Quale futuro - Guido Picchetti

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Quale futuro - Guido Picchetti
Quale futuro
per il Mediterraneo
e per
il Canale di Sicilia ?
Cinque documenti da non dimenticare…
e, in appendice, alcune fonti…
Pantelleria,3 Ottobre 2014
Alla cortese attenzione dei relatori alla conferenza “Area Marina Protetta, un’esperienza diretta”, promossa dal
Partito Democratico Pantelleria, in programma Mercoledì 8 ottobre 2014 alle 17:30, presso la Sala Conferenze del
Castello Medioevale di Pantelleria…
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Dott. Stefano Donati, Direttore dell’Area Marina Protetta delle Egadi
Dott. Alessandro Agate, Presidente della Cooperativa Sociale Galea di Favignana
Dott. Marco Costantini, Responsabile Mare del WWF
Salvatore Gino Gabriele, Sindaco di Pantelleria
Dr.ssa Graziella Pavia, Assessore all'Ambiente del Comune di Pantelleria
Giuseppe La Francesca, Segretario del Partito Democratico Pantelleria e organizzatore della Conferenza
… i cinque documenti allegati:
1. «Vulcani sommersi e trivelle, trema il Canale di Sicilia» (dalla redazione di “Sicilia Informazioni Com" in
cronaca, postato il 4 luglio 2013)
2. «Clima, allarme per l’Italia: lo studio-shock dell’INGV, diciamo addio allo Stivale» (da "Altervista.org" nello
spazio "Terremoti e altro", posted on 27/09/14)
3. «Sblocca Trivelle, la Regione Abruzzo ricorra alla Corte Costituzionale» (da "PrimaDaNoi.it", posted on line
on 29/09/14)
4. «Nuovo attacco al Mediterraneo? Con il raddoppio del Canale di Suez, altre bio-invasioni di specie aliene
nel Mar Mediterraneo» (nota del sottoscritto su Facebook del 1 ottobre 2014)
5. «A caccia di idrocarburi sul Delta del Nilo... Povero Mare Nostrum...» (un post del sottoscritto su Facebook
del 30 settembre 2014)
Grato per l'attenzione. Auguri di Buon Lavoro.
Guido Picchetti
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Vulcani sommersi e trivelle,
trema il Canale di Sicilia
Cronaca
Ribolle il Canale di Sicilia. Un po’ per la vivace attività vulcanica, un po’ per le trivelle a caccia di petrolio,
il mare dell’Agrigentino è sempre più “caldo”. Se ne è parlato in un’audizione alla commissione Ambiente
al Senato, in cui rappresentanti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dell’Ispra e dell’Istituto
di Scienze Marine del Cnr hanno posto l’attenzione sull’alto rischio ambientale al largo delle coste siciliane,
tra Mazara del Vallo e Porto Empedocle, che potrebbe diventare una vera e propria “emergenza
nazionale”. Con queste parole si è espresso il presidente della commissione Giuseppe Marinello.
EMPEDOCLE – Tra Sciacca e Pantelleria, proprio nell’area dove l’ex ministro Corrado Passera ha
generosamente concesso permessi di ricerca alle compagnie petrolifere, sorge – tanto per fare un esempio
– Empedocle, il gigantesco vulcano sommerso, 35 chilometri di lunghezza e 20 di larghezza, il cui cono non
è altro che l’Isola Ferdinandea. Ad una decina di metri dalla superficie del mare, si trova, infatti, la bocca
del vulcano che, eruttando, nel 1831 fece capolino dall’acqua formando l’isola che passò alla storia. In un’area
così delicata dal punto di vista geologico, le trivelle dei petrolieri rischiano di diventare come elefanti in una
cristalleria.
MONITORAGGIO DELL’INGV – “Non sappiamo con certezza se l’attività estrattiva possa influire o meno
su quella vulcanica, – spiega a SiciliaInformazioni Domenico Patanè, direttore della sezione di Catania
dell’Ingv – ma è giusto che si effettui un monitoraggio per dire se l’area, che si conosce poco, sia più o meno
a bassa pericolosità. Noi abbiamo fatto recentemente una campagna dedicata alla zona dove è sorta l’Isola
Ferdinandea e stiamo analizzando i dati che abbiamo acquisito tra il 2012 e l’inizio di quest’anno”. Ma prova
che il sonno di Empedocle non sia poi così pesante, sono i frequenti spiaggiamenti di pomici sulle coste
agrigentine e qualche emissione di gas sulla superficie del mare segnalata dai pescatori.
