Testo Atlante - Gruppo di Studio di NEUROIMMAGINE

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Testo Atlante - Gruppo di Studio di NEUROIMMAGINE
GIOACCHINO TEDESCHI, SOSSIO CIRILLO E CARLO CALTAGIRONE
Le neuroimmagini delle demenze
TESTO-ATLANTE
GIOACCHINO TEDESCHI, SOSSIO CIRILLO E CARLO CALTAGIRONE
Le neuroimmagini nelle demenze
TESTO-ATLANTE
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere
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compresa la registrazione o le fotocopie, senza il permesso scritto dell’editore.
© 2005 - Critical Medicine Publishing Editore
00143 Roma - Via G. Squarcina, 3 - Tel. 06.504.34.41
www.cmpedizioni.it
ISBN 88-88415-23-8
Realizzazione grafica e stampa: Istituto Arti Grafiche Mengarelli - Roma
Finito di stampare nel mese di dicembre 2005
INDICE
CAPITOLO 1
Classificazione delle demenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Carlo Caltagirone, Massimo Musicco
CAPITOLO 2
Diagnostica Neuroradiologica mediante TC ed RM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17
F. Di Salle, A. Elefante, O. Santopaolo, M. Cirillo, S. Cirillo, R. Elefante
CAPITOLO 3
Tecniche di risonanza magnetica metabolico-funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
43
Gioacchino Tedeschi, Alessandro Tessitore, Mario Cirillo, Sossio Cirillo
CAPITOLO 4
Metodiche di tomografia ad emissione: SPECT e PET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
67
Andrea Varrone, Marco Salvatore
CAPITOLO 5
La TC cerebrale nella diagnosi delle demenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
Francesca Romana Pezzella, Marco Fiorelli
CAPITOLO 6
Demenze vascolari: risonanza magnetica morfologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129
Domenico Inzitari, Leonardo Pantoni
CAPITOLO 7
Tecniche non convenzionali di risonanza magnetica nella demenza vascolare . . . . . . . . . . 149
Francesco Federico, Nicola De Stefano
CAPITOLO 8
La Demenza Vascolare (VaD): SPECT e PET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173
Patrizia Pantano, Porzia Totaro, Gian Luigi Lenzi
3
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
CAPITOLO 9
Imaging con TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189
Roberta Rossi, Giovanni B. Frisoni
CAPITOLO 10
Demenze degenerative: RM morfologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
Mario Savoiardo, Marina Grisoli, Alessandra Erbetta, Alberto Bizzi
CAPITOLO 11
Demenze degenerative: RM metabolico-funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235
A. Falini, E. Scola, G. Scotti
CAPITOLO 12
I metodi di neuroimmagine funzionale nelle demenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257
Daniela Perani, Valentina Garibotto, Stefano F. Cappa
CAPITOLO 13
La TAC nelle demenze secondarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283
Marta Spagnoli, Daniela Cevolani, Hodman Ahmed Sheikh Maye, Marco Leonardi
CAPITOLO 14
Le demenze secondarie: ruolo dell’Imaging morfologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303
A. Beltramello, E. Piovan
CAPITOLO 15
Il contributo della risonanza magnetica allo studio delle demenze sottocorticali . . . . . . . . 323
M. Filippi, F. Agosta, M. Rovaris
CAPITOLO 16
Tomografia emissiva nelle demenze secondarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347
Arturo Brunetti, Sabina Pappatà
4
INTRODUZIONE
Nella seconda metà del secolo scorso l’introduzione delle tecniche di neuroimaging ha profondamente rivoluzionato la diagnostica neurologica che fino a quel tempo poteva localizzare la sede delle
lesioni cerebrali prevalentemente sulla base di sintomi e segni. Anche se nel sapere interpretare a fini
diagnostici segni e sintomi veniva esaltata la capacità e la cultura del clinico questa procedura era inevitabilmente gravata da una rilevante quota di errore e di incertezza nelle conclusioni diagnostiche. La
disponibilità della Tomografia Assiale Computerizzata e della Risonanza Magnetica si sono quindi rivelate di enorme vantaggio per i pazienti affetti da patologie lesionali del cervello in quanto hanno facilitato enormemente le possibilità di localizzare la lesione stessa.
Meno rilevante è stato sino a ieri il contributo delle indagini di neuro imaging nelle patologie degenerative del sistema nervoso e in particolare nelle demenze. Questo mancato contributo è motivato da
un lato da una intrinseca debolezza della tomografia assiale computerizzata e della risonanza magnetica convenzionali, dall’altro dal fatto che solo in tempi relativamente recenti si è acquisita la capacità di
riconoscere, differenziare e classificare in ambito clinico le diverse forme di demenza.
Una intrinseca debolezza delle tecniche convenzionali di neuroimaging risiede nel fatto di essere
tecniche eminentemente morfologiche, che danno informazioni di carattere macroscopico, mentre le
demenze soprattutto nelle fasi iniziali si caratterizzano prevalentemente per un danno funzionale che si
accompagna ad alterazioni microscopiche. Sul piano clinico poi solo negli ultimi anni stiamo assistendo ad una parziale ma per certi versi soddisfacente classificazione e differenziazione delle demenze in termini patogenetici, clinici e strumentali anche se con la crescente consapevolezza derivata da robuste
evidenze scientifiche che la sovrapposizione di quadri considerati caratteristici di una o dell’altra specifica demenza constituiscono la regola piuttosto che l’eccezione.
In questo quadro in evoluzione resta comunque valida l’idea che le singole forme neurodegenerative di demenza si caratterizzano per una o più specifiche proteine coinvolte, per specifiche funzioni
che sono, almeno nella fase iniziale, compromesse e quindi, pur non costituendo la regola, per specifiche localizzazioni delle iniziali alterazioni cerebrali. Nel concreto è sicuramente un paradigma oggi valido considerare la malattia di Alzheimer come una patologia derivata da una alterazione della proteina
beta amiloide, che si manifesta con un danno preminente a carico della funzione mnesica evidenziabile con alterazioni iniziali a livello dell’ippocampo e della corteccia entorinale. Altrettanto valido è, per
contrasto e differenziazione nei confronti della malattia di Alzheimer, classificare la forma classica di
demenza fronto temporale come una taupatia, in cui sono prominenti i sintomi psichiatrici e comportamentali sul disturbo di memoria e dove l’atrofia è più marcata nelle aree anteriori del cervello.
Con questi paradigmi si confrontano oggi vittoriosamente le moderne tecniche di neuroimaging.
La loro capacità di risoluzione è infatti sempre più vicina a cogliere il dettaglio microscopico mentre sul
piano funzionale siamo oggi in grado di esplorare l’attivazione di specifiche aree cerebrali. L’indagine
5
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
funzionale non si limita poi ad una valutazione mediata dalla rilevazione del flusso ematico cerebrale
quale quella attuata con la Risonanza Magnetica Funzionale o con la SPECT, ma è oggi in grado con la
Tomografia ad Emissione di Positroni di evidenziare direttamente le attivazioni metaboliche che sottendono le diverse funzioni indagate.
Di questi avanzamenti tecnologici non si intravede a tutt’oggi un rallentamento ma semmai addirittura una accelerazione che appare di particolare rilevanza proprio per lo specifico campo delle demenze. Si sta infatti aprendo la prospettiva di quello che potremo definire l’imaging molecolare. Sono infatti
di questi ultimi mesi i primi lavori scientifici che suggeriscono la possibilità della risonanza magnetica di evidenziare i depositi di amiloide nella malattia di Alzheimer. Questa dell’imaging molecolare
potrebbe essere non solo la nuova frontiera ma la seconda rivoluzione operata dal neuroimaging nella neurologia.
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CAPITOLO 1
CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE
Carlo Caltagirone*, Massimo Musicco**
*
Professore di Neurologia Università di Roma Tor Vergata
Direttore Scientifico Fondazione Santa Lucia, Roma
**
Ricercatore Istituto di Tecnologie Biomediche CNR Segrate Milano
Fondazione Santa Lucia, Roma
La demenza, secondo il DSM IV e l’ICD10 è un quadro sindromico caratterizzato dalla presenza di
una compromissione della memoria associato a disturbi di altre funzioni cognitive in grado di causare
una significativa riduzione delle capacità di svolgere le attività della vita quotidiana del paziente.
Questi criteri diagnostici, sono universalmente accettati ma utilizzano come paradigma la malattia
di Azheimer dove il disturbo di memoria è sin dall’esordio prevalente e caratterizzante. La rilevanza primaria riservata alla memoria è però difficile da ritrovare in presenza di altre forme di demenza dove la
compromissione mnesica è, almeno all’inizio, scarsa se non completamente assente. I criteri di diagnosi non fanno poi riferimento a sintomi molto comuni come i disturbi psicologici e comportamentali
(IPA, 1996, Behavioral and Psychological Signs and Symptoms in dementia (BPSSD): implications for
research and treatment Int Psychogeritr 8 (suppl. 3): 215-552) che frequentemente, se non invariabilmente si manifestano nel corso delle demenze.
La diagnosi di demenza, e la differenziazione delle diverse forme, è un processo che fa riferimento
eminentemente alle caratteristiche cliniche del paziente dato che, per tutte le forme che non siano chiaramente ereditarie, mancano attualmente marker biologici e/o strumentali che consentano da soli di
effettuare la diagnosi.
È in questo contesto che va quindi considerato il ruolo del neuroimaging il cui utilizzo, nella diagnosi di demenza è largamente subordinato al sospetto diagnostico formulato sugli elementi clinici.
Vi è un generale consenso circa il processo diagnostico che è necessario porre in atto per la diagnosi di demenza. I percorsi diagnostici e le raccomandazioni circa il livello di approfondimento, i criteri e gli strumenti da utilizzare sono stati codificati dalle “Linee guida per la diagnosi di demenza della
Società Italiana di Neurologia” (Musicco M, Caltagirone C, Sorbi S, Bonavita V; Dementia Study Group
of the Italian Neurological Society. Italian Neurological Society guidelines for the diagnosis of dementia:
revision I. Neurol Sci. 2004 Jul; 25 (3):154-82).
Le Linee Guida raccomandano di eseguire almeno un esame con TAC o MRI al momento della prima diagnosi. Questa strategia è finalizzata prevalentemente ad escludere la presenza di patologie cerebrali
che potrebbero manifestarsi con i sintomi della demenza (ad esempio lesioni espansive, processi infettivi e infiammatori) e a documentare la presenza di eventuali lesioni di origine vascolare cerebrale.
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LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Il percorso diagnostico suggerito dalle LG segue un itinerario logico e sequenziale che, una volta
accertata la presenza di demenza, indaghi la presenza di condizioni reversibili e quindi potenzialmente
trattabili, cui dovrà seguire l’individuazione delle forme di origine vascolare e infine la diagnosi differenziale delle forme di origine degenerativa primaria. È all’interno di questo percorso e nel confronto con le
caratteristiche cliniche delle differenti forme di demenza che gli esami di neuromaging possono e sempre
più potranno contribuire alla nostra conoscenza di queste malattie oltre che alla diagnosi individuale.
Tabella di classificazione delle demenze
Gruppo
Demenze reversibili
Tipo
Note
Demenze da cause metaboliche
Carenza di vitamina B12, da ipotiroidismo
Demenze secondarie a processi parologici
Lesioni espansive, processi infettivi e
cerebrali
infiammatori
Demenza in corso di idrocefalo normoteso
Demenza multinfartuale
Demenza da infarti strategici
Demenze vascolari
Malattia dei piccoli vasi cerebrali
Demenza da ipoperfusione
Demenza emorragica
Altre forme di demenza vascolare
Malattia di Alzheimer
Demenze Frontotemporali
Demenza FT, demenza di Pick, demenza
semantica, afasia progressiva
Demenze degenerative
Creutzfeldt Jackob e altre malattie da prioni
primarie
Demenza con corpi di Lewy
Paralisi sopranucleare progressiva
Degenerazione cortico-basale
Malattia di Huntinghton
1.
Demenze trattabili
Questo gruppo di demenze, generalmente riferibili a cause infettive, metaboliche, psichiatriche,
lesioni occupanti spazio o idrocefalo normoteso) costituiscono meno del 15% di tutte le demenze e il
loro riconoscimento è possibile prevalentemente in base a indagini di laboratorio e strumentali.
L’idrocefalo normoteso è caratterizzato da disturbi della marcia, incontinenza urinaria e declino
cognitivo che compaiono abitualmente in questa sequenza. È questa una condizione che può in alcuni
casi rispondere all’intervento di shunt ventricolo-peritoneale. L’idrocefalo normoteso presenta una dilatazione ventricolare che non si accompagna ad una corrispondente atrofia corticale ed è pertanto una
condizione in cui il neuroimaging risulta di fondamentale importanza per la diagnosi (Kitagaki H, Mori E,
Ishii K, Yamaji S, Hirono N, Imamura T. CSF spaces in idiopathic normal pressure hydrocephalus: morphology and volumetry. AJNR Am J Neuroradiol. 1998; 19 (7): 1277-84).
Quando si può escludere la presenza di una demenza da cause trattabili le condizioni più frequenti sono le demenze vascolari e le demenze degenerative primarie.
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CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE
2.
Demenza vascolare
Costituisce circa il 10-15% di tutte le demenze ed è causata da uno o più piccoli infarti o da infar-
ti di grandi dimensioni. Spesso lesioni vascolari sono presenti in pazienti che presentano clinicamente
delle forme degenerative primarie confermate anche dal punto di vista anatomopatologico (Barker W,
Luis CA, Kashuba A, Luis M, et al. Relative frequencies of Alzheimer disease, lewy body, vascular and
frontotemporal dementia, and hippocampal sclerosis in the state of Florida brain bank Alzheimer-DisAssoc-Disord 2002 vol: 16 (4), 203-212).
La diagnosi di demenza vascolare (Roman GC, Tatemichi TK, Erkinjuntti T, Cummings JL, Masdeu
JC, Garcia JH, Amaducci L, Orgogozo JM, Brun A, Hofman A, et al. Vascular dementia: diagnostic criteria for research studies. Report of the NINDS-AIREN International Workshop. Neurology. 1993; 43 (2):
250-60) probabile viene formulata in base ai seguenti criteri:
–
evidenza clinica di demenza;
–
evidenze cliniche e di neuroimaging (TAC, RMN) di malattia cerebrovascolare;
–
relazione evidente o indiretta tra la demenza e la malattia cerebrovascolare (esordio, fluttuazioni,
deterioramento “a scalini” dei deficit cognitivi).
Gli esami di neuroimaging risultano quindi strumenti fondamentali, al pari delle caratteristiche
cliniche per la diagnosi generale di demenza vascolare e per la differenziazione nei diversi sottotipi
(van Straaten EC, Scheltens P, Barkhof F. MRI and CT in the diagnosis of vascular dementia. J Neurol
Sci. 2004; 226 (1-2): 9-12).
Nella demenza vascolare possono essere riconosciuti differenti sottotipi:
–
Demenza Multinfartuale. Dovuta a larghi infarti multipli e completi in zone corticali o sottocorticali, di solito con zone perifocali che presentano infarti incompleti che coinvolgono la sostanza
Bianca.
–
Demenza da infarti strategici. Un singolo infarto cerebrale spesso di dimensione lacunare che
danneggia aree critiche funzionali come il giro angolare, il talamo, il proencefalo basale, i territori
delle arterie cerebrali posteriori o anteriori.
–
Malattia dei piccoli vasi con demenza. Sindrome di Biswanger, CADASIL (Cerebral Autosomal
Dominant Arteriopathy with Subcortical Infarcts and Leucoencephalopathy), demenza lacunare o
stato lacunare (état lacunaire), lacune multiple con estensivi infarti perifocali incompleti corticali e
subcorticali, angiopatia ipertensiva e arteriosclerotica, angiopatia amiloide (inclusa la British
dementia) collagenopatie o malattie vascolari con demenza.
–
Demenza ipossico-ischemica (da ipoperfusione). Encefalopatia diffusa anossico-ischemica, danno localizzato dovuto a vulnerabilità selettiva, infarto incompleto della sostanza bianca, infarto di
Border-zone.
–
Demenza emorragica ematoma traumatico subdurale, emorragia subaracnoidea, ematoma cerebrale, trombosi venosa.
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LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
3.
Demenze degenerative primarie
3.1 Malattia di Alzheimer
Criteri diagnostici
I criteri più utilizzati per la diagnosi della malattia di Alzheimer sono quelli proposti nel 1984 dal
National Institute of Neurological and Communicative Disorders and Stroke; Alzheimer’s Disease and
Related Disorders Association Work Group (NINCDS-ADRDA) e dai criteri del DSM IV. Si è osservato che
la diagnosi clinica di Malattia di Alzheimer probabile secondo i criteri NINCDS-ADRDA e secondo i criteri del DSM III R (praticamente sovrapponibili a quelli del DSM IV) è confermata anche alla diagnosi
neuropatologica nell’89-100% dei casi (Tierney MC, Fisher RH, Lewis AJ et al. The NINCDS-ADRDA Work
Group criteria for the clinical diagnosis of probable Alzheimer’s disease: a clinicopathologic study of 57
cases. Neurology 1988 38: 359-364, Risse SC, Raskind MA, Nochlin D, et al. Neuropathological findings
in patients with clinical diagnoses of probable Alzheimer’s disease. Am. J. Psychiatry 1990 147: 168-172,
Kukull WA, Larson EB, Reifler BV et al. The validity of 3 clinical diagnostic criteria for Alzheimer’s disease. Neurology 1990 40: 1364-1369, Nagy Z, Esiri MM, Hindley NJ, Joachim C, Morris JH, King EM,
McDonald B, Litchfield S, Barnetson L, Jobst KA, Smith AD Accuracy of clinical operational diagnostic
criteria for Alzheimer’s disease in relation to different pathological diagnostic protocols. Dement Geriatr
Cogn Disord 1998 Jul-Aug 9 (4): 219-26).
I criteri NINCDS-ADRDA prevedono tre diversi livelli di probabilità nella diagnosi: malattia di Alzheimer, definita, probabile e possibile. Gli esami di neuroimaging sono previsti come criteri di supporto alla diagnosi di malattia di Alzheimer probabile quando documentano una atrofia corticale progressiva
in indagini seriali. I criteri del DSM-IV non fanno alcun riferimento a TAC o MRI.
Nella malattia di Alzheimer sono stati condotti numerosi studi finalizzati a evidenziare atrofia delle aree corticali deputate ai processi mnesici a livello del lobo temporale mediale con particolare riferimento all’ippocampo, giro paraippocampale, subiculo, corteccia entorinale e amigdala. Gli approcci
sono stati sia di tipo lineare che volumetrico e il neuroimaging in generale ma soprattutto la MRI sono
risultati in grado di apportare un sostanziale miglioramento nella certezza della diagnosi (Scheltens P, Fox
N, Barkhof F, De Carli C. Structural magnetic resonance imaging in the practical assessment of dementia: beyond exclusion. Lancet Neurol 2002; 1: 13-21).
Criteri NINCDS-ADRDA
1)
Malattia di Alzheimer probabile
Criteri principali
–
demenza stabilita all’esame clinico e documentata dal Mini Mental Status Examination, Blessed Dementia scale, o da qualche altro test di valutazione simile e confermato da test neuropsicologici;
10
–
deficit in due o più aree cognitive;
–
peggioramento progressivo della memoria e di altre funzioni cognitive;
–
assenza di disturbi della coscienza;
–
esordio tra l’età di quaranta e di novanta anni, più spesso dopo i sessantacinque anni di età;
CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE
–
assenza di disturbi sistemici o di altre malattie del sistema nervoso che potrebbero da sole giustificare il progressivo deficit cognitivo e di memoria.
Criteri di supporto
–
deterioramento progressivo di specifiche funzioni cognitive quali il linguaggio (afasia), capacità motoria (aprassia), e percezione (agnosia);
–
riduzione delle capacità nelle attività del vivere quotidiano e alterazioni comportamentali;
–
storia familiare di disordini simili particolarmente se confermati con esame neuropatologico;
–
esami di laboratorio come segue:
–
esame liquorale normale alle tecniche di analisi standard;
–
EEG normale o con alterazioni non specifiche quali aumento di attività lenta;
–
evidenza di atrofia cerebrale alla TAC o alla RMN con progressione documentata da osservazioni successive.
2)
Diagnosi clinica di malattia di Alzheimer possibile
–
sono rispettati tutti i criteri principali per diagnosi di probabile malattia di Alzheimer a parte
quelli relativi all’insorgenza, presentazione, decorso clinico o vi è un secondo disturbo cerebrale che é in grado di produrre una compromissione cognitiva ma che non é giudicato essere
la causa della demenza.
3)
Diagnosi di malattia di Alzheimer definita
–
sono rispettati criteri clinici di probabile malattia di Alzheimer e vi è un quadro istopatologico
di malattia di Alzheimer ottenuto con biopsia cerebrale o all’autopsia.
Anche se non esiste ancora un consenso unanime per la definizione dei criteri neuropatologici tipici della demenza di Alzheimer (Mirra SS, Hart MN, Terry RD. Making the diagnosis of Alzheimer’s disease. A primer for practicing pathologists. Arch. Path. Lab. Med. 117: 132-144 1993, Jellinger KA, Bancher
C. Neuropathology of Alzheimer’s disease: a critical update. J Neural Transm Suppl 1998 54: 77-95) i criteri NINCDS-ARDA prevedono che la diagnosi di Alzheimer possa considerarsi definita in presenza di un
quadro clinico tipico e di una neuropatologia coerente. I grovigli neurofibrillari (NFT) con le placche neuritiche ed i neuriti distrofici sono considerati i maggiori segni distintivi della malattia di Alzheimer. Le
placche neuritiche sono extracellulari e costituite prevalentemente da depositi di amiloide mentre i grovigli neurofibrillari sono intracellulari ed espressione di degenerazione delle proteine del citoscheletro.
La presenza di depositi di amiloide a livello delle placche ma anche dei vasi e più diffusamente nell’intero cervello dei malati con malattia di Alzheimer, ha suggerito un ruolo centrale di tali depositi e del
peptide insolubile che li costituisce, la beta amiloide, nella patogenesi della malattia. Le tecniche di neuroimaging ed in particolare la PET cominciano ad essere in grado di documentare, in vivo la presenza di
depositi di amiloide il che rappresenta un evidente vantaggio di tipo diagnostico oltre che per il monitoraggio di future terapie in grado di rimuovere o prevenire la formazione e il deposito dell’amiloide
(Nordberg A. PET imaging of amyloid in Alzheimer’s disease. Lancet Neurol. 2004; 3 (9): 519-27).
La malattia di Alzheimer si caratterizza per il disturbo di memoria che risulta essere preminente
sulle altre alterazioni cognitive ed è anche il sintomo e il segno più precoce del suo processo patologico.
Dal punto di vista anatomico queste caratteristiche si accompagnano ad una precoce compromissione
delle aree cerebrali deputate alla funzione mnesica ed in particolare dell’ippocampo. È pertanto eviden-
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LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
te ai fini della diagnosi e in particolare della diagnosi precoce, l’utilità di potere documentare strumentalmente una compromissione anatomica e funzionale a livello di queste strutture cerebrali.
SPECT e PET hanno evidenziato anomalie metaboliche in regioni cerebrali coerenti con il quadro
anatomopatologico della malattia di Alzheimer. In studi formali la PET ha mostrato una sensibilità e
specificità per la diagnosi di malattia di Alzheimer buona ma insufficiente a giustificarne un utilizzo clinico routinario. La MRI funzionale è in grado di fornire immagini dell’attività metabolica di queste aree
deputate alle funzioni di memoria con precisione quasi microscopica. Con questa metodica possiamo
documentare modificazioni croniche del metabolismo cerebrale come quelle che si accompagnano ai
processi neurodegenerativi ma anche quelli acuti ingenerati da stimoli ed attivazioni nervose. Ancorchè del tutto sperimentali queste tecniche sono attualmente molto promettenti e se ne può sin d’ora
prevedere un utilizzo anche per il monitoraggio delle terapie (Small SA. Measuring correlates of brain
metabolism with high-resolution MRI: a promising approach for diagnosing Alzheimer disease and mapping its course. Alzheimer Dis Assoc Disord. 2003; 17 (3): 154-61).
3.2 Demenza frontotemporale inclusa la demenza di Pick
Questo gruppo di demenze, che in fasi tardive o intermedie possono essere indistinguibili dalla
malattia di Alzheimer, sono caratterizzate in fase iniziale dalla preminenza dei sintomi comportamentali,
affettivi e del linguaggio sul deficit di memoria che può essere lieve o addirittura assente.
La demenza fronto-temporale (DFT) comprende un insieme di sindromi degenerative, istopatologicamente non omogenee, caratterizzate da una atrofia selettiva e spesso asimmetrica delle porzioni
anteriori dei lobi frontali e temporali che danno luogo a disturbi comportamentali e neuropsicologici
tipici della corrispondente localizzazione lesionale. Queste sindromi degenerative focali si apparentano
storicamente alla classica ‘Demenza presenile di Pick, che si caratterizzava, oltre che per la localizzazione fronto-temporale delle lesioni atrofiche e per la corrispondente sindrome comportamentale e neuropsicologica, anche per un rigonfiamento delle cellule corticali e per la presenza di inclusioni
argentofile, chiamate appunto ‘corpi di Pick’.
Altre forme degenerative focali possono colpire in modo altrettanto selettivo ed asimmetrico porzioni del mantello corticale, dando luogo a sindromi lesionali egualmente specifiche. Così, quando le lesioni
degenerative colpiscono selettivamente le aree peri-silviane dell’emisfero sinistro, osserviamo la forma nonfluente di afasia progressiva primaria isolata da Mesulam (Mesulam MM (1982) Slowly progressive aphasia
without generalized dementia. Ann. Neurol., 11: 592-598) e descritta già nel lavoro pionieristico di Pick.
Quando è, invece, selettivamente colpito il lobo temporale sinistro, con un preferenziale interessamento
della corteccia temporo-polare ed infero-temporale, abbiamo il quadro clinico della ‘demenza semantica’
(Snowden JS, Neary D, Mann DMA (1996) Frontotemporal lobar degeneration: frontotemporal dementia,
progressive aphasia, semantic dementia. Churchill Livingstone, New York), vale a dire una forma fluente
di afasia, caratterizzata soprattutto dall’anomia e da un severo deficit nella comprensione delle parole.
A differenza della malattia di Alzheimer nella DFT, sono i disturbi comportamentali ad aprire il
quadro sintomatologico ed i disturbi neuropsicologici riguardano più le funzioni esecutive e di programmazione che non la memoria di eventi quotidiani, che rimane a lungo relativamente conservata.
Anche se la FTD appare clinicamente ben caratterizzata, i criteri diagnostici proposti non sono
ancora stati completamente validati con studi formali e i sintomi e segni della FTD sono spesso presen-
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CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE
ti anche nella malattia di Alzheimer (McKhann GM, Albert MS, Grossman M, Miller B, Dickson D, Trojanowski JQ; Work Group on Frontotemporal Dementia and Pick’s Disease. Clinical and pathological
diagnosis of frontotemporal dementia: report of the Work Group on Frontotemporal Dementia and Pick’s Disease. Arch Neurol. 2001 Nov; 58 (11): 1803-9). Da queste constatazioni nasce il crescente interesse per i reperti neuroradiologici e di neuroimaging funzionale nella differenziazione di malattia di
Alzheimer e demenza frontotemporale (Boccardi M, Laakso MP, Bresciani L, Galluzzi S, Geroldi C, Beltramello A, Soininen H, Frisoni GB. The MRI pattern of frontal and temporal brain atrophy in frontotemporal dementia. Neurobiol Aging. 2003 Jan-Feb; 24 (1): 95-103).
3.3 Creutzfeldt-Jakob e altre malattie da prioni
Queste demenze possono essere sporadiche o familiari e dal punto di vista anatomopatologico sono
classificate come encefalopatie spongiformi in conseguenza delle caratteristiche lesioni che inducono a
livello cerebrale. Sono forme rare ma necessitano in ogni caso di essere riconosciute in quanto esiste un
rischio di trasmissione in seguito ad esposizione a tessuti contaminati come nel caso del trapianto di
cornea. L’interesse per queste forme è negli ultimi anni aumentato a causa della documentata trasmissione all’uomo della encefalopatia bovina spongiforme. Gli studi più recenti con tecniche di neuroimaging hanno evidenziato che la MRI a diffusione pesata è in grado di evidenziare, in questi pazienti,
lesioni anche in fase precoce quando le altre tecniche di imaging evidenziavano ancora un quadro di normalità (Shiga Y, Miyazawa K, Sato S, Fukushima R, Shibuya S, Sato Y, Konno H, Doh-ura K, Mugikura S,
Tamura H, Higano S, Takahashi S, Itoyama Y. Diffusion-weighted MRI abnormalities as an early diagnostic marker for Creutzfeldt-Jakob disease.Neurology. 2004 Aug 10; 63 (3): 443-9).
3.4 Demenza con corpi di Lewy e complesso Parkinson demenza
La demenza con corpi di Lewy (LBD) è particolarmente frequente e potrebbe essere addirittura più
frequente delle demenze vascolari. È caratterizzata da una variabile combinazione di più categorie di
sintomi: a) alterazioni fluttuanti delle abilità cognitive, b) alterazioni neurpsichiatriche; c) parkinsonismo; d) disautonomia
I criteri diagnostici clinici attuali (McKeith IG, Perry EK, Perry RH, et al. Report of the second dementia with Lewy body international workshop. Diagnosis and treatment. Neurology 1999, 53: 902-905) indicano che la DLB è una malattia progressiva che all’esordio presenta minima o nessuna alterazione della
memoria episodica mentre assai maggiori sono le alterazioni visuospaziali e attentivo-esecutive. La presenza di almeno 2 di 3 sintomi principali (fluttuazioni dell’attenzione, allucinazioni visive ricorrenti, parkinsonismo) insieme alla variabile presenza di segni e sintomi di supporto (cadute ripetute, sincope,
perdita di coscienza transitoria, sensibilità ai neurolettici, deliri, allucinazioni oltre che visive) permette la
diagnosi di “probabile DLB”.
La demenza complica frequentemente il quadro della malattia di Parkinson (PD), specialmente nelle sue fasi avanzate; si stima che la prevalenza si aggiri intorno al 20-30% dei casi e l’incidenza sia 3-6 volte superiore rispetto alla popolazione sana con analoghe caratteristiche demografiche. Clinicamente, il
prototipo principale della demenza nella MP è rappresentato da una sindrome disesecutiva con stigmate affettivo-comportamentali; in un certo numero di casi il profilo appare però essere sovrapponibile a
quello della demenza di Alzheimer (AD) oppure della demenza a corpi di Lewy.
13
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
È stato proposto il concetto dello “spettro” della presentazione clinica della malattia dei corpi di
Lewy, spettro che va dal morbo di Parkinson con preminenti sintomi motori alla DLB con precoci alterazioni psichiatriche e cognitive. Alcuni pazienti con PD possono sviluppare nel corso della malattia
alterazioni neurocognitive e psichiatriche ed in tal caso verranno considerati PD plus demenza o PD
plus DLB. Per convenzione la diagnosi sarà di DLB e non di PD plus demenza se i disturbi motori e neurocognitivi-psichiatrici si sviluppano entro i 12 mesi l’uno dall’altro.
Numerosi studi con neuroimaging sono stati conclusi e sono in corso nella demenza con corpi di
Lewy e nel morbo di Parkinson con demenza. L’intento principale è quello di effettuare una corretta differenziazione fra queste forme e la malattia di Alzheimer. Un particolare interesse si rivolge a studi in grado di quantificare l’atrofia a livello dei nuclei della base (Cousins DA, Burton EJ, Burn D, Gholkar A,
McKeith IG, O’Brien JT. Atrophy of the putamen in dementia with Lewy bodies but not Alzheimer’s disease: an MRI study. Neurology. 2003 Nov 11; 61 (9): 1191-5) o ad evidenziare pattern specifici di compromissione corticale (Tam CW, Burton EJ, McKeith IG, Burn DJ, O’Brien JT. Temporal lobe atrophy on
MRI in Parkinson disease with dementia: a comparison with Alzheimer disease and dementia with Lewy
bodies. Neurology. 2005 Mar 8; 64 (5): 861-5).
3.5 Paralisi sopranucleare progressiva
La paralisi sopranucleare progressiva (PSP) rappresenta la seconda forma più comune di parkinsonismo dopo il PD. I pazienti con PSP presentano precoce instabilità posturale, paralisi di verticalità dello sguardo, parkinsonismo bilaterale che in genere non trae beneficio dalla terapia con L-dopa, paralisi
pseudobulbare. Frequentemente è presente disartria e disfagia. Le alterazioni cognitive compaiono nel
decorso della malattia nella maggioranza dei pazienti ed in genere esordiscono con segni di disfunzione dei lobi frontali. Un marcato rallentamento dei movimenti saccadici verticali è segno spesso precoce
che precede la paralisi di verticalità. In genere i pazienti con PSP presentano precocemente una sintomatologia da alterato funzionamento dei lobi frontali con apatia, alterato pensiero astratto, diminuita
fluenza verbale, comportamento imitativo e segni di rilascio frontale. Questi segni sono raramente presenti così precocemente negli altri parkinsonismi.
I criteri diagnostici clinici più attuali (NINDS-SPSP) (Litvan I, Agid Y, Calne D, et al.: Clinical Research
criteria for the diagnosis of progressive supranuclear palsy (Steele-Richardson-Olszewski syndrome). Report
of the NINDS-SPSP International Workshop. Neurology 47: 1-9, 1996) richiedono per la diagnosi di probabile PSP la presenza obbligatoria dei seguenti 3 elementi: graduale progressività del disturbo, esordio
dopo i 40 anni, oftalmoparesi sovranucleare verticale e instabilità posturale prominente con cadute nel primo anno di esordio dei sintomi. La diagnosi passa da probabile a possibile in assenza della paralisi di verticalità dello sguardo ma con presenza del rallentamento della velocità dei saccadi verticali.
La PSP può essere confusa con altre forme neurodegenerative che interessano il sistema extrapiramidale come l’atrofia multisistemica e la degenerazione cortico basale. In generale però i pazienti vengono più comunemente falsamente diagnosticati come affetti da morbo di Parkinson o vasculopatia
cerebrale. Anche in questa forma di demenza pertanto gli esami di neuroimaging rivestono un particolare interesse ai fini della diagnosi differenziale. I primi studi con MRI indicavano come segni distintivi
di questi pazienti una atrofia del mesencefalo e un allargamento del terzo ventricolo (Savoiardo M, Girotti F, Strada L, Ciceri E. Magnetic resonance imaging in progressive supranuclear palsy and other parkin-
14
CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE
sonian disorders. J Neural Transm Suppl 1994; 42: 93-110). Più recentemente alcuni studi anatomopatologici e le indagini con MRI hanno evidenziato che l’atrofia del peduncolo cerebellare superiore potrebbe essere un segno distintivo di questa malattia (Tsuboi Y, Slowinski J, Josephs KA, Honer WG, Wszolek
ZK, Dickson DW. Atrophy of superior cerebellar peduncle in progressive supranuclear palsy. Neurology
2003; 60: 1766; Paviour DC, Price SL, Stevens JM, Lees AJ, Fox NC. Quantitative MRI measurement of
superior cerebellar peduncle in progressive supranuclear palsy. Neurology. 2005 Feb 22; 64 (4): 675-9).
3.6 Degenerazione cortico basale
Tipicamente i sintomi e segni motori sono insidiosi, cronici e progressivi con esordio in genere
asimmetrico e non rispondono al trattamento con L-dopa. Le prinicipali alterazioni motorie comprendono oltre al parkinsonismo distonia asimmetrica di un arto (in genere l’arto superiore), instabilità posturale e della marcia con cadute; anormalità sovranucleari dei movimenti oculari, ed in particolare
aumentata latenza dei saccadi orizzontali con normale velocità (a differenza della PSP) I pazienti con
degenerazione cortico basale hanno alterazioni della produzione verbale con disfonia, ecolalia e palilalia e spesso diventano anartrici ed afonici.
I profili neuropsicologici sono in genere anormali e spesso simili a quelli dei pazienti con PSP
mostrando predominanti segni di alterate funzioni esecutive di pertinenza dei lobi frontali. I pazienti con
CBD di solito hanno alterazioni prassiche e difficoltà di denominazione maggiori dei pazienti con PSP.
In confronto con i pazienti con AD i pazienti con CBD hanno in genere minori e meno precoci alterazioni della memoria mentre sono maggiormente compromessi nelle prove di prassia, digit span e nelle
prove motorie mono o bi-manuali. Circa il 50% dei pazienti con CBD sviluppa il fenomeno dell’“arto
alieno” in cui vi è incapacità a riconoscere come proprio un arto in particolare in assenza di controllo
visivo. Il fenomeno è spesso associato ad attività autonoma dell’arto, attività che viene percepita dal
soggetto come al di fuori del suo controllo.
Le alterazioni neuropsichiatriche sono caratterizzate, oltre che dalla sindrome frontale e sottocorticale, da possibile depressione, apatia, ansia, irritabilità, agitazione, disinibizione, deliri e aspetti ossessivi compulsivi.
La CBD è stata poco studiata dal punto di vista del neuroimaging anche se è possibile derivare informazioni da studi che hanno confrontato i differenti quadri dei parkinsonismi atipici e cioè PSP, atrofia
multisistemica e CBD (Groschel K, Hauser TK, Luft A, Patronas N, Dichgans J, Litvan I, Schulz JB. Magnetic resonance imaging-based volumetry differentiates progressive supranuclear palsy from corticobasal
degeneration. Neuroimage. 2004; 21 (2): 714-24. Yekhlef F, Ballan G, Macia F, Delmer O, Sourgen C,
Tison F. Routine MRI for the differential diagnosis of Parkinson’s disease, MSA, PSP, and CBD. J Neural
Transm. 2003 Feb; 110 (2): 151-69).
3.7 Malattia di Huntington
È una malattia ereditaria a carattere autosomico dominante. Clinicamente sono preminenti i
movimenti involontari (corea) e i sintomi psichiatrici sulla demenza che compare più tardivamente.
Attualmente, oltre alla familiarità positiva, è possibile la diagnosi genetica. In questa malattia la neurodegenerazione è particolarmente evidente a livello dello striato e dell’ipotalamo. Gli studi con MRI
mostrano che il grado di atrofia rilevato con metodiche quantitative correla con la gravità del quadro
15
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
sintomatologico (Kassubek J, Juengling FD, Kioschies T, Henkel K, Karitzky J, Kramer B, Ecker D,
Andrich J, Saft C, Kraus P, Aschoff AJ, Ludolph AC, Landwehrmeyer GB. Topography of cerebral atrophy
in early Huntington’s disease: a voxel based morphometric MRI study. J Neurol Neurosurg Psychiatry.
2004 Feb; 75 (2): 213-20).
4.
Conclusioni
La diagnosi di demenza e la differenziazione delle diverse forme di demenza è ancora essenzial-
mente un processo di analisi delle caratteristiche cliniche del paziente. Questa considerazione era molto valida nel recente passato quando poco interesse veniva riservato alla differenziazione delle diverse
forme degenerative primarie o alla individuazione di sottotipi nell’ambito delle demenze vascolari. La
crescente consapevolezza dell’esistenza di differenti meccanismi neurodegenerativi che sottendono la
perdita di funzioni cognitive e che in definitiva conducono a demenza, ha fatto crescere l’interesse per
le indagini strumentali ed in particolare per gli studi di imaging. Una attenta valutazione delle caratteristiche morfofunzionali delle diverse forme di malattia evidenzia come l’imaging possa contribuire in
modo determinante alla diagnosi individuale. Questo contributo può poi risultare fondamentale quando si tratta di pazienti in fase avanzata di malattia dove le differenze cliniche fra le diverse forme tendono
a scomparire.
Non va da ultimo trascurato l’apporto che il neuromaging può fornire ad una migliore conoscenza di queste malattie, in particolare ci si riferisce alle tecniche di imaging funzionale che sono in grado
attualmente di documentare lo stato di flusso ematico e il livello di attività metabolica cerebrale con
precisione microscopica. È anche rispetto a queste potenzialità tecnologiche che il neurologo guarda
con un certo ottimismo al futuro di queste malattie per le quali fino a ieri poco si poteva fare oltre una
diagnosi presuntiva.
16
CAPITOLO 2
DIAGNOSTICA
NEURORADIOLOGICA
MEDIANTE TC ED RM
F. Di Salle*, A. Elefante**, O. Santopaolo*, M. Cirillo***, S. Cirillo***, R. Elefante**
*
Neuroradiologia, Università di Pisa;
***
**
Neuroradiologia, Università di Napoli
Neuroradiologia, Seconda Università di Napoli
Il campo di interesse della Neuroradiologia è lo studio dei sistemi biologici cerebrali in vivo tramite metodologie che producono immagini rappresentanti la struttura tissutale o sue caratteristiche funzionali.
Il substrato fisico impiegato in tali metodologie è costituito dalle radiazioni elettromagnetiche, il cui
impiego risente di alcune condizioni limitanti imposte dall’interazione con i tessuti organici. I tessuti
sono “opachi” a gran parte dei tipi di radiazione utilizzabili in diagnostica, con l’eccezione di due “finestre” di trasparenza costituite dai raggi X e dalle onde in radiofrequenza.
La trasparenza ai raggi X è stata largamente utilizzata nell’ultimo secolo per produrre immagini
“proiettive” e poi, negli ultimi decenni, tomografiche (TC) del corpo umano, che rappresentano la base
della diagnostica neuroradiologica.
La Tomografia Computerizzata è una metodica diagnostica disponibile ormai da alcuni decenni, i
cui principi sono stati delineati dal fisico inglese Hounsfield nel 1968. Si trattava di una realizzazione talmente rivoluzionaria per quegli anni, ma anche per la storia della medicina in senso più generale, da candidare Hounsfield al premio Nobel per la Medicina, che gli fu conferito nel 1979.
L’invenzione di Hounsfield si basava su precedenti studi matematici, iniziati con Radon nel 1917
e proseguiti negli anni ’50 da Cormack ed Oldendorf, che avevano dimostrato che era risolvibile matematicamente il problema di ricostruire un oggetto da un numero finito di sue proiezioni (back projection). L’invenzione di Hounsfield consisteva nel considerare come proiezioni utilizzabili per il processo
di ricostruzione matematica le misure di radiazione trasmessa in seguito all’attraversamento di un segmento corporeo da parte di una radiazione X incidente.
L’implementazione proposta da Hounsfield era ovviamente estremamente rudimentale rispetto alle
apparecchiature in uso oggi. La più semplice implementazione del principio della Tomografia Computerizzata consisteva nel produrre un sottile fascio di raggi X e di farlo spostare lungo una direzione trasversale (assiale) rispetto all’asse verticale del corpo. Contemporaneamente, nella stessa direzione e con
la stessa velocità veniva spostato un detettore a scintillazione in grado di rilevare le radiazioni incidenti e di trasformarle in un segnale elettrico. Se questo procedimento di scansione lineare viene ripetuto
17
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
lungo molte direzioni ortogonali all’asse verticale del corpo, ma separate tra di loro da un angolo di rotazione o da una traslazione spaziale, è possibile acquisire informazioni sufficienti a ricostruire l’immagine di una sezione assiale. La prima applicazione fu la scansione di un cervello di cadavere in cui era
presente un tumore, e la patologia risultò ben riconoscibile nelle scansioni TC, evidenziando le entusiasmanti possibilità diagnostiche della metodica. La sperimentazione clinica della TC venne effettuata
all’Atkinson’s Morley Hospital ed i primi risultati vennero presentati alla British Society of Radiology ed
all’Albert Einstein Medical College di New York.
I principi matematici di generazione delle immagini costituiscono il cuore della metodica TC. Per
comprenderli bisogna partire dal modo in cui la TC analizza i corpi in esame; contrariamente alle metodiche precedenti, la TC non osserva i tessuti in maniera continua, ma introduce una discretizzazione,
suddividendoli in tanti piccoli elementi di volume, definiti “voxel” dei quali si trova traccia nelle immagini TC che risultano divise in elementi di superficie, i pixel, che rappresentano i corrispondenti voxel.
L’insieme n x n dei voxel dell’immagine viene definito matrice immagine. Se un fascio di raggi X emesso dal tubo radiogeno TC attraversa il corpo, incontrerà sul suo percorso una fila di voxel, e risulterà attenuato in ognuno di essi in ragione della densità radiologica che gli è caratteristica. L’intensità del fascio
che emergerà dal volume in esame (I) sarà proporzionale all’intensità emessa dal tubo (Io) modulata dalla sommatoria dei coefficienti di attenuazione (µ) incontrati lungo il percorso secondo la relazione:
n
ln Io =
Σ µi
i=1
I
Dato che Io ed I vengono misurati fisicamente, il primo termine della relazione ha un valore numerico noto. Per definire i coefficienti di attenuazione dell’organo in esame, è necessario risolvere il problema non per una singola fila di voxel, ma per l’intera matrice immagine, di n x n voxel. Il problema
risulta risolvibile matematicamente ripetendo la misura per un numero di direzioni del fascio radiogeno superiore ad n x n, il che rende possibile la soluzione del sistema di equazioni.
Gli elementi che caratterizzano le immagini TC sono definiti risoluzione spaziale e risoluzione di
contrasto. La risoluzione spaziale dipende dal numero di voxel in cui viene suddiviso l’oggetto in esame,
e quindi dalla dimensione della matrice immagine. Una suddivisione dell’oggetto in esame in un numero maggiore di voxel, corrispondente ad un aumento del numero di righe e colonne della matrice immagine, ha delle notevoli implicazioni sulla qualità di immagine. Da una parte il miglioramento della
risoluzione spaziale renderà visibili elementi tissutali di dimensioni minori, dall’altra la suddivisione
dell’intensità del fascio radiogeno utilizzato in un numero maggiore di voxel, a parità di dose somministrata, ridurrà la dose incidente su ciascun voxel. Come conseguenza, il numero di fotoni distribuiti su
ciascun voxel diminuirà, e con essa la qualità delle informazioni che il metodo è in grado di derivare dai
tessuti. Ne deriva una riduzione del “rapporto segnale/rumore” ed una progressiva degradazione della
qualità delle immagini.
La tecnologia delle apparecchiature TC ha presentato nei decenni successivi un veloce progresso,
tramite l’ottimizzazione delle procedure di scansione. Dalla configurazione più semplice dell’apparecchiatura di Hounsfield, che presentava un tubo radiogeno ed un singolo detettore, si passò rapidamente negli anni ’80 ad una configurazione con una corona di detettori che venivano colpiti dal fascio di
18
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
radiazioni generato dal tubo; quest’ultimo, contrariamente all’apparecchio di Hounsfield, non “traslava”
ma ruotava. Queste modifiche sono state alla base delle cosiddette “generazioni” di apparecchiature TC,
che hanno presentato progressivi miglioramenti delle prestazioni, con riduzione dei tempi di scansione
e miglioramento della qualità delle immagini. Ma decisamente la più importante evoluzione “generazionale” delle apparecchiature TC è consistita nell’introduzione alla fine degli anni ’80 delle tecnologie
di scansione spirale e poi, negli anni ’90, nell’uso contemporaneo di più arrays di detettori, in quella
che viene definita MultiDetector CT (MDCT) o TC spirale multistrato.
L’avvento delle apparecchiature TC spirali multistrato ha migliorato le possibilità diagnostiche nella patologia encefalo-midollare. La formazione dell’immagine in TC spirale dipende da parametri di
scansione e di ricostruzione, che risultano determinanti nell’influenzare la qualità d’immagine risultante. Tra i vari parametri bisogna considerare la collimazione, l’avanzamento, il Pitch, il tempo di rotazione, il campo di vista (FOV), l’incremento di ricostruzione, lo spessore effettivo dello strato ed il filtro
di convoluzione.
Nella TC a singolo strato la collimazione è modulata dal collimatore che influenza l’ampiezza del
fascio di raggi X in modo da adattarne le dimensioni alla singola corona di detettori; nella TC multistrato la collimazione del fascio di raggi X dipende dall’ampiezza risultante dalla somma delle dimensioni
dei detettori delle varie corone presenti.
L’avanzamento rappresenta la velocità di scorrimento del tavolo durante la scansione, mentre il
pitch corrisponde all’avanzamento per rotazione in rapporto all’ampiezza dei detettori. Può essere espresso come pitch del singolo detettore o pitch del cono di raggi. Nel primo caso si ottiene un valore interpretabile solo conoscendo il numero di detettori utilizzati; nel secondo si ottiene un valore relativo al
campionamento dei dati sull’asse longitudinale. Il valore di pitch influenza in maniera notevole le immagini prodotte: un pitch inferiore consente di ottenere una maggiore qualità delle immagini ed una maggiore risoluzione spaziale ma necessita di un tempo di scansione più lungo (13).
Il tempo di rotazione è il tempo che il sistema rotante impiega per effettuare una rotazione di 360°.
La rapidità di tale rotazione consente una scansione più veloce ed una maggiore risoluzione temporale,
fondamentale nelle acquisizioni angiografiche e negli studi di perfusione.
Il campo di vista definisce la grandezza del segmento corporeo studiato, mentre la matrice rappresenta il numero di elementi di volume nei quali viene rappresentato l’organo in esame.
L’incremento di ricostruzione rappresenta la distanza tra due strati ricostruiti. Gli strati sono sovrapposti quando l’incremento di ricostruzione è inferiore allo spessore dello strato. Tale sovrapposizione
aumenta la risoluzione spaziale longitudinale minimizzando i cosiddetti artefatti a gradino.
La possibilità di variare lo spessore effettivo dello strato consente di effettuare scansioni con collimazioni molto sottili e ricostruire successivamente strati di spessore differente, superiore alla grandezza
del detettore (4).
Il filtro di convoluzione (Kernel) condiziona l’elaborazione delle informazioni invece della loro
acquisizione, e consiste in un algoritmo di ricostruzione che attenua o evidenzia la presenza di determinate caratteristiche dell’immagine.
Le tecnologie spirali hanno presentato evidenti miglioramenti tecnologici dalla loro introduzione
ad oggi; i miglioramenti più notevoli hanno portato all’aumento di velocità rotazionale e quindi ad una
migliore risoluzione temporale, ed all’impiego di collimazioni sottili con acquisizioni volumetriche este-
19
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
se. Man mano che è stato incrementato il numero di strati ottenibili (corone di detettori utilizzate) si è
progressivamente ridotto il tempo totale di scansione. Con le apparecchiature disponibili attualmente,
che utilizzano fino a 64 corone di detettori ed ottengono anche 64 strati per rotazione si è praticamente annullata l’influenza del tempo di scansione sul tempo totale di esame.
Anche altri fattori vanno considerati come caratteristici della tecnologia multistrato, tra i quali la
geometria conica del fascio di raggi X, l’aumentato calibro del tubo radiogeno, e la velocità del trasferimento dati dal sistema di rotazione ai buffer informatici che ne gestiscono i dati grezzi (4); una caratteristica generale delle acquisizioni multistrato consiste nel fatto che il momento cruciale dell’esame viene
spostato dall’acquisizione alla ricostruzione dell’immagine.
In definitiva la tecnologia spirale permette di acquisire dati tridimensionali di tipo volumetrico e di
ricostruire le immagini in punti arbitrari sull’asse longitudinale; in tal modo viene modificata la filosofia
stessa dell’imaging con TC da acquisizioni esclusivamente sul piano assiale ad acquisizioni volumetriche.
Nella tecnologia spirale, ed ancora di più nella tecnologia multistrato, vengono sostanzialmente separate le fasi di scansione e di elaborazione delle informazioni; in particolare la fase di ricostruzione diventa
il fulcro dell’esame, ed è stata resa particolarmente dinamica grazie anche alla velocità di elaborazione
dei dati da parte delle attuali stazioni informatiche, ma richiede una peculiare capacità dell’operatore di
elaborare i dati volumetrici.
La velocità dei computer attuali permette di gestire con facilità anche data-set di ampiezza molto
elevata, contenenti nel loro intento grandi quantità di immagini ad alta risoluzione.
L’introduzione nel 1998 della TC a 4 strati, ha permesso un notevole miglioramento per quel che
riguarda la risoluzione spaziale e temporale dell’esame, consentendo un’acquisizione 4 volte più veloce
rispetto alla TC a singolo strato. Con l’avvento delle TC a 16 o più strati si è riusciti ad ottenere non solo
un imaging isotropico di grandi volumi, quindi la creazione di immagini multiplanari con identica risoluzione spaziale su qualunque piano di ricostruzione, ma anche di ottenere informazioni dettagliate sulla vascolarizzazione intra ed extracranica e sulla perfusione cerebrale, attraverso elaborazioni
angiografiche e perfusionali. I dati angiografici ad elevata risoluzione ed i dati sulla perfusione cerebrale rappresentano probabilmente le principali applicazioni della TC multistrato in ambito neurologico.
1.
Angio-TC
L’Angio-TC rappresenta l’indagine più utilizzata nello studio degli aneurismi intracranici (15). Essa
rappresenta una metodica minimamente invasiva se si eccettua un piccolo bolo endovenoso di mezzo
di contrasto iodato, estremamente rapida (l’intera acquisizione dura circa 10 secondi), altamente sensibile (sensibilità del 97% per aneurismi >3 mm) (6) ed utilizzabile pertanto sia come indagine di screening
in pazienti asintomatici, sia in fase acuta in pazienti con emorragia subaracnoidea (ESA). Grazie alla possibilità di sottoporre le immagini ottenute dalle scansioni di base a programmi di post processing possono essere ottenute informazioni complementari, aggiuntive ed in molti casi sostitutive rispetto a quelle
dell’angiografia digitale. Prima dell’acquisizione del “volume” deve sempre essere effettuato il calcolo
del ritardo emodinamico per poter stabilire la dinamica del passaggio del mezzo di contrasto e dunque
per poter “catturare” il volume esaminato nella fase vascolare desiderata. Le scansioni assiali vengono
20
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
generalmente eseguite dal forame magno ad un piano sopraventricolare con un tempo di scansione di
circa 10 sec, previa somministrazione di un bolo (60-100 ml) di mezzo di contrasto. I dati ottenuti vengono trasferiti sulla work-station ed elaborati utilizzando i programmi di post-processing M.I.P., M.P.R.,
3D-Volume rendering ed endoscopia virtuale (3).
Le ricostruzioni M.I.P. (Maximum Intensity Projection) consentono di ottenere immagini molto
vicine a quelle dell’angiografia digitale, con una visione panoramica dell’aneurisma, del suo orientamento spaziale e del suo rapporto con i vasi adiacenti, tutti parametri fondamentali per un adeguato
planning preoperatorio. Inoltre è possibile separare il circolo vertebro-basilare dal circolo carotideo ed
effettuare delle misurazioni metriche assolute dell’aneurisma e del suo colletto.
L’elaborazione definita MPR (Multi Planar Reconstruction) consente di ricostruire il volume di dati
secondo piani scelti dall’operatore, virtualmente lungo qualsiasi direzione dello spazio, per poter dissociare in maniera ottimale gli aneurismi dalle strutture vascolari contigue.
Le ricostruzioni 3D consentono di valutare il rapporto dell’aneurisma con le strutture ossee adiacenti, per la scelta dell’approccio chirurgico più adeguato e di simulare l’approccio stesso (9, 12, 16), valutando preventivamente le difficoltà ed i rischi correlati alla sede anatomica della malformazione. Limiti
di tale post-processing sono gli aneurismi di piccole dimensioni (<3 mm) che possono essere misconosciuti
o gli aneurismi del tratto infraclinoideo a causa dello stretto rapporto con le strutture ossee.
L’elaborazione M.P.R. sui tre piani ortogonali, integrata con ricostruzioni curvilinee (C.P.R.) è indispensabile nello studio degli aneurismi del tratto intracavernoso del sifone carotideo, limite fondamentale degli altri processi di elaborazione. La visualizzazione e la misurazione degli aneurismi e del loro colletto
in questo distretto appare fondamentale per il planning per il posizionamento di protesi endovascolari.
L’endoscopia virtuale consente lo studio del vaso d’origine, del colletto e della sacca aneurismatica dall’interno permettendo una “navigazione” del lume vascolare.
L’accuratezza diagnostica dell’angio TC nello studio della patologia aneurismatica è stata valutata
per le apparecchiature spirali a singolo strato che presentano una sensibilità dal 61 al 100% ed una specificità che va dal 74 al 100%. Le percentuali di sensibilità e specificità più basse evidenziate in letteratura sono relative alla diagnosi degli aneurismi di diametro inferiore ai 3 mm. L’avvento di apparecchiature
TC spirali multistrato ha permesso di ottenere acquisizioni dinamiche in di un intero volume in fase
angiografica ed immagini con una più alta risoluzione grazie all’acquisizione di immagini isotropiche. Di
conseguenza tali apparecchiature presentano una maggiore accuratezza diagnostica rispetto alla TC a singolo strato nella diagnosi di aneurismi con diametro superiore ai 3 mm, ed hanno un potere di risoluzione lievemente inferiore all’angiografia digitale negli aneurismi di diametro inferiore ai 2 mm.
2.
TC di Perfusione
La valutazione della perfusione cerebrale è stata a lungo appannaggio della medicina nucleare con
la Tomografia Computerizzata ad Emissione di Fotone Singolo (SPECT) e la Tomografia ad Emissione
Positronica (PET).
Con l’avvento delle tecniche funzionali in Risonanza Magnetica si è assistito ad un’ampia diffusione dello studio della perfusione cerebrale nella sperimentazione clinica e ad un ulteriore approfon-
21
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
dimento degli aspetti fisiopatologici dell’ischemia cerebrale. Tuttavia gli studi funzionali in RM hanno
avuto una diffusione, che pur essendo notevole ed in crescita negli anni, non ha raggiunto la distribuzione capillare degli studi TC, soprattutto nelle situazioni d’emergenza. Grazie alla progressiva affermazione della TC spirale si è, infatti, aperta la possibilità di effettuare con la TC studi dinamici della
perfusione cerebrale con elevata risoluzione temporale, applicabili anche in pazienti critici, con il vantaggio di evitare il ricorso ad esami supplementari.
La TC dinamica per gli studi perfusionali prevede l’iniezione di un bolo di mezzo di contrasto iodato (in genere 50 ml a concentrazione di 300mg/ml) in vena, con iniettore a flusso costante (in genere 10
ml/sec). Contemporaneamente alla somministrazione del m.d.c vengono effettuate in rotazione continua almeno 40 scansioni volumetriche ripetute nel tempo, per un tempo totale di acquisizione di 40
secondi (o più elevato proporzionalmente al numero di volumi acquisiti).
Le sequenze di immagini, ottenute alla TC, vengono trasferite ad un personal computer ed analizzate in post-processing utilizzando un software dedicato, per ricavare immagini dipendenti dai 4 parametri fondamentali della perfusione cerebrale:
–
MTT (Mean Transit Time): rappresenta il tempo medio di transito del passaggio arteria-vena.
–
TTP (Time To Peak): rappresenta il tempo che intercorre tra l’iniezione del m.d.c. ed il momento in
cui il contrasto raggiunge il massimo livello nella ragione di interesse (ROI).
–
CBF (Cerebral Blood Flow), il flusso sanguigno cerebrale espresso in millilitri per 100 grammi di
tessuto cerebrale al minuto.
–
CBV (Cerebral Blood Volume), il volume ematico cerebrale per unità di massa cerebrale, espresso
come frazione percentuale.
Per tutti questi indici vengono generate delle corrispondenti mappe parametriche che consentono
un esame visivo della distribuzione del parametro all’interno del cervello.
Tali mappe rappresentano immagini funzionali del cervello in cui ogni pixel rappresenta un valore che deriva dall’applicazione di una funzione matematica complessa alla curva densità/tempo.
Quando alla mappa appare evidente un deficit di perfusione, l’area interessata può essere valutata
in maniera più analitica collocando in essa una ROI (regione di interesse) che consente di leggere i valori numerici dei parametri studiati. I valori ricavati dalla ROI possono poi venire confrontati con i valori
di una seconda ROI posizionata in posizione corrispondente sull’emisfero controlaterale per ottenere
importanti informazioni sull’emodinamica microcircolatoria del paziente.
È ad esempio possibile leggere i singoli eventi fisiopatologici che si susseguono nella patologia ischemica. In una prima fase degli eventi ischemici cerebrali vengono messi in atto meccanismi di compenso
con vasodilatazione capillare. Per effetto di questi meccanismi il CBV rimane invariato o può anche essere aumentato in rapporto alla diminuzione del CBF. Quando il meccanismo di autoregolazione, invece,
non riesce più a compensare la riduzione del CBF, a causa di un aggravamento dell’ischemia o di un’inattivazione dei meccanismi di compenso, anche il CBV diminuirà. Perciò analisi simultanee del CBF e
del CBV, attraverso le informazioni della TC di perfusione, sono utili per valutare la gravità e la progressione di un’ischemia ed il volume di tessuto cerebrale danneggiato in modo irreversibile in maniera da
produrre una valutazione prognostica di un attacco ischemico (8, 14).
