Paolo Stanzan - Associazione Tori e Motori International amanti

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Paolo Stanzan - Associazione Tori e Motori International amanti
Interviste di Tecnostoria
Intervista rilasciata da Paolo Stanzani a Vicentini Giuseppe di tecnostoria
11/07/2008
Mi chiamo Paolo Stanzani, sono nato a Bologna il 20 luglio del 1936, ho sempre abitato a Bologna, studiato a
Bologna, liceo scientifico, poi università a Bologna, laureato in ingegneria meccanica con una tesi
sperimentale, rimasto qualche tempo in Istituto come assistente, poi sono entrato subito in Lamborghini.
Sono rimasto fino a che è rimasto Ferrucccio Lamborghini, quindi dal 1963 al 1975. Quando sono entrato lo
stabilimento ancora non c’era, si stava iniziando a costruire qualche cosa. All’inizio si lavorava a Cento,
stabilimento Trattori, poi di fronte a dove c’è l’attuale stabilimento a S. Agata, c’era un piccolo artigiano con
un capannone e ce ne affittò una parte, per l’ufficio tecnico e per un primo embrione di officina, soprattutto
per il collaudo e il montaggio dei gruppi.
Nessuna lavorazione, però si preparavano i pezzi, si pulivano, si cominciava a fare un po’ di magazzino delle
parti a distinta base. Si cercava insomma di iniziare a mettere insieme soprattutto le parti motore e telaio,
che erano progettati, almeno questa prima fase, sotto la direzione e il consiglio dell’ingegner Bizzarrini. E’
proprio in questi primi tempi che lavorano come disegnatori Vecchi, Pedrazzi e Bevini. C’era già da alcuni
mesi l’ing. Dallara, con la responsabilità del coordinamento tecnico e ci sono alcuni operai che vengono
trasferiti lì dalla Trattori. Magari quelli più adatti, che avevano voglia di lanciarsi nel mondo dell’automobile.
Pedrazzi e Bevini venivano dalla Ferrari e prima avevano lavorato tutti due all’Abarth a Torino. Non erano
nemmeno dei periti, erano dei disegnatori, avranno avuto vent’anni, due persone molto capaci, molto bravi
tutt’e due. Questo è l’inizio.
Entra anche nello stesso periodo Bob Wallace. Vecchi invece è un disegnatore “storico” della Lamborghini
Trattori, anzi il primo disegnatore in assoluto di Ferruccio.
Da quel momento inizia la revisione critica sia del telaio che del motore. Si capiva che il telaio non era molto
adatto ad essere industrializzato: era molto simile al Ferrari. Era un telaio di tubi ovali come ha avuto per
lungo tempo la Ferrari, mentre Dallara scelse la strada di usare dei tubi di sezione rettangolare e quadrata.
Anche le sospensioni erano dei bracci in tubi, noi invece subito facemmo i bracci delle sospensioni in lamiera
stampata. In sostanza si rivide tutto il progetto con un occhio alla possibilità di produrlo in serie, anche se in
serie limitata, ma in modo più economico. Stiamo parlando della 350 GT.
La carrozzeria-prototipo fu fatta presso una piccola carrozzeria di Torino, Sargiotto, mentre il disegno era di
Scaglione, un grande designer di quell’epoca. La macchina era molto bella, estrosa, come tutte le macchine
che Scaglione che ha fatto: le varie Bat di Bertone, la Giulietta SS di Bertone, ecc. Ha fatto veramente delle
macchine molto estrose, molto belle, molto originali. Proprio in questi giorni sono in programma
manifestazioni per ricordare Scaglione e rendere omaggio alla sua attività.
C’era il problema che questo prototipo era stato fatto presso un piccolo artigiano, quindi nessuna possibilità
di avere in seguito la produzione, poi era stato praticamente imbastito, non c’era dietro un disegno
costruttivo, non c’era uno studio per le attrezzature di produzione. Quindi Lamborghini si rivolse per la
produzione alla Touring, che, naturalmente, come ogni carrozziere, amava poco costruire cose disegnate da
altri. Anche perché la Touring aveva una tradizione immensa. A quell’epoca era la carrozzeria italiana più
prestigiosa, proprio per la sua storia, per tutto quello che aveva fatto. Dissero che avrebbero preso volentieri
questa commessa però avrebbero ridisegnato loro la macchina.
La Touring era di proprietà di due soci, dell’avvocato Ponzoni e dell’ing. Bianchi Anderloni. Il loro direttore
tecnico era Formenti, che era sia stilista che progettista tecnico. A quell’epoca le cose stavano un po’
cambiando nel mondo della carrozzeria, una cosa era lo stile e una cosa era la tecnica, quella che poi dava
corpo alle idee, che permetteva che le idee venissero realizzate nel modo adatto per essere industrializzate.
Formenti ricopriva tutti e due questi ruoli, quindi molto probabilmente in molte cose si autolimitava, cioè
prevaleva in lui l’anima tecnica, comunque fece una gran bella macchina, che all’epoca non fu forse
apprezzata così tanto come oggi, se pensiamo che oggi questa vettura sull’usato vale più di un Miura. L’ing.
Bianchi operava molto vicino a Formenti ed era di solito molto equilibrato, molto di buon gusto, un grande
gentiluomo, una persona di grande affabilità, una persona eccezionale.
Purtroppo gli uomini di Lamborghini, i suoi collaboratori della Trattori, quando avevano scelto la Touring,
non si erano accorti che l’azienda era in amministrazione controllata e quindi dopo un po’, nel 1965, finì la
sua attività.
Al Salone di Torino, che fu l’ultimo fatto dalla Touring, noi esponemmo la meccanica del Miura. Con la
Touring facemmo un prototipo, la “Flaing Star 2”, macchina che era praticamente una berlinetta, con la
meccanica della 350 GT, molto bella, la prima macchina che io ho seguito direttamente per quanto riguarda
la carrozzeria. Quindi con Formenti seguii questa macchina, che rimase un prototipo, ma veramente una
macchina simpaticissima. L’ho usata personalmente per 5 o 6 mesi come macchina per andare in giro per
lavoro.
All’inizio del mio lavoro, feci tutti i calcoli delle parti del motore che venivano modificate, poi seguii il collaudo
delle parti, per vedere se tutto andava bene, poi seguii il montaggio del primo motore nostro, poi la sala
prove motori, ecc. ecc. e dopo quando avemmo pronta la vettura prototipo - Touring, seguii tutte le prove
su strada insieme a Bob. Quando incominciò la produzione mi occupavo anche della “delibera” delle
carrozzerie, il che voleva dire che due volte alla settimana andavo a Nova Milanese, dove c’era la Touring, a
controllare cioè se la vernice era a posto, se tutti i giri delle porte erano regolati bene, se l’impianto elettrico
funzionava, se alla prova idrica teneva, ecc.
Insomma collaudavo tre o quattro vetture alla volta, la produzione che c’era, magari ne deliberavo una o due
e le altre erano da rivedere causa difetti. La volta dopo le ricontrollavo. Ricordo molto tristemente,
ripensandoci, specialmente adesso, l’ing. Bianchi che veniva lì e mi diceva:
”Ingegnere questa non me la passa?”
Se “passava” significava che io davo il benestare per la fatturazione e la fattura veniva portata in banca e
veniva anticipato l’accredito. Erano in amministrazione controllata e quello era danaro per tirare avanti. Era
una cosa tristissima questa, ma d’altra parte il mio lavoro era quello.
Quando, dopo la “chiusura” della Touring, andavo a Torino ci andavo con questa “Flaing Star 2” che poi
andò a finire al fratello della scrittrice Francoise Sagan. Finì in Francia e credo che sia ancora là. Nei musei
non c’è ma nei libri si trova. La” Flaing Star 1” era invece quella famosa Alfa Romeo del 1931 della Touring,
una macchina bellissima, forse la più bella macchina mai disegnata.
La Touring è fallita, penso, perché ha fatto degli investimenti enormi per degli impianti che allora non aveva
nessuno: un impianto di decappaggio e di verniciatura che poteva avere forse l’Alfa Romeo.
Fecero una vettura, praticamente investendo loro sulle attrezzature, per il gruppo inglese Rootes, la
“Venezia”, così si chiamava; una vettura che purtroppo non piacque, anche a me sembrava una vettura
“vecchia”, e fu un disastro, perché spesero un sacco di soldi di investimenti e pochissime vetture prodotte:
ciò fece fallire sia la Touring che la Rootes.
Bisogna tener presente che ci sono in gioco, nella messa in produzione di una vettura, delle cifre
astronomiche.
Quando dovevo decidere, sin dall’inizio, l’impostazione di una nuova vettura, quindi tutte le scelte tecniche e
poi alla fine lo stile della carrozzeria, perché la gente compra quello che vede, io mi dicevo:
”Questa è una mazzata, perdo 10 anni di vita nel fare la scelta.”
Perché sapevo che se sbagliavo un modello, per l’azienda era la fine. E’ una sofferenza, una responsabilità
non piccola, anche se avevo 30 anni! Sentivo questa responsabilità, tanto è vero che ero molto, molto
esigente con lo stilista. Per esempio nel periodo in cui Lamborghini non dirigeva più l’azienda, dal 1967,
quando toccava a me la decisione, ero solito lavorare molto vicino allo stilista. Stavamo insieme dei giorni a
lavorare, cioè la “matita” era lo stilista, però io ero lì:
”No facciamo così, dai prova questo.”
Quando abbiamo fatto l’Urraco, i primi due prototipi li ho scartati, perché mi sembravano buoni sul disegno e
dopo guardandoli a grandezza reale non mi convincevano. Non dormivo la notte.
v Mi dispiaceva e non potevo andare alla Bertone, che aveva fatto il prototipo a proprie spese e dove vi
avevo lavorato anch’io, a dire:
”Avete sbagliato!”, dovevo dire:”Abbiamo sbagliato!”