RISCHIO FRACKING – Le trivelle, così, rischiano di disturbare il sonno di Empedocle. E tra i fondali,
minacciosa come uno squalo, avanza l’ombra del fracking. Si tratta di una tecnica invasiva praticata dalle
compagnie petrolifere, che pompano acqua o solventi chimici ad una pressione fortissima per fratturare
strati di roccia, così da rendere comunicanti sacche di petrolio o di gas ed estrarli più facilmente. Pare che in
Sicilia, come nel resto d’Italia, non sia stata mai utilizzata, ma non significa che non possa accadere in futuro,
dal momento che i permessi di ricerca sono in aumento e il fracking diventa sempre più economico. È acclarato
che con questa tecnica aumenta il rischio sismico perché si va a intaccare la struttura stessa del terreno ed
anche quello ambientale per la contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell’aria. Di fronte a tutto
questo, come reagirebbe Empedocle? Sarà ancora capace di controllare le tempeste, come faceva un tempo?
Dalla redazione di “SICILIA INFORMAZIOI.COM” – in cronaca - 4 luglio 2013
http://www.siciliainformazioni.com/78466/vulcani-e-trivelle-lestate-calda-del-canale-di-sicilia
2
Clima, allarme per l’Italia: lo studio-shock
dell’INGV, “diciamo addio allo Stivale”...
"I cambiamenti climatici e il conseguente scioglimento dei ghiacci polari, i movimenti delle placche tettoniche, i
terremoti e l’attività vulcanica, sono da annoverare tra le maggiori cause della variazione delle coste del
Mediterraneo. A fare un quadro delle zone maggiormente a rischio, lo studio “Coastal structure, sea-level changes
and vertical motion of the land in the Mediterranean” realizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
(Ingv), e appena pubblicato su Special Publication n.388 della Geological Society of London. La ricerca è stata
finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), dal Consiglio nazionale delle ricerche
(Cnr) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), con l’egida
dell’International Union for Quaternary Research (Inqua)". (… segue)
Comincia così lo studio shock dell'INGV (Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia) appena pubblicato dalla
"Geological Society di Londra". Ma come mai lo stesso INGV contraddice con tanta facilità sè stesso, tendendo in ogni
occasione qui nel nostro Paese a minimizzare i rischi che, a causa dei fattori su da esso chiaramente elencati,
minacciano l'area mediterranea da nord a sud e da est ad ovest ? Sono rischi inoltre che, senza dubbio alcuno,
sconsiglierebbero ogni ulteriore intervento umano capace di influire negativamente su dette cause, provocando danni
cui sarà sempre più difficile, se non impossibile, porre in futuro rimedio... E invece, per la maggioranza dei geologi in
Italia, va tutto ben madama la marchesa... nonostante, ad esempio, i fenomeni di subsidenza sulle coste adriatiche o
le scosse sismiche in zone interessate da decenni di operazioni estrattive dal sottosuolo. in shore o off-shore che sia...
(gp)
Qui a seguire l'articolo postato da"Altervista.org" nello spazio "Terremoti e altro" all'url
http://terremotiealtro.altervista.org/clima-allarme-per-litalia-studio-shock-dellingv-diciamo-addio-stivale/
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Clima, allarme per l’Italia: lo studio-shock dell’INGV, “diciamo addio allo Stivale”
posted on 27/09/14
I cambiamenti climatici e il conseguente scioglimento dei ghiacci polari, i movimenti delle placche
tettoniche, i terremoti e l’attività vulcanica, sono da annoverare tra le maggiori cause della variazione
delle coste del Mediterraneo. A fare un quadro delle zone maggiormente a rischio, lo studio “Coastal
structure, sea-level changes and vertical motion of the land in the Mediterranean” realizzato
dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), pubblicato su Special Publication n.388 della
Geological Society of London. La ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e
della ricerca (Miur), dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dall’Organizzazione delle Nazioni
Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), con l’egida dell’International Union for
Quaternary Research (Inqua).
