
proprietà medicinali delle erbe e sperimentare le tecniche della distillazione.
I DISTILLATI
83
Un prezioso manoscritto
del Seicento proveniente
dall’Umbria: vi viene
descritto il “modo di fare
un elexir di maravigliosa
virtù”, con accanto la
miniatura di un alambicco.
Tra gli ingredienti vengono
citati legno d’aloe, spigo
nardo (cioè la lavanda),
garofani, cannella, canfora,
zafferano e vino.
Un antico alambicco in rame
per la distillazione (Museo
Fratelli Branca, Milano).
84
Il liquido ottenuto con questo processo fu chiamato con termine latino, aqua
vitae, oppure eau de vie in francese; fu definito per la prima volta “acqua di vita”, dal medico personale del papa Bonifacio VIII. L’espressione denotava chiaramente la fiducia riposta nei poteri taumaturgici di questo preparato e la convinzione che esso possedesse delle proprietà terapeutiche.
Spetta alla Scuola salernitana, in epoca medievale, l’atto di nascita ufficiale delle acquaviti: è allora che furono codificate le regole per ottenere prodotti ad
una discreta concentrazione alcolica, usati anche nella farmacologia del tempo.
La Scuola salernitana scoprì infatti che le acquaviti erano anche ottimi solventi superiori, e imparò così a produrre delle medicine stabili nel tempo che oggi possiamo definire vere e proprie progenitrici dei liquori.
Intorno alla metà del XIII secolo il fiorentino Taddeo Alderotti rivelò, in una
sua preziosa opera, le possibilità di migliorare la produzione delle acquaviti attraverso l’applicazione al pellicano, l’alambicco degli alchimisti medioevali, di
una serpentina refrigerante immersa in botte d’acqua.
Fu il Rinascimento italiano a portare il liquore all’odierna perfezione sotto il
profilo organolettico. Il livello di quest’arte in Italia era così avanzato che quando Caterina de’ Medici andò sposa al re di Francia (1533), i rosoli preparati
dal suo profumiere raggiunsero la fama in un baleno, ponendo le basi per la
nuova professione liquoristica d’Oltralpe. Verso il Seicento, da pratica ristretta all’ambito degli alchimisti, la distillazione passa nelle mani degli artigiani,
che impiantano le prime distillerie, e in quelle dei mercanti, che pensano alla
distribuzione capillare dei prodotti distillati.
La prima di queste attività organizzate si afferma e si sviluppa a Schiedam, sull’estuario del Lek, alla periferia di Rotterdam, dove intorno al 1700 operano
più di quattrocento distillerie. Gli olandesi distillano frutta, vini, cereali vari e
diventano praticamente i primi produttori mondiali di alcol; essendo poi dotati di una potente flotta commerciale, lo esportano e lo fanno conoscere in
Europa e nel Nuovo Mondo.
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
4
1
3
2
I DISTILLATI
1.2
La distillazione
6
BAR
Due alambicchi discontinui
a fuoco diretto.
Il liquido (1) viene fatto
scendere nella caldaia (2).
Il fuoco riscalda il liquido
e i vapori e le sostanze
aromatiche vengono
concentrate nel cappello, detto
anche capitello (3), sopra
il quale si innesta il collo (4)
a forma di tubo allungato che
convoglia il liquido in basso
verso la serpentina (5).
Il liquido formatosi (6) subisce
una seconda distillazione,
le teste vanno nella scatola
di derivazione (7) e scartate,
il cuore viene convogliato
nel contenitore finale (8)
(passando prima attraverso
un misuratore fiscale, che
misura i litri di alcol sui quali
si calcoleranno le imposte);
le code evaporano
o rimangono in caldaia
e vengono eliminate alla fine.
Intanto il francese J.B. Cellier Blumenthal brevetta nel 1808 un alambicco di
nuova concezione detto “a colonna di distillazione”; nel 1831, lo scozzese Aeneas Coffey realizza un tipo di alambicco continuo, chiamato poi “Coffey still”,
che è ancora oggi in uso.
In questo stesso secolo le bevande alcoliche diventano di uso comune; nelle
città europee vengono aperti locali per spettacoli e intrattenimenti in cui sono
serviti alimenti e soprattutto bevande, e nelle case delle classi più agiate i “cordiali” e i cognac diventano consumi alla moda.
Quando poi, verso la fine del secolo (1875) i vitigni europei furono intaccati
da un parassita (la fillossera) che arrivava dall’America, per un decennio venne
a mancare il distillato di vino (molto apprezzato in quel periodo) e si conobbero invece altri distillati come il whisky, il calvados e il rum.
Il consumo di alcolici ha avuto risvolti sociali negativi dovuti all’uso smodato:
è stato infatti fonte di problemi e tensioni sociali, e l’alcolismo è stato (e in taluni casi è tuttora) una piaga per diverse nazioni: nel tentativo di arginarne il
consumo, si aumentarono le imposte, ma in molti casi i provvedimenti ebbero per effetto l’incremento della produzione clandestina, come negli Stati Uniti: alla fine della Prima guerra mondiale entrò in vigore la legislazione che vietava la produzione e la vendita di alcolici (il cosiddetto “proibizionismo”) e la
produzione divenne clandestina con prodotti scadenti quando non addirittura pericolosi. Il proibizionismo venne abrogato nel 1933.
La distillazione è un’operazione diretta a separare un liquido volatile dalle sostanze non volatili in esso disciolte, o a separare liquidi di volatilità diversa.
Per compiere la distillazione, il liquido viene fatto bollire, facendo poi condensare per raffreddamento i vapori che si sviluppano durante l’ebollizione.
Facendo bollire, per esempio, una soluzione salina, come l’acqua di mare, soltanto l’acqua passa durante l’ebollizione allo stato di vapore, per cui raccogliendo e raffreddando questo vapore si ottiene acqua distillata.
Due liquidi come acqua e alcol, solubili tra loro, formano una miscela omogenea
unica. L’alcol etilico bolle a 78°C mentre l’acqua bolle a 100°C, quindi hanno
differenti punti di ebollizione. Diventa estremamente pericoloso distillare senza un adeguato controllo della temperatura: ad
5
ogni sostanza corrisponde infatti una temperatura di
estrazione, e se non si distilla alla temperatura adeguata si rischia di estrarre sostenze diverse da quelle desiderate, che possono anche essere nocive per l’uomo.
Lo strumento con cui si effettua la distillazione è
l’alambicco. L’alambicco è composto da una caldaia, detta anche cucurbita, che contiene il pro7
dotto da distillare; un coperchio, detto anche ca6
8
pitello, elmo o duomo, a seconda della sua forma,
che chiude la caldaia; dal collettore o “collo a cigno”
che unisce il coperchio della caldaia al refrigerante o
serpentina, così chiamato per la sua forma, che, installato in un contenitore contenente acqua fresca corrente,
condensa i vapori della caldaia.
85
All’interno della caldaia di un alambicco, quando la temperatura raggiunge i
78°C evapora tutto l’alcol e con esso una minima parte di acqua; successivamente
si porta la temperatura a 100°C per completare l’evaporazione dell’acqua.
I vapori che progressivamente si liberano dalla caldaia sono convogliati nel refrigerante, costituito da due tubi coassiali: in quello interno giungono i vapori ed in
quello esterno passa acqua fredda che funge da liquido di raffreddamento. In questo modo il vapore, toccando le pareti del tubo interno, perde calore e si condensa formando goccioline che, scivolando in basso, si raccoglieranno nel collettore.
Da una prima e sola operazione si ottiene però un prodotto povero di alcol e
soprattutto impuro. Il problema ebbe la sua prima risoluzione alla fine del XIX
secolo con la cosiddetta deflemmazione: la deflemmazione è l’operazione di arricchimento che, con speciali apparecchi, separa per condensazione i vapori
meno alcolici e lascia passare quelli più alcolici, destinati alla serpentina finale
di raffreddamento.
Fu però con la rettificazione che si arrivò ad ottenere liquidi più ricchi di alcol
e, soprattutto, con il meno contenuto possibile di impurità.
Rettificazione del distillato
Durante la distillazione in un qualsiasi prodotto fermentato evaporano assieme
all’alcol altre sostanze che, con termine tecnico, vengono dette “impurezze”.
La prima frazione, definita testa o testa del distillato, è formata da composti volatili (una parte di etanolo, metanolo, acqua, acetali, acetato di etile, anidride solforosa, ecc.), generalmente di cattivo odore e sapore, che condensano quando la
temperatura segnata dal termometro ancora non ha raggiunto i 78°C. Queste
impurezze vengono naturalmente allontanate (rettificazione del distillato).
La seconda frazione, definita cuore del distillato, è la parte in cui è prevalente l’alcol etilico (95%) assieme all’acqua e a minime quantità di impurezze; essa è essenziale per conferire aroma e sapore al prodotto; ed è la parte che si conserva.
La terza ed ultima frazione è definita coda del distillato, ed è composta dalle sostanze meno volatili (acido acetico, acido lattico e alcuni alcoli superiori: isobutilico, amilico, ecc.), ottenute quando la temperatura supera i 78°C. Viene
anch’essa eliminata (rettificazione del distillato).
Oltre al procedimento descritto, esiste un’altra tecnica, definita in corrente di
vapore. È usata quando insieme all’alcol si devono distillare anche sostanze aromatiche presenti in un fermentato, le quali altrimenti sarebbero distrutte dalla temperatura presente in caldaia.
Il sistema prevede due caldaie: nella prima si produce un intenso getto di vapore,
mentre nella seconda si pone il liquido da distillare. Nella fase iniziale entrambe le
caldaie vengono riscaldate sino ad ebollizione del contenuto. Successivamente si ferma il riscaldamento nella seconda caldaia. Il vapore della prima caldaia giunge nella seconda, e gorgogliando porta con sé tutte le sostanze volatili, compreso l’alcol.
La distillazione continua
Alla tecnica di distillazione in precedenza descritta, che possiamo definire “discontinua”, in quanto non sono regolari né l’approvvigionamento della materia prima all’impianto né il prelevamento del liquido alcolico ottenuto, si af-
86
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
2
3
Alambicco continuo.
Il liquido (1) viene fatto
scendere nella prima colonna
(2), sui piatti mantenuti più
caldi in basso e più freddi in
alto. Salendo, il vapore (3) si
incontra con il liquido e lo
riscalda, trasportando con sé
verso l’alto l’alcol e le sostanze
volatili.
Queste sostanze finiscono
nella seconda colonna (4);
anche qui i piatti in basso
sono più caldi e quelli in alto
più freddi.
Uno dei piatti viene
mantenuto alla giusta
temperatura per ottenere le
proporzioni migliori di alcol
e di sostanze aromatiche.
Il liquido condensa e viene
convogliato nella serpentina
(5), raffreddato e inviato nel
contenitore (6).
4
fianca un procedimento detto continuo.
In questo caso è necessario un distillatore costituito da colonne, dette “a piatti”, perché suddivise da diaframmi metallici muniti di fori a camino (ciascuno sormontato da
5
una campana) e di tubi di scarico.
Nella colonna s’immette il liquido da riscaldare; il vapore sale incanalandosi nei fori a camino, mentre in
ciascun piatto si raccoglie il liquido di condensazione
che defluisce sul piatto inferiore ed è attraversato dai
vapori che si liberano dalle campane. Si realizza così
un progressivo arricchimento in alcol dei vapori che si
6
formano nei piatti, sino alla loro uscita in testa alla colonna, mentre il liquido residuo va allo scarico.
Questi apparecchi risalgono al 1817 (Pistorius). Essi furono poi modificati e
perfezionati da Derosne (Francia), da Callier-Blumenthal (Germania), da Coffey (Inghilterra, 1832) e da Savalle (1850, Francia).
In generale si può dire che la scelta tra le due distillazioni è subordinata alla
quantità di materia da distillare, alle sue caratteristiche e al prodotto che si desidera ottenere.
La distillazione discontinua
La distillazione discontinua è preferita per quantità minori di materia prima da
distillare. Per tale lavorazione i costi sono maggiori, ma i risultati sono senza
dubbio superiori a quelli ottenuti con una distillazione continua.
Le acquaviti o distillati
“Acquavite” è il termine generico per indicare qualunque prodotto ricavato dalla distillazione di liquidi contenenti zuccheri o alcol proveniente dalla fermentazione degli zuccheri. Le acquaviti, o distillati, sono il prodotto della distillazione: si ottengono sottoponendo i mosti fermentati (sostanze zuccherine
o saccarificate) a distillazione. Le acquaviti debbono avere una gradazione alcolica superiore a 30° e inferiore a 86°.
Per la commercializzazione dei prodotti sono consentiti:
• l’addizione di acqua distillata e acqua potabile per portare l’acquavite ad una
gradazione non inferiore a 38°, né superiore ai 60°;
• l’edulcorazione con saccarosio fino a un massimo del 2%;
• l’aggiunta di caramello;
• le normali operazioni atte a conferire la limpidezza, secondo la migliore
tecnica conosciuta;
• gli altri trattamenti per il miglioramento della qualità del prodotto che,
in relazione all’evoluzione della tecnica, saranno autorizzati con decreto
legislativo.
L’eventuale aggiunta di prodotti o aromi non modifica sostanzialmente l’alcol
di partenza.
I distillati sono spesso fatti invecchiare, anche a lungo, in fusti fabbricati con le-
I DISTILLATI
6
87
BAR
1
gni di diversa origine, e variamente trattati, capaci così di conferire all’acquavite un aroma, un gusto particolare e un bouquet pregiato e caratteristico.
Con l’invecchiamento avvengono anche cambiamenti di colore, a volte imitati, del resto legalmente, con l’aggiunta di caramello.
I distillati, secondo il fermentato da cui sono prodotti si suddividono come segue:
• distillati di vino: brandy, cognac, armagnac, metaxa, pisco, ecc.
• distillati di vinacce: grappa, marc, ecc.
• distillati di cereali: whisky, gin, vodka, saké, ecc.
• distillati di piante, vegetali: rum, tequila, cachaça, pulque, ecc.
• distillati di frutta: calvados, kirsch, williams, slivovitz, barack, peach brandy,
ecc., oppure bacche: cassis, fraises, framboise, ecc.
1.3
I distillati di vino
Brandy
Brandy e cognac,
“spiriti degli angeli”.
88
La legislazione della Comunità Europea decreta (n. 1576/89) che la denominazione di “acquavite di vino” è riservata ad una “bevanda spiritosa ottenuta
dalla distillazione del vino a meno di 86 gradi alcolici”.