La perfusione del tessuto cerebrale normale è mantenuta all’interno di uno stretto range attraverso i meccanismi di autoregolazione della vascolarizzazione cerebrale.
22
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
La normale circolazione sanguigna (CBF) è di circa 50-60 ml/100 gr/min. Nel caso di occlusione di
un’arteria quale la cerebrale media, la sopravvivenza del tessuto cerebrale colpito dipende dal rifornimento ematico fornito dai sistemi anastomotici, ed in particolare le anastomosi leptomeningee.
Sulla base di studi animali sono stati suggeriti tre stadi di compromissione del tessuto cerebrale in
progressione verso la necrosi ischemica (1, 11).
I fase – Se il flusso ematico cerebrale si riduce fino ad una velocità di 35 ml/100 g/min (approssimativamente il 50-60% del flusso normale) la sintesi proteica dei neuroni cessa completamente (10). In
questo stadio il tessuto può sopravvivere anche in condizioni di ridotto apporto ematico.
II fase – con un valore di CBF intorno ai 20 ml/100 g/min la trasmissione sinaptica tra neuroni è disturbata, ciò porta alla perdita di funzioni di neuroni ancora vitali. Il tessuto cerebrale in queste condizioni
di vascolarizzazione è già danneggiato, dapprima, reversibilmente ed è pertanto definito a rischio.
III fase – con un CBF di 10 ml/100 g/min avviene la morte cellulare irreversibile (2). Anche in questa fase, tuttavia, la riperfusione del tessuto a rischio entro 3 ore può portare al recupero di una porzione di tessuto cerebrale ed alla rigenerazione di funzioni neuronali (5, 7, 17) (figure 1, 2 e 3).
FIGURA 1
A
B
C
Esame TC senza somministrazione di contrasto che documenta l’evoluzione di un accidente vascolare in fase
iperacuta. Nell’immagine (A), eseguita a 3 ore dall’insorgenza della sintomatologia ictale, si rileva soltanto
una sfumata ipodensità, appena percepibile, a carico del territorio dell’arteria cerebrale media di sinistra.
Nell’immagine (B) e nell’immagine (C), ottenute rispettivamente a 24 e 48 ore dall’insorgenza della
sintomatologia, mostrano un’accentuazione dell’ipodensità nel territorio della cerebrale media
ed un’estensione dell’area interessata.
23
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 2
Esame TC senza contrasto, in paziente con ischemia di recente insorgenza (24h).
Si documenta un’iperdensità dell’arteria cerebrale media di sinistra, che rappresenta un segno precoce
dell’ischemia, associato ad ipodensità del territorio di distribuzione della stessa arteria.
FIGURA 3
Esame TC senza contrasto che documenta una estesa raccolta ematica intraparenchimale temporale
sinistra ed una raccolta subdurale dello stesso lato. Si associa un alone ipodenso da edema
ed un marcato effetto massa che disloca controlateralmente le strutture della linea mediana.
24
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
3.
Risonanza Magnetica
Oltre alla trasparenza ai raggi X esiste una seconda finestra di trasparenza alle radiazioni elettro-
magnetiche, che vede i tessuti trasparenti alle onde in radiofrequenza, caratterizzate da una frequenza di
oscillazione dell’ordine dei milioni di cicli al secondo (MHz), e presenta vantaggi e svantaggi correlati alla
maggiore lunghezza d’onda delle radiazioni in radiofrequenza in confronto alle radiazioni X.
Il principale vantaggio consiste nel fatto che a lunghezza d’onda più elevata si riduce notevolmente
la quantità di energia associata alla radiazione, per cui le radiazioni utilizzate non producono fenomeni
di ionizzazione, e pertanto la loro interazione con i tessuti biologici è molto meno dannosa di quella
caratteristica delle radiazioni X.
Il principale svantaggio, d’altra parte, è rappresentato dall’impossibilità di produrre immagini
proiettive: la lunghezza d’onda di questo tipo di radiazione è troppo grande (da qualche centimetro in
su, in relazione con la frequenza) per fornire un qualunque dettaglio anatomico delle strutture organiche con una metodica proiettiva. Questa rappresenta una limitazione fisica invalicabile, e preclude anche
lo sviluppo di metodiche tomografiche di concezione simile alla TC che utilizzino proiezioni elementari per costruire la “matrice immagine”.
L’utilizzazione delle onde di radiofrequenza in diagnostica ha dovuto, perciò, utilizzare principi
completamente nuovi, che nel 1946 diedero vita a due esperimenti svolti indipendentemente dal gruppo di Bloch a Stanford e da quello di Purcell ad Harvard: entrambi furono insigniti del Nobel per la fisica, ma furono in grado di ricavare soltanto segnali “monodimensionali” da campioni “in vitro”.
Dovevano invece trascorrere quasi 30 anni prima che gli esperimenti di Bloch e Purcell fossero estesi
alla generazione di immagini “bidimensionali” da Lauterbur, anch’egli laureato con il premio Nobel nel
2003. Agli esperimenti di Lauterbur, effettuati su campioni in vitro nel 1973 e su animali da esperimento nel 1974, può essere riferita la nascita della Risonanza Magnetica per immagini (RM), quale viene
generalmente utilizzata in Neuroradiologia.
Nei due decenni intercorsi dalla sua nascita, la RM ha presentato una rapidissima evoluzione derivante da una parte dall’avanzamento delle conoscenze fisiche e dall’altra dallo sviluppo di strumenti
tecnologici sempre più perfezionati, tanto da diventare oggi il principale strumento della diagnostica
neuroradiologica.
3.1 Premesse fisiche
Per comprendere i principi basilari di Risonanza Magnetica sono indispensabili alcune premesse fisiche relative allo studio dei nuclei atomici e dei campi elettromagnetici. Il nucleo atomico è il luogo principale dell’interazione tra onde elettromagnetiche e sistemi biologici sfruttata dalla Risonanza Magnetica.
Ad un primo livello di complessità il nucleo atomico appare composto da “nucleoni”, differenziabili in
protoni (carica positiva) e neutroni (non carichi elettricamente), entrambi con massa convenzionalmente unitaria. Oltre alla carica ed alla massa, i nuclei atomici possiedono una terza caratteristica, definita
“spin”, descrittiva delle proprietà “rotazionali” dei nucleoni. Sia i protoni che i neutroni possiedono un
movimento rotatorio attorno ad un proprio asse, associato ad un piccolo campo magnetico generato dalla presenza di cariche elettriche subnucleoniche in moto rotazionale.
I campi magnetici o “momenti magnetici” delle singole particelle subnucleari tendono a bilanciarsi
25
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
ed annullarsi reciprocamente: perciò un Momento Magnetico Nucleare (MMN) netto, associato ad un
valore di spin diverso da zero, sarà prodotto dalla presenza di un numero dispari di nucleoni. Un valore di spin diverso da zero costituisce, a sua volta, la base necessaria delle interazioni nucleari con i campi magnetici esterni e con le radiazioni elettromagnetiche, sulle quali si sviluppa la fisica della Risonanza
Magnetica nucleare.
Il MMN possiede caratteristiche vettoriali di intensità e di direzione. In assenza di un campo magnetico esterno applicato, la direzione del vettore è casuale. La situazione cambia radicalmente se si immerge il sistema fisico all’interno di un campo magnetico: in questo caso i vettori magnetizzazione nucleare
tendono ad orientarsi secondo il vettore campo magnetico applicato (per convenzione definito Bo). Il
tipo di orientamento è un fenomeno “quantico”, può cioè esistere soltanto in “stati” ben determinati e
non nelle transizioni tra essi. Il numero di tali stati ed il loro effettivo orientamento dipende da un parametro caratteristico di ogni nucleo, definito “numero quantico di spin” (S): il numero totale di stati (s) è
dato dal doppio del valore numerico di S maggiorato di 1 (2S + 1). Per il nucleo più importante nel panorama attuale della RM, il nucleo di idrogeno (costituito da un solo protone), il numero quantico di spin è
1/2 ed il numero totale di stati è quindi 2. Questo vuol dire che esistono due possibili orientamenti degli
spin protonici, con verso parallelo (+1/2, a bassa energia) o antiparallelo (-1/2, ad alta energia) al Bo.
In realtà l’orientamento vettoriale costituisce un argomento importantissimo nel bilancio energetico delle interazioni RM. Le dinamiche energetiche RM hanno sui due gruppi di nuclei orientati nei
due possibili orientamenti paralleli ed antiparalleli al Bo effetti diametralmente opposti che si annullano reciprocamente. Gli effetti visibili ad un osservatore esterno di tutte le interazioni energetiche che si
sviluppano nel sistema fisico, sono in realtà gli effetti che si manifestano nei nuclei che risultano dalla
differenza netta tra i due gruppi, denominata frazione di polarizzazione (P), che consiste in un piccolo
numero (singole unità per milione) di spin nucleari a bassa energia (paralleli al Bo).
Anche se in un sistema fisico esiste un’abbondanza naturale estrema degli isotopi di un elemento
studiato, l’interazione energetica sfruttabile in RM avviene soltanto nei confronti della frazione di polarizzazione. La polarizzazione è un elemento dipendente linearmente dall’intensità di campo magnetico
Bo applicato. Si può considerare che la corsa tecnologica degli ultimi decenni alla produzione di apparecchiature operanti con campi magnetici sempre più elevati sia essenzialmente giustificata dal solo
miglioramento del parametro P: infatti per valori crescenti di P si producono quantità linearmente crescenti di interazioni energetiche efficaci e, di conseguenza, un aumento lineare del segnale RM a parità
di rumore. Il valore di P è, in realtà, un valore dinamico, risultante dall’equilibrio (detto equilibrio termico) tra le transizioni nucleari tra i due stati energetici, e viene definita Polarizzazione o Magnetizzazione all’equilibrio.
3.2 Dinamiche di interazione energetica
Focalizziamo d’ora in poi l’attenzione per semplicità sul solo gruppo di spin nucleari paralleli al Bo
al netto della polarizzazione, e consideriamo i singoli vettori di magnetizzazione nucleare (MN) come
riuniti in un solo vettore BMN unitario. La definizione di “parallelismo” di MN al Bo pecca, in realtà, di
eccessiva semplificazione: si tratta, infatti, di un’astrazione statica di un complesso processo dinamico.
La condizione reale vede, invece, MN ruotare, o in linguaggio tecnico “precedere”, attorno al Bo, descrivendo una conica attorno al vettore campo.
26
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
La precessione di MN attorno a Bo non avviene ad una frequenza casuale: il valore della frequenza
di precessione dipende da due parametri fisici ben determinati: il modulo di Bo ed il tipo di nucleo interessato. Quest’ultimo determina il valore della costante di proporzionalità tra v (frequenza di precessione) e Bo, definita “rapporto giromagnetico” o γ. Il valore di v viene definito frequenza di Larmor (L) e
costituisce una frequenza privilegiata di interazione energetica del sistema fisico con l’energia in radiofrequenza somministrata.
Questo fenomeno non è ovviamente casuale: la coincidenza della frequenza di precessione degli
spin con la frequenza della radiazione utilizzata per stimolare il sistema permette di porre il sistema di
spin e la radiazione di stimolazione in concordanza di fase stabile e ne giustifica la facilità di interazione
energetica.
La situazione di concordanza di fase consente ad ogni componente ondulatoria della radiazione
incidente di ritrovare il sistema di spin orbitanti esattamente nella stessa posizione spaziale posseduta dal
sistema durante l’interazione con la componente ondulatoria precedente. In tal modo gli effetti della
radiazione incidente sul sistema di spin risultano additivi nel tempo e, ad un tempo T dall’inizio dell’irraggiamento, l’effetto globale risulterà dalla sommatoria dei singoli microeffetti nel tempo. Questo
consente ad un’interazione energetica relativamente debole, come quella tra i sistemi magnetici nucleari e le radiazioni elettromagnetiche incidenti, di vincere il momento magnetico di Bo e di allontanare
progressivamente il sistema di spin dalla condizione di parallelismo, che corrisponde energeticamente ad
una condizione favorita di bassa energia potenziale.
In definitiva, l’irradiazione con energia elettromagnetica a frequenza v viene assorbita dal sistema
di spin e convertita in energia potenziale mediante l’allontanamento del vettore MN dal Bo con l’ampliamento progressivo dell’angolo della conica di precessione. L’entità di tale ampliamento dipende dalla quantità di energia assorbita dal sistema. Per semplicità esamineremo gli effetti dinamici prodotti
dall’allontanamento dei due vettori di 90° l’uno dall’altro, che corrisponde ad una degenerazione geometrica della conica in un cerchio. Il cerchio prodotto giacerà su di un piano perpendicolare rispetto al
vettore Bo. Il piano viene per convenzione definito piano x,y.
3.3 Il ritorno all’equilibrio energetico - il rilassamento T1
La condizione di ribaltamento del vettore MN sul piano x,y deve considerarsi una condizione instabile ad alta energia potenziale. Nell’istante successivo alla cessazione della somministrazione di energia in radiofrequenza (RF) il sistema tende subito a recuperare la condizione di equilibrio a bassa energia
potenziale mediante il recupero dell’allineamento con il vettore z. Il processo di riallineamento viene
definito rilassamento e costituisce il cardine fondamentale di tutti i processi energetici visibili in RM.
Durante il rilassamento, l’energia potenziale accumulata viene ceduta progressivamente all’ambiente, ma durante questo processo il sistema è in grado di indurre una differenza di potenziale tempovariante (un segnale elettrico) in una bobina di ricezione opportunamente posizionata. Di nuovo la
frequenza del segnale indotto coincide con la frequenza di precessione del vettore magnetizzazione
nucleare (v). La condizione di parallelismo al Bo, definita magnetizzazione longitudinale all’equilibrio,
non è in grado di generare alcun segnale RF. L’unico elemento visibile in RM è la componente ortogonale al Bo: il sistema indurrà un segnale RF rilevabile solo finché saranno presenti componenti della
magnetizzazione sul piano trasverso x,y.
27
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Come già il trasferimento di energia al sistema di spin, anche la cessione di energia durante il rilassamento non segue una legge lineare ma una curva complessa. Per avere una misura quantitativa del processo di rilassamento si sono individuati due parametri fondamentali di rilassamento, denominati T1 e T2.
La misura dei parametri di rilassamento avviene per convenzione in base alle caratteristiche temporali del processo, ed i valori di T1 e T2 sono misurati in unità di tempo (millisecondi).
Sempre per convenzione il T1 costituisce il tempo in millisecondi necessario perché la proiezione del vettore magnetizzazione nucleare sul vettore campo principale recuperi 2/3 della sua
proiezione totale.
Il recupero della componente longitudinale della magnetizzazione corrisponde alla cessione dell’energia assorbita dal sistema di spin durante il processo di eccitazione. Il processo di restituzione dell’energia da parte del sistema di spin, viene facilitato dalle interazioni elettromagnetiche con l’ambiente,
al quale l’energia in eccesso viene ceduta. Nell’ambiente le molecole sono in moto “browniano” casuale, di tipo rotazionale e traslazionale, e per la presenza di cariche elettriche al loro interno, e per il loro
movimento, le molecole generano dei campi magnetici microscopici. Data la natura disordinata del
movimento, questi campi non sono associati ad un singolo valore di frequenza ma generano un vasto
insieme di frequenze: la componente alla frequenza di Larmor, però, è in grado di interagire con il sistema di spin (interazione spin-lattice o spin-reticolo), fenomeno responsabile per gran parte del rilassamento T1. La distribuzione di frequenze di un determinato tipo di molecole è in rapporto con la
frequenza del moto browniano rotazionale, a sua volta in rapporto con il diametro molecolare. Le molecole che presentano un moto rotazionale più vicino alla frequenza di Larmor sono quelle di medie
dimensioni, come quelle lipidiche, ed, in effetti, i tessuti adiposi presentano un rilassamento T1 particolarmente veloce. Le molecole più piccole, come quelle d’acqua, presentano un moto di rotazione troppo veloce per un’interazione energetica efficiente alla frequenza di Larmor, mentre le macromolecole
proteiche ruotano troppo lentamente. Nelle condizioni di un sistema biologico cellulare, composto per
gran parte da molecole d’acqua e da macromolecole, il rilassamento T1 dovrebbe essere particolarmente lento ed avvicinarsi a quello lunghissimo (circa 3 secondi) presente nell’acqua pura. Invece i risultati
sperimentali sono molto diversi, e mostrano un rilassamento TI degli ambienti cellulari piuttosto veloce. Per spiegare questa situazione si pensa che nelle cellule sia presente una compartimentalizzazione dinamica delle molecole d’acqua, con la formazione di “layers” di idratazione delle macromolecole proteiche,
tra i quali si svolga un interscambio veloce di molecole d’acqua fino a raggiungere un equilibrio dinamico. Le molecole d’acqua dei layers più vicini alle macromolecole tenderanno a rallentare notevolmente il loro moto di rotazione browniana fino ad avvicinarsi alla frequenza di Larmor, e diventeranno
capaci di interagire efficacemente con gli spin protonici eccitati.
3.4 Il rilassamento T2
Il rilassamento T2, o rilassamento trasversale, rappresenta invece il processo di annullamento della componente proiettiva della magnetizzazione sul piano trasverso. Il tempo di rilassamento T2 è
per definizione il tempo necessario perché la proiezione di BMN su x,y perda i 2/3 della proiezione totale a sistema completamente ribaltato.
Il T2 rappresenta un processo di rilassamento energeticamente differente e separato dal rilassamento
TI. In questo processo non avviene trasferimento di energia dal sistema di spin all’ambiente (lattice, reti-
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DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
colo) ma piuttosto all’interno dello stesso sistema di spin: per un nucleo, cioè, che perde energia ci sono
nuclei vicini che l’assorbono. La magnetizzazione trasversa viene persa perché le interazioni reciproche
all’interno del sistema di spin determinano una perdita di coerenza di fase dei singoli spin.
L’accoppiamento spin-spin, caratteristico del rilassamento T2, viene facilitato dalla presenza di disomogeneità del campo magnetico “effettivo” regionale, nel quale il valore del campo magnetico Bo viene modificato lievemente (parti per milione) dai campi magnetici prodotti dal tessuto in esame.
Caratteristica del rilassamento T2 è, inoltre, di essere più efficiente per quanto più lenta è la componente rotazionale del moto molecolare browniano, indipendentemente dal valore della frequenza di
Larmor. In questo modo diventano determinanti importantissimi nel rilassamento T2 le macromolecole
ed i layers di idratazione più interni. In generale il rilassamento T2 è sempre più veloce del rilassamento T1: il valore di T1 costituisce il “limite superiore” del T2 e nei tessuti biologici il T2 è di quasi un ordine di grandezza più piccolo del T1.
La descrizione precedente del rilassamento T2 in realtà associa due fenomeni coesistenti: da una
parte c’è la perdita di “coerenza di fase”, indotta dall’interazione energetica per accoppiamento spinspin, dall’altra questo fenomeno viene accelerato notevolmente dalle disomogeneità costanti di campo
magnetico locale. Al primo fenomeno viene attribuito il nome di T2 puro, ed al secondo T2* (T2 “star”),
che risulta sempre minore o uguale al T2.
3.5 Generazione del segnale RM
Il segnale RM o “eco” è costituito dall’energia in radiofrequenza rilevabile dal sistema fisico durante il processo di rilassamento. La forma d’onda sinusoidale rilevabile dal sistema risulta modulata in una
convoluzione governata dalle dinamiche dei processi di rilassamento: ne risulta una convoluzione complessa, che viene denominata FID (Free Induction Decay), al cui interno sono contenute informazioni
riguardanti le dimensioni quantitative del sistema risonante di spin protonici ed elementi distintivi dei
processi di rilassamento.
In realtà la quantità di spin che partecipa al processo e le dinamiche di rilassamento sono le principali variabili che determinano il valore del segnale RM generato dal sistema.
Il formalismo matematico che lega le variabili al valore del segnale è differente per le varie sequenze di acquisizione. In una sequenza classica, denominata SpinEcho, il segnale I è dato da:
I = k H · (1 - e-TR/TI) · (e-TE/T2)
Al secondo termine dell’espressione trovano posto un termine lineare che descrive la dipendenza
lineare dell’intensità di segnale dalla concentrazione protonica (Densità Protonica = DP), e due termini
esponenziali, che rappresentano l’interazione tra i parametri di rilassamento ed i parametri di sequenza
scelti dall’operatore e denominati tempo di ripetizione TR e tempo di eco TE. In particolare è facile notare come l’aumento del T1 diminuisce il valore della parentesi, mentre al contrario un aumento del T2
corrisponde ad un aumento del termine in parentesi che lo descrive. Quindi ai tessuti che possiedono T1
più elevati corrispondono valori di segnale più bassi, mentre ai tessuti che possiedono T2 più elevati
corrispondono valori di segnale più alti. Altrettanto importanti appaiono immediatamente i “parametri
di sequenza” TR e TE. Ad un aumento del TR corrisponde un aumento di valore della prima parentesi,
mentre ad un aumento di valore del TE corrisponde una riduzione della seconda parentesi.
29
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Quindi l’aumento del TR determina un aumento di segnale mentre un aumento di TE determina
una riduzione di segnale. La variazione di TR e TE costituisce il modo principale a disposizione dell’operatore per variare il segnale ricevuto dal sistema in esame. In particolare, se le “sequenze di acquisizione” operano con TR numericamente piccoli saranno particolarmente sensibili a variazioni del T1,
mentre con TR lunghi si accentua la sensibilità alle variazioni di T2. La valutazione selettiva delle variazioni di T2 avviene, inoltre, mediante un’accurata scelta dei valori di TE della sequenza: per TE lunghi
la sequenza risulta molto sensibile al T2, mentre per TE brevi aumenta progressivamente la sensibilità alle
variazioni della concentrazione protonica. I valori di T2 rilevati mediante la lettura del FID sono in realtà valori di T2*; per rilevare il T2 puro bisogna utilizzare un accorgimento che permette di individuare
le sole variazioni di coerenza di fase indotte dall’interazione spin-spin, ottenendo quello che viene definito eco di spin o “spin-eco”.
Per ottenere un eco di spin depurato dalle componenti di rilassamento trasversale (perdita di
coerenza di fase) indotte dalle macro-disomogeneità di campo magnetico locale, viene applicato un
secondo impulso di radiofrequenza, questa volta non al sistema in fase di “riposo” all’equilibrio, ma nel
momento in cui la magnetizzazione è ancora ribaltata sul piano x,y. Questo nuovo impulso avrà un contenuto energetico doppio rispetto all’impulso iniziale che induce il ribaltamento a 90° sul piano x,y, in
quanto dovrà possedere entità (intensità e tempo) sufficiente a determinare un ribaltamento di 180°
lungo l’asse y del piano x,y dei singoli BMN (vettori di magnetizzazione nucleare).
Il ribaltamento lungo y ha l’effetto di controbilanciare la perdita di coerenza di fase indotta da
macrodisomogeneità magnetiche locali, in quanto nell’emipiano ribaltato gli spin più “lenti” anticipano i più veloci nella direzione della precessione. Dopo un tempo TE/2 dall’impulso a 180°, corrispondente esattamente al tempo trascorso tra la somministrazione dell’impulso a 90° e l’impulso a 180°, la
componente “rifasabile” della perdita di coerenza di fase viene completamente rifasata. Quindi, al tempo TE si ottiene il massimo di coerenza di fase, ed è possibile leggere il segnale dell’eco.
3.5 Campi magnetici a gradiente
Il funzionamento della RM come è stato fin qui delineato non è in grado di produrre immagini.
Infatti tutti i tessuti biologici all’interno del magnete sperimentano lo stesso campo magnetico statico
(Bo) vengono eccitati dagli stessi impulsi di RF ed emettono FID simultanei alla cessazione della stimolazione. Manca una condizione determinante per l’imaging: la possibilità di distinguere elementi tissutali sulla base della loro posizione spaziale. Se funzionasse come l’abbiamo descritta la RM avrebbe
risoluzione spaziale nulla; ed, in effetti, le modalità di funzionamento descritte sono quelle della spettroscopia RM, metodica analitica adatta a studiare la composizione tissutale ma priva di risoluzione anatomica.
Per acquisire risoluzione spaziale, la Risonanza deve far ricorso ad un espediente aggiuntivo, denominato campo magnetico a gradiente, o, più semplicemente, gradiente. Il termine gradiente significa che
si tratta di un campo magnetico non uniforme nello spazio, che presenta una variazione secondo una
determinata direzione. Se, ad esempio, il campo magnetico a gradiente varia linearmente nello spazio
secondo la coordinata cartesiana x, due elementi di volume (voxel) del tessuto in esame aventi diversa
proiezione sull’asse delle x sperimenterebbero un campo magnetico differente, e sarebbero caratterizzati
da una frequenza di risonanza diversa.
30
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
Le due frequenze verrebbero percepite insieme, “sovrapposte” dall’antenna esterna, e potrebbero
poi essere separate mediante uno strumento matematico denominato trasformata di Fourier, in grado di
riportare le informazioni dal dominio temporale (FID) ad un dominio specifico delle frequenze generato dalla trasformazione.
Nel caso reale, un gradiente lungo la direzione dello spazio coincidente con il Bo (per convenzione l’asse z), Gz, viene utilizzato per la selezione di strato: il Gz crea una disomogeneità magnetica perpendicolare alla sezione in esame e gli impulsi di RF, caratterizzati da un profilo in frequenza (ampiezza
di banda) ben determinato, interagiscono selettivamente soltanto con i protoni della sezione nella quale la frequenza di Larmor modulata dal Gz coincide con la frequenza dell’impulso RF.
Lungo una seconda direzione dello spazio (x o y) la localizzazione spaziale viene ottenuta tramite
la separazione in frequenza degli echi derivanti da ogni localizzazione spaziale, e poi le frequenze sovrapposte vengono deconvolute tramite la trasformazione di Fourier.
Quindi, la selezione spaziale lungo due direzioni dello spazio (x e z) viene effettuata mediante una
“codifica di frequenza”, rendendo cioè disomogenei in frequenza i punti dello spazio lungo queste direzioni mediante l’applicazione dei rispettivi gradienti di campo magnetico. Nella più diffusa modalità di
localizzazione spaziale per RM, denominata imaging “spin-warp” o 2DFT (trasformazione di Fourier bidimensionale), la terza direzione dello spazio (y) rispetto alla sezione analizzata viene interessata dall’applicazione di un terzo gradiente Gy, ma questo gradiente viene utilizzato per un processo denominato
“codifica di fase”. Il gradiente Gy viene applicato per un intervallo di tempo e poi viene spento. Durante il periodo di accensione del gradiente si crea una disomogeneità magnetica controllata lungo y che si
traduce in una differente frequenza di precessione nei voxel lungo y. Allo spegnimento del gradiente,
invece, le frequenze di precessione ritornano uguali lungo y, ma il sistema conserva “memoria” della
precedente disomogeneità nelle frequenze di precessione, perché le differenti velocità di precessione
hanno determinato una differente posizione spaziale degli spin nel piano x,y rispetto alla “rotating frame” di riferimento, che viene denominata fase. Quindi, anche allo spegnimento del Gy le disomogeneità di fase permangono e non sono modificate da successive applicazioni del Gx.
L’applicazione del gradiente determina una variazione lineare della fase lungo y e divide la sezione
esaminata in una serie di righe con fase differente. Il processo di codifica di fase deve poi essere ripetuto
tante volte quante sono le righe di dati da acquisire, divenendo perciò l’elemento più importante per
determinare la durata di acquisizione d’immagine in RM insieme con il tempo di ripetizione TR ed il
numero di successivi campionamenti del segnale. I dati relativi alla sezione in esame vengono rappresentati in una “matrice dati” composta da un numero Nx di dati lungo l’asse delle x di codifica di frequenza, per un numero Ny di dati lungo l’asse y di codifica di fase. Questa matrice dati viene
convenzionalmente chiamata “spazio k” e viene tradotta in immagine dalla trasformata di Fourier bidimensionale (2DFT).
3.6 Acquisizione dei dati RM
In RM i dati necessari per la costruzione di un’immagine relativa ad una sezione anatomica vengono ricavati mediante un meccanismo, denominato “sequenza di acquisizione”, che rappresenta la
successione di eventi che si svolgono durante l’acquisizione. I costituenti della sequenza di acquisizione sono gli impulsi di RF somministrati al sistema, l’attivazione dei singoli gradienti di campo magne-
31
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
tico con le relative caratteristiche di temporizzazione e di intensità, e la rilevazione del segnale di risonanza, denominato eco. La catena di questi eventi viene generalmente rappresentata graficamente
mediante la sovrapposizione di cinque diagrammi cartesiani che raffigurano in ascisse il tempo ed in
ordinate le caratteristiche di intensità dei singoli eventi.
È utile a scopo semplificativo dividere questa catena di eventi in quattro periodi successivi.
Nel primo periodo viene applicato alla sezione in esame l’impulso di RF a 90°, cioè modulato in
ampiezza in maniera tale da produrre un ribaltamento del vettore BMN sul piano trasverso, “eccitando
il sistema” e creando la “magnetizzazione trasversale”. Contemporaneamente l’attivazione di Gz (gradiente di selezione di strato) confina gli effetti dell’impulso di RF alla sezione in esame.
Nel secondo periodo il gradiente Gz, attivato in precedenza, viene “invertito” per riportare in fase
gli spin sfasati dalla precedente attivazione. Infatti un principio cardine delle sequenze RM è che ogni
volta che venga attivato un gradiente si genera necessariamente una dispersione di fase; se questa non
è specificamente desiderata deve essere corretta, ed il modo più semplice di correggerla consiste nell’attivazione dello stesso gradiente con la stessa intensità e durata, ma a polarità invertita. Contemporaneamente viene attivato il gradiente di codifica di fase (Gy) con un valore massimo di intensità che
decresce progressivamente ad ogni ripetizione (TR) per creare le differenze di fase lungo y.
Nel terzo periodo, ad un intervallo preciso dall’applicazione dell’impulso RF a 90°, viene inviato un
secondo impulso RF a 180° per ribaltare nel piano x,y la magnetizzazione trasversale, compensando la
“dispersione” di fase degli spin indotta dalle micro-disomogeneità di campo magnetico. L’intervallo dal
primo impulso deve corrispondere esattamente alla metà del tempo di eco per produrre i migliori effetti di rifasamento.
Nel quarto periodo, insieme con la rilevazione del segnale (tempo di eco) viene attivato il gradiente di codifica di frequenza che determina la corrispondenza tra punti lungo x della sezione in esame e singoli valori di frequenza.
4.
Principali sequenze di acquisizione in RM
4.1 Sequenze Spin-Echo
Sono nate nel 1950 (Hahn) per uso spettroscopico, sono state le prime sequenze di acquisizione ad
essere perfezionate per l’imaging RM e sono ancora tra le sequenze più utilizzate, insieme con le sequenze Fast Spin-Echo, che possono essere considerate derivate dallo schema Spin-Echo (SE). I motivi della
predilezione accordata alla sequenza SE consistono nella semplicità di realizzazione e nella estrema versatilità dell’impiego, dal momento che è in grado di produrre informazioni relative a tutti i principali
parametri magnetici intrinseci tissutali (T1, DP e T2). La SE è inoltre disponibile su tutti gli apparecchi
RM e possiede grande affidabilità diagnostica; infine la semeiotica RM, accettata universalmente, è largamente basata su elementi semeiologici valutati con SE. È bene sottolineare ulteriormente quest’ultimo
concetto: il rapporto variabile tra scala dei grigi e tessuti esaminati, caratteristico della RM, ha reso molto più difficile che per le altre metodiche l’elaborazione di una semeiotica con validità universale. Nella RM non basta affermare che una lesione sia iperintensa o ipointensa, ma è necessario precisare
contemporaneamente il tipo di sequenza ed i parametri di sequenza adoperati. Il principale standard
32
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
internazionale prodotto in circa 25 anni di pratica clinica con RM è rappresentato dalle sequenze SE,
grazie anche alla linearità di risposta dell’intensità di segnale al variare dei parametri tissutali intrinseci.
L’utilizzazione delle sequenze SE consente, quindi, di operare una relativa semplificazione nella interpretazione semeiologica: non è strettamente necessano precisare i parametri della sequenza, ma è sufficiente indicare l’appartenenza della sequenza ad una delle tre famiglie principali: SE con TR breve e TE
breve, SE con TR lungo e TE breve, SE con TR e TE lunghi (figura 4).
FIGURA 4
Immagini RM normali dell’encefalo in T1, T2 e densità protonica ottenute sul piano assiale
con una sequenza Spin-Eco a livello del mesencefalo e della giunzione ponto-mesencefalica.
Si noti la marcata differenza nei contrasti tissutali spontanei presentata dalle singole immagini.
Sequenza SE con TR breve (<600 ms) e TE breve (<30 ms)
Con questi parametri le sequenze SE producono immagini dipendenti dal TI tissutale e rappresentano come iperintensi i tessuti con T1 breve ed ipointensi i tessuti con T1 lungo. Nel distretto cranio-cerebrale le intensità più elevate sono in genere riscontrate a livello dei tessuti adiposi (orbita, tessuti molli
extracranici), mentre il liquor presenta le intensità più basse.
Sequenze SE con TR lungo (>1500 ms) e TE breve-intermedio (20-40 ms)
Questa famiglia produce immagini dipendenti prevalentemente dalla densità protonica tissutale,
nelle quali il tessuto adiposo conserva elevata intensità di segnale ed il liquor appare ancora prevalentemente ipointenso. Tuttavia, la caratteristica fondamentale di tali sequenze consiste nell’assenza di contrasti tissutali spontanei particolarmente elevati.
Sequenze SE a TR lungo (>1500 ms) e TE lungo (>60 ms)
Questa famiglia produce immagini dipendenti prevalentemente dal T2 tissutale. In queste sequenze le strutture con intensità di segnale più elevata sono quelle a contenuto liquido maggiore.
L’esigenza spesso avvertita dell’analisi contemporanea di immagini DP/T2 dipendenti è stata risolta agevolmente mediante l’ottimizzazione di sequenze che possono produrre entrambi i tipi di immagini
senza aumentare il tempo di acquisizione. Si tratta delle sequenze abitualmente conosciute come mul-
33
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
tieco, caratterizzate da TR lungo e da 2 o più echi distanziati in maniera regolare. Queste sequenze sono
nate come varianti SE e producono per ciascun eco un contrasto tissutale simile a quello presente nelle
SE tradizionali ad eco singolo di analogo TE. Sebbene sia possibile ottenere anche un numero elevato di
echi diversi per ciascuna immagine, l’aumento del numero di echi determina un progressivo peggioramento del rapporto segnale/rumore e l’allungamento dei tempi di ricostruzione e di archiviazione delle immagini, producendo informazioni ridondanti con un certo effetto confusivo sull’esaminatore. La
soluzione più comune consiste, pertanto, nell’adoperare sequenze multieco a due echi asimmetrici, il
primo dei quali viene fissato in genere tra 20 e 40 millisecondi ed il secondo intorno a 100 millisecondi, che generalmente producono tutte le informazioni necessarie per la diagnosi.
4.2 Sequenze Inversion-Recovery
Sono sequenze molto diffuse, anche se meno delle SE, caratterizzate genericamente dalla capacità
di produrre forti contrasti tissutali spontanei; tuttavia le immagini prodotte sono frequentemente più
rumorose delle analoghe Spin-Echo; inoltre, a parità di TR, producono un numero di strati minore di
un’analoga SE. La variazione del TR del TE e del TI (tempo di inversione), parametro caratteristico dell’Inversion-Recovery (IR), può modificare in maniera sostanziale il contrasto dell’immagine. Ci sembra
pertanto lecito, anche in base a considerazioni storiche, distinguere tre gruppi di sequenze IR con significato diagnostico profondamente diverso: IR tradizionali, IR con soppressione lipidica ed IR con soppressione acquosa.
Le IR prevedono l’applicazione di 3 impulsi RF; il primo a 180° viene definito impulso di “inversione”, mentre i successivi sono perfettamente analoghi agli impulsi eccitatori a 90° e di rifasamento a
180° delle sequenze SE. All’inizio di ogni acquisizione la magnetizzazione longitudinale (BMN) si proietta lungo il Bo, e la magnetizzazione trasversale ha valore nullo. Mediante l’impulso di inversione la BMN
viene rovesciata lungo l’asse z, dall’emispazio z+ all’emispazio z-. Durante il “Tempo di Inversione” la
proiezione di BMN lungo z- decresce fino ad annullarsi e diventa di nuovo positiva. A questo punto l’azione degli ulteriori impulsi a 90° e 180° è analoga a quella delle sequenze SE. L’applicazione dell’impulso di inversione ha due effetti principali sul contrasto tissutale rilevato dalle immagini:
1)
Ogni struttura tissutale realizza il processo di annullamento della proiezione negativa del vettore
BMN in z- ed il recupero della proiezione positiva lungo z+ con dinamiche proprie, dipendenti dal
T1; durante questo processo esiste un tempo caratteristico di ogni struttura nel quale la magnetizzazione longitudinale è nulla (nulling point). Se l’impulso successivo a 90° viene applicato esattamente in questo istante, quella struttura non produce alcun segnale perché l’impulso di eccitazione
viene fatto agire su di un vettore BMN nullo. In questo modo è possibile “sopprimere” selettivamente il segnale derivante da una componente tissutale.
2)
Il contrasto T1 prodotto dalle IR può essere molto maggiore che nelle SE T1 dipendenti. Infatti il
ribaltamento del vettore BMN lungo z raddoppia il percorso che la magnetizzazione longitudinale
deve compiere per recuperare la sua proiezione iniziale lungo Bo. In questo modo il “range dinamico” di variazione di T1 risulta raddoppiato.
Le sequenze IR tradizionali vengono prodotte con TR lunghi, dell’ordine di 2 secondi o superiore,
con TE brevi (circa 25 ms) e con TI intermedio (circa 500 ms). Vengono prodotte in tal modo immagini
fortemente dipendenti dal T1 caratterizzate da elevato contrasto e da aspetto fortemente ipointenso del-
34
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
le strutture liquide. Queste sequenze hanno indicazione clinica simile a quella delle SE a TR breve e TE breve; rispetto a queste ultime, tuttavia, le IR richiedono tempi di acquisizione anche 4 volte più lunghi.
Le IR con soppressione lipidica, note come STIR (Short Time of inversion-Inversion Recovery) vengono ottenute utilizzando tempi di inversione brevi e producono contrasto tissutale simile a quello delle SE con TR lungo e TE breve (DP dipendenti). La loro caratteristica saliente consiste nella soppressione
parziale o totale del segnale lipidico: il tempo di inversione breve fa, infatti, coincidere l’impulso eccitatorio a 90° con il null point del tessuto adiposo, che precede quello di tutti i protoni acquosi a causa
del T1 più breve.
Le IR con soppressione dei protoni acquosi, note come FLAIR (FLuid Attenuated IR) sono una tecnica
introdotta piuttosto recentemente nell’uso clinico. La tecnica di soppressione selettiva dell’acqua libera
può essere pensata come l’esatto contrario della tecnica STIR: un TI molto lungo seleziona precisamente
il nulling point dei protoni dell’acqua libera che possiedono un T1 molto lungo. Utilizzando TE molto lunghi si ottengono immagini fortemente T2 dipendenti nelle quali la soppressione dell’acqua libera consente la differenziazione di strutture a T2 lungo poste in contiguità con raccolte liquide. L’utilizzazione di
un TI e di un TE molto lunghi comporta la necessità di utilizzare un TR di vari secondi (6-8) per ottenere
un recupero della magnetizzazione longitudinale e per controbilanciare la riduzione di segnale connessa
al tempo di eco lungo (figura 5).
FIGURA 5
Immagine RM assiale ottenuta con una sequenza FLAIR (FLuid Attenuated Inversion Recovery)
che evidenzia il basso contrasto tra sostanza bianca e grigia e l’aspetto nettamente ipointenso delle
strutture liquorali. Questi caratteri, uniti ad una notevole dipendenza dal T2, rendono le sequenze
FLAIR estremamente sensibili alle patologie focali.
4.3 Sequenze Gradient Echo
Sono sequenze che non derivano da precedenti esperienze spettroscopiche, ma sono state studiate
piuttosto recentemente (Frahm, Haase et al., 1985) specificamente per l’imaging, in quanto utilizzano nel
procedimento di formazione dell’eco un elemento caratteristico dei tomografi RM ed assente negli apparecchi di spettroscopia (gradienti di campo magnetico). Il termine Gradient Echo è un termine generico che raggruppa un vasto numero di diverse sequenze con differenti denominazioni specifiche (GRASS,
35
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FISP, FAST, FLASH, SPGR). Mentre nelle sequenze SE ed IR la perdita della coerenza di fase dei protoni di
un voxel viene corretta mediante l’applicazione di un impulso di RF di rifasamento a 180°, nelle sequenze Gradient Echo (GE) viene adoperato un particolare disegno bipolare del “gradiente” di codifica di frequenza, con una porzione negativa iniziale che termina a metà del tempo di eco ed una porzione positiva
successiva, che si prolunga oltre il termine del processo di rilevazione dell’eco. L’inversione del gradiente
di codifica di frequenza determina il rifasamento dei protoni del voxel in esame, ma non corregge la
perdita di coerenza di fase legata alle disomogeneità del campo magnetico. Per tale motivazione le GE
non sono idonee per studiare il T2 puro in quanto al rilassamento trasversale tradizionale viene associato
un rilassamento aggiuntivo legato alla presenza di disomogeneità magnetiche (T2*).
Le sequenze GE possono produrre contrasti T1, DP e T2 in relazione con il valore numerico dei
parametri della sequenza; in particolare, la variazione di TR ha scarsa influenza sia sul contrasto che sul
rapporto segnale/rumore, mentre il ruolo di maggiore importanza viene svolto dalla variazione del TE e
del Flip Angle (FA); quest’ultimo individua l’angolo del quale viene ruotato il vettore della magnetizzazione trasversale rispetto al vettore campo principale. Il FA rivela il principale effetto innovativo delle
sequenze GE. Mentre nell’imaging SE ed IR quest’angolo assume invariabilmente i valori di 90 e 180°,
nelle sequenze GE è possibile utilizzare anche angoli con ampiezza minore; in tal modo l’esecuzione
della sequenza viene accelerata e sono consentiti TR molto minori, anche dell’ordine delle decine di ms,
senza un apprezzabile peggioramento del rapporto segnale/rumore.
Le sequenze GE sono state il primo approccio RM all’imaging veloce, e raggiungono tempi di acquisizione molto brevi, dell’ordine di alcuni secondi. Si presentano come alternative valide alle sequenze SE:
–
possono sostituire, con FA elevati e TE bassi, le sequenze SE e le IR T1 dipendenti con considerevoli
vantaggi in termini di tempo di acquisizione o di rapporto segnale/rumore; bisogna però tener presente che il contrasto nelle GE T1 dipendenti risente generalmente di un’influenza più elevata da
parte di DP e T2 e soprattutto che esse tendono a rappresentare con immagini iperintense il flusso
ematico (figura 6); per tale motivo possono creare situazioni confusive nello studio dell’“enhancement” da mezzo di contrasto paramagnetico;
–
possono sostituire le SE DP/T2 dipendenti con FA medi e bassi e con TE medio-elevati, ed in questa
applicazione la riduzione del tempo di acquisizione risulta ancora più evidente. Bisogna però tenere presente che esiste una concreta differenza tra i parametri tissutali studiati in SE e GE, che sono il
T2 per le SE ed il T2* per le GE. Questa caratteristica, insieme con differenze importanti nelle equazioni fondamentali del segnale tra queste due metodiche, giustificano la sostanziale differenza nell’evidenziazione di una vasta gamma di lesioni verso le quali le GE appaiono meno sensibili.
Rimane però da considerare un effetto importante associato all’imaging veloce. Quando il TR si
riduce nell’ordine di circa 100 ms la componente trasversale della magnetizzazione non risulta ancora
annullata dal rilassamento T2* e veicola differenze di fase generate dall’attivazione precedente del gradiente di codifica di fase e “memorizzate” dal sistema di spin. Se lo schema di sequenza GE generico presentato in precedenza venisse applicato esattamente com’è, le differenze di fase trascinate da
un’acquisizione alla successiva determinerebbero la comparsa di vistosi artefatti. Per evitarli lo schema
viene integrato da una seconda attivazione del gradiente di codifica di fase, con segno opposto alla prima attivazione. Il gradiente addizionale viene denominato “rewinding” e le sequenze GE vengono dette “refocused”.
36
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
FIGURA 6
Immagine MIP (Maximum Intensità Projection) ottenuta da una sequenza angio-RM TOF (Time Of Flight)
del circolo intracranico normale senza mezzo di contrasto. La strategia TOF riduce notevolmente
il segnale dei tessuti stazionari, lasciando come unica componente iperintensa le strutture vasali.
La rappresentazione MIP riduce ulteriormente la visibilità delle componenti non vascolari collassando
le strutture vascolari in rappresentazioni planari.
Inoltre, bisogna considerare che la presenza di una magnetizzazione trasversale residua, che viene
sfruttata da alcuni tipi di sequenze GE per aumentare il segnale a parità di TR (GRASS, FISP, FAST), rende problematico ottenere contrasti fortemente dipendenti dal TI: spesso per TR inferiori a 100 ms anche
con TE bassi e FA elevati si ottengono contrasti misti T1/T2/DP, di scarsa utilità diagnostica. Per ottenere contrasti T1 più accentuati a TR <100 ms si adottano espedienti in grado di eliminare la magnetizzazione trasversa residua, applicati nelle sequenze note commercialmente come FLASH, MPR o spoiled
GRASS (SPGR) (figura 7).
FIGURA 7
Immagini triplanari in T1, ottenute da una scansione Gradient-Eco tridimensionale (MPR)
sul piano sagittale in paziente con Alzheimer di grado moderato. Si rileva un ampliamento dei corni
temporali dei ventricoli laterali da atrofia moderata dell’ippocampo.
37
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
4.4 SE veloci (Fast-SE)
Sono una variante relativamente recente dello schema di SE di Hahn, che consente di ridurre notevolmente il tempo di acquisizione a parità di TR e di numero di medie. Questo risultato viene ottenuto
mediante una particolare strategia di utilizzazione delle informazioni derivanti dallo schema multieco:
mentre nelle SE multieco tradizionali l’informazione relativa all’intensità del segnale per ogni eco viene utilizzata per formare un’immagine riempiendo con ogni eco una matrice di dati, che viene denominata
k-spazio, nelle Fast SE vengono campionati molti echi per ogni TR, le informazioni relative a più echi vengono associate insieme, e ciascuna contribuisce a riempire una porzione dello stesso k-spazio. Il tempo
necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per ricostruire le immagini viene perciò ridotto
proporzionalmente al numero di echi campionati (treno d’echi). Diventa quindi vantaggioso acquisire un
gran numero di echi, ed attualmente è possibile arrivare anche ad un numero di echi talmente elevato
(128 o superiore) da poter ricostruire tutta l’immagine in un solo TR (Fast SpinEcho “single shot”).
Le caratteristiche principali delle Spin-Echo veloci sono la possibilità di ottenere immagini con
tempi di scansione molto ridotti (anche 1/128), ma anche la possibilità di operare con tempi analoghi
a quelli delle SE con rapporto segnale/rumore molto maggiore, o di produrre immagini ad elevatissima
risoluzione spaziale conservando un elevato rapporto segnale/rumore.
Bisogna d’altra parte considerare come la produzione di un treno di echi lungo determini una riduzione del numero di strati ottenibili a parità di TR, e quindi la necessità di aumentare il TR per ottenere
una copertura completa del distretto in esame. Per quanto riguarda il tipo di contrasto presente nelle
immagini Spin-Echo veloci, questo dipende da qual è l’eco “effettivo” dell’acquisizione. Si considera eco
effettivo di un’acquisizione SE veloce il tempo d’eco di una SE semplice avente lo stesso contrasto tissutale spontaneo. A condizionare il TE effettivo intervengono il valore del TE dei vari echi costituenti il treno d’echi e la lunghezza del treno d’echi. È intuitivo come un treno d’echi composto di echi a TE lungo
introduca una maggiore dipendenza dal T2, o come un allungamento del treno d’echi incorpori necessariamente echi a TE lungo e produca allo stesso modo una maggiore dipendenza dal T2. Le variazioni
del treno di echi non sono l’unico modo per modificare il contrasto dell’immagine. Il treno di echi serve per riempire una “matrice dati” (k-spazio) nella quale ogni riga corrisponde ad un eco. Le righe del
k-spazio non sono di significato omologo per il contrasto dell’immagine: questo viene determinato quasi esclusivamente dalle righe centrali del k-spazio, mentre le righe periferiche sono virtualmente prive di
influenza sul contrasto e sono invece determinanti per i dettagli spaziali dell’immagine. Utilizzando echi
molto pesati in T2 per riempire le righe centrali del k-spazio si ottengono quindi immagini molto pesate in T2; al contrario, se si desidera ottenere immagini poco pesate in T2 si destinano alle righe centrali
del k-spazio i primi echi acquisiti (figura 8).
4.5 Imaging Eco-Planare, Imaging di diffusione, Imaging funzionale
Le sequenze eco-planari rappresentano alcune tra le soluzioni più innovative per l’imaging di Risonanza Magnetica, eppure sono state descritte nei primissimi anni di utilizzazione della Risonanza Magnetica (1976) da Sir. Peter Mansfield che per la elaborazione di tali sequenze ha ricevuto il Nobel 2003
assieme con Lauterbur.
Mentre fu chiaro sin dalla descrizione di Mansfield che l’eco-planare (EPI) apriva prospettive estremamente innovative nell’imaging veloce con RM, consentendo risoluzioni temporali enormemente miglio-
38
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
FIGURA 8
Immagine RM coronale Fast Spin-Eco T2 dipendente con soppressione del grasso per lo studio
delle cavità orbitarie. Si noti il forte contrasto tra sostanza bianca e grigia e l’aspetto ipointenso
del tessuto adiposo retrobulbare che rende facilmente esaminabili i nervi ottici.
rate rispetto alle altre sequenze disponibili negli anni ’70 ed ’80 (più di tre ordini di grandezza, decine di millisecondi contro decine di minuti), l’implementazione pratica delle sequenze EPI richiedeva soluzioni tecnologiche talmente complesse da essere applicabili soltanto in pochissimi laboratori nel mondo. Solo negli
anni ’90 la naturale evoluzione tecnologica della RM, insieme anche alla crescente esigenza di implementare le sequenze veloci ed in primis l’EPI, ha reso disponibili su apparecchi RM commerciali le soluzioni
tecnologiche necessarie. In realtà la principale necessità posta dalle sequenze EPI è costituita dalla possibilità di utilizzare gradienti di campo magnetico di potenza e velocità molto elevate. Gradienti potenti e veloci sono richiesti dall’architettura stessa della sequenza, che come le Fast-Spin Echo utilizza una tecnica
multieco per riempire lo spazio K, e come le sequenze Gradient-Echo produce la coerenza di fase necessaria per generare gli echi tramite l’inversione di un gradiente, generalmente quello di codifica di frequenza.
Al contrario delle FSE gli echi sono quindi rifocalizzati tramite inversione di gradiente e non mediante un
impulso specifico di rifocalizzazione. Per questo motivo l’EPI campiona il T2* e non il T2, e data la durata
minore del T2* è costretto a campionare tutto il treno di echi che gli serve per riempire lo spazio K in un
tempo notevolmente inferiore a quanto impiegato dalle FSE. La stessa architettura di sequenza viene incontro all’EPI per consentirgli di risparmiare tempo: l’architettura è più snella facendo a meno dell’impulso a
180 gradi, e la possibilità di usare impulsi di eccitazione a flip ridotto permettono di ridurre notevolmente
il TR della sequenza senza provocare importanti fenomeni di saturazione. Come tutte le sequenze che rifocalizzano gli echi tramite gradiente, l’EPI è sensibilissimo alle variazioni loco-regionali di campo magnetico e quindi presenta importanti artefatti da suscettività magnetica alle interfacce tissutali. Questo rende la
sequenza molto meno adatta all’imaging morfologico rispetto a sequenze FSE e la candida soprattutto ad
applicazioni nelle quali l’aspetto di considerevole risparmio nel tempo di acquisizione acquista importanza prevalente. La risoluzione temporale dell’EPI viene anche avvantaggiata dall’impiego non morfologico
delle immagini. Vengono spesso utilizzate infatti matrici di acquisizione ridotte, poco adatte all’imaging
morfologico, ma che consentono un ulteriore ingente risparmio nel tempo di acquisizione. È raro infatti trovare EPI impiegati a matrice piena, mentre è la norma trovare matrici ridotte a 64x64 o al massimo 128x128.
39
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Tra le più importanti applicazioni della tecnica eco-planare sono certamente l’imaging di diffusione e l’imaging funzionale.
L’imaging di diffusione con Risonanza Magnetica studia la diffusività delle molecole d’acqua, cioè
il loro movimento termico browniano casuale. La Risonanza è l’unica tecnica che permette di osservare
la diffusione in vivo ed in maniera non invasiva, ed è in grado di produrre immagini ad alta risoluzione degli organi profondi senza interferire con il processo di diffusione.
La diffusione può essere valutata con tecniche di imaging con Risonanza Magnetica utilizzando
sequenze ultraveloci sensibilizzate al movimento molecolare. In particolare, la sensibilizzazione alla diffusione è spesso aggiunta a sequenze ecoplanari di tipo spin-echo attraverso l’aggiunta di due gradienti
molto potenti e veloci, denominati gradienti di Stejskal-Tanner applicati simmetricamente prima e dopo
l’impulso di rifasamento a 180°, in maniera che si produca prima un defasamento e poi un rifasamento
successivo. Le molecole d’acqua che diffondono liberamente tra la prima e la seconda applicazione dei
gradienti non vengono rifasate completamente dall’applicazione del secondo gradiente, diversamente da
quanto succede per i protoni stazionari. Ne deriva un’attenuazione del segnale proporzionale alla misura della dislocazione molecolare indotta dalla diffusione.
La diffusività dell’acqua presenta caratteristiche variazioni in alcuni processi patologici cerebrali.
Emblematico il caso dell’ischemia cerebrale, nella quale si determina una notevole riduzione della diffusione dell’acqua, fino anche al 50% del valore normale, in conseguenza dell’insorgenza di edema citotossico per il blocco metabolico delle pompe Na/K di membrana. Il rallentamento della diffusione
molecolare risulta dal cambiamento della compartimentalizzazione dell’acqua nel tessuto cerebrale.
Seguendo il flusso ionico diretto verso il citoplasma, le molecole d’acqua si spostano dagli spazi interstiziali a quelli intracellulari, caratterizzati da una diffusività molto ridotta per la presenza della membrana citoplasmatica, di quella nucleare, e degli organuli intracitoplasmatici. L’efficacia diagnostica
dell’imaging di diffusione (DwI) nella patologia ischemica cerebrale è elevatissima; le regioni ischemiche
si rilevano entro pochi minuti dall’episodio, quando ancora le sequenze convenzionali di Risonanza
Magnetica sono negative, e quando ancora sono possibili interventi di riperfusione del tessuto leso. Particolarmente utile la DwI in combinazione con l’imaging di perfusione, in quanto permette di separare
il tessuto ischemico dalla penombra, aiutando ad ottimizzare le strategie terapeutiche ed a monitorare
l’evoluzione delle lesioni ed a formulare una prognosi corretta.
Un’altra applicazione della Risonanza Magnetica resa possibile dall’utilizzazione dell’eco-planare è
costituita dall’Imaging funzionale. Nella Risonanza Funzionale (fMRI) si sfrutta la sensibilità dell’ecoplanare alle variazioni loco-regionali di suscettività magnetica per visualizzare i correlati emodinamici
dell’attivazione neuronale. Infatti l’attività neuronale si correla ad una vasodilatazione loco-regionale, di
entità tale da far aumentare l’apporto di sangue ossigenato molto più di quanto non vari l’estrazione di
ossigeno. Ne risulta regionalmente un aumento dell’ossigenazione ematica, visto dall’eco-planare come
una riduzione della deossiemoglobina e della conseguente perdita di coerenza di fase. Il segnale aumenta di conseguenza in maniera proporzionale all’aumento di ossigenazione (figura 9).
Contrastante con la relativa semplicità delle acquisizioni fMRI, tale metodica presuppone, invece,
complesse procedure di elaborazione dei dati, necessarie per ricavare risultati di valore statistico sufficientemente significativo.
40
DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA MEDIANTE TC ED RM
FIGURA 9
3
4
5
Studio di Risonanza funzionale dell’attivazione motoria. Immagini Eco-planari della corteccia rolandica,
alle quali è stata sovrapposta una mappa statistica sogliata a P<0.01 e rappresentata colorimetricamente.
L’attività interessa il giro pre e post rolandico e la corteccia mesiale della regione supplementare motoria.
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LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
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42
CAPITOLO 3
TECNICHE DI
RISONANZA MAGNETICA
METABOLICO-FUNZIONALE
Gioacchino Tedeschi*, Alessandro Tessitore*, Mario Cirillo**, Sossio Cirillo**
*
Seconda Clinica Neurologica
**
Cattedra di Neuroradiologia
Seconda Università degli Studi di Napoli
In questo capitolo si tratteranno i principi delle tecniche metabolico-funzionali di risonanza magnetica (RM) di più comune e consolidato impiego nello studio delle demenze: la spettroscopia protonica
con RM (1H-MRS); la RM funzionale (fMRI); la diffusione con RM (DWI) e la perfusione con RM (PWI).
1.
Spettroscopia protonica con RM (1H-MRS)
La RM convenzionale genera immagini che riproducono in dettaglio l’anatomia del cervello ed è
altamente sensibile per rivelare anormalità patologiche sulla base delle loro differenti caratteristiche
strutturali. La spettroscopia con RM (MRS) non ha certamente la stessa definizione spaziale della RM
convenzionale, ma fornisce informazioni metaboliche che possono essere di rivelante interesse nello
specifico campo delle demenze. A differenza di altre tecniche “metaboliche”, quali la PET e la SPECT, la
MRS non richiede la somministrazione di composti radioattivi.
Le prime scoperte sui principi della RM furono opera di Bloch e Purcell (1, 2) più di 40 anni fa. In
teoria, tutti i nuclei magnetici (quelli con atomi a numero impari di elettroni o protoni) possono ruotare
intorno al proprio asse e generare un campo magnetico e, infatti, ogni nucleo magnetico ha una specifica frequenza naturale di risonanza. Nel 1950, Proctor (3) descrisse un altro fenomeno fisico di fondamentale importanza, il “chemical shift”, secondo il quale, in breve, la frequenza di risonanza di un
nucleo dipende dalla natura dell’ambiente che lo circonda. Ne deriva che, ad un dato campo magnetico esterno (determinabile in un esperimento di RM) la frequenza di risonanza di uno specifico nucleo
dipende dalla molecola in cui l’atomo esiste. La MRS, sfruttando questo principio, è in grado di distinguere alcune delle molecole che contengono ciascun nucleo. Ogni molecola corrisponderà quindi ad
un picco, mentre l’area del picco sarà proporzionale al numero dei nuclei misurati e quindi alla concentrazione di quel metabolica.
La scelta di un nucleo dipenderà quindi dalla via metabolica che si vuole studiare, ma le applicazioni in vivo non possono prescindere anche da altre caratteristiche quali: la diffusione in natura, la
43
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
sensibilità relativa e il significato biologico. In tabella 1 sono elencati i nuclei valutabili con la MRS in
ordine decrescente di difficoltà. Il nucleo più sensibile è 1H, con il più alto rapporto segnale/rumore per
un dato volume di interesse e, in questo capitolo, ci limiteremo ad esporre i principi della MRS del protone (1H-MRS) che si è dimostrata particolarmente utile nello studio delle demenze.
Tabella 1 - Nuclei rilevanti in MRS clinica
Nucleo
Abbondanza naturale
Sensibilità relativa
1H
99.98
1
Significato biologico
Densità e/o funzione neuronale,
metabolismo della colina e
metabolismo anaerobico
31P
100
0.07
Stato bioenergetico, pH e metabolismo
lipidico
19F
100
0.83
Farmaci fluorinati
23Na
100
0.09
Livelli intra-extracellulari di Na
13C
100
0.02
Vie metaboliche specifiche che possono
utilizzare substrati arricchiti con 13C
I limiti della 1H-MRS derivano dalla presenza del segnale dell’acqua, che è molto più elevato (55 M)
di quello dei metabolici, per cui non è possibile misurare sostanze che hanno una concentrazione inferiore a 1.0 mM. Ne consegue anche un altro problema, quello della dimensione dei volumi di interesse
(VOI), che sebbene possano scendere fino a 0.5 cc, sono spesso troppo grandi per studiare lesioni e/o
strutture di più piccole dimensioni.
