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coverstor y MAGISTRATURA E ORGANIZZAZIONE Intervista a Mario Barbuto magistrato e manag di Carmelo Marazia e Danilo Vitali T { [email protected] [email protected] utti sappiamo che uno dei problemi “di sistema” del nostro Paese è la lentezza dei processi. L’arretrato dei fascicoli, al 30 giugno 2012, ascende a 8.917.426 cause, civili e penali. In questo panorama desolante spicca, per contrasto, l’esperienza del Tribunale di Torino. La World Bank, nel rapporto Doing Business 2013, gli attribuisce la migliore performance italiana nei tempi di risoluzione delle dispute commerciali: 855 giorni contro i 1210 della media nazionale. Tra gli altri indicatori di risultato vi è anche l’azzeramento delle “cause del secolo scorso”. In sede europea, il Programma di Strasburgo ha riscosso, nel 2012, anche l’apprezzamento del Commissario per i Diritti umani, Nils Muižnieks. Questi sono solo gli ultimi tra i riconoscimenti che, dal 2003 ad oggi, sono arrivati all’esperienza torinese. Mario Barbuto, Presidente della Corte d’Appello di Torino, è il protagonista di questa esperienza, da quando ha lanciato, ormai nel 2001, il Programma di Strasburgo (dalla città sede del Tribunale dei Diritti dell’Uomo). Nel Programma non vi sono grandi riferimenti a riforme legislative, ma ricorrono concetti di natura tutta gestionale e organizzativa, come case flow management, “targatura delle pratiche”, “FIFO” (first in, first out). Essendo particolarmente colpiti da questa circostanza, ne parliamo direttamente con il Presidente Barbuto, attraverso alcune domande essenziali. 06 Presidente, cos’è il Programma di Strasburgo, ce lo sintetizza? «È una tecnica di organizzazione del lavoro a “legislazione invariata” e “a impatto economico zero”. Le linee del programma, risalente al 2001, consistevano in: a) predisposizione di un “decalogo” di regole pratiche per la gestione delle udienze civili; b) metodo di esaurimento dei processi con il sistema FIFO (first in, first out) e non più LIFO (last in, first out) che era il sistema utilizzato da tutti i tribunali dopo l’entrata in vigore del c.d. nuovo rito processuale del 1995 e favorito dalla riforma sul giudice unico del 1998; c) ll segreto per organizzare e gestire al meglio gli uffici giudiziari italiani? Lo svela il Presidente della Corte d’Appello di Torino con il suo Programma di Strasburgo, il metodo che ha rivoluzionato e accelerato il lavoro di decine di tribunali in tutta la penisola ger trattamento privilegiato delle cause di anzianità ultra-triennale, con precedenza assoluta sulle altre; d) rilevazione semestrale mirata a catalogare le cause ancora pendenti in base all’anno di iscrizione a ruolo, mediante “isolamento” delle più vetuste (frutto della iniziale “targatura per anno”); e) comunicazione a tutti i giudici sui risultati parziali e sugli “aggiustamenti” degli obiettivi. Il programma aveva come primo obiettivo l’azzeramento dell’arretrato delle cause civili ultra-triennali, definite all’epoca cause a rischio Strasburgo e, come seconda finalità, la programmazione di una prassi di durata della causa normalmente infra-triennale. Un tipico progetto “per obiettivi pluriennali”, realizzabile solo se condiviso dai collaboratori. In ossequio al principio della durata ragionevole del processo, presente fin dal 1950 nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (art. 6.1), il programma era incentrato su un prontuario di 20 prescrizioni e consigli (rispettivamente per cancellieri e magistrati) concordato con l’Ordine degli Avvocati di Torino. Lo strumento operativo era l’art. 175 Cod. proc. civ. (Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali), da cui deriva una serie di regole pratiche che, a ben vedere, rappresentano una semplice interpretazione pragmatica del codice di procedura vigente, nella prospettiva di valorizzare il fattore-tempo e la direzione effettiva del processo da parte del giudice, vero direttore d’orchestra che persegue prioritariamente lo Mario Barbuto Presidente della Corte d’Appello di Torino dall’8 gennaio 2010. Nato a Taranto nel 1942, in magistratura dal 1967, ha svolto le funzioni di pretore e di giudice sia nel settore civile che in quello penale. È stato Presidente della II Corte di Assise, della IV Sezione penale e della I Sezione civile del Tribunale di Torino. Dal 2001 al 2009 è stato Presidente del Tribunale di Torino. