1 - “E. De Giorgi” – Università del Salento
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1 - “E. De Giorgi” – Università del Salento
Capitolo 2. 2.1. Spettroscopia. L’analisi spettroscopica delle polveri, di cui ci si occuperà in questo lavoro di tesi, presenta delle difficoltà dovute al fatto che il fascio di luce non incontra un oggetto “infinito”, ma una serie di oggetti, i grani di cui è composta la polvere, di dimensioni paragonabili alla lunghezza d’onda del fascio incidente che possono dare origine ad effetti non presenti durante l’indagine spettroscopica di materiali compatti. Nel momento in cui dei fotoni entrano in un minerale alcuni vengono riflessi dalle superfici dei grani, alcuni passano attraverso i grani ed altri vengono assorbiti. I fotoni riflessi dalle superfici dei grani o rifratti attraverso le particelle sono detti diffusi o “scatterati”. I fotoni scatterati possono incontrare un altro grano o essere diffusi all’esterno della superficie (vedi Figura 2.1.), cosicché possono essere rilevati e misurati. I fotoni possono anche essere originati da una superficie, processo che viene chiamato “emissione”. Tutte le superfici al disopra dello zero assoluto emettono Spettroscopia. 29 fotoni. I fotoni emessi sono soggetti alle leggi fisiche della riflessione, rifrazione ed assorbimento così come vi sono legati quelli incidenti Figura 2.1. Interazione luce – materia. I fotoni sono assorbiti dai minerali tramite differenti processi. Il tipo di processo di assorbimento e la loro dipendenza dalla lunghezza d’onda ci permettono di derivare informazioni circa la chimica di un minerale tramite la luce riflessa o emessa. L’occhio umano è uno spettrometro in riflessione: possiamo vedere una superficie e percepire i colori. I nostri occhi ed il cervello processando lo scattering dipendente dalla lunghezza d’onda dei fotoni della luce visibile ci rivelano qualcosa delle superfici che stiamo osservando, come il colore rosso dell’ematite o il verde dell’olivina. Un moderno spettrofotometro può misurare degli ottimi dettagli su di un range di lunghezze d’onda notevolmente allargato e con ottima precisione. Così uno spettrofotometro può misurare Spettroscopia. 30 assorbimenti dovuti a molti più processi di quelli che possono essere visti dall’occhio. Figura 2.2. Definizioni dei range spettrali. Lo spettro elettromagnetico è tradizionalmente diviso in una serie di range spettrali che si differenziano per le tecniche usate per analizzare la radiazione: a) X (XR),: da 0,001 a 1 nm; b) Ultravioletto (UV): da 0,001 a 0,4 µm; c) Visibile : da 0.4 a 0.7 µm; d) Vicino infrarosso (NIR, Near-InfraRed): da 0.7 a 3.0 µm; e) Medio infrasso (MIR, Mid-InfraRed): da 3.0 a 30µm; f) Lontano infrarosso (FIR, Far InfraRed): da 30 µm a 1 mm; g) Millimetrico, da 1 a 10 mm; h) Micro onde (MW), da 10 mm ad 1 m; i) Radio, da 1 a 105 m. Riflessione. 31 Il range di lunghezza d'onda tra 0.4 a 1.0 µm solitamente è chiamato nella letteratura di remote sensing come VNIR (Visible-Near-InfraRed, visibile-vicinoinfrarosso) mentre quello tra 1.0 e 2.5 µm è talvolta chiamato SWIR (Short Wave InfraRed, infrarosso ad onda corta). È bene notare che questi termini non sono standard in altri campi eccetto che nel remote sensing. Il medio infrarosso copre l’energia emessa termicamente, che per la Terra parte da 2.5 ÷ 3.0 µm, con un picco a 10 µm e decrescendo dopo questo con un andamento simile all’emissione di un corpo grigio. 