La 1H-MRS è in grado di misurare in vitro su estratti di cervello umano un notevole numero di
metaboliti (tabella 2), ma in vivo è possibile misurare, con diversi gradi di complessità, solo N-acetilaspartato (NAA), composti contenenti colina (Cho), creatina e fosfocreatina (Cre), lattato (Lac), glutammato, inositolo e GABA. Alcuni di questi metaboliti rivestono particolare utilità nelle demenze.
Tabella 2 - Concentrazione di metaboliti nel cervello umano misurati in vitro con la 1H-MRS (µmol/100g)
Metabolita
Frontale
Temporale
NAA
5.9
5.4
Cho
0.6
0.5
Cre
7.4
8.3
LAC
17.8
17.2
Glutammato
6.9
8.1
Inositolo
5.8
7.0
GABA
1.4
1.7
Aspartato
1.3
1.6
Taurina
1.2
1.2
Alanina
0.8
0.8
Succinato
0.4
0.4
Glicina
0.4
0.8
Piruvato
0.2
0.2
44
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
La 1H-MRS può essere effettuata con tempi di eco (TE) lunghi o brevi (figura 3). Nel primo caso, lo
spettro sarà decisamente più semplice da analizzare, ma conterrà meno informazioni metaboliche. A TE
brevi, si potranno avere più informazioni metaboliche, ma lo spettro sarà più complicato e sarà più difficile la misurazione automatizzata dei picchi.
Tra i metaboliti misurabili con la 1H-MRS, alcuni sono particolarmente importanti nello studio delle demenze. In primo luogo, l’NAA che è considerato marker di densità neuronale in quanto presente
solo nei neuroni e assente nelle cellule gliali mature. Diverse evidenze sperimentali e cliniche suggeriscono inoltre che esso possa anche riflettere la funzionalità dei neuroni. Il segnale della Cho riflette i
livelli totali di colina mobile, che includono colina, acetilcolina (in quantità minute), glicerofosforilcolina (prodotto di degradazione della fosfatidilcolina) e fosfocolina (precursore della fosfatidilcolina), per
cui, elevati livelli di Cho sono associati a incremento della proliferazione cellulare o a distruzione delle
membrane cellulari. L’inositolo, è invece considerato marker di densità delle cellule gliali. Il Lac è prodotto dalla glicolisi anaerobica in condizioni di ischemia e/o ipossia. Il picco della Cre è generato da
creatina e fosfocreatina e riflette le riserve del metabolismo energetico cellulare.
Per definire i “Volumes of interest” VOI (in forma di parallelepipedi) da cui estrarre le informazioni di 1H-MRS, si usano principalmente due sequenza, la STEAM (stimulated echo acquisition mode) e la
PRESS (point resolved spectroscopy). La 1H-MRS può essere acquisita da un singolo VOI (figura 2), da multipli VOI (figura 3), da sezioni singole (figura 4) o da sezioni multiple (figura 5) (4). In figura 4 sono rappresentati due fasi molto importanti che portano alla produzione delle immagini di 1H-MRS (1H-MRSI).
Sulla destra è riportata una singola sezione con la definizione dei singoli VOI sul piano orizzontale. Le
dimensioni dei singoli VOI sono di 0.75 mm in ognuno dei tre piani, per un volume nominale finale di
0.84 cc. Da ogni singolo VOI si ottiene uno spettro. Le informazioni metaboliche possono poi essere
sottoposte al data processing per ottenere la 1H-MRSI. Sulla sinistra è riportata la riproduzione grafica della sequenza per la soppressione dei lipidi e del grasso. Questa sequenza è indispensabile per evitare la contaminazione dei VOI corticali da parte del segnale dei lipidi delle ossa e dello tessuto cutaneo.
FIGURA 1
TE lungo
TE breve
Metaboliti misurabili con 1H-MRS a tempi di eco (TE) lunghi e brevi.
45
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 2
Localized volume
1H-MRS
con tecnica di singolo VOI.
1H-MRS
con tecnica di VOI multipli.
FIGURA 3
46
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
FIGURA 4
1H-MRSI con tecnica di singola sezione.
Sulla destra è riportata una singola sezione con la definizione dei singoli VOI sul piano orizzontale.
Le dimensioni dei singoli VOI sono di 0.75 mm in ognuno dei tre piani, per un volume nominale finale
di 0.84 cc. Da ogni singolo VOI si ottiene uno spettro. Le informazioni metaboliche possono
poi essere sottoposte al data processing per ottenere le immagini riportate in figura 7.
Sulla sinistra è riportata la riproduzione grafica della sequenza per la soppressione dei lipidi e del grasso.
Questa sequenza è indispensabile per evitare la contaminazione dei VOI corticali
da parte del segnale dei lipidi delle ossa e dello tessuto cutaneo.
FIGURA 5
FWM
CD
INS
TH
CV
OC
FC
CSO
PC
CING
Localizzazione di VOI anatomici in una sezione di MRI.
47
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
In figura 5 si possono vedere le sezioni di MRI usate per selezionare VOI anatomici in un volontario sano. In particolare, sulle sezioni riportate in figura è possibile evidenzare le seguenti regioni di interesse: verme cerebellare (CV); sostanza bianca frontale (FWM); caudato (CD); insula (INS); talamo (TH);
corteccia occipitale (OC); corteccia frontale (FC); corteccia parietale (PC); cingolo (CING) e centro semiovale (CSO). In figura 6 sono riportati gli spettri corrispondenti ai VOI della figura 5.
FIGURA 6
PC
FC
OC
INS
CING
NAA
CHO
CRE
CSO
FWM
CD
TH
CV
Spettri corrispondenti ai VOI della figura 5.
Sezioni di MRI usate per selezionare VOI anatomici in un volontario sano.
CV: verme cerebellare; FWM: sostanza bianca frontale; CD: caudato; INS: insula; TH: talamo; OC: corteccia
occipitale; FC: corteccia frontale; PC: corteccia parietale; CING: cingolo; CSO: centro semiovale.
In figura 7 è riportato un esempio di 1H-MRSI in un volontario sano (5).
Sulla sinistra sono riportate quattro sezioni di MRI di 3 mm. Sulla destra le corrispondenti sezioni
di
1H-MRSI
di NAA, colina (CHO) e creatina (CRE). La scala di colori è utilizzata in modo che il rosso rap-
presenti la maggiore intensità di segnale e il blu la minore intensità. Le sezioni di 1H-MRSI hanno uno
spessore di 15 mm e ognuna di esse corrisponde quindi a cinque sezione consecutive di MRI (di 3 mm).
In figura 8 è riportato uno studio MRI, 1H-MRSI e PET di un paziente con glioma cerebrale. In alto
sono riportate cinque sezioni di MRI di 3mm che corrispondono alla sezione di 15 mm di PET e 1H-MRSI.
In questo caso, è riportata anche la mappa del Lac. Il confronto tra le immagini di MRI e quelle di
1H-MRSI,
la
è indispensabile per una corretta visualizzazione spaziale delle informazioni ottenibili con
1H-MRSI.
La mappa della Cho evidenzia un’area di elevato segnale che suggerisce la presenza di una neoplasia di alto grado (ipotesi successivamente confermata dal riscontro istologico).
Ogni tecnica ha vantaggi e svantaggi. Il VOI singolo offre una migliore risoluzione, con un migliore rapporto segnale/rumore e un più breve periodo di acquisizione e quindi è più facilmente eseguibile,
48
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
FIGURA 7
MRI
NAA
CHO
CRE
Slice 1
Slice 2
Slice 3
Slice 4
Imaging di 1H-MRS a sezioni multiple (1H-MRSI).
Sulla sinistra sono riportate quattro sezioni di MRI di 3 mm.
Sulla destra le corrispondenti sezioni di 1H-MRSI di N-acetilaspartato (NAA),
colina (CHO) e creatina (CRE) in un volontario sano. La scala di colori è utilizzata in modo
che il rosso rappresenti la maggiore intensità di segnale e il blu la minore intensità.
Le sezioni di 1H-MRSI hanno uno spessore di 15 mm e ognuna di esse corrisponde
quindi a cinque sezione consecutive di MRI (di 3 mm).
anche in un contesto di routine clinica. Le informazioni metaboliche sono però limitate da un punto di
vista spaziale e possono essere penalizzanti quando si vuole studiare anormalità diffuse o lesioni eterogenee. D’altra parte, le tecniche a sezioni singole o multiple sono di più difficile esecuzione e richiedono un tempo di acquisizione più lungo, ma permettono di studiare il cervello in maniera più ampia e
dettagliata e, con un adeguato processing dei dati, di produrre delle immagini di distribuzione dei metaboliti (1H-MRSI). Inoltre, questa ultima tecnica è penalizzata da un più basso rapporto segnale/rumore e
può essere in pratica eseguita solo a TE lunghi. È difficile pertanto pensare ad un uso corrente della 1HMRSI, che trova la sua ideale collocazione in un contesto di ricerca clinica. In conclusione, in un laboratorio attrezzato ad eseguire entrambe le tecniche, la scelta tra un esperimento di singolo VOI o 1H-MRSI
dipende dal tipo di informazione che si desidera ottenere.
49
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 8
3 mm MRI
15 mm PET
15 mm MRSI
NAA
Cho
Cre
Lac
Definizione tridimensionale di 1H-MRSI.
Studio MRI, 1H-MRSI e PET di un paziente con glioma cerebrale. In alto cinque sezioni di MRI di 3mm
che corrispondono alla sezione di 15 mm di PET e 1H-MRSI. In questo caso, è riportata anche la mappa
del lattato (Lac). Il confronto tra le immagini di MRI e quelle di 1H-MRSI, è indispensabile per una corretta
visualizzazione spaziale delle informazioni ottenibili con la 1H-MRSI.
La mappa della Cho evidenzia un’area di elevato segnale che suggerisce la presenza di una neoplasia di
alto grado (ipotesi successivamente confermata dal riscontro istologico).
2.
Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI)
Negli ultimi quindici anni, la fMRI ha rappresentato un’opportunità unica per lo studio delle atti-
vità del cervello. La capacità di esplorare le funzioni cerebrali, invece dell’anatomia strutturale del cervello ottenuta con RM convenzionale, dà il nome alla metodica e rappresenta la ragione chiave della
sua crescente popolarità. Nel 1881, un ricercatore italiano, Angelo Mosso (6) aveva già postulato, mediante osservazioni pletismografiche, che l’attività elettrica neuronale ed il flusso ematico regionale cerebrale fossero strettamente correlate nell’uomo. La RM fu introdotta da Lauterbur nel 1973 (7) e per lungo
tempo è stato utilizzata prevalentemente per studi di neuroradiologia clinica, mentre l’applicazione della stessa metodica allo studio del funzionamento del cervello è stata proposta solo venti anni dopo sulla base di studi di notevole importanza. Infatti, nel 1992 Ogawa e coll. (8) dimostrarono che il segnale
di RM era sensibile alle modificazioni dell’ossigenazione del sangue, coniando il termine di contrasto
BOLD (Blood Oxygenation Level Dependent). Oggi la BOLD-fMRI rappresenta la metodica di elezione
per lo studio delle funzioni cerebrali di soggetti impegnati in compiti sensorimotori e cognitivi (figura 9)
per alcune caratteristiche fondamentali: 1) l’assenza di invasività, infatti non è necessario l’uso di alcun
50
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
mezzo di contrasto esogeno; 2) l’ottimo compromesso tra risoluzione spaziale e temporale; 3) possibilità di valutare, attraverso immagini acquisite durante la medesima sessione sperimentale la relazione tra
funzione e struttura cerebrale, rispettando la variabilità anatomica individuale.
FIGURA 9
Esecuzione di un compito visuomotorio durante un’esame di fMRI.
Le variazioni di segnale nella BOLD-fMRI sono determinate dalle proprietà paramagnetiche della
deossiemoglobina (deoxy-Hb). L’attività sinaptica, in quanto metabolicamente più dispendiosa della
genesi dei potenziali d’azione, sembra rappresentare la base del segnale fMRI. L’attività cerebrale, in particolare quella pre-sinaptica, è associata ad una maggiore richiesta di energia che è principalmente fornita dal metabolismo ossidativo del glucosio. Dopo l’inizio dell’attività cerebrale un segnale raggiunge
le arteriole nutritizie che si dilatano facendo aumentare il flusso ematico cerebrale e il volume ematico
cerebrale nel letto capillare. Tutti i capillari sono già perfusi in condizioni di riposo, ma il flusso capillare aumenta notevolmente durante l’attività neuronale e l’etereogeneità del sangue si riduce. L’incremento di flusso ematico è però molto maggiore rispetto al reale consumo di ossigeno, di conseguenza
l’ossigenazione del sangue aumenta specialmente sul versante venulare dei capillari e nei vasi venosi.
Tali fenomeni, che collettivamente vanno sotto il nome di risposta emodinamica, determinano una
maggiore ossigenazione del sangue nelle vicinanze della zona di attivazione cerebrale causando un’aumento della concentrazione di ossiemoglobina e una riduzione paradossale della concentrazione di
deoxy-Hb (figura 10). Mentre la deoxy-Hb è paramagnetica, quindi in grado di ridurre il segnale di RM
nelle immagini pesate in T2 e T2*, l’ossiemoglobina è diamagnetica ed ha uno scarso effetto sul segnale
di RM. Di conseguenza, il segnale di RM aumenta o si riduce in base allo stato di attivazione neuronale
e all’ossigenazione ematica, sebbene sia importante ricordare che la risposta emodinamica conseguente
all’attività neuronale è molto lenta, determinando da un lato un intervallo di alcuni secondi prima che
il segnale RM si modifichi in seguito all’inizio dell’attività cerebrale e dall’altro un ritardo di 10-15 secon-
51
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
di prima che il segnale RM si normalizzi dopo la fine dell’attività neuronale. Dopo l’acquisizione delle
immagini funzionali, l’utilizzo di specifici software di analisi (SPM, AFNI, Brain Voyager) consentirà la
ricostruzione delle mappe di attivazione cerebrale (figura 11).
FIGURA 10
Origine segnale BOLD.
Picture courtesy of Fera F, Laboratorio di Neuroimmagini, CNR, Piano di Lago (CS).
FIGURA 11
Attivazione Neuronale
Mappe di Attivazione
Esecuzione compito:
- motorio
- visivo
- cognitivo
Incremento Attività Metabolica
Aumento del FEC
data processing
(SPM, AFNI,
Brain Voyager)
Aumento VEC
Disponibiltà O2 > richiesta metabolica
Diminuzione della Deossi-Hb
Incremento del segnale in T2*
fMRI - Blood Oxygenation Level Dependent.
52
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
2.1 Andamento temporale (time course) del segnale RM in un voxel attivato in corteccia
visiva (9)
Il segnale RM in regioni attivate incomincia ad aumentare 2-4 secondi (i) dopo l’inizio dell’attività neuronale e raggiunge un plateau in circa 8-12 secondi (ii) rimanendo elevato mentre l’attività cerebrale continua. Quando l’attività neuronale termina il segnale RM ritorna ai valori baseline in circa 8-11
secondi (iii - iv). Inoltre, sono stati descritti cambiamenti transitori del segnale RM, come una riduzione del segnale entro i primi secondi dell’attività neuronale, forse correlata ad un aumento dell’estrazione di ossigeno non ancora compensato dall’aumento del flusso ematico regionale o una più frequente
riduzione del segnale per circa 10-40 secondi dopo la fine dell’attività neuronale (figura 12).
FIGURA 12
Raw MRI signal (a.u.)
4250
4200
(iii)
4150
4100
(i)
(iv)
(ii)
4050
0
4
8
12
16
20
24
28
Time (s)
Andamento temporale del segnale BOLD.
Menon RS and Kim SG, Trends in Cognitive Sciences 3, n. 6 (1999).
2.2 Relazione attività elettrica neuronale e segnale BOLD (10)
Un grosso passo in avanti nella comprensione delle basi biologiche del segnale BOLD è stato compiuto grazie ad uno studio di Logothesis e coll. (2001) che hanno esaminato la correlazione tra segnale
BOLD e attività neuronale paragonando i local field potentials (LFPs) espressione dell’attività sinaptica e
multi-unit activity (MUA) espressione del firing neuronale, registrati grazie all’utilizzo di microelettrodi
posizionati sulla corteccia visiva primaria di una scimmia anestetizzata che veniva stimolata visivamente
durante uno studio di fMRI con un magnete verticale da 4.7 T. La registrazione simultanea dell’attività
neuronale e della risposta BOLD ha permesso di evidenziare una stretta correlazione tra LFPs e segnale
fMRI, sottolineando il ruolo fondamentale svolto dall’attività sinaptica più che dai potenziali d’azione
nella genesi del segnale BOLD (figura 13).
2.3 Disegno degli esperimenti fMRI
Un esperimento fMRI prevede la presentazione di stimoli in grado di produrre una risposta neuronale. In molti tipi di disegno sperimentale i volontari non percepiscono soltanto uno stimolo visivo passivamente, ma eseguono un compito che richiede una risposta behaviourale. In generale i dati di fMRI
53
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
vengono analizzati confrontando stati differenti di attività neuronale definiti dalle condizioni di stimolazione che li generano. Le variazioni delle condizioni di stimolazione si ottengono alternando periodi “on” ed “off” nel classico disegno a blocchi (block-design) o continue nel caso del disegno parametrico
(event-related design).
FIGURA 13
Local field potentials (LFPs)
Multiunit activity (MUA)
input signal and local
intracortical processing
action potentials
by principal (output) neurons
Relazione attività elettrica neuronale e segnale BOLD.
Logothesis et al., Nature modified 412, 150-157 (2001).
Il disegno a blocchi è caratterizzato dalla presentazione di blocchi omogenei di stimoli durante l’esame funzionale, che rende poi facile l’analisi dei dati attraverso l’assunzione che l’attività funzionale sia
uguale in tutti i blocchi di presentazione dello stimolo e che questi siano assimilabili tra di loro per analizzare la differenza complessiva di attività funzionale tra i due stati. Per aumentare il significato statistico
delle osservazioni negli esperimenti con schema di block-design i periodi di stimolazione (“on”) e di controllo (“off”) vengono generalmente ripetuti più volte nel tempo (figura 14).
L’adozione di differenti disegni sperimentali (event-related) può consentire di indagare più approfonditamente la varazione di attività neuronale in risposta a caratteri analitici della stimolazione.
3.
Studi di perfusione con RM
3.1 Introduzione
Con il termine perfusione si intende il volume ematico che nell’unità di tempo fornisce ossigeno
(O2) e nutrienti attraverso il letto capillare ad un tessuto.
Pionieri nello studio della perfusione cerebrale in vivo sono stati gli studi di medicina nucleare,
grazie all’impiego di traccianti radioattivi. Tuttavia gli elevati costi, la scarsa risoluzione spaziale e l’impiego di radioisotopi, hanno spinto alla ricerca di nuove metodiche per gli studi della perfusione.
54
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
FIGURA 14
Una slice
Un volume
In ciascun TR viene acquisito
l’intero pacchetto di slices (volume)
Stimolo
Controllo
Un blocco
Un ciclo
Una sessione
TEMPO
Esperimento tipo block-design.
Lo sviluppo di magneti ad alto campo ha permesso in Risonanza Magnetica di ottenere acquisizioni ultra-rapide che, seriate nel tempo, offrono la possibilità di studiare il passaggio del sangue nella
rete vascolare cerebrale e di valutare e quantizzare i vari parametri emodinamici.
A differenza degli studi angio-RM che visualizzano il flusso nei grossi vasi, la perfusione cerebrale
con RM studia il flusso ematico a livello del microcircolo tissutale. Schematicamente possono essere considerate due differenti tecniche di perfusione con RM: quelle che utilizzano traccianti esogeni, denominate
Dynamic-Contrast-Susceptibility-Imaging (DSCI), e quelle che utilizzano contrasti endogeni, denominate
Spin-Labeling.
3.2 Perfusione con traccianti esogeni
I traccianti esogeni più frequentemente utilizzati sono costituiti dai mezzi di contrasto (mdc) paramagnetici, come i chelati del gadolinio, che producono un accorciamento del tempo di rilassamento T1
(interazioni dipolo-dipolo) ed anche un accorciamento del tempo di rilassamento T2 e T2*. Entrambi
gli effetti sono proporzionali alla quantità di mdc presente in quel determinato istante nell’area analizzata e quindi alla perfusione cerebrale.
In condizioni fisiologiche, l’integrità della barriera emato-encefalica è responsabile della compartimentalizzazione del mdc nel solo distretto intravascolare; quindi il rilassamento T1 nel sangue circolante risulta “trascurabile”, poiché il volume vascolare costituisce solo l’1-3% del volume cerebrale totale.
Allo stesso tempo il mdc intravascolare determina la comparsa di un ripido gradiente di campo magnetico locale tra vaso sanguigno e interstizio limitrofo che causa una disomogeneità del campo magnetico locale (alterata suscettibilità magnetica). Questo effetto enfatizza la caduta del segnale anche del
30-50%, rendendo le sequenze T2 e T2* più sensibili delle T1 alle variazioni della perfusione tissutale.
55
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Pertanto, gli effetti sulla magnetizzazione trasversale (T2) e sulla suscettibilità magnetica (T2*) rappresentano i meccanismi più utilizzati dalle tecniche di perfusione RM.
Le modificazioni tissutali indotte dal passaggio del gadolinio sono transitorie, estremamente fugaci (circa 10 secondi) e più marcate quanto maggiori risultano i gradienti di magnetizzazione tra lume
vasale e tessuti viciniori. Pertanto un esame di perfusione RM richiede l’iniezione “a bolo” del mdc, a
dose doppia (0,2 mmol/Kg), ed un’acquisizione dinamica con sequenze ultrarapide (1sec/immagine) del
primo passaggio nel letto vascolare.
Nella pratica clinica le sequenze eco-planari (EPI) ad impulso singolo SE o GRE, sono quelle più
frequentemente impiegate per le acquisizioni dinamiche di perfusione in quanto dotate di elevata risoluzione temporale, alta suscettibilità magnetica e consentono acquisizioni multi-slice. Le sequenze SE-EPI
e GRE-EPI offrono risultati sostanzialmente sovrapponibili dal punto di vista diagnostico; mentre le SEEPI presentano minori artefatti all’interfaccia osso/tessuto o aria/encefalo e maggiore sensibilità per il
microcircolo (vasi di calibro <20µ), le GRE-EPI sono dotate di maggiore sensibilità alle variazioni di
suscettibilità magnetica, minore risoluzione temporale e permettono l’impiego di dosi di mdc inferiori
di circa 2 volte rispetto alle SE-EPI.
Per ogni strato, con acquisizione dinamica, si ottengono in media 40-60 immagini in condizioni
basali e durante l’iniezione del mdc, che successivamente vengono elaborate. Dalla misurazione dell’intensità di segnale per ogni voxel e dalla valutazione del suo andamento nel tempo durante le varie acquisizioni, si generano poi della curve intensità/tempo per ogni regione di interesse (ROI) (figure 15 e 16).
FIGURA 15-16-17
FIG. 15
FIG. 16
FIG. 17
Fig. 15 - Scansione RM assiale per la selezione delle ROI.
Fig. 16 - Curve intensità di segnale/tempo per le ROI L1 ed L2 nei due emisferi in un volontario sano.
Fig. 17 - Curva concentrazione/tempo con i parametri di riferimento: time to peak (TTP)
e l’area sottesa dalla curva indispensabile per il calcolo del volume ematico cerebrale (rCBV).
Poichè è stata dimostrata una proporzionalità tra il decremento del segnale e la concentrazione di
mdc tissutale, è possibile convertire le curve tempo/intensità in curve tempo/concentrazione (figura 17),
dalle quali, con una successiva post-elaborazione, è possibile calcolare i vari parametri di perfusione
(CBV, MTT, CBF, TTP) ed elaborare le relative mappe mediante algoritmi di deconvoluzione.
–
Il volume ematico cerebrale relativo (rCBV), espresso in ml/100g, si ottiene calcolando l’integrale dell’area sottesa alla curva tempo/concentrazione. Si parla di volume ematico relativo poiché la valu-
56
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
tazione della funzione dell’input arterioso (AIF) reale, tramite campionamento con ROI di un vaso
intracranico, è in realtà di difficile applicazione nella pratica clinica.
–
Il tempo medio di transito (MTT), misurato in secondi, rappresenta il tempo medio impiegato dal
sangue per passare dal distretto arterioso a quello venoso. Si calcola empiricamente come tempo trascorso tra il momento di arrivo del mdc nella ROI (t0) ed il momento in cui il mdc raggiunge la
massima concentrazione. Il MTT dipenderà quindi dal percorso che il sangue compie per passare
dalle arterie alle vene, dall’emodinamica tissutale, così come dalla presenza di shunts e dalla tortuosità dei vasi stessi.
–
Il flusso ematico cerebrale relativo (rCBF), espresso in ml/100g/min, si calcola dalla equazione del
volume centrale MTT=CBV/CBF.
–
Il tempo di picco (TTP), calcolato in secondi, rappresenta il tempo intercorso tra l’inizio dell’iniezione ed il momento in cui il mdc raggiunge la massima concentrazione. È indicativo di eventuali ritardi nel transito e nell’arrivo del bolo di mdc.
Le mappe generate con questa metodica (figura 18) non sono in grado di fornire valori quantitati-
vi assoluti di perfusione (il CBF ed il CBV sono dati relativi), ma soltanto dei dati qualitativi o semiquantitativi.
FIGURA 18
A
B
C
D
Mappa colorimetrica del volume ematico cerebrale (rCBV) (A),
mappa colorimetrica del flusso ematico cerebrale (rCBF) (B),
mappa del tempo medio di trandito (MTT) (C)
e mappa del tempo di picco (TPP) ottenute in volontario sano (D).
Uno dei principali problemi della perfusione con mdc esogeni è rappresentato dallo studio di lesioni cerebrali associate a danno della barriera emato-encefalica. In questi casi l’effetto del gadolinio sul
rilassamento T1 nel tessuto in cui è fuoriuscito è predominante e maschera l’effetto T2, risultandone
valori di rCBV falsamente diminuiti. Per tale motivo le mappe di rCBV vengono elaborate di routine
con un algoritmo matematico di correzione in grado di compensare tali effetti. Inoltre può rivelarsi utile un’iniezione di una piccola dose di mdc prima della sequenza di perfusione, così da saturare le aree
peritumorali ad elevata permeabilità e ridurre l’effetto dello stravaso di mdc sul T2*. Un’altra possibile
alternativa può essere costituita dall’impiego di mdc differenti dal gadolinio, quali il disprosio, che presenta effetti T2* più elevati del gadolinio stesso, ma con effetti sul T1 del tutto trascurabili.
57
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Accanto a questa metodica di perfusione “dinamica”, è stata anche proposta una tecnica “statica”,
basata su sequenze SE-EPI o GRE-EPI dipendenti dal tempo di rilassamento T1 acquisite prima dell’infusione di gadolinio e successivamente durante lo steady-state (30 min circa). Sottraendo l’immagine
post-contrasto a quella basale, è possibile ottenere una mappa dei valori assoluti di CBV che, sebbene
abbia un basso rapporto segnale/rumore rispetto a quelle ottenute con la DSCI, sembra fornire informazioni diagnostiche del tutto simili. La dipendenza T1 di tali mappe tuttavia determina valori di rCBV
falsamente esagerati in caso di alterazioni della permeabilità della BEE.
3.3 Perfusione con traccianti endogeni
Le metodiche di perfusione Spin-Labeling sono in grado di percepire il fisiologico flusso dei protoni nel letto capillare senza l’impiego di mdc esogeni. Essendo basate sul sangue circolante, quindi su un
tracciante diffusibile, presentano analogie con le metodiche di medicina nucleare ed offrono la possibilità di valutazioni non solo qualitative ma anche quantitative del CBF.
Questo metodo per la misurazione assoluta del flusso, sfrutta gli effetti del tempo di rilassamento
T1 mediante la marcatura dei protoni del sangue arterioso (Spin Labeling) in entrata nel volume di acquisizione, tramite una serie rapida e selettiva di impulsi di inversione o presaturazione, seguita dall’acquisizione di uno strato posizionato a valle della banda di inversione quando gli spin marcati lo perfondono,
così come avviene nella angiografia con RM a “tempo di volo” (MRA-TOF).
Gli spin del sangue arterioso del piano sottostante (piano di labeling) a quello di acquisizione, vengono marcati con una sequenza SE Inversion Recovery selettiva, o con altre sequenze di tagging, che ne
inverte la direzione degli stessi. Questi entrando nel piano di acquisizione, precedentemente sottoposto
ad impulsi di saturazione, determinano un aumento del segnale nelle regioni perfuse. Dalla sottrazione
delle immagini acquisite in condizioni basali, senza tagging, e di quelle con spin marcati, si misurano le
differenze di intensità di segnale e si ottengono mappe qualitative e quantitative del CBF. Errori sistematici di sottrazione di due sequenze lievemente differenti possono essere evitati calcolando i valori del
T1 mediante mappe del T1 ∆ (1/T1).
Questa tecnica, oltre a non utilizzare mezzo di contrasto, offre il vantaggio di poter ottenere misure quantitative del flusso e di essere indipendente dalla permeabilità della BEE.
I limiti sono costituiti dalla maggiore durata di acquisizione, dalla minore risoluzione spaziale e
dai fenomeni di trasferimento di magnetizzazione. Questi ultimi possono essere minimizzati con l’impiego di bobine di trasmissione e di ricezione separate, o mediante l’applicazione di un impulso di radiofrequenza al di sopra del piano di interesse.
Altra possibile fonte di inaccuratezza è data dalla perdita dello spin labeling durante il periodo di
transito arterioso dovuto al rilassamento T1, quando il sangue muove dal piano di tagging al piano di
immagine.
Una tecnica alternativa è la Flow-Sensitive Alternating Inversion Recovery (FAIR), che prevede un
impulso di inversione selettivo di strato direttamente nella regione in esame e non in un piano sottostante. In tal modo si misura l’incremento di segnale determinato dall’afflusso (“inflow”) di protoni non
marcati. In questo caso gli spin non marcati hanno una magnetizzazione longitudinale completa e gli
effetti di rilassamento T1 dovuti al transito arterioso sono eliminati.
58
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
4.
Studi di diffusione con RM
4.1 Introduzione
La diffusione misura gli spostamenti microscopici dei protoni dell’acqua, che nei sistemi biologici
sono il risultato di una complessa combinazione di moti casuali (browniani) e di movimenti attraverso
le membrane cellulari.
La diffusione dell’acqua nei tessuti biologici possiede caratteristiche microscopiche: una molecola
di acqua non legata, ad esempio, ha un cammino libero medio di 60 µm in 1 secondo. Essa è inoltre
influenzata da svariati fattori, tra i quali sono compresi i seguenti:
–
temperatura;
–
permeabilità delle membrane;
–
compartimentalizzazione dell’acqua (extracellulare-intracellulare);
–
dimensioni cellulari;
–
caratteristiche ultrastrutturali (ricchezza di organelli e altre strutture dotate di membrane);
–
grado di anisotropia (dipendenza dalla direzione di misura della diffusione);
composizione chimico-fisica del tessuto (quantità e dimensione delle macromolecole).
Tali fattori influiscono sulla diffusione delle molecole dell’acqua, determinando perturbazioni del
flusso diffusivo.
La RM è l’unica tecnica attualmente disponibile per ottenere la misura della diffusione in vivo e in
modo non invasivo. Gli studi di diffusione consentono di approfondire le conoscenze riguardo l’organizzazione strutturale dei compartimenti tessutali e le modificazioni fisio-patologiche che si verificano
in varie condizioni morbose.
4.2 Tecnica di studio della diffusione con RM
Il principio della diffusione si basa sulla naturale sensibilità del segnale RM al movimento. Le molecole di acqua nei tessuti sono in costante movimento, e spostandosi attraverso campi magnetici disomogenei (quali quelli generati dai gradienti di risonanza), accumulano un cambiamento di fase
responsabile dell’attenuazione del segnale. Si possono pertanto ottenere immagini in cui il contrasto è
determinato dal coefficiente di diffusione dell’acqua.
Il fatto che il segnale RM potesse essere influenzato dalla diffusione delle molecole era stato osservato già negli anni ’50. A quei tempi, tuttavia, non esistevano bobine in grado di produrre gradienti di
campo magnetico, indispensabili per la misura della diffusione.
Lo sviluppo delle tecniche RM di rilevazione del fenomeno della diffusione si deve all’introduzione, da parte di Stejksal e Tanner, di sequenze basate sull’applicazione di una coppia di gradienti addizionali di elevata intensità (centinaia di gauss/cm) e di brevissima durata (pochi millisecondi) nelle
sequenze Spin-Echo.
Le prime applicazioni della diffusione per lo studio dell’encefalo in ambito fisiologico e patologico risalgono agli anni ’80; esse si basano su sequenze Eco-Planare (EPI), sequenze rapide che producono
immagini con matrice elevata in pochi secondi.
Come già accennato, tecnicamente la misura della diffusione viene ottenuta mediante l’inserimento di due gradienti di campo magnetico, (gradienti di sensibilizzazione o di diffusione) in una
59
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
sequenza Spin-Echo (SE) standard, separati in maniera simmetrica da un impulso di radiofrequenza a
180°. Il primo gradiente causa una piccola distorsione lineare del campo magnetico principale (Bo), in
modo che le frequenze di precessione dei nuclei di idrogeno vengono leggermente sfasate. L’impulso di
radiofrequenza a 180°, detto anche impulso di rifocalizzazione, ha l’effetto di far ruotare di 180° il vettore rappresentante ciascuno spin, in modo tale che il successivo gradiente, modificando nuovamente
le frequenze di precessione, riporta gli spin in fase.
Questo si verifica per i nuclei di idrogeno immobili, legati ad esempio alle macromolecole. Per questi nuclei, che non sono in movimento lungo la direzione di applicazione del gradiente, l’effetto di defasamento del secondo impulso cancella quello creato dal primo e non si verifica attenuazione del segnale.
Se invece i nuclei possiedono un moto traslazionale casuale (diffusione), ogni spin nucleare viene
sottoposto ad un campo magnetico di intensità differente durante il secondo impulso rispetto al precedente e quindi non sarà riportato esattamente in fase con gli altri spin.
Il risultato (netto defasamento) è un’attenuazione dell’intensità di segnale nell’immagine pesata
in diffusione: le aree con elevata diffusione saranno caratterizzate da segnale ipointenso e viceversa. In
altre parole, l’intensità del segnale diviene inversamente proporzionale al grado di movimento.
L’entità di attenuazione del segnale dipende dall’ampiezza dello spostamento dei protoni (espressa dal coefficiente di diffusione, D) e dall’intensità del gradiente di campo magnetico.
Il cosiddetto “fattore b” rappresenta la sensibilità della sequenza al movimento (figura 19). Esso si
misura in sec/mm2 e dipende dall’intensità del gradiente di campo magnetico, dalla durata dello stesso
e dall’intervallo di tempo tra i due gradienti. È un parametro modificabile dall’operatore, permettendo
un migliore contrasto nell’immagine finale ed una stima del coefficiente di diffusione.
Poiché altri tipi di movimento incoerente all’interno del voxel possono produrre effetti simili a
quelli della diffusione propriamente detta (ad esempio, i movimenti involontari del paziente dovuti alla
respirazione, la perfusione capillare, la vibrazione tissutale legata all’escursione arteriosa sistolica), la tecnica di diffusione non misura il coefficiente di diffusione vero e proprio. Pertanto, il parametro che si
ottiene viene chiamato Coefficiente di Diffusione Apparente (ADC, misurato in mm2/sec).
Gli “ostacoli” allo spostamento delle molecole dell’acqua sono rappresentati dalle membrane cellulari. La misura dell’ADC varia al variare del tempo di diffusione (tdiff): quanto più lungo è il tempo di
diffusione, tanto maggiore è la distanza che le molecole d’acqua possono percorrere, avendo così maggiore probabilità di incontrare barriere e di fornire una sottostima dell’ADC.
Pertanto, se si vuole incrementare la sensibilità della sequenza al movimento, è meglio aumentare
il “fattore b” agendo sull’intensità del gradiente di campo magnetico, piuttosto che sul tempo di diffusione.
Il valore ideale è quello che consente di ottenere il maggior contrasto tra tessuto sano e patologico, tipicamente maggiore o uguale a 800 mm2/sec; in tal modo le aree con un elevato valore di ADC
appaiono ipointense e viceversa.
4.3 Diffusione isotropica ed anisotropica
La presenza di “barriere” al movimento delle molecole d’acqua è responsabile, oltre che dell’ostacolo alla diffusione, anche della anisotropia della diffusione, ossia della differenza di entità del fenomeno lungo i diversi assi del tessuto o organo in esame.
60
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
In un mezzo omogeneo il fenomeno della diffusione è indipendente dalla direzione nello spazio
(diffusione isotropica), essendo come già detto il risultato del movimento casuale di traslazione termica delle molecole.
Nei tessuti biologici, invece, la direzione della diffusione è “obbligata” dalla presenza di strutture
cellulari ed extracellulari (diffusione anisotropica).
Più in particolare, a livello della sostanza grigia la diffusione è isotropica e circa 2.5 volte inferiore
a quella dell’acqua pura alla stessa temperatura.
Negli spazi liquorali, la diffusione è ovviamente simile a quella dell’acqua.
A livello della sostanza bianca, la diffusione è estremamente variabile in relazione al diverso orientamento dei fasci di fibre mieliniche, che agiscono come “guide” per la diffusione dell’acqua; infatti le
fibre facilitano il movimento delle molecole d’acqua negli spazi tra gli strati di membrane (parallelamente al decorso dell’assone), mentre lo limitano attraverso di essi (perpendicolarmente al decorso dell’assone), con conseguente restrizione della diffusione.
Di conseguenza, l’ADC misurato lungo un asse parallelo alla direzione delle fibre mieliniche è maggiore di quello misurato lungo l’asse ortogonale ad esse. Questo può essere vantaggioso, in quanto applicando il gradiente di diffusione in una direzione, la sequenza sarà sensibilizzata alla diffusione in quella
direzione. I fasci di fibre a decorso parallelo a tale gradiente presenteranno la perdita di segnale massimale (maggiore diffusività, segnale ipointenso), mentre l’effetto sarà minimo quando il gradiente viene
applicato in direzione perpendicolare al loro decorso (minore diffusività, segnale iperintenso).
In sintesi, quindi, orientando i gradienti nelle tre direzioni dello spazio, il liquor e la sostanza grigia presentano segnale simile in tutte le direzioni di applicazione del gradiente, espressione di diffusione isotropica dell’acqua. A livello della sostanza bianca, invece, il segnale delle immagini è alto quando
il gradiente è perpendicolare all’asse maggiore delle fibre, espressione di diffusione anisotropica.
4.4 Mappe del coefficiente di diffusione
Gli studi di diffusione possono essere condotti da un punto di vista qualitativo o quantitativo.
Nel primo caso, come già detto, si valutano le immagini pesate in diffusione ottenute con un singolo valore di b e con i gradienti orientati nei tre piani principali dello spazio (figura 20). Tali immagini riflettono, in ciascun voxel, l’entità della perdita di segnale associata. Pertanto, le aree con basso
coefficiente di diffusione, come le aree ischemiche iperacute, sono rappresentate iperintense rispetto a
quelle con elevato coefficiente di diffusione, come il liquor (ipointense).
Da un punto di vista quantitativo, è possibile ottenere valori numerici per l’ADC e generare una
mappa di ADC (figura 21), nella quale l’intensità di ciascun voxel è direttamente proporzionale al valore del coefficiente in quello stesso voxel; pertanto, aree con elevato ADC appariranno iperintense e viceversa. Ciò si realizza mediante l’acquisizione di una serie di immagini di diffusione con valori di b
differenti, allo scopo di ottenere una curva di attenuazione del segnale dalla quale si calcola l’ADC.
Maggiore è il numero di valori di b utilizzati, più accurata sarà la stima del valore di ADC.
L’ADC esprime un rapporto tra entità di superficie ed entità di tempo. Il suo valore varia in corrispondenza delle diverse componenti anatomiche del tessuto encefalico ed al variare del tempo di diffusione, a seconda della geometria, permeabilità e grandezza degli ostacoli incontrati dalle molecole di
acqua durane la diffusione.
61
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 19-20
FIG. 19
A
FIG. 20
B
C
D
E
Fig. 19 - Scansione RM assiale: sequenza EPI con b=0.
Si noti come l’immagine appare sostanzialmente pesata in T2.
Fig. 20 - Immagini DW ottenute con sequenza EPI, con b=1000 e con i gradienti orientati
secondo la direzione antero-posteriore (B), latero-laterale (C) e cranio-caudale (D).
L’immagine E è la risultante dalla sommazione di B, C e D.
Nelle mappe di ADC (figura 22), al contrario delle immagini pesate in diffusione, l’intensità luminosa di ciascun pixel riflette il valore assoluto relativo al valore di ADC misurato. Pertanto, con basso le
aree con bassi valore di ADC saranno ipointense, quelle con alto ADC iperintense.
Il calcolo delle mappe di ADC richiede un’elaborazione dell’immagine più complessa rispetto alla
semplice acquisizione della diffusione e necessita di tempi di acquisizione maggiori; esso tuttavia consente di eliminare dalle immagini l’effetto della pesatura della sequenza di partenza, con una più univoca
correlazione tra modifiche del segnale e variazioni di ADC.
62
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
FIGURA 21-22
FIG. 21
A
B
FIG. 22
A
B
Fig. 21 - Immagine DW (A) e corrispettiva mappa ADC (b1000 - b200) (B).
Fig. 22 - Mappa ADC (A) e corrispettiva rappresentazione colorimetrica (B).
4.5 Tensore di diffusione
Applicando un metodo di misurazione della diffusione esclusivamente di tipo monodimensionale,
i risultati sono strettamente dipendenti dalla direzione in cui il fenomeno è stato misurato.
Il tensore di diffusione è un modello matematico che consente una misura dell’intensità e della direzione della diffusione “locale” in strutture non isotropiche (misure di diffusione tensoriale), indipendentemente dalla direzione di applicazione dei gradienti, dal valore di b e dall’orientamento delle sezioni
anatomiche acquisite; esso è determinato solo dalle caratteristiche di diffusività dell’acqua nel tessuto.
Il Tensore si basa sull’applicazione di multipli gradienti, lungo almeno sei assi diversi (ad esempio
una combinazione di assi ortogonali e tetraedrali), massimizzando così l’effetto dell’anisotropia. Tale modello consente di ottenere valori vicini alla misura della diffusione assoluta (D), e permette di valutare le variazioni nei tessuti in esame e di confrontarli nel tempo nello stesso soggetto o tra soggetti diversi.
Dagli elementi del tensore di diffusione si possono ottenere mappe dell’indice di anisotropia (Lattice index), in cui le regioni a diffusione isotropica appaiono scure e viceversa per le regioni anisotropiche (figura 23). Tipicamente, la sostanza bianca è più anisotropica del liquor e della corteccia, ma con un
alto grado di variabilità nel suo contesto: l’anisotropia è infatti alta in regioni in cui le fibre decorrono
63
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
in fasci paralleli, come nel corpo calloso, mentre è più bassa in regioni dove le fibre hanno un orientamento incoerente, come a livello sottocorticale o nel centro semiovale.
Dalle mappe dell’indice di anisotropia si possono desumere altri parametri.
Tra questi, la cosiddetta Traccia del tensore di diffusione, pari alla somma dei tre valori di diffusività (autovalori) associati alle tre direzioni mutuamente perpendicolari. Gli autovalori sono dei coefficienti di diffusione, con la differenza che la direzione del vettore a cui sono associati è indipendente
dall’orientamento dei gradienti applicati. Nel cervello normale, la Traccia ha valori molto omogenei in
tutto il tessuto cerebrale. Essa è utile per identificare piccole variazioni della diffusività del tessuto, non
identificabili con le mappe di ADC.
Altri parametri desumibili dagli elementi del Tensore di diffusione sono l’Anisotropia Frazionaria,
corrispondente al livello di anisotropia di un dato voxel, la Diffusività Media e l’ADC. Da tali parametri,
con appropriati programmi di post-elaborazione, si può ottenere una rappresentazione del decorso e dell’anatomia dei fasci di sostanza bianca (fiber-tracking) (figura 24).
Le immagini ottenute calcolando il tensore richiedono l ‘acquisizione e la elaborazione di molti
dati e quindi allungano notevolmente il tempo di esame e ne aumentano i costi, che non sempre giustificano i benefici addizionali.
FIGURA 23-24
FIG. 23
FIG. 24
Fig. 23 - Mappa colorimetrica dell’indice di anisotropia.
Si noti come i fasci di sostanza bianca abbiano valori elevati di anisotropia (rosso, giallo, verde).
Fig. 24 - Mappe colorimetriche (assiale e coronale) dell’orientamento delle fibre di sostanza bianca
(fiber-tracking) originate dall’acquisizione con gradienti in 16 direzioni differenti. Nell’immagine le fibre
con orientamento latero-laterale sono rappresentate in rosso, le fibre con orientamento antero-posteriore
in verde, mentre quelle con orientamento caudo-craniale in blu. Le fibre con orientamento obliquo sono
invece rappresentate con colori originati dalla combinazione dei tre colori primari.
64
T E C N I C H E D I R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
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65
CAPITOLO 4
METODICHE DI TOMOGRAFIA
AD EMISSIONE: SPECT E PET
Andrea Varrone, Marco Salvatore
Istituto di Biostrutture e Bioimmagini, CNR
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
1.
Definizioni di SPECT e PET
La tomografia ed emissione di fotone singolo (SPECT) e la tomografia ad emissione di positroni
(PET) sono tecniche di medicina nucleare che consentono di ottenere immagini tridimensionali della distribuzione di un radiocomposto all’interno di un organo o apparato oggetto di studio. Nel caso del cervello i radiocomposti utilizzati consentono di studiare diversi aspetti funzionali quali il flusso ematico
cerebrale, il metabolismo cerebrale del glucosio o dell’ossigeno, la densità di recettori, trasportatori o
enzimi di sintesi o degradazione di neurotrasmettitori. I radiocomposti o traccianti hanno la proprietà
di “tracciare” una determinata funzione, ovvero la loro distribuzione o concentrazione tissutale riflette
la funzione oggetto di studio, per cui dalla misura della concentrazione tissutale e della concentrazione
plasmatica (input function) del tracciante è possibile, mediante appropriati modelli matematici, ricavare parametri che esprimono la funzione oggetto di studio. Le differenze fondamentali tra la SPECT e la
PET consistono nella:
1)
utilizzazione di radiocomposti marcati con radionuclidi emettitori di singoli fotoni (SPECT) o di
radionuclidi emettitori di positroni (PET);
2)
utilizzazione di diverse apparecchiature per l’acquisizione delle immagini: gammacamera rotante o
tomografi dedicati (SPECT), dotati di collimatori con diverse caratteristiche di risoluzione, sensibilità e capacità di rilevare radiazioni gamma di diversa energia, oppure tomografi dotati di cristalli
ad elevato potere di assorbimento di radiazioni gamma ad elevata energia, con elevata sensibilità
(PET) accoppiati o meno a scanner TC (PET-TC);
3)
diversa risoluzione e sensibilità (maggiore per la PET rispetto alla SPECT).
I radiofarmaci o radiocomposti o traccianti impiegati nella SPECT e nella PET sono molecole che
contengono atomi radioattivi (o radionuclidi) che decadono con emissione di raggi γ (SPECT) oppure di
particelle β+ o positroni (PET). I raggi γ o fotoni sono onde elettromagnetiche che interagiscono con la
materia attraverso: 1) assorbimento totale dell’energia del fotone incidente da parte dell’atomo (effetto
fotoelettrico); 2) deviazione della traiettoria del fotone incidente per interazione con elettroni di orbitali
67
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
esterni e parziale perdita di energia (scatter compton); 3) interazione con l’atomo e deviazione della
traiettoria con trascurabile perdita di energia (scatter coerente) (1).
I radionuclidi principali utilizzati per la produzione di radiocomposti per lo studio del sistema nervoso
centrale sono il tecnezio-99m (99mTc) e lo iodio-123 (123I). Altri radionuclidi minori utilizzati maggiormente
in passato erano lo Xe-133 (133Xe), impiegato per la misura quantitativa del flusso cerebrale, ed il tallio-201
(201Tl) impiegato nello studio dei tumori cerebrali. Il
99mTc
è il radionuclide maggiormente impiegato in
medicina nucleare; esso è prodotto da un generatore in forma di Na+-pertecnetato e viene utilizzato per la
sintesi di radiocomposti mediante kit commerciali disponibili in tutti i laboratori di medicina nucleare. Il
99mTc
ha un’emivita fisica di 6 ore ed un’energia di 140 keV. L’emività di 6 ore garantisce un tempo suffi-
ciente per la produzione di radiocomposti e l’esecuzione degli esami nella stessa giornata. L’energia di 140
keV è ideale per la rilevazione da parte delle gammacamere generalmente impiegate per l’acquisizione delle immagini. Lo 123I è un radionuclide prodotto da un acceleratore di particelle, il ciclotrone, e può essere
impiegato nella sintesi di vari composti mediante reazione di iodinazione. Lo 123I ha un’emivita fisica di
13.2 ore ed un’energia di 159 keV. L’emivita di 13.2 ore consente di sintetizzare radiocomposti che hanno
una cinetica lenta che può essere valutata in tempi lunghi (diverse ore); l’energia di 159 keV è molto vicina a quella del
99mTc
e consente di ottenere immagini di simile qualità e contrasto. La tabella 1 mostra i
principali radiofarmaci SPECT impiegati per lo studio del SNC (2).
Tabella 1 - Alcuni dei principali radiofarmaci SPECT disponibili per lo studio del cervello
Funzione/Sistema di neurotrasmissione
Radiofarmaco
Flusso cerebrale
[99mTc]HMPAO, [99mTc]ECD, [123I]IMP, 133Xe
Dopamina
Recettori D2
[123I]IBZM, [123I]IBF, [123I]epidepride
Trasportatore dopamina
[123I]β-CIT, [123I]β-CIT-FP, [123I]altropane, [123I]PE-2I, [99mTc]TRODAT-1
Serotonina
Recettori 5-HT2A
[123I]5-I-R91150
Trasportatore serotonina
[123I]ADAM, [123I]β-CIT, [123I]nor-β-CIT, [123I]ZIENT
GABA
Recettori benzodiazepine
[123I]iomazenil, [123I]NNC 13-8241
Acetilcolina
Recettori muscarinici
[123I]IQNB, [123I]IQNP
Recettori nicotinici
[123I]5-I-A-85380
Trasportatore vescicolare dell’acetilcolina
[123I]IBVM
I positroni sono particelle β+ che interagiscono con la materia mediante un processo chiamato annichilazione, cioè interazione con un elettrone e produzione di una coppia di fotoni di energia pari a 511 keV
emessi in direzione opposta con un angolo di 180° (3). I radionuclidi emettitori di positroni maggiormente impiegati per lo studio del SNC sono il 18F, il 11C e l’15O. Tali radionuclidi hanno un’emivita fisica che varia da circa 2 ore (18F) a pochi minuti (15O). La loro produzione richiede l’impiego del ciclotrone
che deve essere presente nella sede di produzione dei radiocomposti (ad eccezione del 18F che può essere ottenuto da centri di produzione vicini). La produzione del radiocomposto avviene in laboratorio
68
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
attraverso procedure che richiedono moduli di sintesi specializzati e competenze specifiche di radiochimica e radiofarmacia. La tabella 2 mostra le principali caratteristiche fisiche dei radionuclidi indicati
assieme ad altri di minore applicazione attuale (4). La tabella 3 mostra i principali radiocomposti PET
impiegati nello studio del SNC (2).
Tabella 2 - Caratteristiche fisiche dei principali radionuclidi PET
Nuclide
Emivita (min)
Modo di decadimento
Energia max
Energia media
Range max in H20
Fluoro-18
109.8
97% β+
0.69 MeV
0.250 MeV
2.4 mm
Carbonio-11
20.4
100%
β+
0.96 MeV
0.386 MeV
4.1 mm
Azoto-13
9.98
100% β+
1.19 MeV
0.492 MeV
5.4 mm
Ossigeno-15
2.03
100% β+
1.7 MeV
0.735 MeV
8.0 mm
Bromo-76
96.0
75.5% β+
1.74 MeV
0.750 MeV
8.2 mm
Rubidio-82
1.25
95.5% β+
3.36 MeV
1.5 MeV
16.5 mm
Tabella 3 - Alcuni dei principali radiofarmaci PET disponibili per lo studio del cervello
Funzione/Sistema di neurotrasmissione/
Radiofarmaco
Target molecolare
Flusso cerebrale
H215O, 15O-butanolo
Estrazione di ossigeno
O2
Metabolismo del glucosio
[18F]FDG
Dopamina
Recettori D1
[11C]SCH 23390, [11C]NNC 112
Recettori D2
[11C]raclopride, [11C]FLB 457, [11C]NMSP, [18F]fallypride,
[18F]fluoroethylspiperone, [11]NPA, [11C]MNPA
Trasportatore dopamina
[11C]PE2I, [11C]β-CIT-FE, [11C]β-CFT, [11C]cocaina, [11C]metilfenidato,
[18F]β-CFT, [18F]β-CIT-FP
Trasportatore vescicolare delle monoamine
[11C]DTBZ
L-aromatico aminoacido decarbossilasi (AADC) [11C]DOPA, [18F]6-F-dopa
Serotonina
Recettori 5-HT1A
[carbonil-11C]WAY-100635, [11C]DWAY, [18F]FCWAY, [18F]p-MPPF
Recettori 5-HT2A
[11C]MDL 100907, [18F]fluoroethylspiperone, [18F]altanserin, [18F]setoperone
Trasportatore serotonina
[11C]MADAM, [11C]DADAM, [11C]McN5652, [11C]DASB
Acetilcolina
Recettori muscarinici
[11C]3-MPB, [11C]benatropine
Recettori nicotinici
[18F]2-F-A-85380, [18F]6-F-A-85380
Acetilcolinesterasi
[11C]PMP, [11C]MP4A
GABA
Recettori benzodiazepine
[11C]flumazenil, [11C]Ro 15-4513, [18F]flumazenil
Recettori benzodiazepine di tipo periferico
[11C]PK 11195
Recettori oppioidi
[11C]carfentanil, [11C]diprenorphine, [18F]cyclofoxy
Placche amiloidi e depositi neurofibrillari
[18F]FDDNP, [11C]PIB, [11C]SB-13
69
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
2.
Aspetti tecnici della SPECT
Gammacamere per acquisizioni SPECT
Il sistema di rilevazione della SPECT è rappresentato dalla gammacamera (5). La gammacamera è un
rivelatore costituito da: 1) un collimatore la cui funzione è di limitare il numero di fotoni incidenti
secondo determinate traiettorie; 2) un cristallo scintillatore di NaI contenente impurità di tallio (che ne
aumentano le capacità di scintillazione); 3) da fotomoltiplicatori che convertono il segnale luminoso (scintillazione) prodotto dall’interazione dei fotoni con il cristallo, in segnale elettrico, amplificandolo; 4) dall’elettronica deputata al posizionamento dell’evento di scintillazione ed all’amplificazione del segnale.
I collimatori sono costituiti da fori delimitati da setti di piombo in grado di assorbire fotoni γ. I collimatori maggiormente impiegati per studi cerebrali sono i collimatori a fori paralleli ed elevata risoluzione (LEHR) o i collimatori fan-beam. Nei primi i fori sono disposti in parallelo lungo entrambi gli assi
del collimatore, nei secondi i fori sono convergenti in un punto posto ad una distanza di 40-50 cm (punto focale) lungo un piano traverso al collimatore, mentre sono disposti in file parallele tra di loro lungo
l’asse Z dell’oggetto da studiare (figura 1).
FIGURA 1
Collimatori a fori paralleli
r
z
Collimatori fan-beam
z
r
Illustrazione schematica dei collimatori a fori paralleli e fan-beam.
Sono mostrate le sezioni traverse per i due angoli di vista perpendicolari.
La SPECT è una tecnica tomografica basata sull’acquisizione, mediante rotazione della gammacamera intorno al paziente, di immagini o proiezioni bidimensionali (2D) ad intervalli angolari egual-
70
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
mente distanziati fra di loro, utilizzando radionuclidi che emettono raggi γ singoli o raggi γ multipli ma
senza alcuna correlazione angolare (6).
Le proiezioni 2D vengono poi utilizzate nella ricostruzione delle immagini su una matrice di 64x64
o più generalmente di 128x128 pixels. Il pixel (o picture element) è la più piccola unità bidimensionale in cui è divisa l’immagine 2D. Le immagini corrispondenti a ciascun piano transassiale (fetta) sono prodotte a livello di tutte le coordinate assiali del campo di vista (FOV) della gammacamera, generando
quindi un insieme di immagini contigue 2D che formano un volume 3D. La più piccola unità tridimensionale di tale volume è definita voxel. In un esame SPECT i dati vengono acquisiti mediante un
numero di proiezioni angolari o viste che varia tra 64 e 128 e che coprono un angolo di 360°, grazie alla
rotazione della testata della gammacamera intorno al paziente. Attualmente la SPECT viene eseguita
mediante gammacamera a due o tre teste (figure 2A e 2B). Questi sistemi consentono di acquisire due o
FIGURA 2
A
C
B
D
Esempi di gammacamere per studi SPECT. (A) Gammacamera a due teste (E.CAM, Siemens).
(B) Gammacamera a tre teste (Picker PRISM 3000 XP). (C) Sistema dedicato per il cervello
(CERASPECT, Digital Scintigrafics, Inc.) e (D) particolare del collimatore della CERASPECT.
71
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
tre proiezioni angolari simultaneamente aumentando la sensibilità della SPECT. Per uno stesso tempo di
acquisizione totale la stessa proiezione può essere acquisita più volte, determinando un incremento di
due o tre volte del numero totale di conteggi acquisiti in un’immagine. In alternativa, un sistema multitesta può acquisire lo stesso numero di conteggi in un tempo pari alla metà o un terzo di quello impiegato da un sistema a singola testa. Ciò rappresenta un vantaggio per acquisizioni dinamiche in cui è
necessario seguire le modificazioni della distribuzione di un radiocomposto in funzione del tempo. Gammacamere a tre teste sono diffuse in numerosi centri che eseguono studi tomografici del cervello. Gammacamere a due teste sono maggiormente diffuse sul mercato perché consentono di eseguire studi
planari, studi del corpo intero (total-body) e studi tomografici. In passato sono stati realizzati anche
tomografi SPECT dedicati per studi del cervello. Un esempio di questi è il sistema CERASPECT (Digital
Scintigraphics, Inc. Cambridge, MA) ancora utilizzato da qualche centro in Europa ed in USA (figure 2C
e 2D). Esso consiste in un cristallo anulare di NaI(Tl) ed un collimatore formato da sei segmenti che ruotano simultaneamente intorno al rivelatore acquisendo sei proiezioni angolari. Tale sistema presenta
elevata sensibilità, particolarmente al centro del FOV, circa 2 o 3 volte superiore ad una gammacamera
a singola testa.
Metodi di ricostruzione delle immagini
Le proiezioni 2D acquisite secondo un’orbita di 360° vengono successivamente ricostruite per ottenere l’immagine 3D del cervello. La ricostruzione delle immagini avviene attraverso algoritmi matematici. I due metodi maggiormente utilizzati sono la retroproiezione filtrata (filtered back-projection, FBP)
e la ricostruzione iterativa (7). Una descrizione tecnica dettagliata di questi metodi è al di là dello scopo
di questo testo, per cui essi saranno descritti brevemente.
In tomografia un insieme di proiezioni o viste è acquisito ad angoli discreti ed ogni proiezione o
profilo è campionata ad intervalli discreti lungo un asse stazionario rispetto alla superficie del rivelatore. L’immagine è quindi ricostruita su una matrice 2D di pixels discreti nel sistema di coordinate x,y.
L’approccio più semplice per la ricostruzione di un’immagine dalle diverse proiezioni è la retroproiezione semplice che consiste nel proiettare (o distribuire) a ritroso i dati acquisiti da ciascun elemento in
una proiezione nella griglia dell’immagine intera (retroproiezioni). La somma delle retroproiezioni di
tutti i profili fornisce una stima della distribuzione di radioattività all’interno del volume acquisito.
