Il settore Moda: soluzioni organizzative tra

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Il settore Moda: soluzioni organizzative tra
Il settore Moda: soluzioni organizzative tra competizione
internazionale e dinamiche di filiera
di Giuseppe Galli – Filctem Cgil Ancona
INDICE DEGLI ARGOMENTI
1. Premessa: focus generale sul settore nella sua organizzazione del lavoro all’interno della
competizione internazionale
2. Fase Acquisitiva del Lavoro
3. Fase Commerciale
4. Fase Produttiva
5. Internazionalizzazione dell’impresa, Mix di prodotto per i grandi marchi: Le Griffe della
moda – filiera del LUSSO
6. Made in Italy: Export della manifattura per la caratteristica del prodotto
7. Tutela del made in Italy: Legge 166/2009 art.16
8. ora si va all’estero: il caso OMSA / Golden Lady
9. Produzione sulla leva-costo: Import di prodotto per marginalità competitiva.
10. Il settore concia-pelle / il caso MARESTER
11. Filiera manifatturiera: la leva del prezzo imposto ai façonisti
12. Il costo dell’energia
13. La contrattazione: leva della partecipazione al lavoro e della maggior produttività
1. Premessa: focus generale sul settore nella sua organizzazione del lavoro all’interno della
competizione internazionale
Con questo elaborato si intende fornire, con gli occhi del sindacalista presente sul
territorio, una visione “dal basso” delle dinamiche dell’organizzazione del lavoro, della
produzione e della composizione di un settore, come quello della moda, fortemente in crisi
nel nostro Paese e che sta continuamente compiendo un processo di riorganizzazione,
all’interno di un contesto di competizione internazionale.
Con l’introduzione della moneta unica e con la conseguente invasione di merci prodotte
dall’Est Europeo e dal sud-est asiatico, il comparto della moda si è ulteriormente
caratterizzato su tre segmenti di imprese, divisi per tipologia di prodotti e per la loro
propensione ad essere veicolati sul mercato attraverso la seguente classificazione
esemplificativa:
a) Imprese della Moda del Lusso (Griffe)
b) Imprese che competono sulla qualità medio/alta di produzione
c) Imprese che puntano alla commercializzazione di prodotti di largo consumo.
Inoltre, per ciascuna delle sopracitate classificazioni esistono, organizzate in rete, aziende
di produzione conto-terziste (façon), che non detengono marchi registrati e che producono
e quindi sono addette al confezionamento di capi d’abbigliamento in serie, scarpe o
accessori creati su un modello di base. Il fasonista è ad esempio un confezionista oppure
un'azienda di confezioni che crea capi d'abbigliamento per conto terzi (boutique ma
soprattutto per la grande distribuzione): solitamente viene utilizzato materiale
semilavorato, come un tessuto che è già stato tagliato in precedenza in apposite aziende
(cosiddette “sala-taglio”).
All’interno di questa classificazione esemplificativa delle imprese della moda, proveremo a
fare una disamina delle dinamiche che caratterizzano le produzioni in Italia, attraverso
esempi di soluzioni organizzative adottate presso alcune aziende, per mettere a fuoco il
contesto in cui le imprese e quindi i lavoratori del settore, si misurano tutti i giorni a caccia
della produttività e della competitività che serve a mantenere in vita un settore troppo
spesso considerato “maturo” ma che ancora oggi rappresenta una punta di eccellenza della
nostra produzione manifatturiera.
Scarpe, abiti ed accessori Made in Italy sono, per fortuna appetiti nel mondo, come
emblema di un modello di società che ha saputo nel tempo rivisitarsi attribuendo allo
stile e alle tendenze, il compito di saper rappresentare l’immagine di un Paese intero.
Per questo, nel mondo, vestire Made in Italy è di per sé un valore simbolico, che ha
consentito a tante imprese, di veicolare la qualità dei prodotti, ed essere conosciute per le
caratteristiche proprie del prodotto di assoluta qualità.
2. Fase Acquisitiva del Lavoro: Produzione dei campionari, dalla scelta dei tessuti alla
realizzazione della prototipia (ricerca e sviluppo dei prodotti)
La fase acquisitiva del lavoro, si basa sulla ricerca e lo sviluppo di prodotti che possano
essere allocati sui vari mercati, generando se possibile la domanda attraverso il
condizionamento della tendenza a vestire e/o emulare suggestioni, attraverso la proposta
di campionari realizzati in concomitanza a veri e propri BOOK pubblicitari, (che vedremo
nella fase della commercializzazione).
In questo momento è interessante focalizzare l’attenzione su come nasce un prodotto
legato alla moda (il concetto vale per tutti i segmenti di produzione, sia per
l’abbigliamento, che per le calzature che per gli accessori).
Innanzitutto le aziende detentrici di marchi, si avvalgono di un proprio “stile” definito
appunto dalla figura dello stilista il quale a sua volta inizia a sviluppare il prodotto, anche
attraverso uno “sviluppo delle taglie”, con una squadra di modellisti.
Spesso accade che, sebbene la figura dello stilista fornisca un imprinting al prodotto a
totale beneficio del marchio, i modellisti sono quelle figure con cui le aziende riescono a
mettere a punto il campionario, con cui realizzare la proposta di prototipi che saranno
successivamente portati alla luce per consentire la raccolta ordini.
Fondamentale appare la scelta dei tessuti, i quali devono subire, in produzione, un
processo di trattamento affinchè venga tracciata la caratteristica principale della vestibilità
dopo anche una serie di trattamenti e lavaggi industriali: questo viene fatto per garantirsi
la tenuta della caratteristica originale del prodotto.
La vestibilità di un capo determina la caratteristica principale di un marchio di
abbigliamento, a volte lo fa essere elemento distintivo del marchio stesso.
Il tessuto scelto per la realizzazione del campionario deve essere conforme anche quando il
tessuto viene tagliato per la produzione dei capi della collezione che andranno nei negozi.
La non conformità del tessuto dal campionario alla produzione a volte determina la discesa
stessa del grado di affidabilità dell’azienda se ha provato ad ottenere marginalità mettendo
in produzione un tessuto non conforme all’originale utilizzato nella realizzazione del
campionario.
Con l’avvento della crisi, questo tipo di fenomeno si è accentuato, e casi di non conformità
tra il “campionario” e la “produzione” ha generato casi di richieste di abbattimento del
prezzo al fine di evitare contenziosi tra il produttore ed il cliente che commercia il
prodotto. Questo tipo di problema lo abbiamo riscontrato ad esempio nell’azienda
COTTON CLUB di Fabriano (An) la quale, facente parte del settore intimo/ moda-mare,
aveva avuto contestazioni dai clienti per la non completa conformità del prodotto dal
campionario, generando un livello di insoluti che sommati alla crisi dei pubblici esercizi, ha
costretto l’azienda a rinunciare nelle stagioni produttive seguenti ad oltre 1000 clienti,
generando un conseguente dislivello di bilancio rispetto ai costi fissi del personale ed il
mancato raggiungimento del punto di equilibrio, con il conseguente ricorso massiccio agli
ammortizzatori sociali ordinari e straordinari fino alla messa in mobilità di oltre la metà del
personale in forza.
