Pubblicato a Firenze nella collana Epistolari
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Pubblicato a Firenze nella collana Epistolari
15 Gazzetta del Sud DOMENICA 30 LUGLIO 2006 PAGINATRÉ Scelto il tema del Festival della filosofia a Modena Il bilancio della “tre giorni” dell’Università di Messina e della Fondazione Bonino Pulejo sulla fisica statistica L’umanità al centro L’oscuro ordine all’origine del caos del pensiero moderno Proteine, polimeri, vetri e colloidi possono avere una descrizione comune Lea Antonucci U manità sarà il tema della sesta edizione del Festival Filosofia, che si terrà a Modena, Carpi e Sassuolo da venerdì 15 a domenica 17 settembre. Lezioni magistrali, mostre, spettacoli, film, mercatini e appuntamenti per bambini verranno dunque dedicati alla natura dell’uomo, al rapporto fra l’uomo e gli altri esseri viventi, e a una nuova e più problematica frontiera, quella fra uomo “naturale” e uomo “artificiale”: per questo accanto ai filosofi e agli studiosi compariranno anche le mitiche sirene e l’amatissimo E.T., con il suo “papà” Carlo Rambaldi, mago degli effetti speciali. Il Festival Filosofia (che lo scorso anno ha registrato oltre 100mila presenze) è promosso dai tre Comuni, dalla Provincia di Modena, dalla Regione Emilia Romagna, dalla Fondazione San Carlo, che cura anche l’organizzazione: il programma è stato presentato ufficialmente nella mattina. Nelle scorse edizioni si è parlato di felicità, bellezza, vita, mondo e sensi, e quest’anno il festival affronta il ruolo che l’uomo ha nel mondo che lo circonda, e anche del legame con altre forme di vita e altre possibili culture. Un tema di grande attualità che sarà oggetto di approfondite analisi strutturali e semantiche d’ontologica matrice. Fra gli ospiti annunciati nelle tre giornate e nelle tre città, figurano alcuni dei grandi maestri del pensiero contemporaneo, per esempio, Philippe Descola, allievo di Claude Levi-Strauss e suo successore alla cattedra di Antropologia della natura al College de France di Parigi, o Marshall Sahlins, fra i maggiori antropologi del mondo, il filosofo Tzvetan Todorov, che rifletterà sul destino dell’umanesimo occidentale a partire dalla Shoah, e il filosofo della politica Etienne Balibar. Fra le lezioni e le conversazioni in programma, anche quelle di padre Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, del giurista Stefano Rodotà, dei filosofi Remo Bodei, supervisore scientifico del festival, Ermanno Bencivenga, Giacomo Marramao, Umberto Curi, Salvatore Veca, Emanuele Severino, Roberto Esposito, Christof Wulf, Salvatore Natoli, Roberta De Monticelli, Bernard Stiegler, direttore del Dipartimento di progettazione culturale del Centre Pompidou di Parigi, o dei genetisti Luigi Luca Cavalli Sforza ed Edoardo Boncinelli. Come sempre, il Festival Filosofia declinerà il tema con un approccio multiforme, che abbraccia l’arte, la letteratura, la musica. Fra le mostre, a Carpi, nel campo di concentramento di Fossoli e il Museo al deportato, un’esposizione dedicata al «corpo delle vittime» documenterà l’uso che mass media e pubblicità fanno della sofferenza umana. Non mancheranno anche iniziative bizzarre. Molti appuntamenti, per esempio, saranno dedicati alle sirene, singolari figure della mitologia, con volto di donne e corpo di pesce: tra le collezioni dei Musei Civici è conservato un curioso reperto ottocentesco, uno scheletro di sirena, simile a quelli che venivano esposti nei circhi per suscitare meraviglia. Si parlerà anche dei supereroi dei fumetti, e inoltre a Carpi una mostra di opere grafiche di Mimmo Paladino racconterà le metamorfosi di Pinocchio, mentre a Sassuolo il premio Oscar Carlo Rambaldi verrà a parlare della sua creatura più celebre, E.T., accompagnandone un modello originale. A cura della Galleria Civica, la Palazzina dei Giardini ospiterà la prima personale italiana dell’artista giapponese Yayoi Kusama, famosa per i suoi lavori con sfere, reticoli e specchi, mentre al Palazzo Santa Margherita sarà ospitata la mostra «Giorni felici» dell’artista svizzero Ugo Rondinone. Una rassegna di film sarà