Tra crisi e nuovi media, come cambia il giornalismo

Transcript

Tra crisi e nuovi media, come cambia il giornalismo
604
Studi e ricerche
AS 09-10 [2011] 604-614
Marco Ostoni *
Tra crisi e nuovi media,
come cambia
il giornalismo
D
a qualche anno il mondo dei media sta attraversando, con una marcata accelerazione a
partire dal 2008 — quando esplode la più
grave crisi economica internazionale dal secondo dopoguerra —, una trasformazione di sistema, che coinvolge in primis il settore della carta stampata, alle
prese con fenomeni che rischiano di porre una seria ipoteca sul futuro del giornalismo «tradizionale», tanto da spingere alcuni a parlare di un’incipiente era di
news senza paper, cioè di notizie sganciate dal loro supporto più antico, la carta.
Alla sempre più forte concorrenza di Internet (blog 1, giornali on line, aggregatori di notizie dei principali motori di ricerca, ecc.), cui ha fatto da contraltare
un marcato calo nella diffusione di quotidiani e periodici, si sono aggiunti quasi
dovunque il brusco crollo della pubblicità (primo e diretto effetto della crisi) e,
in Italia, la fine dell’effetto traino delle pubblicazioni allegate a giornali e riviste
(i cosiddetti collaterali), il venir meno delle agevolazioni sulle tariffe postali per
gli abbonamenti e il ridimensionamento delle sovvenzioni pubbliche. Le società
editrici italiane, che hanno registrato significativi peggioramenti nei loro conti,
hanno risposto lanciando nell’ultimo biennio robusti «piani di crisi», con prepensionamenti e tagli agli organici redazionali che hanno espulso dal mercato del
lavoro centinaia di giornalisti, senza peraltro riuscire a eliminare le perdite. La
concorrenza del web e degli altri media (tv, radio, telefonia mobile), assieme
a una più profonda perdita di appeal di una stampa cartacea in crisi di autorevolezza per gli eccessi di partigianeria che da anni la contraddistinguono, hanno
dato così un violento scossone agli assetti consolidati del giornalismo «tradizionale», con evidenti contraccolpi sul terreno della qualità e del pluralismo dell’offerta informativa e, di conseguenza, su quello della «tenuta» democratica.
Anche se tendenze analoghe sono in atto a livello internazionale, in questo
lavoro focalizzeremo l’attenzione sul nostro Paese, affrontando il tema dell’informazione che cambia sotto tre prospettive:
* Giornalista e dottore di ricerca in Storia, <[email protected]>.
1 Cfr Siino A., «Blog», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2005) 756, e Rabbi N., «Blog e giornalismo in Italia»,
in Aggiornamenti Sociali, 1 (2007) 44-52.
© fcsf - Aggiornamenti Sociali
Tra crisi e nuovi media, come cambia il giornalismo
605
1) il difficile momento congiunturale della stampa quotidiana e periodica, alle prese con la crisi economica e con la necessità di trovare nuovi modelli di business in grado di recuperare redditività e garantire prospettive di
crescita;
2) la crisi strutturale (che si sovrappone, aggravandola, a quella congiunturale) del giornalismo «tradizionale», chiamato a fare i conti con le nuove
forme dell’offerta informativa dell’era digitale, che mettono in difficoltà non
soltanto la tenuta economica dei gruppi editoriali, ma anche e soprattutto il
modello consolidato di giornalismo ereditato dal secolo scorso e impongono un
profondo e radicale rinnovamento, di cui proveremo a tracciare qualche possibile linea di sviluppo;
3) la crisi di autorevolezza, di qualità e di valore della nostra carta stampata, che, nel tentativo di rincorrere altri media e invischiata in un circuito vizioso fra editoria e politica che non ha pari in altri Paesi, ha finito per snaturarsi, perdere autonomia e capacità attrattiva nei confronti del pubblico, di per sé
già molto ridotto.
1. Il biennio «nero»
La miglior fotografia del recente andamento del giornalismo «tradizionale»
nel nostro Paese è quella scattata dalla Federazione italiana editori giornali (fieg)
nella ricerca La stampa in Italia 2008-2010 2, dedicata all’analisi puntuale del
settore nel suo complesso, considerando tanto la stampa quotidiana quanto quella periodica e con una finestra sull’informazione digitale.
a) I quotidiani
Un dato su tutti «certifica» le difficoltà attraversate dagli editori di giornali
nel biennio 2008-2009 e in parte non ancora superate: il crollo del margine
operativo lordo (mol) 3. Tale indicatore, per il complesso del settore editoriale,
ha subito nel 2008 un netto ridimensionamento, scendendo a 158,1 milioni di
euro dai 261,6 milioni del 2007, per poi precipitare in territorio negativo nel 2009
(-30,8 milioni) 4. Nel corso del 2010 l’andamento si è gradualmente rovesciato e,
nei primi nove mesi dell’anno, grazie alla ripresa dei ricavi (+0,6%) e al più accentuato calo dei costi (-4%), reso possibile anche da un’importante «cura dimagrante» delle forze redazionali, si sono rivisti utili per 58,1 milioni di euro.