Un’immagine ricostruita con la retroproiezione semplice è però gravata da un artefatto di sfocamento o
“blurring” che è tanto più evidente quanto maggiore è la distanza tra il rivelatore e la sorgente da acquisire. Un’evoluzione della retroproiezione semplice che consente di ovviare a tale artefatto è la FBP. Nella FBP viene utilizzata un’operazione matematica che consiste nella applicazione della trasformata di
Fourier ai singoli profili acquisiti a diversi angoli. La trasformata di Fourier (FT) è un’operazione molto
impiegata nei software disponibili sui personal computers di elaborazione di immagini perché rapidamente calcolabile. La FT consente di rappresentare un profilo monodimensionale come una somma di
funzioni seno e coseno di diverse frequenze spaziali nel cosiddetto dominio delle frequenze o spazio k,
invece di una funzione variabile nel cosiddetto spazio dell’immagine o spazio dell’oggetto. La FBP consiste nel: 1) calcolo della FT di ciascun profilo; 2) applicazione a ciascun profilo FT di un cosiddetto “filtro a rampa” che consiste dell’amplificazione delle componenti ad elevata frequenza (maggior dettaglio)
relativamente a quelle a minore frequenza (minor dettaglio); 3) calcolo dell’inverso della FT di ciascun
72
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
profilo FT filtrato; 4) retroproiezione dei profili filtrati. Poiché il classico filtro a rampa amplifica proporzionalmente tutte le frequenze spaziali a quindi anche quelle corrispondenti al rumore dell’immagine, i filtri più utilizzati danno un peso maggiore alle basse frequenze (che contengono maggiori
informazioni nelle immagini medico-nucleari) e minore alle alte frequenze (che contengono prevalentemente rumore), riducendo pertanto eventuali artefatti da rumore.
Un metodo alternativo alla FBP è la ricostruzione iterativa. Essa si basa sul calcolo di stime successive o iterative dell’immagine vera attraverso confronto tra le proiezioni acquisite e quelle misurate per
l’immagine stimata. L’algoritmo raggiunge la convergenza quando la differenza o il rapporto tra le proiezioni acquisite e quelle stimate raggiunge un valore minimo. Questa procedura richiede un tempo di
calcolo di molto superiore alla FBP, per cui la ricostruzione iterativa è stata introdotta nella pratica clinica solo recentemente. Un vantaggio degli algoritmi iterativi rispetto alla FBP è quello di incorporare fattori che tengono conto di specifiche caratteristiche del sistema come il tipo di collimatore, la risoluzione
del rivelatore, l’attenuazione e lo scatter (vedi di seguito) dei fotoni. Per accelerare i tempi di calcolo
sono stati sviluppati diversi metodi tra cui quello definito “ordered subset” che si basa sull’incremento
progressivo del numero (o subset) di proiezioni angolari inserite nel calcolo iterativo. Un algoritmo
attualmente impiegato è quello di expectation-maximization (EM) che incorpora misure statistiche per
calcolare la stima più verosimile, o “maximum-likelihood” (ML), della distribuzione di attività necessaria a generare le proiezioni misurate. Tale metodo è anche indicato come ML-EM. Esso fornisce immagini di elevata qualità ed accuratezza quantitativa ed è attualmente utilizzato insieme all’OSEM in molti
sistemi SPECT e soprattutto PET.
Attenuazione e scatter
Il segnale associato a ciascun voxel dell’immagine SPECT si assume proporzionale alla quantità di
radioattività contenuta nel volume di tessuto corrispondente al dato voxel. Questa assunzione di fatto
non è corretta in quanto i fotoni che originano in un punto all’interno del volume di tessuto attraversano diversi strati del volume stesso prima di interagire con il rivelatore, andando incontro ad attenuazione (figura 3). Pertanto il segnale proveniente da strutture superficiali più vicine al rivelatore avrà un
peso maggiore rispetto a quello proveniente da strutture più profonde. Inoltre, il segnale rilevato in un
dato voxel dell’immagine è influenzato anche dal segnale rilevato nei voxels vicini, per fenomeni di
“cross-talk” dovuti a radiazioni di scatter. Attenuazione e scatter sono due fenomeni che contribuiscono a ridurre l’accuratezza quantitativa ed aumentare il rumore di immagini SPECT o PET (1). Per ottenere
immagini quantitativamente accurate è necessario pertanto tener conto di questi due effetti ed apportare
alcune correzioni in fase di ricostruzione.
Attenuazione. Uno dei metodi per ridurre l’attenuazione nei tessuti è il cosiddetto conteggio coniugato che consiste nell’acquisire i dati su viste opposte e quindi combinare i dati in un unico dataset (6).
Ciò avviene in SPECT acquisendo le immagini lungo un’orbita di 360°. In questo modo un punto dell’oggetto sarà più vicino al rivelatore in una proiezione e più lontano da esso nella proiezione opposta.
L’attenuazione sarà pertanto minore nella prima vista rispetto a quella opposta e la combinazione delle
due viste determinerà un parziale annullamento dell’effetto dell’una rispetto all’altra. Questo tipo di
approccio riduce la variabilità dell’ampiezza dei profili dei conteggi che sono presenti nelle proiezioni
73
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 3
Materiale assorbente
Fascio di fotoni
incidenti
d’intensità, I
Fascio di fotoni
trasmessi
d’intensità, (I-∆I)
Rivelatore
∆x
Effetto dell’interazione dei fotoni con la materia (attenuazione).
provenienti da viste singole ma non consente di compensare in maniera completa l’effetto dell’attenuazione. Un metodo relativamente semplice per effettuare la correzione per l’attenuazione è di correggere le proiezioni di acquisizione prima della ricostruzione utilizzando una stima dello spessore dei
tessuti, D (ottenuta mediante disegno di una regione di interesse ellittica intorno alla testa del paziente) e moltiplicando ciascun profilo di proiezione per un fattore di correzione per l’attenuazione (ACF attenuation correction factor) dato da:
ACF =
1
= eµD/2
e–µD/2
dove µ è il coefficiente di attenuazione lineare del tessuto che si assume abbia un valore costante
(6). Un approccio alternativo si basa sul calcolo dell’ACF di ciascun pixel dell’immagine dopo la ricostruzione. L’immagine ricostruita viene moltiplicata per tale valore di ACF. Questa tecnica è il metodo di
Chang (8). Il metodo di Chang è quello attualmente più utilizzato e disponibile su molti sistemi SPECT
commerciali. Tale approccio viene anche definito come metodo di correzione per l’attenuazione calcolata. Il metodo più accurato da un punto di vista quantitativo è quello di misurare l’attenuazione dei
tessuti utilizzando la cosiddetta scansione di trasmissione (9). Tale scansione è tipicamente effettuata
utilizzando lo stesso rivelatore impiegato per l’acquisizione dei dati emissivi mediante una sorgente esterna di radiazioni. Le proiezioni ottenute dalla scansione di trasmissione effettuata con la sorgente esterna consentono di ottenere immagini transassiali che riflettono i diversi coefficienti di attenuazione
lineare dei tessuti. Tali immagini costituiscono la mappa di attenuazione che è equivalente ad un’immagine TC, pur presentando una minore qualità dovuta alla limitata risoluzione della gammacamera, al
minore flusso di fotoni ed alla maggiore energia dei raggi γ rispetto ai raggi X della TC. La sorgente ester-
74
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
na impiegata nella SPECT generalmente ha un’energia di emissione diversa dal 99mTc, in modo da poter
eseguire l’imaging trasmissivo ed emissivo contemporaneamente, ed un’emivita più lunga in modo da
non dover essere frequentemente sostituita. Esempi di radionuclidi impiegati sono il
gg, Eγ=122 keV) ed il
153Gd
57Co
(T1/2= 271.8
(T1/2=242 gg, Eγ=97 e 103 keV). Per ottenere la mappa di attenuazione ven-
gono effettuate due scansioni: la prima è acquisita senza alcun oggetto nel FOV della SPECT e viene indicata come ‘blank’ o scansione di riferimento, la seconda viene acquisita con il paziente nella SPECT e viene
indicata come scan di trasmissione. La relazione tra i conteggi ottenuti nella scansione di riferimento (Iref)
e quelli ottenuti nella scan di trasmissione (Itrans) in ciascuna proiezione è data da: Itrans=Iref ⋅ e-µx. Applicando il logaritmo naturale del rapporto tra le due scansioni si ha: ln(Iref/Itrans)=µx. Le diverse proiezioni di µx rappresentano la somma dei coefficienti di attenuazione lungo ciascuna linea di risposta. La
ricostruzione delle proiezioni di µx consente di ottenere immagini di µi che corrispondono alla mappa
di attenuazione. La mappa di attenuazione così ottenuta può essere utilizzata per calcolare in maniera
accurata i fattori di attenuazione nell’algoritmo di Chang oppure i valori di attenuazione possono essere direttamente incorporati all’interno di algoritmi di ricostruzione iterativa. Per entrambi i tipi di ricostruzione, FBP o iterativa, bisogna tenere conto delle differenze di energia (e quindi di attenuazione) dei
fotoni rilevati nelle acquisizioni emissive e trasmissive mediante l’applicazione di adeguati fattori di scala ai valori ottenuti nella mappa di attenuazione.
Scatter. Il segnale rilevato in ciascuna proiezione SPECT contiene anche eventi che provengono
da fotoni scatterati che corrispondono a radiazioni provenienti da altre parti del corpo (figura 4). Nonostante l’effetto dello scatter sia minore rispetto all’attenuazione, esso ha un impatto significativo per
la qualità delle immagini (in quanto lo scatter contribuisce ad aumentare il rumore di fondo e quindi a ridurre il contrasto) e per la relazione quantitativa tra intensità dell’immagine ricostruita ed attività della sorgente (6). Un metodo grossolano di correzione per lo scatter si basa sul fatto che scatter
ed attenuazione sono parte dello stesso fenomeno. L’attenuazione è causata dallo scattering dei fotoFIGURA 4
Radiazione
diretta
Sorgente
Rivelatore
Scatter
L’interazione dei fotoni con materiale assorbente comporta anche la formazione di radiazioni di scatter.
75
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
ni γ, pertanto una parte dei fotoni γ scatterati sono rilevati dalla SPECT camera comportando una riduzione del coefficiente di attenuazione “apparente” che viene misurato in assenza di scatter. Pertanto il
coefficiente di attenuazione apparente viene scalato al coefficiente di attenuazione in presenza di scatter (per il
99mTc
da 0.155 cm-1 a 0.12 cm-1, vedi figura 5); tale approccio è quello maggiormente utiliz-
zato per il cervello, in cui si assume uniforme attenuazione dei tessuti. Un secondo metodo è quello di
misurare sperimentalmente la funzione di scatter mediante un fantoccio e di deconvolverla (la deconvoluzione è l’inverso della convoluzione e nel dominio delle frequenze corrisponde al rapporto tra due
funzioni) dalle proiezioni misurate. Tale funzione di scatter può essere anche inserita all’interno di
algoritmi di ricostruzione iterativa assieme alle informazioni dell’attenuazione per ottenere immagini
corrette per l’attenuazione e scatter e quindi quantitativamente più accurate (10). Infine, un altro metodo di correzione per lo scatter consiste nell’acquisizione di finestre di scatter che sono situate ad energie diverse da quella del fotopicco (11). I conteggi rilevati in tali finestre vengono sottratti dai conteggi
del fotopicco, dopo applicazione di un appropriato fattore di peso, per ottenere immagini corrette per
lo scatter.
FIGURA 5
No attenuazione
scatter
µ=0.15 cm-1
µ=0.12 cm-1
Metodo di correzione per lo scatter mediante modifica del coefficiente di attenuazione per il 99mTc in acqua.
Viene misurato un profilo traverso di un fantoccio cilindrico riempito di soluzione omogenea di 99mTc.
Viene calcolato il coefficiente di attenuazione che consente di ottenere un profilo di attività piatto, senza
la quota di scatter. Un approccio analogo può essere impiegato con altri radionuclidi come lo iodio-123.
Effetto volume parziale
I metodi precedentemente descritti di correzione per l’attenuazione e scatter consentono di
migliorare l’accuratezza quantitativa della SPECT, ovvero la proporzionalità tra l’intensità di ciascun
pixel dell’immagine e la quantità di radioattività presente nel corrispondente volume di tessuto nel
paziente. Ciononostante, per distribuzioni di attività in volumi inferiori a due volte la risoluzione del
76
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
sistema è presente una sottostima della concentrazione di attività all’interno di tali volumi. Questo effetto, noto come effetto volume parziale, costituisce una limitazione all’imaging qualitativo e quantitativo SPECT e PET (6). Il rapporto tra la concentrazione apparente e la concentrazione vera di attività è
definito “recovery coefficient” (RC). Tale valore ha una relazione inversa alle dimensioni dell’oggetto
da acquisire; esso può essere facilmente misurato in condizioni sperimentali in cui un fantoccio presenta oggetti di diverse dimensioni note, ma in vivo non è misurabile a meno che non si ottengano
informazioni da altre modalità di imaging ad elevata risoluzione quali TC o RM. Nel caso del cervello la
correzione per l’effetto volume parziale è estremamente importante sia per l’accuratezza delle misure
dell’attività metabolica nelle diverse regioni del cervello, sia per l’accuratezza della quantificazione di
recettori cerebrali. In entrambi i casi, tale correzione è ancora più importante nei casi in cui le misure
quantitative vengano effettuate in condizioni patologiche associate a modificazioni globali o regionali del volume di sostanza grigia, sostanza bianca e liquor. Possibili approcci di correzione per l’effetto
volume parziale saranno descritti successivamente nella sezione 4.6 “Metodi di correzione per l’effetto volume parziale”.
Risoluzione e sensibilità
La risoluzione spaziale è la capacità di una tecnica di definire due punti vicini posti ad una minima distanza tra di loro. Se una sorgente puntiforme o lineare è acquisita mediante SPECT o PET, la sua
sezione traversa nell’immagine ricostruita apparirà come una curva a campana che ha un’altezza proporzionale alla attività della sorgente ed un’ampiezza inversamente correlata alla risoluzione della metodica. La massima ampiezza a metà altezza (full-width at half-maximum, FWHM) è la misura di risoluzione
di una metodica tomografica (figura 6). Tipicamente i tomografi SPECT hanno una risoluzione in acqua
intorno ai 10-12 mm. La risoluzione transassiale (o in-plane) si riferisce alla componente della risoluzione all’interno del piano della fetta ricostruita. La risoluzione assiale si riferisce alla componente perpendicolare al piano della fetta, lungo l’asse di rotazione della SPECT. La sensibilità è rappresentata dal
numero di eventi rilevati dalla SPECT per secondo per unità di concentrazione del radionuclide uniformemente distribuito in un cilindro di 20 cm di diametro.
.
Conteggi
FIGURA 6
SPECT/PET
FWHM
Sorgente in aria
Acquisizione in aria
Distanza
Risoluzione spaziale misurata in aria. Il profilo trasverso di una sorgente puntiforme misurata
in aria viene rappresentato da una curva a campana. La massima ampiezza a metà altezza
(full-width at half-maximum, FWHM) fornisce una misura della risoluzione spaziale.
77
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
3.
Aspetti tecnici della PET
La tomografia ad emissione di positroni (PET) rappresenta la più accurata metodica di tomografia in
medicina nucleare. La peculiarità della PET è rappresentata dal fatto che gli eventi che vengono rilevati dal
tomografo sono costituiti dalla emissione di due fotoni ad elevata energia (511 keV) che originano dalla
interazione del positrone con la materia. I positroni sono particelle β+ che interagendo con gli elettroni
(carichi negativamente) vanno incontro ad un fenomeno definito annichilazione, caratterizzato dalla
emissione simultanea di due fotoni γ con un angolo di 180° in direzioni opposte (figura 7). La rilevazione simultanea di due fotoni di annichilazione consente di localizzare l’interazione del positrone lungo una
linea interposta tra due rivelatori senza l’impiego di collimatori (12). Tale fenomeno prende il nome di
“annihilation coincidence detection” (ACD). Le coincidenze avvengono all’interno di un volume che è
definito dalle dimensioni dei due rivelatori opposti (figura 8). Un circuito di coincidenza consente di rilevare tale fenomeno in una finestra temporale delle coincidenze che è tipicamente compresa tra 6 e 12
nanosecondi. La capacità dell’ACD di localizzare eventi sulla base della finestra di coincidenza senza l’impiego di collimatori è indicata come collimazione elettronica. Dal momento che l’ACD non richiede l’impiego di collimatori per definire la localizzazione spaziale dell’evento, la sensibilità della PET è di molto
superiore a quella della SPECT. Inoltre, poiché molti tomografi hanno una configurazione ad anello con
multipli rivelatori disposti intorno al paziente, ciascun rivelatore è in coincidenza con multipli rivelatori opposti e questo consente di ottenere diverse proiezioni angolari simultaneamente, facilitando pertanto l’acquisizione di studi dinamici con elevata risoluzione temporale.
FIGURA 7
0.511 Mev
β+
e-
0.511 Mev
Annichilazione del positrone. Al termine del suo percorso nella materia il positrone
interagisce con un elettrone, andando incontro al fenomeno di annichilazione,
dal quale originano due fotoni γ emessi con un angolo di 180° ed energia pari a 511 keV.
78
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
FIGURA 8
Evento di annichilazione
Rivelatore
Rivelatore
Oggetto contenente radionuclide emettitore di positroni
Volume (grigio chiaro) all’interno del quale due fotoni di annichilazione possono essere rilevati
in coincidenza. Solo i fotoni che giungono ai due rivelatori vengono rilevati.
I fotoni di annichilazione prodotti al di fuori del volume non vengono rilevati in coincidenza
a meno che entrambi vadano incontro a scatter nel tessuto e cambino direzione.
Tipi di coincidenze PET. L’ACD produce un segnale ogniqualvolta due eventi sono rilevati all’interno di una specifica finestra temporale. Questi eventi vengono definiti “prompts”. I prompts includono
le coincidenze vere, cioè quelle coincidenze che provengono da annichilazioni che si generano all’interno del volume interposto tra i due rivelatori, ed altri tipi di coincidenze, le coincidenze random e
scatter (figura 9). Le coincidenze random si verificano quando due fotoni provenienti dall’annichilazione di due positroni non correlati vengono rilevati da due rivelatori all’interno della finestra di coincidenza e quindi registrati come singolo evento di coincidenza.
Il rate di coincidenze random è dato da:
Rrandom = CTW x Rsingle,1 x Rsingle,2
Dove CTW è la finestra temporale delle coincidenze e Rsingle,1 ed Rsingle,2 sono i rate di conteggi dei
singoli rivelatori in coincidenza. Generalmente il rapporto coincidenze random/coincidenze vere aumenta all’aumentare dell’attività presente nel FOV, in quanto il rate di coincidenze random è proporzionale al
quadrato dell’attività, mentre il rate di coincidenze vere ha una relazione semplicemente lineare con la
quantità di attività presente. Tipicamente negli studi del cervello tale rapporto è circa 0.1-0.2.
Le coincidenze scatter si verificano quando i fotoni di differenti eventi di annichilazione vanno
incontro a scattering e vengono rilevati da due rivelatori posti in coincidenza. Le coincidenze scatter
contribuiscono ad aumentare il rumore di fondo e peggiorare il contrasto dell’immagine. Il rapporto tra
coincidenze scatter e vere per gli studi del cervello varia tra 0.2 e 0.5 a seconda se l’acquisizione viene fatta in modalità 2D o 3D (vedi di seguito).
Rivelatori PET. A differenza delle gammacamere i cui cristalli sono costituiti da NaI(Tl) i rivelatori PET
contengono cristalli ad elevato numero atomico capaci di produrre scintillazione a seguito dell’interazio-
79
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 9
Vere
Scatter
Random
Tipi di coincidenze PET. Coincidenze vere sono quelle che provengono da annichilazioni
che si generano all’interno del volume interposto tra i due rivelatori.
Le coincidenze scatter si verificano quando i fotoni di differenti eventi di annichilazione
vanno incontro a scattering e vengono rilevati da due rivelatori posti in coincidenza.
Le coincidenze random si verificano quando due fotoni provenienti dall’annichilazione di due positroni
non correlati vengono rilevati da due rivelatori all’interno della finestra di coincidenza.
ne con fotoni di annichilazione con energia di 511 keV. I rivelatori sono disposti ad anelli o banchi di elementi discreti intorno all’oggetto da studiare. Questi sistemi hanno elevata efficienza di rilevazione e sono
capaci di raccogliere dati provenienti da tutti gli angoli in modo stazionario. I più comuni cristalli utilizzati
in PET sono costituiti da materiali quali Bismuto Germanato (BGO), Lutezio Ortosilicato (LSO) e Gadolinio
Ortosilicato (GSO) (13). Alcuni tomografi PET sono anche costituiti da cristalli curvi di NaI(Tl). L’unità di
base che costituisce un moderno tomografo PET è il blocco di rivelatori formato da piccoli elementi di
BGO o LSO (generalmente in numero di 6x6 o 8x8) accoppiati a 4 fotomoltiplicatori. Ciascun elemento ha
uno spessore di 20-30 mm ed un diametro di circa 4-6 mm. Il tomografo PET è quindi costituito da anelli
multipli disposti intorno all’oggetto da esaminare (figura 10). La configurazione del tomografo può essere
ad anello oppure avere forma poligonale; in questi casi è possibile acquisire dati da tutti gli angoli di proiezione simultaneamente. Altri tomografi sono ad anello incompleto ed utilizzano solo alcuni banchi di rivelatori contrapposti; in questo caso è necessario che i rivelatori ruotino intorno al paziente per generare
immagini tomografiche. I tomografi PET attualmente in commercio sono costruiti per consentire acquisizioni del corpo intero. Pertanto essi hanno un anello di circa 80-90 cm di diametro. Vengono utilizzate
schermature di piombo ai due estremi dell’anello per limitare le coincidenze scatter derivanti dall’esterno
del FOV. Considerando la lunghezza di tali schermature il diametro accessibile del tomografo è di circa 5560 cm. Il campo di vista assiale (AFOV) è di circa 15-40 cm. La risoluzione spaziale dei moderni tomografi
PET è di circa 4-6 mm sia in-plane che assiale. Esistono attualmente tomografi ibridi (sistemi PET-TC,
figura 11), ovvero sistemi costituiti da un unico gantry in cui sono alloggiati uno scanner TC multislice
(figura 12) ed un tomografo PET (figura 13); tali sistemi sono in grado di fornire immagini anatomiche
e funzionali di elevata qualità, in un singolo esame. Recentemente è stato anche sviluppato un nuovo
tomografo dedicato per gli studi cerebrali (ECAT HRRT, CPS Innovation), costituito da 8 pannelli di rilevatori disposti in una configurazione esagonale, un FOV transassiale di 31.2 cm ed assiale di 25.2 cm ed
una risoluzione spaziale di circa 2.5 mm (14).
80
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
FIGURA 10
Immagine del tomografo PET Advance (GE Medical System) in fase di assemblaggio presso
il Centro PET del Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Università degli Studi di Napoli
“Federico II”. Da notare la disposizione ad anello dei rivelatori e fotomoltiplicatori.
FIGURA 11
Immagine del sistema PET-TC Discovery LS (GE Medical System) presso il Centro PET del Dipartimento di
Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
81
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 12
Particolare del gantry TC del sistema PET-TC Discovery LS (teste di freccia).
FIGURA 13
Particolare del FOV PET del sistema PET-TC Discovery LS (teste di freccia).
82
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Risoluzione e sensibilità. La risoluzione di un tomografo PET è determinata da fattori intrinseci al
positrone, ovvero dalla sua interazione con la materia, e da fattori intrinseci al rivelatore (12). I fattori
intrinseci al positrone sono rappresentati dal range del positrone e dalla non-collinearità dei fotoni di
annichilazione (figura 14). Il percorso o range che il positrone compie nella materia prima di annichilirsi con l’elettrone costituisce un limite finito della PET, in quanto non è possibile identificare con certezza il punto di interazione. Il range effettivo del positrone è la distanza media tra il punto di emissione
ed il termine del percorso del positrone, misurato perpendicolarmente alla linea definita dalla direzione
dei fotoni di annichilazione. Tale range effettivo è quello che determina la risoluzione spaziale dell’ACD
e dipende dall’energia del positrone (vedi tabella 2). L’altro fattore intrinseco al positrone che limita la
risoluzione della PET è la non-collinearità. I fotoni di annichilazione non vengono emessi esattamente
con un angolo di 180°. La distribuzione angolare è approssimativamente gaussiana con un FWHM di
circa 0.5°. L’effetto della non-collinearità sulla risoluzione spaziale è dipendente in maniera lineare dalla distanza D tra i due rivelatori ed è dato dalla relazione:
R180° = 0.0022 x D
FIGURA 14
A.
Effetto di ‘blurring’
dovuto al range
del positrone
Radionuclide
emettitore di positroni
Range
effettivo
Range
positrone
Fotone 511 keV
Fotone 511 keV
B.
Effetto dovuto alla
non-collinearità dei fotoni
di annichilazione
Non-collinearità
Fotone 511 keV
Fotone 511 keV
Rappresentazione schematica dei fattori intrinseci al positrone che limitano la risoluzione della PET.
(A) Range del positrone. (B) Non-collinearità dei fotoni di annichilazione.
Tipicamente il valore di D per i tomografi PET total-body è di 80 cm, per cui l’FWHM dovuto alla
noncollinearità è di circa 2 mm. Il fattore intrinseco al rivelatore che determina la risoluzione della PET
83
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
è dato dalle dimensioni del rivelatore stesso (figura 15A). Per rivelatori discreti la risoluzione al punto
medio tra i due rivelatori è Rdet = d/2. Essa si riduce progressivamente con l’avvicinarsi della sorgente al
rivelatore, acquisendo una forma trapezoidale fino ad assumere le dimensioni stesse del rivelatore alla
superficie di esso. Per rivelatori continui la risoluzione al centro del FOV è pari a Rint/√2 mentre assume
∼ Rint alla superficie del rivelatore. Tenendo conto dei fattori intrinseci al positrone ed al riveun valore −
latore, la risoluzione globale del sistema è:
∼ √ Rdet2 + Rrange2 + R180°2
Rsys −
Un altro effetto che limita la risoluzione di un tomografo PET è il cosiddetto effetto di parallasse o
“depth of interaction” (DOI). Se una sorgente viene spostata radialmente verso la superficie del FOV,
poiché l’interazione con il rivelatore può avvenire a diversa profondità, che è sconosciuta, in tomografi ad anello si ha una perdita di risoluzione verso la periferia del FOV (figura 15B). In tomografi con conformazione esagonale o ottagonale l’effetto DOI è minore alla periferia del FOV rispetto a tomografi ad
anello e si ha una minore variabilità del DOI all’interno del FOV.
I tomografi moderni hanno la possibilità di rilevare coincidenze multiple tra un rivelatore ed un
insieme di rivelatori opposti disposti a fascio. Questo aumenta notevolmente la sensibilità. Infatti, la
sensibilità della PET in termini di conteggi per unità di radioattività posta all’interno del FOV varia dallo 0.2-0.5% per acquisizioni 2D al 2-10% per acquisizioni 3D. Come termine di paragone basta pensare
che la sensibilità della SPECT è di circa 0.01-0.03%, a seconda del numero di rivelatori impiegati.
FIGURA 15
d
FWHM d
FWHM 3d/4
FWHM d/2
Effetto di parallasse
A.
Rivelatori discreti
B.
Rappresentazione schematica dei fattori intrinseci ai rivelatori che limitano la risoluzione della PET.
(A) Dimensione dei rivelatori. (B) Effetto di parallasse, o ‘depth of interaction’ (DOI).
84
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Tipi di acquisizione. Esistono due modalità fondamentali di acquisizioni di immagini PET: 2D e 3D
(figura 16). L’acquisizione 2D è caratterizzata dal fatto che le coincidenze tra piani contigui dei rivelatori
è limitata dall’interposizione di setti. L’acquisizione dei dati esclusivamente lungo piani diretti è per certi versi simile a quella effettuata in SPECT utilizzando collimatori e le immagini possono essere ricostruite con FBP o con metodi iterativi. Moderni tomografi possono acquisire anche piani incrociati; un
tomografo con n anelli di rivelatori può acquisire un totale di (2n-1) piani di immagine nella direzione
assiale. Il numero di piani incrociati può essere aumentato fino ad includere ±2 o ±3 piani incrociati
senza significativa perdita di risoluzione. Aumentando il numero di piani incrociati rilevati aumenterà
anche la sensibilità. La massima sensibilità della PET si ha per acquisizioni in modalità 3D; in tal caso i
setti vengono rimossi e le coincidenze vengono rilevate per tutti i piani possibili. Nelle acquisizioni 3D
la sensibilità aumenta di circa 4-8 volte, con un aumento contemporaneo dello scatter. La frazione di
scatter nelle acquisizioni 3D del cervello è di circa il 30-40%. Il profilo di sensibilità 3D ha la forma geometrica di un triangolo, per cui è importante posizionare la struttura di interesse al centro del FOV. Le
acquisizioni del cervello costituiscono la condizione ideale perché ciò avvenga. Ecco perché gli studi del
cervello vengono più frequentemente acquisiti con modalità 3D rispetto agli studi total-body. La ricostruzione delle acquisizioni 3D è più complessa di quella delle acquisizioni 2D. Attualmente sono disponibili algoritmi di ricostruzione iterativa 3D che però richiedono tempi più lunghi rispetto alle
ricostruzioni 2D (13).
FIGURA 16
Senza setti
Acquisizione 2D
Acquisizione 3D
Sensibilità
Rappresentazione schematica dei due tipi di acquisizione PET, 2D (con setti interposti) e 3D (senza setti).
Da notare che la sensibilità dell’acquisizione 3D è circa 4-8 volte superiore all’acquisizione 2D.
85
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Elaborazione dei dati ed aspetti quantitativi. L’obiettivo fondamentale dell’imaging tomografico è che
l’intensità di ciascun voxel dell’immagine ricostruita debba essere proporzionale alla concentrazione di
radioattività nel corrispondente volume dell’oggetto. Perché ciò avvenga è necessario effettuare alcune
correzioni dei dati PET acquisiti. La prima correzione fondamentale dei dati PET è la normalizzazione. Un
tomografo PET è costituito da circa 10000-20000 rivelatori individuali che hanno piccole variazioni di
dimensioni e della frazione di scintillazione accoppiata ai fotomoltiplicatori. La correzione per queste
variazioni è definita normalizzazione. Altre correzioni necessarie sono la correzione per i randoms, lo
scatter e l’attenuazione. I randoms vengono corretti applicando una finestra ritardata (generalmente 6476 nanosecondi) in cui vengono rilevati conteggi esclusivamente dovuti a coincidenze random. Questi
ultimi rappresentano una stima del numero di randoms che vengono sottratti dal numero totale di coincidenze rilevate. La correzione per lo scatter viene effettuata mediante due approcci fondamentali. Il primo utilizza le informazioni ottenute dall’acquisizione trasmissiva, partendo dal presupposto che a 511
keV virtualmente tutta l’attenuazione è dovuta a scatter compton. Mediante modellizzazione è possibile derivare una stima della distribuzione dello scatter ed il suo contributo nelle diverse proiezioni. La
stima del contributo dello scatter è quindi sottratta dalle diverse proiezioni che vengono successivamente ricostruite. Tale approccio è applicabile quando la sorgente di radioattività è contenuta all’interno del FOV. Un secondo approccio consiste nella stima dello scatter immediatamente all’esterno
dell’oggetto. Dopo aver applicato la correzione per i randoms gli unici eventi rilevati all’interno delle
proiezioni sono dovuti a scatter. Dalla coda delle proiezioni viene estrapolato lo scatter all’interno della intera proiezione. La distribuzione dello scatter viene quindi sottratta dalle singole proiezioni prima
della ricostruzione. Tale metodo consente di correggere per lo scatter presente all’esterno del FOV. La
correzione per l’attenuazione viene effettuata mediante acquisizione di una scansione trasmissiva grazie
ad una sorgente di Ge-68 posta alla superficie dell’apertura dello scanner che ruota intorno all’asse centrale del tomografo (figura 17). Il 68Ge ha un’emivita di 273 giorni e quindi può essere sostituita circa una
volta all’anno. Il fattore di correzione per l’attenuazione A per una coppia di rivelatori (i,j) è dato da:
A i,j = Blank i,j
Trans i,j
Dove Blank i,j e Trans i,j sono i conteggi nelle scansioni blank e trasmissiva per una data coppia di
rivelatori. Il coefficiente di attenuazione per fotoni di 511 keV è 0.095 cm-1 per i tessuti molli, 0.12-0.14
cm-1 per l’osso e 0.03-0.04 cm-1 per il polmone.
Dopo aver applicato tutte le correzioni indicate l’intensità di ciascun voxel dell’immagine sarà proporzionale alla quantità di radioattività in quel voxel. Per ottenere la concentrazione assoluta di radioattività bisogna applicare un fattore di calibrazione ottenuto mediante acquisizione di un fantoccio
cilindrico riempito di soluzione omogenea a concentrazione nota. Il fattore di calibrazione è dato da:
CAL =
counts per pixel
concentrazione radionuclidica (kBq/cm3)
L’intensità del voxel nell’immagine è quindi divisa per il fattore di calibrazione per ottenere il valore di kBq/cm3. La quantificazione nelle acquisizioni PET è soggetta all’effetto volume parziale analogamente a quanto descritto per la SPECT.
86
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
FIGURA 17
Blank scan
Trasmissiva
Emissiva corretta = Emissiva x (Blank/Trasmissiva)
Rappresentazione schematica della correzione per l’attenuazione misurata. Le acquisizioni blank e trasmissiva
vengono effettuate mediante sorgenti radioattive che ruotano intorno al gantry opposte ai rivelatori.
La blank viene acquisita senza alcun oggetto all’interno del FOV. L’acquisizione trasmissiva viene eseguita con
l’oggetto all’interno del FOV. Il rapporto delle due scansioni fornisce il fattore di correzione dei dati emissivi.
4.
Applicazioni della SPECT e della PET nello studio del sistema nervoso centrale
Principi di quantificazione: modelli compartimentali
L’acquisizione dinamica di uno studio PET fornisce informazioni sul comportamento in vivo di un
particolare tracciante che può essere utilizzato per ottenere informazioni su specifiche funzioni biologiche. Il processo analitico che consente di ottenere tali informazioni è conosciuto come modeling compartimentale o come modeling della cinetica di traccianti.
Il presupposto fondamentale dell’analisi compartimentale è l’esistenza di diversi spazi o compartimenti (anatomici o funzionali) in cui il tracciante può distribuirsi e di vari costanti cinetiche o parametri che descrivono la velocità di movimento tra i diversi compartimenti. Conoscendo le proprietà
biologiche del comportamento di un determinato tracciante in vivo è quindi possibile assumere che le
diverse costanti cinetiche rappresentino specifici processi fisiologici o biochimici quali flusso ematico,
metabolismo del glucosio, sintesi proteica, concentrazione di neurotrasmettitori, attività enzimatica e
recettori (15).
Un modello compartimentale è una descrizione matematica del movimento di un radiotracciante
all’interno di un sistema. Esso consiste di un numero finito di compartimenti, ciascuno dei quali rappresenta o uno spazio fisico distinto (per esempio plasma o tessuto cerebrale) o una differente forma
chimica di un tracciante (FDG o FDG 6-PO4) oppure un suo diverso stato farmacologico (legato o libero) che occupa lo stesso spazio fisico (15).
I vari compartimenti di un modello sono tra loro correlati attraverso costanti cinetiche. Tali costanti esprimono il tasso di scambio del tracciante tra i vari compartimenti. Nel caso in cui tali compartimenti
87
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
rappresentino spazi fisici distinti, le costanti esprimono il flusso o il trasporto tra i due compartimenti.
Se invece i compartimenti rappresentano diversi stati chimici o farmacologici del tracciante, le costanti
esprimono il tasso di trasformazione da una forma chimica all’altra. La concentrazione di un tracciante
nei diversi compartimenti viene generalmente descritta in funzione del tempo da una serie di equazioni differenziali di primo ordine. Queste equazioni differenziali sono derivate dalla legge di conservazione di massa secondo la quale la quantità di tracciante che si accumula in un dato compartimento
nell’unità di tempo è uguale alla differenza tra la quantità in entrata ed in uscita.
Un modello compartimentale generalizzato viene espresso come riportato in figura 18. All’equilibrio o in condizioni di stato stazionario l’afflusso è uguale all’efflusso ed il cambiamento netto di concentrazione del tracciante nel tempo è zero.
FIGURA 18
k1
C1 (t)
k3
C2 (t)
k2
k5
C3 (t)
C4 (t)
k4
Modello generalizzato di analisi compartimentale. C1, C2, C3, C4 rappresentano le concentrazioni
del tracciante nei rispettivi quattro compartimenti. Le costanti k1-k5 rappresentano le costanti di trasferimento
del tracciante tra i vari compartimenti. In questo modello generalizzato il passaggio del tracciante tra i
compartimenti 1 e 2 e 2 e 3 è reversibile. Quello tra i compartimenti 3 e 4 è irreversibile.
Le equazioni differenziali che descrivono la concentrazione del tracciante in ciascuno dei compartimenti indicati nella figura sono:
dC1(t)/dt = k2C2(t) – k1C1(t)
dC2(t)/dt = [k1C1(t) + k4C3(t)] – [k2C2(t) + k3C2(t)]
dC3(t)/dt = k3C2(t) – [k4C3(t) + k5C3(t)]
dC4(t)/dt = k5C3(t)
Equ. 1
Equ. 2
Equ. 3
Equ. 4
dCi/dt è il tasso di cambio della concentrazione del tracciante nel compartimento i. Le costanti
hanno generalmente unità di min-1 e descrivono la frazione di tracciante che lascia il compartimento nell’unità di tempo. Ad esempio una costante di 0.2 min-1 indica che il 20% della quantità di tracciante in
un dato compartimento viene trasportato fuori dal compartimento ogni minuto.
4.1 Misura del flusso ematico cerebrale regionale
Applicazione di un modello compartimentale per lo studio del flusso ematico cerebrale
Per flusso ematico cerebrale si intende la quantità di sangue che si distribuisce ad un dato volume
di tessuto cerebrale nell’unità di tempo ed è espresso in millilitri di sangue al minuto per millilitro di tessuto (mL sangue min-1 mL-1 cervello). Moltiplicando per la densità del tessuto cerebrale (mL g-1), che è
di poco superiore all’unità, ed ancora per 100 si ottiene l’unità di mL min-1 100g-1 che è la forma più
familiare di espressione del flusso ematico cerebrale.
88
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Il tracciante PET maggiormente utilizzato per la misura del flusso ematico cerebrale è l’H215O.
L’15O ha un’emivita di 122 secondi. Ciò richiede l’esecuzione di acquisizioni brevi, ma consente anche
di effettuare multiple scansioni che possono essere acquisite in condizioni di riposo e durante l’esecuzione di compiti specifici, per evidenziare l’attivazione di specifiche aree funzionali del cervello. Tale
approccio molto utilizzato in passato è stato attualmente soppiantato dall’avvento della risonanza
magnetica funzionale (fMRI). Ciononostante, la misura del flusso ematico cerebrale con H215O rappresenta ancora il ‘gold standard’ a cui vengono paragonati nuovi metodi di misura quantitativa di tale
parametro con altre metodiche, come appunto quelle di RM.
Il comportamento dell’H2O nei tessuti è largamente conosciuto (15): il trasporto dell’acqua attraverso la membrana cellulare nei vari tessuti avviene per diffusione passiva. L’acqua non è né intrappolata, né metabolizzata. Ciò implica che la distribuzione dell’acqua nell’organismo può essere descritta da
un unico compartimento tissutale. L’acqua diffonde inoltre liberamente tra i tessuti, non si lega alle proteine plasmatiche ed anche la quota che diffonde nei globuli rossi è disponibile al trasporto nei tessuti.
La figura 19 mostra il modello compartimentale dell’acqua e la curva attività-tempo nel cervello. Tale
modello è molto semplice ed è rappresentato da soli due compartimenti: uno rappresentato dal plasma
arterioso, l’altro dal tessuto cerebrale, con due costanti di cui una, K1, rappresenta la costante di trasporto dell’H2O dal plasma al cervello attraverso la barriera emato-encefalica (mL sangue min-1 mL-1 tessuto)
e k2 è la costante di diffusione inversa dal cervello al plasma (min-1). In tutti i modelli compartimentali K1
assume il seguente valore:
K1 = f (1 – e-PS/f) = f E0 (mL sangue min-1 mL-1 cervello)
f è il flusso ematico che ha le stesse unità di K1, mL sangue min-1 mL-1 tessuto, PS è il prodotto della permeabilità per la superficie capillare; la permeabilità è espressa in cm min-1, la superficie in cm2 mL-1.
PS è espresso in mL sangue min-1 mL-1 tessuto. E0 è la frazione di estrazione del tracciante al primo passaggio attraverso il letto capillare. Essa può variare tra 0 e 1. Per l’H215O che è liberamente diffusibile, E0
si assume uguale ad 1, per cui K1 è uguale al flusso ematico cerebrale, K1 = f.
La costante k2 viene anche definita costante di clearance e descrive appunto il tasso di clearance del
tracciante dal cervello al plasma. Riprendendo il modello descritto nella figura 19 e le equazioni differenziali precedentemente riportate per il modello dell’H215O si può scrivere:
dCT(t)/dt = K1 CP(t) – k2 CT(t)
Equ. 5
in condizioni di stato stazionario, cioè quando non vi è alcuna modificazione netta di concentrazione
di tracciante nel tempo e dCT(t)/dt = 0,
K1[CP(t)]ss = k2[CT(t)]ss
Equ. 6
e quindi:
K1/k2 = [CT(t)/CP(t)]ss
Equ. 7
89
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 19
A.
K1
CP (t)
CT (t)
k2
B.
Concentrazione tissutale (%)
100
Sostanza grigia
Sostanza bianca
75
50
25
0
0
1
2
3
4
5
6
Tempo (min)
(A) Modello compartimentale per l’H215O. Esso include un compartimento rappresentato dal plasma arterioso
ed un unico compartimento tissutale. CP e CT sono le concentrazioni dell’H215O nel plasma e nel tessuto.
K1 e k2 le due costanti che descrivono il trasporto attraverso la membrana dei capillari.
(B) Curva attività-tempo dell’H215O nel tessuto cerebrale per la misura del flusso ematico.
Il flusso ematico cerebrale è maggiore nella sostanza grigia rispetto alla bianca.
Il rapporto della concentrazione del tracciante nel tessuto rispetto al plasma in condizioni di stato
stazionario è indicato come volume di distribuzione, Vd, o coefficiente di partizione tessuto-sangue, p.
Vd ha unità di mL sangue mL-1 tessuto, p ha unità di mL sangue g-1 tessuto.
Sostituendo a K1 e k2 rispettivamente il flusso e Vd la Equ. 5 si può riscrivere:
dCT(t)/dt = f CP(t) – (f/Vd) CT(t)
Equ. 8
integrando:
CT(t) = f CP(t) ⊗ e–(f/Vd)t
Equ. 9
Dove ⊗ è il simbolo della convoluzione.
CT(t) è misurato mediante acquisizioni PET, quindi:
PETi = f ∫ CP(t) ⊗ e–(f/Vd)t dt
Equ. 10
∫ CP(t) è l’input function, ovvero l’integrale della concentrazione plasmatica del tracciante nel tempo,
e–(f/Vd)t
dt rappresenta la clearance del tracciante nel tessuto, PETi è lo iesimo frame di un’acquisizione
PET dinamica, per cui semplificando:
PETi = CBF ∫ input function ⊗ clearance
90
Equ. 11
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Altri metodi di misurazione del flusso ematico cerebrale
La misura del flusso ematico può essere effettuata mediante tre metodi: la tecnica del trapping, della clearance e dell’equilibrio (16). Nella tecnica del trapping vengono utilizzati traccianti che si distribuiscono agli organi in proporzione al flusso ematico in quanto vengono intrappolati nella circolazione
o in base alle loro proprietà fisiche (per esempio i macroaggregati di albumina marcati con 99mTc per lo
studio della perfusione polmonare) o in seguito a processi metabolici (ad esempio l’13NH3 o il
99mTc-
sestamibi). Per lo studio del flusso ematico cerebrale tale tecnica non viene utilizzata nell’uomo ma viene frequentemente utilizzata nell’animale da esperimento; infatti il metodo delle microsfere marcate
costituisce il ‘gold standard’ per la misura in vitro del flusso ematico. I metodi di clearance sono quelli
più utilizzati e si basano sull’impiego di traccianti che si distribuiscono in funzione del flusso ematico,
ma non rimangono intrappolati negli spazi vascolari. I traccianti impiegati possono essere non diffusibili, quindi possono rimanere nel compartimento vascolare, o diffusibili, quindi distribuirsi ai tessuti ed
al compartimento vascolare. La maggior parte dei metodi di clearance si basano sul principio del volume centrale per cui:
F (mL/min) = V (mL) / τ (min)
Equ. 12
Dove F è il flusso, V è il volume e τ è il tempo medio di transito. Per traccianti non diffusibili generalmente viene misurato τ che è uguale a F/V.
Per traccianti liberamente diffusibili (100% di estrazione al primo passaggio) si considera il volume
di distribuzione del tracciante nel tessuto o λ (coefficiente di partizione) per cui:
F=λ/τ
Equ. 13
Un esempio di applicazione del principio del volume centrale è il metodo di Kety-Schmidt impiegato per la misura del flusso ematico cerebrale utilizzando gas inerti (NO, Kripton) somministrati per
via inalatoria (17). Tali traccianti hanno un coefficiente di partizione di 1 mL/g, per cui la misura del
flusso ematico è data da:
F = λ / τ = 1.0 mL / g / τ (min) = τ-1
(mL/min/g)
Equ. 14
Pertanto la misura del flusso si ottiene dalla misura del tempo medio di transito del gas inerte.
La tecnica originale prevedeva l’inalazione continua del gas fino al raggiungimento dell’equilibrio
e quindi la misura della concentrazione arteriosa e venosa del tracciante. Per il principio di Fick la quantità totale di tracciante nel cervello all’equilibrio è uguale alla differenza artero-venosa cumulativa:
VCE = F 0 ∫ ∞ CA(t)dt – F 0 ∫ ∞ CV(t)dt
VCE = F 0 ∫ ∞ CA(t)dt – 0 ∫ ∞ CV(t)dt
V / F = 0 ∫ ∞ CA(t)dt – 0 ∫ ∞ CV(t)dt / CE
Equ. 15
Equ. 16
Equ. 17
Esprimendo per volume di tessuto
λ / F = 0 ∫ ∞ CA(t)dt – 0 ∫ ∞ CV(t)dt / CE = τ
Equ. 18
CA(t) e CV(t) sono le concentrazioni arteriosa e venosa del tracciante in funzione del tempo, CE è la
concentrazione plasmatica del tracciante all’equilibrio che può essere misurata anche nel sangue veno-
91
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
so. Un approccio analogo con PET e SPECT prevede la misura del flusso ematico regionale mediante
misura della input function arteriosa e della concentrazione tissutale del tracciante nel cervello senza la
necessità di eseguire prelievi venosi, Alcuni esempi sono l’acqua marcata con
dentemente) o il
15O-butanolo.
15O
(già descritta prece-
Un altro semplice metodo per la misura del τ è il cosiddetto metodo
area/altezza (figura 20). Viene iniettato un bolo rapido di 133Xe e misurato il washout del tracciante dall’organo di interesse nel tempo. Il tempo medio di transito sarà dato da:
λ / F = τ = 0 ∫ ∞ A(t)dt / A(0)
Equ. 19
dove A(t) è la quantità di tracciante nel tessuto in funzione del tempo ed A(0) è la quantità di tracciante nel tessuto subito dopo il bolo (16).
Questo metodo viene anche indicato come analisi stocastica (18). Generalmente la durata totale
dell’acquisizione è di 10 min. Se A(0) è l’attività massima al tempo 0 ed A10 è l’attività a 10 min, riarrangiando l’Equ. 19 si avrà:
CBF = 100 ⋅ λ ⋅ (A(0)-A10 / 0 ∫ 10 A(t)dt)
(mL/100g/min)
Equ. 20
Se la curva di clearance dal cervello viene visualizzata in scala semilogaritma e si misura la pendenza iniziale nei primi minuti dall’iniezione (initial slope analysis) si ottiene una misura del flusso cerebrale in maniera estremamente semplice e rapida. Tale metodo è molto riproducibile ed è stato pertanto
applicato in molti studi di fisiologia e fisiopatologia della circolazione cerebrale.
FIGURA 20
A (0)
A (t)
Tempo
Grafico che mostra il washout dal cervello del gas 133Xe iniettato a bolo.
A(0) è la quantità di tracciante nel tessuto subito dopo il bolo. A(t) è la quantità di tracciante
in funzione del tempo. Questo metodo è conosciuto anche come metodo area/altezza.
Il metodo dell’iniezione di 133Xe prevede l’iniezione del tracciante direttamente nell’arteria carotide interna e quindi veniva generalmente eseguito a completamento dell’angiografia carotidea. La clearance del tracciante dal cervello veniva misurata da rivelatori o gammacamere disposti lateralmente
all’emisfero cerebrale in esame. In virtù dell’attenuazione dei tessuti tale metodo consentiva la misura-
92
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
zione del CBF solo a livello della corteccia. Inoltre, poiché l’iniezione avveniva nella carotide interna
era possibile ottenere una misura del CBF nel territorio delle arterie anteriore e media e solo occasionalmente della arteria cerebrale posteriore. Infine, tale metodo consentiva la misurazione del flusso cerebrale
solo a livello di un emisfero cerebrale.
Un’alternativa a tale metodo è quello dell’inalazione di
133Xe.
Il tracciante viene inalato per circa
1 min ed i valori di rCBF vengono ottenuti dall’analisi della prima parte della curva di desaturazione
dello
133Xe.
In questo metodo la variazione della concentrazione arteriosa del tracciante è molto lenta
rispetto al metodo dell’iniezione diretta, e la quota di ricircolo del tracciante è maggiore in quanto esso
proviene anche da altri organi oltre che dal cervello. È necessario infatti monitorare la concentrazione
di 133Xe a livello polmonare o nell’aria espirata. Un vantaggio di questo metodo rispetto alla tecnica della iniezione intracarotidea è la possibilità di misurare il flusso cerebrale in entrambi gli emisferi, oltre
alla minore invasività della procedura d’inalazione. Cionostante, in virtù di elevata attività del tracciante
a livello nasofaringeo e per l’attenuazione dei tessuto soprastanti la fossa cranica posteriore, il flusso a
livello di tale regione non può essere misurato in maniera accurata.
Altri traccianti SPECT per lo studio del flusso cerebrale
Radiocomposti di più recente introduzione per lo studio del flusso cerebrale includono le amine
marcate con
123I
e traccianti lipofilici marcati con
99mTc
(19). Tra le amine iodinate il tracciante che ha
avuto maggiore applicazione per lo studio del flusso cerebrale è la N-α-metiletil-p-iodoanfetamina (IMP),
commercializzata con il nome di Spectamine. L’IMP si accumula nel cervello distribuendosi in proporzione al flusso cerebrale. L’uptake cerebrale dell’IMP è considerato quasi lineare. Lo steady-state del tracciante è raggiunto dopo 5 min dall’iniezione e rimane pressoché costante per 1 h dopo l’iniezione.
Poiché il washout del tracciante da diverse regioni cerebrali è differente è preferibile acquisire immagini precoci da 20 min ad 1 h dall’iniezione. La quantificazione del flusso cerebrale prevede multipli prelievi arteriosi per la misura dell’input function arteriosa (20); più recentemente sono stati introdotti
anche metodi che prevedono un singolo prelievo plasmatico.
La esametazima (HMPAO) ed il bicisato (ECD) marcati con
99mTc
sono i traccianti maggiormente
utilizzati nella pratica clinica (21). Questi traccianti vengono facilmente marcati con
99mTc
in quanto
disponibili in formulazioni kit (HMPAO: Ceretec™, GE-Healthcare; ECD: Neurolite®, Bristol-Myers
Squibb Medical Imaging) che ne consentono la preparazione in pochi minuti. Il Ceretec™ deve essere
utilizzato entro 20 minuti dalla ricostituzione del prodotto, in quanto meno stabile, mentre il Neurolite® viene preparato con aggiunta di un agente stabilizzante, potendo quindi essere utilizzato fino a circa 4 ore dalla ricostituzione. Questi traccianti vengono anche indicati come microsfere chimiche, in
quanto il loro comportamento è simile a quello delle microsfere che vengono di fatto “intrappolate”
nel tessuto cerebrale. L’intrappolamento di questi traccianti avviene mediante conversione da una forma lipofilica ad una idrofilica una volta che il tracciante ha attraversato la BEE e si è distribuito al parenchima cerebrale. Per l’HMPAO il meccanismo di intrappolamento è legato all’interazione del tracciante
con il glutatione (22). L’ECD viene invece convertito in forma idrofilica grazie all’idrolisi da parte di
un’esterasi ubiquitaria nel parenchima cerebrale (23). Una volta distribuiti ed intrappolati nel parenchima cerebrale è possibile eseguire le acquisizioni SPECT che in genere vengono effettuate tra 40 e 60
minuti dopo l’iniezione, in modo da favorire il washout del tracciante dai tessuti extracerebrali ed
93
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
aumentare il rapporto target:background. Le immagini ottenute con entrambi i traccianti sono simili
(figura 21), anche se generalmente quelle ottenute con l’ECD sono considerate qualitativamente più
facili da interpretare (24). La distribuzione dei due traccianti nel cervello presenta alcune differenze (figura 22), in quanto l’uptake dell’HMPAO è maggiore nella corteccia temporale mesiale e nel talamo rispetto all’ECD, mentre per quest’ultimo l’uptake è maggiore rispetto all’HMPAO nella corteccia frontale,
parietale ed occipitale (25). Tali differenze vanno considerate nella scelta del tracciante da utilizzare in
specifiche patologie neurodegenerative (26).
FIGURA 21
99mTc-HMPAO
100%
99mTc-ECD
0%
Immagini SPECT di 99mTc-HMPAO e 99mTc-ECD in soggetti normali. Sono mostrate scansioni assiali
dal cervelletto alla corteccia cerebrale frontale e parietale. La distribuzione dei due traccianti è simile.
Tuttavia, le immagini ottenute con 99mTc-ECD presentano una minore attività da parte dei tessuti extracerebrali.
Le immagini ottenute con HMPAO (ed anche con ECD) non sono completamente lineari con il
flusso, dal momento che esiste un’estrazione incompleta ed una retrodiffusione precoce prevalentemente in regioni a flusso elevato. Pertanto, per ottenere immagini quantitative con questi traccianti è
necessario applicare un algoritmo di “linearizzazione” (27). Sono stati descritti diversi metodi di quantificazione assoluta del flusso cerebrale con HMPAO (28) ed ECD (29), alcuni anche mediante metodi
semplificati (30, 31). Cionostante, le applicazioni convenzionali di questi traccianti prevedono il loro
impiego per analisi di tipo qualitativo, o semiquantitativo, rapportando i conteggi misurati in una determinata regione del cervello a quelli di una regione di riferimento, mediante impiego di regioni di interesse (32). Alternativamente, i conteggi regionali possono essere rapportati ai conteggi medi globali e
normalizzati ai valori globali di flusso cerebrale; questo approccio viene utilizzato generalmente in metodi di analisi voxel-by-voxel tipo statistical parametric mapping (SPM). Tale metodologia verrà descritta
in maggiore dettaglio nella sezione “Metodi di coregistrazione delle immagini e di analisi voxel-byvoxel”.
94
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
FIGURA 22
99mTc-HMPAO
99mTc-ECD
Immagini SPECT medie di 99mTc-HMPAO e 99mTc-ECD in 10 soggetti normali. Sono mostrate scansioni
coronali a livello dei lobi temporali e dei talami. La captazione del 99mTc-HMPAO a livello della corteccia
temporale mesiale e dei talami è maggiore rispetto al 99mTc-ECD (teste di freccia).
4.2 Misura del metabolismo cerebrale del glucosio
Il
18F-fluorodeossiglucosio
([18F]FDG) è il tracciante PET utilizzato per lo studio del metabolismo
cerebrale del glucosio (figura 23). Storicamente questo tracciante è stato ampiamente impiegato per la
misurazione quantitativa del metabolismo del glucosio nel cervello e nel cuore; più recentemente ha
avuto una larga diffusione come tracciante in oncologia per la capacità dei tumori di captare avidamente
il [18F]FDG. Il modello per il [18F]FDG è a due compartimenti tissutali come indicato nella figura 24. Il
[18F]FDG entra nella cellula mediante gli stessi meccanismi di trasporto del glucosio; a differenza del glucosio, una volta entrato nella cellula è fosforilato dall’esochinasi ma non viene ulteriormente metabolizzato e rimane intrappolato all’interno delle cellule accumulandosi (15).
Il consumo metabolico del glucosio, così come definito da Sokoloff e coll. (33), è dato da:
MRGlc = CP (K1 k3 / k2 + k3)
(mg min-1 100 g-1)
Equ. 21
Dove CP è la concentrazione plasmatica di glucosio (mg mL-1) e K1, k2 e k3 sono le costanti del glucosio. Nel caso del [18F]FDG (34) la formula sarà modificata come segue:
MRGlc = (CP / LC) [K1* k3* /(k2* + k3*)]
(mg min-1 100 g-1)
Equ. 22
95
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 23
0%
100%
Esame PET con [18F]FDG. Scansioni assiali dal cervelletto alla corteccia cerebrale frontale e parietale
che mostrano la distribuzione normale del tracciante. L’immagine riflette il consumo metabolico di glucosio
esogeno da parte del cervello in condizioni basali. Alcune regioni corticali (corteccia occipitale, cingolo
posteriore, precuneo) e sottocorticali (nuclei della base) presentano un maggiore metabolismo di base.
FIGURA 24
FDG
nel plasma
FDG libero
nel tessuto
K1*
CP* (t)
k3*
CF* (t)
k2*
glucosio
nel plasma
K1
glucosio-6-PO4
nel tessuto
k3
CF
k2
CM* (t)
k4*
glucosio libero
nel tessuto
CP
FDG-6-PO4
nel tessuto
CM
Metabolismo
del glucosio
k4
Modello a due compartimenti tissutali per il [18F]FDG. Il modello consiste in un compartimento
rappresentato dal plasma arterioso e due compartimenti tissutali che rappresentano rispettivamente
il tracciante libero e chimicamente modificato (quindi intrappolato nelle cellule).
L’asterisco indica la differenza tra [18F]FDG e glucosio. Da notare la differenza di destino metabolico
tra il [18F]FDG (non metabolizzato) ed il glucosio (metabolizzato attraverso glicolisi); ciò consente di
semplificare il modello generale non considerando k5, cioè la costante di metabolismo del tracciante. K1*-k4*
rappresentano le costanti che descrivono il trasporto del tracciante tra i vari compartimenti.
k4* viene generalmente ignorata in quanto il tasso di defosforilazione nei tessuti è trascurabile rispetto
all’intero processo di uptake e fosforilazione. K1-k4 sono le corrispondenti costanti per il glucosio.
96
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Dove LC è la cosiddetta ‘lumped constant’, rappresentata dal rapporto tra l’estrazione netta di FDG
(E*net) e l’estrazione netta del glucosio (Enet): LC = E*net / Enet e K1*, k2* e k3* sono le costanti del FDG. Da
notare che il termine K1* / k2* + k3* rappresenta il coefficiente di partizione di FDG in condizioni di stato stazionario, quando cioè il flusso in entrata nel cervello è uguale al flusso in uscita. Le costanti K1*, k2*
e k3* vengono stimate da uno studio dinamico PET dopo iniezione di FDG. La figura 25 mostra una curva attività-tempo di FDG. Poiché la concentrazione tissutale di FDG tende progressivamente ad aumentare in virtù dell’accumulo di tracciante nel tessuto, un’unica acquisizione PET tardiva, a 40-60 min
dall’iniezione fornisce una stima adeguata della concentrazione tissutale di FDG. Ciò consente una notevole semplificazione della misura, particolarmente nel caso di misurazioni autoradiografiche (per la possibilità di sacrificare l’animale solo ad un dato punto dopo l’iniezione) e nei pazienti (unica acquisizione
PET invece di un completo studio dinamico). Con tale semplificazione il valore di MRGlc nel singolo
individuo viene ottenuto utilizzando valori medi di popolazione delle diverse costanti di FDG, la singola
acquisizione PET e la misura dell’input function arteriosa. Un metodo alternativo di misurazione di
MRGlc è quello descritto da Patlak e coll (35). Tale metodo, descritto per modelli di traccianti che si accumulano in maniera irreversibile richiede l’input function arteriosa e l’intera sequenza di acquisizioni
PET dinamiche. Il metodo si basa su una regressione lineare della concentrazione tissutale divisa per la
concentrazione plasmatica espressa in funzione dell’integrale della concentrazione plasmatica diviso per
la concentrazione plasmatica stessa. Il plot dei dati, conosciuto anche come Patlak plot diventa lineare
dopo un certo tempo. Lo slope del plot fornisce la misura di (K1* k3* / k2* + k3*) che viene utilizzato per
il calcolo di MRGlc.
FIGURA 25
Attività (% della conc. di [18F]FDG a 60 min)
Attività plasmatica
200
Attività cerebrale (SG)
175
150
125
100
75
50
25
0
-10
0
10
20
30
40
50
60
Tempo (min)
Curve attività-tempo della concentrazione di [18F]FDG nel plasma e nel tessuto cerebrale (sostanza grigia)
dopo iniezione a bolo. L’attività plasmatica massima è raggiunta dopo 90 sec.