Però i primi due prototipi li ho bocciati. Meglio quelli che un disastro dopo!
Col primo c’è stata una brutta “coda”, perché un anno o due dopo venne fuori il Ferrari 308 GT4 che è stato
l’unico Ferrari fatto dalla Bertone, (quando già Pininfarina era socio della Ferrari), somigliava molto al primo
Urraco e nonostante che si chiamasse Ferrari ( io dico sempre che Ferrari adesso fa delle gran belle
macchine, che vanno molto bene, ma Ferrari potrebbe fare anche delle macchine con le ruote quadrate che
le venderebbe lo stesso) quella fu l’unica macchina che non ebbe molto successo, tanto è vero che adesso si
trova sul mercato dello “storico” a 15 -20 mila euro.
Ripeto, la scelta era una gran sofferenza, per esempio quando abbiamo fatto l’Espada, il primo-prototipo,
aveva le porte ad “ali di gabbiano”, come il Marzal. Sulla carta andava bene ma quando vidi queste porte
contrappesate con dei molloni , per avere il movimento di apertura senza sforzo fisico, mi dissi:
“Mamma mia qui, per problemi di sicurezza, rischiamo di andare incontro a delle grosse grane”.
Però devo dire una cosa, i rapporti con Gandini e con Bertone erano tali per cui loro accettarono sempre, in
tutto il tempo della collaborazione, i suggerimenti migliorativi, tutti eravamo interessati al massimo successo
dei nostri prodotti.
”Va bene, rifacciamo!” era la decisione.
Bertone era già famoso quando fece il Miura, aveva una storia che veniva da lontano. Nuccio Bertone fu
portato sul nostro stand al Salone di Torino, nel 1965, dal nostro concessionario di Milano, marchese Gerino
Gerini, (era stato pilota con le macchine sport con buon successo pilotando delle Ferrari) e quando Bertone
vide quella nostra meccanica esposta disse:
”Va bene, quella meccanica lì la voglio vestire io!”
Noi avevamo sollecitato questo incontro, non è stato casuale, perché avevamo visto, proprio lì nel Salone, il
Canguro, che era un prototipo sul telaio della TZ Alfa Romeo, fatta da Bertone, disegnato da Giugiaro, che
stava per lasciare o aveva lasciato da poco la Bertone. Difatti quando poi entrammo in contatto con Bertone,
dopo poco tempo, un mese circa, mi trovai di fronte Gandini. Alcuni dicono che Giugiaro avesse già fatto dei
disegni del Miura, io non credo.
C’è stata una discussione su questo, ma il Miura è più “nello stile” di Grandini. Giugiaro ha fatto sempre delle
macchine molto pulite, molto classiche, molto belle. Gandini è un estroso, è portato a fare delle cose molto
forti e il Miura non è certo una macchina classica.
Ho provato due volte a lavorare con Giugiaro, una volta con la Lamborghini e una volta con la Bugatti, non
siamo mai riusciti ad andare avanti, avevamo un modo diverso di lavorare. Io ho sempre sostenuto che una
vettura ha un’anima, che si esprime nella carrozzeria, nella meccanica, e che deve essere un tutt’uno.
Un’auto deve essere omogenea, è come una “sostanza” che non è un mix di cose, quando la vai a dividere
in parti infinitesime la molecola è quella e identica resta la sostanza. Una macchina deve essere la stessa
cosa, se guardi la meccanica, se guardi l’interno, se guardi i sedili, se guardi l’esterno, se guardi
l’impostazione di guida, tutto quanto, deve essere un qualche cosa di armonioso. I greci dicevano che
l’estetica era innanzi tutto simmetria, la simmetria era per loro la prima base dei canoni di estetica. Qui non
c’è un problema di simmetria però deve esserci qualcosa di armonico: quindi, caro stilista, io ti devo
trasmettere esattamente lo “spirito”, l’”anima” del prodotto, e dobbiamo lavorare assieme su questo.
Lui invece diceva:
”Tu mi dai il disegno della meccanica, io faccio il mio disegno di stile - carrozzeria e poi te lo faccio vedere.
Se ti piace bene, se non ti piace te ne faccio un altro. E poi un altro. Fin tanto che non ne trovi uno che ti
piace”.
“No guarda, io non lavoro così, lavoriamo insieme”.
“Lo so, ma io sono fatto così”.
E io:”Anch’io sai sono fatto così”.
Io dico sempre che le macchine che ho fatto, le ho fatte insieme allo stilista. Le ha fatte lui ma le sento
anche mie anche di stile, nel senso che io approvavo o non approvavo quello che veniva disegnato. Molte
volte con Gandini, io stavo a casa sua, non riuscivamo a trovare la soluzione soddisfacente. Allora andavamo
a fare un giro nel bosco, lui abita in un bellissimo castello, a piedi o in moto, oppure al museo
dell’automobile, a rifarci gli occhi, e dopo riprendevamo. Inutile insistere quando non viene fuori niente. E
guardi che Gandini tutti lo ritengono un tipo scontroso, sensibilissimo, molto gentile, ma molto chiuso. Una
volta Tonino Lamborghini venne con me in Bertone, stavamo guardando un modellone – prototipo
dell’Urraco e disse:
”Assomiglia a una Porsche ma è più bella la Porsche”.
Gandini sparì. Andò a casa. Io dissi:
”Tonino, adesso ti faccio accompagnare alla stazione, vai a casa così impari a vivere!”
E poi dopo telefonai a Gandini:
”Dai Marcello, ti vengo a trovare”.
“ Ma no, non stavo bene, non sono venuto via per quello sai!”
Un’altra volta eravamo a Venezia, eravamo con le mogli, stavamo passeggiando e c’era la presentazione
della Panda, la prima, io non l’avevo ancora vista. Vedo questa macchina:
”Che bella!” dico io.
Era proprio bella davvero. Marcello diventa muto. Io continuavo a parlare dopo un po’ dico con sua moglie:
”Ma che cosa ha Marcello? Sta poco bene?”
“Perché?”
“Non parla!”
“Scusa, cosa hai detto di quella macchina là? Chi l’ha disegnata?”
Era di Giugiaro. Questo per dire che tipo è Gandini, per il resto una persona di grande gentilezza, un vero
signore. E’ molto schivo, non ha mai voluto mettere su un’aziendina per conto proprio, lavora ancora da
solo.
Tutte le Lamborghini erano delle macchine non copiate, non erano delle macchine banali, macchine in cui di
diverso c’è solo la carrozzeria.
Tutte le Lamborghini hanno alla base una tecnica diversa. Con Lamborghini fare delle cose nuove è stato
molto facile, perché lui diceva, in dialetto naturalmente:
”Dovete sbagliare, perché se non sbagliate non fate niente di nuovo”, mentre da altre parti, specialmente da
Ferrari, se uno sbagliava.…. aria!
A quei tempi noi eravamo dei ragazzi praticamente, non avevamo nessuna tradizione dietro, cioè nessuna
esperienza e quindi uno non si portava il proprio bagaglio di conoscenza professionale, che alle volte
possono essere anche limitazioni. Cercavamo di interpretare i problemi con le conoscenze teoriche che
avevamo, di fare delle cose che gli altri non avevano fatto. Io infatti trasmettevo a tutti i miei collaboratori,
oltre che a me stesso, un dictat, che dovevamo seguire:
”Noi dobbiamo fare oggi quello che gli altri faranno domani!”
Perché, attenzione, quando uno fa del nuovo, non è che faccia delle cose 100 anni in avanti. Leonardo, per
bravo che fosse, non ha inventato il telefono! Chi fa del nuovo riesce a intuire un po’ di cose che non si sono
ancora messe insieme, un po’ prima degli altri. E’ come se ci fossero delle molecole che non si sono ancora
messe insieme che però girano lì attorno. C’è il momento in cui la “cosa” va chiusa e quello lo fa chi fa il
nuovo, prima degli altri, utilizzando la propria capacità intuitiva, bruciando tutti sul tempo. Non puoi
inventare cose che non sono possibilmente “mature”.
Per esempio anche il 350, la prima auto, è innovativa rispetto alle altre vetture. Intanto ha un motore 12
cilindri, l’aveva anche Ferrari, è vero, ma lui l’aveva con distribuzione monoalbero; noi 12 cilindri bialbero.
Lui aveva la distribuzione a bilanciere, noi a camme dirette sui bicchierini, un sistema completamente
diverso, che non era una novità assoluta, ma una novità su un motore 12 cilindri per uso stradale .
Poi avevamo le sospensioni posteriori indipendenti, che era una gran cosa a quell’epoca, tutti gli altri
avevano il ponte rigido con le balestre o i molloni. E quindi per il problema della stabilità e del comfort un
gran vantaggio. Questo in gran parte era dovuto a Dallara, che grazie alla sua cultura teorica, ha avuto
sempre una grande attenzione a tutto l’handling di una vettura e questo è un apporto che lui mi ha
trasmesso da subito e che subito abbiamo applicato.
Ci sono sulla 350 GT caratteristiche tecniche importanti. In particolare tutto quello che in inglese va sotto la
parola “handling” è stato oggetto della massima considerazione, per cui il 350 era una vettura decisamente
innovativa.
Quando abbiamo fatto il Miura abbiamo fatto la scelta di una vettura ancora stradale però molto ispirata alle
vetture da competizione dell’epoca.
C’era allora una vettura che vinceva tutte le gare Sport, la Ford GT40. Era una vettura stupenda che la Ford
creò per sfidare Ferrari che vinceva sempre a Le Mans. Ford a un certo punto disse:”Basta, adesso basta,
vinco io!”