Il termine “weinbrand” o “brandy” è riservato a “bevanda spiritosa ottenuta da
acquaviti di vino, in assemblaggio o meno, con un distillato di vino ricavato a
una gradazione alcolica inferiore a 94,8 gradi, a condizione che tale distillato
non superi il limite massimo del 50% del grado alcolico per prodotto finito. La
bevanda così ottenuta deve essere invecchiata almeno un anno in recipienti di
quercia o almeno sei mesi, se la capacità dei fusti è inferiore a mille litri”.
Il brandy può essere considerato la più antica delle nostre acquaviti: le prime notizie sulla sua distillazione risalgono al XIII secolo, periodo in cui tale arte fu perfezionata a Bologna dal medico Taddeo Alderotti. In Piemonte
l’acquavite fu chiamata “branda”, quanto meno dal tempo
della calata delle soldatesche dell’imperatore Carlo V. Il termine deriva da “brand”, che significa “tizzone”, che in francese è “brandon” (fiaccola); in olandese, il termine è “brand
wjne” ossia “vino bruciato”.
All’inizio del XVII secolo i Modenesi producevano acquavite ed i Veneziani la esportavano anche in Germania, sotto il nome di “acqua di Modena”. In quel di
Fondi, invece, nel convento di Monticchio, veniva
prodotto l’ “arzente dei frati”, nome che molto
tempo dopo Gabriele D’Annunzio cercò di riportare in auge.
Si dovette attendere il 1860 per vedere uscire
dagli stabilimenti della Buton di Bologna il
primo brandy italiano (chiamato allora cognac). Sei anni dopo Antonio Carpené, uno
scienziato di chiara fama, dava origine alla Carpené Malvolti ed iniziava la produzione del suo
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
distillato. L’ingresso della Stock nel mondo della acquavite di vino risale al
1884, e al 1885 quello della Florio. La prima etichetta della Branca risale al
1892, denominata “Vieux Cognac Supérieur”; fu la Ramazzotti ad usare una
denominazione italiana, “Arzente Gran Riserva”, mentre va alla Landy Frères il
merito d’aver usato per prima il nome “brandy”. A Torino è la Martini & Rossi, fondata nel 1863, a produrre e commercializzare il distillato di vino, denominato “Vecchio Piemonte”. In Italia il termine inglese “brandy” fu preferito
al nostro “arzente” e la scelta fu dovuta a preoccupazioni determinate da opportunità legate alle esportazioni.
Vitigno
Le uve migliori sono quelle di Trebbiano in generale (con preferenza per quelle dei colli toscani e romagnoli), un vitigno dalle abbondanti produzioni e sufficientemente immune dalle malattie tipiche dell’uva. Un vitigno adatto alla
produzione del brandy, anche se impiegato in misura minore, è l’Asprigno,
d’origine casertana.
Alambicco charentais.
Distillazione
La distillazione avviene in buona parte con apparecchi continui e per il resto con
alambicchi discontinui, i classici charentais, costituiti da un forno in mattoni nel
quale viene inserita la caldaia in rame dalla capacità di circa 12 hl, dotata di un
tubo di scarico e di una presa per l’immissione del vino; sulla sommità, un capitello con un lungo becco a forma di collo di cigno convoglia in un recipiente di
raccolta il condensato, una flemma di gradazione variabile fra i 25° e i 30° alcolici nella prima distillazione e un’acquavite a quasi 50° nella seconda.
Il prodotto finale può essere l’elaborato di uno dei due metodi o la combinazione dei due.
Maturazione
Avviene in legno poiché il distillato ne ricava
due sostanziali vantaggi: la respirazione dell’acquavite e il suo arricchimento grazie alle sostanze che estrae dal legno. Il brandy si ingentilisce e smorza in questo modo la sua iniziale
aggressività: il distillato perde un po’ della sua
gradazione alcolica, per via dell’evaporazione e
della riduzione dovuta all’assorbimento dell’umidità, ma guadagna in particolarità e finezza.
Per l’invecchiamento si usano sia i tini, recipienti in rovere di Slavonia che raggiungono anche 100mila litri, sia le botti.
I DISTILLATI
89
6
BAR
Vinificazione
Si predilige un vino neutro, di moderata alcolicità, ricco di acidità fissa, che conservi una parte dei lieviti che hanno condotto la fermentazione. La spremitura
soffice delle uve per contenere la produzione di torbidi, una temperatura di fermentazione intorno ai 18-22°C per ottenere fermentati bassi in alcol superiori e
in esteri acetici che danno sensazioni floreali e fruttate, la precauzione di evitare
l’anidride solforosa che potrebbe modificare le caratteristiche dell’acquavite e che
alla lunga provoca la corrosione del rame degli alambicchi, sono alcune delle attenzioni che si devono avere durante la lavorazione delle uve.
Queste ultime, costruite con lo stesso legno, possono avere una capacità che varia fra
i 300 e i 10mila litri. Per i contenitori di dimensioni inferiori, il legno usato è sempre di quercia, ma di varietà diverse, che vanno dal rovere bianco americano, largamente impiegato in Spagna, a quello del Limousin, a quelli più pregiati dell’Allier e
Tronçais, al rovere nero di Guascogna.
Purtroppo alcune volte è il caramello e non l’invecchiamento in rovere a conferire una colorazione standard al brandy.
La produzione è controllata dagli Uffici Tecnici Imposte di Fabbricazione dal
momento della scelta dei vini da distillare alle varie fasi di produzione, fino all’invecchiamento. Alla fine la garanzia è data dal contrassegno di Stato, apposto sul collo delle bottiglie, che attesta tanto la capacità del contenitore quanto il periodo d’invecchiamento: da uno a due anni, da due a tre, oltre i tre anni. Per invecchiamenti superiori, l’amministrazione finanziaria rilascia particolari certificati che sono apposti in controetichetta.
La zona di produzione del
cognac, in Francia.
Servizio
Il brandy va servito a temperatura ambiente e liscio, nel classico ballon (anche
se oggi alcuni lo propongono in calice). È sconsigliabile qualsiasi artificio per
riscaldare il distillato o il bicchiere. Il brandy va sorseggiato, e l’estimatore attento lo riscalda, lo “umanizza” valorizzandolo solo con il palmo della mano.
Cognac
Il cognac è un’acquavite di vino a denominazione d’origine, regolamentata da un decreto del 1 maggio 1909 che
sancisce l’area entro la quale può essere prodotta, e vale a
dire i dipartimenti francesi Charente e Charente Maritime e, grazie al decreto del 30 novembre 1938, parte dei
dipartimenti di Dordogna e Deux-Sèvres. Nessuna acquavite prodotta al di fuori di questo territorio può denominarsi cognac.
Ironia della sorte, il cognac deve il suo successo alla mediocrità dei vini con cui è realizzato. Sembra accertato
che agli inizi del Settecento il vino delle regioni comprese tra l’estuario della Gironda e il porto de La Rochelle
fosse largamente esportato. Ma poiché i mezzi di trasporto dell’epoca erano lenti e il vino mal sopportava il
continuo sciabordìo del mare, spesso giungeva a destinazione guasto, costringendo gli importatori a distillarlo, per poi consumarlo allungato con acqua.
Terreno
Le condizioni uniche di clima, di terreno e di vicinanza al mare fanno delle
Charentes una felice combinazione della natura, tanto che a qualche chilometro di distanza le acquaviti non hanno lo stesso profumo né la stessa qualità.
Nel territorio del cognac si distinguono due grandi zone naturali, molto diverse fra loro sia fisicamente che geologicamente: gli Champs, o Champagnes
(niente a che vedere con la Champagne dove si produce l’omonimo vino), e i
Bois, a loro volta suddivisi in diversi territori a seconda delle caratteristiche
dell’acquavite ottenuta dal vino che vi è prodotto.
La regione, che ha un’estensione di circa 100 mila ettari, è suddivisa in sei sot-
90
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Vitigno
Vi si coltivano i vitigni bianchi Ugni Blanc o Saint Émilion des Charentes (il
nostro Trebbiano), oggi divenuti le varietà dominanti. Per decreto, il vigneto del
cognac deve essere costituito esclusivamente da vitigni a frutto bianco: oltre all’Ugni Blanc, possono essere utilizzati i vitigni Folle Blanche e Colombard, per un
totale del 90%. Sono ammesse fino al 10% le seguenti varietà complementari: Jurançon Blanc, Meslier St. François, Montils, Sauvignon, Sélect e Sémillon.
Vinificazione
Proviene da uve raccolte a maturazione fisiologica. Il mosto, di scarsa potenzialità alcolica (7-9°) e di notevole ricchezza acida, è il presupposto ideale per
ottenere le caratteristiche di un buon cognac.
Distillazione
È distillato insieme ai lieviti della fermentazione, ma poiché la presenza delle fecce nel vino può causare dei danni, il periodo della distillazione può protrarsi oltre il 31 marzo. La distillazione avviene in vecchi alambicchi in rame lucido, tenuti con scrupolosa cura, gli charentais (a 95-100 gradi per sei-otto ore). Si effettuano due distillazioni: dalla prima si ricava il cosiddetto brouillis, quello che
tecnicamente si chiama flemma, di circa 30° alcolici, il quale è ridistillato, nell’arco di 12 ore, per ottenere la bonne chauffe, un’acquavite attorno ai 70°. La testa e la coda di ogni chauffe vengono scartate e viene tenuto solo il cuore. Da
mille litri di vino, dopo il doppio passaggio, se ne ottengono circa 100 di distillato, soltanto 62 dei quali sono cognac; 2 litri sono infatti di testa e ben 36 di coda. Al momento della commercializzazione il cognac viene ridotto a 40°.
Classificazione
L’età dell’acquavite più giovane impiegata nell’assemblage determina la denominazione che contraddistinguerà il cognac.
I DISTILLATI
91
6
BAR
tozone. Partendo dal centro, dalla città di Cognac, si trovano via via disposte
concentricamente:
• Grande Champagne: caratterizzata da terreno calcareo friabile, produce le
migliori acquaviti, le quali sono molto profumate ed eleganti, aggressive da
giovani e adatte ad un lungo invecchiamento. Il cru incide per il 20% circa
sulla produzione totale del cognac.
• Petite Champagne: comprende 60 comuni con terreno calcareo ma meno
friabile, produce acquaviti fini, dalla struttura delicata, meno aggressive e con
una capacità d’invecchiamento inferiore rispetto a quelle della Grande Champagne e rappresentano un altro 20%.
• Borderies: area di 10 comuni con terreno argilloso e presenza di silice, si ottengono acquaviti dal bouquet floreale e gradevole ma dal retrogusto limitato, che conferiscono rotondità, corpo e morbidezza al cognac. Rappresentano il 5-7% della produzione totale del cognac.
• Fins Bois: area vasta e comprende 278 comuni con terreno calcareo, argilloso e sabbioso, le acquaviti sono robuste e invecchiano piuttosto rapidamente. Producono il 40% del cognac totale.
• Bons Bois: area di 276 comuni con terreno argilloso e povero di calcare; le acquaviti sono leggere e la produzione è del 10% sul totale.
• Bois Ordinaire: produce acquaviti di qualità media che mal sopportano un
lungo invecchiamento ed è preferibile consumare giovani.
Sulle etichette pertanto si possono trovare le seguenti diciture:
• Trois Étoiles (Tre Stelle), Sélection, De Luxe, V.S. (Very Superior), Grand
Choix (Grande Scelta), Surchoix (Prima Scelta), Supérieur e altre espressioni simili, quando l’acquavite più giovane ha un minimo di due anni e mezzo e un massimo di quattro anni e mezzo.
• Vieux, V.O. (Very Old), V.S.O.P. (Very Superior Old Pale), Réserve, e altre
espressioni simili, quando l’acquavite più giovane ha un minimo di quattro
anni e mezzo e un massimo di sei e mezzo.
• V.V.S.O.P. (Very Very Superior Old Pale), Grande Réserve, Extra, X.O. (Extra Old), Napoléon, Royal, Medaillon, Très Vieux, Vieille Réserve e altre
espressioni simili, quando l’acquavite più giovane ha più di sei anni e mezzo
di invecchiamento.
Considerando che l’unità di misura dell’invecchiamento è il “compte”, che corrisponde ad un anno (misurato dal 1° aprile al 31 marzo successivo), l’invecchiamento minimo per fregiarsi del nome cognac è di due comptes, cioè non
meno di trenta mesi, considerando i sei mesi del cosiddetto compte zero. La
normativa francese contempla il controllo fino al compte sei; oltre, ci si deve
fidare del produttore. Nel caso di miscele tra produttori di diverso invecchiamento, il prodotto finale rientra nel compte del distillato meno invecchiato.
Tradizionalmente, la maggioranza delle case produttrici impiega acqueviti molto più vecchie del minimo di legge per la migliore riuscita dei suoi assemblage
(fino a 40), praticati dal maestro cantiniere (maître de chai).
Durante la naturale evaporazione per invecchiamento, nelle cittadine dove si
produce il cognac si ha una colorazione blu-grigiasta dei tetti, soprattutto sui
magazzini d’invecchiamento (gli chais) e delle superfici esterne delle case a causa di un microrganismo (Torula coniacensis) presente nell’aria e che si combina
con le sostanze volatili del distillato. Esse si disperdono nell’aria e sono perciò
chiamate “il cognac degli angeli”, il 2,5% in media l’anno.
Servizio
Ricalca quello del brandy, in un ballon piccolo; se troppo grande infatti la
quantità di acquavite versata è scarsa in rapporto alla capacità del contenitore
e questo comporta una certa dispersione del bouquet. Oggi alcuni intenditori
preferiscono sostituire il ballon con il tulipano medio, che riesce ad esaltare
più compiutamente la personalità del cognac. La temperatura di servizio è di
20-22°C; è da evitare il malvezzo di riscaldare il bicchiere con una fiamma o un
goccio d’alcol infiammato al suo interno prima di versarvi l’acquavite: così, infatti, i profumi svaniscono e il gusto assume una spiacevole nota di bruciato.
Questo rituale può valere per i vecchi cognac, che hanno sviluppato con la lunghissima permanenza nel legno il caratteristico goût de rancio (pronuncia: ransiò). I cognac più giovani, invece, si possono bere lisci o allungati con acqua:
si ottiene così la tradizionale fine à l’eau, gradevole come aperitivo e ottima come dissetante. Altrettanto piacevole è il floater: in un tumbler con acqua Perrier gelata, si versa lentamente il cognac, in modo che resti in superficie; si beve senza mescolare. Può anche essere accompagnato con zuccherini di canna.
