1 aprile 2016 - Scienze e Ricerche

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1 aprile 2016 - Scienze e Ricerche
ISSN 2283-5873
Scienze e Ricerche
SR
N. 26, 1° APRILE 2016
26.
Scienze SRe Ricerche
RIVISTA BIMENSILE · ISSN 2283-5873
GLI ANNALI 2015
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26. Sommario
5
ROBERTO FIESCHI
Strabismo nucleare
LUCIANA PETRACCA
Brevi osservazioni sulla presenza dell’Ordine Templare in Capitanata
pag.
5
pag.
8
pag.
21
pag.
52
pag.
55
pag.
57
pag.
59
pag.
64
pag.
67
pag.
80
LUCA BENVENGA
Il Modernismo in Italia dal 1979. Storia e Storie attraverso le interviste
e le testimonianze dei suoi interpreti
DAVIDE SCHIFFER, LAURA ANNOVAZZI, MARTA MELLAI
L’inesauribile sviluppo delle nosologie, tassonomie e nomenclature.
L’esempio dei tumori cerebrali
59
CITTADINANZA EUROPEA
ANGELO ARIEMMA
Altiero Spinelli e il Manifesto di Ventotene
FRANCESCA SIRIGNANI
La progettazione europea nel settore turistico. Una grande
opportunità di lavoro e crescita professionale
FEDERICA CASINI
Mensonge romantique et vérité chrétienne dans l’œuvre de Victor Hugo
FRANCESCO GIULIANO
La teoria della dissociazione elettrolitica: digressione storica
BENEDETTA GESUELE AND DOMENICO TAFURI
An identification of best practice in Sport organization for disabled.
A case study in Italian context
RICERCHE
80
LUCIANO CELI
Zoo e dinamiche della catastrofe: dalle balene ai cigni
n. 26 (1° aprile 2016)
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N. 26, 1° APRILE 2016
ISSN 2283-5873
Scienze e Ricerche
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SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Strabismo nucleare
ROBERTO FIESCHI
Professore emerito di Fisica, Università degli Studi di Parma
Premessa: a) è male che la Corea del Nord si sia dotata
di armi nucleari, forse addirittura di bombe H; b) è un bene
che l’Iran abbia rinunciato a costruire la sua bomba atomica
(in realtà non ha mai ammesso di volerlo fare, ma il dubbio è legittimo). Se l’Iran se ne dotasse, quasi certamente le
costruirebbero anche l’Arabia Saudita e la Turchia, e forse
anche altri stati dell’area; si darebbe così un forte impulso
alla proliferazione orizzontale.
Politicamente è comprensibile che gli Stati Uniti e altri
stati si siano impegnati e si impegnino per limitare questa
proliferazione.
Ma, ciò detto con estrema chiarezza, si resta sconcertati di
fronte alla pretesa, avanzata da stati dotati di ricchi arsenali nucleari, che gli altri stati rinuncino a dotarsene. Questo
atteggiamento ci ricorda la favola di Fedro: “Quia nominor
leo!”
Ci scaldiamo alla notizia che la Corea del Nord ha eseguito un nuovo test nucleare? Non dimentichiamo quanti
ne hanno eseguiti le attuali potenze nucleari nel corso degli
anni, per provare nuove bumbe, più piccole o più potenti.
Oggi il numero di bombe atomiche nel mondo, nonostante
sia stato avviato da anni il processo di disarmo, è ancora
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
altissimo; ecco la distribuzione attuale secondo l’Istituto SIPRI: US 7300, Russia 8000, UK 225, Francia 300, Cina
250, India 90-110, Pakistan 100-120, Israele 80, Nord
Korea 6-8; totale 16,300.
Un’altra stima del Natural Resources Defense Council
per il 2011 è pubblicata nella tabella in basso.
Come si vede, a parte alcune discrepanze, numeri ragguardevoli.
Si stima che in Italia vi siano da 20 a 40 bombe a Ghedi
Torre e circa 50 ad Aviano, sotto il controllo degli Stati
Uniti.. Altri quattro Paesi europei ne mantengono 150-200:
circa 10-20 in Belgio, altrettante in Germania e nei Paesi
Bassi e circa 50-90 in Turchia.
Sulla questione degli arsenali nucleari esiste il Trattato di
non proliferazione nucleare (TNP), approvato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1968 ed entrato in vigore nel
1970. Esso recita, fra l’altro:
Gli Stati firmatari di questo Trattato, considerando la catastrofe che investirebbe tutta l’umanità nel caso di un conflitto nucleare e la conseguente necessità di compiere ogni
sforzo per stornarne il pericolo e di prendere le misure atte a
6
garantire la sicurezza dei popoli;
ritenendo che la proliferazione delle armi nucleari accrescerebbe seriamente il pericolo di conflitto nucleare;
attenendosi alle risoluzioni dell’Assemblea generale delle
Nazioni Unite che auspicano la conclusione di un accordo
per prevenire l’ulteriore disseminazione delle armi nucleari;
…
dichiarando la loro intenzione di porre termine, il più
presto possibile, alla corsa agli armamenti nucleari e di
prendere misure efficaci sulla via del disarmo nucleare;
sollecitando la cooperazione di tutti gli Stati nel perseguimento di questo obiettivo;
...
desiderando promuovere la distensione internazionale ed
il rafforzamento della fiducia tra gli Stati allo scopo di facilitare l’arresto della produzione di armi nucleari, la liquidazione di tutte le riserve esistenti e l’eliminazione delle armi
nucleari, coi loro vettori, dagli arsenali nazionali mediante
un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed
efficace controllo internazionale; ……
In particolare l’articolo VI del trattato chiede che gli
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
stati dotati di armi nucleari si impegnino a eliminarle. E’
ben vero che, con la fine della guerra fradda e dell’URSS,
le massime potenze hanno ridotto i loro arsenali, ma i dati
sopra riportati mostrano che, a quasi cinquant’anni dalla firma del trattato, siamo ben lontani dall’aver soddisfatto alla
richiesta di questo articolo.
Dunque le pressioni che gli stati nucleari esercitano su
Iran e Corea del Nord ricordano la parabola della trave e
della pagliuzza (Luca 6,41).
Più onesto sarebbe affermare: Noi abbiamo le nostre armi
nucleari e ce le teniamo; siamo saggi e non le useremo se
non attaccati. Di voi non ci fidiamo e faremo quanto è in
nostro potere per impedirvi di fabbricarle o di accrescere i
vostri piccoli arsenali.
Su una affermazione del genere si può anche concordare.
C’è di più. Gli Stati Uniti hanno deciso di imbarcarsi in
un programma di ammodernamento delle armi nucleari,
che si stima costerà mille miliardi di dollari nei prossimi
trenta anni. Si tratterebbe di una nuova bomba all’idrogeno
“B61-12” che può penetrare completamente nel suolo per
distruggere i tunnel e le costruzioni sotterranee più resistenti. Rimpiazzerebbe le vecchie armi nucleari americane presenti in Europa e quindi anche quelle che si trovano in Italia
http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/01/20/
news/ecco-la-nuova-bomba-h-che-arrivera-in-italia1.247276?ref=twhe
Anche questa decisione in sostanza viola l’articolo VI.
Ricordiamo che poco dopo la sua elezione, il presidente
Obama aveva dichiarato ufficialmente: «Gli Stati Uniti non
svilupperanno nuove armi nucleari né cercheranno nuove
forme di utilizzo o nuove capacità per le armi nucleari». E
invece la B61-12 rischia di innescare una nuova devastante
corsa agli armamenti.
La situazione mondiale richiederebbe la capacità dei vari
leader mondiali di avere uno sguardo lucido sulla complessa
realtà che viviamo. Invece mi pare che tutti siano affetti da
un preoccupante strabismo nucleare.
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STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
Brevi osservazioni sulla presenza
dell’Ordine Templare in Capitanata
LUCIANA PETRACCA
Università del Salento
A
1- I PRIMI INSEDIAMENTI
seguito della conquista
normanna, il Mezzogiorno d’Italia acquisì
una nuova dimensione
geopolitica e fu interessato da un costante processo di occidentalizzazione e di latinizzazione, promosso dagli stessi normanni. Tale processo,
contestualmete allo slancio riformatore
promosso all’epoca dalla Chiesa di Roma,
interessata, tra l’altro, a mobilitare la cristianità occidentale
in difesa del Santo Sepolcro, proiettò inevitabilmente il Mezzogiorno in una prospettiva euro-mediterranea.
Le prime spedizioni armate in Terrasanta e la conseguente istituzione dei regni latini d’Oriente confermarono l’importante funzione di tramite svolta dalle regioni dell’Italia
meridionale nei collegamenti terrestri e marittimi tra Europa
continentale e spazio mediterraneo.
In virtù della sua peculiare configurazione geografica e
della naturale vicinanza con le opposte sponde bizantine e
col mondo arabo, fu soprattutto la Puglia, oltre alla Sicilia,
ad offrire le principali stazioni di transito e di imbarco per
uomini d’arme, mercanti e pellegrini.
I porti pugliesi accoglievano flussi continui di viaggiatori e
di merci in partenza per le rotte mediterranee. Questo naturale ponte tra Occidente e Oriente attirò presto gli interessi dei
nascenti Ordini religioso-militari (Templari, Ospitaliari, e in
seguito Teutonici), che si insediarono con successo in Puglia,
dando origine, a partire dalla seconda metà del XII secolo, ad
una fitta rete di commende.
Il presente contributo, alla luce della documentazione disponibile, ricostruisce la geografia insediativa dei Templari in Capitanata, e propone altresì una riflessione su alcuni
aspetti funzionali all’approfondimento della storia e delle
dinamiche evolutive dell’Ordine rossocrociato.
8
Prima di esaminare il radicarsi della presenza
templare in Capitanata, è d’obbligo precisare che
la distribuzione
insediativa e, di
conseguenza,
l’articolazione
amministrativa cui facevano
capo le comunità degli Ordini religioso-militari presenti nel
Sud d’Italia non sempre coincidevano con le attuali circoscrizioni amministrative. Rispetto all’odierna Capitanata,
ad esempio, il distretto templare rispondente a tale nome
includeva anche le proprietà gestite dall’Ordine in aree limitrofe come la Campania orientale, il Molise meridionale
e la Basilicata settentrionale. L’intera circoscrizione, a sua
volta, rientrava in una compagine amministrativa più ampia, la provincia templare denominata “Apulia”, la cui entità
geografico-territoriale pare abbia subito nel corso del tempo
alcune trasformazioni.
Menzionata per la prima volta in un articolo degli statuti
allegati alla Regola francese dell’Ordine (1165 circa), dove
tra gli alti dignitari del Tempio compare anche un comandour de Puille1, la suddetta provincia non è escluso abbia
inizialmente compreso tutti gli insediamenti templari sorti
nel Regno di Sicilia. Pertanto, secondo la tesi proposta da
Malcolm Barber e accolta in seguito da vari studiosi, col
termine Puglia, almeno fino agli anni Ottanta del XII secolo, si sarebbe indicata l’unica provincia o regione templare
esistente nel Mezzogiorno, continentale e insulare insieme2.
1 I Templari. La regola e gli stati dell’Ordine, ed. V. Molle, Genova
1994, art. 87, pp. 94-96.
2 M. Barber, La storia dei Templari. Vita avventurosa, storia e tragica
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | STORIA
Una condizione resa verosimile dalla peculiarità del contesto
siciliano, nel quale lungo tutto il XII secolo non si attestano
possedimenti templari di particolare rilievo.
Tuttavia, a partire dalla fine del XII secolo, la documentazione, sempre meno esigua, evidenzia una più articolata
ripartizione amministrativa, che prevede la suddivisione del
Regno in due macro-regioni templari, una comprendente la
Puglia e la Terra di Lavoro, l’altra la Sicilia e la Calabria3.
Tale situazione si conferma in età federiciana4 e rimane invariata, tranne rare eccezioni, sino al marzo del 1262, quando
Alberto da Canelli, personaggio vicino a Manfredi, ricopre
la carica di «magister domorum militie Templi in regno»5. A
seguito della guerra del Vespro (1282), poi, e della definitiva
separazione politica dell’isola, passata agli Aragona, dalla
terraferma, dominio angioino (1302), l’amministrazione delle case templari di Puglia e di Terra di Lavoro fu nuovamente scissa da quella siciliana, gestita direttamente dalla sede
priorale di Messina. La circoscrizione templare competente
nei territori del Mezzogiorno continentale fu amministrata
dalla casa madre di Barletta, il cui maestro provinciale è indicato nella documentazione ora come magister sacre domus
Templi in regno Sicilie, ora semplicemente come magister
Templi in Apulia6.
fine dei leggendari monaci guerrieri, Casale Monferrato 1997, pp. 282283; H. Houben, Templari e Teutonici nel Mezzogiorno normanno-svevo,
in Atti delle quattordicesime giornate normanno-sveve (Bari 17-20 ottobre
2000), ed. G. Musca, Bari 2002, pp. 263-265.
3 L. Dailliez, Les templiers en Flandre, Hainaut, Brabant, Liègi et
Luxembourg, Nizza 1978, pp. 178, 326 e 376: «Godefridus […] pro
beneficiis, quae a Magistris Sancti Tampli Salomonis in itinere Sancti
Sepulchri in Jerusalem large ac benigne susceperat in Civitate Beneventi
in domo eorumdem fratrum susceptus S. Templi […] in manus Guillelmi
de la Fossa magistri ejusdem Templi domorum quae sunt in Apulia et
terra laboris […]». Cfr. Acta Imperii inde ab Heinrico I. ad Heinricum VI.
usque adhuc inedita, ed. K. F. Stumpf-Brentano, Innsbruck 1865-1881,
nr. 510, pp. 711-712; n. 511, p. 712; Regesta Imperi, ed. J. F. Böhmer, J.
Ficker, E. Winkelmann, V, Innsbruck 1881-1901, rist. Hildesheim 1971,
IV, 3, 1, nr. 433, p. 177; nr. 584, pp. 236-237; G. Guerrieri, I cavalieri
Templari nel Regno di Sicilia, Trani 1909, nr. 1, pp. 89-90; Le Pergamene
di Barletta. Archivio Capitolare (897-1285), ed. F. Nitti di Vito, Bari 1914
(Codice Diplomatico Barese, 8), nr. 173, p. 220; Constantiae Imperatricis
Diplomata, ed. T. Kölzer, Hannover 1990 (MGH, Diplomata regum et
imperatorum Germaniae, XI, 3), nr. 20, pp. 66-68.
4 Regesto di S. Leonardo di Siponto, ed. F. Camobreco, Roma 1913,
nr. 158, pp. 100-102; E. Wilkelmann, Acta imperii inedita saeculi XIII
et XIV, 1, Innsbruck 1880, rist. 1994, nr. 102, p. 89: «fratris Guilielmi
Aureliensis domorum templi in Sicilia preceptoris» [August 1209];
Monumenta Germaniae Historica (MGH), Diplomata Regum et
Imperatorum Germaniae, t. 14, part. 1, Friderici II. Diplomata. Inde ab
anno MCXCVIII. Usque ad annum MCCXII, ed. W. Koch, Hannoverae
2002, nr. 104, pp. 201-202; Wilkelmann, Acta imperii inedita, 1, nr. 106,
p. 93: «frater Guillelmus magister domus militie templi in Sicilia» [June
1210]; MGH, Diplomata Regum et Imperatorum Germaniae, nr. 135, pp.
260-261: «Guillelmi de Orlien magister ipsius domus militie Templi in
Sicilia» [October 1210]); L. Petracca, Giovanniti e Templari in Sicilia,
Galatina 2006, 2, pp. 524-26, 613.
5 B. Capasso, Historia diplomatica regni Siciliae inde ab anno 1250 ad
annum 1266, Napoli 1874, nr. 364, p. 216; A. Barbero, I signori di Canelli
fra la corte di Manfredi egli Ordini monastico-militari, in Bianca Lancia
d’Agliano. Fra il Piemonte e il Regno di Sicilia, Atti del convegno (AstiAgliano, 28-29 aprile 1990), ed. R. Bordone, Alessandria 1992, pp. 219233.
6 I Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti da R. Filangieri, (RA),
XXXV, nr. 220, p. 218 e nr. 284, p. 229; F. Carabellese, La Puglia e la
Se questa fu per sommi capi l’organizzazione amministrativo-territoriale delle fondazioni rossocrociate del Mezzogiorno d’Italia, la Puglia, e nello specifico, la Capitanata,
rappresentò senz’altro la regione interessata dal maggior
numero di insediamenti7. Le ragioni di tale primato sono
da ricondurre essenzialmente a due ordini di motivi: da un
lato, le caratteristiche geo-morfologiche del territorio pugliese, che offrivano, come già detto, una naturale piattaforma
d’imbarco per l’Oriente; dall’altro, la disponibilità di terre
coltivabili in grado di assicurare una ricca produzione di derrate alimentari (in particolar modo grano e frumento), e di
sopperire adeguatamente sia alle esigenze di sostentamento
delle comunità occidentali, sia al continuo rifornimento della
casa madre in Palestina. Il proliferare delle domus europee e
la conseguente crescita dei rispettivi patrimoni potevano di
fatto garantire il proseguimento delle operazioni militari in
Terrasanta, il mantenimento dei presidi, nonché la continuità
dei reclutamenti.
Tenuto conto delle esigenze strategiche comuni a tutti gli
Ordini religioso-militari e della necessità di agevoli collegamenti con l’Oriente latino, non stupisce inoltre constare che
la presenza dei loro insediamenti sia stata ampiamente più
diffusa lungo lo snodo delle principali vie di comunicazione,
presso i maggiori centri portuali e nelle immediate vicinanze
di località toccate da importanti flussi marittimi, commerciali e di pellegrinaggio. Tali aspetti sono chiaramente riconducibili al contesto geografico qui esaminato, all’interno del
quale, nella fase di installazione delle prime comunità templari, sopravviveva una buona viabilità terrestre (antiche vie
Appia e Traiana)8, era attivo un porto di particolare rilievo
(Siponto)9 e si diramavano i percorsi battuti dai pellegrini
diretti verso due importanti mete di culto: il santuario di San
Michele Arcangelo sul Gargano e quello nicolaiano a Bari10.
Ed è proprio in Capitanata, al confine con la Basilicata, a
Terra Santa dalla fine del secolo XIII al 1310, Trani 1900, nr. 12, p. 19;
K. Schottmüller, Der Untergang des Templarorden, Berlino 1887, II,
p. 217; Cartulaire général de l’Ordre des Hospitalies de Saint-Jean de
Jéruralem: 1100-1310, ed. J. Delaville Le Roulx, I-IV, Paris 1894-1906,
4, nr. 4562, p. 29.
7 K. Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici
nell’economia della Capitanata medievale, in Federico II e i cavalieri
teutonici in Capitanata. Recenti ricerche storiche e archeologiche. Atti
del Convegno internazionale (Foggia-Lucera-Pietra Montecorvino,
10-13 giugno 2009), a cura di P. Favia, H. Houben e K. Toomaspoeg,
Galatina 2012 (Acta Theutonica, 7), pp. 183-214; V. Ricci, L’economia
delle fondazioni templari in Puglia, in Medioevo Adriatico. Ricerche della
Società Internazionale per lo Studio dell’Adriatico nell’Età Medievale,
Roma 2012, pp. 155-259.
8 P. Dalena, Dagli Itinera ai percorsi. Viaggiare nel Mezzogiorno
medievale, Bari 2003, pp.49-62 e 69-80.
9 J.-M. Martin, La città di Siponto nei secoli XI-XIII, in San Leonardo
di Siponto. Cella monastica, canonica, domus Theutonicorum, Atti del
Convegno internazionale (Manfredonia, 18-19 marzo 2005), a cura di H.
Houben, Galatina 2006, pp. 15-32; V. Rivera Magos, Una chiave de tutta
la Puglia. Presenze straniere, attività commerciali e interessi mediterranei
a Manfredonia, “agriporto” di Capitanata (secoli XIII-XVI); F. Violante,
Organizzazione del territorio e strutture produttive tra XI e XVI secolo, in
Storia di Manfredonia, a cura di R. Licinio, Bari 2008, pp. 63-99 e 101-23.
10 Dalena, Vie di pellegrinaggio nel Sud Italia verso Gerusalemme nel
Medioevo, in Roma-Gerusalemme. Le vie Francigene del Sud, a cura di G.
Castelli e S. Boria, Roma 2008, pp. 40-63.
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STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
Spinazzola, che pare sia sorto uno dei primissimi insediamenti templari di Puglia. Secondo Giovan Battista Prignano,
studioso vissuto nel XVII secolo, che visionò una pergamena
custodita nell’Archivio della Santissima Trinità di Venosa11,
poi andata perduta, nel 1137 Accardo II, signore di Lecce,
avrebbe donato ai Templari un hospitio a Spinazzola12. Sebbene manchino al momento ulteriori testimonianze in grado
di confermare la signoria di Accardo su Spinazzola, si è alquanto concordi, tuttavia, nel reputare verosimile tale possibilità13.
Intanto, negli anni immediatamente successivi alla seconda Crociata (1147-1149), sul territorio pugliese i Templari,
così come gli Ospitalieri, sono fatti oggetto di varie donazioni14.
Il favore nei loro confronti cresce in relazione all’inquietudine avvertita in Occidente per le sorti della Terrasanta, ma è,
al tempo stesso, alimentato sia dalla volontà delle gerarchie
ecclesiastiche di potenziare in ambito diocesano il sistema di
accoglienza e di ospitalità al servizio di poveri e pellegrini,
sia da precise politiche di espansione adottate dall’episcopato al fine di estendere il controllo sul territorio.
Gli Ordini religioso-militari, a partire dalla loro istituzione
(1113 per l’Ospedale e 1119-1120 per il Tempio), sia pur con
modalidà e tempi differenti, si erano votati ad una duplice
missione: proteggere quanti si fossero messi in cammino alla
volta di Gerusalemme - impegno primario soprattutto per gli
Ospitalieri - e difendere la Cristianità dall’infedele15.
Tali vocazioni determinarono la dislocazione delle domus
templari e ospitaliere soprattutto lungo le principali vie di
pellegrinaggio e sollecitarono, in pari tempo, l’attenzione
dei presuli, interessati a dotare le proprie diocesi di adeguate
strutture ricettive e a favorire l’istaurazione di rapporti di dipendenza tra gli stessi Ordini e l’episcopio.
Nella seconda metà del XII secolo, benché la documentazione al riguardo risulti ancora abbastanza esigua, è tuttavia verosimile immaginare che i Templari, alla stregua degli
Ospitalieri, abbiamo sensibilmente intensificato il loro processo insediativo in area pugliese. La presenza del Tempio si
diffuse in tempi più rapidi soprattutto lungo i maggiori centri
portuali del litorale adriatico, e in particolare a Barletta, città
11 Houben, Die Abtei Venosa und das Mönchtum im normannischstaufischen Süditalien, Tübingen 1995 (Bibliothek des Deutschen
Historischen Instituts in Rom, 80).
12 Houben, Templari e Teutonici nel Mezzogiorno, p. 257, nota 14.
13 Martin, La Puille du Vie au XVIIe siècle, Roma 1993, p. 776, nota
661; Houben, Templari e Teutonici nel Mezzogiorno, p. 257; C. D. Poso,
Per una storia dei Templari in Puglia, in Id., Puglia Medievale. Politica,
istituzioni, territorio tra XI e XV secolo, Galatina 2000, pp. 139-52: 14446; Cuozzo, La contea di Montescaglioso nei secoli XI-XIII, «Archivio
Storico per le Province Napoletane», 103 (1985), pp. 7-37: 30-31; e
Poso, Lecce normanna e sveva.Dalla signoria alla contea, in Id., Puglia
medievale, pp. 17-18.
14 Per un’indagine comparativa sulla prima diffusione di comunità
templari e ospitaliere in Capitanata, si rinvia al già citato saggio di
Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici.
15 In realtà, se il Tempio si votò sin da subito alla difesa armata dei
Luoghi Santi, gli Ospitalieri, invece, fecero propria tale missione solo in
un secondo momento.
10
deputata ad ospitare la casa madre del priorato di Puglia16.
In Capitanata, invece, il Tempio estese le proprie pertinenze sia in pianura sia in area preappenninica. A Minervino
Murge, ad esempio, località collinare poco distante da Spinazzola, nel marzo del 1169, i fratres Aimo e Giovanni, col
consenso del maestro templare Enrico, vendono una vigna
ceduta all’Ordine dall’«oblata nostra» Avenia17.
Sebbene la frammentarietà della documentazione sia di
ostacolo alla ricognizione dei primi possedimenti del Tempio in Capitanata, come in altre aree del Mezzogiorno, si può
tuttavia impotizzare che negli ultimi decenni del XII secolo, la popolarità raggiunta dall’Ordine rossocrociato ne abbia agevolato la diffusione. Furono soprattutto le donazioni
dei privati, oltre al favore dei presuli, a scandire la nascita
di nuove comunità templari. Ad alimentare la fortuna del
Tempio e degli altri Ordini religioso-militari presso le popolazioni concorrevano infatti vari fattori. In primo luogo,
l’opinione pubblica non poteva che accogliere positivamente
l’impegno sociale devoluto, soprattuto dagli Ospitalieri, a
sostegno dei più poveri e dei malati. Un secondo motivo di
ammirazione era indubbiamente connesso all’attività bellica
svolta in Oriente, e in particolar modo dai Templari, in difesa
della Cristianità, duramente colpita soprattutto a seguito della caduta di Gerusalemme nel 1187; ed infine - aspetto non
certo marginale - i frates delle comunità sia templari sia ospitaliere offrivano ai propri oblati e donatori post mortem una
serie di vantaggi in grado di accrescere il numero di quanti
preferivano rivolgersi a loro piuttosto che ad altre istituzioni
religiose18.
Le donazioni più frequenti furono disposte pro anima, ovverosia per garantirsi o garantire a terzi la salvezza eterna
dello spirito dopo la morte; oppure in estremis, quando ci
si apprestava a partire per un pellegrinaggio. Nel caso delle
oblazioni, invece, si trattava di fedeli disposti ad associarsi
all’Ordine in qualità di membri laici, attraverso la donazione
di se stessi e dei propri beni19.
Ma, oltre alla benevolenza dei privati e alla disponibilità
- come vedremo - delle istituzioni, i Templari accrebbero le
proprie fortune anche grazie ad una spiccata capacità gestio16 S. Loffredo, Storia della città di Barletta con corredo di documenti,
Trani 1893, (rist. anast. 1970), lib. II, cap. I, p. 184 e nota 38; Guerrieri,
I cavalieri Templari, p. 16; e R. Iorio, Uomini e sedi a Barletta di
Ospedalieri e Templari come soggetti di organizzazione storica, in
Barletta crocevia degli Ordini religioso-cavallereschi medioevali, Atti del
Seminario di Studio (Barletta, 16 giugno 1996), Taranto 1997 (Melitensia,
2), pp. 71-112: 80; Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e
teutonici, p. 186.
17 Le pergamene di Conversano, nr. 121, pp. 254-255. Su oblati,
donati e confrati degli Ordini religioso-militari, cfr. Tommasi, Uomini
e donne negli Ordini militari di Terrasanta. Per il problema delle case
doppie e miste degli Ordini giovannita, templare e teutonico (secc. XIIXIV), in Doppelklöster und andere Formen der Symbiose männlicher und
weiblicher Religiose nim Mittelalter, a cura di K. Elm e M. Parisse, Berlin
1992, pp. 177-202.
18 Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici, pp.
187-88.
19 Sull’argomento, sebbene incentrato sull’Ordine Teutonico, cfr. M.
Intini, «Offero me et mea». Oblazioni e associazioni all’Ordine Teutonico
nel baliato di Puglia fra XIII e XV secolo, Galatina 2013.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | STORIA
nale, che suggerì loro investimenti funzionali e una mirata
conduzione del patrimonio.
Ne sono prova i tentativi di dare continuità e compattezza
alla distribuzione geografica dei propri beni in un dato territorio, mediante compravendite o permute che consentissero
di annettere gli immobili più vicini e di cedere, contestualmente, quelli più lontani,
difficilmente raggiungibili
o poco redditizi. Si dovrà forse leggere in questo
modo la già citata vendita nel 1169 di una vigna
presso Minervino Murge20,
dove, all’epoca della transazione, la frammentarietà
delle fonti impedisce di attestare l’avvenuto insediamento di una comunità templare. Non è da escludere,
dunque, che i beni pervenuti all’Ordine in tale località, verosimilmente ancora
troppo distanti dai centri
di maggiore diffusione del
patrimonio templare (Trani,
Molfetta, Barletta), siano stati venduti al priore della locale
chiesa di Sant’Angelo proprio al fine di promuovere una conduzione più razionale delle proprietà, evitando lo smembramento e la frammentazione delle stesse.
Medesime finalità pare abbiano suggerito anche una permuta pattuita nel 1196 tra il maestro delle case templari di
Puglia e di Sicilia, Guglielmo «de Sancto Paulo» e il vescovo
di Canne Aytardus. Quest’ultimo, in cambio di un terreno
situato nei pressi del casale di San Cassiano, in territorio di
Canne, cedeva all’Ordine una terra, chiaramente più appetibile, confinante con la chiesa templare barlettana di Santa
Maria de Salinis21.
Un breve cenno merita poi il legame tra Templari e Santa
Sede.
Nel corso dei quasi due secoli di vita della Militia Templi,
alquanto numerosi furono infatti gli interventi dei pontefici a
sostegno e tutela dell’Ordine, direttamente dipendente dalla Chiesa di Roma. Essa giocò un ruolo determinante nello
sviluppo e nella successiva diffusione del Tempio in Oriente
come in Occidente22.
In merito al Mezzogiorno e, più nello specifico, alla Capitanata, si possono ricordare, ad esempio, gli interventi (1171
e 1181) di papa Alessandro III, che vietò al clero pugliese
di riscuotere dai Templari l’imposta del plateaticum o del
passagium23; e ancora nel 1178-79 ammonì vescovi e prelati
20 Le pergamene di Conversano, nr. 121, pp. 254-255.
21 Le Pergamene di Barletta. Archivio Capitolare (897-1285), nr. 173.
22 Petracca, Documenti pontifici inediti dell’Archivio di Stato di Napoli
riguardanti l’Ordine Templare (1202-1288), «Rivista di Storia della
Chiesa in Italia» 2 (2012), pp. 539-558: 39-40.
23 Hiestand, Vorarbeiten zum Oriens Pontificus I, nr. 138, pp. 330-333.
di Puglia e di Calabria, del Principato e della Capitanata, a
non esigere dagli stessi frati la quarta parte delle elemosine
devolute loro dai fedeli24.
Grande sostenitore dei Templari nel Mezzogiorno fu sicuramente anche Innocenzo III, che esercitò a lungo la reggenza al tempo della minore età di Federico II25; come pure i suoi
successori, sempre solleciti
nei riguardi dell’Ordine26.
Il processo di stanziamento dei Templari nel
Mezzogiorno fu favorito
però anche dall’intervento dell’autorità pubblica,
sebbene, relativamente alla
Capitanata, per le prime
testimonianze documentarie si dovrà attendere l’avvento della dinastia sveva (1194-1196). La casa
sveva, sensibile agli ideali
crociati, ereditati da Federico I27, svolse una politica
indubbiamente favorevole
agli Ordini militari, promuovendone lo sviluppo e
la loro vocazione mediterranea, sebbene la documentazione
a riguardo si confermi ancora piuttosto frammentaria.
Enrico VI, in un momento politico alquanto delicato, si
servì dei Templari e degli Ospitalieri per consolidare il proprio potere nel Mezzogiorno. Animato da tale proposito, il
29 aprile del 1195, l’imperatore riconobbe a Gaufrido, maestro del Tempio in Puglia, il casale di Lama Ciprandi, in
passato feudo di Ruggero Ebriacus di Trani28. In realtà, il
casale, ad oggi non ancora identificato, - presumibilmente
incluso nel territorio di Casalnuovo, a nordest di Foggia29
-, era stato ceduto al Tempio proprio dallo stesso Ruggero,
il quale con testamento del settembre 1194 aveva devoluto
all’Ordine anche sedici vigneti. Il testatore disponeva inoltre
di essere seppellito nella chiesa di Santa Maria «de Russo» o
«Russa» di pertinenza dell’Ordine30.
24 Italia Pontificia 8, Regnum Normannorum - Campania, ed. P. F. Kehr,
Berlin 1935 (rist. 1961), nr. 215, p. 55; Italia Pontificia 9: Samnium Apulia - Lucania, ed. W. Holtzmann, Berlin 1962, nr. 1-2, p. 144.
25 Houben, Templari e Teutonici nel Mezzogiorno, p. 270.
26 Petracca, Documenti pontifici inediti, pp. 552-558.
27 Il Mezzogiorno normanno-svevo e le Crociate (Bari, 17-20 ottobre
2000), a cura di G. Musca, Bari 2002, in particolare i contributi di M.
Balard, Il Mezzogiorno svevo e la quarta Crociata, pp. 145-157; e di W.
Stürner, Federico II, re di Gerusalemme, pp. 159-175.
28 Acta Imperii inde ab Heinrico, nr. 510, pp. 711-712; Regesta Imperi,
IV, 3, 1, nr. 433, p. 177. Il maestro Gaufridus potrebbe essere identificato
con «Gaufridus filius Stephani», che in precedenza aveva ricoperto la
carica di maestro in Inghilterra. Cfr. M. L. Bulst-Thiele, Templerin
königlichen und päpstlichen Diesten, in Festschrift Percy Ernst Schramm,
eds. P. Classen, P. Scheibert, 2, Wiesbaden 1964, II, pp. 289-308: 293.
29 Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici, pp.
189-190, nota 29.
30 Il testamento, ad oggi inedito, del quale dà notizia Hubert Houben
(Templari e Teutonici nel Mezzogiorno, p. 262, nota 35) è conservato
11
STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
Negli stessi anni, stando alle informazioni raccolte da Michele Gattini, presso Alberona, «Corrado conte di Molise»
avrebbe donato ai Templari la chiesa di Santa Maria «in
Bulgano o Vulgano»31. Il donatore, contemporaneo di Enrico VI, potrebbe essere identificato col condottiero Corrado
di Lutzelnhardt, «marchio Molisi» attivo nelle regioni del
Mezzogiorno continentale
al tempo della guerra contro Tancredi di Lecce per la
conquista del Regno32.
Tra i personaggi vicini
alla corte sveva, un ruolo
indubbiamente importante per la diffusione degli
Ordini militari in Puglia fu
svolto dal cancelliere e vescovo di Troia, Gualtiero
de Palearia33, il quale aveva promosso la costruzione
di un alloggio per i poveri
intitolato a San Marco. L’ospizio, realizzato a Troia, si
ipotizza sia stato gestito dai
Templari, come indurrebbe
a pensare la sottoscrizione
dell’atto (30 luglio 1196) relativo all’istituzione dello stesso,
e siglato proprio da un tale Bernardo «prior domus militie
Templi»34; sebbene, in assenza di ulteriori riscontri, non si
possa escludere - cosa più verosimile - si sia trattato semplicemente di un singolo esponente dell’Ordine al servizio del
cancelliere-vescovo di Troia35.
Un centro nevralgico per lo stanziamento degli Ordini militari in territorio pugliese sarà poi rappresentato da Foggia,
a Roma presso l’Archivio Segreto Vaticano (A. A. Arm. I-XVIII, nr.
2367). Una fotografia poco leggibile della pergamena è in G. Lamattina,
I Templari nella storia, Roma 1981, Appendice, 3. Cfr. P. Kehr,
Die Kaiserurkunden des Vatikanischen Archivs, «Neues Archuv der
Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde», 14 (1889), nr. 7,
pp. 343-376: 360; e Constantiae Imperatricis Diplomata, ed. T. Kölzer
(MGH, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, XI, 3), Hannver
1990, nr. 20, pp. 66-68.
31 M. Gattini, I priorati, i baliaggi e le commende del Sovrano Militare
Ordine di San Giovanni di Gerusalemme nelle provincie meridionali
d’Italia prima della caduta di Malta, Napoli 1928, 6; F. Bramato, Storia
dell’Ordine dei Templari in Italia, I, Roma 1991, p. 139.
32 Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici, p. 190.
Corrado compare come testimone in due privilegi emessi da Enrico VI a
Trani, il 10 aprile del 1195, e ad Ortona, il 27 aprile dello stesso anno.
Cf. Regesta Imperi, IV, 3, 1, nr. 422; e nr. 431; e Acta Imperii inde ab
Heinrico, nr. 196, pp. 272-273.
33 Houben, Gualtiero de Palearia, in Federico II. Enciclopedia
Federiciana, 1, 2005, ad vocem.
34 Le chartes de Troia, 1, ed. J. M. Martin (Codice Diplomatico Pugliese,
21), Bari 1976, nr. 120, pp. 347-349. Sono di tale avviso Fulvio Bramato
(Storia dell’Ordine dei Templari in Italia, I, p. 64; e II, Roma 1994, p. 93)
e Kristjan Toomaspoeg (Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici,
p. 191).
35 Ipotesi avanzata da Hubert Houben (Templari e Teutonici nel
Mezzogiorno, p. 262, nota 36). Il templare Bernardo sottoscrive infatti
anche un altro documento emanato da Gualtieri di Palearia a Palermo
nell’ottobre del 1195 (Le chartes de Troia, 1, nr. 119, pp. 345-346).
12
dove fino al primo decennio del XIII secolo i Templari possedevano una chiesa intitolata a San Giovanni de Templo36.
La città di Foggia, sia pur priva di cattedra vescovile, godeva di una ottimale posizione geografica; adagiata nel cuore
della Capitanata e facilmente raggiungibile da ogni parte del
Regno, ospitò in età federiciana varie istituzioni amministrative37.
La primissima fase insediativa dei Templari a
Foggia, come nel resto della Capitanata, resta, però,
ancora poco documentata.
Non è escluso, comunque,
che, forti del sostegno delle
autorità diocesane - soprattutto al tempo di Gualtiero
di Palearia -, essi abbiano
esteso le proprie pertinenze agendo spesso anche in
maniera arbitraria, attraverso appropriazioni illecite o indebite riscossioni di
diritti.
In realtà, l’occupazione
indebita di terreni o di beni
immobili vari da parte degli Ordini non era prassi inconsueta.
Le usurpazione avvenivano chiaramente con maggiore frequenza nei periodi in cui il potere centrale si mostrava più
debole e nei territori sottoposti a minori controlli. Non è un
caso, infatti, che il maggior numero di appropriazioni indebite si sia registrato proprio nell’arco di tempo intercorso tra la
minore età di Federico II e gli anni della sua permanenza in
Germania (1198-1220)38.
Nell’aprile del 1202, ad esempio, Innocenzo III, da poco
assunto il controllo della Capitanata per conto del giovane
Federico, suo protetto, prese atto con evidente rincrescimento degli abusi perpetrati ai danni del patrimonio regio39. Il
pontefice deplorò soprattutto l’operato del cancelliere Gualterio di Palearia, il quale aveva disposto la concessione di
innumerevoli beni demaniali (terras, possessiones, tenimenta, molendina, furnos, macellas e alios redditus) dilapidando così il tesoro regio40. Per porre rimedio a tale situazione,
36 Carabellese, Il comune pugliese durante la monarchia normannosveva, Bari 1924, p. 137, e nr. 24, pp. 210-215: 213: «Presbiterum
Robbertum de Falcone qui interrogatus de dampnis vocatus et videndus
respondit idem quod Puerius excepto quod expressit nomine ecclesiarum
expolia[tarum] videlicet sancti Marci sancti Lazari sancti Petri sanctae
Marie Magdalene et sancti Iohannis de templo […]»; Martin, Foggia nel
Medioevo, Galatina 1998, p. 40.
37 Ibidem, pp. 47-53.
38 Petracca, Giovanniti e Templari in Sicilia, 1, pp. 70-71.
39 F. Beaethgen, Die Regentschaft Papst Innocenz III im Königreich
Sizilien, Heidelberg 1914 (Heidelberg Abhandlungen zur mittleren und
neueren Geschichte, 44), p. 71.
40 Die Register Innocenz’ III., V, 5. Pontifikatsjahr (1202/1203). Texte,
ed. O. Hageneder, C. Egger, K. Rudolf e A. Sommerlechner, Wien
1993 (Publikationen des Historischen Instituts beim Österreichischen
Kulturinstitut in Rom, Abt. II Quellen, 1. Reihe), nr. 20 (21), pp. 41-42; e
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | STORIA
Innocenzo III nominò tre maestri camerari per la Puglia, la
Terra di Lavoro e il ducato il Amalfi, ovvero Eugenio da
Palermo, ex funzionario dell’amministrazione centrale normanna, elevato al rango di emiro o ammiraglio41; il gran
camerario del ducato di Amalfi, M. di Potenza42; e il miles
templare Guillelmus (da identificare verosimilmente con
Guillaume de Saint-Paul, maestro del Tempio in Puglia e in
Sicilia nel 1196)43.
La scelta di un esponente di spicco dell’Ordine Templare
confermava quanto lo stesso Ordine continuasse a godere del
sostegno e della piena fiducia del papa, nonostante esercitasse al momento un ampio controllo sul territorio demaniale.