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche nel campo del diritto civile, commerciale e processuale civile. scopo della sua rapida trattazione. Il decalogo fu formalizzato in una circolare interna del 4 dicembre 2001. Con lievi adattamenti è stato esteso il 16 maggio 2011 agli altri 16 Tribunali del distretto del Piemonte-Valle d’Aosta, con la piena adesione dell’Unione Regionale degli Ordini Forensi. Una curiosità. Utilizzando lo slogan l’arretrato, se lo conosci lo eviti, ispirato alla prevenzione dell’AIDS, all’epoca molto conosciuto, effettuai la targatura per anno di tutto l’arretrato esistente ad una certa data in sede locale, in modo da conoscerne il grado di vetustà. Era l’operazione più importante, una condicio sine qua non per la partenza del progetto. La targatura per anno mi consentì, per esempio, di scoprire a gennaio del 2002 una causa ereditaria iscritta nel 1958 (44 anni prima), sfuggita ad ogni controllo precedente perché annegata nella massa indistinta delle pendenze. Con la tecnica del decalogo-Strasburgo quella causa fu definita a luglio del 2002, dopo sei mesi dalla mia scoperta. La targatura per anno, una novità banale ma rivoluzionaria, fu adottata dal Ministero solo nel 2009 con la previsione di un apposito modulo contenente diverse colonne annuali riservate alle quantità delle cause pendenti: tot iscritte “ante-1995”, tot nel 1995, tot nel 1996 e così di seguito, con il saldo finale pari alla somma delle colonne precedenti». Che cos’è l’approccio del cosiddetto Court Management, di origine statunitense; quanto è importante, per la sua esperienza, e come si adatta alla realtà italiana? «È una etichetta con cui si identifica la gestione ➤ 07 coverstor y MAGISTRATURA E ORGANIZZAZIONE “Se non sapremo creare dei magistrati-dirigenti, corriamo il rischio di avere, in futuro, uffici giudiziari gestiti da dirigenti-non-magistrati” responsabile ed efficiente di un ufficio giudiziario. Strettamente correlata è l’espressione case management, cioè la gestione integrata delle tempistiche processuali del singolo procedimento (civile o penale che sia) e anche dell’intero carico di lavoro affidato al giudice. La teoria fu elaborata in uno storico discorso del 1906 (discorso di St.Paul) di Roscoe Pound, uno dei più grandi giuristi americani. Quel discorso è passato alla storia come il primo manifesto della judicial administration, il catechismo per tutti gli avvocati e giudici progressisti. Ha trovato applicazione negli Stati Uniti nel 1968 per volontà del presidente della Corte suprema Warren Burger. Egli era convinto che i magistrati dovessero concentrarsi sulla giurisdizione e dovessero lasciare l’amministrazione degli uffici a professionisti specializzati e appositamente formati e reclutati. Da allora, negli Usa, si tende a conferire l’organizzazione giudiziaria ad agenzie ad hoc, non ministeriali, e a togliere le responsabilità gestionali degli uffici giudiziari ai magistrati per devolverle ai Court Administrator, cioè manager professionisti. La formazione dei Court Manager, riuniti nella National Association for Court Management (NACM), è devoluta a due istituzioni federali: l’Institute for Court Management e il National Center for State Courts. La mia opinione è che in Italia esistano i presupposti normativi e le condizioni storiche e contingenti (per esempio, la Scuola Superiore della Magistratura che ha ereditato dal CSM la politica di formazione e specializzazione dei dirigenti) per ritenere che il management degli uffici giudiziari possa essere prerogativa dei magistrati-dirigenti. La mia personale esperienza risalente al 2001 mi ha suggerito uno slogan (in un certo senso minaccioso) che ho comunicato, quale relatore, 08 ai miei colleghi capi-ufficio in una serie di corsi organizzati dal CSM: se non sapremo creare dei magistrati-dirigenti, corriamo il rischio di avere, in futuro, uffici giudiziari gestiti da dirigenti-nonmagistrati. Lo spettro di assistere a un fenomeno analogo alle aziende sanitarie, gestite da managernon medici ha funzionato per persuadere i miei colleghi, giovani e anziani, a ragionare in termini di court management interno, rivendicandone orgogliosamente la titolarità e a impegnarsi con tenacia (e anche umiltà) ad imparare sul campo i principi che regolano tale fenomeno». Quali sono le possibilità di generalizzazione a tutta l’amministrazione giudiziaria italiana del Programma di Strasburgo? «Posso parlare solo della mia esperienza personale. Ho gestito il Tribunale di Torino dal 2001 al settembre 2009 e il programma ha funzionato. Dal gennaio 2010 sono Presidente della Corte d’Appello con il solo potere di coordinamento dei Tribunali del Piemonte e Valle d’Aosta (erano 17, ora sono 10). Ho esteso il programma a tutti gli