2.1.2. Riflessione. La spettroscopia in riflessione è lo studio della luce che viene riflessa o diffusa da un solido, un liquido o un gas, in funzione della lunghezza d’onda. Consideriamo un campione su cui incide un fascio di luce monocromatico J e da cui emerge il fascio riflesso R (vedi Figura 2.3.). Figura 2.3. Schema della riflessione. Riflessione. 32 Possiamo individuare tre piani: JN piano d’incidenza; RN piano d’emersione; JR piano di scattering, avendo indicato con N l’asse normale al campione. Se l’angolo g, tra i piani JN e RN, risulta essere pari a 0 o a π si ottiene che JN ≡ RN ≡JR ed il piano viene detto principale (Hapcke, 1993). In generale 3 angoli definiscono una geometria specifica. Solitamente si usano i, e, g (vedi Figura 2.3.). Per semplicità si assume µ = cos e e µ0 = cos i. Il parametro con cui si misura la capacità di un materiale di riflettere il fascio incidente è chiamato riflettanza. Questa viene definita come il rapporto tra l’energia diffusa per unità di area della superficie del mezzo e l’energia incidente collimata sull’unità di superficie. Possiamo distinguere vari tipi di riflettanza a seconda della geometria del sistema in cui si opera: ¾ Riflettanza bidirezionale; ¾ Riflettanza biconica; ¾ Riflettanza semisferica; ¾ Riflettanza sferica; Si darà ora una breve descrizione dei vari tipi di riflettanza, dando solo dei cenni di carattere geometrico per quella semisferica poiché, essendo quella utilizzata nell’acquisizione dei dati, sarà sviluppata più a fondo nel paragrafo successivo. Riflessione. 33 La riflettanza bidirezionale può essere misurata illuminando il campione con della luce proveniente da una sorgente con una piccola apertura angolare, vista dal campione, ed osservando la luce diffusa con un rivelatore mobile che sottende anch’esso un piccolo angolo con la superficie del campione (vedi Figura 2.4.). Figura 2.4. Geometria della riflessione bidirezionale. Per ottenere dei parametri di diffusione il più precisi possibile, sarebbe consigliabile misurare la riflettanza a diversi valori di i, e e g (g= φ j − φ r ), anche se solitamente viene misurata con un solo set di angoli. La relazione che esprime la riflettanza bidirezionale in funzione degli angoli i, e e g è data da: r (i, e, g ) = w µ0 { p( g ) + H (µ 0 )H (µ ) − 1} 4π µ 0 + µ (2.1) con H (x ) ≅ e γ = 1− w . avendo indicato con: 1 + 2x 1 + 2γx (2.2) Riflessione. 34 r riflettanza bidirezionale; w albedo di scattering singolo; p(z) funzione di fase (Hapke, 1993). La riflettanza biconica è la prima riflettanza integrata da noi incontrata. Ciò vuol dire che il detector non occupa tutto l’angolo solido visto dalla superficie. L’espressione corretta per tale riflettanza può essere trovata, di conseguenza, integrando l’espressione (2.1) su tutta la distribuzione angolare della radiazione e la distribuzione angolare della risposta del detector (Salisbury et al, 1991). La riflettanza semisferica viene misurata tramite una sfera integratrice. Figura 2.5. Geometria della riflettanza semisferica. Questo dispositivo (vedi Figura 2.5.) consiste in una cavità ricoperta da un materiale ad alta riflettività diffusa, in cui sono praticate due piccole aperture, o porte, una per permettere al fascio incidente di entrare, l’altra per permettere di osservare la radiazione presente nella sfera. Naturalmente l’espressione che Riflettanza semisferica. 