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Cambiamenti climatici – e il conseguente scioglimento dei ghiacci polari –, movimenti delle placche
tettoniche, terremoti e attività vulcanica: sono questi gli inesauribili ‘motori’ che plasmano il paesaggio
del nostro pianeta e che stanno ora trasformando, o meglio proseguono nella loro azione, le coste
dell’intero Mediterraneo. Lo studio conferma come le acque del Mediterraneo salgano di 1.8 millimetri
all’anno, con una previsione sull’aumento del livello del mare di circa 1 metro entro la fine del secolo e
di oltre 2 entro il 2200. A questo si aggiunge il fatto che alcune regioni sono interessate da fenomeni
detti di ‘subsidenza’, ossia l’abbassamento del terreno per causa naturali o umane: un ‘mix’ che
porterà alla trasformazione delle linee di costa.
“Si è trattato di un lavoro lungo e complesso, iniziato circa 10 anni fa“, afferma Marco Anzidei,
primo ricercatore dell’Ingv e coordinatore dello studio, “grazie al quale è stato possibile fotografare
la situazione attuale delle coste del Mediterraneo e di come queste siano soggette a
deformazioni. L’obiettivo è individuare le zone costiere soggette a particolare subsidenza, dove
l’aumento del livello marino è maggiore per il lento e progressivo abbassamento verticale del
fondale. Fenomeno che produce, non solo un aumento locale del livello del mare, ma anche
l’arretramento e l’erosione della linea di costa, con conseguente restringimento delle spiagge“.
Per individuare i tassi di deformazione della fascia costiera sono stati utilizzati dati storici e strumentali
di geologia, archeologia e geofisica, utilizzando in particolare 6000 terremoti di magnitudo superiore a
4.5 e dati geodetici di circa 850 stazioni GPS di alta precisione e di 57 stazioni mareografiche
distribuite lungo le coste.
“I dati, prosegue il ricercatore, mostrano una continua risalita del livello delle acque nel
Mediterraneo di circa 1.8 mm all’anno (3.2 mm su scala globale), confermando le previsioni
dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) sull’aumento del livello del mare di circa
1 metro entro la fine del secolo e di oltre 2 entro il 2200, con conseguente arretramento delle
coste e danni alle strutture, in particolare nelle zone subsidenti“. Fenomeno che porterebbe tali
aree a un maggiore e progressivo rischio di allagamento, con conseguente esposizione di valore
economico, in particolare delle zone a elevato valore industriale, commerciale, turistico e culturale,
come Venezia, soprattutto se in aggiunta a grandi mareggiate e tsunami.
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“Per quanto riguarda l’Italia, le zone più a rischio di ingressione marina sono le coste presso la
foce del Volturno e del Po, la laguna veneta, alcune località del Tirreno, della Sardegna, della
Calabria e le isole Eolie. Lo stesso per le coste della Turchia e della Grecia che non a caso
sono anche quelle più sismiche del Mediterraneo. Meno esposte risultano invece le coste
pugliesi, in Italia, parte dell’isola di Creta, la costa Israeliana e parte del Nord Africa“,
conclude Anzidei.
Questo articolo è stato pubblicato in Senza categoria da terremotiealtro .
http://terremotiealtro.altervista.org/clima-allarme-per-litalia-studio-shock-dellingv-diciamo-addio-stivale/
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NO AL PETROLIO
‘Sblocca Trivelle’, «la Regione Abruzzo ricorra alla
Corte Costituzionale»
La richiesta dei No Triv: «agire concretamente»
ABRUZZO. «C’è una sola strada da percorrere: adire la Corte Costituzionale contro la legge di conversione
dello Sblocca-Italia».
E’ questa la richiesta che proviene dal coordinamento abruzzese No Triv per bloccare la deriva petrolifera.
La politica regionale è compatta come non mai per bloccare le nuove concessioni ma a decidere sarà il
governo centrale che a quanto pare non sembra intenzionato ad assecondare le richieste del territorio.
Del territorio della Regione Abruzzo, oltre 4.200 chilometri quadrati sono interessati da istanze di permessi
di ricerca; quasi 36 chilometri quadrati da richieste di estrazione di idrocarburi; oltre 1.000 kmq da istanze
di concessione di stoccaggio, per complessivi 10.763 kmq.
