Pubblicato a Firenze nella collana Epistolari

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Pubblicato a Firenze nella collana Epistolari
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Gazzetta del Sud
DOMENICA 30 LUGLIO 2006
PAGINATRÉ
Scelto il tema del Festival della filosofia a Modena Il bilancio della “tre giorni” dell’Università di Messina e della Fondazione Bonino Pulejo sulla fisica statistica
L’umanità al centro L’oscuro ordine all’origine del caos
del pensiero moderno Proteine, polimeri, vetri e colloidi possono avere una descrizione comune
Lea Antonucci
U
manità sarà il tema della sesta edizione del Festival Filosofia, che si terrà a Modena, Carpi e Sassuolo da venerdì 15 a
domenica 17 settembre. Lezioni
magistrali, mostre, spettacoli, film,
mercatini e appuntamenti per bambini verranno dunque dedicati alla
natura dell’uomo, al rapporto fra
l’uomo e gli altri esseri viventi, e a
una nuova e più problematica frontiera, quella fra uomo “naturale” e
uomo “artificiale”: per questo accanto ai filosofi e agli studiosi compariranno anche le mitiche sirene
e l’amatissimo E.T., con il suo “papà” Carlo Rambaldi, mago degli effetti speciali.
Il Festival Filosofia (che lo scorso
anno ha registrato oltre 100mila presenze) è promosso dai tre Comuni,
dalla Provincia di Modena, dalla Regione Emilia Romagna, dalla Fondazione San Carlo, che cura anche l’organizzazione: il programma è stato
presentato ufficialmente nella mattina.
Nelle scorse edizioni si è parlato di
felicità, bellezza, vita, mondo e sensi,
e quest’anno il festival affronta il
ruolo che l’uomo ha nel mondo che lo
circonda, e anche del legame con altre forme di vita e altre possibili culture. Un tema di grande attualità che
sarà oggetto di approfondite analisi
strutturali e semantiche d’ontologica matrice.
Fra gli ospiti annunciati nelle tre
giornate e nelle tre città, figurano alcuni dei grandi maestri del pensiero
contemporaneo, per esempio, Philippe Descola, allievo di Claude Levi-Strauss e suo successore alla cattedra di Antropologia della natura al
College de France di Parigi, o Marshall Sahlins, fra i maggiori antropologi del mondo, il filosofo Tzvetan Todorov, che rifletterà sul destino
dell’umanesimo occidentale a partire dalla Shoah, e il filosofo della politica Etienne Balibar. Fra le lezioni
e le conversazioni in programma, anche quelle di padre Enzo Bianchi,
priore della Comunità di Bose, del
giurista Stefano Rodotà, dei filosofi
Remo Bodei, supervisore scientifico
del festival, Ermanno Bencivenga,
Giacomo Marramao, Umberto Curi,
Salvatore Veca, Emanuele Severino,
Roberto Esposito, Christof Wulf, Salvatore Natoli, Roberta De Monticelli,
Bernard Stiegler, direttore del Dipartimento di progettazione culturale
del Centre Pompidou di Parigi, o dei
genetisti Luigi Luca Cavalli Sforza
ed Edoardo Boncinelli.
Come sempre, il Festival Filosofia
declinerà il tema con un approccio
multiforme, che abbraccia l’arte, la
letteratura, la musica. Fra le mostre,
a Carpi, nel campo di concentramento di Fossoli e il Museo al deportato,
un’esposizione dedicata al «corpo
delle vittime» documenterà l’uso che
mass media e pubblicità fanno della
sofferenza umana. Non mancheranno anche iniziative bizzarre. Molti
appuntamenti, per esempio, saranno
dedicati alle sirene, singolari figure
della mitologia, con volto di donne e
corpo di pesce: tra le collezioni dei
Musei Civici è conservato un curioso
reperto ottocentesco, uno scheletro
di sirena, simile a quelli che venivano esposti nei circhi per suscitare
meraviglia. Si parlerà anche dei supereroi dei fumetti, e inoltre a Carpi
una mostra di opere grafiche di Mimmo Paladino racconterà le metamorfosi di Pinocchio, mentre a Sassuolo
il premio Oscar Carlo Rambaldi verrà a parlare della sua creatura più celebre, E.T., accompagnandone un
modello originale.
