Sbircia il contenuto - Edizioni Forme Libere

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Sbircia il contenuto - Edizioni Forme Libere
Dorinda Di Prossimo
LA NOTTE LA CASA
L’ASSENZA
EDIZIONI FORME LIBERE
Dorinda Di Prossimo, La notte la casa l’assenza
Copyright© 2015 Edizioni Forme Libere
Gruppo Editoriale Tangram Srl – Trento
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.ilgheriglio.it – [email protected]
Collana “Il gheriglio” – NIC 19
Collana diretta da Angela Bonanno
Prima edizione: giugno 2015 – Printed in EU
ISBN 978-88-6459-066-0
Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente
priva di cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina
E ora che ne farai della tua vita?
Non so, mi comprerò un gatto, un pappagallo,
mi godrò la beata solitudine.
(dice Bette Davis
in un film ascoltato sotto le lenzuola)
LA NOTTE LA CASA
L’ASSENZA
Provaci a ficcarmi compagnia, lì sul muro.
Le puntine trafitte, il pollice che m’insegna
la schiena. Provaci a somigliarmi, a leggermi
gli occhi, le orecchie, la distrazione d’un
tocco necessario. Io assalto tram, intanto,
pettino vocali. Per nostalgia di vene.
Per suggerita innocenza.
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Alle quattro del mattino si leggono poesie
come arrendevoli lenzuola. Sembrano acqua
che scorre dentro le case, a germogliare tavoli,
bicchieri, persino le punte strette del sonno
che oscilla sui cuscini. È l’ora dell’incrocio delle
benevolenze, la scossa dalle angosce, l’iride
chiara delle accigliate speranze. Il silenzio non
guasta le tempie, i capelli persino vegliano le
lontananze, come un morir leggero d’autunno,
come di strofa che tonfa sui fiori. Sciolta ed illesa
nell’oscurità. Alle quattro del mattino veglia
tenace vita, un capillare zuccherino che arriva
fino alle caviglie e accende un rapsodo d’allegria.
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suonano due lire i miei versi
per tarme e brividi sbiancano
se d’amor rileggo, il bisturi del figlio
per esempio, nel piazzale ho piroettato
stanotte, due fili d’insonnia
giusto per contare i lampioni, e dirmi –
ho bevuto troppo caffè, questi non son dolori –
che asterischi nel trancio dei versi!
piccole balene senz’acqua, per separare le pietre
lo scanto d’un destino ammanettato, ipocalorico.
ci ricorderemo dei fili rosso oro dei doni
dei fischi nella nebbia per non sentirci soli?
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Febbraio,
vola la neve, vola
marinara farfalla
sul balcone
foto aggiusto
fior di malinconie
sul centrino
duettre mollichine
orme per la primavera
il freddo morde i nidi
i tetti, calici per gabbiani
ma, se fischiassi un chiucchiù,
davver, torneresti, tu?
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Certe volte, a volte, mi s’impiglia addosso
l’orlo del vicino, la fame della sua
tasca scucita, la mossa sbieca che fa sul
marciapiede, per vendermi fiori, un teatrino
di braccialetti sui cartoni. Mi s’impiglia
addosso il nome che invento dei suoi…
occhi bruni, d’una madre che gli affolla
i capelli, d’un padre che abbevera cammelli.
E mi respiro lo stagionato dolore. Il
torbido d’un pane mal diviso. Dell’acqua
che spreco per assolvermi il viso.
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Vorrei te, trovare, le braccia
considerevoli al coraggio
la bocca pronta, come una casa pulita,
con l’erba, il pozzo,
il cane che s’affida all’ombra luminosa
Vorrei trovarti immunemente invecchiato,
la pipa o il sigaro per spigoli di fumo,
l’occhio guerriero e misericordioso,
le spalle ancora astrali, per scriverci, io
con le mie mani di mite colorina, scrivere l’agio
del tuo nome, il solletico delle tue ciglia
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giorni di poca vocazione
giorni che non fanno giornata
s’assomiglia a qualche pena
a una musica lavata tra i denti
faccio di tutt’erba un fuoco per la neve
e tu, mi lasci parole per natale
un bicchiere per carnevale
la salvezza del meno al male
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e non mi far sognar nasin nasino
scherzetto non da te, Gesù Bambino
lisciami solo ‘sti capelli d’oro
e un poco mi consolo col pandoro
non scarterò promesse farfalline
libero sei di chiuder trombettine
e far svolazzi con la pergamena
ché grezza ho paglia per il fuor di scena
coi piedi storti arriverò alla culla
e ti benedirò in cambio di nulla
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Ho un viaggio da proporti.
E una meta. Fattibili svoltando oltre i due vicoli
(il tuo, lo immagino con musica ad asciugare
al sole, il mio, immaginalo, con acqua che
scende dai balconi, biciclette che sudano ai
muri). Io che ascolto il tuo trillar nelle mie
tasche, tu che m’offri il traffico d’un sorriso,
una scarpa vuota da portare assieme.
Diamoci un tempo, dunque, riconoscibile
nel lusso del passo, riposo lento e che sia
verso sera e per tutta la sera. Andremo a
riprendere fiato. In una casa sinistrata, poco
abitata, ma vicino a una taverna, il mare fresco
all’odore, cresposo quanto basta. Per riportarti
da lontano. E io che sventolo destini, che
in mano.
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