2
fieg.it>.
Federazione Italiana Editori Giornali, La stampa in Italia 2008-2010, Roma, 13 aprile 2010, in <www.
3 Il MOL è un indicatore di redditività aziendale che evidenzia il risultato economico della sola gestione
caratteristica di un’azienda, a monte di ammortamenti e oneri finanziari e fiscali. Equivale alla differenza tra
ricavi delle vendite e costo del venduto ed esprime quanta parte dei ricavi rimane a copertura dei costi non
direttamente operativi e per l’eventuale remunerazione del capitale di rischio.
4 In particolare nel 2009 la flessione dei ricavi (-14,3%) è stata solo parzialmente compensata dalla diminuzione dei costi (-8,5%). La perdita complessiva accumulata dal settore editoriale è risultata di 172,8 milioni di euro.
606
Quote del mercato pubblicitario
dei diversi mass media.
Anno 2009 (%)
Fonte: WAN-IFRA, World Press
Trends 2010, <www.wan-press.
org/worldpresstrends2010/
articles.php?id=50>.
Marco Ostoni
La struttura del mercato pubblicitario
Quotidiani Periodici
Italia
Francia
Germania
Giappone
Regno Unito
Spagna
Stati Uniti
16,9
37,3
37,3
15,5
25,5
20,1
22,2
11,4
16,9
18,8
7,2
9,6
7,9
12,5
tv
Altri
56,3
32,6
20,6
41,1
26,8
43,4
35,5
15,4
13,2
23,3
36,2
38,1
28,6
29,8
La forte contrazione dei ricavi nel biennio in esame è stata provocata in
primo luogo dal calo della pubblicità, vera e propria linfa vitale per la stampa
italiana, caratterizzata storicamente da una domanda debole: le vendite dei quotidiani nel nostro Paese non hanno mai oltrepassato i 7 milioni di copie, a causa
di una mai superata arretratezza che coinvolge tutti i consumi culturali. In particolare nel 2008 la riduzione degli introiti pubblicitari è stata pari al 7,5% e
nell’anno successivo addirittura al 16,3%. E anche nel 2010, che pure ha visto
una ripresa complessiva sui media delle inserzioni a pagamento (+3,8%), la
stampa quotidiana ha pagato un ulteriore calo del 4,3% 5. Indubbiamente la
crisi economica ha giocato un ruolo decisivo nella riduzione degli investimenti
pubblicitari, ma in Italia l’impatto è stato proporzionalmente più elevato rispetto ad altri Paesi per la peculiarità di un mercato sempre più squilibrato a favore
della televisione. Se infatti nel 2005 la tv assorbiva il 55,9% del mercato pubblicitario e la stampa nel suo insieme il 32,3% (19% i quotidiani e 13,3% i
periodici), nel 2009 lo scarto è cresciuto, con un incremento della quota della
tv (56,3%) e una riduzione di quella della stampa (28,3%, somma del 16,9%
dei quotidiani e dell’11,4% dei periodici), erosa anche da altri media (radio e
Internet in testa), la cui quota è passata dall’11,8% al 14,4%. Nel 2010, poi, il
fenomeno è proseguito e la quota della stampa è scesa addirittura al 26,6%,
mentre la tv ha sfiorato il 60%. La tabella qui sopra permette di apprezzare la
differente struttura del mercato pubblicitario italiano rispetto a quello dei principali Paesi occidentali.
Nell’ultimo triennio si è registrato anche un preoccupante calo delle tirature e delle vendite dei quotidiani, l’altra posta determinante del fatturato
5 Il risultato negativo è imputabile in primo luogo alla free press (i giornali distribuiti gratuitamente), che
ha lasciato per strada ben il 25,2% (anche in virtù della chiusura di una testata importante come E-Polis), e ai
periodici, nei quali il calo della raccolta pubblicitaria è stato del 5,4%, mentre i quotidiani a pagamento hanno
mostrato una migliore tenuta, perdendo «solo» il 2%. Dati in parte diversi fornisce l’agenzia Prima Comunicazione (<www.primaonline.it>), secondo cui il 2010 si sarebbe chiuso con un calo complessivo del 2,7% nel
settore carta stampata in generale, con i quotidiani a -3%, i mensili a -5,6% e i settimanali in controtendenza,
attestati a +0,6%.
Tra crisi e nuovi media, come cambia il giornalismo
607
delle imprese editoriali insieme alla pubblicità e alle agevolazioni pubbliche 6.
Le vendite, in edicola e ancor più in abbonamento 7, hanno registrato un’accelerazione della tendenza calante già imboccata a partire dal 2001: -4,7% nel 2008,
-7% nel 2009 e -4,3% nel 2010. Lo scorso anno le vendite medie dei quotidiani
hanno superato di poco i 4,5 milioni di copie giornaliere, contro i 6,8 del 1990
e i 6 del 2000 8: un vero e proprio tracollo 9, cui è da aggiungere quello della
stampa periodica, che è stato colmato solo in parte dalla free press 10, coinvolta
anch’essa dalla «frenata» degli ultimi anni, e dai new media.
