appunti di geografia politica ed economica
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APPUNTI DI GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA CAPITOLO XXI – Il Novecento: geopolitica tra funzionalismo e organicismo Social-imperialismo e “imperialismo straccione” Diversa evoluzione dello scenario europeo rispetto a quello nordamericano con una commistione tra forme dell’economia capitalistica e i modi della politica. I nuovi stati si trovano ad avere spazi di espansione molto ampi sia a livello di politica interna che internazionale. Tendono a saldarsi in un continuum, dove la politica estera non è più riservata alle elite, ma si fa più vasta, coinvolgendo l’intera popolazione. Diventa necessario integrare risorse interne (territorio, popolazione) per attuare una politica “esterna”: ultime fasi della corsa alle colonie alla quale lo sviluppo industriale e politico e la diffusione di tecnologie più potenti avevano dato nuovo impulso. Nuovi sistemi economici coloniali che diventano centri di attrazione per nuove ondate di migrazione: formazione di colonie di popolamento, combinate a politiche di imperialismo sociale, ottenute utilizzando la massa dei migranti come “massa di manovra”. Una competizione sempre più serrata per acquisire il controllo delle risorse in aree del globo ancora inesplorate con missioni commerciali, guerre di conquista e flussi di migranti. A questa corsa si aggiungono stati europei nuovi: Italia, Belgio, Danimarca, Germania.. ma coinvolge anche Usa e Giappone. Coinvolge stati senza politiche coloniali vere e proprie che vedono in queste conquiste a “basso prezzo” un’occasione, originando forme di “imperialismo straccione”. In entrambi i casi tendenza delle elite a elaborare politiche “estro-verse” come diversivi ai problemi interni. Proiettare verso l’esterno i propri problemi senza risolverli. La geostrategia degli imperi coloniali Conquiste: stati-imperi in competizione tra di loro nascono scuole di geografia coloniale, per elaborare teorie di sostegno e legittimazione all’espansione. Continuità alle idee organicistiche e ratzeliane, con motivazioni di first arrived, first served. La mappa globale diventa il campo di gioco per le cancellerie europee. Si vogliono acquisire posizioni di favore conquistando aree inesplorate e bacini di risorse emarginando e/o riducendo in schiavitù le popolazioni locali. Redazione di nuove carte geografiche con continua manipolazione delle forme dei territori alla ricerca di nuovi equilibri e linee di espansione. Obiettivi perseguiti anche tramite la costruzione di reti di collegamenti e infrastrutture che diventano lo strumento per consolidare il dominio in senso politico delle conquiste militari. Es. ferrovie transcontinentali (Transiberiana e Progetto della Berlino Bagdad), scavo di canali e taglio di istmi. Elaborazione, dunque, di nuove geo-strategie e nuove contro strategie, chiedendo alla geografia di redigere la nuova mappa del globo. Lo scenario dell’espansione Scenario lontano dall’Europa, a discapito di popolazioni native, con potenze che impegnandosi nel gioco coloniale cercano anche di evitare la guerra tra di loro. Le folle metropolitane in patria seguono appassionatamente il tutto facendo il tifo, mentre la stampa elabora slogan (scramble for africa). Una corsa a scala globale che include cancellerie, eserciti, centri studi e servizi di informazione impegnati a competere per i territori non ancora rivendicati e redigere mappe delle risorse con itinerari di espansione. L’obiettivo è quello di controllare una serie di punti e passaggi critici. In senso militare si avviano manovre tattiche per la supremazia su interi scenari, con la conseguente affermazione di dottrine geostrategiche tra le quali quella che vuole evitare o imporre un Hemispheric Denial (il blocco delle rotte transoceaniche alle potenze continentali). Manovre perseguite militarmente o allestendo capisaldi o controllando indirettamente tramite stati amici e protettorati (indirect rule) o ancora allestendo linee di infrastrutture con una frontiera incontrollata che si sposta a discapito delle popolazioni locali. In altri casi ancora si registrano guerre di distruzione, sterminio e deportazione di massa. Dallo scramble per le nuove terre al Grande Gioco Esauriti i margini di espansione, le missioni di esploratori e le avanguardie entrano in contatto tra di loro: saturazione che apre nuovi scenari. (es. Incidente di Fashoda 1898). Conclusione dell’epoca della redazione 1 di una mappa definitiva del globo e necessità di elaborare un nuovo equilibrio. Evoluzione che arriva alla fine dell’800: limite della corsa agli spazi vuoti (scramble for Africa). Gli imperi coloniali avviano dinamiche definite di game: un gioco di simulazioni con lo scopo di consolidare le acquisizioni piuttosto che di allargare i propri confini. La corsa coloniale tende ad esaurirsi, elaborando nuove tensioni e nuovi scenari sotto l’egida di un’ideologia di consolidamento, per chi aveva un impero, o di chiusura e rivendicazioni per chi riteneva di non aver ottenuto quanto desiderato. L’elemento marittimo: Mahan e il potere navale Fase di progressiva saturazione che porta ad interrogarsi su quali sono i fattori che producono potere e condizioni di vantaggio. Fino ad allora la geografia politica aveva fornito una teoria dell’espansione bellico terrestre, con definizioni ratzeliane e teorie di Von Clausewitz: (assunzione di un modo di espansione concentrico da un centro a una periferia e a una frontiera). Bisogna elaborare una nuova geopolitica che superi il contesto colonialista: si forma negli USA recependo le trasformazioni nella tecnologia dei trasporti e il mutato contesto della politica americana stessa. La politica globale post coloniale si trova ad essere commerciale e marittima: in contrasto con la visione tradizionale di Monroe e dell’isolazionismo. Principale esponente dell’evoluzione: MAHAN. 1890. Militare che recupera l’idea del sea power riconsiderando la dimensione marittima come elemento per la strategia di uno stato moderno che deve necessariamente fondarsi sullo sviluppo di traffici e mercati. Conclusione raggiunta tramite studi empirico deduttivi che individuano il potere navale come strumento per difendere il commercio internazionale, fonte di vero vantaggio competitivo di uno stato, riflettente un nuovo clima (neo mercantilista) che considera il commercio uno strumento per accumulare economia in modo unilaterale. Il controllo del mare è strumento per il controllo del commercio quindi strumento per perseguire vantaggio politico. I principi della geostrategia L’approccio di Mahan è scientista quindi fondato sulla convinzione che l’applicazione sistematica di un metodo può portare de terministicamente al successo economico politico e militare. Definisce preliminarmente l’ambito di azione per distinguere tra scale caratteristiche e individuare per ciascuna scala il modo operativo adeguato. Mahan ritiene che la distinzione in unità di scala (politica, strategia, tattica e tecnica) sia essenziale per realizzare una possibilità di specializzazione. (es. i militari per la strategia, i politici per gli obiettivi, ecc.). un fatto ovvio che definisce un problema diffuso nella prassi, che genera equivoci e conflitti di competenze e confusioni. Si basa su osservazioni e studi di casi con metodo dal particolare al generale e su definizioni. Es. strategia definita come combinazione di campi di azione e tattica come campo di azione nel quale è possibile intervenire per cambiare le cose in corso di svolgimento. Ritiene dunque necessario organizzare l’azione a vari livelli, sulla base di un principio di non interferenza. Mahan elabora anche una riflessione di tipo politico e ideologico consequenziale alla distinzione per funzioni: lo schema elaborato non può che realizzarsi in un contesto di regime pluralistico o parlamentare. Unico modo politico che consente un’organizzazione per controlli interni di tipo reciproco e di autolimitazione del potere. Visione opposta a quella prevista dall’organicismo europeo continentale. La dimensione continentale: Mackinder e l’Heartland Le teorie di Mackinder, geografo e politico britannico, sono un originale tentativo di descrivere gli scenari dell’epoca e di individuare i rischi che l’impero avrebbe dovuto affrontare in fasi di transizione. Osserva una mutazione a scala di contesto, con l’affermazione di una serie di potenze continentali che sviluppano un paradigma politico essenzialmente diverso da quello che ispirava l’imperialismo inglese (vedi Germania e Russia) e realizzano il potenziale rappresentato dalla nuova tecnologia dei trasporti e delle comunicazioni. Rilanciano il potere terrestre su quello marittimo allestendo grandi infrastrutture che consolidino il potere dello stato. Stati-imperi in grado di minacciare il potere britannico, acquisendo vantaggio nella competizione internazionale, cambiando assetti ed equilibri in modo durevole, portando Mackinder a concepire una teoria del potere continentale rispetto a quello delle periferie marittime. Come riferimento prende la capacità della Russia di usare strategicamente un’infrastruttura (La Transiberiana) e realizza il potere che deriverebbe dal controllo di un ipotetico heartland. Mackinder compone un sillogismo ormai celebre in merito: “chi domina il cuore della terra domina l’isola del mondo, chi domina l’isola del mondo 2 domina il mondo”. Con questa frase definisce la geopolitica come una scienza che considera il territorio e l’organizzazione territoriale come strumenti per produrre potere, come sequenza di luoghi centrali e periferici controllando i quali gli stati possono ottenere effetti di moltiplicazione di potenza. Definisce tali territori “pivot” (leve), sui quali è possibile produrre surplus di potere. Teoria che assume, dunque, il territorio come una variabile che influisce sull’azione umana, dando opportunità ma anche rischi e assume la mappa della realtà come una sequenza di discontinuità. Idea della geostrategia che usa la risorsa territorio per produrre potenza. Mackinder e i rischi della nuova epoca Argomentazioni originali ma generiche, inauguranti un modo visionari di fare geopolitica fondato su previsioni e proiezioni. Mackinder considera l’evoluzione delle politiche di potenza di tipo terrestre e di controllo dell’Heartland che la Germania e la Russia avrebbero potuto sviluppare a scapito dell’Inghilterra. Un aspetto dunque di tipo geo-ideologico dell’elaborazione del geografo, piuttosto che geografico in senso stretto. Opera: “Democratic Ideals and Reality”. In essa prevede il rischio che la combinazione tra capacità geopolitica, mezzi di comunicazione di massa e politica organicistica possano dare origine a un nuovo dispotismo denuncia il rischio di una centralizzazione del potere che, infatti, si realizzerà ben presto nei due paesi. Ciò sarebbe avvenuto sulla base di ideologie facili e semplificatrice che individuavano dei target geopolitici per le masse, nella visione di M. Una prospettiva teleologica per popolazioni manipolabili. I totalitarismi europei: Mackinder è il simbolo di un’era di contrapposizioni e contraddizioni ma è anche teorico sia del liberalismo che dell’imperialismo britannici e considera l’espansione coloniale come l’evoluzione diretta di una condizione di superiorità civile e tecnologica. Una visione social-imperialistica, dunque, di una proiezione verso l’esterno che, con il tempo, produce un effetto riflessivo (feedback) sulle strutture della politica, con un compattamento interno a uno stato che tende così a trasformarsi in autoritario; soprattutto in quegli stati che non erano riusciti nella manovra di espansione coloniale.. M. elabora una teoria di potenza ed unificazione statalnazionale con società e apparati che piuttosto che aprirsi su nuovi mercati, si chiudono in blocchi e in complessi militari-industriali. Tali teorie fornirono criteri di legittimazione alle espansioni e alle teorie deterministiche basate su presupposti razziali, che recuperano i motivi dello spazio vitale. Politiche e visioni che caratterizzano in particolare gli stati in ritardo di industrializzazione e infrastrutture, che adottano l’idea della compattezza al loro interno e dell’espansione verso l’esterno. Si prefigura una riedizione della guerra come strumento di politica interna e internazionale ed una riedizione della teoria dell’aggressività come manifestazione di vita politica, al pari di un’idea di superiorità facilmente spendibile tra le masse. La Geopolitik Serie di correnti di pensiero che danno continuità alle teorie di Ratzel e di Kjellén, ma anche a concetti ottocenteschi di stato inteso come fenomeno naturale, mosso da una serie di forze incomprimibili, destinato a crescere e scontrarsi con altri stati. (recupero anche delle visioni hegeliane e social darwinistiche: stato costretto a combattere per sopravvivere). Tale visione prefigura un assetto politico in continua evoluzione con stati perennemente in guerra tra di loro, in un quadro di ciclicità di potenze che nascono, si combattono, crescono, prevalgono e/o soccombono, fino alla visione limite di una geopolitica di pan-idee e pan-regioni o di stati imperi che tendono a occupare tutte le superfici disponibili. L’artefice di tali elaborazioni è Hausofer che ebbe grande influenza sui nazisti. Le sue visioni prefigurano una copertura ad un recupero di un istinto predatorio alimentato dalle frustrazioni della Germania sconfitta a Versailles. Tale prospettiva mette in evidenza la vera aberrazione della Geopolitik ed il suo atteggiamento disumano che assume le istituzioni e la mappa degli stati come un semplice gioco, non come contenitori di umanità, oggetti da conquistare e distruggere. L’uso dei mass media e la cartografia persuasiva La geopolitica inizia a produrre un apparato di strumentazioni e di ideologie per perseguire l’obiettivo di un effetto totalizzante di unificazione di tutte le forze della società in un unico sforzo e in un’unica politica di 3 potenza. Ci si avvale delle nuove tecnologie del potere e della comunicazione: lo stato totalitario moderno persegue una politica di imposizione, una di consenso e una di persuasione. Tutti aspetti necessari per i sistemi di massa, in quanto non si può più fare a meno delle popolazioni. Consegue un utilizzo massiccio e sistematico delle tecnologie della comunicazione sociale, perseguendo obiettivi di persuasione a vasta scala. Strumenti talmente nuovi da essere estremamente efficaci, fatto che spiega il rapido affermarsi dei totalitarismi moderni. La geopolitica inizia a fare un uso distorto della cartografia (appunto persuasiva), per manipolare le masse. Presenta i vari soggetti della politica o come vittime o come aggressori. Utilizzo distorto dei diversi elementi cartografici (frecce, scritture, disegni, sottolineature, caratteri, stili e proiezioni). I cartografi della Geopolitik elaborano un catalogo di simboli da usare con un supporto di segni e di dimensioni proporzionate e fuori scala per manipolare le sensazioni. Teoria della Gestalt, impressionismo e misticismo Elaborazione di un catalogo di segni e di manipolazioni per creare un impatto impressionistico sul largo pubblico affinché tutta la popolazione potesse sentirsi nel contempo soggetto di geopolitica e vittima di un meccanismo deterministico. Esempio rappresentazione della Germania al centro di qualche cosa. Concretamente: elaborazione di una cartografia formalista, che considera unicamente l’apparenza dei fenomeni, per produrre un certo effetto, senza la necessitò di dover elaborare ulteriori giustificazioni. Tra questi esempi si riporta quello della teoria della Gestalt di ambito psicologico sociale che propone un metodo di apprendimento per intuizione piuttosto che di tipo razionalistico per prova ed errore, assumendo la realtà come non scomponibile e percepibile unicamente per forme esteriori da considerare nella loro interezza. Teoria complementare, dunque, alla geopolitica dell’organicismo, pericolosa se usata operativamente come strumento di persuasione politica. A conti fatti estremamente efficace in quanto carica la guerra di motivazioni estremamente potenti rendendola “santa”, creando un “superuomo” e un’idea di destino inevitabile. La geopolitica fascista In Italia negli anni 30 un gruppo di geografi dell’università di Trieste fonda la rivista Geopolitica, che segue obiettivi e metodi della Geopolitik tedesca. Ambizione di elaborare una mappa per l’ipero di Mussolini, fornire indicazioni su risorse, direttrici di espansione e modi di realizzare una condizione di indipendenza geopolitica, complementari all’idea di autarchia. Capitolo della storia della geografia che non produce innovazioni scientifiche di rilievo ma che nondimeno è utile per mettere in evidenza in prospettiva storica il ruolo che l’istituzione accademica può assumere come strumento di una politica deviante. CAPITOLO XXII – Geografia dello scenario bipolare Lo scenario bipolare Nel secondo dopoguerra si elaborano le premesse per una nuova divisione tra regimi aperti e chiusi, in termini est e ovest, in sovrapposizione alle teorie di Mackinder. Contrapposizione tra un mondo interno continentale e uno esterno, tra libertà e dispotismo. Scontro di due potenze che consolidano il monopolio sull’iniziativa politica e militare di gran parte dei paesi del mondo, ma anche congelamento delle politiche internazionali che si combina a un effetto terroristico indotto dal rischio di guerra nucleare. Fase di stallo nella politica tra le potenze, con l’elaborazione di altre forme di guerra e competizione su scala diversa, in modo indiretto, ma non per questo meno pericolose. Sviluppo di una serie di guerre locali combattute in aree deboli del pianeta sostenute a volte neanche ufficialmente dalle due parti. La mappa geostrategica del confronto Il campo di battaglia si evolve progressivamente da uno schema di guerra tattica e terrestre verso scenari di guerra non guerreggiata. La prima fase appena dopo la WWII vede l’impiego del consueto terrain management, con l’allestimento di un fronte continuo e compatto di difese terrestri. Le fasi successive registrano l’evoluzione verso assetti e tecniche meno territoriali e sempre più sofisticate scenario di INF (intermediate Nuclear forces) e di SDI (strategic defense initiative). Spostamento dell’asse del confronto verso lo spazio esterno alla biosfera e all’atmosfera. Superamento della tradizionale questione dell’hemispheric denial con entrambi i contendenti pronti alla guerra globale. Conseguimento di una 4 capacità che consente di reagire alle iniziative dell’avversario immediatamente e ovunque sullo scenario planetario. Confronto che prospetta un impegno estremo con effetti paradossali di deterrenza che evitano, infine, l’escalation nucleare. Le teoria del gioco bipolare: il “rimland” La contrapposizione si evolve in forme di competizione di tipo innovativo che escludono lo scontro distruttivo, cioè la guerra diretta. Lo scenario si frammenta in due blocchi separati da una serie di cortine di ferro che creano le premesse per uno stallo e per un effetto di ritualizzazione del confronto. In tale contesto si afferma una nuova generazione di tecnocrati. Le teorie del periodo superano le visioni precedenti, adattandole al nuovo ambiente tecnologico: rielaborazione di geopolitiche in una serie di istruzioni concrete militari economiche e strategiche. Ci si ispira alternativamente ai modelli otto e novecenteschi proponendo adeguamenti e integrazioni. Es. Teoria del potere peninsulare: recupero delle proiezioni di Mackinder con una visione che individua nel cerchio esterno alla pivot area l’area critica del sistema internazionale. La geografia definisce una sorta di potere marginale che recupera la contrapposizione classica tra terra e mare aggiungendo un elemento intermedio, il RIMLAND, che si articola lungo le coste e le penisole e permette alle potenze che controllano tali corridoi di sfruttare assi di traffico e collegamento efficienti sviluppando potere e posizioni di vantaggio. Le teorie del gioco bipolare: dominio, containment e opposizione globale La mappa globale diventa la base per le politiche della guerra fredda che applicano le succitate rielaborazioni geostrategiche e teorizzano a seconda dei diversi casi: 1) fronte unico e compatto a scala planetaria, 2) sistema di barriere diffuse e moduli di difesa statici o mobili, 3) allestimento di un dispositivo di risposte colpo su colpo o di diversificazione delle risposte. Nel caso 1) si parla di dottrine del containment (Spykman e Kennan) con scenari a possibile effetto “domino” (Eisenhower). Si rende necessario l’allestimento di un cordone sanitario da parte dell’occidente nei pressi del territorio nemico per evitare l’effetto contagio e il rischio di escalation. Le teorie assumono una capacità ideologica dell’avversario che si pone in grado di perseguire guerre sociali, indirette e politiche. Si assimila l’ideologia del nemico a quella di una pestilenza a rischio di contaminazione diffusa. Concretamente ciò si trasforma in una serie di trattati di sicurezza e mutua assicurazione lungo una linea che va dall’EU Occ. all’Esteremo Oriente, dall’Atlantico a Pacifico, cfr. Nato, Cento, Seato. La dottrina del contenimento si afferma in seguito alle teorizzazioni geopolitiche di Spykman in contrapposizione o in combinazione ad altre come quella dell’opposizione globale, con risposta colpo su colpo alle mosse dell’avversario (più dispendiosa cmq). Lo scenario si evolve in una serie di corse al riarmo con l’esercitazione di una pressione continua e insostenibile sull’avversario. La mappa della guerra fredda Lo scenario progressivamente si estende fino a configurare una strategia globale che coinvolge qualsiasi ambiente immaginabile, dove usa e urss si fronteggiano assumendo l’iniziativa o mantenendo una posizione di difesa/attesa/risposta immediata o differita. Le teorie adattano le idee geopolitiche allo scenario bipolare che finisce per interessare qualsiasi campo di battaglia senza degenerare nella guerra diretta che avrebbe portato all’autodistruzione. Tale scenario di tensioni è sottoposto a tentativi di manipolazione da parte di usa e urss per diminuire i rischi del contagio. Piuttosto che teorie geopolitiche si parla di proiezioni e rappresentazioni