poi dedicata ai «Ragazzi selvaggi», i bambini cresciuti in luoghi non contaminati dalla civiltà, per riflettere sul rapporto fra natura e cultura. Anche quest’anno, poi, Tullio Gregory, accademico dei Lincei e gourmet, ha ideato otto menù filosofici ispirati al tema del festival, che saranno proposti nei ristoranti modenesi durante la rassegna: i menù ripercorrono il cammino dell’umanità, dalla civiltà stanziale (tutto vegetariano) alla civiltà della caccia, fino alla «festa assa» e alla «festa elixa», dal nome delle due cotture fondamentali della tradizione classica e medievale. Gli organizzatori stanno poi progettando una nuova edizione del «Tiratardi», una sorta di notte bianca modenese, che dovrebbe tenersi appunto nella notte fra il 16 e 17 settembre, coinvolgendo in particolare il centro storico. Il programma completo verrà pubblicato sul sito www.festivafilosofia.it, per informazioni, sarà attivo il numero 059421210. ze cognitive e quelle sociali». Il prof. Gembillo, organizzatore del convegno, ha sottolineato che per rapportarci al mondo che ci circonda è necessario rispettarne la struttura storica e complessa che lo caratterizza. Ciò implica l’abbandono di un atteggiamento riduzionistico assieme all’utilizzo di una visione pluralista e di un approccio “poli-logico” (con più logiche che si articolano in poli opposti delle strutture dissipative (in base a cui l’interazioopo tre intense ne di un organismo con giornate di lavori, l’esterno è il risultato di aperte dalla relaun progetto), su quella sizione del grande filosofo nergetica (poiché tali rapdella scienza Edgar Moporti si manifestano anrin, si è concluso il conche a livello della cosidvegno su “Caos e comdetta materia inerte, caplessità”, svoltosi ratterizzata da un’attività nell’aula magna sinergetica e sincronica), dell’Università. Dall’insimbiotica (basata sulla contro, promosso cooperazione tra specie dall’Ateneo peloritano, diverse) e dell’anello tein collaborazione con la tralogico (di ispirazione Fondazione Bonino-Pumoriniana, per cui l’amlejo, la Società filosofica biente è una realtà orgaitaliana e il Cennizzatrice che portro studi di Filosota in sé sia l’ordine fia della complesche il disordine). sità “Edgar MoHanno anche rerin”, sono emersi lazionato, tra gli interessanti spunaltri, i professori ti di riflessione su Attilio Agodi (Uniun tema che sta versità di Catania) appassionando gli su “Caso e comaddetti ai lavori. plessità: dal qualiGià da alcuni anni tativo al calcolabitra l’università le”; Enrico Gianpeloritana e la netto (Università Fondazione Bonidi Bergamo) su no-Pulejo si è in“Poincaré e la fatti sviluppata in complessità”; Giuquesto campo una seppe Giordano, proficua partnerdell’ Università di ship, che spazia Messina (“La semdalla fisica statiplicità della comstica all’econofisiplessità”); la ca, dalla termodidott.ssa Annamanamica “non liria Anselmo (Unineare” alla coversità di Messismologia, ai sistena) su “La via mi biologici, per scientifica alla finire alla filosocomplessità”; Mafia della scienza. rio Quaranta (PaRicordiamo che dova) su “Edgar Studi a Messina sul “fractal” figura di scala ripetutamente ridotta agli eventi orgaMorin dall’epistenizzati in questa mologia alla filosospecifica area della ricer- dell’ “universalità”, ri- complementari ma inte- fia della natura”; i profesca hanno finora parteci- scontrabile nello studio ragenti) alla complessità. sori Sergio Manghi, pato diversi Premi No- delle transizioni criti- «La logica – ha detto l’ora- dell’Università di Parma bel, come Ilya Prigogine, che». Prendendo in consi- tore – è nata come capaci- (“L’ipercomplessità del Bertran Brockhouse, derazione i processi di tà di deduzione coerente e soggetto umano”); Oscar Gilles de Gennes, Brian turbolenza nella formula- perfetta, ma poi si è tra- Nicolaus (Cnr e Istituto Josephson e numerosi il- zione di Kolmovorov, sformata in ontologia. universitario “Suor Orsolustri scienziati, tra i Mallamace ha parlato del- Con l’avvento della ter- la Benincasa” di Napoli) quali i “Premi Bol- le similitudini tra questi modinamica essa è diven- su “Caos