35 fornisce la riflettanza semisferica, come vedremo in dettaglio in seguito, sarà datata dalla (2.1) integrata su di un angolo solido di 2π . Per ciò che riguarda la riflettanza sferica essa viene, in linea di principio, misurata tramite una sfera opaca ricoperta dal campione e posta al centro della sfera integratrice. Un lato del campione viene illuminato da un fascio di luce collimato, mentre la radiazione che viene diffusa in tutte le direzioni viene misurata da un rivelatore che non vede il bersaglio direttamente. 2.1.1.1. Riflettanza semisferica. L’importanza della riflettanza semisferica è dovuta principalmente a due ragioni: 1. È la quantità che è direttamente misurata da molti spettrofotometri commerciali a riflessione; 2. È una delle proprietà di un materiale che determinano la temperatura di equilibrio radiativo (vedi paragrafo 2.1.4.). L’energia incidente per unità di area è Jµ0. L’energia uscente nell’unità di angolo solido per unità di superficie è Y=Jr(i,e,g)µ. rh = Sostituendo a 1 1 Y (i, e, g )dΩ e = r (i, e, g )µdΩ e . Jµ 0 ∫ 2π µ 0 ∫ 2π r(i,e,g) l’espressione data dalla (2.1) ed dΩ e = sin e de dψ , si ottiene l’equazione della riflettanza semisferica: essendo Riflettanza semisferica. rh (i ) = w 4π 36 2π π 2 µ ∫ψ =0 ∫ e=0 µ0 + µ [ p(g ) + H (µ0 )H (µ ) − 1]sin e de dψ . Si può esprimere la riflettanza semisferica come contributo di due diversi elementi rh = rhi + rha , con rhi riflettanza semisferica isotropa ed rha riflettanza semisferica anisotropa, che possono essere espressi come: rhi = rha = w 4π µ w 1 H (µ 0 )H (µ ) dµ ∫ 0 µ = 2 µ0 + µ 2π µ 1 ∫ψ =0 ∫ µ =0 µ0 + µ [ p(g ) − 1] dµ dψ Sviluppando i calcoli si ottiene: rhi = 1 − γH (µ0 ) rha = 1 µ + 1 w µ 0b1 − µ 0 + µ02 ln 0 2 µ 0 2 Quindi si ottiene: rh (i ) = 1 − γH (µ 0 ) + 1 w µ +1 µ 0b1 − µ 0 + µ 02 ln 0 . 2 µ0 2 Sviluppando in serie di Taylor: µ0 + 1 2µ0 ≅ , µ0 1 + 2µ0 µ 02 ln e, sostituendo H(µ) dato dalla (2.2), si ottiene: rh (i ) = w µ0 1−γ + b1 . 1 + γµ 0 4 1 + 2µ0 Sotto opportune ipotesi semplificative si può definire la riflettanza r0 , detta diffusiva (Hapke, 1993), il rapporto: r0 = Pem . Pin Riflettanza semisferica. Pin 37 è l’energia totale incidente sul materiale per unità di superficie Pin = ∫ π 2 0 I 0 cos ϑ 2π sin ϑ dϑ = π I 0 , dove I0 è l’intensità del raggio incidente secondo la normale. Pem è l’energia totale diffusa in tutte le direzioni emergenti per unità di superficie: Pem = ∫ π 2 0 I 1 (0 ) cos ϑ 2π sin ϑ dϑ = π I 1 (0 ) = π I 0 1−γ = π I 0 r0 1+γ con I1(0) riflesso nella direzione normale. Quindi si ha che: r0 = 1−γ . 1+ γ Si trova, invertendo la (2.3), che γ = (2.3) 4r0 1 − r0 . e w= 1 + r0 (1 + r0 )2 Come conseguenza si può definire, introducendo i parametri K’ ed S’, rispettivamente il coefficiente di assorbimento volumetrico ed il coefficiente di scattering volumetrico di Kubelka-Munk, l’equazione di Kubelka-Munk. Il coefficiente di estinzione risulta essere definito come (K '+ S ') . Tramite questi parametri si può ridefinire l’albedo di scattering singolo di volume come w' = 2S ' , K '+2 S ' di conseguenza si può definire γ ' = 1 − w' . Per analogia alla (2.3) possiamo quindi scrivere: Trasmissione. r '0 = 38 1 − γ ' 1 − 1 − 2 S ' (K '+2 S ') 1 − K ' (K '+2 S ') = = . 1 + γ ' 1 + 1 − 2 S ' (K '+2 S ') 1 + K ' (K '+2 S ') (2.4) Combinando l’approssimazione diffusiva, equazione (2.3), con la legge di scattering di Lambert otteniamo l’espressione Lambert-diffusiva: rhL = r0 Ricordiamo brevemente che la radiazione diffusa da una sfera nella direzione dell’osservatore è data da: I =∫ (π 2 )− g π ∫ 2 Λ = −π 2 L = −π 2 JY (i, e, g )dA , con Y (i, e, g ) = 1 π cos i cos e legge di Lambert e L e Λ latitudine e longitudine dell’elemento infinitesimo di superficie della sfera dA sulla sfera. 