E ha vinto, facendo questa macchina con motore centrale posteriore, molto bella, anche di linea, tanto è
vero che il Miura un po’ si ispira a quella vettura, cioè nei discorsi tra noi e Gandini era presente il GT40.
Il motore è un 12 cilindri però non messo nel modo classico (posteriore in linea), soluzione “classica” con
cambio ZF, quindi passo 2750-2850, che può andar bene per una vettura da gare su pista. Noi avevamo
l’ingombro del motore 12 cilindri, più il cambio, poi il posto di guida comodo: sarebbe risultata una vettura
con passo almeno 2.65 se non 2.70, un passo troppo lungo; dovevamo escogitare un layout nuovo, diverso.
A noi sembrava un passo lungo per una vettura per la guida stradale, sportiva; volevamo una vettura col
passo molto più corto, quindi decidemmo di mettere il motore di traverso. Per tenere tutto compatto
bisognava anche risolvere il problema del cambio e quindi non si poteva attaccare un cambio in
conformazione tradizionale e perciò optammo per una soluzione completamente inedita: il basamento motore avrebbe contenuto anche il cambio!
L’ispirazione in fondo veniva dal Mini, quello di Issigonis, che aveva il cambio nella coppa del motore, sotto.
In effetti il muso del Mini, il vecchio, è molto piccolo, con la guida tutta avanzata ed è una delle macchine
più furbe e più belle che siano mai state costruite. Dal punto di vista tecnico una macchina eccezionale,
veramente un colpo di genio. Noi dicemmo:
”Il Mini in fondo è furbo, noi mettiamo il motore dietro, però non possiamo mettere il cambio in coppa
altrimenti il “gruppo” verrebbe troppo alto”.
La vettura doveva essere al massimo un metro di altezza da terra. Riga e la vettura deve stare lì sotto,
quindi visto che ci si doveva vedere fuori dal lunotto, il cambio andava messo non sotto ma di fianco al
motore.
Qui avemmo un po’ di problemi all’inizio, con la frizione. Il moto passava dall’albero motore all’albero
primario del cambio, che erano in parallelo, con una terna di ingranaggi, e sull’albero di entrata cambio vi
era applicata la frizione. Questo per non fare lavorare i sincronizzatori, che devono accelerare o frenare tutte
quelle masse che sono dopo la frizione. Quindi frizione montata sul cambio. Doveva essere piccola di
diametro per contenere l’altezza da terra del gruppo motore – cambio. Così usammo, praticamente, una
frizione da Formula 1: era una frizione multidisco a secco, senza parastrappi, per niente progressiva.
Il prototipo aprì il gran premio di Montecarlo con sopra il principe Ranieri e consorte. Bob Wallace, il nostro
collaudatore, andò da S. Agata a Montecarlo con la macchina per strada. Si fermò cinque volte a cambiare la
frizione, causa il “fuori-uso” dovuto alla guida nell’attraversamento delle città. Le frizioni tipo “attacca –
stacca” non possono permettersi di slittare altrimenti si bruciano.
”Cosa facciamo adesso?”
Ricordo Dallara, che era emotivo:
”Abbiamo sbagliato tutto!” Calma e trovammo la giusta soluzione.
Le foto del motore - prototipo esposto al Salone di Torino mostrano questa vecchia soluzione di frizione.
Nella nuova soluzione la frizione è portata all’uscita dell’albero motore; naturalmente la terna di ingranaggi
che passava sul cambio veniva dopo, con l’obbligo di ridimensionare i sincronizzatori, per frenare anche
l’inerzia di questi ingranaggi.
La carrozzeria del Miura non ha subito nessun cambiamento dal primo disegno, prima il modellino piccolo,
poi il modellone grande, che allora non era nemmeno un “dimostrativo” ed era fatto per batterci la lamiera
sopra, non ha subito modifiche, mentre di solito quando si comincia a fare una vettura si dice: qui è troppo
spigolosa, qui l’allunghiamo, qui l’accorciamo, qui la facciamo un poco più inclinata e dopo un po’, quando
uno comincia a fare tutte queste modifiche, la vettura non ha più un’”anima”, che prima comunque aveva.
Dopo questi interventi diventa una “pagnotta”, cioè non ha più difetti ma non dice neanche più niente. Ed è
bene in questo caso buttare via tutto e ricominciare da un foglio bianco…
Questa è stata la storia del Miura e quindi le sue novità sono state : la prima vettura sportiva stradale con
motore centrale posteriore trasversale, il cambio in blocco col motore, all’inizio comunicante col differenziale,
poi li abbiamo separati, dato che al differenziale occorreva un olio più denso, un EP 90; telaio scatolato, non
più tubi, che era diventata la moda delle vetture sportive, avevamo una struttura telaio-carrozzeria
praticamente monoscocca, sospensioni indipendenti.
Ritorniamo indietro.
Dopo le prime 24 o 25 vetture 350 GT, dove montavamo un cambio ZF, quello che montava anche la
Maserati, ci rendemmo conto che per noi non andava bene perché andavano fuori uso i sincronizzatori dato
che il motore girava a 7500 giri, mentre quello della Maserati girava a 5000 giri, e allora fummo costretti a
progettarci un cambio ed a costruircelo. Stessa cosa per il differenziale, Salisbury, perché era troppo
rumoroso ed aveva altri difetti.
Quindi tutti gli organi principali meccanici erano nostri, originali, Lamborghini, salvo la scatola guida.
Anche Ferrari aveva i suoi cambi e i suoi differenziali, Maserati no.
Noi eravamo in concorrenza con Ferrari; il cliente Maserati non era il nostro cliente; il nostro era un cliente
estroso, che si era fatto da solo, che gli piaceva avere delle sensazioni, forse voleva anche esibirsi. La nostra
non era una clientela classica. La nostra era la vettura dell’uomo che aveva avuto successo nella vita e che si
concedeva questo giocattolo.
Con una sola macchina abbiamo portato via un po’ di clienti alla Maserati: con la Jarama, una macchina che
ha vinto il premio di una rivista, Stile Auto, credo; una macchina molto classica, molto pulita, disegnata da
Bertone, però non costruita dentro la Bertone ma presso la Carrozzeria Marazzi a Caronno Pertusella.
E’ la meno Lamborghini di tutte le Lamborghini. E io dico sempre che quella macchina, di cui non ne
abbiamo fatte moltissime, ha avuto egualmente il suo successo perché abbiamo preso un’altra clientela, una
macchina però non per la clientela Lamborghini. Questo lo ritengo un mio errore!
E’ una macchina che piaceva a me. Io usavo quotidianamente le Lamborghini, sperimentali di solito, talvolta
non sperimentali, che prendevo dalla produzione e con quelle andavo a casa tutte le sere. Quando al mattino
tornavo avevo spesso una lista di modifiche e miglioramenti in testa. Naturalmente mentre andavi o
parcheggiavi la gente ti assaliva per avere informazioni, per esprimere la propria meraviglia, per
complimentarsi, ecc. Io ho sempre detto che una macchina del genere non la avrei mai comprata, al
massimo una Porsche, che dà meno nell’occhio. Così nacque la Jarama, una macchina poco appariscente,
classica, dalle linee pulite. Ricordo che il dott. Manicardi, allora direttore commerciale della Ferrari, quando la
vide al nostro stand al Salone disse:
”A quella macchina lì manca solo una cosa: il Cavallino al posto del Toro!”
E poi seriamente:
”Complimenti, gran bella macchina davvero”.
Invece, con il senno di poi, non era proprio una macchina per la clientela Lamborghini. Una macchina che
andava benissimo: passo corto, leggera, facile da guidare, motore anteriore, comoda, buon bagagliaio, ecc.
insomma una macchina da usare tutti i giorni.
La reazione alla Jarama è il Countach. Ho capito che non dovevo più pensare ai miei gusti. Con Gandini dissi:
”Dobbiamo fare una macchina che faccia urlare di meraviglia!” e quindi facemmo il Countach. E mi convinsi
sempre più che le macchine si scelgono come le donne: deve piacere a colpo d’occhio, subito. Se una donna
ti piace a colpo d’occhio, si va a vedere se ha delle “qualità”: se è intelligente, se è brava, se è onesta, ma se
non piace a colpo d’occhio, può essere da premio Nobel,…. la si lascia andare!
Per le macchine è la stessa cosa, specialmente per questo tipo di macchina, che non è un’utilitaria. Infatti
queste macchine qui non sono delle “mogli”, sono delle amanti, più puttanone sono e meglio è. Devono dare
forti emozioni, le loro forme devono suscitare sensazioni di desiderio….
Poi devono anche avere un contenuto tecnico. Il cliente non è stupido. Va anche a vedere la sostanza che
c’è. Un Miura o un Countach con dentro un motore americano, non avrebbero mai avuto il successo che
hanno avuto e la Lamborghini non sarebbe mai stata la Lamborghini che è oggi. Sono sempre stato
dell’avviso di non ripetere mai una soluzione tecnica gia fatta, specialmente se questa ha caratterizzato il
successo del prodotto. Una macchina nuova doveva anche avere soluzioni tecniche innovative. Quindi mai
fare una macchina con la stessa meccanica di quella precedente. Purtroppo negli anni successivi alla “nostra
gestione”(mia e di Ferruccio) questo non è più avvenuto:la Diablo e la Murcielago hanno ancora adottato il
lay-out del Countach. Che ha 38 anni!
Quando decidemmo di fare il Countach, era logico che non avrebbe dovuto avere la meccanica del Miura,
doveva essere una macchina nuova con una meccanica nuova.
Siamo a metà del 1969. Vediamo come si approccia l’impostazione.