e complessità tzmann” Gene Stanley, sistemi, tipici del passag- tata storica e circolare. nelle relazioni umane”; rendere conto Gianluca Bocchi (UniverKyozi Kawasaky e gio al caos, e la struttura Per Sow-Hsi Chen, e una del- della materia.Il relatore dell’azione reciproca e sità di Bergamo) su “La le massime autorità eu- ha anche affermato che dell’organizzazione tem- sfida della complessità ropee nel campo dei si- questo tipo di fisica, svi- porale degli elementi so- vent’anni dopo”; ed Ernestemi termodinamici in- luppatasi negli ultimi 50 no nate “altre logiche”, ad sto Paolozzi, dell’Istituto stabili, il professor Wol- anni, si propone di contri- esempio quella della re- universitario “Suor Orsofgang MuschikTra gli in- buire a spiegare fenomeni troazione, in seguito allo la Benincasa” di Napoli, terventi al meeting su appartenenti ad altre aree sviluppo della ciberneti- (“La complessità della pocaos e complessità, van- di ricerca, tra cui la biolo- ca». Gembillo si è anche litica, la politica della no segnalati, tra gli altri, gia, la medicina, le scien- soffermato sulla logica complessità”). Riccardo D’Andrea D quelli dei professori Francesco Mallamace e Giuseppe Gembillo (entrambi dell’Università di Messina). Il primo ha mostrato come un ampio spettro di sistemi fisici, quali proteine, polimeri, vetri e colloidi possano avere una descrizione comune ed unica. «Queste argomentazioni - ha aggiunto Mallamace - poggiano sui pilastri concettuali delle “leggi di scala”, tipiche della geometria frattale, e Pubblicato a Firenze nella collana Epistolari Emerge il codice dell’amicizia nel carteggio Pizzuto-Betocchi Irene Gherardotti E sce in questi giorni un nuovo testo che aiuterà a comprendere meglio la figura di Antonio Pizzuto. È l’edizione critica delle lettere scambiate tra lui e il poeta Carlo Betocchi dal 1961 al 1971. Il volume (pp. 132, euro 15,00), a cura di Teresa Spignoli, non poteva trovare miglior collocazione che nella collana «Il Diaspro. Epistolari», diretta da Saverio Orlando per le fiorentine edizioni Polistampa, inaugurata nel 1992 dal carteggio tra Vasco Pratolini e Alessandro Parronchi e già attraversata dalle relazioni epistolari che Pizzuto mantenne con Giovanni Nencioni, Margaret Contini e Gianfranco Contini (in preparazione, a cura di Antonio Pane, anche l’epistolario Pizzuto-Mondadori). Con Signorina Rosina l’editore fiorentino ha intanto concluso la prima fase del progetto che si proponeva, secondo l’auspicio di Gianfranco Contini, di restituire al comune commercio l’opera di Antonio Pizzuto, il narratore più originale del nostro Novecento. Il «Progetto Pizzuto» si è aperto nel 1998 con il recupero di un importante romanzo inedito, Così, e ha permesso di riproporre alcune tre le sue più rilevanti prose: Ravenna (2002), Sul ponte di Avignone (2004). E all’opera di Pizzuto si sono aggiunte poi le monografie critiche di Antonio Pane (Il leggibile Pizzuto, 1999) e Gualberto Alvino (Chi ha paura di Antonio Pizzuto?, 2000). L’opera che ci viene oggi proposta (Betocchi/Pizzuto, Lettere (1966-1971), Polistampa, «Diaspro/Epistolari» 9) è innanzitutto il documento di una vicenda editoriale: la pubblicazione su «L’Approdo Letterario» di alcune pagine del questore palermitano che onorava i suoi anni estremi vergando le prose formalmente più temerarie del nostro Novecento. Le 65 missive raccolte e accuratamente chiosate da Teresa Spignoli inquadrano una svolta cruciale della biografia artistica di Pizzuto: il preannuncio e la definitiva affermazione di quella «sintassi nominale» che renderà pressoché illeggibile una scrittura già conosciuta come «difficile» e di cui l’epistolario restituisce preziose istantanee. Ma accanto ai segni di questo travaglio creativo fuori dal comune, questa «corrispondenza di servizio» conserva altre postille che rendono la lettura estremamente godibile. Betocchi si mostra ancora quale apparve a Giovanni Raboni: «un artigiano toscano, un intagliatore di cornici, un orafo, un ebanista». Pizzuto svela un volto quantomai cordiale, un talento comunicativo capace di condurre il minimo evento