2.1.2. Trasmissione. Come si è visto nel paragrafo precedente il fascio incidente, indicato con J in Figura 2.3., viene riflesso attenuato. Indichiamo con I 0 la differenza di energia tra il fascio incidente e quello riflesso, I 0 = J − R . Tale energia può subire due processi: o viene trasmessa attraverso il campione o viene assorbita dallo stesso. I due processi avvengono naturalmente simultaneamente a patto che la profondità ottica del materiale sia bassa, altrimenti l’intera energia viene assorbita. Trasmissione. 39 Figura 2.6. Trasmissione attraverso un materiale. Supponiamo che il nostro campione sia otticamente sottile. Se I 0 è l’intensità della luce incidente su di un materiale e I l’intensità della luce che riceve l’osservatore (vedi Figura 2.6.), si avrà che queste sono legate dalla relazione: I = I 0T dove T rappresenta la trasparenza del campione. Si definisce poi assorbanza la quantità: A(λ ) = log[T (λ )] . −1 (2.5) In forma differenziale possiamo scrivere1: dI λ = −k λ′ ρ g I λ dS (2.6) dove: dI λ rappresenta la radiazione assorbita; k λ′ è il coefficiente di assorbimento per unità di massa; 1 Di particolare importanza è il segno negativo nell’espressione di dI λ , infatti sottolinea il fatto che ci sia stata una diminuzione nell’intensità della radiazione a causa dell’attraversamento del campione. Trasmissione. 40 ρ g è la densità di materia attraversata; I λ è l’intensità di radiazione in ingresso; dS è lo spessore infinitesimo del mezzo attraversato. Il coefficiente di assorbimento, nel caso di grani, è dato da : k λ′ = 3 C ext (λ ) I 4 πa 3 ρ M (2.7) dove C ext (λ ) è detta sezione efficace di estinzione, V la il volume della particella di materia e ρ M la densità del materiale che costituisce i grani. A questo punto si fanno due ipotesi importanti: 1. le particelle devono essere omogenee sia in composizione sia in densità; 2. le particelle hanno tutte la stessa forma, sferica, e le stesse dimensioni. Se quindi ipotizziamo che a sia il raggio del grano sferico, il termine V della (2.7) risulta essere pari a 4 3 πa , mentre la massa mg risulta essere di conseguenza 3 4 3 πa ρ M . 3 Risulta ora più chiara la differenza tra le densità ρ g e ρ M presenti nella (2.6) e nella (2.7) rispettivamente, infatti la prima rappresenta la densità di un volume attraversato dalla radiazione, mentre la seconda rappresenta la densità del singolo grano sferico. Il coefficiente di estinzione, C ext (λ ) , o sezione efficace di estinzione può essere legato all’energia estinta dalla radiazione: C ext (λ ) = Wabs (λ ) + Wsca (λ ) I 0 (λ ) Trasmissione. 41 dove Wabs (λ ) è l’energia assorbita dal materiale per unità di tempo, mentre Wsca (λ ) è quella diffusa. Essendo I 0 (λ ) un’energia per unità di superficie e di tempo, risulta evidente che C ext (λ ) dimensionalmente è una superficie. Tramite la relazione Qext (λ ) = C ext (λ ) (2.8) πa 2 si definisce il fattore di estinzione efficace o fattore di efficienza di estinzione. Il C ext (λ ) viene poi ad essere legato all’indice di rifrazione m(λ ) = n(λ ) + ik (λ ) , dove n(λ ) è l’indice di rifrazione normalmente usato e trascura l’assorbimento della radiazione da parte del campione, mentre k (λ ) tiene appunto conto dell’assorbimento. Riprendiamo la (2.6): dI λ = −k λ ′ ρ g I λ dS ed integriamola, si ottiene: ∆S I λ′ = I λ e ∫0 kλ′ ρ g dS = I λ e −τ (λ ) , avendo posto τ (λ ) = ∫ ∆S 0 k λ′ ρ g dS = k λ′ ρ g ∆S detto spessore ottico, avendo supposto costanti k λ′ e di ρ g . Sostituiamo nella definizione di spessore ottico il valore di k λ′ , trovato nella (2.7), si ottiene: τ (λ ) = 3 C ext (λ ) ρ g ∆S C ext (λ )ρ g ∆S = = n g C ext (λ )∆S , 4 πa 3 ρM mg Trasmissione. 