L’attività cerebrale aumenta progressivamente nel tempo.
A circa 10 min dall’iniezione già il 50% dell’attività a 60 min è presente nel tessuto cerebrale.
97
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
4.3 Quantificazione dei recettori cerebrali - Imaging in vivo dei sistemi di neurotrasmissione
Per gli studi di quantificazione dei recettori cerebrali generalmente viene impiegato un modello a tre
compartimenti (figura 26), C1, il plasma arterioso, C2 ovvero l’insieme della quota di tracciante libero e
legato in maniera non-specifica (libero + non-specifico = non-spiazzabile, ovvero la quota di tracciante che
non può essere spiazzata dalla somministrazione di un ligando antagonista) e C3, il compartimento di
tracciante legato in maniera specifica al recettore (15, 36, 37).
FIGURA 26
Configurazione a tre compartimenti
K1
C1
k3
C2
k2
Plasma
C3
k4
Libero+
non specifico
Specifico
Configurazione a due compartimenti
K’1
C1
C’2
k’2
Plasma
Libero+
non specifico
Modello tricompartimentale per traccianti recettoriali. Il modello è costituito da un compartimento
arterioso (C1), un compartimento che contiene la quota di tracciante libera e quella legata in maniera
non-specifica (C2) ed il compartimento costituito dal tracciante legato in maniera specifica (C3).
In questo modello si assume che il tracciante libero e quello legato in maniera non-specifica
si equilibrano rapidamente costituendo quindi un singolo compartimento, C2.
Le costanti K1, k2, k3 e k4 indicano il tasso di trasferimento del tracciante tra i vari compartimenti
della regione recettoriale. In una regione cerebrale dove la densità recettoriale è trascurabile
(regione di riferimento) si considera un modello a due compartimenti arterioso (C1) e non-spiazzabile (C’2).
Le costanti K’1 e k’2 indicano il tasso di trasferimento del tracciante tra i due compartimenti della regione
di riferimento. Si considera che nella regione recettoriale K1 = K’1 e k2 = k’2.
La cinetica del tracciante è definita dalle costanti K1, k2, k3 e k4. Per ciascun compartimento tissutale il volume di distribuzione all’equilibrio (Vi, in mL/g) è dato dal rapporto tra la concentrazione del
tracciante nel compartimento Ci e la concentrazione del tracciante libero all’equilibrio,
Vi = Ci / f1 Ca
Equ. 23
Dove f1 è la frazione di tracciante libero e Ca è la concentrazione arteriosa del tracciante. V2 e V3
sono definiti come il volume di distribuzione all’equilibrio rispettivamente del secondo e terzo compartimento, VT è il volume di distribuzione totale all’equilibrio ed è uguale alla somma di V2 e V3.
V2’, V3’ e VT’ (mL/g) sono i volumi di distribuzione all’equilibrio relativamente al tracciante totale
nel plasma arterioso (libero + legato alle proteine),
98
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Vi’ = Ci / Ca
Equ. 24
V3” è definito come il volume di distribuzione del compartimento specifico (o recettoriale) relativamente al compartimento non-spiazzabile all’equilibrio,
V3” = V3 / V2
Equ. 25
La variazione temporale della concentrazione del tracciante in ciascun compartimento è data dalle seguenti equazioni:
dC2(t) / dt = K1 Ca(t) – k2 C2(t) – k3 C2(t) + k4 C3(t)
dC3(t) / dt = k3 C2(t) – k4 C3(t)
Equ. 26
Equ. 27
I parametri della cinetica del tracciante sono dati da:
K1 = f E0 = f (1 – e –PS/f)
k2 = K1 / V2 f1
k3 = kon B’max / V2
k4 = koff
(in mL/g/min)
(in min-1)
(in min-1)
(in min-1)
Equ. 28
Equ. 29
Equ. 30
Equ. 31
f, E0 e PS sono già stati definiti precedentemente (vedi sezione 4.1) e rappresentano il flusso ematico
cerebrale, la frazione di estrazione unidirezionale ed il prodotto tra la permeabilità e la superficie capillare. kon è la costante di associazione ligando-recettore (min-1 ⋅ mM-1), B’max è la concentrazione di recettori disponibili per il legame (è uguale a Bmax se l’esperimento viene effettuato a dosi trascurabili di
tracciante) e koff è la costante di dissociazione dal recettore (min-1). L’Equ. 29 si ottiene dall’Equ. 26
ponendo a 0 la derivata dC2(t) / dt (in condizioni di equilibrio non vi è variazione della concentrazione
di tracciante nel compartimento) e considerando la condizione di stato stazionario nel solo compartimento non-spiazzabile (k3 e k4 sono quindi uguali a zero).
Si ha quindi che:
K1 Ca(t) – k2 C2(t) = 0
k2 = K1 Ca(t) / C2(t)
Equ. 32
Equ. 33
all’equilibrio Ca / C2 = 1 / V2 ⋅ f1, quindi k2 = K1 / V2 ⋅ f1
Inoltre, se nella Equ. 27 si pone a zero la derivata dC3(t) / dt, si ottiene
k3 C2(t) – k4 C3(t) = 0
k3 = k4 C3(t) / C2(t)
Equ. 34
Equ. 35
All’equilibrio,
C3 = V3 ⋅ Ca ⋅ f1
Equ. 36
e
C2 = V2 ⋅ Ca ⋅ f1
Equ. 37
99
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
quindi
k3 = k4 ⋅ V3 / V2
V3 = k3 ⋅ V2 / k4
Equ. 38
Equ. 39
poiché V2 = K1 / k2 ⋅ f1
V3 =
K1 ⋅ k3
k2 ⋅ k4 ⋅ f1
Equ. 40
poiché K1 / k2 ⋅ f1 = V2, k3 = kon B’max / V2 e k4 = koff
V3 = B’max ⋅ kon / koff
Equ. 41
ma kon / koff = 1 /KD (affinità del ligando per il recettore in nM-1)
e B’max = Bmax a dosi di tracciante, quindi:
V3 = Bmax / KD = BP (Binding potential)
Equ. 42
L’equivalenza tra BP e V3 può essere ottenuta dalla relazione di Michaelis-Menten all’equilibrio
(36, 37):
B = Bmax ⋅ F
(KD + F)
Equ. 43
dove F è la concentrazione di tracciante libero nel tessuto cerebrale. A dosi di tracciante F è trascurabile rispetto a KD, quindi:
B / F = Bmax / KD
Equ. 44
In Equ. 44 B / F è equivalente a V3
Inoltre, poiché VT = V2 + V3, effettuando le appropriate sostituzioni,
VT = K1 / k2 f1 +
K1 ⋅ k3 = K1 / k2 f1 (1 + k3 / k4)
k2 ⋅ k4 ⋅ f1
Equ. 45
La stima dei parametri quantitativi in uno studio cinetico recettoriale viene ottenuta dal ‘fitting’ della curva attività-tempo cerebrale utilizzando l’input function arteriosa (figure 27 e 28), mediante tecniche di regressione non-lineare, con il metodo dei minimi quadrati. La bontà del ‘fitting’ viene valutata
mediante calcolo del χ2 che esprime quanto i dati previsti descrivono i risultati misurati. Dalla stima
relativa del χ2 è possibile valutare anche la performance relativa di due differenti modelli compartimentali, come ad esempio paragonare un modello a singolo compartimento ad un modello a due compartimenti. Un metodo alternativo per valutare la bontà del ‘fitting’ consiste nell’esaminare il plot della
differenza tra i valori misurati e quelli previsti, definiti residui. Se il modello descrive accuratamente i dati
misurati, allora i residui saranno distribuiti casualmente intorno allo zero. La semplice analisi visiva dei
residui consentirà quindi di valutare l’accuratezza del modello nel descrivere i dati misurati (15, 38).
100
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
FIGURA 27
Concentrazione arteriosa (kBq/mL)
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
10
20
30
40
50
60
Tempo (min)
Riproduzione di una curva attività-tempo della concentrazione di [11C]raclopride
(tracciante PET per i recettori D2 della dopamina) nel plasma arterioso.
FIGURA 28
Striato
Concentrazione cerebrale (kBq/mL)
Cervelletto
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
10
20
30
40
50
60
Tempo (min)
Riproduzione di una curva attività-tempo della concentrazione di [11C]raclopride misurata con la PET
nello striato (regione ricca di recettori D2) e nel cervelletto (regione di riferimento, priva di recettori D2).
101
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Un metodo alternativo di quantificazione che non implichi l’impiego di modelli di cinetica dei
traccianti si basa sulla utilizzazione di un protocollo di infusione continua il cui scopo è quello di somministrare il tracciante in modo da ottenere una condizione di stato stazionario a livello di entrambi i
compartimenti specifico e non-spiazzabile per ottenere una misura quantitativa dei recettori cerebrali
(39). Per ottenere una condizione di stato stazionario il tracciante viene somministrato con un’iniezione a bolo seguita da infusione continua ad una determinata velocità di infusione. Durante l’infusione
continua si ottiene una concentrazione costante del tracciante a livello di entrambi i compartimenti
specifico e non-spiazzabile. Una volta raggiunto lo stato stazionario è possibile calcolare la concentrazione del tracciante in entrambi i compartimenti e nel plasma espressi in µCi/mL o kBq/mL. I seguenti
volumi di distribuzione saranno calcolati some segue:
Compartimento non-spiazzabile: VT = [nondispl] / [Css]
mL g-1
Equ. 46
dove [nondispl] è la concentrazione del tracciante nel compartimento non-spiazzabile espressa in
kBq/g e [Css] è la concentrazione del tracciante libero nel plasma espressa in kBq/mL
Compartimento recettoriale: VT = [specific + nondispl] / [Css]
mL g-1
Equ. 47
poiché VT nel compartimento nonspiazzabile è uguale a V2,
V3 = VT – V2
Equ. 48
V3 può essere ottenuto anche in maniera alternativa:
V3 = [SP + nondispl] – [nondispl] = BP
[Css]
mL g-1
Equ. 49
assumendo che [nondispl] è uguale in una regione del cervello ricca di recettori ed in una regione
di riferimento povera di recettori,
V3” = [SP + nondispl] – [nondispl]
[nondispl]
Equ. 50
Un esempio specifico può essere considerato la quantificazione dei recettori D2 della dopamina nello striato utilizzando l’[123I]IBF o iodobenzofurano (figure 29, 30 e 31). La corteccia occipitale può essere considerata la regione di riferimento o compartimento non-spiazzabile in quanto dosi farmacologiche
di 1 mg/kg di raclopride in primati non umani determinano lo spiazzamento dell’IBF dallo striato al
valore di concentrazione del tracciante nella corteccia occipitale (40). La concentrazione di tracciante nel
compartimento specifico sarà quindi uguale alla concentrazione nello striato meno la concentrazione
nella corteccia occipitale, pertanto:
102
V3 = [STRIATO] – [OCCIPITALE] = BP
[Css]
Equ. 51
V3” = [STRIATO] – [OCCIPITALE]
[OCCIPITALE]
Equ. 52
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
VTOCC = [OCCIPITALE]
[Css]
Equ. 53
VT = [STRIATO]
[Css]
Equ. 54
V3 = VT – VOCC
Equ. 55
FIGURA 29
µCi/ml
Striato Totale
0,05
Specifico
Non-spiazzabile
0,04
0,03
0,02
0,01
0
0
100
200
300
400
500
Tempo (min)
Curva attività tempo cerebrale dopo infusione continua di [123I]IBF (tracciante SPECT per il recettori D2)
con un rapporto B/I = 3.22 h. ♦: radioattività totale nello striato (specifica + non-spiazzabile);
■ : radioattività specifica nello striato (totale – non-spiazzabile); ▲: radioattività non-spiazzabile
(regione occipitale). A partire da 300-360 min dall’inizio dell’infusione l’attività specifica
e quella non-spiazzabile sono relativamente “a plateau”.
FIGURA 30
µCi/ml
Plasma Totale
Metabolita lipofilico
0,1
Tracciante Totale
0,08
0,06
0,04
0,02
0
0
100
200
300
400
500
Tempo (min)
Curva attività tempo plasmatica dopo infusione continua di [123I]IBF con un rapporto B/I = 3.22 h.
♦: radioattività totale plasmatica; ▲ : concentrazione plasmatica del metabolita lipofilico;
■ : concentrazione plasmatica di [123I]IBF. L’attività plasmatica di [123I]IBF diminuisce progressivamente
fino a raggiungere lo “steady state” approssimativamente a 360 min (ultimi tre punti della curva).
103
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 31
V3”
2.2
2.0
1.8
1.6
1.4
1.2
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0
100
200
300
400
500
Tempo (min)
Andamento del rapporto [(striato/corteccia occipitale) -1] (V3”) di [123I]IBF durante l’infusione
del tracciante in un soggetto di controllo (F, 72 anni). La variazione di V3” a partire da 200 min
dall’inizio della infusione era di 0.1%/ora (condizione di “steady state”).
Approcci grafici semplificati
Alcuni metodi che impiegano approcci grafici semplificati possono essere utilizzati per la stima dei
parametri quantitativi recettoriali. Nonostante il modello compartimentale può non essere lineare rispetto ai parametri del modello è possibile riformulare le equazioni del modello per ottenere una relazione
lineare tra i dati ed i parametri misurati.
Un approccio già descritto per la misura quantitativa di MRGlc è il metodo di Patlak che viene applicato a traccianti irreversibili. Un metodo utilizzato per traccianti reversibili è l’analisi di Logan (41) basata sulla seguente relazione:
0∫
T C (t)dt
T
CT(t)
= VT
0∫
T C (t)dt
P
CT(t)
+ [INT]
Equ. 56
dove VT è determinato dalla regressione lineare dell’integrale dell’attività tissutale divisa per l’attività istantanea verso l’integrale dell’attività plasmatica divisa per l’attività tissutale. Il plot diventa lineare con una pendenza uguale al volume di distribuzione totale del tracciante (figura 32A). Tale analisi
può essere applicata a modelli con ogni numero di compartimenti. Per un tracciante che può essere
descritto da un singolo compartimento il plot è lineare dall’inizio. All’aumentare dei compartimenti
aumenta il tempo necessario al raggiungimento della linearità. L’intercetta [INT] ha un significato fisiologico e per un modello mono-compartimentale è uguale a k2-1. Pertanto la pendenza divisa per il negativo dell’intercetta fornisce una stima di K1.
Altri approcci grafici consentono di ottenere una stima del BP senza la necessità di ottenere la curva di input arteriosa. Tali metodi, definiti non invasivi, sono applicabili a traccianti la cui distribuzione
prevede la presenza di un compartimento recettoriale ed una regione di riferimento nel cervello priva di
recettori che può essere utilizzata come stima dell’attività non-spiazzabile. Il primo di tali metodi sviluppato da Logan e coll. (42) è un approccio lineare basato sul calcolo della pendenza della curva otte-
104
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
nuta dal calcolo dell’integrale della curva attività-tempo nella regione di binding specifico e non-spiazzabile (figura 32B). Il parametro ottenuto è una stima di BP = DVR -1, cioè il rapporto tra volume di distribuzione in una regione di binding specifico rispetto alla regione di riferimento. Il secondo, sviluppato
da Lammertsma e coll. (43), il reference tissue model, utilizza la curva attività-tempo nella regione di
riferimento come input function indiretta per ottenere il fitting della curva di binding tissutale da cui è
possibile ottenere una stima di BP. Il terzo metodo, sviluppato da Ichise e coll. (44), consiste in una modificazione dell’approccio di Logan che consente di ottenere una stima di V3” da un’analisi di regressione
multipla. Infine, Farde e coll. (45) hanno sviluppato un metodo che si basa sul fitting della curva di binding specifico (totale – non-spiazzabile) e la stima del BP nel punto in cui dCSP(t) / dt = 0, cioè quando
non vi è trasferimento netto del tracciante tra compartimento specifico e non-spiazzabile (figura 33). Il
rapporto tra questo punto della curva ed il corrispondente valore dell’attività nella regione di riferimento
fornisce una stima di BP.
FIGURA 32
A.
B.
CROI integrale/CROI
CROI integrale/CROI
160
160
140
140
120
120
100
100
80
80
60
60
40
40
20
20
0
0
0
5
10
15
20
25
30
0
10
CPLASMA integrale/CROI
20
30
40
50
60
CREFERENCE integrale/CROI
Analisi grafica di Logan per traccianti reversibili. (A) Plot dell’integrale dell’attività tissutale divisa per
l’attività istantanea verso l’integrale dell’attività plasmatica divisa per l’attività tissutale in una regione
recettoriale (linea continua) ed in una regione di riferimento (linea punteggiata). Dopo un determinato
tempo il plot diventa lineare e la pendenza della curva equivale al volume di distribuzione del tracciante VT
nel compartimento in studio. (B) Plot ottenuto sostituendo all’integrale dell’attività plasmatica l’integrale
della regione di riferimento. La pendenza della curva equivale al rapporto tra volume di distribuzione in una
regione di binding specifico rispetto alla regione di riferimento (DVR = distribution volume ratio).
Alcuni traccianti hanno una cinetica di distribuzione nel tessuto cerebrale tale che da un determinato tempo dopo l’iniezione il rapporto di concentrazione del tracciante tra la regione recettoriale e la
regione di riferimento è costante nel tempo (39). Tale rapporto fornisce una stima di BP. Questa condizione viene definita di ‘pseudo’ o ‘transient equilibrium’ (figura 34).
105
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 33
Concentrazione cerebrale (kBq/mL)
Binding totale (ROI)
50
Binding specifico (ROI – REF)
Regione riferimento (REF)
40
30
20
BP = (ROI – REF)/REF
10
0
0
15
30
45
60
75
90
Tempo (min)
Metodo di analisi sviluppato da Farde e coll. Il rapporto tra binding specifico e binding nella regione
di riferimento nel punto in cui la derivata della concentrazione specifica del tracciante nel tempo
è uguale a zero (zona grigia) fornisce una stima di BP.
FIGURA 34
7
[123I]FP-CIT
V3”
4h
5.5 h
0
Regioni di interesse
Immagini SPECT assiali della distribuzione di [123I]FP-CIT (tracciante SPECT per il trasportatore
della dopamina) ottenute a 4 e 5.5 ore dalla iniezione in un soggetto normale. Il rapporto
[(striato-corteccia occipitale)/corteccia occipitale] (V3”) raggiunge un valore costante tra 3 e 6 ore
dall’iniezione, in condizioni di ‘transient equilibrium’, e fornisce una stima di BP.
106
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
4.4 Neurochimica e neurofarmacologia in vivo
Le tecniche di neuroimaging funzionale PET/SPECT rappresentano uno strumento unico per lo studio in vivo dei diversi sistemi di neurotrasmissione in condizioni basali e dopo uno specifico intervento farmacologico.
La misura del BP di un determinato tracciante recettoriale in vivo fornisce la densità regionale di
uno specifico sito di binding, trasportatore, recettore (figura 35) o enzima. Attualmente sono disponibili numerosi traccianti PET/SPECT per i principali recettori e sistemi di neurotrasmissione come riportato nelle tabelle 1 e 3. La misura della densità recettoriale in condizioni basali riflette lo stato del
sistema in condizioni di steady-state, cioè in assenza di alcun intervento farmacologico, e quindi riflette le variazioni dello stato del sistema correlate alle modificazioni fisiopatologiche della malattia. Il
deficit nigrostriatale evidenziato in vivo con [18F]fluorodopa PET o [123I]FP-CIT SPECT (46) riflette la
condizione di cronica perdita delle terminazioni dopaminergiche che caratterizza la malattia di Parkinson. Il significato clinico di tale misura in vivo è la dimostrazione di una correlazione tra il deficit
nigrostriatale e le scale cliniche di severità di malattia e l’evidenza che tale deficit diventa progressivamente più severo nel tempo se i pazienti vengono studiati longitudinalmente (47). In pazienti con
malattia di Alzheimer è stata dimostrata in vivo una riduzione dell’attività dell’acetilcolinesterasi (k3)
nella neocorteccia, nell’ippocampo e nell’amigdala, misurata con [11C]MP4A PET, che correla con la
severità del declino cognitivo (MMSE) ed è a supporto della ipotesi di disfunzione del sistema colinergico nella malattia di Alzheimer (48). Questo tipo di approccio è molto valido per studi trasversali in cui
gruppi di pazienti vengono confrontati a gruppi di controllo e può essere applicato allo studio di diverse patologie neurodegenerative e psichiatriche.
FIGURA 35
Trasportatore
dopamina
Recettore D2
dopamina
100%
0%
[123I]FP-CIT
[123I]IBZM
Imaging in vivo del sistema dopaminergico. Immagini SPECT della densità del trasportatore
della dopamina ([123I]FP-CIT) e dei recettori D2 ([123I]IBZM) nello striato.
107
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
La misura del BP di un determinato recettore, trasportatore o enzima in condizione di base non fornisce alcuna informazione sulla dinamica funzionale del sistema stesso. Per poter ottenere tale informazione è necessario applicare uno stimolo farmacologico o non farmacologico (cognitivo, motorio, etc.)
che modifichi lo stato funzionale del sistema in modo da poterne studiare il comportamento dinamico.
Questo tipo di approccio prevede la misura del BP in una condizione basale ed una condizione di ‘challenge’. Quando il ‘challenge’ determina una variazione di concentrazione del neurotrasmettitore a livello della sinapsi, nel modello classico della occupazione recettoriale, questo si traduce in una variazione del
BP. Un incremento della concentrazione del neurotrasmettitore determina una maggiore competizione
con il tracciante e quindi una riduzione del BP. Viceversa, una diminuizione della concentrazione del
neurotrasmettitore determina minore competizione con il radiotracciante e quindi un incremento del
BP. Questo modello classico di occupazione recettoriale è stato postulato per spiegare il comportamento
in vivo di alcuni radiotraccianti quali [11C]raclopride ed [123I]IBZM in seguito a modificazioni del ligando endogeno, la dopamina, determinate da challenge farmacologici che determinano aumento (anfetamina, metilfenidato) o riduzione (α-metilparatirosina, AMPT) della dopamina sinaptica (49). Questo
effetto è stato dimostrato anche per challenge non farmacologici, come l’esecuzione di un videogame
(50) durante il quale è stata osservata una riduzione del BP della [11C]raclopride di entità simile a quella
riportata per psicostimolanti quali anfetamina e cocaina.
Questo tipo di approccio è stato applicato allo studio della neurofarmacologia di alcune malattie
neuropsichiatriche. Nella schizofrenia, Abi-Dargham e coll. (51) hanno riportato un maggiore incremento del binding di [123I]IBZM dopo deplezione acuta di dopamina con AMPT in pazienti schizofrenici rispetto a controlli, suggerendo una maggiore occupazione recettoriale dei recettori D2 da parte della
dopamina. Piccini e coll. (52) hanno dimostrato in un paziente con malattia di Parkinson sottoposto a
trapianto di cellule embrionali della sostanza nigra una riduzione del BP della raclopride dopo somministrazione di metanfetamina dimostrando, in vivo, la capacità dei neuroni trapiantati di rilasciare dopamina in seguito ad uno stimolo farmacologico specifico. In pazienti parkinsoniani de la Fuente e coll.
(53) hanno dimostrato che la somministrazione di placebo determina una riduzione del BP della raclopride simile a challenge farmacologici specifici, suggerendo la possibilità che l’effetto placebo in questi
pazienti si associ ad incremento della dopamina sinaptica. In uno studio PET con [18F]FDG in pazienti
con malattia di Alzheimer sottoposti ad un test di stimolazione audiovisiva, Pietrini e coll. (54) hanno
dimostrato che l’incremento di rCMRglc durante la stimolazione si riduceva in maniera significativa
all’aumentare della severità della demenza nella corteccia calcarina ed in regioni occipitali associative,
suggerendo che la capacità di risposta funzionale è nei limiti della norma in pazienti con demenza lieve, ma si riduce progressivamente nelle fasi più avanzate della malattia.
Studi neurofarmacologici mirati alla valutazione funzionale di specifici networks corticali sono stati effettuati in patologie caratterizzate da note alterazioni della funzionalità di specifici sistemi di neurotrasmissione. In questo tipo di studi il parametro studiato era il flusso cerebrale come misura della
funzionalità sinaptica corticale e la specificità della funzione studiata era la variazione del flusso in seguito ad una task cognitiva specifica, in assenza o presenza di uno stimolo farmacologico dopaminomimetico. Cools e coll. (55) hanno studiato pazienti con malattia di Parkinson in presenza (ON) o assenza
(OFF) di terapia con L-dopa durante l’esecuzione di un compito di working memory (WM) e di pianificazione. In condizioni OFF era presente un incremento dell’attività nella corteccia frontale dorso-laterale
108
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
destra durante i compiti di WM e pianificazione rispetto a soggetti di controllo. Quando i pazienti erano studiati in condizioni ON non era presente alcuna differenza di attivazione corticale rispetto ai controlli. Questi risultati suggeriscono che la terapia con L-dopa determina una normalizzazione dell’attività
sinaptica corticale in pazienti con malattia di Parkinson.
Questi riportati sono solo alcuni esempi di una vasta letteratura presente sull’argomento che testimoniano la potenzialità delle tecniche di imaging funzionale PET/SPECT di fornire informazioni sulla
funzionalità di definiti sistemi di neurotrasmissione o di specifici networks corticali la cui funzione è
modulata da neurotrasmettitori specifici, in condizioni fisiologiche e patologiche. Sviluppi futuri riguardano da un lato l’introduzione di nuovi radiofarmaci più selettivi per diversi sottotipi recettoriali che
consentiranno di studiare in maggior dettaglio i diversi sistemi di neurotrasmissione e di fornire un
approfondito ‘fingerprinting’ recettoriale in vivo, dall’altro la sintesi di nuovi traccianti più specifici che
possano essere applicati direttamente allo studio della patologia in vivo. Un esempio di quest’ultimi
sono i traccianti recentemente sviluppati per i depositi neurofibrillari ([18F]FDDNP) e le placche di amiloide ([11C]PIB, [11C]SB-13) che consentono di studiare in vivo l’accumulo di tali proteine anomale nella malattia di Alzheimer (56-58).
4.5 Metodi di coregistrazione delle immagini e di analisi voxel-by-voxel
La coregistrazione di immagini 3D è un elemento essenziale dell’analisi di studi funzionali del cervello (15). Relativamente alla domanda scientifica o al problema clinico che si intende affrontare vi possono essere molteplici situazioni in cui è necessario coregistrare set di immagini funzionali tra loro
oppure immagini funzionali ad immagini anatomiche. Un esempio molto semplice è l’analisi di uno
studio PET/SPECT dinamico in cui è necessario: 1) riallineare le diverse acquisizioni del cervello in modo
da ottenere la variazione della distribuzione del tracciante nel tempo e correggere eventuali movimenti
della testa durante l’acquisizione; 2) coregistrare le immagini PET/SPECT alla RM in modo da poter disegnare regioni di interesse (ROIs) sulle diverse strutture cerebrali ed ottenere la curva attività-tempo che
descrive la variazione della concentrazione del tracciante nelle diverse regioni del cervello. Tale situazione esemplifica le due modalità di coregistrazione più utilizzate: 1) Intrasubject, intramodality (coregistrazione PET/SPECT dello stesso soggetto); 2) Intrasubject, intermodality (coregistrazione PET/SPECT-RM
o viceversa). Le coregistrazioni intrasubject vengono generalmente effettuate mediante la cosiddetta
‘rigid body transformation’ che prevede solo traslazione e rotazione delle immagini, senza deformazione delle stesse. Vengono applicati 6 parametri di trasformazione (3 di rotazione e 3 di traslazione) più un
parametro di scaling che tiene conto delle differenze di intensità tra le diverse immagini. Inizialmente
tale procedura di coregistrazione prevedeva l’impiego di landmarks esterni, per esempio markers radioattivi, o definizione di landmarks interni all’immagine di interesse. Entrambe le procedure erano operatore
dipendente, pertanto successivamente si è passati a procedure operatore indipendenti ed automatiche.
Queste procedure di registrazione operatore indipendente consistono nella stima di un set di parametri
di trasformazione spaziale che ottimizzano la corrispondenza tra diverse immagini. Tale corrispondenza o ‘match’ tra immagini viene valutata attraverso la misura di una ‘cost function’ che deve essere minimizzata o massimizzata utilizzando un algoritmo di ottimizzazione (59). La ‘cost function’ è quindi una
misura della bontà del ‘match’ tra immagini. L’algoritmo di ottimizzazione deve fornire il valore di un
set di parametri per cui una determinata funzione viene minimizzata o massimizzata. Un approccio con-
109
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
siste nella stima di parametri ottimali di un modello tali da minimizzare la somma delle differenze al quadrato tra il modello stesso ed un set di dati reali (χ2). Generalmente tale procedura viene effettuata partendo da una stima iniziale ed eseguendo una serie di iterazioni. A ciascuna di tali interazioni vengono
determinate le stime dei diversi parametri e viene calcolato il χ2. L’ottimizzazione viene raggiunta allorquando si raggiunge un criterio di convergenza (per es. il χ2 non si riduce ulteriormente). Applicato alle
immagini questo algoritmo consente di trasformare un’immagine (immagine sorgente) nello spazio in
maniera da farla corrispondere ad un’altra immagine (immagine di riferimento) utilizzando come criterio
la minimizzazione del χ2. I parametri così ottimizzati sono quelli che descrivono la trasformazione spaziale dell’immagine.
La coregistrazione intrasubject, intermodality può essere effettuata con diversi approcci.
1)
Un metodo semiautomatico è conosciuto come ‘head-hat approach’ (60). Questo metodo consiste
nella estrazione della superficie del cervello nelle due immagini (per es. RM e PET) seguita dal ‘matching’ delle due superfici come un cappello che si adatta alla testa.
2)
Il primo metodo intermodality basato sulla intensità dei voxels è l’AIR (automated image registration) sviluppato da Woods e coll. (61) che è stato ampiamente utilizzato per la coregistrazione di
immagini PET ad immagini RM. Questo metodo utilizza come ‘cost function’ il rapporto della
varianza di intensità (variance intensity ratio, VIR) e consiste nel dividere le immagini RM in un certo numero di partizioni basate sulla intensità. La registrazione è basata sulla minimizzazione della
varianza delle corrispondenti intensità dei voxels PET in ciascuna partizione. Questo metodo assume che l’intensità PET varia con l’intensità RM, che è valido per il cervello ma non per tessuti extracerebrali. Pertanto questo metodo richiede un pre-processing della RM che consiste nella rimozione
dei tessuti non cerebrali (cosiddetto ‘skull-stripping’).
3)
Le più recenti procedure di registrazione intermodality basate sull’intensità dei voxels derivano dalla teoria dell’informazione. Queste procedure sono basate sulla distribuzione di probabilità congiunta delle intensità delle immagini generalmente rappresentata come istogramma 2D. Il primo
metodo introdotto era basato sulla entropia della distribuzione di probabilità congiunta (59) che
deve essere minimizzata perché le immagini vengano registrate. Un metodo più robusto successivamente introdotto è basato sulla ‘mutual information’ (MI) (59). MI è una misura di dipendenza
di un’immagine da un’altra e può essere considerata come la distanza tra la distribuzione congiunta
e la distribuzione assumendo completa indipendenza. Quando le due distribuzioni sono identiche
questa distanza (e la MI) è uguale a zero. Si assume che le due immagini sono registrate correttamente quando la MI tra di esse è massimizzata. Questo algoritmo di MI è attualmente implementato nel software statistical parametric mapping 2000 (SPM2, Wellcome Department of Cognitive
Neurology, www.fil.ion.ucl.ac.uk/spm).
Una particolare condizione è quella di dover coregistrare tra loro immagini 3D di individui diffe-
renti. In questo caso l’immagine di ciascun individuo, diversa dalle altre, deve essere trasformata in uno
spazio standard in modo da poter essere confrontata con quella di altri individui. Questa procedura viene definita normalizzazione spaziale (figura 36). Lo spazio standard che viene maggiormente impiegato
nella comunità scientifica di neuroimaging è quello definito dalle coordinate stereotassiche dell’atlante
di Talaraich e Tournoux (62). Più recentemente sono stati utilizzati il sistema delle coordinate dello spa-
110
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
zio del Montreal Neurological Institute (MNI), basato sulla media di un cospicuo numero di RM di soggetti
normali ed attualmente implementato nella versione ’99 e 2000 di SPM, ed atlanti digitalizzati (63, 64).
La normalizzazione spaziale consente di confrontare tra loro immagini di diversi individui e quindi di
valutare eventuali differenze tra un gruppo di pazienti ed un gruppo di controllo, oppure tra gruppi di
pazienti fra di loro, e di riportare tali differenze in un sistema di coordinate comuni, consentendo quindi il confronto tra risultati ottenuti da diversi sperimentatori. Ciò si applica anche a studi di attivazione
in cui modificazioni del segnale PET/SPECT o del segnale BOLD di RM vengono valutate tra diversi soggetti o nello stesso individuo in uno spazio stereotassico definito.
FIGURA 36
A
B
C
Procedimento di normalizzazione spaziale di uno studio PET con [18F]FDG.
L’immagine del singolo individuo (A) viene normalizzata in uno spazio stereotassico (Montreal Neurological
Institute, MNI) utilizzando un template generato in soggetti di controllo disponibile in SPM2 (B).
Nell’immagine normalizzata (C) a ciascun voxel dell’immagine corrisponde
un set di coordinate x,y,z nello spazio MNI.
Metodi di normalizzazione spaziale possono essere divisi in metodi ‘label-based’ e metodi ‘intensitybased’ (63). I primi si basano sulla presenza e la identificazione di strutture omologhe nell’immagine
sorgente e nell’immagine di riferimento. Queste strutture possono essere punti, linee o superfici. Una volta che tali strutture sono identificate la trasformazione spaziale viene effettuata in maniera da far combaciare le omologie tra le immagini. Gli approcci basati sulla intensità dei voxels (intensity-based)
consistono nella trasformazione spaziale che ottimizza alcune misure di similarità dei voxels tra un’immagine sorgente ed una immagine di riferimento. Il criterio di ‘matching’ è generalmente basato sulla
111
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
minimizzazione della somma delle differenze al quadrato o la massimizzazione della correlazione tra
immagini. Affinché tale criterio venga soddisfatto l’immagine sorgente deve essere deformata (‘warped’)
in modo da corrispondere grossolanamente alla immagine di riferimento. La deformazione o warping
dell’immagine sorgente viene effettuata mediante l’applicazione di una trasformazione non lineare, o trasformazione affine, che utilizza 9 o 12 parametri tenendo conto delle differenze di posizione, orientamento e dimensioni globali del cervello. I modelli di deformazione includono anche un parametro di
intensità che tiene conto delle differenze di scala di intensità tra le immagini. I programmi utilizzati per
la normalizzazione spaziale contengono generalmente alcuni template delle diverse modalità di immagine utilizzati, per esempio T1-RM, PET o SPECT. I template possono essere generati anche direttamente dall’utilizzatore, impiegando un’immagine media ottenuta da un certo numero di studi effettuati su
soggetti normali. In questo modo è possibile creare template di immagini che corrispondono ad esempio a differenti traccianti PET o SPECT.
Analisi voxel-by-voxel
Approcci convenzionali nell’analisi delle immagini prevedono la misura delle alterazioni funzionali
(flusso, metabolismo, densità recettoriale) in determinate regioni del cervello mediante impiego di regioni di interesse (ROIs) definite a priori sulla base di un’ipotesi scientifica. Questo approccio è basato su una
specifica ipotesi a priori che esistano differenze tra gruppi di pazienti o tra pazienti e controlli in predefinite regioni cerebrali, da valutare statisticamente. Differenze funzionali possono interessare regioni
diverse da quelle definite a priori oppure interessare regioni che sono solo parzialmente campionate dalle ROIs utilizzate, venendo quindi ‘diluite’ nell’analisi dei dati.
Pertanto, approcci basati sull’analisi di tutti i voxels delle immagini sono particolarmente utili nel
caso in cui non vi sia un’ipotesi a priori oppure sia necessario valutare regioni del cervello che difficilmente possano essere identificate con ROIs. Un esempio di tale approccio è l’identificazione precoce
della disfunzione metabolica nella corteccia del cingolo posteriore in pazienti con malattia di Alzheimer in fase iniziale (65). Metodi di analisi voxel-by-voxel consentono di effettuare un’analisi statistica di
un determinato effetto o variazione funzionale su tutti i voxels dell’immagine ed ottenere una mappa o
immagine statistica da cui è possibile identificare i voxels in cui quel determinato effetto o variazione
funzionale è presente. Per poter eseguire un’analisi voxel-by-voxel le immagini devono essere adeguatamente processate. Tale pre-processing include: coregistrazione, normalizzazione spaziale e smoothing.
Quest’ultimo passaggio consente di ridurre le differenze tra immagini dovute a differenze anatomiche tra
diversi individui.
SPM è il metodo di analisi statistica voxel-by-voxel più diffuso ed SPM99 o SPM2 sono i software
attualmente più utilizzati. Il metodo di analisi statistica di SPM è basato sul modello lineare generale
(general linear model, GLM). Secondo tale modello (66) una determinata variabile di risposta Yj (per
esempio la misura del rCBF in un dato voxel dell’immagine) può essere spiegata dalla combinazione
lineare di più variabili o covariate più un termine di errore:
Yj = xj1β1 +…+ xjQβQ + xjLβL + εj
112
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Dove βQ sono parametri sconosciuti corrispondenti a ciascuna delle L variabili; xjQ ed εj rappresentano
gli errori o variabili random indipendenti distribuite in maniera normale con media 0 e varianza σ2.
Questo modello può essere rappresentato anche in forma di matrice:
()(
Y1
⋅
⋅
Yj
⋅
⋅
YJ
=
x11
⋅
⋅
xj1
⋅
⋅
xJ1
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
x1Q
⋅
⋅
xjQ
⋅
⋅
xJQ
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
⋅⋅⋅
x1L
⋅
⋅
xjL
⋅
⋅
xJL
)() ()
β1
⋅
⋅
βQ
⋅
⋅
βL
+
ε1
⋅
⋅
εj
⋅
⋅
εJ
dove Y è la colonna vettore delle osservazioni, ε il vettore del termine errore e β è la colonna vettore dei parametri. La matrice J x L è la matrice del disegno sperimentale (design matrix) e costituisce una
quasi completa descrizione del modello.
Per l’analisi dei dati PET o SPECT esistono diversi modelli la cui singola trattazione esula dagli scopi di questo testo. Un importante aspetto da discutere per quanto concerne i dati PET/SPECT è la normalizzazione globale, ovvero la normalizzazione ad un valore globale di attività. Questo concetto è
importante perché, in alcuni casi, effetti che si verificano nel singolo voxel sono determinati da effetti
globali che devono essere inclusi nel modello affinché tali effetti regionali possano essere adeguatamente
identificati. Esistono due approcci di normalizzazione globale: proportional scaling ed ANCOVA. Nel
proportional scaling i dati vengono normalizzati scalando ciascuna immagine al proprio valore di attività globale. Se Ykj è il valore di attività o intensità al voxel k = 1…,k della immagine j, allora l’attività globale gj = Yj = Σkk=1 Ykj/k. Come fattore di scala dell’immagine sarà utilizzato 50/g, dove 50 è il valore
globale di CBF di 50 mL/min/dL. I dati normalizzati saranno Y’kj = (50/g) Ykj e quindi il modello è:
Ykj = gj/50 (Xβk)j + ε’kj
Nell’ANCOVA il valore globale g viene inserito come vettore nel modello:
–
Ykj = (Xβ)j + ζk(gj-g ) + εkj
Nell’analisi SPM, dopo aver preprocessato le immagini, definito il modello, il metodo di normalizzazione globale ed inserito i dati nell’analisi, si interroga il software per valutare i risultati in forma di
contrasti, ovvero differenze tra gruppi o condizioni sperimentali. Si definisce un valore soglia di p per
valutare i risultati a livello dei singoli voxels ed un valore soglia del numero dei voxels che costituiscono un cluster significativo al valore di p<0.05 corretto per confronti multipli (Bonferroni). Si avrà pertanto un’immagine che rappresenta i voxels ed i clusters al di sopra del threshold predefinito. Infine, le
mappe statistiche possono essere mostrate in scala di colori con intensità equivalente al valore di T score e sovrapposte ad immagini anatomiche (per es. T1-RM) per identificare le regioni del cervello dove è
visualizzabile un dato effetto o alterazione funzionale. Tale approccio metodologico è stato impiegato
con successo per l’analisi di dati sperimentali ottenuti su gruppi di soggetti per identificare specifici networks che differenziano pazienti da controlli (figura 37) o diversi gruppi di pazienti tra loro (67), ma
può essere potenzialmente utilizzato anche come supporto diagnostico all’interpretazione di studi di
imaging funzionale nella routine clinica (68).
113
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 37
99mTc-HMPAO
T score
Alzheimer < Controlli
Analisi SPM (SPM’99) di studi SPECT con 99mTc-HMPAO in 13 pazienti con malattia di Alzheimer
(MMSE: 19±3) ed 8 soggetti di controllo. I risultati sono riportati su sezioni MRI come correlato anatomico.
L’analisi è stata condotta per evidenziare la relativa riduzione del rCBF nei pazienti con malattia di Alzheimer
rispetto ai controlli. I risultati dell’analisi SPM sono visualizzati ad una soglia di P<0.01.
L’intensità del colore delle mappe statistiche rappresenta il valore di T score.
I pazienti con malattia di Alzheimer hanno mostrato una significativa riduzione a livello della corteccia
del cingolo posteriore sinistro, del precuneo e della corteccia parietale bilateralmente.
Un altro metodo di analisi voxel-by-voxel è il 3D-SSP, sviluppato da Minoshima e coll. (69), software
conosciuto anche come NEUROSTAT. In questo software la normalizzazione spaziale delle immagini viene effettuata con scaling lineare e warping non-lineare utilizzando landmarks interni ad un cervello
standard. La distribuzione di attività all’interno della sostanza grigia di immagini PET standardizzate
viene estratta in forma di proiezioni stereotassiche superficiali 3D (three-dimensional stereotactic surface projections, da dove l’acronimo 3D-SSP) (70). Ciò genera un’immagine basata su un sistema standardizzato di coordinate di circa 16 000 voxels, ed i voxels di due differenti immagini sono direttamente
confrontati a livello di una determinata regione del cervello standard. Queste immagini 3D-SSP consentono il confronto statistico voxel-by-voxel. Questi confronti possono essere visualizzati come mappe statistiche parametriche. Per l’analisi di immagini di FDG-PET di pazienti con demenza, l’immagine
3D-SSP viene generalmente standardizzata dividendo ciascun valore per il valore del ponte (regione
implicata in funzioni autonomiche e generalmente risparmiata dalla patologia) in modo da eliminare la
variabilità tra soggetti ed eventualmente tra differenti scanner PET (71).
Infine, un altro software per analisi di immagini è HERMES BRASS™ (Hermes Medical Solutions,
Stockholm, Sweden), un programma di analisi quantitativa che consente il fitting automatico di immagini di perfusione o metabolismo e l’analisi quantitativa voxel-by-voxel dei difetti di perfusione o metabolismo regionali.
4.6 Metodi di correzione per l’effetto volume parziale
Nelle sezioni 4.2 e 4.3 è già stato introdotto il concetto di effetto volume parziale (PVE, partial volume effect) come fattore che limita l’accuratezza quantitativa della PET e soprattutto della SPECT. In questa sezione saranno brevemente introdotti e descritti i metodi attualmente disponibili che consentono
di correggere le immagini PET/SPECT per il PVE.
114
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Nonostante nell’ultima decade siano stati effettuati rilevanti progressi che hanno portato alla realizzazione di tomografi ad elevata risoluzione, l’accuratezza quantitativa della PET ed in particolare della SPECT nella misura del flusso, metabolismo o binding recettoriale cerebrale è fortemente influenzata
dal PVE. In strutture di dimensioni simili alla risoluzione spaziale dello scanner (minore di 2 volte
l’FWHM), come la neocorteccia, la concentrazione del tracciante misurata nella sostanza grigia (SG) è
influenzata dalla presenza di strutture contigue quali la sostanza bianca (SB) ed il liquor; pertanto il
segnale PET riflette la media della concentrazione del tracciante nei tre compartimenti. Tale effetto è
maggiore in situazioni fisiologiche o patologiche quali invecchiamento o malattie neurodegenerative
(tipo malattia di Alzheimer) associate ad atrofia cerebrale in cui le alterazioni metaboliche misurate ad
esempio con [18F]FDG-PET in specifiche regioni cerebrali possono essere sovrastimate per la presenza in
tali sedi di ridotta concentrazione di SG o aumentata concentrazione di liquor.
La correzione per il PVE è teoricamente possibile se si conoscono la distribuzione delle diverse componenti tissutali di immagini funzionali e la risoluzione dello scanner. La RM, in quanto metodica di
imaging strutturale ad elevata risoluzione, fornisce le informazioni anatomiche necessarie che possono
essere associate alla misura del FWHM del sistema per ottenere una correzione della distribuzione di attività di un determinato radiocomposto misurata con PET o SPECT. I metodi attualmente disponibili per
la correzione per il PVE (PVEc, partial volume correction) sono tutti basati sull’impiego di RM strutturale
con sequenze 3D ad elevata risoluzione. Nonostante siano stati inizialmente proposti metodi basati sulla misura del volume di tessuto cerebrale mediante TC, saranno descritti in questa sezione i 4 metodi
basati sull’impiego di RM che hanno avuto ampia validazione e sono stati utilizzati in diverse situazioni sperimentali.
1)
Il primo metodo è stato descritto da Meltzer e coll (72) e si basa sulla produzione di un’immagine
binaria di parenchima cerebrale ottenuta da un’immagine RM T2-pesata assegnando un valore di 0
a pixels rappresentanti il liquor ed un valore di 1 a pixels rappresentanti il parenchima cerebrale
(quindi SG + SB). Tale immagine binaria era convoluta per la risoluzione assiale e transassiale dello
scanner PET. L’immagine PET originale veniva quindi divisa per l’immagine convoluta (o PET virtuale) a livello di ciascun pixel, fornendo un’immagine PET corretta per atrofia in cui la densità dei
conteggi rappresentava l’attività per volume di tessuto cerebrale piuttosto che per volume spaziale:
0 Liquor
RM
T2-pesata
Immagine
binaria
1 Parenchima
⊗
PSF
Immagine
Convoluta
(PET)
virtuale
PET originale
= PET corretta
PET virtuale
Questo metodo è stato anche utilizzato per immagini di FDG-PET di pazienti con malattia di Alzheimer (73) dimostrando che l’ipometabolismo di specifiche regioni cerebrali tipicamente affette
nell’Alzheimer persisteva dopo PVEc. Questo metodo era sostanzialmente basato su un approccio
115
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
bicompartimentale per cui i dati PET vengono corretti soltanto per gli effetti di ‘diluizione del
liquor’. Gli stessi autori hanno successivamente prosposto un metodo tricompartimentale che includeva anche gli effetti di PV ‘averaging’ tra SG e SB (74). Il metodo tricompartimentale presentava
una maggiore accuratezza in termini di RC della concentrazione di radioattività della SG, ma era
anche maggiormente influenzato da errori associati alla segmentazione dell’immagine RM (separazione tra SG, SB e liquor) ed alla coregistrazione RM-PET.
2)
Il secondo metodo è stato sviluppato da Müller-Gärtner e coll. (75). Questo metodo include la correzione per il differente contributo della SG, SB e liquor e consiste di tre passaggi fondamentali. Il
primo consiste nel generare una immagine PET virtuale per la SB e liquor sostituendo ai valori di
intensità della SB ottenuti dalla RM la concentrazione del tracciante nella SB e liquor in una regione dove è trascurabile il PVE (centro semiovale). Ai pixels corrispondenti alla SG viene assegnato il
valore di 0. Questa immagine RM modificata viene convoluta con la risoluzione tridimensionale
dello scanner PET, h:
–
–
IMRmod = I whiteXwhite ⊗ h + I CSFXCSF ⊗ h
Equ. 57
–
–
Dove IMRmod è l’immagine RM modificata, I white ed I CSF sono la concentrazione di radioattività nella SB e nel liquor e Xwhite e XCSF sono le coordinate spaziali di ciascun pixel della SB e del liquor.
Successivamente l’immagine RM modificata è sottratta dall’immagine PET osservata Iobs per ottenere:
IPETmod = Iobs – IMRmod = Igray ⊗ h
Equ. 58
Dove Igray è la concentrazione di radioattività a livello della SG. Infine l’immagine RM originale
viene di nuovo modificata sostituendo ai pixels della SB e del liquor il valore di 0 ed ai pixels della SG il
valore di 1. Questa immagine modificata viene convoluta con h:
IMRmod = Xgray ⊗ h
Equ. 59
Quindi l’immagine PET modificata è divisa per l’immagine RM modificata per ottenere:
Igray = IPETmod / IMRmod
Equ. 60
L’applicazione di questo metodo ad immagini PET di soggetti normali e di pazienti con malattia di
Alzheimer determinava una riduzione delle differenze di metabolismo del glucosio tra i due gruppi di
soggetti dal 31% al 17% (76).
Il terzo metodo sviluppato da Rousset e coll. (77) si basa sull’impiego di una matrice di coefficienti di trasferimento che rappresentano, per un determinato set di ROIs, le frazioni dell’attività vera scambiate tra ciascuna coppia di regioni cerebrali dovute al PVE. Tale matrice costituisce un sistema di
equazioni che consente di ottenere i valori PET corretti a partire dai valori PET osservati misurati con
ROIs. Questo metodo è stato validato in un fantoccio contenente i nuclei della base ed un compartimento di background che riproduceva la condizione di uno studio di [18F]dopa dinamico, ma può essere applicato a qualsiasi condizione sperimentale.
Il quarto metodo consiste in una modifica del metodo di Müller-Gärtner proposta da Rousset (78)
in cui la concentrazione di radioattività nella SB viene ottenuta mediante l’applicazione della matrice dei
coefficienti di trasferimento.
116
METODICHE DI TOMOGRAFIA AD EMISSIONE: SPECT E PET
Recentemente è stato sviluppato un software integrato per l’analisi di studi PET/SPECT utilizzando
i 4 metodi di PVEc (79). Tale software è stato sviluppato nell’ambito di un progetto finanziato dalla UE
(PVEOut, V Programma Quadro). Il confronto dei quattro metodi di PVEc descritti utilizzando immagini di FDG-PET ha dimostrato che i metodi più accurati sono quello di Rousset basato sull’analisi con
ROIs ed il metodo di Müller-Gärtner modificato dall’approccio di Rousset, basato sull’analisi pixel-bypixel, con un’accuratezza superiore al 96%. Tra i fattori che potenzialmente influenzano l’accuratezza dei
diversi metodi di PVEc (RM-PET misregistrazione, inaccuratezza della segmentazione, stima inaccurata
della risoluzione PET/SPECT, inadeguata assunzione di omogeneità della concentrazione di tracciante
all’interno di una ROIs, etc.) gli errori di coregistrazione costituiscono il fattore maggiormente determinante l’imprecisione della correzione.
Pertanto, per studi PET con [18F]FDG il metodo di Rousset appare il più accurato, riducendo la sottostima dei valori di attività della SG da -39.6% a -2.3%, se si sceglie un approccio basato su ROIs, mentre il metodo di Müller-Gärtner modificato appare il più accurato se si sceglie un approccio pixel-by-pixel,
con un’accuratezza solo di 1.5% inferiore rispetto al precedente. L’accuratezza di questi metodi per altri
tipi di traccianti PET o SPECT deve ancora essere valutata.
Bibliografia
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121
CAPITOLO 5
LA TC CEREBRALE NELLA
DIAGNOSI DELLE DEMENZE
Francesca Romana Pezzella, Marco Fiorelli
Cattedra di Neuroradiologia
Dipartimento di Scienze Neurologiche
Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’
1.
Il ruolo della tomografia computerizzata nello studio dell’invecchiamento cerebrale
e nella diagnosi delle demenze
La TC cerebrale è la più diffusa modalità di diagnostica neurologica per immagini. Le più recenti
linee guida italiane (Musicco et al., 2004) la ritengono ‘indicata’ per la diagnosi di demenza, al pari della Risonanza Magnetica, e specificano che la TC o la RM sono esami ‘obbligatori almeno al momento della prima diagnosi, se non altro per una corretta diagnosi differenziale e per la valutazione di una eventuale
componente vascolare, ed anche in occasione di particolari importanti variazioni nel decorso clinico del paziente’. La TC svolge quindi un ruolo di rilievo nella ricerca di alcune tra le più frequenti cause di demenza
‘reversibile’. Sfortunatamente nè la TC nè la RM consentono invece di formulare una diagnosi positiva
dei più frequenti tipi di demenza degenerativa o vascolare, motivo per il quale altre raccomandazioni
internazionali (Patterson et al., 1999), più sensibili al problema del rapporto costo-efficacia della diagnostica strumentale, ritengono indicata la loro esecuzione soltanto in alcuni sottogruppi di pazienti
(età inferiore 60 anni, storia di trauma cranico recente, ecc.).
2.
La TC cerebrale nella malattia di Alzheimer e nelle altre demenze degenerative
Dal punto di vista anatomopatologico, la malattia di Alzheimer è caratterizzata da un progressivo
depauperamento cellulare corticale, associato ad uno scompaginamento della citoarchitettonica della
sostanza grigia e a proliferazione compensatoria della glia fibrillare. Ciò si traduce macroscopicamente in
un assottigliamento delle circonvoluzioni cerebrali con conseguente allargamento degli spazi liquorali,
particolarmente evidente a carico della porzione mediale dei lobi temporali. Ne conseguono gli aspetti
morfologici caratteristici della malattia in fase conclamata: la dilatazione dei corni temporali (figura 1),
l’ampliamento delle scissure silviane, l’aumento di ampiezza della cisterna soprasellare per atrofia dell’amigdala, dell’ippocampo e del giro paraippocampale (Seab et al., 1988; Kesslak et al., 1991). Con inci-
123
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 1
Atrofia ippocampale bilaterale e conseguente dilatazione dei corni temporali nella malattia di Alzheimer.
FIGURA 2
Atrofia settoriale temporo-insulare sn in un paziente con quadro clinico suggestivo di demenza
fronto-temporale. Come reperto collaterale è presente una lacuna nel nucleo lenticolare sn.
124
LA TC CEREBRALE NELLA DIAGNOSI DELLE DEMENZE
denza maggiore rispetto a quanto accade nell’invecchiamento fisiologico, possono associarsi aree di degenerazione della sostanza bianca, evidenziabili alla TC come zone di ipodensità a limiti indistinti.
I primi autori che si sono occupati della diagnosi neuradiologica di demenza hanno utilizzato la TC
per studiare e quantificare l’atrofia corticale, con particolare riguardo per la regione dell’ippocampo (De
Leon et al., 1989; Doraiswamy et al., 1993; Early et al., 1993). Ad oggi uno degli indicatori diagnostici più
accurati rimane quello descritto da Frisoni e coautori (2002), i quali con un appropriato protocollo di
misura del diametro radiale del corno temporale hanno ottenuto, sia con la TC che con la RM, una sensibilità e specificità superiori al 90% nella diagnosi di malattia di Alzheimer. Rimane peraltro da verificare quanto questi criteri siano effettivamente riproducibili nella pratica clinica, problema che si scontra
con la nota impossibilità di formulare una diagnosi di malattia di Alzheimer certa se non all’esame autoptico. Un requisito minimo per poter utilizzare questi criteri nella routine diagnostica è quello di aver
condotto procedure di standardizzazione e validazione nel proprio centro (Oksengaard et al., 2003).
Anche le altre forme di demenza degenerativa, come la demenza a corpi di Lewy e la demenza fronto-temporale non sono caratterizzate da pattern morfologici sufficientemente specifici, per lo meno in
fase iniziale di malattia. La demenza fronto-temporale può a volte essere diagnosticata con relativa accuratezza sulla base del quadro clinico e della topografia del danno atrofico (figura 2), che tipicamente
risparmia le zone posteriori degli emisferi interessate nella malattia di Alzheimer (Knopman et al., 2005).
3.
La TC nella demenza vascolare
Esistono numerosi set di criteri per la diagnosi di demenza vascolare, che è quindi un’entità di defi-
nizione non univoca (Libon et al., 2004). I più frequenti reperti neuroradiologici nei pazienti con demenza vascolare sono la presenza di esiti di piccole e molteplici lesioni ischemiche, a prevalente distribuzione
sottocorticale, e la leucoaraiosi, una disomogenea rarefazione della sostanza bianca, prevalentemente
localizzata intorno ai ventricoli laterali e imputabile ad una sofferenza ischemica diffusa a livello arteriolare. Lesioni focali e leucoaraiosi sono spesso associate (figura 3). Nella leucoaraiosi la TC mostra una
diffusa e disomogenea ipodensità nella sostanza bianca dei due emisferi. Sono stati messi a punto numerosi sistemi di quantificazione della leucoaraiosi, la grande maggioranza dei quali è basata sul giudizio
visivo di osservatori esperti (Scheltens et al., 1998). È documentata una minore sensibilità della TC rispetto alla RM, sia per quanto riguarda le lesioni focali, sia per la sofferenza parenchimale diffusa (figura 4)
(van Straaten et al., 2004). Studi recenti mostrano tuttavia come sia possibile effettuare valutazioni semiquantitative e separate dei reperti TC indicativi della presenza di lesioni focali e di leucoaraiosi con buona correlazione con i risultati dell’esame autoptico (Rossi et al., 2005).
4.
Altre cause di demenza
L’utilità principale della TC nel paziente con diagnosi clinica di demenza è di escludere la presenza
di lesioni strutturali, anche se queste hanno un’incidenza molto bassa (meno dell’1% dei casi). Nei paesi
anglosassoni sono stati proposti dei criteri di selezione dei pazienti con compromissione cognitiva da sot-
125
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 3
Coesistenza di lesioni focali ipodense sottocorticali bilaterali e di leucoaraiosi.
FIGURA 4
Nello stesso paziente la sequenza T2-FLAIR (a sn) mostra lesioni vascolari ischemiche focali
e leucoaraiosi non visualizzate dalla TC (a dx).
126
LA TC CEREBRALE NELLA DIAGNOSI DELLE DEMENZE
toporre a TC. Tuttavia, questi criteri hanno una sensibilità subottimale, arrivando ad identificare non più
del 90% dei pazienti con demenza secondaria a lesioni intracraniche trattabili (Cummings JL, 2000).
L’elenco estensivo delle lesioni strutturali intracraniche che possono essere responsabili di quadri
clinici di demenza copre l’intera gamma della patologia post-traumatica, vascolare, neoplastica, infettivo-infiammatoria e della circolazione del liquor. Infarti localizzati in aree cerebrali strategiche (talamo,
ginocchio capsulare, ecc.), neoplasie ed ematomi subdurali (figura 5) sono i reperti più frequenti.
FIGURA 5
Ematoma subdurale bilaterale.
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van Straaten EC, Scheltens P, Barkhof F. MRI and CT in the diagnosis of vascular dementia. J Neurol
Sci. 2004; 226: 9-12.
128
CAPITOLO 6
DEMENZE VASCOLARI: RISONANZA
MAGNETICA MORFOLOGICA
Domenico Inzitari, Leonardo Pantoni
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche
Università degli Studi di Firenze
1.
Introduzione
Il deterioramento cognitivo di origine vascolare, che nella sua forma più grave si definisce demen-
za vascolare (DV), è oggi considerato la seconda causa di demenza dopo la malattia di Alzheimer e rende conto di percentuali variabili fra il 10 e il 50% di tutti i casi diagnosticati di demenza. Tali variazioni
dipendono dal tipo di popolazione studiata ed anche dai criteri diagnostici usati [Rocca et al., 1991;
Hebert and Brayne, 1995; Pojashavaara et al., 1997]. Gli studi recenti tendono comunque a riportare
percentuali di DV più alte che in passato [Skoog et al., 1993; Di Carlo et al., 2002; Fitzpatrick et al., 2004].
Non è chiaro se questo sia un reale incremento o se dipenda da un miglioramento della sensibilità diagnostica. Da questo punto di vista il neuroimaging riveste un ruolo fondamentale poichè l’utilizzo della TC e della RMN aumenta la possibilità di riconoscere la DV e quindi ne aumenta la frequenza [Rocca
e Kokmen, 1999]. Una descrizione dei maggiori quadri neuroradiologici di DV appare quindi utile non
solo per ciò che concerne la descrizione e la collocazione nosografica della malattia, ma anche per pratici motivi di diagnosi clinica e di conoscenza epidemiologica del problema.