quotidiano, il semplice aneddoto nello spazio felice del racconto. Illustrata da numerose foto e riproduzioni di alcuni manoscritti originali, l’edizione è completata da regesto e indici dei nomi e delle opere di Pizzuto. Torna la pace fra due paesi Il transito del poeta siciliano: dalla visione astratta delle prime composizioni alla raffigurazione concreta del tabulato realistico in guerra per un po’ di legna dai tempi del Barbarossa Il tormentato viaggio di Cattafi all’interno della parola Q uasi mille anni fa combatterono uniti contro l’esercito imperiale di Federico Barbarossa, ma da allora, dalla famosa battaglia di Carcano che il 9 agosto 1160 decretò la prima sconfitta dello Svevo, si son dati battaglia per qualche quintale di legna gratis. Ora la contesa per il diritto al legnatico tra gli abitanti di Orsenigo e di Parzano, che fino alla metà del 1700 erano due comuni distinti del Comasco, è finita. Il sindaco di Orsenigo, Licia Viganò, ha deciso di modificare il regolamento per consentire anche agli abitanti di Parzano, oggi frazione di Orsenigo, di entrare nella brughiera armati di asce e seghe e portarsi a casa i ceppi per il camino. La leggenda racconta che, dai tempi della battaglia di Carcano, i milanesi offrirono agli abitanti della parrocchia di San Martino di Orsenigo il diritto ad avere la legna gratis come segno di riconoscenza per l’aiuto dato alla Lega dei Comuni Lombardi contro Federico Barbarossa. Dal 1985 quel diritto è stato codificato: ogni cittadino maschio che avesse tra i 14 e i 59 anni e che da almeno 10 anni abitasse nella parrocchia di San Martino di Orsenigo aveva diritto a parte del legname della brughiera. Fin dai tempi della battaglia di Carcano i cittadini della vicinissima Parzano, che sta a solo un chilometro dalla parrocchia di San Martino, si sono visti esclusi dal privilegio. Un motivo che ha alimentato nei secoli le ostilità di campanile. (s.v.) Carmelo Aliberti B Un’intensa immagine di Bartolo Cattafi artolo Cattafi pubblica nel 1958 «Le mosche del meriggio» (Mondadori, Milano - 1958) in cui confluiscono «Nel centro della mano» e «Partenza da Greenwich», mentre in Italia imperversano tendenze neorealistiche, ma il poeta non si lascia condizionare dagli spazi dei paradigmi ideologici sottesi al movimento del Neorealismo veso cui mantiene un «aristocratico» distacco. Il suo iniziale nomadismo, che lo aveva spinto a risolvere le movenze claunesche in presenze concrete nel canto, si va progressivamente attenuando, fino a ridurre la presenza-assenza della vocazione poetica da una posizione di protagonismo nella dialettica convivenza di scansioni sceniche e di articolazioni ritmiche più dense nell’aggravio epifanico dei concetti e poi alleggerite nella diluizione delle immagini e delle notazioni, dove il climax verticalizzante dell’aggettiva- zione, applicato agli elementi della natura, risulta esteso alla realtà astratta delle prime composizioni, trasformando la centralità delle scene verso la raffigurazione concreta ed esterna del tabulato realistico interno della desolazione. L’evoluzione linguistico-strutturale evidenzia come Cattafi abbia operato progressivamente un viaggio all’interno della parola, corrispondente all’abbandono della mediterraneità iniziale, che lo ha indotto alla rinuncia della sovrabbondanza nominale e alle accensioni liriche accentuate, per far filtrare, dagli spazi invisibili della creatività le rasoiate razionali e una rassegna di dati e di colori con cui l’analisi frantuma il guscio della realtà e la cifra simbolica, sempre più incalzante, si tramuta in folgorante proiezione dell’anima verso scenari metafisici, quasi nel tentativo di enuclearne la più autentica interna identità. Il poeta ripudia la bulinatura delle sovrastrutture elencatorie per far ricorso all’utilizzazione degli occhiali, al fine di penetrare più in profondità nell’alveo della consumazione della fame della conoscenza e scoprire le radici della disgregazione gnoseologica, per scandirne le ambigue dissolvenze con lucidità di indagine che prefigura l’ansioso inseguimento dell’Assoluto all’interno dell’intreccio