Il già citato parziale recupero registrato nel 2010 nei conti degli editori
italiani — quantomeno relativamente ai quotidiani — e confermato anche nel
primo semestre del 2011 stando ai primi dati disponibili, è stato realizzato in
buona parte «sulla pelle» degli operatori dell’informazione, giocando cioè sulla
riduzione del costo del personale, soprattutto quello giornalistico, il più oneroso. Nel corso del 2009 e del 2010 si è assistito a una lunga serie di vertenze,
avviate dai singoli gruppi editoriali con la Federazione nazionale della stampa
italiana (fnsi), di fatto il sindacato unico dei giornalisti, in seguito all’apertura
di altrettanti stati di crisi e all’intervento del Governo, che ha stanziato 20 milioni di euro per fronteggiare i costi di prepensionamento, cui si è aggiunta una
quota del 30% posta in carico agli editori. Grosse realtà editoriali quali rcs
(Rizzoli Corriere della Sera), il Gruppo Espresso e il Sole 24 Ore, ma anche testate di minor diffusione o agenzie di stampa come l’ansa (Agenzia nazionale
stampa associata), hanno ridotto i propri organici di decine di unità. Nell’insieme
  6 Lo scarto fra tiratura (cioè il numero di copie stampate) e venduto (in edicola e tramite abbonamento),
con il conseguente fenomeno delle rese, è particolarmente elevato in Italia, in virtù di due fattori: una rete distributiva farraginosa e una legislazione sui contributi pubblici — oggi peraltro in via di ridefinizione — che
premiava chi aveva una maggiore diffusione, spingendo gli editori a stampare più copie del necessario, salvo
poi venderne grossi quantitativi in blocco con sconti altissimi o addirittura regalarle. Quanto ai contributi
pubblici, a parte le agevolazioni su carta e spese postali (queste ultime fortemente decurtate nel 2010), in
Italia vengono erogati cospicui aiuti ad alcune categorie di giornali: quelli «di partito» e quelli stampati da cooperative editoriali. Anche in questo caso è in corso un ripensamento generale, che ha reso più rigorosi e
razionali i criteri di accesso ai fondi: un percorso «virtuoso», che però metterà a rischio numerose pubblicazioni periodiche, per le quali i soli proventi pubblicitari e da vendite non consentono la sopravvivenza. Sulla
questione si vedano le riflessioni, anche se in parte superate, di Marsili M., La rivoluzione dell’informazione in
Rete. Come Internet sta cambiando il modo di fare giornalismo, Odoya, Bologna 2009, 89-90.
  7 Per i quotidiani italiani le copie vendute in abbonamento raggiungono a mala pena il 9% del totale,
contro valori superiori all’80% in Giappone e in alcuni Paesi nordici e percentuali comunque molto elevate
negli USA (75%), in Germania (65%) e in Francia (48%).
  8 Queste cifre sono elaborate dalla FIEG a partire dai dati forniti da 56 testate quotidiane associate.
  9 Il calo più robusto ha interessato i quotidiani economici, quelli nazionali e quelli politici, seguiti dagli
sportivi, mentre meglio hanno tenuto i giornali locali (provinciali, regionali e pluriregionali).
10 Dopo l’esplosione dei primi anni Duemila, con la compresenza a un certo punto in Italia di ben sei
testate nazionali, il fenomeno della free press si è in parte ridimensionato, anche se può ancora contare sui
numeri consistenti messi insieme soprattutto da Leggo (con una media di 963mila copie nel 2009), City
(779mila) e Metro; nel 2009 la diffusione media giornaliera della free press in Italia è stata di circa 4 milioni
di copie, contro i quasi 4,8 dei quotidiani a pagamento. A livello mondiale, tra 2009 e 2010 il calo del settore,
con l’eccezione dei Paesi emergenti, è dell’ordine del 9%; cfr Free Daily Newspaper 56 (2010), <www.news
paperinnovation.com/wp-content/uploads/newsletter5610.pdf>.
608
Marco Ostoni
sono state tagliate diverse centinaia di posti di lavoro, le spese di personale
sono calate, nel solo 2009, del 9,5% e nuove riduzioni sono tuttora in corso.
b) I periodici
Se la situazione dei quotidiani è difficile, quella dei periodici appare ancora
più critica e con prospettive di recupero e rilancio tutte da verificare, soprattutto per quanto concerne i possibili scenari di sviluppo su Internet: visto che
questo canale trova nella rapidità il suo punto di forza, per rendersi visibili le
testate a periodicità più dilatata dovranno cercare di presentarsi in maniera
differente rispetto alla versione cartacea, offrendo servizi e contenuti aggiuntivi,
notizie aggiornate, commenti più articolati, immagini, video, ecc.