3. Fase Commerciale: Proposta dei campionari, fiere di settore e ricerca di nuovi mercati
attraverso Bayer internazionali.
La fase “commerciale” che genera la raccolta ordini, è caratterizzata dalla proposta
marketing della collezione, presentata spesso con BOOK illustrativi, unitamente alla
possibilità di toccare con mano il campionario realizzato.
La forza di un’azienda è essere presente in tutte le fiere di settore unitamente alla
realizzazione di campagne pubblicitarie sia a mezzo stampa specializzata, sia attraverso
pubblicità massificata diretta al consumatore.
Nelle fiere di settore vengono presentate le nuove collezioni e parallelamente viene
consegnata alla filiera distributiva, la produzione della stagione corrente.
Un “doppio binario” che vede ad esempio la proposta commerciale della stagione
primavera estate es. P.E. 2014 mentre nei negozi, negli stessi giorni arrivano le produzioni
P.E. 2013
Ricerca di nuovi spazi commerciali come in questo momento può essere classificata l’area
della Cina, della Russia e del Brasile, ma questi sono solo gli esempi più ricorrenti rispetto
alle maggiori opportunità di allocazione di prodotto finito che offrono in questo momento
queste aree geografiche, impongono grossi investimenti per consentire alla struttura
commerciale di essere propositiva e compiere tutte le “azioni” che possano generare
raccolta di ordinativi e la conseguente messa in produzione del prodotto.
Sul tema della ricerca dei tessuti, e la realizzazione dei campionari trattato
precedentemente e sulle azioni commerciali che devono essere messe in campo per
sviluppare la raccolta ordini, le aziende compiono sforzi economici consistenti, al punto che
la marginalità prodotta dall’azienda spesso viene indirizzata attraverso questi capitolati di
spesa piuttosto che sull’alimentazione della filiera produttiva che vedremo
successivamente. Questo fenomeno rappresenta un problema perché la parte che poi
effettivamente produce il capo d’abbigliamento (e lo deve fare necessariamente conforme
al campionario), risente in maniera forte della compressione economica che viene imposta
ai produttori.
Altro nuovo fattore di spesa, per le imprese, sono i costi che si devono sostenere se per
andare ad intaccare nuovi mercati si è costretti a ricorrere ad intermediari internazionali
oppure a vere e proprie joint venture con le imprese delle nuove aree commerciali di
riferimento, andando a costituire veri e propri soggetti giuridicamente indipendenti dalle
aziende che lo hanno costituito.
4. Fase Produttiva: problematiche dell’organizzazione del lavoro: il controllo di processo
La fase produttiva rappresenta un vero e proprio punto di forza per le aziende che
compongono la filiera e che ricevono commesse su façon, rispetto a tabelle di
pianificazione per la realizzazione ed il confezionamento dei capi.
Le aziende si dividono tra chi possiede al proprio interno sia la fase del “taglio” del tessuto,
il laboratorio di confezione e la parte cosiddetta del “finissaggio” e cioè dello stiro e/o del
controllo finale (fino al packaging del prodotto) ed appunto le aziende façoniste che
ricevono già prodotto da tagliare o tagliato, confezionano il prodotto ma subiscono un
controllo di processo dall’azienda committente.
Il committente invia “in loco” un tecnico di produzione, con il compito di controllare la
conformità del prodotto, in tutta la sua realizzazione.
Il controllo di processo chiaramente è un costo che l’imprenditore deve poter sostenere
pena la qualità del prodotto finito, ecco perché per filiere di produzione meno nobili le
aziende preferiscono “affidarsi” a strutture produttive esterne mandando pero’ il controllo
di qualità direttamente in laboratorio.
Particolarmente interessante, agli occhi di chi scrive è il controllo di processo che mette in
campo l’azienda MAX MARA di Reggio Emilia, presente sul mercato anche con il marchio
MARINA RINALDI.
I laboratori façonisti vengono controllati ogni 15 giorni ed il prodotto confezionato viene
rigorosamente ritirato dall’azienda committente ed anche se è stato controllato dal
laboratorio di produzione, il prodotto viene attentamente rivisitato dal controllo di qualità
in accettazione da parte del committente.
In aziende fortemente strutturate, dove sono presenti più sezioni di produzione, il
controllo di processo viene effettuato sezione per sezione, da parte di capo-sezione
debitamente formate per intercettare eventuali non conformità prima che il semi-lavorato
compia tutto il processo produttivo: pena una penalizzazione dell’impresa che deve
riparare la non conformita’, a processo produttivo avvenuto.
Un forte controllo di processo, delinea anche uno stato di stress lavorativo particolarmente
interessante da studiare, per le casistica di stress di lavoro correlato, poiché alcuni tessuti
non possono essere oggetto di riparazione e nel processo produttivo viene richiesta una
precisione chirurgica con tempi di realizzazione molto bassi che si coniugano male con
un’alta aspettativa di conformità del prodotto.
Riguardo al controllo di processo, ormai le aziende che devono necessariamente sviluppare
la propria produzione all’interno dei propri stabilimenti come ad esempio avviene per
l’azienda CANALI, è stato introdotto il sistema LEAN MANUFACTURING (produzione snella)
che identifica una filosofia industriale ispirata al Toyota Production System, che mira a
minimizzare gli sprechi fino ad annullarli.
I principi della Lean Manufacturing sono: eliminare tutto cio’ che è considerato spreco;
specificare precisamente il valore dalla prospettiva del cliente finale; identificare
chiaramente il processo che consegna valore al cliente (cosiddetto value stream), ed
eliminare le fasi che non aggiungono valore; produrre le rimanenti fasi che aggiungono
valore in un flusso senza interruzione, organizzando le interfacce tra differenti fasi; lasciare
che sia il cliente a tirare il processo (demand pull) – non produrre niente fino a che non ce
ne sia bisogno, poi produrre questo velocemente; perseguire la perfezione tramite continui
miglioramenti. Il processo produttivo, quindi, viene trattato in modo globale al fine di
ridurre al massimo la complessità della produzione puntando sulla sua flessibilità
coinvolgendo fin dall'inizio tutte le funzioni aziendali, potremmo così individuare alcuni
settori: progettazione: il prodotto viene studiato considerando i problemi inerenti alla sua
produzione evitando la sua riprogettazione cioè gli sprechi dovuti al non essere riusciti a
"fare bene fin dalla prima volta"
La produzione deve essere sempre più just in time e la sua valorizzazione si basa sulla
"qualità totale" .
Gli sprechi che si cerca di annullare sono i più vari.
