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La scelta di Isabella
INCIPIT VIAGGIO
Sono nata a Genova, in una città illuminata dalla Provvidenza e immersa nel suono
delle campane. Il 29 maggio del 1453, fu il mio ultimo giorno in quella amata quiete.
Mio zio mi fece chiamare con urgenza e a un’ora insolita: le sei del mattino. Dovetti
vestirmi malamente, in tutta fretta, condurmi al suo cospetto con i capelli che
ancora portavano il disordine della notte. “Ho una felice notizia per voi, Isabella” mi
disse con tono lieto. “Ho concluso il vostro matrimonio. Andrete sposa a tale
Adalberto signore di Macinaggio. Adalberto pare che vi abbia visto nella cattedrale
in preghiera quando è stato qui a luglio e vi vuole anche senza dote. Una fortuna
insperata. Non sprecate tempo a ringraziarmi e andate a preparare le vostre cose.
La vostra nave parte tra due ore”. “Io desidero prendere i voti” dissi con voce
ferma. Ne ero certa da sempre. “Non dipende da voi. Dipende da me ed io desidero
che andiate sposa. Ho bisogno del porto di Macinaggio, è uno scalo per la
Provenza. E poi nei conventi ci si sveglia alle quattro. Sono posti scomodi”.
“Signore Zio” osai ancora, “sono troppo giovane per andare sposa. E inoltre la
Corsica è un luogo di selvatica, arretrata barbarie, selve impenetrabili, privo di
timor di Dio. Anche i marinai più rozzi ed esperti ne parlano con sgomento.” “Avete
quattordici anni, basteranno. Non sono timorati di Dio? Li convertirete. Arriverete
domenica al più tardi, in tempo per la messa”. “Il viaggio è un pericolo. I pirati
saraceni imperversano sempre più rapaci. Potrebbero rapirmi. Non ci avete
pensato?”. “Certo che ci ho pensato, non sono certo uno sprovveduto. Il contratto
matrimoniale mi dà i benefici del porto di Macinaggio anche se la nave si perde e voi
con lei. Se i Barbareschi vi rapiscono potrete convertire anche loro. Ora, andate a
prepararvi, dovrete partire con gli abiti che portate e niente altro.”. La nave salpò e
io con lei. A Macinaggio ci arrivai cinque anni dopo, in effetti di domenica...
RACCONTO
LA SCELTA DI ISABELLA
Nulla poté far desistere dal suo proposito mio zio. D’altronde, era un potente
esponente del Banco di San Giorgio, abituato a trattare con avversari ben più scaltri
di una ragazza indifesa. Se i miei genitori fossero stati ancora vivi, forse il mio
destino sarebbe stato diverso; ma così non ebbi scelta. Partii, triste ma fiera: non
volevo dare a nessuno la soddisfazione di vedermi piangere…
Già si intravedeva all'orizzonte la costa della Corsica, il luogo dove avrei dovuto
trascorrere il resto dei miei giorni, quando sentii un frastuono provenire dal ponte.
Sebbene spaventata, decisi di andare a controllare. In coperta tutti correvano. Un
uomo massiccio involontariamente mi spinse, facendomi rotolare di sotto. Urtai uno
scalino con la testa e svenni. L'ultima cosa che vidi fu un giovanotto che mi si
avvicinava.
All'improvviso mi ritrovai su una scialuppa. La mia testa era dolorante e alcuni
marinai mi stavano guardando, incuriositi.
“Si è svegliata la madamigella!” disse uno di loro, che subito dopo si allontanò,
insieme agli altri. Rimase accanto a me solo un ragazzo dal volto a me già noto.
Aveva riccioli neri, il viso abbronzato e un modo di fare semplice, ma non volgare.
“Piacere, Filippo!”mi disse il ragazzo con voce rassicurante; poi aggiunse: “Andrà
tutto bene, fidatevi di me!” In breve mi raccontò che cosa era successo. Il
comandante conosceva alla perfezione quel tratto di mare, ma non aveva previsto
l’attacco improvviso di alcuni baroni ribelli che non accettavano il controllo della
Corsica da parte del Banco di San Giorgio, a cui l’isola era stata da poco assegnata.
La nostra nave, colpita da diversi colpi di cannone partiti dalla costa, era affondata,
trascinando nel fondo del mare gran parte dell’equipaggio.
Era stato proprio quel ragazzo a salvarmi la vita, sollevandomi e portandomi sulla
scialuppa, svenuta.
Genova, la mia città...