«In realtà il conto potrebbe essere più salato», avvertono i No Triv. «Le compagnie che oggi detengono
un titolo per la sola ricerca su terra ferma potrebbero richiedere la concessione del titolo unico previsto
nello Sblocca-Italia, con tutte le ricadute del caso».
E a mare? Sono in dirittura d’arrivo Ombrina Mare 2, Elsa 2, Rospo Mare 2 (procedimenti in corso per la
coltivazione). Senza contare le numerose altre istanze di ricerca pronte per essere trasformate in
altrettanti permessi di estrazione. E poi il TAP, il grande "tubo" con annessa centrale di compressione gas a
Sulmona. Intanto lo Sblocca-Italia viaggia a vele spiegate verso la conversione in legge. «Oltre agli appelli,
alle dichiarazioni di guerra (ma solo verbali) ed alla moral suasion, cosa intende fare in concreto la
Regione Abruzzo?», chiedono gli ambientalisti. «Alla legge manca poco: Renzi è una scheggia e non perde
tempo in dialoghi e trattative».
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Anche il professor Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale a Teramo in una intervista ad Altra
Economia parla di illegittimità del decreto Sblocca Trivelle: «i dubbi sono molti: la previsione di un “titolo
concessorio unico” in luogo di due titoli distinti (permesso di ricerca e concessione di coltivazione);
l’estromissione degli Enti locali dal procedimento amministrativo che porta al rilascio del “titolo
concessorio unico”; il fatto che l’intesa della Regione sia considerata dal decreto – più di quanto non sia
accaduto finora – come un atto interno al procedimento amministrativo. I dubbi che la previsione del
titolo concessorio unico solleva riguardano il diritto di proprietà dei privati (art. 42 Cost.). La disciplina
dei beni del sottosuolo si è sempre informata alla concezione fondiaria della proprietà. Già il codice civile
del 1865 stabiliva che chi ha la proprietà del suolo ha pure quella dello spazio sovrastante e di tutto ciò
che si trovi sopra e sotto la superficie».
«Secondo questa concezione, confermata dal codice civile del 1942 tuttora vigente», spiega Di Salvatore,
«il sottosuolo appartiene al proprietario del fondo fino a quando il giacimento minerario non sia
scoperto (e ne sia dichiarata la coltivabilità). Solo a partire da questo momento si ha l’acquisizione del
giacimento al patrimonio indisponibile dello Stato. È a quel punto che lo Stato può dare il giacimento in
concessione. In questa prospettiva, il permesso di ricerca si configura come un limite al godimento della
proprietà, mentre la concessione è costitutiva di nuove capacità, poteri e diritti che altrimenti non si
avrebbero. Vero è che la Costituzione, all’art. 42, ammette che la proprietà privata possa essere
espropriata, ma solo per motivi di interesse generale e salvo indennizzo.
Nel caso del rilascio del titolo unico, mancherebbe la dimostrazione dell’utilità generale, non essendo
ancora stato scoperto il giacimento. Per questo, nonostante si cerchi di mantenere distinta la fase della
ricerca da quella dell’estrazione, la previsione di un titolo unico, che entrambi i “momenti” riunisce,
getta un’ombra sulla legittimità di una scelta siffatta. Tra l’altro, il titolo unico dovrà contenere sin dalla
fase della ricerca persino il vincolo preordinato all’esproprio. Una follia se dovessimo prendere sul serio
quanto scritto sul decreto».
Di Salvatore esprime dubbio anche sulla compatibilità del decreto con il diritto dell’Unione europea, «non
solo in relazione alle norme sulla concorrenza, ma anche in relazione al fatto che la normativa dell’Unione
mantiene distinte le due fasi». Un altro problema riguarda la partecipazione degli Enti locali al
procedimento.