42 sapendo che n g = ρ g m g . Avendo definito la trasparenza come T= I (λ ) = e −τ (λ ) , I 0 (λ ) si ottiene che τ (λ ) = ln[T (λ )]−1 e di conseguenza ρ S 4 1 C ext (λ ) = πa 3 M ln , 3 M T (λ ) (2.9) dove M è la massa dei grani, 4 M = πa 3 ρ M n g S∆s , 3 con: 4 3 πa volume del grano, 3 ρ M la densità del materiale, n g il numero dei grani, S la sezione del fascio, ∆s lo spessore del campione. Se per quanto riguarda ρ M ci si può avvalere di informazioni tabulate, per quanto riguarda M ed S si è costretti a fare un’ipotesi: si suppone che tutti i grani siano distribuiti omogeneamente in tutto il volume S∆s . Una volta che è stato fissato lo spessore ∆s , che altro non è che lo spessore della pasticca, si sostituisce nella formula del C ext al posto del rapporto S M il rapporto S ′ M ′ , dove S ′ è Trasmissione. 43 la sezione della pasticca ed M ′ la massa totale del campione. Questa sostituzione è possibile in quanto, avendo supposto l’omogeneità, viene verificata la proporzione S : S ′ = M : M ′ . Ricordando che si sono approssimati i grani a delle sferette di raggio a resta il problema di stimare a. in realtà questo problema viene aggirato andando a calcolare la quantità Qext a , o più precisamente Qext a , in quanto non tutti i grani hanno lo stesso raggio. Si può però fornire un legame tra Qext a e l’assorbanza, data dalla (2.7): Qext (λ ) A(λ ) =ξ a M avendo riunito tutti i termini costanti in ξ . Poiché lo spessore è, per motivi tecnici, sempre costante ed S’ è la sezione della pasticca, anche essa costante, l’unico parametro su cui si può operare è M’. 2.1.3. Emissione. Come è stato detto nell’introduzione di questa sezione, tutte le superfici al disopra dello zero assoluto emettono fotoni. La radiazione emessa viene detta radiazione termica. La radiazione emessa da un corpo dipende dalla composizione chimica e fisica dello stesso, ma esiste una classe di corpi, puramente teorici, che emettono spettri termici di carattere universale. Questi corpi sono detti corpi neri e sono dotati di superfici che hanno la peculiarità di assorbire tutta la radiazione, Emissione. 44 indipendentemente dalla lunghezza d’onda, incidente su di essi e di riemetterla su di uno spettro che dipende soltanto dalla temperatura. La distribuzione spettrale di questi corpi è ben nota sin dagli inizi del secolo e segue la legge: I BB (λ , T ) = 1 π B(λ , T ) dove B(λ , T ) è la funzione di Plank: B(λ , T ) = 2πhc λ 2 −5 hc − −1 kT λ e dove: h è la costante di Plank, k è la costante di Boltzmann, c è la velocità della luce nel vuoto. La potenza emessa termicamente da una superficie è detta emittanza. Se si misura l’emittanza della superficie di un campione di spessore ottico infinito si trova, generalmente , che lo spettro è simile alla funzione di Plank, ma è più basso di una quantità che può variare con la lunghezza d’onda. Il rapporto tra la potenza emessa, per unità di area, da una superficie a temperatura T, U (λ , T ) , e quella emessa da un corpo nero alla stessa temperatura, definisce l’emissività spettrale ε (λ ) della superficie: ε (λ ) = U (λ , T ) B(λ , T ) Se ε è indipendente dalla lunghezza d’onda, la superficie è chiamata corpo grigio. Emissione. 