2- IL TEMPIO IN ETÀ FEDERICIANA
Tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII, la Capitanata
conobbe una notevole espansione del fenomeno templare. A
confermarlo è un documento emesso a Foggia il 31 ottobre
1213, che rinvia alla celebrazione di un capitolo provinciale
(Puglia e Terra di Lavoro), tenutosi apud Lamam nel corso
del medesimo anno44. Tra i convenuti, oltre al maestro provinciale Pietro de Ays, figurano i precettori di alcune delle
principali magioni templari dell’area garganica: frate Guido,
preceptor di Lama; frate Sallustio, preceptor di Bersentino;
frate Geremia, preceptor di Foggia e frate Adam, preceptor
di San Quirico45.
Intanto, uscito dalla minore età nel 1208, Federico II, dimorando ancora in Sicilia, non mancò di mostrare positivo interesse nei confronti dei Templari e degli altri Ordini
religiso-militari. Le prime concessioni disposte dal giovane
Federico a favore del Tempio si concentrarono, però, soprattutto nel Mezzogiorno insulare, dove tra il 1209 e il 1210
riconobbe all’Ordine diversi possedimenti: il casale di Murro, vicino a San Filippo d’Agira46; un mulino e alcuni terreni
nel territorio di Paternò47; il pantano del fiume Salso, presso
nr. 21 (22), pp. 42-43.
41 E. M. Jamison, Admiral Eugenius of Sicily: his life and work and the
authorship of the Epistola ad Patrum and the Historia Hugonis Falcandi
siculi, London 1957. Cfr. V. Falkenhausen, Eugenio da Palermo, in
Dizionario Biografico degli Italiani, 43, Roma 1993, pp. 502-505. Sul
titolo di ammiraglio, cfr. R. L. Ménager, Amiratus -Άμηρᾶς. L’Émirat
et les Origines de l’Amirauté (XIe - XIIIe siècles), Paris 1960, pp. 26-28,
59-64, 75-78.
42 Beathgen, Die Regentschaft Papst Innocenz III, p. 71, nota 3.
43 Le Pergamene di Barletta. Archivio Capitolare (897-1285), nr. 173,
p. 220.
44 Regesto di S. Leonardo di Siponto, nr. 158, pp. 100-102. In questo
caso, però, non è certo si tratti proprio della località di Lama Ciprandi.
45 Ibidem. Cfr. Houben, Templari e Teutonici nel Mezzogiorno, p. 268.
46 Huillard-Bréholles, Historia diplomatica, 1, pp. 144-145 (marzo
1209); Petracca, Giovanniti e Templari in Sicilia, 2, pp. 516-517 (nr. 20,
p. 610); Regesta Imperi, V, 1, 1, nr. 600, p. 165; Toomaspoeg, Templari e
Ospitalieri nella Sicilia medievale, Bari 2003, nr. 59, p. 142.
47 Wilkelmann, Acta imperii inedita, 1, nr. 102, pp. 89-90 (agosto
1209); Petracca, Giovanniti e Templari in Sicilia, 2, p. 517 (nr. 21, p.
611); Regesta Imperi, V, 1, 1, nr. 610, p. 165; Toomaspoeg, Templari e
Ospitalieri, nr. 60, pp. 142-143.
Lentini48; e il feudo di Partinico49. Tuttavia, dopo il 1220, il
difficile processo di restaurazione dell’autorità sovrana e il
timore di incorrere nell’ulteriore diminuzione del patrimonio demaniale indussero sicuramente Federico a limitare il
numero delle donazioni. Al favore iniziale faceva seguito
un atteggiamento di maggiore distacco, che sembra trovare
conferma anche in una più evidente frammentarietà della documentazione, e in particolar modo a partire dal 1227, anno
dell’elezione pontificia di Gregorio IX 50.
Le tensioni tra Papato e Impero condizionarono certo in
modo negativo la natura delle relazioni tra gli Ordini religioso-militari (soprattutto Templari e Ospitalieri) e Federico
II51. Legati alla Santa Sede, essi subirono presto la confisca
di numerosi beni, e in particolar modo nel Mezzogiorno
continentale52. Le maggiori ostilità tra i Templari e Federico si consumarono soprattutto a seguito della Crociata del
1228/1229, dal momento che l’imperatore aveva stretto accordi col sultano al Kāmil. Certamente l’inasprirsi del conflitto tra Santa Sede e autorità imperiale a seguito della scomunica di Federico del 1239, e ancora dopo la deposizione
di quest’ultimo disposta da Innocenzo IV nel 1245, contribuì
non poco a limitare l’affermazione del Tempio nel Mezzogiorno, e soprattutto nelle regioni continentali, dove l’Ordine
deteneva il maggior numero di insediamenti.
Così, anche in Capitanata, la vicenda templare risentì inevitabilmnete dei contrasti sorti tra lo Svevo e Roma, sebbene
non siano mancati anche momenti segnati da un clima più
disteso. Nel settembre del 1240, ad esempio, Federico II dispose la restituzione al Tempio di alcune abitazioni ubicate
a Siponto53.
Una fonte preziosa per cogliere il processo insediativo
48 Huillard-Bréholles, Historia diplomatica, 1, pp. 168-169 (giugno
1210); P. Dupuy, Histoire de l’Ordre militare des Templiers, Bruxelles
1751, p. 144; Petracca, Giovanniti e Templari in Sicilia, 2, pp. 519-520
(nr. 24, pp. 611-612); Toomaspoeg, Templari e Ospitalieri, nr. 65, p. 145.
49 Wilkelmann, Acta imperii inedita, 1, nr. 106, p. 93; Petracca,
Giovanniti e Templari in Sicilia, 2, p. 520 (nr. 25, p. 612); Regesta Imperi,
V, 1, 1, nr. 630, p. 168; Toomaspoeg, Templari e Ospitalieri, nr. 66, p.
145.
50 Bramato, L’Ordine Templare nel Regno di Sicilia nell’età svevoangioina, in I templari: mito e storia, Atti del Convegno Internazionale
alla Magione templare di Poggibonsi (Siena, 29-31 maggio 1987), a cura
di G. Mimucci e F. Suardi, Siena 1989, pp. 107-141: 108. Sui rapporti tra
Federico II e i Templari diverse sono state le opinioni degli studiosi. C’è
stato chi, come Marie Luise Bulst-Thiele e Hartwig Cleve, ha messo in
luce la positiva collaborazione tra il sovrano e l’Ordine (cfr. Bulst-Thiele,
Zur Geschichte der Ritterordenund des Königreichs Jerusalem im 13.
Jahrhundert bis zur Schlacht bei La Forbie am 17. Okt. 1244, «Deutsches
Archiv für Erforschung des Mittelalters», 22 [1966], pp. 197-226; H.
Cleve, Kaiser Friedrich II. und die Ritterorden, «Deutsches Archiv für
Erforschung des Mittelalters», 49 [1993], pp. 39-73), e chi, invece, ha
sottolineato le forti ostilità (cfr. A. Demurger, Vita e morte dell’ordine dei
Templari, Milano 1987, p. 201; M. Barber, La storia dei Templari. Vita
avventurosa, storia e tragica fine dei leggendari monaci guerrieri, Casale
Monferrato 1997, p. 276).
51 Sulle relazioni tra Papato e Impero al tempo di Federico II, si veda
Houben, Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e
musulmani, Napoli 1996, pp. 177-192.
52 Demurger, Vita e morte dell’ordine dei Templari, p. 201.
53 Regesta Imperi, V, 2, 4, nr. 13347; Houben, Templari e Teutonici nel
Mezzogiorno, p. 274, nota 87.
13
STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
dell’Ordine rossocrociato in Capitanata è sicuramente il
Quaternus de excadenciis et revocatis, redatto per ordine di
Federico dal giudice Roberto di Ariano e dal notaio Tommaso di Avellino54. Prima di esaminare i dati in esso contenuti, è
opportuno, però, considerare brevemente alcuni aspetti.
Uno rapido sguardo alla tradizione storiografica rivela
quanto la stessa abbia a lungo interpretato le informazioni
contenute nel Quaternus come prova tangibile di una condizione di conflittualità tra Federico II e gli Ordini religiosomilitari55. Sebbene tale lettura possa apparire per certi versi
poco lontana dalla realtà, sono tuttavia necessarie delle precisazioni.
In primo luogo, bisogna ricordare che il momento di maggiore ostilità tra l’imperatore e gli Ordini militari coincise,
come già detto, con gli anni immediatamente successivi la
Crociata del 1228-1229; quanto registrato nel Quaternus,
datato 1248-1249, illustra invece una situzione di vent’anni
posteriore al noto conflitto56.
Un altro aspetto da considerare è la differente distribuzione geografica delle località interessate dalle confische. Dalla
lettura del Quaternus emerge infatti che in alcuni centri di
Capitanata, come Troia57 o Termoli58, gli Ordini continuarono indisturbati a gestire regolarmente il loro patrimonio.
È verosimile, dunque, ritenere che le confische, imposte
per reintegrare il regio demanio, abbiano prevalentemente
colpito quei possedimenti ottenuti o occupati dagli Ordini
con modalità giudicate dalla Curia non del tutto lecite. Stando alle informazioni del Quaternus, i centri presso cui gli
Ordini subirono il maggior numero di espoliazioni furono
sicuramente Foggia e Siponto, località presso cui l’origine
degli insediamenti risulta, rispetto ad altre, piuttosto dubbia
e ancora poco documentata59.
Esemplare in merito il caso del tenimentum di Alberona.
Questo feudo appartenuto all’Ordine Templare fu requisito
dalla Curia Regia tra il 1248 e il 1249. Prima di tale revoca,
i Templari possedevano ad Alberona alcuni vigneti «in loco
Canalis colli», una vigna in località «Serra» e diversi terreni
destinati alla coltivazione di frumento e di orzo60. Tattavia,
ad oggi, nessuna fonte è in grado di attestare l’origine di tali
54 Cf. Quaternus de excadenciis et revocatis Capitantae de mandato
imperialis Maiestatis Federici secundi nunc primum ex Codice Cainensi,
ed. D. A. Amelli, Montecassino 1903; G. De Troia, Foggia e la Capitanata
nel Quaternus excadenciarum di Federico II di Svevia, Foggia 1994.
55 H. Cleve, Kaiser Friedrich II. Und die Ritterorden, «Deutsches
Archiv», 49 (1993), pp. 39-73; e di J. M. Powell, Frederic II, the
Hohenstaufen, and the Teuthonic Order in the Kingdom of Sicily (11871230), in The Military Orders. Fighting for the Faith and Caring for the
Sick, a cura di M. Berber, Adershot 1994, pp. 236-244.
56 Quaternus de excadenciis, p. 34; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 233.
57 Quaternus de excadenciis, pp. 3-9; De Troia, Foggia e la Capitanata,
pp. 91-119.
58 Quaternus de excadenciis, pp. 80-82; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 409, 415 e 417.
59 Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici, pp.
196-197.
60 Quaternus de excadenciis, p. 34; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 233; G. Schiraldi, L’Ordine templare ad Alberona, «Archivio Storico
Pugliese», 58 (2005), pp. 279-295: 281.
14
proprietà. L’unica ipotesi attendibile sull’insediamento templare di Alberona rinvia esclusivamente alla donazione della
chiesa di Santa Maria di Bulgano (o Vulgano), disposta dal
già citato «Corrado conte di Molise», il quale, però, - stando
alla notizia riferita dal Gattini -, non avrebbe investito l’Ordine del detto feudo, ma si sarebbe solo limitato a riconoscergli
la titolarità di una chiesa e delle sue pertinenze61.
In assenza del necessario riscontro documentario, è alquanto verosimile dunque che l’espansione del patrimonio
templare nel feudo di Alberona si sia verificata seguendo dinamiche piuttosto arbitrarie, che avranno forse comportato,
in certi casi, anche l’usurpazione coatta di alcuni beni. D’altro canto, però, non è da escludere nemmeno la possibilità
che il Tempio, disponendo di liquidità contante, sia entrato
legittimamente in possesso di proprietà demaniali mediante
regolare acquisto.
In merito al feudo di Alberona, comunque, con l’avvento della dinastia angioina i Templari torneranno in possesso
dell’intero tenimentum, confermato loro dallo stesso Carlo
I62.
Alla luce di quanto esposto e tenuto conto dei più recenti
orientamenti storiografici, le revoche imposte ai Templari e
alle altre istituzioni crociate negli anni immediatamente precedenti la redazione del Quaternus sembrerebbero rispondere ad esigenze non strettamente riconducibili ai rapporti
diplomatici intercorsi al tempo tra gli stessi Ordini e il sovrano63.
Disposte le confische, quanto reintegrato nel regio demanio fu differentemente impiegato. Alcuni beni restarono in
gestione ad affittuari chiamati a rispondere dei loro obblighi
direttamente alla Curia; altri sopperirono ad esigenze varie,
come garantire il deposito di legname64, offrire spazi adeguati all’allevamento dei cavalli o alla conservazione degli
alimenti65; altri beni ancora furono impiegati per stipendiare
il nutrito personale al servizio della Corona. Allo scudiero Amicettus - ad esempio - furono assegnate a Siponto la
metà di due abitazioni, di cui una «cum casalino», requisite
all’Ordine ospitaliero66, come pure alcune domus o metà di
esse di ex pertinenza templare67; e ancora, Maltisio, leoparderio, ottenne dalla Curia diversi beni che erano appartenuti
al Tempio e all’Ospedale a Civitate68; mentre a Petro Yspano
«scuterio Imperialis marescalle» la Curia concesse oltre a
vari redditi provenienti da immobili ubicati a Foggia, anche
alcune domus confiscate all’Ordine teutonico e un casalino di
61 Gattini, I priorati, i baliaggi e le commende, p. 6.
62 Ibidem, p. 5.
63 Toomaspoeg, Gli insediamenti templari, giovanniti e teutonici, p. 199.
64 Quaternus de excadenciis, p. 49; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 293.
65 Quaternus de excadenciis, p. 50; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 299.
66 Quaternus de excadenciis, p. 49; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 293.
67 Quaternus de excadenciis, p. 50; De Troia, Foggia e la Capitanata,
pp. 295 e 297.
68 Quaternus de excadenciis, p. 76; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 395.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | STORIA
pertinenza templare69. Altri beni del Tempio andarono invece
a risarcire i servigi di Bertoldo, «carroczario marescalle»70;
di Oddone «de Trasburgo», scudiero71; e di Giovanni de Lacustra, arciere della Curia, al quale spettarono i redditi di numerosissimi casalina gestiti a Foggia dagli Ordini militari72.
Le informazioni contenute nel Quaternus non offrono
comunque una quadro completo del patrimonio templare in
Capitanata, poiché documentano solo una esigua parte dello
stesso. Ciò nonostante, la capillarità dell’insediamento templare nella provincia di Foggia e la ricchezza dei beni appartenuti all’Ordine in varie zone della Capitanata appaiono
alquanto evidenti. A colpire è certamente l’alto numero di
revoche disposte ai danni del Tempio nelle città di Foggia e
di Siponto. A Foggia, dove è attestato un suburbium Templi,
sorto appunto nelle immediate vicinanze della domus templare, la cui chiesa era intitolata a San Giovanni de Templo73,
l’Ordine gestiva un patrimonio immobiliare alquanto rilevante. Basti pensare che nel solo suburbium Templi la comunità rossocrociata fu privata di varie abitazioni74, di ben
sessantadue casalina75, ovvero appezzamenti di terra di piccole e medie dimensioni coltivati da fittavoli, e di altri venticinque casalina per lo più vacua e siti «iuxta fossatum»76.
Oltre agli immobili rientranti nel suddetto suburbium, le
confisce ai danni del patrimonio templare colpirono anche
altri beni, come diversi vigneti situati, sempre a Foggia, in
località Bassano e poco distanti dal iardinum di proprietà
dell’Ordine77; un appezzamento di terreno non ancora destinato alla semina che si estendeva da Bassano «usque ad
stradam Baroli»78; e numerosi campi coltivanti a grano e dislocati nel territorio circostante l’abitato, soprattutto in direzione di Siponto79.
Relativamente a quest’ultimo centro, la Curia confiscò al
Tempio sei casilia80, una quindicina di abitazioni, tre saline,
alcuni orti, una vigna in località «Lame Stragarie» e un terreno, «iuxta ecclesiam Sancti Georgii», seminato a cereali
69 Quaternus de excadenciis, p. 19; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 161.
70 Ibidem.
71 Quaternus de excadenciis, p. 20; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 165.
72 Quaternus de excadenciis, pp. 20-25; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 170-193.
73 Les chartes de Troia, nr. 139, p. 381 e infra, nota 36.
74 Quaternus de excadenciis, pp. 19, 22; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 163, 177.
75 Quaternus de excadenciis, pp. 22-24; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 179-185; H. Bresc, Les jardins de Palerme (1290-1460),
«Mélanges de l’École française de Rome, Moyen Âge- Temps Modernes»,
84/1 (1972), pp. 55-127: 83.
76 Quaternus de excadenciis, p. 31; De Troia, Foggia e la Capitanata, p.
221; Martin, Foggia nel Medioevo, pp. 71-72.
77 Quaternus de excadenciis, pp. 26 e 28-29; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 195 e 209.
78 Quaternus de excadenciis, p. 29; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 213.
79 Quaternus de excadenciis, pp. 30-31; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 217-221.
80 Quaternus de excadenciis, p. 50; De Troia, Foggia e la Capitanata,
pp. 295-296 e 299.
(orzo e frumento)81. A San Quirico, invece, presso Siponto, dove è attesta una ecclesia Templi, i frati dell’Ordine
subirono l’espoliazione di due abitazioni, di una vigna, di
due oliveti e di altrettanti terreni agricoli82; mentre a Monte
Sant’Angelo le confische interessarono alcune domus, diversi vigneti e un esiguo numero di terreni «cum olivis»83.
La lettura del Quaternus evidenzia come il processo insediato del Tempio in Capitanata si sia compiuto con maggiore
slancio soprattutto nell’entroterra garganico e nei territori
immediatamente a nord e nord-ovest di Foggia. Domus e
possedimenti ex templari sono infatti attestati a Villanova84,
a Civitate85, a Fiorentino86, a Monteconvino87. Alla domus
templare di Casalnuovo, che disponeva di un vegetarium88,
fu imposta invece la revoca di vari vigneti e uliveti, alcuni
anche di significativa estensione89, e furono confiscate abitazioni, terreni e una «moctam cum tenimento suo»90.
Sebbene il Quaternus fornisca informazioni preziose sugli insediamenti templari in Capitanata, diversi interrogativi,
tuttavia, restano ancora senza risposta. I dati in esso contenuti, spesso incompleti e frammentari, non consentono, ad
esempio, di cogliere con precisione la consistenza numerica,
le dimensioni e la morfologia dei beni sottratti agli Ordini in
ogni singolo centro; come risulta altrettanto difficile isolare
i redditi percepiti. Ma, nonostante tali limiti, il Quaternus
offre comunque la possibilità di stimare a grandi linee l’ammontare complessivo delle proprietà templari sottoposte a
sequestro in Capitanata. Eccezion fatta per il feudo di Alberona, gli immobili confiscati al Tempio includevano all’incirca una ventina di abitazioni urbane, 94 casalina, 25 terreni
destinati a coltura, 16 vigneti, 3 saline, 2 oliveti, nonchè diversi orti e giardini con alberi da frutto.
La tipologia dei beni confiscati evidenza come la principale fonte di reddito delle comunità templari insediatesi in
Capitanata provenisse soprattutto dall’attività agricola e dalla locazione di immobili, sia urbani sia rurali. Tra le varie
occupazioni svolte direttamente o solo gestite dai Templari
all’interno di ciascun insediamento, un ruolo centrale avevano sicuramente la coltivazione cerealicola (grano, orzo e
frumento), la produzione intensiva di olio e di vino e l’allevamento del bestiame. Anche il controllo delle saline poteva
81 Ibidem.
82 Quaternus de excadenciis, 51; De Troia, Foggia e la Capitanata, p.
301.
83 Quaternus de excadenciis, 52-53; De Troia, Foggia e la Capitanata,
pp. 305-307.
84 Quaternus de excadenciis, p. 62; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 341.
85 Quaternus de excadenciis, pp. 75-76; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 393 e 395.
86 Quaternus de excadenciis, pp. 65-67; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 353-359.
87 Quaternus de excadenciis, p. 31; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 223.
88 Quaternus de excadenciis, p. 73; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 385.
89 Quaternus de excadenciis, pp. 68, 70; De Troia, Foggia e la
Capitanata, pp. 365, 371.
90 Quaternus de excadenciis, p. 73; De Troia, Foggia e la Capitanata,
p. 385.
15
STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
rappresentare per il Tempio una cospicua fonte di reddito,
almeno sino alla fine del XIII secolo, quando l’esiguità delle
notizie in merito induce ad ipotizzare una minore attenzione
degli Ordini verso la vendita di tale prodotto91.
Ad ogni buon conto, parallelamente ad una conduzione diretta delle aziende agricole, gestione che, considerata
l’esiguità numerica dei frati, avrebbe sicuramente richiesto
l’impiego di manodopera salariata o servile, i Templari ricorrevano spesso anche alle prestazioni d’opera a canone misto
(in denaro e in natura), alternando la colonia alla locazione,
sebbene per l’intero Mezzogiorno difetti alquanto la documentazione al riguardo. Il ricorso alla manodopera servile
trova però conferma in una lettera di Gregorio IX dell’agosto
1228, nella quale il pontefice lamenta a Federico II la confisca di un centinaio di schiavi impiegati dal Tempio e dall’Ospedale per lo svolgimento delle attività agricole in Puglia e
in Sicilia92. Un ulteriore rinvio all’utilizzo di personale servile è offerto poi dalla documentazione di età angioina. Nel
1274 Carlo I ordinava al Giustiziere di Capitanata l’arresto
di due schiavi saraceni in fuga da Barletta, dove prestavano
servizio presso la locale domus del Tempio93.
Per quanto concerne, invece, il modello insediativo, la
documentazone relativa alla Capitanata attesta sia la diffusione di domus urbane (Foggia e Siponto), sia, soprattutto,
la presenza di domus rurali, deputate allo sfruttamento, alla
valorizzazione e alla produzione delle risorse agricole. Si
trattava, in quest’ultimo caso, di complessi masseriali dotati
di campi coltivabili, terreni incolti, vigne, oliveti, orti, ma
anche case, depositi di derrate, mulini e impianti vari.
Prima di esaminare le possibili strutture masseriali gestite
dal Tempio in Campitana, è opportuno insistere, brevemente,
sul concetto stesso e sulle attività caratterizzanti la masseria
bassomedievale. In generale col termine masseria si suole
indicare un complesso aziendale a vocazione integrata, agropastorale, finalizzato «alla valorizzazione produttiva del territorio e alla crescita dell’allevamento»94.
Individuare le masserie templari in quella che fu sicuramente la provincia del Mezzogiorno presso cui gli Ordini
religioso-militari installarono il maggior numero di insediamenti è operazione non del tutto agevole. Oltre ai limiti imposti dalla scarsa documentazione riguardante il Tempio, si
segnala che l’uso del termine “masseria” è assai poco ricorrente nelle fonti meridionali dei secoli XIII e XIV. Pertanto,
nel tentativo di localizzare alcune delle aziende agricole templari di Capitanata, si prenderanno in considerazione, benchè
spesso non indicate espressamente come “masserie”, tutte
91 Sulle saline gestite dai Teutonici, si rinvia a Houben, Die
Wirtschftsführung der Niederlassungen, p. 93.
92 Huillard-Bréholles, Historia diplomatica, 3, pp. 174-175 (5 agosto
1228): «[...] Centum sclavos etiam quos domus Hospitalis et Templi
habebant in Sicilia et Apulia colligi facens eos reddidit Saracenis, nulla
exinde recompensatione facta domibus supradictis [...]». Cfr. Bramato,
Storia dell’Ordine dei Templari in Italia, 1, p. 121; e Barber, La storia dei
Templari, p. 277 (entrambi, però, datano la lettera apostolica nel 1227).
93 RA, XI, (Napoli 1978), nr. 143, p. 55 (10 agosto 1274). Cfr. Bramato,
Storia dell’Ordine dei Templari in Italia, 1, p. 129.
94 Licinio, Teutonici e masserie nella Capitanata, p. 175.
16
quelle strutture insediative rurali ad economia mista (cerealicola e pastorale) diffuse sul territorio e finalizzate allo sfruttamento e alla valorizzazione produttiva dello stesso.
Fonte di sicuro interesse è un manoscritto di circa centoventi carte conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, che raccoglie trascrizioni moderne (inizi XIX secolo) di
documenti appartenuti agli Ordini Templare e Ospitaliero95, i
cui originali, custoditi a Napoli, subirono purtroppo le devastazioni causate dal secondo conflitto mondiale96.
In un atto, datato 30 aprile 1324, a più di dieci anni dalla soppressione del Tempio, Roberto d’Angiò ordinava il
dissequestro delle proprietà ospitaliere «olim Templi»97. Si
trattava delle masserie di Casalnuovo98, di San Quirico99, di
Foggia100, di Borgonioni (?), di Salpi, di Trinità (Trinitapoli?), di Santa Maria de Salinis (Canne)101, di Belmonte (a sudovest di Gravina di Puglia?), di Lama102 e di Bersentino103.
Il documento, sebbene permangano forti dubbi sulla precisa
ubicazione di alcuni insediamenti, è prova, tuttavia, dell’ampia diffusione di aziende agro-pastorali a gestione templare
in Capitanata e nei territori immediatamente confinanti.
Mentre per alcuni dei complessi masseriali sopracitati il
rinvio a documenti di età precedente consente, come si è visto, di retrodatare la loro incidenza sul territorio, per altri,
invece, l’atto del 1324 costituisce verosimilmente la prima
testimonianza.
In merito alla fondazione templare di Salpi, località abbandonata tra XV e XVI secolo, le prime notizie riguardanti la
presenza di una comunità rossocrociata risalirebbero al secondo decennio del XIII secolo104. In seguito, nel 1297 «in
pertinetiis Salpararum» è attestata la proprietà templare di
una masseria (si potrebbe verosimilmente trattare di quella
indicata nell’atto del 1324) denominata «Terra Sipontina»105.
95 Biblioteca Nazionale di Napoli (BNN), ms. XV, D, 15. Il manoscritto,
ad opera dell’avvocato Felice Parrilli, è intitolato Reassunto de diplomi
esistenti nell’Archivio della Regia Zecca appartenenti all’abolito Ordine
de’ Templari, ed all’attuale Ordine S. M. Ordine de’ Cavalieri di S.
Giovanni di Gerusalemme, compilato sotto gli ordini del Signor Balio Fra’
Francesco Antonio Cedronio, ricevitore e ministro dell’Ordine presso S.
M. Siciliana, per opera del dell’avvocato Felice Parrilli, nell’anno 1803.
96 R. Moscati, Ricerche su gli atti superstiti della Cancelleria napoletana
di Alfonso d’Aragona, «Rivista storica italiana», 65 (1953), pp. 540-552;
R. Filanfieri, Prefazione a Fonti Aragonesi, I, Napoli 1957, pp. VII-VIII;
S. Palmieri, L’Archivio di Stato di Napoli: distruzioni durante la seconda
guerra mondiale e successiva ricostruzione, «Archivium», 42 (1996), 23951; e V. Trombetta, Biblioteche e archivi napoletani durante la guerra, in
Le biblioteche e gli archivi durante la seconda guerra mondiale: il caso
italiano, a cura di A. Capaccioni, A. Paoli, R. Ranieri, Bologna 2007, pp.
393-342.
97 BNN, ms. XV, D, 15, cc. 32r-34r; S. Santeramo, Codice diplomatico
barlettano, 1, Fasano 1988, nr. 94.
98 Beni Templari a Casalnuovo sono attestanti già nel XIII secolo, cfr.
Infra, nota 88,89,90.
99 Infra, nota 82.
100 Infra, nota 74, 75, 76.
101 Infra, nota 21.
102 Infra, nota 28, 45.
103 Infra, nota 45.
104 R. Bevere, Notizie storiche tratte da documenti conosciuti col nome
di “Arche in carta bambagina”, «Archivio Storico per le Provience
Napoletane», 25 (1900), p. 403 (5 luglio 1213).
105 C. Minieri Riccio, Studi storici sui fascicoli angioini dell’Archivio
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | STORIA
Nel corso del XIII secolo, i Templari si insediarono con
successo anche a Lucera. Nel 1226, ad esempio, la rivalità
con altre congregazioni religiose in merito al possesso di alcuni beni compresi nel territorio tra Lucera e Serra richiamò
l’attenzione del pontefice Onorio III, che intervenne per dirimere la questione106. Tra il XIII e XIV secolo, inoltre pare
che il Tempio abbia gestito anche alcune masserie (Casanova, Santa Lucia de Rivomortuo e Machia Pentericia) censite
in un documento del 1303 a firma di Carlo II d’Angiò107.
3 - INTERESSI MEDITERRANEI E SVILUPPI
INSEDIATIVI IN ETÀ ANGIOINA
Considerata a grandi linee la distribuzione insediativa dei
Templari in età federiciana, esaminiamo ora l’ultima fase di
quel processo evolutivo che interessò l’Ordine in Capitanata
fino alla condanna definitiva.
Sotto Manfredi i Templari beneficiarono sicuramente del
sostegno della Corona108. I legami tra il sovrano e alcuni
rappresentanti dell’Ordine, come il Maestro delle domus
Templari del Regno, Alberto da Canelli109, parente di Bianca
Lancia d’Agliano, madre di Manfredi, contribuirono certo a
favorire le relazioni tra la corte e il Tempio. Ma, eliminata
definitivamente la presenza sveva nel Mezzogiorno (1266),
si concluse anche la parentesi filoimperiale di alcuni esponenti dell’Ordine.
L’avvento della dinastia angioina rappresentò per i Templari l’avvio di una stagione propizia. L’intesa tra il papato
e i nuovi sovrani consentiva infatti all’Ordine di beneficiare
dei favori di entrambi, senza compromettere, come in passato, interessi e delicati equilibri. Sensibile allo spirito delle crociate, Carlo I d’Angiò incoraggiò le attività militari in
Terrasanta110, instaurando con gli Ordini un dialogo continuo
e costante111.
Con i Templari, in particolare, il sovrano strinse una duratura alleanza: nominò consiglieri alcuni membri dell’Ordine,
accolse le loro richieste ed emise diversi provvedimenti a
della Regia Zecca di Napoli, Napoli 1863, p. 81.
106 Documenti tratti dai Registri vaticani (da Innocenzo III a Nicola
IV), ed. D. Vendola, Trani 1940 (Società di Storia Patria per le Puglie.
Documenti vaticani relativi alla Puglia, 1), nr. 160, pp. 139-q40.
107 Codice diplomatico dei Saraceni di Lucera, ed. P. Egidi, Napoli
1917, nr. 728, p. 263.
108 Capasso, Historia Diplomatica Regni Siciliae, p. 216; Guzzo,
Templari in Sicilia, p. 48, nota 102.
109 Barbero, I signori di Canelli, pp. 219-233; Bulst-Thiele, Sacrae
Domus Militiae Templi Hierosolymitani Magistri, p. 246, nota 55.
110 D. Carraz, «Christi fideliter militantium in subsidio Terre Sancte».
Les ordres militaires et la première maison d’Anjou (1246-1342)», in As
Ordens Militares eas Ordens de Cavalaria entre o Occidente e o Oriente.
Actas do V Encontro sobre Ordens Militares (15 a 18 de Fevereiro de
2006), ed. I. C. Ferreira Fernandes, Palmela 2009, pp. 549-582: 553.
111 Toomaspooeg, Charles Ier D’Anjou, Les Ordres Militaires et la
Terre Sainte, in As Ordens Militares. Freires, Guerreiros, Cavaleiros,
Actas do VI Encontro sobre Ordens Militares (10 a 14 de Março de 2010),
ed. I. C. Ferreira Fernandes, 2, Palmela 2012, pp. 761-777; M. Balard,
Carlo I d’Angiò e lo spazio mediterraneo, in L’eredità normanno-sveva
nell’età angioina: persistenze e mutamenti nel Mezzogiorno. Atti delle
quindicesime giornate normanno-sveve (Bari, 22-25 ottobre 2002), a cura
di G. Musca, Bari 2004, pp. 85-100.
loro favore. Oltre ad affidare ai Templari prestigiosi uffici112,
promosse la libera fruizione degli scali portuali, agevolò l’esportazione di armi, vettovaglie e beni di primaria necessità113, consentì il recupero di insediamenti precedentemente
confiscati114. La collaborazione tra Templari e Corona fu
evidente sia a livello di politica interna sia sul piano delle
relazioni internazionali, ambito in cui gli Ordini, disponendo di una capillare rete logistica mediterranea e di flotte ben
equipaggiate, svolgevano sicuramente un ruolo di primaria
importanza115.
Relativamente alla proprietà templari di Capitanata, oltre
a riconoscere al Tempio il già citato feudo di Alberona116,
Carlo I d’Angiò, nel 1272, condannò le molestie arrecate ai
frati da alcuni feudatari circa il possesso di un mulino nei
pressi di Fiorentino117.
I Registri della Cancelleria Angioina, sebbene poco illuminanti circa la diffusione di nuovi insediamenti templari
in area garganica, forniscono, tuttavia, interessanti riscontri
circa la disponibilità del sovrano nei riguardi dell’Ordine sul
piano diplomatico, strategico e militare 118.
In realtà i rapporti tra Corona angioina e Tempio erano
tenuti vivi anche dal comune intento di trasferire in Oriente
il maggior numero di risorse destinate in subsidium Terrae
Sanctae119. Tale obiettivo potenziava sicuramente il ruolo e
l’importanza strategica di un’area di frontiera come la Capitanata, deputata, tra l’altro, a rappresentava il principale
“granaio” del regno120.
112 RA, I (1265-1269), nr. 18, p. 113; ibidem, nr. 191, p. 235 (24 ottobre
1268); e ibidem, nr. 275, p. 258 (30 giugno 1269); ibidem, nr. 147, p. 143;
RA, IV, nr. 1143, p. 179; RA, V, nr. 32, p. 203; RA, XLIV, I, nr. 121, p.
347.
113 Syllabus membranarum ad Regiae Siclae Archivium pertinentium,
Napoli 1834 (ex Regia Typographia) I, fasc. I, nr. 10, p. 8.
114 C. Minieri Riccio, Alcuni fatti riguardanti Carlo I d’Angiò dal 6
di agosto 1252 al 30di dicembre 1270 tratti dall’Archivio Angioino di
Napoli, Napoli 1874, p. 29; Guerrieri, I cavalieri Templari, pp. 49-50.
115 Toomaspoeg, Carrefour de la Méditerranée et arrière-pays de la
croisade: les ordres religieux militaires et la mer au royaume de Sicile,
in Les Ordres militaires et la mer. 130e Congrès national des sociétés
historiques et scientifiques (La Rochelle 2005), ed. M. Balard, Paris, 2009,
pp. 103-110.
116 Gattini, I priorati, i baliaggi e le commende, p. 5. Cf. Infra, nota 62.
117 RA, IX, nr. 258, p. 261.
118 Houben, Religious in secular offices in late medieval southern Italy,
in Churchmen and Urban Government in Late Medieval Italy, c. 1200c.1450, Cases and Contexts, ed. F. Andrews e M. A. Pincelli, Cambridge
2013, pp. 307-318.
119 J. H. Pryor, In Subsidium Terrae Sanctae. Exports of Foodstuffs and
War Materials from de Kingdom of Sicily to the Kingdom of Jerusalem,
1264-1284, in The medieval Levant. Studies in Memory of Eliyahu Ashtor
(1914-1984), «Asian and African Studies», 22 (1988), ed. B. Z. Kedar
e A. L. Udovitch, pp. 132-133; Toomaspoeg, Le ravitaillement de la
Terre Sainte: l’exemple des possessions des ordres militaires dans le
royaume de Sicile au XIIIe siècle, in L’Expansion occidentale (XIe-XVe
siècles). Formes et conséquences. XXXIIIe Congrès de la Société des
Historiens Médiéviste de l’Enseignement Supérieur Public (Madrid,
Casa deVelázquez, 23-26 mai 2002), Paris, 2003 (S.H.M.E.S., Histoire
ancienne et médiévale, 73), pp. 143-158; J. Bronstein, The Hospitallers
and the Holy Land. Financing the Latin East, 1187-1274, Londres 2005.
120 Toomaspoeg, Le grenier des templiers. Les possessions et l’économie
de l’Ordre dans la Capitanate et en Sicile, in L’économie templière
en Occident. Patrimoines, commerce, finances. Actes du colloque
international (Troyes-Abbaye de Clairvaux, 24-26 octobre 2012), ed. A.
17
STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
Le franchigie e i diversi favori accordati al Tempio dai sovrani angioini, oltre a confermare la ormai capillare presenza
dell’Ordine nelle regioni meridionali, riflettono chiaramente
anche la dimensione marittima e mediterranea dello stesso.
Carlo I garantì ai Templari la libera fruizione di tutti gli
scali marittimi del Regno e li esentò da qualsiasi imposta connessa all’uso delle strutture portuali. Il 24 agosto del 1267,
ad esempio, il sovrano riconobbe al «Magistro Templario»
Balduino la facoltà di «exportare ex portu Bari» un carico
di rifornimenti
destinato
a
raggiungere la
Terra Santa121.
A distanza di
due
giorni,
Carlo intervenne nuovamente
presso i portolani di Bari,
consentendo
ai Templari la
libera esportazione di approvvigionamenti destinati alle rotte orientali122.
Nel giugno del 1269, invece, il sovrano autorizzò l’estrazione esentasse dai porti pugliesi di 1.500 salme di frumento e
di 1.000 salme di orzo, provenienti dalle masserie templari
di Puglia123.
Chiaramente le funzioni marittime e mercantili svolte dei
templari nei territori del Regno si concentravano soprattutto
lungo la costa adriatica pugliese, crocevia tra Occidente e
Oriente. Numerosi documenti della dispersa Cancelleria angioina concorrono, infatti, a confermare l’incessante flusso
di uomini e di merci in transito verso la Terra Santa (almeno
fino al 1291, anno della caduta di San Giovanni d’Acri, poi
verso l’isola di Cipro, dove gli Ordini trasferirono le loro basi
logistiche a seguito della sconfitta). Tale traffico era gestito
dai Templari, così come dagli altri Ordini militari, presso i
maggiori porti di Puglia (Manfredonia, Barletta, Bari e Brindisi). Da qui erano esportate soprattutto derrate alimentari
(alimenta e victualia, ovvero grano, orzo, frumento, legumi
vari, olio e vino, ma anche sale, proveniente dalle saline di
Salpi e di Siponto).
In Capitanata lo scalo marittimo di più ampio respiro era
rappresentato dal porto di Manfredonia124. Nel gennaio del
1274 è documentata l’estrazione di «frumenti salmas et totidem ordei» dai porti di Manfredonia e di Barletta da parte
del frate templare Arnolfo125. Spedizioni di derrate (frumenBaudin, G. Brunel e N. Dohrmann, Langres 2013, pp. 93-113.
121 Syllabus membranorum ad Regie Siclae, 1, fasc. I, nr. 10, p. 8.
122 Syllabus membranorum ad Regie Siclae, 1, fac. II, nr. 1, p. 8.
123 RA, II, nr. 206, 58 (8 aprile 1269); RA, VII, nr. 99, p. 199 (1271);
RA, VII, nr. 198, p. 45 (gennaio 1271); RA, VI, nr. 706, p. 140 (18 marzo
1271); RA, IX, nr. 98, p. 215 (6 maggio 1273).
124 RA, XI, nr. 145, p. 122 (22 gennaio 1274); Rivera Magos, Una
chiave de tutta la Puglia, 63-99; e Violante, Organizzazione del territorio
e strutture produttive, pp. 101-123 e relativa bibbliografia.
125 RA, XI, nr. 145, p. 122 (22 gennaio 1274).
18
to, orzo, vino, carne, formaggi) o di animali da Manfredonia
ad Acri sono attestate ancora tra il 1279 e il 1280, quando il
sovrano accordò il permesso per il trasporto di provvigioni al
frate templare Raimondo Columbo126.
Le autorizzazioni relative all’uso del porto di Manfredonia consentono di riflettere su alcuni aspetti. In primo luogo,
è fatto esplicito riferimento a due imbarcazioni di proprietà
dell’Ordine, una tarida, denominata Santa Maria di Betlemme, ed una nave di cui si ignora il nome127. Dati che, unitamente ad altri
esempi128, rivelano la disponibilità da parte
del Tempio di
una efficiente
flotta navale129.
Un secondo
elemento
di
riflessione riguarda invece
il rinvio alla
presenza
di
pellegrini (ben seicento), che sarebbero stati imbarcati nella
primavera del 1279 dal porto di Manfredonia su navi rossocrociate alla volta della Terrasanta130. Tale circostanza, non
certo isolata, è indicativa di un’ulteriore attività svolta dal
Tempio lungo le rotte mediterranee131. Non solo, dunque,
spedizioni di merci e di vettovaglie indispensabili al sostentamento delle comunità orientali, ma anche trasporto di pellegrini, dietro compenso.