29/09/2014 - 09:43 - http://www.primadanoi.it/news/abruzzo/553331/-Sblocca-Trivelle---.html
NO AL PETROLIO !!! La richiesta dei No Triv... (Post del sottoscritto a commento su Fb del 30/09/14)
«Agire concretamente, la Regione Abruzzo ricorra alla Corte Costituzionale contro lo ‘Sblocca Trivelle’
"Del territorio della Regione Abruzzo, oltre 4.200 chilometri quadrati sono già interessati da istanze di permessi di
ricerca; quasi 36 chilometri quadrati da richieste di estrazione di idrocarburi; oltre 1.000 kmq da istanze di
concessione di stoccaggio, per complessivi 10.763 kmq. Questo solo in terra, mentre in mare sono in dirittura
d’arrivo Ombrina Mare 2, Elsa 2, Rospo Mare 2 (procedimenti in corso per la coltivazione), senza contare le
numerose altre istanze di ricerca pronte per essere trasformate in altrettanti permessi di estrazione. E poi c'è il TAP,
il grande "tubo" con annessa centrale di compressione gas da realizzare a Sulmona. Il tutto grazie allo Sblocca-Italia
che sta viaggiando a vele spiegate verso la conversione in legge... C'è una sola strada da percorrere: adire la Corte
Costituzionale contro la legge di conversione dello Sblocca-Italia»...
Leggetevi quest'articolo pubblicato oggi on line da "Primadanoi.it" e quanto il professor Enzo Di Salvatore, docente
di Diritto costituzionale a Teramo, ha dichiarato in una intervista rilasciata ad "Altra Economia", manifestando
fondati dubbi di illegittimità sulle norme del decreto "Sblocca Trivelle" in merito all’estromissione degli Enti locali dal
procedimento amministrativo che porta al rilascio del “titolo concessorio unico” di ricerca e coltivazione idrocarburi
per le concessioni in via di autorizzazione... Questo in Abruzzo. E le altre Regioni del nostro Bel Paese ? Resteranno a
guardare?
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Nuovo attacco al Mediterraneo ?
Con il raddoppio del Canale di Suez, altre "bioinvasioni" di specie aliene nel Mar Mediterraneo
(Nota del sottoscritto su Fb del 1 ottobre 2014 alle ore 17.00)
L'Egitto sta per costruire un nuovo canale di Suez. A rivelarlo Mohab Mamish, il presidente dell'Autorità
del Canale di Suez, in un recente discorso televisivo, con queste parole: "Si tratta di un gigantesco
progetto che comporterà la creazione di un nuovo canale di Suez parallelo al canale esistente".
A dare l'allarme sulle possibili conseguenze di un tale progetto è la prof.ssa Anna Occhipinti,
responsabile del Gruppo di lavoro sulle specie aliene della SIBM (Società Italiana di Biologia Marina), la
quale informa che il 28/09/14 è stata pubblicata online su "Biological Invasions" una 'Lettera all'Editore'
firmata dai biologi marini di 14 importanti istituti scientifici internazionali. Tra essi gli italiani Ferdinando
Boero del Dipartimento di Scienze Biologiche e Scienze Ambientali e Tecnologie dell'Università del
Salento, e Agnese Marchini del Dipartimento di Scienze della Terra e Ambientali dell'Università degli Studi
di Pavia. In tale documento i biologi marini affermano che quella del raddoppio del Canale di Suez è una
notizia invero inquietante, e denunciano chiaramente i rischi e i pericoli che da detta impresa deriveranno
per l'ambiente mediterraneo:
•
"Raddoppiare la capacità del canale di Suez, dichiarano, avrebbe sicuramente una vasta gamma
di effetti sulla diversità biologica, su scala locale e regionale. Effetti che, alterando le
caratteristiche eco-sistemiche del Mediterraneo, potrebbero influenzare negativamente lo stato
di conservazione di specie e habitat critici in questo mare, così come la struttura e la funzione
degli ecosistemi, e anche la disponibilità di risorse naturali. Non poche specie aliene sono
inoltre nocive, velenose o tossiche, e rappresentano chiare minacce per la salute umana di chi
vive lungo le coste mediterranee...".
Al link qui a seguire potete leggere interamente le considerazioni tutt'altro che ottimistiche sottoscritte
dai biologi marini nel documento da essi diramato presso le autorità internazionali competenti:
http://link.springer.com/article/10.1007/s10530-014-0778-y/fulltext.html (vedi Appendice 1)
Altra notizia in merito. A Bruxelles il 17 Settembre 2014 il Parlamento Europeo ha approvato un nuovo
regolamento sulla prevenzione e gestione delle specie invasive aliene. Basterà a scongiurare per la vita del
Mediteraneo così come la conosciamo, i rischi e i pericoli conseguenti al raddoppio del Canale di Suez ?