che delineano una manovra di persuasione da perseguire per esigenze di mantenimento di fronte interno. La geopolitica perde in senso strategico per diventare una continua ricerca di vantaggi anche minimi. Si articolano geografie di scenario e di tempi di reazione che recuperano le definizioni di Mahan tra tecnica, tattica, strategie e politica, applicate incrociando il confronto su scale diverse. Confronto a qualsiasi dimensione armi culturali, ideologiche e tecnologiche. La teoria del potere aereo La competizione porta ciascun contendente a sviluppare per conto proprio armi e strategie ritenute congeniali per tentare di attirare l’avversario sul campo di battaglia. Ciò porta la geopolitica USA a riconsiderare una serie di elaborazioni proposte negli anni pionieristici dello sviluppo dell’aviazione, in particolare dall’aviatore russo americanizzato De Seversky, che formula una teoria del potere aereo fondata 5 sulla possibilità di immobilizzazione dell’alto dell’iniziativa avversaria con l’uso di aerei di bombardamento per colpire in profondità oltre la linea del fronte. Tale teoria recepisce l’evoluzione di nuove tecnologie e l’effetto sorpresa che esse provocano. Sviluppo della tecnica di guerra missilistica, sottomarina e oceanica. Lo sviluppo e l’impiego di vettori a lunga gittata porta all’elaborazione di nuovi scenari. Tutta la capacità bellica deve concentrarsi sul first strike, il primo colpo, sulla capacità di prevederlo, di dare l’allarme, di reagire istantaneamente . La proiezione nelle dimensioni aerospaziali All’applicazione strategica dell’arma aerea consegue la progressiva estensione del teatro bellico alla dimensione satellitare aerospaziale. Spostamento della proiezione mackinderiana: dall’isola del mondo agli oceani e agli spazi siderali, con l’adeguamento della formula geostrategica chi domina lo spazio domina il mondo. Spostamento del confronto tra usa e urss oltre il limite dell’atmosfera. L’apparato scientifico e bellico americano elabora un’idea di scudo spaziale SDI, utilizzando le prime tecnologie dell’elettronica che invece l’urss non riesce ad assimilare. Evoluzione che si sviluppa negli anni 80 nella NATO. Prestigio degli imperi, geopotere sociale e guerra ideologica Lo scenario si evolve in una logica di gioco che significa per ciascun attore la necessità di adottare qualsiasi espediente possa portare a qualche vantaggio, anche minimo, che prevede l’ineludibilità della risposta e la necessità di reagire comunque a qualsiasi mossa dell’avversario: la mancata risposta porterebbe a uno svantaggio. I due sistemi diventano sensibili al fattore prestigio (= l’aspettativa di potenza che sono in grado di indurre). Qualsiasi svantaggio può ora generare un effetto a cascata mettendo a rischio tutto l’impianto. L’obiettivo del gioco è anticipare le mosse dell’avversario rispondendo in modo proporzionato e mai distruttivo per far valere vantaggi tattici in senso strategico. All’iniziativa e alla predominanza tecnologica americana, l’urss risponde con una strategia di guerra sociale e di propaganda tra le classi più deboli. Tale geopolitica sociale si fonda sul presupposto che il comunismo possa rappresentare un certo appeal per le masse e i ceti sociali frustrati, ispirando teorie terzomondiste e anticapitaliste una guerra ideologica, la strategia di espansione dell’urss. A tale tattica l’occidente risponde in tempi differiti, soprattutto post Helsinki ’75 con un capillare appoggio a forme di dissidenza e di opposizione all’interno del blocco comunista. Giochi e rituali dell’era bipolare Tale quadro si sovrappone allo schema della contrapposizione tra potenze aperte e chiuse. Uno scenario strutturalmente limitato, dunque, nel quale i contendenti hanno limitate possibilità di manovra, portando alla conseguente applicazione della “teoria dei giochi” in ambito internazionale, prefigurando un approccio nuovo e una teoria nuova del confronto politico. Tale metodo dovrebbe rendere prevedibili le mosse dell’avversario matematizzandone il comportamento. Una matematica nuova né lineare né cumulativa, di misurazione di effetti circolari e reversibili. Tale gioco si traduce in una ritualizzazione del confronto, tipica degli scenari chiusi dove nessuno dei contendenti può distruggere o sconfiggere l’avversario. Precedenti: Atene e Sparta. I due contendenti sembrano addirittura, alle volte, legittimarsi a vicenda in un rituale e una scacchiera dove qualsiasi mossa non può che significare qualche cosa di reversibile. Tale idea del gioco assume un significato caratteristico che si sostituisce alla parola guerra, in uno scenario di dissimulazioni e paradossi. Il superamento dello scenario bipolare La fine di tale scenario arriva in modo inatteso, con lo sfumare di giochi e rituali senza sfociare in nuovi scenari. La fine è dettata dalla semplice uscita dalla scacchiera di uno dei contendenti, quello sovietico, per semplice esaurimento della capacità politica un suicidio politico. Lo scenario sfuma in una serie di scenari nazionali e regionali dove i vari soggetti mantengono atteggiamenti di cautela: la fine del gioco bipolare non annulla il rischio di escalation né quello della proliferazione degli armamenti però. Il gioco non si dissolve nel nulla ma non lascia nemmeno degli sconfitti. Lo scenario da bipolare si evolve in multipolare rendendo necessaria l’elaborazione di un nuovo ordine e un nuovo codice di regole tra centri e periferie, tra soggetti e attori di geografia e di politica. 6 Un mondo multipolare o un nuovo impero globale La scena attuale supera la logica della contrapposizione basata su un’unica frattura planetaria. Il nuovo ordine recupera le logiche di aggregazione multipolari peculiari del repertorio della geopolitica classica, superando le strategie del dominio e del containment e prefigurando un’evoluzione meno rigida e apparentemente meno rischiosa. Una teoria che recupera le mappe macroregionali e disegna il mondo come suddiviso in regioni geostrategiche, premettendo una nuova riorganizzazione degli stati su scala interstatale e anticipando le tensioni che si affermano poi con la globalizzazione. Tale gioco di aggregazioni si sviluppa seguendo assi opposti, dal basso o dall’alto, come unioni spontanee di stati e di sistemi politici ed economici e con la formazione di unità pluristatali come l’UE. Pan regioni formate non come gioco geopolitico a come libera unione di stati che cercano di recuperare qualche soglia di coordinamento in un contesto di aperture e di fenomeni tropo potenti da poter essere affrontati da stati singoli e isolati spesso in competizione tra di loro. La realtà globale appare in termini talmente complessi da escludere, oggi come oggi, che qualsiasi stato o superpotenza possa sviluppare una forza sufficiente per imporre un’egemonia sui meccanismi del governo mondiale e su tutto il pianeta. La politica post bipolare appare nei termini di una frammentazione complessiva in cui è evidente la tendenza dei singoli stati a perdere in funzionalità in compattezza, cercando forme di cooperai zone. Tale fatto verifica la teoria geografico politica della modernità, che definisce gli stati come unità politiche che tengono ad adeguare i propri confini in modo da rappresentare al meglio il range naturale dei fenomeni. I confini della politica tendono ora a seguire quelli dell’economia. Tutto ciò porta al’elaborazione di nuove mappe della politica internazionale che propongono nuovi ordini globali. Nuovo bivio per la geografia politica. Da un lato l’affermazione dei nuovi modi imperiali con manovre geoeconomiche, culturali e finanziarie, dall’altro una prospettiva multipolare con stati che si aggregano su scala macroregionale in organizzazioni basate sulla governance e sulla ricerca di collaborazioni. CAPITOLO XXV – La crisi della tarda modernità: il passaggio al post-industriale La crisi del modello industriale e le nuove tendenze localizzative La crisi del modello per poli di crescita comporta la crisi dell’industria fordista con il passaggio da un modello economico trainato dall’industria a uno dove prevale il terziario. Presupposti: situazione insostenibile dell’industria pesante, con città e insediamenti asfissiati da fabbriche e infrastrutture inefficienti. Apertura di un nuovo paesaggio di attività terziarie che accrescono la domanda di qualità in tutti i campi dall’ambiente alla cultura. Tali evoluzioni delineano un quadro di incompatibilità che dà impulso a una serie di trasformazioni fino all’affermazione della civiltà del terziario. Le attività industriali, emarginate, saranno abbandonate o riconvertite o de localizzate. La riconversione comporta un processo di riqualificazione urbana e di sconvolgimento degli assetti centro – periferia. Ciò rende disponibili spazi urbani e industriali che una volta bonificati possono essere utilizzati per nuovi impieghi. Migrazione delle imprese ad alto consumo di spazio e ad alto impatto dalle aree centrali verso aree meno “costose”. Una rivoluzione vera e propria che evidenzia la possibilità dello sviluppo come una questione di organizzazione e di disponibilità di territorio. tale constatazione crea le premesse per una nuova teoria e per una nuova urbanistica adattabile e flessibile. La delocalizzazione La trasformazione riguarda principalmente le lavorazioni pesanti che si rilocalizzano in aree di periferia spesso contigue alle aree di reperimento delle risorse. Le strutture che lavorano le prime fasi del materiale grezzo si riavvicinano alle fonti (cokerie, fonderie, ecc). Idem per lavorazioni pericolose, impattanti, con materiali volatili e infiammabili o ad alta concentrazione di attività e popolazione. Processo di redistribuzione dell’asse centro periferia che ne consegue e che capovolge l’ordine territoriale delle precedenti industrializzazioni. Le vecchie città industriali lasciano spazio a nuove aree del terziario e dell’industria hightech. L’industria ad alto consumo di territorio va a collocarsi dove le risorse ambientali e gli spazi abbondano e costano meno. 7 La tendenza alla de materializzazione Le aree al centro del sistema dimostrano una tendenza a riconvertirsi in attività del terziario con processi di deindustrializzazione diffusa, con imprese manifatturiere che tendono a de materializzarsi concentrandosi nelle fasi meno materiali del ciclo produttivo ed espellendo le fasi pesanti del ciclo industriale. L’evoluzione dell’industria conduce, dunque, al suo stesso superamento con l’affermazione di una nuova forma di economia orientata ai servizi e alle fasi immateriali di un dato ciclo industriale, ad alto contenuto di cultura e conoscenza. L’industria tende a specializzarsi in funzioni a basso consumo di spazio e ad alto contenuto di cultura con la separazione di attività del terziario industriale e attività pesanti e materiali, trasferite, robotizzate oppure de localizzate in periferie varie (terzo mondo e paesi emergenti) stravolgimento dell’intero modo produttivo. Le attività immateriali assumono un ruolo di traino. Il mercato del lavoro per sistemi di fine ciclo L’evoluzione verso modelli e segmenti del mercato del lavoro a maggior reddito e qualificazione corrisponde a un imborghesimento e alla formazione di categorie di rentier di difficile definizione, spesso a causa di redistribuzioni di ricchezze accumulate nelle crescite precedenti. I lavoratori e i professionisti di settori a rischio di delocalizzazione tendono ad assumere atteggiamenti difensivi e di chiusura. I segmenti di lavoro a minore valore aggiunto, infatti, tendono a essere de localizzati perché meno attrattivi o, dove non è possibile, vengono occupati da fasce marginali di manodopera, spesso da immigrati con basse aspettative di reddito. In queste fasi avanzate di ciclo di sviluppo, con de materializzazioni dell’economia, si ha un declassamento delle funzioni artigianali e manuali con l’allontanamento delle nuove generazioni da professioni pratiche. Si formano economie subalterne di lavoratori DDD, demanding, dirty e dangerous, meno apprezzati, ghettizzati ed emarginati. Tali lavori spesso restano comunque ben remunerati perché indispensabili. Il passaggio al post industriale L’affermazione del terziario è un fenomeno che deriva da una serie di ragioni. In primis lo sviluppo di nuove forme di servizi che sostituiscono il terziario tradizionale amministrativo e commerciale. Poi la risposta alla richiesta della società evoluta di attività qualitative, meno materiali e meno impattanti. Parallelamente anche una trasformazione in una società a prevalente ceto medio. Tutto ciò è un fatto conseguente a una fase di crescita dell’economia che porta all’accumulazione di una certa ricchezza da parte di individui, famiglie e imprese, con un conseguente sviluppo di maggiori aspettative in termini di qualità della vita fenomeno autoalimentante. Si supera l’economia della necessità e si va verso quella del benessere. L’asse delle attività commerciali tende a spostarsi dalle funzioni materiali a quelle del terziario con il conseguente passaggio dalle funzioni industriali a quelle dei servizi, dai consumi di tipo pesante come abitazioni e automobili a quelli leggeri e ai servizi culturali. stravolgimento della stessa teoria del progresso con la prospettiva dell’evoluzione in una nuova epoca post industriale. Il welfare come politica territoriale La crescita moderna crea le premesse per un’economia dei servizi a causa della spinta dell’offerta e dal traino della domanda (push and pull), ma anche a causa dell’evoluzione spontanea dell’attività delle imprese. A tale fenomeno contribuisce anche l’evoluzione del lavoro e della de materializzazione delle imprese che terziarizzano il ciclo di produzione, esternalizzando le fasi pesanti del ciclo industriale. La conseguenza è un incremento di produttività che rende possibile la formazione di un surplus da devolvere nell’economia dei servizi e del superfluo (fenomeno sociale e culturale il ceto medio inizia a percepire come un diritto le proprie aspettative di benessere). La politica di welfare si rivela necessaria per rimediare agli squilibri prodotti da tale sviluppo spontaneo: l’apparato della democrazia deve poter rimuovere gli squilibri garantendo un principio di uguaglianza. Si ha di conseguenza un effetto di terziarizzazione con la tendenza dell’amm.pubblica a nazionalizzare interi settori dei servizi. Così lo stato moderno realizza il suo obiettivo di garantire a tutti i cittadini il bene della sicurezza in tutte le accezioni (fisica, personale, alimentare, ecc). L’effetto di stabilizzazione produce valore aggiunto a scala di sistema e alimenta ulteriormente lo sviluppo cittadini che percepiscono il sistema come sicuro tendono a consumare e investire e rischiare piuttosto che a tesaurizzare sottraendo risorse al mercato. 8 Da spesa produttiva a spesa improduttiva: la curva delle utilità La condizione di sicurezza sopra descritta ha avuto un impatto diretto sull’economia con propensioni ai consumi che esprimono curve caratteristiche e che appena raggiungono certe soglie di soddisfacimento invertono tendenza e significati. Oltre tali soglie l’apparato del welfare non produce più utilità e diventa improduttivo, quasi un espediente per alimentare inefficienze e distorsioni di varia natura. Il welfare è tale solo quando continua a produrre utilità vera e propria. Oltre tale soglia rischia di produrre un effetto perverso che si traduce in una considerazione distorta di servizio pubblico “dalla culla alla tomba”. Il sistema rischia di essere percepito come un ente superiore che dispensa qualsiasi bene. Si forma un’elite autoreferenziale che tende a consolidarsi in una posizione di rendita al centro del sistema. Tale involuzione porta all’accumulo di debito pubblico e alla proliferazione di “bias” di vario tipo con sprechi, corruzione e cattiva gestione delle risorse. Si sottraggono così energie alle imprese innovative e agli strati di popolazione veramente bisognosa. CAPITOLO XXVIII – Verso una geografia del post moderno Gli schemi del post moderno, tra spontaneo e pianificato In base al paradigma che una società assume (es pianificatorio) l’organizzazione del territorio assume modelli che possiamo definire compatti, dispersi, lineari, raggruppati, casuali o regolari. Modello compatto: insediamento sviluppato a cerchi concentrici e reticolari con gli elementi caratteristici dell’urbanistica christalleriana. In altri casi, es. criterio spontaneo, forme meno regolari e casuali, o lineari con file di edifici e vetrine, assieme ad una confusione di aree centrali e periferiche. Il modello si diffonde sulla scorta delle nuove tecnologie della mobilità. Modelli diversi vantaggi e svantaggi diversi rispetto ai target della pianificazione ottimale (accessibilità, integrazione, buona gestione di spazio, zonizzazione, sostenibilità..). L’ottimizzazione della mobilità può essere perseguita con modelli di insediamento e organizzazione antitetici, oppure con il miglioramento della mobilità pubblica e privata. Quando prevale quella pubblica bisogna minimizzare le distanze per rendere mezzi e servizi collettivi accessibili, quando prevale quella individuale si creano le condizioni per diffusione di modelli di insediamento dispersi e più difficili da organizzare. L’alternativa tra modelli diversi di insediamento configura l’alternativa tra modi di vivere e di organizzare l’intera società. Localizzazione per “amenity” e consumismo paesaggistico Si concretizza uno sviluppo per moduli funzionali che recepisce le forme di terziario culturale e ricreativo che caratterizzano la post modernità. Economia incentrata sulla qualità e non sulla quantità: economia di “happiness” che sviluppa funzioni diffuse in epoca di tarda modernità; il dopolavoro, il turismo... si ha un recupero dell’edilizia di pregio preesistente per rivalutare il paesaggio della natura e della tradizione, ma anche l’allestimento di un nuovo paesaggio di non luoghi con la ricerca di nuove ambientazioni di “amenity”, di pregio artistico, emozionale, culturale e ambientale e funzionale . aspetto negativo: fenomeni di consumo di territorio e di paesaggio con allestimenti provvisori e scarsamente qualitativi, originanti problemi connessi a effetti di invasione e saturazione (es villaggi costieri, ecc). tale tendenza diventa la ragione per lo sviluppo di interi sistemi post industriali che si riproduce a scala locale, con riqualificazione di regioni fino ad allora ritenute periferiche o di quartieri dell’antica industrializzazione. politiche di bonifica e di riconversione urbanistica. Tendenze globali nella mobilità e nei processi di insediamento Si registrano dei movimenti a scala locale sullo sfondo di tendenze di tipo macro che caratterizzano la realtà globale, comportando un aumento complessivo della mobilità in generale. Movimenti appena percettibili ma con verso e direzione precisi. Difficili da misurare e da gestire da parte delle autorità e delle istituzioni sono movimenti che si muovono su assi preferenziali. Spesso dall’interno all’esterno; da territori continentali verso la costa; individui, aziende, istituzioni, ricerca di migliori condizioni di accessibilità, di lavoro, ecc. spesso dalle città di provincia alle città capitali, alle global cities. Tutto ciò si combina a un complessivo fenomeno di deruralizzazione con una continua crescita della popolazione urbana su scala 9 mondiale. A lato anche un movimento migratorio dal sud al nord del mondo che coinvolge individui in condizioni di necessità o semplici migranti alla ricerca di nuove opportunità. spesso nelle forme di ondate di disperati. Tutti questi movimenti sono in senso esattamente contrario a quelli da nord a sud, che derivano da semplici dinamiche di sviluppo, di espansione di mercati e di comunicazione. Sono i casi delle aziende che sviluppano nuovi mercati e nuovi prodotti bombardando il sud del mondo, ma anche i movimenti turistici. Una nuova civiltà nomade Tutti questi movimenti sono dunque difficili da classificare; sono movimenti di ricerca di qualità e di opportunità, occasionali e periodici, residenziali e non, ecc. ciò si traduce in trasferimenti definitivi, a volte, dalle aree post industriali al centro del sistema ad aree di provincia fino a creare le premesse per una generale contro urbanizzazione. Si disegna uno scenario nuovo indotto dal miglioramento delle tecniche della mobilità, con masse di individui che scelgono dove vivere, lavorare e stabilirsi. Di conseguenza si procede a una riconversione da insediamenti di tipo funzionale per individui e imprese vicino ai luoghi di lavoro o alle risorse, verso insediamenti di amenità. Il ceto medio può decidere di risiedere e lavorare diove vuole costruendo attorno a sé un ambiente su misura o scegliendoselo. Tale tendenza è assecondata da nuove propensioni e abitudini che a volte provocano la rottura dello schema di localizzazione o la deterritorializzazione della stessa attività lavorativa. Si fora uno spazio indifferenziato che crea le premesse per un’evoluzione estrema della mobilità per il lavoro di qualsiasi tipo. Un fenomeno recente che rende possibile forme di pendolarismo su grandi distanze (ad eccezione dei casi di Trenitalia e Trenord) anche su base settimanale o giornaliera (ahah certo). Territori del pubblico e del privato In tale scenario, restrittivo o pianificatorio o spontaneo, il pubblico e il privato mantengono certi ruoli oppure prevalgono tendenze spontaneistiche sia nell’organizzazione territoriale che nell’economia. Le politiche di welfare si combinano a fenomeni di terziarizzazione portando ad una commistione: da un lato il pubblico recupera un ruolo nell’economia e nella società limitando lo sviluppo del mercato privato, dall’altra il privato sviluppa le proprie funzioni a volte occupando nicchie che il pubblico non riesce a gestire. Tale distinzione appare particolarmente evidente sul territorio. si registrano sistemi arretrati da qualsiasi punto di vista, con inefficienza delle infrastrutture e dell’organizzazione, che necessitano dell’intervento pubblico per mantenere la loro compattezza. Tutti questi fenomeni configurano nuove emarginazioni e nuove discontinuità in una mappa che alterna aree di agglomerazione insostenibile e aree tributarie a rischio di abbandono. Tale scenario individua un contesto di complementarietà tra pubblico