La crisi economica ha colpito con particolare intensità settimanali e mensili, assestando un duro colpo a un settore già in arretramento da diversi anni. Nel
2009 i ricavi editoriali sono diminuiti del 14,2%, soprattutto a causa della
forte flessione degli introiti pubblicitari (-29,1%), accompagnata dalla diminuzione dei ricavi da vendite (-9%). L’andamento declinante si è attenuato in
parte nel 2010, con una contrazione del fatturato editoriale del 2,2%, imputabile in misura pressoché pari alla pubblicità (-2,1%) e alle vendite (-2,3%), ma gli
editori continuano a registrare perdite. Sul piano della diffusione si sono registrati cali importanti, oltretutto innestatisi su un percorso discendente avviato
da tempo e senza segnali di recupero nel corso del 2010. I settimanali sono diminuiti del 10,9% nel 2009 e di un ulteriore 2,5% nel 2010 11. Dal canto loro i
mensili hanno perso il 4,4% nel 2009 e il 7% lo scorso anno.
Fra i settimanali l’andamento negativo tocca quasi tutti i generi, fatta eccezione per gli specializzati (cresciuti del 33,4% fra 2008 e 2009); in brusco calo
anche comparti considerati punti di forza del settore, come i femminili (-2,5%), i
periodici di televisione (-10,2%) e di attualità (-4,9%). Nel gruppo dei mensili,
invece, nello stesso periodo tengono quelli dedicati alla gastronomia (+5,9%) e le
testate di attualità e politica (+3,8), «volano» un po’ a sorpresa i maschili (+51,5%)
e gli specializzati (+29,6%), mentre tutte le altre categorie diminuiscono.
2. Il futuro è nel web?
Se il quadro sin qui tracciato apre non pochi interrogativi sulle prospettive
della carta stampata, vi sono tuttavia indicatori che vanno in senso opposto. In
primo luogo, se il numero delle copie di quotidiani e periodici vendute in Italia
è in netto calo da un decennio, la platea dei lettori è invece cresciuta costantemente, fino a oltrepassare nel 2009 la soglia di 24 milioni (media giornaliera),
11 Il Nono rapporto CENSIS – UCSI, I media personali nell’era digitale, Roma 2011, in <www.censis.it>,
presentato lo scorso 13 luglio, registra invece un incremento del 2,4% delle vendite dei settimanali sul periodo 2009-2011, il che fa presupporre — se la rilevazione è corretta — un buon recupero del settore fra il 2010
e il primo semestre del 2011.
Tra crisi e nuovi media, come cambia il giornalismo
609
pari a oltre il 45% della popolazione con età superiore a 14 anni. Ciò è avvenuto
per la combinazione di due fattori: inizialmente la free press ha intercettato
lettori in precedenza tagliati fuori dal mercato della stampa quotidiana; in seguito è aumentata l’importanza del web come canale di accesso ai giornali, con i siti
on line dei quotidiani, la posta elettronica, gli aggregatori di notizie dei motori di
ricerca e, da ultimo, i social network 12 (Facebook, Twitter, ecc.). L’aumento dei
lettori di quotidiani rientra in un quadro più generale che ha visto in crescita
l’insieme dei consumi del comparto mediatico fino al 2009, registrando in seguito un parziale ripiegamento legato quasi certamente agli effetti della crisi 13.
a) La stampa on line
Per quanto riguarda più nel dettaglio i siti Internet dei quotidiani, i dati
di fruizione sono incoraggianti: stando all’indagine della fieg, al dicembre del
2010 gli utenti unici in un giorno medio 14 sono cresciuti del 37% rispetto allo
stesso periodo dell’anno precedente, con un incremento più che doppio rispetto
a quello degli utenti complessivi di Internet (+15,3%). La percentuale di internauti che frequentano siti di quotidiani si è così issata fino al 45,4% del totale
rispetto al 38,3% del 2009. Un chiaro segnale di salute dell’informazione on
line, che ha saputo evidentemente intercettare parte dell’utenza persa in edicola,
ma anche quote di nuova utenza, attirate dal prestigio delle testate. Su questo
trend hanno giocato un ruolo importante gli sviluppi tecnologici che stanno trasformando in maniera radicale il prodotto editoriale e la sua fruizione, in particolare le nuove piattaforme mobili per l’acceso al web quali telefoni cellulari di
ultima generazione (smartphone) e tablet 15. Il dato che emerge dalla ricerca
della fieg trova conferma in un’indagine realizzata nel 2009 da AstraRicerche 16
per conto dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia su un campione rappresen12
Cfr Santoro E., «Social network», in Aggiornamenti Sociali, 4 (2011) 299-302.