La disponibilità mostrata da Carlo I a favore delle attività
marittime gestite dal Tempio nel Mezzogiorno trovò naturale
seguito anche nelle scelte politiche perseguite del figlio132. Fu
soprattutto in occasione del soggiorno napoletano (1295) di
Jacques de Molay, ultimo gran maestro del Tempio133, che il
sovrano angioino accordò all’Ordine il maggior numero di
126 RA, XLIV, nr. 308, pp. 630-632 (5 febbraio 1280). La prima
spedizione avviene il 6 aprile 1279, mentre la seconda il 3 maggio dello
stesso anno: «[…] item, sexto aprelis eiusdem septime indictionis, per
fratrem Raimundum Columbum, nuncium venerabilis …..Templi, cum
terida de eadem domo, vocata Sancta Maria de Betlem, ferende caput
Acon, frumenti salme mille …. animalium, ordei salme sex, et tercio madii
eiusdem indictionis, per eundem fratrem Raimundum cum navi una, dicta
Sanc[tus]… ferende simuliter aput Acon, frumenti salmarum duo milia,
vegetes pleni vino trecenti, carnium sallitarum meczini quadringenti, de
caseo miliaria triginta, vegetes pleni mille viginti quinque et peregrini
sexcenti […]».
127 Sulla capacità di carico nelle navi medievali, cfr. F. Cardini, In
Terrasanta. Pellegrini italiani tra Medioevo e prima Età Moderna,
Bologna 2002, p. 294.
128 Guerrieri, I cavalieri Templari, pp. 52-53; Demurger, Vita e morte
dell’Ordine dei Templari, pp. 78-180; e Id., I Templari: un ordine
cavalleresco cristiano nel Medioevo, Milano 2006, pp. 336-339.
129 Guerrieri, I cavalieri Templari, pp. 52-53.
130 Cardini, In Terrasanta. Pellegrini italiani, pp. 288-295.
131 Il 3 maggio 1279 salpa da Manfredonia diretta ad Acri con un
carico di vettovaglie e con a bordo «peregrini quingenti» anche una nave
giovannita, denominata Bona Ventura. Cfr. RA, XLIV, nr. 308, p. 631.
132 RA, XXXV, nr. 267, 108-109; RA, XLV, nr. 56, p. 108.
133 Bulst-Thiele, Sacrae Domus Militiae Templi, p. 306.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | STORIA
privilegi134. Nel gennaio del 1295, infatti, Carlo II concesse
ai Templari il diritto di estrarre annualmente dalle masserie
di Puglia duemila salme di frumento, tremila di orzo e cinquecento di legumi135.
La frequentazione del porto di Manfredonia da parte dei
convogli templari è attestata ancora agli inizi del XIV secolo.
Nel luglio del 1303, ad esempio, frate Guglielmo di Barletta,
sopraintende «aput Manfridoniam» le operazioni di imbarco
per un carico (323 salme d’orzo, 375 circa salme di frumento
e 20 salme di fave) diretto «ad insulam Cipri»136.
Nell’ultimo cinquantennio di vita l’istituzione rossocrociata registra anche rilevanti successi in termini di espansione patrimoniale. Una tappa decisiva per l’affermazione del
Tempio in Capitanata è segnata sicuramente dalla concessione del priorato benedettino di San Pietro di Torremaggiore,
disposta dalla Sede Apostolica il 9 luglio del 1295137. Alla
«domus militie Templi» Bonifacio VIII riconosceva, oltre al
già citato monastero di Torremaggiore, i castelli di San Severo e di Sant’Andrea de Scarsia Rivalis, il casale già incluso
nella giurisdizione del medesimo priorato e tutti i diritti e le
pertinenze ad esso spettanti. Poco dopo, in virtù del riconoscimento della giurisdizione di tale patrimonio, i Templari,
rappresentati dal gran maestro Jacques de Mollay, prestarono
omaggio al sovrano angioino138. Circostanza che evidenzia
chiaramente la natura dei rapporti, di tipo feudale, intercorsi
tra la Corona di Napoli e gli Ordini religioso-militari139.
Ovviamante il controllo di una fondazione monastica dalla
articolata composizione patrimoniale accrebbe il prestigio
del Tempio, e di conseguenza, il potenziale economico.
Spesso i complessi monastici confluiti nel patrimonio degli Ordini militari languivano in uno stato di evidente abbandono, associato ad una amministrazione poco accorta e
inefficiente140; sì che il coinvolgimento degli Ordini, caldeggiato a volte dalle stesse comunità monastiche in difficoltà,
incontrò sia il favore delle autorità diocesane sia il consenso
134 Demurger, Tramonto e fine dei cavalieri templari, Roma 2006, p. 96.
135 Histoire de l’île de Chypre sous le règne des princes de la maison de
Lusignan, ed. M. L. De Mas Latrie, Paris 1882, II, I Partie - Documents,
pp. 91-92 (Torre Sant’Erasmo, presso Capua, 12 gennaio 1295).
136 Nicolini, Sul traffico navale barlettano dal marzo 1303, pp. 619-620.
137 Les Registres de Boniface VIII (1294-1303), ed. G. Digard, M.
Faucon, A. Thomas e R. Fawtier, Roma 1884-1939 (Bibliothèque des
Écoles françaises d’Athènes et de Rome, IIe série: Registres et lettres
des papes du XIIIe siècle, 14), Roma 1884-1939, 1, nr. 264, p. 97;
Documenti tratti dai Registri vaticani (da Bonifacio VIII a Clemente
V), ed. D. Vendola, Trani 1963 (Società di Storia Patria per la Puglia.
Documenti vaticani relativi alla Puglia, 2), nr. 2, pp. 4-5; T. Leccisotti, Il
“Monasterium Terrae Maioris”, Montecassino 1942, nr. 68, pp. 100-102.
138 Ibi, nr. 69,102-03; Guerrieri, I cavalieri templari cit., n. 3, pp. 91-92
(presenti errori nella datazione e nel contenuto).
139 Toomaspoeg, Le patrimoine des grands ordres militaires en Sicile,
1145-1492, «Mélanges del’École française de Rome, Moyen Âge»
113/1(2001), pp. 313-341.
140 A. D’Haenens, La crise des abbayes bénédictines au bas moyen
âge, «Le Moyen Âge», 65 (1959), pp. 75-95; G. Vitolo, Il monachesimo
benedettino nel Mezzogiorno angioino: tra crisi e nuove esperienze
religiose, in L’état angevin. Pouvoir, culture et société entre XIIIe e XIVe
siècle, Actes du colloque international (Rome-Naples, 7-11 novembre
1995), Roma 1998 (Collection de l’École française de Rome, 245), pp.
205-220; Houben, Die Abtei Venosa und das Mönchtum, pp. 94-101.
delle popolazioni locali 141. A San Pietro di Torremaggiore,
ad esempio, furono gli stessi monaci a richiedere già nel
1288 l’annessione al Tempio142.
Nel corso del XIII secolo, dunque, mentre si assistette alla
progressiva decadenza delle tradizionali comunità monastiche (benedettine e agostiniane), che in passato avevano dato
un considerevole contributo allo sviluppo economico delle
regioni meridionali, contestualmente, gli Ordini religiosomilitari vissero un’indubbia fase di sviluppo. La distribuzione dei loro insediamenti, in Capitanata come nel resto del
Mezzogiorno d’Italia, si fece via via sempre più capillare ed
incisiva.
La documentazione di età angioina, oltre a confermare tale
situazione, fornisce informazioni sempre più precise anche
su alcune delle attività economiche praticate dai Templari in
Capitanata, come altrove. Le fonti relative alla seconda metà
del XIII secolo consentono, ad esempio, di attestare una più
diffusa attività di pastorizia.
E infatti, il 20 febbraio del 1296 i cittadini di Barletta fecero appello a Carlo II d’Angiò contro gli abusi commessi da
Templari, Ospitalieri e Teutonici, che occupavano arbitrariamente le zone di pascolo a disposizione della collettività,
intimando eventuali multe o il sequestro delle mandrie143.
Nel corso dello stesso anno, invece, i Templari di Alberona subirono da parte di Abd al Aziz, capo dei Saraceni di
Lucera, la confisca di diversi capi di bestiame a causa di un
contenzioso relativo ai diritti di pascolo nel medesimo territorio di Alberona144. E ancora, nel luglio del 1297, Carlo II
intervenne a favore dei Templari, garantendo loro il diritto
di pascolo «sine affidatura aliqua in tenimento casalis Tore»,
nei pressi del casale di Alberona145.
Gli esempi richiamati sono certo indicativi di un sintomatico sviluppo dell’allevamento tra le attività economiche a
conduzione templare. Il progressivo incremento del settore,
e soprattutto la bovinicoltura che necessitava di ampi spazi,
impose presto l’ampliamento delle superfici adibite a pascolo; condizione, come si è visto, foriera di abusi e di frequenti
tensioni tra allevatori vicini.
141 C. Andenna, Da domus Dei a spelunca latronum. Fortuna e declino
di una canonica regolare del Mezzogiorno, in San Leonardo di Siponto.
Cella monastica, canonica, domus Theutonicorum. Atti del Convegno
internazionale (Manfredonia, 18-19 marzo 2005), a cura di H. Houben,
Galatina 2006 (Acta Theutonica, 3), pp. 73-90; Cartulaire général de
l’Ordre des Hospitaliers, 3, nr. 4386, 721-22, e nr. 4387, pp. 722-723).
142 Les registres de Nicolas IV (1288-1292), ed. E. Langlois, Roma
1887-1893 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, IIe
séries: Registres et lettres des papes de XIIIe siècle, 13), nr. 606, p. 120;
Documenti tratti dai Registri vaticani, 1, nr. 412, 328-29; Leccisotti, Il
“Monasterium Terrae Maioris”, nr. 64, 99; nr. 37, pp. 88-89 (l’edizione
contiene alcuni errori); Le cartulaire de S. Matteo di Sculgola en
Capitanate: Registro d’istrumenti di S. Maria del Gualdo (1177-1239),
ed. J. M. Martin, Bari 1987, nr. 280, pp. 489-493.
143 Le Pergamene di Barletta del R. Archivio di Napoli (1075-1309),
ed. R. Filangieri di Candida, Bari 1927 (Codice Diplomatico Barese, 10),
nr. 155, pp. 271-272; Decimae. Il sostegno economico dei sovrani alla
Chiesa, p. 52.
144 Codice diplomatico dei Saraceni di Lucera, ed. P. Egidi, Napoli
1917, nr. 211, p. 80.
145 BNN, Ms. XV, D 15, cc. 19r-20r; Guerrieri, I cavalieri Templari, nr.
5, pp. 94-95; Codice diplomatico dei Saraceni di Lucera, nr. 220c, p. 85.
19
STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
Nonostante le difficoltà incontrante, è da ritenere comunque che gli allevamenti templari allestiti nei pressi di Alberona, e finalizzati soprattutto alla produzione di carne, latte
e derivati, siano stati i più estesi di Capitanata146. Il ruolo
giocato dal Tempio in questo settore, e proprio ad Alberona, emerge infatti alquanto chiaramente in un atto di Roberto d’Angiò del marzo 1309, nel quale si dà notizia di una
quarantina di buoi e di vari bufali, provenienti dalle mandrie
sequestrate ai Templari a seguito del processo147.
Purtroppo, però, le informazioni sugli sviluppi dell’economia templare in ambito agro-pastorale si fanno via via più
puntuali proprio in coincidenza con l’allestimento dei primi
processi a carico dell’Ordine148, di poco precedenti la soppressione definitiva, decretata il 2 maggio del 1312.
E saranno proprio le fonti relative ai sequestri e alle confische dei beni appartenuti al Tempio - confluiti presso gli
Ospitalieri di San Giovanni -, come pure gli inventari di epoca successiva a svelare più nel dettaglio la reale entità di un
patrimonio che fu certo alquanto ricco149.
Relativamente alla Capitanata, informazioni preziose sulle proprietà del Tempio provengono, ad esempio, da alcuni
documenti tramandati in copia moderna e riguardanti il patrimonio degli Ospitalieri150. Due di essi, emanati da Roberto
d’Angiò nel gennaio 1313, fanno luce su alcune pertinenze
rossocrociate scarsamente documentate nelle fonti di epoca
precedente. Si tratta, nel primo caso, del casale di Serritella,
annesso alla precettoria templare di Alberona151; nel secondo
caso, invece, è menzionata la baronia di Torremaggiore e di
Sansevero «cum certis terris et locis aliis annexis eidem»;
proprietà che come le precedenti rientravano tra i beni «olim
militie sive ordinis domus Templi»152.
E infine - documento già citato nel corso della presente
indagine - un atto del 1324, relativo al dissequestro di beni
ospitalieri da parte della Curia Regia, conferma quanto fosse
significativa, proprio in Capitanata, la diffusione di complessi masseriali a gestione templare153.
Alla luce di quanto esposto, appare evidente come l’area
geografica in questione abbia rappresentato per l’Ordine rossocrociato uno dei principali centri di insediamento in Occi146 La ricchezza della domus templare di Lucera era evidente anche alla
locale autorità diocesana, ammonita nel giugno del 1304 da Benedetto XI
a causa delle molestie e degli abusi imposti ai frati «domus Militiae Templi
in eorum bonis et personis» (Documenti tratti dai Registri vaticani, 2, nr.
65, p. 83).
147 Guerrieri, I cavalieri Templari, Appendice, nr. 14, pp. 108-109;
Codice diplomatico dei Saraceni di Lucera, nr. 779, p. 387.
148 Guzzo, Templari in Sicilia, pp. 90-93.
149 Petracca, Giovanniti e Templari in Sicilia; Toomaspoeg, La fine del
Tempio in Sicilia (1305-1327), in Religiones militares. Contributi alla
storia degli Ordini religioso-militari nel Medioevo, a cura di A. Luttrell e
F. Tommasi, Città di Castello 2008 (Biblioteca di “Militia Sacra”, 2), pp.
155-70; e di Guzzo, Templari in Sicilia, pp. 89-97.
150 Infra, p. 9.
151 BNN, Ms. XV, D, 15, cc. 17v-18v (num. in basso a sin); Guerrieri, I
cavalieri Templari, nr. 22, pp. 118-119.
152 BNN, Ms. XV, D, 15, cc. 18v-19r (num. in basso a sin); Guerrieri, I
cavalieri Templari, nr. 23, pp. 119-120.
153 BNN, Ms. XV, D, 15, cc. 32r-34r (num. in basso a sin).
20
dente. È attestata, infatti, una capillare presenza templare sul
territorio urbano ed extraurbano, che, congiunta al diffuso
esercizio di attività produttive alquanto redditizie (agro-pastorali, economico-finanziarie e commerciali), non è escluso
abbia potuto apportare un valido contributo all’economica
della regione, sia in termini di aumento delle capacità produttive, sia in termini di incentivazione agli scambi. Sebbene la
documentazione esaminata non sia sufficiente ad avvalorare
appieno tale ipotesi e impedisca una visione esaustiva della
questione, i dati a nostra disposizione, tuttavia, concorrono a
confermare tra XII e XIV secolo la presenza attiva e propositiva del Tempio in Capitanata, terra fertile e di confine dalla
rilevante funzione di ponte tra Occidente e Oriente.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Il Modernismo in Italia dal 1979.
Storia e Storie attraverso le interviste
e le testimonianze dei suoi interpreti
LUCA BENVENGA
Cultore della materia in Sociologia Generale, Università del Salento.
In questo articolo emerge l’identità biografica dei Mods
nel contesto italiano, circostanziata e documentata attraverso una serie di informazioni storiche sul loro stile di vita,
sulla sfera comportamentale e ancor di più sulle valenze socioculturali da essi prodotte. Il lavoro propone un taglio di
lettura del sociale, il cui intento è quello di far chiarezza sul
ricettario delle aggregazioni subculturali per poterne comprendere al meglio le loro articolazioni. Si propone al lettore
una doppia chance di osservazione del fenomeno: infatti, se
da un lato è possibile cogliere dei significativi passaggi sulle
coordinate storiche che hanno vissuto i testimoni, dall’altro,
partendo proprio da un modello interpretativo, si intercettano, attraverso delle interiviste qualitative, le storie di vita e le
parole dei protagonisti della scena, e insieme si ripercorrono
fatti, date e avvenimenti, al fine di contribuire a ricostruire la
memoria Modernista. A corredo del testo viene riproposto un
percorso iconografico.
È
stato empiricamente osservato come le sottoculture giovanili abbiano vita breve, o se
ne ricordi solo l’immagine post-identitaria
una volta risucchiate dal ciclo capitalistico
della sterile riproduzione estetica.
Perciò, per rendere giustizia ad una cultura di strada è bene
studiarla nella sua fase innovativa ed egemonica, periodizzazione in cui un’aggregazione inter-soggettiva si afferma
come Storia perché antistoria, generando rotture, mobilitazioni, dissensi espliciti.
A partire dagli anni Cinquanta, dapprima in Gran Bretagna1 e di riflesso negli altri paesi dell’Occidente industria1 Per una maggiore contezza del Modernismo in terra inglese rimando
ad un mio articolo: “La sottocultura ‘cool’ d’oltremanica. Immagini e
stereotipi del Modernismo in Gran Bretagna”, nella collettanea I percorsi
dello sguardo. Rapporti tra dimensioni visive e altre discipline, (a cura di)
Ornella Castiglione, pp. 56-62, Scienze e Ricerche, ISSN 2283-5873, n 23
Febbraio 2016.
lizzato, ha trovato terreno fecondo una specifica cultura di
strada, che ha iniziato a coniugare ad una identità Lumpen
un feticismo dalla forte vena upper-class e un amore indiscusso per la musica Soul, Modern Jazz, Rytm and Blues,
Bluebeat, Oi! Il suono metallico delle Moto-Vespe e delle
Lambrette modificate con decine e decine di specchietti, i
capelli con il “taglio alla francese”, la cura della propria personalità, il Trhee Piece Suit, erano divenuti le icone di un
fenomeno giovanile innovativo che contagiò decine di centinaia di teenagers alla ricerca di un modello comportamentale
egemonico che si discostasse dalla tradizione dei loro padri
e, in parte, strettamente connesso ad una nuova tipologia di
consumi (tuttavia sarebbe riduttivo limitare il Modernismo
ad una identità generazionale consuntiva). Non fu da meno
l’uso delle polo Fred Perry, le Monkey jackets, i jeans Levi’s, utili richiami che inaugurarono lo street-costumer e, da
una certa prospettiva, garantirono la continuità nel tempo di
uno stile sempre più ibrido.
Pertanto, anche l’Italia, così come la Gran Bretagna, ha
conosciuto l’avvicendarsi di differenti correnti sottoculturali,
dal Ted degli anni Sessanta al Punk degli anni Ottanta, con
un intervallo Modernista abbastanza lungo. Approdato nel
nostro paese nel 1979, il Modernismo ha annoverato adepti su tutto il territorio (da Genova a Taranto, passando per
Milano, Vicenza, Rimini, Roma, etc.) e risulta ancora oggi
ben radicato, seppur con minore inflessione stradaiola ed una
maggiore presenza nei Club.
In questo articolo riporterò delle interviste (n 9) qualitative strutturate (composte da cinque domande e accomunate
– sommariamente – dalla domanda di congedo dai testimoni
Il presente lavoro verrebbe a costituire un ulteriore approfondimento
della sottocultura nella sua specificità italiana. Sarebbe inutile aggiungere
che ho contratto un debito con tutti coloro che hanno risposto alle mie
domande, e nelle cui risposte ho trovato un sapere che mi ha arricchito e mi
ha permesso di enucleare, spero dignitosamente, la nascita del fenomeno
di cui sopra rimando.
21
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
privilegiati, ovvero membri di gruppi musicali, disc jockey,
cultori di ieri e di oggi), oltre a dei contribuiti personali (n 5)
di alcuni protagonisti del Modernismo dagli anni Ottanta fino
ad oltre il Duemila, coprendo più decadi nella volontà di cogliere il dinamismo del ricambio generazionale. Il materiale
ivi presente è stato raccolto nell’arco di sei mesi tra il 2013
e il 2014 (è presente un’intervista ad uno skin cosentino, in
quanto l’interesse del sottoscritto è stato anche quello di osservare la continuità e l’interazione nel tempo delle culture
di strada).
Il valore dei contribuiti è da inscrivere esclusivamente
nell’ambito di una teoria generale delle sottoculture del XX
secolo, senza tuttavia ricoprire un carattere di completezza
o esaustività. Essi assurgono esclusivamente a vettori che
orientano verso una comprensione euristica dei fenomeni
giovanili, abbandonando semplificazioni e interpretazioni
pre-concettuali.
Nota metodologica: in alcune interviste si è intervenuti
nella forma e nella cifra stilistica per una migliore fluidità e
armonizzazione dei testi (preferendo fare ricorso al virgolettato per le parole in lingua o per i nomi dei gruppi musicali
solo di rado, questo per non appesantire la lettura, affinché la
stessa fosse gradevole alla vista e ritmica per l’orecchio). Si
è deciso di escludere un’analisi sociologica dei contributi per
due ragioni: in primis, credo che gli stessi costituiscano una
“introduzione alla sociologia - e specularmente alla storia del Modernismo in Italia” per via del preciso indirizzo dato
alle domande; in secundis, non di subordinata importanza,
questo avrebbe significato superare (ancora di più) gli spazi
editoriali entro cui muoversi. Il testo è arricchito con sezioni
iconografiche e corredato di una bibliografia consigliata in
lingua italiana, ed esclusivamente orientata sulla subcultura
oggetto di interesse.
Intervista Uomo Ragno Club di Milano
(a rispondere è Roberto “Scasso”, 2013)
D - A Milano la scena mod approda a Piazza Mercanti e i
sabati pomeriggio sono i negozi di dischi, come il New Kary
e Discorama, ad ospitare quel gruppetto di mods che iniziava a farsi largo tra rockers e paninari. Com’era la Milano
degli ’80 e ’90 alla vista dei giovani mod e come gli stessi
venivano rappresentati nell’immaginario popolare ?
É difficile risponderti perché sono entrato a far parte del
movimento Mod alla fine del 1989, per cui ho scavalcato il
decennio pionieristico (diciamo così) del movimento Mod in
Italia. Credo che venissero immaginati come il ragazzo con
la frangetta, l’abito anni ‘60 ed uno strano eskimo (il parka
per l’appunto).
D - Parlatemi di quando è nato l’Uomo Ragno Club (leggo
dal vostro sito internet che è nato nel centro di documentazione Golgonooza) e cosa vi ha spinti a dare un marchio al
fenomeno e alle serate mod milanesi?
22
Come i “New Untouchables” di Londra (prima ancora si
chiamavano solo “The Untouchables”) ci siamo voluti riunire sotto una “Mod Society” o mod club che dir si voglia,
per rimanere in frequente contatto tra di noi e per poterci
meglio organizzare, attraverso l’istituzione di un fondo cassa
comune, nell’eventuale affitto di discoteche o bar, per poter
avere serate ed eventi nella città meneghina (con un pubblico selezionato di appassionati), senza dover andare costantemente in altre città o all’estero, ma facendo venire da noi djs
e bands di altre nazioni e dare un punto di riferimento alla
scena Mod italiana, visto che da Milano i voli sono tra i più
economici ed è abbastanza facile contattare djs inglesi piuttosto che spagnoli o tedeschi. Ora possiediamo un sito dove
possiamo pubblicizzare meglio i nostri eventi e quelli che
si svolgono in tutta Europa, aggiornando costantemente gli
utenti sulle novità discografiche che si sviluppano in campo
internazionale (sempre sull’ambiente Mod).
D - Negli anni ’90 è stata fondata l’altra mod society, la
Blindy Alley (datene una breve descrizione), e le modzines
Action Now, La Tela ed ovviamente quella della stessa B.A. I
fogli informativi erano e sono una costante dei mods in giro
per l’Italia (aspetto questo che accomuna le culture giovanili dagli anni ’60 in poi), una sorta di canale di diffusione
ideologica e tematica. Parlatemi di queste modzines e del
bollettino che curavate, il cui scopo manifesto era quello
di offrire un vivace spaccato sul modernismo in Europa.
Com’era rappresentata la grafica e qual’era il suo valore
d’uso sociale? Per quanto tempo è stato prodotto?
La Fanzine Action Now e il bollettino informativo La Tela
le facevo io con la collaborazione di altri ragazzi della Mod
Society (ma che ora non sono più parte del movimento mod
milanese per vicissitudini personali), mentre la Blind Alley
era fatta da Enrico Lazzeri (in arte dj Henry Mod), che, rimasto più o meno solo, ha unito le sinergie con noi per dare
un’unità d’intenti alle recentissime feste mod che si svolgono a Milano.
Le fanzine o i bollettini informativi erano di vitale importanza fino alla metà degli anni ’90, quando internet era
ancora un “mostro sconosciuto” ai più, ed informavano la
scena sulle novità e sugli eventi da frequentare (tuttavia, con
l’avvento della rete è oramai superfluo informare con supporti cartacei la gente attraverso le newsletters, mentre per
le fanzine (o modzine) invece, si può dire che sono ancora
un ottimo strumento per “fissare nel tempo” interviste o recensioni di mod bands e di djs, che altrimenti difficilmente
si riuscirebbero a trovare in rete o sulle riviste specializzate
(diciamo “mainstream”).
D - Quale raduno in giro per l’Europa ricordate più volentieri? Quali le affinità o le differenze tra i raduni mod europei ed Italiani a livello di gruppi musicali, djs ed organizzazione. Apprendo, inoltre, che curate, in commistione con
i mod di Varese, il Ticino Mod Rally, come si svolge questo
raduno e quali sono le sue peculiarità?
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Tutti i raduni ai quali abbiamo
partecipato sono per noi pieni di
ricordi fantastici, ma possiamo
dirvi senza ombra di dubbio
che attualmente i migliori raduni Mod europei sono l’Euro
Ye Ye di Gijon (cittadina a nord
della Spagna, situata sull’oceano atlantico e facente parte del
Principato delle Asturie), Le
Beat bespokè di Londra, che si
tiene a Pasqua, e il Bright-On
di Brighton, a fine agosto, per
l’annuale “bank holiday” inglese; mentre per l’Italia il migliore è l’All Saints Mod Holidays,
nell’altopiano del Lavarone
(Trento).
Diciamo che in Spagna ed Inghilterra si ha il top della qualità in ambito estetico/musicale,
perché vi è un rapporto più professionale nell’organizzazione
degli eventi, mentre il nostro
(haimè oramai ex) The Italian
Job di Rimini è arrivato con quest’anno all’ultima organizzazione dopo 30 anni, ed è stato il raduno più vecchio in
Europa, e quello che per almeno un 15ennio ha rappresentato
il meglio dello stile e della musica Mod in Italia. Discorso a
parte merita il ticino Mod Rally, che ha avuto purtroppo un
brevissimo periodo di vita (solo 3 anni, nei quali ha vissuto
l’apice sia come presenza di mods sia nell’organizzazione).
Con il dissolversi della mod society di Varese il progetto è
stato abbandonato (non potendoci dare più il loro prezioso
supporto locale).
D - Il clubbin, diffuso all’interno della sottocultura mod,
crediate possa in qualche modo ostacolarne la conoscenza
del modernismo per I nuovi adepti? Com’è diffuso questo
fenomeno in Italia e il perché di tale esigenza?
Assolutamente no, crediamo che il clubbin sia di fondamentale importanza, nel diciamo “reclutare” nuove leve
all’interno delle realtà locali, sia che siano realtà cittadine
o nazionali. Bisogna altresì distinguere i soggetti o gli individui che compongono o che sfruttano i Mod clubs: c’è chi
ama usare le proprie intelligenze, non accontentandosi della
propria realtà, ama viaggiare per accrescere la propria sete di
conoscenza in campo musicale ed estetico, e c’è chi – ahimè
– si accontenta dei soliti quattro djs in ambito locale o nazionale, contribuendo a rendere statica e non dinmica la scena
Mod nella quale partecipa.
Mantova, Cremona, oltre che
Varese?
Purtoppo, dopo una breve
ma intensa parentesi avuta con
la vicina Pavia, in cui la scena
Mod sembrava essere forte e
rigogliosa, come hanno testimoniato i molti mod clubs o eventi
che si sono alternati, si è tornati
ad avere come unico perno per
il modernismo lombardo la città
di Milano, luogo in cui confluiscono anche gli altri mods lombardi. Non chiedetemi il perché
di tali sinergie ma purtroppo è
così.
D - Un conclusione con una
succinta analisi sulla mutazione
della scena musicale mod in Italia dal 1979 ad oggi.
Dagli albori del 1979, anni
in cui la scena era spontanea e
potente, vi era una massiccia
partecipazione di ragazzi e ragazze – vuoi in seguito alla
proiezione nelle sale cinematografiche del film degli Who
Quadrophenia, vuoi dal fermento revivalistico in campo musicale dato dalla mod band di Paul Weller, i The Jam (basti
pensare che la sola Milano contava più o meno un centinaio
di Mods e di una ottantina di scooters) –. Analizzandola col
senno di poi [la scena, N.d.a.], si evince che fosse fortemente
immatura, superficiale, nell’interpretare il complesso fenomeno Modernista inglese originario dei primi anni ’60. Al
contrario oggi vi è una ricercatezza sia nei suoni che nei particolari dell’abbigliamento Mod, che prima non si potevano
avere per una serie di aspetti: per le scarse notizie che arrivavano d’oltreoceano e per le difficoltà che gli stessi britannici avevano nel reperire informazioni sulla loro scena. Dopo
diverse publicazioni editoriali sul Modernismo (da parte di
autorevoli esponenti della cultura Mod britannica e la relativa traduzione da parte di case editrici underground italiane),
oggi si può sostenere che il movimento mod è si rarefatto, o
molto più ridimensionato nei numeri; ma nei contenuti (ovvero negli individui che lo compongono) è molto più complesso e completo. Oggi si può sostenere che si sta capendo
il reale spirito di ribellione che scaturì dai mods che diedero
vita a questo fantastico movimento, che è dato non dal fare
cortei in piazza per manifestare la propria alterità, ma dal
volersi differenziare dalla massa omogenea attraverso modi
di pensiero, attraverso lo stile, e la quotidianità del proprio
vissuto.
D - Il centro nevralgico del modernismo in Lombardia è
stato ed è solo ancora oggi Milano, o possiamo annotare dei
gruppi musicali e locali in altre realtà quali Pavia, Brescia,
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
Intervista Tony Face
(Antonio Baciocchi, 2013)
D - Il 1979 è l’anno che segnò lo sbarco della cultura
Modernist in Italia a suon di Soul, R&B, Modern Jazz e una
cura maniacale del look. Il tutto partì nel periodo post-bellico, considerati i padri spirituali del Modern Jazz d’oltre
oceano che contaminò l’underground musicale londinese.
Dalle sue più lontane origini (anche etimologiche se vogliamo), ma non solo, risulta la musica come agente archetipale di quell’aggregazione giovanile che, a partire da1 1958,
conquisterà i gradini più alti nella storia dei fenoneni culturali, e per questo oggetto di studi (sociologici, antropologici, storici, massmediatici). Parlami del Modernismo, delle
sue origini e della rivoluzione culturale che ha apportato nel
corso dei decenni (con particolare riferimento ai costumi e
alla musica).
Il modernismo ha sempre avuto un connotato rivoluzionario e futurista nella propria anima. É sempre stato un grimaldello per scardinare le regole imposte dall’esterno, usato per
non scontrarsi direttamente con la “società” ma per vivere
alla propria maniera, rispondendo a proprie regole etiche, filosofiche e stilistiche, create dal movimento stesso che le ha
costantemente evolute, modificate a suo piacimento in perenne fuga dall’omologazione.
É storicamente abituale per i mods “fuggire” verso un altro
stile nel momento in cui veniva massificato. Quando a metà
degli anni ’6o migliaia di mods affollavano le spiagge di
Brighton per scontrarsi con i rockers, con Who e Small Faces
in sottofondo, gli original mods si erano ritirati di nuovo nei
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loro clubs ad ascoltare jazz, modern jazz e rhythm and blues.
Il modernismo ha cambiato radicalmente il gusto dei giovani
negli anni ’60: la cosiddetta Swinging London è figlia del
movimento mod. Oppure avvicinandoci negli anni è evidente quanto bands come Oasis o Blur debbano alla cultura mod.
D - Il mod, un fenomeno senza dubbio a spinta individuale
più che collettiva, arrivò nel nostro Paese circa un ventennio dopo, nel 1979, in concomitanza con il revival inglese
degli anni ’70, riempiendo piazze e locali. Quali erano le
peculiarità in termini di look e generi musicali nelle due scene? Quali erano le realtà dove si radicò maggiormente il
fenomeno e quali i “night” che più spingevano questa forma
di comunicazione giovanile alternativa? E i gruppi musicali
noti e meno noti?
Inizialmente la realtà italiana fu palesemente copiata da
quella inglese, il riferimento culturale era quello, per quanto curiosamente i mods originali degli anni ’60 copiavano
espressamente lo stile italiano, a partire dall’uso di Vespa e
Lambretta per passare al look ripreso dal cinema (Mastroianni de “La dolce vita” era un ideale archetipo mod). Successivamente si è creato uno stile italiano, più raffinato, riconoscibile, sono stati eliminati i riferimenti inglesi (vedi l’uso di
simboli come l’Union Jack), è stata recuperata la musica beat
italiana, patrimonio perduto e deriso alla fine degli anni ’70,
la scena italiana si è sempre più personalizzata. Le piazze
principali erano quelle di Torino, Milano, Roma, Rimini ma
esistevano scene frequentate e vive in tantissime altre parti,
in cui pian piano hanno iniziato a nascere serate dedicate ai
mods con dj e concerti che si affiancavano ai raduni pasquali
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
mods, diventati poi skinheads e
a loro volta hanno fatto da base
alla cultura punk, utilizzata ad
esempio dai Jam per uscire con
la loro estetica e musica “mod”.
Le differenze all’inizio erano
molto marcate, ora tutto è più
diluito, fuso e contaminato, ma
rimangono ugualmente differenze culturali, estetiche ed etiche bene definite, ovviamente.
e settembrini. I gruppi principali
erano gli Statuto (tuttora in attività), Four By Art, Undergound
Arrows, Coys.
D - Con la fanzine “Faces”
hai aperto la strada ad una
“letteratura di movimento” votata alla preservazione della
memoria storica che, a differenza di quella skinhead e punk, è
rimasta più di nicchia e meno
“chiacchierata”. Con “Mod
Generations” [libro edito dalla
Nda press nel 2009, N.d.a.] hai
cercato di definirne i contorni di
una realtà, a mio avviso, piena
di spunti analitici. L’ importanza di un archivio (sia esso telematico o cartaceo), nasce quindi dalla consapevolezza che i fenomeni sottoculturali giovanili
siano stati (e lo sono tutt’ora)
un terreno fecondo per far nascere nuove piante di saperi e di
immaginazione? E la cultura modernist cos’ha disseminato
lungo questo percorso nei paesi occidentali?
Io parlo sempre di Cultura Mod, perché dietro agli aspetti
estetici più “cinematografici” (le Vespe con gli specchietti,
i ragazzi con il parka, le ragazza in minigonna etc.) c’è in
realtà un universo culturale estremamente ampio, dalla musica (dal jazz allo ska, dal blues al mod sound, dal beat al
soul), al cinema (Truffaut, il Free Cinema inglese), la letteratura (Salinger, Orwell, Alan Sillitoe), l’estetica, l’arte (le
varie espressioni della Pop Art che spesso si sono riflesse
sulle copertine dei dischi o in aspetti scenici delle bands).
Con “Faces” cercai di introdurre questi aspetti e credo di aver
contribuito ad allargare la visione del mod, ai tempi spesso
ristretta a Who, Jam, “Quadrophenia”.
In “Mod generations” ho voluto porre l’accento quasi
esclusivamente sulla musica amata dai mods, ma inevitabilmente il sottofondo e il circostante si sono fatti comunque
strada tra le righe. La cultura mod in Inghilterra è parte integrante della società, molto meno in Italia, anche se considerando le migliaia di mods che sono passati attraverso questa
cultura, dal 1979 ad oggi, qualcosa ha seminato pure qui.
D - Mod, Skinhead e Punk. Contaminazioni musicali e stilistiche oltre che, ovviamente, differenze esistenziali tra queste tre sottoculture apparentemente distinte.
Sono comunque correlate in stretta maniera, essendo
tutte e tre espressione di disagio culturale ed esistenziale,
nate dalla volontà di creare qualcosa di nuovo e di proprio
al 100%, lontano dalle mode. Dai mods sono nati gli hard
D - Un personalissimo spunto
di riflessione sulla scena mod di
oggi e la sua evoluzione storica in termini di proliferazione e
metamorfosi. É
É interessante, secondo me,
annotare come il mod e le sottoculture giovanili, in una sorta di
ossimoro culturale, siano riuscite nel miracolo di invecchiare.
Ci sono mods, punk, skin, etc.,
ultra cinquantenni che vivono
una vita sociale “normale”, lavorativa, famigliare, senza aver
rinunciato minimamente ad una appartenenza culturale nata
con contorni prettamente adolescenziali.
Gente rimasta da decenni fedele alla propria cultura, cresciuti e maturati con essa, e che a sua volta ha fatto crescere
e maturare il modo di intendere la cultura stessa, evolvendola
e arricchendola, a fianco di nuove leve spesso più giovani dei
propri figli. Un aspetto inedito e molto interessante.
Intervista Made
Gruppo musicale Spezia (2013)
D - La sottocultura mod si sviluppa in terra ligure già dai
primissimi ’80, ed il suo radicamento conicide con l’ascesa
del fenomeno tra le componenti giovanili. Ricordate serate, night, gruppi e modzines che hanno fatto da antesignani
del modernismo tra Genova, Savona e ovviamente la Spezia
(vostra terra d’origine), con particolare attenzione al vostro
periodo di attività.
La frequentazione della scena mod da parte dei singoli
membri dei Made inizia negli anni ’90. Per quanto avvenuto prima, potremmo fornire solo informazioni parziali o
di seconda mano. Di sicuro, nel periodo di nostra maggiore
attività all’interno della scena (coincidente sostanzialmente
con la vita della band) non possiamo dimenticare la fraterna
collaborazione con i mods genovesi, ai tempi rappresentati
dalla “Maximum Speed Mod Society”. Sono loro ad averci
stimolato a partecipare e organizzare innumerevoli serate ed
eventi sul territorio ligure. Fra le altre cose abbiamo colla25
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
borato all’organizzazione di alcune edizioni del “Maximum
Weekend”, appuntamento di livello nazionale che ancora si
tiene annualmente in Liguria. Firmata Maximum Speed era
anche la curatissima fanzine “Coolness”, a cui abbiamo avuto il piacere di collaborare per qualche numero. Un vero e
proprio punto di riferimento per i mods liguri era, e rimane,
il negozio genovese “Modern Groove”, dell’intramontabile
Piergiorgio Baiardo. Addirittura la primissima produzione
discografica dei Made, il «7” split», con i torinesi Wigan
Casino, uscì nel 1999 proprio grazie alla “Modern Groove
Records”. Ci furono poi collaborazioni con i mods di Asti
(curatori della fanzine “Ultranol”) e con quelli di Savona.
Alla Spezia abbiamo organizzato per anni, come “Swingin’
Spezia”, diverse serate in alcuni club locali (Skaletta e Shake), che molti mods di varie parti d’Italia ancora ricordano
con piacere. Da qualche anno a questa parte il timone degli
eventi mod, in città e dintorni, è passato ai giovani e attivissimi “Mods La Spezia”, i quali sono già riusciti nel mirabile
intento di creare un appuntamento annuale di livello nazionale, l’imperdibile “Mods at the seaside”, che si svolge in
primavera nella splendida cornice di Portovenere. Da ricordare, inoltre, i vari negozi di abbigliamento “mod oriented”
succedutisi negli anni in città, quali “Britannia”, “Casuals”
e “Brand New”, nonché le altre band spezzine, anch’esse non più in attività, in qualche modo attinenti alla scena
(“VCB160”, “Beauty and the Beats” e “Smartbeats”).
D - Quando sono nati i Made, chi sono i suoi componenti
e il loro genere musicale? Com’è cambiata la scena mod in
Italia da quando avete iniziato a frequentare i palcoscenici
tra locali e raduni mod?
26
I Made hanno iniziato a provare negli ultimi mesi del 1996
ed hanno esordito sul palco spezzino della Skaletta Rock
Club il 29 marzo 1997. I membri, Diego Ballani (voce) - Michele Viglietti (chitarra e voce)- Marco Tosetti (chitarra, organo e voce)- Emiliano Pellegrino (basso)- Andrea Chiavacci (batteria), non sono mai cambiati dall’esordio allo scioglimento, avvenuto a fine 2012. Per quanto riguarda il nostro
genere musicale abbiamo sempre cercato, da bravi mods,
l’originalità attraverso la “tradizione”. Abbiamo tentato di
prendere il meglio dai vari generi musicali (rock, beat, powerpop, garage, soul, britpop, etc.) “che piacciono ai mods”
– e, ovviamente, ai singoli Made – per miscelarlo, nel tentativo di creare qualcosa di personale e contemporaneo. In
15 anni di Made abbiamo assistito a diversi mutamenti nella
scena mod. Un succedersi di persone, band ed “organizzazioni” con i loro trend, scazzi, ricambi, scissioni, riappacificazioni… Un magmatico ribollire che comunque ha sempre
portato ad un evoluzione e soprattutto al mantenimento della
vitalità del modernismo italiano.