Quando realizzai la situazione in cui mi trovavo, il panico mi assalì. Un turbine di
emozioni si scatenò dentro di me. Ma, grazie alla volontà divina, riuscii a
riacquistare la ragione e iniziai a pregare. Fui come illuminata da una forza
sovrannaturale: in quel momento il mio credo era l'unica mia salvezza.
“Orsù, siamo tutti conciati male, ma in momenti come questi bisogna agire!” disse
Filippo, quasi buttandomi un remo addosso; poi continuò: ”Ora datevi da fare:
remate, come facciamo tutti noi!”
Il modo con cui mi si rivolse mi sembrò molto scortese e irriguardoso nei confronti
di una dama, tanto che ebbi quasi voglia di controbattere; ma subito fummo distratti
da un punto all'orizzonte. Veniva verso di noi, e la tristezza e la desolazione che ci
dominavano si trasformò in speranza. Dopo un lasso di tempo che mi sembrò
un'eternità, riuscimmo a intravedere delle persone sull’imbarcazione, che non aveva
bandiere di alcun tipo. Ci guardammo negli occhi e, senza bisogno di dire una
parola, iniziammo a segnalare la nostra presenza, sperando che quegli uomini ci
notassero.
Tuttavia, ben presto ci rendemmo conto che i nostri salvatori erano dei pericolosi
pirati saraceni, che ci catturarono, rendendoci schiavi, e ci portarono prima in un
loro covo in Sardegna, poi ad Algeri, dal sultano.
Fui trattata come una regina perché ero giovane, bella e nobile. Per di più, avevo
capelli chiari e occhi azzurri, e questo mi rendeva merce pregiata. Mi portarono in
uno splendido palazzo e mi presentarono al sultano, che appena mi vide si infatuò
di me. Lui ovviamente non parlava la mia lingua, ma capii che voleva convertirmi
all’Islam e farmi diventare la sua quarta moglie. Mi offriva vesti raffinate, gioielli e
una vita agiata. Non capendo nemmeno il suo nome, lo soprannominai il Barbun a
causa della lunghezza della sua barba. Era piuttosto giovane e tutt’altro che brutto,
con un fisico prestante e occhi neri scintillanti.
Pericoli sul mare
Io però continuavo a pensare che la via del Signore fosse la mia vocazione: non
potevo cadere nelle sue tentazioni. E non avevo nessuna intenzione di
convertirmi…
Egli fu molto irritato dal mio rifiuto. Dopo qualche giorno, rassegnato, mi rinchiuse
nell'harem, dove trovai altre donne: alcune erano state le favorite del sovrano, ma
erano ormai cadute in disgrazia, altre si trovavano nella mia stessa situazione.
Sembravano tutte ostili nei miei confronti. L'unica ragazza con cui comunicavo
volentieri era Eleni, una schiava greca che parlava un poco di italiano. Era una
ragazza con i capelli molto scuri, così come i suoi occhi; era molto dolce e positiva,
e riusciva a mettermi di buon umore.
Dopo mesi di prigionia monotona e senza nessun tipo di contatto con l'esterno, un
giorno sentimmo una porta sbattere e Filippo entrò correndo. Si guardò intorno
come per cercare qualcuno, finché non mi individuò. Mi disse che aveva aspettato il
momento più favorevole per portarmi via da lì. Io lo pregai di far fuggire anche la
mia amica. Così Filippo prese me ed Eleni per un braccio e ci trascinò fuori da là,
guardandosi sempre le spalle. Appena arrivammo al porto, senza fiato per la corsa,
salimmo su una barchetta, sicuramente rubata … Non capii cosa stesse
succedendo finché Filippo non disse: "Orsù, andiamo, giovani fanciulle! Dobbiamo
salpare prima che si accorgano della nostra assenza!"
Quando i nostri rapitori si resero conto della fuga, eravamo ormai dei puntini
all'orizzonte… Posso solo immaginare la rabbia del Barbun!
Durante il nostro errare nel mare senza una meta precisa, riflettei sul mio futuro:
mentre il mondo intorno a me sembrava essersi fermato, capii che l'idea di seguire il
cammino del Signore non era più la mia vocazione.
Il destino di una ragazza
Iniziai a fantasticare su un avvenire diverso, anche se molto confuso… Essere
libera, viaggiare era meglio che rinchiudersi in un convento!