A cura della Galleria Civica, la Palazzina dei Giardini ospiterà la prima personale italiana dell’artista
giapponese Yayoi Kusama, famosa
per i suoi lavori con sfere, reticoli e
specchi, mentre al Palazzo Santa
Margherita sarà ospitata la mostra
«Giorni felici» dell’artista svizzero
Ugo Rondinone. Una rassegna di film
sarà poi dedicata ai «Ragazzi selvaggi», i bambini cresciuti in luoghi non
contaminati dalla civiltà, per riflettere sul rapporto fra natura e cultura.
Anche quest’anno, poi, Tullio Gregory, accademico dei Lincei e gourmet, ha ideato otto menù filosofici
ispirati al tema del festival, che saranno proposti nei ristoranti modenesi durante la rassegna: i menù ripercorrono il cammino dell’umanità,
dalla civiltà stanziale (tutto vegetariano) alla civiltà della caccia, fino
alla «festa assa» e alla «festa elixa»,
dal nome delle due cotture fondamentali della tradizione classica e
medievale. Gli organizzatori stanno
poi progettando una nuova edizione
del «Tiratardi», una sorta di notte
bianca modenese, che dovrebbe tenersi appunto nella notte fra il 16 e 17
settembre, coinvolgendo in particolare il centro storico. Il programma
completo verrà pubblicato sul sito
www.festivafilosofia.it, per informazioni, sarà attivo il numero
059421210.
ze cognitive e quelle sociali».
Il prof. Gembillo, organizzatore del convegno,
ha sottolineato che per
rapportarci al mondo che
ci circonda è necessario
rispettarne la struttura
storica e complessa che lo
caratterizza. Ciò implica
l’abbandono di un atteggiamento riduzionistico
assieme all’utilizzo di una
visione pluralista e di un
approccio
“poli-logico”
(con più logiche che si articolano in poli opposti
delle strutture dissipative
(in base a cui l’interazioopo tre intense
ne di un organismo con
giornate di lavori,
l’esterno è il risultato di
aperte dalla relaun progetto), su quella sizione del grande filosofo
nergetica (poiché tali rapdella scienza Edgar Moporti si manifestano anrin, si è concluso il conche a livello della cosidvegno su “Caos e comdetta materia inerte, caplessità”,
svoltosi
ratterizzata da un’attività
nell’aula
magna
sinergetica e sincronica),
dell’Università. Dall’insimbiotica (basata sulla
contro,
promosso
cooperazione tra specie
dall’Ateneo peloritano,
diverse) e dell’anello tein collaborazione con la
tralogico (di ispirazione
Fondazione Bonino-Pumoriniana, per cui l’amlejo, la Società filosofica
biente è una realtà orgaitaliana e il Cennizzatrice che portro studi di Filosota in sé sia l’ordine
fia della complesche il disordine).
sità “Edgar MoHanno anche rerin”, sono emersi
lazionato, tra gli
interessanti spunaltri, i professori
ti di riflessione su
Attilio Agodi (Uniun tema che sta
versità di Catania)
appassionando gli
su “Caso e comaddetti ai lavori.
plessità: dal qualiGià da alcuni anni
tativo al calcolabitra
l’università
le”; Enrico Gianpeloritana e la
netto (Università
Fondazione Bonidi Bergamo) su
no-Pulejo si è in“Poincaré e la
fatti sviluppata in
complessità”; Giuquesto campo una
seppe
Giordano,
proficua partnerdell’ Università di
ship, che spazia
Messina (“La semdalla fisica statiplicità della comstica all’econofisiplessità”);
la
ca, dalla termodidott.ssa Annamanamica “non liria Anselmo (Unineare” alla coversità di Messismologia, ai sistena) su “La via
mi biologici, per
scientifica
alla
finire alla filosocomplessità”; Mafia della scienza.