È ormai riconosciuto che sotto il termine di DV si comprende una ampia serie di forme o sottotipi
che si differenziano sul profilo clinico, i meccanismi patogenetici, il quadro anatomo-patologico e quello radiologico. Anche le classificazioni delle varie forme di DV differiscono in parte fra loro essendo basate alcune su criteri clinici, fisiopatologici altre o anche semplicemente sulla localizzazione anatomica
delle lesioni altre ancora [Román et al., 1993; Wetterling et al., 2004] (tabelle 1 e 2).
Tabella 1 - Classificazione delle forme di demenza vascolare secondo l’International Classification of Diseases,
10ª revisione
– Demenza vascolare ad esordio acuto
– Demenza multi-infartuale
– Demenza vascolare sottocorticale
– Demenza vascolare mista (corticale e sottocorticale)
– Altre forme di demenza vascolare
– Demenza vascolare non specificata
129
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Ciononostante la grande maggioranza dei casi di DV si concentra in alcuni sottotipi. A questi si
farà riferimento in questo capitolo.
Tabella 2 - Classificazione delle forme di demenza vascolare secondo la classificazione NINDS-AIREN
– Demenza multi-infartuale
– Demenza da infarto strategico
– Demenza da malattia dei piccoli vasi
– Demenza da ipoperfusione
– Demenza emorragica
– Altre forme di demenza vascolare
2.
Demenza vascolare sottocorticale
La DV sottocorticale (talvolta definita anche come DV da malattia dei piccoli vasi) è una forma che
ha ricevuto molta attenzione negli ultimi anni [Erkinjuntti e Pantoni, 2000; Erkinjuntti et al., 2000a; Inzitari et al., 2000; Román et al., 2002]. Recentemente ne sono stati anche proposti nuovi criteri da applicare nel campo della ricerca [Erkinjuntti et al., 2000b]. Tali criteri si basano sulla caratterizzazione dei
pazienti dal punto di vista del decorso, del quadro clinico ma anche delle neuroimmagini (tabella 3).
Tabella 3 - Criteri neuroradiologici per la demenza vascolare sottocorticale [Erkinjuntti et al., 2000b]
A) TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA
Lesioni estese della sostanza bianca periventricolare o profonde: aree focali o diffuse di ipodensità (densità intermedia
fra quella della normale sostanza bianca e quella del liquor intraventricolare) a margini sfumati ed estensione al centro
semiovale e almeno un infarto lacunare
e
assenza di infarti corticali e/o cortico-sottocorticali territoriali non lacunari, infarti di confine indicativi di malattia dei
grossi vasi, emorragie, segni di idrocefalo normoteso, e cause specifiche di lesioni della sostanza bianca (es. sclerosi
multipla, sarcoidosi, danno da radioterapia).
B) RISONANZA MAGNETICA
1. Casi “a predominanza di alterazioni della sostanza bianca”: lesioni periventricolari estese e lesioni profonde della sostanza bianca: cappucci (caps) estesi (>10 mm misurati paralleli al ventricolo) o aloni irregolari (spessore >10 mm broad, a
margini irregolari e con estensione nella sostanza bianca profonda) e iperintensità diffusamente confluenti (>25 mm, forma irregolare) o alterazioni estese della sostanza bianca (iperintensità diffusa senza lesioni focali), e lacune nella sostanza grigia profonda.
o
2. Casi “a predominanza lacunare”: lacune multiple (es. >5) nella sostanza grigia profonda e lesioni della sostanza bianca
almeno di grado moderato: cappucci estesi o aloni irregolari o iperintensità diffusamente confluenti o alterazioni estese della sostanza bianca.
e
assenza di infarti corticali e/o cortico-sottocorticali territoriali non lacunari, infarti di confine indicativi di malattia dei
grossi vasi, emorragie, segni di idrocefalo normoteso, e cause specifiche di lesioni della sostanza bianca (es. sclerosi
multipla, sarcoidosi, danno da radioterapia).
130
D E M E N Z E VA S C O L A R I : R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M O R F O L O G I C A
Dal punto di vista patologico, le principali lesioni cerebrali sono gli infarti lacunari e le alterazioni
della sostanza bianca caratterizzate da perdita di fibre mielinizzate e da un ridotto numero di oligodendrociti. Le lesioni sono ovviamente localizzate nelle zone sottocorticali [Wallin et al., 1991; Erkinjuntti
e Pantoni, 2000]. Questa nuova definizione vuole incorporare quelle più vecchie di “stato lacunare” e di
“malattia di Binswanger”.
Clinicamente la DV sottocorticale si caratterizza per la coesistenza di fattori di rischio vascolare quali l’ipertensione, il diabete mellito e patologie vascolari cardiache e periferiche. Una storia di ictus o di
attacco ischemico transitorio può essere presente ma non in tutti i pazienti, il che può rendere questa forma di DV, insieme ad un decorso in genere più cronico e progressivo, di più difficile riconoscimento e di
maggiore difficoltà diagnostica differenziale nei confronti delle forme di demenza neurodegenerativa
quale quella della malattia di Alzheimer [Pantoni et al., 1996].
Oltre ai disturbi cognitivi possono essere presenti sintomi motori quali rigidità e ipocinesia, segni
piramidali bilaterali, riflessi sottocorticali primitivi. Frequenti sono il disequilibrio e le alterazioni della
deambulazione (definita come di tipo aprassico e caratterizzata da base allargata, piccoli passi e difficoltà nelle manovre di dietro-front). Sintomi della serie pseudobulbare, quali disartria, disfagia ed incontinenza urinaria sono pressochè invariabilmente presenti nelle fasi avanzate. I disturbi cognitivi si
accompagnano spesso a disturbi comportamentali e dell’umore quali depressione, modificazioni della
personalità e labilità emotiva.
Il quadro delle alterazioni cognitive che si riscontra nei casi di DV sottocorticale corrisponde alla
cosiddetta “sindrome disesecutiva”. Essa include, oltre ai sintomi comportamentali e psichiatrici sopradescritti, una elaborazione rallentata delle informazioni, un disturbo della memoria che interessa
soprattutto il richiamo delle informazioni, una difficoltà nella formulazione degli obiettivi e nell’iniziare, pianificare, organizzare ed eseguire azioni più o meno complesse [Cummings, 1994; Erkinjuntti
e Pantoni, 2000]. I deficit di memoria sono solitamente di grado moderato e non sono mai il disturbo
prevalente.
Il deficit delle funzioni esecutive è stato a lungo non riconosciuto come un determinante di demenza poiché i tradizionali test cognitivi sono poco sensibili a rilevare questo tipo di disfunzione [Royall et
al., 1994]. Le alterazioni di questo dominio cognitivo sono state solo recentemente aggiunte ai criteri del
DSM-IV per la diagnosi di demenza [American Psychiatric Association, 1994] ma ancora la loro definizione non è stata adeguatamente implementata nella pratica clinica e nei protocolli di ricerca [Román
e Royall, 1999].
2.1 Quadro neuroradiologico (figure 1, 2 e 3)
Le lesioni neuroradiologiche precipue della DV sottocorticale sono le alterazioni della sostanza
bianca e gli infarti lacunari situati nelle strutture sia bianche che grigie profonde. Queste alterazioni sebbene possano essere ben riconosciute dalla TC, sono identificate con maggiore sensibilità dalla RM [Wahlund, 1994]. Alla RM le alterazioni della sostanza bianca appaiono come aree bilaterali e simmetriche
iperintense nelle sequenze T2-pesate e sono localizzate nelle zone periventricolari e sottocorticali profonde. Le lesioni periventricolari sono spesso distinte in anteriori o posteriori. Le lesioni profonde sono
invece distinte in focali, parzialmente o inizialmente confluenti e confluenti. Le alterazioni della sostanza bianca possono essere distinte dagli infarti territoriali perchè non hanno margini ben definiti, non
131
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 1
Esempio di demenza vascolare sottocorticale. Quadro RM encefalo caratterizzato nelle sequenze
T2-pesate dalla presenza di lesioni focali multiple sottocorticali a livello dei gangli della base,
della corona radiata e del talamo in una paziente di 66 anni con decadimento cognitivo di tipo
progressivo, disturbi della marcia ed incontinenza urinaria. Coesiste una grave leucoencefalopatia.
Nelle sequenze T1-pesate alcune di queste lesioni hanno caratteristica cavitazione e pertanto
si configurano come infarti lacunari.
seguono una distribuzione territoriale, non coinvolgono la corteccia, e non sono associate ad ingrandimento dei ventricoli o dei solchi adiacenti [Steingart et al., 1987]. Esse vengono anche divise fra periventricolari e profonde, a seconda che si trovino in contatto con i ventricoli laterali o siano separate da
essi. Talvolta questa distinzione non è semplice in quanto le lesioni periventricolari possono estendersi
fino ad interessare le strutture più profonde della sostanza bianca quali la corona radiata e il centro
semiovale. La classificazione delle alterazioni della sostanza bianca, basata su una valutazione solo visiva, è piuttosto complessa ed esistono di fatto scale di classificazione diverse [Mäntyla et al., 1997; Scheltens et al., 1998]. La maggior parte di queste, essendo basate su metodi visivi, è soggetta a variabilità fra
osservatori diversi. Molte scale hanno però mostrato fra loro una buona correlazione [Pantoni et al.,
2002]. Quasi tutte le scale per la RM sono più dettagliate di quelle per la TC. Una classificazione abbastanza dettagliata [Erkinjuntti et al, 1994] prevede che le lesioni periventricolari siano classificate in:
a) iperintensità che circondano la punta dei corni frontali ed occipitali dei ventricoli laterali (chiamate
132
D E M E N Z E VA S C O L A R I : R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M O R F O L O G I C A
FIGURA 2
Uomo di 80 anni con progressivo disturbo dell’attenzione e della deambulazione,
associate a depressione del tono dell’umore. Il quadro RM (sequenze FLAIR) documenta una grave
e diffusa leucoencefalopatia che dalle regioni periventricolari si estende alle regioni sottocorticali.
Le lesioni della sostanza bianca sono diffusamente confluenti.
anche caps); b) sottili o più estese iperintensità lungo il margine laterale dei ventricoli laterali lungo la
cella media (thin lining e smooth halo). Come detto, queste lesioni possono estendersi verso le regioni
profonde; c) lesioni profonde o del centro semiovale (focali, più o meno confluenti, o diffuse). Le caps
piccole sono iperintensità di 5 mm o meno, rotonde e con margini regolari; le caps intermedie sono di
6-10 mm in diametro ed hanno per la gran parte margini regolari; le caps più estese hanno diametro
>10 mm e margini irregolari. La grandezza delle caps è misurata in una direzione parallela all’asse del corno ventricolare. Le iperintensità periventricolari localizzate lungo il corpo del ventricolo laterale sono
classificate in base allo spessore e alla forma in lining sottile (“tratto di matita sottile”), “aloni lisci”
(smooth halo) e aloni irregolari. Il lining sottile è una linea iperintensa di 5 mm o meno ed ha margini
regolari. L’alone liscio è largo 6-10 mm, si presenta con bordi lisci ed ha perlopiù margini regolari. L’alone irregolare ha uno spessore di oltre 10 mm, margini irregolari e si estende verso la sostanza bianca
profonda. Le iperintensità in altre regioni della sostanza bianca sono classificate in base alla grandezza
(diametro maggiore) e forma in focali piccole, focali grandi, focali confluenti, confluenti ed estese. Le piccole lesioni focali sono iperintensità puntiformi di diametro di 5 mm o meno e sono perlopiù rotonde.
Le lesioni focali maggiori hanno diametro 6-10 mm e sono per la maggior parte rotondeggianti. Le lesioni focali confluenti hanno grandezza 11-25 mm, forma spesso variabile e possono avere margini irregolari. Le lesioni diffusamene confluenti hanno grandezza superiore ai 25 mm e solitamente bordi
irregolari. Per alterazioni estese della sostanza bianca si intendono iperintensità diffuse senza lesioni
focali e che coinvolgono la maggior parte della sostanza bianca. Uno studio di accordo su questa classificazione coinvolgente 3 ricercatori indipendenti ha evidenziato buoni valori di accordo intra- ed interosservatori [Mäntyla et al., 1997].
Le lesioni della sostanza bianca evidenziate dalla TC non sono completamente sovrapponibili per
numero ed estensione a quelle rilevate dalla RM [Johnson et al., 1987]. La RM, come è noto, è più sensibile della TC, ma alcune lesioni evidenziate dalla RM sono reputate rappresentare reperti radiologici
133
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 3
Uomo di 74 anni con deterioramento progressivo della memoria e delle funzioni esecutive frontali.
Il quadro RM mostra la coesistenza di una leucoencefalopatia grave e di lesioni cavitate a livello della
corona radiata e del centro semiovale. I gangli della base sono moderatmente risparmiati. Una delle
lesioni cavitate corrisponde alla presenza di un micro-sanguinamento nelle sequenze gradient-echo.
134
D E M E N Z E VA S C O L A R I : R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M O R F O L O G I C A
normali privi di significato patologico. Secondo alcuni autori, le lesioni evidenziate dalla TC sono più
specifiche di uno stato patologico di quelle evidenziate dalla RM [Lopez et al., 1995].
Nella DV sottocorticale gli infarti lacunari sono localizzati nelle sedi di irrorazione delle piccole
arterie perforanti come la capsula interna, la corona radiata, il centro semiovale, il nucleo caudato, il
globo pallido, il talamo e la sostanza bianca frontale. Tuttavia va sottolineato come nei casi di demenza
il quadro clinico possa essere correlato solo ad alcune di queste lesioni. Gli infarti lacunari sono più spesso identificati come lesioni più o meno cavitate a seconda delle diverse fasi patologiche, di aspetto rotondo od ovale, con un diametro minore di 15 mm, sebbene questo limite debba considerarsi arbitrario.
Deve anche essere considerato che le dimensioni degli infarti lacunari alla RM è leggermente maggiore
di quella delle stesse lesioni determinata all’autopsia. Nelle sequenze in densità protonica e nella fase
cronica, gli infarti lacunari appaiono iperintensi o isointensi rispetto al segnale del liquor. Secondo taluni autori [Jungreis et al., 1988; Bokura et al., 1988] è possibile distinguere con la RM fra infarti lacunari
e spazi perivascolari dilatati che sono spesso evidenziabili nelle stesse regioni profonde. Lesioni lacunari con margini smussi (anzichè irregolari) e a localizzazione putaminale, oltre che più piccole di 1x2 mm,
sono più verosimilmente spazi perivascolari dilatati piuttosto che infarti [Takao et al., 1999].
3.
CADASIL
Una particolare forma di DV sottocorticale è la CADASIL (Cerebral Autosomal Dominant Arterio-
pathy with Subcortical Infarcts and Leukoencephalopathy). Si tratta di una patologia su base genetica
causata da mutazioni a carico del gene Notch3 localizzato sul cromosoma 19, a trasmissione autosomica dominante [Tournier-Lasserve et al., 1993; Joutel et al., 1996], le cui principali caratteristiche cliniche
sono l’insorgenza in età adulto-giovanile, la presenza di emicrania, eventi ischemici cerebrovascolari
ricorrenti, alterazioni del tono dell’umore e deficit cognitivi fino a quadri di demenza conclamata nelle
fasi più tardive [Chabriat et al., 1995; Desmond et al., 1999; Dichgans et al., 1998]. Come indicato dall’acronimo, le alterazioni della sostanza bianca ne caratterizzano, insieme alla presenza di infarti sottocorticali di tipo lacunare, il quadro patologico e radiologico [O’Sullivan et al., 2001; Auer et al., 2001].
La patologia è sottesa da una microangiopatia non-arteriolosclerotica e non-amiloidea che si caratterizza all’esame ultrastrutturale per la presenza di depositi di materiale elettron-denso a livello della membrana basale. Tali alterazioni si ritrovano non solo a livello cerebrale ma anche in altri tessuti quali il
nervo periferico, il muscolo e la cute, sebbene i disturbi clinici dei pazienti siano esclusivamente a carico del sistema nervoso centrale [Ruchoux e Maurage, 1997; Mayer et al., 1999]. Dapprima considerata
una patologia piuttosto rara, la CADASIL sta rapidamente assumendo un sempre maggiore rilievo sia
per l’interesse legato alla alterazione genetica sia perché il numero delle famiglie affette riportate è in
continuo aumento.
Come sopra accennato, il quadro neuroradiologico è considerato alla stregua di quello clinico una
delle espressioni tipiche del fenotipo della malattia. Da questo punto di vista, la RM mostra nei pazienti
affetti da CADASIL un pattern di alterazioni che ricorda da vicino quello dei pazienti con DV sottocorticale sporadica. Tuttavia nella CADASIL le alterazioni della sostanza bianca tendono ad essere più gravi
che nelle forme di DV sporadica interessando nelle forme avanzate buona parte della sostanza bianca dei
135
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
centri semiovali. Inoltre due reperti neuroradiologici sono considerati abbastanza specifici della CADASIL:
l’iperintensità della capsula esterna e l’interessamento da parte delle alterazioni della sostanza bianca del
polo del lobo temporale [O’Sullivan et al., 2001; Auer et al., 2001] (figura 4). Specialmente quest’ultima
caratteristica sembra avere un valore predittivo elevato per la diagnosi genetica di CADASIL.
FIGURA 4
Paziente affetta da CADASIL. Da notare sulle immagini RM FLAIR il tipico coinvolgimento
del polo anteriore del lobo temporale e della capsula esterna e la grave estensione delle lesioni
della sostanza bianca dei centri semiovali.
4.
Demenza vascolare da singola lesione strategica
Con questo termine si intende una forma di DV che ha un esordio solitamente acuto (e quindi
rientra nelle forme clinicamente definite come demenza post-ictus) dopo l’occorrenza di una lesione
vascolare in sedi cosiddette strategiche perché, sebbene di limitate estensioni, se danneggiate, possono
provocare un deterioramento cognitivo globale. Alcune di queste sedi sono riportate nella tabella 4.
Tabella 4 - Demenza da singolo infarto strategico: sedi più frequenti delle lesioni ischemiche responsabili
Corticale
– giro angolare
– lobo temporale (porzione infero-mediale)
– lobo frontale (porzione mediale)
Sottocorticale
– talamo (regione antero-mediale)
– nucleo caudato
– ginocchio capsula interna
La causa di questa forma di DV è nella maggioranza dei casi un infarto ischemico (demenza da singolo infarto strategico) ma, almeno teoricamente, anche una piccola lesione emorragica potrebbe produrre lo stesso quadro clinico.
136
D E M E N Z E VA S C O L A R I : R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M O R F O L O G I C A
La causa del deterioramento cognitivo in queste situazioni è la disconnessione di circuiti sottocortico-corticali nel caso di lesioni profonde che non colpiscono la corteccia [Cummings, 1993; Corbett et
al., 1994] o il danneggiamento di sedi corticali associative quali la corteccia frontale, il giro angolare o
il lobo temporale. Nelle localizzazioni profonde ai disturbi cognitivi si associano spesso disturbi del comportamento, determinati dalla contemporanea lesione di circuiti coinvolti nel controllo del comportamento che decorrono in parallelo con quelli del controllo cognitivo [Cummings, 1993; Tatemichi et al.,
1995]. Il disturbo cognitivo varia con la localizzazione della lesione. Per esempio le lesioni dell’ippocampo sono principalmente caratterizzate da amnesia. Le lesioni talamiche (bilaterali o meno) sono
caratterizzate da un rallentamento dei processi mentali, apatia, deficit di attenzione, agnosia, aprassia e,
talvolta, afasia (cosiddetta talamica).
4.1 Quadro neuroradiologico
Questo si caratterizza fondamentalmente per il rilievo di una lesione cosiddetta strategica in una
delle sedi riportate in tabella 4. È importante sottolineare che alcuni pazienti con lesioni strategiche e
deterioramento cognitivo possono presentare altre lesioni vascolari associate o alterazioni di tipo atrofico indicative di coesistente patologia degenerativa. In un case-report recentemente pubblicato [Pantoni et al., 2001], due pazienti presentavano abulia persistente e deficit cognitivo conseguenti ad un infarto
lacunare situato al di sotto del ginocchio della capsula interna sinistra. Sebbene l’insorgenza del deterioramento cognitivo avesse una chiara relazione temporale con l’evento acuto, coesistevano una leucoencefalopatia estesa e piccoli infarti multipli sottocorticali in un caso e un singolo infarto corticale
nell’altro. È pertanto ipotizzabile che almeno in alcuni pazienti lesioni pre-esistenti concorrano con l’infarto strategico nel determinare il quadro clinico attraverso una riduzione della riserva cognitiva. La ulteriore lesione renderebbe manifesto il quadro clinico di demenza. L’ipotesi che lesioni strategiche possano
evidenziare un deterioramento minimale pre-esistente legato alla malattia di Alzheimer è in linea con
dati osservazionali recenti [Snowdon et al., 1997].
5.
Demenza multi-infartuale
Con il termine di demenza multi-infartuale si intende una forma di deterioramento cognitivo cau-
sato dalla presenza (e quindi verosimilmente dall’effetto additivo a carico delle funzioni cognitive) di
infarti cerebrali multipli [Hachinski et al., 1974]. Tale definizione comprende quindi sia le forme con
multipli infarti cortico-sottocorticali sia quelle con multipli infarti sottocorticali di tipo lacunare. Tuttavia questo ultimo tipo è adesso meglio compreso nel termine di DV sottocorticale (vedi sopra) che annovera fra i suoi due sottotipi principali i casi di DV multi-lacunare (il cui correlato quadro patologico e
radiologico è detto anche stato lacunare). Pertanto in questo paragrafo la trattazione si riferirà esclusivamente alle forme di demenza multi-infartuale caratterizzate dalla presenza di infarti cortico-sottorticali o territoriali multipli.
Il quadro clinico in questi casi si caratterizza per la presenza di una storia di TIA ed ictus generalmente ricorrenti. L’inizio del disturbo cognitivo è solitamente coincidente con uno di questi episodi e
quindi nella maggior parte di questi casi può essere usata la definizione di demenza post-ictus. Il quadro
137
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
cognitivo è variabile essendo ovviamente dipendente dalla localizzazione degli infarti. È inoltre caratterizzato dalla varia associazione con disturbi del linguaggio di tipo afasico, con altri deficit delle funzioni corticali strumentali quali disgrafia, discalculia e mancato riconoscimento destra-sinistra (sindrome
parietale destra), con disturbi del campo visivo e della percezione spaziale o corporea. Inoltre, sono spesso coesistenti deficit motori focali.
La patogenesi della demenza multi-infartuale dipende dalla causa degli infarti cerebrali. Si riconoscono quindi quadri multi-infartuali cerebrali in pazienti con cardiopatia emboligena (molto frequentemente la fibrillazione atriale), aterosclerosi dei vasi precerebrali ed intra-cranici. Il meccanismo
cardio-embolico sembra essere assai frequentemente coinvolto nei pazienti che vanno incontro a demenza dopo l’ictus [Inzitari et al., 1998] in quanto gli infarti tendono a localizzarsi in territori vascolari diversi e quindi a causare un danno di più funzioni corticali, requisito essenziale per una diagnosi di demenza
almeno secondo alcune classificazioni [American Psychiatric Association, 1994].
5.1 Quadro neuroradiologico (figure 5, 6, 7, 8 e 9)
La TC e la RM cerebrali mostrano infarti cortico-sottocorticali multipli ma il quadro è molto variabile in quanto variabile è la localizzazione delle lesioni infartuali. I criteri NINDS-AIREN sono gli unici
a fornire qualche indicazione su quali aree cerebrali debbano essere interessate per sostenere una diagnosi di DV [Román et al., 1993] (tabella 5).
Tabella 5 - Lesioni neuroradiologiche associate alla DV secondo i criteri NINDS-AIREN [Román et al., 1993]
I. Topografia
Lesioni radiologiche associate a demenza includono uno dei seguenti o una combinazione di essi:
1. Infarti territoriali nelle seguenti aree:
– Arteria cerebrale anteriore bilaterale
– Arteria cerebrale posteriore includente lesioni della zona talamica paramediana o il lobo temporale infero-mediale
– Aree di associazione: parieto-temporale, temporo-occipitale (incluso il giro angolare)
– Territori carotidei di confine: supero-frontale, parietale.
2. Malattia dei piccoli vasi
– Lacune dei gangli basali o della sostanza bianca frontale
– Lesioni estese periventricolari della sostanza bianca
– Lesioni talamiche bilaterali
II. Gravità
In aggiunta a quanto sopra, lesioni radiologiche di rilievo associate a demenza includono:
– Lesioni da malattia delle grosse arterie che colpiscono l’emisfero dominante
– Infarti da patologia delle grosse arterie bilaterali
– Leucoencefalopatia coinvolgente almeno un quarto della intera sostanza bianca.
Tuttavia va sottolineato che tali indicazioni non sono da considerarsi dei veri e propri criteri, per
cui recentemente sono stati sottoposte ad una revisione con proposte operative [van Strateen et al., 2003].
Inoltre esse non prendono in considerazione il problema delle lesioni ampie situate nell’emisfero sinistro che esitano in grave disturbo del linguaggio. Spesso, infatti, i pazienti con grave compromissione del
linguaggio vengono esclusi dalle valutazioni neuropsicologiche post-ictus proprio perché non testabili.
138
D E M E N Z E VA S C O L A R I : R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M O R F O L O G I C A
FIGURA 5
Paziente 1 - Esempio di demenza vascolare di tipo multi-infartuale. Il paziente presentava decadimento
cognitivo “a gradini” ed il quadro RM mostra la presenza di due lesioni infartuali pregresse.
Una lesione è in regione occipitale destra (territorio arteria cerebrale posteriore), l’altra è in sede frontale
anteriore sinistra nel territorio anteriore della arteria cerebrale media. Il paziente era affetto da fibrillazione
atriale cronica e non trattato con anticoagulanti. Da notare la buona visualizzazione delle lesioni
isointense nelle sequenze T1-pesate, mentre l’apprezzamento della lesione occipitale è più difficile nelle
sequenze FLAIR dove la lesione infartuale occipitale appare marcatamente iperintensa e si confonde con la
leucoencefalopatia concomitante.
Tale atteggiamento tuttavia non appare pienamente giustificato in quanto è plausibile che una discreta
percentuale di questi pazienti presenti un forma di DV secondo gli attuali criteri. In casi di DV multiinfartuale, lesioni sottocorticali quali infarti lacunari ed alterazioni della sostanza bianca possono anche
essere trovati in associazione agli infarti territoriali. La RM in questi casi può essere di aiuto in quanto in
grado di rilevare insieme alla presenza di lesioni infartuali di grosse dimensioni la coesistenza di lesioni
più piccole che potrebbero essere anche disconosciute dalla TC (figura 6).
139
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 6
Uomo di 74 anni con demenza vascolare multi-infartuale. La RM mostra una lesione ischemica temporale
nel territorio della diramazione anteriore dell’arteria cerebrale posteriore di destra ed una lesione limitata
più recente in sede frontale alta omolaterale. Il paziente era discretamente autonomo fino a questo ultimo
evento pur avendo una grave riduzione del visus e lievi disturbi della memoria spaziale da alcuni anni.
L’ultimo evento ischemico ha precipitato il quadro demenziale. Le sequenze FLAIR documentano la
pregressa lesione occipitale con segni di cavitazione al suo interno (ipointensità) e la gliosi perilesionale
(iperintensità). La lesione frontale recente appare iperintensa.
FIGURA 7
Uomo di 69 anni con decadimento cognitivo e disturbo del linguaggio
di tipo afasico insorto acutamente. La RM mostra una lesione di confine fra i territori
della arteria cerebrale media ed anteriore di sinistra. Nella seconda immagine si apprezza
anche la presenza di una lesione ischemica di confine profondo.
140
D E M E N Z E VA S C O L A R I : R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M O R F O L O G I C A
FIGURA 8
Donna di 79 anni con episodi ischemici cerebrali multipli e decadimento delle funzioni cognitive
“a gradini”. Il quadro RM evidenzia lesioni ischemiche bilaterali in territori di confine fra arteria cerebrale
posteriore e media. La paziente presentava stenosi bilaterale delle arterie carotidi ed aveva subito episodi
di bassa gittata cardiaca per bradicardia prima di essere sottoposta ad impianto di pace-maker.
6.
Demenza emorragica
Le emorragie cerebrali, singole o più facilmente multiple, possono causare un danno cerebrale este-
so o multifocale che esita in un quadro clinico di demenza. Tuttavia l’argomento della cosiddetta demenza emorragica fino adesso ha ricevuto poca attenzione forse a causa del fatto che questi pazienti hanno
un decorso clinico dominato dalla drammaticità dell’evento acuto e da esiti generalmente gravi che condizionano una storia naturale diversa da quella di altre forme di DV. In realtà molte delle considerazioni sulla clinica fatte per la DV multi-infartuale e per quella da singolo infarto strategico possono essere
traslate al campo della DV emorragica, in quanto le grandi emorragie si comportano dal punto di vista
del danno cognitivo come gli infarti territoriali e le piccole emorragie si possono comportare come le
lesioni ischemiche strategiche.
In caso di emorragie sottocorticali in sede ganglio-basale, i pazienti hanno solitamente una storia
di ipertensione. Questo non avviene però nel caso di emorragie cerebrali multiple in sedi atipiche (non sottocorticali o non cerebellari) specie nel caso della angiopatia amiloide. Sebbene i dati sulle forme di DV
emorragica siano scarsi, è ipotizzabile che siano proprio le forme legate ad angiopatia amiloide quelle
destinate a produrre demenza in questo ambito. Ciò potrebbe dipendere dalla alta possibilità di recidive
141
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 9
Paziente di 71 anni ricoverata per coma insorto acutamente evoluto poi nel corso di alcuni
giorni in uno stato confusionale acuto. Dopo aver eseguito vari accertamenti strumentali e di laboratorio,
le immagini RM documentavano la presenza di lesioni ischemiche bilaterali a livello talamico anteriore.
La paziente era affetta da fibrillazione atriale cronica ed aveva avuto verosimilmente un’occlusione,
su base cardio-embolica, della cima della arteria basilare con ricanalizzazione spontanea.
All’esame neuropsicologico presentava decadimento cognitivo grave (punteggio di 15/30
al Mini-Mental State Examination). Il caso illustra bene anche lo scarso potere risolutivo delle
sequenze FLAIR in sezioni trasversali rispetto a quelle T2 pesate in sezioni sagittali.
ed anche dalla coesistenza di lesioni degenerative o microvascolari ischemiche che possono concorrere al
deterioramento cognitivo. Fra queste si possono citare la presenza di microsanguinamenti e di alterazioni della sostanza bianca sottocorticale. Alterazioni a tipo leucoaraiosi sono state ripetutamente associate
al rischio di sanguinamento cerebrale [Inzitari et al., 1990, Inzitari, 2003]. I microsanguinamenti sono
lesioni silenti sul piano clinico che si evidenziano alla RM utilizzando le sequenze gradient-echo che sono
in grado di visualizzare i depositi di emosiderina contenuti nei macrofagi del parenchima in aree di pregresso sanguinamento. Essi appaiono come piccole lesioni scure (ipointense) localizzate prevalentemente in sede sottocorticale o cerebellare nei pazienti ipertesi con o senza una storia di emorragia cerebrale
maggiore (figura 10), ed in aree più superficiali nella angiopatia amiloide cerebrale. In tale ultimo rapporto potrebbero acquisire il valore di marker diagnostico. Al momento non sono ancora pubblicati dati
che dimostrino un ruolo dei micro-sanguinamenti in rapporto alle performance cognitive. La letteratura
142
D E M E N Z E VA S C O L A R I : R I S O N A N Z A M A G N E T I C A M O R F O L O G I C A
contiene invece più informazioni per ciò che concerne le alterazioni della sostanza bianca sottocorticale
collegate alla angiopatia amiloide sia nei casi sporadici [Gray et al., 1985] che in quelli su base ereditaria
[Bornebroek et al., 1996].
FIGURA 10
Sequenze RM gradient echo che mostrano la presenza di due microsanguinamenti profondi.
7.
Problemi specifici nel campo della neuroradiologia della demenza vascolare
Il neuroimaging, in particolare la RM, è di grande aiuto nella diagnostica della DV e dei suoi sot-
totipi. Tuttavia esistono una serie di aspetti critici che devono essere sempre considerati in questo ambito. Ne prenderemo in considerazione alcuni qui di seguito.
7.1 Coesistenza di reperti secondari a patologia neuro-degenerativa
Le alterazioni di natura vascolare si accompagnano spesso ad altre alterazioni, prime fra tutte quella di tipo atrofico-degenerativo. Il contributo di queste, nei casi con evidente patologia cerebrovascolare, non è stato del tutto chiarito. È tuttavia logico aspettarsi che anche nelle forme avanzate di DV si
possano incontrare quadri di atrofia corticale di grado variabile. Ciò può dipendere sia dalla età piuttosto avanzata in cui usualmente si presenta la DV, sia dal fatto che la malattia cerebrovascolare stessa può
anche causare perdita di neuroni per effetto diretto o mediato dalla gliosi reattiva o per fenomeni di
deafferentazione. Dall’altro canto una componente vascolare (disturbi di flusso, segni di coesistente danno ischemico all’imaging) viene spesso osservata nei casi di demenza degenerativa, specialmente nelle
età più avanzate. La localizzazione dell’atrofia al lobo temporale nella sua porzione mesiale, anziché la
143
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
presenza di una atrofia corticale diffusa, è ritenuto il reperto predittivo di una coesistente malattia di
Alzheimer [Erkinjuntti et al., 1993; Frisoni et al., 2003].
7.2 Alterazioni neuroradiologiche e criteri per la diagnosi di demenza vascolare
Il neuroimaging è ormai un mezzo irrinunciabile per la diagnosi differenziale fra i vari tipi di
demenza. Sia alla TC che alla RMN è assegnato il compito di evidenziare o escludere ematomi, idrocefalo, tumori o altre possibili cause di demenza secondaria. Più recentemente il neuroimaging ha assunto un ruolo importante nel determinare se una forma di deterioramento cognitivo dipenda da un
processo degenerativo o vascolare. Di fatto i criteri convenzionali per la diagnosi di demenza o di DV
(DSM-IV, ICD-10) non specificano le caratteristiche differenziali dei reperti dell’imaging. I criteri NINDSAIREN [Román et al., 1993] e i più recenti criteri per la DV sottocorticale [Erkinjuntti et al., 2000b]
sono più esaustivi. Nei primi, insieme ad una forma di DV “probabile” (caratterizzata dalla presenza di
una chiara relazione temporale fra un evento cerebrovascolare e l’insorgenza di demenza), si definisce
una forma “possibile” in cui tale relazione temporale può non essere presente. In tali casi l’evidenza di
malattia cerebrovascolare è supportata dall’esame neurologico dal neuroimaging. Nei criteri proposti da
Erkinjuntti et al. [2000b] l’analisi delle lesioni evidenziate dal neuroimaging riveste un ruolo centrale
per la diagnosi di DV sottocorticale. Secondo tali criteri (tabella 4) la presenza di lesioni vascolari alla
TC o RM è, insieme all’esame neurologico, un requisito essenziale per la definizione della presenza di
malattia cerebrovascolare [Erkinjuntti et al., 2000b]. Secondo tali criteri si distinguono due principali
forme di DV sottocorticale: la prima caratterizzata da alterazioni estese della sostanza bianca (per la cui
gradazione sono riportati criteri specifici) associate ad immagini consistenti con la presenza di infarti
lacunari nelle strutture grigie profonde; la seconda forma caratterizzata invece dalla presenza di almeno 5 lesioni lacunari nelle strutture grigie profonde e per alterazioni lievi-moderate della sostanza bianca sottocorticale.
7.3 Grading delle lesioni vascolari: scale visive e valutazioni volumetriche
Quanto riportato nei due precedenti paragrafi sottolinea il ruolo del neuroimaging nei più moderni approcci alla diagnosi di DV ma anche la necessità di metodiche condivise e validate per raggiungere tali obiettivi. Da tempo, una serie di scale visive sono state proposte per la valutazione di alcune
alterazioni radiologiche nel campo delle demenze. In questo senso le alterazioni che hanno avuto maggiore attenzione sono quelle della sostanza bianca e dell’atrofia corticale. Le scale visive hanno una serie
di vantaggi e di limiti che sono stati oggetto di dibattito nella letteratura sull’argomento. Un vantaggio
è sicuramente la loro praticità d’uso, per il fatto che possono essere utilizzate anche dal clinico e per i
ridotti tempi di applicazione [Pantoni et al., 2002]. Inoltre le scale visive permettono di utilizzare anche
i dati TC [Pantoni et al., 1999]. Fra gli svantaggi la riproducibilità non sempre ottimale e l’impossibilità
di quantificare esattamente il carico lesionale. Questi obiettivi sono indubbiamente raggiunti attraverso l’applicazione di tecniche di volumetria, che però sono costose anche perché richiedono l’uso di programmi computerizzati e tempi più lunghi [Fazekas et al., 2002]. Un articolo recente [Frisoni et al., 2003]
ha riportato la posizione di un gruppo di studio europeo circa l’uso della TC e della RM nel campo della diagnostica delle demenze arrivando a proporre diversi livelli di competenza a seconda che si utilizzino scale visive o valutazioni più sofisticate di tipo volumetrico.
144
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148
CAPITOLO 7
TECNICHE NON CONVENZIONALI
DI RISONANZA MAGNETICA
NELLA DEMENZA VASCOLARE
Francesco Federico*, Nicola De Stefano**
*
**
1.
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Bari
Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Comportamento, Università di Siena
I limiti della RM convenzionale nella diagnosi della demenza vascolare
Il processo diagnostico della demenza vascolare (DV) si sviluppa in due fasi: la individuazione del
danno cerebrale di origine vascolare e la determinazione del ruolo causa-effetto tra tale danno ed il declino cognitivo. La Risonanza Magnetica (RM) convenzionale gioca un ruolo cruciale nel processo diagnostico della DV in quanto permette la individuazione delle lesioni vascolari, ma non è sufficiente per
porre diagnosi di DV.
La tabella 1 mostra i limiti della RM che ne riducono il potere diagnostico. Oltre agli infarti focali
(territoriali, di confine o lacunari), sulla cui natura, usualmente, ci sono pochi problemi di diagnosi differenziale, reperti di comune riscontro nella DV sono alterazioni diffuse della sostanza bianca periventricolare e profonda, nonchè atrofia cortico-sottocorticale. L’interpretazione patogenetica in senso
vascolare delle alterazioni diffuse della sostanza bianca, la cosiddetta leucoaraiosi, è incerta, ed ancora più
difficile è individuare un ruolo vascolare nell’atrofia cerebrale, corticale e profonda. Questa limitazione
è in rapporto alla bassa specificità della RM convenzionale nell’ambito delle applicazioni clinico-diagnostiche in neurologia, che contrasta con l’elevata sensibilità della metodica. Anche i reperti francamente vascolari non hanno carattere di specificità, potendo essere riscontrati sia in assenza di demenza
sia in forme di demenza non vascolare. Per quanto concerne la leucoaraiosi (dal greco “rarefazione della sostanza bianca”), termine coniato da Hachinski per definire il quadro radiologico caratterizzato da diffuse alterazioni della sostanza bianca periventricolare e profonda, essa si associa alla demenza vascolare
sottocorticale, agli infarti lacunari, al CADASIL, ma anche alla demenza di Alzheimer (AD) ed è presente in variabile misura in soggetti anziani asintomatici.
Un secondo limite della RM convenzionale risiede nella incapacità di individuare una relazione causale tra lesioni vascolari e declino cognitivo. Sul piano patogenetico le lesioni vascolari, siano esse infarti focali oppure sofferenza ischemica diffusa della sostanza bianca, conducono al deterioramento cognitivo
con due meccanismi: uno qualitativo, ossia con il coinvolgimento di aree cerebrali strategiche, ed uno
quantitativo, ossia con l’accumulo progressivo di carico lesionale, cioè tessuto nervoso danneggiato. La
149
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
localizzazione strategica delle lesioni individuabili con la RM convenzionale, però, è solo un indice approssimativo. Inoltre i numerosi studi alla ricerca di soglie quantitative di carico lesionale al di là del quale
compaiono i deficit cognitivi non hanno fornito dei risultati utili per una applicazione clinica.
Tabella 1 - Limiti della rm convenzionale nella demenza vascolare
1. Incapacità di attribuire un chiaro significato vascolare alle lesioni
i. le alterazioni diffuse della sostanza bianca sono aspecifiche non essendo necessariamente di patogenesi vascolare
a. sono presenti nell’Alzheimer
b. sono presenti nei soggetti normali
c. possono essere leucoencefalopatia di altra causa (tossica, metabolica, ecc.)
d. non sempre sono associate a declino cognitivo
ii. l’atrofia cerebrale (corticale e sottocorticale, focale o generalizzata), più spesso di patogenesi degenerativa, può essere conseguenza anche di danno vascolare
2. incapacità di individuare la relazione causale lesioni-declino cognitivo
i. la localizzazione strategica delle lesioni è un indice approssimativo
ii. non è ben stabilita una soglia quantitativa di carico lesionale
iii. nei quadri di demenza mista il peso delle due componenti, vascolare e degenerativa, non è quantificabile
In aggiunta alla tecnica di RM convenzionale esistono oggi tutta una serie di tecniche di RM cosiddette “non convenzionali”. Queste sono metodiche relativamente recenti, non sempre utilizzate nella
comune pratica clinica e che si basano sull’uso di particolari sequenze che producono informazioni
aggiuntive sia sul piano strutturale che su quello funzionale (tabella 2). Nell’ambito della DV le metodiche non convenzionali di RM hanno fornito una migliore caratterizzazione ultrastrutturale sia delle
lesioni cerebrali (in particolar modo delle iperintensità della sostanza bianca), sia del tessuto cerebrale
apparentemente normale individuando un danno strutturale o funzionale che si estende ben oltre quello visibile con le tecniche di RM convenzionale.
2.
Le metodiche di RM non convenzionale nello studio della Demenza Vascolare
2.1 La RM in Diffusione
Con la RM in diffusione (RMD) è possibile ottenere delle immagini in cui il segnale è inversamente proporzionale alla libertà che le molecole d’acqua hanno di muoversi nei tessuti. La libera diffusione
nei tessuti biologici è limitata dalla presenza di barriere, costituite essenzialmente dalle membrane cellulari. Pertanto ogni processo patologico che determina distruzione di tessuto nervoso, aumenta la diffusività producendo una riduzione di segnale che corrisponde ad una ipointensità sulle immagini. Una
condizione opposta si verifica nella fase acuta delle lesioni ischemiche, quando l’edema citotossico sequestra acqua nel compartimento intracellulare, ancora ricco di membrane, con l’effetto di ridurre la diffusione e di produrre un aumento di segnale che corrisponde ad una iperintensità sulle immagini. Dopo
circa una settimana dall’episodio ischemico, il segnale vira verso la iperintensità, poiché l’evoluzione
della lesione conduce ad una rarefazione tissutale con distruzione di barriere.
150
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
Tabella 2
Tecnica
Parametri
Informazioni
RM spettroscopica
Spettri singoli
N-acetil-aspartato (NAA)
(imaging o single-voxel)
Spettri multipli
Densità neuronale e assonale
Mappe individuali di singoli metaboliti
Mioinositolo (mI)
Proliferazione gliale
Colina (Cho)
Catabolismo delle membrane
Creatina (Cr)
Stato energetico
Lattato (Lac)
Stato ossidativo
RM diffusionale
Diffusione isotropica
Edema citotossico
RM diffusionale con tensore
ADC (coefficiente apparente di diffusione)
(lesioni ischemiche recenti)
Indice di anisotropia frazionale
Distruzione tissutale
(a livello ultrastutturale)
RM con trasferimento
MTR (rapporto di trasferimento
di magnetizzazione
di magnetizzazione)
Densità di macromolecole
RM perfusionale
MTT
Identificazione di anomalie perfusive:
(tempo di transito medio)
– tessuto a rischio
CBF
– tessuto funzionalmente coinvolto
(flusso ematico cerebrale)
CBV
(volume ematico cerebrale)
La RM con tensore di diffusione permette l’acquisizione di ulteriori informazioni. La diffusione
nell’encefalo non è isotropa (ossia non è uguale in tutte le direzioni), a causa della presenza di barriere
direzionali, costituite prevalentemente dai tratti mielinizzati della sostanza bianca. Acquisendo immagini in direzioni diverse dello spazio e rielaborando i dati con la matrice del tensore, si raccolgono
informazioni relative alla direzionalità della diffusione. Accanto alla mappa di diffusività media è possibile ottenere la mappa di anisotropia frazionale, ove l’ipointensità corrisponde alla massima isotropia (ossia ad una diffusione ugualmente distribuita in tutte le direzioni, come nel liquor), mentre
l’iperintensità corrisponde alla massima anisotropia (ossia ad una diffusione orientata in un’unica
direzione, come nel corpo calloso). Esiste usualmente una correlazione negativa tra le misure quantitative della diffusività media e quelle dell’indice di anisotropia frazionale (figura 1) [Jones Stroke 1999 (1)].
Una recente evoluzione della RM con tensore di diffusione è la Trattografia (“fiber trackting”), che
per mezzo di appositi algoritmi converte l’informazione sulla direzionalità della diffusione in una
ricostruzione tridimensionale delle connessione di fibre attraverso i voxel (figura 2) [Moseley Brain
and Cognition 2002 (2)].
Nell’ambito della DV la RMD fornisce informazioni sia quando evidenzia una riduzione di diffusività, indicativa della comparsa di lesioni ischemiche in fase acuta, sia quando evidenzia un aumento di diffusività oppure una riduzione di anisotropia frazionale, indicative di rarefazione del tessuto
nervoso.
151
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 1
Controls
2.6
Leukoaraiosis Patients
Line of Regression
Trace/3 (x 10-3 mm2s-1)
Core of Carotid Infarcts
1.6
0.6
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
Fractional Anisotropy
Le misure quantitative della diffusività media correlano negativamente con quelle dell’indice di anisotropia
frazionale, poiché la presenza di barriere riduce la diffusività media della molecole di acqua e tende
ad orientare la diffusività verso la direzione dei fasci di fibre nervose. Tale correlazione è mantenuta in
condizioni patologiche, poiché una distruzione di barriere determina un aumento della diffusività media
ed una perdita dell’orientamento della diffusività. Sebbene posizionate sulla stessa retta di regressione,
le misure effettuate in aree di danno strutturale (cerchi pieni) sono però dislocate più a sinistra rispetto
alle aree cerebrali non danneggiate (cerchi vuoti). Le misurazione effettuate nel core di infarti ischemici,
però, si pongono al di fuori della retta di regressione, poiché l’evoluzione pseudocistica della lesione fa
assumere al tessuto caratteri di diffusività simil-liquorale.
From Jones DK, Lythgoe D, Horsfield MA, Simmons A, Williams SC, Markus HS.
Characterization of white matter damage in ischemic leukoaraiosis with diffusion tensor MRI. Stroke. 1999 Feb; 30 (2): 393-7.
FIGURA 2
A
B
Mappa dei vettori ottenibile con gli algoritmi di Trattografia (a sinistra), i quali convertono l’informazione
sulla direzionalità della diffusione in una ricostruzione tridimensionale delle connessione di fibre
attraverso i voxel. Mappa di anisotropia frazionale (al centro) sulla quale sono stati sovrimposti
i risultati della trattografia sullo splenio del corpo calloso (a destra).
From Moseley Brain and Cognition. 2002.
152
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
La individuazione delle nuove lesioni ischemiche nella DV
Ad oggi, la principale applicazione clinica della RMD è connessa alla capacità di rivelare precocemente le lesioni ischemiche. Spesso la storia clinica dei pazienti con DV non evidenzia la presenza di
ictus ricorrenti, mancando il cosiddetto decorso “a gradini”. Ciò puo essere dovuto sia dall’esistenza di
un lento e progressivo insulto microvascolare che dalla ricorrenza di lesioni ischemiche discrete clinicamente “silenti”.
La RMD rende possibile sia la differenziazione tra lesioni vecchie e nuove, sia la individuazione
degli “infarti silenti” recenti (figura 3) [Choi Neurology 2000 (3)]. Tale ruolo si esplicita in modo più
significativo all’interno delle estese zone di iperintensità della sostanza bianca (leucoaraiosi), ove l’individuazione di nuove di lesioni può essere più facilmente misconosciuta. Con questa tecnica è stata anche
dimostrata la comparsa di multipli infarti lacunari simultanei nella DV (figura 3-paziente A) [Choi Neurology 2000]. Così una applicazione clinica routinaria della RMD nella DV, magari con studi seriati,
potrebbe essere utile per dimostrare e descrivere la progressione della malattia di un determinato paziente a causa della ricorrenza di stroke.
FIGURA 3
A
B
L’insorgenza di una nuova lesione vascolare ischemica è spesso difficile da individuare in soggetti con
demenza vascolare. Nelle sequenze pesate in T2 (a sinistra) sono visibili diffuse aree di iperintensità della
sostanza bianca periventricolare e profonda di due soggetti (A e B): le immagini pesate in diffusione (a destra)
sono in grado di individuare, nell’ambito delle lesioni T2 della sostanza bianca, nuove lesioni vascolari.
Le informazioni aggiuntive fornite dalla DWI sono una conferma della natura vascolare ischemica
delle lesioni T2 e una dimostrazione di progressione di malattia. L’importanza della DWI è resa
più evidente dal fatto che frequentemente le nuove lesioni ischemiche sono clinicamente silenti.
Inoltre nel paziente A è stata dimostrata la comparsa di due infarti lacunari simultanei.
From Choi SH, Na DL, Chung CS, Lee KH, Na DG, Adair JC. Diffusion-weighted MRI in vascular dementia.
Neurology. 2000 Jan 11; 54 (1): 83-9.
La individuazione del danno ultrastrutturale nella leucoaraiosi ischemica
L’aumento della diffusività, come detto, fornisce un altro genere di informazione, riguardante l’entità della distruzione di tessuto nervoso ad un livello ultrastrutturale diffuso non evidenziabile con le
metodiche di RM convenzionale. Tramite mappe di diffusività e di anisotropia frazionale è possibile ese-
153
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
guire misure quantitative nell’ambito di regioni di interesse che possono essere posizionate in regioni
iperintense o nella sostanza bianca apparentemente normale (figura 4) [O’Sullivan Leukoaraiosis Neurology 2001 (4)].
FIGURA 4
Sulle mappe di diffusività e su quelle di anisotropia frazionale è possibile eseguire delle misure quantitative
nell’ambito di regioni di interesse. È possibile eseguire l’analisi sulle regioni iperintense in T2,
sulla sostanza bianca apparentemente normale, oppure su ampie regioni dell’encefalo
(p.e. su tutta la sostanza bianca o su tutto il tessuto cerebrale apparentemente normale).
From O’Sullivan M, Morris RG, Huckstep B, Jones DK, Williams SC, Markus HS. Diffusion tensor MRI correlates with executive
dysfunction in patients with ischaemic leukoaraiosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2004 Mar; 75 (3): 441-7.
Le alterazioni iperintense della sostanza bianca di verosimile natura vascolare presentano un
aumento della diffusività media e ridotti valori di anisotropia frazionale, alterazioni indicative di una
significativa distruzione strutturale dei fasci di fibre della sostanza bianca. [Jones Stroke 1999] Nelle lesioni leucoaraiotiche viene mantenuta la correlazione negativa tra misure quantitative della diffusività
media e dell’indice di anisotropia frazionale presente nella sostanza bianca normale (figura 1). Nel core
degli infarti ischemici, però, i valori di diffusività media sono molto più elevati, perché l’evoluzione
pseudocistica della lesione fa assumere al tessuto caratteri di diffusività simil-liquorali. Tale caratteristica permette di differenziare le lesioni leucoaraiotiche dagli esiti di infarti lacunari [Jones Stroke 1999],
[Helenius Stroke 2002 (5)]. Esiste inoltre una correlazione tra severità della leucoaraiosi, valutata sia con
scale visive che con scale volumetriche, e valore di diffusività media che risulta proporzionalmente
aumentata [Helenius Stroke 2002].
Sul piano istopatologico le lesioni leucoaraiotiche corrispondono ad un danno di differente severità [Awad Stroke 1986 (6)] che solo in parte è caratterizzabile con la RM convenzionale [Fazekas 1993 (7)].
Uno studio di RMD eseguito postmortem su due encefali fissati in formalina ha mostrato una correlazione negativa tra valori di anisotropia frazionale e gradazione del danno istopatologico a livello delle lesioni leucoaraiotiche (figura 5) [Englund J Neurol 2004 (8)].
154
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
FIGURA 5
FA
0.8
0.7
Histopathology
0.6
MRI
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
Normal
Mild
Moderate
Severe
White matter pathology
A
B
A. Diagramma dei valori medi di anisotropia frazionale
per differenti gradi istopatologici di leucoaraiosi.
B. Mappa di anisotropia frazionale in sezione coronale.
C. Sezione patologica dell’encefalo corrispondente alla
mappa di anisotropia frazionale.
From Englund E, Sjobeck M, Brockstedt S, Latt J, Larsson EM.
Diffusion tensor MRI post mortem demonstrated cerebral white
matter pathology. J Neurol. 2004 Mar; 251 (3): 350-2.
La individuazione del danno ultrastrutturale della sostanza bianca apparentemente normale
Oltre che sulle lesioni leucoaraiotiche, dati quantitativi sono stati ottenuti anche sulla sostanza
bianca apparentemente normale,dimostrando un aumento di diffusività ed una riduzione di anisotropia
frazionale soprattutto nei centri semiovali e nella sostanza bianca periventricolare anteriore (figura 6)
[O’Sullivan Leukoaraiosis Neurology 2001]. La presenza di un danno non visibile con la RM convenzionale può voler significare che vi sono regioni di sostanza bianca apparentemente normale che subiscono delle alterazioni pre-leucoaraiotiche. Il maggior coinvolgimento delle regioni anteriori di sostanza
bianca fornisce una base strutturale plausibile per giustificare il coinvolgimento selettivo delle funzioni
esecutive. Inoltre anche a livello della sostanza bianca apparentemente normale i valori di diffusività
media correlano con la severità [Helenius Stroke 2002] o con il volume della leucoaraiosi [Firbank Neurology 2003 (9)].
La correlazione tra indici RMD e deficit cognitivi
Il carico lesionale delle lesioni leucoaraiotiche ha una correlazione molto debole con le funzioni
cognitive [Sabri Stroke 1999 (10); Mungas Neurology 2001 (11)]. Sebbene ciò sia stato attribuito alla differente severità del danno istopatologico, le misure di diffusione a livello lesionale, che pur correlano con
tale danno [Englund J Neurol 2004], non correlano con il deficit cognitivo. È possibile che negli stati più
155
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 6
Immagini pesate in T2 (sinistra), mappe di diffusività (centro) e mappe di anisotropia frazionale (destra),
di un soggetto normale (in alto) e di un soggetto affetto da VaD con leucoariosi (in basso). La risonanza
magnetica con tensore di diffusione permette di ottenere le mappe di anisotropia frazionale, ove
l’iperintensità corrisponde ad una diffusività prevalentemente orientata verso una direzione e l’ipointensità
ad una diffusività ugualmente possibile in tutte le direzioni dello spazio. Si ottiene così una dettagliata
anatomia dei fasci di fibre della sostanza bianca. Nelle aree affette da leucoaraiosi accanto all’aumento della
diffusività media è visibile una riduzione della anisotropia, che indica una disgregazione dei fasci di sostanza
bianca. Questo pattern di alterazioni si ritrova anche nella sostanza bianca apparentemente normale.
From O’Sullivan M, Morris RG, Huckstep B, Jones DK, Williams SC, Markus HS. Diffusion tensor MRI correlates with executive
dysfunction in patients with ischaemic leukoaraiosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry. 2004 Mar; 75 (3): 441-7.
avanzati, la gliosi che si manifesta a livello lesionale, fornendo nuove barriere biologiche, può interferire con l’aumento di diffusione e possa addirittura ridurre la diffusività media contribuendo alla mancanza di tale correlatione.
Al contrario, quando effettuate sulla sostanza bianca apparentemente normale, le misure di diffusione correlano molto meglio con la sindrome disesecutiva nei soggetti con leucoaraiosi ischemica
[O’Sullivan J Neurol Neurosurg Psychiatry 2004 (12)]. Tale correlazione si riscontra anche nella sostanza bianca di soggetti anziani normali, privi di leucoaraiosi, e che mostrano un declino cognitivo età-correlato. La capacità della RM diffusionale di evidenziare la distruzione dei tratti di sostanza bianca,
comprendendo sia le connessioni cortico-corticali sia quelle cortico-sottocorticali, è compatibile con la
cosiddetta sindrome da “disconnessione corticale” [O’Sullivan Disconnection Neurology 2001].
156
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
2.2 La RM con trasferimento di magnetizzazione (MT)
La tecnica MT permette di ottenere una misura indiretta del segnale proveniente dalle strutture
macromolecolari, misurando un particolare effetto determinato dalle macromolecole sul segnale dell’acqua. La tecnica consiste nel somministrare ad una sequenza convenzionale un impulso RF aggiuntivo al di fuori della frequenza di risonanza, il quale determina una saturazione dei protoni delle
macromolecole. In queste condizioni, essendo i protoni delle macromolecole saturi (cioè completamente
rilassati) una parte della magnetizzazione dei protoni dell’acqua passa ai protoni delle macromolecole
(trasferimento di magnetizzazione), con il risultato di una riduzione della magnetizzazione dei protoni
dell’acqua. Ciò si traduce in una caduta del segnale che viene acquisito, che è in qualche modo proporzionale alla concentrazione delle macromolecole presenti nel tessuto in esame. Le immagini sono ipointense a livello del liquor (dove non ci sono macromolecole) e iperintense a livello del tessuto cerebrale
(con valori leggermente più alti nella sostanza bianca, dove ci sono più membrane). È possibile ottenere delle misure quantitative del trasferimento di magnetizzazione, espresso dal parametro MT ratio
(MTR), avendo così una stima della integrità di strutture macromolecolari delle membrane cellulari all’interno di regioni di interesse (ROI).
Il principale ambito di applicazione della RM con MT consiste nella ricerca di una caratterizzazione delle lesioni diffuse della sostanza bianca in soggetti anziani con e senza sintomi di decadimento
cognitivo (figura 7).
FIGURA 7
Le immagini pesate in T2 (a sinistra) mostrano le iperintensità diffuse della sostanza bianca in due soggetti
anziani. Sebbene il quadro neuroradiologico è sovrapponibile, il primo paziente (in alto) non presentava
declino cognitivo, mentre il secondo (in basso) era affetto da demenza vascolare. Le corrispondenti mappe di
MTR (a destra) mostrano una maggiore perdita di segnale a livello periventricolare nel paziente con DV.
Effettuando delle misure quantitative del valore di MTR medio, si apprezza ancor meglio questa differenza.
From Hanyu H, Asano T, Sakurai H, Iwamoto T, Takasaki M, Shindo H, Abe K. Magnetization transfer ratio
in cerebral white matter lesions of Binswanger's disease. J Neurol Sci. 1999 Jul 1; 166 (2): 85-90.
157
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Sul piano patologico tali lesioni mostrano un’ampia varietà di reperti: gliosi, vacuolizzazione, pallore della mielina e demielinizzazione, perdita assonale, infarti lacunari, arteriolosclerosi, dilatazione
degli spazi perivascolari, discontinuità ependimale. L’assunto su cui si basano gli studi di RM con MT è
che un più basso valore di MTR rispecchia un danno patologico più grave.
Diversi studi sono stati condotti in soggetti anziani senza declino cognitivo, evidenziando una riduzione dei valori medi di MTR sulle lesioni periventricolari rispetto alla sostanza bianca apparentemente
normale [Wong AJNR 1995 (13); Tanabe AJNR 1999 (14); Hanyu J Neurol Sciences 1999 (15)]. Nelle lesioni periventricolari dei soggetti con DV i valori medi di MTR sono ancora più bassi, con una differenza
statisticamente significativa rispetto ai soggetti anziani senza demenza [Tanabe AJNR 1999; Hanyu J Neurol Sciences 1999]. Questo dato concorda con i reperti neuropatologici che attribuiscono alla sostanza
bianca periventricolare una più severa espressione delle lesioni rispetto alla sostanza bianca profonda
dei centri semiovali e suggerisce l’uso delle sequenze di MT per differenziare le lesioni della sostanza
bianca associate a DV da quelle presenti nei soggetti anziani asintomatici.
A livello della sostanza grigia corticale, sebbene i valori di MTR non sembrano differire tra DV e
controlli in un recente studio (figura 8) [Tanabe AJNR 1999], un sottile danno diffuso a livello della
sostanza grigia è stato individuato in un gruppo di anziani asintomatici con alterazioni aspecifiche della sostanza bianca [Mezzapesa et al. Arch Neurol 2003 (16)]. Le misurazioni di MTR a livello della sostanza grigia ippocampale forniscono nei pazienti con AD dei valori più bassi rispetto alle DV [Hanyu H et
al. AJNR 2000 (17)].