Armagnac
Se il cognac è il re assoluto delle acquaviti, possiamo definire l’armagnac principe reale. L’armagnac è un’acquavite di vino prodotta nel sud-ovest della Fran-
92
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
cia, nell’antica Guascogna, nel dipartimento
di Gers. La produzione regolare della eau-devie dell’armagnac inizia alla fine del Cinquecento; dopo circa mezzo secolo ne fiorisce il
commercio grazie all’iniziativa di alcuni distillatori locali che avevano già installato circa sessanta impianti di distillazione. Pesanti
carri raccoglievano in tutta la regione i fusti
colmi di prezioso distillato che venivano radunati a Mont-de-Marsan, centro di raccolta
e di spedizione; da qui, caricati sulle chiatte
fluviali, scendevano l’Adour, arrivando a Bayonne da dove venivano spediti in tutta l’Europa.
Alambicco armagnacais.
Vitigno
“Le lait des vieillards”, il latte dei vecchi, come fu battezzato con ironia questo
distillato, è ricavato da vini provenienti dai seguenti ceppi di vitigni:
Folle Blanche, Saint Émilion, Colombard, Ugni Blanc, Baco 22A e, in percentuale minore, altri uvaggi.
La vinificazione è effettuata tra la fine di settembre e la fine d’ottobre.
Distillazione
Ha luogo obbligatoriamente prima del 30 aprile che segue la vendemmia. Viene eseguita con due diversi alambicchi: l’armagnacais, che rende continuo il processo di
distillazione, e lo charentais, che distilla due volte il prodotto.
Con il primo metodo si ottiene un’acquavite attorno ai 60-70°, che vengono fatti scendere gradualmente grazie all’aggiunta di “piccole acque”, operazione delicata e “segreta”.
Con il secondo metodo si ottiene una flemma di 30°
con la prima distillazione, mentre arriva ai 60-70°
con la seconda distillazione, testa e coda escluse. Anche in quest’ultimo caso la gradazione sarà portata a
livelli più ragionevoli, 40-50°.
I DISTILLATI
93
6
BAR
La zona di produzione
dell’armagnac, in Francia.
Terreno
La superficie vitata (quasi 20mila ettari) copre una gran parte del dipartimento del Gers
e alcune zone limitrofe dei dipartimenti del Lot-et-Garonne e delle Landes.
Tre sono le sottozone che producono questo distillato:
• Bas Armagnac che, in un’area particolare del terreno argilloso, genera i migliori armagnac: essi prendono il nome dal luogo, e si chiamano Grand-Bas;
• la Ténarèze ha un suolo calcareo e argilloso, che produce acquaviti molto
profumate e un po’ aggressive;
• la Haute-Armagnac è la zona più estesa, ma produce la minore quantità di armagnac poiché il buon e soleggiato terreno calcareo origina uve che, nella
maggior parte dei casi, vengono messe in commercio come tali, senza essere
distillate.
Maturazione
Avviene in un primo momento in fusti nuovi di quercia della foresta di Monlezun,
della capacità di 4 hl. L’invecchiamento in botti di rovere permette alle acquaviti
di affinarsi ed arricchirsi grazie a complesse reazioni, nel corso delle quali le materie tanniche e aromatiche del legno si dissolvono nell’alcol. Raggiunta la perfetta maturità, l’armagnac viene normalmente confezionato in bottiglie a fiasca, impagliate o no, dette cruchon se da 2 litri o cruchette (borraccia) se da 75 cl. Alcune
aziende confezionano l’armagnac in bottiglie nere “a flûte” dal collo lungo.
Classificazione
Gli armagnac si classificano in base agli anni d’invecchiamento, o meglio alle
unità di conto che corrispondono agli anni, a partire dal 30 aprile dopo la vendemmia. Sull’etichetta si può essere leggere:
• almeno un anno: Couronnes, Monopole, Trois Étoiles;
• almeno quattro anni: Réserve, V.O., V.S.O.P.;
• almeno cinque anni: Napoléon, Extra, E.O., Vieille Réserve, Hors d’Age.
A queste tipologie d’invecchiamento si aggiungono i millesimati che hanno il
pregio di racchiudere il prodotto di grandi annate, che spesso superano di gran
lunga il mezzo secolo. Alcune annate come il 1893, il 1900, il 1918 sono diventate rarità da collezionisti. La normativa prevede anche la possibilità di assemblages di distillati di origine ed età diverse.
Il bicchiere di servizio
dell’armagnac è il classico
ballon.
Servizio
Il ballon resta il classico bicchiere, anche si alcuni indicano nel bicchiere a tulipano il recipiente più adatto. La temperatura è sui 19°C. Nella regione dell’armagnac si beve anche un aperitivo a base di vino di mosto d’uva e armagnac: il floc de Gascogne.
Altre acquaviti di vino
Nel quadro della regolamentazione delle acquaviti e dei liquori, la Francia ha
elencato e rivendicato anche un notevole numero di altre acquaviti di vino:
Eau-de vie de vin de la Marne, de Bourgogne, de Savoie, des Côtes-du-Rhône,
originaire du Centre-est, originaire de Franche-Comté, du Bugey, des Côteaux
de la Loire, de Provence, du Languedoc, de Faugères.
La Grecia produce il Metaxa; in Spagna il disciplinare che regola la produzione della distillazione dell’acquavite di vino prevede le seguenti tre categorie:
- holandas - bassa gradazione alcolica - inferiore a 70°;
- aguardiente - media gradazione - 70-80°;
- distilados de vino- alta gradazione - 81-95°.
L’invecchiamento avviene in barili o botti di rovere spagnola, portoghese o americana utilizzati in precedenza per l’affinamento del vino sherry o altri vini.
L’aguardiente era l’acquavite preferita dai marinai spagnoli nel periodo della
conquista delle Americhe. Nella zona di Jerez viene prodotta una acquavite denominata “Jerina”. A base di brandy, nella zona di Barcellona, viene prodotto
il liquore calisay, per infusione di oltre un centinaio di erbe.
Il Portogallo, dove la produzione è regolamentata dal 1972, si producono l’Aguardiente vinica preparata, invecchiata sei mesi, e l’Aguardiente vinica velha,
con un invecchiamento superiore ad un anno; la prima è anche denominata
Brandy e la seconda Old Brandy.
94
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
1.4
Un prodotto “storico”,
il “cognac medicinal” che
veniva prodotto dalla Stock,
a Trieste, con il nome di
Aqua Vitae Dorata.
Alcune tra le molte
grappe italiane: grappa
aromatizzata al miele,
grappa di vinacce di
Dolcetto d’Alba e grappa
d’uva Nonino, la prima
azienda autorizzata in
Italia a produrre questo
tipo di distillato.
I DISTILLATI
I distillati di vinaccia
La grappa
Le prime notizie certe che riguardano questo distillato risalgono al XV secolo, che testimoniano come si distillasse già la vinaccia in Toscana e in Friuli. Nel testamento
lasciato dal notaio Ser Enrico Everardo, morto a
Cividale nel 1451, si legge che lasciò agli eredi,
tra l’altro, “unum ferrum ad faciendam acquavitem” e in margine al documento è scritto:
grape.
I documenti che attestano la produzione di
grappa nel Veneto e nel Trentino sono molti e
fanno riferimento in particolare ai traffici e alle gabelle. I contadini devono aver distillato,
con ogni probabilità, i residui della vinificazione, lavati e rilavati anche tre volte, dopo
averne ricavato una sorta di vina operaia; il
distillato di vino era un prodotto prezioso, riservato ai ricchi, ai potenti, ai medici.
95
6
BAR
Nei Paesi scandinavi esistono monopoli di produzione e di commercializzazione; con la denominazione di brandy si indica un prodotto tagliando acquavite di vino ed alcol neutro proveniente dalla distillazione di cereali o di
patate. In Finlandia questo prodotto è denominato Brandiviina.
Anche in Polonia esiste un monopolio; il brandy viene prodotto con il Cognac Method.
In Ungheria esiste una produzione di brandy “Tre Stelle”, mentre in Jugoslavia si produce un distillato di vino invecchiato in fusti per almeno tre mesi,
detto Viniak, mentre è denominato brandy un prodotto tagliato con alcool
etilico di qualsiasi origine.
La tradizione dell’Austria è lunga e risale alla fine del secolo scorso, legata a
Trieste ed alla Stock; si produceva il “cognac medicinal”, riconosciuto come
tale dal “Codex alimentarius” austriaco, menzione che veniva attribuita ai prodotti che raggiungevano il più alto grado di genuinità. Un’altra acquavite austriaca è detta “weinbrand” ed è tagliata tra quella di vino ed alcol di melassa o
di altra natura, al 50%.
Il pisco è un distillato peruviano In Russia o in altre repubbliche dell’ex URSS, in particolare la Georgia, il
di soli vini bianchi.
brandy deve essere prodotto con alcol di vino ed ha il nome di “konniac”. In
Turchia l’acquavite di vino è denominata “kanyak”, mentre quella di Cipro è
detta “zivania”. Anche in Sudafrica si produce un distillato di vino e prende il
nome di wine-brandy.
Negli Stati Uniti “grape brandy” sta a significare acquavite di vino; in Messico
l’invecchiamento ha luogo in fusti di rovere; in Brasile viene prodotto il conhaque; in Perù, da un centinaio di anni, vengono distillati solo i vini bianchi del dipartimento di Ica, e prende il nome di Pisco, dal nome della città che sorge alla
foce dell’omonimo fiume; viene prodotta anche in Cile ed il Bolivia.
Ma sono anche altre le regioni italiane a vantare una produzione antica della grappa, dalla Sardegna, con il suo filu ’e ferru, detta così per quel filo di ferro che i contadini lasciavano sporgere dal terreno dove avevano sepolto gli alambicchi per nasconderli al fisco, all’Istria, dove veniva chiamata semplicemente “acquavita”.
Il distillato di vinaccia ha assunto in Italia, nei vari tempi, i nomi più disparati: grapa stellina, “distillata sotto le stelle”, o de troi, “distillata tra i sentieri dei
boschi”, o de bar, “distillata tra i cespugli”, o de bosco, e sempre per sottrarsi
agli sguardi della gendarmeria che dava la caccia ai distillatori.
In Trentino si chiamava cadevita, in Dalmazia era denominata rampigamuri, a
significare che rendeva superabile ogni difficoltà, o s’ceta, schietta, così come in
Friuli dicevano anche un bussul, assaggio, sorso, bicchierino, dose; e nel Veneto
un cichèto (da cucar, ossia sbirciare), cioè un poco appena, una piccola dose.
Ed ecco a Roma il venditore d’acquavite chiamato cichettaro; a Napoli si diceva presa tanto il bicchierino quanto la dose d’acquavite, ma con lo stesso termine si potevano intendere anche i liquori.
Secondo la legislazione della Comunità Europea, la gradazione minima della
grappa è di 37,5° e la gradazione massima con cui può essere estratta è di 86°,
mentre la gradazione massima consentita per la commercializzazione è di 60°.
Resta il fatto che una buona grappa è sempre prodotta a una gradazione alcolica che oscilla tra i 71 e i 75°, poiché è l’alambicco discontinuo che origina
sempre un’acquavite a tali gradazioni.
Può fregiarsi della dizione “affinata” quella grappa che abbia riposato per almeno sei mesi in fusti di legno o dodici mesi in contenitori di altro materiale.
La dizione “riserva” sarà invece esclusiva dell’acquavite che avrà maturato per
diciotto mesi in legno. Nel caso in cui l’invecchiamento sia più lungo, il numero dei mesi o degli anni sarà indicato sulla confezione della bottiglia. Qualora ci sia una miscelazione, sarà il distillato più giovane a determinare il periodo di invecchiamento dichiarabile. Inoltre è possibile citare sulla confezione il vitigno d’origine, il maestro distillatore e il tipo di alambicco.
Va infine aggiunta la provenienza, cioè una delle sette denominazioni geografiche stabilite dalla normativa comunitaria, che sono:
• Barolo, Piemonte, Lombardia, Trentino, Veneto, Alto Adige, Friuli.
Distillazione
Oggi la grappa è prodotta con numerosissimi vitigni, a bacca bianca e nera. La
vinaccia è la materia prima fondamentale e si distingue in vinaccia vergine, semifermentata e fermentata.
• La vinaccia vergine è quella che viene separata dal mosto prima dell’inizio
della fermentazione ed è posta a riposare per consentire la totale trasformazione degli zuccheri in alcol. Tali vinacce derivano dalla vinificazione in bianco e sono prodotte in grandi quantità;
• la vinaccia semifermentata è una via di mezzo tra quella vergine e quella fermentata;
la
• vinaccia fermentata è un sedimento del vino che viene immediatamente
distillato. È facile riscontrare una migliore qualità tra le grappe ricavate da
vinacce a bacca nera appena separate dal vino.
Durante il processo di distillazione è necessario aggiungere acqua alle vinacce
da distillare in rapporto alla loro torchiatura. Teste e coda vanno scartate e la resa in alcol delle vinacce si aggira intorno al 3-4%.
96
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Le fasi di distillazione
della grappa.
La classificazione
Nella classificazione delle grappe bisogna tenere presenti varie diversità di vedute e di valutazioni; esse vengono divise infatti in:
• grappe giovani o di annata, fresche e più aspre;
• grappe invecchiate o riserva, più pregiate, delicate e
rotonde.
Un’altra classificazione si riferisce alle caratteristiche
delle vinacce di provenienza; abbiamo così:
• grappe non aromatiche;
• grappe aromatiche, quando provengono da vinacce di uve aromatiche e ne conservano l’aroma;
• grappe monovitigno, tipo Moscato, Verduzzo,
Fragolino, Nebbiolo, Traminer, Canaiolo Nero, ecc.
Esiste anche un’ulteriore suddivisione:
• grappe non aromatizzate;
• grappe aromatizzate: tra queste figurano quelle all’anice, alla
menta, alla ruta, al lampone, al miele, al genepy e via dicendo. Si tratta di
grappe nelle quali sono aggiunte infusioni acquose o alcoliche di sostanze vegetali o altre sostanze aromatiche.
Servizio
La temperatura di servizio per le grappe giovani è intorno ai 10°C, specialmente se prodotte con uve aromatiche, mentre 16°C è la base di partenza per
quelle via via più invecchiate. Per tutte, si usa il bicchiere da grappa, che ha la
forma di un caratteristico e piccolo tulipano.