D - Nelle sue molteplici rivisitazioni, “early ’60”, “late
’60” e “mod revival”, in che modo è mutato il look e il genere dei gruppi musicali che hanno fatto del modernismo uno
stile di vita?
Descrivere la linea del tempo e dello stile che porta dai
modernists lodinesi dei tardi anni ‘50 a certe attinenti produzioni dell’indie odierno, mi sembra impresa improba e che
non spetta certo ai Made. Di sicuro, la piccola e “provinciale” scena mod spezzina ha forse tendenzialmente privilegiato
l’immediatezza dei suoni e dello stile dei revival di fine ’70
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
e metà ’90, senza mai trascurare, ovviamente, le altre innumerevoli suggestioni che la galassia mod sa offrire. Questo
discorso, a ben vedere, può essere ripetuto integralmente anche per definire suono e attitudine dei Made stessi.
D - Mod e Skinhead pare che dalle vostre parti, soprattutto nella realtà genovese, abbiano condiviso dei modelli
sociali, unendo due sottoculture prodotto di una reciproco
susseguirsi/contaminazione, nonostante quella skinhead sia
un po’ più Lumpen. Cosa secondo voi ha portato la cultura
mod alla sua progressiva evoluzione, ovvero mod-hard modskinhead?
Beh, dal modernismo degli anni ’60 non è derivato solo lo
stile skinhead, ma anche il coloratissimo e lisergico universo freakbeat o l’immortale scena northern soul… con tutte
le intersezioni e ulteriori evoluzioni possibili, seguite a loro
volta da, e tra, questi ambiti. È inevitabile che, in base all’attitudine personale e agli input del momento, ci si focalizzi
su determinati aspetti di una sottocultura, tanto da renderli
alla fine elementi caratterizzanti di una del tutto nuova, salvo
poi magari, giungere, in epoche successive, a riconsiderare
nuovamente le radici comuni.
D - Gli ’80 furono anche gli anni dello stile punk (nato nel
1976 nel quartiere londinese di Chelsea, nella zona di King’s
Road), una delle più “agguerrite” sottoculture giovanili, che
nel suo aspetto ha determinato, come dire, una sperimentazione stilistica (mutuando, ad esempio, dallo stile mod i
capelli corti e i mocassini, degli hard-mod i “boots” etc...).
In Italia, quando in Gran Bretagna esplose questa nuova sottocultura, eravamo alle prese con il modernismo allo stato
embrionale, ma che in qualche modo, oltremanica, lasciava già presagire una intersezione con le altre sottoculture
workin’ class, contribuendo allo sviluppo di una letteratura
interpretativa. Come si pone(va) secondo voi lo stile mod
rispetto a quello punk nel nostro Paese?
Per ciò che è accaduto tra mods e punk negli anni ’80 non
siamo certo le persone più indicate a rispondere, non avendone avuto esperienza diretta. Di certo è probabile che, aldilà
delle epoche e delle convinzioni stilistiche, in questa analisi
non si possa prescindere dalla dicotomia tra grandi centri metropolitani e piccole realtà come la nostra. In questo secondo
caso, anche per mere questioni “di numeri”, la convivenza,
il rispetto se non addirittura la collaborazione tra gli adepti
delle varie sottoculture è inevitabile. La storia dei Made che
tanto deve a locali come Skaletta e Shake, creati, gestiti e
frequentati da figure importanti della scena Punk rock nazionale, e non solo, pensiamo che sia lì a dimostrarlo…
D - Per finire, ritengo sia d’obbligo un vostro parere sul
modernismo oggi e sulla sua capacità di adattarsi ai tempi,
mantenendo stile ed originalità, aspetti peculiarizzanti sin
dalla sua nascita.
Ci pare che la caratteristica del modernismo nel corso dei
decenni sia stata quella di rinnovarsi ed attualizzarsi, grazie
ad un continuo gioco di rimandi tra la vera e propria scena
“underground” e le sue emanazioni che periodicamente riescono a raggiungere una visibilità “mainstream”. Nel 2013
i primi esempi che si possono fare sono l’icona sportiva
Bradley Wiggins o, in campo musicale, il talento cristallino
di Miles Kane, che sicuramente contribuiranno alla perpetuazione dello stile.
Intervista a Gianluca Perito
(Skin di Cosenza, 2013) Mods e Skin in terra calabra negli
anni ’80 e ’90
D - Boots, camicia Brutus, bomber, bretelle da gangsta
delle Indie Occidentali e jeans sopra la caviglia. Nei “late
’60” l’abbigliamento hard-mod sintetizzava le carateristiche Lumpen, in netta opposizione con l’eleganza, la cura e
la raffinatezza dei “Trendy Mod” degli “Early ’60”.
Sintetizza i mutamenti street social dei primi hard-mod a
Cosenza, e la loro molecolarizzazione nelle piazze e nei locali.
Malgrado a Cosenza gli Skinheads riflettessero una forte
componente proveniente dal Punk e dall’Hardcore, alcuni di
noi, influenzati da amicizie Mods e dalla passione per certi
stili musicali più sixties, accentuammo nel tempo gusti e ed
una tendenza verso la cultura di cui ci sentivamo cronologicamente figli. Parte degli “Skins Bruzi” si avvicinavano
alle origini del loro movimento trovando nella sottocultura
Mod tantissimi punti in comune, questi fattori ebbero come
risultato l’accostamento graduale tra la matrice stradaiola ed
un certo stile più ricercato, generando quello che molti definirebbero Hard Mods, ma che per uno Skinhead non è altro
che la necessità di ritornare al suo stile tradizionale. I giovani
coinvolti in quegli anni, tutt’altro che conservatori e tradizionalisti in senso stretto, si avvicinavano alle loro origini e di
conseguenza ai Mods. Camicie button down (Brutus, Jaytex,
Sherman) prendevano il posto delle Fred Perry, i jeans sdruciti venivano sostituiti da stapress, i boots alti e con steel cap
con Brogues e Martens più bassi, e dal bomber si passava
pian piano a preferire Harrigton Jackets e crombie coats. Non
era un desiderio di somigliare ai mods, ovviamente, ma nasceva in città un “dandy da strada”, e questa scelta stilistica
accomunava e univa chi in realtà aveva uno stile di vita e
degli ideali comuni da tempo, non eravamo altro che i fratelli
più rudi dei Mods.
D - Mod e skin. Analisi delle corrispondenze musicali, stilistiche e nelle “forme di pensiero” tra due sottoculture giovanili consequenziali e sottoprodotto dello stesso ambiente sociale. Declina la diffusione delle zine, dei raduni e la
presenza nei quartieri che vedeva coinvolti gli esponenti di
entrambe le sottoculture. Ti è possibile anche ragguagliare,
qualora così fosse, la presenza di mods e skins nelle mobili27
SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
tazioni popolari cosentine?
I Mods a Cosenza nascevano
verso la fine dei ’70 e vivevano
le stesse realtà dei primi Punks
cittadini con cui
li legava un rapporto di amicizia: è da questo fermento sotterraneo che altre sottoculture nasceranno in città. L’integrazione
nelle strade e nei luoghi di ritrovo era totale tra Skins e Mods,
si trattava prevalentemente di
pubs e locali (storicamente il
“Bar Mazzini”, l’“Ipanema”, il
“Morrisons”, oggi il “Pogues”),
angoli di strada e piazze (Palazzo degli Uffici, piazza Kennedy,
il “Portone” di via Alimena, la
“villetta di Commenda”), il negozio di abbigliamento Mod e
Skinhead “Brentford Road” e
l’immancabile stadio San Vito.
Come gli Skins Cosentini si avvicinavano allo stile estetico ed
alle sonorità tanto care ai Mods, anche questi ultimi in città
si interessavano a sonorità più Punk. I Lager, primo gruppo Mod in Calabria con il loro sound Punkeggiante erano
apprezzatissimi da noi, e questo non era per loro una contaminazione errata ma un’apertura verso un’altra sottocultura
che degli amici di strada avevano abbracciato. Nessuno di
noi disdegnava gruppi Mods come loro non denigravano i
nostri gusti musicali. Alcuni Mods a Cosenza vivevano spesso in simbiosi con Skins, l’amore per la squadra di calcio
locale era un collante come indubbiamente l’interesse per
certe bands inglesi nate tra il ’77 ed il ’79 (Buzzcocks, Boys,
999, Jam, Lambrettas, Secret Affair, etc.). Convivevamo e
provenivamo entrambi da quartieri, ed in generale una città, dove il disagio sociale era forte, condividevamo le stesse
lotte di strada, ed allo stadio ci accomunava il portare avanti
una connotazione di sinistra lontana dalle sedi di partito ma
vicina alle persone. Uniti da un forte spirito antifascista ed
antirazzista, chi più chi meno, i Mods a Cosenza affrontavano tematiche sociali che la strada suggeriva, supportando
spesso spazi autogestiti quale il “Gramna”. Si procedeva verso la stessa direzione.
Nelle mobilitazioni cittadine ci siamo sempre mossi insieme, spinti da una cultura storicamente di sinistra, quale era
quella di Cosenza, portata orgogliosamente all’estremo da
pensieri libertari. Indiscutibilmente la curva ha dato molto
nell’unione di giovani di estrazione e sottoculture differenti,
nel caso dei Mods con gli Skins Cosentini in maniera indelebile.
Le collaborazioni si estendevano alla realizzazione di fanzines. “Psychotic Reaction” era una fanzine, realizzata da
Ciccio Ficco (storico Mod bruzio nonché cantante/chitarrista
28
dei Lager), che si interessava di
Bands Beat, Garage, Surf e Bmovies anni ’60. Io ne realizzavo i disegni e curavo la grafica sotto la sua supervisione.
Lo stesso Ficco crea nei primi
del 2000 una cover band degli
Jam denominata “The Pot”, un
trio con all’interno altri membri
dei Lager, il gruppo era in città
prevalentemente supportato da
Skinheads ed Hard Mods.
D - Anni ’80. Come si è propagato il “germe sottoculturale” in terra calabra? Quali gli
aspetti sociali che hanno dato
linfa agli ambienti mod e skin,
trovando così terreno fertile in
una città, come quella di Cosenza, collocata nel profondo sud e
lontana dai fasti nevralgici e
dalle arterie pulsanti delle metropoli italiane?
Cosenza negli ’80 culturalmente è viva, per essere una piccola città di provincia del profondo sud è piena di problemi
e contraddizioni, certo, ma come spesso succede, i fermenti
più inaspettati possono spesso nascere nella disperazione e
nella necessità di dover creare un’alternativa alla piattezza di
una città che offre poco ai giovani dei quartieri. Certe sottoculture nascono come ancora di salvezza per tanti kids che
altrimenti sarebbero destinati alla noia e alla piattezza, o indirizzati verso qualcosa di peggio. I giovani cosentini hanno
un forte bisogno di ribellione, sono ricettivi, e viaggiando,
partendo per concerti, seguendo la propria squadra di calcio, ma anche comprando dischi, cercano di saziare la fame
di conoscenza che una piccola città non offre. Fortemente
orgogliosi comunque di esser Bruzi lasciano che certi stili li
influenzino: l’essere Mod o Hard Mod è una rivalsa sociale
per i ragazzi di strada cosentini, ancor più cristallizzata per
chi nasce e cresce ai margini. Iniziavano a crearsi rapporti
con altre città, nascono “gemellaggi” e ci si supporta. Si parte spesso insieme per concerti, indistintamente che siano di
Mod bands o no, e comunque lo Ska accomuna i due stili. Si
parte insieme per raduni (Rimini) e con piacere notiamo che i
Mods su, al centro ed al nord, la pensano come i nostri amici,
loro non sopportano i Boneheads ma gli Skinheads: quelli
che si presentano con altri Mods alle serate Beat e Northern
Soul in Loafers, non in steel cap boots, sono loro amici. Per
chi nasce a Cosenza fare almeno 500 km per le proprie passioni non è un problema, l’italia è “lunga” e noi ci abbiamo
ormai fatto il callo. Le passioni non si calcolano in chilometri, ma è sempre stato un nostro motivo di orgoglio. Il fatto
poi di vivere una città a misura d’uomo ci ha dato la possibilità di rapportarci fra quartieri, e le sottoculture in questa
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
piccola città hanno unito qualcosa che una metropoli avrebbe
diviso in fazioni. Il desiderio invece di poter avere raduni e
concerti di un certo livello, spingeva a lavorare insieme e
creare i rapporti con le persone in giro anche per l’Europa,
l’entusiasmo era uguale che fosse un gruppo Beat o Oi! da
dover organizzare nella città o da andare a vedere a 10 ore
di viaggio. Davamo la sensazione forse di essere la periferia
delle espressioni sottoculturali, eravamo orgogliosamente i
reietti dei reietti.
D - Com’è cambiata nel corso di tre decenni il rapporto in
Italia tra le due sottoculture? E a Cosenza?
In italia si nota un’accentuazione della coesione tra Mods
e Skinheads dovuta probabilmente al fatto che tanti Skins
stanno rivalutando le loro origini e quindi i punti di contatto
con i loro predecessori. I raduni Mods, nel nostro paese, erano scarsamente frequentati da Skins, oggi non è più così. I
Mods frequentano raduni Scooter boys, alcuni stili musicali
ancora uniscono ed il disagio sociale dei giovani non è un
problema risolto.
Nella nostra città oggi lo spirito Mod è anomalo, non per
niente è uno skinhead a descriverti la situazione, proprio
perché sono alcuni Skins a mantener vive certe caratteristiche care ai nostri “padri”. Le prime serate Northern Soul in
città furono organizzate da noi Skins, ed i Mods, da parte
loro, supportavano lo Skinhead Reggae. Ad oggi, siamo noi
Skinheads che proponiamo serate con Chosen Few Music
Selection, stili quale il Soul ’60, il Northern Soul, lo Ska,
il Beat, il Garage, il Mod revival, il Rhythm ‘n’ Blues o il
Surf. A volte le persone pensano che alcuni di noi siano dei
Mods , non è un’offesa, ma aldilà dell’orgoglio per ciò che si
è, preferirei che Cosenza, una delle prime città del sud italia
a veder nascere questa sottocultura, possa rivedere sulle sue
strade i ragazzi in parka su Lambrette iperaccessoriate.
D - Esponi una storia che ha visto coinvolti i due gruppi
sottoculturali, sia essa storia di piazza, di stadio, concerti
(datata o più recente).
Negli anni ’90 un caro amico Mod era l’unico rappresentante rimasto di questa sottocultura e stava sempre con noi
Skinheads. Oscar, cosi si chiama, era un compagno di strada,
alle manifestazioni, la sera ai locali e naturalmente allo stadio e nelle trasferte. Proprio in queste ultime occasioni citate,
seguendo il Cosenza 1914, ci trovavamo a partire per lunghe
trasferte al nord e lo “caricavamo” a Roma il periodo in cui
stava lì. Era solito venire in trasferta con lo stile che contraddistingue i Mods, non rinunciava allo stile mantenendo la
mentalità che ci accomunava. Quando la prima volta si presentò sul binario della stazione Tiburtina in Three piece Suit
lo apostrofammo con un: “Oscar! Noi pensavamo di andare
a vedere la partita non ad un matrimonio!”. A noi comunque
piaceva così, in Smart e taglio “alla Mastroianni”, tra fumogeni e stendardi.
Intervista agli ACT di Taranto
(a rispondere sono Stefano Delacroix e Fabrizio Carrieri
detto “Paolino”, 2013)
D - Negli anni ’80 il panorama musicale italiano legato
alla sottocultura mod, annoverava tra i suoi maggiori interpreti i Blind Alley, gli Statuto, i Coys, i Lager, i Beat Machine e gli ACT, gruppo musicale tarantino cui spetta la palma
d’avangurdia del modernismo pugliese. Ecco, rispolverate
alcune note storiche su come veniva percepito il fenomeno
nella capitale europea dell’acciaieria (e com’era distribuito
in Puglia).
(Stefano)
Io ricordo soltanto che aprivamo gli occhi su un mondo
distopico. Lo trovavamo inaccettabile. Tutta quella violenza… E poi c’erano quei fumi sinistri sul vicino orizzonte.
Noi avevamo solo bisogno di restituire alle nostre vite ciò
che alla vita è necessario, il sogno, l’ulteriorità, ed avremmo indossato la tuta di batman pur di riuscirci. Con Peppe e
Fabio suonavamo già da un anno quando comparve Pallino.
Ricordo che eravamo lì ad ammirare il suo abbigliamento, il
parka, il tre bottoni... e che portasse un vinile dei Jam. Era
un’autentica singolarità. Dovevano esserci un altro paio di
mods nella vicina Bari; li conobbi quando montarono a bordo del treno che ci portava a Rimini per il raduno. Uno di
loro era ben attrezzato quanto a wisky ed altri ammennicoli,
perciò non ricordo bene il resto.
(Fabrizio Carrieri)
La Taranto anni ’80 era una città di provincia dove le problematiche industriali venivano taciute dai padroni-politici.
La città viveva un fermento musicale undergraund notevole… I giovani del luogo si stavano scrollando di dosso l’eredità frikkettona dei ’70 e si muovevano verso ritmi più cinici
e veloci, punk e new wave su tutti. Ma mods pochi. Anzi nessuno. Solo io contro la folla ignorante. I’m One, a tutti gli effetti! Nel 1980 il modernismo non si chiamava neanche così.
In realtà non esisteva proprio. C’era ’sto film, Quadrophenia,
che ci sorprese come un cazzotto nei denti. Avevo solo 14
anni quando ne sentii parlare, allora io e un mio amico andammo ad assistere alla proiezione in un cinema locale. Era
il periodo della musica “alternativa” e anche noi ascoltavamo
il punk e la new wave. Quel film dovette colpirci particolarmente, se poi tornammo a rivederlo ogni giorno e per un’intera settimana. Entravamo al primo spettacolo ed uscivamo
al termine dell’ultimo. Ti lascio immaginare di quale potenza
fu l’imprint che ne ricevetti se sono ancora qui a parlarne,
oggi, dopo 33 anni!
D - Nel corso della sua proliferazione, com’è cambiato il
giovane mod nell’immaginario collettivo in una terra conservatrice e moralista come lo era il sud Italia, ancorata
ad un modello valoriale resistente al cambiamento? Quali
erano i richiami tarantini allo stile mod dal punto di vista
dell’abbigliamento e della musica?
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
(Stefano non risponde)
(Fabrizio)
Era un esercizio di individualità, perché, come ti dicevo,
ero da solo. Cercavo di imitare il look 60’s mod apprendendolo dalle poche foto che apparivano sui giornali musicali
e sulle copertine dei dischi. I contatti con il mondo esterno
dei mods iniziò grazie ad annunci su giornali tipo Rockstar,
dove altre anime in pena, da ogni parte d’Italia, affidavano il
loro messaggio alla bottiglia, nella ricerca di altri disperati
par mio.
D - La musica, il fenomeno “clubbin” e la sua opposizione
alla cultura mainstream, lasciano a disposizione una specie
di autobiografia estetico/musicale del modernismo a livello
internazionale, favorendone il suo processo dinamico e la
trasmissione di contenuti conoscitivi tra i suoi esponenti, con
alle spalle oramai più di cinquant’anni di storia. Un fenomeno giovanile nato nel lontano 1958 nelle periferie londinesi
e tutt’ora indefesso, con i suoi collegamenti intergenerazionali e spaziali ben saldi. Come giudicate questa longevità?
Quali le scene europee più importanti?
(Fabrizio)
Dopo tanti anni di malattia modernista, ho tratto una conclusione: il motivo principale per cui lo stile mod è sempre
presente, al contrario di altre tendenze e sottoculture che si
sono nel frattempo estinte per eccesso o difetto di estremismo, è perché è fondamentalmente rispettabile e variopinto.
“Clean living under diffucult circumstances” piace anche a
papà e mammà - come al padrone ed al politico…
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(Stefano)
Sono d’accordo con Pallino, il movimento è “ammodato”
innanzitutto esteticamente, il che è di per sé attributo sufficiente alla longevità, se parimenti consideriamo che l’etica in
Occidente è un prodotto derivato. Penso che il modernismo,
nella sua connaturata spazialità, produca innovazioni qualitative e sostanziali. Questa è la chiave di lettura, ritengo, con
cui interpretare questo continuo tornarvi ed è il movimento
bretone meno sciovinista in assoluto, l’unico insomma disposto ad erigere a suo simbolo una italianissima Lambretta.
D - Dal primo weekend in scooter fino a Viareggio nel
1981 al raduno di Marina di Ravenna di quest’anno. Centinaia di incontri sparsi un po’ in tutta la penisola hanno in
qualche modo contribuito al radicalizzarsi del modernismo,
lasciando tracce indelebili nella mente dei suoi organizzatori e di chi prende parte. A quali raduni hanno partecipato gli
ACT e quali ricordano più volentiri?
(Fabrizio)
Gli Act al completo credo abbiano partecipato, suonandovi, solo al raduno del 1985. Ho partecipato ad un numero
imprecisato di eventi mod in Italia - penso di sicuro oltre
30 – e molti altri in giro per l’Europa. La qualità degli eventi
però, specialmente in italia e specialmente negli ultimi anni,
pare purtroppo abbia intrapreso un forte declino. Sembra che
oggi valga davvero di tutto, e ciò ad evidente discapito della
qualità.
(Stefano)
A me pare piuttosto che l’esistenza di luoghi e gruppi vir-
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
tuali abbia scalfito il fascino di certe riunioni. Anche quelo
della componente anserina, del viaggiare verso un qualcosa
che puoi soltanto immaginare, o lo struggere di tante aspettazioni. Penso che oggigiorno conosciamo troppo dei luoghi in
cui andremo; sappiamo anche il tempo che farà. Facevamo
gli avventurieri e ci sentivamo vivi, mentre oggi somigliamo
più a dei compunti matematici.
D - Negli anni ’80, un polo industriale come Taranto, oltre
ai ghetti operai e ai casermoni dove vivevano le loro famiglie, contava la presenza di esponenti delle sottoculture giovanili quali skin e punk? Quali erano i posti che andavano
per la maggiore e com’era il rapporto tra di voi?
(Fabrizio)
Più che i posti c’erano i personaggi. Alcuni di loro si arrabattavano nell’ organizzazione di eventi talora anche di notevole spessore. C’era gente come Marcello Nitti, che portò a
Taranto il meglio dei gruppi alternativi anglosassoni. Tra noi
della scena notturna, a parte gli sfottò di rito, correva l’amicizia. Non importava che fossimo mod, punk, metallari o dark.
(Stefano)
Ci incontravamo quasi tutti al Ramblas, un locale sotterraneo passato indenne fra le tramogge dei moralisti (negli anni
‘60 ci facevano gli spogliarelli) e consegnato ai popoli della
notte. Noi ci suonavamo spesso; la birra era ottima e lo frequentavano davvero tutti. Ti poteva capitare di assistere ad
un concerto punk e la sera dopo ad uno di metallari. Correva
comunque buon sangue o, nel peggiore dei casi, una pacifica
noncuranza.
D - Infine, una vostra impressione sul fenomeno pugliese
oggi ed europeo in maniera allargata (so che qualcuno di
voi vive in Olanda ).
(Fabrizio) Sono io che vivo in Olanda e sono molto deluso
dalla scena attuale. Il mod è tornato ad essere un fenomeno di moda (tra parentesi già passato). Lo stile mod è stato
saccheggiato dalla moda mainstream sin dagli anni ’90, ed
in varie ondate. Da una parte fa piacere reperire facilmente
di che vestirsi in stile, mentre negli anni ’80 era un autentico dramma – ma questa facilità di scovazione s’è tradotta in
“facilità di travestimento”, che ha portato questo movimento,
che movimento non è mai stato, ad annacquarsi di gentaglia
senza cultura alcuna.
Sono tornato ad un concetto originario di modernismo,
fondato semmai su un individualismo aperto al confronto e
tollerante verso qualsiasi forma di cultura. Propongo il mio
stile mod in ogni circostanza, dalla musica che faccio al
modo di vestire e di relazionarmi agli altri.
(Stefano)
Nella mia adolescenza il modernismo è equivalso ad un
effluvio più che ad un modo di vivere, nel senso che ad esso
mi ci sono ispirato ma non conformato. Però, con la stessa
radicalità di Fabrizio, ritengo che sia nei propositi del modernismo ancorarsi ad un principio di individualità. Il Mod non
è mai stato un fenomeno di massa; s’è mantenuto casomai
nell’alveo delle intenzioni, rimanendo distintivo, epperciò
alternativo.
Nel bailamme del declino, cui nulla fa specie, percepisco il
disincanto di Fabrizio e mi persuado del fatto che comunque
è da lì che si riparte, magari non oggi. Noi ci chiamavo Act
perché volevamo consegnare un’azione, a noi stessi ancor
prima che ad altri. Dunque attendo fiducioso, che c’è sempre
un film “Quadrophenia” pronto a ridestare gli animi.
Intervista ad Enrico Lazzeri
(in arte dj Henry, Milano 2013)
D - Il tessuto antropologico dell’Italia post-fordista degli
anni ’80 viene dominato da fenomeni aggregativi giovanili
che richiamano la cultura Modernist d’oltremanica tipica
degli anni ’60, rappresentati, come da immaginario, con i
loro Parka, le Monkey Jackets, le Harringhton, le Clark , le
Vespe e le Lambrette cromate (e molto altro ancora...). Raccontami il perché – secondo te – la sottocultura Mod abbia
preso piede in Italia in quegli anni e abbia attraversato già
tre decenni.
Perché l’avvento di Quadrophenia, ricordo che lo diedero al cinema Rivoli di piazza San Babila a Milano, si fuse
perfettamente con le istanze di ribellione del punk e, in uno
spaccato italiano come quello marchiato dagli anni di Piombo, trovò il suo germe. Difatti, il Mod Revival, parte proprio
da quello spaccato politico-sociale e tante band Power Pop
o Mod ’79, come si usa dire, presero il via, tra tutte Mads e
Four By Art a Milano, Blind Alley e Statuto a Torino, Coys a
Reggio Emilia, i Five Faces, i Beat Machine e i Substitutes a
Genova, gli Steady Beat e gli Act a Taranto, i Lager a Cosenza, i Freezer e i Soul Party a Bologna, gli Oysters e gli Underground Arrows a Roma (e ne dimentico molte altre). La
nascita di tutte queste band venne incentivata proprio dalla
lettura proto punk che si fece di un film come Quadrophenia,
che in quegli anni, a cavallo tra il 1979 ed i primi anni‘80,
non spostò le lancette sul revivalismo sixties, ma anzi favorì
lo sviluppo di un nuovo suono che si potrebbe sintetizzare
col termine di Power Pop. Nei decenni il movimento mod
italiano è durato, si è sviluppato, ed è progredito, diventando
una delle massime espressioni europee e mondiali grazie al
sapersi rinnovare nelle decadi, trovando nuovi input musicali che potevano riferirsi o rifarsi in qualche modo all’estetica Mod, come l’Acid Jazz ed il Britpop. Di conseguenza è
cresciuta per competenza e capacità collezionistica anche la
scena dei djs italiani, che sono tra i più bravi in assoluto per
gusto e sensibilità musicale.
D - Il Modernismo, sbarcato nella nostra penisola nel
1979, divenne un fenomeno culturale giovanile rilevante soprattutto grazie ai gruppi musicali che ne veicolarono il suo
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
messaggio: gli Underground Arrows di Roma; i Mirrors e
i Fashion Cards di Milano, gli Statuto a Torino e gli Act a
Taranto, per citarne alcuni. Parlami della tua musica, del
tuo portare il mod style in giro per l’Europa (raccontami di
una festa in particolar modo che ti è rimasta più delle altre).
Beh, i momenti bellissimi sono stati tanti, e se tralascio le
esperienze che riguardano la mia città, direi senza dubbio i
miei momenti pionieristici a Torino, poi il classico raduno di
Pasqua a Rimini e All Saints a Lavarone, dove si creava e si
crea un vero girone dantesco con l’alba che ti aspetta fuori, e
anche alle 8 del mattino puoi trovare qualche superstite in pista. Poi ricordo con tanta nostalgia le serate al Jam di Mestre,
che furono esaltanti e nel cuore ho anche i bellissimi momenti del Maximum Speed a Genova e le serate di Pordenone.
D - Viareggio 1981... Marina di Ravenna 2013. Impressioni personali e trasformazione dei raduni Mods nel nostro
paese e nel resto del Continente
Parlo per la mia evoluzione dentro, ciò che ho visto e che
ho potuto vedere quando sono entrato nel movimento, che
non fu agli albori di esso. Uno sviluppo costante fino a diventare esponenziale della preparazione musicale dei djs che
hanno portato una raffinatezza di suono sempre più spiccata
nel soul, nel rhythm and blues, nel beat, nel jazz, nel latin,
nello ska. La scoperta continua di pezzi nuovi, la ricerca maniacale, una maggiore preparazione delle band che si sono
avvicendate nel tempo e poi la grande europeizzazione del
movimento mod italiano che si è confrontato con serate e
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raduni esteri, traendone di linfa, secondo l’ottica basilare del
moving and learning, ma apportando poi alla scena europea
un gusto tutto italiano del movimento e dell’attitudine mod.
D - Milano. Nascita e sviluppo dei Mods. Un tuo pensiero
sulla scena milanese
Milano è una metropoli, pertanto i Mods sono sempre stati presenti dagli albori di Piazza Mercanti ad oggi, quindi
penso che per continuità e ricambio generazionale Milano
abbia dato un valido contributo al movimento mod nazionale. La città ha sfornato band, djs, e quindi è sempre stata attiva e con una visione europea del movimento Mod. Avrebbe
potuto creare un grande raduno nazionale o internazionale,
ma nelle metropoli le difficoltà sono tante, sia economico/
finanziarie e sia tecniche, con tutto ciò ne riduce la forza di
attrazione rispetto a località più vacanziere come potrebbero
essere Rimini, Lavarone o Marina di Ravenna, ad esempio.
D - Mod e Skinhead. Descrivimi i canoni concettuali e stilistici affini e non – da te osservati – tra le due scene, ieri
come oggi.
Gli Skinheads, intesi come Original Skin, li penso e li definisco come una sorta di coscienza critica del movimento
Mod e quindi una sottocultura, sì autonoma poi nel tempo,
ma cugina. Quando la musica, dopo il 1966 iniziò ad evolversi nel pop psychedelico, nel freakbeat e nell’acid rock,
alcune frange del movimento ne furono immancabilmente
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
attratte, perdendo di vista la purezza e la sobrietà dell’attitudine originale. Alcuni Mod diventarono via via più radicali
per tenere fermi i paletti dello stile, trasformandosi in Hard
Mod e poi nella estremizzazione del tutto, generando l’attitudine skinhead. Per questo motivo definisco il movimento
Skinhead come una sorta di radicalizzazione della purezza
e dell’estetica Mod, fino a diventare una sottocultura a sè
stante e con una sua storia ben definita che si fonda sullo
ska, sul rocksteady, sull’early reggae, il jamaican R&B e lo
skinhead reggae.
movimento. Il Modernismo non può prescindere dal dinamismo, ecco il perché estetico di frecce e bersagli.
Intervista a Claudio De Rossi
Mod vicentino e fondatore della Dna Groove (www.
dnagrove.it) (2013)
D – Una tua chiosa sulla Mod Generation in italia, che sopravvive da oltre trent’anni alle mode e alle semplificazioni
dei media.
D - Modernismo. Una parola molto spesso chiaccherata,
snaturata, distorta e di difficile contestualizzazione spaziotemporale, riflette una saldatura tra musica ed “arte sartoriale”, tra etica e conflitto giovanile. Mi dai una sua definizione non solo etimologica ma anche caratteriale del
fenomeno?
Il Britpop ci ha dato nuova linfa vitale e ha portato un grande ricambio generazionale sulla scorta delle gesta di band
come Oasis, Blur, Charlatans, Stone Roses, Supergrass, Cast,
Ocean Colour Scene. Onestamente avrei sperato di più in un
approfondimento delle radici da parte della scena indie pop
degli anni Duemila, ma forse essa era più legata al rotocalco
che alla vita di strada. Da quel filone ci è arrivato poco, ma la
scena ha saputo mantenersi viva grazie ad un suo caposaldo
immutabile, una sorta di assioma, il Moving And Learning.
Non si nasce Mod ma lo si diventa. Come? Girando ed imparando stile ed attitudine, e più apprendi più poi hai voglia di
girare in lungo ed in largo attraverso gli sviluppi europei del
La più nota ed accettata versione dell’origine della parola
‘Modernismo’ (abbrevviato a ‘Mod’ dal 62/63 in poi) è che
deriva dalla muscia Modern Jazz, la quale veniva ascoltata
nei club di Soho alla fine degli anni ’50, dai giovani abbagliati dal cool-ness degli artisti che vedevano sulle copertine
dei vari dischi Blue Note (come Horace Silver, Jimmy Smith
ma in primis l’epitome del modern e cool jazz, Miles Davis).
Fino a quel periodo i club jazz londinesi erano dominati dalla
più ‘vecchia’ e tradizionale Trad Jazz (big bands). A questo
si è aggiunta l’idea ‘Moderna’ dello stile (vestiti italiani, film
francesi, musica americana, gli scooters italiani che erano super eleganti e veloci, e più ‘puliti’ visto la copertura che dava
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
la sua forma e il motore nascosto sotto). Questi giovanotti
(ancora teenagers) si sentivano, vestivano e si comportavono
da dei. Vestiti sartoriali, scarpe e scooters italiani, dischi di
musica ‘alternativa’ rispetto all’offerta generale. La passione
musicale non si limita al Jazz, ma spazia dal Blues di John
Lee Hooker, Bo Diddley, Slim Harpo, al Soul di Ray Charles, Ike and Tina Turner, i 4 Tops, Sam Cooke, allo ska e
Blue Beat Jamaicano (dove il ‘mento’ locale copiava il Blues
dei vicini USA che dava forma allo Ska). Innovatori di stile
a 180 gradi. Nella sua terminologia odierna, dopo più di 40
anni dalla sua nascita, ritiene la sua vena elitaria, non a livello di classe sociale ma a livello estetico e musciale. I Mods
vestono bene (tra l’altro è uno stile intramontabile), ballano
benissimo (il ballo per il Mod è fondamentale come il suo
guardaroba), la loro musica rimane intramontabile e continuamente riproposta sia nella sua forma originale ma anche
nelle forme odierne (Oasis e Paul Weller i più conosciuti).
Certo sono passate 4 decadi, adesso la scena mod non è più
‘giovane’, si è anche diluita e spesso arricchita con nuove
tendenze, ma sempre ‘cutting edge’.
D - Dai Merveilleux parigini ai Punk londinesi, dal Ted
agli Skinhead passando per i Mods, da sempre le sottoculture giovanili a forte spinta conflittuale sono state ritratte
in una cornice teppistico-delinquenziale, spesso demonizzate e criminalizzate senza conoscerne la loro genesi e il loro
orientamento. Tuttavia, dagli anni ’50, il conflitto giovanile
ha assunto il più delle volte una sua forma politicizzata, con
il solo Modernismo, se si considera il periodo temporale che
acclude gli anni che vanno dal 1958 al 1976 (in terra inglese), ha mantenuto un suo carattere anticonformista dalla
spina dorsale assolutamente impolitica. Nonostante, e questa la mia domanda, esso abbia preso forma negli anni subito antecedenti a quella “cultura generazionale di massa”
che da lì a poco sarebbe scoppiata in Occidente, mi sai dire
il prerché di questa sua peculiarità?
Il Modernismo era ed è tutt’ora un ‘melting pot’ di stili
musicali e sartoriali sin dalla sua nascita: a fine anni ’50 i
teenagers inglesi (spesso ebrei di North London) andavano
da sarti ebrei cercando stili italiani e francesi, molti erano
di provenienza irlandese ed italiana (per via di una immigrazione partita dai genitori), ascoltavano musica afro americana e afro caraibica, e dividevano i loro clubs notturni
(The Flamingo, The Scene, Roaring 20’s in primis) di Soho
proprio con i neri americani delle vicine basi militari USA e
con i figli della recente prima ondata di immigrazione dalla
Giamaica. Scorazzavano con scooters italiani e guardavano
films francesi. Sin dall’inizio questo movimento era “globalizzato”, vestendo jeans e camicie button down americane,
maglie e scarpe italiane e tagli di capelli alla francese. In
quegli anni di boom economico, in cui i giovani lavoravano
stando a casa dei genitori, i soldi erano per la prima volta in
abbondanza. La voglia di ribellarsi era indirizzata a genitori
e tutta la società brittanica puritana post guerra mondiale, tramite il sesso, la musica e la moda, ed essa non aveva ancora
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motivi socio-politici (il Modernismo prima e poi Mod come
movimento di massa si estingue nel 1966-1967). Con una
base così multi culturale-musicale-razziale, la politica non
ha mai attecchito, soprattutto in quegli anni molto più ingenui e spensierati. Quindi direi, almeno nella sua prima (’59
– ‘62) e seconda forma (’63 – ’65) di massa, il movimento
aveva anticipato gli anni più politicizzati, quelli dei ’60.
D - Spunti interessanti di Modernismo si intravedono dai
primi ’80 nel “tuo” Veneto. Com’è nata la scena e chi erano
i gruppi che supportavano questo nuovo fenomeno culturale? Quali Modzines circolavano dalle tue parti?
Nel 1979 esce a livello mondiale il film epico degli Who
‘Quadrophenia’, che narrava di un giovane Mod (Jimmy)
nelle sue scorribande londinesi degli anni ’64/’65 . Il disco
venne inciso nel ’73, ma il film venne molto dopo e ci fu
subito un “mod revival” in Inghilterra prima e poi in tutta
Europa, Usa, Giappone, Australia... (io all’epoca vivevo a
Manila e arrivò nel ’82). Questo fece nascere mods in varie
città italiane e che piano piano si organizzarono, mettendosi
in contatto gli uni con gli altri con fanzine, concerti, raduni,
feste, ritrovi. Milano, Roma, Torino, Pordenone, Vicenza,
Bologna, Piacenza, Trento, Rimini, etc.
A Vicenza, dai primi anni ’80, Filippo Spadi prima, e subito dopo “I Maiali Inquinanti” furono il punto di riferimento
locale (e regionale) per feste, raduni, ‘all nighters’ (dove la
festa iniziava alle h24 e finiva alle h7, anticipando di molto i
raves del decennio successivo), organizzati dai Mods veneti
ma aperti a tutti coloro che apprezzavano la loro musica e la
voglia di far festa. Fanzines “Il Grugnito”, “Think Smart”,
gruppi musicali quali “Benny Beat & Moton 48” prima, e i
miei “The Immaculates” dopo (quest’ultimi apprezzati anche oltre confine con concerti e passaggi televisivi in Austria
e Germania), scrissero parte della storia del Modernismo veneto ed italiano.
D - In Italia, dall’origine della sottocultura al suo giungere ben oltre la soglia del XXI secolo, come si è evoluto
il panorama musicale e quali influenze straniere hanno lasciato maggior impronta nella italiana – oramai trentennale
– scena Mod?
Sin dalla sua nascita, il movimento Mod Italiano ha sempre avuto numerosi gruppi musicali provenienti da svariate
città italiane: Spider Top Mods (Piacenza), POW (Milano),
Lager (Cosenza), Coys, (Reggio Emilia), Kickstart (Pordenone), Wasted Time (Rimini), gli Statuto (Torino), Four By
Art (Milano), Underground Arrows (Roma), PUB (Roma), i
sopracitati The Immaculates, etc... Tutti traevano ispirazione
sia dalla prima ondata di gruppi Mod inglesi, quali The Who,
Yardbirds o Small Faces, che dal Mod Revival di pochi anni
prima, quali The Jam, The Chords, Madness, The Specials,
The Prisoners, Secret Affair. I djs sin da subito diventano
collezionisti dei brani più ricercati in stampe originali di dischi 45 giri di cantanti Soul, Rhythm and Blues, Beat in-
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
glese, Garage americano e Jazz,
che al contempo vanno per la
maggiore in altre realtà internazionali. L’influenza proviene sempre da Londra, culla del
movimento, ma la scena italiana
sviluppa una sua individualità e
diventa velocemente, a livello
di numeri e partecipazione, la
seconda scena più importante
d’europa (seconda solo all’Inghilterra).Tutt’ora le scelte musicali che si ascoltano in Italia,
sia a livello live che su incisioni
discografiche originali, seguono
le “mode” all’interno del movimento stesso, quasi sempre
partendo dall’Inghilterra e che
finiscono per arrivare e influenzare tutto il continente. Ultimamente si è ritornato all’origine,
prediligendo il Jazz, il Rhythm
and Blues, Early Soul e Ska (rispetto, per esempio, ad una virata, che andava per la maggiore
all’inizio degli anni 2000, verso la musica bianca della seconda metà degli anni ’60).