e privato che può funzionare qualora il pubblico si dimostra abbastanza efficiente e il privato abbastanza strutturato in un contesto di distinzione effettiva, di fatto e di diritto, dei ruoli. Es.: project financing e finanziamento di opere pubbliche che diano un ritorno, cfr autostrade. Il terzo settore La realtà attuale dimostra come certe funzioni, considerate fino a una certa epoca esclusivamente statali, siano state progressivamente privatizzate, e viceversa. Le cause sono state necessità di budget, eccessi di debito pubblico e difetti di funzionamento. Es.: varie funzioni del controllo a qualsiasi scala della sicurezza, dell’amministrazione e della produzione. Idem per varie funzioni di governance internazionale, cooperazione allo sviluppo, assistenza in aree di crisi, protezione civile, ecc. tali funzioni tendono a essere gestite in regimi destatalizzati e deaziendalizzati, da organizzazioni non governative e non profit che contribuiscono a delineare un terzo settore in forte sviluppo ovunque nel mondo. Alcuni interpretano questo fenomeno come una tendenza autoregolatoria delle società, altri come investimenti in aiuti e beneficienza a copertura di investimenti di tipo strategico con un ritorno nel lunghissimo termine. Difficile distinguere tra investimenti e motivazioni filantropiche. I residui dei monopoli statal-nazionali L’evoluzione sopra delineata dipende dal funzionamento della società civile e dalla presenza di un effettivo civil auditing, unico modo per far funzionare veramente il pubblico tanto in un ambiente pluralista quanto 10 nel lungo periodo: un controllo, dunque, che avviene dal basso attraverso gruppi, associazioni del terzo settore, espressioni di opinione pubblica, enti locali, singoli individui, consumatori e utenti. Tutti svolgono un ruolo attraverso procedure di partecipazione e di dialogo razionale. Il dialogo tra il pubblico e il privato rappresenta un aspetto cruciale: il territorio dei sistemi di fine ciclo sembra occupato da reti e da monopoli statalnazionali che perdono in efficienza ma mantengono potere. Si vedano, ad es., le grandi organizzazioni di cui la stessa casta politica si alimenta, inefficienti e pesanti, addirittura non riformabili, che con la loro presenza bloccano l’iniziativa di nuovi attori e nuove imprese, pubbliche e private. Es.: energia, ferrovie, università.. tale complessa evoluzione è caratteristica della tarda modernità e probabilmente di tutti i sistemi di “fine ciclo”: amministrazioni pubbliche che degenerano in apparati inservibili e insostenibili, che nondimeno sono in grado, a causa della loro dimensione, di soffocare e bloccare qualsiasi tentativo di rinnovamento. L’alternativa tra competizione e coesione territoriale Bisogna condurre una riflessione sul ruolo dello stato e sui principi che devono ispirare l’azione del pubblico in un’epoca di transizioni: ad es. politiche di coesione e di integrazione tra territori, per limitare la competition delle imprese e garantire alla popolazione una base di servizi che assicurino condizioni di pari opportunità sul territorio. tale politica di integrazione è caratteristiche della tarda modernità dopo la WWII sforzo di allestire uno stato sociale al fine di evitare degenerazioni rivoluzionarie. Esempio lampante nella politica europea del trattato di Roma 1957: principio di coesione sociale e territoriale e di sviluppo armonioso (contrapposto al principio della competition). Si privilegia il coordinamento piuttosto che la competizione. Tale tipo di politica manca nel nuovo mondo caratterizzato da abbondanza di territorio e da una cultura della frontiera che porta la competition a rappresentare l’aspetto caratteristico di un contesto sociale estremamente mobile. Le frontiere del terziario: nuove attività e nuove funzioni Le tensioni descritte generano elementi per nuove differenziazioni e nuove sovrapposizioni centro/periferia, pubblico/privato. In epoca post moderna si tende ad espellere attività a basso valore aggiunto come quelle industriali, grandi infrastrutture ricollocate in aree esterne (porti, aeroporti, ecc) e riorganizzate in modo migliore. A volte certe attività (fabbriche, impianti vari, inceneritori) vengono de localizzate in aree di Terzo Mondo a costi fondiari, sociali e ambientali più redditizi. Bisogna distinguere tra attività terziarie di tipo tradizionale riorganizzate secondo schemi industriali (centri commerciali periferici, ecc) e attività di tipo innovativo (servizi alle imprese, culturali, ricreativi, ecc). attività, queste ultime, decisive nella competition tra aziende, tra sistemi e aree di sistema. A lato si configurano anche un terziario avanzato, o quaternario, di attività direzionali con un significato strategico diventa sempre più difficile distinguere tra funzioni autenticamente manifatturiere sempre meno materiali e attività di servizio, all’interno del terziario stesso. L’ambiente post-produttivista Si configurano attività che perdono significati e funzioni che prima avevano; agricoltura di qualità e intensiva accanto a una di tipo hobbistico non redditizia; attività di amenity e di happiness; ecc. tutte queste attività, e altre, per quanto apparentemente non abbiano un senso monetario, non è detto che non possano sviluppare un senso economico. Nel volatile ambiente del post industriale è necessario utilizzare altri parameri per classificare e definire le attività economiche. Fatto cruciale bisogna comprendere in tempo utile le ragioni dello sviluppo per garantire ad un intero sistema possibilità di crescita nel lungo periodo, e posti di lavoro per gli individui/opportunità di profitto per le imprese. CAPITOLO XXIX – La crisi del modernismo nel Terzo Mondo La frattura planetaria della modernità Quando la modernità sembra raggiungere il suo punto di massimo, appaiono i segnali della sua crisi. La società del benessere e del consumismo arriva a compimento fino ad esaurire la sua spinta innovatrice. Fenomeno non nuovo nella storia i sistemi completano la propria parabola degenerando o esaurendosi in 11 periodi di stagnazione. Il ciclo della modernità a un tratto sembra perdere senso rendendo evidente una serie di problemi ai quali hanno condotto i modelli di crescita cumulativa e quantitativa tipici di tale fase. La crisi è dovuta a varie cause e si manifesta in varie forme spesso caratteristiche delle fasi di fine ciclo effetti da esaurimento e appiattimento delle curve di redditività, produttività, ecc. tale rottura si riproduce ovunque, sia al centro che alla periferia del sistema (terzo mondo), significando tanto “crisi” quanto “opportunità”. La crisi si manifesta su scale diverse, soprattutto nel terzo mondo, dove il paradigma della crescita moderna aveva rappresentato un vero e proprio programma di sviluppo, e prende le forme di una frattura drammatica tra nord e sud, est e ovest, centri e periferie. A tale frattura si sovrappongono schemi di ideologia e di politica. La divisione sembra quasi verificare le proiezioni maltusiane e marxiane: inevitabilità del guadagno di qualcuno rispetto alla perdita di qualcun altro. Rappresentazioni semplicistiche ma che configurano il recupero di una logica di tipo predatorio: scenari neocolonialistici di geografia senza regole dove organizzazioni di varia natura agiscono aggirandosi come bestie rapaci alla ricerca di opportunità e risorse da sfruttare. Gli stati post coloniali, inoltre, configurano scenari politicamente deboli, con vuoti di potere che li rendono target di scorrerie e di tensioni varie. Un quadro di tensioni geopolitiche, dunque, che porta a una serie di guerre indirette che grandi potenze e organizzazioni varie, a volte coperture delle potenze stesse, conducono senza scrupoli nel sud del pianeta. L’avvio dell’elaborazione di una teoria dello sviluppo Tutte queste tensioni si inseriscono in un più vasto quadro di mutazioni paradigmatiche indicative della crisi del modello industriale e fordista. Nei paesi del terzo mondo dove era stato applicato, caratterizzati da strutture sociali e territoriali fragili, da modi sociali arcaici, ecc, il modernismo si era imposto come qualche cosa di artificioso e discontinuo con la base sociale preesistente, provocando ulteriori rotture. Si delinea una vera e propria catastrofe che dimostra l’inconsistenza dell’economia modernista e la necessità di elaborare una teoria specifica per tali paesi, esempi di una frattura planetaria e di drammatici ritardi. Si delinea una nuova teoria (teoria dello sviluppo) che deriva dalla più vasta teoria dell’economia e che diventa strumento, ideologia e prassi per sistemi che da allora, partendo da condizioni di arretratezza preindustriali e premoderne, perseguiranno consapevolmente un progetto di crescita in qualsiasi senso. La formazione di un’economia subalterna – neocolonialismo La decolonizzazione, nell’immediate, per gli stati indipendenti comporta invece che una vera e propria liberazione, uno shock con la conseguente destrutturazione di qualsiasi ordine, tanto coloniale quanto locale. Non si può creare una nazione dal nullo e la decolonizzazione arriva in modo improvviso senza dare la possibilità alla società locale di strutturarsi logiche del fatto compiuto. Tale processo origina una crisi che comporta effetti diversi per l’economia e per le società dei nuovi stati con la destabilizzazione di interi assetti territoriali, campagne e città, avviando spesso processi di migrazione di proporzioni colossali. Si formano sistemi deboli ed esposti alle tensioni internazionali, caratterizzati da un’economia squilibrata fondata su monoculture e monoproduzioni agro industriali, idrocarburi, minerali, ecc. Dipendenza, dunque, dai mercati mondiali delle quotazioni e da manovre speculative di varia natura. (es. Repubbliche delle banane). Una riedizione, quindi, del dispotismo orientale cui contribuiscono elite precoloniali restaurate e multinazionali straniere, ma anche istituzioni varie che perseguono politiche di influenza e obiettivi neocoloniali. Si genera una nuova stagione di oppressioni con un’intera generazione di nuovi dittatori evoluzione che predispone alla degenerazione antidemocratica e alla proliferazione di conflitti interni e internazionali, con il paraosso di stati apparentemente ricchi di risorse che precipitano in una condizione di completa precarietà “maledizione delle risorse naturali”. Solo raramente la disponibilità di risorse dà avvio a forme di sviluppo duraturo. Spesso crea presupposti per sistemi basati esclusivamente sull’export di materie prime, scollegati dalla realtà locale e che finiscono per alimentare lobby e sistemi di potere demagogici e paternalistici. Il contrario esatto dei modelli di sviluppo diffuso. La fase della “cooperazione e sviluppo” Qualsiasi movimento di rapide trasformazioni comporta rischio di fratture. Lo sviluppo consiste in una serie di evoluzioni sincroniche che qualsiasi accelerazione e qualsiasi moltiplicatore rischiano di far degenerare. Fatto evidente soprattutto per la politica: nell’applicazione di una teoria dello sviluppo si generano ulteriori 12 inefficienze, con aiuti intermini di capitali e risorse di varia natura che, una volta raggiunto il Terzo Mondo, rischiano di essere impiegate in modo deviato e manipolato . quando manca una base sociale e amministrativa efficiente, gli aiuti dall’esterno e gli investimenti finiscono per generare un circuito vizioso. Alimentando nuove elite di rentier post coloniali o nuovi speculatori. In tali contesti l’intervento occidentale finisce per alimentare asimmetrie e instabilità varie, provocando tensioni e rivendicazioni, rivoluzioni e conflitti. Questo scenario si rivela da subito problematico per le politiche di cooperazione e sviluppo cui si aggiungono altri fattori caratteristici dell’ideologia alla base delle stesse politiche, quella modernista serie di ingenuità, come se bastasse applicare le stesse ricette dello sviluppo occidentale per ottenere lo stesso risultato, una società prospera e una politica stabile. Il fallimento del modernismo: l’analisi neomarxiana Principale equivoco prodotto dal modernismo: assumere il proprio modello come l’unico valido in assoluto, con, come conseguenza, l’imposizione di tale modello, estraneo alle realtà locali, nei paesi del terzo mondo, provocando in quelle aree le stesse tensioni che aveva provocato in occidente, ma in modo più grave e accelerato. L’epopea della cooperazione e sviluppo si avvia nel II dopoguerra, combinata ai movimenti di decolonizzazione. Essa provoca la distruzione del modello locale e tradizionale ritenuto arcaico e l’imposizione di un modello industriale estraneo e difficile da assimilare. Invio in Africa, Asia, America Sud, di tecnologie e impianti complessi che nessuno localmente sa usare, ecc. + politiche di urbanizzazione che generano fratture e ondate migratorie. Processo caotico che porta masse di immigrati a inurbarsi in una sterminata periferia di bidonvilles. Tutta una serie di interventi grossolani, dunque, che si realizzano in assenza di una base sociale adeguata e pronta per sostenere il peso delle trasformazioni con una tecnologia ancora molto grezza e impattante che si rivelerà inservibile e dannosa. Un modello importato che si traduce in afflussi incontrollati di capitali, tecnocrazie scollegate dalle culture locali, apparizione di grandi agglomerazioni, desertificazione delle periferie. Si forma uno schema dualistico tra metropoli e satelliti, centri e periferie strutturati, aree forti e aree deboli. Tale modello genera e riproduce indefinitamente sottosviluppo, neoimperialismo e neocolonialismo. Il lavoro è inevitabilmente destinato a diventare sfruttamento e la ricchezza viene inevitabilmente espropriata per alimentare il capitale del nord del pianeta. La distruzione dell’ordine tradizionale Altro caso di equivoco scientista politica fondata sulla convinzione che sia possibile esportare un modello astrattamente corretto, nel caso il modello modernista, per risolvere definitivamente i problemi dell’arretratezza e del sottosviluppo. La convinzione che una civiltà possa semplicemente imporsi su altre perché più efficiente, si basa su un’interpretazione ideologica e quasi mitologica della tecnologia moderna, che induce le popolazioni locali ad abbandonare le pratiche tradizionale e produce effetti catastrofici. Nel momento in cui sopraggiunge la crisi, le popolazioni locali, costrette a cercare nuovi modi di sussistenza, avranno perso anche le conoscenze e le tecnologie tradizionali abbandonate per quelle innovative. La modernizzazione accelerata e indiscriminata induce un ulteriore peggioramento di un quadro di vita già precario perdita di conoscenze e stili di vita tradizionali. Devastazione di ecosistemi e di risorse naturali. Non si può, dunque, imporre in un solo colpo un mercato o un sistema di tipo omeostatico che sia in grado di funzionare autonomamente. La realtà locale è molto più complessa e qualsiasi intervento unilaterale dall’alto o dall’esterno rischia di creare soprattutto danni. Una definizione complessa di sviluppo Lo sviluppo, per un paese arretrato e per uno avanzato, secondo una definizione modernista, è un fatto complesso e non può essere indotto semplicemente da formule o da modelli astrattamente ritenuti validi contesto più ampio di evoluzione sociale e maturazione politica + congiunture internazionali e rapporti di forza + opportunità, momenti, moltiplicatori e tendenze. L’ambiente dello sviluppo, in realtà, si rivela essere molto diverso da quello delle teorie moderniste che assumono un modello lineare, dove a un modello di crescita uniforme deve corrispondere un processo equivalente di espansione su una certa superficie. Le teorie della modernità sono teorie della crescita per stadi (Rostow) o per ondate (Hagerstrand), per poli di sviluppo (Perroux) o per interdipendenze settoriali (Leontiev) aspirazioni 13 sempre illusorie. Lo sviluppo non è un obiettivo che può essere pianificato ma va perseguito con un metodo per tentativi ed errori. È una questione di complessità e di cicli di maturazione (contrario della definizione modernista!). vi agiscono elementi non economici di difficile definizione la gran parte delle istruzioni e delle informazioni necessarie per far funzionare un sistema economico è di difficile codificazione. Un manuale, infatti, può dare le istruzioni di come funziona un impianto, ma non il sistema sociale nella sua interezza: bisogna elaborare funzioni complesse, situazioni non proceduralizzabili e non ricorrenti che necessitano di abilità creative e di un salto di scala nell’intelligenza politica. Fattori di cultura sociale e fattori di politica La distanza culturale è un concetto di difficile teorizzazione ed è difficile, a volte, anche da accettare: dipende da capacità di adattamento, da questioni di partenza, da una sorta di ignoranza originaria in cui si trovano popolazioni impossibilitate persino a immaginare una vita diversa da quella che conducono e a comprendere un’idea di progresso. Es.: intere popolazioni urbane che vivono in una baraccopoli e lo accettano come fatto normale. Si tratta, dunque, di una condizione di ita legata ad abitudini o scale di valori, e che nondimeno possono essere considerati accettabili si presuppone che qualsiasi individuo sano e mediamente capace, qualora abesse la possibilità di accedere alle risorse necessarie, vorrebbbe garantire alla propria famiglia una vita decorosa e indipendente. Ciò che appare come il rifiuto a condurre una vita accettabile, può essere anche una questione di semplice incapacità di immaginare un miglioramento. Questioni controverse, dunque, che rischiano di divnetare oggetto di manipolazioni. Il paradosso degli aiuti che producono danni Una società debole può solo subire le tensioni che animano lo scenario internazionale. Il terzo mondo, dove arrivano capitali in ogni forma, vede l’assenza di qualsiasi schema di controlli interni, senza le istituzioni di una società civile e senza un tessuto di imprese locali pronte a tradurre in sviluppo quelle risorse. Prolifera una casta di rentier e di dittatori che si autodefiniscono democratici e antiimperialisti, il cui unico scopo è quello di mantenere il potere e usare le risorse locali per accrescere la propria ricchezza e consolidare il proprio status. L’invio di aiuti in tale contesto diventa paradossalmente il modo peggiore per aiutare un paese a perseguire una politica di sviluppo diventa un’operazione che alimenta inefficienze di qualsiasi tipo e la formazione di reti criminali e di connection. Gli aiuti finiscono per predisporre, al centro e alla periferia, atteggiamenti predatori e ideologie rivendicazionistiche in varie forme, per un valore da ottenere senza essere stato prima prodotto, senza impegno e senza lavoro. Tale effetto rompe il naturale nesso che si instaura tra esperienza del lavoro e ottenimento di un reddito. Immediata conseguenza è la diffusione di atteggiamenti vittimistici che hanno spesso per obiettivo la legittimazione di ulteriori rivendicazioni ulteriori aiuti e finiscono per perpetuare una condizione di precarietà. Economie che si fondano sulla generosità dei donors sono complementari ad economie di tipo predatorio. La politica negli spazi vuoti della decolonizzazione La politica dell’occidente verso i paesi del terzo mondo negli anni dello sviluppo fordista (‘50/’70) comporta l’applicazione di criteri keynesiani in sistemi arretrati. Tale politica si realizza senza il supporto di un apparato locale efficiente e che per questo genera tutta una serie di distorsioni. La crisi del modernismo rappresenta un fatto devastante per intere società appena uscite dal medioevo dell’era coloniale, quindi da un’economia di sussistenza. Si diffondono ideologie antidemocratiche e manipolazioni di varia natura nonché la convinzione che i valori dell’occidente, del liberalismo, dei diritti fondamentale, della libertà di impresa, siano una sorta di lusso per pochi, uno strumento con cui gli imperialisti cercano di asservire nuovamente le economie del terzo mondo. Quando un sistema non riesca a produrre né a ridistribuire in modo adeguato, si creano le premesse per la disgregazione sociale e per l’affermazione di poteri autocratici che tenderanno a utilizzare il repertorio di propaganda dello sviluppo, al fine di mobilitare la popolazione. Coperture ideologiche che spesso vogliono solo giustificare le manovre predatorie di qualche elite al potere. In ogni caso la possibilità di inviare aiuti a chi ne ha bisogno non può essere considerata negativa di per sé necessario elaborare un modo e un apparato in grado di gestire adeguatamente gli stessi aiuti, al limite dilazionando o ridimensionando interventi e investimenti. Questa è la vera sfida dello sviluppo: gestire bene gli aiuti, non rinunciarvi. Tale fatto è stato recepito dalla prasi internazionale evolutasi nella 14 fase di “cooperazione e sviluppo” le varie ong, agenzie onu, fmi, ecc hanno adottato misure perché gli aiuti per lo sviluppo non diano luogo a posizioni di rendita, ecc. Un principio di cautela Sebbene la fase della cooperazione e sviluppo oggi sembra essere superata, l’atteggiamento e la filosofia terzomondista caratterizzano ancora il dibattito geopolitico, riguardando in particolare l’opportunità di perseguire una cauta politica di aiuti oppure di indurre le condizioni per una grande spinta perché le popolazioni dei paesi poveri possano prima di tutto sfuggire a una trappola della povertà. Si registra una constatazione che induce a pensare che lo sviluppo non possa avvenire che attraverso un percorso graduale, affinché il sistema locale abbia il tempo di collaudare le innovazioni e assimilarle. Un’innovazione può indurre la trasformazione e l’adattamento dell’intero sistema locale, con la creazione di un mercato di prodotti agroalimentari, di un sistema di commercializzazione, di infrastrutture della mobilità, ecc. un passaggio che in altre circostanze si realizza nel corso di millenni e che nel terzo mondo della modernità si realizza in poco tempo. Rischi di effetti dirompenti: la macchinizzazione delle produzione porta alla disoccupazione, ad esempio. Nessuna innovazione può, dunque, essere considerata per principio buona e migliore delle pratiche preesistenti, tanto che, prima di abbandonare tecniche di tradizione millenaria, è opportuno procedere a