L’acquavite d’uva
Grazie alla famiglia friulana Nonino, che fu la prima a chiedere e ottenere l’autorizzazione per distillare l’uva intera (fino allora vietato) con la creazione di
“Ùe” (“uve”, in friulano), e alla famiglia Maschio, che mise a punto la produzione del “Prime Uve”, è nato, con decreto ministeriale emanato il 30 novembre 1984, l’ultimo prodotto della distillazione nazionale, l’acquavite d’uva.
Terreno e vitigno
È soprattutto nel nord-est d’Italia che si è svolta la fase pionieristica della produzione di questa acquavite e quindi i vitigni più usati sono Prosecco, RiesI DISTILLATI
97
6
BAR
La grappa monovitigno
ha avuto una crescente
popolarità negli ultimi
anni. Nella foto,
una grappa di Moscato.
ling, Chardonnay, Müller Thurgau, Moscato, Moscato d’Amburgo, Traminer,
Malvasia, Albana. A questi si aggiungono anche vitigni a frutto rosso come il
Refosco, la Schiava, il Pinot Nero, il Fragolino, ecc.
Vinificazione e distillazione
Una fermentazione condotta con lieviti selezionati e a temperatura controllata è indispensabile per il buon proseguimento della lavorazione. La distillazione si avvia quando ancora la materia fermentata è dolce e possiede perciò gli
aromi primari dell’uva.
La distillazione può avvenire con due tipi di alambicchi: le classiche caldaiette
da grappa, opportunamente modificate, oppure gli impianti di distillazione
continua. Questi ultimi, più usati, hanno un sistema d’evaporazione che porta il distillato a 50-60°C, in pratica operano a temperature modeste, per evitare l’annullamento degli aromi.
Servizio
Prodotto d’indubbio valore grazie anche alla materia prima impiegata, l’acquavite
d’uva ha una gradazione alcolica compresa tra i 40 e i 45°. Raramente è invecchiata, e si beve fresca, liscia, a una temperatura oscillante tra i 5 e i 10°C, anche
accompagnata da uno zuccherino.
Altre acquaviti di vinaccia
Secondo il regolamento comunitario, sinonimo di acquavite è il termine
“marc”, mentre la denominazione “grappa” è riservata all’Italia.
Marc in francese significa fondaccio, residuo liquido della pressatura di frutta:
così si ha il marc de raisin, appunto la vinaccia. In francese si ha anche la denominazione di lie de vin, feccia di vino, avendo il termine lie il significato
d’infima parte, e eau-de-vie de lie significa “acquavite di feccia di vino”.
Un termine speciale, invece, indica l’acquavite di vinaccia prodotta distillando
soltanto le bucce delle uve diraspate: égrappé; tipica l’acquavite Marc égrappé
de Bourgogne.
Si hanno diverse denominazioni di acquavite francesi: Eau-de-vie de Champagne (o Marc de Champagne), Marc originaire d’Aquitaine, Marc de Bourgogne, Marc originaire du Centre-Est, de Franche Comté, de Bugey, de Savoie, des Coteaux de la Loire, de Côte du Rhône, de Provence, du Languedoc,
Marc d’Alsace Gewürztraminer e de Lorraine.
1.5
I distillati di cereali
I whisky
Molti paesi hanno la loro tradizione di distillazione e in più d’uno si riferiscono ai propri distillati con il nome di “acqua di vita”. È sempre questo infatti il
significato della parola scandinava akvavit, della francese eau-de-vie e del termine whisky, derivato dal gaelico “uisge beatha”.
L’origine del whisky conta molti padri. La tradizione popolare vuole che siano
98
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
state le mogli dei coltivatori d’orzo delle Highlands, in Scozia, a inventare il
whisky, ma in realtà sembra difficile che quelle donne sapessero distillare, cosa che invece riusciva molto bene ai monaci. Dunque le prime distillerie furono aggregate ai conventi e una leggenda vuole che siano stati proprio i monaci, seguaci di San Patrizio (patrono d’Irlanda) a inventare il whisky. Gli Scozzesi, da parte loro, non sminuiscono le benemerenze del Santo, ma precisano
ch’egli conobbe l’alcol di cereali quand’era prigioniero in Scozia, una terra dove l’arte della distillazione era nota da tempo.
Componenti del whisky
La maggioranza delle distillerie è sorta vicino ad una sorgente o ad un torrente per facilitare l’alimentazione della stazione di pompaggio. La presenza dell’acqua ha determinato in larga parte l’ubicazione delle distillerie. L’acqua,
quindi, è il primo importante elemento usato per la distillazione; non subisce
trattamenti, salvo la semplice filtrazione.
Essa è indispensabile:
• per bagnare il cereale in modo da farlo germinare;
• nella preparazione del mosto;
• nei refrigeranti per condensare i vapori;
• per la riduzione del grado alcolico.
Il secondo elemento è dato dall’insieme d’orzo, segale e grano. L’orzo, il cereale più nobile per la preparazione del whisky, è usato in misura maggiore nella produzione del distillato. Quando è maltato, ha struttura croccante e profumo di biscotto. Altro elemento importante è la torba, usata per l’essiccazione del malto. Tra gli altri ingredienti, molto importante è il lievito, un microrganismo naturale.
La tecnica di produzione
I principi che regolano la produzione del whisky sono molto semplici, ma la diI DISTILLATI
99
6
BAR
Un indizio concreto che ci permette di datare con sicurezza l’inventore del
whisky è un atto del 1494, conservato nello Scottish Exchequer Rolls (archivio
di stato scozzese), in cui viene richiesto l’approvvigionamento di otto bolls (antica misura scozzese dei cereali) per un monaco di nome John Cor, che l’adoperava per fabbricare acquavite.
Il fisco non doveva trascurare neppure questa bevanda e, nel 1644, il parlamento scozzese di Edimburgo intervenne imponendo un dazio sulla materia
prima che veniva distillata. L’irlandese Aeneas Coffey inventa nel 1830 l’alambicco a colonna e tra il 1831 ed il 1853 si giunge ad un altro grande avvenimento: lo sposalizio tra il malt con il grain: nasceva il blended.
Il sapore del whisky è determinato innanzitutto dall’acqua che viene usata, che
può essere morbida o dura, torbida oppure di cristallina limpidezza.
A seconda delle materie prime utilizzate e del procedimento seguito può prevalere un gusto secco, derivante da una prolungata maltazione (in cui si fa uso
della torba, un carbone di origine relativamente recente, che risulta dalla fossilizzazione di erbe, muschi, piante palustri, erica e che brucia assai lentamente, producendo un fumo dall’aroma molto intenso), o un gusto dolce dato dall’orzo o dal grano, o uno speziato dovuto alla segale, oppure ancora uno fruttato prodotto dal lievito. Possono inoltre aversi sentori salmastri d’aria di mare e una maggiore presenza di tannino, determinata dal fusto adottato.
stillazione ha a che fare con numerose variabili che rendono il suo lavoro simile a quello di un artista. Le fasi essenziali sono:
• maltazione;
• infusione (mashing) o cottura;
• fermentazione;
• distillazione;
• maturazione;
• miscelazione o blending.
Maltazione: è il trattamento dei cereali per rendere più solubili gli amidi contenuti nei semi. Dopo tale processo gli amidi possono essere convertiti in zucchero e poi in alcol. Il processo consiste nel far macerare i chicchi in acqua
per risvegliare il germoglio. Il cereale così umidificato è lasciato germogliare
parzialmente; si procede subito all’essiccazione e ad una leggera cottura ad
aria calda negli appositi forni. In questa fase si sviluppano il profumo e il colore del malto. In Scozia i forni erano tradizionalmente alimentati con la torba, che trasmette un profumo particolare di affumicato. Oggi non è più il
combustibile principale, ma se ne fa sempre uso, al fine di conferire allo scotch
il suo gusto tradizionale.
Cottura: è una fase di lavorazione che riguarda i cereali non maltati, in particolare
il mais, e interessa la produzione di tutti i whisky di tipo nordamericano. La cottura
rompe le pareti di cellulosa che contengono l’amido e può quindi assorbire acqua.
Una volta che il mais è cotto, si può aggiungere segale come aromatizzante ed infine malto d’orzo, necessario per l’azione enzimatica. Ad ogni aggiunta si adegua la
temperatura, perché ciascun cereale necessita di un diverso grado di calore.
Infusione: completa la trasformazione dell’amido in zuccheri fermentabili. Nella produzione di whisky di malto non c’è cottura ma infusione. Il malto macinato è mescolato con acqua calda e sistemato in vasche (mash tun) entro le quali riposa mentre ha luogo il naturale processo di conversione. Questo liquido
denominato wort è in sostanza il mosto non ancora fermentato, ed è tolto e ripetutamente reimmesso nella vasca per la naturale estrazione.
Fermentazione: converte gli zuccheri in alcol, grazie all’aggiunta di lieviti. Il
mosto del malto è posto in grandi tini (wash back) nei quali la massa si muove e schiuma come se bollisse e si ottiene un liquido molto simile alla birra non
aromatizzata al luppolo. A conclusione di questo processo (che dura per gli
scotch 48 ore e per gli irish 72 ore), si ha un liquido che ha circa il 5-8% di alcol etilico, chiamato wash in Scozia e beer in USA.
Distillazione: nella produzione dei whisky di malto si hanno due-tre distillazioni, mediante alambicco che lavora in modo discontinuo (pot still), mentre i
whisky di mais e i whisky americani classici sono prodotti con un metodo continuo a colonne (patent still).
In Scozia la produzione industriale ha fatto sì che nel corso del tempo aumentassero le dimensioni dell’alambicco, che era comunque insufficiente per distillare in un’unica operazione acquavite con almeno 60°. Le distillerie quindi
che adottano ancora questo sistema, denominato pot still, sono provviste di
due alambicchi che lavorano in coppia.
Il primo, denominato wash still, è più grande del secondo, chiamato low wi-
100
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Le fasi della distillazione
del whisky.
Maturazione: la durata dell’invecchiamento in botti di rovere (in gran parte
rovere americano) varia in relazione al whisky, alle condizioni locali e al palato del bevitore. Molti whisky sembrano toccare la perfezione intorno ai 10-15
anni ed è l’età corrente delle marche migliori. Con età maggiori alcuni whisky
diventano spiacevolmente legnosi, altri invece possono spingersi agevolmente
sino al mezzo secolo.
Blending: consiste nella miscelatura di molti whisky. Il blender, cioè colui che
è incaricato della miscelatura, progetta l’adeguamento del gusto troppo particolare del whisky tradizionale, fatto con puro malto, alle esigenze di un pubblico sempre più vasto che gradisce un distillato di cerali (avena, segale, mais,
frumento o orzo di cui solo una parte è maltata) dal gusto meno pronunciato
e più neutro.
Una curiosità: si sa per certo che almeno dal XVII secolo un’acquavite di grano veniva prodotta in Trentino; fino all’inizio del XX secolo, poi, la Landy Frères ha prodotto un suo whisky a Bologna.
Servizio
Un whisky di malto va servito a temperatura ambiente (16-18°C) e sempre liscio, in un tulipano. Sovente si accompagna con un bicchiere di acqua fredda;
l’ideale sarebbe servirlo insieme a una brocca di terracotta con l’acqua con cui
è stato tagliato all’origine (in commercio se ne trovano diverse in bottiglietta),
se il cliente desidera allungarlo. Nel caso di blended e di richiesta di ghiaccio,
si può optare per l’old fashioned.
I DISTILLATI
101
6
BAR
nes still. La materia da distillare viene pompata nel wash still, ricavandone un
prodotto di circa 25% di alcol, che viene successivamente immesso nel low
wine still per la seconda fermentazione. A questo punto interviene lo stillman,
ossia il mastro distillatore, che osservando la gradazione indicata sugli alcolimetri che galleggiano dentro lo spirit safe (letteralmente “cassaforte dello spirito”), divide la testa (foreshote) e la coda (feints) dal cuore. Una congrua riduzione di grado con acqua porta normalmente la concentrazione di alcol etilico tra il 61 e il 67%.
Scotch whisky
Secondo la normativa europea si può chiamare
whisky un’acquavite di cereali con almeno tre
anni d’invecchiamento. Si estrae dall’alambicco ad una gradazione oscillante tra i 6873° (pot still ) e 94° (patent still ), che normalmente è ridotta fino a portare il grado
alcolico intorno ai 65°. Dopo la maturazione il prodotto è diluito dall’imbottigliatore fino agli usuali 40° per il mercato interno, 43° per l’esportazione, e sale
fino ai 60° circa per i whisky speciali.
Le zone diproduzione
del whisky scozzese.
La caratteristica dei whisky scozzesi è data dall’intreccio del dolce con il secco: il
dolce è dato dall’orzo maltato mentre il secco deriva dal gusto affumicato prodotto dalla
torba. Altra caratteristica sono le botti d’invecchiamento, che erano un tempo quelle che avevano
contenuto sherry, il vino di cui gli inglesi sono grandi consumatori. Fino all’avvento della bottiglia, economica e robusta, che permette tra l’altro l’imbottigliamento nella zona d’origine, gli inglesi importavano lo sherry in botte. Agli
scozzesi, da sempre proverbialmente avari, sembrava uno spreco non riutilizzare
tutte quelle botti di rovere americano e così pensarono di sfruttarle per l’invecchiamento dei loro whisky.
Oggi sembra che alcuni produttori siano tuttora soliti avvinare i contenitori con
lo sherry, mentre altri preferiscono invecchiare il loro distillato in botti nuove.
Storicamente la Scozia è divisa in quattro regioni produttrici di whisky, universalmente riconosciute: Highlands, Lowlands, Campbeltown e Islay.
Volendo distinguere questi prodotti, differenziati solo da piccole sfumature,
possiamo dire che:
• i più noti sono quelli delle Highlands (“Alte Terre”, situate sopra la linea immaginaria che va da Glasgow a Dundee) e sono prodotti non nella parte più settentrionali, ma nelle valli (glen) dello Spey e dei suoi affluenti, in particolare il Livet. Grazie al loro numero elevato, sono i più variegati, seppur accomunati dall’affumicamento e dall’amabile, con talvolta uno spiccato sentore di sherry;
• quelli delle Lowlands (“Basse Terre”, prodotti a sud della linea sopracitata)
sono particolarmente morbidi;
• quelli di Campbeltown hanno un sentore di salsedine;
• quelli delle Isole, perlopiù, sono più ricchi di sentore di torba, in particolare
quelli di Islay, noti anche per il profumo di alga.