Intanto mettiamo in rilievo quelli che sono i punti deboli del Miura : ha troppo peso sbilanciato sull’asse
posteriore, ripartizione 40/60, e nonostante che abbiamo differenziato le gomme (il modello SV, ultima serie,
aveva le gomme più larghe dietro) la macchina ha ancora una tendenza al sovrasterzo, quindi una macchina
“al limite” per chi non è un esperto pilota. Quelli “normali” si prendono paura in piena curva, mollano il
piede, frenano e la macchina si gira. Questo è il primo problema.
Il secondo problema è che per la difficoltà di raffreddare omogeneamente i collettori di scarico, davanti
rimanevano più caldi che dietro e le due bancate erano termodinamicamente squilibrate, quindi era difficile
riequilibrare la carburazione (con quattro carburatori triplo corpo!).
Inoltre la coppia di reazione motore in accelerata contribuiva a scaricare l’asse posteriore: andando a spasso
andava tutto bene, ma con guida al veloce….
Un altro problema era il radiatore davanti che sfogava l’aria sul cofano e quindi sul parabrezza e nella guida
in città con le ventole che funzionavano, il flusso caldo permaneva sul vetro,veniva trasmesso all’interno ed
era veramente fastidioso .
Ancora, il Miura aveva i carburatori verticali e in effetti attraverso il lunotto non si vedeva bene dietro, per
cui problemi normativi con gli Stati Uniti .
Non ultimo, avendo il cambio lontano dalla leva di comando, ed avendo il collegamento tramite leveraggi,
solo con una buona registrazione di questi si otteneva la precisione e la sicurezza delle cambiate. Avevamo
anche progettato e costruito un comando idraulico ma la componentistica all’epoca non era disponibile. Lo
sarà molti anni dopo in seguito all’utilizzo in F1! Ah ancora, il bagagliaio dietro, vicino all’impianto di scarico,
specialmente a bassa velocità, era piuttosto “caldino”.
Quindi un po’ di problemi il Miura li aveva. Tenuto conto di queste considerazioni, allora prima di tutto il
cambio lo portiamo davanti al motore e non dietro, così eliminiamo anche tutti i problemi del comando del
cambio, e quello della ripartizione dei pesi. Portando il cambio davanti, il comando è proprio lì all’uscita del
cambio. Si è nelle stesse condizioni di una vettura a motore anteriore. Per di più si ha la predisposizione
ideale per fare le quattro ruote motrici e il gruppo motore-cambio lo posizioniamo longitudinalmente.
Il basamento è tutto nuovo, però usiamo le teste dell’Espada perché hanno i carburatori orizzontali. Così
abbassiamo i pesi, e diamo visibilità attraverso il lunotto.
In coppa, dentro a un tubo, facciamo passare l’alberino di trasmissione che va dal cambio al differenziale il
quale viene alloggiato nella coppa facendo così corpo unico con il motore.
Così arriviamo quasi al 50/50 con la distribuzione dei pesi.
Altra sostanziale innovazione: niente più radiatore davanti, risolvendo così molti problemi. Portiamo il
bagagliaio davanti, al “fresco” e poi non abbiamo più quel noioso problema del calore sul parabrezza.
Portiamo i radiatori dietro, due, vicino ai passaruota. Il primo Countach - prototipo ha delle alette presa
d’aria sulle fiancate posteriori che però in fase sperimentale si dimostrano insufficienti, quindi abbiamo
dovuto fare al loro posto quella bocca che si vede ora, castigando un po’ la purezza estetica. Il primo
Countach esposto al Salone non era fatto così. Quelle prese d’aria originali non erano sufficienti per smaltire
il calore. Quella fu l’unica modifica fatta al prototipo. Questo sistema nuovo motore - cambio poi fu ripreso,
chiedendo l’autorizzazione alla Lamborghini, ma noi non l’avevamo brevettato, dalla Lancia che faceva il
campionato mondiale prototipi,con la S4.
Il Countach è la macchina che ha salvato l’azienda perché questa è andata avanti per più di vent’anni a fare
il Countach, poi dopo con i vari Diablo, Murcielago ecc., ha seguito sempre lo stesso schema. Il telaio è
peggiorato, l’hanno fatto di tubi quadri invece che tondi.
Poi fu fatta un’altra macchina, la Urraco, la più innovativa in assoluto della Lamborghini.
Questa macchina nasce perché vogliamo, dobbiamo, aumentare la produzione, non per l’ ambizione di fare
un numero maggiore di macchine, ma per avere un giro d’affari più grande. Quindi invece di fare un’altra
macchina simile alle altre, decidiamo di farne una più nuova, meno costosa, più fruibile, soprattutto ad un
prezzo diverso. L’obiettivo è proprio quello. Il motore è un 8 cilindri a V, è un monoalbero in testa, ha la
distribuzione a cinghia dentata, primo 8 cilindri con un unico giro della cinghia, la fusione della testa destra è
uguale a quella della testa sinistra, soltanto la lavorazione cambia, quindi tutte le attrezzature per la fonderia
sono per una testa sola.
Ha poi un gruppo, collocato in mezzo al V, che porta tutti gli accessori. Questo gruppo viene montato a
banco ed è quello che “chiude” il V del basamento. Porta il compressore del condizionatore, la pompa
dell’acqua, lo spinterogeno, l’alternatore, insomma tutti gli organi ausiliari sono raccolti e montati su questa
base in una maniera molto facile.
E’ un 8 cilindri con un altro vantaggio, che la testa sostanzialmente ha poche lavorazioni. Le valvole sono
diritte, perpendicolari al piano della testa, non esiste calotta e la camera di scoppio è ricavata nella testa del
pistone. Era chiamata testa – tipo Eron, però noi la facevamo con le due valvole allineate, cioè in modo tale
che la testa veniva solo spianata e lavorate le sedi delle valvole.
Il cambio, in questo caso, dato che un 8 cilindri è abbastanza corto, flangiato direttamente in linea con il
motore. Questa è una soluzione che più o meno avevano già le macchine a motore anteriore trasversale, in
particolare l’aveva la 128 Fiat. Era però innovativo per una vettura GT sportiva . Adesso quasi tutte le auto
hanno questo schema.
Altro problema ancora, la sicurezza e le prove d’urto da superare per ottenere l’omologazione. Il problema
serio, per tutte le vetture dell’epoca, era il piantone dello sterzo che in caso di urto si piantava nel petto aI
conducente. Il Maggiolino negli Stati Uniti per questo ebbe grossi problemi. Cosa si faceva allora? Si
mettevano dei giunti, si interponevano strutture di deformazione, si proteggeva tutto il sistema sterzo. Noi
progettammo un’altra soluzione, nuova in assoluto: posizionammo la cremagliera - scatola guida sul
parafiamma anteriore, lato esterno rispetto all’abitacolo, e lunghi bracci ancorati alle leve sterzo che in
questo caso erano rivolte all’indietro. Era una “geometria” nuova, ma così avevamo eliminato l’asta piantone perché il volante era calettato direttamente all’entrata della cremagliera, cioè al suo pignone, e
nell’urto la deformazione non sarebbe mai arrivata al parafiamma quindi a far arretrare il volante! Abbiamo
dovuto progettare e costruire una scatola sterzo noi, ma questo aveva risolto brillantemente un grande
problema…
Poi le sospensioni erano dei Mac Pherson sia davanti che dietro, ed era la stessa struttura. C’era già una
vettura sportiva, la Porsche, che aveva questo tipo di sospensioni ma solo davanti.
Il telaio è scatolato, cioè non in tubi, è una monoscocca, quindi molto più leggero e in più, in questo caso,
tutta la lamiera “lavora” strutturalmente assieme alla carrozzeria. Gli strumenti sul cruscotto sono messi al
centro, qui era già tutto predisposto, così guida a destra o guida a sinistra era la stessa cosa.
A questo punto c’era ancora un problema molto importante da affrontare, quello delle vibrazioni, quello del
comfort, perché l’otto cilindri non ha l’equilibratura di un 12 cilindri! Le sospensioni tipo Mac Pherson non
permettono una “bella” geometria come quelle a parallelogramma con le quali si riesce, giocando in vario
modo, a fare i centri di rollio dove si vuole, riuscendo a dare quella geometria che riporta la ruota esterna
nella posizione ideale, con il massimo di battistrada a terra, quando è in curva.
Le macchine sportive hanno, di solito, il camber negativo a carico statico perché quando si coricano, in
curva, riportano il pneumatico a lavorare nel miglior modo. Il sistema Mac Pherson essendo un “triangolo”
articolato cambia molto, con lo scuotimento, il proprio centro di rollio, con conseguente “spazzolamento” a
terra e quindi usura dei pneumatici . La soluzione ovvia è limitare lo scuotimento, ma questo porta ad una
maggior rigidità delle sospensioni con il conseguente peggioramento del comfort!
Poi c’era tutto il problema di semplificare il montaggio del gruppo motore-trasmissione-cambio e delle
sospensioni posteriori, non solo per il primo montaggio ma anche e soprattutto per la manutenzione.
Morale, abbiamo montato il gruppo motore, cambio, differenziale, sospensioni, marmitte, tutto quanto su un
telaietto, poi il telaietto era supportato su quattro punti elastici con dei silentblock elastici al telaio. Era un
montaggio molto semplice: abbiamo “tagliato” le vibrazioni e abbiamo potuto dare la necessaria rigidità al
sistema elastico delle sospensioni.
L’Urraco era una macchina innovativa su tutto, non solo nella lavorazione.
Fu fatta la prova d’urto: andò benissimo alla prima prova! Allora c’era già tutto il problema della
omologazione sia in Italia, che in Europa, USA, Giappone ecc.
Il primo fu un 2.5 litri, poi facemmo il 3.0 litri quattro valvole bialbero. Perché quest’ultimo? In previsione di
una vettura molto più sportiva; infatti lo utilizzammo sopra l’ultima vettura che ho fatto in Lamborghini, che
è la Bravo. Fu fatto un prototipo che andò al Salone di Torino del 1974.