Dopo giorni di navigazione approdammo a Creta, dove si trovavano i parenti di
Eleni. Furono molto accoglienti con noi. Ci ospitarono per più di un anno nella loro
abitazione, dove ci sentivamo come a casa nostra. Filippo si manteneva facendo il
mercante ed io imparai a ricamare dalla mamma di Eleni. Diventai molto brava:
facevo ricami bellissimi, seguendo la mia fantasia, con fili variopinti su tessuti
finissimi. Mi ispiravano i colori della natura, l’azzurro del mare, gli uccelli, le
farfalle…
Ma ad un certo punto io e Filippo cominciammo a desiderare di tornare in Italia.
Capimmo che Eleni non avrebbe continuato il suo viaggio con noi; d'altronde, noi
non appartenevamo a quel luogo. Quindi, con la nostra imbarcazione, dopo esserci
riforniti del necessario per compiere un altro viaggio, partimmo.
Per fortuna Filippo era un lupo di mare e non ci furono grossi problemi ad arrivare
fino alla Sicilia. Ma là un forte vento ci spinse verso la costa, sbattendo la nave sugli
scogli. Così perdemmo l’imbarcazione e il nostro gruzzolo, messo da parte con
tanta fatica. Ci rendemmo conto di non avere niente e nessuno su cui contare per
sopravvivere, tranne che noi stessi.
Affamati, stavamo per rubare del cibo al mercato quando una donna del popolo,
Nunziatina, ci notò e si accorse della nostra disperazione. Avendo pietà di noi,
decise di ospitarci nella sua umile dimora. La sua casetta era molto semplice; la sua
famiglia era formata soltanto da lei e da suo figlio, un ragazzo dell'età di Filippo,
molto simpatico e socievole. Da subito ci fu rivalità tra lui e Filippo. Litigavano in
continuazione per delle sciocchezze! Non ne immaginavo ancora il motivo… Filippo
a volte era davvero fastidioso e a volte mi irritava.
A parte questo, mi trovai assai bene in quel luogo.
Ripresi il lavoro di ricamo e imparai anche a divertirmi un po' nelle feste del paese.
Ma, cosa più importante, scoprii cosa significasse far parte di una famiglia, dando e
ricevendo affetto.
Tuttavia, mi rendevo conto che quella situazione non poteva durare. Io ero
consapevole di essere una dama di alto lignaggio e dovevo riprendere il mio posto
nella società! Pian piano sentii Filippo e chi mi ospitava sempre più lontani da me.
Intanto fantasticavo sul mio futuro: finalmente avrei potuto avere una vera famiglia
quando sarei arrivata a Macinaggio dal mio amato! Certamente lui mi aveva
aspettato e mi avrebbe accolta a braccia aperte!
In Sicilia avevo trascorso ben tre anni, quando mi decisi a riprendere la mia strada.
Filippo accettò la mia decisione, ma volle a tutti i costi scortarmi fino alla mia
destinazione.
Dopo aver salutato affettuosamente le persone che ci avevano ospitato, salimmo su
una nave mercantile diretta in Corsica e partimmo. Durante la traversata c'era molta
tensione fra di noi: ci parlavamo raramente, consci del fatto che le nostre vite si
sarebbero presto divise per sempre. Quando sbarcammo in Corsica, cinque anni
dopo il previsto, dirci addio fu molto complicato. Mancava il coraggio a tutti e due…
“Allora, è finito tutto qua?” mi disse Filippo. Questa frase me la ricorderò in eterno.
Nel momento in cui la pronunciò, mi passarono davanti agli occhi tutte le immagini
della nostra avventura, e capii che lui era la mia casa!
Se ripenso all'errore che stavo per compiere, mi sorprendo di me stessa; ma per
fortuna mi resi conto per tempo che lui era tutto ciò che volevo, altrimenti adesso
non avrei un bel bambino e un amatissimo marito con cui vivo in una casa
confortevole ed accogliente.
Infatti le esperienze fatte durante le nostre peregrinazioni ci permettono di vivere
agiatamente con il nostro lavoro. Siamo tornati a Genova, dove ho scoperto che lo
zio era morto poco dopo la mia partenza. Poi ci siamo stabiliti a Zoagli, nella Riviera
di Levante, dove dirigiamo un laboratorio di tessuti pregiati, molto richiesti in tutto il
Mediterraneo. Certo, non sono più una nobile dama, ma ho scelto consapevolmente
quale vita svolgere e con chi. E sono felice!
E il mio fidanzato di Macinaggio, mi chiederete? Ho saputo che dopo solo quattro
mesi dal mio mancato arrivo aveva già sposato un’altra giovane nobile della sua
città. Credo proprio che il suo non fosse un grande amore!
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