della negazione «Copie/svenate di copie/stinte sinergie dei muri/stanco mondo protrattosi/di figura in figura/ mendicando una bava/di terra di Siena, di prussica/al fantasma di turno/che più gli conviene. L’elencazione degli oggetti ornati, nel dipanarsi dalle varie raccolte, la rassegna dei luoghi, i colori vibranti, le svirgolature ironiche, le visioni surreali risultano trascritti in un registro consistente di ingredienti e di schegge destinate a tramutarsi in implosioni razionali di assiomi, siglati da sfumature analogiche, in cui le vibrazioni degli oggetti rimbalzano in altre figure di contesti dissacrati, attraverso cui traspare la migrazione di significato dall’elemento minimale a quello attributivo, sintesi di una traiettoria di viaggio dalla fisicità all’enigma. I versi si avviano sui fragili sentieri metafisici dove cosmiche paure e vuoti siderali suscitano trasalimenti razionali senza produrre formali copioni visionari, dove lo sventagliare lancinante delle immagini, divenute scarne ed essenziali non si traduce in distorta misura dell’esistenza ma in ribaltamento visibile di segmenti illuminanti dell’attesa dell’attimo fatale, in cui l’occhio della ragione possa ritagliare con precisione la dimensione e le connotazioni dei riflessi dell’oggetto metafisico. Allora lo scontro rabbioso tra il corporeo quotidiano si scontra con gli ineludibili ri- Gli atti di un processo, coinvolti i Ruffo della Scaletta, illustrano grandezza e splendori del nobile casato messinese La “Stanza delle meraviglie” alla Palizzata dello Stretto Nino Zanclea I l contributo della storica Maria Concetta Calabrese recentemente uscito su un numero monografico della rivista «Archivio storico per la Sicilia Orientale» che ha per oggetto il patrimonio del principe Antonio Ruffo della Scaletta, famoso collezionista messinese del secolo XVII, offre agli studiosi un’importante tessera per completare il grande mosaico dell’importante storia della città dello Stretto. Dopo il ritrovamento e la pubblicazione da parte della storica dell’arte, Rosanna De Gennaro, presso l’Archivio di Stato di Napoli dell’inventario dove il principe annotava tutti gli oggetti (argenteria, gioielli, dipinti, etc.) da lui acquistati e custoditi nella splendida dimora, sulla palizzata, una vera Wunder kammer, questi altri documenti conservati nell’Archivio di Stato di Palermo e pubblicati dalla Calabrese completano e arricchiscono lo studio del grande mecenate e della sua «corte». Si tratta degli atti di un processo celebrato per dirimere una controversia tra Anna Ruffo, figlia di Antonio e Placido, suo fratello ed erede della famiglia, sorta per contese ereditarie. Furono chiamati a testimoniare (a cominciare dal novembre 1688) pittori, argentieri, orafi, ingegneri, e altri artigiani che avevano lavorato per il principe della Scaletta. Tra i nomi dei testimoni ci sono gli orafi Antonino Campagna, Domenico Terzo, l’argentiere Giuseppe Sgroi (allievo di Innocenzo Mangani, artista di fiducia di Antonio Ruffo), Camillo Laganà che «in tempo della vita del detto illustre quondam don Antonio sempre lo servì di sellaro, carrozziero, seu guarnimentero, seggiaro», Antonino Bonafide, il celebre argentiere Pietro Juvarra, che detiene la carica di console dell’arte degli argentieri nel momento in cui depone (26 febbraio 1689) Sebastiano Juvarra, figlio del precedente, il veneziano Giovanni Mirabella «tessitore di drappi di seta», il collega palermitano Paolo Sottano, il «costoriero» Giuseppe Cutugno, gli esperti di stoffe e mobili Francesco Caracciolo, Antonio Mosca, Tommaso Lo Cascio, che «ha fatto e fa lo raccamadore e ha faticato in fabbricare tutti li suddetti mobili.. si come li lavorò esemplando, et imitando lavori, fiori, frutti, uccelli, e altri quali furono depinti da Agostino Scilla, e da un tale d’Abramo Fiamengo con il pensiero, e disegno per le foglie, e rabeschi d’Innocenzo Mangano fiorentino e argentiero famosissimo, l’altro ricamatore Giuseppe Cannizzaro». Francesco Maisano elenca le cornici, gli scrittoi, altri oggetti; l’orefice Paolo Pellicano, lavorante nel laboratorio