Nella produzione snella si possono ricordare: sprechi di materie prime, sprechi dovuti a
tempi morti, giacenze di magazzino inutilizzate, sprechi di sovrapproduzione, sprechi legati
a carenze nei processi, trasporti inutili, prodotti difettosi
5. Internazionalizzazione dell’impresa, Mix di prodotto per i grandi marchi: Le Griffe della
moda – filiera del LUSSO
La sfida internazionale, si gioca soprattutto nella capacità dei grandi marchi di fare
tendenza ed attrarre consumi attraverso prodotti sempre piu’ appetiti.
Nella sfida internazionale primeggiano le grande case di moda, GRIFFE, che si
caratterizzano per una forte propensione alla dimensione internazionale della produzione,
andando anche a mixare i prodotti cosiddetti “di prima linea” con altri segmenti di
produzione che, a rimorchio del marchio, possono essere realizzati anche fuori dall’Italia.
Alcune case di moda francesi, come ad esempio CHANEL, LUIS VUITTON, pur di garantirsi
campionari e produzioni di eccellenza soprattutto nel campo della maglieria industriale,
ricorrono ai nostri laboratori italiani, per avere un prodotto di altissima qualità
manifatturiera ed un processo industriale che spesso richiede competenze simil artigianali.
Anche il gruppo PRADA, che compone il paniere del suo fatturato col 60% rappresentato
dalla vendita degli accessori, dal 20% abbigliamento e 20% calzature, realizza i suoi
campionari direttamente nei siti italiani, con laboratori di proprietà.
La filiera del lusso si caratterizza anche per la vendita RETAIL, piuttosto che WHOLESALE, al
fine di controllare al meglio il livello dei magazzini, degli insoluti, della liquidità.
Sempre interessante è capire come un’azienda quotata alla borsa di HONG KONG come
Prada, mantenga i suoi livelli di investimento nel canale RETAIL non andando mai ad
intaccare la struttura finanziaria dell’azienda: gli utili si reinvestono in negozi di proprietà,
andando ad intaccare le piu’ interessanti e fiorenti piazze commerciali attraverso
investimenti che non attingono se non all’utile del gruppo lasciando solida la struttura
finanziaria e patrimoniale dell’azienda.
Per queste aziende, fortemente impegnate a ricercare un prodotto sempre piu’ di
eccellenza, permane la necessità di trovare nella politica internazionale, misure per il
contrasto alla contraffazione dei marchi e dei prodotti.
Questo avviene perché nella moda è frequente vedere, a partire dai marchi emergenti, una
prima fase di acquisizione di quote di mercato che viaggia di pari passo con la ricerca di
prodotti sempre nuovi e con investimenti sui tessuti e sullo stile davvero interessanti.
In una seconda fase, alcune imprese commettono l’errore di puntare “solo” sulla capacità
di attrazione del marchio non tenendo conto che il fattore qualità del prodotto spesso puo’
essere un elemento di giudizio – se negativo da parte del consumatore - anche
compromettente per la vita stessa del marchio all’interno dell’azienda.
6. Made in Italy: Export della manifattura per la caratteristica del prodotto
Come abbiamo già detto, la caratteristica del controllo di processo fatto in loco, genera nei
fatti una più alta affidabilità delle produzioni fatte in italia, in chiave di manufacturing di
qualità. Le aziende con prodotto ad alto valore di qualità non risentono nemmeno dei tassi
di cambio, e le vendite aumentano anche in aree come attualmente il mercato
statunitense, dove l’Euro può essere penalizzante in termini di esportazioni.
La caratteristica del prodotto catalizza l’immagine dei marchi e la conservano nel tempo.
Imprenditori anche del settore calzaturiero, primo settore fortemente preoccupato per
l’invasione di scarpe prodotte in Cina, ha dimostrato di saper resistere, e nella regione
MARCHE il distretto calzaturiero delle provincie di Macerata e Fermo ha evidenziato che
una competizione basata sulla qualità del prodotto, e non sul prezzo finale, ha consentito a
tutte le imprese che hanno fortemente praticato una competizione definibile come alta via
allo sviluppo sono riuscite nel tempo a resistere per la caratteristica dei prodotti, che
continuano ad essere esportati in tutto il mondo.
La stessa PRADA vende in tutto il mondo calzature eleganti, con GOMMA prodotta in
stabilimenti della provincia di Ancona (Gommus) e con montaggio e finissaggio in
stabilimenti di proprietà a Montegranaro (Artisan Shoes).
Qualità della materia prima e controllo di processo sono le leve che caratterizzano l’alta via
allo sviluppo e la cura dei dettagli consente ai grandi marchi del lusso vincere nella
competizione internazionale. La stessa PRADA nel comparto degli accessori, soprattutto
pelletterie, borse, sulla stessa caratteristica di altissima qualità della concia delle pelli e del
manufacturing, ha costruito le sue fortune nelle esportazioni mondiali.
7. Tutela del made in Italy: Legge 166/2009 art.16
La normativa vigente vieta, a tutela del consumatore e delle piccole imprese, di apporre la
dicitura “100% Made in Italy” oppure “100% ITALIA” oppure “Tutto Italiano” a meno che la
merce è ideata, realizzata e confezionata interamente in Italia.
Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario,
con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di
origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano
accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o
comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva
origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del
titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese
in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto.
E’ Il caso di A&G Calzaturificio, proprietario del marchio Janet&Janet, che ha rinunciato alla
dicitura Made in Italy, non stampando piu’ riferimenti geografici ma inserendo la scritta
“distribuito e commercializzato da A&G” nella stampa delle scatole di scarpe.
Il problema della contraffazione, delle truffe sul Made in Italy è vissuto male dai lavoratori
italiani che si sentono minacciati nel loro rapporto di lavoro anche quando si accorgono che
nel processo produttivo dell’azienda, si evidenzia una propensione all’esternalizzazione di
processo all’estero. I casi piu’ eclatanti sono i tomaifici, oggi impiantati nella maggior parte
in Tunisia, a servizio delle imprese italiane.
Fasi meno remunerative che vengono esternalizzate per un problema di costo, attraggono
manodopera estera in Italia, spesso illegale, pur di mantenere sul territorio nazionale il
semilavorato.
Questo accade ad esempio, nella fase della costruzione del capo-spalla, su giacconi con
cappuccio. La fase della costruzione e attaccatura del cappuccio, è poco remunerativa, e
spesso viene affidata a laboratori ad esempio cinesi presenti sul territorio nazionale.
Questo vale anche per le stirerie che lavorano anch’essi per laboratori façonisti
8. ora si va all’estero: il caso OMSA / Golden Lady
E’ il caso della Golden Lady Company ad essere considerato dai lavoratori del settore
tessile, l’emblema della fuga dall’Italia di un’imprenditore, Nerino Grassi, che ha fondato le
sue fortune sviluppando il marchio Golden Lady e facendo acquisizioni di altrettanti marchi
come omsa, filodoro, Sisi, Philippe Matignon.