Secondo la tipologia di produzione possiamo suddividere tutti gli scotch in:
• malt, ottenuti esclusivamente dalla distillazione dell’orzo maltato, normalmen-
te con alambicchi discontinui. Essi possono essere a loro volta suddivisi in:
single malt, ottenuti da puro malto di un’unica qualità, provenienti da una sola distilleria;
vatted malt (vat è il tino), ottenuti da una miscela di single malt;
• grain, ottenuti da cereali, in particolar modo dal mais, distillati in continuo;
102
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
• blended, derivati dalla miscela di grain e malt;
• full proof o full strength (che significa “tutta forza” o “gradazione piena”),
che appena distillati a 68-73° alcolici vengono posti in botte. Durante questo periodo, un processo di evaporazione alcolica porta il livello della gradazione intorno ai 48-65° dopo di che si offrono alla degustazione.
Irish whiskey
L’Irish si differenzia sostanzialmente dallo Scotch per alcuni importanti fattori. Il
primo riguarda la fase di maltaggio dell’orzo, la cui essiccazione avviene senza fare uso della torbatura e priva quindi il gusto finale di quel caratteristico sentore di
fumo. Tra i cereali utilizzati per la produzione del mosto si trovano logicamente
anche grani crudi, quali il mais. Nel passato si usava anche una piccola percentuale di avena e, talvolta, si faceva ricorso alla segale.
La fermentazione è fatta in grandi contenitori, serbatoi da 1000-1500 ettolitri, e
dura un po’ di più di quella dello Scotch, circa 60 ore. Il fermentato che si ottiene ha circa 8° di alcol e viene distillato in alambicchi discontinui e in apparecchi
continui. Anche i pot still, pur di forma analoga a quelli utilizzati in Scozia, presentano differenze rilevanti: sono molto più grandi, possono raggiungere capacità di oltre 1000 ettolitri, e operano con un sistema sostanzialmente diverso per
quanto riguarda la frazione di coda che non viene immessa nella cotta successiva
ma distillata a parte. Questo fa sì che si parli a volte di tre distillazioni. In realtà la
terza non riguarda più tutta la partita di acquavite ma solo la frazione più impura di essa. La distillazione separata dalle code - unitamente alla tendenza di estrarre dagli alambicchi acquavite a una maggiore gradazione alcolica e l’assenza dell’affumicatura del malto - dà whiskey generalmente più leggeri di quelli scozzesi.
L’invecchiamento minimo di tre anni anche nel caso dell’Irish viene compiuto in fusti di rovere bianco precedentemente usati nell’invecchiamento di
bourbon, sherry, porto o rum. Altra particolarità di quest’ultima essenza, che
può produrre differenze organolettiche del prodotto finale.
Viene generalmente commercializzato a 43°.
American whiskey
Anche negli USA la parola whiskey scrive con la “ey” finale. Il whiskey americano ha le sue origini in Pennsylvania e nel Maryland, da dove si è diffuso a
sud, attraverso la Virginia, nel Kentucky e nel Tennessee. Queste terre infatti
I DISTILLATI
103
6
BAR
La prima differenza con il rivale scozzese è quella “ey” finale: sembra che la correzione di “ whisky” in “whiskey” sia da attribuire ai soldati di Enrico II d’Inghilterra che conobbero quel distillato allorché invasero l’Irlanda, nel 1100.
Col tempo e per rafforzare la sua identità quella “e” in più è rimasta.
Anche in Irlanda le date certe della storia del whiskey sono per la maggior parte desumibili da normative governative; del 1608 è la prima licenza di distillazione che tocca Bushmills e fa di questo marchio il più antico (ancora presente sul nostro mercato); nel 1661 si registra la prima forte imposta sulla fabbricazione: 4 penny al gallone, una cifra considerevole, che non solo alimenta la
distillazione clandestina ma spinge al contrabbando anche le distillerie ufficiali, che nel Settecento raggiungono il considerevole numero di 200.
Uno dei “bourbon” più
conosciuti, il Four Roses.
sono caratterizzate da elevati altipiani e da abbondanti sorgenti
d’acqua, un’acqua leggera, dolce, non ferrosa. E l’esperienza insegnò ben presto che quell’acqua dalle speciali caratteristiche
avrebbe determinato un incommensurabile miglioramento della qualità del whiskey. Nel 1640 a Staten Island, vicino a New
York, venne impiantata una distilleria che ricavava acquavite da
un fermentato di mais e di avena ed era in vendita a Manhattan. Nel 1650 si registra il primo imponente fenomeno del
contrabbando dovuto, come sempre, ad una forte tassazione imposta dagli inglesi su melassa e acquavite non provenienti dai loro domini.
Alcune fonti relativamente sicure fanno risalire
al 1753 una distilleria contadina, la Michter’s
Distillery di Schaefferstown, Pennsylavania, che
fu proprietà di varie famiglie di origine tedesca tra
loro imparentate. Nel 1861 vi sorse un impianto industriale. Un’altra fonte parla dei primi insediamenti nel Kentucky datandoli 1775. Ma poiché la vita dei pionieri è carente di documenti
storici attendibili, non sarà mai possibile dire chi fu il primo distillatore.
Il 1789 è un anno degno di nota: il reverendo Eliya Craig, nel Kentucky, mette a punto la ricetta del bourbon, ma è l’Ottocento il secolo della grande espansione del whiskey: dal Regno Unito arrivano mastri distillatori di grande preparazione; alla fine, è James Crow, medico e chirurgo scozzese di chiara fama,
a organizzare su vasta scala la produzione del bourbon.
Il 6 gennaio 1920 fu il primo giorno di quei lunghissimi tredici anni di proibizionismo che sommersero l’America in un mare di alcol clandestino, di distillati di pessima qualità, di poliziotti e di magistrati corrotti, di contrabbando, delitti e gangsterismo. Nacque un gergo tutto particolare per definire luoghi e trafficanti clandestini di un prodotto distillato non si sapeva bene da che
cosa. Il distillatore si diceva alkycooker (lett. “cuoco dell’alcol”); il contrabbandiere era il bootlegger (stivaletto) o racketer (camorrista); speakeasy (parola facile) lo spaccio del whisky.
Alle antiche sedi di produzione del whiskey (Pennsylvania, Maryland e Virginia) oggi se ne sono aggiunte altre come il Kentucky e il Tennessee, sebbene il cuore produttivo si distribuisca dall’Illinois alla Georgia, dal Kansas alla
Carolina.
Secondo il tipo di produzione si può suddivide il whiskey americano in diverse tipologie:
• Straight bourbon whiskey: il nome è preso dalla contea di Bourbon del Ken-
tucky dove si ritiene sia nato; la parola straight, letteralmente “giusto, onesto, diritto” sta a significare che quel whiskey è prodotto con un miscuglio di
cereali di cui almeno uno dev’essere presente in una percentuale del 51%. I
bourbon più saporiti hanno circa il 70% di mais.
Il bourbon viene distillato a 160 gradi proof (equivalenti a 80°) e immesso
sul mercato ad un grado alcolico intorno ai 40-50° circa. È invecchiato per
almeno due anni, in barili nuovi carbonizzati all’interno, e questo processo di
maturazione gli conferisce il caratteristico sentore di vaniglia che il distillato
trae dal rovere nel corso dell’invecchiamento. La dizione “sour mash” (infusione acida) indica il metodo che si usa nella produzione di tutti gli straight.
104
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Canadian whiskey
Siamo nel Seicento e i coloni canadesi, sotto il dominio francese, pongono in
alambicco melasse provenienti dai paesi caldi e sciroppo d’acero locale. Nel secolo successivo arrivano gli inglesi e cambia anche il fermentato in alambicco:
dalle linfe vegetali si passa ai cereali. In un paese freddo come il Canada la produzione di acquaviti non poteva che avere successo e nell’Ottocento, nella sola regione dell’Ontario, vengono censite oltre duecento distillerie attive.
Per quanto gli esordi non siano ben documentati, si ritiene che possano essere
collocati fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, in una zona vicino
a Kingston, che si trova tra le due più importanti città dell’Ontario, Toronto e
Ottawa, e sulla strada per Montreal, nel Quebec.
La fortuna del whiskey canadese fu legata in particolare modo al proibizionismo americano. La grande sete degli USA promosse una vertiginosa produzione in Canada dato che quel grande mercato, nonostante i divieti in patria,
chiedeva sottobanco ettolitri ed ettolitri di qualsiasi bevanda alcolica.
I cereali usati nella preparazione del “Canadian” sono principalmente il mais,
seguito da grano, avena e orzo in parte maltato. Viene distillato in alambicchi
continui a colonne e il grado di estrazione è comunque sempre molto elevato,
fino ad ottenere prodotti di straordinaria neutralità.
L’invecchiamento minimo è di due anni in fusti carbonizzati all’interno o già
utilizzati in precedenza e il blend avviene subito dopo la distillazione. I Canadian sono in generale dei whisky leggeri, molto adatti alla miscelazione per
cocktail.
I DISTILLATI
105
6
BAR
Se è prodotto nel Kentucky e invecchiato almeno un anno, il bourbon può
fregiarsi della denominazione “Kentucky”.
• Rye straight whiskey: è stato il primo genere di whiskey nato negli USA, ed
è prodotto soprattutto in Pennsylvania e nel Maryland con una percentuale
del 51% di segale. Nel vapore, l’intensità della segale è ammorbidita da una
considerevole percentuale di mais. Le regole d’invecchiamento sono simili a
quelle del bourbon.
• Wheat straight whiskey: è prodotto con una miscela di cereali di cui almeno il 51% è frumento.
• Malt straight whiskey: è prodotto con una miscela di cereali di cui almeno
il 51% è orzo maltato.
• Corn whiskey: è prodotto con una miscela di cereali di cui almeno l’80% è
mais.
• Blended whiskey: è un prodotto che può contenere fino a 75 whiskey e distillati neutri diversi. Basta che abbia almeno il 20% di straight whiskey, e il
resto può essere alcol neutro.
• Light whiskey (whiskey leggero): è un whiskey molto leggero, ottenuto ricorrendo ad una distillazione ad elevata gradazione, invecchiato in fusti usati, con aggiunta di aromatizzanti e dolcificanti.
• Tennessee whiskey: è simile al bourbon, dal quale si differenzia per la regione di produzione, il Tennessee appunto, e perché dopo la riduzione alcolica
viene filtrato con carbone attivo.
La menzione bottled in bond (che significa “imbottigliato sotto il sigillo”) è prerogativa degli straight prodotti sotto il controllo governativo, sempre nella medesima distilleria e invecchiati almeno quattro anni.
Il whisky giapponese
È l’ultima nazione che merita di essere menzionata come produttrice di whisky.
Da sempre il popolo giapponese riesce con l’impegno, l’audacia e la professionalità ad imporre ovunque i suoi prodotti. Non da difetto nemmeno nell’arte liquoristica, e in particolar modo nella distillazione del whisky. La prima distilleria nasce
nel 1923, ma è solo negli anni Settanta che cominciarono ad affermarsi caratteristiche, qualità e varietà dei whisky giapponesi, con un numero crescente di blended.
Come gli scozzesi, i giapponesi iniziano la produzione con un’infusione di puro malto d’orzo, in genere torbato, e una doppia distillazione in alambicco per
produrre un single whisky che viene invecchiato in barili di sherry o di bourbon, oppure in barili nuovi, di rovere, carbonizzati.
Ne imbottigliano un piccola parte per distribuirlo come single malt, e si servono della maggior parte come base per la miscelazione con i whisky di cereali distillati in colonna.
Gin
Il gin rientra in molte
preparazioni miscelate, perciò
molti sono i bicchieri in cui
può essere servito.
106
Il gin è la bevanda nazionale inglese, ma ebbe origine in Olanda. La sua invenzione sembra doversi attribuire ad un medico dell’università di Leiden,
Franciscus de la Boë (1614-1672), noto anche come Franciscus Silvius, pseudonimo con cui firmava i suoi scritti. Ufficialmente gli intenti del farmacista
di Leiden erano umanitari e terapeutici: aggiungere alle collaudate virtù dell’acquavite (ristoratrice, digestiva, fonte di energia, di salute e di buonumore)
l’unico merito che ancora non le si riconoscesse, quello di giovare ai reni purificandoli, in quanto il ginepro era considerato un toccasana per i reni affaticati. Il suo gusto era così piacevole che le truppe inglesi durante la campagna nei
Paesi Bassi ne bevvero in grandi quantità. Dall’Olanda all’Inghilterra il passo fu
breve… In cinquant’anni (dal 1684 al 1735) la produzione annua inglese di bevande alcoliche passò dal mezzo milione di galloni a quasi 5 milioni e mezzo e il
gin divenne a Londra la bevanda più popolare e a buon mercato. Le insegne dei
locali promettevano: Drunk for a penny, dead drunk for two pence (ubriaco con un
penny, ubriaco fradicio con due). La situazione degenerò presto e nel 1751 fu varata la legge che limitava sensibilmente il numero delle mescite gravando nel contempo di forti tasse gli alcolici in genere e il gin in particolare.
La parola “gin”è l’abbreviazione dall’olandese genever, che a sua volta
deriva dal latino juniperus, ginepro. Il gin è un’acquavite di cereali aromatizzata principalmente con bacche di ginepro. Nella miscela sono
però presenti anche altri numerosi ingredienti quali: semi di coriandolo, cardamomo, liquirizia, finocchio, noce moscata, radice d’angelica, buccia d’arancia e di limone, iris, mandorle, finocchio, anice, corteccia di quassia, ecc. Questi ingredienti variano secondo le diverse ricette di ogni casa
produttrice, che, come vuole la tradizione, vengono gelosamente tenute segrete.
I tipi più secchi, caratterizzati da uno
spiccato profumo di ginepro, provengono dall’Inghilterra e dagli USA, mentre i
gin olandesi si distinguono per il gusto
maltato e perché sono più corposi.
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Di origine olandese ma molto diffuso in Germania, dove si produce, è lo Steinhäger, un’acquavite di cereali aromatizzata con mosto di bacche di ginepro,
commercializzato in bottiglie di ceramica.
In commercio vi sono diversi tipi di gin:
• London dry gin: è il più noto e famoso gin inglese, ed è quello più usato. È
prodotto per distillazione di un fermentato di cereali in alambicco a colonne. A questo alcol si aggiungono le bacche di ginepro e gli altri ingredienti
aromatizzanti e ridistillato. In genere non viene invecchiato, dal gusto secco,
profumo ed elegante, non eccessivamente marcato. Il suo tenore alcolico
oscilla intorno ai 45°. Difficilmente è bevuto liscio, nel qual caso va servito
ben freddo. È ottimo come base per un’infinità di long-drink.
Le bacche di ginepro,
impiegate per aromatizzare
il gin.