rio Quaranta (PaRicordiamo che
dova) su “Edgar
Studi a Messina sul “fractal” figura di scala ripetutamente ridotta
agli eventi orgaMorin dall’epistenizzati in questa
mologia alla filosospecifica area della ricer- dell’ “universalità”, ri- complementari ma inte- fia della natura”; i profesca hanno finora parteci- scontrabile nello studio ragenti) alla complessità. sori
Sergio
Manghi,
pato diversi Premi No- delle transizioni criti- «La logica – ha detto l’ora- dell’Università di Parma
bel, come Ilya Prigogine, che». Prendendo in consi- tore – è nata come capaci- (“L’ipercomplessità del
Bertran
Brockhouse, derazione i processi di tà di deduzione coerente e soggetto umano”); Oscar
Gilles de Gennes, Brian turbolenza nella formula- perfetta, ma poi si è tra- Nicolaus (Cnr e Istituto
Josephson e numerosi il- zione di Kolmovorov, sformata in ontologia. universitario “Suor Orsolustri scienziati, tra i Mallamace ha parlato del- Con l’avvento della ter- la Benincasa” di Napoli)
quali i “Premi Bol- le similitudini tra questi modinamica essa è diven- su “Caos e complessità
tzmann” Gene Stanley, sistemi, tipici del passag- tata storica e circolare. nelle relazioni umane”;
rendere
conto Gianluca Bocchi (UniverKyozi
Kawasaky
e gio al caos, e la struttura Per
Sow-Hsi Chen, e una del- della materia.Il relatore dell’azione reciproca e sità di Bergamo) su “La
le massime autorità eu- ha anche affermato che dell’organizzazione tem- sfida della complessità
ropee nel campo dei si- questo tipo di fisica, svi- porale degli elementi so- vent’anni dopo”; ed Ernestemi termodinamici in- luppatasi negli ultimi 50 no nate “altre logiche”, ad sto Paolozzi, dell’Istituto
stabili, il professor Wol- anni, si propone di contri- esempio quella della re- universitario “Suor Orsofgang MuschikTra gli in- buire a spiegare fenomeni troazione, in seguito allo la Benincasa” di Napoli,
terventi al meeting su appartenenti ad altre aree sviluppo della ciberneti- (“La complessità della pocaos e complessità, van- di ricerca, tra cui la biolo- ca». Gembillo si è anche litica, la politica della
no segnalati, tra gli altri, gia, la medicina, le scien- soffermato sulla logica complessità”).
Riccardo D’Andrea
D
quelli
dei
professori
Francesco Mallamace e
Giuseppe Gembillo (entrambi dell’Università di
Messina).
Il primo ha mostrato come un ampio spettro di sistemi fisici, quali proteine, polimeri, vetri e colloidi possano avere una
descrizione comune ed
unica. «Queste argomentazioni - ha aggiunto Mallamace - poggiano sui pilastri concettuali delle
“leggi di scala”, tipiche
della geometria frattale, e
Pubblicato a Firenze nella collana Epistolari
Emerge il codice dell’amicizia
nel carteggio Pizzuto-Betocchi
Irene Gherardotti
E
sce in questi giorni un nuovo testo che aiuterà a comprendere meglio la figura di Antonio Pizzuto. È l’edizione critica delle lettere scambiate tra lui e il poeta Carlo Betocchi
dal 1961 al 1971. Il volume (pp. 132, euro 15,00), a
cura di Teresa Spignoli, non poteva trovare miglior collocazione che nella collana «Il Diaspro.