Golden Lady Company ha cessato negli scorsi anni le attività alla OMSA di Faenza e alla
Golden Lady di Gissi (Ch), mandando in cassa integrazione e mobilità lavoratori italiani e
trasferendo all’estero (in Serbia) i macchinari delle aziende cessate in Italia.
I 12 stabilimenti di Golden Lady in Italia Serbia e Stati Uniti producono oggi 400 milioni di
calze l’anno, che sono distribuite in 70 paesi del mondo (fonte sito Golden Lady Group)
La domanda è spontanea: qual’era la necessità di un gruppo leader di un settore, di
trasferire macchinari ad alta capacità produttiva in Serbia, generando disoccupazione in
Italia? La leva del costo del lavoro non puo’ essere presa a riferimento poiché sarebbe piu’
giusto parlare di maggior marginalità e quindi trattasi di manovra prettamente speculativa,
di un’azienda non in crisi, a danni dell’occupazione in Italia.
Oggi la riconversione dello stabilimento di Faenza è andata a buon fine, diciamo questo
perché la riconversione dello stabilimento nella Val Sinello (Gissi) è fallita.
Il management della Golden Lady Group ha portato avanti il suo piano industriale, il
businnes va avanti, con profitti che arrivano dall’estero e con una disoccupazione generata
nel nostro Paese.
9. Produzione sulla leva-costo: Import di prodotto per marginalità competitiva.
Alcune aziende, che hanno pero’ già definito piani industriali con trasferimento, anche
totale della produzione all’estero, si imbattono esclusivamente nella commercializzazione
dei prodotti, affidando alla leva del prezzo la strategia per intercettare quella marginalità
che non erano riusciti a trovare precedentemente.
Alcuni imprenditori utilizzano questa maggior marginalità anche per trasferirla in parte ai
clienti che commercializzano questi prodotti.
Le dinamiche commerciali con i clienti fanno anche registrare come, in certi contratti, la
mancata vendita di parte delle merci, possa rientrare per differenza con le nuove forniture
nella stagione successiva, consentendo il rientro nell’ OUTLET dell’azienda che importa e
commercializza distribuendo il prodotto.
Per quanto detto precedentemente sul made in Italy, questo tipo di dinamica produttiva su
estero e commercializzazione in Italia, rende queste merci poco apprezzati agli occhi dei
consumatori, per lo meno nei confronti della fascia di consumatori piu’ critica e attenta ad
un manufacturing di qualita’.
10. Il settore concia-pelle / il caso MARESTER
Nel settore concia della pelle, l’Italia vanta una posizione di primazia per qualità di
processo lavorativo, essendo questo settore molto di nicchia e rivolto quindi ad una fascia
di consumatori molto attenti.
La regione della Toscana esprime sicuramente l’area di maggior interesse rispetto al
processo della concia e del trattamento dei tessuti.
Da menzionare il caso della MARESTER, che molti anni fa ha iniziato ad acquistare materie
prime dall’Irlanda e produrre capi in pelle, conciati direttamente in quel paese,
riscuotendo un grande successo di vendite addirittura nel mercato del Giappone,
notoriamente molto difficile per il nostro export di prodotto finito.
Questo laboratorio artigianato cosiddetto “artistico” ha consentito negli anni di sviluppare
un prodotto apprezzato nel mondo e concepito con metodo assolutamente artigianale.
Altro esempio di competizione basata sulla qualità del prodotto a partire dalla materia
prima.
Ma come si concia la pelle?
IL PROCESSO PRODUTTIVO DELLA CONCIA
Il processo produttivo conciario è molto complesso ed è costituito da
un alternarsi di operazioni chimiche e meccaniche. Tutte le
operazioni chimiche, fino alla rifinizione, sono condotte con l'impiego
di acqua ed in un reattore tipico della conceria dettobottale,
sostanzialmente costituito da un cilindro ruotante intorno al proprio
asse nel quale vengono immesse le pelli, l'acqua ed i prodotti chimici
necessari.
Subito dopo l'abbattimento dell'animale, la pelle scuoiata viene
sottoposta a processi di conservazione per bloccare l'inizio dei
processi di putrefazione. La conservazione, per salatura o per
essiccazione, viene effettuata nel macello o da aziende specializzate.
La pelle può anche essere conservata fino a 10-12 giorni per
raffreddamento (+2 ºC).
IL RINVERDIMENTO
Consiste in pratica nel trattare la pelle con acqua ed in qualche caso
con piccole quantità di prodotti chimici (tensioattivi, sali basici,
enzimi). Nel rinverdimento viene ripristinato il contenuto normale di
acqua della pelle e vengono eliminati il sale (nel caso di pelli salate),
sporco, sangue, sterco, altre sostanze contenute nella pelle e non
utili o dannose per il processo conciario, ecc.
LA CALCINAZIONE
Spesso semplificata in calcinaio, consiste nel trattare le pelli con
calce e solfuro di sodio per eliminare il pelo e l'epidermide
(ovviamente quando non si debba produrre pellicceria o pelli con
pelo). Le pelli divengono gonfie e turgide
SCARNATURA
E' la prima operazione meccanica con la quale vengono asportati il
grasso ed i tessuti residui rimasti aderenti alla pelle dopo la
scuoiatura.
SPACCATURA
Spesso, per le pelli con elevato spessore (soprattutto bovine), viene
effettuata la spaccatura, che consiste nel dividere la pelle in due o
più strati per ridurne lo spessore al valore voluto. Lo strato inferiore
costituisce la crosta.
DECALCINAZIONE
E' un'operazione chimica per eliminare la calce, il gonfiamento e la
turgidità della pelle.
LA MACERAZIONE
Quando si desidera produrre un cuoio morbido, viene effettuata
anche questa operazione con l'utilizzo di enzimi.
SGRASSAGGIO
Nel caso di pelli per loro natura molto grasse, per esempio le pelli
ovine, è necessario effettuare uno sgrassaggio che elimina la maggior
parte del grasso e ne uniforma la distribuzione in tutta la pelle. Di
solito viene eseguito con tensioattivi.
LA CONCIA
La concia consiste nel trattare la pelle con sostanze, gli agenti
concianti, che sono in grado di legarsi chimicamente alla pelle
rendendola imputrescibile. La pelle conciata dovrebbe sempre essere
chiamata cuoio ma in Italia nell'uso comune il termine cuoio viene
preferenzialmente attribuito a cuoi spessi e rigidi, come il cuoio suola
e per cinture, mentre si usa il termine pelle per cuoi più sottili e
morbidi come per abbigliamento, pelletteria, ecc.