prove e verifiche sul terreno. Si richiede una politica di prudenza! Una buona prassi dell’innovazione, infine, è quella di prevedere una forma di conservazione delle tecnologie preesistenti che, comunque vada l’innovazione, realizzi un quadro di reversibilità no distruzione dell’ordine precedente. CAPITOLO XXX – Nuove teorie e nuovi paradigmi per lo sviluppo Il cambiamento del paradigma Gli aiuti del terzo mondo confluiscono in una complessiva politica di cooperazione e sviluppo, che si realizza in modo parallelo ai processi di decolonizzazione, come strumento con il quale i paesi del nord industriale si propongono di sostenere l’economia dei nuovi paesi indipendenti. Una politica contraddittoria, però, che si rivela spesso inefficace e diventa una copertura per politiche neoimperialiste. Essa viene infatti perseguita tramite l’intervento diretto dei governi, dei ministeri e degli apparati amministrativi, o a volte mediata tramite organizzazioni di varia natura. Nel complesso, comunque, inefficace. Politica di donazioni, infatti, che diventa una copertura per esportazioni e finisce per generare un debito estero sproporzionato creando condizioni di dipendenza dei beneficiari verso gli stessi donors. Situazione catastrofica che ben presto fa riflettere teorici dello sviluppo e organizzazioni sovra statali inducendo a una generale mobilitazione della società civile internazionale, alla base del cambiamento della pratica e della teoria dello sviluppo. La critica alla teoria modernista: un approccio neomarxiano Tale approccio stravolge le idee del modernismo evidenziando il fatto che il semplice trasferimento di fondi e l’applicazione di un modello economico da un sistema all’altro non avrebbero potuto rappresentare la soluzione per lo sviluppo. Ciò cambia il punto di vista complessivo e induce un movimento di critica e di riappropriazione delle società del terzo mondo della propria geografia e della propria identità. L’approccio neomarxiano coincide in una critica al modello delle relazioni internazionali allora predominanti, cioè mercato e capitalismo aperto, che gli autori terzomondisti ritengono inevitabilmente destinati a tradursi in relazioni ineguali. Interpretazione strutturalista e relazionale che ritiene inevitabile che all’arricchimento di qualcuno corrisponda l’impoverimento di qualcun altro (e daje..). Per emanciparsi da tale scenario, i proletari del terzo mondo devono riappropriarsi dei mezzi di produzione, eventualmente con la rivoluzione. Atteggiamento che contraddistingue il “periodo di Bandung” movimento dei non allineati, 1955. Un’altra faccia della stessa politica di cooperazione e sviluppo condotta negli stessi anni dai paesi occidentali. Si esprime la volontà di reagire ed emanciparsi dalle logiche del sistema bipolare e dai riflussi neocolonialisti. Tramite questo movimento i vari leader perseguono politiche di rivendicazione e mobilitazione popolare spesso strumentali al consolidamento delle loro posizioni e che si riveleranno fallimentari nel lungo periodo. Lo scenario strutturalista di I. Wallerstein 15 Scenario contraddistinto da contrapposizioni che la teoria neomarxiana riproduce a scala globale in uno schema di sfruttati e sfruttatori, centri e periferie, che Wallerstein rappresenta come uno scenario chiuso, nel quale a seconda della posizione che una certa regione o un certo stato occupano, derivano determinate evoluzioni economiche e politiche. Si definisce, dunque, il ruolo di un paese a seconda della posizione che esso occupa nell’ordine complessivo. Tale schema si articola per aree centrali, periferiche e intermedie rispetto ad un sistema dato globale. I centri corrispondono alle aree nelle quali le elite prendono decisioni e dove sono collocate le funzioni direzionali e le sedi delle principali istituzioni. Le periferie coincidono invece con aree di sottosviluppo sfruttate dalle aree forti del sistema. Fasce contrapposte tra le quali si forma una categoria intermedia di semiperiferia, area più interessante dal punto di vista politico perché caratterizzata da sistemi non ancora stabilizzati, impegnati in programmi di recupero e di competizione verso le aree centrali dominanti. In tale semiperiferia si possono formare ideologie della chiusura, antidemocratiche e totalitarie. Area che oggi corrisponde ai paesi BRICS o emergenti, impegnati in una rincorsa vero i paesi avanzati dell’occidente. Tale schema propone una geopolitica strutturalista che rende evidente la relazione deterministica che si instaura tra territorio e politica. Lo schema di W. Si propone di descrivere le dinamiche e le evoluzioni degli stessi scenari geografico economici nel lungo termine.. Una teoria dello sviluppo locale Interpretazione che stravolge le idee di sviluppo uniforme e massificante caratteristiche della modernità, mettendo le basi per una teoria della liberazione con cui la società subalterna può legittimare la ribellione e la lotta per il recupero di potere. Tale interpretazione viene definita di sviluppo auto centrato. La riflessione che ne è alla base procede oltre le strutture della politica e della società, proponendo una visione minimalista e soggettivistica dello sviluppo: per essere reale la riappropriazione delle risorse e dei mezzi di produzione deve realizzarsi a scala del micro, del villaggio e della comunità. presupposto di una nuova teoria dello sviluppo che significa il recupero di una dimensione locale cioè della realtà premoderna. riaffermazione della definizione di comunità di villaggio in termini di stabilità di lungo termine. Tutto ciò porta al superamento del paradigma modernista di sviluppo da indotto, cioè esogeno, deve diventare endogeno, cioè auto centrato , in grado di auto generare le motivazioni dell’iniziativa. Approccio contrapposto alle teorie di sviluppo liberista e di sviluppo pianificato e centralizzato. Nuova teoria che porta al recupero di tecnologie tradizionali e gestibili in autonomia e induce un modo locale e spontaneo che recupera motivazioni di sviluppo sostenibile, green economy, risorse collettive, ecc. Una nuova teoria dell’identità: il passaggio alla teoria post strutturalista Primo investimento da compiere intervento che ristabilisca la situazione di integrità originaria riparando in qualche modo ai danni prodotti dal modello modernista grezzo e massificante. Tale teoria post strutturalista si fonda sull’idea della realtà non materiale e non oggettiva, sull’idea di soggetto (individuo, ambiente familiare, ecc) che diventa l’elemento base e allo stesso tempo il mezzo e il fine, della complessiva teoria economica. Una teoria che si fonda, dunque, sull’identità locale. Tali sistemi locali possono funzionare solo se gli individui ritengono di poter identificarsi in un modello di relazioni e di responsabilità, in un territorio dove possono riconoscere risorse e nel quale possono riconoscere gli effetti della propria azione. L’esatto contrario della società modernista standardizzata e industrializzata. Le teorie dello sviluppo tra illusioni e slogan di potere Anche le teorie post moderne, come quelle moderniste, inducono a una serie di slogan, stereotipi, ideologie, ecc che diventano ben presto fonte di equivoci e ambiguità. Rischio di diffusione di ideologie in termini di “contro” contro il capitalismo, le multinazionali, ecc. SI sposta l’asse dell’attenzione sul vero oggetto della questione cioè sul fatto che qualsiasi sviluppo non può che realizzarsi in un contesto di responsabilizzazione sociale e individuale. C’è sviluppo solo se l’impegno sul lavoro e nell’impresa trovano corrispondenza in una parallela crescita del funzionamento sociale. La svolta comunitarista e soggettivistica rappresenta uno sforzo importante e decisivo per umanizzare una teoria che sembrava aver perso di vista l’obiettivo della crescita umana. Lo slancio ideologico rischia però di produrre danni l’ideologia dello sviluppo locale assume una posizione preconcetta antiaziendale e antimercato che rischia di produrre nuove chiusure e nuove frammentazioni. La vera sfida dello sviluppo è quella di conciliare le capacità 16 dell’impresa di produrre valore con un’idea di bene comune, che è compito della società locale definire e perseguire. CAPITOLO XXXI – La crisi del fordismo in Occidente Verso un nuovo paradigma tecnologico La crisi tardo moderna si combina a una generale riconversione a scala di “economia mondo” con trasformazioni lente e irreversibili non contrastabili, non governabili ma, per alcuni aspetti, assecondabili. Il fallimento modernista nel terzo mondo, deriva da una crisi generale del fordismo della tarda modernità: trasformazione paradigmatica che ha varie cause: materiali, culturali, tecnologiche e sociali. Soprattutto: evoluzione tecnologica elettronica e telematica inverte le curve delle economie di scala. Diffusione pc e applicazioni sconvolgimento modalità della politica e dell’amministrazione. Il “downsizing”: dall’integrato al modulare Tale passaggio è emblematico della crisi dell’intero mondo fordista. Le industrie realizzano che non conviene più aumentare in dimensione e mantenere aree troppo estese. Elemento di vantaggio il nuovo paradigma costringe il sistema a riorganizzarsi in termini di flessibilità e modularità. Il cambiamento prospetta un’intera riconversione produttiva, con impiego di macchinari meno complessi. Ogni macchinario, lavorazione, funzione di azienda e di sistema subisce il processo l’unita produttiva ottimale subisce un ridimensionamento (downsizing, appunto). Passaggio non indolore che si realizza in una serie di crisi e di adattamenti e che colpisce il sistema economico occidentale proprio nel momento della sua apoteosi fordista. In tale scenario si colloca la crisi petrolifera degli anni settanta che innesca una crisi di sistema che l’occidente subisce in modo devastante. il presunto punto di forza della grande azienda industriale si trasforma in un fattore di debolezza: industrie rigide e difficili da riformare che non riescono ad adattarsi ai nuovi paradigmi e alle nuove condizioni di mercato. La teoria del limite I primi segnali di saturazione erano già presenti alla fine degli anni sessanta ma la crisi si manifesta in modo improvviso e distruttivo senza che le istituzioni riuscissero a comprendere per tempo cause e dimensioni del fenomeno. La saturazione economica e strutturale comporta la diffusione di paure da esaurimento delle risorse naturali contemporaneamente a una catastrofica situazione demografica. L’effetto da saturazione si manifesta in un effetto di crisi su qualsiasi aspetto della domanda. I sistemi stentano a riprodurre le ragioni dello sviluppo e fanno fatica ad uscire da una condizione di crisi di tipo circolare tra stagnazione e inflazione. Un limite da scarsezza di materie prime, soprattutto che sembra prospettare la regressione ad una condizione di guerra per le risorse e riportare la civiltà a un’era che pareva essre stata superata definitivamente. Questo fatto segna la chiusura dell’era modernista che, raggiunta una certa soglia di crescita, prospetta una condizione di saturazione e di reflusso tipica delle fasi da fine ciclo. Il limite ambientale La crisi si manifesta innanzitutto come crisi ambientale: saturazione di spazi, di impatto e degrado delle risorse naturali. (es. inquinamento, discariche incontrollate, ecc). si osservano paesaggi distrutti da un’urbanizzazione pervasiva e indiscriminata che delinea una trappola urbana + diffusione incontrollata della speculazione edilizia e proliferazione del consumismo immobiliare. A tutto ciò si affianca una perdita di capacità organizzativa del sistema. Riemerge la visione maltusiana del limite, ispirandosi all’esaurimento delle risorse naturali e ambientali che acquisisce un livello ideologico e definisce la catastrofe ambientale come effetto degenerativo portato da un certo modo di vivere e di produrre, da un mondo economico che non considera i costi ambientali e da un’amministrazione che non può che portare, nel medio e lungo termine, all’accumulo insostenibile di scorie e scarti vari. Il limite geografico-urbanistico: l’iperstrutturazione I territori subiscono l’accumulazione indiscriminata di funzioni produttive, residenziali e industriali di tutti i tipi processo di involuzione delle curve di redditività e di rigetto da parte della stessa area urbana 17 congestionata. Avvio, per reazione, di un processo di espulsione o di gufa dal centro verso la periferia, da parte di aziende, individui e interi gruppi sociali: movimento inverso rispetto all’epoca di inizio della modernità. Le istituzioni reagiscono avviando politiche di bonifica e di ristrutturazione, tuttaia spesso troppo lente, coste e difficilmente eseguibili. Gli anni del miracolo economico hanno significato lo sviluppo di un patrimonio immobiliare e infrastrutturale di proporzioni enormi con una generazione intera di “edificato” che in poco tempo giunge al compimento del suo ciclo di vita si genera un effetto di iperstrutturazione di insediamenti troppo densi che restano letteralmente asfissiati da un’urbanistica sovradimensionata e dalle stesse macerie della stratificazione edilizia. Ciò mette in evidenza come la crescita di qualsiasi tipo debba sempre prevedere una corrispondente pianificazione per costi, manutenzioni, ammortamenti, ecc.. altrimenti, oltre una certa soglia, i costi iniziano a pesare troppo ripercuotendosi sulla struttura complessiva e portando all’inversione delle curve dei rendimenti e dei benefici fino alla crisi complessiva del sistema. L’ideologia della catastrofe Tale processo degenerativo rende evidenti gli effetti devastanti della modernizzazione incontrollata mutazioni climatiche, deterioramento delle piramidi alimentari, devastazione territoriale. Ciò è collegato all’uso indiscriminato e colpevolmente inefficiente delle tecnologie industriali e agrarie che si rivela più dannoso del problema che voleva affrontare. Tutto ciò si sviluppa in una percezione di catastrofe imminente che sembra manifestarsi con una serie di disastri a partire dagli anni 70 (Seveso, Bhopal) e culminare nel disastro di Cernobyl nel 1986 che rese evidenti a tutti gli avvertimenti da “fine del mondo”. Scenario, peraltro, connesso a una serie di minacce all’instabilità politica come la bomba demografica, il disastro umanitario del terzo mondo e il rischio di olocausto nucleare. L’atteggiamento della politica apparve diversificato mettendo in evidenza o la capacità e la possibilità del sistema di reagire o l’incapacità di produrre aggiustamenti e buone governance. La reazione della società appare lenta e riflette la sua disgregazione culturale. Società assuefatta e anestetizzata da qualsiasi simbolo. La consapevolezza della crisi si diffonde solo molto tardi e a un livello di elite fino a raggiungere una dimensione di massa più avanti, per poi giungere alle istituzioni. La questione ambientale diventa allora un problema per tutti e segue la firma di una serie di convenzioni + conferenze sull’ambiente organizzate dalle UN (Stoccolma 72 e Rio 92). Il limite dell’iperburocrazia Serie di limiti, come quello ecologico, che evidenziano la debolezza di un sistema che sembra essere finalizzato esclusivamente alla produzione. fenomeno della produzione di scorie non solo su scala territoriale ma anche a livello istituzionale con una sorta di deriva e inerzia politico amministrativa che consegue al secolare processo di costruzione di uno stato sociale e che appare ancora come qualcosa di estremamente articolato ed esteso. si sono formati apparati costosi e ipertrofici con l’accumulo di enormi debiti pubblici e la limitazione della capacità di manovra del sistema. Si producono scorie di tipo burocratico che finiscono per interferire con qualsiasi dinamica sociale fino a prospettare la crisi dell’intero sistema. Si genera una casta di funzionari e di burocrati che producono solo carte e procedure inutili smarrendo il senso della funzione dell’amministrazione. Lo stato sociale ormai funziona soltanto come pretesto per giustificare posizioni di rendita idea deviata di welfare che è diventato un mostro che divora se stesso. Il sistema, perdendo efficienza, perde anche il suo ruolo di ente al di sopra delle parti quindi legittimato a individuare e imporre eventualmente un’idea di bene comune. La società tende a chiudersi e frammentarsi in atteggiamenti e ideologie corporativistiche sviluppando comportamenti imprevedibili e l’esplosione di forme di economia sommersa + fenomeni di ipersindacalizzazione e consociativismo. Quadro tipico dei sistemi di fine ciclo (e ridaje..) e degli apparati che non riescono a rinnovare se stessi. Il limite politico: la democrazia che smette di funzionare Il raggiungimento del limite è anche a livello istituzionale con ordinamenti che sembrano perdere in efficacia, soggetti a diffusione di ideologie populistiche o a fenomeni di ritualizzazione e degenerazione retorica, che rischiano di condurre le stesse democrazie a sistemi vuoti. Tale degenerazione ha cause diverse ma frequenti in sistemi di fine ciclo (capito?). la gente perde fiducia nel metodo democratico; perde la speranza di poter influire sui processi e di indurre qualsiasi cambiamento. La democrazia non è, 18 infatti, un sistema perfetto: possono crearsi le condizioni per la tirannia della maggioranza. Già notato da Aristotele.. si profilano rischi di degenerazione demagogica. Si registrano lobby e sistemi illegali, elite che per mantenere il potere manipolano le masse e il consenso, società bloccate, ecc. Le istituzioni perdono il senso e cominciano a funzionare in modo autoreferenziale. Tale effetto di degenerazione deriva da un equivoco illuministico, cioè la convinzione che un sistema ben articolato possa automaticamente e maccanicisticamente funzionare come una macchina perfetta. In realtà qualsiasi organismo è soggetto alle leggi della decadenza (“il potere corrompe”) e i sistemi degenerano, le elite si fanno tiranniche e il lavoro si trasforma in ricerca di rendite di posizione, arrivando alla paralisi dell’intero sistema. Si rende impossibile l’applicazione di un criterio di accountability: principale limite del funzionamento dei sistemi democratici gli attori perdono un’idea del bene comune e cominciano a scaricare i costi delle proprie azioni su qualcun altro, rendendo impossibile l’applicazione di un criterio di distribuzione di responsabilità. L’unica garanzia per il funzionamento della democrazia resta l’impegno dei cittadini, il funzionamento della società civile. Vanno periodicamente rinnovati. Il limite della domanda: crisi da sovrabbondanza e saturazione Le scorie più inquietanti sono forse quelle di tipo culturale derivanti da una situazione di sovrabbondanza che induce ad una cultura dello spreco e dell’indifferenza. La definizione esclusivamente quantitativa del progresso ha condotto qualsiasi possibilità di miglioramento al soddisfacimento dei bisogni materiali dell’individuo e della società. Si è passati da un’economia della quantità a una della qualità con il riposizionamento della soglia della necessità oltre il livello dei servizi di tipo primario. La domanda comincia a diventare qualcosa di più sfumato: economia della scelta che significa ricerca del meglio piuttosto che del consumo indiscriminato. L’evoluzione è stata determinata, in parte, da una tendenza spontanea delle imprese che, costrette dalla competition, devono inventare nuovi mercati e forzare i consumi con politiche promozionali. Il consumismo, cioè il consumo fine a se stesso, può produrre gravi danni in qualsiasi contesto. La rivoluzione anti materiale Piuttosto che di crisi di domanda in generale, si parla di crisi della domanda di cose materiali ed evoluzione della domanda verso consumi e servizi qualitativamente più elaborati. spostamento del mercato verso segmenti più pregiati caratterizzati da maggiore valore per unità di prodotto. La domanda tende a spostarsi su risorse immateriali (qualità ambiente, paesaggio, vita sociale e culturale) per le quali è più difficile stabilire modalità di consumo e per le quali sono ipotizzabili consumi e disponibilità tendenzialmente illimitati. Trasformazione paradigmatica e nuova definizione di valore che sconvolgono il paradigma produttivista. Limiti da assuefazione La parabola di crescita si conclude in modo paradossale con la costruzione di una società dell’abbondanza e del superfluo. Tale evoluzione porta a diverse reazioni: aspettativa di maggiore integrazione della massa nelle istituzioni, democratizzazione, ecc. Un limite, dunque, che porta all’esaurimento delle motivazioni. Il motore della crescita che si riteneva inesauribile sembra incepparsi di fronte a quella che sembra assumere le forme idi una ribellione anticonsumistica. Evoluzione maltusiana che provoca la crisi di un sistema che sembrava aver trovato un suo equilibrio, che sembrava in grado di poter riprodurre periodicamente qualsiasi domanda e offerta, ecc. gli operatori confidavano nella ciclicità crisi/riprese anche a livello territoriale con periodiche differenziazioni tra mercati, centri e periferie che si riposizionano. Tale quadro di ciclicità, alla fine della modernità, sembra indebolirsi mostrando i segni di una crisi: le forze del mercato raggiungono un limite e il ritmo della crescita e dell’innovazione sembra rallentare ed interrompersi. Un fenomeno incomprensibile che è dettato dalla combinazione di effetti inconciliabili in teoria: inflazione e stagnazione e che significa al contempo crescita dei prezzi sovrapproduzione, disoccupazione e domanda di manodopera, sprechi e carenze. Una crisi contraddittoria che sorprende analisti e operatori. La deregulation: un fenomeno post-moderno 19 Ci si incanala in un vicolo cieco cui solo con il tempo la teoria economica e la prassi politica riusciranno a dare una risposta maturando una consapevolezza verso le forme di limite. Un’impresa, pur in buone condizioni di mercato, si trova a rinunciare ad investire e crescere a causa di fenomeni di eccesso di burocrazia e di costi impropri che ne frenano l’iniziativa. Possiamo definirla una crisi delle ciclicità prevedibili che diffonde sul lungo termine lo spettro della decadenza e della recessione, con la paura di regredire in un nuovo medioevo. Il problema per i decisori è ora quello di far funzionare il circuito trovando qualcosa che possa