Chi venne dopo di me ha continuato ad utilizzare la stessa meccanica, quella del Countach, così per
trent’anni non è più stato “inventato” niente!
Se fossi rimasto dentro avremmo continuato con cose nuove, tanto è vero che le cose nuove le tirai poi fuori
alla Bugatti.
La Bravo è a due posti, l’Urraco è a 4, o meglio 2+2. L’Espada è un vero 4 posti, una macchina eccezionale.
Nel 1975 finisce la mia esperienza in Lamborghini; esco, metto su un piccolo studio, ho cominciato a lavorare
con delle aziende del settore, in parte sempre collaborando con Gandini; erano le aziende che ci ponevano
dei problemi, noi provavamo a risolverli. L’unica macchina di cui hanno accettato che fosse riconosciuta la
“paternità”, fu la prima macchina della Bmw a motore centrale, che non è la M1; era un prototipo presentato
al Salone di Francoforte, che noi disegnammo con motore posteriore trasversale, quattro cilindri, lo schema
era più o meno quello dell’Urraco.
Una volta ero con degli amici, al museo della Bmw a Monaco:”Vedete questa auto” spiegava una guida “è
stata disegnata dalla Lamborghini, in particolare dall’ing. Stanzani”. Io, ovviamente zitto! Dopo, all’uscita gli
hanno detto chi ero, lui mi è corso dietro e ho dovuto fargli una dedica sulla foto della vettura. Facemmo
questa macchina quando eravamo ancora in Lamborghini, poi dopo, come studio, abbiamo lavorato per la
Renault, per la Suzuki, e poi l’avventura Bugatti.
Come nacque?
Siamo negli anni 1985-86, stavamo parlando Lamborghini ed io, una delle tante volte che ci ritrovavamo per
non far scadere il nostro buon rapporto:
”E se facessimo un’altra volta “l’automobile”?” disse lui.
“Oggi è dura!”
“Eh, dai, prendiamo un motore Alfa Romeo”…..
“Ascolta, tu hai fatto delle gran cose, hai fatto una “Casa” prestigiosa, perfino gli americani sono venuti in
Italia a prendersela, beh vuoi partire a fare un qualche cosa imbastito con un motore di altri? No, delle cose
così no! Così non ci sto nemmeno io. Guarda che al giorno d’oggi è più grande l’impegno a fare una
carrozzeria nuova, mentre il motore, fatto in piccola serie, con le macchine a controllo numerico, non è una
cosa troppo complicata. La carrozzeria sì, occorrono gli stampi, le attrezzature di assemblaggio, un casino di
soldi!”
“Allora si può fare?”
“Si ma ci vogliono dei soldi, io non li ho!”
“Dobbiamo trovare qualcuno ”.
Mi venne un’idea:”Se noi riusciamo ad avere Bertone come socio, risolviamo molti problemi, lui fa la
carrozzeria, noi facciamo la meccanica”. Nella nostra collaborazione del resto è sempre stato così.
Una cosa importante da sottolineare è che il rapporto con Bertone è sempre stato molto felice, costruito
anche sulla stima personale. Dopo purtroppo la Lamborghini non è più riuscita a lavorare bene con lui. Noi
avevamo raggiunto un accordo : lui si impegnava a fare tutte le attrezzature della carrozzeria, faceva lui gli
investimenti e noi facevamo la nostra parte, la meccanica. Noi pagavamo naturalmente ogni carrozzeria una
certa cifra, che prima concordavamo, dopo infinite discussioni, però gli investimenti li faceva Bertone.
Dicevamo:
”Noi alla nostra parte ci crediamo e ci investiamo. Tu ci credi alla tua? A quello che hai fatto? Se ci credi fai
l’investimento!”
Questa è una cosa che non si è più ripetuta da nessuna parte ed è quello che ci ha permesso di fare un
modello nuovo tutti gli anni, senza contare le varie versioni; se contiamo anche quelle, altro che un modello
all’anno!
Ritorniamo alla nascita dell’avventura Bugatti.
Allora mi dice Lamborghini:“Prova mo’ a parlare con Bertone!”
Telefono a Prearo, direttore della Bertone:”Ciao Enzo come stai?”
“Bene, ciao Paolo, che “brutta idea” ti è venuta?”
“Stavolta proprio una bruttissima idea, bisogna che ci troviamo” dico io ridendo, “Dai vieni su!” (a Torino
s’intende). Vado su, gli spiego “il tutto”,… lui fa:
”Ne parliamo con il ragionier Bertone!”
Andiamo nello studio di Bertone. Io in tre parole gli dico quello che devo dire, e lui: ”Sa, ho sempre pensato
che un’idea così non sarebbe male. Poi con voi... Certo è una cosa che ci limita con altri clienti”.
“Beh, ragioniere, intanto con Ferrari non fate niente, Maserati pure, poi non è la nostra clientela, gli “inglesi”
non hanno queste pruderie”.
“Mi ci lasci pensare, anche se non le nascondo che ho già in testa….”
E’ l’epoca del Salone di Torino, io e Lamborghini andiamo al Salone, in uno dei primi giorni in cui ci sono solo
gli espositori e la stampa. Io non andavo al Salone da molti anni. Andavo a Ginevra, dove ci sono le novità o
a Francoforte. A Torino no. C’era troppa gente, inoltre facendo il lavoro di progettazione per altri non puoi
mai dire che quello che fai, le Case non vogliono, tutte le Case fanno fare delle cose fuori, però non si deve
sapere; solo se si tratta di stile e che faccia trend. Figurati tutti i giornalisti a rivederci e soprattutto insieme:
”Perché siete qui? Che intenzioni avete? Certamente avete in testa qualcosa, non siete certo qui per
comprarvi una vettura personale”.
“Siamo qui per curiosità!” ….ma nessuno l’ha bevuta.
A un certo punto arriva una frotta di gente verso di noi e si trovano Agnelli e Lamborghini uno di fronte
all’altro. Agnelli fa:
”Ah, buongiorno cavaliere!”
e Lamborghini:”Oh ciao!”
Pacca sulle spalle ad Agnelli:”Come va?”
“Mah, c’è questo mondo difficile …..” fa Agnelli.
“Fai come ho fatto io, che mi sono ritirato in campagna. Compra un pezzo di terra e così campi cento anni!”
Sogghigni e sorrisi di tutto il codazzo.
Incontro nel Salone un mio ex collaboratore, l’ing. Baraldini, che avevo perso di vista; lui aveva seguitato,
per alcuni anni, a lavorare in Lamborghini, dopo che io ero uscito. Aveva fatto il fuoristrada, quello
disastroso. Poi era uscito ed era diventato il direttore dell’Autexpò. Ci mettiamo a parlare, mi chiede cosa sto
facendo e gli racconto cosa stiamo pensando di fare. Dice:
”Io ho la persona giusta per voi!”
“Guarda che è un investimento non da poco.”
“Eh, c’è il titolare dell’azienda Autoexport in cui lavoro, di cui io sono socio piccolo, importatore in Italia della
Suzuki, è uno che non vede l’ora di fare qualche cosa in proprio!”
“Soldi ne ha?”
“Importiamo i Suzuki a tre milioni e li vendiamo con ampio margine! Te lo voglio far conoscere perché è la
persona giusta per voi ”.
Infatti ci mettiamo d’accordo, dopo alcuni giorni incontro questa persona a Verona, si chiamava Artioli, era
l’importatore Suzuki, con una rete bellissima, 70 – 80 concessionari. Incomincia a farmi un sacco di
salamelecchi:”Lei là, lei su, facciamo insieme…”
“Senz’altro, va bene” dico io, “ci pensiamo su e ne parlo con gli altri.”
“Si si si”.
Telefono dopo a Franco Baraldini:
”Allora? Ti piace?” fa lui.
“E’ un po’ troppo liscioso, troppi salamelecchi, sai le persone così non mi piacciono tanto” dico io.
“ Ma no, è un po’ così ma è una brava persona” insiste Baraldini. Allora gli ricordo una certa persona.
Quando ero in Lamborghini c’era un ingegnere giovane che alla mattina mi faceva trovare il giornale sul
tavolo:
“Lei non è mica il mio attendente, scusi!” dopo un po’ lo apostrofai.
”No! Ma io lo facevo per essere cortese”.
“Si lo so però è meglio se il giornale lo lascia comprare a me!”
Torniamo alla faccenda Bugatti.
Passa un po’ di tempo. Intanto avevamo iniziato a disegnare il motore. Bertone era d’accordo sulla nostra
idea. Ora si trattava di mettere in piedi la società. Ci troviamo giù nella tenuta di Lamborghini a Panicarola.
Avevamo invitato anche Artioli che prima ancora di discutere dei problemi societari e finanziari viene fuori
con:
”Ah, ho pensato tutto, non c’è nessun problema, noi compriamo il nome Bugatti”. Lamborghini lo
guarda:”Perché andare a tirare fuori dagli armadi dei nomi di cadaveri? Oltrettutto porta male! Se non va
bene “Ferruccio”(era una sua idea visto che non potevamo usare il nome “Lamborghini”), lo chiamiamo
Fulmine, o un altro nome qualsiasi!” In modo “freddo” e con Bertone un po’, giustamente, disorientato si
chiude la riunione.
Parlo, dopo, con Baraldini, che mi confida:
”Guarda lui è innamorato del marchio Bugatti, da anni sta correndo dietro ai proprietari del marchio Bugatti
per acquistarlo”.