LA CONCIA VEGETALE
E' uno dei sistemi di concia più antichi ancora oggi usato per la concia
di pelli destinate alla produzione di cuoio suola, guardoli, articoli
tecnici, fodere, rivestimenti per sedie ecc. La pelle decalcinata viene
trattata con tannini vegetali, sostanze organiche complesse
contenute in tutti i vegetali, da cui vengono estratti e concentrati o
ridotti in polvere
LA CONCIA MINERALE
Il 90% delle pelli è tuttavia destinata alla concia minerale, preceduta
dal piclaggio che consiste nel trattare la pelle con un bagno
contenente sale ed acido, di solito una miscela di acido solforico ed
acido formico.
La concia al cromo è la concia minerale di gran lunga più frequente,
ma sono usate anche la concia all'alluminio, allo zirconio, al titanio.
Nella parte finale della concia si effettua la basificazione, mediante
aggiunta di composti lievemente alcalini come bicarbonato, acetato
o formiato di sodio, per favorire la reazione chimica di concia. La
pelle conciata assume il colore del composto conciante e quindi la
pelle al cromo assume il nome di wet-blue, con gli altri concianti
minerali di wet-white.
WET WHITE / WET BLUE
Il wet-blue ed il wet-white, in quanto materiali imputrescibili,
resistono inalterati per molto tempo e possono essere
commercializzati in tale stato. Anche le pelli piclate hanno una buona
resistenza ai batteri e possono essere ugualmente commercializzate
in tale stato. L'uso di pelli semilavorate come materia prima di
partenza nelle concerie italiane è in costante aumento perchè molti
Paesi produttori di pelli preferiscono esportare pelli semilavorate
invece che grezze per ottenere un maggiore valore aggiunto.
SPACCATURA/RASATURA
Allo stato conciato le pelli possono essere sottoposte ad altre
operazioni meccaniche: la spaccatura (se non è stata già effettuata
dopo il calcinaio), e la rasatura con la quale si uniforma lo spessore
su tutta la pelle e tra le pelli della partita e lo si porta al valore
voluto.
RICONCIA
Con la riconcia si modificano nel senso voluto le caratteristiche
chimiche e merceologiche impartite dalla concia principale
TINTURA
La tintura serve a conferire alla pelle il colore voluto. Si può regolare
la profondità di penetrazione nella pelle del colore controllando il pH
del bagno di tintura.
INGRASSO
L'ingrasso serve ad introdurre all'interno della pelle e tra le fibre un
lubrificante o meglio un sostanza che pur essendo in qualche modo
legata chimicamente alla pelle serva soprattutto a consentire alle
fibre di scorrere l'una sull'altra ed a tenerle separate, conferendo
così alla pelle flessibilità e morbidezza anche dopo che sia stata
asciugata. Si usano a tal fine sostanze grasse naturali, animali e
vegetali, minerali (derivate dal petrolio) o sintetiche,
opportunamente trattate o parzialmente modificate per renderle
emulsionabili in acqua e capaci di stabilire un legame con la pelle.
Le operazioni di riconcia, tintura e ingrasso, più spesso le ultime due,
possono anche essere effettuate contemporaneamente nello stesso
bagno in quanto regolate nello stesso modo dagli stessi parametri
chimici.
Le pelli possono ora essere asciugate
ASCIUGAGGIO
L'asciugaggio può essere effettuato con vari sistemi a seconda del
tipo di pelli e della destinazione del prodotto. Citiamo l'asciugaggio
per sospensione, inchiodaggio, pasting, sottovuoto.
RIFINIZIONE
Nella maggior parte dei casi dopo l'asciugaggio le pelli vengono
sottoposte ad operazioni di rifinizione, che mirano a migliorarne le
prestazioni o semplicemente a migliorarne o modificarne l'aspetto e
la mano. Possono essere di tipo meccanico, chimico o combinato.
Rifinizione meccanica. Con la smerigliatura si ottiene una superficie
vellutata. Se effettuata dal lato carne si ottiene il velour o suede, se
effettuata dal lato fiore si ottiene il nubuck o nabuck.
Con la bottalatura (volonatura, follonatura) si fanno girare le pelli
velocemente a secco in un bottale per ammorbidirle e rendere più
evidente e marcato il disegno tipico della grana.
RIFINIZIONE CHIMICA
Rifinizione chimica. Si ricopre la superficie della pelle con un film più
o meno sottile, fatto formare sulla pelle o preformato e fatto aderire
alla pelle. Questo film può essere trasparente, incolore o colorato,
contenere pigmenti (che nascondono il disegno tipico della grana),
ed altri ausiliari per ottenere pelli lucide, opache, con tatto setoso,
grasso, ecc.
Dopo l'applicazione del film le pelli possono essere sottoposte ad
operazioni meccaniche (placcatura, bottalatura a secco, lissatura,
ecc.) per ottenere effetti combinati.

OPERAZIONI CONCIARIE
Di recente sono entrate nel mondo conciario anche tecniche
modernissime come la stampa inkjet, il trattamento con laser, con
plasma freddo, ecc. che hanno consentito di ampliare a dismisura,
grazie soprattutto alla fantasia ed alle capacità dei tecnici di
rifinizione, il tipo ed il numero di articoli che è possibile ottenere per
seguire le esigenze sempre mutevoli della moda.
LA MISURAZIONE
L'operazione conclusiva del processo è la misurazione. Cuoi e pelli
vengono infatti commercializzati in base alla superficie e quindi
in mq (anche se resta ancora in uso la misura tradizionale in piedi
quadrati o p.q.). Il cuoio suola, al contrario, è venduto a peso e
quindi in kg.
Dati su fonte UNIC
Ma l’Italia è leader nel settore della concia della pelle:
L'industria conciaria italiana impiega 18 mila addetti in circa 1.300 aziende, ha un fatturato
annuo 4,9 miliardi di euro ed è storicamente considerata leader mondiale per l'elevato
sviluppo tecnologico e qualitativo, lo spiccato impegno ambientale e la capacità innovativa
in termini di design stilistico.
Il settore è formato soprattutto da piccole e medie imprese, sviluppatesi principalmente
all'interno di distretti specializzati per tipologia di lavorazione e destinazione
merceologica.
L'industria ricicla e nobilita una scarto dell'industria alimentare della carne, cioè le pelli
grezze prodotte in conseguenza della macellazione.
La principale tipologia animale processata è quindi la bovina adulta, che incide per il 67%
della produzione complessiva, seguita dalle ovine (14%), dalle capre (10%) e dai vitelli
(8%). Solo lo 0,5% delle pelli conciate dal settore appartiene ad altre razze animali (rettili,
suini ecc.)
I più importanti clienti delle concerie nazionali sono da sempre i produttori di calzature, a
cui viene venduta quasi la metà delle pelli prodotte a livello nazionale (45%). Segue la
pelletteria (21%), l'industria dell'arredamento (19%), gli interni auto (7%) e
l'abbigliamento (6%). Vi è infine un residuale 2% destinato ad utilizzi fortemente marginali
(legatoria, ecc.).
La concia è uno dei settori industriali italiani maggiormente internazionalizzato, come
emerge dai dati di commercio estero.