2.3 La RM con Perfusione
La RM con perfusione (RMF) si basa sull’osservazione del transito attraverso l’encefalo di un mezzo di contrasto (mdc) esogeno. Il primo passaggio del mdc determina una caduta di segnale in sequenze pesate in T2 e la variazione di segnale è proporzionale alla concentrazione del mdc. La presenza della
barriera emoatoencefalica determina la compartimentalizzazione del mdc nei vasi, per cui le modificazione di segnale riecheggiano lo stato perfusivo a livello del microcircolo cerebrale. Utilizzando sequenze molto rapide si ottiene un profilo temporale del primo passaggio di mdc nell’encefalo e da ciò è
possibile ricavare alcuni parametri di misurazione dell’emodinamica cerebrale. I principali parametri
sono il tempo di transito medio, il volume ematico cerebrale ed il flusso ematico cerebrale (CBF).
Un obbiettivo della RMF consiste nell’individuare il ruolo patogenetico dell’ipoperfusione nella
formazione delle lesioni iperintense della sostanza bianca negli anziani di origine vascolare (figura 9)
[O’Sullivan Neurology 2002 (18)]. Nei quadri di leucoaraiosi ischemica il CBF appare significativamente ridotto nelle aree patologiche rispetto alla sostanza bianca apparentemente normale, mentre in quest’ultima è stata evidenziata una riduzione di CBF rispetto alla sostanza bianca dei controlli normali di
pari età, solo a livello periventricolare e non a livello dei centri semiovali. Essendo dati provenienti da
un singolo studio è arduo parlare di valore predittivo della ipoperfusione in RM come indice di progressione delle lesioni e, ancor di più, di parametro di confronto per trial clinici. Infatti è possibile che
l’ipoperfusione sia un evento secondario, correlato alla ridotta domanda metabolica da ridotta attività
neuronale remota.
Un altro ambito di applicazione della RM perfusionale potrebbe essere quello di indagare lo stato
perfusionale della corteccia cerebrale in soggetti anziani con leucoaraiosi (figura 10) [Wen Neuroimage
158
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
FIGURA 8
A
.20
C
B
.45
D
A. Immagine pesata on densità protonica di un soggetto con estese WMH.
B. In questo studio è stato utilizzato un metodo semi-automatico di segmentazione
in quattro classi (WMH in nero, sostanza bianca apparentemente normale in bianco,
sostanza grigia in grigio scuro e liquor in grigio chiaro). Le aree segmentate sono state poi sovrapposte
sulle mappe di MTR per calcolare il valore medio di MTR.
C. Mappa colorimetrica dei valori di MTR a livello delle WMH periventricolari
(il verde corrisponde ai valori più bassi, il giallo ai valori più alti).
D. I voxel di dubbia attribuzione (p.e. quelli immediatamente adiacenti al ventricolo)
sono stati eliminati dall’analisi per minimizzare l’effetto di volume parziale.
From Tanabe JL, Ezekiel F, Jagust WJ, Reed BR, Norman D, Schuff N, Weiner MW, Chui H, Fein G. Magnetization transfer ratio
of white matter hyperintensities in subcortical ischemic vascular dementia. AJNR Am J Neuroradiol. 1999 May; 20 (5): 839-44.
2004 (19)]. In un gruppo eterogeneo di soggetti con leucoaraiosi (sia affetti da DV, sia con pregresso
ictus, sia asintomatici) è stata dimostrata una correlazione tra la estensione della leucoaraiosi e la riduzione del CBV nelle regioni di corteccia cerebrale corrispondenti. Tale correlazione era più forte nei soggetti con maggior carico di leucoaraiosi, nonchè a livello delle regioni frontali (volume delle leucoaraiosi
159
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 9
Immagine pesata in T2 (sinistra) e mappa di flusso ematico cerebrale (CBF) (centro) in un soggetto
affetti da leucoaraiosi ischemica; mappa di CBF (destra) di un soggetto normale.
La RM perfusionale mostra una riduzione di CBF nelle aree di leucoaraiosi rispetto alla sostanza bianca
apparentemente normale. Ma anche la sostanza bianca apparentemente normale dei soggetti con
leucoaraiosi ischemica presenta una riduzione di CBF rispetto alla sostanza bianca dei controlli normali
di pari età, sebbene solo a livello periventricolare e non a livello dei centri semiovali.
From O’Sullivan M, Neurology. 2002.
FIGURA 10
A
B
A. Immagini pesate in T2 (alto) e corrispondenti mappe di volume ematico cerebrale (CBV) (basso)
in un soggetto affetti da leucoaraiosi ischemica, con estese e confluenti iperintensità.
B. È possibile calcolare il CBV regionale applicando delle maschere che delineano delle specifiche regioni
di interesse. Esiste una correlazione tra la estensione delle iperintensità in T2 della sostanza bianca e la
riduzione del CBV a livello delle regioni corrispondenti di corteccia cerebrale.
From Wen, Neuroimage. 2004
frontali e CBV corticale frontale). Non è possibile stabilire se la leucoaraiosi sia la causa della riduzione
di CBV nella corteccia cerebrale corrispondente oppure se i reperti siano entrambi il risultato di una condizione di ischemia cerebrale cronica. In ogni caso questi studi suggeriscono un ruolo per la RM perfusionale nel definire l’impatto funzionale effettivo della leucoaraiosi.
160
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
2.4 La RM spettroscopica in vivo
La RM spettroscopica è una tecnica che può fornire informazioni biochimiche del tessuto cerebrale in vivo. Con l’uso di particolari sequenze è possibile ottenere un segnale, con precise coordinate spaziali, proveniente da diversi metaboliti sensibili ad alcuni aspetti dei processi patologici a livello
molecolare o cellulare. I metaboliti che possono essere misurati con la MR spettroscopica in vivo del protone sono: i) l’N-acetilaspartato (NAA), presente quasi esclusivamente nei neuroni nel cervello maturo
e perciò considerato un buon marker dell’integrità strutturale e funzionale delle cellule neuronali; ii) il
mio-inositolo (mI), isolato principalmente nelle cellule gliali, ha livelli correlati con la proliferazione
gliale ed è considerato un marker di attività delle cellule gliali; iii) i composti contenenti colina (Cho),
principalmente glicerofosfocolina e fosfocolina del citosol; questi sono prodotti dal turnover o dal catabolismo delle membrane cellulari e sono indice di danno o di rimaneggiamento strutturale delle membrane; iv) la creatina e la fosfocreatina (Cr), forniscono un segnale poco influenzato dai processi
patologici e sono indice stato dei meccanismi energetici cellulari; v) il lattato (Lac), non rilevabile in
condizioni di un normale stato ossidativo delle cellule, fornisce un segnale apprezzabile in quelle condizioni patologiche che comportanno un viraggio verso la glicolisi anaerobia e ne determinano un accumulo intracellulare.
Le metodiche di spettroscopia in vivo più utilizzate nella pratica clinica sono la single-voxel, che permette l’acquisizione di un singolo spettro da un volume di interesse, e la multivoxel, che permette l’acquisizione di una mappa degli spettri che può essere convertita in scala colorimetrica fornendo una
immagine metabolica (spectroscopic imaging). I risultati possono essere espressi in termini di concentrazione assoluta dei metaboliti od in termini di rapporti tra i metaboliti.
Gli studi eseguiti con la RM spettroscopica nell’ambito della DV hanno avuto sostanzialmente due
obbiettivi: a) la ricerca di pattern metabolici all’interno delle alterazioni della sostanza bianca (iperintensità in T2) allo scopo di ottenere una caratterizzazione delle lesioni associate a DV rispetto a quelle presenti
nei soggetti anziani senza decadimento cognitivo; b) dimostrazione di un danno corticale nei soggetti
con DV. c) la ricerca di pattern metabolici, globali o regionali, in grado di differenziare la DV dalla AD.
Caratterizzazione metabolica della sostanza bianca e grigia
Alcuni studi hanno ricercato una caratterizzazione metabolica differente tra lesioni asintomatiche e
lesioni in pazienti con DV. I dati non sono sempre concordi e gli studi non sono paragonabili per tecnica utilizzata o per campione esaminato. Tuttavia, un dato certo sembra essere una significativa riduzione
di NAA a livello delle alterazioni leucoaraiotiche nei soggetti con demenza vascolare rispetto ai controlli
e rispetto alla sostanza bianca apparentemente normale [Capizzano AJNR 2000 (20); Brooks Stroke 1997
(21); Schuff Neurology 2003 (22)]. In un lavoro, poi, è stato possibile differenziare sul piano metabolico
le lesioni leucoaraiotiche associate a demenza vascolare da quelle asintomatiche [Brooks Stroke 1997].
Altri studi hanno evidenziato una riduzione di NAA a livello della corteccia cerebrale in soggetti con
DV [Capizzano AJNR 2000]. Il coinvolgimento corticale è evidente con le metodiche di RM convenzionale come atrofia. La RM spettroscopica fornisce una informazione aggiuntiva, quella della densità neurale. Tale informazione è più sensibile, evidenziando un danno della sostanza grigia ancor prima della
riduzione del volume. Il danno corticale può essere dovuto a varie cause: piccoli infarti corticali, degenerazione assonale retrograda, concomitanza di patologia degenerativa. La presenza di un danno corti-
161
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
cale potrebbe essere la causa primaria dello sviluppo di deterioramento cognitivo. Inoltre la prevalente
riduzione di NAA a livello della corteccia frontale, è in accordo con il profilo neuropsicologico del decadimento cognitivo vascolare ove i deficit delle funzioni esecutive risultano predominanti.
Pattern metabolici in grado di differenziare la DV dalla AD
Alcuni studi hanno preso in considerazione anche pazienti affetti da AD e DV trovando delle differenze di pattern metabolico che, nell’opinione degli autori, potrebbero giustificare un uso della spettroscopia nel processo diagnostico delle demenze.
Posizionando il volume di interesse sulla sostanza grigia, parieto-occipitale o temporale-mesiale, dei
pazienti con AD, è concorde il riscontro di una riduzione di NAA ed di un aumento di MI [Weiss 2003 (23);
RS Jones 2004 (24); Herminghaus 2003 (25); Martinez-Bisbal (26); Kantarci Neurology 2004 (27)].
L’aumento di mI (sia in termini assoluti che in termini di rapporto mI/Cr) nella AD sembra essere
il più importante elemento differenziale tra AD e DV ove tale aumento non sembra verificarsi. Così alcuni autori propongono il mI come marker surrogato di AD [Ross Biophysical Chemistry 1997 (28); Waldman
Arch Gerontol Geriatr 2002 (29)], mentre l’aumento del rapporto mI/Cr in pazienti con DV sottocorticale
potrebbe indicare la presenza di una componente degenerativa che suggerirebbe una diagnosi di demenza mista [Waldman Arch Gerontol Geriatr 2002].
Il mI è probabilmente un indice di proliferazione gliale (gliosi astrocitica) o, più difficilemente, di
un disturbo specifico del metabolismo dell’inositolo cerebrale. In ogni caso, il significato dell’aumento
nel contesto dell’ AD è tuttora incerto e può essere duvuto ad un suo coinvolgimento nella cascata trasduzionale del segnale, in particolare a livello dei recettori colinergici.
La riduzione di NAA o del rapporto NAA/Cr è indice di perdita neuronale o di atrofia; nel caso della
DV ciò può essere attribuito a degenerazione walleriana o a disfunzione neuronale. Alcuni studi hanno trovato anche una differenza tra AD e DV in termini di rapporto NAA/Cr, essendo questo maggiormente
ridotto nella AD [Weiss 2003], particolarmente nella sostanza grigia del lobo frontale [Herminghaus
2003],ma con elevato grado di sovrapposizione trai due gruppi. Tuttavia, mentre in AD vi è una correlazione positiva significativa tra MMSE e i rapporti NAA/Cr e NAA/mI, nessun metabolita presenta correlazioni con il MMSE in DV [Waldman AD Neuroradiology 2003 (30)].
162
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
FIGURA 11
A
B
C
D
Le prime due immagini (A e B) mostrano i contorni dei volume di interesse di una sessione
multivoxel (rettangoli in bianco) e di un’acquisizione single-voxel (rettangoli in nero);
i cerchi indicano i voxel, situati sulla sostanza bianca e sulla sostanza grigia estratti per l’analisi.
From Capizzano AA, Schuff N, Amend DL, Tanabe JL, Norman D, Maudsley AA, Jagust W, Chui HC, Fein G, Segal MR,
Weiner MW. Subcortical ischemic vascular dementia: assessment with quantitative MR imaging and 1H MR spectroscopy.
AJNR Am J Neuroradiol. 2000 Apr; 21 (4): 621-30.
163
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 12
Intensity
*10-2 arbitrary unit
NAA
2.6
2.4
2.2
2.0
ml
Cr
1.8
C
1.6
A
1.4
Cho
1.2
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
D
0.0
4.0
3.5
3.0
2.5
2.0
Chemical shift
1.5
0.5
ppm
Intensity
*10-2 arbitrary unit
1.2
NAA
ml
1.0
Cr
1.1
Cho
1.0
E
0.9
0.8
0.7
B
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
F
0.1
0.0
4.0
3.5
3.0
2.5
2.0
Chemical shift
1.5
1.0
0.5
ppm
Gli spettri A e B sono ottenuti da regioni di interesse poste in sede corticale, rispettivamente
sul giro cingolato superiore (C, D) e sul lobo temporale di destra (E, F).
La riduzione del picco di NAA è più evidente, in questo paziente, sul lobo temporale.
From Martinez-Bisbal MC, Arana E, Marti-Bonmati L, Molla E, Celda B.
Cognitive impairment: classification by 1H magnetic resonance spectroscopy. Eur J Neurol. 2004 Mar; 11 (3): 187-93.
3.
Altre Demenze Vascolari: CADASIL
In tempi relativemente recenti è stata descritta una nuova forma neurologica a patogenesi vascolare
caratterizzata da una leucoecefalopatia autosomica dominante con arteriopatia ed infarti subcorticali
(31). Tale affezione, nota con l’acronimo di CADASIL (“Cerebral Autosomal Dominant Arteriopathy with
Subcortical Infarts and Leukoencephalopathy”), esordisce in genere in età adulta con mutamenti del carattere, emicrania ed infarti cerebrali ricorrenti per poi evolvere, con un decorso mediamente lento, in un
quadro demenziale grave. Il difetto genetico è stato individuato in mutazioni del gene Notch3 (32), per
cui un’alterata produzione di una proteina della “Notch gene family” è alla base della patogenesi di tale
164
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
FIGURA 13
NAA
Cho
Cr
4.0 3.8 3.6 3.4 3.2 3.0 2.8 2.6 2.4 2.2 2.0 1.8 1.6 1.4 1.2 1.0 0.0
Chemical shift
ppm
Spettro ottenuto posizionando il VOI sulla leucoaraiosi asintomatica
di un paziente con demenza vascolare. La visibile riduzione di NAA indica
la presenza di un danno assonale.
grave patologia neurologica. Studi neuropatologici su pazienti CADASIL hanno dimostrato il coinvolgimento della media delle arterie cerebrali leptomeningee (33).
Le alterazioni cerebrali sono di solito ben evidenti alla RM convenzionale (figura 15). Queste si presentano spesso molto prima dell’esordio clinico della malattia ed avrebbero una sensibilità quasi pari
al 100%, specie se sono soddisfatti i criteri clinico-diagnostici, con una penetranza pressocché completa dall’età di 35 anni (34). In effetti la RM dell’encefalo di pazienti CADASIL rivela un quadro complesso con anomalie di segnale della sostanza bianca ed un quadro microangiopatico suggestivo di
infarti ischemici, lacune e leucoencefalopatia diffusa localizzati nella sostanza bianca periventricolare,
nei gangli della base, nel talamo, nella capsula interna e nel ponte. In termini di pattern specifici della malattia, le anomalie nel polo temporale sembrano essere le più caratteristiche nelle fasi iniziali della malattia (35) (figura 15). Altro reperto caratterisctico sembrano essere i ‘microsanguinamenti’ visibili
in sequenze gradient-echo come delle focali ipointensità dovuti ad accumuli locali di emosiderina (36)
(figura 16).
165
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 14
NAA
Cho
Cre
A
B
C
3.0
2.0
(ppm)
Gli spettri sono stati ottenuti sulla sostanza bianca di un soggetto anziano normale (A),
di soggetto con leucoaraiosi asintomatica (B) e di un paziente con demenza vascolare. In questo studio
il rapporto NAA/Cho è ridotto solo quando la leucoaraiosi è associata a decadimento cognitivo.
La diversa caratterizzazione metabolica delle lesioni della sostanza bianca è indicativa di un danno strutturale
di diversa entità, sebbene con la RM convenzionale i quadri di imaging sono sovrapponibili.
From Brooks WM, Wesley MH, Kodituwakku PW, Garry PJ, Rosenberg GA. 1H-MRS differentiates white matter hyperintensities
in subcortical arteriosclerotic encephalopathy from those in normal elderly. Stroke. 1997 Oct; 28 (10): 1940-3.
166
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
FIGURA 15
A
B
C
Immagini di RM in sequenza FLAIR di un paziente con CADASIL. Si possono notare le alterazioni bilaterali
dei lobi temporali (A), delle caspule esterne (B) e delle aree di sostanza bianca periventricolari (C).
From: Markus HS, Martin RJ, Simpson MA, et al. Diagnostic strategies in CADASIL. Neurology 2002; 59: 1134-1138.
FIGURA 16
Immagini di RM di un paziente affetto da CADASIL. L’immagine FLAIR (sinistra)
mostra iperintensità periventricolari e della sostanza bianca profonda, e lacune a livello del talamo
e dei gangli della base (vedi frecce). L’immagine gradient echo T2*-pesata (destra) mostra numerose
lesioni focali iperintense causate da microsanguinamenti, localizzate nel talamo (frecce piene)
e nella sostanza bianca profonda e sottocorticale (frecce vuote).
From: Lesnik Oberstein SA, van den BR, van Buchem MA, et al. Cerebral microbleeds in CADASIL.
Neurology 2001; 57: 1066-1070.
167
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
È quindi ormai largamente accettato che la RM sia lo strumento più importante per monitorare la
patologia cerebrale nel CADASIL. Per esempio, studi di RM quantitativa (37) hanno mostrato una correlazione tra il volume delle lesioni alla RM e la disabilità dei pazienti con CADASIL. Inoltre, sembra che
l’età dei pazienti affetti da CADASIL, più che il loro sesso, sia in qualche modo correlata alla iperintensità di segnale alla RM. Tuttavia, studi di RM non convenzionale sembrano aggiungere una volta ancora qualcosa in più in termini di interpretazione patogenetica della malattia.
Tra le tecniche RM non convenzionali, la RMS (38) ha mostrato la presenza di ridotti livelli di NAA,
Cho e Cr nei pazienti con CADASIL rispetto ai controlli. Tali alterazioni metaboliche erano diffuse nel
cervello dei pazienti e localizzate non solo nella sostanza bianca ma anche nella sostanza grigia. Inoltre,
i valori di lattato sembrano essere aumentati nelle aree iperintense, suggerendo la presenza di un’alterazione del metabolismo ossidativo, almeno in certe condizioni (39) (figura 17).
FIGURA 17
T2
Tr(D)
1 - VR
4.10-3mm2/s
0.65
2.10-3mm2/s
0
Immagine T2-pesata con mappa di diffusione (Tr(D)) e di anisotropia (1-VR, presentata per fornire
un aspetto bianco su nero) in un paziente affetto da CADASIL con un infarto lacunare nel braccio
anteriore della capsula interna (frecce, prima riga). Tra l’infarto ed il talamo, si osserva un aumento
della diffusione di forma lineare ed una perdita della anisotropia (frecce, seconda riga).
Nel talamo, che era apparentemente normale nelle immagini T2-pesate, l’aumento della diffusione
è più marcato ipsilateralmente all’infarto capsulare (freccia orizzontale).
Form: Molko N, Pappata S, Mangin JF, et al. Diffusion tensor imaging study of subcortical gray matter in cadasil.
Stroke 2001; 32: 2049-2054.
168
TECNICHE NON CONVENZIONALI DI RISONANZA MAGNETICA NELLA DEMENZA VASCOLARE
In accordo con gli sudi di RMS, studi di MT (40) e RM in diffusione (41) hanno mostrato che non
solo le lesioni della sostanza bianca presentano un grado variabile di danno, ma anche il tessuto apparentemente normale della sostanza grigia e bianca è danneggiato (figura 18). In particolare poi, studi in
diffusione hanno mostrato che la diffusività esistente in alcune speficihe regioni della sostanza grigia e
bianca possa essere ben correlata con le valutazioni neuropsicologiche (42). Ciò fa sì che il CADASIL
possa essere considerato un modello relativamente puro per studiare i meccanismi che portano alle alterazioni del processo cognitivo anche in altri tipi di demenze.
Da tutti questi dati è possibile concludere che, sebbene la RM convenzionale abbia fornito un grande ed insostituibile aiuto nella diagnosi e conoscenza della malattia di CADASIL, le tecniche non convenzionali hanno una volta ancora dimostrato la proria validità ed unicità nel valutare e quantificare
accuratamente il danno tissutale cerebrale nelle sue diverse forme.
FIGURA 18
NAA
NA
Cho
Cr
Cho
Cr
La
3.6
A
pp
0.9
3.6
pp
0.9
B
Stutio RMS di un soggetto normale (A) e di un paziente CADASIL (B). Gli stpettri protonici provengono
da volumi localizzati in entrambi i casi nella sostanza bianca. Si può notare il netto decremento di
Nacetilaspartato (NAA), Colina (Cho) e creatina (Cr) nello spettro del soggetto CADASIL rispetto al soggetto
normale, indice di un diffuso danno metabolico nella sostanza bianca del paziente. In quest’ultimo è anche
presente un lieve aumento dell’intensità di risonanza ascrivibile al lattato (La, risonanza non rilevabile nel
soggetto normale) che suggerisce la presenza anche di una lieve alterazione del metabolismo ossidativo.
169
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
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172
CAPITOLO 8
LA DEMENZA VASCOLARE (VAD):
SPECT E PET
Patrizia Pantano, Porzia Totaro, Gian Luigi Lenzi
Dipartimento di Scienze Neurologiche
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
1.
Introduzione
La demenza vascolare (VaD) è la più comune causa di demenza dopo la malattia di Alzheimer (AD),
rappresentando almeno il 15% di tutti i casi di demenza. La tomografia ad emissione di positroni (PET)
e la tomografia da emissione di singoli fotoni (SPECT) sono state utilizzate da molti autori per esaminare le caratteristiche funzionali del cervello di pazienti affetti da VaD, e per studiare le differenze tra le
principali forme di demenza sulla base delle alterazioni della circolazione e del metabolismo cerebrali.
Molti studi hanno utilizzato la SPECT con traccianti perfusionali quali il Tc-99m HMPAO. Tuttavia,
l’accoppiamento tra flusso ematico cerebrale (CBF) e metabolismo non è sempre conservato nel caso di
VaD. Gli studi PET, che permettono di studiare, oltre il CBF, anche il consumo metabolico di glucosio
(CMRglu) o di ossigeno (CMRO2) e l’apporto di nutrienti, come l’estrazione regionale di O2 (OER) offrono uno strumento più accurato per comprendere sia la condizione fisiopatologia del tessuto cerebrale che
i meccanismi che portano alla demenza.
I quadri possono essere molto eterogenei; in generale, la VaD è caratterizzata da deficit di perfusione e metabolismo asimmetrici che coinvolgono, spesso, sia la corteccia cerebrale che le strutture profonde. Più frequentemente sono coinvolte la corteccia frontale e la corteccia temporale (figura 1).
L’entità delle alterazioni di flusso e metabolismo in parte dipendono dall’estensione e dalla localizzazione del danno vascolare associato.
La relazione tra demenza e malattia cerebrovascolare non è ancora completamente nota.
La demenza vascolare può essere suddivisa in due gruppi principali: la demenza multinfartuale
(MID: multi infarct demenza) che coinvolge i grossi vasi ed è caratterizzata da multipli ed estesi infarti,
e la demenza associata ad interessamento diffuso della sostanza bianca (demenza da arteriolosclerosi o
malattia di Binswanger) che coinvolge la microcircolazione e si presenta come malattia della sostanza
bianca dovuta alla patologia delle arterie cerebrali penetranti.
Le aree ischemiche possono essere di grandi o piccole dimensioni (a volte infarti lacunari) ed in
genere interessano diverse aree del SNC. In effetti, diversi studi hanno dimostrato che l’infarto lacunare è il più comune sottotipo di ictus associato a demenza. La comparsa di demenza sembra dipendere in
173
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 1
Immagine SPECT con Tc 99m-HMPAO in un caso di demenza multinfartuale.
Difetto di perfusione che coinvolge il lobo frontale bilateralmente, parietale posteriore e temporale posteriore
nell’emisfero destro; si nota altresì una asimmetria di perfusione dei talami e dei gangli della base.
[http://brighamrad.harvard.edu/education/online/BrainSPECT/MID/MID.html]
parte dal volume totale di corteccia danneggiata, ma risulta anche più frequente nei soggetti che presentano lesioni nell’emisfero sinistro, indipendentemente dall’esistenza di disturbi del linguaggio, così
come nei casi in cui l’ictus coinvolge l’ippocampo.
Si ritiene che gli infarti sottocorticali possano determinare un ipometabolismo corticale sia frontale che globale; questo, a sua volta, può essere responsabile del danno cognitivo (figura 2B) [Yoshikawa et al., 2003].
Anche nei pazienti dementi con lacune e leucoaraiosi, il pattern PET mostra uno stato di ridotta perfusione e metabolismo non solo nelle strutture profonde ma anche nella corteccia di tutto l’encefalo.
Sono stati ipotizzati almeno due meccanismi responsabili dell’insorgenza della demenza vascolare nei
pazienti con patologia vascolare ischemica: il primo, in accordo con il concetto di demenza multinfartuale, è legato alla riduzione accoppiata del CBF (cerebral blood flow, flusso ematico cerebrale) e del
metabolismo, sia nelle sedi infartuali che a distanza, per un meccanismo di diaschisi; il secondo, prodotto
dalla ridotta perfusione e dalla ischemia cronica dell’encefalo, si traduce in uno stato di perfusione di
miseria, con disaccoppiamento tra CBF e metabolismo ed aumento dell’OER (oxygen extraction rate)
(figura 3) [De Reuck et al., 1998].
La patologia vascolare sottocorticale è frequentemente associata a deficit delle funzioni esecutivoattentive, comprese le difficoltà psicomotorie e la velocità di processare informazioni, la flessibilità cognitiva, l’efficienza di apprendimento ed il richiamare alla memoria gli avvenimenti.
174
L A D E M E N Z A VA S C O L A R E ( VA D ) : S P E C T E P E T
FIGURA 2
A
B
C
Studi PET nei pazienti VaD e con malattia di Binswanger hanno mostrato una riduzione del CBF e del
metabolismo dell’ossigeno cerebrale sia nella sostanza bianca che nella corteccia; inoltre la SPECT ha
mostrato una riduzione del CBF soprattutto nei lobi frontali, come si nota nell’immagine 2B di una paziente
che presenta in T2 MRI multipli e piccoli infarti bilaterali nei gangli della base, espressione di disconnessione
tra le strutture cerebrali profonde e la corteccia, o diaschisi. Nella figura 2A, immagini T2 pesate MRI e SPECT
di una paziente con malattia di Alzheimer (AD); le immagini MRI non mostrano importanti alterazioni di
segnale nel contesto del parenchima encefalico, mentre l’immagine SPECT mostra una riduzione del flusso
sanguigno nella corteccia temporoparietale bilateralmente. Nella figura 2C immagini T2 MRI e SPECT di un
soggetto sano di controllo. [Yoshikawa et al., 2003]
FIGURA 3
Control
ATD
DWMH
ml/100ml/min
OM+51[mm] OM+70[mm] OM+51[mm] OM+70[mm] OM+51[mm] OM+70[mm]
80
CBF
0
1.0
OEF
0
ml/100ml/min
6.0
CMRO2
0
Immagini PET che rappresentano un paziente con sindrome simile alla malattia di Alzheimer (ATD),
ad un paziente demente con alterazioni della sostanza bianca (DWMH) ed un controllo. Sia nei ATD
che nei DWMH vi è un aumento del rOEF; nei pazienti VaD questo rappresenta una relativa preservazione
del metabolismo ossidativo in opposizione al più grave disturbo di perfusione. [Tohgi et al., 1998]
175
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
I deficit cognitivi possono essere il risultato di danni a livello del talamo, dei gangli della base, o delle connessioni tra queste strutture sottocorticali ed il lobo frontale. Il danno ischemico sottocorticale è
associato con deficit della perfusione corticale, fenomeno noto come diaschisi. La severità del danno
cognitivo è correlata con il grado di ipoperfusione corticale [Perani et al., 1987].
Il volume delle aree iperintense sottocorticali in MRI è significativamente associato ad ipoperfusione frontale misurata con la SPECT, la quale, però, non è sostenuta da un analogo deficit nell’esecuzione dei test neuropsicologici che valutino le capacità e le funzioni esecutivo-attentive. Si è visto, infatti,
che l’ipoperfusione del lobo frontale non è selettivamente associata ad un peggioramento delle funzioni esecutivo-attentive; quindi, queste disfunzioni non riflettono necessariamente un danno attuale a
livello del lobo frontale, ma di effetti secondari sottocorticali (volume delle aree iperintense), età, patologie degenerative e funzioni cognitive globali. La presenza di atrofia progressivamente ingravescente a
livello corticale, associata all’iperintensità sottocorticale della sostanza bianca, correla significativamente con un deficit delle funzioni cognitive, dimostrando che processi aggiuntivi seguono l’infarto sottocorticale e contribuiscono alla demenza nel gruppo dei pazienti con VaD [Cohen et al., 2001].
Gli infarti lacunari e le lesioni della sostanza bianca profonda rappresentano degli epifenomeni che
possono caratterizzare morfologicamente la microangiopatia cerebrale, ma non sono indice diretto di
deficit cognitivi. I deficit neuropsicologici, quindi, non sono correlati con le lesioni alla MRI (infarti
lacunari e iperintensità della sostanza bianca), ma con il deficit di rCBF o di rMRGlu, parametri funzionali PET e SPECT, e, se presente, con l’atrofia cerebrale (figura 4) [Sabri et al., 1999].
FIGURA 4
MRI
PET
SPECT
Immagine MRI pesata in T2 ed immagini funzionali PET e SPECT di un paziente con importante
compromissione dei test neuropsicologici ed importante grado di atrofia. Si nota un ampliamento del solco
laterale, della scissura interemisferica (piccole frecce), e dei ventricoli (freccia lunga) nell’immagine MRI
T2 pesata, alle quali aree corrispondono difetti metabolici e di perfusione come mostrato nelle immagini
PET e SPECT. Si noti l’atrofia settoriale della corteccia temporale di destra (punta di freccia)
in MRI che corrisponde ad analoghi deficit in PET e SPECT. [Sabri et al., 1999]
176
L A D E M E N Z A VA S C O L A R E ( VA D ) : S P E C T E P E T
2.
Diagnosi Differenziale tra le varie forme di Demenza
La SPECT con Tc-99m HMPAO è un esame accurato e molto usato per differenziare la VaD da altre
forme di demenza, in primo luogo dall’AD. Mentre nel caso di AD il deficit perfusionale coinvolge classicamente la corteccia temporo-parietale bilateralmente, con risparmio della corteccia motoria primaria
e sensitiva e delle strutture profonde, nel caso di VaD il deficit perfusionale appare disomogeneo e spesso asimmetrico, con interessamento principale dei settori anteriori del cervello (figure 5 e 6) [Hoffman
et al., 2000; Silverman et al., 2001].
Studi sul CBF e sul metabolismo cerebrale nei pazienti con AD, hanno messo in evidenza una ridotta perfusione cerebrale nelle aree di associazione temporo-parietali, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia e prima che sia evidente l’atrofia corticale, come si può osservare nella immagine SPECT in figura 2A.
Con il progredire della demenza, il flusso cerebrale si riduce anche nei lobi frontali, mentre sembra
essere preservato a livello del ponte, della corteccia motoria primaria, della corteccia visiva primaria e del
lobo occipitale, nei gangli della base e nel talamo.
In questi pazienti, il metabolismo cerebrale del glucosio valutato con PET, mostra una riduzione
dei normali valori anche nel giro del cingolo posteriore. Al contrario, nel caso di demenza fronto-temporale, il pattern di ridotta perfusione e metabolismo coinvolge i lobi frontale e temporale bilateralmente (figure 5 e 6) [Talbot et al., 1998; Lojkowska et al., 2002].
FIGURA 5
Healthy control
DAT
60 year old male
Severe DAT
64 year old female
MID [define]
50 year old male
Pick’s disease
69 year old female
DAT aphasia
59 year old female
Differenti pattern SPECT presenti nelle più comuni forme di malattie degenerative ad interessamento
cognitivo. In particolare si noti il pattern caratteristico del paziente con DAT (ipoperfusione bilaterale
e simmetrica della corteccia temporo-parietale) a confronto con quello del paziente affetto da MID
(ipoperfusione disomogenea, asimmetrica, cosiddetta “a mosaico”).
[http://www.brainexplorer.org/dementia/Dementia_Diagnosis.shtml]
177
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 6
A
B
C
D
E
F
Immagini SPECT con Tc99m-HMPAO. La presenza di alterazioni del CBF posteriori bilaterali avvalorano la
presenza di una malattia di Alzheimer rispetto ad una VaD o ad una demenza fronto temporale (A).
Alterazioni del CBF anteriori bilaterali avvalorano la diagnosi di FTD rispetto ad un AD, ad una VaD
o ad una malattia a corpi di Lewy (B). Alterazioni del CBF a “mosaico” sono associate con il pattern
della VaD piuttosto che AD (F). Alterazioni del CBF unilaterali anteriori, o di tipo generalizzato non
aiutano a differenziare tra le varie forme di demenza, ma sono piuttosto associate a malattia con corpi di
Lewy o ad afasia progressiva (C, D, E). In alcuni casi, questo esame mostra alterazioni del CBF
non specifiche per una determinata forma di demenza, che necessita una più completa caratterizzazione
con test neuropsicologici e con indagini MRI o CT. [Talbot et al., 1998]
178
L A D E M E N Z A VA S C O L A R E ( VA D ) : S P E C T E P E T
3.
Distribuzione del pattern di ipoperfusione in relazione alla sede dell’infarto
Vi sono vari tipi di danno tissutale e vascolare nella VaD, che includono:
1)
infarti singoli o multipli che coinvolgono la corteccia di associazione e la corteccia limbica. (Infarti strategici: danno alle regioni fronto mesiali da infarto della ACA; il giro angolare; la regione dorso laterale prefrontale, infarto nel territorio della ACM; regione inferomediale temporo-occipitale,
infarto della ACP);
2)
piccoli infarti sottocorticali che danneggiano circuiti cortico-sottocorticali. Piccoli infarti strategici che coinvolgono il talamo, il caudato, il globo pallido, componenti centrali dei circuiti corticosottocorticali;
3)
lesioni della sostanza bianca, correlate ad ischemia cerebrale cronica.
La VaD presenta caratteristiche cliniche differenti, quindi, lo studio funzionale del CBF e del
metabolismo è utile nel differenziare i vari sottotipi di VaD (figure 7, 8, 9, 10, 11 e 12) [Mori et al., 1999;
Nishio et al., 2003].
FIGURA 7
CMRO2
g/dl/min
6.0
0
MRI e PET del metabolismo dell’ossigeno in un paziente con infarto talamico sinistro
(arteria polare) presentatosi con deficit della memoria verbale, anomia e depressione.
[Mori et al., 1999]
Recentemente, è stato enfatizzato il ruolo degli infarti cosiddetti “silenti” (silent brain infarcì: SBI)
L’interesse sui SBI è legato al loro potenziale ruolo come fattore di rischio per l’insorgenza di infarti sintomatici. La presenza di SBI, infatti, aumenta sia il rischio di stroke che di disturbi cognitivi [Vermer et
al., 2003]. Gli SBI sono localizzati principalmente nei gangli della base, ma la grandezza ed il numero è
inferiore rispetto agli infarti cerebrali sintomatici. L’età, l’ipertensione e la fibrillazione atriale sono strettamente correlati con i SBI, ma non è ancora chiaro in che modo i SBI influenzano il pattern del CBF, del
CMRO2 e del OER.
179
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 8
CBF
mg/100ml/min
80
0
MRI e PET del CBF in un paziente con infarto dell’arteria talamica paramediana
bilaterale presentatosi con amnesia, disturbi del linguaggio, cambiamenti della personalità.
Il CBF si mostarva ridotto globalmente, ma in maniera più accentuata nei lobi frontali.
[Mori et al., 1999]
FIGURA 9
CMRO2
g/dl/min
6.0
0
MRI e PET del metabolismo dell’ossigeno in un paziente con infarto bilaterale del nucleo caudato
presentatosi con comportamento disinibito, riduzione della comprensione e dell’attenzione.
Il metabolismo dell’ossigeno si presentava ridotto nei lobi frontali e nei gangli della base.
[Mori et al., 1999]
I pazienti con SBI mostrano una riduzione del CBF e del CMRO2 nella sostanza grigia profonda. La
riduzione del CBF è associata a lieve aumento del OEF, meccanismo di compenso atto a preservare la
CMRO2, indicando una riduzione della riserva di perfusione cerebrale [Nakane et al., 1998].
180
L A D E M E N Z A VA S C O L A R E ( VA D ) : S P E C T E P E T
FIGURA 10
CBF
mg/100ml/min
80
0
Probabile malattia di Alzheimer con alterazioni della sostanza bianca. La marcata atrofia
e l’ipoperfusione nei lobi parietali e temporale mediale sono compatibili con AD.
Si noti alla MRI le estese alterazioni della sostanza bianca visibili nelle immagini T2 pesate.
[Mori et al., 1999]
FIGURA 11
g/100ml/min
10
0
Immagini MRI T1 pesate di un paziente con infarto striatale e talamico bilaterale e moderata atrofia
del lobo temporele, nel quale si manifestava in maniera insidiosa dopo due anni un comportamento
stereotipato e disinibito, mimando una demenza fronto-tempprale (FTD).
Uno studio PET con 18-fluorodeossi glucosio ha mostrato un ipometabolismo nei lobi frontali,
nei gangli della base e nel talamo, più accentuato nell’emisfero di destra. Le particolari alterazioni
del comportamento sono rimaste invariate nei successivi 7 anni di follow-up (immagini in basso),
suggerendo alla base della malattia un meccanismo di tipo vascolare e non degenerativo.
Alla base di questa sindrome comportamentale e cognitiva simile alla FTD si ipotizza la presenza di una
distruzione dei circuiti fronto-sottocorticali al livello dello striato o del peduncolo talamico anteriore.
[Nishio et al., 2003]
181
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 12
Immagine SPECT di un paziente con infarto del caudato.
Si nota la ridotta perfusione a livello del nucleo caudato di destra e della corteccia frontale omolaterale,
presumibilmente dovuta a disconnessione cortico-sottocorticale o diaschisi.
[http://www.geocities.com/HotSprings/Villa/8162/mypet.html]
4.
Meccanismi Patogenetici
4.1 Degenerazione Retrograda
A tutt’oggi è ancora poco chiara la relazione tra le alterazioni della sostanza bianca (leucoaraiosi o
malattia di Binswanger), gli infarti lacunari e dei gangli della base con la presenza di declino cognitivo
nei pazienti VaD. Si può ipotizzare che oltre ad evidenti lesioni della sostanza bianca, possano essere
presenti delle alterazioni della sostanza grigia. Infatti il danno agli assoni della sostanza bianca si traduce in un danno dei loro corpi cellulari nella sostanza grigia sottocorticale e corticale, come risultato di
una degenerazione anterograda o retrograda. A conferma di ciò studi PET hanno messo in evidenza una
riduzione del metabolismo dell’ossigeno nella sostanza grigia corticale e subcorticale nei pazienti con
malattia di Binswanger. Quindi, lesioni ischemiche responsabili di demenza nei pazienti con malattia di
Binswanger potrebbero non essere confinate alla sostanza bianca, ma potrebbero estendersi a regioni di
sostanza grigia corticali e sottocorticali.
Il [11 C] flumazenil (FMZ), ligando del recettore centrale delle benzodiazepine sulla membrana dei
neuroni, è stato utilizzato come marker della integrità neuronale in uno studio PET (figura 13) [Ihara et
al., 2004].
La presenza di demenza è stata associata ad una riduzione del volume di distribuzione di FMZ (FMZVd), del CBF e del CMRO2, in aree estese della corteccia cerebrale, comprese le aree fronto-polari bilateralmente e fronto-insulari, l’area temporo-occipitale sinistra, e l’area corticale marginale sinistra, come
si vede dalla figura 13 in alto dove sono messi a confronto immagini MRI e PET di due pazienti con leucoaraiosi e demenza (A) e senza demenza (B). Si notano le lesioni iperintense nella sostanza bianca e le
lacune multiple nei gangli della base e nel talamo nelle immagini MRI, e le differenze nella captazione
corticale del FMZ nei due pazienti.
La riduzione del FMZ-Vd (e quindi la perdita di integrità neuronale) è maggiore nella corteccia frontale e nelle aree fronto-insulari nei pazienti con leucoaraiosi.
182
L A D E M E N Z A VA S C O L A R E ( VA D ) : S P E C T E P E T
FIGURA 13
A
B
Immagini T2 pesate MRI e PET con [11C]-FMZ di due pazienti con leucoaraiosi a confronto:
uno con demenza (A) e l’altro senza demenza (B). Benché le immagini MRI di entrambi i pazienti
mostrino alterazioni di segnale nella sostanza bianca (diffusa iperintensità) e lacune multiple nel talamo
e nei gangli della base, le immagini PET mostrano significative differenze nella captazione corticale del FMZ
nel paziente A, ipocaptazione del FMZ e demenza, rispetto al paziente B, che non presenta demenza.
La valutazione della integrità dei neuroni e dei circuiti neuronali nella corteccia cerebrale di pazienti
con leucoaraiosi, mediante la FMZ-PET, assumerebbero valore predittivo di evoluzione verso forme
di malattia sintomatica, anche se al momento tale metodica risulta in via di migliore definizione.
[Ihara et al., 2004]
4.2 Disconnessione o Diaschisi
La diaschisi è un’alterazione funzionale spesso presente nei pazienti con malattia cerebro-vascolare. Si tratta di una deafferentazione con perdita della normale eccitabilità su gruppi di neuroni le cui
afferenze sono andate distrutte. Un danno ischemico grave della sostanza bianca può determinare la
distruzione di circuiti cortico-sottocorticali (fronto-polari o fronto-insulari con i nuclei della base), con
alterazione del sottostante controllo della corteccia frontale, e potrebbe essere alla base delle alterazioni/perdita della integrità neuronale come nella demenza (figure 12 e 7).
Alterazioni delle funzioni cognitive, quali afasia o neglect, sono state dimostrate con studi PET o
SPECT in seguito a danno vascolare dei gangli della base o del talamo, in cui si manifestava una ipoperfusione e/o ipometabolismo corticali e sono state spiegate con un meccanismo di deafferentazione o
diaschisi.
La presenza di alterazioni dei circuiti neuronali in pazienti con VaD è stata valutata anche con tecniche non convenzionali di MRI, come la misura dell’anisotropia diffusionale del corpo calloso che in
questi pazienti risultava notevolmente ridotta, soprattutto nella porzione anteriore del corpo calloso
[Ishihara et al., 1999].
183
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
4.3 Alterata riserva di Perfusione
Il rischio cumulativo di demenza dopo il primo infarto ischemico è stimato intorno al 29% entro
un anno e 34% entro 3 anni; la spiegazione di questa tendenza potrebbe essere ascrivibile alla progressiva perdita di riserva vascolare cerebrale come esaurimento della riserva metabolica dell’encefalo, fenomeno che potrebbe essere altresì alla base dei meccanismi dell’insorgenza di VaD. La riserva di perfusione
può essere valutata con il test dell’acetazolamide, un farmaco che ha un potente effetto vasodilatatore.
Il confronto fra l’esame della perfusione ematica con SPECT prima e dopo la somministrazione del farmaco permette di valutare le aree con ridotta riserva di perfusione, in quanto, tali aree presentano già in
condizioni basali vasodilatazione focale compensatoria e non mostrano,quindi, aumento della perfusione in seguito alla somministrazione di acetazolamide (figura 14). Un importante studio ha valutato
la vasoreattività encefalica con acetazolamide in pazienti con ampi infarti cerebrali e demenza (MID), ed
in pazienti con microangiopatia, lacune, alterazioni della sostanza bianca e demenza (LD), utilizzando
la PET e l’ammoniaca marcata con N13 come tracciante del CBF. Si è messo in evidenza una importante riduzione del CBF e del CMRO2, ed un aumento del rOER soprattutto nei pazienti con LD. Questi
risultati mostrano come la demenza diventi prominente quando la riserva vascolare diventa severamente
deficitaria, soprattutto nelle regione corticali, nello striato, nel cervelletto, con l’esaurimento delle riserve metaboliche [De Reuck et al., 1999].
FIGURA 14
RT
T2 MRI
BASELINE
DIAMOX
Esempio di risposta all’acetazolamide (Diamox) in un paziente con una lesione ischemica
fronto-temporale sinistra. Lo studio SPECT di perfusione prima della somministrazione di acetazolamide
(baseline) mostra una riduzione focale di perfusione nella sede dell’infarto.
Dopo la somministrazione del farmaco l’area di ipoperfusione si estende interessando un’ampia zona della
corteccia fronto-parieto-temporale, indicando che in tali regioni la riserva di perfusione è ridotta.
http://brighamrad.harvard.edu/education/online/BrainSPECT/Diamox/Diamox.html
184
L A D E M E N Z A VA S C O L A R E ( VA D ) : S P E C T E P E T
5.
Nuove Tecniche di Analisi
La patologia dei piccoli vasi associata a demenza, che rappresenta il più frequente tipo di demen-
za vascolare (VaD), spesso mostra una distribuzione del CBF con alterazioni poco chiare rendendo,
quindi, molto difficile la loro valutazione oggettiva. L’esigenza di avere a disposizione nuove tecniche
per l’analisi del metabolismo e del CBF cerebrali nasce, quindi, dalla concreta difficoltà di ottenere,
dalla semplice valutazione visiva, dei risultati esaurienti in casi definiti clinicamente borderline, i così
detti deficit cognitivi correlati all’età, o i deficit cognitivi di lieve entità (MID: mild cognitive impairment), nonché per una diagnosi precoce di demenza, prima che le alterazioni morfologiche caratteristiche siano visibili in CT ed in MRI, e quindi in tempo per l’istituzione di una terapia di supporto
efficace. Tecniche con una più elevata sensibilità e specificità sono rappresentate dalle proiezioni superficiali stereotattiche in 3D (3D-SSP: 3D stereotactic surface projections), per mappare le zone con una
riduzione del CBF con un modello statistico, e l’analisi tridimensionale frazionata (3D-FA: 3D fractal
analysis), che rappresenta una nuova tecnica per misurare l’eterogeneità del CBF secondo un modello
matematico (figura 15) [Yoshikawa et al., 2003].
FIGURA 15
B
MR T2WI
SPECT
PET
3D-SSP
R
Immagini di una donna di 75 anni con VaD; la T2 MRI mostra multipli,
piccoli e bilaterali infarti nei gangli della base; le immagini F18-FDG PET
e Tc 99m-HMPAO SPECT mostrano una diffusa riduzione del CBF, e le immagini
3D-SSP (volumetriche) mostrano una ipoperfusione confinata nella regione frontale.
[Yoshikawa et al., 2003]
La VaD comprende le vecchie entità di “stato lacunare” e di “malattia di Binswanger”, correlata
alla patologia dei piccoli vasi ed alla ipoperfusione; in realtà lo scenario delle alterazioni alla base della
VaD sembra essere più ampio, comprendendo gli infarti lacunari, la patologia ischemica della sostanza
bianca focale o diffusa (visualizzabile alla MRI come aree di iperintensità, o leucoaraiosi), e gli infarti
ischemici incompleti. Alla luce di queste nuove acquisizioni di tipo morfologico, una nuova metodica
di analisi statistica, SPM-99, è stata applicata allo studio delle alterazioni della perfusione e del metabolismo cerebrali in pazienti con VaD. La tecnica permette di valutare, ad esempio, la presenza di correlazioni tra un determinato quadro di deficit del CBF con la presenza di deficit di tipo cognitivo, valutati
185
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
con il punteggio di test neuropsicologici, o con la presenza di danno della sostanza bianca, quota di leucoaraiosi, valutato con la MRI (figure 16 e 17) [Yang et al., 2002].
FIGURA 16-17
L
R
L
R
Le lesioni ischemiche nella VaD coinvolgono i circuiti sottocorticali prefrontali compresa la corteccia
prefrontale, il caudato, il pallido, il talamo, ed il circuito talamo-corticale. La disconnessione tra la corteccia
e le strutture subcorticali possono causare la riduzione del metabolismo corticale del glucosio e del CBF.
Le figure 15 e 16 mostrano i risultati di uno studio SPECT nei pazienti VaD a confronto con soggetti di
controllo sani, analizzati con SPM99 su un template MRI in assiale (A) ed in sagittale (B).
Le are statisticamente significative fra i due gruppi appaiono colorate in rosso e giallo.
È stata ritrovata una significativa riduzione del CBF nei pazienti con VaD rispetto ai controlli sani,
nel talamo di destra, nelle aree subcallosali di sinistra, nel giro del cingolo,
nel giro temporale superiore bilateralmente, e nel caudato sinistro.
Le alterazioni a livello della corteccia frontale dorsolaterale di destra sono state associate
a disfunzioni cognitive; mentre lesioni a livello del giro del cingolo sono associate ad apatia
ed a lentezza psicomotoria. Sembra, tuttavia, che queste alterazioni non siano in relazione
con il progredire della demenza. [Yang et al., 2002]
186
L A D E M E N Z A VA S C O L A R E ( VA D ) : S P E C T E P E T
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188
CAPITOLO 9
IMAGING CON TC
Roberta Rossi, Giovanni B. Frisoni
LENITEM - Laboratorio di Epidemiologia
Neuroimaging & Telemedicina
IRCCS San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, Brescia
1.
Introduzione
La TC si basa su un’evoluzione dei principi della radiologia classica che consiste nel far attraversa-
re sottili sezioni di encefalo da un fascio di raggi X. Il livello di assorbimento varia secondo la densità del
parenchima cerebrale e un fascio di detettori in uscita ne rileva l’entità. Tale rilevazione viene effettuata in diversi punti di entrata del fascio di radiazioni e a diverse angolazioni. Attraverso un algoritmo
matematico vengono successivamente determinati i diversi coefficienti di assorbimento espressi in unità di densità secondo una scala arbitraria (Unità Hounsfield) dove 0 rappresenta la densità dell’acqua,
+1000 la densità dell’osso e -1000 quella dell’aria. Tali differenze di densità sono espresse secondo una
scala monocromatica di diversa intensità (dal nero al bianco attraverso sfumature di grigio) e giungono
al clinico impresse su una lastra radiografica.
Nel paziente con decadimento cognitivo devono essere valutati e quantificati due aspetti centrali:
atrofia regionale (soprattutto temporale mesiale) e danno ischemico sottocorticale. Questi possono essere
accuratamente rilevati con l’esame di risonanza magnetica, ma anche una indagine TC ben condotta
può dare informazioni di accuratezza paragonabile.
2.
Atrofia regionale: l’ampiezza radiale del corno temporale (Frisoni et al., 2002a)
2.1 Descrizione della misura
L’atrofia temporale mesiale rilevata in vivo attraverso metodi di neuroimmagine è uno dei marker
più accurati per la malattia di Alzheimer. Recentemente, è stata sviluppata una misura dell’atrofia ottenuta con TC (l’ampiezza radiale del corno temporale - rWTH) basata sull’allargamento del corno temporale che parrebbe avere una migliore affidabilità e facilità di misurazione (Frisoni et al., 2002a). La
misura è sufficientemente attendibile, accurata, e realizzabile da essere impiegata nell’attività quotidiana (Frisoni et al., 2002b). Poiché la maggiore quota di atrofia ippocampale tipica della malattia di Alzheimer si verifica nella testa dell’ippocampo (Laakso et al., 2000), la rWTH è stata ideata per individuare
l’atrofia in questa regione.
189
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 1
A
B
Immagini coronale (A) e (B) sagittale di preparati anatomopatologici che mostrano la posizione e
inclinazione del piano che dovrà essere scelto sulla lastra della TC per la misurazione dell’ampiezza radiale
del corno temporale. La figura 1A mostra il piano che permette di rilevare l’atrofia ippocampale nel punto
di maggiore larghezza del corno temporale. Il piano deve passare attraverso la porzione intermedia
dell’ippocampo in senso rostro-caudale (1A) e deve tagliare l’ippocampo lungo tutta la sua lunghezza (1B).
Questo è il piano del lobo temporale.
FIGURA 2
Scout view della tecnica di acquisizione con TC. Le fette devono essere acquisite sul piano del lobo
temporale (linee parallele tratteggiate). Questo è inclinato di circa 20° rispetto alla linea orbito-meatale
(linea obliqua tratteggiata). Devono essere acquisite fette dello spessore di 2 mm lungo tutta
l’estensione del corno temporale e di 8-10 mm cranialmente e, se necessario, caudalmente ad esso.
190
IMAGING CON TC
FIGURA 3
A
B
C
D
E
F
G
In figura viene rappresentata la scelta della fetta per la misurazione dell’ampiezza radiale del corno
temporale a destra e a sinistra. La figura mostra tutte le fette che visualizzano i corni temporali
(A è la fetta più caudale e G quella più rostrale). La fetta appropriata per la misurazione è quella in cui il
corno temporale è visibile in tutta la sua estensione, cioè dal trigono del ventricolo laterale alla punta del
corno, e in cui la punta del corno temporale è più larga. La misura viene rilevata su una linea ortogonale
alle tangenti il corno temporale nel suo punto di massima dilatazione.
La misura è presa a livello della punta del corno temporale con un calibro di precisione (figura 3).
La misura è la distanza tra due linee parallele tangenti alla punta del corno temporale dove la sua
ampiezza è massima (figura 3D).
191
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
2.2 Studi di validità
La validità della misura dell’rWTH è stata valutata su una popolazione clinica. Sono stati inclusi
nello studio pazienti con malattia di Alzheimer di grado lieve, soggetti di controllo non dementi e soggetti con decadimento cognitivo lieve (MCI) arruolati all’interno di un progetto prospettico sulla storia
naturale della malattia di Alzheimer (Frisoni et al., 2002; Frisoni et al., J Neuroimaging 2002). L’affidabilità dei coefficienti di correlazione intraclasse tra-valutatori e intra-valutatori era compresa tra 0.94 e
0.98. Ricorrendo ad un cutoff di 5.3 mm, l’rWTH è in grado di classificare correttamente 39/42 pazienti con malattia di Alzheimer, 28/29 controlli, 8/10 MCI. La sensibilità nella discriminazione dei pazienti con malattia di Alzheimer è del 93% e dell’80% nella discriminazione degli MCI con una specificità
del 95% (figure 4 e 5).
FIGURA 4
Radial width of the temporal horn (CT)
mm
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
50
55
60
65
70
75
80
85
90
Age
Ampiezza radiale del corno temporale in pazienti con malattia di Alzheimer (cerchi bianchi)
e controlli (cerchi neri). La linea nera indica la linea di regressione delle misure sull’età nei controlli.
La linea tratteggiata indica il cutoff età specifico che classifica correttamente il 95% dei controlli.
(Da Frisoni et al., 2002a; Frisoni et al., 2002b)
192
IMAGING CON TC
FIGURA 5
20
15
10
5
0
50
60
70
80
90
Ampiezza radiale del corno temporale in pazienti con MCI (rettangoli) in pazienti
con malattia di Alzheimer (cerchi bianchi) e controlli (cerchi neri).
La linea nera indica la linea di regressione delle misure sull’età nei controlli.
La linea tratteggiata indica il cutoff età specifico che classifica correttamente il 95% dei controlli.
(Da Frisoni et al., 2002b)
Recentemente, l’accuratezza dell’ampiezza radiale del corno temporale è stata valutata in un gruppo di 20 pazienti con malattia di Alzheimer confermata alla neuropatologia e 23 soggetto non dementi.
Usando un cutoff di 3.9 a 50 anni e 8.1 a 90 anni, l’rWTH riesce a classificare correttamente 16/20 pazienti con malattia di Alzheimer e 19/23 controlli con una sensibilità dell’80% e una specificità dell’83%. L’accuratezza complessiva è dell’81% (figura 6).
193
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 6
The radial width of the temporal horn
mm
16
14
12
10
8
6
4
2
0
50
60
70
80
90
100
Age
L’ampiezza radiale del corno temporale (rWTH) in 20 pazienti affetti da malattia di Alzheimer
patologicamente verificato (cerchi pieni) e 23 controlli sani (cerchi vuoti). La linea continua denota la
regressione del rWTH sull’età nei controlli e la linea tratteggiata i cutoffs specifici per l’età che classificano
correttamente l’80% dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer e l’83% dei controlli.
(Da Rossi et al., 2004)
2.3 Il calcolo della misura
Sul sito www.centroAlzheimer.it è disponibile una calcolatrice che permette di calcolare il livello
percentilare età specifico del corno temporale su immagini di TC encefalica. Inserendo i parametri rilevati su CT la calcolatrice restituisce il punteggio reale in mm del paziente e il livello in cui si colloca il
soggetto rispetto ai soggetti di pari età (figura 7).
FIGURA 7
cm
Calcolatrice on-line per il calcolo dell’rWTH
e della poszione percentilare del soggetto rispetto ai soggetti di pari età.
194
IMAGING CON TC
3.
Danno vascolare sottocorticale: la scala pesata di malattia ischemica vascolare
sottocorticale (Geroldi et al., 2003)
3.1 Descrizione della scala
La malattia cerebrovascolare è riconosciuta essere una causa, o un fattore contribuente in associazione con demenza di tipo degenerativo, del decadimento cognitivo. La malattia cerebrovascolare è
generalmente una conseguenza dell’ipertensione e del diabete che causa la malattia dei piccoli vasi che
comprende diversi cambiamenti patologici nella sostanza bianca e grigia sottocorticale. Poiché il quadro
clinico della malattia non è immediatamente chiaro, la neuroimmagine gioca un ruolo chiave nella rilevazione della malattia cerebrovascolare sottocorticale. Sono state proposte in letteratura diverse scale
che misurano la malattia cerebrovascolare ma nessuna considera il fenomeno nella sua complessità e
per questo motivo la loro diffusione nella pratica clinica è molto limitata.
Recentemente è stata proposta una scala che tiene conto del differente peso che diversi tipi di lesioni potrebbero avere sul decadimento cognitivo. È risaputo che diverse lesioni hanno un diverso impatto sulla cognitività, dovuta prevalentemente al diverso grado di compromissione neuronale.
La scala prevede la rilevazione di tre tipi diversi di lesioni vascolari in differenti aree cerebrali separatamente nei due emisferi cerebrali.
Aree di ipodensità diffusa (leucoaraiosi, figura 8) sono state valutate separatamente nei lobi frontale, parietale e occipitale con una scala a 4 punti in cui “0” indica assenza di ipodensità, “1” indica dubbia
ipodensità (potrebbe essere considerata “quasi normale per l’età in questione”), “2” indica ipodensità netta ma limitata alle regioni periventricolari, che non raggiunge la corteccia, “3” indica ipodensità marcata che si estende fino alla corteccia o che raggiunge la sostanza bianca nelle circonvoluzioni (range 0-18).
Aree di ipodensità dai contorni sfumati (lesioni sfumate) sono valutate in 7 regioni: lobi frontale,
temporale, parietale, occipitale, capsule interna ed esterna, gangli della base e cervelletto (figura 8). Le
lesioni sfumate possono essere rilevate nella sostanza bianca periventricolare o dei centri semiovali,
all’interno di un’area che non presenta leucoaraiosi.
La presenza di aree di ipodensità patchy della sostanza bianca viene rilevata separatamente in 3
regioni: lobi frontale, parietale, e occipitale. Le ipodensità patchy si trovano all’interno di un’area di leucoaraiosi più o meno omogenea e più o meno estesa (punteggio di leucoaraiosi 2 o 3). Di solito hanno
un contorno irregolare e sono separate dai ventricoli da un ponte di sostanza bianca normale o comunque meno ipodensa (lesioni “a” nelle figure 9 e 12). Il punteggio totale delle lesioni sfumate e delle ipodensità patchy viene calcolato come somma delle regioni in cui la presenza di una delle sopra descritte
lesioni viene rilevata (range da 0 a 14).
Aree di ipodensità marcata (lacune) sono valutate nelle stesse aree delle lesioni sfumate (figura 8).
Anche per le lacune il punteggio totale è dato dalla somma delle aree in cui compare almeno una lesione sfumata (0-14) o una lacuna (0-14).