Distillazione del gin con
metodo tradizionale
aromi
tubo di
colata
vapore
alcol rettificato
a 96°
acqua
demineralizzata
tino di
mescolanza
gin a forte
gradazione
BAR
acqua
demineralizzata
teste
e code
gin pronto per
l’imbottigliamento
Distillazione del gin con
metodo degli estratti
tubo
di colata
aromi
alcol rettificato
a 96°
gin aromatico
vapore
acqua
demineralizzata
tino di
mescolanza
I DISTILLATI
6
teste
gin pronto per e code
l’imbottigliamento
107
• Plymouth gin: è un distillato di grano e piante aromatiche; è prodotto a
Plymouth, in Inghilterra, ed è in tutto simile al London dry. La riduzione
dell’alcol è stabilizzata intorno ai 43-44° e viene effettuata con l’acqua del
Meavy river, filtrata dal granito di Dartmoor.
• Old Tom: si ricava dolcificando il gin con lo sciroppo di zucchero. Alcune volte
si aggiungono anche aromi d’arancia e glicerina per rendere il gusto più morbido.
• Sloe gin: si ottiene mettendo a macerare nel gin prugne selvatiche, leggermente pigiate, e dolcificando con sciroppo di zucchero.
• Rue gin: è un gin al profumo di ruta.
• Golden gin: è il gin che deve il suo colore dorato all’invecchiamento in fusti
di rovere che hanno contenuto sherry.
• Fruit gin: è preparato facendo macerare della frutta (arance, mele ribes, ecc.)
nel gin (ad esempio, orange gin e lemon gin).
• Geneva o Dutch gin o Jenever o Holland gin: è il gin prodotto in Olanda,
in particolare a Schiedam, presso Rotterdam; è discendente diretto di quello
preparato nel Seicento. Viene distillato utilizzando l’alambicco a fuoco diretto, con una miscela di cereali (70% di malto e 30% circa di mais o segale) che è macinata, mescolata con acqua e fatta fermentare con lieviti. A questo punto ci sono due metodi per procedere:
• il primo metodo consiste nel mettere le bacche di ginepro e gli altri aromatizzanti a macerare nel fermentato di cereali prima della distillazione;
• il secondo metodo richiede un triplice distillazione eseguita con tre alambicchi continui (da ognuno si ricava un liquido a più alto grado alcolico) e da
uno discontinuo dove si mette il distillato e le bacche di ginepro insieme alle altre erbe. Questo gin è venduto in tipici vasi di coccio detti cruchon e viene solitamente bevuto ben freddo.
Il gin entra in ben 13 ricette di cocktail internazionali (ad esempio Martini
cocktail, Gibson, Negroni) ed è la base di moltissimi altri drink divenuti famosi (ad esempio Gin tonic, Gin lemon/orange).
La vodka è la bevanda
nazionale russa, ma la sua
patria d’origine sembra essere
la Polonia, dove di scrive con
la “w”, “wodka”.
Vodka
La vodka è la bevanda nazionale russa, ed è dai paesi dell’est europeo che trae
le sue origini. Sembra infatti che la “paternità” sia da attribuire alla Polonia
(dove la parola è scritta con la “w” iniziale, wodka): nel Cinquecento, a Cracovia, a fronte di 51 macellai, operavano a quel tempo 35 mastri distillatori! Secondo documenti doganali di Wroclawek, risalenti al 1573, e di Cracovia, datati 1544, la bevanda tradizionale locale veniva ancora chiamata vinum creatum (“vino bruciato”) ma, subito dopo, prese il nome di “gorilka”. Secondo
Frison Werdun, nel 1672 nella vicina Romania la denominazione era “horylka”. Questa gorilka o brantòwka (“vodka bruciata”) era il risultato della prima
distillazione del grano. I polacchi denominano, ancora oggi, prostka, cioè rustica, la vodka distillata una sola volta o okowita la vodka dopo la rettificazione; alambikowka è, invece, la vodka prodotta con speciali alambicchi partendo
da una miscela di prostka e acqua. La nascita è comunque incerta e può essere equamente distribuita tra la Polonia e la Russia. In Russia un documento
del XII secolo cita l’espressione “zhiznennia voda” (“acqua di vita”; “voda” in
lingua russa vuol dire acqua e “vodka” è il suo diminutivo, acquetta).
La vodka è un distillato prodotto con elementi eterogenei. Si ottiene dalla la-
108
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
vorazione di un fermentato di cereali, in particolare frumento, orzo e segale, in
alambicco a colonne, ma anche da melassa, patate, barbabietole, prugne, ortiche e persino dalla semplice cellulosa. Non esiste una regola precisa, ogni produttore può personalizzare il proprio prodotto, utilizzando una o più di queste materie. Affinché sia completamente limpido, l’alcol viene rettificato per
mezzo di un trattamento speciale con carbone attivo di betulla e ripetuti filtraggi. Si abbina facilmente a molti prodotti costituendo una base alcolica eccezionale per i drink. Le tipologia di vodka sono:
• Starka, una vodka polacca dall’aroma piacevole e dal colore ambrato che le
deriva dall’invecchiamento in botti di quercia. Esiste anche una starka russa,
aromatizzata con foglie di meli e peri della Crimea;
• cytrynowka o limonnaya, aromatizzata al limone, di sapore asprigno e colore giallo;
• pertsovka e pieprzowka, aromatizzate al peperoncino, al kummel;
• wisniowka, dal colore rosso rubino, ottenuta dalle ciliegie;
• tatra dal colore verde, aromatizzata alle erbe provenienti dall’omonimo monte;
• ohotnickja, aromatizzata allo zenzero, garofano, peperoncino e ginepro;
• zubrovka o bijon brandy vodka, aromatizzata con una speciale erba che fiorisce nella foresta di Bialowieza;
• krepkaja, dall’alto tenore alcolico (56°).
6
Pur non essendo un’invenzione recente, le vodka aromatizzate solo ultimamente hanno conquistato il mercato italiano. L’aggiunta dei più svariati aromi
naturali alla soluzione idroalcolica ha portato alla produzione di numerosissimi prodotti del contenuto alcolico più ridotto (25-28° circa). I gusti sono i
più disparati: limone, pesca, melone, anguria, mela, pompelmo, mandarino,
arancio, fragola, albicocca, banana, frutti di bosco, liquirizia, menta, fiori, ecc.
Il distillato di patate, della cui distillazione in Germania, Austria, Polonia, Lituania, Prussia e Bielorussia, si ha notizia dalla fine del XVIII secolo, prende il
nome di Schnapps. Ci furono nomi illustri a rendere famosa questa bevanda:
il principe Dimitri Romanoff, che andò in esilio portandosi dietro la formula;
Eristow, tra i cui discendenti troviamo un altro esule illustre, il principe Nicolas Alexandrovitch; Smirkorski, alla cui famiglia si deve la produzione di una
vodka aromatizzata con il mosto fermentato di bacche varie; Smirnoff e Popoff che divennero fornitori della casa imperiale.
Ancora oggi in diverse parti del mondo si trovano distillati simili alla vodka. In Brasile abbiamo la tiquira, distillata dalle patate dolci, che nell’America Meridionale assume, genericamente, il nome di paya; nei Caraibi si produce la limka, aromatizzata al limone; nella Guyana viene prodotta la cachiry, distillato di patate dolci.
Servizio
La vodka, che ha una gradazione alcolica intorno ai 40° circa, va bevuta liscia,
fredda (8°C circa) ma non ghiacciata, nel classico bicchiere da vodka russo che
non è a forma di fiala o provetta, come si usa erroneamente, ma è un piccolo
calice o coppetta a pareti svasate, tale da consentire di bere il distillato non in
una sola volta, assumendo poi una porzione di cibo o un sorso d’acqua. Per
I DISTILLATI
109
BAR
In Finlandia si produce inoltre la Rajamki, secca, di puro grano; in Svezia la
Absolut, dal grano delle terre meridionali.
mantenere freddo il distillato a volte la “provetta” menzionata prima può essere utilizzata inserendola in una coppetta con ghiaccio tritato. Al numero del
servizio, si verserà nel bicchiere a calice. Di sapore neutro, è ottima per long
drink e cocktail determinandone la base. È consigliata per accompagnare il salmone affumicato e il caviale.
Altri distillati di cereali
La denominazione Korn, Kornbrand o Kornbranntwein indicano in Germania e
nei paesi di lingua tedesca una bevanda ottenuta da un mosto fermentato di chicchi interi di frumento, orzo, avena, segale o grano saraceno. Se è a base di grano
viene denominato Weizenbrand, se a base di segale è Roggenbrand.
In Polonia l’acquavite di grano è detta voudka, nella quale sono macerati lamponi, cereali e sorbole.
In Ungheria è prodotto l’holerca, aromatizzato con frutta. In Macedonia si
trova, a base di alcol di cereali, il busa.
In Russia il kwas è un distillato di segale a bassa gradazione alcolica, aromatizzato con bacche di abete nano.
In Argentina si produce la aloja, distillato a base di grano.
In Cile troviamo il guaruzo, distillato di riso fermentato.
In Perù il mazato è un distillato di mais, e la “chica de jora” è ottenuta dal mais
viola, molto alcolica (anticamente denominata “acca”), prodotta masticando il
cereale e raccogliendo i boli in vasi di terracotta e in seguito distillati. Una varietà di chica in Perù è la Morada. Altre “chiche” si ottengono dalla manioca, banane
e altra frutta e prodotte in Cile Argentina, Ecuador, Guatemala e Bolivia.
In Guatemala si beve l’olle, acquavite di cereali, e in Messico il chitail, che risale al tempo degli Aztechi ed è a base di mais, cacao e peperoncini rossi.
In Giappone troviamo un tipo di “corn”, il shochu e il sakè, a base di riso fermentato con uno speciale enzima (koij); il sakè è bevuto in piccolissime tazze
chiamate sakazuki a 12-17°, oppure riscaldato a bagnomaria a 50° in un recipiente di ceramica detto tokkuri.
In Siberia molto simile al sakè si beve il watky.
In Lapponia, a base di alcol di cereali e di infuso d’erbe, viene preparato il
Tryayos Devinerios. In Islanda il Black Death è a base di cereali e bacche nere.
1.6
I distillati di vegetali
Rum
La canna da zucchero, il cui nome scientifico è Saccharum officinalis, proviene
dall’India; era già conosciuta in Europa al tempo di Lorenzo il Magnifico ed era
detta cannamele, “canna di miele”.
La più antica testimonianza scritta riguardo alla produzione del rum (o ron,
in spagnolo) risale al XVI secolo e descrive un distillato proveniente dalle Piccole Antille e precisamente da Barbados. Sembra che il nome rum (o rhum,
come si scrive in francese) derivi da rumbalion o rumbastion, termine del gergo piratesco relativo al trambusto che avveniva sulle tolde delle navi quando s’i-
110
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Il rum si ricava dalla
distillazione della canna
da zucchero.
IL MOSTO PER IL RUM AGRICOLO
Canna
Sfibratura e pressatura
Succo
Purificazione per
riscaldamento,
concentrazione
e filtrazione
(eventuale)
Diluizione
(eventuale)
Correzione del pH
(eventuale)
I DISTILLATI
111
6
BAR
niziava l’assalto. Ma secondo un’altra ipotesi, meno pittoresca ma sicuramente più logica, rum è semplicemente l’abbreviazione del latino saccharum, ossia
zucchero, nome datogli dagli inglesi verso la fine dell’Ottocento per sostituire
quelli più primitivi di guildive o tafià.
Sin dall’inizio della sua storia, il rum entrò nel costume dei marinai, e a bordo
delle navi inglesi (come razione giornaliera, il “tot”) se ne facevano talmente
tanto uso da preoccupare gli ammiragli e imporre dei rimedi. Si narra che l’ammiraglio Edward Vernon (1684-1757) per evitare che i marinai si ubriacassero rischiando di finire le razioni prima dell’arrivo in porto, impose di allungare il rum con acqua. Ne fece le spese il vecchio ammiraglio, soprannominato
old grog per via di certi cappotti di lana pesante (grogham, in inglese) che soleva indossare: per spregio, la bevanda ebbe il nomignolo di “grog”.
Il rum fu anche chiamato “sangue di Nelson” (“Nelson’s Blood”): si racconta
che dopo la battaglia di Trafalgar, dove Nelson trovò la morte, la salma del
grande ammiraglio fu messa sotto rum in modo che arrivasse in patria più o
meno intatta. Durante la notte, fatto un piccolo foro nella bara improvvisata,
alcuni marinai non rinunciarono alla loro sete di rum…
Secondo il decreto Cee 1576 del 1989, il rum è l’acquavite ottenuta dalla distillazione del fermentato del succo ricavato dalla canna da zucchero o dei residui, chiamati melasse, derivanti dalla produzione dello zucchero. Questa acquavite deve essere prodotta distillando a una gradazione non superiore a 96
gradi, avere una percentuale di alcol al consumo di almeno 37,5 gradi.
Sono due i sistemi di produzione del rum. Tenuto conto del paese d’origine, in
ogni caso il rum più pregiato è il cosiddetto “agricolo”, cioè quello ricavato di
prima mano dal succo della canna da zucchero.
• Rum agricolo: la canna da zucchero integra (contiene circa il 70% di acqua,
il 14% di zucchero, il 14% di sostanza legnosa e il 2% di altri composti) è opportunamente selezionata, dopo il taglio e viene subito portata in distilleria;
qui la si pressa sofficemente per ricavare il succo verde, chiamato vesou. Questa deliziosa materia prima, caratterizzata da aromi di grande eleganza, subisce un processo di chiarificazione in apposite vasche, dove si riduce il volume. Passa successivamente in tini di grandi dimensioni e qui fermenta, trasformandosi in mosto, detto anche “vino di zucchero”. A processo fermentativo ultimato, inizia la fase di distillazione.
IL MOSTO
PER IL RUM INDUSTRIALE
Canna
Sfibratura e pressatura
Succo
Alcalizzazione
o aggiunta
di fosfati
Purificazione
per riscaldamento
schiume
sedimenti
concentrazione
sottovuoto
centrifugazione
melasso
50%
Diluizione
Correzione
del pH
zucchero
• Rum industriale: prodotto meno nobile, deriva dalla melassa, cioè dal resi-
duo della fabbricazione dello zucchero. L’alcol che si ottiene per distillazione,
in questo caso, deve essere successivamente arricchito di quelle sostanze aromatiche di cui è carente; viene aggiunto anche un colorante naturale, il caramello, un altro derivato dello zucchero portato ad alte temperature.