Le esportazioni di pelli conciate, destinate a 116 Paesi, rappresentano tre quarti del
fatturato complessivo (percentuale più che doppia rispetto a 20 anni fa). Se l'Unione
Europea risulta essere la principale macroarea geografica cliente (52% dell'export
generale), dal 1995 il principale Paese di destinazione estera delle nostre pelli è di gran
lunga la Cina, che ,inclusa Hong Kong, incide per il 20% sul totale esportato e,
conseguentemente, per il 15% sulle vendite complessive del settore.
Un ruolo essenziale per il settore viene giocato anche dall'import di materia prima, dato
che l'approvvigionamento estero, che ha origine da 128 Paesi, copre oltre il 90% del
fabbisogno dell'industria. Nel dettaglio per tipologia di commodity acquistata, poco meno
di metà delle importazioni in volume si riferisce a pelli grezze mentre il 56% è riferito a
pelli semilavorate fino allo stadio "wet blue"; l'altro semilavorato utilizzato (pelli "crust")
pesa per meno dell'2% sul totale.
Data la fondamentale importanza delle forniture dall'estero è particolarmente sentito il
problema del protezionismo sulla materia prima, praticato in maniera intensa, sleale e
crescente da alcuni significativi concorrenti extra-UE (Brasile, India, Argentina, Russia,
Etiopia, Nigeria, Pakistan ecc.). Ad oggi circa la metà delle pelli grezze disponibili a livello
mondiale viene sottratta al libero mercato attraverso l'imposizione di dazi e altre barriere
non tariffarie.
Nonostante l'agguerrita concorrenza dei sopracitati concorrenti, oltremodo avvantaggiata
anche da insufficienti standard ambientali e sociali, l'industria conciaria italiana detiene
tuttora un indiscusso primato internazionale. Il valore della produzione pesa infatti per il
17% a livello mondiale, percentuale che sale al 62% se consideriamo la sola Unione
Europea, mentre sul piano commerciale calcoliamo che una pelle finita su quattro
commercializzate tra operatori internazionali sia di origine italiana.
11. Filiera manifatturiera: la leva del prezzo imposto ai façonisti
Il cuore del problema occupazionale, in questo momento, è caratterizzato dal rapporto
committente-façonista, ancora oggi determinante all’interno delle filiere produttive.
Le aziende committenti, hanno in mano un “portafoglio ordini” e termini di consegne agli
esercizi commerciali.
Rispetto al contesto della crisi economica, le nuove strategie commerciali stanno portando
i produttori ad affidarsi a terzisti con un alto grado di affidabilità rispetto alle consegne,
essendo queste essenziali per la distribuzione del prodotto finito in tempi certi.
Sebbene le aziende committenti hanno prodotto il campionario (e quindi conoscono i
tempi della produzione e delle fasi per costruire i capi, di cui possiedono accurate schede
tecniche) e venduto capi ai loro clienti, rimane che sviluppare il confezionamento delle
collezioni e questo viene pianificato su piu’ laboratori di confezione façonisti.
In questa fase, quella dell’assegnazione delle commesse, le aziende committenti
propongono la confezione dei capi ad un prezzo fisso, spesso difficilmente valutabile dal
façonista, riguardo la congruità prezzo proposto e costo di produzione.
Spesso i laboratori façonisti, messi in concorrenza, accettano il prezzo per la façon anche a
costo di non essere piu’ in punto di equilibrio tra costi e ricavi.
Questo tipo di atteggiamento da parte dei committenti, rende ancor piu’ forti le aziende
detentrici dei marchi, e piu’ esposti alla ricattabilità le aziende ed i lavoratori delle aziende
terziste e façoniste.
Spesso rimane poco convincente il passaggio di consegne tra façonista e committente,
poiché da una parte i committenti conoscono le condizioni economiche con le quali
mettono in difficoltà la filiera con prezzi al limite (e a volte sottocosto) e pretendono la
consegna della merce in tempi sempre più stretti.
Il problema delle consegne determina a volte il ricorso a molte ore di lavoro a ridosso delle
consegne con conseguente ricorso a straordinari (mai contrattati ed in violazione alle
norme del CCNL) o comunque facendo ricorso alla flessibilità di orario, anche
plurisettimanale, al fine di convogliare le ore fatte in eccedenza in appositi banche ore.
Il problema della incompatibilità dei prezzi in certi casi ha spesso scatenato
comportamenti illegali da parte di imprenditori che per anni hanno lavorato sottocosto,
accumulando debiti con la grande difficoltà a chiudere l’azienda e a metterla in
liquidazione.
In taluni casi, è capitato di constatare che il piccolo imprenditore terzista, pur di evitare il
fallimento, cedeva presso notai l’azienda a personaggi che poi nel tempo si sono rivelati
tutto fuorchè veri imprenditori del settore: veri e propri prestanome con il solo scopo di
evitare il fallimento al precedente imprenditore andando al subentro nell’amministrazione
dell’azienda, spesso con cessioni di azienda a norma dell’art.2112 c.c., accollandosi cosi
debiti (spesso altissimi) e crediti (quasi mai presenti) del cedente.
A volte si sono svolte compravendite di aziende a costo praticamente pari a zero, laddove
il costo del TFR maturato e altri crediti a favore dei lavoratori, venivano accollati al
cessionario e compensati dal valore dei macchinari. Truffe opportunamente organizzate
per far uscire dai debiti, evitando addirittura il fallimento, al vecchio titolare.
Ma a che prezzo? Sicuramente quando avviene un fallimento, spesso il TFR deve essere
recuperato attingendo ai fondi di garanzia (o tesoreria dell’INPS).
Il costo sociale che si scarica sulla collettività è pesante, anche perché va aggiunto al costo
che comunque viene sostenuto a favore dei dipendenti, il grande peso economico che
grava per il sostegno al reddito dei lavoratori posti in mobilità.
12. Il costo dell’energia è un fattore di scarsa competitività, visto che gran parte dell’industria
italiana pagava già prima della crisi un differenziale del +30%, rispetto agli altri competitor
europei. Esiste infatti un differenziale di redditività in capo ai gestori delle reti di trasporto
per elettricità e gas, rispetto alla media del settore manifatturiero.
Sui costi dell’energia sicuramente si dovrà aprire una riflessione, poiché tutte le imprese
lamentano un peso importante sui bilanci che è determinato dal continuo aumento dei
costi energetici, che vanno successivamente ad erodere la marginalità delle imprese.
in questa fase le aziende di produzione elettrica che sono collocate nel mercato libero,
stanno facendo scelte strutturali, come ad esempio la rinuncia agli impianti collegati al
decreto CIP 6/92, soprattutto di generazione termoelettrica vedi i casi di dismissione degli
impianti IGCC ad olio combustibile di API RAFFINERIA di ANCONA e di numerose centrali
termoelettriche di EDISON e ENEL con conseguente messa in conservazione o
smantellamento degli impianti e perdita di posti di lavoro e professionalità sul territorio,
nonché dell’abbandono di una tecnologia (ed impianti anche di nuova generazione, creati
appunto a seguito della normativa CIP 6/92 a favore del gestore della rete elettrica GSE).