Leggi "Regulation of the European Parliament and of the Council on the prevention and
management of the introduction and spread of invasive alien species" all'url:
http://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=EN&f=PE%2070%202014%20INIT
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A caccia di idrocarburi sul Delta
del Nilo... Povero Mare Nostrum...
(un post di Guido Picchetti su Facebook del 30 settembre 2014)
La "Dana Gas" ha ottenuto l'autorizzazione a trivellare in due vaste concessioni egiziane sul Delta
del Nilo, in prossimità di El Manzala Lake. Opererà insieme alla BP, suo partner tradizionale. Per i
due blocchi si prevede un periodo di sei anni di esplorazione, composto da due fasi da 3 anni
ciascuno.
Sulla base degli accertamenti effettuati, per ciascun blocco sarà concesso successivamente un
periodo di locazione di sviluppo di 20 anni. Le due concessioni riguardano, rispettivamente, 1.527
km² e 960 km², e sono state assegnate a seguito di una gara internazionale EGAS svoltasi nel
mese di agosto 2014. E' attualmente in corso la ratifica del rilascio delle due concessioni...
La notizia, fonte Dana Gas, è stata pubblicata ieri, 29 set 2014, dalla redazione di "PennEnergy"
on line.
Questo l'url all'articolo originale in lingua inglese "Dana Gas successfully bids for two Nile Delta
concessions" (posted on line by “Pennenergy.com” on 29 September 2014):
http://www.pennenergy.com/articles/pennenergy/2014/09/oil-and-gas-dana-gas-successfully-bidsfor-two-nile-delta-concessions.html (vedi Appendice 2)
9
Appendice
http://link.springer.com/article/10.1007/s10530-014-0778-y/fulltext.html
‘Double trouble’: the expansion of the Suez Canal and marine
bioinvasions in the Mediterranean Sea
Bella S. Galil1 , Ferdinando Boero2 , Marnie L. Campbell3 , James T. Carlton4 , Elizabeth Cook5 , Simonetta Fraschetti2 , Stephan Golla
sch6 , Chad L. Hewitt3 , Anders Jelmert7 ,Enrique Macpherson8 , Agnese Marchini9 , Cynthia McKenzie10 , Dan Minchin11 , Anna Occ
hipinti-Ambrogi9 , Henn Ojaveer12 , Sergej Olenin13 , Stefano Piraino2 and Gregory M. Ruiz14
(1) National Institute of Oceanography, Israel Oceanographic and Limnological Research, Haifa, Israel
(2) Department of Biological and Environmental Science and Technologies, University of Salento, Lecce, Italy
(3) School of Science, University of Waikato, Hamilton, New Zealand
(4) Maritime Studies Program, Williams College-Mystic Seaport, Mystic, CT, USA
(5) Scottish Marine Institute, Oban, Argyll, UK
(6) GoConsult, Grosse Brunnenstrasse, Hamburg, Germany
(7) Flødevigen Marine Research Station, Institute of Marine Research, His, Norway
(8) Centro de Estudios Avanzados de Blanes (CSIC), Blanes, Girona, Spain
(9) Department of Earth and Environmental Sciences, University of Pavia, Pavia, Italy
(10) Northwest Atlantic Fisheries Centre, St. John’s, NL, Canada
(11) Marine Organism Investigations, 3 Marina Village, Ballina, Killaloe, Co Clare, Ireland
(12) Estonian Marine Institute, University of Tartu, Pärnu, Estonia
(13) Coastal Research and Planning Institute, Klaipeda University, Klaipeda, Lithuania
(14) Smithsonian Environmental Research Center, Edgewater, MD, USA
Email: [email protected]
Received: 22 August 2014Accepted: 2 September 2014Published online: 28 September 2014
“Egypt to build new Suez canal… ‘ This giant project will be the creation of a new Suez canal parallel to the
current channel’ said Mohab Mamish, the chairman of the Suez Canal Authority, in a televised speech.”
(http://www.theguardian.com/world/2014/aug/05/egypt-build-new-suez-canal, viewed August 13, 2014).
This is ominous news. Expected to double the capacity of the Suez Canal, the expansion is sure to have a
diverse range of effects, at local and regional scales, on both the biological diversity and the ecosystem
goods and services of the Mediterranean Sea.