Epistolari», diretta da Saverio Orlando per le fiorentine edizioni Polistampa, inaugurata nel 1992
dal carteggio tra Vasco Pratolini e Alessandro
Parronchi e già attraversata dalle relazioni epistolari che Pizzuto mantenne con Giovanni Nencioni, Margaret Contini e Gianfranco Contini (in
preparazione, a cura di Antonio Pane, anche
l’epistolario Pizzuto-Mondadori).
Con Signorina Rosina l’editore fiorentino ha intanto concluso la prima fase del progetto che si
proponeva, secondo l’auspicio di Gianfranco Contini, di restituire al comune commercio l’opera di
Antonio Pizzuto, il narratore più originale del nostro Novecento. Il «Progetto Pizzuto» si è aperto
nel 1998 con il recupero di un importante romanzo
inedito, Così, e ha permesso di riproporre alcune
tre le sue più rilevanti prose: Ravenna (2002), Sul
ponte di Avignone (2004). E all’opera di Pizzuto si
sono aggiunte poi le monografie critiche di Antonio Pane (Il leggibile Pizzuto, 1999) e Gualberto Alvino (Chi ha paura di Antonio Pizzuto?, 2000).
L’opera che ci viene oggi proposta (Betocchi/Pizzuto, Lettere (1966-1971), Polistampa, «Diaspro/Epistolari» 9) è innanzitutto il documento di
una vicenda editoriale: la pubblicazione su «L’Approdo Letterario» di alcune pagine del questore
palermitano che onorava i suoi anni estremi vergando le prose formalmente più temerarie del nostro Novecento. Le 65 missive raccolte e accuratamente chiosate da Teresa Spignoli inquadrano
una svolta cruciale della biografia artistica di Pizzuto: il preannuncio e la definitiva affermazione
di quella «sintassi nominale» che renderà pressoché illeggibile una scrittura già conosciuta come
«difficile» e di cui l’epistolario restituisce preziose
istantanee. Ma accanto ai segni di questo travaglio creativo fuori dal comune, questa «corrispondenza di servizio» conserva altre postille che rendono la lettura estremamente godibile. Betocchi si
mostra ancora quale apparve a Giovanni Raboni:
«un artigiano toscano, un intagliatore di cornici,
un orafo, un ebanista». Pizzuto svela un volto
quantomai cordiale, un talento comunicativo capace di condurre il minimo evento quotidiano, il
semplice aneddoto nello spazio felice del racconto.
Illustrata da numerose foto e riproduzioni di alcuni manoscritti originali, l’edizione è completata
da regesto e indici dei nomi e delle opere di Pizzuto.
Torna la pace fra due paesi Il transito del poeta siciliano: dalla visione astratta delle prime composizioni alla raffigurazione concreta del tabulato realistico
in guerra per un po’ di legna
dai tempi del Barbarossa
Il tormentato viaggio di Cattafi all’interno della parola
Q
uasi mille anni fa combatterono uniti
contro l’esercito imperiale di Federico Barbarossa, ma da allora, dalla famosa battaglia di Carcano che il 9 agosto 1160
decretò la prima sconfitta dello Svevo, si son
dati battaglia per qualche quintale di legna
gratis. Ora la contesa per il diritto al legnatico tra gli abitanti di Orsenigo e di Parzano,
che fino alla metà del 1700 erano due comuni
distinti del Comasco, è finita. Il sindaco di Orsenigo, Licia Viganò, ha deciso di modificare
il regolamento per consentire anche agli abitanti di Parzano, oggi frazione di Orsenigo, di
entrare nella brughiera armati di asce e seghe e portarsi a casa i ceppi per il camino. La
leggenda racconta che, dai tempi della battaglia di Carcano, i milanesi offrirono agli abitanti della parrocchia di San Martino di Orsenigo il diritto ad avere la legna gratis come
segno di riconoscenza per l’aiuto dato alla Lega dei Comuni Lombardi contro Federico
Barbarossa. Dal 1985 quel diritto è stato codificato: ogni cittadino maschio che avesse tra i
14 e i 59 anni e che da almeno 10 anni abitasse
nella parrocchia di San Martino di Orsenigo
aveva diritto a parte del legname della brughiera. Fin dai tempi della battaglia di Carcano i cittadini della vicinissima Parzano, che
sta a solo un chilometro dalla parrocchia di
San Martino, si sono visti esclusi dal privilegio. Un motivo che ha alimentato nei secoli le
ostilità di campanile. (s.v.)