Il tutto sembra essere causato dall’aumento degli impianti per energia “rinnovabile” che
stanno via via sostituendo lo stock di energia prodotta da altre tecnologie poiché le
rinnovabili entrano con precedenza nella rete elettrica.
Questa tematica sulla generazione elettrica evidenzia come ci sia stato un grave ritardo
nella definizione di un piano energetico nazionale, e tuttavia l’acquisizione di EDISON da
parte di EDF evidenzia che su questo tema la lunga mano dei francesi sia arrivata anche
nel nostro Paese dove nello stesso tempo in cui viene erogata energia nucleare prodotta
fuori dai confini, le stesse società di produzione elettrica prima acquisiscono i nostri
marchi (e quindi anche i contratti e la rete commerciale) e poi decidono come sta
accadendo di abbandonare la produzione elettrica concentrandosi evidentemente su altri
rami (vedi il ramo del gas). Tutto questo accade senza un reale beneficio sulle tariffe sia
per i cittadini-utenti sia per le imprese che lamentano il continuo peso della bolletta
elettrica. Ad una reale OVER CAPACITY dei generatori elettrici non consegue un reale
abbattimento delle tariffe.
13. La contrattazione: leva della partecipazione al lavoro e della maggior produttività
La partecipazione al lavoro dei lavoratori, sembra essere ad oggi una delle principali leve
per costruire un sistema di redistribuzione di ricchezza ai dipendenti ed i relativi benefici
fiscali derivanti dalle normative di legge.
La presente affermazione deriva dal fatto che laddove i contratti di secondo livello sono
stipulati o rinnovati, questo avviene grazie alla concessione, da parte sindacale di un
meccanismo, che vede al centro la misurazione della effettiva partecipazione al lavoro.
Il coinvolgimento dei lavoratori nella qualità del prodotto diventa anch’essa condizione
determinante per il raggiungimento degli obbiettivi del contratto integrativo, come del
resto il tema dell’organizzazione del lavoro.
Alla luce dell’accordo del 28 giugno 2011, le RSU possono intervenire nella contrattazione
di secondo livello, anche su temi delegati dal CCNL al 2° livello, ma in questo momento
prevalgono gli integrativi dove la partecipazione al lavoro fa misurare anche indicatori
diversi: Alcune aziende considerano permessi per Legge 104 addirittura un’assenza per la
determinazione del premio di partecipazione, altri considerano l’infortunio in itinere non
utile al calcolo del premio.
La brutalità della discussione sta nel fatto che premi di carattere collettivo assoggettati a
normativa fiscale, concepiti per la redistribuzione della ricchezza prodotta in azienda, in
realtà poi finiscono per erogare salario solo su base individuale e non collettiva.
Altri parametri come ad esempio il “range” dei tempi di consegna del prodotto finito pari
ad esempio a 10 giorni di calendario, possono essere raggiunti collettivamente, come base
di calcolo di alcuni premi. Quello che non piace è considerare che ad un determinato
raggiungimento di premio lordo annuale, questo viene decurtato a seconda di una griglia
di presenze o assenze che rendono il premio prettamente individuale, anche se la base di
calcolo inizialmente è collettiva.
Particolarmente significativo ho trovato il premio di qualità globale (PQG) contrattato
dalla RSU e dalle OO.SS. dell’azienda CORNELIANI di Mantova, poiché è composto da una
parte fissa e da una variabile.
La parte variabile viene distribuita in base alla percentuale di assenteismo, calcolate
rispetto all’orario massimo di ore lavorabili: la parte variabile rappresenta cifre accessorie
e non esiste in questo contratto di secondo livello, l’elemento presenza come indicatore
prettamente penalizzante in tutta l’architettura del premio (cosa che avviene in altri
contratti che metteremo a paragone)
Alla parte fissa pari a 595 Euro si somma la cifra variabile che viene inserita in una griglia di
presenze/assenza che va da un minimo di 33 Euro per un assenteismo fino al 15% pari a 38
giorni lavorativi ad un massimo di 297 Euro per un assenteismo uguale o inferiore al 3,40%
(fino a 8 giorni lavorativi). Nell’ultimo rinnovo integrativo la parte fissa è stata
incrementata parimenti all’aumento medio della parte variabile, facendosi modello
possibile per altri contratti di secondo livello.
Facendo un’analisi comparativa di tre contratti integrativi che prendiamo a modello,
rispetto al tema della partecipazione al lavoro (o assentismo) si possono notare differenti
impostazioni contrattuali.
Sebbene questo settore intercetta in questo momento segnali positivi che vengono dalla
ripresa della domanda mondiale e dalla forte richiesta di prodotti ‘belli e ben fatti’, tipici
del made in Italy, da parte di una crescente quota di popolazione benestante, in Paesi
come la Cina, la Russia e il Brasile, gli integrativi dovrebbero sempre più incentivare la
qualità dei prodotti, unitamente alla ricerca di una sempre piu’ positiva produttività, ma
spesso si concentrano “solamente” nel contenimento delle assenze.
Le imprese che abbiamo messo a paragone sono:
CORNELIANI (MANTOVA) – CANALI (SOVICO –MB) e LARDINI (Filottrano AN)
La tabella sottostante evidenzia come nelle aziende prese a riferimento, il tema del
contenimento dell’assenteismo sia molto sentito, ed gli integrativi cercano di offrire uno
strumento di “maggior partecipazione al lavoro” tenendo conto delle casistiche di
salvaguardia per i lavoratori che indipendentemente dalla loro volontà sono costretti a
ricorrere a cure per i figli o ricoveri ospedalieri. E’ altrettanto evidente che ad esempio il
premio dell’azienda CANALI, stipulato nel 2007 e prorogato con successivi accordi ponte,
includa meno clausole di salvaguardia per le casistiche di assenza giustificata per la
determinazione dei premi.
Accordi integrativi di nuova stipula hanno incluso maggiori casistiche anche per effetto
dell’applicazione dei contratti negli anni precedenti e la successiva richiesta di
miglioramento da parte delle Organizzazioni sindacali dei lavoratori.
I permessi per la L.104/92 sono considerati non penalizzanti sia da Corneliani (che
penalizza solo assenze per malattia e PNR per assenze ad esclusione dei permessi per
assistenza dei figli fino ai 3 anni e i 5 giorni PNR previsti dalla l.53/2000 per i figli tra 4 e 8
anni) che da Lardini.
L’infortunio in itinere è tuttora considerato assenza solo da Canali. La griglia sulle assenze
sono simili tra Corneliani e Canali, mentre nell’integrativo di Lardini la griglia è stata
migliorata già nel 2011.