Of nearly 700 multicellular non-indigenous species (NIS) currently recognized from the Mediterranean Sea,
fully half were introduced through the Suez Canal since 1869 (Galil et al. 2014). This is one of the most
potent mechanisms and corridors for invasions by marine species known in the world. Further, molecular
methods demonstrate high levels of gene flow between the Red Sea and the Mediterranean populations
(Golani and Ritte 1999; Hassan et al. 2003; Bariche and Bernardi 2009).
Most of the NIS introduced via the Suez Canal have established thriving populations along the Levant,
fromLibya to Greece, and several spread in the Western Mediterranean. The individual and cumulative
impacts of these NIS adversely affect the conservation status of particular species and critical habitats, as
well as the structure and function of ecosystems and the availability of natural resources. Some species are
noxious, poisonous, or venomous and pose clear threats to human health.
Significant and often sudden decline of native species, including local population extirpations, have
occurred and are occurring concurrent with proliferation of Canal-introduced NIS. Among many examples,
the introduced goldband goatfish, Upeneus moluccensis has replaced the native red mullet, Mullus
barbatus, in the Levantine fisheries; introduced prawns, though considered a boon by local fishers, have
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displaced the native prawn, Melicertus kerathurus, which supported a commercial fishery throughout the
1950s and the introduced Spiny oyster, Spondylus spinosus, has completely outcompeted the native
congener S. gaederopus off the Israeli coast within a decade of its first record (Galil 2007). Local population
losses and niche contraction of native species may not induce immediate extirpation, but they augur
reduction of genetic diversity, loss of functions, processes, and habitat structure, increase the risk of
decline and extinction, and lead to increased biotic homogenization.
From an unfortunately long list of examples of NIS that have led to profound environmental, economic,
and human-health issues, we cite a few. A scyphozoan jellyfish, Rhopilema nomadica, has since the early
1980s formed huge swarms each summer along the Levantine coast, which adversely affect tourism,
fisheries and coastal installations. The annual swarming stops coastal trawling and purse-seine fish catch
due to net clogging and inability to sort yield. Jellyfish-blocked water intake pipes interfere with the
operation of desalination plants and power plants (www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-14038729).
Based on evidence elsewhere, the impacts of a 180 km long swarm of large planktivores on the local food
web must be considerable (Boero 2013). Last, Rhopilema’s stings result in envenomation effects that may
last weeks and even months (Benmeir et al. 1990). Its swarms have been recorded as far away as Tunisia
(Daly Yahia et al. 2013). The recent spread of a pufferfish, Lagocephalus sceleratus, throughout the Levant
and westwards to Italy and Tunisia, poses severe health hazards: its internal organs contain tetrodotoxin, a
strong paralytic neurotoxin, inducing symptoms ranging from vomiting to respiratory arrest, seizures, coma
and death. Between 2005 and 2008, 13 persons were treated for poisoning in Israel alone (Bentur et al.
2008). Two herbivorous rabbit fish, Siganus luridus and S. rivulatus, are responsible for an extraordinary
shift in the Levantine rocky infralittoral from well-developed native algal assemblages to ‘barrens’ with a
dramatic decline in biogenic habitat complexity, biodiversity and biomass (Sala et al. 2011).
Although effects of many NIS have not been evaluated to date, some significant ecological and social
consequences are known and the potential reach and magnitude of the cumulative impacts are enormous.
The effects of past invasions are continuing to increase, as the ranges of NIS continue to expand through
the Mediterranean basin and beyond, since impact is partly a function of occupied area (Parker et
al. 1999).
The United Nations Division for Ocean Affairs and the Law of the Sea (DOALOS) calls for “…the
management of human activities, based on the best understanding of the ecological interactions and
processes, so as to ensure that ecosystems’ structures and functions are sustained for the benefit of
present and future generations.” (http://www.un.org/Depts/los/ecosystemapproaches/ecosystem_
approaches.htm). Signatories to the Convention on Biological Diversity (CBD) are required to “prevent the
introduction of, control or eradicate those alien species which threaten ecosystems, habitats or species”
(Article 8 h) and “In the case of imminent or grave danger or damage, originating under its jurisdiction or
control, to biological diversity within the area under jurisdiction of other States or in areas beyond the
limits of national jurisdiction, notify immediately the potentially affected States of such danger or damage,
as well as initiate action to prevent or minimize such danger or damage; (Article 14d) (www.cbd.int/
convention, viewed August 13, 2014).