Carmelo Aliberti
B
Un’intensa immagine di Bartolo Cattafi
artolo Cattafi pubblica
nel 1958 «Le mosche
del meriggio» (Mondadori, Milano - 1958) in cui confluiscono «Nel centro della
mano» e «Partenza da Greenwich», mentre in Italia imperversano tendenze neorealistiche, ma il poeta non si lascia
condizionare dagli spazi dei
paradigmi ideologici sottesi al
movimento del Neorealismo
veso cui mantiene un «aristocratico» distacco. Il suo iniziale nomadismo, che lo aveva
spinto a risolvere le movenze
claunesche in presenze concrete nel canto, si va progressivamente attenuando, fino a
ridurre la presenza-assenza
della vocazione poetica da una
posizione di protagonismo
nella dialettica convivenza di
scansioni sceniche e di articolazioni ritmiche più dense
nell’aggravio epifanico dei
concetti e poi alleggerite nella
diluizione delle immagini e
delle notazioni, dove il climax
verticalizzante dell’aggettiva-
zione, applicato agli elementi
della natura, risulta esteso alla realtà astratta delle prime
composizioni, trasformando
la centralità delle scene verso
la raffigurazione concreta ed
esterna del tabulato realistico
interno della desolazione.
L’evoluzione
linguistico-strutturale evidenzia come Cattafi abbia operato progressivamente un viaggio
all’interno della parola, corrispondente all’abbandono
della mediterraneità iniziale, che lo ha indotto alla rinuncia della sovrabbondanza nominale e alle accensioni
liriche accentuate, per far filtrare, dagli spazi invisibili
della creatività le rasoiate
razionali e una rassegna di
dati e di colori con cui l’analisi frantuma il guscio della
realtà e la cifra simbolica,
sempre più incalzante, si tramuta in folgorante proiezione dell’anima verso scenari
metafisici, quasi nel tentativo di enuclearne la più autentica interna identità. Il
poeta ripudia la bulinatura
delle sovrastrutture elencatorie per far ricorso all’utilizzazione degli occhiali, al
fine di penetrare più in profondità nell’alveo della consumazione della fame della
conoscenza e scoprire le radici della disgregazione gnoseologica, per scandirne le
ambigue dissolvenze con lucidità di indagine che prefigura l’ansioso inseguimento
dell’Assoluto
all’interno
dell’intreccio della negazione «Copie/svenate di copie/stinte sinergie dei muri/stanco mondo protrattosi/di figura in figura/ mendicando una bava/di terra di
Siena, di prussica/al fantasma di turno/che più gli conviene.
L’elencazione degli oggetti ornati, nel dipanarsi dalle
varie raccolte, la rassegna
dei luoghi, i colori vibranti,
le svirgolature ironiche, le
visioni surreali risultano
trascritti in un registro consistente di ingredienti e di
schegge destinate a tramutarsi in implosioni razionali
di assiomi, siglati da sfumature analogiche, in cui le vibrazioni degli oggetti rimbalzano in altre figure di contesti dissacrati, attraverso
cui traspare la migrazione di
significato dall’elemento minimale a quello attributivo,
sintesi di una traiettoria di
viaggio dalla fisicità all’enigma. I versi si avviano sui fragili sentieri metafisici dove
cosmiche paure e vuoti siderali suscitano trasalimenti
razionali senza produrre formali copioni visionari, dove
lo sventagliare lancinante
delle immagini, divenute
scarne ed essenziali non si
traduce in distorta misura
dell’esistenza ma in ribaltamento visibile di segmenti illuminanti dell’attesa dell’attimo fatale, in cui l’occhio
della ragione possa ritagliare con precisione la dimensione e le connotazioni dei riflessi dell’oggetto metafisico.