La parte fissa, presente solo nell’accordo di Corneliani, testimonia il vero vulnus nella
discussione con le controparti per il rinnovo del CCNL di categoria, dove si sta attualmente
pensando di penalizzare ulteriormente l’integrazione nei primi tre giorni di carenza, senza
tenere conto che spesso le OO.SS. hanno disciplinato la materia a livello aziendale.
Per gli operai l’integrazione malattia nei primi 3 giorni è del 50% in luogo del 100%
previsto per gli impiegati.
Il dibattito che si sta sviluppando attorno al tema dell’assenteismo nel settore moda
abbigliamento assomiglia molto alla discussione che porto’ la CGIL a non sottoscrivere il
contratto nazionale del commercio, dove nel quinto evento malattia va a scomparire
l’indennità di integrazione alla carenza malattia dei primi tre giorni.
In un settore caratterizzato fortemente dalla presenza di manodopera femminile, il ricorso
alla malattia è causato da evidenti episodi non attribuibili a volontà dei singoli di aprire
malattie cosiddette “corte” ma rispetto alla oggettiva condizione fisica delle maestranze.
CORNELIANI (2012)
CANALI (2007 )
LARDINI (2011)
1080 Euro
700 Euro
0 Euro
0 Euro
297 E. ( 0/8 giorni)
+20% (0/5 giorni)
700 E. (0 giorni)
231 E. ( 9/13 giorni)
100% (6/10 giorni)
500 E. (1/5 giorni)
165 E. (14/16 giorni)
-30% (11/15 giorni)
265 E. (6/10 giorni)
99 E. (17/20 giorni)
-40% (16/20 giorni)
155 E. (11/15 giorni)
66 E. (21/25 giorni)
0 ( da 21 giorni in poi)
0 E. (16 giorni in poi)
Ferie, permessi individuali, maternità
obbligatoria, infortunio sul lavoro (ad
esclusione dell’infortunio in itinere),
permessi incarichi sindacali, permessi
donatori di sangue.
Ferie, permessi individuali, maternità
obbligatoria, sciopero, permessi per
donatori di sangue, infortunio sul
lavoro, permessi incarichi sindacali,
cassa
integrazione,
permessi
L.104/92, Permessi L.53/2000 per
congedi
parentali,
ricoveri
ospedalieri e convalescenza fino a 20
giorni, P.N.R. permessi non retribuiti
ricovero ospedaliero figli fino 8 anni
Premio di risultato max.
892 Euro
Parte fissa
595 E. non legata alla presenza
Parte variabile legata alla presenza
33 E. (26/38 giorni)
0 E. (39 giorni in poi)
Non sono considerate assenze
Giornata di Day Ospital (per esami
pre-operatori),
ricovero
ospedaliero, day ospital (intervento
chirurgico),
degenza
post
ospedaliera, malattia (cure per
neoplasie maligne). Infortuni (tutti),
P.N.R. permessi per malattia figli
fino a 3 anni ed i 5 giorni annui di
permesso non retribuito previsti
dalla normativa vigente per malattia
figli da 4 a 8 anni.
Istogramma esemplificativo e comparativo tra i contratti integrativi analizzati.
1500
0-5 gg.
6-10 gg.
11-15 gg.
16-20gg.
+20 gg
1000
500
0
Corneliani
Canali
Lardini
0-5 gg.
892
1080
500
6-10 gg.
826
900
265
11-15 gg.
760
630
155
16-20gg.
694
540
0
+20 gg
661
0
0
*per gg. Si intendono fasce di giornate di assenza. I valori sono espressi in Euro.
Negli anni passati, ad esempio, la stessa LUXOTTICA si era distinta sulle altre imprese per il
modello di contrattazione aziendale, riguardo al WELFARE aziendale che ha anticipato
anche gli stessi fondi integrativi.
Con particolare interesse si nota come una soluzione adottata nell’integrativo del 2011
abbia messo mano ad una materia come quella del Job-Sharing coniugandola pero’ ad un
grande tema come quello della “staffetta generazionale”, tra padri e figli formalmente
palesata nel recente rinnovo del CCNL chimico-farmaceutico del 2012.
E’ evidente che la recente riforma Fornero ha messo il freno all’occupazione giovanile ma
soprattutto ha impedito l’accompagnamento alla pensione, pratica molto diffusa tra le
nostre imprese, con piani di scivolamento verso i trattamenti di pensionistici.
Nel CCNL chimico farmaceutico si sono create le condizioni per poter discutere di staffetta
generazionale, soprattutto se ci fosse a sostegno un adeguato intervento legislativo, sul
piano della fiscalizzazione a favore di chi mette in pratica condizioni per favorire il ricambio
generazionale.
LUXOTTICA e le OO.SS. anticipano nei fatti il tema e lo fanno nella crisi, parlando ai
lavoratori e alle famiglie coinvolte dal grave problema della disoccupazione, della cassa
integrazione e per favorire l’inserimento di maestranze proveniente da recenti periodi di
studio, che possono lavorare con rapporto di lavoro ripartito.
Vengono così individuati 3 ipotesi di applicazione del Job Sharing:
1) Job Sharing che coinvolge il dipendente e il coniuge disoccupato o in CIGS
2) Job Sharing che coinvolge un genitore dipendente ed il figlio che stia terminando o che
abbia appena concluso il ciclo di studi (anche per agevolare l’uscita verso il
pensionamento)
3) Job Sharing che coinvolge un dipendente ed un componente della sua famiglia non
occupato.
Resta evidente che l’applicazione di questo modello presuppone un’adeguata formazione
professionale per il mantenimento degli standard di efficienza aziendali, ma tuttavia è
grande l’attenzione alla valorizzazione della famiglia, al ricambio generazionale, e alla
possibilità di dare risposte ed opportunità di carriera a chi entra con questo tipo di
meccanismo in un’azienda, al tempo della crisi.
CONCLUSIONI:
in questa fase, le imprese del settore moda stanno attraversando la crisi e vedendo la
forte compressione della redditività aziendale. Per questo cali dei consumi,
apprezzamento dell’Euro, spostamento della domanda verso altri prodotti e servizi,
unitamente all’aumento delle materie prime, del costo energetico e una pressione fiscale
sulle imprese caratterizzano la morsa nella quale possono finire i lavoratori nel momento
in cui si decide che il salvataggio dell’azienda passa necessariamente attraverso la
compressione anche dei costi fissi.
Per la complessità di un settore considerato “maturo” ma che ancora puo’ rappresentare
un’eccellenza nel mondo, nel controllo di processo ed in processi lavorativi come ad
esempio quello della concia che consentono di essere considerati Leader nel mondo, e
Leader di un settore ad altissima marginalità, la leva della contrattazione e le soluzioni
organizzative che si possono trovare fabbrica per fabbrica, con il prezioso concorso delle
R.S.U., consentiranno a tutti gli addetti di questo settore di poter programmare le attività
andando a cogliere tutte le potenzialità ancora inespresse.