Cfr CENSIS – UCSI, I media tra crisi e metamorfosi, Roma 2009, in <www.censis.it>, che costituisce
l’Ottavo rapporto CENSIS – UCSI sulla comunicazione, da cui si evince come tra il 2001 e il 2009 siano aumentati i consumi di tutti i media, a partire proprio da Internet (+26,9%), seguita da radio (+12,4%), telefoni
cellulari (+12,2%), libri (+2,5%) e televisione (+2,5%). I dati del già citato Nono rapporto, relativi all’ultimo
biennio, segnalano uno stallo generalizzato: TV e radio arretrano, sia pur di poco (rispettivamente dello 0,4%
e dell’1%), così come calano (del 5,5%) gli utenti della telefonia mobile e i lettori di libri (-0,3% i cartacei, -0,7%
gli e-book). Per quanto riguarda la stampa, crescono free press (+1,8%), quotidiani on line (+0,5%) e settimanali (+2,4%), mentre per i quotidiani a pagamento è notte fonda (-7%). In generale si evidenzia l’esplosione del
cosiddetto press divide: nel 2011 i mezzi di comunicazione a stampa sono esclusi dalla «dieta mediatica» del
45,6% degli italiani, contro il 39,3% del 2009 e il 33,9% del 2006.
14 Il concetto di utente o visitatore unico (in riferimento a un arco temporale predeterminato) è alla base
delle statistiche sulla fruizione dei siti Internet: vista la possibilità di innumerevoli accessi al medesimo sito,
sono computati una sola volta tutti quelli compiuti, nell’unità di tempo adottata, a partire dallo stesso terminale (identificato con un proprio codice univoco, il numero IP).
15 Questo termine, talvolta italianizzato in «tavoletta», indica quei computer portatili, sottili e leggeri,
pensati soprattutto per la connessione a Internet e sui quali si opera direttamente dallo schermo, utilizzando
le dita o delle penne digitali.
16 AstraRicerche, Gli internauti italiani e il consumo di informazioni tramite i media classici e i new media,
in <www.odg.mi.it/ilfuturodelgiornalismo>.
13
610
Marco Ostoni
tativo di internauti, dalla quale risulta che i siti dei quotidiani sono al terzo posto
tra quelli frequentati dai «forti utilizzatori» del web e al primo posto fra gli «utilizzatori occasionali». Non molto diverse le risultanze dell’inchiesta a campione
compiuta dal Laboratorio di ricerca per la comunicazione avanzata (larica)
dell’Università degli Studi di Urbino nel 2011 17, secondo la quale il 60,9% dei
cosiddetti on line news consumer (consumatori di notizie on line) si informa mediante portali e motori di ricerca, con i quotidiani appena più sotto (53%). Il 23%
degli utenti considerati, infine, riceve informazioni da persone o organizzazioni
seguite su Facebook.
Se la tv e la radio vengono scelte per la loro vivacità e aggressività, la maggioranza degli internauti si indirizza sulla stampa on line (quotidiana ma non
solo) con l’obiettivo di cercarvi serietà, affidabilità, ampiezza e approfondimento delle notizie, cioè quegli aspetti qualitativi di un marchio che i «padri»
cartacei dei siti in questione si sono conquistati in lunghi anni di presenza in
edicola. Che poi queste aspettative vengano effettivamente premiate è un altro
discorso. A questo proposito la citata ricerca di larica mette in luce come l’83,3%
degli utenti di news sul web ritenga che i media siano schierati e il 77% creda
che gli stessi omettano volutamente informazioni, anche se poi la netta maggioranza (65,7%) reputa soddisfacente la copertura dei propri interessi da parte dei
siti consultati.
Quanto al profilo dei consumatori di notizie in Internet, l’inchiesta
dell’Università di Urbino mette in luce che sono gli adulti e gli anziani a seguire con assiduità l’informazione sul web, mentre i giovanissimi che accedono
quotidianamente a Internet per cercare notizie raggiungono percentuali assai più
modeste 18. La fruizione delle notizie su Internet, in ogni caso, riguarda in netta
prevalenza persone con titolo di studio elevato (nell’88,6% dei casi, infatti, si
tratta di diplomati o laureati).
b) Diversificare e partecipare: l’approccio all’informazione nell’era digitale
Un aspetto importante emerso in tutte le ricerche più recenti sulle modalità
di acquisizione delle informazioni da parte degli internauti riguarda la molteplicità delle piattaforme di accesso. Chi usa Internet per cercare notizie, anzitutto, non lo fa in maniera esclusiva, ma affianca all’informazione on line quella
ottenuta da altri media. In particolare, il 50,5% degli italiani utilizza sia il web,
sia i media tradizionali (tv, radio e carta stampata) e tra costoro ben il 96% ricorre a due o più mezzi di informazione (il 48,7% addirittura a cinque o più).
Non a caso, perciò, la già citata ricerca condotta da larica utilizza l’immagine
17 Cfr Mazzoli L. – Giglietto F. et al., L’informazione da rito a puzzle. Le news e gli Italiani: dalla carta
stampata, alla rete, al mobile, <http://larica.uniurb.it/files/2011/02/news_consumer_italia.pdf>.
18 Per l’esattezza l’indagine mostra che nella fascia d’età fra i 18 e i 29 anni solo il 14,1% del campione
si può definire un consumatore «avido» di news; la quota sale progressivamente con l’età, toccando il 22,6%
per la fascia 30-49 anni, il 28,1% per quella 50-64 anni e il 35,2% per gli over 65; cfr ivi, 4.