motivare investitori e consumatori. Il lavoro del decisore diventa non tanto regolare quantità di moneta ed elaborare politiche ma piuttosto inventare qualche cosa per favorire l’innovazione, per non lasciare che il gioco della domanda e della offerta si esaurisca. La società dell’abbondanza e la crisi del modello razionalista La crisi si diffonde anche nello strato più profondo del complesso motivazionale di individui e società. Superata la soglia di necessità si profilano i segni di una mutazione epocale: la vita diventa un gioco dove c’è abbondanza di tutto. Il nuovo scenario cambia le ragioni della scelta con modelli di comportamento che perdono significato. Mentre in epoca di modernità l’ordine delle preferenze dei consumatori appariva in termini schematici e definiti da target precisi ora si evolve e si sfuma. Non è una questione di quantità o qualità, ma una di sequenza di necessità immaginate come realizzabili e desiderabili. Salto logico tra interesse particolare e collettivo che costituisce il primo problema della politica di tutte le epoche e che nel postmoderno diventa emblema di una nuova civiltà dell’incertezza. La confutazione della teoria dell’azione razionale L’incertezza si diffonde alle varie sfere dell’azione sociale e porta alla confutazione del principio della linearità dei comportamenti: in una società del superfluo, individui e popolazioni tendono ad assumere comportamenti meno prevedibili e meno logici. Motivazioni + vaghe e poco concrete. L’evoluzione porta allo sconvolgimento di un ordine di priorità in epoca post consumistica è difficile che qualcuno decida di lavorare di più, ci si accontenta pur di risparmiare quote di tempo libero da dedicare ad altre attività. Si parla di dilemma del prigioniero, smentendo la teoria dell’azione razionale: gli individui della società dell’opulenza tendono a non organizzare la propria azione in modo consequenziale ma in base a valutazioni parziali e a strategie che possono apparire addirittura antirazionali. Non si negano a priori le ragioni della razionalità, ma si assume una scala di motivazioni diverse. Viene riconsiderata la categoria della razionalità e del comportamento razionale nel contesto di una nuova società del superfluo e della scelta caratterizzata da comportamenti a volte contraddittori. Nuove idee di razionalità imperfetta o “limitata”. Tali piani di razionalità sono confermati, in geografia, dalla esatta corrispondenza nel principio della diversificazione per scala, a ciascuna delle quali corrisponderebbero schemi di razionalità diversi e a volte inconciliabili ciò che è razionale a una scala può diventare del tutto irrazionale a un’altra scala. CAPITOLO XXXII – La crisi del comunismo sovietico Il mondo parallelo all’Occidente: il fallimento del comunismo La crisi della modernità produce effetti a scala di sistema: l’occidente sembra in grado di controllarli, in altri casi si generano effetti distruttivi (Terzo Mondo e paesi della Riv. Comunista). Dopo la crisi dei primi anni 70 l’occidente pluralista si risolleva riformandosi, mentre i monoliti dell’est comunista semplicemente crollano incapacità di produrre meccanismi di autoregolazione e impossibilità di elaborare meccanismi di comunicazione efficiente all’interno del sistema. Le elite si arroccano in nomenclature che diventano in breve del tutto irresponsabili verso le stesse società che si propongono di governare, autoescludendosi da qualsiasi contesto più vasto. Nei tardi anni 70 l’Urss tenta una riconversione ma ormai la crisi era troppo avanzata... il tentativo si svolge in un quadro di finzione. La patria del comunismo regredisce in una condizione più simile a quella di un paese del terzo mondo, dipendente di fatto dalle economie del capitalismo. La geografia del sovietismo 20 La crisi di questo paradigma deriva da una serie di premesse errate e da una definizione di pianificazione tanto gerarchica da apparire deterministica che si rivela inconsistente nella realtà pratica considerando la programmazione uno strumento perfetto. Un sistema fortemente centralizzato che degenera in un modello burocratico incapace di percepire qualsiasi segnale dalla società, organizzato per blocchi territoriali e produttivi non adattabili. Geografia caratteristica di integrazione centro e periferie l’esempio di ristrutturazione economico territoriale più vasta mai realizzata nella storia. Progetto di economia pianificata che si proponeva di sostituire al mercato e alle sue funzioni un sistema centralisticamente indotto. Modello costituito dalla combinazione di industrializzazione modernista e autoritarismo; politicamente da imposizione di un modello collettivistico. Tutto ciò si traduce in una condizione di totalitarismo intera superficie dell’unione sovietica come enorme macchina territoriale. (attenzione state per assistere a un momento di altissimo spessore letterario). Modello che coniugava la fede nella tecnologia a una serie di imprese gigantesche, gigantomaniache e straordinariamente inefficienti. (Sbam!) Un quadro nel quale il mercato e tutta la società vengono ricostruiti sulla base di un’ingegneria sociale e da un flusso di comandi dal centro alla periferia. sistema di pianificazione e di regolazioni centralisticamente indotte. L’urbanistica sovietica Progetto realizzato sulla base di un’ideologia materialistica che recepisce urbanistica e geografia come strumenti per indurre in modo deterministico una certa organizzazione sociale e una certa cultura. Città sovietica simmetrie, spazi, distanze, volumi, senso di impotenza e dipendenza assoluta. Organizzazione di un sistema di mobilità collettiva e limitazione della mobilità privata. Si crea una città fortezza/prigione che porta alla formazione di un universo concentrazionario di città gulag. La crisi ambientale Progressivo deterioramento delle condizioni ecologiche con danni per popolazioni e culture native e intere superfici devastate a causa di un uso improvvido di tecnologia modernista. Quadro di rovine e infrastrutture inservibili. Variazioni climatiche e contaminazioni da estrazione (es. Siberia). Eresia di Occidente o reazione alla modernità? Il sistema sovietico, assumendo caratteristiche paradossali, diventa presto oggetto di interpretazioni che tentano di definirlo. Si parte dalla definizione come eresia dell’occidente fino a visioni de comunismo come reazione a un modello individualistico tipico delle modernità. Oppure anche semplice e strumentale uso di ideologie populistiche. In realtà: comunismo sovietico fenomeno complesso tanto di aspirazione modernista quanto reazione al capitalismo aziendalistica. Tentativo di applicare un criterio di organizzazione industriale a qualsiasi scala e tendenza per l’industria pesante a imporre il proprio modello organizzativo. Recupero di un’ideologia anti impresa che persegue l’annullamento dell’idea di profillo proponendo l’idea di impresa pubblica funzionale alla realizzazione delle politiche pianificatorie. Niente, però, può sostituire la dinamica del libero mercato e della società aperta: uno sviluppo senza il pluralismo non può che evolversi verso qualcosa di inefficiente e mostruoso. Un sistema incapace di sviluppare governance In un sistema di questo tipo decisori e controllori di sistema non possono individuare e riparare errori che non possono quindi che accumularsi e aggravarsi. Il grande dittatore (il partito unico) non vuole e non può evitare gli errori di governo, illudendosi di risolvere le varie questioni semplicemente imponendo una volontà politica. La geografia economica perfetta porta inevitabilmente alla catastrofe facendo degenerare il sistema in una classe di privilegiati che non considera l’economia come un fenomeno soggetto ad andamenti congiunturali o strutturali. Viene fatta della tecnica pianificatoria una politica di repressione il sistema si rivela incapace di assimilare qualsiasi innovazione indebolendosi fino a cadere + incapacità della dittatura di assimilare l’innovazione e controllare una tecnologia post fordista che tende strutturalmente a liberalizzare comportamenti e opinioni... Forza delle idee e fragilità degli imperi 21 Anche a livello di istanze politiche, culturali, demografiche e ambientali l’”impero sovietico” si rivela incapace di capire che cosa stesse succedendo. Solo pochi riescono a comprendere tale degenerazione fino a prevedere e ipotizzare il crollo del sistema. Ciò dimostra ancora una volta la precarietà della teoria della civiltà o città ideale: conduce inevitabilmente a un’involuzione autocratica. Nello stesso momento in cui diventa un’imposizione, l’ideologia, intesa come progetto politico organico, avvia un’evoluzione che porta alla negazione stessa delle sue caratteristiche ideali finendo per originare una città fortezza/caserma. Sistemi ideati e imposti dall’altro non possono che originare qualcosa di fragile, perdendo presto l’appoggio di qualsiasi società civile e la possibilità di riformarsi. Maggiori sono centralizzazione e integrazione, più si sviluppano curve di redditività, maggiore è la vulnerabilità della struttura a qualsiasi forma di rischio però. Emblema degli imperi e delle civiltà della storia, che non riescono ad adeguarsi ai cambiamenti e crollano senza lasciar traccia. La fine della modernità tra Oriente e Occidente I problemi dell’est per un certo verso sono paralleli a quelli dell’ovest i problemi di un sistema di fine ciclo (e ri-ridaje..) che si imbatte in tutta una serie di limiti. Mentre l’Urss sembra inconsapevole di questi limiti, i paesi dell’ovest pluralista riescono ad adattarsi e a superare la crisi. Utilizzano gli strumenti tipici di una società aperta con flussi di informazioni che percorrono il sistema dalla base ai vertici, dalle periferie al centro. Circuiti di feedback, impulsi direttamente dalla società e dalle varie forme in cui l’azione collettiva si esprime. Si producono idee e rivendicazioni, prima per slogan e ideologie bizzarre, poi con norme. Effetto complessivo di auto aggiustamento del sistema. Fatto che dimostra come la sopravvivenza a lungo termine di un sistema risieda nella sua capacità di generare dialogo considerando opposizione e libertà di espressione come elementi di iniziativa dialettica e costruttiva. CAPITOLO XXXIII – La geografia economica della globalizzazione Verso una definizione di post modernità Nessun sistema è sufficiente a regolare se stesso e nessuna organizzazione può dotarsi autonomamente di tutte le regole necessarie per il proprio funzionamento. Nessun sistema è infatti in grado di valutare oggettivamente le proprie azioni. Aspetto problematico per i sistemi aperti che non sembrano in grado di assumere le decisioni necessarie in tempi opportuni. Per le democrazie della tarda o della post modernità si assiste ad un esaurimento della teleologia (valori, motivazioni, potenziale). La realtà post moderna e post industriale non sembra in grado di offrire riferimenti e obiettivi per popolazioni e governi. Nuova cultura della frammentazione che significa difficoltà ad organizzare qualsiasi cosa e politica. Quindi difficoltà in un contesto di crisi a spiegare cosa sia sviluppo. Si riconsidera l’intera politica territoriale come rapporto tra natura e cultura, con nuovi principi di organizzazione per la produzione, urbanistica e funzioni individuali e collettive si apre un vuoto ideologico e politico, premessa per l’elaborazione di un modello di governance anti-gerarchica, di dissoluzione di un principio di autorità e premessa per l’evoluzione verso nuovi autoritarismi. Tra post moderno e globalizzazione: una nuova geografia La trasformazione fa da premessa al cambiamento paradigmatico della globalizzazione, indotta direttamente da innovazioni tecnologiche (miglioramento mobilità materiale e immateriale, annullamento distanze), serie di eventi di ordine geografico politico e altri fattori culturali e materiali. Tali processi implicano una nuova riconversione del sistema dei contri e delle periferie con l’affermazione di una nuova geografia economica, di un’ulteriore liberalizzazione dei mercati ecc. tendenza alla deterritorializzazione. Ciò induce a nuove ondate e flussi di migrazione che assumono forme diversificate o da terzo mondo o per sviluppi tecnologici (pendolarismo ad ampio raggio), ecc. contesto di mobilità pervasiva, caratteristica della nuova civiltà, che coinvolge masse di singoli individui, associazioni no profit, organizzazioni internazionali, imprese e turisti fino ad indurre un’ulteriore internazionalizzazione. La rivoluzione dei trasporti 22 Per imprese e mercati comporta l’allungamento delle reti organizzative, premessa per un aumento illimitato del range delle attività. (segue inutile serie di esempi di mezzi di trasporto: pag 521 – 522 edizione 2012, per i più volenterosi). Il paradigma tecnologico antifordista Trasformazione paradigmatica dei modelli organizzativi. Piuttosto che i consueti strumenti della pianificazione produttiva, urbanistica o finanziaria, cominciano a essere utilizzati criteri contrari di flessibilità, pianificazione strategica, ecc. Strategia di aggiustamenti progressivi che cambia la stessa definizione di organizzazione. Il modo di gestire, da rigidamente fordista, diventa flessibile e adattabile. Ridefinizione delle politiche con modi e comportamenti che cambiano fino a mettere in crisi aziende, individui e istituzioni. Ma l’uso della tecnologia e dell’elettronica non determina la qualità dell’organizzazione: anzi, è la dimostrazione della difficoltà di elaborare una pianificazione efficiente. È un paradosso della post modernità che provoca la crisi della geografia quantitativa, in quanto mostra come lo stesso uso pervasivo della tecnologia digitale non possa superare certe soglie e non possa risolvere qualsiasi problema rendendolo operazionalizzabile. Confutazione della presunzione scientista che rende evidente il fatto che neppure il computer può portare alla soluzione definitiva dei problemi della geografia e dell’intera umanità. È un prezioso strumento di supporto e di rilevamento ma non per le fasi del procedimento cognitivo e decisionale. Indebolimento delle funzioni del coordinamento e competizione tra territori La disponibilità di nuove tecnologie ha effetti a qualsiasi scala, generando un indebolimento del nesso tra attività umana e territorio nonché lo sradicamento di attività e culture, con la trasformazione dell’identità in genere. Fenomeno combinato alla de materializzazione dell’economia e all’indebolimento delle strutture geografico politiche (stato nazione, industria pesante, ecc). Il processo di de istituzionalizzazione genera nuovi scenari, nuove categorie e nuove rappresentazioni, nonché nuovi modi sociali senza una precisa consistenza, passando a modi organizzativi elementari e frammentari con la scomparsa di riferimenti fino ad allora considerati definitivi. Viene spostato l’asse della competition dai sistemi statali a una dimensione trasversale e a territori interni ai perimetri statali. Si genera un fenomeno di competizione tra territori in grado di sconvolgere i principi del welfare. L’apertura in cui si ritrovano i sistemi locali costringe gli stessi sistemi ad accettare il confronto con economie e culture diverse. È tanto un’opportunità quanto un rischio. Si evidenziano le inefficienze locali generando effetti e reazioni. La pianificazione “post-mod” Si commissionano geografie locali e globali, regionali e nazionali, con una serie di effetti caratteristici a livello urbano e interurbano. accelerazione della mobilità di qualsiasi tipo che accentua i processi di ristrutturazione avviando una riconversione degli schemi insediativi caratteristici della modernità. Si sviluppa una zonizzazione efficace che distingue tra centri urbani, residenziali, turistici, industriali, infrastrutture e aree periferiche di riserva di natura. Classificazione rigida che attribuisce a qualsiasi funzione un territorio e viceversa. In un contesto posto moderno la pianificazione cambia strategia e senso, cambia addirittura l’oggetto della pianificazione. Le strutture da collocare sul territorio diventano meno impattanti tanto da far venire meno le ragioni stesse di un’organizzazione rigida. La conseguenza è un effetto di confusione con assetti in continuo rimescolamento tra quartieri ricchi che si degradano poi si riqualificano e aree povere che assumono un ruolo tributario e zone miste. Commistione tra urbano e rurale rurban. ricomposizione della frattura primordiale tra centro e periferia. Un nuovo nomadismo L’accelerazione e la riconversione continua di categorie di vita contraddistinguono questa nuova fase. Funzioni individuali, collettive, politiche ed economiche subiscono processi di sdoppiamento e moltiplicazione che non richiedono permanenza continuativa dell’individuo e dell’impresa in una sede fissa. Gli strati sociali sviluppano un genere di vita nomade elaborando nuovi comportamenti. Le ragioni dell’insediamento tendono dunque a cambiare. La residenza non è più un marchio ma una scelta da adottare in un contesto di precarizzazione complessiva degli stili di vita. Ciò vale per i privati e per le 23 aziende. Si ricerca un’ “amenity” che diventa una delle motivazioni principali per la scelta localizzativa continua ricerca di migliore qualità dell’ambiente, migliori condizioni fiscali e migliori servizi. Un welfare obsoleto Quanto detto richiede qualità del territorio su ogni piano: servizi, cultura sociale e tecnologia. Si formano nuove cittadelle di amenità, per insediamenti di privilegiati accanto ai quali continuando a persistere quartieri poveri di immigrati e loosers locali. presupposti per nuove asimmetrie che riaprono la questione degli standard di tutela sociale i nuovi poveri del primo mondo sono collocati in categorie non più protette da un welfare obsoleto e troppo rigido ormai insostenibile. Nuove povertà e nuove carenze che tendono, dunque, ad essere invisibili. Le fasce di middle class per mantenere uno stato continuano a identificarsi in simbologie di tipo medio, mimetizzandosi nel contesto sociale e generando contraddizioni. Si rende necessaria l’elaborazione di un nuovo principio di organizzazione per lo stato sociale che deve continuamente trasformarsi se vuole mantenere efficienze e rispondere a nuove necessità, a fronte di una mappa di periferie e segmenti deboli in continua trasformazione. L’economia industriale post moderna In epoca industriale la fabbrica non scompare ma si trasforma in modo da risultare irriconoscibile. Le curve di economie di scala si invertono provocando la frammentazione di interi cicli produttivi. modi organizzativi nuovi che perseguono una maggiore flessibilità e volatilità con dispersione sul territorio e sviluppo in settori meno pesanti. Il modo di produzione si fa più leggero e più accessibile, di tipo “user friendly”. Ciò si traduce in un vantaggio competitivo per le PMI rispetto alle grandi imprese che possono così ridurre ed annullare le barriere all’entrata per interi settori produttivi. L’industria tipica del post industriale sembra piuttosto un laboratorio. L’unita produttiva tipo tende a destrutturarsi, a ridursi in dimensioni, a riorganizzare il personale in contratti a tempo determinato o a progetto. Flessibilità e opzioni di delocalizzazione Tale tendenza delinea una tattica di organizzazione aziendale volta a migliorare in flessibilità e capacità di deterritorializzazione possibilità di decidere all’occorrenza se trasferire stabilimenti o trasferirsi in toto in altre aree. Strumento usato per difendersi dalle pubbliche amministrazioni aggressive, dal peggioramento della struttura, ecc. l’azienda “post-mod” può muoversi ovunque rendendo vani gli sforzi di controllo di cui l’apparato statale amministrativo dispone. Complessiva riconversione con aziende manifatturiere che cercano di attrezzarsi in modo tale da poter in qualsiasi momento esternalizzare, integrare o disintegrare in senso verticale e orizzontale la catena di produzione. affermazione di un nuovo tipo di imprese scollegate dalla realtà locale che sanno all’occorrenza rendersi invisibili e inafferrabili. L’impresa dell’ambiente globale deve saper cogliere le opportunità restando flessibile, per non subire il mercato e le sue trasformazioni, per essere in grado di prevenirle ed adeguarvisi. La fabbrica del post industriale: le funzioni trasportabili Difficile dire quale sia l’industria prevalente nell’era postindustriale ne tantomeno si può capire quali siano le tendenze della localizzazione. I processi di deindustrializzazione devono avere però un limite altrimenti rischiano di pregiudicare l’efficienza del sistema complessivo. Ricerca di base e innovazione: perseguibile solo in stabilimenti di tipo pesante. Si registrano anche produzioni intrasportabili che devono realizzarsi in ambito metropolitano. Anche per funzioni definite come territoriali non è possibile la delocalizzazione: industria delle infrastrutture, del’impiantistica, ecc. una società ed un’economia troppo frammentate basate unicamente su settori leggeri e PMI rischiano di apparire, seppur molto produttive, nel complesso fragili e inadeguate. Un’industria meno impattante: il consumo di spazio L’evoluzione tecnologica e organizzativa prospetta nuovi scenari di compatibilità ambientali e nuove possibilità per l’industria pesante. Lo stabilimento industriale post moderno sembra utilizzare meno spazio e meno risorse ambientali, meno energia per unità prodotta e sembra produrre meno impatti. All’estremo si può ipotizzare un’industria a zero impatti. Ciò porterebbe a un forte riflusso di industria dai paesi in via di 24 sviluppo dove gli impianti una volta impattanti e pericolosi erano stati e vengono tuttora de localizzati. Per il momento comunque è solo un’ipotesi. La grande industria necessità comunque di grandi spazi, magazzini, ecc. piuttosto che quello del minor consumo di spazio sembra che prevalga il principio dell’industria che consuma tutto lo spazio che ha a disposizione (teoria dell’illimitatezza dei consumi delle aziende). Non esiste una relazione fissa tra produzione, modello industriale e consumo di risorse, in realtà. L’impatto dell’industria sembra derivare dalla capacità gestionale che caratterizza il territorio in cui la stessa industria si trova ad operare. L’industria del futuro dipenderà dall’efficacia del sistema in cui