D - Il Dna Groove, di cui tu sei il fondatore, è un inno
alla sartoria italiana, alla quale pare che i mod della prima ondata (1958-1962) si fossero ispirati (giacche monopetto, pantaloni stretti, mocassini). Un tentativo di fondere
l’appartenenza ad un look estetico un proprio stile di vita,
il cui marchio di qualità è rappresentato dalla commistione
tra passato e presente. Eppure, l’avvento del modernismo
in Italia pare che abbia avuto a che fare molto più da vicino con il Mod Revival, una concezione non propriamente
classica dell’abbigliamento. Vuoi parlarmi delle mutazioni
estetiche dei mods in Italia? E ovviamente della tua linea di
abbigliamento.
DNA GROOVE è nato anche perché fino alla metà degli
anni ’90, sia in Inghilterra (dove rimane il mio più grande
mercato) che nel resto del mondo (ho clienti in tutti i continenti dove il Modernismo ha avuto una forma o un altra), i
Mods o cercavano i tanto amati vestiti tra i negozi Vintage
(abiti originali degli anni ’60), o comperavano cloni spesso
di pessima qualità, o si servivano di sarti (questi sempre più
difficile da trovare a prezzi abbordabili). DNA, quindi, ha
riempito il buco nel mercato per abbigliamento di alta qualità sia a livello di tessuti che a livello di confezione, ma soprattutto vendendo al mercato Modernista un articolo che è
quasi sempre fatto in pezzi singoli, offrendo l’individualità
ed esclusività tanto cara ai Mods. Inoltre, essendo io parte del
movimento da ormai moltissimi anni (ancora prima di fondare DNA Groove), so essattamente cosa voglia e cosa cerchi il
mio cliente. Questo rende il prodotto molto più “credibile”. C’è
da dire, però (come capita spesso per tanti prodotti di vario genere), che “non si è mai profeti
in patria”, e quindi i miei vestiti
sono al 95% venduti all’estero
(Inghilterra e Gran Bretagna,
ma anche Usa, Australia, Giappone e in tutta Europa). In Italia
il movimento è molto anglofono, preferendo marchi “storici”
inglesi che però spesso sono
snobbati dagli Inglesi stessi
(per non dire sempre di produzione estere e di massa). Poi,
altra grande differenza, è che
nel mondo moderno dell’aquisto online (dischi, scarpe, vestiti, accessori) il Mod italiano
rimane perplesso, preferendo il
contatto diretto con il venditore.
Il suo stile però rimane invidiabile e comunque naturale ed intramontabile.
D – Un’osservazione sulla scena Vicentina negli anni
2000 e del perché, a tuo avviso, il modernismo ancora oggi
resiste alle mode di costume.
La prima decade del nuovo millennio ha visto, ahimè, una
mancanza di rigenerazione non solo nella scena vicentina,
ma anche nazionale, e con l’invecchiamento dei suoi componenti originali, pochi Mods vicentini sono soppravvissuti
ai normali cambiamenti della vita. Certo lo stile, il gusto,
rimangono e sono perenni. Ma mancando la nuova gioventù,
pronta a prenderne le redini, quasi tutto si è fermato. Rimangono alcune serate di musica Soul che vengono frequentate
da gente anche al di fuori della regione e al di fuori della
scena, ma rimangono sporadiche. La scena è molto attiva in
centro italia (sopattutto Teramo), Roma, Torino e dintorni
(sempre molto folta e dinamica), a Milano e nel triveneto, anche se alcuni di questi mod ora risiedono all’estero (io stesso
sono a Girona, Spagna). Detto ciò, il Modernismo rimane attivo e sono sicuro che come una fiammella che viene ossigenata, avvrà la sua ri-esplosione come avviene regolarmente a
livello mondiale ogni decade da quando uscì Quadrophenia
(basti pensare al fenomeno Brit Pop degli Oasis e Blur che
portarono tantissimi giovani degli anni ’90 a scoprire il Modernsimo, anche se questi due gruppi non ne facevano parte).
Attualmente, c’è un ottimo zoccolo duro (quindi qualità e
non quantità) che, insieme ad altre realtà venete e trivenete,
rimane pilastro del Modernismo nazionale. I Mods, sopprattutto quelli che riescono a uscire dall’autoghettizzazione, e
che riescono ad abbracciare il mondo “moderno” senza aggrapparsi troppo agli anni ’60 (che rimangono comunque
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
sempre un punto di riferimento per tutti i Mods, ma non
solo), saranno sempre dei cardini, ed in fondo anche invidiati
dal mondo della moda (Thom Browne, Ralph Lauren), della
musica (Oasis, Paul Weller e ultimamente i giovanissimi The
Strypes, di recente presi in consegna da un guru della musica
internazionale quale è Elton John), del cinema (si pensi al serial televisivo americano Mad Men, che ha fatto riscoprire la
moda anni ’60 al grande pubblico), del design e quant’altro.
Giorgio Baiardo
scena dal 1993 e lo faccio tutt’ora, fregandomene altamente
della politica e di tutto quello che la circonda (e questo è ancora il mio pensiero). Guardo solo le persone, il mio rapporto
con loro e non cosa votano.
D - I Selecter, gli Statuto, gli Act (per citarne alcuni) e
tutto l’underground musicale di ispirazione mod, iniziò a
caretterizzare la scena sottoculturale italiana a partire dagli
anni ’80, dettando ritmo e gusti. Quali sono state le maggiori
“pressioni” musicali che hanno dato origine al modernismo
europeo e di rimando a quello italiano?
“Maximuum Speed Genova” (2014)
D - I mods genovesi e la “Maximum Speed Mod Society”.
Definite il vostro “programma” (partlate anche delle fanzine se ne avete prodotte), il rapporto con gli altri mods e le
altre sottoculture presenti negli anni dell’avvento del modernismo in Italia e a Genova nello specifico, con particolare
attenzione a quello che era divenuto, quasi, una distorsione
del movimento mod, ovvero la politicizzazione di alcuni suoi
esponenti e l’influenza esercitata dalle altre sottoculture di
strada.
Comincio subito col dire che noi Mods di Genova (negli
anni del Maximum Speed Mod Society) non abbiamo mai
voluto aver nulla a che fare con storie politiche… Le varie
parti coinvolte cercavano di tirarci dentro, o da una parte o
dall’altra, ma noi abbiamo sempre rifiutato di schierarci. C’è
da dire che io ed altri della Maximuum in passato abbiamo
avuto dei problemi personali (fortunatamente soluzionati),
a causa di queste vicende. Personalmente ho frequentato la
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Il rapporto con gli altri Mods sparsi in Italia è sempre stato
buono, magari con i ragazzi di Spezia, Savona e Asti più
stretto per questioni geografiche e ideologiche, ma ribadisco
buono con tutti. Il raduno di Pasqua a Rimini era sempre l’evento più atteso per incontrarsi e confrontarsi. Per quello che
riguarda le altre sottoculture avevamo un rapporto stretto con
gli skinheads di Genova, storicamente presenti e numerosi.
D - Affacciandoci al Modernismo inglese, a quale periodo
vi sentite più vicini in termini di look e mod-style? Quale
pensi che abbia avuto più influenza nel nostro Paese?
Una cosa molto importante che vorrei dire è che io posso
parlare della scena dal 1993 in poi, anno in cui entro a farne
parte. Prima mi è ovviamente impossibile, se non per sentito
dire, ma non sarebbe giusto.
D - Raccontami di una vostra partecipazione (o organizzazione di eventi ) come “ Mod Society” ad un raduno nazionale (o europeo). Soffermati sulle trasformazioni dei generi
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
estetici, musicali e sulla partecipazione generazionale tra i
(vostri) primi raduni e quelli attuali.
La svolta per me è la partecipazione degli Statuto al Festival di Sanremo, è da lì che inizio ad interessarmi al Modernismo, e pian piano a farne parte. Sicuramente sono tre
i fattori (tutti e tre ovviamente provenienti dall’Inghilterra)
che conducono ad uno sviluppo dello stesso in Italia: Il film
Quardophenia, il Mpd Revival del 1979 e l’esplosione dello
“Ska 2 Tone”. Prima del 1980 in Italia non si può parlare di
Mods come in Inghilterra, al massimo di proto-mods, tutavia
inconsapevoli di esserlo, e di movimento beat (che ovviamente è tutt’altra cosa).
D - Com’è cambiato il modism dal 1979 ad oggi?
Io mi sono sentito da sempre più vicino al Mod Revival,
questo rispetto al Modernismo inglese delle origini, sia per
quanto riguarda il look, per le scelte musicali e soprattutto
l’attitudine molto street e british (seppur abbia vissuto in pieno il cosiddetto “Britpop” in quegli anni, fondamentale per
aver rigenerato la scena e portato aria nuova). Non c’erano
solo gli Oasis e i Blur, ma tante altre valide bands, oramai
dimenticate o quasi (Menswar, Gene, Thurmanla’s, Ocean
Colour Scene), dall’ottimo impatto musicale ed estetico (anche se questo fece molto discutere all’interno della scena, tra
chi era pro al rinnovamento e chi considerava il genere solo
una moda). Dirti invece com’è cambiato il modsm dal ’79 ad
oggi, come dicevo prima, è difficile, in quanto in quei gloriosi giorni non ero presente, e quindi potrei citarti fatti e storie
già note, e comunque non vissute in prima persona. Posso
invece dire qualcosa su di noi dal ’93 ad oggi.
Ovvero, innanzitutto, che non c’e’ un edizione particolare
della nostra festa (il Maximum Weekend) che io metta sopra
le altre (e con la prossima che si terrà tra un mese, siamo
arrivati a 16); tutte sono state belle e intense. A partire dalla
prima edizione abbiamo cercato sempre di dare quel qualcosa di più che gli altri raduni non dessero, puntando sempre
sulla qualità, guardando con grande attenzione alle bands e
ai djs da chiamare, come tutti gli altri, pero’ prestando attenzione anche agli altri aspetti del nostro mondo, magari più
in ombra negli altri raduni, come le mostre d’arte, il cinema,
la presentazione di libri e tante altre cose. Un altro aspetto
molto importante per noi è sempre stato quello di far risaltare la nostra genovesità, fare conoscere la nostra città e le
nostre tradizioni, magari attraverso la cucina e il vino ligure.
Per quanto riguarda le differenze estetico/musicali, nel corso
degli anni, ho chiaramente potuto assistere a tante trasformazioni del look modernista (il momento original, quello
freak beat, quello hard mod ed altri ancora). Stessa cosa per
la musica (molto soul negli anni ’90, poi prevalenza di musica bianca, a volte anche fuori contesto, fino al ritorno ai
suoni della prima era modernista, il cosidetto “pre 63”). Personalmente ritengo che una serata dove viene proposta tutta
la musica che piace ai mods sia l’ideale, senza preferenze
tra un genere e l’altro. Comunque queste cosidette “novita”
sono sempre state portate dall’inghilterra, sia a livello di look
che a livello musicale, e non sempre furono “digerite” bene
in italia, (a mio parere, il gusto inglese e quello italiano presentano differenze a tutti i livelli). Un grosso problema del
movimento è stato storicamente quello dell’età media alta,
nonostante esistano giovani che si appassionano chiaramente, ma sono troppo pochi in rapporto alla scena, e anche la
disparità numerica tra uomo e donna, nettamente a favore
dell’uomo, è problematica. A Genova, in quegli anni, nacquero due fanzines “Coolness”, attiva dal luglio ’96 al 2002
circa, che si occupava di articoli veri e propri su tutto quello
che fosse modernismo a 360 gradi, molto curata graficamente e ricercata, e la “Seaside News”, nata circa tre anni dopo,
ed era una newsletter che riempiva i vuoti tra un’uscita di
“Coolness” e l’altra, e trattava principalmente di recensioni
di eventi, raduni, concerti, etc. Dal settembre 2011, e con
questo arriviamo ai nostri giorni, è nata La “Superba Mod
Club”, da me fondata insieme ad altri ragazzi e ragazze, per
fare modernismo a Genova, visto che le precedenti esperienze erano terminate per motivi vari (età, famiglia, lavoro);
il gruppo attuale conta una decina di persone, con un etaà
varia dai 20 ai 50 anni, ci vediamo settimanalmente in un
pub per la riunione, la nostra principale attività è l’organizzazione annuale del “Maximum Weekend”, tuttavia facciamo
anche altre cose (quali un raduno estivo a luglio e un “all
nigther” di musica soul a ottobre, oltre a essere presenti nei
vari appuntamenti in giro per l’talia ma non solo. Tre dei
componenti del nostro gruppo hanno poi anche fondato una
band chiamata” Ex Teens”, dedita a sonorità mod revival e
power pop, e questo per tutti noi è motivo di orgoglio! Infine
ti dico qualcosa del mio negozio, il Modern Groove, nato
nel 1999 come negozio di dischi e nel tempo trasformatosi in un negozio che vende British Streetwear, con marchi
come Lambretta, Ben Sherman e Merc, da sempre punto di
riferimento, luogo di appuntamenti e promotore di tutte le
iniziative legate alla scena.
Intervista Bazza e Alessandro
organizzatori del festival All Sanits Mod Holiday di
Lavarone (2013)
D - Proviamo a fare luce sui primi germogli modernisti
sbocciati nel nord-est italiano. Un accenno di storia delle
soggettività e delle piazze che favorirono l’ascesa del modernismo, questo nuovo vento che soffiava da lontano e che
portava in grembo l’“ossessionante” cura dei particolari,
raffigurante – ai tempi in uno stato primordiale - un nuovo
paradigma culturale, che spaziava dall’estetica all’arte, dal
cinema alla letteratura.
Nel nord-est c’erano alcune città dove la scena mod si diffuse fortemente durante gli anni ’80 e poi ’90. Sicuramente
fra queste città vanno ricordate Pordenone, Vicenza, Rovereto e Trento, grazie soprattutto alle sorelle Tait. Queste erano
città dove si svolgevano regolarmente appuntamenti mod,
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
anche grazie ad organizzazioni come “I Maiali Inquinanti”.
Erano tempi diversi e anche il tipo di musica proposto era
differente, forse meno ricercato, ma altrettanto passionale e
cool. Era poi un periodo in cui la scena mod italiana era contigua e mescolata alla scena scooterista, e in parte a quella
skinhead.
D - Quali sorti hanno caratterizzato l’evoluzione storica
della sottocultura mod inglese nei primi anni ‘60, passata
da una chiava interpretativa in stile edardiano ad una successiva rielaborazione in chiave Lumpen dello stile, con i
giovani come “classe d’età” che iniziarono ad avvicinarsi
alle forme di divertimento tipiche delle classi proletarie (pub
e calcio su tutti), con conseguente “migrazione” dalle strade
e dai locali alle curve, con una “militarizzazione” del modlife e del suo look (boots, bretelle, camicia brutus). Chiarite,
secondo voi, questo spostamento un po’ più working class
del modernismo, nato tuttavia come fenomeno musicale e
clubbin.
Se riteniamo che una delle caratteristiche fondamentali
della sottocultura mod dei primi anno Sessanta sia stata la
passione maniacale per la musica e per i vestiti, essa si ritrova in forme diverse fino ai primi anni ’70 con i Suedehead,
e non siamo affatto certi ci sia stata una vera e propria militarizzazione del mod-look, termine che – comunque - andrebbe esso stesso discusso e analizzato. I primi skinheads
si cominciano a vedere in Uk nell’estate del 1967 – anche
se c’è chi dice che fin dal tardo 1966 lo stile si stesse evolvendo in quella direzione –, ma per coloro che ne furono i
protagonisti questo nuovo stile non era altro che una forma
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diversa dell’essere mod. Se andiamo a vedere i capi di abbigliamento portati tra il il 1967 e il primo ’69, la maniacale
ricerca dei dettagli è esattamente la stessa dei mods, e si riassume nella frase “dress to impress”. Gli Skinheads non sono
che “hard-core”, “no surrender mods”. Non c’è dubbio che
questo avesse anche delle radici in alcune tradizioni della
classe lavatrice e si facesse infuenzare dal look e dallo stile
dei giovani immigrati jamaicani, e per certi aspetti avesse
un taglio “regimental”, ma a nostro avviso ridurre questa
evoluzione a boots e bretelle è fuorviante e finisce per dare
un’immagine sbagliata, che, ahinoi, pesa tutt’oggi. Ad andare allo stadio e al pub erano gli stessi che al venerdí sera non
vedevano l’ora di mettersi un completo tonic mohair blue, un
paio di brogues e andare a ballare soul e reggae. Non siamo
nemmeno convinti che questi ragazzi – che spesso avevano
14-15 anni - avessero una vera e propria coscienza di classe e fossero davvero consapevoli di elaborare il loro stile in
chiave “lumpen”. Al contrario, se leggiamo alcuni resoconti
e testimonianze di skinheads di quegli anni, questa idea non
esce mai. Escono sempre in maniera preponderante musica,
vestiti, dettagli: cleaness and smartness.
D - Sin dagli anni ’60, ancor prima della radicalizzazione
del modernismo in Italia, troviamo alcuni riferimenti sulla
contaminazione Modernist, seppur alcuni di essi distorti e
privi di una reale prospettiva storica del fenomeno. Ricky
Shaine, Roby Castiglione e gli stessi Equipe 84 (giusto per
citarne alcuni) sono considerati come musicisti ascrivibili
alla scena mod, nonostante la sua maggiore presenza è da
segnalare solo due decenni dopo. A cosa è dovuto questo
così lungo gap temporale con la realtà anglosassone?
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
I nomi da te citati non hanno a nostro avviso niente a che
fare con la scena mod, nemmeno un po’, se non attraverso
delle forzature interpretive. Credo che in Italia non ci siano
mai stati gruppi di successo che possono esser considerati
ascrivibili al modernismo. C’é certamente stata un’influenza
della produzione musicale inglese degli anni Sessanta anche
in Italia, ma questa senza nessuna esplorazione e legame con
quanto stava avvenendo a livello stilistico sottoculturale.
italiane organizzano e fanno. A Trento, grazie soprattutto ai
ragazzi dello scooter club “Su di Giri”, e all’appuntamento
mensile del “Toppin Up”, si è ricreato un certo entusiasmo e
voglia di fare, di rivedersi e di stare assieme. Mentre in Triveneto grazie agli “Uptight Mod Society” si è creata un’ottima rete di rapporti e amicizie.
D - Soulies, scooterists, original skinheads, swing london
lover’s. Il Mod All Saints di Lavarone, che ha festeggiato nel
2012 i suoi vent’anni, deve la sua longevità alla varietà delle
sonorità musicali e alla ricerca dell’originalità. Tracciate
un resoconto del raduno, dalla sua iniziale foma espressiva - nel lontano 1993 – all’ultimo meeting ospitato in terra
trentina. Quali gruppi e dj ricordate più volentieri?
Mod Society Get Smart Roma (2014)
La storia dei primi vent’anni dell’All Saints Mod Holiday
è stata ricostruita e raccontata in maniera eccellente nel libro
di Marco Fasolini “All Saints Mod Holiday: 20 years”, uscito
in occasione del ventennale. Il libro contiene la lista di tutti i
dj e i gruppi che hanno suonato in questi vent’anni, moltissime foto e si sofferma sulle varie caratteristiche e sull’evoluzione del raduno. Senza ripetere quanto viene detto e raccontato in questo libro, riteniamo che – come tu stesso dici – uno
dei punti di forza dell’All Saints sia stata ed effettivimante
sia la “maximum musical variation on the dancefloor”, ossia
il fatto che ció che si cerca di proporre è una miscela musicale il piú possibile diversificata. Poi ci sono altri fattori.
Siamo sempre stati un Mod weekender “sperimentale” ed
“empirista”, nel senso che abbiamo sempre cercato di “sperimentare” nuove formule, introdurre nuove sonoritá, nuove
canzoni, nuovi dj. Il Rhythm and Blues nero per esempio è
stato suonato a Lavarone quando in Italia in quel momento
non lo suonava nessuno. Idem per il freakbeat. Questo essere
“empiristi” ci ha permesso di affinare, migliorare e appunto
variare ogni volta le nostre proposte e arricchire di volta in
volta il programma. Detto questo, non vanno peró dimenticati il clima e l’atmosfera che caratterizzano Lavarone, i
quali vengono creati da coloro che annualmente vi prendono
parte con passione ed entusiasmo. Le bands che ricordiamo
con piacere sono tante, cosí come i djs. A nostro avviso, tutti
a modo loro hanno contribuito a dare prestigio e alls qualità
dell’All Saints.
D – Per congedarci, una panoramica sul modernismo nel
XX secolo e sulla scena odierna a Trento e provincia.
Per quanto riguarda la scena attuale diciamo che è un periodo complesso, ma essa è comunque viva e vegeta, sia a
livello internazionale che nazionale. La scena nazionale ha
fatto passi da gigante, e sono state fatte delle cose molte interessanti e di estrema qualitá. Forse a livello nazionale permane ancora una certa divisione e per certi aspetti continua
a mancare la normale ammirazione e il sostegno piú o meno
condiviso e reciproco per quello che le diverse realtá mod
Peter
When you’re young
Mi piace pensare che il mio stile nel vestire sia stato un
tratto distintivo fin da bambino, che sia rimasto incredibilmente sobrio e minimalista, seppur con grandi sforzi, durante
tutti gli orribili anni ’80, non influenzato dalle mode del tempo e portato avanti senza far parte di nessuna sottocultura.
Un articolo di “Repubblica” sui mods a Piazza Capranica nel
1987, custodito gelosamente nel mio diario, fu la rivelazione
(chi avrebbe mai immaginato che ci fossero mods a Roma!)
e diede il via alla mia curiosità verso il mondo underground
descritto nell’articolo. Già sapevo cosa fossero i mods e l’interesse verso le diverse sottoculture d’oltremanica era forte
grazie ai viaggi studio in Inghilterra, ma scoprire che lo stile
mod fosse ancora vivo e presente nella mia città fu una rivelazione straordinaria. L’articolo fu anche una fonte preziosa
di informazioni sull’abbigliamento e sulla musica ascoltata
dai mods (anche se la foto a corredo era molto fuorviante,
in quanto mostrava per errore dei dark). Bands mai ascoltate
prima, generi di cui non conoscevo il significato, musica che
però purtroppo era per me e la mia inesperienza quasi impossibile trovare. La prima visione “in carne ed ossa” di mods
fu invece una sera presso l’Uonna Club, locale underground
in zona Roma Nord, in cui ci andammo io e il ragazzo di
mia sorella, e tra una miriade di punk e darkettoni, intravidi
di sfuggita due ragazzi ed una ragazza dal look inequivocabilmente mod. Poi più nulla, la curiosità rimaneva, ma in
quel periodo lontano dal centro e senza contatti né internet,
non era facile poter approfondire quel mondo sotterraneo.
Nel frattempo verso la fine degli anni ’80 cominciai ad appassionarmi allo ska revival, grazie al boom che la terza generazione stava riscuotendo anche in Italia (e soprattutto in
Germania dove passavo le mie estati). Ricordo ancora bene
quando insieme a dei compagni di classe andai (senza grande entusiasmo) ad un concerto di Vasco Rossi, al Flaminio,
e lì mi trovai davanti il gruppo spalla, certi Casino Royale
di Milano, che vestiti di tutto punto e con un repertorio ska
bellissimo non impressionarono di certo la folla (che li copri
di insulti e bottigliette), ma mi fecero ancor più capire da che
parte volevo stare.
Negli anni ’90 l’interesse verso lo stile mod divenne sempre più profondo e attivo. Trovare capi di abbigliamento
“mod” non era affatto facile, e ancora ricordo la felicità di
quando comprai il mio primo Harrington o la prima polo
Fred Perry con le righe. Qualche volta riuscivo ad andare a
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
vedere dei concerti ska a Roma e soprattutto in Germania,
che in quel periodo era un fiorire di gruppi in levare e presentava una scena di dimensioni ragguardevoli. Mi consideravo
oramai mod a tutti gli effetti, anche se, ripensandoci, lo stile
era approssimativo e musicalmente mi limitavo ad ascoltare
ska revival, Jam e Who. Abitando in periferia non era ancora
forte la necessità/voglia di frequentare altri mods.
A Roma, dopo che gli Statuto andarono al festival di Sanremo, un folto gruppo di ultras di mia conoscenza cominciò
a seguire la band torinese nei frequenti concerti che tenevano nella capitale, monopolizzando la scena con cori “We are
Mods” o pretendendo di far cantare al gruppo più di una volta il pezzo “Ragazzo Ultrà”. Gli Statuto erano indubbiamente
riusciti in quel periodo a far interessare tanta gente allo stile
mod, anche se pochi alla fine avevano la voglia e la capacità
di approfondire il fenomeno, per capire di cosa si trattasse.
Comunque, per quanto mi riguarda, i concerti della band torinese mi diedero l’occasione di abbonarmi al “Bollettino”
della scena mod italiana, in cui, oltre a venire a conoscenza
dell’esistenza di feste sia in Italia che all’estero, era presente un catalogo di cassette fatte dai migliori djs mod italiani
dell’epoca (nomi allora per me “esotici”, come Pisaniello,
Nucci, Staniscia, Trisha, in buona parte conosciuti di persona
successivamente), molte delle quali acquistate in quanto era
l’unico modo, a quei tempi, che avevo per approfondire alcuni generi ascoltati dai mods e di cui avevo sentito parlare, ma
che non avevo mai avuto la possibilità di reperire.
La mia Piazza Capranica
Nel ’94 anche in Italia era in fase di esplosione il fenomeno del britpop, pubblicizzato in Inghilterra come nuovo
mod revival. Incuriosito, colsi la palla al balzo e andai a vedere i Blur al Palladium. Il locale era pieno e c’era un folto
e “molesto” gruppo di mods ai quali Damon Albarn dedicò
anche una canzone (“Parklife”, se non sbaglio). Io ed il mio
amico Vincenzo passavamo intere mattinate da Grafomania,
zona Trastevere-Monteverde, negozio che vendeva a prezzi ragionevoli Ben Sherman, Fred Perry e Lonsdale, gestito
dal Grinta, all’epoca tifoso di spicco della curva laziale. Fu
proprio da Grafomania che venni in possesso di un volantino
di una festa mod organizzata nel quartiere Ostiense. Io ed il
mio amico ci presentammo vestiti di tutto punto (almeno cosi
ci sembrava), ma l’impatto fu per me abbastanza scioccante, c’erano una ventina di mods ed una decina di skinheads.
Appena entrammo fummo squadrati dall’alto in basso, ma
nessuno ci rivolse parola. Io ed il mio amico passammo tutta
la serata in disparte, osservando i strani rituali e la musica
ancor più strana che veniva suonata (meno ska di quanto mi
aspettassi!).
La serata non era stata proprio indimenticabile, però cominciai a pensare alla possibilità di frequentare il giro dei
mods. Allo stadio, alcuni mods tra gli organizzatori dell’evento, mi chiesero di passare da una festa che si sarebbe tenuta al Pantheon, ma non andai. Invece a dicembre, mentre
facevo la fila presso il Distretto Militare per il rinvio, conob40
bi Giovanni detto il “Polacco”, che mi invitò alla festa di
Capodanno che organizzavano al “Tube”, in zona Barberini.
Questa volta fu convincente e decisi di andare, da solo, visto che alla mia ragazza di allora non interessavano questi
discorsi (anzi mi prendeva in giro). Alla festa c’erano circa
una trentina di mods, cinque di essi vestiti molto eleganti
e provenienti da Firenze, più altra gente “regolare”. Mi fecero tutti un ottima impressione e mi colpì la disponibilità
e cordialità nei miei confronti. Dopo quella serata mi decisi di frequentare piazza Capranica. Il sabato successivo mi
presentai e capii che piazza Capranica non era una comitiva
come le altre, ma era un gruppo omogeneo con delle regole
tutte sue e con gerarchie non scritte. Si trattava di un gruppo
molto chiuso all’esterno, chi entrava doveva dimostrare di
essere mod al 100%, chi non si adeguava era ignorato o peggio preso per il culo. Soprattutto i nuovi erano squadrati fino
all’ultimo dettaglio dai più anziani che sindacavano sulla
larghezza del risvoltino dei jeans, sui calzini usati, sul taglio
dei capelli. Tutti sembravano fomentati al massimo sul fatto
di essere mod, i discorsi vertevano su abbigliamento, musica
e su dove andare la sera (“per favore, non il solito pub!”).
Il gruppo era molto affiatato ed unito ed era innegabile che
ovunque si andava fossimo una presenza veramente diversa
e fuori dal comune. Le serate le passavamo girovagando per
le strade del centro storico, frequentando locali assurdi ed
alla costante ricerca di concerti o serate che avessero un minimo di attinenza con gli anni Sessanta (mitica fu la trasferta
organizzata casualmente per vedere la band garage romana
“The Others, a Cave, dove essendo arrivati più o meno in
chiusura concerto, costringemmo quasi con la forza la band
a continuare per almeno un’altra mezzora). La prima festa
(se cosi si può chiamare) a cui partecipai da mod di Piazza
Capranica fu a “Gli Spiriti”, dietro il Pantheon, organizzata
da Mauro: impressionante il numero dei parka che riuscirono
ad entrare dentro quel buco di locale (una stanza 5x5 m). La
festa mi piacque, però quella sera scoprii anche le divisioni
all’interno della scena romana (ancora non del tutto esplose)
e la presenza della politica come fattore disgregante.
Queste divisioni ci portarono a focalizzarci sulla scena
cittadina e a cercare di dimostrare che i mods a Roma eravamo noi. Cominciammo a frequentare il Metropolis, in zona
Barberini, in seguito rinominato “Quadrophenia”, in cui il
gestore, al piano di sotto, ci faceva mettere i cd. Per la prima
volta mi cimentai a selezionare musica, esperienza che mi
spinse ulteriormente alla ricerca di tutte le sfaccettature della
musica mod, senza mai accontentarmi di conoscere un solo
genere.
Da una parte il Polacco, Emiliano e Riccardo diedero vita
alla beat band “Invinoveritas”, io con la collaborazione di
altri diedi vita alla fanzine “I Sopravvissuti”, che fu un importante modo per farci conoscere a Roma come nel resto
d’Italia.
L’estate del ’95, insieme al Polacco, Emiliano e Riccardo,
decidemmo di passare un mese a Londra. Seppur con pochi
soldi a disposizione partecipammo a molti eventi sparsi per
la città, soprattutto serate miste, cui era possibile sentire le
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
ultime hit del britpop così come i classici mod degli anni
Sessanta. Uno di questi locali era il “Blow Up” a Camden
Town, che ci impressionò particolarmente per la qualità della musica (distribuito su due piani, quello sotto principalmente jazz e soul, quello sopra hit sixties e britpop) e per
la commistione tra mods e britpoppers, tra cui anche alcuni
dei protagonisti delle bands del momento. Avemmo anche
la fortuna di andare al compleanno del Blow Up organizzato
in un locale trendy a Piccadilly Street di ben quattro piani,
una serata indimenticabile. Un altro highlight fu il bellissimo
concerto dei Creation che facevano da spalla ai These Animal Men, band emergente dell’epoca. Abituati a queste feste
“miste”, quando andammo al Night Train, festa smart dress
organizzata dagli Untouchable (l’organizzazione mod ortodossa di quegli anni), ci sentimmo non poco inadeguati, sia
da una prospettiva stilistica che comportamentale. Eravamo
ancora lontani anni luce dai mods inglesi… Gli ultimi giorni
della vacanza andammo all’Isola di Wight per partecipare al
raduno Mod del Bank Holiday. L’esperienza fu davvero strabiliante nel vedere migliaia di scooters e mods in ogni angolo
dell’isola. Con i soldi quasi esauriti e senza un posto dove
andare a dormire, trovammo mille stratagemmi (anche illeciti) per riuscire a sopravvivere la tre giorni di raduno. Degno
di nota: dopo la serata di chiusura, partì un corteo di mods
austriaci con ancora tanta adrenalina (o altro?) in corpo, noi
ci aggregammo, e assistemmo a come i giovani austriaci cercarono di rievocare lo spirito di Quadrophenia con scene di
vandalismo gratuito (vetrine infrante e rovesciamento macchine). Senz’altro poco cool ma divertente ai nostri occhi…
Tornati a Roma, con ancora più entusiasmo di prima, eravamo convinti di darci da fare per far crescere la scena mod
capitolina e poter avere la possibilità di vivere esperienze
come quella dell’Isola di Wight anche nella nostra città. Purtroppo la situazione non era delle migliori, in quanto la divisione della scena e le difficoltà sul piano nazionale avevano
alienato la voglia di fare della vecchia guardia, contagiando
un po’ tutti. La tragica scomparsa di Gianmarco, ragazzo
straordinario, fu un ulteriore colpo per noi tutti e soprattutto
per le vecchie leve che cominciarono ad allontanarsi da feste
e piazza.
La situazione divenne particolarmente critica, in quanto eravamo rimasti solo noi ultimi arrivati, isolati dal resto
dell’Italia mod (a parte Milano, Pordenone e Genova) e senza grandi prospettive per il futuro. I meno convinti si dileguarono o si fecero vedere sempre meno, ci furono sabati
in cui eravamo 2 o 3 in piazza senza che ci fosse nessuno
spiraglio di miglioramento. In quel momento sembrò davvero che Piazza Capranica era destinata a finire, per fortuna
la testardaggine dei rimasti permise di continuare ad andare
avanti e di ricreare un gruppo con nuovi elementi validi ed
interessati per lo stile mod.
Rimini Easter Rally
Sebbene siano tantissimi i raduni mod che ho frequentato
nel corso degli anni in Italia, Gran Bretagna ed Europa in generale, le sensazioni ed emozioni dei raduni di Pasqua a Rimini rimarranno per sempre un ricordo indelebile della mia
vita, soprattutto i primi che ho vissuto insieme agli altri mod
di Roma all’“IO Club,” verso la metà degli anni ’90. Sarà
che quel mondo era ancora nuovo per me, ma quelle giornate
me le ricordo ancora con emozione e so già che difficilmente
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
potrò rivivere quella spensieratezza ed elettricità nell’aria…
Dalla capitale eravamo partiti in tanti, tante persone al primo raduno, l’entusiasmo era alle stelle fin dalla partenza. Il
rapporto che si era creato tra di noi era molto bello ed eravamo un gruppo molto compatto dove goliardia e risate non
mancavano mai.
Il boom del britpop aveva portato molta nuova gente giovane a girare nella scena e ad avvicinarsi all’universo mod.
Rimini era il raduno nazionale principale in Italia dalla metà
degli anni ’80, l’appuntamento a cui nessuno poteva mancare. Proprio grazie a questo afflusso di sangue fresco la scena
mod italiana si era un po’ risollevata dopo anni di calo, con
nuovo entusiasmo anche da parte dei più “anziani” e tanta
voglia di fare. Le serate si svolgevano in un locale bellissimo
nel lungomare di Rimini, l’“IO Club”, molto grande e con
parquet in legno per poter ballare nelle migliori condizioni
possibili.
I pomeriggi si gravitava nei giardinetti di Piazzale Kennedy (che era stato storicamente il punto di ritrovo dei mods
riminesi) o ai fantastici Bagni Nettuno, un bar rotonda sul
mare degli anni Sessanta che era il posto preferito per far ammirare il proprio scooter. Non c’era ancora l’esasperazione
dei banchetti e del mercatino (o almeno io non me li ricordo)
che vendevano roba nel pomeriggio (si potevano comprare
toppe o fanzine e basta). Gli scooter erano tanti (molti anche
dall’estero) e scorrazzavano per tutta Rimini durante il giorno. Oltre ai mods italiani il raduno attirava un gran numero
di ragazzi da tutta Europa, ma in particolare dalla vicina Austria e dalla Germania, con tante belle ragazze mod che erano
il sogno segreto di tutti noi, abituati ad una scena con forte
predominanza maschile. La musica suonata all’“IO Club”
era principalmente northern soul e r&b bianco, a posteriori
una gran selezione di classici e dancefloor fillers, ma in quel
contesto erano esattamente quello che ci voleva. Ancora non
c’era una netta divisione tra musica bianca e nera, e lo stesso dj poteva proporre all’interno dello stesso set più generi
diversi, ma riuscendo a mantenere una coerenza apprezzata
dai ballerini. Un paio di set di mod revival a serata, in cui
soprattutto i più giovani o quelli alle prime armi, che ancora
non riuscivano ad apprezzare gli altri generi, si potevano scatenare. Durante il set revival, se non sbaglio, il dj Pisaniello
di Pordenone propose anche alcuni pezzi britpop (Blur, Supergrass, Oasis) e addirittura i Green Day, riempiendo letteralmente la pista e trasformando il dancefloor in una bolgia
infernale. Dopo la serata si andava in spiaggia a provare a
scimmiottare Quadrophenia, ma alla fine si finiva di fare l’alba con una peroni in mano.
Rispetto ad oggi tante cose erano diverse, non c’erano foto
da scattare ad ogni costo per ogni cosa che si faceva, lo stile
poteva essere approssimato ma si cercava di fare del proprio
meglio fino al minimo dettaglio per risultare smart, portare
una toppa del proprio mod club aveva ancora un significato,
i mods delle altre città non si conoscevano per nome e cognome (come si fa oggi grazie a Facebook), ma il più delle
volte venivano generati soprannomi, le amicizie si creavano
e rinsaldavano solo vedendosi di persona o al massimo scri42
vendosi lunghe lettere, niente what’s app o internet. Tutto
era più spontaneo e la gente sembrava veramente convinta di
quello che faceva, ma forse sono solo i miei ricordi che con il
passare degli anni fanno diventare tutto più bello…
Dopo quei primi anni, i successivi raduni di Rimini sono
stati sì belli, ma li ho vissuti in maniera più compassata (sicuramente riuscendo ad apprezzare maggiormente selezioni
musicale ed il resto), ma consapevole che le emozioni delle
mie prime edizioni difficilmente si sarebbero ripetute.
Get Smart Roma: Roma Mod Pride
Get Smart Roma nasce nel lontano 1999 con lo scopo principale di diffondere la conoscenza dello stile mod a Roma e
di creare una comunità di gente interessata a tutto ciò che
ruota attorno al modernismo.
Tutto nacque da un idea di un nuovo mod, Giulio, che
dopo aver frequentato alcune feste voleva dare un nuovo impulso alla situazione romana cercando di creare una scena
vera e propria, con serate, appuntamenti e attività varie come
nelle altre grandi città d’Europa. La situazione a Roma non
era delle migliori, in quanto la scena era divisa e molti di
noi pensavano non fosse possibile ricreare qualcosa di valido
partendo da zero. Cominciammo quindi con appuntamenti
clandestini settimanali al pub Proud Lion di Borgo Pio, dove
invitammo tutti quelli che ancora erano interessati, cercando
anche di coinvolgere nuove persone che gravitavano nella
scena. Quello che serviva era una scossa e decidemmo quindi
di creare un evento nazionale che potesse dare un messaggio
alla scena italiana, ovvero che c’eravamo anche noi, e che
volevamo le cose fatte per bene. Chiamammo l’evento Roma
Mod Pride (che voleva scimmiottare l’evento mediatico di
quell’anno, il Roma Gay Pride), con la bellissima e originale
grafica di Giulio, con Boe dei Simpson rifatto mod dentro un
target, ed invitammo alcuni dei djs più quotati in quel periodo (Andreino di Rimini, Max di Milano). La serata, che si
svolse al “Life 85”, locale grande in zona Piaz.le Clodio e in
cui avevamo già fatto alcune serate negli anni ’90, fu un successo inaspettato, e sulle ali dell’entusiasmo riuscimmo anche a convincere i più scettici tra di noi che, rimboccandoci
le maniche, potevamo creare qualcosa di buono. Iniziarono
quindi gli appuntamenti mensili al “Groove”, locale tipo caverna nei pressi di via del Governo Vecchio, che piano piano
ci permisero di accrescere ancora di più il nostro seguito e
rifomentare vecchi mods che avevano fiutato le potenzialità
di quello che stavamo facendo.
Oltre alle serate, sfruttando soprattutto le capacità grafiche
di Giulio, abbiamo anche dato vita ad una serie di attività
parallele che hanno avuto un ruolo fondamentale nelll’accrescere il nostro giro e la nostra reputazione (a Roma ed
in Italia). Innanzitutto la fanzine “Leones Feri” che usciva
due numeri l’anno e che conteneva articoli originali che
permettevano di approfondire temi a chi si avvicinava in
maniera superficiale all’universo modernista. La newsletter
mensile “Get Smart !”, diffusa presso diversi negozi vintage
e di dischi della capitale, in cui si annuncavano i nostri ap-
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
puntamenti e si recensivano quelli passati o le ultime uscite discografiche. Inoltre internet, con la sempre più grande
diffusione di questo mezzo, ci vide protagonisti prima con
il forum “Living4Kicks” ed in seguito con il sito www.stilemod.it, che, seppur criticato da qualcuno come il “Bignami” del modernismo, dava un idea chiara di cosa si trattasse
effettivamente togliendo terreno a chi millantava storie che
con il modernismo non avevano nulla a che fare. Peccato
che il progetto fu abbandonato a malincuore dopo qualche
anno, causa “febbre” da Myspace prima e poi Facebook, ma
stilemod influenzò una larga schiera di nuovi mods che si
avvicinarono alla sottocultura con le idee chiare di cosa fosse
e cosa aspettarsi dalle serate.