Tra crisi e nuovi media, come cambia il giornalismo
611
del puzzle per descrivere l’approccio ai media nel nostro Paese. Inoltre si fanno
sempre più numerosi quanti al «tradizionale» accesso al web tramite computer
(fisso o portatile) affiancano quello tramite smartphone o tablet. La categoria dei
cosiddetti mobile news consumer (i consumatori di notizie «in movimento») è
stimata infatti attorno al 47,5% degli utenti di Internet e al 27,8% della popolazione totale. Si tratta di «consumatori pesanti» di Internet, che hanno un rapporto costante con il mondo on line e che in larga maggioranza (63,3%) si informano quotidianamente attraverso i propri dispositivi elettronici 19.
Un’ultima annotazione concerne la «fedeltà» alle fonti di informazione. La
penetrazione di Internet ha portato a una maggiore diversificazione rispetto al
passato, quando nelle case degli italiani entravano uno o al massimo due quotidiani, oltre — nei casi più fortunati — a qualche periodico. Oggi il 62,7% degli
italiani che si informano on line dichiara di utilizzare da 2 a 5 siti web di riferimento e solo il 15,6% del campione fa riferimento a un unico sito 20.
Ma l’informazione nell’era digitale si smarca da quella tradizionale per
un’altra fondamentale caratteristica, legata alla recente evoluzione in senso
«sociale» resa possibile dal web 2.0 21: l’utente che si informa on line vuole
anche partecipare. Non è più un semplice recettore, ma diventa produttore di
notizie da condividere con i propri contatti. La componente partecipativa è stata
ben fotografata dalla ricerca di larica: il 65,5% del campione dichiara di avere
contribuito alla creazione di notizie o di avere inserito commenti o diffuso news
attraverso i social network o la posta elettronica. L’importanza dell’aspetto sociale dell’informazione si evince da un altro dato molto significativo: il 45,1% degli
internauti intervistati dichiara di privilegiare siti di informazione che facilitano
le modalità di condivisione e partecipazione. L’accesso alle news on line, infine,
offre all’utente un’ultima opportunità che la carta stampata non consente: la
personalizzazione. Il 34% degli interpellati personalizza la propria pagina
iniziale di Internet per includervi le fonti informative o i temi preferiti, scremando così la «valanga» di informazioni che viene riversata in Internet.
3. Tra concorrenza e coabitazione
Gli editori, sollecitati anche dai problemi di redditività, hanno preso atto
delle radicali trasformazioni che il mondo dell’informazione sta attraversando e
hanno cercato di avvantaggiarsene, rinnovando e potenziando i siti dei giornali e
offrendo prodotti sempre più multimediali, adatti anche ai nuovi dispositivi mobili. Tutto ciò ha richiesto e continua a richiedere investimenti importanti, a
fronte dei quali, tuttavia, non è stato ancora possibile individuare modelli di
business capaci di sostenerli. Stare al passo coi tempi, in sostanza, costa caro ma,
19
Cfr ivi, 15-17.
Cfr ivi, 5.
21 Cfr Rabbi N., «Le risorse del web 2.0», in Aggiornamenti Sociali, 9-10 (2009) 598-608.
20
612
Marco Ostoni
almeno per ora, non paga. La pubblicità sul web (e dunque sui siti dei giornali) è
in costante crescita 22, ma il suo «peso» rimane tuttavia ancora nettamente minoritario nel nostro Paese 23 e a nulla hanno portato sin qui i tentativi della fieg di
definire accordi con i motori di ricerca, che fanno la parte del leone nella raccolta pubblicitaria su Internet, onde ridistribuire una quota dei ricavi ottenuti sfruttando l’effetto di traino dei contenuti prodotti dalla stampa on line.
D’altra parte anche le azioni sul fronte della delicata questione del diritto
d’autore in Internet, allo scopo di tutelarlo e renderlo remunerativo, non hanno avuto grande successo, al punto che la stessa fieg ha denunciato il motore di
ricerca Google all’Autorità garante della concorrenza e del mercato 24, ottenendone però solo l’invito a valorizzare l’attività dei produttori di contenuti editoriali on line, che oggi non ricevono alcuna remunerazione per lo sfruttamento del
proprio lavoro da parte di soggetti terzi. Quanto alla possibilità di far pagare
all’utenza l’accesso ai propri contenuti, la strada, che alcuni hanno già imboccato 25, appare lunga e tortuosa: il «popolo» degli internauti tende a ritenere
un diritto la fruizione gratuita di quanto il web offre, compresa l’informazione, e,
almeno sinora, risponde in maniera negativa ai tentativi di introdurre forme di
pagamento, spostandosi su altre fonti.