opera, dall’accessibilità di tecnologie, dalla validità del modello urbanistico e dalla disponibilità di infrastrutture per la logistica. Il territorio post industriale L’efficienza del sistema territoriale comporta un fattore di sviluppo e di efficienza per le imprese. Un territorio efficiente attira economia, mentre uno degradato e congestionato, respinge le imprese e tende ad impoverirsi sempre di più. L’efficienza territoriale è un elemento fondamentale per perseguire sviluppo al di là della tipologia delle nuove fabbriche post industriali. CAPITOLO XXXVI – Globalizzazione ed erosione delle funzioni statali Un nuovo contesto per la teoria geografica e politica Man mano che la modernità mette a disposizione della società strumenti e tecnologie più potenti, le teorie classiche sull’origine dello stato e della politica perdono significato. I nuovi strumenti sembrano portare l’umanità a governare e controllare direttamente le variabili della natura, elaborando tecniche per superare i condizionamenti ambientali e i limiti del territorio, che in altre epoche avevano influito nella determinazione delle forme dello stato e delle varie organizzazioni umane. Anche le categorie che nella storia sono state alla base della formazione di teoria e prassi di politica economica subiscono la trasformazione. Es. teoria sulla cessione originaria del potere e concetti come ragione di stato. Nell’economia si passa a post consumismo e deterritorializzazione, come già visto. Tutto ciò conduce a un interrogativo su quale sarà la forma territoriale dei fenomeni politici ed economici nel prossimo futuro, verso quale modello di vita ci stiamo evolvendo. Il recupero della geopolitica La teoria geografico politica riemerge in questo scenario alla fine del blocco bipolare. I singoli stati recuperano le proprie prerogative ricominciando a fare politica estera. Le discipline della geopolitica assumono nuovamente un ruolo e diventano nella pubblicistica sinonimo di politica internazionale: nuova necessitò di sapere geografico per capire quali possano essere i nuovi flussi di politica, la scala delle aggregazioni o la dimensione dei nuovi mercati. Si vuole comprendere il verso dei fenomeni in un revival della geopolitica con stati che recuperano le funzioni della sovranità. Stati che però appaiono appesantiti da debito pubblico e scorie di tutti i tipi e comprendono resto come il fatto di elaborare e perseguire una geopolitica sia un affare estremamente complicato che richiede investimenti e interventi su vasta scala ma anche un apparato amministrativo efficiente e qualificato. L’individuazione di una direttrice appare allora come qualcosa di velleitario. Situazione in cui tutti parlano di geopolitica ma essa si trova carente di definizioni e metodo. Scenario dove può essere utile rileggere e riconsiderare la sequenza delle idee che si sono di volta in volta affermate per considerare le opzioni e le teorie attuali. Difficoltà caratteristica per la geografia politica di riconoscere catene causali e distinguere tra le diverse variabili. Il fallimento della geopolitica avrebbe conseguenze disastrose degenerando in uno scenario di scontri come è spesso successo in passato. Uno scenario di moltiplicazione di guerre L’evoluzione verso la globalizzazione induce effetti controversi con un complessivo effetti di frenesia, una proliferazione di crisi e di conflitti all’interno e all’esterno degli stati, nel quadro di un superamento delle barriere tra politica interna ed esterna. Proliferano tensioni che assumono forme consuete come dispute di confine, recupero di motivazioni primordiali di conflitti etno nazionali, tribali e religiosi, oppure mantengono una caratterizzazione meno evidente e più complessa. Conflitti che mostrano anche una 25 tendenza a ricodificarsi cambiando in corsa significati e modalità. scenario di moltiplicazione di guerre che sembra caratterizzare l’epoca immediatamente successiva alla fine della guerra fredda che, secondo alcune teorie, sarebbe indotto dalla disponibilità su vasta scala di armi leggere. Diffusione, inoltre, delle modalità della guerra perfetta, cioè senza vittime. La guerra resta qualcosa di complesso che si manifesta come conseguenza di altri conflitti, come confusione di elementi di tipo materiale e immateriale in un contesto di escalation e tensioni a volte impossibili da riconoscere. Fenomeno impossibile da comprendere con teorie di tipo riduzioni stico. Una teoria post-moderna della guerra La possibilità di fare o non fare la guerra significa un’opzione di base che ha conseguenze su qualsiasi politica a qualsiasi scala e induce un certo modo di fare politica e gestire lo stato. Ciò condiziona e determina la teleologia stessa dello stato che, a seconda di questa opzione, tende a prepararsi e a dotarsi di apparati e di codici atti a produrre forza o limitare il ricorso alla violenza. Paradosso dell’attuale teoria geografica e politica: minimizzare il ricorso alla violenza distruttiva elaborando e proponendo forme alternative di dialogo. L’opzione sopra descritta caratterizza i millenni della politica umana in un ininterrotto tentativo da parte dello stato di concentrare su di sé il monopolio dell’uso della forza e degli strumenti che di volta in volta possono essere usati. La stessa elaborazione di una teoria della guerra sembra indurre direttamente una teoria dello stato. Tale teoria subisce continui adattamenti e trasformazioni. In epoca di modernità l’equazione tra disponibilità di territorio e possibilità di sopravvivenza sfuma assumendo nuovi significati di tipo ideologico. Nel passaggio al post moderno si ha lo spunto per u ulteriore sviluppo della teoria della politica e della guerra che sembra perdere qualsiasi dimensione territoriale. Classificazione dei conflitti: cause e relazione di causalità Elaborazione di una nuova metodologia per studiare i conflitti tramite varie fasi: - Definizione dello scenario - Definizione degli attori e dei loro interessi - Strumenti utilizzati - Quadro teleologico dei valori che gli attori adottano - Individuazione del nesso causale che caratterizza i fatti L’ultimo aspetto è quello decisivo per comprendere le cause di un conflitto e cercare di risolverlo. Si distinguono diverse cause: - Immanenti e remote - Insider (intrinseche) e outsider (esterne) alla guerra - Dirette o indirette La teoria geopolitica individua anche una serie di ulteriori elementi come il tipo di fronte, la durata, le regole di conduzione, le modalità di avvio, ecc. tutto al fine di comprendere le motivazioni reali e fittizie alla base di un conflitto cercando di evitare gli effetti di escalation. Classificazione dei conflitti: fenomenologia del conflitto A seconda dell’atteggiamento e delle circostanze, a volte la guerra preventiva può significare l’unica possibilità per gli stati che non ritengono di potersi difendere, in altri casi sfide cavalleresche senza senso o ancora maschere di crisi interne. L’esercizio di classificazione può assumere alla base l’oggetto del contendere cioè il target apparente e dichiarato. Il territorio inteso come strumento per la produzione di mezzi di sopravvivenza ha però da tempo smesso di rappresentare un target legittimo. Un altro esercizio di classificazione assume il metodo e la strumentazione con cui una guerra viene condotta, il “warfare” (umanitario, distruzione di infrastrutture, ecc). sebbene la letteratura abbondi di definizioni e nomenclature, l’esercizio della classificazione resta quasi sempre vano. Alla base di tutto c’è una distinzione essenziale che definisce la stessa idea del conflitto come categoria particolare di una categoria più vasta dell’azione umana. Il principio dell’inviolabilità dei confini e il diritto all’autodeterminazione 26 Lo scenario della confusione globale induce una complessiva mobilitazione di fattori politici, configurando il rischio della destabilizzazione a vari livelli. Ciò implica una crisi e un superamento di una serie di tabù geopolitici degli anni della guerra fredda. Il tabù deriva dalla consapevolezza che il territorio è da sempre la prima causa dei conflitti e le rivalità territoriali rischiano da sempre di degenerare in uno scontro bellico. Da lì nasce il concetto di inviolabilità dei confini che mantiene consistenza per tutta l’epoca dello scenario bipolare, a discapito del diritto all’autodeterminazione che era stato sacrificato in nome di un più generale principio di stabilità internazionale. Un nuovo scenario senza confini e senza stati Le nuove motivazioni e le nuove forme di legittimazione all’interno di uno scenario tendenzialmente senza confini, possono essere elementi di rischio. Queste aperture che danno nuovo impulso all’economia e al commercio, dal punto di vista della politica internazionale hanno effetti contradditori con tensioni e rivendicazionismi. Accelerazione delle realtà complessive a scala di sistema che crea le premesse per una maggiore integrazione e una situazione di competizione e conflittualità diffuse. Le tensioni a volte si manifestano in forme non convenzionali o indefinibili al punto che molti tra i conflitti successivi allo scenario bipolare sembrano essere dei conflitti civili interni agli stati. Dopo il disgelo e il bipolarismo sembra affermarsi una nuova teoria territoriale con confini che semplicemente tendono a riprodursi in altre forme e altre dimensioni a volte in modo trasversale alle stesse nazioni e agli stessi stati territoriali. La cancellazione dei confini statali materiali non significa l’annullamento di qualsiasi confine. La categoria del confine tende a ricodificarsi per svolgere la funzione che da sempre svolge e deve svolgere di regolazione di differenziali di sviluppo, definizione di interesse e mitigazione di tensioni. Nuovi valori e nuovi strumenti di legittimazione Tale scenario lascia immaginare la crisi dell’organizzazione statuale e delle sue funzioni quali quella prioritaria sulla quale lo stato nazione aveva costruito la base della sua legittimazione la sicurezza. La destrutturazione statuale significa una serie di effetti imprevedibili in uno scenario di globalizzazione che resta anarchico, senza una fora sovraordinata che possa garantire il rispetto di qualsiasi regola. Uno scenario dove agiscono realtà statuali sempre più deboli e che deve recuperare standard e valori nonché procedure di regolazione. Un processo faticoso che in epoca di tarda modernità si traduce nell’affermazione di una serie di principi statuiti in genere da organizzazioni internazionali con aspirazione universalistica. Tra questi affermazione di un principio che tende a far ritenere accettabili solo i comportamenti non violenti e come criterio di legittimazione principale: dimostrazione della capacità di funzionare e gestire pacificamente e democraticamente i vari problemi e le varie transizioni. Diverse situazioni mettono in evidenza il carattere critico che il confine mantiene a qualsiasi scala, semplicemente in quanto luogo fisico che mette in evidenza la diversità e la necessità di gestire le varie diversità e linee di frattura che caratterizzano inevitabilmente la società umana nelle sue varie evoluzioni. Un principio della minimizzazione della violenza I principi di minimizzazione della violenza e massimizzazione della democraticità emergono in uno scenario di contraddizioni ma tendono a consolidarsi nella prassi delle relazioni internazionali. Ciò comporta il riconoscimenti della capacità di funzionare democraticamente come unico strumento di legittimazione, respingendo qualsiasi azione di tipo aggressivo o anche basata semplicemente sulla minaccia e su altri modi di costrizione. Secondo tale principio l’uso politico della violenza creerebbe un effetto di delegittimazione per chi ne fa uso. L’uso politico dello sterminio legittimerebbe l’intervento dall’esterno su un certo scenario, definendo conseguentemente la guerra condotta da qualche coalizione internazionale come giusta. Un fatto che la prassi dimostra realizzarsi in modo selettivo solo per alcuni scenari. La comunità internazionale interviene solo laddove la situazione tattica non sia troppo sfavorevole, oppure laddove ci siano rischi effettivi per la stabilità o dove si evidenziano interessi precisi e misurabili. Tale fatto pregiudica la stessa rivendicazione di legittimità anche se tale principio appare ancora come un obiettivo piuttosto che una realtà. Si condanna qualsiasi forma di predazione politico territoriale. La politica post moderna evidenzia comunque molte contraddizioni e si esprime ancora in molti casi per fatti compiuti, per uso della forza e della minaccia, utilizzando strumenti di pressione di varia natura, a volte con l’obiettivo di 27 assecondare necessità di politica interna e di ricerca del consenso. Il contesto internazionale resta un mondo senza legge basato sui principi della competizione ratzeliana di first arrived first served, nel quale qualsiasi governo deve perseguire comunque principi di salvaguardia di prerogative e interessi anche a discapito di principi generali. Nuovi attori politici e governativi: l’azione trans- e inter- nazionale Con l’affermazione di nuovi paradigmi del potere si diffondono nuove configurazioni di difficile definizione: enti intermedi, scatole vuote, nuove forme di potere immateriale o nuove forme di associazioni tra stati e altri soggetti. Ciò comporta la crisi dei vecchi attori geografico politici e l’affermazione di nuovi attori, capaci di adattarsi alle mutazioni di scala indotte dalla globalizzazione. Le nuove configurazioni geografico politiche derivano da nuove necessità di adattamento a scala regionale continentale, da accordi interstatali, ecc. Nuove organizzazioni o nuove semplici espressioni geografiche che svolgono funzioni di coordinamento per la sicurezza. A volte si tratta di associazioni che si sviluppano nel contesto universalistico e idealistico dell’ONU e delle sue agenzie. Non c’è area continentale che non proponga qualche forma di collaborazione pan regionale anche se non sempre tali associazioni riescono a sviluppare un’effettiva capacità restando spesso ad una fase di dichiarazioni di intenti. Le tensioni dell’economia e della politica tendono a realizzarsi in una nuova dimensione che i singoli stati non possono sperare in alcun modo di affrontare e si ritrovano costretti a collegarsi in qualche modo, pena l’emarginazione. La crisi dell’ONU e dell’universalismo moderno Lo stato di epoca post bipolare recupera in capacità ma perde in compattezza dimostrando di essere vulnerabile a fenomeni di erosione a vari livelli. Tale processo è complementare e in parte indotto, dalla crisi delle istituzioni internazionali che si erano affermate in epoca di tarda modernità. (ONU) istituzione che si propone di creare le condizioni per il superamento della guerra e con essa di tutti i problemi connessi ai conflitti e al sottosviluppo anche attraverso le sue agenzie, secondo un programma modernista per cui per risolvere un problema si ritiene necessario e sufficiente istituire un’organizzazione e realizzare un programma di investimenti. Progetto forse troppo ambizioso che sembra oggi essere giunto ala fine di un ciclo. Le organizzazioni troppo complesse e articolate sono soggette al rischio di degenerare in qualche cosa di autoreferenziale, impossibilitate a perseguire oltre i propri obiettivi. Tale evidenze rende necessario un ripensamento dello strumento universalistico. Caso di studio: l’Unione Europea, un unicum per la geografia politica Formazione di uno stato: processo lungo e faticoso consistente in un itinerario di prove ed errori. Solo col tempo si può capire se un nuovo soggetto geografico politico è in grado di acquisire la consistenza di una vera e propria istituzione statuale dotata di capacità politica. Storia UE Caso di studio perfetto di stato in corso di formazione e consolidamento originato per volontaria cessione di sovranità da parte di stati preesistenti. Essa sembra sviluppare attributi e capacità politiche sempre più rilevanti. Strategia del passaggio dal materiale all’immateriale, dal primario al secondario al terziario. Euroatom, CECA, ecc. Strategie di integrazione deliberatamente perseguite che seguono un asse dal pratico al politico. Necessità di un’integrazione strutturale dello scenario europeo che, come la geografica politica insegna, si presenta nei termini di un’opzione binaria di collaborazione o conflitto senza possibilità intermedie. L’evoluzione di tale scenario è soggetta a diverse interpretazioni non sempre coerenti: alcuni ipotizzano prospettive di consolidamento di una fortezza europea, altri uno stato dimezzato incapace di sviluppare le funzioni della politica oltre una certa soglia. Aggregazioni su scala pan-regionale e proliferazione di nuovi stati L’espressione geografica della UE sembra svolgere un ruolo complementare alla stessa erosione e alla stessa crisi degli stati nazionali. Da un lato sembra svolgere una funzione di rescaling e adattamento ai mercati e alla globalizzazione, dall’altro sembra poter svolgere un effetto di mitigazione. Un unicum che ha la possibilità di riuscire dove analoghe organizzazioni hanno fallito. La situazione di fatto segnala delle evoluzioni contraddittorie tanto che a volte la stessa erosione statuale sembra dare origine a un processo non di aggregazione ma di formazione di nuovi stati che si autodefiniscono e assumono atteggiamenti 28 propri di istituzioni sovrane. Ciò fa da sfondo a una tendenza della geopolitica contemporanea a polverizzarsi e frammentarsi creando continuamente nuove confusioni. CAPITOLO XXXVII – Attori non politici e nuove forme di politica Nuovi attori non politici e non statali L’evoluzione post statuale è parallela all’affermazione di un insieme di attori non istituzionalmente politici e prospetta una vera e propria rivoluzione nelle relazioni a qualsiasi scala, con attori né statali né governativi che assumono progressivamente funzioni e ruoli di tradizionale competenza di organismi dotati di sovranità de statalizzazione e depoliticizzazione. Lo stato subisce un processo di erosione per le funzioni che da sempre ne caratterizzavano l’esistenza. Fenomeno complementare alla formazione di organismi sovranazionali e super statali del tutto caratteristica dell’epoca globale. Scenario che troverebbe riscontro nel processo di unificazione europea, in organizzazioni di significato universalistico tipo ONU, in trattati, ecc. Complessivo effetto di uniformizzazione cui contribuirebbero anche organizzazioni di tipo particolaristico, seppur con altri obiettivi e su altre scale. Idem per universo di associazioni di tipo privatistico aziendali, non profit assistenziali e culturali. + insieme di organizzazioni internazionali, associazioni di volontariato, ecc. producono un effetto di ulteriore ridimensionamento dello stato e delle sue istituzioni. La global civil society e l’opinione pubblica Evoluzione che fa da sfondo allo sviluppo di una nuova società e di un ceto caratteristico della cultura del globale. ceto medio globale standardizzazione di stili di vita e rivendicazione di una serie di diritti e ruoli nella politica e nell’economia. Una “global civil society” che tende a distinguersi dalle istituzioni territoriali, sviluppa meccanismi di dialogo trasversali allo stato nazione e si riproduce in ambienti diversi consolidando una cultura standardizzata fatta di brand e di mode. Una società globale che rischia di diventare un corso estraneo alla realtà locale premessa per una nuova contrapposizione ma anche per la diffusione di un’ideologia universalistica. nuova elite che configura un nuovo potere e un contrappeso per le realtà statal nazionali. Evoluzione inevitabile che deriva da trasformazioni di tecnologia e di struttura e crea le condizioni per una mobilità assoluta. Risorse immateriali e modelli culturali che fluiscono e si propagano in tempo reale. Nascita di una nuova categoria in cui confluiscono gli attori sociali che si sono affermati nei secoli della modernizzazione sulla scorta del consolidamento di un ceto borghese, definiti a seconda dei casi opinione pubblica e società civile. Dimensione nel complesso difficile da conoscere e di fatto impossibile da manipolare che si manifesta come egemonia culturale alle volte. Una nuova base sociale, dunque, che svolge a seconda dei contesti un ruolo più o meno attivo partecipando o frenando le politiche, oppure un ruolo di resistenza di fronte a innovazioni troppo rapide. La città globale La nuova civiltà di attività terziarie induce a un ambiente dinamico che si realizza in uno schema urbanistico e geografico politico caratteristico. realtà della città globale che assume funzioni “globali”: attività ad alta intensità di conoscenza, scambi e relazioni, che utilizzano risorse ubiquitarie e immateriali. La città cresce conseguentemente a una massiccia diffusione di ICT con la formazione di una cultura caratteristica (e mi fermo qui per non scrivere “english” o “globish” come fa lui). nuova categoria sociale composta in varia misura da quote di popolazione locale globalizzata e da una comunità di stranieri importati che sembrano seguire l’espansione di multinazionali e di organizzazioni internazionali profit e non profit. Si tratta di una comunità culturalmente omogenea ma politicamente apolide le autorità locali devono tenerne conto. Si configura una città aperta e accessibile la global city appare a volte come un’isola culturale di tipo globale in un corpo territoriale ancora molto nazionale sviluppo per funzioni globali che delinea uno spazio discontinuo dove ai nuclei di global city si alternano aree di arretratezza a volte tagliate fuori da qualsiasi possibilità di integrazione col globale. Fatto abbastanza caratteristico per i paesi emergenti dove l’apparizione di un contesto globale e frequentato da un’elite cosmopolita delinea opportunità di collegamento con i mondi esterni alla realtà attuale. questo fenomeno produce nuove asimmetrie che possono manifestarsi in termini drammatici e che rischiano continuamente di degenerare 29 in conflitto. Città dove l’elite delle global civil society vive a stretto contato ma isolata da immense baraccopoli dove continua ad ammassarsi una popolazione di miserabili. L’altra faccia della medaglia: la proliferazione di attori anti-statali Il nuovo ambiente aperto prospetta nuove possibilità