La distillazione
La distillazione può essere eseguita sia con alambicchi tradizionali, per i rum
più saporiti, sia in colonna continua, per quelli più leggeri e dal sapore meno
caratteristico. In quest’ultimo caso la distillazione è più spinta e arriva sino a
96° alcolici, ottenendo uno spirito molto rettificato che ha perso quasi totalmente le caratteristiche originarie del fermentato.
Per i rum distillati in alambicco, invece, il processo si ferma solitamente a 8086°, producendo un’acquavite che ancora conserva gli aromi presenti nella materia prima o sviluppatisi durante il processo di fermentazione. Apparecchio
molto tipico è quello a tre corpi. Si tratta di tre caldaie poste affiancate ma su
piani differenti. Nella prima si pone il fermentato e si riscalda, i vapori che da
essa si liberano entrano nel secondo corpo, una parte si condensa e quelli che
arrivano successivamente devono gorgogliare nel liquido, purificandosi e arricchendosi ulteriormente di alcol. Passano poi nel terzo corpo che, in pratica,
non è un distillatore vero e proprio, ma semplicemente uno scaldavino, dove
viene posto il fermentato che verrà distillato nella cotta successiva, in modo
che assorba il calore dei vapori alcolici, consentendo di diminuire i tempi di distillazione e il consumo di energia nell’operazione seguente.
Come per altri distillati, il tenore alcolico viene ridotto intorno ai 40-45° mediante aggiunta di acqua distillata.
Sovente il rum messo in commercio è un prodotto ottenuto mescolando, in
percentuale diversa, rum distillato in alambicco (più saporito e corposo) e rum
prodotto con distillazione continua (più secco).
Oggi, come un tempo, è abitudine diffusa aggiungere aromi al rum. Anticamente tale operazione permetteva di correggere il gusto in caso di prodotti non
ben riusciti; oggi si continua tale operazione per migliorare, rendere più accattivante e conferire una personalità spiccata al rum.
Svariati sono gli aromatizzanti aggiunti al distillato: quelli più tradizionali vanno dai vini liquorosi all’uva passa, dalla vaniglia alla buccia dell’arancia amara.
La maturazione
Un rum agricolo acquisisce un gusto soddisfacente già dopo pochi mesi di affinamento in grandi contenitori d’acciaio, mentre uno spirito dotato di poca
personalità assume un certo valore organolettico solo dopo una sapiente educazione in legno.
Quasi tutti i produttori possiedono sia tini delle dimensioni di circa 20mila litri, sia fusti piccoli della capacità di qualche centinaio di litri, di quercia americana. Generalmente queste ultime botti vengono usate nella fase finale di affinamento del distillato.
Va comunque sottolineato che nelle regioni tropicali i fenomeni d’invecchiamento sono molto più rapidi, addirittura di due o cinque volte, rispetto a quelli che avvengono in regioni a clima temperato o freddo.
L’invecchiamento influisce in maniera determinante sulle caratteristiche organolettiche del prodotto: sei mesi sono sufficienti per un rum leggero ma ci vogliono
112
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Il rum ha due “anime”: una
tipica del distillato
invecchiato, austera e scura;
l’altra chiara, più fresca,
adatta al bere miscelato.
tre, cinque o sette anni per ottenere un rum più saporito e profumato, anche se esistono alcune riserve invecchiate quindici anni e più, distillati dai
sentori particolarmente caldi e ampi. Mentre i primi hanno una capacità unica di adattarsi e mescolarsi a succhi di frutta e altre bevande per la
preparazione di long-drink dal gusto esotico, i secondi, quelli più invecchiati, meritano di essere gustati puri, a temperatura ambiente, così
come tutti i migliori distillati.
Si tratta dunque, di un distillato a due facce: candida e un po’
sbarazzina quella del prodotto “fresco”, austera e bruna quella dell’invecchiato, l’añejo.
Ogni paese delle Antille produce un rum ben caratterizzato,
dal gusto particolare, dovuto alla combinazione di diversi fattori quali il metodo di distillazione adottato, la varietà della canna coltivata, il suolo, l’acqua usata per la distillazione e il ceppo di
lievito impiegato.
Oltre ai paesi storici, quelli situati fra il tropico del Cancro e
quello del Capricorno, vi sono anche altri paesi produttori di
rum, tra i quali Argentina, Australia, Filippine, Sudafrica, ecc.
6
misto a corallo e cenere vulcanica, ideale per la coltura della
canna da zucchero che, a causa della mancanza
d’acqua e di precipitazioni, viene irrigata con
acqua pompata da falde sotterranee. Vi
si producono diversi rum, partendo dalla melassa, sia con alambicchi sia con distillazione continua, generalmente assai
leggeri come corpo e tinta, con un lieve
sentore di affumicato e un discreto grado di untuosità.
• Cuba. Qui il rum è prodotto con melassa e sovente viene filtrato con carbone di legna o sabbia, perché diventi più leggero. Ne esistono due varietà: carta blanca, leggero e incolore, ideale per la preparazione dei cocktail, e carta de
oro, invecchiato qualche anno, di colore ambrato e di gusto morbido, spesso
aromatizzato con uva passa.
• Guadalupa. Nell’isola si producono rum agricoli ricchi di aromi prefermentativi e fermentativi, distillati con sistema discontinuo. Sono chiaramente
rum di cultura francese.
• Guyana. Nell’ex colonia inglese si producono due tipi di rum: quello detto
fruitcured rum, soprattutto per il mercato interno, e il Demerara, prevalentemente esportato. Il fruitcured rum è prodotto tramite distillazione continua
di melassa, fatta fermentare brevemente (36-48 ore), e viene aromatizzato
con l’aggiunta di frutta e spezie prima di essere filtrato e imbottigliato, previa una leggera aggiunta di caramello. Il gusto è leggero, con sentore netto di
frutta e spezie.
Il Demerara, che prende il nome da un fiume lungo il quale si coltiva la canna, è
prodotto con melassa fermentata spontaneamente, cui viene aggiunto acido solforico per uccidere i batteri, e solfato di ammonio per nutrire i lieviti spontanei.
Viene distillato in colonna e colorato con caramello bruciato; ha sapore meno
forte di quanto ci si aspetti, grazie soprattutto alla fermentazione rapida. Alcuni
I DISTILLATI
113
BAR
• Barbados. Le Windward Islands hanno un terreno calcareo
rum Demerara sono distillati, però, in alambicco e hanno quindi un gusto intenso e deciso.
• Haiti. Qui il rum viene prodotto con succo fresco e distillato due volte in alambicco, come il cognac. Benché la canna da zucchero cresca ovunque nell’isola,
quella impiegata per il rum proviene dal nord del paese. Sull’isola si trova anche
un rum fresco, detto “clairin”, distillato una volta sola. È incolore e assai a buon
mercato, venduto sfuso anche per le strade. Il Barbancourt è un rum particolare.
• Giamaica. È la patria dei rum più pesanti e saporiti, sebbene l’evoluzione del
gusto abbia fatto sì che sull’isola oggi si producano anche rum più leggeri. Il
Common Clean è chiaro e leggero, ottenuto tramite distillazione continua a
due o tre colonne spinta sino a 96° e impiego di sola melassa. Più saporiti sono
altri distillati, prodotti da una miscela di melassa e succo fresco di canna e con
l’impiego di alambicchi. Forti e saporiti, per esempio, sono i rum tipicamente
giamaicani, detti “wedderburn” o “plummer”, prodotti con melassa fatta fermentare lentamente, con l’aggiunta del residuo di quella precedente. Vengono
distillati in alambicco e sono assai robusti e profumati. Una volta venivano spediti a Londra in botte e là imbottigliati, prendendo il nome di “London Dock”.
L’Hampden, infine, è un rum ancora più ricco di esteri che viene per lo più
usato per preparare miscele con alcol più neutri e per produrre il Verschnitt,
un rum apprezzato in Germania.
• Martinica. Si producono rum sia con la melassa che con il succo fresco di
canna. Quest’ultimo è spesso addizionato con dunder (la feccia, ossia il residuo della distillazione precedente) ed è prodotto, in questo caso, con fermentazione lenta e distillazione in alambicco. Se è consumato fresco e incolore, come avviene nell’isola, per preparare il celebre punch omonimo, è chiamato grape blanche (“grappa bianca”).
• Portorico. È il primo produttore al mondo e da solo copre il 70% del fabbisogno degli Stati Uniti. Il rum portoricano viene prodotto a partire dalla melassa, cui viene aggiunto lievito coltivato, ed è raffinato, in apparecchi a colonna. Si producono due tipi di rum: il White Label, chiaro, leggero, secco,
e il Gold Label, più invecchiato e appena più aromatico. Per il mercato interno vengono prodotte, inoltre, anche le varietà Palo Vejo e Ron Llave, più
economiche.
• In Brasile si produce l’aguardiente de caña, la cachaça (che analizzeremo più dettagliatamente in seguito), la caninha, la pinga e l’ypioca a seconda delle regioni.
• In Bolivia si produce il caldas.
• Nel Madacascar viene prodotta un’acquavite da mosto della canna da zucchero denominata “bessabesse”. Altri rum vengono prodotti nell’isola di La
Réunion, nell’Oceano Indiano, di fronte al Madacascar, dove si trova un rum
bianco dal gusto leggero e, in quantità più limitata, un rum più invecchiato
e intenso.
• Anche in Egitto si produce un discreto rum, l’“arrak” di Batavia.
• Filippine. Vi si producono due differenti qualità che prendono il nome da
due isole dell’arcipelago: tanduay, più cara e diffusa, e Panay, meno conosciuta.
Dal rum non deriva soltanto il grog, precedentemente menzionato, ma anche
il Punch. Il nome pare derivi dal termine indiano Panc’, che significa letteralmente “cinque” perché cinque erano inizialmente gli ingredienti usati: tè bollente, acquavite di canna, zucchero, cannella e buccia di limone. Con il rum
giamaicano si prepara il Planter’s Punch, freddo.
114
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Una curiosità legata al rum: Stanislao Leszcynski (1677-1766) re di Polonia e
poi re di Lorena, giunto in Francia, volle unire ad un dolce polacco il rum:
nacque così il babà al rum, così chiamato dal nome originario, un dolce a pasta soffice per i nonni (bàba in polacco significa “vecchia” o “nonna”). Piacque
ai Francesi, che ne spostarono l’accento e ne decretarono il successo.
Tequila
Il servizio del tequila, secondo l’usanza messicana, prevede che si ponga il sale
nell’incavo che si forma sul dorso della mano sinistra tenendo il pugno chiuso
con il pollice teso: una spruzzata di limone sul sale, un assaggio del miscuglio e
un sorso di tequila. Oppure si lecca il sale, posto sul dorso della mano, si spruzza in bocca un po’ di succo di limone (o se ne morde una fetta), infine si beve il
distillato. Questa usanza è dovuta ad una precisa ragione: il caldo messicano infatti (in alcuni casi 40-50°C all’ombra) induce una grande traspirazione con relativa perdita di sali minerali, che devono essere reintegrati anche tramite il sale.
Il mezcal si ricava dalla
distillazione dell’omonima
varietà di agave.
Altri distillati in tutto simili sono lo zotal, prodotto in Messico, il mezcal prodotto in Jalisco, distillando tanto le foglie quanto il cuore del mezcal, una cactacea tipica di quella regione, dal colore azzurro e non verde come nelle altre regioni. Alcune bottiglie di mezcal sono poste in vendita con un bruco all’interno: sarà colui che berrà l’ultimo sorso ad averlo “in regalo”. Sempre in Messico ottenuto dall’agave il pulque, bevanda sacra al tempo degli Aztechi offerta
agli dei nel corso delle cerimonie religiose.
Cachaça
La cachaça è un distillato che si ricava dalla canna da zucchero, tipico del Brasile. È incolore o tende al giallo, a seconda dell’invecchiamento. Moltissime
sono le aziende che la producono e ognuna ha una sua ricetta. La cachaça non
differisce molto dal rum, anche se la sua produzione è più artigianale. Sono
peculiari la condizione della fermentazione, la distillazione e l’affinamento.
I DISTILLATI
115
6
BAR
Il tequila (il nome è maschile) è un distillato che si ricava dall’agave Azul tequilana Weber, che cresce in Messico, nella regione di Jalisco, nell’area di Tequila. L’agave è una pianta grassa che vive in terreni aridissimi. La sua base è il
contenitore naturale dove si raccoglie la poca acqua presente nel terreno, la
quale viene impiegata per sintetizzare carboidrati. Queste cabezas o pinas vengono triturate e cotte in autoclave per consentire agli amidi di sciogliersi e di
scindersi in zuccheri più semplici e quindi trasformarsi da lieviti in alcol.
A questo liquido può essere aggiunta anche una percentuale di zucchero di
canna fino al 49%, e poi è messo a fermentare. Dopo 48-72 ore è pronto un
liquido idroalcolico che subisce una doppia distillazione, effettuata in alambicchi discontinui. Dalla prima flemma si ottiene un liquido alcolico di 2030° circa; dalla seconda, eliminate testa e coda, si ottiene un’acquavite di 5560°, che viene ridotta a 43-46° con acqua distillata.
Dal profumo personale e dal sapore aggressivo, se viene posto in legno per almeno sei mesi dà luogo al tipo reposado. Se invecchia in fusti dalla capienza
non superiore ai 250 litri, si fregia della dicitura añejo.
Nell’industria media, la sua realizzazione avviene attraverso la distillazione di
un fermentato di succo di canna da zucchero mediante alambicchi discontinui in rame a tre corpi o sormontati da una corta colonna da tre a cinque piatti. Si ottiene così un’acquavite compresa tra i 40 e i 50°.
Si serve come digestivo e come corroborante. Quando vi si aggiunge del succo di noce di cocco si ottiene la batida.
La cachaça viene usata anche per la preparazione del cocktail Caipirinha. Si taglia un lime (o mezzo limone) in otto pezzi uguali e si mettono in un bicchiere
old fashioned. Si uniscono due o tre cucchiaini di zucchero di canna e si pesta per
favorire la fuoriuscita del succo dal lime. Si aggiunge del ghiaccio a pezzi fino a
colmare il bicchiere e si riempie con la cachaça. Si completa con due cannucce
corte e uno spiedino in plastica appuntito, per prendere i pezzi del lime.
1.7
I distillati di frutta
Calvados
La zona di produzione
del calvados, nel nord
della Francia.
116
È un’acquavite di mele prodotta nel Calvados, piccola regione della Normandia,
in Francia. La storia racconta che fu l’imperatore Carlo Magno a determinare il
successo del Calvados, incrementando la coltivazione delle mele e dettando le prime regole per la produzione del sidro.