D’altro canto su Internet fidelizzare l’utenza è difficilissimo, proprio per la
differenza intrinseca di questo mezzo rispetto al giornale tradizionale: quest’ultimo offre al lettore il frutto di un lavoro di selezione e gerarchizzazione delle notizie (che si riflette nell’impaginazione), mentre nel web a prevalere è quasi sempre
la notizia singola. Ne è prova il fatto che su Internet molti arrivano alla notizia
tramite un motore di ricerca, saltando in questo modo la mediazione giornalistica,
salvo poi «approdare» sul sito di un quotidiano e, magari, approfittarne per cor22 Nel 2008 (dati Nielsen Media Research raccolti dall’Osservatorio FCP/Assointernet), a fronte del
calo di investimenti pubblicitari sui media cartacei, quelli su Internet nel suo complesso (compresi mailing,
messaggistica SMS, ecc.) sono cresciuti del 13,9%, superando i 321 milioni di euro contro gli 8.587 milioni
del comparto tradizionale. La crescita è proseguita nei due anni successivi, con un incremento del 5% nel
2009 e del 13,5% lo scorso anno, per volumi annui ormai superiori ai 700 milioni di euro. Per questi dati e
per ulteriori approfondimenti cfr <www.primaonline.it>.
23 Ben diversa la situazione in altri Paesi: ad esempio, negli Stati Uniti il 2010 è stato l’anno del sorpasso del web sulla carta. Infatti, secondo The State of the News Media 2011, <http://stateofthemedia.org>,
uno studio di un centro di ricerca indipendente americano, il Pew Research Center, l’anno scorso i ricavi
pubblicitari del settore della carta stampata americana si sono attestati a quota 22,8 miliardi di dollari, contro
i 25,8 del canale Internet (+13,9% rispetto al 2009). Di questa torta, che fa riferimento al web nel suo complesso, la fetta relativa all’industria delle notizie su Internet è pari a 3 miliardi di dollari.
24 Istruttoria avviata il 26 agosto 2009 e conclusa con la delibera n. 21959 del 22 dicembre 2010,
<www.agcm.it/concorrenza/concorrenza-delibere/open/41256297003874BD/82463028EDFECAE0C1257
81C004E895E.html>.
25 Il pioniere dell’accesso oneroso alle notizie su web è stato il magnate Rupert Murdoch, che a partire
dal 2009 ha introdotto forme di pagamento diversificate (per singolo accesso o su abbonamento) per la lettura delle news sui siti dei giornali del suo gruppo (da ultimo il New York Times), andando oltre quanto normalmente praticato, anche in Italia, dai quotidiani, che offrono a pagamento (e non sempre) solo il giornale approdato in edicola, con pacchetti differenziati per i dispositivi mobili. Il ritorno economico di tale scelta, tuttavia,
non è affatto chiaro e nessuno, sin qui, si è avventurato in percorsi analoghi nel nostro Paese.
Tra crisi e nuovi media, come cambia il giornalismo
613
redare quell’informazione con altre, per leggere qualche commento e acquisire
così nuove chiavi di lettura di quelle stesse notizie e, quindi, della realtà.
Si apre così una domanda: possiamo davvero pensare a un futuro senza
redazioni professionali diffuse e organizzate a livello territoriale, con le antenne puntate sui fenomeni sociali, economici, politici e culturali, in grado di garantire (su carta, su web o su entrambi i canali) prodotti giornalistici di qualità,
che alla selezione delle notizie affiancano anche analisi e commenti frutto di
conoscenza e competenza? E che siano perciò garanzia di pluralismo e di democrazia 26? La risposta è «no». In questo senso web e stampa non sono in concorrenza, non possono esserlo. Gli editori più accorti lo hanno capito, integrando sempre più strettamente i due canali 27, e altrettanto i lettori e gli internauti,
premiando chi in questo modo riesce a garantire affidabilità e serietà e a evitare l’«effetto Babele» tipico del web, dove spesso si perde il discrimine fra verità e fantasia se non vi è chi in qualche maniera «accompagna» l’utente 28. Il
giornale, per usare una felice definizione del giornalista Luca De Biase 29, «non
è la sua carta», ma va oltre. La sua forza è — o dovrebbe essere — nella capacità di informare in maniera onesta e documentata, senza eccessi di partigianeria né compromessi col potere, sia esso politico o economico. E questo può farlo
su carta come su web, mentre non lo può fare né il giornalismo «amatoriale», né
un singolo blogger (sia pure di valore). «La gente — scrive ancora De Biase —
non vuole uccidere i giornali, li vuole migliori» 30.
Si tocca qui un tasto dolente, che è indubbiamente una concausa rilevante
dell’attuale crisi del giornalismo, in specie nel nostro Paese, figlia anche della
peculiarità tutta italiana di un’editoria con intrecci fittissimi con «poteri forti»
politici ed economici 31. Essere migliori, come auspica De Biase, vuole dire
anzitutto essere autorevoli. E dunque seri, chiari, sempre documentati, puntuali, precisi, scrupolosi nella ricerca e nella verifica delle fonti, accurati nelle
ricostruzioni. Anche oggi, nell’era dell’immediatezza frenetica propria di Internet.