per tutti, anche per atti di tipo predatorio che tendono a proliferare e mimetizzarsi in forme diverse con attori che sfruttano l’assenza di frontiere e le possibilità della tecnologia della mobilità per sfuggire alle identificazioni. organizzazioni criminali tradizionali che escono dalle sfere di azione locali, mafie ecc. oppure fenomeni nuovi indotti dalla stessa esplosione globale con forme tradizionali di criminalità che si sommano e si combinano a seconda delle fonti e della pubblicistica, a mafie di tutti i tipi. A volte si tratta anche di forme di criminalità che derivano direttamente dalla disgregazione connessa all’erosione delle stesse funzioni statali. Oppure è l’indebolimento del welfare a creare situazioni di necessità e di cattivo funzionamento civile consentendo il proliferare dell’economia illegale. Tutti segni di una dinamica sociale debole e che funziona al contrario. formazione di un vero e proprio antistato dove poteri eversivi riescono a infiltrarsi e appropriarsi dell’intero apparato pubblico. Una teoria territoriale della mafia Tutte queste forme di criminalità si propagano oltre l’ambito locale dei “picciotti” e degli “uomini d’onore” o “capobastone” appropriandosi di intere dinamiche di potere. Esse si diffondono in territori caratterizzati da istituzioni sempre più deboli ambiente senza confini e senza regole dove le attività criminali adattano il modus operandi dedicandosi ad attività diverse e tipiche di quella scala. una antisocietà che significa riflusso a forme predatorie e che si presume possa diffondersi massicciamente in ambiente post moderno dove codici, regole e sistemi di sicurezza appaiono scarsamente funzionanti. nascita di una geografia della mafia. Gli sviluppi recenti indicano come la criminalità organizzata tenda a diffondersi anche in aree non originariamente interessate dal fenomeno. le attività mafiose si ramificano fino a estendere il controllo sul livello di base della politica, cioè il territorio, allestendo una sorta di stato alternativo e guadagnando la con la minaccia e la lusinga la fiducia della società locale. Partiti, aziende, sindacati, enti territoriali e altre categorie radicate sul territorio tendono a perdere la loro funzione e la rappresentanza degli interessi in epoca post moderna non può esprimersi secondo procedure riconosciute, finendo per diventare lotta senza regole tra fazioni non istituzionali. Tale fenomeno si interseca con la proliferazione di criminalità organizzata. Una prospettiva realista: lo scenario della frammentazione globale La scena dell’esistenza umana è esposta a una serie di tensioni che si possono definire buone (traffici, commerci, ecc) e cattive (criminalità, conflitti): esse presentano opportunità e rischi. Ciò dipende dal funzionamento interno della società: se è debole o forte, ecc. la scuola realista definisce questo scenario “arena”, campo di battaglia per una guerra non sempre guerreggiata. La teoria realista assume politica e geopolitica come strumenti per elaborare un istinto predatorio primordiale o l’applicazione di politiche di potenza e dell’uso della forza. Il geopolitico è l’esperto che indica al governo quali sono le migliori linee di espansione e come orientare la propria politica su scenari più vasti. si nega alla società umana la capacità di codificare e regolare i propri comportamenti, ciò sia a livello interno che internazionale. Tale scenario era già prevalso ai tempi della piccola globalizzazione tra XVIII e XIX secolo degenerando poi in un conflitto, dopo il prevalere di un uso ostruzionistico di territorio e altre risorse. Realtà che prevale anche oggi per le risorse che vengono percepite come a rischio esaurimento e creano la base per costruire posizioni di vantaggio e dipendenze strategiche. Tutto ciò fa da premessa al recupero di un’idea di violenza come strumento di politica, di imperialismo e guerra per le risorse, ecc. La prospettiva neoillumministica: la governance globale La globalizzazione disegna un insieme di luoghi, tendenze di aggregazione, fattori e attori che operano in uno spazio senza barriere apparenti, nel quale non emerge una forza dominante. L’arena si prospetta come un enorme mercato e un vuoto di potere dove nessuna autorità può realisticamente pensare di imporsi e dove l’azione degli stati è sempre più debole. scenario che riflette tendenze caratteristiche di lungo 30 termine verso la costituzione di un meccanismo di governance globale + visione della realtà come un campo di battaglia senza regole accettate e condivise dove ciascun attore cerca di far valere i propri interessi (legge del più forte). I realisti assumono attitudini negative, gli idealisti confidano nella speranza di elaborare un dialogo abbastanza efficace per evitare la guerra. L’umanità non può fare a meno delle istituzioni del potere, nella storia della geografia politica questo almeno fino all’epoca attuale dove è maturato un contesto che, secondo alcune teorie, sarebbe caratterizzato da capacità di autoregolazione anche a scala più vasta. Ci sono segnali di una tendenza all’autoregolazione a scala di stati e comunità globale. capacità di governance da intendersi come meccanismo compensativo e combinatorio capace di creare l’effetto di un circuito virtuoso tra controlli reciproci e interni cui contribuirebbero diversi attori. (anche per le funzioni della macroeconomia). La teoria delle relazioni internazionali Diverse teorie riconducibili a scuole diverse (idealisti, realisti, neoilluministi o razionalisti). Idealisti abolizione guerra e violenza. Assumono l’individuo come fondamentalmente buono. Metodo del dialogo e della persuasione. Qualcuno deve essere disposto a martirizzare i propri interessi. Realisti opposto. La realtà come si manifesta vede il male come inevitabile nella natura umana. Risorse limitate e individuo debole e cattivo. Illuministi intermedi. Vedono la soluzione ottimale nel lungo termine con l’affermazione di una realtà pacificata e dinamica. Conflitto come strumento non violento di dialettica e di crescita. Non va abolito ma limitato, effettuato in modo combinato alla nuova consapevolezza della società. Processo che dovrebbe portare alla sua cancellazione. Non si nega la limitatezza delle risorse ma si confida nella capacità di superare questo limite perché si ritiene la guerra la peggiore delle soluzioni: potrebbe distruggere le poche risorse rimaste. Razionalisti e neoilluministi: dare una risposta alla guerra Si confida nelle possibilità dell’autoregolazione tramite persuasione e trattativa, che attualmente sarebbe evidente in alcune circostanze formazione di codici e istituzioni orientate alla produzione di sicurezza in vari scenari del conflitto. Sorta di geopolitica e guerra condotta dalle ONG e dai vari apparati della società internazionale, combattuta con le armi dell0assistenza e dell’intervento umanitario. elaborazione di un meccanismo di governance e di limitazione reciproca tra i vari poteri su scala internazionale. Per i neoilluministi tale politica tende a diffondersi in modo progressivo con risultati rilevanti. Certe ONG appaiono come veri e propri eserciti disarmati in gradi di agire a qualsiasi scala. La privatizzazione della sicurezza internazionale Tattica di immunizzazione degli scenari di crisi cui si aggiungono altre organizzazioni e altre forme di conduzione non state della politica internazionale. Associazioni e società no profit specializzate in attività di polizia e ordine pubblico multinazionali della sicurezza. Fenomeno complementare a forme di gestione non profit e non violenta delle tensioni internazionali. Organizzazioni più flessibili e spesso più efficaci delle organizzazioni pubbliche. Sono comunque un rischio perché possono essere indotte a riprodurre le tensioni per continuare a trarne profitto. I professionisti combattono per uno stipendio.. Diffusione di truppe mercenarie caratteristica delle fasi di fine ciclo. Basi strutturali dell’autoregolazione: il principio omeostatico I nuovi autori agiscono in modo autonomo ma culturalmente orientato e sembrano contribuire all’elaborazione di un governo non politico configurando ulteriori tendenze auto regolative che contribuirebbero al miglioramento di una capacità omeostatica del sistema. Ciò deriva dalla possibilità di elaborare regole attuali e dalla capacità di controllare l’osservanza delle stesse: la governance può svilupparsi solo se supportata da un buon sistema di misurazioni e da un’efficiente contabilità di contesto. Serie di attività che si rivelano essere i grado di consolidare il meccanismo di autoregolazione anche in termini di politica e che è compito dei governi individuare e incentivare. Feedback e accountability: le premesse per la governance 31 Misurare un fenomeno è la premessa per controllarlo e gestirlo e per riprodurne gli stessi effetti in ambienti più vasti. modo per garantire feedback (riscontro) e accountability (codificazione misurabilità). Tutto ciò anche per ambiti nei quali si ritiene difficile elaborare dati e informazioni attendibili. Tale criterio va esteso anche a grandezze apparentemente non misurabili: esempio le dimensioni del funzionamento politico. Metodo che rappresenta un riferimento per la comparazione, primo passo per elaborare con il tempo un sistema di misurazioni più efficaci. È bene che venga applicato per creare i riferimenti per misurazioni successive. Il buon governo non può che fondarsi su un principio di accountability e sul proposito di riprodurre dati veritieri con i quali poter valutare la sua stessa azione. CAPITOLO XXXVIII – Prassi, analisi e teoria geopolitica Un nuovo ruolo per la geopolitica: la realtà della differenziazione Superamento immobilismo dell’epoca bipolare riscoperta della dimensione territoriale della politica, quindi della geopolitica: nuova scienza dello stato e dei suoi surrogati post statuali. Nuova consapevolezza che la realtà non può essere considerata come qualcosa di immobile e che la geografia è uno dei motori della politica e dell’economia. Ciascun fenomeno umano si realizza all’interno di una dimensione geografica, ignorare la quale significherebbe rischiare di alimentare ulteriori tensioni. Realtà umana tendenza continua a diversificazione in qualsiasi forma, per cultura, risorse, stili di vita.. ciò genera continue tensioni con fratture e confini che appaiono e scompaiono. Dinamica che coincide con un parallelo fenomeno di erosione delle funzioni statali e con i superamento di una situazione di monopolio del potere che fino a quel periodo lo stato nazione aveva esercitato. Diffusione di soggetti politici di qualsiasi tipo che elaborano una propria strategia di azione territoriale. Proliferazione che apre una serie di prospettive. Lo stato nazione di fine modernità è oggetto di tensioni di varia natura, interne e internazionali. Diffusione di ideologie anti o a-nazionali + consolidamento di una comunità di organismi transnazionali e ascesa di nuove forme di potere + formazione di aggregazione di forme superstatuali. La geopolitica interna agli stati Rinnovata scienza geopolitica che si sviluppa a scale diverse e interessa qualsiasi circostanza, qualsiasi organizzazione e gruppo. Si sviluppano forme di analisi convenzionali e non, con applicazione di tecnologie di geografia elettorale che analizza la forma dei distretti, le mappe di interesse, le lobby.. considerando le possibilità di distorsione del consenso che la manipolazione degli stessi confini e la ripartizione interna di stati e regioni presentano analisi e uso del territorio come strumento per produrre potere e consenso. Apertura di nuove prospettive all’analisi geopolitica che assume il comportamento degli enti interni allo stato enti locali che si ritrovano nella necessità di confrontarsi con un mondo proiettato sul globale nell’elaborare la propria visione del territorio. tali ideologie lasciano immaginare una serie di tensioni: il rischio dell’erosione delle funzioni consuetamente ritenute statali finisce per riportare alla disintegrazione di una struttura che per secoli aveva rappresentano un riferimento per qualsiasi azione. L’analisi geopolitica: nuove definizioni di politica internazionale Il recupero della geopolitica come strumento di conoscenza significa anche il recupero di un metodo di analisi dei comportamenti territoriali con il superamento del monopolio esercitato dalle istituzioni statali per tutta la modernità. La geografia post moderna recupera uno scenario di tipo ottocentesco caratterizzato da organismi in evoluzione con la continua apparizione di nuovi soggetti e nuove scale, moltiplicazione di attori e nuove tecnologie. Necessità di un nuovo metodo di analisi e rappresentazione che consideri il soggetto nella sua capacità di azione cioè in grado di considerare tutti gli elementi che caratterizzano il fenomeno politico. nuova concezione di stato non più inteso come ente sovrano ma come insieme di funzioni, utilities e organizzazioni non gerarchiche che sviluppano funzioni ed erogano servizi. Le definizioni: geostrategia e funzionalismo, organicismo, materialismo La storia della geopolitica delinea la formazione di scuole diverse. 32 - Primo gruppo di teorie: lavori di Mahan e Mackinder; definizione di politica funzionalista, stato come ente che si articola per ruoli (principio liberale di segregation of duties). Stato: produzione di una geostrategia che non si identifica con la lotta per il territorio. ente normale e umano che coordina le funzioni del bene collettivo. - Secondo gruppo: stato come ente assoluto, visione organicistica, risponde a un’esigenza di controllo sui comportamenti per una popolazione incapace di regolarsi. Visione deterministica che assume i comportamenti come determinati da qualche variabile. (Ratzel, Kjellén, Huntington). Determinismo, primordialismo, culturalismo. - Terzo gruppo: ispirazione marxiana. Territorio della politica in prospettiva strutturale, per disponibilità, flussi, accessibilità. Stato e politica come sovrastrutture, come strumenti di manipolazione che le elite utilizzano per sfruttare e sottomettere le masse. Realtà inevitabilmente destinata a spaccarsi in due. Prospettiva materialista e determinista che assume la realtà sociale come indotta da relazioni di tipo economico. Classificazioni combinate a una definizione più vasta di geopolitica territorio come fine di una politica dove lo stato si riconosce, come mezzo. Elementi permanenti ed elementi contingenti Criterio di classificazione che distingue tra elementi contingenti sui quali è necessario intervenire nel breve termine e su elementi permanenti sui quali la politica nell’immediato non può nulla. Spykman: geography is the most fundamental factor in the foreign policy of states because it is the most permanent. Altri elementi durevoli non hanno invece una caratteristica materiale cultura della popolazione. Qualsiasi tentativo di forzarla rischia di provocare fenomeni di reazione. I modi territoriali: la forma Costruire uno scenario di variabili e relazioni tra variabili. Territorio della politica risultato di processi di lungo periodo, guerre e momenti di sviluppo ecc. materializza un complesso di tensioni tra politica ed economia che finisce per delineare una forma, una struttura e una dimensione caratteristiche. Complesso di modi territoriali che costituiscono l’oggetto prioritario dell’analisi geopolitica. Modi di tipo formale: compattezza o articolazione, stati con forme territoriali più simili alla figura ideale del cerchio e altre forme geometriche, stati con un centro politico che coincide con un centro geografico. processo di aggregazione territoriale di tipo secolare e graduale. Stato moderno: politica di compattezza che porta lo stesso ad assumere nel tempo una forma simmetrica che si ritiene possa condurre al superamento di squilibri strutturali. I modi territoriali: la simbologia della perfezione Punto di partenza per la geopolitica della modernità: definizione di stato come qualcosa di integrato che si sviluppa e proietta su un asse centro periferia. Figura che tende ad assomigliare ad un cerchio o ellisse, immagine stessa della perfezione che si rifletterebbe su altre dimensioni del corpus politico. Schema nel quale qualsiasi deviazione da un’ideale di uniformità rischia di rappresentare un problema. filosofie di tipo organicistico che assumono un’ideale di geografia nel quale la politica deve riconoscersi. Esatto contrario delle filosofie funzionalisti che assumono l’ideale della perfezione in quanto tale. Lo studio delle forme ideali in geografia rappresenta un gioco solo relativamente utile per mettere in connessione le forme territoriali con altre variabili in sede di analisi di scenario o piuttosto combinandosi all’applicazione di un metodo metaforico per perseguire finalità di manipolazione. A qualsiasi scala, gioco di metafore che deriva dalla stessa osservazione delle carte geografiche. La classificazione delle forme Stati articolati forma diversificata e contorta, allungata o dendritica. Forme che significano processi di aggregazione diversi, a volte tormentati, di tipo coloniale. Indicatore di forma: più o meno compattezza, più o meno articolazione esprime significati di tipo politico sulla base dell’assunto che più compatto è uno stato più si presume che al suo interno si consolidino strutture della coesione. La compattezza agevola le 33 funzioni dell’accessibilità e del collegamento, il controllo dei confini. L’articolazione esprime un senso di esposizione e di vulnerabilità. Il principio della neutralità originaria dello scenario Individuazione di parametri di tipo geopolitico che definiscono l’efficacia politica in termini di vulnerabilità per le varie dimensioni, ciascuna delle quali presenta elementi di interesse rispetto alle funzioni caratterizzanti della politica. Categorie difficili da definire e dove è difficile sviluppare qualsiasi deduzione deterministica. Uno stato compatto è più controllabile di uno articolato che però ha possibilità di migliorare la propria capacità difensiva tramite corridoi, cordoni, buffer.. è difficile verificare la correlazione tra forma ed evoluzione di certe caratteristiche politiche e culturali. Può essere vero anche che una migliore connettività porti a favorire processi di decentramento! Qualsiasi scenario può cambiare verso e significati a seconda delle circostanze e della capacità tecnologica e culturale che società e istituzioni sono in grado di sviluppare. visione antideterministica che si fonda sul principio di neutralità originaria dello scenario: territorio come semplice strumento, materia prima con la quale una comunità umana può perseguire i propri obiettivi. L’analisi delle discontinuità: borderland, confini, frontiere, barriere Analisi che trae origine da una tradizione di tipo bellico terrestre nel contesto di una complessiva esigenza di difesa a livello del suolo. Geopolitica che assume il terrain management e le discontinuità del terreno come primo strumento per produrre sicurezza. Base naturale sulla quale le istituzioni possono sviluppare le strutture del comando politico e militare. Si considera l’area di confine (borderland) come un microcosmo di attori e fenomeni caratteristici che funziona in base a regole proprie, complementare all’area di massima centralizzazione dello stato. Analisi che considera numero e natura dei vicini coi quali è necessario adottare politiche tra di esse mutuamente esclusive. Conseguenze sulla forma stessa della struttura politica. Si assume una serie di riferimenti oggettivi in realtà utili per interpretare e redigere scenari: numero dei vicini, dimensione confini.. caratteristiche che indichino migliore difendibilità, vulnerabilità, idee e percezioni. Studio che riprende la tradizione ottocentesca del confine ideale e della forma statuale razionale (Fichte) che assicura un’ottima capacità di difesa e una buona accessibilità. L’analisi evidenzia un continuo scivolamento tra ideale e materiale in un arbitrario gioco di astrazione assumendo uno qualsiasi tra gli aspetti di una vasta fenomenologia: forma, consistenza, struttura, confini artificiali, naturali, visibili, invisibili ecc. classificazione necessariamente approssimativa nessun confine può essere considerato perfetto perché la realtà geografica che qualsiasi confine sottende è mutevole. L’analisi della geografia fisica: quantità e massa, risorse e territorio L’analisi quantitativa considera le variabili di contenuto e le masse materiali che costituiscono concretamente lo stato o il soggetto politico e il territorio che lo stesso rappresenta. In genere la massa significa un’immagine di capacità di qualsiasi tipo in termini di demografia, economia, organizzazione militare e politica. Quantità di terre, risorse, ecc. Analisi materialista che coincide con una definizione classica della politica modernista: stato come un soggetto che dispone di un ordinamento, una popolazione e un potere illimitato ma soprattutto di un territorio. esistono però ormai soggetti senza territorio come le multinazionali. Qualsiasi organizzazione o ente tende ad agire ed esprimere qualche tipo di potere che si manifesta in modi diversi, grazie alla diffusione di tecnologie talmente potenti da moltiplicare capacità di qualsiasi tipo. Lo studio del fattore materiale come base della politica sembra perdere senso.. Il paradosso della maledizione delle risorse naturali: una prospettiva antideterministica Paradosso: la realtà attuale sembra dimostrare come il fatto di possedere risorse territoriali può non significare molto. Situazione evidente per un’economia soggetta a funzioni di produzione tendenzialmente de materializzate e volatili. Grandi stati con ampie disponibilità di massa e materia possono rivelarsi scarsamente efficienti tanto nella produzione primaria quanto in altri settori: l’affermazione di un paradigma di tipo tecnologico crea le premesse per un indebolimento della connessione tra quantità e capacità economica. In un contesto post mercantilistico non vale tanto il possesso ma l’efficienza della gestione delle risorse. Teoria della maledizione delle risorse naturali significato paradossalmente 34 negativo per sistemi ricchi di risorse naturali che in realtà tenderebbero a sviluppare economie dipendenti da quelle stesse risorse senza dedicare attenzione allo sviluppo di settori potenzialmente