La presenza ai raduni e quella online ci permisero di riallacciare i rapporti con le tante scene mod italiane, tra cui in
primis quella di Milano, di Arezzo, di Rimini, di Venezia, di
Genova, di Firenze, di Pordenone, di Perugia, di Terni e di
Teramo, con le quali sono nate forti amicizie che continuano negli anni. A metà del 2000 fummo tra i promotori della
newsletter a scala nazionale Action! (anche se di breve durata fu una dimostrazione di cosa si può raggiungere se tutti
remano nella stessa direzione).
Oltre alle serate fisse provammo anche a ripetere il successo di eventi “nazionali”, tra cui vale la pena di ricordare il
Sixties Jamaica, prima serata smart dress only in Italia, dedicata alle sonorità ska ed early reggae, che riscosse un incredibile risonanza anche oltre confine (con la partecipazione di
mods e original skins da tutta Europa). Tutte queste attività
prepararono il terreno per un ulteriore salto di qualità nella
scena mod capitolina: il Right Track.
Get on the Right Track, baby!
La serata nacque a Roma nel
Febbraio del 2005, con il fine
di offrire sonorità ed atmosfere
mod ad un pubblico più vasto ed
eterogeneo della ristretta scena
underground/sottoculturale, ma
mantenendo la credibilità ed il
rispetto guadagnati con fatica
nel corso degli anni. L’obiettivo principale era di offrire una
serata in cui la qualità musicale facesse da padrone, senza
condizionamenti commerciali
e senza scadere nel ridicolo revival.
La serata partì come appuntamento quindicinale del sabato a
“La Radio”, piccolo ma affascinante cocktail bar stile anni ’50
alle spalle di piazza Navona,
dove si riuscì a creare una bella cornice di gente ed un’atmosfera difficilmente ripetibile. Il
successo della serata ci portò a spostarci per una stagione nel
basement del “Sugar C”, a Testaccio, dove la schiera di aficionados continuò a crescere in maniera costante. Nell’aprile
del 2007 il grande passo nella splendida Galleria dei Serpenti
al rione Monti. Locale molto grande con pavimento in legno perfetto per ballare (infatti era una milonga di tango),
prezzi abbordabili, posizione strategica (il locale si trovava
in via dei Serpenti, quando il rione Monti non era ancora di
“tendenza”), gestito da persone disponibilissime che hanno
creduto nel progetto “Right Track”.
La politica musicale era orientata a dj set in vinile, di cui
tutti i resident del Right Track erano collezionisti. Il focus
esclusivo per questo supporto fonografico ha dato senz’altro
una maggiore credibilità e autenticità alla serata, in un periodo in cui uscivano fuori sempre più djs improvvisati che
utilizzavano supporti digitali come cd, computer o addirittura smartphone. Gli sforzi, sia economici che di tempo, e
la cultura musicale dietro una costante e spasmodica ricerca
di dischi, di B-side e di pezzi sconosciuti, non potranno mai
essere messi allo stesso livello del dj improvvisato che si masterizza un cd o che seleziona da un pc.
Detto questo, non volevamo neanche stare dietro alle pippe mentali di un cerchia ristretta di djs (anche questi sempre
più numerosi) che basavano tutto sulla rarità di un disco o il
suo valore all’interno dell’elite di collezionisti “nerd”, che
pur di proporre cose originali sono pronti a rischiare una pista vuota. La filosofia del Right Track era invece quella di
privilegiare il dj che ha un occhio sempre rivolto al dancefloor, proponendo il giusto mix di classici e rarità. I generi
proposti durante le serate rientravano tutti, più o meno, nel
variegato universo musicale modernista: 50s & 60s dancefloor jazz, 60s club soul, 60s & 70s
northern soul, original jamaican
ska & reggae, 50s & 60s rhythm
& blues, 50s black rock’n’roll,
beat/freakbeat/psych,
funk/
hammond grooves, latin jazz/
boogaloo.
Un discorso a parte merita
l’attività promozionale di questa
serata, dal merchandising (spillette, adesivi, magneti, tshirt,
mini-posters, il più delle volte
regalati agli aficionados della
serata) fino ai flyers preparati
da grafici di professione, che
hanno lasciato un impronta non
indifferente
all’immaginario
della serata. Inoltre, poco prima
l’inizio dell’evento serale, si organizzavano piccoli microeventi come concerti, castings per
films, sfilate, proiezioni video,
mostre fotografiche, 6ts burlesque, go go dancers, lezioni
di ballo... Tutto questo con lo
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
scopo di offrire stimoli aggiuntivi e far apprezzare il nostro
mondo in tutte le sue sfaccettature, anche a chi non ne avesse
mai fatto parte.
Il successo delle serate alla Galleria dei Serpenti ci spinse anche a fare eventi paralleli in altre situazioni: The Right
Track Goes Posh (serata di fine stagione presso l’esclusiva terrazza del famoso Joia di Testaccio), The Right Track
Vintage Alldayer (intera giornata di concerti, dj set, festa in
piscina, barbecue, mercatino e scooter competition presso
camping sull’Aurelia), The Right Track on the Beach (serate estive a Ostia, nel 2006, presso lo stabilimento Miami/
ISTAT, dal 2007 a Terracina, poi diventato il Raduno Internazionale Terracina Mod Weekender).
Negli anni la serata ha consolidato la sua credibilità ospitando alcuni dei migliori djs della scena italiana ed internazionale: Giordano Di Stasio (Tune Up, London), Phil (Sweet
but Deadly, London), Dodo (Black Trefoil, Genova), Mr
Meni (Leaning Tower Soul Club, Pisa), DJ Arnold (Soulmount, Salerno), Luca Pasteris (Cloud 9, Rimini), Trickster
(London, UK), Andrea Lembo (Original Mods Teramo), DJ
Henry (Milanomods, Milano), Andrea Parolin (Uptight Mod
Society, Vicenza), Dante Fontana (Swinging Altamura), Mr
Lele (Perugina Cool Scene, Perugia), Simone Cecca (Gambettola Soul Society, Rimini), Soulful Jules (Mods Pordenone), Carlo Campaiola (Rome City Soul, Roma) Michael
Myers (Hipsters, Trieste), Peppe (Uomo Ragno Mod Club,
Milano – Marzo 2010), Massimo Man of Mistery (Perugia
Cool Scene, Perugia) Filippo (Boogie Man R’n’B Club, Terni).
Resident djs (dal 2005 a oggi):
1) Danielino aka Baronetto (fondatore e resident dj dal
2005 a 2010): soul, funk, psych.
2) Giulio aka Pringle (fondatore e resident dj fino al 2006):
50s & 60s R&B, early soul.
3) Peter (fondatore e resident dj dal 2005 al 2010): jazz,
50s & 60s R&B, 50s black R&R, club soul, northern soul,
ska, reggae, latin.
4) Daniele aka er Protesi (resident dj dal 2005 fino al
2010): northern soul, beat, funk
5) Claudia aka Female Trouble (resident dj dal 2007 al
2008): girl groups, northern soul, beat, freakbeat, ska.
6) Leo (resident dj dal 2007 al 2010): 60s & 70s northern
soul, latin.
7) Fabrizio aka Tennista (resident dj dal 2007 a oggi): 60s
& 70s northern soul, ska, reggae
8) Davide aka Biondo (resident dj dal 2008 a oggi): 50s &
60s R&B, early soul.
Il grande successo degli eventi diede anche il via al suo
lento ed inesorabile declino. Nuove serate erano nate che
cercavano di scimmiottare o a far leva sullo stesso tipo di
pubblico, annacquando l’offerta e togliendo il focus di tutti
su un unico grande evento mensile. I numeri cominciarono a
scendere e la Galleria dei Serpenti era diventata troppo grande. Il tentativo di cambiare non sortì la stessa fortuna e piuttosto che trascinarsi con serate non all’altezza di quello che
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era stato in precedenza preferimmo chiuderla lì.
Internet & Modernismo
Era il 1993 quando creai il mio primo internet account
(gratuito, acquistando una rivista avevi 30 minuti al giorno di
accesso), il mio nome mi sembrava particolarmente innovativo, “substitute”, in onore agli Who (naturalmente andai subito a cercare siti che parlassero della mia passione sui mods,
ma le uniche fonti disponibili erano all’epoca americane). I
siti sull’argomento si contavano davvero sul palmo di una
mano, ma uno che era una spanna sopra gli altri e che fu fonte di ispirazione (fondamentale per la mia conoscenza dello
stile mod) fu The Boiler. Una vera e propria setta segreta
(era necessario iscriversi e solo se si davano le giuste risposte riguardo alle motivazioni per cui si era iscritti si poteva
entrare). The Boiler era pieno di informazioni e consigli che
aprirono i miei orizzonti verso diverse prospettive dell’essere mod, tipo arte, design, architettura, letteratura, etc.
Un secondo punto di riferimento era la “community Modernist.com” con il suo forum, prevalentemente partecipata
da statunitensi (negli USA internet già allora era ampiamente diffuso), in cui si discutevano gli argomenti più disparati
(memorabile la diatriba sulle infradito – se potevano essere
considerate mod –, o quella sul perché i mods di Los Angeles
non indossassero il parka). Anche questo forum fu una vera
e propria rilevazione, nonostante molti argomenti fossero
semplici gossip tra amici (e quindi non interessanti dal punto di vista italiano) e trattavano di avvenimenti oltreoceano,
ma validi per avere delle informazioni su vestiti e soprattutto
sulla musica (ricordo che all’epoca si distingueva per attivismo una certa soultastic, ovvero Nancy che conobbi qualche
anno più tardi). Di europei, come detto, ce n’erano pochissimi e non partecipavano quasi mai, e di italiani solo io, un
tipo di Livorno e un paio di Torino. Con il passare degli anni
internet, nel bene e nel male, ebbe un ruolo crescente nello
sviluppo della scena mod italiana. I primi guestbook diedero
il via alla possibilità di sentirsi/scambiarsi opinioni in maniera pressoché giornaliera. Tutto ciò era positivo da un certo
punto di vista, ma scatenò anche i leoni da tastiera con litigi
e polemiche continue che contribuirono ad una spaccatura
(non più solo virtuale della scena italiana, con divisioni sia
dal punto di vista musicale ma anche stilistico e di orientamenti). Seguirono gruppi di discussione o forum, che se da
un lato diedero a molti la possibilità di approfondire in maniera corretta lo stile mod, dall’altro contribuirono alla nascita di figure “mitologiche” come gli “internet mods”, ovvero
persone, che sebbene non si vedessero mai a feste o a raduni,
erano in grado di pontificare su tutto ciò che riguardava la
scena con un altezzosità non confermata dai fatti.
L’avvento dei social network (prima Myspace e poi l’epidemia di Facebook), fornivano sì agli organizzatori delle
serate la possibilità di ampliare il proprio bacino di utenza a
sempre nuovi potenziali interessati, ma hanno anche esaltato ancor di più l’individualismo e l’esibizionismo di alcuni
personaggi della scena, oltre ad annacquare per molti il senso
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
di appartenenza. I social network hanno senza dubbio dato
la mazzata finale a qualsiasi velleità di dedicarsi al narrare e
approfondire argomenti legati alla scena, come avveniva prima, quindi morte dei forum, delle fanzine, dei siti dedicati.
Clelia Lucchitta
storica modette milanese (2013, con una piccola
rivisitazione nel 2016)
I mods nascono in Inghilterra – il cui nome è mutuato dal
concetto di Modernismo – e in Italia arrivano negli anni ’60
(pochi articoli o libri menzionano quest’ultimo aspetto). Ragazzi legati alla working class che non rinunciano al loro
aspetto improntato sull’eleganza e sullo stile, ragazzi innovativi che hanno voglia di diversificarsi dal resto e da tutte le
altre correnti. La musica ascoltata in quel periodo è il jazz,
il rithem&blues, il soul e il 60s, e le band d’ecellenza sono
quella degli The Who e degli Small Faces. A metà/fine degli
anni ’70 nascono degli altri grandi gruppi musicali, come i
The Jam, The Chords, Secret Affair, The Purple Hearts, The
Merton Parkas e molti altri ancora, che daranno una preziosa
impronta al revival mod che arriva in Italia. I primi anni ’80
contribuiranno fortemente allo sviluppo del movimento modernista in diverse città d’Italia, dal nord al sud, molti ragazzi
e ragazze inizieranno a dare vita ad eventi attesissimi come
lo erano i raduni. I luoghi diventano un punto cruciale, normalmente ubicati al centro d’Italia, tra la costa Romagnola e
quella Toscana, per dare la possibilità di raggiungere le località a chiunque (tendenzialmente sul mare). Milano, la mia
città, diventa uno snodo importante, con piazza dei Mercanti
(la quale era anche un punto di incontro per i mods che provenivano dall’hinterland e da tutte le altre città), che arriverà
a contare la presenza di 80\100 ragazzi circa di età compresa
tra i 15 e i 20 anni (questo è un aspetto importante, visto che
negli anni seguenti chi si affaccerà al modernismo, normalmente avrà all’incirca più di 25 anni). Esistevano vari locali
domenicali ma ben presto nascono due club, di cui uno, il
“Disastro Unico”, mi ha dato la possibilità di esibirmi come
dj ed ha ospitato alcune band come i The mads e The 4byart
(solo a Milano, con il passare degli anni, si conteranno vari
gruppi di spicco, come i Pretty Faces, gli Impulsive Youth,
Europeans, Best Friends, Fashion Card, gli Investigators, i
Mads che si esibiscono ancora oggi, così come è attuale la
figura del musicista Mike Painter), quest’ultima diventata
la band milanese supportata ai concerti e invitata ad esibirsi
ai raduni, diventati un weekend musicale all’insegna della
condivisione delle conoscenze, delle esperienze e del divertimento. Sempre in quegli anni, nascono delle modzine, una di
queste ancora esistente è “Drynamil”, che daranno informazioni dettagliate sugli eventi musicali, così come sui gruppi o
le uscite di nuovi dischi, sia in italia che all’estero, tenendo i
Mods sempre aggiornati.
Una cosa che ho adorato di quel periodo è stato il sentirmi
parte di un gruppo, perché si era sempre in movimento tutti
insieme e si era in tanti (personalmente prediligevo le aggregazioni). Essere mod è “essere una persona libera”, libera
da ideologie politiche, fede calcistica, religiosa e da schemi
imposti. Il film Quadrophenia dà un grande spunto al look
di quel periodo, soprattutto alle ragazze. Comperare i vestiti
non è mai stata impresa difficile, e a poco prezzo si poteva
essere super eleganti acquistando ai mercatini o prendendo
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
abiti negli armadi dei genitori. L’aspetto esteriore rimane
fedele al periodo anni ’60, forse perché a livello di abbigliamento in quel periodo le stoffe e i modelli erano il top; i
mods diventeranno poi dei ricercatori di stili particolari, questo in un’epoca che spazia dai primi anni ’60 al periodo psychedelico, la ricercatezza nei piccoli dettagli darà ancora di
più un forte senso dell’estetica.
Quegli anni hanno dato l’esempio che sia possibile essere
(sempre) se stessi pur reincarnando uno stile che ancora oggi
esiste ed è rimasto fedele agli anni ‘60, così come anche le
Lambrette e le Vespe lo confermano o lo completano. Proprio perché essere mod non ha tempo, si può cogliere il meglio di ciò che è stato in ciò che probabilmente esisterà negli
anni avvenire.
Gli anni ’90 diventano produttivi, iniziano ad aumentare
i mods e le città di tutta Italia ospitano di coseguenza delle
serate, con i raduni che iniziano a diventare appuntamenti
sempre più frequenti: la passione musicale fa aumentare i
gruppi che si esibiscono, dando loro la possibilita di esprimere il loro pensiero, come con i The Pretty Face. Gli abiti
iniziano ad essere sempre più maniacali, perché ci si orienta
ai migliori sarti e nasce il club Uomo Ragno. Nel frattempo,
si inserisce la corrente Northern Soul e le serate cittadine aumentano, e con esse i djs (si iniziano anche a vedere le prime
dj donna).
Il nuovo secolo porta con sé un cambio generazionale, ma
sostanzialmente lo stile rimane sempre fedele al periodo originale degli anni ’60, incrementano i gruppi che usano la musica come mezzo diretto di espressione e di paola, le sonorità
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iniziano ad essere influenzate sempre da nuovi stili rivisitati,
come il Brit pop, o l’Indie. Una differenza è che sempre più
ragazze organizzano serate e raduni, ed in più prendono forma veri e propri gruppi femminili. Negli anni attuali, la stanziale differenza risiede nel fatto che in una città come la mia,
ci siano più possibilità di eventi in una serata che negli anni
’80. Infatti, oggi esistono molti djs, molti gruppi musicali,
molti locali e molte serate (per cui bisogna decidere a quali
rinunciare perché sono davvero tante).
Lo stile rimane un fattore importante di diversificazione
e di personalità: i mods ci sono tutt’oggi grazie anche alla
loro capacità di adattarsi al tempo (io personalmente, nel
perpetuare la cultura modernista, ho creato un momento di
aggregazione legato al cibo, denominato “ModChef”). Forse
è l’unico movimento senza tempo, perché il periodo scelto,
oltre ad essere il più bello è anche il più conosciuto, e chiunque lo ricordi lo fa con piacere. Il movimento modernista
rimane uno stile, come affermato, d’espressione, di diversificazione e di passione intesa come una qualche cosa che non
sparirà mai.
Tempo fa lessi una domanda riguardante i mods sul perché
“passano gli anni e uno stile così sopravvive”: a mio parere
la risposta è perché i mods sono sostenitori di una forte personalità, sia essa femminile che maschile.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Andrea Mattioni
Rimini (2013)
Il mio contatto con la scena Mod fu nei primi anni ’80, esattamente nel 1982, quando nell’ambiente scolastico conobbi
un Mod che mi introdusse nella scena. Da quel momento la
mia vita è cambiata ed è stata influenzata al 100%, quotidianamente, da tutto ciò che ruota attorno al mondo Modernist.
All’epoca Rimini vantava una presenza piuttosto numerosa,
anche se alle prime armi e molto isolata (infatti, non si erano
ancora avuti contatti con scene di altre aree taliane, per cui
lo stile era piuttosto improvvisato, ma eravamo molto giovani, entusiasti ed uniti). Il punto di ritrovo dei Mods riminesi
era P.le Kennedy, ed in quegli anni la scena era decisamente
molto più violenta rispetto ai giorni nostri, spesso, per tali
ragioni, ci si trovava nella necessità di dover difendere il proprio territorio ed il proprio modo di essere, di conseguenza
non era raro che scoppiassero scontri con altre realtà giovanili (e per quanto riguarda Rimini), soprattutto con Punk e
Skin, anche se poi, al sabato, frequentavano tutti quello che
era l’unico locale alternativo riminese, lo Slego, dove oltre a
musica new wave e punk, si poteva sempre ascoltare qualche
pezzo Mod (ma anche allo Slego gli scontri erano piuttosto
frequenti). Ma l’interesse principale di tutti era lo stile, la
musica, gli scooter, la voglia di vivere il nostro modernismo
al 100% e di allargare i nostri orizzonti.
Proprio nell’estate del 1982 ci furono i primi contatti con
Mods di altre città. Infatti, alcuni Mods di Milano e di Torino, avendo sentito dell’esistenza di Mods a Rimini, organizzarono una vacanza nella nostra città, Scooters e Mods
iniziarono ad arrivare per puro caso nel nostro punto di ritrovo in P.le Kennedy (a quei tempi non esistevano internet o
Fb, per cui gli incontri erano puramente casuali). Il ricordo
dell’estate dell’82 rimane un pezzo di storia della scena Mod
Italiana, durante la quale germogliarono numerose amicizie
(alcune delle quali esistono ancora oggi). Oltre che da Milano e Torino, i Mods iniziarono ad arrivare anche da altre
città come Roma, Ferrara ed altre minori, così come anche
dall’estero (Inghilterra e Francia): durante il mese di agosto
il numero della poplazione Mod di Rimini aumentò notevolmente con continui scambi di opinioni e reciproche influenze
sullo stile che furono per me fondamentali. C’era tutto un
mondo Mod al di fuori di Rimini, che non vedevo l’ora di
scoprire. Non solo numerosi Mods, ma nell’estate del 1982
decisero di passare le vacanze a Rimini anche i rinomati Rockers delle colonne di Milano (come accennato in precedenza, fino a quel momento le nostre esperienze di scontri erano
con Skin e Punk locali, e nessuno si era mai fatto male, ma
con loro – che poi in realtà erano più bickers che rockers –,
gli scontri raggiunsero un livello tutto diverso e per un paio
di settimane i tafferugli furono piuttosto frequenti e abbastanza duri, ma per fortuna si limitò tutto a qualche livido,
ma niente di rotto per nessuno (almeno dalla nostra parte).
L’usanza di Mods provenienti da tutta Italia ed anche dall’estero di passare le vacanze estive a Rimini, divvenne un’abitudine per tutti gli anni ’80, ed era già evidente che Rimini
sarebbe diventata, per svariati motivi, un fulcro vitale della
scena Mod Italiana.
Nel settembre del 1983 fu organizzato il primo prototipo di
raduno Mod riminese, anche se non ci fu un’enorme partecipazione, ma presero parte diversi Mods provenienti un po’da
tutta Italia; in realtà l’organizzazione si limitò all’invasione
del “Bandiera Gialla”, locale sulle colline riminesi che si dedicava alla musica anni ’60, era tutto un po’ disconnesso, ma
ancora una volta l’entusiasmo era tanto e da qualche parte,
dopotutto, bisognava pur iniziare.
L’anno successivo, il 1984, i Mods riminesi sentirono il
bisogno di affermare ulteriolmente la propria identità, e per
questo fu fondato il primo Scooter club locale, il “Batman
Friends Scooter Club”, che produceva anche una newsletter
informativa, la “Batboys”, ed annoverava iscritti su tutto il
territorio nazionale ed anche all’estero. Nello stesso anno,
venne anche organizzato il primo raduno “Pasquale” a Rimini, con la collaborazione della Modzine “Face” che poteva
contare numerosi contatti in tutta Italia (ancora una volta si
era piuttosto alle prime armi, anche se ci furono due serate
un po’ piu’ organizzate, in particolare la domenica sera allo
“Slego”, con il concerto degli Spider Top Mods, gruppo formato in parte dai due redattori della Modzine Face, Alfred
the Mod e Tony Baciocchi, e quello de I Modern Charms di
Roma e i fantastici Four by art di Milano). Da quell’anno il
raduno Mod di Pasqua si terrà regolarmente a Rimini, grazie
soprattutto alla collaborazione di varie persone ed organizzazioni (la collaborazione più longeva è stata sicuramente quella con la DTK, fondata inizialmente da Tony Face Baciocchi
– in precedenza appunto redattore della Modzine Face –, e
che avvoverava la presenza di Davide Olla in quel di Piacenza, poi divulgatasi in varie sedi sparse per l’Italia, tra le quali
Torino, che poco dopo prenderà in mano l’organizzazione).
Nel 1985 naque il primo locale Mod riminese, con serate
fisse settimanali, una sala nel retro di una birreria che ribattezzammo. per ovvi motivi. “Batcave”, nella quale i djs locali suonavano dischi tutti i fine settimana. Il periodo migliore
della scena Riminese fu pero’ tra il 1986 e il 1990. Dopo il
boom del 1982 il numero dei Mods riminesi scese ed il gruppo si frammentò, contando poche decine di persone rimaste a
portare alta la bandiera. Dal 1986, tuttavia, si iniziarono a vedere nuove facce in giro e nuovi Mods apparivano ogni sabato sera alla Batcave (anche il ivello stilistico era decisamente salito e tutto andava per il meglio). Purtroppo il Batcave
chiuse i battenti nel 1988, causa incomprensioni con il proprietario della birreria. Per fortuna che sempre nello stesso
anno iniziò una parte ancora piu’ importante della scena Mod
riminese: fu presa la decisione di scogliere il “Batman Friends S.C.”, ma solo per essere sostituito da un nuovo club, lo
“Smart Drivers”. La decisione venne maturata perché molti
degli iscritti al vecchio club che vivevano nella zona, avevano abbandonato la scena (come anticipato il “Batman Friends” annoverava anche iscritti in tutta Italia ed all’estero), così
che i nuovi Mods arrivati tra l’86 e l’88 non si sentivano
rappresentati da questo club. Le differenze fondamentali tra
i due erano che lo “Smart Drivers” aveva iscritti unicamente
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
di Rimini e zone limitrofe, in pratica rappresentava al 100%
la nostra scena, ed inoltre non c’erano presidenti, segretari
etc. Era una specie di cooperativa nella quale tutti mettevano
soldi quando si decideva di fare qualcosa (pezze, magliette,
etc.). Inoltre lo S.D era anche All Mod Scooter club.
Eravamo orgogliosi della nostra scena locale e volevamo
che fosse facilmente identificabile, tutti gli iscritti avevano
lettere adesive SDSC nel retro del casco, in modo che, durante scooter runs a raduni vari fosse evidente chi eravamo. Anche lo “Smart Drivers” aveva un bollettino informativo “See
me back (at the origin)”, ancora una volta a sottolineare la
nostra passione per la scena Mod originale, il R’n’B, il Soul,
il Jazz, gli scooter d’epoca e i vestiti eleganti. Nell’arco di
questi anni il numero dei Mods locali che aderivano allo S.D.
aumentò a vista d’occhio, fino a contare un numero massimo
di 85 iscritti (non male per una città di provincia).
Tra il 1988 e la metà degli anni ’90, locali dove lo S.D.
organizzava feste furono innumerevoli (il “Passepartout”, il
“Club 2”, l’ “Hills Tavern”, lo “007”, solo per menzionare i
più importanti). Il 1989 vide anche la nascita del primo gruppo Mod locale, i “Wasted Time”, di cui inizialmente ero il
manager. Dediti principalmente al British R’n’B e con una
gran presenza scenica, arrivarono molto presto all’attenzione
della scena Mod italiana, fino a pubblicare un singolo ed un
album negli anni a venire. Lo “Smart Drivers” fu anche coinvolto nell’organizzazione di altri eventi internazionali, come
l’“Autumn Stone Mod Weekender” a Cattolica, ma l’evento
più importante rimane sempre il raduno di Pasqua. Raduno
che può vantare un record assoluto: non esiste altro raduno
Mod al mondo che è andato avanti consecutivamente per 30
anni, senza interruzione. Proprio quest’anno, durante la Pa48
squa del 2014, si celebrerà il trentesimo anniversario, che
vedra’ anche la fine di questo storico raduno (si è presa la decisione di sciogliere lo “Smart Drivers” con l’organizzazione
dell’ultimo “Italian Job” per svariati motivi, non ultimo il
fatto che ormai vivo in UK da diversi anni): questo raduno è
stato parte integrante della mia vita, ero nell’organizzazione
del primo, nel 1984 a 17 anni, e non ne ho saltato uno fino
ad oggi (inoltre, aggiungerei che diverse persone si sono alternate insieme a me, non posso e non voglio assolutamente
prendermi tutto il merito, tutti sono stati fondamentali con il
loro aiuto, ed il raduno è cresciuto negli anni, diventando uno
degli eventi Mod più quotati in Europa, grazie all’impegno
condiviso, ma soprattutto grazie alla partecipazione di centinaia di Mods).
Dalla sua nascita il raduno si divulgò ben presto in tutta Europa tramite varie Modzines (internet non era neanche
fantascienza all’epoca), e molteplici Mods, provenienti da
diverse nazioni, iniziarono a prendere parte (principalmente Germania, Austria e Francia, ma a volte anche Svizzera,
Spagna, Inghilterra, etc.). Consapevoli del fatto che il raduno
stava seguendo altre direzioni, passando da una scena nazionale ad un livello internazionale, anche le scelte iniziarono
ad adeguarsi di conseguenza (la scelta in termini dei locali
che ci ospitavano divenne piu’ meticolosa, dovevano essere
adatti, offrire il giusto spazio, i giusti prezzi, la giusta atmosfera, e la nostra esperienza nel riuscire a fornire tutti questi
ingredienti cresceva con il passare del tempo). Purtroppo per
arrivare ad un buon risultato ci sono voluti anni, all’inizio
buona parte dei partecipanti era formata da Scooter boys e
SkinHeads (la versione anni ’80, non gli original), questi
ultimi in genere venivano solo per creare problemi e le se-
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
rate finivano spesso prima del previsto. Nel corso degli anni
furono provati tanti espedienti, come ad esempio l’ingresso
solo con biglietto, ma l’unica cosa che ha sempre funzionato,
seppur difficile da mettere in atto, è stata la selezione “Smart
Mod Dress” all’ingresso, questa ci dà una giustificazione per
lasciare fuori ospiti indesiderati e permettere ai Mods che
arrivano da tutta Europa di passare una bella serata con la
giusta atmosfera. Nel corso degli anni, il raduno ha ospitato
i migliori gruppi e djs, sia italiani che esteri, la lista è veramente troppo lunga da elencare, ma la qualità durante con il
passare del tempo è salita, cercando sempre di stare ai passi
con l’evolversi della scena Mod, a volte anche anticipando le
nuove tendenze.
Verso la seconda metà degli anni ’90 volevamo dare uno
specifico nome a questo raduno, che fino ad allora si chiamava semplicemente “International Mod Rally”. L’idea iniziale
fu di seguire un tema di film dei 60’s, molto popolari nella
scena Mod, e per questo si iniziò con “Italian Job”, per poi
passare a “Blow Up”, ma ci rendemmo conto che, per rimanere nella testa della gente e continuare a far parlare di
sè, la cosa migliore sarebbe stata avere un unico nome, da
pubblicizzare nei mesi precedenti il raduno, il nome che ci
sembrava più adatto era appunto “Italian Job”, a dimostrazione di un lavoro tutto italiano che strizzava l’occhio alla
scena Europea, usando appunto il nome di quello che è un
cult movie per tutti i Mods (ovviamente mi riferisco alla versione originale con Michael Caine, non al rifacimento del
2003). Esattamente con questo nome che il raduno di Rimini
si farà conoscere come uno dei maggiori eventi globali della
scena Mod. L’organizzazione di un evento di livello internazionale non è una cosa semplice e bisogna essere preparati
a critiche e problemi vari, ma personalmente sono assolutamente soddisfatto e orgoglioso di aver dedicato tutti questi
anni a questo appuntamento, consapevole del fatto che la sua
esistenza ha sicuramente supportato ed alimentato la scena
Mod italiana ed europea.
Modernismo al sud
Intervento di Ciccio Ficco dei “Lager”, Cosenza (2014)
Nella Cosenza degli anni 80, quando ho iniziato a suonare
con una band formata da appassionati di punk rock, non si
sapeva nulla dei Mods e tanto meno del Modernismo. Non
sapevo neanche che il singolo dei Jam The modern world,
che avevo comprato per la copertina (all’epoca la scelta di
molti dei dischi che compravo si basava su questo parametro), in Inghilterra era già una specie di inno per tutti i mods.
Purtroppo la stampa italiana dell’epoca non aiutava di certo.
Ma grazie agli Who e Pete Townshend, ai Jam e Paul Weller, ho cominciato a comprendere alcune differenze di stile
musicale (ma non solo).
Sempre nel 1980, anno in cui decidemmo di differenziarci
dalle altre band locali, adottammo lo stile mod anche e soprattutto nel look. Ma in realtà, nei Lager, eravamo solo io
ed Oreste, i mods: look, taglio di capelli, e vari badges con
relativo mod target erano sempre visibili a tutti. Ci dovevamo differenziare!
Il bello è che eravamo convinti che nessun altro gruppo
musicale italiano avrebbe mai abbracciato questa filosofia di
vita “controcorrente”, che dopotutto era nata 20 anni prima
ed era stata resa nota dagli Who con la loro musica, i loro
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
testi ed il loro look. Per noi era anche come una specie di
eredità ricevuta, e dunque da portare avanti e cederci!
Gli Who usavano chitarre Rickenbacker, i Jam pure, quindi anche io dovevo averne una! Oltretutto ritenevo fosse l’unica chitarra con estetica e suono giusto (ed in effetti la penso
sempre così anche 30 anni dopo!), che mi ha permesso di
esprimere tutta la rabbia che avevo dentro da giovane. Ormai
la Rickenbacker 330 è divenuta un’icona modernista!
A questo punto, avrete capito che come mods eravamo
completamente isolati dal resto del paese. Ma una volta entrati in contatto con gli altri mods italiani, grazie all’opera di
“unificazione” che Tony Face fece tramite la sua ottima fanzine Faces, abbiamo suonato e partecipato a diversi raduni e
serate a tema Mod organizzate in Italia, prevalentemente al
Nord. Ma prima di uscire dai confini della Calabria era tutto
un continuo ricercare dischi, giacche a tre bottoni, scarpe ed
altro materiale che si potesse avvicinare alla cultura mod!
Parlare di scena mod al sud negli anni ’80 è abbastanza
metaforico. Per quel che ne so eravamo noi tre Lager di Cosenza più un ragazzo che andò successivamente a vivere a
Milano, oltre ad una manciata dalla Puglia (Taranto e Bari)
a tenere alto il nome. Il nostro look era molto ricercato, al
punto da essere quasi sempre in competizione tra noi su chi
trovava i capi più attillati rispettando i canoni stilistici modernisti.
Per quel che mi riguarda le bancarelle del mercato all’aperto sul Lungo Crati, a Cosenza, mi hanno servito più che
egregiamente e a prezzi minimi, consentendomi di acquistare
un guardaroba di tutto rispetto e di cui ancora conservo alcune giacche di ottima fattura di provenienza tedesca. Insomma
,tutto nel rispetto del vero mod working class che si veste con
quattro soldi e che di conseguenza acquista un aspetto molto
più cool agli occhi dei propri amici e compari!
Un’altra passione erano le camicie con i motivi paisley o a
righe. Ma fu a Torino, in occasione del concerto che tenemmo nel marzo 1985, che acquistai al mercato del Balloon una
cravatta molto stretta con disegni paisley di colore verde e
porpora, che ancora oggi uso!
Quel’occasione fu un evento eccezionale per la scena
modernista, anche perché all’epoca i concerti dei gruppi
emergenti italiani non erano molti. I mods di piazza Statuto
avevano volantinato per le strade della città promuovendo
la serata: ho ancora il flyer fatto da loro stessi, e ne ho collezionati di diversi in altre occasioni. Il Metrò di via Gioberti (al numero 33) era strapieno! C’era anche una larga
rappresentanza di gruppi rock cittadini, come Slep e Guido
(Party Kids), Maurizio Rubinetti (batterista dei Sick Rose) e
naturalmente gli Statuto al completo. Fu un live memorabile,
talmente tanto infuocato che il gestore del locale mi implorò
di far calmare i mods presenti che erano sfrenatissimi, ed io
stesso non avevo mai visto nulla di simile! Ricordo che all’epoca, parliamo del 1985, eravamo musicalmente abbastanza
duri e veloci, ciò che effettivamente i mods si aspettavano da
un gruppo per ballare e divertirsi!
Al Sud di raduni o feste se ne sono viste davvero poche,
se si escludono i concerti dei Lager e The Act, (quest’ulti50
mo l’unico altro gruppo del genere mod esistente quaggiù).
Va citato, al riguardo, il live che si organizzò in piazza della Vittoria a Taranto, davanti a più di 1000 persone e con
mods venuti anche da Bari per assistere al concerto, vedi foto
[l’intervistato fa riferimento alle foto dell’epoca che hanno
documentato l’evento, non presenti nell’iconografia, N.d.a.].
Vi era anche una fanzine, fatta da Fabrizio Carrieri, e durata
solo 2 numeri, dal nome Upclass!
Per il resto ci vedevamo soprattutto a Taranto, dove i miei
nonni materni erano strafelici di ospitarmi. Allora avevo 20
anni dopotutto. Va anche detto che negli anni successivi agli
’80 ci siamo rivisti, a sprazzi, ma sempre con gran piacere
di ritrovarci.
Nel 2005 invece incontrai per puro caso dei ragazzi di Catanzaro che avevano un gruppo chiamato Walletts, con brani
originali ed un’ottima grinta live unita ad una buona predisposizione compositiva, nonostante la loro giovane età. Purtroppo, dopo aver cercato di promuoverli e produrli per farli
conoscere in giro, hanno smesso di suonare per motivi legati
allo studio. Di loro conservo diversi demo. Così come conservo il demo di un gruppetto ancora più effimero, scoperto a
Cosenza intorno al 1999, gli Strauss, più legati al sound Brit
Pop di Oasis e Blur.
Come Lager gli eventi più importanti ai quali abbiamo
preso parte sono stati l’Alldayer Gianni Minà Fuck You, organizzato a Roma nel Dicembre 1983: ci esibimmo due sere
di seguito, insieme a gruppi come Underground Arrows di
Roma, Brighton 64 provenienti da Barcellona e Small World
dal Regno Unito. Sul palco era anche prevista un’altra band
di punta della scena mod italica, i Four by Art di Milano, ma
per motivi che ora non ricordo, non fu loro possibile partecipare. In questa occasione conobbi Tony Face, i mods di
Torino che erano i migliori fans che potessimo avere, quelli
di Roma, Genova e Milano. Oltre al famoso Eddie Piller,
promotore della scena londinese e produttore di band quali i
Prisoners. Il buon Eddie ci vide anche a Milano insieme al dj
Tony Class agli inizi del 1984, dove si tenne un altro evento
che finì in maniera molto burrascosa, con rissa annessa tra
gli skinheads di Milano ed i mods inglesi intervenuti alla festa: successe un putiferio, come documentato dai quotidiani
dell’epoca. Noi ce la filammo prima dell’arrivo della polizia
insieme ai Coys di Reggio Emilia, conosciuti la sera stessa.
Un bel live fu anche quello al “Raduno di Viareggio” nel
1984, che si tenne però al Victor Charlie di Pisa. Prima di
noi, che eravamo headliners, si esibirono sul palco i Soul
Party di Bologna e gli Statuto di Torino. Suonammo anche
al Casalone di Bologna, ora denominato Il Covo, davanti ai
mods locali. A questo punto, nei Lager, le contaminazioni di
nuove band quali Church e Barracudas si facevano sentire,
anche se di fondo abbiamo sempre avuto un approccio molto crudo e diretto dal vivo, alla Jam per intenderci, essendo
giusto in tre.
Abbiamo visto treni fetenti, fatto migliaia di chilometri in
auto e non… Erano tempi ancora duri per i gruppi che suonavano musica rock in Italia…
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
Daniele
Mod abruzzese, organizzatore dell’Underground Blues
Festival (2014)
Inizialmente il nostro punto d’incontro, sin dai primissimi
anni ’90, era lo stadio, in cui a modo nostro ci sentivamo
“modernisti”, dietro uno striscione, in jeans bianco e con una
scritta rossa a caratteri cubitali MODS. Davvero era difficile
per noi reperire maggiori informazioni su questa “sottocultura”. Eravamo fomentati dalla visione di Quadrophenia e
dagli album degli Who. Un giorno ci passò tra le mani un
giornaletto, “Hooligans”, e veniamo a conoscenza di un raduno Mods che si svolge a Rimini nel periodo di Pasqua. Che
si fa? Si parte, facendo avanti e indietro tutto in un giorno
(24 ore svegli). Torniamo con molti contatti, acquisti e tante informazioni. Il mostro modernismo fatto di Fred Perry,
Adidas Samba e jeans stretti si stava evolvendo. Ci presentiamo in massa ad una serata a Roma, al “Raduno dei cesari”
(maggio 1993), vestiti decentemente, ed uno dei gruppi live
è di Teramo i “Relics”, del front man Alessandro, all’epoca
un Mod in pieno stile Quadrophenia. Rientriamo a casa con
tantissimo entusiasmo.
Organizziamo anche un concerto a Teramo degli Immaculates di Vicenza per il puro piacere personale (infatti ci fu
pochissimo seguito, ma noi eravamo felici di aver portato la
nostra musica in città).
Gli anni passavano e qualcuno di noi credeva più nello
stadio ed altri più all’essere Mods, e così, per differenziarsi
dagli Ultras (il gruppo Ultras si scioglierà nel 2000), si crea
un gruppo denominato Original Mods Teramo. Il biglietto
da visita degli OMT è la modzine “The Other Face” (l’al-
BIBLIOGRAFIA
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Benvenga L., “La sottocultura ‘cool’ d’oltremanica. Immagini e stereotipi del Modernismo in Gran Bretagna”, in I
percorsi dello sguardo. Rapporti tra dimensioni visive e altre
discipline, (a cura di) Ornella Castiglione, pp. 56-62, Roma,
Scienze e Ricerche, ISSN 2283-5873, n 23 Febbraio 2016.