Dopo aver inseguito per anni la tv su un terreno improprio, inondando i quotidiani di gossip 32, oggi si corre il rischio di inseguire Internet. Carta e web pos26 Scriveva in proposito il giornalista americano Joseph Pulitzer all’inizio del secolo scorso: «Un’opinione
pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché a essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del Governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello», citato in copertina su Pulitzer J., Sul giornalismo, Bollati Boringhieri,
Torino 2010.
27 La strada dell’integrazione carta-web è peraltro la sola in grado di consentire la tenuta dei conti degli
editori, proprio per i problemi legati al già citato nodo della pubblicità in Internet.
28 Per le opportunità e i problemi di affidabilità dell’informazione disponibile su Internet, cfr Foglizzo P.,
«Wiki», in Aggiornamenti Sociali, 5 (2011) 381-384.
29 De Biase L., «Il giornale non è la sua carta», in Problemi dell’informazione, 3 (2009) 264-274.
30 Ivi, 267.
31 Sul tema esiste una ricchissima bibliografia; per un’aggiornata panoramica degli assetti attuali
dell’editoria giornalistica italiana, cfr Marsili M., La rivoluzione dell’informazione in Rete, cit., 127-143, dalla
quale emerge la relazione quasi simbiotica fra informazione e politica, che si sostanzia anche nella massiccia
presenza di giornalisti in Parlamento (119 fra professionisti e pubblicisti nelle attuali Camere).
32 Cfr Lo Cicero Vaina S., «Gossip», in Aggiornamenti Sociali, 6 (2011) 466-469.
614
Marco Ostoni
sono andare d’accordo, a patto che ciascuno «faccia il suo mestiere»: non serve
gonfiare a dismisura i quotidiani quando il pubblico ha sempre meno tempo di
leggerli; piuttosto si dovrà lasciare alla carta il compito di approfondire e commentare le informazioni 33, affidando al web contenuti aggiuntivi (un maggior
numero di immagini, video, file audio, ecc.), con il vantaggio di assicurarne la
perpetua reperibilità, visto che Internet è una sorta di gigantesco archivio. E
occorre, ancora, essere capaci di garantire indipendenza e pluralismo attraverso l’offerta di punti di vista differenti e affidando i commenti esclusivamente
sulla base della competenza, mai dell’opportunità, sfuggendo al vizio del «pensiero unico» e dell’inchiesta «a tesi» che ammorba tante, troppe pubblicazioni.
Altrimenti — viene da dire con Giampalo Pansa —, i giornali diventano «carta
straccia» 34 (e i loro siti — aggiungiamo — spazzatura).
Purtroppo oggi il rischio che sia così è forte e reale. La categoria dei giornalisti sembra essersi dimenticata della propria straordinaria funzione sociale,
sembra aver abdicato in buona parte a quel ruolo di «vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato» di cui parlava sempre Pulitzer 35 e a cui guarda
anche l’art. 21 della nostra Costituzione, che, nel garantire esplicitamente «il
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione», garantisce anche, de facto, il diritto a essere
informati nelle stesse modalità. Pena la tenuta stessa del sistema democratico.
«Quando prendo in mano un giornale, so in anticipo che cosa mi dirà. Ormai è
difficile trovarne uno che non sia schierato con questa o quella parte politica. La
faziosità dilaga e rende la carta stampata prevedibile e vuota di sorprese. Per non
parlare del resto. Giornali sgrammaticati. Scritti in giornalistichese, un linguaggio pomposo e vacuo, a volte doppio e triplo. Pieno di errori, di notizie confuse,
di inchieste superficiali. Insomma un prodotto sempre più inaffidabile» 36. Se è
così, il giornalismo è davvero sul letto di morte e a poco servirà trasferirlo sulla
barella del web, inoculandogli qualche palliativo: il pubblico si rivolgerà altrove
e le nostre democrazie saranno più fragili.
33 Ovviamente neppure l’informazione on line può esimersi dalla verifica dei contenuti e da un loro primo
approfondimento. Di fatto ciò non sempre accade, specialmente nel nostro Paese, dove sembra vincere la
voglia di arrivare primi a tutti i costi. A tal proposito, durante una recente tavola rotonda dedicata ai «nativi
digitali», il giornalista Massimo Sideri sottolineava: «Il New York Times ci mette 3-4 ore per pubblicare on line
una notizia di agenzia; la approfondisce, la perfeziona. In Italia, tutti i siti di giornale la “sparano” subito. E su
questo andrebbe fatta una riflessione profonda»; cfr Ansa, Editoria: affidabilità, quel che vogliono i nativi digitali, 10 giugno 2011.
34 Pansa G., Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani, Rizzoli, Milano 2011.
35 Pulitzer J., Sul giornalismo, cit., 37.
36 Pansa G., Carta straccia, cit., 12. La frase è pronunciata dalla bibliotecaria di Firenze Livia Bianchi,
a lungo collaboratrice di Pansa per i suoi volumi storici, cui l’A. si è rivolto per chiedere un parere sul proprio
manoscritto.