Allora lo scontro rabbioso
tra il corporeo quotidiano si
scontra con gli ineludibili ri-
Gli atti di un processo, coinvolti i Ruffo della Scaletta, illustrano grandezza e splendori del nobile casato messinese
La “Stanza delle meraviglie” alla Palizzata dello Stretto
Nino Zanclea
I
l contributo della storica
Maria Concetta Calabrese
recentemente uscito su un
numero monografico della rivista «Archivio storico per la
Sicilia Orientale» che ha per
oggetto il patrimonio del principe Antonio Ruffo della Scaletta, famoso collezionista
messinese del secolo XVII, offre agli studiosi un’importante tessera per completare il
grande mosaico dell’importante storia della città dello
Stretto.
Dopo il ritrovamento e la
pubblicazione da parte della
storica dell’arte, Rosanna De
Gennaro, presso l’Archivio di
Stato di Napoli dell’inventario
dove il principe annotava tutti
gli oggetti (argenteria, gioielli, dipinti, etc.) da lui acquistati e custoditi nella splendida
dimora, sulla palizzata, una
vera Wunder kammer, questi
altri documenti conservati
nell’Archivio di Stato di Palermo e pubblicati dalla Calabrese completano e arricchiscono
lo studio del grande mecenate
e della sua «corte».
Si tratta degli atti di un processo celebrato per dirimere
una controversia tra Anna
Ruffo, figlia di Antonio e Placido, suo fratello ed erede della
famiglia, sorta per contese
ereditarie. Furono chiamati a
testimoniare (a cominciare
dal novembre 1688) pittori, argentieri, orafi, ingegneri, e altri artigiani che avevano lavorato per il principe della Scaletta. Tra i nomi dei testimoni
ci sono gli orafi Antonino
Campagna, Domenico Terzo,
l’argentiere Giuseppe Sgroi
(allievo di Innocenzo Mangani, artista di fiducia di Antonio Ruffo), Camillo Laganà
che «in tempo della vita del
detto illustre quondam don
Antonio sempre lo servì di sellaro, carrozziero, seu guarnimentero, seggiaro», Antonino
Bonafide, il celebre argentiere
Pietro Juvarra, che detiene la
carica di console dell’arte degli argentieri nel momento in
cui depone (26 febbraio 1689)
Sebastiano Juvarra, figlio del
precedente, il veneziano Giovanni Mirabella «tessitore di
drappi di seta», il collega palermitano Paolo Sottano, il
«costoriero» Giuseppe Cutugno, gli esperti di stoffe e mobili Francesco Caracciolo, Antonio Mosca, Tommaso Lo Cascio, che «ha fatto e fa lo raccamadore e ha faticato in fabbricare tutti li suddetti mobili.. si
come li lavorò esemplando, et
imitando lavori, fiori, frutti,
uccelli, e altri quali furono depinti da Agostino Scilla, e da
un tale d’Abramo Fiamengo
con il pensiero, e disegno per
le foglie, e rabeschi d’Innocenzo Mangano fiorentino e argentiero famosissimo, l’altro
ricamatore Giuseppe Cannizzaro». Francesco Maisano
elenca le cornici, gli scrittoi,
altri oggetti; l’orefice Paolo
Pellicano, lavorante nel laboratorio di oreficeria di Giuseppe Di Giovanni racconta come
Antonio Ruffo fosse solito prestare al Di Giovanni alcuni dei
suoi splendidi gioielli in occasione della festa della Madonna della Lettera quando i nego-
zi della città erano meravigliosamente addobbati. Altri orafi
testimoniano della splendida
collezione di gioielli del principe, per esempio Filippo Cannavò che ricorda come per Antonio Ruffo lavorassero anche
i gioiellieri Domenico Terzo,
Antonino Campagna (entrambi testimoni), Giuseppe Campagna, Michele Rizzo, Giuseppe Di Giovanni che era il preferito dal principe.