La denominazione Calvados risale al
XIX secolo, e deriva dal nome di
una nave spagnola, “El Calvados”,
naufragata sulle coste della Normandia, nome che è passato alla
regione e in seguito al distillato.
Si produce schiacciando le mele
per estrarne il succo. Il mosto di
sidro così ricavato viene fatto
fermentare e successivamente distillato per mezzo di alambicchi
di tipo charentais, a cariche successive che permettono di separare
testa e coda dal cuore. La produzione
si esegue in due tempi: estrazione delle
petites eaux, l’equivalente del bouillis del
cognac, cui segue la trasformazione in acquavite. Dalla prima distillazione si ottiene un prodotto
a 25° circa, per arrivare con la seconda distillazione (dopo aver eliminato la “testa” e la “coda”) a 60-70° alcolici. Si passa quindi all’invecchiamento in botti di
quercia da 250-300 litri, per un minimo di 12 mesi. Successivamente viene ridotto il grado alcolico intorno ai 40-45°. La legislazione vigente classifica così i
calvados:
• Calvados du Pays d’Auge, l’unico ad avere la denominazione d’origine controllata;
• Calvados con denominazione d’origine, prodotti nei comuni di Avranchin,
Calvados, Doufrontais, Pays de Merleranlt e Vallée de l’Orne.
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
A seconda dell’invecchiamento, sull’etichetta è possibile trovare una delle seguenti diciture:
• Tre Stelle o Tre Mele: più di un anno di invecchiamento;
• Réserve o Vieux: due anni di invecchiamento;
• V.O. o Vieille Réserve: da tre a quattro anni d’invecchiamento;
• V.S.O.P.: da quattro a cinque anni d’invecchiamento;
• Extra, Napoléon, Hors d’Age, Age Inconnu: più di cinque anni d’invecchiamento.
Il calvados viene servito nel ballon o meglio ancora in un bicchiere più piccolo, che faciliti la trasmissione del calore della mano. Viene spesso consigliato come digestivo, ma la tradizione vuole che lo si beva a metà pasto, tutto d’un fiato, perché faccia immediatamente posto ad altro cibo nello stomaco, il cosiddetto “trou Normand”.
In Svizzera un prodotto simile al calvados è denominato batzi, mentre in Bosnia è detto rachiu. In Polonia viene denominato mlod un distillato di sidro
dolcificato con miele. In Brasile viene prodotto il cajaudo, un distillato di succo di mele fermentato con aggiunta di erbe e di altre sostanze vegetali. Negli
USA un prodotto simile al calvados, ma poco invecchiato, è detto applejack.
Nei Paesi di lingua anglosassone è denominato anche apple brandy, ma con lo
stesso termine nelle Filippine s’intende un distillato di germogli di cocco.
6
BAR
Kirsch
È un distillato prodotto in Germania (nella Foresta Nera), in Svizzera, in Austria e in Francia dal sidro di molte varietà di ciliegie. I frutti sono schiacciati
e messi a fermentare insieme ai noccioli. Dopo una duplice distillazione con
alambicco semplice, si ottiene un’acquavite dai 55-70°. Messa a riposare in damigiane o in fusti di legno per breve tempo, ne viene poi ridotta la gradazione
alcolica sotto i 50°. Il kirsch è impiegato nei cocktail oppure servito a temperatura ambiente in bicchieri a calice.
I tedeschi lo chiamano Kirschwasser; nell’America del Sud, distillando il succo fermentato di ciliegie amare, viene prodotto il guindado. Ma in Italia, già all’inizio del Settecento, nel vercellese, i monaci preparavano il ratafià, distillando il succo fermentato delle ciliegie selvatiche.
La temperatura di servizio è di 4-6°C, in coppetta Martini.
Williams
Denominata anche Williams, Wihelmina o Poire Williamine, è un’acquavite
prodotta con l’omonima qualità di pere, particolarmente apprezzata per la presenza di una molecola dal gradevole aroma.
Esiste un particolare tipo di produzione che prevede di attaccare la bottiglia
all’albero, introducendo la pera ancora piccola all’interno del collo della bottiglia. Il frutto crescerà all’interno del vetro e, quando sarà maturo, verrà staccato insieme alla bottiglia. Dopo un’attenta operazione di pulizia, la bottiglia sarà riempita dell’acquavite e messa in commercio.
Il srvizio è in un piccolo bicchiere a calice o un mini tumbler, a 4-6°C.
I DISTILLATI
117
Slivovitz
Slivovic (o Slovowitz, o Slivovitz, o Schlivovitz) è un distillato di prugne prodotto nei paesi dell’ex Jugoslavia e nel Friuli Venezia Giulia. Il fermentato, distillato
due volte in alambicchi discontinui, produce una prima flemma con 20-25% di
alcol, mentre con il passaggio successivo si arriva ad avere un’acquavite intorno ai
50°, che è messa a riposare; il tenore alcolico viene in seguito smorzato.
In Alsazia l’acquavite di prugne assume il nome della varietà che viene prodotta
nella regione: Quetch, a 50°; sempre in Alsazia, ma anche in Belgio e Lussemburgo viene prodotta la Mirabelle, dal nome della varietà di prugne gialle, a 50°.
In commercio si trovano diversi distillati di frutta e sarebbe un elenco troppo
lungo da esporre completamente; vediamo qui i più conosciuti.
Peach brandy: è un distillato di succo di pesche fermentato oppure ottenuto
mediante ridistillazione di acquavite in cui sono state macerate pesche con o
senza zucchero.
L’apricot brandy è ottenuto dalla distillazione del succo fermentato delle albicocche. In Ungheria lo chiamano “barak” o “barak pàlinka”, invecchiato per
lungo tempo, a 40-45°.
In Sudafrica viene prodotta un’acquavite di pesche gialle, denominata witblis.
Nei Paesi anglosassoni si prepara un liquore, il peach, a base di brandy nel quale sono messe in infusione delle pesche.
In Germania è molto diffusa la Framboise, un distillato del fermentato di lamponi, dai 33 ai 50°.
In Finlandia, con i lamponi artici, è prodotto il lakka, mentre con i lamponi
selvatici si ottiene il mesimarja.
In Olanda di produce il blackberry, ottenuto dalla infusione e successiva distillazione del succo di more, commercializzato tra i 26 e 30°.
In Francia, nella zona renana, è distillata l’infusione di fragole di bosco, e prende il nome di fraise, a 20°.
1.8
Il servizio dei sigari
Può accadere che a fine pasto al ristorante un cliente richieda l’abbinamento di un distillato con un sigaro. Questo genere di servizio
rappresenta a volte un problema abbastanza delicato perché si
tratta di un fumo molto aromatico che in alcuni casi potrebbe dare fastidio agli altri avventori. Chi si appresta a
fumare il sigaro dovrebbe avere il senso civico di chiedere il permesso alle persone presenti in quel momento
nella stanza (compreso il personale di servizio), anche
trovandosi, com’è d’obbligo per legge, in una sala riservata ai fumatori dotata di sistema di aspirazione e ricambio forzato dell’aria.
Il sigaro si ricava dalle foglie di particolari tipi di tabacco
coltivati soprattutto a Cuba, patria d’elezione dei migliori
prodotti, ma anche nella Repubblica Dominicana, in Giamaica e nella valle del fiume Connecticut, sempre con semi e lavorazioni di origine cubani.
118
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Due confezioni di sigari delle migliori
marche: Partagas e Romeo y Julieta
Petit Coronas.
I DISTILLATI
I sigari delle migliori marche
• Cohiba: Esplendidos (calibro 47)
• Cuaba: Exclusivos (calibro 42-46)
• El Rey del Mundo
• H. Upmann: Sir Winston (un classico “Churchill”)
• H. Upmann: Petit Upmann (calibro 36)
• Hoyo De Monterrey: Epicure n°1 (calibro 46)
• Hoyo De Monterrey: Doublé Coronas (calibro 49)
• Montecristo: n°1
• Montecristo: n°2 (calibro 52 - Il “Torpedo”)
• Montecristo: n°5 (calibro 40)
• Partagas: Serie D n°4 (calibro 50)
• Partagas: Lusitanias
• Partagas: “898” (calibro 43)
• Punch: Punch-Punch (calibro 46)
• Rafael Gonzales
• Ramon Allones
• Romeo y Julieta
• Sancho Panza: Sanchos (calibro 47)
• Trinidad: Fundadores (calibro 40)
• Vegas Robaina: Clasicos (calibro 42)
119
6
BAR
I migliori sigari sono fatti a mano e si distinguono per la lavorazione
accurata e la qualità delle materie prime impiegate. Per la fabbricazione di un sigaro sono necessarie cinque foglie sovrapposte e poi arrotolate. Lo strato esterno, parte importante e costosa del sigaro, si chiama
“capa” ed è composta da foglie invecchiate 1-2 anni in fabbrica prima
di essere utilizzate. Il secondo strato è formato dalla “sottocapa” con foglie che danno aroma e facilitano la combustione.
Lo strato ulteriore è poi la “tripa”, composta da tre diverse qualità di foglie che sono le responsabili dell’aroma particolare che quel determinato tipo di sigaro ha, e continuerà ad avere di anno in anno, grazie all’esperienza dell’arrotolatore e di chi sceglie le materie prime. Queste foglie si chiamano “volado”, “seco” e “ligero”.
I sigari vengono venduti in scatole, generalmente di legno, eventualmente avvolti in uno strato di cellophane che dovrebbe proteggerli
dall’umidità sia in eccesso sia in difetto. La conservazione ideale avviene negli “humidor”, scatole in legno generalmente di cedro, con
un umidificatore, un termometro (temperatura ideale 16-18°C) ed
un igrometro (umidità consigliata 65-70%).
Il colore e le dimensioni variano da tipo a tipo di sigaro: in genere gli
esemplari più scuri e più grandi di diametro sono più intensi.
Per quanto riguarda le dimensioni, ciascuna di esse è identificata da
un nome diverso: si va dal “demi-tasse” con una lunghezza di 102 mm
e un calibro pari a 30, fino al “Gran Corona” di 235 mm di lunghezza e calibro 47. Fra le marche più apprezzate dagli intenditori si possono ricordare Cohiba, H. Upmann (di cui fra l’altro si racconta che
John Fitzgerald Kennedy fosse grande consumatore, nonostante l’embargo da lui stesso imposto nel 1961 sui prodotti cubani), Montecristo, Partagas, Romeo y Julieta.
Fra i migliori sigari, identificati per tipo, troviamo
i seguenti:
Perfectos (dalla forma caratteristica a fuso):
Cuaba
• Cuaba Divino cal. 43, 102 mm
• Tradicional cal. 42, 121 mm
• Generoso cal. 42, 133 mm
• Exclusivo cal. 46, 142 mm
Partagas Presidente
Corona Grande
• Partagas 898 cal. 42, 155 mm
• Montecristo tubos
• Cohiba Siglo III
• Romeo y Julieta Corona Grandes
• Hoyo de Monterrey “Les Hoyos de Dieux”
Gran Corona
• Montecristo A cal. 47, 235 mm
• Romeo y Julieta Fabulosos
• Sancho Panza Sanchos
Double Corona
• Romeo y Julieta Churchill (200, 240 mm)
• Punch Double Corona
• H. Upmann Double Corona
• Hoyo de Monterrey Double Corona
• Rey del Mundo Double Corona
L’ humidor è il contenitore ideale per conservare i sigari a
temperatura e umidità costanti.
Lonsdale
• Punch n° 1 (150, 170 mm)
• Montecristo n° 1
• Rafael Gonzales Lonsdale
• Rey del Mundo Lonsdale
Corona
• Partagas Corona cal. 42, 142 mm
• Punch Royal Coronation e Coronas
• Montecristo n° 3
• Romeo y Julieta Cedros n° 2 e tubo n°1
• Hoyo de Monterrey Coronas
• Le Hoyo du Roi
• H. Upmann Coronas
• Rey del Mundo Coronas
Demi Corona
• Punch n° 3
• Montecristo n° 5
120
DISTILLATI, LIQUORI E COCKTAIL
Petit Corona
• Montecristo n° 4
• Rey del Mundo Petit Coronas
• Romeo y Julieta Petit Coronas
Gli abbinamenti
Gli abbinamenti ideali di un sigaro sono i distillati invecchiati, che assumono
colorazione ambrata, profumi intensi e sapore caldo armonico. Sicuramente
nell’abbinamento sono facilitati i distillati di origine cubana quali i rum, ma
si possono anche abbinare molto
bene anche con armagnac, cognac, e whisky. Un abbinamento
particolarmente azzeccato prevede il cioccolato (soprattutto se
amaro) e vini liquorosi invecchiati come lo sherry. Un altro
abbinamento particolarmente
indicato prevede il tè, nelle tipologie Ceylon e tè nero cinese.
Questo abbinamento pare derivi addirittura dai luoghi di produzione dei sigari dove i degustatori di sigari sorseggiano questa bevanda fra una degustazione e l’altra.
Un assortimento di sigari Cohiba
nei vari formati.
I DISTILLATI
121
6
BAR
Il servizio dei sigari
Fumare un sigaro richiede un particolare cerimoniale che diventa più importante in proporzione al tono del locale e se i prodotti offerti sono particolarmente pregiati. L’addetto dovrebbe avvicinarsi al tavolo del cliente con l’humidor, illustrando brevemente gli esemplari disponibili. Dopo che il cliente ha
effettuato la sua scelta, si dovrebbe provvedere a privarlo dell’involucro, senza mai eliminare la fascetta in carta posta a pochi centimetri dall’estremità
chiusa.
A questo punto, con un apposito attrezzo (forbicine o ghigliottina) viene tagliata la parte chiusa solo per la porzione necessaria a intravedere il ripieno
centrale.
In ultimo, si accendere il sigaro tenendolo per il centro, passandolo sulla fiamma di una candela o di un fiammifero in legno (la fiamma deve essere inodore, per non trasmettere al sigaro aromi indesiderati: i puristi raccomandano
una bacchetta di legno di cedro) e agitando brevemente la parte accesa al fine di alimentare la combustione.
Infine, si appoggia su un posacenere e si porge al cliente. In alcuni casi l’accensione viene effettuata dal cliente stesso che sarà dotato di fiammiferi (non
cerati). Assolutamente da evitare accendini alimentati a benzina.

Documenti analoghi

La lista distillati

La lista distillati whiskey, mentre una piccola parte è costruita con doghe di botti di cognac e brandy. METODO SOLERA: è un sistema di invecchiamento “a cascata”: si chiama infatti solera la struttura composta da alm...

Dettagli