Ma non glielo vendono perché la proprietaria è la Messier – Hispano - Bugatti, una grande azienda francese
che fa gruppi per i carrelli di atterraggio per gli aerei e tutto l’impianto frenante. La Bugatti Automobili era
diventata di proprietà dello stato francese, nel dopoguerra, dopo che Ettore Bugatti era stato condannato
per collaborazionismo coi tedeschi, finendo in un gruppo di imprese, un po’ come il nostro IRI, appunto nella
Messier - Hispano.
Più avanti mi telefona Artioli e mi dice:
”Ingegnere, mi fa una “relazioncina” di quello che “vogliamo” fare, lo schema della vettura, la descrizione
tecnica di questa cosa, con planning, budget. Che poi mi servirà anche per le banche”. Va bene, gli metto
giù una decina di pagine. Lui con questa è andato alla Messier – Hispano - Bugatti dicendo:
”L’ingegner Stanzani e Lamborghini vogliono fare una vettura nuova e la vogliono fare col nome Bugatti!”
Questi qui sentendo i nomi di Lamborghini e Stanzani si sono aperti a quelle trattative che a lui erano
sempre state precluse. Infatti dopo poco tempo si fa vivo e dice tutto raggiante:
”Ecco! Ho comprato il marchio Bugatti! Ho comprato anche tutto l’archivio storico, perché adesso facciamo
questo e quest’altro!”
Lamborghini, un po’ per la storia del nome Bugatti, un po’ che questo “tipo” non gli andava a genio, gli fa:
”Ascolti, lei sarà anche un bravo venditore di macchine, ma di industria non capisce niente. Perché non si fa
così”.
Intanto io ero andato avanti con il progetto. Facciamo una riunione con Bertone, che dice che se
Lamborghini non è d’accordo su quello che vuol fare Artioli, lui segue Lamborghini.
“Allora cosa facciamo, facciamo senza di lui o cosa?” chiedo io.
Fa Lamborghini:
”Tu vai avanti con lui. Vedrai che dopo tre o quattro anni la “cosa diventa buona”!” Lui cosa aveva capito :
questo qui inizia, paga tutto, fa l’investimento poi dopo, con le idee che ha in testa, non è capace di andare
avanti e subentriamo noi.
Riparlo con Baraldini e, dopo lunghe discussioni, faccio la società con Artioli, io col 33%. Artioli voleva
strafare. Ed io:
”Ascolta, facciamo un passo alla volta, poi mano a mano che le cose prendono il verso giusto facciamo gli
investimenti necessari, chiediamo dei mutui, dei finanziamenti. Non serve a niente fare grandi spese ora”.
Ma dopo un certo periodo lui, che era maggioranza, decise un aumento di capitale enorme, io non
sottoscrissi più niente e quindi la mia partecipazione rimpicciolì, al 7%, anche meno. Ero amministratore
unico di questa società, mi davo da fare oltre che per la parte tecnica, trovo il terreno sull’autostrada,
proprio di fianco all’uscita di Campogalliano, terreno che paghiamo una cantata, un miliardo e mezzo di lire
per 80.000 metri quadri! Questo perché il sindaco si era innamorato di questa idea.
Artioli :
”Ho mio cugino architetto, adesso facciamo qui, là, su, giù!”
E io:”Ascolta, l’architetto fa tutto quel che vuoi, come progetto, però noi costruiamo il minimo indispensabile
per iniziare. Benissimo fare ora il disegno di quello che può essere la realizzazione finale, però deve essere
fatto in modo tale che noi adesso ne costruiamo una piccola parte. Costruiamo dove si fa la parte
sperimentale, sopra ci facciamo gli uffici e morta lì!”
Lui fece un altro aumento di capitale e costruì tutto quel po’ po’ che si vede adesso.
Ma veniamo alla vettura. E’ un progetto completamente nuovo. Per il motore non seguo più lo schema del
Countach, niente cambio davanti se no era una Lamborghini. Riprendo il discorso di fare un cambio integrato
col motore, però non metto più il motore trasversale come sul Miura, metto il motore longitudinale e così i
pesi sono abbastanza ben distribuiti. Poi, soprattutto metto molta attenzione ai pesi: voglio fare una
macchina molto leggera.
Allora si facevano motori di 4000, 4500, 5000 cc. Noi facciamo un motore 3500 cc. però con un fracco di
potenza: 12 cilindri, 5 valvole per cilindro, le aveva la Yamaha nelle moto, tre di aspirazione due di scarico,
quattro assi a camme in testa, quattro turbo, sì quattro perché la turbina ha un buon rendimento in un
range di 3 - 4 mila giri e il progetto del motore prevedeva un suo utilizzo da 700 a 9000 giri, avevo bisogno
di operare con più turbine e così feci lo schema che ha ripreso adesso la Bmw, mi sembra, con due turbine,
una piccola e una grande, per ogni bancata, in parallelo. Fino a un certo numero di giri del motore lavora la
turbina piccola, poi da un certo numero di giri in poi lo scarico è deviato e lavora la turbina grande.
Il cambio è alloggiato nella fusione in blocco con il basamento motore. E’ anche la prima vettura sportiva a
quattro ruote motrici. Ferrari aveva già tentato due volte ma non c’era riuscito. La carrozzeria la feci con
Gandini.
Avevamo costruito i primi tre prototipi, quando, a un certo punto, Artioli cominciò a dire cose, per me, fuori
da ogni logica:
”Le Bugatti non si vendono, siamo noi che le assegniamo (bontà nostra!), a clienti particolari! A clienti che lo
“meritano”, che hanno il blasone giusto”.
Poi iniziarono le spese folli ed inutili: 20 tavoli rivestiti in pelle che costavano una ira di dio, poi quell’edificio
circolare tutto in vetro, di diametro interno 17 o 18 metri dove tutto il pavimento interno è una piattaforma
che gira e tutt’attorno ha una scalinata tipo anfiteatro, così quando si presentava una vettura la si metteva lì,
c’erano i giornalisti fermi e la vettura girava. Costava un patrimonio. Soldi spesi da tutte le parti.
Lamborghini a un certo punto mi chiede:
”Come va?”
“Secondo me, altro che tre o quattro anni, qui tra poco salta tutto!”
L’impianto delle lavorazioni meccaniche era fatto dalla Mandelli, macchine a controllo, e a questo punto
conosco il dottor Mandelli, che è un entusiasta delle auto sportive, ha diverse Ferrari. Avevamo ordinato una
catena di lavorazione per fare circa 200 – 250 macchine all’anno. Poi sui due turni si poteva fare di più.
Mandelli un giorno mi disse:
”Ingegnere, c’è modo di diventare socio? Sa, mi interesserebbe”.
Parlo con Artioli:
”C’è Mandelli che chiede di diventare socio, secondo me è una bella cosa”.
Era un imprenditore conosciuto in tutto il mondo, a quel tempo produceva le macchine utensili a controllo
numerico migliori d’Italia, la Olivetti non era più quella di una volta e così convinco Artioli ad incontrare
Mandelli. Andiamo a Piacenza. Ad un certo punto, dopo i soliti convenevoli, Mandelli, che è sì un gentiluomo,
ma anche un imprenditore concreto, dice:
”Qual’è il valore attuale dell’azienda?”
Artioli chiede:”Ma lei con quanto vuole entrare?”
“Lei mi dica qual’è il valore dell’azienda attualmente e io le dirò con quale quota voglio entrare!”
Allora il capitale sociale era 8 o 9 miliardi, Artioli fa:
”L’azienda vale 200 miliardi!”
Mandelli era venuto da noi, conosceva l’azienda, l’aveva vista durante l’installazione delle sue macchine,
disse:
”Si, bene, grazie, ci penserò, ma non credo”.
Quando siamo fuori gli dico:
”Ma scusami, sei matto? Non dobbiamo perdere l’opportunità di avere con noi un tipo come Mandelli, un
industriale vero, con una grande reputazione e molto noto.”
“Ma qui vale quello che abbiamo fatto, il nome Bugatti” ribatte Artioli.
“Ma se l’hai pagato meno di un miliardo, gli investimenti che abbiamo fatto sono solo all’inizio”.
“No no, va bene così”.
E da lì cominciammo a non andare più d’accordo e così lasciai la Bugatti, a metà 1990 con questi tre
prototipi che giravano.
Dopo di me hanno cambiato la linea della vettura perché pensavano che io e Gandini potessimo vantare
diritti come “proprietà intellettuale”. Di solito i carrozzieri depositano il modello, non è un brevetto, ma è un
“modello di forma”, viene depositato quello, è l’equivalente del brevetto della parte estetica della vettura.
Benedini, architetto e parente di Artioli, mise le mani sulla carrozzeria e ne uscì una macchina che “non
diceva più niente”! Gandini la disconobbe!.
Paul Frere, che era il presidente dell’ordine mondiale dei giornalisti dell’automobile, ingegnere, aveva vinto a
Le Mans, aveva corso in Formula 1 e fino agli ultimi giorni della sua lunga vita era il consulente della
Porsche, una persona eccezionale, mi ha sempre detto, tutte le volte che lo incontravo, fino all’ultimo:
”Guarda, quella tua macchina lì è ancora davanti a tutte”.
Quando l’ho visto l’ultima volta, nel 2006, al Salone, diceva che dopo 16 anni era ancora una macchina
eccezionale, un capolavoro.
Quando è entrata in produzione, la meccanica è rimasta uguale a quella da me progettata, la carrozzeria
come detto, è stata modificata. Credo che ne abbiano fatto 50, chi dice 70, chi dice 100. Queste ora costano
il giusto, i tre prototipi sono valutate oltre tre milioni di euro l’uno. Non so chi li abbia ora.
Purtroppo Ferruccio Lamborghini morì nel 1993 e la Bugatti è andata avanti fino al 1995. Non ha fatto a
tempo a “farla diventar buona” come aveva previsto! E’morto giovane, a 76 anni.