Non potevano mancare le
testimonianze sulla splendida
galleria di dipinti e infatti intervengono Placido Vito, Michele Milano, Mercurio Romeo, che Vincenzo Ruffo (La
Galleria Ruffo di Messina nel
secolo XVII, Roma 1979) scrive
essere allievi di Agostino Scilla di cui il principe Antonio
era patrono e mecenate. Tra le
testimonianze ancora quelle
di Antonino Di Luna, Antonino Maffei e Raffaele Margarita
che stimarono, descrissero e
valutarono il palazzo per la
somma allora astronomica di
16.800/17.000 onze. Seguono altre testimonianze.
Al di là degli interessi degli
specialisti che vi potranno trovare notizie utili alle varie discipline di cui si occupano, gli
atti del processo sono un interessantissimo affresco della
vita della famiglia Ruffo che
viveva nel palazzo come in
una vera e propria «corte» dove si coniugavano lusso, raffinatezza, cultura e buone maniere, si discuteva di arte, musica, letteratura, scienza. Tutto ciò dimostra come le élite siciliane facessero parte a pieno
titolo dell’aristocrazia europea con cui condividevano un
codice di comportamento e un
modus vivendi comune. Gli
aristocratici siciliani avevano legami internazionali e
l’Isola era crocevia di uomini,
merci, prodotti, cultura richiesta e consumata. I risultati delle ricerche più avvertite
dovrebbero ormai definitivamente sfatare lo stereotipo
della Sicilia immobile, separata, espressione di arretratezza
e dare il via a una nuova stagione di progettualità in Europa.
Nero Ciano Magenta Giallo - NB:
La Palizzata di Messina prima del terremoto
NB: Zona Nazionale
chiami del mistero celeste,
simboleggiato tra «i lupi questuanti» e «la gabbia», oscillanti tra istanza di consapevolezza e l’amarezza del rifiuto, incombente sulla resistenza dell’inattingibilità
del mistero:
«Ecco il problema la rabbia ululante/marcata in
fronte/la bava alla bocca/vorrebbero tutti entrare/in un’unica gabbia/i lupi
questuanti»... «Oh loro si che
possono/raffinare i lingotti/ridurli a un lieve stato puro di natura/ombre macchie
presenza rifulgenti/scintille
incancellabili negli occhi/“Lupi”».
La parola, che ancora in
«Chiromanzia d’inverno»
annaspava ancora nella vana perforazione dei frammenti realistici e osservava
con non artefatta innocenza i
rottami della ricognizione
investigativa dove il sentimento della morte e il frastuono della poesia erravano
per la «foresta sbiadita», in
«L’allodola ottobrina», la terrestrità viene riesplorata nel
recupero delle «cose», che ridiventano occasione di canto estremo, restituendo alla
parola la facoltà di riattivare
segrete energie assopite. Le
roventi tensioni metafisiche
riaccese in un ermetico organismo semantico si proiettano in traiettorie arcane, costantemente inseguite dal
poeta con visionaria disperazione intrisa di indistinti
filtri di ironia, filigranati di
sottile sarcasmo di fronte alla disfatta dell’esplorazione
ultrafanica.
«Vengano le targhe frantumate/i puzzle i rompicapi/le parole profonde/cicatrici sul petto/ciò che non
corrisponde».
Le parole si caricano di
simboli mentre il poeta è dietro «il muro di nebbia», da
dove è assalito dal dubbio.
Lui torna a gestire il significato delle sillabe e al rapporto di sofferenza, vita e morte
con le cose, in un interrotto
esercizio di metamorfica alchimia per imprimere una
sorta di cosciente misura dei
limiti umani.
Allora il verso ritaglia fotogrammi e ritratti, immagini senza dispersione musicale, la rima avanza implacabile con assonanze, iperbati e
climax in cui la voce senza
tremori penetra nella poltiglia del mistero.