45 In laboratorio, si eseguono misure di un particolare tipo di emissività, l’emissività direzionale ε d (ϑ , λ ) , che corrisponde al rapporto tra la radiazione termica emergente dalla superficie del campione particolato, a temperatura uniforme T, nella direzione che forma un angolo ϑ con la normale alla superficie, I (ϑ , λ , T ) , e la radiazione termica emergente da un corpo nero alla stessa temperatura2: εd = π I (ϑ , λ , T ) . B(λ , T ) Le misure in emissione vengono effettuate riscaldando, a temperature superiori a quella ambiente, sia il campione sia il corpo nero di riferimento. L’energia emessa viene, quindi, registrata dallo spettrofotometro e visualizzata in funzione della lunghezza d’onda (vedi diagramma schematico in Figura 2.7.) (De Carlo, 1997). 2 La radiazione di corpo nero è isotropa. Legame tra emissività e riflettanza. 46 Figura 2.7. Diagramma schematico di come avviene una misura di emissione. 2.1.4. Legame tra emissività e riflettanza. La legge di Kirchhoff è una regola estremamente potente che afferma l’esistenza di una relazione funzionale tra l’emissività e la riflettanza. In condizioni ideali, in cui la superficie è isoterma e tutta l’energia diffusa ed emessa può essere misurata, la legge di Kirchhoff è: ε (λ ) = 1 − R(λ ) dove ε (λ ) è l’emissività del materiale e R(λ ) è la riflettanza semisferica. Figura 2.8. Gustav Robert Kirchhoff. Trasmissione. 47 La legge di Kirchhoff fu originariamente derivata per campioni opachi in equilibrio termico con l’ambiente. L’equilibrio termico qui riferito è un equilibrio termodinamico, non semplicemente uno stato termico costante. Questo implica che il campione è isotermo e alla stessa temperatura del background a cui irradia. Una tale situazione non esiste nella maggior parte delle misure di laboratorio di emissività e non esiste mai nelle applicazioni di remote sensing. Questo ha portato a tecniche di misura di emissività in laboratorio che usano configurazioni dell’apparato sperimentale tali da assicurare al campione ed al suo contorno una temperatura il più possibile uniforme. Tuttavia, un campione che irradia liberamente (per esempio un campione che irradia indipendentemente dal campo di radiazione ambientale) seguirà ancora la legge di Kirchhoff, se gli stati di energia del campione obbediscono alla distribuzione di Boltzmann (Salisbury et al, 1994). Nel caso in cui la superficie del campione irradi liberamente verso un background molto più freddo, ci sarà, sicuramente, un gradiente termico all’interno del campione e questo può limitare la validità della legge. Misure in laboratorio di riflettanza semisferica e di emissività direzionale, eseguite su campioni di roccia solida e di suolo, mostrano che tali campioni, pur con un gradiente termico, seguono la legge di Kirchhoff all’interno dell’errore sperimentale. Soltanto in un campione costituito da materiale particolato fine, di densità estremamente bassa, è stato trovato un gradiente termico abbastanza ripido, nello spessore da cui proviene la radiazione infrarossa emessa dal Cenni sulla teoria di Mie. 48 campione, tale da causare un allontanamento dalla legge di Kirchhoff, entro il 6% (Salisbury et al, 1994). Cenni sulla teoria di Mie. La teoria classica che interpreta, con l’elettromagnetismo descritto dalle equazioni di Maxwell, i processi