Artioli era un megalomane, avrebbe addirittura voluto cambiare nome, voleva chiamarsi Bugatti. Portò in
azienda anche il figlio dell’ex imperatore tedesco, un Hohenzollern, che viveva andando alle feste e facendosi
pagare la presenza. Artioli lo presentò dicendo:
”Abbiamo l’onore di avere con noi un imperatore!”
Poi la rottura definitiva avvenne alla presentazione dei prototipi, lui fece un certo discorso “vuoto” e pieno di
prosopopea. Quando presi la parola io dissi una frase in bolognese:
”La mosca la tira al calz cla pol!”
”Cosa vuol dire?” disse lui.
”Niente, vuol dire così”.
Poi mi fece un altro tiro. In Italia per produrre tu hai bisogno di tutta una serie di componentistica che non
fai: i pneumatici non li fai, i fari, i motorini elettrici non li fai, le maniglie non le fai, un fracco di cose non si
fanno e ci sono delle aziende specializzate che invece le fanno e che di solito, anche adesso penso, fanno
parte del giro Fiat. Le varie Carello, Marelli ecc. ecc. Tante cose si possono anche andare a prendere
all’estero, la Bosch per esempio non fa problemi. Alle carrozzerie, a Torino, praticamente, tutto il lavoro
glielo dà la Fiat, la Ferrari o la Maserati, ma è sempre la Fiat.
Morale vado da Ceresa, grande azienda costruttrice di scocche di carrozzeria, che conoscevo fin da quando
iniziò a fare le prime 350 Lamborghini.
”Oh ingegnere che piacere poter lavorare con lei, che piacere, io però devo chiedere l’autorizzazione. Sto
lavorando al 90% per Fiat, per la Ferrari”.
Stava lavorando in effetti per Pininfarina, quindi per la Ferrari.
“Va bene. Può aspettare alcuni giorni? Vorrei anticipare io la cosa a Ferrari”.
Dovevo assolutamente superare l’ostacolo. Altrimenti le cose si sarebbero complicate. L’azienda di Ceresa
era una sicurezza per i nostri programmi.
Cerco alla Ferrari l’amministratore delegato, allora era l’ingegner Fusaro:
”Ingegnere, sono Stanzani, senta noi abbiamo bisogno di utilizzare alcuni fornitori vostri e visto il volume che
fanno con voi e il pochissimo che faranno con noi, giustamente vogliono una vostra autorizzazione. Noi se
faremo tanto, faremo 200 vetture l’anno! Sono vetture di un prezzo superiore alle vostre, poi penso che
diano comunque prestigio alla nostra zona, Modena. In particolare avrei bisogno della autorizzazione per
Ceresa, per le scocche “.
Un’attesa di imbarazzo, una certa titubanza:
“E’ sicuro che farete solo quella quantità? Mi sembra che abbiate fatto un grande impianto lì”.
“Io la invito a venire qui a vedere le attrezzature che abbiamo, lei si renderà subito conto che noi abbiamo
una catena fatta con tre macchine a controllo numerico, però sono macchine che facendo noi tutto il motore
in casa, la parte trasmissione, sospensioni ecc., quando ne abbiamo fatte 200, 250 è già tanto. Abbiamo
fatto grandi immobili, ma la struttura per la produzione è limitata”.
Ancora titubanza. Ma visto che Fusaro era un vero gentiluomo:
“Però guardi mi deve dare la sua parola, perché poi anche io devo rispondere a qualcuno!”
“All’inizio faremo 50 macchine, le ho detto come siamo dimensionati, a regime faremo quei numeri detti”…
”Va bene, mi lasci un po’ pensare”.
Alcuni giorni dopo mi chiama:
”Ingegnere, non ci siamo mica, mi volete prendere in giro”.
“Perché?” dico io sorpreso,
“Non ha letto l’intervista di Artioli?”
(tra parentesi Artioli era concessionario per le Tre Venezie e per la Germania del sud della Ferrari!)
“No!”
“ Ah, dice che Bugatti è il più grande marchio del mondo, è rinato e non ci sono vetture sportive italiane o
straniere che la possano assolutamente adombrare e che è stato fatto un impianto dove verranno fatte 2000
macchine all’anno! Quindi io di fronte a questa cosa, per fortuna non ho ancora detto niente né a Ceresa né
in Fiat, non se ne parla!”
Allora cerco Artioli, seccato e gli dico:
”Ascolta tu sei proprio.….” e mi sono sfogato.
Megalomane come era:
”Allora adesso io faccio il presidente!”
“Puoi fare il presidente che ti pare, a me non interessa niente, soltanto fino a che ci sono io si fanno le cose
in un certo modo. Poi tu puoi fare il presidente o l’imperatore che a me non interessa”.
La mia storia in Bugatti finì nel 1990. C’è della gente che dice:
”Io non sono il capo assoluto e quindi a un certo punto faccio quello che dice il capo”.
Io non sono di questo avviso. Io faccio le cose nelle quali credo, in quelle in cui non credo non ci sto, perché
se uno fa delle cose in cui non crede è corresponsabile anche lui. Se vedo che le cose fatte così possono
andare a finir bene, vado avanti, altrimenti “chiudo” e basta !
A questo punto si apre il periodo della Formula 1.
Con la Scuderia Italia, tre anni e dopo altri tre anni con la Minardi. La Scuderia Italia aveva comprato il
controllo della Minardi.
E’ un mondo completamente diverso da quello della produzione di vetture stradali. Basta pensare che se devi
fare una macchina da strada, hai tutto il tempo necessario: fai il progetto, costruisci i prototipi, li provi, poi
fai le modifiche, riprovi ancora, intanto si inizia a fare le attrezzature per la messa in produzione, ecc. Perciò
quando si dice che dalla progettazione all’uscita della macchina occorrono, se è nuova completamente, tre
anni dalla partenza all’arrivo in produzione, non si esagera.
In Formula 1 non ci sono questi tempi, perché di solito ci sono tutte le regole nuove che vengono fuori a
metà anno e solo da lì si inizia a progettare. C’è un lungo periodo nella galleria del vento, di prove e riprove
sui modelli, allora erano a scala 1:4, poi 1:2.5, adesso sono a 1:1.5 e chi può fa anche 1:1, naturalmente
avendo a disposizione una galleria della relativa dimensione!
Oggi la progettazione in Formula 1 è sostanzialmente aerodinamica. Poi occorre un buon handling per
utilizzare al meglio i pneumatici. Ma per utilizzare bene le gomme occorre anche una forte down force, del
carico che derivi dall’aerodinamica e non dalle masse. Un’aerodinamica di forma, con molta down force ma
poca resistenza. In ogni caso la macchina deve essere pronta alla fine di gennaio. C’è un mese per andare
un po’ su pista a provare. Perciò se la macchina è sbagliata te la tieni …e per quell’anno lì è fatta.
Il dottor Beppe Lucchini, il nostro patron, diceva che non voleva guadagnare in Formula 1 ma neanche
rimetterci! Quindi investimenti limitati. E risultati, di conseguenza. Gli dissi, a un certo momento:
”Dottore, o noi facciamo degli investimenti importanti, per tre o quattro anni, e dopo può darsi che ci
saltiamo fuori con soddisfazioni, ma sono comunque investimenti che non danno la certezza del risultato
aspettato, oppure niente, restiamo sempre lì a mezza classifica!”
Abbiamo fatto due podii! Alla seconda o terza gara del primo mio anno in F1, a Imola, arrivammo terzi! Il
dottore ed io ci abbracciavamo piangendo dalla gioia e dalla commozione. Non avevamo neanche l’ufficio
tecnico, la macchina la facevamo da Dallara, io stavo spesso su da lui per seguire la progettazione. Questo
come Scuderia Italia.
Invece la Minardi aveva un piccolo ufficio tecnico di sei, sette persone, era attrezzata meglio, a quell’epoca
avevamo un budget di 12 –13 miliardi mentre Ferrari, per dare un’idea del confronto, aveva 180 – 200
miliardi.
In Formula 1 si è vincenti per dei decimi di secondo sul tempo del giro di pista.
Se si guardano i team emergenti, hanno tutti alle spalle importanti case automobilistiche, con di
conseguenza notevoli budget: Ferrari con la Fiat, la McLaren con la Mercedes, la Bmw direttamente, così
come la Honda, la Renault, la Toyota ecc. e si capisce perché alcune sono lì davanti, ma non tutte. Toyota
per esempio, che è il primo produttore mondiale e soldi ne investe “a palate”, non ha certamente brillanti
risultati.
Per me è stata una gran bella esperienza.
Ora collaboro un po’ con Lamborghini. Poi ho con dei miei colleghi una società che fa degli investimenti in
piccole aziende nascenti. Ora abbiamo un paio di aziende che si occupano di energia alternativa, una in
particolare di cogenerazione. Non è che io me ne intenda ma, specialmente oggi, è un settore di grande
interesse anche dal punto di vista tecnico. Faccio qualcosa all’università, e poi ho i miei hobby.
Ho delle jeep del tempo della 2°guerra mondiale, Willys e Ford. Mi piace lavorarci manualmente. Se si
esamina quel progetto si vede che sono delle gran macchine: come al solito quando l’esercito ti fa una
specifica sa esattamente che cosa vuole! Una macchina molto semplice, essenziale, dove la manutenzione è
ridotta al minimo ed è di facile esecuzione anche in condizioni operative.