a maggiore valore aggiunto. Sistemi che diventano target di forze e tensioni internazionali e che hanno maggiore probabilità di essere oggetto di processi di destabilizzazione. L’analisi strutturalista: la posizione, lo spazio assoluto e lo spazio relativo L’analisi geopolitica cambia il metodo collocando il soggetto politico all’interno di un contesto, assumendo un’idea di spazio relativo piuttosto che assoluto e definendo un’idea di posizione. Ogni soggetto politico si colloca all’interno di uno o più scenari. Si considera la struttura nella quale il soggetto si colloca e dalla quale esso ricava un senso o un contesto di valori e di teleologie, quindi un senso di identità. Definizione alla base della teoria strutturalista: il soggetto tende ad assumere un ruolo preciso e determinato da una certa posizione sulla scacchiera a seconda di situazioni e di contingenze e a seconda della posizione che assumono tutti gli altri soggetti nello stesso spazio chiuso. Situazione che diventa il riferimento per qualsiasi azione e per qualsiasi elaborazione. Considerazione che assimila la geopolitica a una sorta di atlante di ruoli e posizioni e associa a certi punti dello scenario certe funzioni. Geopolitica per default Studio di una distribuzione complessiva di potere da intendersi come un gioco a scala globale, con vari soggetti impegnati nella ricerca e nel perseguimento delle strategie migliori per raggiungere qualche risultato di tipo limitato. Insieme discontinuo caratterizzato da linee di frammentazione, ostacoli, barriere naturali, ecc. possibile elaborare una geopolitica naturale, quasi una predestinazione che caratterizzerebbe paesi e soggetti di potere. Discorso analogo per la posizione che non può significare qualche cosa di definitivo ma che muta in relazione a tutte le altre posizioni e tutti gli altri attori, nonché un insieme di elementi di scenario. Prospettiva che lascia intravedere una sorta di geopolitica per difetto o in difetto di altre politiche, da considerare come una sorta di geopolitica spontanea e originaria che ciascun soggetto e ciascuna posizione all’interno di una data scacchiera possiedono a volte senza esserne consapevoli. Questo sembra essere il ruolo attuale della geopolitica: contribuire perché il soggetto di potere possa maturare una migliore conoscenza di se stesso; fare in modo che gli stati possano elaborare e sviluppare consapevolmente la propria azione. (serie di esempi a pag. 593 edizione 2012). Le proiezioni geopolitiche: oltre il limite della materialità Modo di ragionare pratico che si contrappone alla tradizione di stati e città ideali, di immaginazione del territorio perfetto. la politica è anche una questione di segni, immagini, percezioni, sensazioni che significano aspettative razionali e aspetti istintivi. Dimensione in cui la politica e la geopolitica possono svolgere un ruolo essenziale mettendo a disposizione dei decisori degli strumenti di manipolazione delle immagini primordiali che individui e gruppi possiedono ed esprimono in vari modo. Contesto ratzeliano che contraddice un’ideologia della società civile che persegue una strategia opposta di diffusione di consapevolezza. Un’analisi complessiva: la definizione dell’interesse collettivo Dinamiche diverse che a volte delineano scenari di contrapposizione o integrazione, legittimando un nemico o un amico fino a definire un quadro complessivo della condizione territoriale in cui il soggetto si trova. La capacità di comprendere la propria azione geografica significa la possibilità di produrre politiche adeguate sia dal punto di vista interno sia su quello internazionale. Il fattore geografico è il punto di partenza per qualsiasi politica. Prassi che assume le questioni territoriali piuttosto in termini di pianificazione e infrastrutture elaborando teorie della coesione territoriale, della compressione spazio temporale, di attrito del territorio o di morte della distanza, quindi della geografia. Linguaggio che indica la geografia di un paese senza evocare questioni di politica e confini. Carenza di questioni che può essere un’opportunità per il soggetto che dalla consapevolezza di un problema può riavere le motivazioni per costruire nel tempo una posizione di vantaggio. La scheda geopolitica: la definizione della scala caratteristica 35 L’analisi geopolitica assume come punto di partenza una situazione di fatto e la possibilità che da una serie di stravolgimenti possano mutare i significati bisogna distinguere tra piani e momenti dell’azione politica assumendo scale diverse, nel tempo e nello spazio. Procedimento che si propone di definire, come modo preliminare, la scala naturale o caratteristica dei fenomeni che la politica deve o vuole governare. Approccio che assume il territorio come un contenitore a sua volta contenuto in altri a scala via via più ampia. Analisi che considera distintamente e sinergicamente i diversi elementi cercando poi in uno sforzo di sintesi di delineare una geopolitica naturale del soggetto in un quadro di retroazioni e interazioni tra i vari attori. Esempio di scheda geopolitica che assume lo stato di fatto, la geopolitica di default, cioè l’ambito geografico o il range in cui i vari fenomeni tendono a manifestarsi. La scheda geopolitica: la redazione dello scenario L’esercizio della redazione di uno scenario parte dalla semplice osservazione della realtà: metodo che qualifica il mestiere del geografo e che permette di valutare gli elementi nella loro dimensione reale. Fase necessaria, quella dell’osservazione diretta, che consente di elaborare una scala caratteristica del fenomeno che si intende studiare per poi procedere con le fasi successive di rappresentazione della realtà secondo quella stessa scala. Tutti elementi da collocare e classificare come fattori dipendenti o indipendenti, permanenti e contingenti, ecc. fase successiva: ipnotizzazione e ricostruzione della concatenazione tra fattori ed eventi individuati. Lavoro che produce come risultato una carta geografica oppure una sorta di mappa elettronica. Più lo strumento è potente migliori sono le possibilità di rappresentare la realtà ma maggiore è il rischio di distogliersi dal vero target della ricerca. La realtà cambia continuamente facendo invecchiare ben presto scenari e carte geografiche, simulazioni e videogiochi, facendo intravvedere che la sfida di oggi per l’analisi geopolitica è il fatto di disporre di info aggiornate in tempo reale. Il miglior scenario non può che considerare solo poche variabili per restituire una visione parziale della realtà. Fare geopolitica: fare delle simulazioni vane che sono però necessarie. Fare piani perché l’esperienza insegna che immaginare il peggio può essere più realistico di quanto si potesse prevedere. CAPITOLO XXXIX – La geopolitica critica Un cambiamento di paradigma Il revival della geopolitica si colloca in un più vasto movimento di rinnovamento culturale e politico conseguente al 68. Un atteggiamento critico, piuttosto che una teoria, che deriva in parte da una reazione alla retorica delle teorie allora prevalenti che non convincono più, in parte da una genuina aspirazione alla democratizzazione della politica occidentale. Emerge una discrasia tra i piani della politica interna e della politica internazionale tipica dell’età tardo moderna. Si delinea un dilemma per gli stati aperti che devono, dal lato interno, perseguire politiche di democratizzazione e di consenso, dall’altra elaborare un modo per affrontare l’ambiente della politica internazionale nel quale agiscono forze predatorie e aggressive. La teoria idealista cerca di superare tale dilemma idea del dialogo a oltranza e del porgere l’altra guancia. Metodo che si fonda sull’ipotesi che la cultura coincida con un insieme aperto che dovrebbe portare alla graduale esclusione dal contesto della negoziazione di significati di tipo improprio per ridurre il contenzioso ai suoi elementi essenziali. Metodo che dovrebbe portare all’esclusione dalla realtà politica di atteggiamenti di tipo autoritario in una prospettiva di pace. Obiettivo da perseguire con metodo della trasparenza; diplomazia democratica e aperta. Movimento che dopo il crollo del sistema bipolare si diffonde a livello inter e intra nazionale. Evoluzione che sembra contraddire la necessità per i governi di svolgere il proprio ruolo in uno scenario competitivo con una libertà che consenta negoziazioni riservate, ecc. La realtà dimostra come i principi ideali tendono ad esprimersi in modo ambiguo: la democratizzazione in un certo ambito può realizzarsi in contraddizione con la democratizzazione ad altre scale (centro vs periferia). Quadro di contraddizioni che delinea paradossi e antinomie. La geopolitica critica di Y. Lacoste L. elabora un metodo e un paradigma partendo da una serie di constatazioni e di eventi, soprattutto gli effetti dei bombardamenti americani sul Vietnam. Ciò mise in evidenza le contraddizioni caratterizzanti le 36 varie scale della politica per cui stati caratterizzati da una condizione di democrazia interna basata su un ordinamento e su una serie di valori pluralistici, si trovavano ad adottare ad un’altra scala atteggiamenti del tutto incoerenti e basati sulla guerra preventiva e sistematica. Ciò rende necessaria l’elaborazione di un nuovo modello di relazioni che vada oltre le apparenze di una democrazia di facciata rifondando le relazioni tra gli stati sulla base di un’autentica partecipazione popolare alle questioni della politica internazionale. Si porta l’analisi geopolitica a superare le tradizionali dicotomie e i limiti previsti dalla teoria realista. La decostruzione del linguaggio e dell’azione politica Teoria inaccettabile per gli idealisti del pluralismo e del pacifismo, pone dei limiti allo sviluppo della democrazia come modo politico fino a portare alla crisi all’interno degli stessi ordinamenti democratici. Contraddizione da superare elaborando un metodo con cui destrutturare i modi del potere e gli strumenti principali che esso utilizza (retorica, propaganda). Compito del critico: decostruire gli strumenti della politica depurando i discorsi politici da tutto ciò che è finalizzato all’esclusiva giustificazione del potere. Teoria che assume come inevitabile un uso distorto della comunicazione. Processo di decostruzione dei valori e dei principi e delle leggi che le strutture del potere diffondono e che spesso non appaiono. Serie di stereotipi e convinzioni che si accumulano nella realtà sociale e rappresentano un ulteriore aspetto del processo di accumulazione di scorie. La tecnica della decostruzione: la scissione tra segno e significato Si supera la definizione di azione e di linguaggio, basandosi sulla scissione tra gli elementi che costituiscono la base stessa della comunicazione: significanti e significati (fine e mezzo, forma e contenuto), per insiemi di segni ordinati secondo una logica, da sviluppare con l’uso di qualche strumento. Lo stesso segno/gesto/comportamento possono esprimere significati diversi fino a sviluppare una sostanziale interfungibilità tra fatto e senso. Fenomeno che si realizza nel “calco” nelle scienze geopolitiche elemento essenziale per comprendere la formazione di tensioni e conflitti, schieramenti ed evoluzione di scenari. Segni gesti e azioni assumono significati diversi da quelli originari a causa di un effetto di sovrapposizione e trasformazione. Teoria presa in prestito dalla linguistica che in scienza politica trova una vasta applicazione: un gap tra forma e contenuto che offre l’occasione per interpretazioni di tutti i tipi, e che significa continue occasioni di manipolazione. fenomeno che la teoria critica si propone di decostruire per rendere chiaro il complesso dei significati e per perseguire il ritorno alla purezza originaria del significante. Togliere le incrostazioni prodotte dall’uso manipolato della dialettica sociale da parte della politica. (Che coglioni sta parte, Madonna). L’assunto del carattere intrinsecamente negativo del potere Principio che si basa sull’ovvia distinzione e contrapposizione tra materialità e astrazione, tra segno e senso: ciascun individuo possiede la capacità di produrre immagini e quindi di attribuire significati a qualsiasi cosa, che significa anche la possibilità di un effetto di retroazione rispetto a chi usa lo stesso strumento di comunicazione. Fenomeno più evidente man mano che i gruppi elaborano forme di vita sociale più ampie e la comunicazione diventa qualche cosa di socialmente più complesso. La decostruzione mette in evidenza scenari di potere e manipolazione. qualsiasi discorso significa una possibilità di manipolazione. Nessun segno e nessun linguaggio possono essere considerati perfettamente neutrali rispetto a un contesto. Fenomeno particolarmente evidente per le funzioni del potere. Ruolo della scienza e della metodologia: evidenziare le cause dei fenomeni per ridurre il margine di manipolabilità che può, in ogni momento, dare origine a pericolose escalation. Ci si propone di smascherare le architetture invisibili, le funzioni latenti e le regole indotte dalle strutture. Un contro manuale di geopolitica Nello scenario della politica ciò significa la possibilità per una serie di deformazioni. Si parte dall’autopercezione di se stessi, da un gioco soggetto oggetto, dalla capacità del soggetto di immedesimarsi nell’altro e dialogare con il mondo circostante. Capacità di individuare un target, stringere un’alleanza ecc— costruire e decostruire un nemico. Modi di rappresentare la realtà che la nuova scienza geopolitica deve interpretare con l’obiettivo di creare le premesse per un’autentica democratizzazione delle società e dello 37 scenario internazionale. Scienza che, dunque, deve elaborare un metodo per perseguire il capovolgimento sistematico di schemi e punti di vista. contro manuale ed esercizi di decostruzione che adottano criteri di tipo semiologico o logico strutturali. Metodo critico per definizione e che consiste in una simulazione con un cambio di ordine di fattori tra segni e simboli, tra contenuto e contenitore, per cambiare punto di vista, senso delle frasi.. (prendetevi un caffè, lo sento. State sbadigliando). Metodo che si articola in due filoni che comprendono la decostruzione di scenari e la decostruzione di linguaggi. I livelli della teoria critica: la pop geopolitic Modo di analisi che supera le distinzioni tipiche per la modernità, tra top down e bottom up, tra istituzioni e iniziativa dal basso, tra interno ed esterno, tra valori di lungo periodo e libertà tattica per cui un governo tenderebbe a ritenersi in definitiva legittimato ad agire senza vincoli. Ciò in nome di un principio di partecipazione popolare come forma di controllo. Scenario che diventerebbe più complesso distinguere tra diversi modi di fare e diffondere geopolitica nei vari livelli e ambienti. livello di geopolitica popolare, cioè un conglomerato di informazioni e di comunicazioni, effetti visivi e sonori, media ecc che si diffondono e si stratificano in stereotipi producendo predisposizioni positive e negative. Conglomerato che si evolve sia per regole random sia per tendenze indotte dalle consuete tecniche della comunicazione. Base difficile da controllare ma che i vari attori del potere cercano di manipolare per ottenere qualche forma di consenso. La divulgazione e la geopolitica spettacolo Geopolitica che persegue la massimizzazione della diffusione che diventa una vera e propria cultura popolare, adattandosi a modi e rituali della comunicazione mediatica, inducendo varie forme di geopolitica di tipo giornalistico e divulgativo che inducono di per sé a modi di estremizzazione e di spettacolarizzazione della conoscenza geografica. Circuito che si alimenta di riviste, star della geopolitica (???) ecc. Cfr Limes, Internazionale, Le Monde Diplomatique, ecc. universo di voci, immagini e suoni che diffondono conoscenza geografica ma anche semplificazioni. Sebbene la popular geopolitic dimostri un’attitudine alla semplificazione è difficile immaginare nuove forme di degenerazione in termini di Geopolitik - si tratta di un conglomerato incontrollabile di flussi e immagini. Produzione di nuove forme di cultura geografica che inducono a forme di sensazionalismo. Forme di conoscenza utili per coinvolgere popolazioni e società, per far uscire la dottrina geopolitica dai circuiti spesso autoreferenziali, delle università e della accademie. La geopolitica istituzionale ed il soft power Cultura che si sviluppa sotto il livello della geopolitica istituzionale o formale, cioè la geopolitica vera e propria, quasi un residuo della politica novecentesca elaborata da cancellerie e poteri esecutivi e oggi spesso meno efficace di quanto si possa credere. conventional geopolitic che deve elaborare nuovi metodi per agire in un nuovo contesto di globalizzazione ed erosione delle funzioni statali deve sviluppare le funzioni delle relazioni internazionali e sviluppare un metodo per connettere la politica internazionale a quella interna. Geopolitica che tende a diventare soft e a fare uso di strumenti e risorse non deliberatamente finalizzate all’uso della forza. Ciascuna epoca ha la sua geopolitica caratteristica, con un’evoluzione che apre continuamente a nuove frontiere e a nuove definizioni. La critica alle categorie geografiche della modernità Una teoria che si afferma in parte come modo di comunicazione di massa in parte come proposta scientifica e in parte ancora come movimento politico e corrente di opinione. Capovolgimento della prospettiva e dei punti di vista della narrazione politica. Teoria post strutturalista che collega la critica alla modernità in occidente alla teoria dello sviluppo nel terzo mondo. Critica all’economia del consumismo e critica neomarxiana alla dipendenza che i paesi poveri sviluppano dall’industria occidentale. Complessivo movimento di ribellione verso i centri e i grattacieli del capitalismo. Teoria che in occidente mantiene un ruoo di coscienza critica senza indurre a rivoluzioni vere e proprie. Al massimo recupero di tradizioni, di locale, di umanità e ritorno alle ragioni del popolo. redazione di un atlante di geopolitica critica che possa rappresentare un sapere condiviso e non deviato da personalità e soggettivismi e che persegue lo sviluppo di relazioni non violente in uno stravolgimento geografico tra sfruttati e sfruttatori. 38 La geopolitica critica: i limiti Teoria che produce effetti concreti sulla prassi politica ma si sviluppa in uno schema di assunzioni troppo rigide che ben presto subisce lo stesso effetto di deriva retorica che originariamente si proponeva di combattere. Una teoria che assume premesse che si rivelano nel tempo essere discutibile, teoria che perseguendo un ideale finisce per subire essa stessa un processo di ideologizzazione. il rischio della manipolazione è da ritenersi normale e intrinseco al fatto stesso di comunicare. Così anche per il potere che è comunque corruttibile ma non può rappresentare il male per definizione: è una delle tante dimensioni dell’azione umana ed è soggetto al rischio continuo dell’errore e della manipolazione. Geopolitica critica che va alla deriva in un qualcosa di autoreferenziale; teorie del complotto e della demonizzazione.. Una prospettiva antideterministica Le nuove prospettive della teoria idealista si basano piuttosto che sulla critica sistemica e aprioristica del potere, sull’elaborazione di un progetto, sulla proposta e sull’immaginazione di un obiettivo che si ispira inevitabilmente alle geografie dell’utopia che caratterizzano il pensiero politico dai primordi. rifiuto di qualsiasi determinismo + teoria della continuità strutturale tra dimensioni del materiale e del culturale. Proposta di una politica basata sulla volontà del soggetto. Manifestazione di fiducia nelle capacità umane di immaginare e di perseguire un obiettivo, superare i limiti e i problemi imposti dalla contingenza e dalla materialità. Approccio che in epoca attuale si concentra essenzialmente sulle tensioni indotte dalla globalizzazione, ecc. approccio che assume forme diverse e che nei suoi caratteri essenziali si concentra non sulla rappresentazione cartografica, ma sulle modalità del funzionamento sociale, che porterebbero a una graduale eliminazione delle sovrastrutture dell’autorità e del potere. definizione di un complesso di nuovi soggetti politici capaci di eliminare dalla scena le pulsioni autoritarie proprie delle istituzioni sovrane nonché eliminare il rischio della guerra. È possibile una geopolitica idealistica? Affermazione della globalizzazione contraddizione rispetto a un’idea consolidata di geografia politica. nuova dottrina finalizzata all’analisi delle opportunità che la condizione territoriale presenta (geopolitica di default) quindi il ridimensionamento a una forma di geografia delle risorse. In uno scenario senza confini come quello odierno le basi della geopolitica organicistica perdono senso. Si configura uno scenario favorevole all’affermazione di forme di economia de territorializzata con forme politiche basate sull’apertura e sulla diffusione. Ambiente in cui i vari attori tendono ad agire come in una casa di vetro dove un universo di ONG attribuisce in continuazione pagelle (pensavate di esservi liberati di Fossati...) Elaborazione di una geopolitica idealista che persegue per definizione la massima diffusione di consapevolezza che la storia sembrava aver relegato al repertorio delle utopie e che invece mai come oggi sembra realizzarsi. Il rischio di nuove chiusure: verso un nuovo culturalismo La globalizzazione prospetta un’apertura rivoluzionaria ma genera anche, per reazione, i presupposti per il suo contrario cioè una nuova chiusura. Serie di interpretazioni revisionistiche sul ruolo degli imperi moderni e sul colonialismo (Ferguson) e sulla classificazione delle culture (Huntington) studi che recuperano una concezione deterministica di tipo ottocentesco per interpretare cicli di sviluppo per stati e popolazioni fino a teorizzare una nuova geopolitica di clash tra culture classificate e costrette in categorie definitive. Reazione culturalista che sembra prospettare un’involuzione che rischia di riportare a una condizione di provincialismo modo per mascherare inefficienze locali o semplice paura dell’altrove derivata dall’incapacità di affrontare o comprendere la realtà circostante. 39