Bollon P., Elogio dell’apparenza. Dai Merveilleux ai
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Gazzara G., Mods. La rivolta dello stile, autoproduzione,
2014.
tra faccia dei Mods di Teramo che esordisce nel capodanno
Mods organizzato a Reggio Emilia nel 1998). Ne vengono
stampate meno di 50 copie, copertina in bianco e nero fatta con una bellissima foto della mamma di Roberta e Francesca (attuali membre e fondatrici), con le stampe vanno a
ruba. L’entusiasmo e l’accoglienza riservataci ci portano in
un anno a realizzare 4 numeri, festeggiando il primo anno
di vita di TOF con l’organizzazione, in data 4 dicembre del
’99, del primo vero evento Mod teramano, appunto “Buon
compleanno The Other Face”, e raccogliendo una sessantina
di ragazzi provenienti sopratutto dal centro Italia (Marche,
Arezzo, Roma, Taranto, Milano, Rimini, Imola, con Mazzeo
che venne da Torino attraverso un lungo viaggio ed ospite
a casa di Daniel). Furono fatte le cose in grande, concerto
dei Victorians (espressione massima all’epoca come gruppo
Mods) e ben quattro dj, Leonardo di Matelica, Andreino di
Rimini, Luca di Arezzo e Fulvio di Roma.
Evento riuscito ed apprezzato, tanto da essere ancora vivo
con il nome di Underground Blues. Il nuovo punto di incontro era l’Escobar in via Carducci, dove dividevamo il nostro
spazio con i ragazzi della Curva Est e tanti Skinhead, a volte
la via sembrava Carnaby Street per quante sottoculture ci vivevano. Sempre all’Esco (così lo chiamavamo) fu organizzato il primo Soul Food, l’aperitivo musicale innaffiato da
tanto ma tanto Camperos (Campari e spremuta d’arancia),
l’aperitivo inventato da Marco Escobar e chiamato così in
onore degli stivali Camperos che Marco portava sempre. Fin
qui è la nostra storia, nel 2000 inizia la nostra vera e propria
evoluzione diventando una delle scene più rispettate e riconosciute tutta Europa.
Giammarinaro O., Il migliore dei mondi possibili, Collegno, Stile Consigliato, 2001.
Gillis J.R., I giovani e la storia. I comportamenti giovanili
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51
MEDICINA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
L’inesauribile sviluppo delle nosologie,
tassonomie e nomenclature. L’esempio
dei tumori cerebrali
DAVIDE SCHIFFER1,2, LAURA ANNOVAZZI2, MARTA MELLAI2
1 Professore Emerito di Neurologia, Università di Torino
2 Centro Ricerche, Fondazione Policlinico di Monza, Vercelli
L
a nosografia dei tumori cerebrali, nata nel
secolo XIX ad opera di Virchow nel quadro della costruzione delle grandi nosologie
della Medicina, si è evoluta con il continuo avanzamento scientifico, riflettendo il
progressivo sviluppo delle conoscenze su queste malattie
di prognosi infausta. Oggi, con le moderne possibilità terapeutiche e tecnologiche possiamo contare su di un maggior numero di guarigioni o sull’allungamento del periodo
di sopravvivenza dalla diagnosi o dall’intervento per molte
neoplasie. Purtroppo per alcuni tumori – in primo luogo il
“glioblastoma multiforme”, il più maligno dei gliomi – la
prognosi e la sopravvivenza non sono cambiate molto negli ultimi cinquant’anni, nonostante gli accaniti tentativi in
campo biologico, molecolare, chirurgico, neuroradiologico e
radio- chemio-terapeutico.
A partire da allora, ogni nuova acquisizione scientifica
sui tumori cerebrali accrescendo le nostre conoscenze si è
riflessa sull’evoluzione della loro nosografia che ha dovuto
necessariamente contenere la loro eziologia e prognosi. Per
i gliomi questo si è tradotto in una migliore possibilità di
trattamento, ma scarsamente per il “glioblastoma” dove ci ha
condotti soltanto a capire le cause del suo mancato controllo
locale.
Se volgiamo lo sguardo al passato e risaliamo ai primi approcci scientifici al problema dei tumori cerebrali, constatiamo che la loro nosologia e tassonomia sono state all’inizio
l’unica meta della ricerca scientifica, in omaggio all’etimologia dei due vocaboli: νόσος, “malattia” e λόγος, “discorso” e tassonomia, ταξις, “ordinamento” e νομος, “norma o
regola”. Il loro perfezionamento è stato per lungo tempo il
bersaglio del relativo progresso scientifico, non potendone
avere identificati altri. A cavallo fra il XIX e il XX secolo
la nosografia rappresentava l’unica possibilità di conoscenza etiologica, in linea con il principio linneiano del nomina
si nescis perit et cognitio rerum in cui denominare voleva
dire conoscere, oggi diremmo nel quadro dell’assunzione del
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mondo esterno secondo categorie linguistiche (Sapir-Whorf)
e ispirandosi alla ricerca di leggi atemporali e astoriche che
per questo motivo erano valide. Ricordiamo la visione aristotelico-cristiana di Linneo, statica e perfetta, di una natura
creata e il detto Species tot numeramus quot a principio creavit infinitum ens. La scienza ottocentesca, che pur aveva ottenuto grandi successi, era orientata a trovare verità universali
che consentissero di separare il permanente dal transitorio e
raggiungere così la razionalità scientifica e questo rappresentava il massimo di conoscenza che si potesse raggiungere.
In realtà, in assenza di qualsiasi possibilità terapeutica, il
sistema classificatorio rispondeva ad una necessità pratica
che era, in embrione, la previsione di sopravvivenza che si
poteva fare in base alla morfologia del tumore. Il primo tumore intracranico fu operato a metà dell’ottocento e per lungo
tempo l’ablazione chirurgica stata l’unica e incerta possibilità
terapeutica, rappresentando quindi la previsione di sopravvivenza il massimo raggiungibile dal progresso scientifico. Un
progresso in questa direzione sarà poi rappresentato dall’avvento delle classificazioni cosiddette istogenetiche della prima metà del secolo scorso (Bailey e Cushing, 1926), ispirate
agli sviluppi dell’embriologia, che riconosceranno ai gliomi
umani l’origine dalle cellule immature di glia e porranno la
distinzione fra maligno e benigno sulla base dell’immaturità
degli elementi cellulari costituenti. La prognosi delle forme
tumorali si andrà poi affinando con l’approfondimento del
fenotipo, il progresso della Neurochirurgia, della Radioterapia, Chemioterapia etc. Come la classificazione delle piante
di Linneo, pur evolvendosi con l’inclusione dei nuovi dati
scientifici, soprattutto di genetica, ha mantenuto la nomenclatura ispirata ai vecchi taxa che è rimasta valida tutt’oggi,
così la classificazione dei tumori cerebrali si è enormemente
arricchita, mantenendo le basi embriologiche e in gran parte
anche la nomenclatura di un secolo fa.
Fin’oltre la metà del secolo scorso, la classificazione dei
tumori cerebrali rappresentava pertanto il capitolo più importante e complesso della Neuro-oncologia, basato quasi
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | MEDICINA
esclusivamente sulla patologia e in continua evoluzione. I
neurochirurghi e neuroradiologi guardavano infatti con diffidenza ai neuropatologi che sembravano i soli possessori
dell’arcano della classificazione dei tumori in continuo arrangiamento. L’aforisma era: il neuroradiologo diagnostica e
il neurochirurgo opera un tumore che solo il neuropatologo
sa cos’é.
Successivamente con lo sviluppo dell’immunologia e
dell‘mmunoistochimica, nonché della genetica e biologia
molecolare, alla conoscenza del fenotipo si aggiunse quella
del genotipo che consentì un’analisi molecolare dei tumori,
capace di produrre informazioni non solo utili ai fini di un
affinamento diagnostico e quindi classificatorio, ma anche
di porre la terapia post-chirurgica su razionali molecolari:
il riconoscimento di pathway e step molecolari favorenti o
sfavorenti la progressione e crescita del tumore, la loro disattivazione o attivazione mediante inibitori, anticorpi, costrutti retro-virali etc fino alla individuazione e sfruttamento terapeutico delle cellule staminali, i microRNA, per non
parlare dell’importanza crescente dell’epigenetica. Oggi il
mostruoso sviluppo della biologia e genetica molecolari e
di biotecnologie associate sta modificando la diagnostica dei
tumori e quindi la loro classificazione, con il riconoscimento
di sotto-varietà fenotipicamente indistinguibili, affinando le
prognosi e anche le possibilità terapeutiche. La Neuro-oncologia inoltre si è espansa per l’acquisizione di nuove tecniche
chirurgiche (stereotassi, MRI intraoperatoria), radiologiche
(MRI a diffusione, funzionale, a perfusione, spettroscopia,
PET), radioterapiche (RT conformazionale, uso di protoni,
metalli pesanti), chemioterapiche (agenti anti-blastici, inibitori, anticorpi, costrutti retro-virali) e assistenziali che hanno
accompagnato una vasta sperimentazione su modelli animali e si sono grandemente avvalse dello studio delle cellule
staminali. Di grande aiuto è stato anche il perfezionamento
della valutazione matematico-statistica delle variabili, comprese le sopravvivenze (OS = sopravvivenza generale e PFS
= progression free survival).
Le modificazioni della nosografia hanno visto la scomparsa dalla nomenclatura di tipi o varietà tumorali e la comparsa ex-novo di altri e il raggiungimento di diagnosi integrate
morfologico-molecolari. Soprattutto dati di biologia molecolare e di immunologia, entrati nella nosografia dei tumori
e associati all’informatica computerizzata, sono ampiamente
utilizzati in tentativi terapeutici, con il fine di rendere possibile una terapia personalizzata, ritagliata sulle componenti
nosografiche e biologiche generali, diretta al ritrovamento di
algoritmi adeguati.
Una rapida analisi ci consente di rilevare dall’esame dei
trattati sui tumori cerebrali che si sono susseguiti nel tempo a partire dall’inizio del secolo scorso (Bailey e Cushing,
1926; Zülch, 1956; Russell e Rubinstein, 1977-89; Schiffer,
1993-97; WHO, 2000-2007) come nuovi tipi tumorali si siano aggiunti, ad esempio: il tumore neuro epiteliale disembrioplastico, il liponeurocitoma cerebellare, il tumore glioneurale papillare, il tumore glio-neurale formante rosette del
IV ventricolo, il tumore papillare della ghiandola pineale.
Altri tipi tumorali sono scomparsi, ad esempio: lo spongioblastoma polare, distribuito oggi fra oligodendroglioma ed
ependimoma, il miomedulloblastoma. Altri ancora hanno
visto modificata la frequenza, come quella dell’astrocitoma
diffuso a favore dell’oligodendroglioma. Altri tumori ancora
sono diventati dubbi o sono scomparsi, ad esempio l’oligoastrocitoma e l’astroblastoma, o si sono suddivisi in sottotipi,
come lo stesso glioblastoma multiforme. Fra le varie amplificazioni, delezioni e mutazioni geniche, sono da includere
le ultime, quelle derivanti dallo studio delle metilazioni di
MGMT (metilguanina-DNA-metiltransferasi, delle mutazioni di IDH (isocitrato-deidrogenasi) e di ATRX (alpha-thalassemia/mental retardation syndrome X-linked expression)
che hanno condotto alla cancellazione dell’oligoastrocitoma
(Reuss et al, 2015) e alla modificazione dei confini fra astrocitoma ed oligodendroglioma.
A questo punto si impone una considerazione generale che
vale oggi per tutte le tassonomie e si ispira alla concezione
relativistica della scienza moderna (Hanson, 1978; Kuhn,
1999; Popper, 2010) secondo cui questa è storica e temporale, non giunge a verità assolute; essa avanza non per stratificazione di dati nel tempo, ma attraverso il cambiamento dei
parametri. Il dato scientifico è cioè transeunte e temporaneo,
storicamente determinato. Tutto ciò si è compendiato nella “sfida della complessità” (Morin, 2007; Bocchi e Ceruti,
2007) che conduce all’accettazione di un “pluralismo sistemico” di sistemi complessi come sono quelli biologici, in opposizione all’”invisibile semplice” che tende all’atemporale
e astorico e cioè al divino dei sistemi semplici in cui c’è equivalenza fra input e output. L’apertura ai sistemi complessi,
ricchi di contingenza e includenti il principio antropico (Barrow e Tripler, 2002), sostenuta dai tre grandi rivoluzionari,
Copernico, Darwin e Freud (Ceruti, 2014), stabilisce la fine
dell’onniscienza (Ceruti, 2014) ed esclude la validità assoluta di ogni classificazione, storicizzandola.
Le modificazioni della nosografia, frutto di ricerche nei
vari ambiti, non comportano una modificazione della realtà
biologica. Il νοούμενoν o la “cosa” di Kant è irraggiungibile
ed è esperita attraverso il linguaggio e modificata nel come si
presenta all’osservatore dal mezzo usato per studiarla (Schiffer, 2011). Siamo sempre più consapevoli di questa mediazione e di trovarci in un dominio cognitivo e di interpretare le
relazioni inter-fenomeniche sulla base del principio di causa
ed effetto. In opposizione al naturalismo puro e semplice,
prevale oggi l’approccio fenomenologico in cui ha importanza la struttura dell’esperienza (Husserl, 2007; Gallagher
e Zahavi, 2012) e viene incluso il nostro “pregiudizio” che
dipende dal nostro vissuto (Gadamer, 2001). L’unica validazione del dato da noi prodotto sarà data dall’intersoggettività
scientifica, che è regolata dai transeunti parametri vigenti
(Schiffer, 2011) e dalla loro operatività nel miglioramento
del nostro vivere (diagnosi, prognosi, durata più lunga delle
sopravvivenze o guarigioni).
E’ da prevedere che la nosografia dei tumori cerebrali,
come tutte le nosologie, evolverà all’infinito a mano a mano
che le nuove acquisizioni scientifiche renderanno i parametri
53
MEDICINA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
vigenti non più validi. La nomenclatura potrà durare più a
lungo, ma dovrà pur sempre essere rappresentativa di tutte le
caratteristiche della neoplasia.
LETTURE PERTINENTI
Bailey P, Cushing H. classification of tumors of the glioma
group on a histogenetic basis with a correlation study of prognosis. Lippincot, Philadelphia, 1926.
Barrow D, Tripler FJ. Il principio antropico. Adelphi, Milano, 2002.
Bochi G, Ceruti M. La sfida della complessità, Mondadori,
Milano, 2007.
Ceruti M. La fine dell’onniscienza, Studium, Roma, 2014.
Gadamer HG. Verità e metodo. Lineamenti di un’ermeneutica filosofica. Bompiani, Milano, 2001.
Gallagher S, Zahavi D. La mente fenomenologica- Filosofia della mente e scienze cognitive. Raffaello Cortina,
Milano, 2009.
Hanson NR. I modelli della scoperta scientifica. Feltrinelli,
Milano, 1978.
Husserl E. Fenomenologia e psicologia. Filema, Napoli,
2007.
Kuhn S. La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Einaudi, Torino, 1999.
Mandelbaum D. Selected writings of Edward Sapir in language, culture and personality. California University Press,
Berkeley, Los Angeles, 1949.
54
Morin E. La sfida della complessità. Le défi de la complexité. Le Lettere, Firenze, 2011.
Popper K. Logica della scoperta scientifica. Il carattere
auto correttivo della scienza. Einaudi, Torino, 2010.
Reuss DE, Sahm F, Schrimpf D, Wiestler B, Capper D.
ATRX and IDH1-R132H immunohistochemistry with subsequent copy number analysis and IDH sequencing as a basis
for an “integrated” diagnostic approach for adult astrocytoma, oligodendroglioma and glioblastoma. Acta Neuropathol. 2015; 129(1):133-46.
Russell DS, Rubinstein LJ. Pathology of tumours of the
nervous system. Arnold, London, 1989.
Schiffer D. Brain tumors. Pathology and its biological correlates. Springer, Berlin-Heidelberg-New York, 1993.
Schiffer D. Brain tumors. Biology, Pathology and clinical
references. Springer, Berlin-Heidelberg-New York, 1997.
Schiffer D. Attraverso il microscopio. Neuroscienze e basi
del ragionamento clinico. Springer, Milano, 2011.
Louis, DN; Ohgaki, H; Wiestler, OD; Cavenee, WK.
WHO Classification of Tumours of the Central Nervous System, International Agency for Research on Cancer (IARC),
Lyon, France, 4th edition, 2007.
Whorf B. Language, thought and Reality: Selected Writings of Benjamin Lee Whorf. Technology Press of Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Mass, 1997.
Zülch KJ. Brain tumours. Their biology and pathology.
Springer, New York, 1957.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | CITTADINANZA EUROPEA
Cittadinanza europea
A CURA DI ANGELO ARIEMMA
Centro di Documentazione Europea Altiero Spinelli, c/o Sapienza Università di Roma
Altiero Spinelli e il
Manifesto di Ventotene
essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di
vita”1. Così si apre il Manifesto. Parole sicuramente ispirate
da Spinelli, con questo accento posto sulla libertà dell’uomo,
tema al quale la stessa dimensione esistenziale di Spinelli
ha dedicato ogni atto e ogni particella di sé. Nella disamina
esperienza della guerra, la riflessio- della crisi in cui le stesse forze create a difesa di questa line politico-filosofica maturata negli bertà individuale (nazione, stato, pensiero critico), ne hanno
anni di carcere e di confino, ispira- invece conculcato ogni possibilità di espressione, sfociate inno a Spinelli e ai suoi compagni una fine nei regimi totalitari che hanno dominato l’Europa nella
concezione del tutto nuova dell’im- prima metà del ventesimo secolo e nella guerra mondiale, è
già l’anelito a una nuopegno che dovranno
va liberazione, che le
profondere nella nuovicende della guerra e
va Italia.
la resistenza dei popoli
Una guerra totale,
oppressi, prefigurano
che ha visto distrutti i
prossima e foriera di
vecchi modelli di Stato
nuove opportunità.
e sopraffatto le Nazioni sotto il giogo naziQui si pone la possibilità di un nuovo cufascista, deve proporre
neo rivoluzionario: la
un radicale ripensacrisi generale, dovuta
mento delle categorie
alla guerra e al crollo
politiche: non più un
dei regimi totalitaliberismo capitalista,
ri, proporrà i termini
che sfocia necessariadella ricostruzione o
mente nell’imperialinel semplice ripristismo e nella guerra fra
no dello stato-nazione
le nazioni; non più la
pretotalitario o nellotta di classe proletaAltiero Spinelli in un francobollo commemorativo dedicatogli nel centenario della
la costruzione di una
ria, che impone nuova
nascita
struttura completamente
dittatura e altro imperialismo; ma il discrimine politico rivoluzionario si porrà nuova, in grado di affrontare i limiti alla libertà che le vectra chi vorrà riproporre queste categorie e gli Stati-nazione chie categorie politiche hanno manifestato. L’opportunità è
che le comprendono, e chi si batterà per la costruzione di un
nuovo soggetto politico: l’unione federale dell’Europa, unica
garanzia di pace e di sviluppo equanime per i popoli europei. 1 Il Manifesto di Ventotene / Altiero Spinelli e Ernesto Rossi; prefazione
di Eugenio Colorni. - Ed. anast. / a cura di Sergio Pistone ; con un saggio
“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento di Norberto Bobbio. - Torino : CELID, ©2001, p. 9; ricorre qui il pensiero
il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve al motto di Immanuel Kant “l’uomo come fine, non come mezzo”..
L’
55
CITTADINANZA EUROPEA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
grande e ne va colto il momento precipuo: “Il problema che
in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro
progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”2. Questo è
il momento. Le antiche strutture statali sono crollate, i popoli
dell’Europa sono accomunati nella lotta di liberazione dal
nazifascismo, la semplice ricostruzione del passato finirebbe
col riproporre gli stessi difetti e il rischio di un’altra guerra,
per questo si batteranno le forze reazionarie, per tutt’altro
dovranno battersi i rivoluzionari che hanno a cuore la libertà
dell’uomo. “La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale
della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore
socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima
linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente,
il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava
incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e
risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come
compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno
in primissima linea come strumento per realizzare l’unità
internazionale”3.
Grande è la passione che scaturisce da queste parole, alto
l’afflato di uno spirito libero che ha visto la sua missione nel
mondo, profonda l’intransigenza verso tutti coloro che non
faranno di questo l’obiettivo della loro battaglia, ma anche
sincera l’apertura verso chi, da qualsiasi parte provenga, si
impegnerà nella nuova politica. Ma ecco come questo nuovo organismo viene prefigurato: “un saldo stato federale, il
quale disponga di una forza armata europea al posto degli
eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i
mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le
sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur
lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo
le peculiari caratteristiche dei vari popoli”4.
Tutto il dibattito sviluppatosi fino ad oggi tra fautori di
maggiori poteri e responsabilità da affidare all’Unione Europea, e i garanti delle strutture nazionali, è già qui prospettato. Qui sono le basi di quell’unione politica dell’Europa
che oggi ci vede coinvolti. Qui sono previsti gli ostacoli da
superare. Qui vengono sollecitate le forze in campo ad un
impegno costante, aperto ed assoluto. Qui nasce il Movimento Federalista Europeo come base organizzativa e propulsiva
di queste forze. Qui dobbiamo trovare la giusta ispirazione
per proseguire nel lavoro di costruzione dell’unità politica
dell’Europa, tanto più che le recenti vicende sembrano porre
una forte battuta d’arresto al suo sviluppo. Come nota anche
2 Ivi, p. 21.
3 Ivi, p. 22-23.
4 Ivi, p. 23.
56
Tommaso Padoa-Schioppa “il momento di oggi è segnato
(…) da sfide e pericoli su cui il Manifesto ha molto da dirci:
la grave crisi di crescenza in cui l’Unione europea rischia
di bloccarsi o addirittura di regredire; la montante tensione
delle relazioni mondiali fra pretese egemoniche ed equilibrio
delle forze. Su scala continentale, quella tensione l’Europa
la conobbe e la patì nel sangue per secoli. Oggi, proprio per
aver saputo elaborare il pensiero racchiuso nel Manifesto e
per essersi poi mossa lungo la via che esso indicava, l’Europa quasi possiede gli elementi per evitare che vi scivoli
il mondo intero ripetendo, su scala e con rischi ampliati, le
stesse esperienze tragiche da essa vissute. Quasi: l’Europa
ha imboccato la strada ma, per non averla percorsa fino in
fondo, non è pronta all’appuntamento con la storia, non è
in condizione di esercitare tutto il peso, che pure possiede,
per spingere il mondo fuori dal dilemma equilibrio-egemonia, accompagnandolo verso un ordine di pace fondato sul
diritto”5. Quel quasi, a 10 anni di distanza, mostra tutta la
sua drammaticità! E l’insipienza degli attuali governanti dei
paesi europei, intenti solo a guardare il qui e ora e solleticare
la pancia dei loro popoli, si scontra anche con i dati statistici
che vedono l’Europa nel suo complesso spendere molto più
degli USA in armamenti e eserciti, ma non avere alcun peso
politico nello scacchiere internazionale, perché frammentata
in piccoli stati che vieppiù rischiano la totale insignificanza
nel mondo globalizzato. Lo stesso potrebbe dirsi per le altre
spese, per la frammentazione del bilancio, dei sistemi fiscali, delle politiche economiche e sociali, per l’ingovernabilità
delle frontiere esterne, che rischia ora l’alzata di nuovi, più
drammatici muri. Allora non ci resta che ricordare la forza
e l’impegno di Altiero Spinelli, con le parole della sua autobiografia che segnano il ritorno alla vita attiva e all’impegno
politico dopo l’esilio forzato di Ventotene: “La mia solitaria
fierezza era di tutt’altra natura, perché nessuna formazione
politica esistente mi attendeva, né si preparava a farmi festa,
ad accogliermi nelle sue file. Sarei stato io a suscitare dal
nulla un movimento nuovo e diverso per una battaglia nuova
e diversa – una battaglia che io, ma probabilmente per ora
solo io, avevo deciso di considerare, benché ancora inesistente, più importante di quelle in corso in cui andavano ad
impegnarsi tutti gli altri. Con me non avevo per ora, oltre me
stesso, che un Manifesto, alcune Tesi e tre o quattro amici”6.
Angelo Ariemma
5 T. Padoa-Schioppa, Presentazione a Il Manifesto di Ventotene, Milano,
Mondadori, 2006, p. VII-VIII.
6 A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Bologna, Il Mulino,
1988, p. 343.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | CITTADINANZA EUROPEA
La progettazione europea
nel settore turistico. Una
grande opportunità di lavoro
e crescita professionale
I
l settore del turismo rappresenta il terzo più grande fattore economico dell’Unione europea, ha un
impatto ad ampio raggio sulla crescita economica,
l’occupazione e lo sviluppo sociale. La Commissione Europea sta quindi costantemente lavorando
allo sviluppo di nuovi strumenti e servizi che contribuiscano
a rafforzare la competitività del settore turistico europeo; così
anche le proposte formative turistiche relative alla progettazione europea sono andate aumentando in numero e qualità.
Pertanto molti sono i programmi comunitari di potenziale interesse per il settore,
potenziati dalla Strategia Europa 20201, che nella Guida
sui finanziamenti UE per il settore del turismo (2014-2020)2
fornisce le buone pratiche per
accedere ai finanziamenti europei: azioni legate al turismo
ammissibili al finanziamento e
come applicarle; chi può partecipare; l’ammontare del finanziamento, ecc.
Gestire servizi di mobilità turistica richiede una molteplice
e variegata serie di competenze e di “attori”: inserzionisti,
agenzie di viaggio, tour operator, vettori, alberghi, ristoranti, gestori di attrazioni, guide,
accompagnatori, ecc. Per questo è necessario adottare un
approccio globale e coinvolgere in un’unica programmazione quanti operano nel settore,
che non riguarda solamente gli aspetti ludici della vacanza o
l’impegno dello sviluppo economico, ma coinvolge un’intera strategia socio-culturale: “In un mondo che cambia l’UE si
propone di diventare un’economia intelligente, sostenibile e
solidale. Queste tre priorità che si rafforzano a vicenda intendono aiutare l’UE e gli Stati membri a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale”3; quindi
la coesione sociale, la tutela dell’ambiente e la promozione
della cultura delle destinazioni turistiche europee, diventano
1 http://ec.europa.eu/europe2020/europe-2020-in-your-country/italia/
country-specific-recommendations/index_it.htm
2 http://programmicomunitari.formez.it/sites/all/files/ec_-_guide_eu_
funding_for_tourism_-_oct_2014.pdf
3 http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm
priorità (al pari dello sviluppo economico), tanto più quando
la proposta turistica si rivolge alle giovani generazioni.
Il turismo è un bene che risente molto dell’influsso internazionale. Basti pensare che il Trattato di Lisbona4 ha creato una nuova base giuridica dedicata al turismo, al fine di
sostenere e integrare l’azione degli Stati membri. Inoltre,
nel giugno 2010 nella sua Comunicazione L’Europa, prima
destinazione turistica mondiale - un nuovo quadro politico
per il turismo europeo (COM (2010) 352)5 la Commissione
europea descrive le diverse azioni che si propone di realizzare per favorire un turismo sostenibile, responsabile e di alta
qualità; e la prima di queste azioni viene così definita: “Sviluppare una strategia coerente per una promozione diversificata dell’offerta turistica e per valorizzare meglio il patrimonio comune dell’Europa, basata in particolare sul “marchio
del patrimonio europeo” e su altre azioni, come le giornate
europee del patrimonio ed il premio dell’Unione europea per
il patrimonio culturale”6.
Quindi la cultura, il grande
patrimonio culturale europeo,
come primo volano per rendere l’Europa la destinazione turistica più attraente del mondo;
in secondo luogo la conservazione dell’ambiente naturale
e delle specifiche caratteristiche delle diverse comunità
locali7; dunque turismo come
fattore di sviluppo, di crescita occupazionale, nel rispetto
della sostenibilità ambientale
e dell’inclusione sociale.
Un esempio di progettazione europea nel settore turistico, di cui mi sono occupata, è
stato il progetto ToReSTART,
“focalizzato sulla necessità di
innovazione e riorganizzazione del settore turistico e di riqualificazione dei lavoratori”8,
al fine di sostenere la possibilità di nuova occupazione dei giovani partecipanti, attraverso
tirocini formativi da effettuare all’estero nel settore turistico, per rinnovare e mettere in pratica le proprie conoscenze,
abilità e competenze, confrontandosi anche con le diverse
strategie di apprendimento e formazione lavorativa utilizzate
in altri Paesi europei, così da sperimentare modalità di integrazione, riconoscimento e messa in valore tra competenze
4 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3AC200
7%2F306%2F01
5 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.
do?uri=COM:2010:0352:FIN:it:PDF
6 Ivi, p. 9.
7 Come recita anche il motto dell’UE: Unita nella diversità.
8 http://programmaleonardo.net/llp/Buone_Prassi/ToReSTART_Avec.
pdf
57
CITTADINANZA EUROPEA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
acquisite in contesti di apprendimento formali e non-formali.
Il tirocinio nell’ambito del progetto ToReSTART è stato
esclusivamente legato al settore turistico e ha consentito a
ogni partecipante un primo contatto col mondo del lavoro e
a comprenderne in linea generale le dinamiche professionali
e relazionali in un contesto transnazionale, diverso da quello
di appartenenza. Infatti, l’esperienza di mobilità spesso corrisponde alla prima esperienza lavorativa che può rappresentare un momento importante di costruzione dell’identità personale e professionale dei partecipanti. In tal modo si combatte l’emarginazione dei giovani all’interno della società e
ci si impegna a sostenere la diversità culturale. Attraverso le
attività svolte nel tirocinio abbiamo potuto riscontrare che
ciascun partecipante ha avuto la possibilità di trovare una
via d’uscita dalla crisi e dalla strutturale posizione di debolezza all’interno del mercato del lavoro a livello nazionale,
aumentando o rafforzando sia le loro competenze trasversali,
sia quelle specifiche, acquisite attraverso un’esperienza in
ambito internazionale e spendibili poi direttamente al rientro
nei diversi territori di provenienza. Inoltre, il confronto con
i colleghi stranieri sulle strategie innovative che hanno applicato per riqualificare i lavoratori, consentirà di migliorare
le azioni didattiche implementate in Italia e di avere quindi
un impatto moltiplicatore degli effetti positivi dei progetti
europei, che possono consentire ai giovani partecipanti un
arricchimento della loro esperienza di vita, un confronto con
altre realtà sociali e culturali, una nuova comprensione delle
58
metodologie formative e dei diversi approcci al lavoro specifici di altri Paesi europei. Si sperimenta qui tutta la necessità
della formazione continua, dell’apprendimento multiculturale, del confronto socialmente inclusivo con altre realtà.
BIBLIOGRAFIA
DIAMANTI, Carla, L’accompagnatore turistico : consigli
pratici da portare in valigia, Milano, Franco Angeli, 1998.
DIAMANTI, Carla, Efficacia Esterna della formazione
universitaria : il progetto OUTCOMES, a cura di Luigi Fabbris, Padova, Cleup, 2005.
FRANCESCHELLI, Vincenzo – MORANDI, Francesco,
Manuale di diritto del turismo, Torino, Giappichelli, 2013.
IEZZI, Domenica Fioredistella, A new method to measure
the quality on teaching evaluation of the university system:
the Italian case, in “Social Indicators Reasearch”, vol. 73, n.
3, 2005, P. 459-477.
INDOVINO FABRIS, Franca, Legislazione turistica, Padova, CEDAM, 2004.
INDOVINO FABRIS, Franca, Professioni e competenze
dei laureati, a cura di Francesco D’Ovidio, Padova, Cleup,
2005.
Francesca Sirignani
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | LETTERATURA
Mensonge romantique et vérité
chrétienne dans l’œuvre de Victor Hugo
FEDERICA CASINI
Texte tiré de la communication Mensonge romantique et
vérité chrétienne dans l’œuvre de Victor Hugo, présentée à
l’occasion du Colloque international «Girard, Bourdieu et la
littérature», qui s’est tenu à l’Université d’Aix-Marseille les
16 et 17 mai 2014.
L
a création artistique de
Victor Hugo se nourrit de
rivalité mimétique. Toute
la production hugolienne
est marquée, selon René
Girard, par des véritables «signes de sélection» mimétique qui hantent sa prose et
ses vers. Le «premier» Girard, critique littéraire, s’intéresse à l’écrivain dans un article intitulé «Monstres et demi-dieux dans
l’œuvre de Hugo», paru dans la revue Symposium en 1965 et successivement inclus
dans le recueil Critique dans un souterrain
(1976). Il s’agit d’un texte bref face à l’immensité de la production de Hugo mais très
dense, où il exprime une thèse remarquable
dans sa radicalité : révéler la structure des
doubles hugoliens, dont l’opposition entre
monstres et demi-dieux est une forme
particulière, pour éclairer la vie et les ouvrages de son auteur. Ces doubles se ma- Victor Hugo
nifestent dans l’œuvre hugolienne comme
des antithèses (au niveau des images et des
valeurs), qui s’inversent progressivement et qui expriment
l’ambiguïté de sentiments (qui vont du mépris à l’admiration) que l’Ego Hugo éprouve contre son médiateur, contre
le dieu du moment, contre l’Autre. Ce rapport conflictuel
entre l’identité hugolienne et l’Altérité est bien visible dans
le phénomène des monstres, qui reflète, mais qui n’arriverait
jamais à révéler, à déconstruire, la structure mimétique des
rapports interpersonnels de Hugo.
Dans le roman L’Homme qui rit et dans le poème «Le Crapaud», Hugo inverse l’association entre le beau et le bien
pour créer des personnages laids mais bons, qui s’opposent
à la beauté physique et à la monstruosité morale de ceux qui
les persécutent. Derrière l’inversion de l’imagerie occiden-
tale opérée par Hugo, Girard voit un procès de réhabilitation et d’identification aux créatures monstrueuses : c’est le
moment masochiste de la conscience hugolienne, celui de
«l’attendrissement humanitariste et révolutionnaire»1, qui
1 René Girard, «Monstres et demi-dieux dans l’œuvre de Hugo», dans
René Girard, Critique dans un souterrain, Lausanne, Éditions de L’Âge
d’Homme, 1976, p. 191.
59
LETTERATURA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
suit le moment sadique de «l’exaltation orgueilleuse et de
l’identification aux demi-dieux, à Lord David dont le goût
insolent pour les monstres ressemble étonnamment à celui
qui s’exprime et s’étale dans l’œuvre de Hugo»2. Avant de
se prendre pour Gwynplaine, la victime toujours innocente,
Hugo s’était pris pour l’aristocratique Lord David, le bourreau. Lord David représente donc le médiateur modèle de
Hugo, l’Autre, son double littéraire ou personnel, un objet de
haine mais aussi de désir, parce qu’il ne se laisse pas dominer
par lui.
Fabien Vasseur écrit que «la difformité de Gwynplaine
n’est jamais que l’exacerbation, sous forme d’hyperbole ou
d’oxymore romanesque, de la rivalité de Hugo avec tous
les Lord David qui continuent de croiser son chemin»3. Le
phénomène des doubles littéraires et le manichéisme des valeurs qui hantent l’imagination et la production hugolienne
constituent donc une épiphanie du désir mimétique qui serait
le reflet inconscient des luttes (de prestige, de reconnaissance,
d’identité, d’amour propre etc) que l’écrivain combat contre
les Autres, qui représentent son véritable enfer. Girard unifie
sous le thème des doubles toutes les projections différentielles de Hugo dans ses œuvres. «Le désir mimétique unifie les
figures de la rivalité, que celle-ci soit esthétique, politique ou
amoureuse ; la rivalité devient transpersonnelle et concerne
tous les personnages»4. Myriam Roman affirme que les doubles qui peuplent l’univers romanesque de Victor Hugo seraient la «réitération terrifiante d’une même expérience: rencontrer l’Autre […] et découvrir avec horreur qu’il est aussi
une figure du Moi, qu’il est le même»5. Ces Autres, ces Moi,
ces doubles qui apparaissent d’une façon obsessive dans
l’œuvre littéraire hugolienne sont des pierres d’achoppement
réelles contre lesquelles Hugo se heurte. On va retrouver le
schéma girardien dans les principaux rapports humains (artistiques, politiques, sentimentaux) de l’écrivain, en particulier les relations avec les hommes de lettres de son temps.
Les classiques d’abord. Malgré des débuts poétiques en style
néoclassique, Hugo va bientôt se détacher du goût classique
pour embrasser le romantisme, avec son amour pour le grotesque et le gothique, parce qu’«il y voit une machine de guerre contre la conception néo-classique du beau.[…]»6. Hugo
utilise donc Shakespeare contre Racine pour s’opposer à ses
anciens modèles, devenus des rivaux. La représentation du
drame Hernani, en 1830, est l’occasion d’un véritable conflit qui oppose les classiques, liés aux vieilles structures et
aux centres de pouvoir (l’Académie française, l’université,
la presse) aux romantiques, qui soutiennent Hugo. Derrière
2 Idem.
3 Fabien Vasseur, «Hugo et ses monstres vus par René Girard», dans
Catherine Mayaux (dir.), La Réception de Victor Hugo au XXe siècle.
Actes du colloque international de Besançon (3-5 juin 2002), Lausanne,
L’Âge d’Homme, 2004, p. 199.
4 Idem.
5 Myriam Roman, Victor Hugo et le roman philosophique, Paris, Honoré
Champion, 1999, p. 568.
6 «Le gothique, c’est du laid-beau qui s’oppose au beau-laid néoclassique, tout comme Gwynplaine s’oppose à Lord David» (René Girard,
«Monstres et demi-dieux dans l’œuvre de Hugo», op. cit., p. 195).
60
la bataille romantique, une bataille littéraire et culturelle, il
y a une bataille pour l’affirmation de son propre désir, une
volonté personnelle de domination. Le triomphe de la pièce
et du romantisme est aussi la victoire de Hugo, qui écrase
ses ennemis et affirme sa suprématie sur les Jeunes France.
Au début des années Trente Victor Hugo apparaît désormais
comme le chef incontesté de l’école romantique française.
Avec ces alliés, qui apparemment l’estiment et le supportent,
il entretient en réalité des relations complexes, mêlées d’admiration et de concurrence7, qui transformeront leur camaraderie littéraire en rivalité aigrie.
L’amitié tissée d’affection et d’antagonisme qui le lie,
pendant plus de quarante ans, à Alexandre Dumas est un
exemple célèbre de cette duplicité. Victor et Alexandre sont
des doubles. Ils partagent une vie tumultueuse, une carrière
littéraire extraordinaire, des ambitions immenses. Nés dans
la même année, tous deux fils de général d’Empire, Dumas et
Hugo luttent contre le classicisme en littérature et le conservatisme en politique. Mais cette alliance cache des sentiments ambivalents et les triomphes de l’un agacent parfois
l’autre. Dumas admire sans réserve Hugo, qui éprouve de
l’attachement et au même temps du secret ressentiment pour
Dumas8.
Les rapports entre Hugo et Vigny sont encore plus compliqués. De 1820 à 1829 ils se lient d’une fraternelle amitié ;
leurs échanges manifestent une estime réciproque et une parfaite complémentarité9. Mais le succès de Hugo suscite chez
Vigny une jalousie secrète et en 1832 Hugo définira son ami
«Envieux et jaloux»10. Nodier aussi s’éloignera de Hugo.
La concurrence littéraire est exaspérée avec Musset et plus
subtile avec Lamartine, qui suivra un parcours artistique et
politique ressemblant à celui de Hugo. Une figure de double,
auquel apparemment Hugo ne cesse de proclamer son admiration mais qui devient pour lui un concurrent redoutable11 .
7 Véronique Dumas, L’amitié tumultueuse de deux monstres sacrés,
Mensuel, Dossier Alexandre Dumas, n° 665, 30 avril 2002, p. 50.
8 Mélanie Voisin, Victor Hugo et ses contemporains, Ministère des
affaires étrangères, 2002. Voir aussi: Jean-Marc Hovasse, Victor Hugo, t.
I, Paris, Fayard, 2001.
9 «Notre pensée coïncide souvent, cher Alfred, nos esprits se sont déjà
maintes fois rencontrés autour de la même idée», (Lettre datée 8 février
1827, dans Mélanie Voisin, Victor Hugo et ses contemporains, op. cit.,
p. 21).
10 «Alfred de Vigny a deux raisons pour ne pas m’aimer. Primo que
Marion de Lorme a fait plus d’argent que La Maréchale d’Ancre et
Hernani plus d’argent qu’Othello […] Envieux et jaloux». À partir des
années Quarante ils se réconcilient, au moins formellement: en 1843
Vigny envoie à Hugo une lettre de condoléances à la mort de Léopoldine.
Dès 1844, Hugo soutient la candidature de Vigny à l’Académie, puis le fait
élire en 1849 directeur de cette même Académie, qui le remercie dans une
dernière lettre: «Comptez sur cette main qui serrait la vôtre à dix-huit ans
et sur ce cœur que d’autres trouvent trop sauvage» (Lettre datée 25 octobre
1849, dans: www.victorhugo2002.culture.fr/culture/celebrations/hugo/fr/
contpg9.ht). Mais l’exil et leurs divergences d’ordre politique (Vigny reste
fidèle à l’empereur) les sépareront définitivement.