L’esercito americano la commissionò in ritardo, eravamo nel 1940 e già avevano il sentore di dover entrare
in guerra. Avevano necessità di un mezzo da ricognizione e da trasporto rapido per i graduati, per i
collegamenti, insomma sostituire il cavallo! Fecero un bando che richiedeva una serie di prototipi in 70
giorni! Rivolto a tutti, General Motors, Chrysler, Ford, Doodge ma tutti questi dissero,ovviamente, che non
era possibile in così poco tempo. Solamente una piccola azienda, la Bantham, che faceva cose per
l’agricoltura, si vede che aveva qualcosa di simile già pronto, presentò i prototipi in 70 giorni. Furono provati,
non andavano male, dopo un po’ arrivò anche la Willys, che era già una grande azienda. La Bantham era
un’aziendina di poche centinaia di persone, mentre si prevedevano centinaia di migliaia di auto da costruire
in poco tempo. Su richiesta e decisione dell’esercito, la Bantham, diede praticamente tutto il progetto e
quello che aveva fatto fino a quel momento alla Willys .
La Willys fece alcune modifiche al progetto originale e presentò una versione praticamente definitiva, che
andò bene ai test finali. Però anche la Willys non era in grado di far fronte alla produzione richiesta e quindi
fu chiamata in ballo la Ford. A quel punto l’esercito disse che le macchine dovevano essere identiche, anche
le rondelle e le coppiglie dovevano essere intercambiabili, quindi i disegni erano unificati, perché non si
potevano avere in territorio di guerra macchine diverse, ovviamente per il problema della ricambistica e delle
riparazioni. Così fu.
Allora la Willys e la Ford sono le due case costruttrici di quelle auto che comunemente chiamiamo “jeep”. In
realtà sono o delle Willys o delle Ford e si distinguono solo dal fatto che tutti i particolari della Ford hanno
stampigliato una “F”, anche le rondelle, e quindi per il restauro bisogna andare a trovare la roba della Ford.
E’ una gara dura trovare pezzi originali. I ricambisti hanno rifatto dei pezzi, anche adesso li fanno, però non
sono Ford, non hanno la “F”. La Ford non stampigliava la F in negativo, ma in rilievo!
Io ho due Ford, una già restaurata, un’altra dovrò fare una bella fatica a sistemarla.
Ho un po’ di moto storiche e poi ho una bella macchina: una Lancia Aurelia B20 !
Non ho una Lamborghini, ma se trovo una Jarama la compro, anche una Espada mi piacerebbe molto. E’
stata una macchina difficilissima da fare, andava forte, oltre i 250 km/ora, 4 posti comodi, un grande
bagagliaio, aria condizionata, una macchina con un gran comfort ma anche con delle grandi prestazioni,
quindi è una macchina dal compromesso difficile, però più che raggiunto!
In qualsiasi progetto c’è una scala di priorità, le famose classi ABC.
Se faccio una macchina economica, i consumi, l’ingombro, ovviamente il costo, ecc. sono le cose principali.
Se faccio una macchina sportiva il consumo è più un problema di rendimento del motore. Dopo cerco di
ottimizzarlo, naturalmente, ma i problemi sono altri.
Se è proprio molto, molto sportiva non mi pongo neppure il problema del comfort. Se invece è una gran
turismo - sportiva mi devo porre anche il problema del comfort. L’Espada è stata di difficile progettazione
proprio perché doveva fare coesistere caratteristiche antitetiche!
Il Miura è inavvicinabile, costa trecentomila - quattrocentomila euro.
Dico sempre che se uno avesse comprato una decina di Miura, quando nessuno le voleva più, si sarebbe
“sistemato” vita natural durante.
Sono stato fortunato nella vita. Ho incontrato le persone giuste al momento giusto. Conosco tante persone
brave che non sono riuscite ad avere la mia carriera. Ho avuto la fortuna di lavorare in una piccola azienda
con la possibilità quindi di operare a tutto campo sul prodotto. Prima pensarlo, poi calcolarlo, poi disegnarlo,
poi vederlo costruire, collaudo, poi vedere il montaggio, poi andare in sala prove, poi le prove su strada, e,
non ultimo, i costi! Personalmente ho fatto sei mesi di prova su strada collaudando le prime 350 GT. Sono
esperienze quasi irripetibili. Se mi viene chiesto come deve essere progettato anche un particolare, come per
esempio una maniglia di una portiera, io dico che bisogna stare attenti a questo, questo e questo….
Alla Lamborghini adesso sono tutti contenti perché producono 2500 macchine, e vanno anche molto bene. Il
mio parere è che devono stare attenti perché in Italia, se andate su internet, ci sono 250 macchine in
offerta, fra Gallardo e Murcielago, macchine con pochi chilometri, non è una bella cosa.
Questo tipo di vettura non può essere offerta. Deve essere richiesta, deve essere un privilegio averla e
averla in tempi ragionevoli. Ricordiamoci che alcune Ferrari, pur di averle, vengono pagate più del listino. La
“rarità” è sempre preziosa!
Una bella cosa sarebbe ricordare almeno i clienti principali della Lamborghini.
La Volkswagen ha comprato anche il marchio Bugatti, però non ha utilizzato il prodotto che avevamo fatto
noi, ha fatto un 16 cilindri. Per tutta una serie di cose è capitato che lo sviluppo della macchina, le prove su
strada, le abbiamo fatte noi come Scuderia Italia. La macchina non può essere giudicata come una GT
sportiva.
Troppo pesante, quasi 20 quintali! Non è certo nello spirito e nella tradizione di Ettore Bugatti che aveva
come “must” la leggerezza. Magari meno potenza delle vetture concorrenti, ma con il peso contenuto
dominava nel mondo delle corse. Questa Bugatti VW doveva fare oltre i 400 km/h, ma più dei 380 km/h non
riusciva a fare. A noi dicevano:
“La macchina ha 1000 cavalli, un cx 0.29 e in base ai calcoli deve fare 410 km/h”.
La pista di Nardò è un anello di grande diametro, praticamente si viaggia sempre in pieno, chiunque può fare
la velocità massima, basta tenere giù il piede.
”Mettetevi d’accordo o i 1000 cavalli non ci sono o non c’è il cx di 0.29. Uno dei due”.
La macchina non la consegnano per tutta la velocità che fa, la limitano a 250 km/h e si tengono loro la
eprom che va sulla alimentazione. Chiamati, se il cliente vuole andare al massimo, alla loro presenza, glielo
concedono, poi rimettono la limitazione. Ci sono personaggi che hanno un numero spropositato di automobili
di lusso. Il sultano del Brunei aveva 400 macchine, due hangar pieni, una decina di persone che se ne
occupavano. A turno le macchine ogni 15 giorni facevano qualche chilometro nella pista ricavata dentro un
parco di proprietà.
Di Ferrari non ho avuto una bella esperienza. Un giorno il dottor Manicardi, allora direttore commerciale
Ferrari, mi telefona:
”Ingegnere c’è il commendatore che vorrebbe parlarle”.
Questo era poco dopo che avevo preso la completa responsabilità dell’azienda, gestionale oltre che tecnica.
Chiedo:”L’argomento?”
“Non me l’ha detto. Ha detto guarda un po’ che vorrei parlare con questo ingegner Stanzani! Se lei è
d’accordo, le ritelefono per dirle dove trovarvi”.
Mi richiamò:”So che lei è di Bologna, le sta bene lì dalla nostra concessionaria a Porta S.Stefano?”
“Bene, allora vengo giù a piedi perché abito lì vicino”.
Vado, Ferrari era già lì, parlava con il concessionario:
”E’ lei?”
“Si”.
“Bene bene!”
Subito salutò il concessionario e ci avviammo su verso la Futa con la sua Fiat 1500. Ci fermammo a
mangiare a Loiano, si parlava del più e del meno fino a che arrivati a un certo punto disse:
”Ingegnere si è chiesto perché ho voluto incontrarla?”
“Me lo son chiesto ma non so!”
“Ho deciso che lei venga a lavorare con me!”
Lo bloccai dicendogli:
” Commendatore, prima che lei mi faccia delle proposte che sarebbe per me molto imbarazzante poi dover
respingere, devo rifiutare qualsiasi offerta perché ho preso l’impegno da pochi mesi, non so se lei lo sa, con
l’azienda e ci tengo a portare avanti questo impegno e non posso venire meno alla responsabilità che mi è
stata data”.
“Ha capito che cosa le ho detto?” riprese lui.
“Si, io sono onoratissimo di questa sua proposta ma altrettanto le dico che non posso e non voglio venir
meno alla responsabilità che ho assunto”.
“Ma ci vuole pensare?”
“Mi mette in imbarazzo, se lei avesse fatto questa proposta cinque mesi fa le avrei detto di si subito, adesso
è assolutamente impossibile”.
Eravamo al “secondo”. Abbiamo finito di cenare, mangiato la frutta, abbiamo preso il caffè, ci siamo alzati,
siamo venuti via, abbiamo fatto tutto il percorso di ritorno, e Ferrari non ha più detto una parola. Quando ci
siamo salutati mi ha stretto la mano:
”Ingegnere arrivederla, e scusi della serata!”.
Qualche giorno dopo mi telefona Manicardi e mi chiede:
”Ma cosa ha fatto al commendatore? Gli ho chiesto come è andato l’incontro con Stanzani e mi ha detto
“niente , niente”. Sa , non è abituato a sentirsi dire di no”.
Non mi fece proprio una bella impressione. Io avevo sentore di questo perché Dallara aveva lavorato cinque
o sei mesi in Ferrari e aveva detto che l’ambiente era bruttissimo, uno contro l’altro e Ferrari su questo ci
giocava.
Io dico sempre :”Le aziende le fanno gli uomini. Basta uno solo per “fare” un’azienda o per rovinarla. Non è
che “uno” faccia tutto, che sia il mago Merlino, ma sta al “timone”, traccia e segue la rotta giusta, e si avvale
dei collaboratori giusti, sa motivarli, li rispetta e viene rispettato e riconosciuto come leader”.
Intervista raccolta da Vicentini Giuseppe