altri Tribunali con la piena adesione dei rispettivi Presidenti ottenendo risultati promettenti, se non soddisfacenti. Si tratta però di un programma di lungo periodo. Spero di andare in pensione tra qualche anno con un panorama distrettuale uniformemente allineato agli obiettivi finali di quel programma (ancora lontani). Mi risulta che altri colleghi stiano applicando quelle regole in altri distretti (per esempio, nei Tribunali di Genova e di Prato) e la cosa non può che farmi piacere». Come ha ottenuto il coinvolgimento dei suoi collaboratori più diretti e di tutto il personale, quanto è stato importante, che incentivi ha usato? «Praticamente uno solo, ispirato al libro La chiave a stella di Primo Levi. Faussone è un operaio specializzato giramondo fiero delle gru e dei tralicci da lui installati e svettanti nelle località più sperdute della terra. Amare il proprio lavoro, dice Faussone, costituisce il modo migliore per approssimarsi alla felicità su questa terra. Aggiungo io: se il lavoro è sofferenza, perché non amarlo e farlo diventare premio e gratificazione? Fuori dalla metafora letteraria, l’incentivo è stato il tentativo di superare il senso di vergogna nell’operare in una struttura inefficiente e da tutti disistimata. Il coinvolgimento degli scettici è stato progressivo. Facendo leva sull’orgoglio e anche sulla passione per il lavoro (passione nel doppio significato di sofferenza gratificante e di amore-trasporto), non ho trovato ostacoli insormontabili. Con il passare degli anni “quelli che non ci credevano” si sono adeguati. Nel 2008 il saggista Abravanel nel libro Meritocrazia ha commentato quella strategia in termini di peer pressure e di leadership. Confesso di non averci pensato, allora, nel 2001. Ignoravo la prima espressione ed ero ben lontano dall’idea di comportarmi da leader, una parola che ancora oggi mi imbarazza». Quanto ha giocato il coinvolgimento di altri portatori esterni all’amministrazione del Tribunale, in particolare gli avvocati? «Il contributo degli avvocati è stato determinante. Devo alla lungimiranza dell’Avv. Antonio Rossomando l’interessamento compiaciuto del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati da lui presieduto nel 2001. È stato il fattore determinante del successo del programma. Il suo successore Avv. Mario Napoli mi ha incoraggiato nell’estendere Utenti soddisfatti? C’è il questionario Valutare l’efficienza dei servizi offerti è importante per migliorare il sistema. Per questo ogni due anni negli uffici giudiziari torinesi vengono somministrati questionari sul grado di soddisfazione in merito ad “aspettative, importanza dei servizi e percezione”. Nel 2013 sono stati effettuati 641 test in collaborazione con un gruppo di studenti e laureandi della facoltà di Giurisprudenza di Torino. I risultati sono stati presentati lo scorso ottobre durante la Giornata europea della giustizia civile: hanno partecipato all’intervista testimoni, familiari di parti o testimoni, c.t.u., c.t.p., interpreti e giudici popolari. il programma a tutti i Tribunali del distretto. Al recente Congresso dell’ANM sono stato intervistato da Gad Lerner che mi ha chiesto i dettagli della “ricetta torinese”. Scherzando ho detto che si tratta di un insieme di ingredienti locali che si trovano anche altrove, impreziositi però da scaglie di tartufo, ingrediente tipico del Piemonte. Il sapore di tartufo è l’ottimo rapporto tra dirigenza degli Uffici Giudiziari e Consiglio dell’Ordine, tra magistrati e avvocati». Cosa c’è di applicabile, della vostra esperienza, alla generalità della pubblica amministrazione italiana? «Se il problema è la lentezza delle procedure, praticamente tutto. La ricetta giudiziaria di Torino è semplice: “Il singolo processo appartiene al giudice, ma la programmazione del tempo dei processi e del lavoro collettivo appartiene al capo dell’ufficio”. È facile adattarla ad altri uffici, dal catasto all’anagrafe, dall’amministrazione finanziaria ai lavori pubblici. Per la soddisfazione degli utenti circa la qualità dei risultati (di cui la rapidità è elemento essenziale) il discorso è diverso. Ma questo è un altro tema, peraltro non ignorato dal Programma di Strasburgo. Su questo tema mi permetto di invitare gli interessati a consultare sul sito www.giustizia. piemonte.it, nella sezione Stato della giustizia nel distretto, la relazione di Giacomo Oberto dal titolo Indagine sul Questionario di soddisfazione dell’utente presso gli Uffici Giudiziari di Torino (edizione 2013) che è anche in versione inglese perché riservata al Consiglio d’Europa che lo ha consigliato». n 09