di interazione della radiazione con le particelle è comunemente detta teoria di Mie; essa vale per particelle di forma sferica, omogenee ed otticamente isotrope (cioè aventi proprietà ottiche, quali ad esempio la costante dielettrica, l’indice di rifrazione, la conducibilità, che non dipendono dalla direzione). Riprendiamo il coefficiente Cext (sezione efficace di estinzione) introdotto nel paragrafo 2.1.2.. Esso può essere anche espresso come: C ext = C abs + C sca = Wext F0 dove: Cabs è la sezione efficace di assorbimento del grano, definita dal rapporto tra la potenza Wabs (energia per unità di tempo) assorbita dal grano ed il flusso F0 (energia per unità di tempo e di area) della radiazione incidente; Csca è la sezione efficace di diffusione del grano, definita dal rapporto tra la potenza Wsca rimossa per diffusione dalla particella ed il flusso di radiazione incidente; Wext è la potenza rimossa per assorbimento e diffusione del fascio incidente dalla particella (Wext = Wabs + Wsca). Cenni sulla teoria di Mie. 49 Ovviamente tutte le grandezze sono funzione della lunghezza d’onda λ. A partire da queste grandezze si possono definire i fattori di efficienza di diffusione e di assorbimento, Qsca e Qabs rispettivamente, tramite formule del tutto analoghe alla (2.8). I fattori di efficienza di una particella sferica di raggio a, composta da materiale di indice di rifrazione (complesso) m = n – ik, sono dati dai seguenti sviluppi in serie: Qsca = Qext = 2 x 2 2 x2 ∑ (2n + 1)[an ∞ n =1 2 + bn 2 ] ∞ ∑ (2n + 1) Re(a n + bn ) (2.10) (2.11) n =1 nei quali n (da non confondere con la parte reale dell’indice di rifrazione complesso) è l’indice su cui corre la sommatoria, il parametro x è dato da: x= 2πa λ , mentre an e bn sono detti coefficienti di scattering e sono dati dalle espressioni seguenti: an = mψ n (mx )ψ n′ ( x) − ψ n′ (mx )ψ n ( x) mψ n (mx)ξ n′ ( x) − ψ n′ (mx)ξ n ( x) (2.12) bn = ψ n (mx )ψ n′ ( x) − mψ n′ (mx )ψ n ( x) . ψ n (mx)ξ n′ ( x) − mψ n′ (mx)ξ n ( x) (2.13) In queste formule le funzioni di variabile complessa ψn(z) e ξn(z), insieme con le loro coniugate ψn’(z) e ξn’(z), sono le così dette funzioni di Riccati-Bessel; esse sono definite tramite le funzioni di Bessel jn(z) e hn(1)(z), dalle seguenti relazioni: Cenni sulla teoria di Mie. 50 ψ n ( z ) = zj n ( z ) e ξ n ( z ) = zhn(1) ( z ) . Tramite questa tecnica è quindi possibile calcolare le constanti ottiche del materiale. Possiamo ora dare ora delle approssimazioni delle formule (2.10) e (2.11) sotto l’ipotesi richiesta che sia verificata la relazione 2πa < λ , (2.14) cioè che la lunghezza dell’onda incidente sia molto più grande della circonferenza della particella. Si ha che: Qsca m2 − 1 8 ≅ x4 2 3 m +2 2 (2.10’) e 2 4 2 m2 − 1 + x 3 Im − 4 m − 1 m + 27 m + 38 + Qext ≅ −4 x Im 2 2 m +2 2m 2 + 3 15 m + 2 2 2 − 8 m 1 + x Re 2 3 m + 2 4 (2.11’) Per grani ancora più piccoli, grani per cui la (2.14) diviene 2πa << λ , la (2.11’) si riduce al primo termine, cioè: m2 − 1 . Qext ≅ −4 x Im 2 m +2 (2.15) Cenni sulla teoria di Mie. 51 Come si vedrà nel prossimo capitolo lo spettrofotometro a disposizione copre un range compreso tra 0,2 e 2,5 µm mentre il diametro del più piccolo grano è stimato essere intorno ad 1 µm. Se applichiamo l’ipotesi (2.14) a quest’ultimo campione troviamo che la lunghezza d’onda incidente è minore di 6,28 µm. Risulta quindi che l’ipotesi (2.14) non è applicabile nelle condizioni in cui verranno effettuate le misure.