Moreover, the 18th Ordinary Meeting of the Contracting Parties to the Convention for the Protection of
the Marine Environment and the Coastal Region of the Mediterranean and its Protocols, United Nations
Environment Programme (i.e. the ‘Barcelona Convention’), aimed “…to preserve a healthy Mediterranean
that was productive and biologically diverse” and to that effect discussed definitions of ‘Good
Environmental Status’ (GES) and targets, including ‘Invasive non-indigenous species introductions are
minimized’ and ‘Introduction and spread of NIS linked to human activities are minimized, in particular for
potential IAS’ (UNEP(DEPI)/MED IG.21/9, Annex 1, operational objective 2.1, 16 December 2013).
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Yet, despite these well-meaning international conventions, and a century worth of scientific publications
documenting the spread and impact of NIS introduced through the Suez Canal to the Mediterranean Sea—
not to mention a vast literature that speaks to the staggering economic, cultural, and environmental
impacts of marine NIS around the world—we are faced with a seeming fait accompli.
While global trade and shipping are vital to society, the existing international agreements also recognize
the urgent need for sustainable practices that minimize unwanted impacts and long term consequences. It
is not too late for the signatories to the ‘Barcelona Convention’ and the CBD to honor their obligations and
urge a regionally-supervised, far-reaching ‘environmental impact assessment’ (including innovative risk
management options) that would curtail, if not prevent, an entirely new twenty first century wave of
invasions through a next-generation Suez Canal.
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http://www.pennenergy.com/articles/pennenergy/2014/09/oil-and-gas-dana-gas-successfully-bidsfor-two-nile-delta-concessions.html
September 29, 2014 - By PennEnergy Editorial Staff - Source: Dana Gas
Dana Gas, the Middle East’s leading regional private sector natural gas company, is pleased to
announce that its wholly owned subsidiary, Dana Gas Egypt, has been awarded the North El Salhiya
(Block 1) and El Matariya (Block 3) onshore Concessions in the Nile Delta as part of the 2014 EGAS
bidding round held recently in Egypt.
The Company will operate the Block 1 Concession Area on a 100% basis. It is expected that
exploration success and future production from conventional gas reservoirs in the Block, utilizing
Dana Gas Egypt's existing infrastructure, will extend the Company's highly successful gas production
business onshore the Nile Delta. Dana Gas Egypt will participate in the Block 3 Concession Area on a
50% basis with BP as partner and operator. Under the terms of the agreement, BP will fund all of
the cost (including Dana Gas’s share) of one exploration well up to an agreed maximum limit. In the
event that the well proves commercial, BP has the option to back into 50% of the deep potential of
Dana Gas’ adjacent Development Leases.
BP also has the option to back into 50% of the deep potential of Dana Gas Egypt’s other
Development Leases and Block 1 Concession Area by drilling and funding all of the costs of a second
exploration well in either the Development Leases or Block 1 up to an agreed maximum limit.
Dr. Patrick Allman-Ward, CEO, Dana Gas, said: “We are extremely pleased to have been awarded
these two new blocks. The area is particularly well known to Dana Gas, given its long-term
commitment to the Nile Delta. We believe there is significant upside potential from continued
exploration and development in these concessions. We are delighted to be partnering with BP, a
leader in deep well drilling in the Nile Delta. This will allow us to carry out a challenging work
program with a proven partner and reaffirms our confidence in the potential of our assets.”
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The two blocks are located adjacent to the Company’s existing Development Leases. Together with
BP, the Company will look to explore the multi-TCF gas potential of the Oligocene reservoirs that
have proven successful to date in the offshore and which extend into Dana Gas Egypt's existing
Development Licenses. The first Oligocene exploration well is scheduled to be drilled in 2016. In
case of exploration success, an early development system is envisaged to allow rapid production of
the wells located close to the existing El Wastani plant.
The two blocks have a 6 year exploration period, comprised of two phases of 3 years each. A 20year development lease period will be granted to each block, based on approved commercial
discovery. The two concessions, which cover 1,527 km² and 960 km² respectively, were awarded as
part of the EGAS international bid round in August 2014. Ratification of the two new concessions is
expected to take place following the completion of the necessary approvals.
Participation by BP in all of Dana Gas’ Development Leases requires full carry on a further deep
exploration well.
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