11 Ces mots de Lamartine résument assez bien cette ambivalence de
sentiments qui caractérise leur relation: «J’ai toujours aimé Hugo, et je
crois qu’il m’a toujours aimé lui-même malgré quelques divergences de
doctrines, de caractère, d’opinions fugitives comme tout ce qui est humain
dans l’homme» (dans : www.enluminures.culture.fr/culture/celebrations/
hugo/fr/cont_6.htm).
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | LETTERATURA
Les luttes hugoliennes ne sont pas exclusivement littéraires. Il combat aussi des batailles privées qui ne sont pas
moins violentes que celles pour la suprématie artistique. Il y
a une rivalité plus profonde et douloureuse, qui s’inscrit au
niveau de ses rapports familiers et qui constitue le modèle
par excellence de Rivalité: le conflit entre frères ennemis.
Hugo et son frère Eugène sont des doubles parfaits, presque
des jumeaux: ils ont les mêmes ambitions en littérature, ils
sont amoureux de la même femme. Les succès de Victor et
ses fiançailles avec Adèle engendrent, dans l’âme d’Eugène,
des sentiments de jalousie et de haine, qui provoqueront son
autodestruction spirituelle. Le soir des noces de son frère, en
1822, la folie du jeune homme éclate. Il est ensuite enfermé
dans un hôpital psychiatrique, où il mourra en 1837. Victor
triomphe sur son rival, mais il sera accablé par les remords
parce qu’il se considérera toujours responsable de la ruine
de son frère. Ces regrets se matérialiseront dans des images
qui reviennent dans ses ouvrages: celle des frères ennemis
dans la Fin de Satan et l’Homme qui rit; celle de l’enterré vivant dans Les jumeaux, pièce, consacrée au drame du
Masque de fer, le frère légendaire de Louis XIV emprissoné
à la Bastille (1839).
La rivalité littéraire et sentimentale chez Hugo est très évidente dans le rapport avec Sainte-Beuve, qui s’inscrit dans
l’univers de la «double médiation interne». Le critique littéraire vénère Hugo. Mais l’admiration qu’il éprouve pour le
poète est mêlée de ressentiment et de jalousie. Sainte-Beuve
est l’envieux, l’esclave qui vit à l’ombre de son maître,
comme Quasimodo avec Frollo dans le célèbre chapitre
de Notre-Dame de Paris intitulé «Le chien et son maître».
Sainte-Beuve reconnaît face à Hugo toute sa dépendance
artistique et affective, son insuffisance ontologique12. Pour
obtenir la plénitude dont il se sent dépourvu, il doit vivre
à côté de son idole. Mais l’excessive proximité le pousse
à désirer le désir par excellence de son ami, c’est-à-dire sa
femme. Le dieu Hugo devient l’antagoniste le plus féroce
de Sainte-Beuve, qui veut partager l’essence divine de son
médiateur possédant sa femme. Ce triangle amoureux trouve
sa représentation littéraire dans le triangle Frollo Quasimodo Esmeralda, des mouches prises dans la toile de l’anankè.
Dans une série de lettres datées 1830 13, Sainte-Beuve révèle
à son antagoniste toute la violence de son désir : «Si vous
saviez […] à quelles passions contradictoires je suis en proie,
vous auriez pitié de qui vous a offensé […]. Il y a en moi du
désespoir, voyez-vous, de la rage ; des envies de vous tuer,
de vous assassiner par moments. […]»14. Il se définit aussi pierre d’achoppement, c’est-à-dire skandalon, pour leur
amitié15. Successivement les rôles s’inversent et c’est Hugo
qui supplique son rival de le plaindre parce que sa femme
ne l’aime plus. Après le moment sadique, c’est le moment
masochiste qui domine à présent l’âme hugolienne. L’ancien
12 Charles-Augustin Sainte-Beuve, Correspondance Générale, t. I, p.
194..
13 Ibid, pp. 197-198.
14 Ibid., p. 194.
15 Idem.
maître avoue son amour à l’ancien disciple, qui, rassuré des
déclarations d’amitié de Hugo, entame une liaison secrète
avec Adèle. Le mariage de Hugo finit, comme son amitié
avec Sainte-Beuve16. Quelques années plus tard Hugo dira,
à propos de lui: «C’était un envieux que j’avais pris pour un
ami»17.
Un autre cas de rivalité exacerbée dans la vie de Hugo est
sûrement la complexe relation avec Louis-Napoléon Bonaparte, qui enflamme la vie du poète dans les année Quarante, des années qui voient le début de son engagement littéraire et de ses ambitions politiques. Déjà Pair de France,
Hugo est élu député à l’Assemblée législative en 1849, mais
il ignore les stratégies de la politique. Son discours prononcé
le 9 juillet 1849 contre la misère n’est pas pris au sérieux. Le
rêve hugolien de devenir un poète guide pour le peuple et
pour Napoléon III échoue. Le neveu de Bonaparte n’accepte
pas d’être dirigé par un homme de lettres et, au contraire, il
se sert de lui pour ses desseins politiques. Hugo rompt avec
lui et, après le coup d’État, en 1851, part pour un long exil à
l’étranger. La divinité impériale deviendra le cible du poète
justicier, qui se vengera du tyran dans Napoléon le Petit et
dans les Châtiments.
L’ambition de Victor Hugo est en effet démesurée: en
1816, à peine adolescent, il aurait écrit: «Je veux être Chateaubriand ou rien». À propos de la relation entre ces deux
géants il y a des témoignages assez contrastants. Il y a une
tradition critique qui voit les rapports entre Hugo et Chateaubriand inscrits dans la «médiation extérieure», faisant
du premier un brillant disciple du second, qui admire son
maître mais qui ne rivalise jamais avec lui. Chateaubriand,
à son tour, aurait surnommé son jeune admirateur l’«enfant
sublime»18. Mais au début des années Trente, Chateaubriand
prend ses distances avec la nouvelle génération romantique,
dont Hugo est considéré le maître, et la répudie. Selon certains
critiques, une concurrence se serait insinuée dans la relation
entre les deux auteurs. Cette fois ce serait Chateaubriand, le
maître, qui n’accepterait pas la supériorité de son disciple19.
16 La guerre entre les deux se poursuit dans le domaine littéraire: le
critique se fait complice de nombreuses cabales montées contre Hugo,
tandis que le poète s’oppose à l’élection de Sainte-Beuve à l’Académie.
En 1844 Sainte-Beuve écrit: «Ma relation avec Hugo est très simple
désormais, je la résume ainsi ; ennemis mortels, nous le sommes au fond
; nous n’avons plus à observer pour les autres et pour nous-mêmes que ce
qui est de la dignité et de la convenance» (Mélanie Voisin, Victor Hugo et
ses contemporains, op. cit., p. 18).
17 André Maurois, Olympio ou la vie de Victor Hugo, Paris, Hachette,
1955, p. 215.
18 Suite à la lecture de l’Ode sur la mort du Duc de Berry. Cette ode est
publiée en 1820 dans la revue fondée par Hugo et ses frères en 1819 et
intitulée Le Conservateur littéraire en hommage à Chateaubriand et à son
journal, le Conservateur. Hugo dédie à Chateaubriand l’ode Le Génie. De
son côté, Chateaubriand propose à Hugo de l’accompagner en qualité de
secrétaire dans ses ambassades à Berlin et à Londres, mais Hugo n’accepte
pas.
19 En réalité en 1831, dans la préface de ses Études historiques,
l’Enchanteur fait ses éloges à Hugo. Pierre Clarac, dans un ouvrage
intitulé À la recherche de Chateaubriand (Paris, Nizet, 1975) souligne par
ailleurs que, contrairement à ce que l’on a longtemps pu penser, l’influence
exercée par Chateaubriand sur Hugo, est davantage de nature politique que
religieuse ou encore littéraire.
61
LETTERATURA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
En réalité, Chateaubriand, en dépit d’un désaccord littéraire
réel, assura Hugo de son soutien en occasion de son élection
à l’Académie française (1841).
Impressionné par l’homme de lettres et l’homme politique,
Hugo voudrait même dépasser Chateaubriand. Déjà chef du
mouvement romantique, il s’identifie à Olympio, qui représente le double littéraire du poète. Titan, d’origine divine
mais victime des dieux, Olympio incarne le désir hugolien
de toute puissance, sa volonté d’agir sur les consciences,
d’éveiller les âmes, d’instruire le peuple et les dirigeants.
Mais ce désir fou de se croire Victor Hugo, d’être le premier se heurte contre la réalité et Hugo même se considérera
comme un guide raté. «Jupiter Hugo, écrit Girard, découvre
bientôt la vanité de son tonnerre, l’inefficacité pratique de ses
excommunications».20 L’échec de Gwynplaine à la Chambre
des Lords c’est l’échec de Hugo à l’Assemblée : «c’est la
douleur amère du justicier des Châtiments, du prophète Hugo
qu’on prend pour un simple homme de lettres, un amuseur
public»21 ; c’est l’ambition déçue de Hugo, humilié par ses
pairs. Au lieu d’accepter les limites de sa puissance, le poète
«abandonne à autrui ce royaume de la forme, de la lumière
et de l’harmonie où il découvre qu’il n’est pas seul à régner.
Il se précipite donc dans le domaine de l’informe, de l’obscurité et du désordre ; il se réfugie parmi les monstres et il
se confond avec eux»22. Les échecs artistiques, sentimentaux
et politiques jettent Hugo dans un état d’âme, mêlé de ressentiment contre ses modèles, qui ressemble, selon Girard, à
celui de Satan. Girard voit dans la hantise du laid de Hugo la
même «combinaison d’orgueil, d’échec et de désir»23 qui définit la chute de Satan. Hugo s’identifierait au monstre parce
qu’il s’identifierait à Satan, le révolté, le prince du difforme.
Comme Lucifer, l’envieux par excellence, Hugo resterait
soumis aux valeurs qui conteste : la tradition, l’autorité, les
puissances établies. La création littéraire hugolienne serait
donc un univers dédoublé, renversé, «réduit au manichéisme
exaspéré d’une symphonie en noir et blanc»24. Derrière les
images de l’enterré vivant ou de Satan pardonné, des contenus explicites qui appartiennent à l’existence de l’auteur, on
pourrait apercevoir les signes de la maladie métaphysique,
de la folie mimétique qui atteint Hugo. La secrète divinisation de Lucifer et la défense des victimes ne seraient, pour
Girard, qu’une stratégie cachée pour masquer son désir.
Pour Girard il n’y a pas de rupture, de renonce au désir chez
Hugo. L’obsession mimétique maîtrise l’écrivain et, à son
avis, c’est l’obsession qui fait de lui un écrivain génial. Hugo
serait incapable «d’incarner l’homme, sauf, peut-être, dans
20 René Girard, «Monstres et demi-dieux dans l’œuvre de Hugo», op.
cit., p. 192.
21 Ibid., pp. 190-191.
22 «Parce que l’orgueil refuse d’abdiquer, l’échec devient mutilation,
monstruosité et chute dans les ténèbres. Le dieu manqué doit s’accabler
lui-même des foudres dont il croyait accabler autrui. Il se découvre
monstre mais il cherche alors à diviniser le monstre car il ne cesse pas,
monstre, de se vouloir dieu» (Ibid., p. 192).
23 Ibid., p. 194.
24 René Girard, «Introduction», dans René Girard, Critique dans un
souterrain, op. cit., p. 7.
62
les œuvres comme Les Misérables où s’affaiblit le dualisme
des monstres et des demi-dieux. Mais ce n’est pas dans l’affaiblissement, c’est dans l’exaspération de ce dualisme, que
se situe le génie véritable de Hugo»25.
Or, l’interprétation girardienne renonce à analyser les ouvrages hugoliens où les doubles s’affaiblissent. L’aporie qui
caractérise la conclusion de cet essai se retrouve aussi dans
le «silence» de Girard à l’égard de la victime hugolienne. Le
penseur de la victime ignore ou méprise l’engagement hugolien en faveur des nombreux boucs émissaires qui hantent
sa production. Girard voit dans ce phénomène une épiphanie
de la maladie ontologique, une tentative d’autojustification
de la mauvaise conscience hugolienne qui, derrière la fausse
compassion éprouvée vers Cosette, Esmeralda, Gwynplaine,
voudrait en réalité maudire ses rivaux. Girard affirme que
«La «victime» à sauver n’est qu’un prétexte pour s’affirmer
glorieusement contre tout l’univers»26 ; «On n’aime le Bien
que pour mieux haïr le Mal. On ne défend les opprimés que
pour mieux accabler les oppresseurs»27. Les Thénardier, les
Comprachicos, Napoléon le Petit seraient paradoxalement,
selon Girard, les vrais cibles, les vraies victimes de la polémique hugolienne, selon le schéma de double identification,
sadique et masochiste, dont nous avons parlé. À l’origine de
l’engagement de Victor Hugo il y aurait donc des motifs psychologiques moins nobles que l’exaltation des boucs émissaires, comme la justification de son orgueil, de son envie
et de son ressentiment envers les Autres. Hugo serait donc,
pour Girard, un écrivain romantique incapable de sortir du
mensonge du cercle mimétique.
Une lecture chrétienne du final des Misérables (1862) nous
permet, au contraire, de découvrir, «au-delà» de Girard, une
temporaire «rupture dans la continuité», c’est-à-dire d’y
apercevoir un modèle de résistance à la rivalité mimétique.
Si les Châtiments, c’était «la parole qui tue», Les Misérables sont le Verbe qui sauve. C’est à partir des Misérables,
l’ouvrage le plus chrétien de Hugo, celui où le phénomène
des monstres est moins évident, qu’on peut découvrir des
fissures dans la solide et hypermimétique cathédrale hugolienne. Des fragments de vérité romanesque s’insinuent
dans une œuvre apparemment caractérisée par le mensonge romantique. Dans ce roman il y a encore des doubles,
des célèbres couples d’antagonistes (J. Valjean / Marius,
J. Valjean / Thénardier, J. Valjean / Javert) et des triangles
mimétiques (J. Valjean / Marius / Cosette ; Cosette / poupée /
sœurs Thénardier). Au début du livre est présente parfois une
vision manichéenne du mal qui s’oppose au bien. Mais c’est
le final du roman qui montre une nouvelle vérité par rapport
aux autres romans hugoliens, comme Notre-Dame de Paris,
où on assiste à la destruction des héros et des autres personnages, emportés par la violence dévastatrice du désir. C’est
la vérité du pardon que Jean Valjean, le criminel saint, im25 Ibid., 196.
26 René Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris,
Grasset, 1961, p. 168.
27 Ibid., pp. 216-217.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | LETTERATURA
plore avant sa mort après une longue «épopée» de rédemption de ses anciens crimes et de sa dernière rivalité avec son
gendre. Le message chrétien de résistance à la réciprocité
violente paraît, de toute évidence, dans la conclusion des Misérables, où le héros, au lieu de tuer son antagoniste Marius
(comme Quasimodo fait avec Frollo) meurt à son désir et se
réconcilie avec lui: «Il faut que je vous avoue que je ne vous
ai pas toujours aimé ; je vous en demande pardon»28. Dans ce
roman la victime29 des injustices renonce à se venger et se reconnaît coupable comme les autres30. Le martyr de l’âme est
présentée avec des images liées au symbolisme chrétien (le
précipice31, le crucifix, l’agonie, les chandeliers) très proches
à celles que Girard utilise dans Mensonge romantique et vérité romanesque32. La conversion finale se caractérise toujours par la maladie et la mort physique du personnage, qui
répudie son ego, prisonnier de la haine et du ressentiment et
s’ouvre à l’Autre et à la transcendance divine.
Jean Valjean doit sa guérison définitive à une expérience
de descente aux enfers décrite dans l’épisode emblématique
de la plongée dans les égouts de Paris, dont le mouvement
descendant et ensuite ascendant ressemble d’une façon étonnante à l’archétype de mort et résurrection que Girard retrouve dans la Divine Comédie ou les Confessions. La descente dans les égouts, où il s’enfonce dans les ténèbres pour
sauver Marius et qui symbolise le douloureux renoncement
à l’égoïsme qui nourrit son amour obsessionnel pour sa fille,
devient la condition nécessaire pour la régénération spirituelle du héros, suivant la loi évangélique de l’amour que
l’ancien forçat s’efforce d’imiter pendant toute sa vie.
Jean Valjean, affirme Christine Frémont, refuse la réciprocité de la violence qui construit l’ordre social au profit d’une
dynamique imitative, christique, qui brise la symétrie mimétique, source de haine et de rivalité, pour inaugurer «une spirale mimétique sans violence»33 qui le contraint à multiplier
les œuvres de bienfaisance qu’il avait reçues de l’évêque
Myriel. La vérité chrétienne contenue dans cette conclusion
28 Victor Hugo, Les Misérables, op. cit., p. 488.
29 Voir à ce sujet: Federica Casini, La polemica girardiana sulla vittima
romantica e la verità “romanzesca” dei Misérables, Nuova Corrente,
51, n. 134, juillet-décembre 2004, pp. 291-318 ; Federica Casini, « Male
metafisico, verità romanzesca e vocazione vittimaria nell’opera di Victor
Hugo», dans Paolo Diego Bubbio, Silvio Morigi (dir.), Male e Redenzione.
La sofferenza e la trascedenza nel pensiero di René Girard, Torino,
Edizioni Camilliane, 2008, pp. 41-71.
30 Victor Hugo, Les Misérables, t. III, Paris, Garnier-Flammarion, 1967,
p 489.
31 «Cosette, cette existence charmante, était le radeau de ce naufragé. Que
faire ? S’y cramponner, ou lâcher la prise ? S’il s’y cramponnait, il sortait
du désastre, il remontait au soleil, il laissait ruisseler de ses vêtements et
de ses cheveux l’eau amère, il était sauvé, il vivait. Allait-il lâcher prise ?
Alors, l’abîme» (Ibid., p. 414).
32 Idem. Girard écrit: «Toutes les conclusions romanesques font songer
au conte oriental dont le héros est agrippé par les doigts au bord d’une
falaise ; épuisé, ce héros finit par se laisser choir dans l’abîme. Il s’attend
à s’écraser sur le sol mais les airs le soutiennent ; la pesanteur est abolie»
(René Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, op. cit., p.
330).
33 Christine Frémont, «Ecce Homo: sur le nom de Jean Valjean», dans
Maria Stella Barberi (dir.), La spirale mimétique: dix-huit leçons sur René
Girard, Paris, Desclée de Brouwer, 2001, pp. 129-130.
permet donc d’éclairer rétrospectivement la production et la
biographie d’un artiste hypermimétique qui, grâce à sa foi,
une foi ethérodoxe mais authentique dans le Dieu Victime,
réussit à indiquer dans le message du Christ l’issue du labyrinthe mimétique. C’est ce paradoxal et fécond mélange de
mimétisme et de dénonciation du mécanisme du bouc émissaire qui rend la création littéraire hugolienne si intéressante
et actuelle dans ses contradictions. Hugo-Satan, l’Ego-Hugo
se montre comme un écrivain à irréductible vocation victimaire, capable de peindre, avec la maîtrise d’un ethnologue,
la rivalité parmi les hommes et la violence dans les cultures
de toute époque et latitude. Ce modèle de démystification
paraît aussi, par intermittence, dans d’autres travaux, par
exemple dans un poème complexe comme la Fin de Satan,
dans la figure du Christ «misérable»34 qui invite les hommes
à ne pas envier les autres35 et de Satan souffrant qui invoque
le pardon de Dieu36. C’est toutefois Les Misérables l’ouvrage
où le paradigme de vérité romanesque parait dans toute sa
force et son évidence37. Une lecture en perspective chrétienne des Misérables nous permet d’apercevoir une «coupure
épistémologique» dans l’œuvre hugolienne, plus ou moins
inconsciente, qui ne remet pas en question, dans son ensemble, le parcours de l’écrivain (d’autres ouvrages très mimétiques suivront, comme Quatre-vingt-treize) mais qu’on ne
peut pas, quand même, ignorer. Dans le final des Misérables
la grandeur de l’œuvre rachète les misères humaines de son
créateur. Hugo se rapproche de son personnage en nous donnant l’image d’un homme et d’un auteur qui subit dans le
roman une temporaire métamorphose spirituelle, mourant à
son désir de toute-puissance. Le romancier «réussit à vivre
cette mort dans l’œuvre, par l’intermédiaire d’un héros malade, blessé, mutilé, mourant»38. La mort à l’orgueil devient
alors «l’invasion de l’Autre, l’invasion d’une vérité dont l’existence qui précède est le refus»39.
34 «C’est ainsi qu’il convient que je meure./ Cela doit être, et nul au
monde n’y peut rien./ Je suis venu pour être abandonné. C’est bien./ Il faut
qu’on me rejette ainsi qu’un misérable» (Victor Hugo, La Fin de Satan,
Paris, Gallimard, 1984, p. 145).
35 «Aimez. N’enviez pas à d’autres leur pensée;/Il faut se contenter des
lumières qu’on a» (Ibid., p. 144).
36 «Grâce ! pardonne-moi ![…] prends-moi !/Grâce ! Ne sens-tu pas
qu’il faut que toute chaîne/Se rompe, et que le mal finisse, et que la haine/
S’éteigne, évanouie en ta sérénité ?» (Ibid., p. 204).
37 «Caïn sur cette terre, où le juste est victime,/ Traître, a laissé de quoi
recommencer son crime ; [...]/Pour vous assassiner, justes, l’homme a
toujours/Entre les mains assez du premier fratricide ; [...] .» (Ibid., p. 115).
38 René Girard, De l’expérience romanesque au mythe œdipien, Critique,
21, novembre 1965, p. 908.
39 René Girard, Dostoevskij, du double à l’unité, dans René Girard,
Critique dans un souterrain, op. cit., p. 121.
63
SCIENZE | SCIENZE E RICERCHE • N. 20 • 1° GENNAIO 2016
La teoria della dissociazione
elettrolitica: digressione storica
FRANCESCO GIULIANO
Già docente di ‘Chimica e tecnologie chimiche’ presso gli IIS di secondo grado e docente a contratto di ‘Didattica della chimica’ presso la
SSIS dell’Università RomaTre
L’indagine sui fenomeni connessi all’elettricità ha una storia di circa 27 secoli. Risalgono, infatti, al VII secolo a.C.
gli studi di uno dei sette saggi dell’antichità, il filosofo greco
Talete (640 - 547 a.C.), sull’ambra, materiale fossile che in
seguito a strofinio acquista la capacità di attrarre piccoli pezzi di materiali leggeri. A tale proprietà Talete dette il nome
di ‘panpsichismo’ (dal greco “pan”, tutto e “psiché”, anima)
con la convinzione che l’anima fosse insita anche negli esseri
non viventi, convinzione che rifiorì successivamente nel pensiero di altri filosofi fino a epoca recente.
Molto tempo dopo – siamo nel IV secolo a.C. –, il filosofo
Platone (428 – 348 a.C.) nel Timeo, in cui è riassunta la visione del mondo fisico, e che ha influenzato maggiormente
il pensiero chimico, fece riferimento all’elettricità: “Si spiegano così lo scorrere delle acque, la caduta dei fulmini, e la
meravigliosa forza d’attrazione dell’ambra …”, mentre, nel
314 a. C, Teofrasto di Ereso (371 – 287 a.C.) scoprì alcuni
materiali, in seguito chiamati piroelettrici, come la tormalina, appartenente alla classe dei ciclo-silicati, la quale se riscaldata acquista la proprietà di elettricità statica dell’ambra.
Nel primo secolo dopo Cristo, di elettricità dell’ambra ne
scrisse anche Plinio il Vecchio (23 – 79) nel XXXVII libro
della “Naturalis Historia”: “Proximum locum in deliciis, feminarum tamen adhuc tantum, sucina optinent, eandemque
omnia haec quam gemmae auctoritatem; … in Syria quoque
feminas verticillos inde facere et vocare harpaga, quia folia
paleasque et vestium fimbrias rapiat. …”, “Occupano la posizione successiva fra le delizie, finora però solo delle donne,
le ambre, e tutte queste cose dello stesso prestigio della gemma;… anche in Siria le donne fanno poi i fusi e la chiamano
arpaga, perché attira foglie e paglie e frange degli abiti ….”
e, addirittura, nello stesso periodo storico, anche il filosofo
Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65) accennò all’elettricità in
“Naturales Quaestiones”.
Per avere dei significativi progressi bisogna arrivare al
XVI secolo, quando il fisico britannico William Gilbert
(1540 – 1603) coniò per la prima volta il termine “elettrici64
tà” ricavato da “electron”, l’antico nome greco dell’ambra,
ma dovette trascorrere più di un secolo prima che il chimico francese Charles François de Cisternay du Fay (1698 –
1739), nel 1733, scoprisse che c’erano due tipi di elettricità
causate rispettivamente dallo strofinio sui corpi vetrosi e su
quelli resinosi. Ciò che gli uni attraevano, gli altri lo respingevano.
Nel 1752 – durante i secoli precedenti non c’erano stati ancora studi significativi sull’elettricità oltre a quelli già accennati -, il fisico statunitense Benjamin Franklin (1706 – 1790)
assegnò i nomi ai due tipi suddetti di elettricità: “positiva”
all’elettricità vetrosa e “negativa” a quella resinosa.
Circa 50 anni più tardi - era il 1800 -, il fisico italiano Alessandro Volta (1745 – 1827) riuscì a produrre l’elettricità attraverso la costruzione della pila, sistema costituito dalla sovrapposizione di diversi dischetti di zinco e rame, tra i quali
interpose del feltro imbevuto di acqua e vetriolo (alias acido
solforico).
In seguito a questa scoperta, si sviluppò in tutta l’Europa un grande interesse per i fenomeni elettrici, tant’è che il
chimico inglese Humphry Davy (1778 – 1829), cominciò
a studiare gli effetti chimici dell’elettricità sulle sostanze e,
nel 1807, facendo passare l’elettricità prodotta da una pila di
100 dischi attraverso vari sali fusi posti rispettivamente in
opportune celle, chiamate poi elettrolitiche, scoprì il potassio
dalla potassa fusa, il sodio dal sale comune fuso, e, l’anno
successivo, nel 1808, ottenne anche il bario, lo stronzio, il
calcio, e il magnesio, portando così il numero di elementi
chimici scoperti a 31. Pervenne anche a ipotizzare che gli
atomi nei composti fossero legati tra loro da forze elettriche.
Il chimico tedesco Theodor von Grotthus (1875 - 1822)
ottenne, nel 1808, l’elettrolisi dell’acqua, ipotizzando che la
corrente elettrica passasse attraverso di essa in modo tale
che gli ioni positivi fossero rivolti verso il polo negativo e
quelli negativi verso il polo positivo della cella e ne venissero attratti.
Mentre, tra il 1833 e 1835, il fisico e chimico britannico
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | CHIMICA
Talete
Svante Arrhenius
Michael Faraday (1791 – 1867), ispirato dalle idee di Davy di
cui era assistente, e il fisico italiano Carlo Matteucci (1811 –
1868), autonomamente, pervennero alla scoperta delle “leggi
dell’elettrolisi”, dimostrando che esiste una proporzionalità
diretta tra la quantità di sostanza prodotta su ciascuno dei
poli della cella elettrolitica, che Faraday chiamò elettrodi, e
la quantità di elettricità trasferita, e che tale quantità di sostanza è proporzionale al rispettivo peso equivalente della
sostanza considerata. Agli elettrodi Faraday diede rispettivamente i nomi di catodo e anodo e chiamò catione la parte di sostanza che veniva attratta dal catodo e anione quella
attratta dall’anodo. Assegnò alla sostanza anche il nome di
elettrolita. Tutto ciò si rese necessario per fare comprendere
e descrivere meglio i processi elettrolitici.
Nel 1834, infatti, Faraday scrisse che “… la potenza chimica di una corrente elettrica è direttamente proporzionale
alla quantità assoluta di elettricità che passa … I prodotti
della decomposizione possono venire raccolti con precisione
tale da consentire un’eccellente ed efficace misura dell’elettricità che li ha generati …”.
Il fisico tedesco Johann Wilhelm Hittorf (1824 – 1914), nel
1853, dimostrò che durante l’elettrolisi i cationi e gli anioni
si muovono in senso opposto ma con velocità diverse, le
quali sono determinate dalla loro natura, contraddicendo così
l’ipotesi di Faraday secondo cui i due tipi di ioni avevano la
medesima velocità.
Nel 1857 il fisico tedesco Rudolf Julius Emanuel Clausius
(1822 – 1888) ipotizzò la dissociazione delle molecole in
ioni. Si dedicò anche al problema della dissociazione elettrolitica sostenendo che le molecole si separano in ioni non
solo per effetto della corrente elettrica ma anche per una loro
continua scomposizione e ricomposizione.
Il fisico tedesco Friedrich Wilhelm Georg Kohlrausch
(1840 – 1910), in seguito alle sue ricerche durate un decennio, dal 1873 al 1883, scoprì la legge in base alla quale la
mobilità di uno ione in soluzione molto diluita è costante e
non dipende dalla natura dell’elettrolita. Con ciò dimostrò,
contrariamente a quanto era stato supposto da Clausius, che
gli elettroliti sono già dissociati nei loro ioni prima dell’elettrolisi o, meglio, che la dissociazione non è dovuta all’azione della corrente elettrica al momento dell’elettrolisi.
Chi fece definitivamente emergere e accettare l’idea che
gli ioni, cioè i cationi e gli anioni, quali componenti di acidi,
basi e sali, possiedono proprietà caratteristiche individuali
ben diverse da quelle degli atomi corrispondenti, fu il chimico svedese Svante August Arrhenius (1859 – 1927). Entrato nel 1876 all’Università di Uppsala, Arrhenius, nel 1880,
scelse di svolgere una tesi di dottorato sul passaggio dell’elettricità attraverso le soluzioni. Con le nuove concezioni
contenute nella sua tesi (1884), scritta in francese, sul passaggio di elettricità attraverso le soluzioni, Recherches sur la
conductibilité galvanique des electrolites, egli espresse una
serie di concetti che stanno alla base della teoria della dissociazione elettrolitica, la quale fu sviluppata ulteriormente
e definitivamente confermata nel 1887. Gli elettroliti (acidi,
basi e sali) in acqua si dissociano nei loro ioni. La dissocia65
CHIMICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
zione è totale nel caso di elettroliti forti e parziale se si stratta
di elettroliti deboli. Nel primo caso in soluzione esistono solo
ioni, nel secondo caso in soluzione esistono molecole non
dissociate e i loro ioni, ipotizzando che “gli ioni sono indipendenti l’uno dall’altro e ogni ione possiede caratteristiche
proprie”. Essi sono responsabili della conducibilità elettrica
della soluzione. Dimostrò sperimentalmente che “il grado di
dissociazione di un elettrolita indica il rapporto tra il numero di ioni effettivamente presenti nella soluzione e il numero
di ioni che sarebbero presenti nella soluzione se l’elettrolita
fosse interamente dissociato”, e che con “ogni probabilità
tutti gli elettroliti sono completamente dissociati a diluizioni estreme”. Contrariamente a quanto riteneva Faraday,
Arrhenius suppose che gli ioni esistono già nella sostanza
(in accordo con Kohlrausch) secondo un rapporto tale che
fosse assicurata la neutralità di carica; quando la sostanza
viene sciolta in acqua, gli ioni si separano gli uni dagli altri.
Grazie a questi ioni liberi la soluzione diventa un conduttore
di corrente elettrica.
Arrhenius si difese dicendo che: “Altra cosa è scindere
NaCl in atomi Na e Cl, altra cosa è che esso si scinda in ioni
Na+ e Cl-”. La Commissione dei professori non gli dette credito e gli conferì il titolo di dottore con una certa avversione
e con un voto modesto. Furono la sua tenacia, la sua grande
determinazione e il sostegno di bravi chimici, come lo svedese Sven Otto Pettersson (1848 – 1941), il lettone Friedrich
Wilhelm Ostwald (1853 – 1932) e l’olandese Jacobus Henricus van’t Hoff (1852-1911), che gli dettero ragione. Grazie
all’aiuto di questi professori, la teoria della dissociazione
elettrolitica di Arrhenius, anche se non fu accettata subito
da tutti i chimici, alla fine riuscì ad avere il consenso unanime. Tant’è che ad Arrhenius gli fu assegnata una cattedra di
chimica fisica creata apposta per lui e l’Accademia svedese
delle Scienze gli conferì una borsa di studio quinquennale,
grazie alla quale ebbe l’opportunità di lavorare con Ostwald,
con Kohlrausch, con Boltzmann e con van’t Hoff fino al
1888.
Successivamente il fisico Max Planck (1858 – 1947) confermò la teoria di Arrhenius anche per via termodinamica. A
questo punto si può ben dire, in campo scientifico e non solo,
che “Chi è certo delle proprie idee, vince sempre!”
Molti anni dopo, nel 1903, Svante Arrhenius, grazie a questa sua teoria, fu insignito del premio Nobel con la seguente
motivazione: “In riconoscimento dei servizi straordinari che
ha reso al progresso della chimica grazie alla sua teoria della dissociazione elettrolitica”.
BIBLIOGRAFIA
Si racconta che Arrhenius quando presentò la sua tesi alla
facoltà di Scienze di Uppsala, il suo relatore, in primo luogo, e la Commissione dei professori, in secondo luogo, si
mostrarono scettici e gli mossero delle obiezioni che in sintesi possono essere così espresse, facendo riferimento al sale
comune NaCl che è costituito da ioni Na+ e Cl-: “Il metallo
sodio, al solo contatto con l’acqua, genera un’esplosione
con produzione di H2 (g) che si infiamma. Il cloro è un gas
di colore verde e dall’odore acre e soffocante. Se fosse vero
che il cloruro di sodio, per il solo fatto che viene sciolto in
acqua, si scinde nei suoi costituenti, ogni volta che una massaia mette il sale nel brodo per fare la minestra, la cucina
dovrebbe saltare per aria!”
66
J. I. Solov’ev, L’evoluzione del pensiero chimico dal ‘600
ai giorni nostri, Biblioteca della EST – Mondadori, Milano,
1976
L. Paoloni, Nuova didattica della chimica – Un progetto
culturale per la scuola secondaria, Bracciodieta Editore, Bari
1982
M. C. Montani, Sposare gli elementi – Breve storia della
chimica, Sironi editore, Milano, 2011
S. Califano, Storia della chimica – Dall’alchimia alla chimica del XIX secolo, vol. I, Bolati Boringhieri, Torino, 2010
S. Califano, Storia della chimica – Dalla chimica fisica alle
molecole della vita, vol. II, Bolati Boringhieri, Torino, 2011
E. Ribaldone, G. Bianucci, La chimica – Teoria, applicazioni, storia, vol. II, A. Mondadori Editore, Milano, 1980
F. Giuliano ( a cura di), “Pane, vino e sapone: tre storici
prodotti chimici familiari. La chimica se la conosci la ami”(in
qualità di coordinatore provinciale SCI nell’ambito del Seminario nell’anno IYC2011), Latina, 29-30 aprile 2011.
SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI
An identification of best practice in
Sport organization for disabled.
A case study in Italian context
BENEDETTA GESUELE1 AND DOMENICO TAFURI2
1 Research Fellow in Business Economy. Pegaso University, Naples, Italy
2 Full Professor of Methods and Educational Activities of Sport, Parthenope University, Naples, Italy
The purpose of this investigation was to develop a list of
critical best practices that could be used to take advantage
of other Sport Organizations for disabled in the future. We
chose to investigate a case study in order to describe this type
of specific activity in Italian Context.
The research was conducted by a series of field interviews.
Results were presented in terms of: organization objectives;
leveraging activities; and results. The resulting data revealed
a number of very strengths considered as distinct best practices.
istic of these type of organization.
The purpose of this investigation was to develop a list of
critical best practices that could be used to take advantage of
other Sport Organizations for disabled in the future.
The paper is structured as follow: the second section describes the literature review about the objects; the third section describes the most important characteristics of no profit
organization in business economic perspectives. The section fourth is dedicated to methodology applied during the
research and the principal results identified. Finally, in the
last section the conclusions, the limits and the future research
perspectives are described
1. INTRODUCTION
2. LITERATURE REVIEW
In the World there are about 650 million of people with
disabilities. Namely nearly 10% of the world population is
affected by disability problems of different weight. Disabled
people are a significant part of population and for this reason
it is important to ensure integration in all social activities.
In particular sport becomes an import mean of integration
and socialization. Nowadays the disability is “a human
rights issue” (Gerard Quinn and Theresia Degener, 2002)
and many international organizations are concerned with the
relationship between sport and disability. In 2006, the United
Nations General Assembly enacted the “International Convention on the Rights of Persons with Disabilities”. This act
can be considered the first document in the promotion of the
disability question. The international prospective about the
relationship between sport and disability shows a prospect of
normalization: now there is the will to use sport for disabled
people as a means for social integration. This phenomenon
lends itself to a study of multi-faceted and multi-disciplinary.
Considering the sensitive nature and the cultural dimension of the arguments, the authors, during the investigation,
have decided to give precedence to a business management
approach. In this way, they explore the business economic
prospective and they highlight the most important character-
In the time, the study of relationship between sport and
disability has become more and more important. Many authors have analyzed this argument based on different theoretical prospective. Some authors explored the relationship
between sport and disability based on Corporate Social
Responsibility Theory, (Freeman E., 1984), the promotion
of sport practice is a social responsibility, more especially
the benefits of sport can be considered “stimulation good”
(Scitovsky T., 1976). This type of goods have the attitude to
create happiness, the society has to engage for their diffusion
on all people. The introduction of sport for disability people
is considered a mean to create social capital namely all type
of behavior that can increase the condition of people (Ecchia G. and Zarri L., 2005). Differently other authors used
the theoretical framework of happiness studies (Gui, 1987;
Uhlaner, 1989) to describe benefits about practice of sport by
disabled people. These authors identified a positive relationship between sport practice and well-being. Participation in
organized sport activities intensifies the happiness and in this
way increases the general social condition (Meier S., Stutzer
A., 2008). Putnam (2000) identifies the bridging social capital. He supports that when there is the production of social
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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 26 • 1° APRILE 2016
capital for a specific group of people, it develops externalities also for all other people. In other words thanks to the
introduction of the sport for disabled people benefits for this
group of people benefit the general social condition.
Sports activities produce same different benefits on disabled. These benefits can be divided according to the type
of disability. In fact for people who have physical disability sport practices improve both physical and physiological
conditions. On the other hand, people who have cognitive
disability improve their general conditions thanks to sport. In
fact it is considered an educational value. Berrett and Slack,
in 2001, focus their attention on the ability of non-profit sport
organizations to generate funding from the corporate sector.
Their analysis is based on data obtained from semi-structured
interviews in a set of Canadian national sport organizations,
their findings show that the environmental factors could contribute to the ability of sport organization. Several authors
(Corby and Sowards, 2000; Salamon, 2002; Lenkowsky,
2002; Iecovich, 2004) in their researches emphasize the role
of communication in no profit sport organizations as strategic factors to realize their mission. Broglia and colleague, in
2012 analyses the activities of sport organization for disable
in one Italian Region: Veneto. In the same vein Gesuele and
Ascione in their research, using a SWOT analysis approach,
explore the sport organization for disabled in Naples, Italian
city.
3. THE NO PROFIT ORGANIZATION IN THE BUSINESS
ECONOMIC PERSPECTIVE
The study of sport non-profit organizations could analyze
in the business economics perspective, in fact we have to
classify this type of organization as firm and without a doubt
as “the coordinated set of elements whose systemic coordination turns to a single end (Zappa G., 1959) or as “as strictly
economic order of an institution” (Masini 1970).
According to Borgonovi (1993) the concept of social institution qualifies itself when it responds to a number of characteristics, such as: the association form, the clear aims and
the internal decision process.
Although, in the literature, there are different definitions
of non-profit companies, mainly influenced in part by the
fragmentation and the differences between countries in the
legislation governing this sector and, in part, by the heterogeneity of the sector itself, it is possible to identify among the
characteristic that distinguish these types of two important
companies determinants:
• The presence of a relationship of non-distribution of profits
• The production of goods and services of collective interest.
Stark, in 1993, defines the no profit companies as “an economic organization dedicated to the production of goods and
services, those goods may be offered through non-market
transfers”.
Another feature of the no profit organization is tracked in
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the production non-profit goods or services of collective interest or for particular groups of people. In this particular
type of company production is revealed as a creation of value
(Capaldo, 1996).
Responding on the concept of value creation, the nonprofit
company is being socially responsible (Caselli, 2003). The
responsibility involves the redistribution of the product value with the aim of preserving the institution itself.
4. METHODOLOGY
During this section we describe the Italian context, the
sample under investigation, the survey and its principal findings. The data collected regarding on the organization activity during 2015.
In order to answer the research question we chose the case
study methodology (Yin, 1984) because this type of approach is consolidated in the business economic study and
it allows to describe a specific case generating findings that
could be generalized.
4.1 The Italian Context
In Italy there is a specific organization called