di oreficeria di Giuseppe Di Giovanni racconta come Antonio Ruffo fosse solito prestare al Di Giovanni alcuni dei suoi splendidi gioielli in occasione della festa della Madonna della Lettera quando i nego- zi della città erano meravigliosamente addobbati. Altri orafi testimoniano della splendida collezione di gioielli del principe, per esempio Filippo Cannavò che ricorda come per Antonio Ruffo lavorassero anche i gioiellieri Domenico Terzo, Antonino Campagna (entrambi testimoni), Giuseppe Campagna, Michele Rizzo, Giuseppe Di Giovanni che era il preferito dal principe. Non potevano mancare le testimonianze sulla splendida galleria di dipinti e infatti intervengono Placido Vito, Michele Milano, Mercurio Romeo, che Vincenzo Ruffo (La Galleria Ruffo di Messina nel secolo XVII, Roma 1979) scrive essere allievi di Agostino Scilla di cui il principe Antonio era patrono e mecenate. Tra le testimonianze ancora quelle di Antonino Di Luna, Antonino Maffei e Raffaele Margarita che stimarono, descrissero e valutarono il palazzo per la somma allora astronomica di 16.800/17.000 onze. Seguono altre testimonianze. Al di là degli interessi degli specialisti che vi potranno trovare notizie utili alle varie discipline di cui si occupano, gli atti del processo sono un interessantissimo affresco della vita della famiglia Ruffo che viveva nel palazzo come in una vera e propria «corte» dove si coniugavano lusso, raffinatezza, cultura e buone maniere, si discuteva di arte, musica, letteratura, scienza. Tutto ciò dimostra come le élite siciliane facessero parte a pieno titolo dell’aristocrazia europea con cui condividevano un codice di comportamento e un modus vivendi comune. Gli aristocratici siciliani avevano legami internazionali e l’Isola era crocevia di uomini, merci, prodotti, cultura richiesta e consumata. I risultati delle ricerche più avvertite dovrebbero ormai definitivamente sfatare lo stereotipo della Sicilia immobile, separata, espressione di arretratezza e dare il via a una nuova stagione di progettualità in Europa. Nero Ciano Magenta Giallo - NB: La Palizzata di Messina prima del terremoto NB: Zona Nazionale chiami del mistero celeste, simboleggiato tra «i lupi questuanti» e «la gabbia», oscillanti tra istanza di consapevolezza e l’amarezza del rifiuto, incombente sulla resistenza dell’inattingibilità del mistero: «Ecco il problema la rabbia ululante/marcata in fronte/la bava alla bocca/vorrebbero tutti entrare/in un’unica gabbia/i lupi questuanti»... «Oh loro si che possono/raffinare i lingotti/ridurli a un lieve stato puro di natura/ombre macchie presenza rifulgenti/scintille incancellabili negli occhi/“Lupi”». La parola, che ancora in «Chiromanzia d’inverno» annaspava ancora nella vana perforazione dei frammenti realistici e osservava con non artefatta innocenza i rottami della ricognizione investigativa dove il sentimento della morte e il frastuono della poesia erravano per la «foresta sbiadita», in «L’allodola ottobrina», la terrestrità viene riesplorata nel recupero delle «cose», che ridiventano occasione di canto estremo, restituendo alla parola la facoltà di riattivare segrete energie assopite. Le roventi tensioni metafisiche riaccese in un ermetico organismo semantico si proiettano in traiettorie arcane, costantemente inseguite dal poeta con visionaria disperazione intrisa di indistinti filtri di ironia, filigranati di sottile sarcasmo di fronte alla disfatta dell’esplorazione ultrafanica. «Vengano le targhe frantumate/i puzzle i rompicapi/le parole profonde/cicatrici sul petto/ciò che non corrisponde». Le parole si caricano di simboli mentre il poeta è dietro «il muro di nebbia», da dove è assalito dal dubbio. Lui torna a gestire il significato delle sillabe e al rapporto di sofferenza, vita e morte con le cose, in un interrotto esercizio di metamorfica alchimia per imprimere una sorta di cosciente misura dei limiti umani. Allora il verso ritaglia fotogrammi e ritratti, immagini senza dispersione musicale, la rima avanza implacabile con assonanze, iperbati e climax in cui la voce senza tremori penetra nella poltiglia del mistero.