195
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 8
In figura sono rappresentati i tre tipi di lesioni che vengono valutate in aree cerebrali differenti:
in giallo le aree ipodensità diffusa della sostanza bianca (leucoaraiosi),
in rosso le aree focali di ipodensità con contorni sfumati (lesioni sfumate),
e in verde le aree di marcata ipodensità con contorni molto definiti (lacune).
196
IMAGING CON TC
3.2 Le lesioni sottocorticali: esempi
Di seguito sono riportati alcuni esempi di lesioni. In ciascuna coppia di immagini, nella parte destra
sono evidenziate le lesioni.
FIGURA 9
Le aree di ipodensità patchy all’interno della leucoaraiosi di solito hanno un contorno irregolare e sono
separate dai ventricoli da un ponte di sostanza bianca normale o comunque meno ipodensa (lesioni “a”).
FIGURA 10
Lesioni lenticolari: hanno hanno contorno e densità irregolari
– simile a quello dell’etat lacunaire (lesioni “b” nella figura 10).
197
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 11
Lesioni del talamo: hanno più frequentemente contorno e densità regolari (lesioni “e” nella figura 11).
Lesioni della capsula esterna: nella parte craniale l’aspetto delle lesioni sfumate è quello di un tratto
ipodenso con una parte sottile rivolta posteriormente – simile ai cosiddetti watershed infarction, o infarti
spartiacque, nella parte caudale della capsula esterna, le ipodensità hanno contorni e densità irregolari
(lesioni “b” nelle figure 10, 11, 12).
FIGURA 12
Le ipodensità della capsula interna hanno un contorno regolare
e possono coinvolgere sia il braccio anteriore che il posteriore (lesioni “d”).
198
IMAGING CON TC
FIGURA 13
Le lacune sono descritte come aree ben definite di spiccata e omogenea ipodensità, con contorni regolari e
ben definiti, di dimensioni generalmente comprese fra i 2 e i 10 mm (lesioni “c” nella figura 13).
Alcuni esempi di punteggio.
FIGURA 14
Esempio di immagine TC senza vascolarità cerebrale.
199
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 15
R
L
Esempio di immagine TC con leucoaraiosi di grado lieve
limitato alla sostanza bianca adiacente ai corni occipitali dei ventricoli laterali.
Vascolarità lieve: classe vascolare 1.
200
IMAGING CON TC
FIGURA 16
R
L
Esempio di immagine TC con leucoaraiosi periventricolare di grado lieve moderato
associato a una piccola lesione focale (<2 cm) in sede frontale destra.
Vascolarità moderata: classe vascolare 2.
201
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 17
R
L
R
L
Esempio di immagine TC con leucoaraiosi di grado lieve moderato associato a numerose lesioni della
sostanza bianca periventricolare (in sede frontale, parietale, temporale) e a livello dei gangli della base.
Vascolarità severa: classe vascolare 3.
FIGURA 18
R
L
Esempio di immagine TC con leucoaraiosi periventricolare di grado severo associata
a lesioni focali della sostanza bianca periventricolare (in sede frontale, parietale, temporale)
e dei gangli della base e della capsula interna sinistra.
Vascolarità severa: classe vascolare 3.
202
IMAGING CON TC
3.3 Concordanza fra TC e RM
La figura 19 fornisce conferma della buona correlazione delle informazioni ottenute con la TC e
quelle ottenute con la RM, almeno nei pazienti con lesioni della sostanza bianca non lievissime. La coppia di immagini di TC nella prima colonna di sinistra (a) mostra in entrambi i pazienti piccole ipodensità della sostanza bianca nelle regioni paratrigonali, bilateralmente nel caso superiore e a destra in quello
inferiore. Tali immagini corrispondono a iperintensità in T2 (b) e FLAIR (c) alla RM, che ne precisa l’estensione. Nel caso della riga inferiore la TC non è in grado di rilevare la sofferenza della sostanza bianca paratrigonale sinistra, che invece la RM mostra chiaramente. Da notare che la moderata diminuzione
diffusa di densità della sostanza bianca visibile in entrambi i pazienti alla TC non ha correlato alcuno nelle immagini di RM. Complessivamente, questi due casi dimostrano che un’attenta valutazione della TC
è in grado di fornire informazioni sullo stato di salute della sostanza bianca che correlano ragionevolmente bene con quelle fornite dalla RM.
FIGURA 19
A
B
C
D
Concordanza fra TC e RM nella valutazione delle lesioni della sostanza bianca in due pazienti (riga
superiore uno e inferiore l’altro) con sofferenza vascolare sottocorticale di grado lieve. (A) TC, (B) RM T2,
(C) RM FLAIR, (D) RM T1. Paziente della riga superiore: le lesioni confluenti apprezzabili con RM sono
apprezzabili anche su TC come lesioni patchy (frecce). Paziente della riga inferiore: la diminuzione diffusa
di densità della sostanza bianca in (A) non ha alcun corrispettivo in RM, mentre l’ipodensità patchy
(freccia) ha un chiaro corrispettivo in RM.
203
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
3.4 Validazione della scala
Per la validazione della scala vascolare (Geroldi et al., J Neurol Sci 2002; 203-204: 241-5) sono state esaminate le TC di soggetti suddivisi sulla base della diagnosi clinica, in tre gruppi di crescente gravità vascolare (degenerativi puri, 58%; forme miste, 17%; vascolari puri, 35%). A ciascuna lesione è stato
attribuito un peso specifico basato sulla gravità dei sintomi extrapiramidali, una conseguenza della malattia cerebrovascolare sottocorticale, valutata con la scala dei segni extrapiramidali di Richard (EPS). I sintomi extrapiramidali sono stati scelti sulla base della loro alta, e specifica, correlazione con la malattia
cerebrovascolare. Sulla base del punteggio delle singole lesioni e del loro peso specifico, è possibile calcolare un punteggio vascolare, categorizzato in 4 classi vascolari di crescente severità (0, 1, 2, 3).
Il punteggio vascolare viene calcolato con la seguente formula:
(0.6 x punteggio leucoaraiosi + punteggio lesioni sfumate + punteggio lacune) x 10
dove 0.6, 1.0, e 1.0 sono i pesi specifici (i.e. coefficiente di regressione) calcolati in modelli di regressione lineare dove come variabile dipendente sono stati inseriti i sintomi extrapiramidali.
Il punteggio vascolare aumenta all’interno dei gruppi di crescente vascolarità cerebrale (8.0±9.4 nei
degenerativi, 33.0±17.2 nelle forme miste, 36.8±14.8 nei vascolari; p<0.00005). I pazienti degenerativi si
collocano prevalentemente nelle classi vascolari più basse, mentre nelle classi di severità maggiore sono
presenti prevalentemente le forme miste e i vascolari puri. In particolare, nessuno dei pazienti degenerativi è nella classe 3 e solo il 14% si colloca in classe 2. Al contrario, nessuno dei pazienti misti o vascolari puri si colloca in classe 0, mentre circa il 50% di entrambi i gruppi si trovano in classe 3.
FIGURA 20
70
Subcortical vascular score
60
3rd
50
40
2nd
30
20
1st
10
0
Subcortical
vascular class
(1st tertile, 1 to 17)
(2nd tertile, 18 to 38)
(3rd tertile, 39 to 64)
Degenerative
n=58
Mixed
n=21
Vascular
n=43
25 (43%)
25 (43%)
8 (14%)
0 (0%)
0 (0%)
5 (24%)
5 (24%)
11 (52%)
0 (0%)
5 (12%)
15 (35%)
23 (53%)
I cerchi rappresentano la distribuzione deipunteggi di vascolarità sottocorticale nei gruppi con demenza
degenerative, mista e vascolare. Le linee tratteggiate indicano i cutoff delle 4 classi vascolari.
In tabella è presentata la distribuzione dei pazienti secondo i punteggi di vascolarità sottocorticale.
204
IMAGING CON TC
Dopo una prima validazione condotta su una serie clinica, la scala di vascolarità sottocorticale basata su TC è stata validata su una serie neuropatologica in collaborazione con un gruppo di studio europeo.
La scala di vascolarità sottocorticale è stata applicata alle TC di 87 soggetti per cui era disponibile una
valutazione neuropatologica della malattia dei piccoli vasi. La malattia cerebrovascolare dei piccoli vasi
rilevata all’esame neuropatologico è stata classificata su una scala ordinale a tre livelli esaminando sia la
sostanza bianca che grigia. Inoltre, è stata valutata la presenza di microinfarti. Il punteggio alla scala
aumenta all’aumentare della gravità della malattia dei piccoli vasi e alla presenza dei microinfarti rilevata
alla neuropatologia (rispettivamente p=.015 e p=.002 al test Mantel-Haenszel per associazioni lineari).
I risultati hanno mostrato che il punteggio vascolare ottenuto dalla valutazione di leucoaraiosi diffusa, lesioni sfumate e lacune è indicativo di un danno vascolare sottocorticale che è in accordo con i
risultati della neuropatologia. Questo supporta la validità della scala di vascolarità sottocorticale basata
su TC come strumento utile per la rilevazione di vascolarità.
FIGURA 21
p=.015
A 100%
Malattia dei piccoli vasi alla neuropatologia
80%
0 = Assente/lieve
60%
1 = Moderata
40%
2 = Severa
20%
0%
B
100%
p=.002
80%
Microinfarti alla neuropatologia
0 = Assente
60%
1 = Presente
40%
20%
0%
0
1-38
39 o più
n=14
n=57
n=16
Punteggio vascolare sottocorticale alla TC
Malattia cerebrovascolare alla neuropatologia nei gruppi di crescente vascolarità alla TC.
(A) Bianco, grigio e nero indicano malattia dei piccoli vasi
alla neuropatologia assente/lieve, moderata e severa.
(B) Nero e bianco indicano la presenza e l’assenza di microinfarti alla neuropatologia.
(Adattato da Rossi et al., 2005)
205
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
3.5 Il calcolo del punteggio
Sul sito www.centroAlzheimer.it, nella sezione della scala di vascolarità sottocorticale, oltre ad una
dettagliata spiegazione dello strumento e dei suoi punteggi, sono forniti un modulo di rilevazione completabile da monitor (figura 22) e stampabile, degli esempi di lesioni cerebrovascolari con relativa iconografia, e una più approfondita spiegazione della scala.
FIGURA 22
Form on line per la rilevazione della vascolarità sottocorticale.
Il form calcola automaticamente il punteggio del soggetto e la classe di vascolarità sottocorticale.
206
IMAGING CON TC
Bibliografia
–
Geroldi C, Galluzzi S, Testa C, Zanetti O, Frisoni GB. Validation study of a CT-based weighted rating
scale for subcortical ischemic vascular disease in patients with mild cognitive deterioration. Eur
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Frisoni GB, Geroldi C, Beltramello A, Bianchetti A, Binetti G, Bordiga G, DeCarli C, Laakso MP, Soininen H, Testa C, Zanetti O, Trabucchi M. Radial width of the temporal horn: a sensitive measure
in Alzheimer disease. AJNR Am J Neuroradiol. 2002a; 23: 35-47.
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Frisoni GB, Rossi R, Beltramello A. The radial width of the temporal horn in mild cognitive impairment. J Neuroimaging. 2002b; 12: 351-4.
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Laakso MP, Frisoni GB, Kononen M, Mikkonen M, Beltramello A, Geroldi C, Bianchetti A, Trabucchi M, Soininen H, Aronen HJ. Hippocampus and entorhinal cortex in frontotemporal dementia
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Rossi R, Joachim C, Smith AD, Frisoni GB. The CT-based radial width of the temporal horn: pathological validation in AD without cerebrovascular disease. Int J Geriatr Psychiatry. 2004; 19: 570-4.
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Rossi R, Joachim C, Geroldi C, Esiri MM, Smith AD, Frisoni GB. Pathological Validation of a CTBased Scale for Subcortical Vascular Disease. The OPTIMA Study. Dement Geriatr Cogn Disord.
2005; 19: 61-66.
207
CAPITOLO 10
DEMENZE DEGENERATIVE:
RM MORFOLOGICA
Mario Savoiardo, Marina Grisoli, Alessandra Erbetta, Alberto Bizzi
U.O. di Neuroradiologia
Istituto Nazionale Neurologico “C. Besta” - Milano
1.
Introduzione
L’insorgere di una demenza, cioè l’alterazione o la perdita di varie funzioni cognitive associata a
turbe comportamentali, avviene solitamente con un processo cronico e progressivo legato ad alterazioni, spesso degenerative, fino alla perdita neuronale, o più raramente disfunzionali, che coinvolgono in
modo più o meno esteso aree corticali o anche strutture sottocorticali del cervello. Si possono osservare
pertanto deficit di funzioni ben definite, come memoria, linguaggio, capacità visuospaziali e abilità esecutive, e alterazioni del comportamento.
La demenza può perciò essere la manifestazione di un processo degenerativo diffuso, ma che più
spesso presenta diversi gradi di espressione in aree e strutture selettivamente coinvolte; può essere anche
il risultato di insulti vascolari o di alterazioni infiammatorie o di altra natura, multiple e diffuse o strategicamente localizzate. La storia del paziente e la presentazione clinica indirizzeranno la diagnosi del
neurologo, che potrà trovare magari negli esami ematochimici, in esami strumentali e negli accertamenti neuroradiologici una risposta diagnostica soprattutto per quanto riguarda le demenze secondarie
a danni metabolici o strutturali dell’encefalo. In varie demenze secondarie (conseguenti ad esempio a
tumore frontale, a malattia cerebrovascolare, a idrocefalo normoteso) la tomografia computerizzata (TC)
può essere risolutiva; in altre, e soprattutto nel sospetto di demenza degenerativa o primaria la risonanza magnetica (RM) è l’esame di elezione sia per la sua maggiore capacità rispetto alla TC di localizzare,
mediante la sua multiplanarietà, un processo atrofico selettivo o prevalente in una determinata area, sia
per la sua maggiore capacità di discriminare alterazioni tissutali che possono determinare anche modeste alterazioni di segnale quando la TC non mostra alterazioni densitometriche.
In questo capitolo desideriamo mostrare come la RM “morfologica” o “strutturale”, ossia gli studi
tradizionali di RM, senza l’applicazione di tecniche avanzate o funzionali, sia in grado di fornire elementi utili ad una diagnosi specifica dei vari tipi di demenza degenerativa. Tratteremo quindi degli studi di routine, accessibili a qualunque unità di Neuroradiologia o di Radiologia generale che disponga di
una RM. Se si vuole raggiungere una buona qualità diagnostica nel campo delle demenze e in generale
nel campo delle malattie degenerative del sistema nervoso centrale, il requisito essenziale, imprescindi-
209
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
bile, è costituito da un costante rapporto di collaborazione tra neurologo e neuroradiologo, che devono
cercare di trovare un’ipotesi diagnostica mettendo a reciproca disposizione le rispettive conoscenze cliniche, radiologiche e possibilmente neuropatologiche. Devono perciò comprendersi, devono arrivare
ad un linguaggio comune. Fino a non molti anni fa, ad esempio, era poco noto sia ai neuroradiologi, sia
ai neurologi, il fatto che esistono malattie che spesso presentano una atrofia focale e asimmetrica. L’unica malattia nota in tal senso era la malattia di Pick. Solo vari anni dopo la sua descrizione e dopo tante diagnosi mancate, si è giunti a un frequente riconoscimento della degenerazione corticobasale.
Tuttavia, se non vi è un’ipotesi diagnostica corretta, o se le diagnosi differenziali sono ignorate, una
degenerazione corticobasale non sarà spesso riconosciuta se le sezioni eseguite sono solo sagittali e assiali. Solo ottenendo sezioni coronariche che dimostrano con maggiore evidenza le asimmetrie è spesso
possibile prospettare la diagnosi corretta.
A volte fortunatamente esistono quadri di RM molto caratteristici che indirizzano molto precisamente ad una diagnosi specifica. Descriveremo i quadri di RM che si possono osservare nella malattia di
Alzheimer, nella demenza frontotemporale, nell’afasia progressiva primaria o nella demenza semantica,
nelle demenze associate a parkinsonismi (demenza da corpi di Lewy, paralisi sopranucleare progressiva,
degenerazione corticobasale), nella malattia di Huntington, ed infine nella malattia di Creutzfeldt-Jakob,
dando maggior rilievo a quegli aspetti (atrofie focali e alterazioni di segnale o risparmio selettivo di aree
cerebrali) che possono aiutare il neuroradiologo a proporre una diagnosi o a formulare un ragionevole
sospetto diagnostico nell’ambito della quotidiana pratica clinica.
2.
Malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer è la causa più comune di demenza: circa il 50% dei pazienti con demenza
hanno la malattia di Alzheimer. Questa malattia costituisce inoltre un grave problema sociale particolarmente nei paesi sviluppati dove la vita media è nettamente aumentata negli ultimi decenni: la malattia
di Alzheimer infatti è presente in circa il 50% della popolazione che ha superato gli 85 anni di età (1).
L’aspetto clinico più caratteristico della malattia è un progressivo deficit della memoria di fissazione,
che comporta l’incapacità di immagazzinare nuovi ricordi mentre i ricordi più antichi sono per un certo
tempo mantenuti. Il paziente si può rendere conto inizialmente del suo problema, ma dopo un certo tempo subentra una scarsa consapevolezza di malattia. Al deficit mnesico si aggiungono afasia, deficit visuospaziali, compromissione delle capacità di critica e giudizio, disorientamento spazio-temporale, acalculia
e aprassia. Il comportamento sociale, a differenza della demenza frontotemporale, può rimanere appropriato per un tempo discreto. Disturbi psicotici, quali allucinazioni e deliri, possono essere presenti tardivamente ma non costituiscono un elemento caratteristico precoce come nella demenza da corpi di Lewy.
La distribuzione delle alterazioni patologiche corticali correla bene con il quadro clinico. L’atrofia
infatti è più evidente nelle regioni temporali mesiali e interessa particolarmente la corteccia entorinale,
l’ippocampo ed il giro paraippocampale. In una situazione clinica, una valutazione visiva può essere sufficiente (2). La valutazione è più attendibile se fatta su sezioni coronariche inclinate, perpendicolari
all’asse dell’ippocampo e del corno temporale (figura 1).
210
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
FIGURA 1
E
A
B
C
D
F
segue
211
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 1
G
H
I
L
Paziente di 77 anni, con diagnosi di malattia di Alzheimer. Le sezioni coronariche in IR, di 3 mm di spessore
(A-D) e in turbo-SE appesantite in T2, 2 mm (E-H) dimostrano atrofia cerebrale diffusa e atrofia bilaterale
dell’ippocampo e del giro paraippocampale (frecce in F e G). Non sono presenti significative alterazioni di
segnale. Nella parte infero-laterale dei nuclei della base di sinistra è visibile un ampio spazio liquorale
perivascolare. Confrontare con regioni temporomesiali normali in immagini SE appesantite in T2 di un altro
soggetto di 70 anni, con TIA, senza segni neurologici e in particolare senza segni di demenza (I, L).
È presente qualche spazio perivascolare dilatato e qualche lacuna nei nuclei della base di entrambi i lati.
L’atrofia temporale comporta un allargamento delle scissure silviane e l’atrofia più focale delle regioni temporomesiali determina un allargamento particolare della cisterna ambiens che circonda il mesencefalo. Questi reperti sono ben apprezzabili anche nelle sezioni assiali, soprattutto se orientate parallelamente
al piano dei corni temporali (figura 2).
Varie misure, anche lineari, sono state proposte per la valutazione dell’atrofia dell’ippocampo (3),
ma non hanno generalmente una applicazione in situazioni cliniche. Studi volumetrici non vengono
considerati in questo capitolo. È bene comunque essere edotti dei risultati degli studi volumetrici condotti in pazienti con malattia di Alzheimer in confronto con soggetti di controllo o con altri tipi di
demenza, perché anche nella valutazione clinica di un singolo studio di RM in paziente con sospetta
malattia di Alzheimer queste conoscenze possono fornire l’indicazione di quali siano gli aspetti che è
necessario o utile valutare. È da tener presente perciò che nella malattia di Alzheimer tutto il sistema
limbico è più o meno atrofico, tranne il cingolo anteriore. Sono nettamente atrofici, oltre alla corteccia
entorinale, paraippocampale anteriore, all’ippocampo e al giro paraippocampale, l’amigdala, la regione
212
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
FIGURA 2
A
B
C
In una paziente di 69 anni, con malattia di Alzheimer da 6 anni, le sezioni assiali in T2
di 3 mm di spessore (A-C) dimostrano atrofia temporale bilaterale, soprattutto mesiale, con dilatazione
marcata delle cisterne silviane e intorno al mesencefalo, senza alterazioni di segnale.
settale e il cingolo posteriore (2, 4, 5). Atrofia del precuneo e atrofia della corteccia della convessità parietale, soprattutto a sinistra, sono pure caratteristiche della malattia di Alzheimer e aiutano nella diagnosi differenziale rispetto alla demenza semantica che trova la sua maggior espressione in una atrofia
temporale prevalentemente anteriore, ma estesa anche alla corteccia laterale e inferiore (6).
Un aspetto deludente della malattia di Alzheimer per quanto riguarda le comuni sequenze di RM
è dato dal fatto che le modificazioni patologiche caratteristiche della malattia, depositi di β amiloide,
placche senili, degenerazioni neurofibrillari (“neurofibrillary tangles”), non comportano alterazioni di
segnale rispetto al tessuto cerebrale sano. Manca quindi un elemento importante, una modificazione
del segnale, al quadro di RM che il clinico si augurerebbe di trovare. Si osservano a volte minime iperintensità di segnale nelle immagini in densità protonica o in FLAIR (fluid-attenuated inversion recovery) nelle regioni temporo mesiali quando queste sono particolarmente atrofiche, ma il reperto non è
sufficientemente attendibile né precoce. Alterazioni di segnale compatibili con esiti di ischemia cronica
si osservano a volte nelle regioni periventricolari ma non in misura né con frequenza maggiori rispetto
a quanto si osserva nella popolazione “normale” della stessa fascia di età. Anzi, alterazioni compatibili
con lacune o esiti di piccoli infarti nei nuclei della base sono raramente osservate nei pazienti con malattia di Alzheimer; è nota tuttavia la possibilità di combinazione di malattia di Alzheimer e di una demenza vascolare, da considerare come una “demenza mista” (7).
3.
Demenza frontotemporale
La degenerazione lobare frontotemporale comprende diverse entità nosologiche, che possono pre-
sentarsi con sindromi cliniche in parte sovrapposte, con aspetti neuropatologici differenti, con distribuzione delle alterazioni istopatologiche diversa e con aspetti genetici pure varii, ma legati a una
213
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
degenerazione prevalentemente localizzata nelle regioni frontali e temporali, spesso in modo asimmetrico. Anche i nuclei profondi sono colpiti dalla degenerazione, particolarmente la testa del nucleo caudato, che può essere più atrofico di quanto non si osservi nella malattia di Huntington.
La demenza frontotemporale è stata a lungo identificata con la malattia di Pick, ma i corpi di Pick
in vari casi possono essere assenti, per cui, in assenza di una dimostrazione istologica, è opportuno parlare di demenza frontotemporale piuttosto che di malattia di Pick. Le sindromi cliniche meglio delineate
sono la demenza frontotemporale con prevalenti disturbi comportamentali, la afasia progressiva nonfluente e la demenza semantica (8). L’afasia progressiva è discussa nella sezione successiva.
Dal punto di vista neuropatologico, la demenza frontotemporale presenta in circa il 50% dei casi
inclusioni tau-positive (in alcuni casi sotto forma dei classici corpi di Pick); nel restante 50% non vi è una
istologia distinta o vi sono alterazioni neuronali immunoreattive solo all’ubiquitina in casi associati a
malattia del motoneurone (9, 10). La maggior parte dei casi di demenza frontotemporale sono sporadici, ma vi sono casi familiari legati a mutazioni del gene della proteina tau sul cromosoma 17 (11).
Nello spettro di manifestazioni cliniche, si possono osservare inoltre casi di demenza frontotemporale con sintomi e segni parkinsoniani ed aprassici che portano ad una sovrapposizione parziale con
la degenerazione corticobasale. È da ricordare che la degenerazione corticobasale (come pure la paralisi
sopranucleare progressiva) è una tauopatia (o taupatia) (12).
Nei casi tipici di demenza frontotemporale, le alterazioni patologiche più estese riguardano i lobi
frontali dalle regioni frontobasali alla convessità, con grave perdita di sostanza, sia in corteccia, sia nella sostanza bianca sottostante, con risparmio tuttavia della corteccia motoria che spicca per la sua integrità rispetto alle circonvoluzioni anteriori; queste possono assottigliarsi fino a gradi raramente visibili
in altre patologie, che hanno portato alla definizione di atrofia “a lama di coltello”. I lobi temporali presentano pure una altrettanto grave atrofia, che interessa sia le regioni temporomesiali e in particolare l’amigdala, sia le regioni temporali inferiori e laterali. Anche nei lobi temporali tuttavia vi sono aree
risparmiate, che caratterizzano ulteriormente la malattia: le aree che non sono colpite sono la parte
posteriore della prima circonvoluzione temporale, T1, il giro di Heschl e il piano temporale che è l’area
situata tra giro di Heschl e la fine della scissura silviana. Nei casi più compromessi una moderata atrofia
può interessare anche le convessità parietali, soprattutto il lobulo parietale superiore, con risparmio della corteccia della circonvoluzione parietale ascendente. L’atrofia gradualmente diminuisce posteriormente, con regioni occipitali risparmiate (13). Come già detto, l’atrofia è marcata anche a livello della
testa del nucleo caudato e la sostanza bianca sottostante alla corteccia atrofica è alterata, con marcata
gliosi, per cui è normale attendersi alterazioni di segnale alla RM.
La distribuzione dell’atrofia descritta rende conto delle manifestazioni cliniche della malattia. I
pazienti con demenza frontotemporale presentano delle alterazioni comportamentali con perdita di iniziativa, labilità emozionale, disinibizione e irritabilità, impulsività o apatia ed abulia. Nei casi avanzati,
possono manifestarsi iperoralità e aspetti parziali della sindrome di Klüver-Bucy, in relazione al coinvolgimento dell’amigdala.
La RM ovviamente permette di riconoscere la distribuzione dell’atrofia sopra descritta, seppure con
gradi di severità variabili, a volte con coinvolgimento prevalente dei lobi frontali, a volte dei lobi temporali e con asimmetrie più o meno marcate (figura 3).
214
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
FIGURA 3
A
B
C
Paziente di 64 anni con demenza frontotemporale e esordio della sintomatologia quasi 3 anni prima.
Le sezioni sagittali in T1 (A, emisfero destro e B, emisfero sinistro) dimostrano
un’atrofia frontotemporale a sinistra e una più modesta atrofia frontale destra.
La sezione assiale FLAIR (C) conferma la lieve prevalenza dell’atrofia frontale sinistra con dubbia
iperintensità di segnale e dimostra invece un aspetto normale delle circonvoluzioni motorie e parietali.
Generalmente non vi è alcun dubbio diagnostico fin dal primo esame di RM a cui il paziente è sottoposto con indicazione clinica da parte del neurologo di possibile demenza frontotemporale. Quello
che risulta utile è ricercare non solo l’atrofia ma anche il risparmio delle strutture che non sono normalmente coinvolte nel processo degenerativo: giri pre- e postcentrale, parte posteriore del giro temporale superiore con giro di Heschl e planum temporale. Il risparmio di queste circonvoluzioni conferma
la peculiare selettività dell’atrofia e quindi l’ipotesi diagnostica (14, 15).
Un valore aggiunto di notevole importanza sul piano diagnostico rispetto alla malattia di Alzheimer è costituito dalla presenza di alterazioni di segnale della corteccia ma soprattutto della sostanza bianca nelle regioni atrofiche (16). Le alterazioni, costituite da iperintensità nelle immagini appesantite in T2,
ma generalmente più evidenti in quelle in densità protonica e FLAIR, sono modeste nei casi iniziali ma
diventano marcate anche in T2 nelle fasi avanzate. L’osservazione degli strati assiali sopraventricolari permette di riconoscere bene il coinvolgimento della sostanza bianca dei lobi frontali nel centro semiovale che si arresta abbastanza bruscamente al margine anteriore della sostanza bianca sottostante alla
circonvoluzione motoria: le fibre corticospinali, e anche quelle sensitive adiacenti, sono infatti risparmiate (17) (figure 4 e 5).
Nei casi avanzati, quando vi sono alterazioni più sfumate anche nella sostanza bianca parietale che
svaniscono verso le regioni occipitali, è interessante notare come le radiazioni ottiche che formano uno
strato sottile intorno al margine laterale del trigono mantengano il loro segnale normale, risultando così
ben evidenti rispetto al “background” di sostanza bianca alterata (figura 5). Analoghi reperti di risparmio
di segnale si osservano nella sostanza bianca di T1 e del giro di Heschl (17) (figura 5).
Non si osservano reperti di rilievo in fossa posteriore tranne per un aspetto curioso nelle sezioni
assiali a livello del mesencefalo che a prima vista sembra atrofico come nella paralisi sopranucleare progressiva. A ben guardare, invece, vi è un allargamento della cisterna interpeduncolare dovuto ad una
atrofia della parte mediale dei peduncoli cerebrali: questo reperto è dovuto all’atrofia dei fasci fronto-pontini che discendono proprio in questa sede.
215
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 4
A
B
C
D
E
F
G
Demenza frontotemporale: paziente di 67 anni con maggior durata di malattia. Le sezioni sagittali in T1
sull’emisfero sinistro dimostrano una grave atrofia frontale e temporale. In A, l’atrofia temporale risparmia
il giro di Heschl (punta di freccia). In B le circonvoluzioni frontali hanno aspetto “a lama di coltello”; l’esiguo
spazio tra corno temporale dilatato e spazio subaracnoideo silviano indica una grave atrofia dell’amigdala
(punta di freccia). La corteccia nelle regioni centrali (*) è risparmiata mentre vi è una più moderata atrofia
parietale. In C si osserva una grave atrofia del giro cingolato e delle altre circonvoluzioni interemisferiche. D,
immagine in T2, dimostra circonvoluzioni “a lama di coltello” frontali e più modesta atrofia parietale sinistra.
Le immagini in densità protonica (DP) (E-G) dimostrano meglio le alterazioni di segnale che interessano
principalmente la sostanza bianca delle regioni frontali. Il segnale intorno al solco centrale ritorna normale.
216
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
FIGURA 5
A
C
B
D
Demenza frontotemporale familiare legata al cromosoma 17. In questa paziente di 61 anni con 12 anni di
malattia ancora si riconosce nell’immagine assiale in DP (A) il risparmio della sostanza bianca nell’asse
delle circonvoluzioni motorie e parietali ascendenti. Nella sezione coronarica in DP (B) è presente segnale
normale nelle radiazioni ottiche (punte di freccia) che risaltano per le alterazioni della sostanza bianca
circostante. La sezione coronarica in T2 a livello della parte posteriore della scissura silviana (C) dimostra
che la circonvoluzione temporale superiore e il giro di Heschl (punta di freccia) sono relativamente conservati
e con segnale normale rispetto alle altre circonvoluzioni temporali gravemente atrofiche e iperintense.
In sede soprasilviana il segnale è normale in corrispondenza dell’opercolo frontoparietale.
Confronta con il reperto autoptico, a pochi mesi di distanza (D). La colorazione di Bodian mostra la
conservazione della corteccia e della sostanza bianca sottostante intorno al solco centrale e nel giro temporale
superiore (freccia); il restante lobo temporale è gravemente alterato (Cortesia del Prof. O. Bugiani).
217
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
4.
Afasia progressiva
L’afasia progressiva non-fluente e la demenza semantica sono due sindromi comprese nell’ambito
della demenza frontotemporale (8).
Afasia progressiva o afasia progressiva primaria (non-fluente) è un termine introdotto da Mesulam
per descrivere pazienti che presentano un disturbo progressivo del linguaggio senza segni di demenza per
almeno due anni. Altri deficit cognitivi o comportamentali possono poi comparire e il quadro può evolvere generalmente dopo circa 5 anni verso una demenza frontotemporale o, raramente, verso una malattia di Alzheimer. Nella maggior parte dei casi si tratta quindi di un inizio focale nell’emisfero sinistro di
un processo degenerativo del gruppo delle demenze frontotemporali a volte associato a tauopatia, a volte ad inclusioni ubiquitina-positive, più spesso senza una istopatologia distintiva (9, 18).
Pazienti affetti da afasia progressiva possono essere invece fluenti (19). Quando al disturbo di comprensione verbale si associa una compromissione del riconoscimento di facce ed oggetti, si parla in letteratura di demenza semantica. Tuttavia il termine di demenza semantica è usato anche in assenza di
agnosia visiva. Questi pazienti, che possono essere considerati come pazienti con una variante temporale della demenza frontotemporale, presentano pure quindi una forma di afasia primaria progressiva
(18, 20).
Non vi sono sufficienti studi sistematici di RM “morfologica” o “strutturale” in pazienti con afasia
progressiva per poter valutare l’apporto diagnostico offerto dalla RM. Spesso l’attenzione è stata rivolta
piuttosto alla SPECT e più recentemente a studi volumetrici, da cui comunque è possibile trarre un insegnamento per l’interpretazione dei quadri di RM tradizionale (6).
Come è ovvio attendersi, i pazienti con afasia progressiva presentano una atrofia localizzata solo,
o per lo meno predominante, nell’emisfero sinistro. Pazienti fluenti, più numerosi nelle nostre osservazioni, a volte definiti come affetti da “demenza semantica”, presentano una atrofia temporale anteriore sinistra che interessa le regioni polari, temporomesiali, temporali inferiori e temporali laterali con
alterazioni di segnale anche nella sostanza bianca che presenta una lieve iperintensità in densità protonica, T2 e FLAIR (figura 6).
Molto più raramente abbiamo osservato qualche paziente che presentava un deficit del linguaggio
prevalente sul versante espressivo: a volte era riconoscibile una atrofia frontale sinistra prevalentemente
localizzata nella parte anteriore dell’opercolo frontale e nel giro frontale inferiore, aree che includono
l’area di Broca (figura 7). In alcuni casi di afasia primaria progressiva, tuttavia, non si riconoscono alla RM
tradizionale, per lo meno al momento del primo esame, sicure atrofie focali né alterazioni di segnale.
218
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
FIGURA 6
A
B
C
D
E
F
Afasia progressiva fluente o demenza semantica in paziente di 55 anni. Le sezioni sagittali in T1
rispettivamente sull’emisfero sinistro (A) e sull’emisfero destro (B) dimostrano una atrofia temporale,
soprattutto anteriore e media, a sinistra. Le sezioni coronariche appesantite in T2 (C-F) confermano che
l’atrofia temporale sinistra è più grave nelle regioni anteriore e media: è atrofica l’amigdala (D), con corno
temporale notevolmente dilatato; sono assottigliate tutte le circonvoluzioni inferiori e laterali (C-E), con
minima iperintensità della sostanza bianca, più evidente nelle immagini in FLAIR, non mostrate. L’atrofia
si riduce nelle regioni temporali posteriori (F). È presente anche una minima asimmetria dei lobi frontali
per lieve atrofia frontale sinistra, con dilatazione della scissura silviana di questo lato.
219
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 7
A
B
C
D
E
F
Afasia progressiva non fluente in paziente di 52 anni. Le sezioni sagittali in T1 (A-C) dimostrano
che è presente una modesta dilatazione dei solchi in corrispondenza della regione di Broca, opercolare
e frontale inferiore sinistra (A e B), con estensione alla regione temporale antero-superiore.
A destra (C) i reperti sono nei limiti della norma. Le sezioni coronariche in T1 (D, E) confermano la
localizzazione dell’atrofia. Non vi sono sicure alterazioni di segnale in FLAIR (F): è presente solo una
dubbia piccola area di iperintensità cortico-sottocorticale nella parte anteriore dell’insula di sinistra.
Il corno frontale sinistro è modestamente dilatato.
220
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
5.
Demenza da corpi di Lewy
La “demenza da corpi di Lewy diffusi” o “demenza da corpi di Lewy corticali” è una demenza a cui
si associano segni parkinsoniani, deficit fluttuanti dell’attenzione e allucinazioni visive. Costituisce circa il 20% delle demenze degenerative senili (21).
L’identificazione di questa malattia è relativamente recente (metà degli anni ’80), da quando cioè
sono stati introdotti metodi immunocitochimici sensibili, in grado di individuare facilmente i corpi di
Lewy nella corteccia. Purtroppo a questa facilità di identificazione istochimica non corrisponde una facilità di identificazione neuroradiologica. La RM mostra una moderata atrofia, a volte più marcata nelle
regioni frontali, ma senza distribuzioni tipiche, né riconoscibili alterazioni di segnale (figura 8). Si possono osservare in alcuni casi alterazioni compatibili con esiti di ischemia cronica nella sostanza bianca
periventricolare, più frequentemente di quanto si osserva in una popolazione di controllo (22). Le regioni temporomesiali mostrano modesti segni di atrofia, meno marcati rispetto a quelli riscontrati nella
malattia di Alzheimer (21). La diagnosi quindi si basa essenzialmente sulla clinica, sulla risposta al trattamento farmacologico ed eventualmente su studi con SPECT o PET. La RM non risulta di grande aiuto,
se non nella mancata dimostrazione di altre patologie.
FIGURA 8
A
B
C
Demenza da corpi di Lewy diffusi in paziente di 65 anni.
Le sezioni coronariche in T1 sulle regioni frontali posteriori (A) e parieto-occipitali (B) dimostrano
una moderata atrofia prevalente posteriormente. Non vi sono significative atrofie temporali (A).
La sezione assiale in T2 (C) non dimostra alterazioni di segnale. Non vi sono asimmetrie significative.
6.
Degenerazione corticobasale
Descritta per la prima volta da Rebeiz et al. nel 1967, la degenerazione corticobasale è stata meglio
caratterizzata e descritta con l’attuale denominazione solo nel 1989. È quindi logico che sia tuttora relativamente poco conosciuta e perciò sottodiagnosticata sia dal neurologo non specialista nei disordini
del movimento, sia dal neuroradiologo. È possibile prospettare la diagnosi clinica di degenerazione corticobasale in presenza di una sindrome acinetico-rigida, asimmetrica, progressiva, accompagnata da uno
o più dei seguenti segni: aprassia ideomotoria, mioclono, deficit sensoriali corticali, la cosiddetta sin-
221
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
drome dell’“arto alieno”, e disturbi del cammino di natura aprassica e della stabilità. L’evoluzione in
demenza è osservata in circa un terzo dei casi.
In accordo con la asimmetria delle manifestazioni cliniche, anche le alterazioni patologiche sono
asimmetriche; esistono tuttavia casi senza evidenti asimmetrie cliniche e patologiche che probabilmente sfuggono alla diagnosi in vita.
L’atrofia colpisce le regioni frontali posteriori e parietali, comprendendo le aree centrali. Le regioni più atrofiche sono quelle parasagittali. I lobi temporali e occipitali sono risparmiati (23).
L’atrofia interessa sia la corteccia, dove si può dimostrare uno stato spongioso, sia la sostanza bianca sottostante, gliotica, con conseguente dilatazione del ventricolo dal lato affetto, soprattutto nella sua
parte posteriore. L’emisfero più atrofico è quello opposto al lato delle manifestazioni cliniche più marcate. Nei nuclei della base la patologia macroscopica può dimostrare una lieve riduzione delle dimensioni
della testa del nucleo caudato e del talamo, con a volte una lieve colorazione rugginosa del pallido, del
nucleo rosso e della sostanza nera, senza indicazioni di sicure asimmetrie (23). Come già detto, la degenerazione corticobasale è una tauopatia, ma le alterazioni istochimiche e ultrastrutturali della malattia
non verranno trattate in quanto non determinanti sostanziali alterazioni di segnale alla RM.
Il ruolo della RM nella diagnosi di degenerazione corticobasale si è affermato solo nella metà degli
anni ’90, quando per la prima volta neurologi e neuroradiologi si sono resi conto che bisognava osservare la presenza di asimmetrie nei pazienti con atrofia in malattie degenerative; fino ad allora una asimmetria era ricercata e notata solo nei casi di sospetta malattia di Pick (24).
In una sospetta degenerazione corticobasale, il neuroradiologo è sempre in grado di riconoscere il
lato di prevalente atrofia, opposto al lato clinicamente più colpito, anche se non è a conoscenza di quale sia questo lato (figura 9). Questa asimmetria era riconoscibile in 24 su 25 pazienti (96%) nella serie da
noi riportata in Advances in Neurology (25). Le alterazioni atrofiche, nella nostra esperienza, sono spesso più marcate intorno al solco centrale e in regione parietale piuttosto che in sede frontale posteriore;
il giro parietale ascendente è a volte estremamente assottigliato, quasi a lama di coltello (25, 26).
Alterazioni di segnale nella corteccia atrofica sono a volte riconoscibili come tenui iperintensità in
densità protonica; le alterazioni in T2 sono poco apprezzabili per l’iperintensità del liquor adiacente.
Sono più spesso visibili tenui e sfumate iperintensità della sostanza bianca sottostante sia in FLAIR che
in densità protonica ed in T2 (figura 9).
Alterazioni nei nuclei della base non sono generalmente apprezzabili tanto da risultare utili a fini
diagnostici, né in termini di atrofia, né di alterato segnale, anche se una atrofia del putamen è considerata costante da Yekhlef et al. (27). Caduta di segnale in T2 nei putamen, compatibile con un effetto di
suscettibilità magnetica da possibile aumento dei depositi di ferro, analogo a quanto si osserva nella
atrofia multisistemica con prevalenti segni parkinsoniani, è raramente osservata e non riveste pertanto
un significato diagnostico; non è mai stata osservata la stria di iperintensità in T2 sul margine laterale del
putamen che caratterizza a volte questo tipo di atrofia multisistemica (26).
È importante analizzare invece il mesencefalo, poiché l’atrofia del mesencefalo è un elemento diagnostico caratteristico della paralisi sopranucleare progressiva, con cui la degenerazione corticobasale
entra spesso in diagnosi differenziale per lo meno nelle fasi iniziali della malattia.
Nella degenerazione corticobasale si può osservare una minima o modesta riduzione delle dimensioni del mesencefalo (27); non abbiamo mai riscontrato invece una atrofia evidente come si osserva
222
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
nella paralisi sopranucleare progressiva (vedi sezione successiva), per cui l’assenza o presenza di atrofia
mesencefalica costituisce un utile criterio di diagnosi differenziale tra degenerazione corticobasale e paralisi sopranucleare progressiva.
È importante segnalare infine che non è eccezionale osservare casi con alterazioni asimmetriche
FIGURA 9
A
D
G
B
C
E
F
H
Degenerazione corticobasale in paziente di 55 anni con sintomatologia esordita 4 anni prima. Le sezioni
sagittali in T1 (A-C) dimostrano la distribuzione prevalentemente parietale dell’atrofia nell’emisfero
sinistro (A e B). La sezione mediana (C) dimostra un mesencefalo normale. La sezione assiale in T2 (D)
dimostra un’atrofia prevalente in regione parietale sinistra con dubbia iperintensità di segnale nelle
regioni posteriori. Le sezioni coronariche FLAIR (E, F) confermano l’asimmetria dell’atrofia e dimostrano
in modo più evidente le alterazioni di segnale della sostanza bianca. A distanza di due anni le sezioni
assiali FLAIR (G, H) dimostrano progressione dell’atrofia, sempre asimmetrica, e confermano la
distribuzione posteriore delle alterazioni di segnale che interessano anche le regioni centrali.
223
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
posteriori (atrofia e tenui alterazioni della sostanza bianca) che suggeriscono la diagnosi di degenerazione corticobasale, accompagnate da atrofia corticale e alterazioni della sostanza bianca nello stesso emisfero
cerebrale in regione frontale, anche anteriore, come nella demenza frontotemporale a prevalenza frontale (28). Nei casi da noi osservati, all’incertezza diagnostica radiologica spesso corrispondeva una incertezza diagnostica clinica. Casi quindi con aspetti misti esistono e, in mancanza di un riscontro patologico,
non è possibile stabilire una diagnosi precisa. È comunque confortante osservare che anche in questi casi
una discussione clinico-radiologica può portare a conclusioni condivise anche se non definitive.
7.
Paralisi sopranucleare progressiva
Nella paralisi sopranucleare progressiva, conosciuta anche come sindrome di Steele-Richardson-
Olszewski dal nome degli autori che l’hanno descritta nel 1964, l’attenzione degli studi neuroradiologici è stata diretta fin dai tempi della pneumoencefalografia alla dimostrazione di atrofia mesencefalica
che costituisce l’aspetto più evidente di patologia macroscopica.
La presentazione clinica è quella di un parkinsonismo che inizia dopo i 40 anni di età, accompagnato da una paralisi sopranucleare dei movimenti dello sguardo in verticalità, instabilità posturale e
insorgenza più tardiva di moderata demenza. La risposta al trattamento con L-dopa è scarsa o assente.
L’atrofia mesencefalica è ben dimostrabile nelle sezioni assiali ma ancor meglio nella sezione sagittale mediana che permette di valutare sia il diametro antero-posteriore del mesencefalo, sia la sua altezza (figura 10). La sezione sagittale mediana ha il vantaggio di permettere un facile confronto tra
mesencefalo ed il resto del tronco cerebrale, in particolare con il ponte, che, pur presentando una minima riduzione di dimensioni, è sostanzialmente normale. La riduzione in altezza del mesencefalo è rilevabile anche dal cambiamento del profilo superiore del mesencefalo che è normalmente lievemente
convesso superiormente dove determina il caratteristico profilo del pavimento del terzo ventricolo. Nella paralisi sopranucleare progressiva questo profilo si appiattisce per diventare anzi lievemente concavo
con il progredire della malattia. Nei casi molto avanzati il profilo si modifica fino a formare quasi un
imbuto verso l’imbocco dell’acquedotto. Si assottiglia anche il tetto mesencefalico, soprattutto nella sua
parte superiore, sede di integrazione dei movimenti oculari (29, 30) (figura 10). Se si osservano le sezioni assiali o coronariche si riconosce anche un allargamento del terzo ventricolo maggiore rispetto ad un
eventuale concomitante allargamento dei ventricoli laterali (figura 10 D-F). Questo allargamento sproporzionato del terzo ventricolo è testimone di una atrofia più estesa, non solo mesencefalica ma mesencefalo-diencefalica come dimostrato dalla patologia (30). Atrofia mesencefalica è stata osservata nel
75-89% dei casi delle serie cliniche riportate di paralisi sopranucleare progressiva (27, 31, 32).
Per semplificare la valutazione di atrofia, alcuni autori hanno proposto delle semplici misure lineari che risultano efficaci (33). Il diametro sagittale del mesencefalo, misurabile nelle sezioni assiali o in
quella sagittale mediana tra fondo della fossetta interpeduncolare e punto di mezzo del tetto mesencefalico, è tra i 17 ed i 20 mm nei soggetti normali. I pazienti con malattia di Parkinson sono nei limiti normali (17-19 mm), mentre i pazienti con paralisi sopranucleare progressiva presentano un diametro
mesencefalico tra 11 e 15 mm. È stata osservata una sovrapposizione parziale solo con alcuni casi di
atrofia multisistemica con prevalenti segni parkinsoniani (14-19 mm, media 16,7 mm).
224
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
FIGURA 10
A
B
C
D
E
F
G
H
I
Paralisi sopranucleare progressiva. Sezioni sagittali mediane in T1 di tre diversi pazienti con diversa gravità
di malattia. Nei pazienti in cui la diagnosi clinica non era ancora definita al momento dell’esame (A e B)
si osserva un’atrofia mesencefalica con riduzione dei diametri sagittale e verticale e assottigliamento della
parte superiore del tetto. Confronta con il mesencefalo normale della figura 9C. Un’atrofia nettamente più
grave, estesa anche alla porzione superiore del tegmento pontino, è visibile nel paziente con diagnosi
clinica definita (C). L’estensione dell’atrofia a livello diencefalico determina un allargamento del terzo
ventricolo rispetto a quello dei ventricoli laterali (D, stesso paziente di A); notare anche una caduta di
segnale nei putamen. Nel paziente con diagnosi definita (C) le immagini assiali in T2 (E, F) confermano la
marcata atrofia del mesencefalo (E) e del diencefalo, rivelata dall’allargamento del terzo ventricolo (F).
Notare l’iperestensione del capo dimostrata dalla inclusione dei globi oculari nella sezione passante per i
trigoni. Nello stesso paziente le alterazioni di segnale mesencefaliche periacqueduttali estese caudalmente
al tegmento pontino sono meglio visibili nelle immagini in DP (G-I, punte di freccia).
Un aspetto marginale, che tuttavia può suggerire la diagnosi al neuroradiologo al primo colpo d’occhio sull’esame di RM, è dato dalla posizione spesso scorretta del capo del paziente, a volte evidente
anche sulla prima serie acquisita che è spesso quella sagittale: la testa risulta estesa nonostante il pazien-
225
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
te sia stato posto in posizione corretta dal tecnico. La rigidità della muscolatura assile del collo caratteristica della malattia è responsabile di questa estensione, spesso progressiva nel corso dell’esame, tanto
che spesso nelle sezioni assiali correttamente impostate ci si ritrova ad avere i globi oculari sullo stesso
piano dei trigoni dei ventricoli laterali. Invece di lamentarsi col tecnico, conviene osservare il mesencefalo: una atrofia può confermare l’ipotesi diagnostica (figura 10).
Alterazioni di segnale nel tegmento mesencefalico e soprattutto in sede periacqueduttale, dove nelle sezioni patologiche sono più evidenti gliosi e lesioni positive per la tau, sono tenui, visibili come
modeste iperintensità in densità protonica, T2 e FLAIR, a volte con tenue estensione caudale nel tegmento pontino (34, 35) (figura 10, G-I). Alterazioni di segnale nel mesencefalo sono tuttavia apprezzabili solo nel 60% dei pazienti con paralisi sopranucleare progressiva (31); l’atrofia rimane il segno
cardinale per la diagnosi neuroradiologica.
Per quanto riguarda i nuclei della base, è stata osservata una modesta atrofia del lenticolare con
lieve iperintensità del pallido in T2 (32), senza significativi reperti a carico del putamen (30, 36). Atrofia cerebrale diffusa, lieve o moderata, è osservata nella maggior parte dei pazienti, a volte più marcata
nei lobi frontali e temporali (32), senza tuttavia una distribuzione focale e senza le asimmetrie riscontrate
nella degenerazione corticobasale (31).
8.
Malattia di Huntington
Nella malattia di Huntington gli aspetti clinici principali sono costituiti dai movimenti coreici, da
disturbi affettivi ed emozionali e da deterioramento cognitivo sino alla demenza. Quasi il 50% dei pazienti si presenta con sintomi neuropsichiatrici. Oltre alla forma classica, ipercinetica, si può osservare più
raramente una forma acinetico-rigida.
La demenza nella corea di Huntington è caratterizzata da deficit esecutivi nell’organizzazione di
azioni sequenziali, nella pianificazione mentale, e da deficit di flessibilità e di giudizio. La memoria e le
funzioni linguistiche, invece, sono molto meno compromesse anche se la fluenza verbale è diminuita (1).
Il reperto più caratteristico e più noto della patologia macroscopica è l’atrofia della testa del nucleo
caudato, tanto che lo si è ricercato fin dai tempi della pneumoencefalografia. L’atrofia della testa del
caudato determina una ridotta impronta sul profilo laterale del ventricolo e quindi un allargamento del
corno frontale. Questo reperto è ben dimostrato dalla RM particolarmente nelle sezioni coronariche. La
buona definizione morfologica alla RM anche degli altri nuclei dello striato ha permesso di riconoscere
anche l’atrofia del putamen, che in alcune serie è apparsa più marcata di quella del caudato (37, 38).
Tuttavia studi volumetrici più recenti non hanno confermato questo dato: la maggiore atrofia è a carico del caudato, soprattutto nella parte dorsale della testa (39). È stata suggerita una asimmetria dell’atrofia (40), maggiore nello striato di sinistra, anche questa smentita da lavori successivi (41).
L’atrofia progredisce interessando globalmente gli emisferi cerebrali, con marcata riduzione della
sostanza bianca, ma aree più selettivamente colpite sembrano essere la corteccia frontobasale, la corteccia insulare e opercolare, quella intorno al solco intraparietale, il lobulo paracentrale destro, l’ipotalamo
e il tetto mesencefalico (39, 41). L’osservazione dei quadri di RM tradizionale permette tuttavia solo il
riconoscimento dell’atrofia dei nuclei della base e di quella globale emisferica con grave perdita di sostan-
226
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
za bianca. Negli stadi iniziali della malattia, le atrofie focali corticali o sottocorticali descritte sono meno
facilmente apprezzabili e richiedono studi di voxel-based morphometry. È importante notare come gli
studi volumetrici permettano il riconoscimento dell’atrofia anche in fase pre-clinica, la correlazione con
il numero delle triplette di nucleotide CAG, la valutazione della progressione della malattia.
L’applicazione di misure lineari, che pure hanno dimostrato una loro efficacia, per valutare il grado di atrofia del caudato non ha più significato: se si vuole monitorare la progressione della malattia è
necessario utilizzare tecniche volumetriche o altre metodiche che forniscano dati misurabili più sofisticati di semplici misure lineari.
Un aspetto che invece è dimostrabile con la RM convenzionale è una alterazione di segnale costituita da lieve iperintensità nelle immagini in densità protonica ed in T2 che si osserva talora nel neostriato atrofico. Questo reperto è caratteristico della forma rigida, in cui sembra essere correlato con un
maggior depauperamento neuronale (42) (figura 11). A volte tuttavia questa alterazione è riscontrabile
anche in soggetti classificati nella forma classica, ipercinetica. Se i pazienti ipercinetici vengono divisi in
due gruppi, con alterazioni di segnale o senza alterazioni di segnale, si osserva che i pazienti ipercinetici con iperintensità nel neostriato sono più giovani, hanno un inizio di malattia più precoce, hanno
una disabilità motoria grave ma con minor numero di ipercinesie, ed hanno una più grave compromissione cognitiva con maggiori alterazioni delle funzioni esecutive di tipo frontale (43). Poiché la forma rigida può a volte essere di più difficile diagnosi se non è nota una storia familiare, il reperto di
alterazioni di segnale nel neostriato atrofico può rivestire una certa utilità diagnostica.
Ipointensità in T2 compatibili con depositi di ferro o altre sostanze paramagnetiche nei nuclei della
base colpiti sono state descritte da Rutledge (44). Tale reperto in serie numerose risulta del tutto eccezionale.
9.
Malattia di Creutzfeldt-Jakob
La malattia di Creutzfeldt-Jakob, descritta intorno al 1920, è una encefalopatia spongiforme respon-
sabile di una demenza rapidamente progressiva, legata a isoforme abnormi di una proteina denominata proteina prionica (PrP).
La storia della scoperta di questa proteina, i legami con una malattia delle pecore conosciuta da un
paio di secoli, denominata “scrapie”, e le notevoli somiglianze patologiche con il “kuru”, una encefalopatia spongiforme non infiammatoria della popolazione Fore della Nuova Guinea, legata a pratiche
cannibalistiche, rappresentano una delle pagine più affascinanti della storia della medicina. Gajdusek,
che dimostrò la trasmissibilità del kuru mediante inoculazione di tessuto cerebrale malato nel cervello
delle scimmie, ebbe il premio Nobel nel 1966.
Il termine “prione” fu coniato da Prusiner all’inizio degli anni ’80 per indicare le particelle proteinacee infettanti: fino ad allora l’ipotesi principale era che la malattia di Creutzfeldt-Jakob fosse dovuta
a un virus lento.
La malattia di Creutzfeldt-Jakob è sporadica nell’85-90% dei casi, è geneticamente trasmessa in
quasi tutti i restanti casi, con una piccola parte di casi iatrogeni, dovuti ad uso di strumenti chirurgici
contaminati e non perfettamente sterilizzati, ad impianti di dura liofilizzata prelevata inconsapevolmente da cadaveri di soggetti affetti, ecc.
227
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 11
E
A
B
C
D
F
Malattia di Huntington, forma rigida, in paziente di 25 anni con 12 anni di malattia. La testa del nucleo
caudato e il putamen, atrofici, presentano una iperintensità nelle immagini assiali sia in DP (A, B)
sia in T2 (C, D). In T2 il pallido è più ipointenso della norma per l’età del paziente.
Le sezioni coronariche DP e T2 (E, F) dimostrano meglio l’atrofia del caudato con dilatazione
del corno frontale. È presente anche un lieve allargamento dei solchi cerebrali.
228
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
La malattia di Creutzfeldt-Jakob ha una spiccata eterogeneità fenotipica legata: 1) al tipo di proteina prionica patologica, PrPSc (sono presenti due tipi con caratteristiche fisicochimiche diverse); 2) al
polimorfismo metionina/valina (M/V) al codone 129 del gene della proteina prionica (PRNP). Sulla base
delle possibili combinazioni di questi due fattori vi sono sei fenotipi più comuni della malattia, con distribuzione della proteina prionica alterata e della spongiosi parzialmente diverse (45). Le aree più colpite sono comunque il neostriato (nucleo caudato e putamen) e la corteccia cerebrale. Anche la corteccia
cerebellare può essere colpita. Negli stadi avanzati della malattia anche la sostanza bianca è alterata e si
verifica una grave atrofia di tutto il cervello.
La presentazione clinica avviene generalmente dopo i 45 anni di età, con una demenza rapidamente progressiva, mioclonie e disturbi extrapiramidali o cerebellari. Onde trifasiche caratteristiche sono
spesso presenti all’EEG. In un’alta percentuale di casi, l’esame del liquor dimostra la presenza della proteina 14-3-3, che, per quanto non strettamente indicativa della malattia di Creutzfeldt-Jakob, nel contesto clinico appropriato è un utile marker biologico.
L’interesse per questa malattia, che ha un’incidenza di un caso su un milione di persone, è enormemente cresciuto negli scorsi anni per la scoperta di casi umani di variante di malattia di Creutzfeldt-Jakob,
ad esordio solitamente più precoce, legati alla ingestione di carne di bovini affetti da encefalopatia spongiforme. Fortunatamente il rischio di una enorme epidemia di questa variante sembra essersi spento.
La RM ha un ruolo importante nella diagnosi della malattia. In una serie di quasi cento pazienti
sicuramente affetti dalla malattia studiati nel nostro Istituto, alterazioni di segnale nel neostriato, principalmente nella testa del nucleo caudato e nella parte anteriore del putamen, costituite da modeste ma
inequivocabili iperintensità nelle immagini appesantite in densità protonica, T2, e FLAIR, erano riconoscibili in circa il 90% degli esami eseguiti in media durante il quarto mese dal primo sintomo. Le alterazioni di segnale, generalmente simmetriche, sono presenti in un neostriato di dimensioni normali, non
atrofico (figura 12, A-B). Alla RM, il neostriato è la struttura più precocemente colpita o per lo meno quella in cui le alterazioni sono più facilmente riconoscibili qualora non siano disponibili immagini FLAIR o
in diffusione (DWI) che rendono più agevole il riconoscimento di alterazioni corticali. Solo occasionalmente le alterazioni non erano apprezzabili su un primo esame eseguito nelle fasi più precoci della malattia; in vari casi, invece, la RM aveva suggerito la diagnosi corretta prima che il decorso clinico o altri esami
avessero fatto porre l’ipotesi diagnostica di malattia di Creutzfeldt-Jakob. Eccezionalmente si sono osservate tenui iperintensità nelle immagini appesantite in T1 nei nuclei lenticolari, particolarmente nei pallidi. Questa modificazione di segnale è stata correlata in un caso (46) con una quantità marcata di proteina
prionica in questa sede, ma tale correlazione rimane ipotetica.
Un altro aspetto importante è costituito dal coinvolgimento del talamo. Nelle osservazioni dei casi
con variante di malattia di Creutzfeldt-Jakob correlata alla encefalopatia spongiforme bovina è stato messo in rilievo un interessamento patologico spiccato della parte posteriore dei talami, a cui corrisponde una
alterazione di segnale con iperintensità in T2 che supera quella presente nel neostriato. L’iperintensità del
pulvinar è stata perciò considerata diagnostica di variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (47, 48). In
realtà alterazioni della parte posteriore e mediale dei talami si osservano spesso anche nei tipici casi sporadici di malattia di Creutzfeldt-Jakob; in questi, tuttavia, le più marcate iperintensità sono nel neostriato. La prevalenza di iperintensità nel talamo, oltre che normalmente una età nettamente più giovane, è
un dato che deve far prendere in seria considerazione la forma variante.
229
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 12
A
B
C
D
E
F
Malattia di Creutzfeldt-Jakob. Le immagini assiali in DP e T2 (A-B) in un paziente di 64 anni
con 3 mesi di malattia dimostrano una iperintensità del neostriato e una più sfumata alterazione dei
talami. In un paziente di 59 anni esaminato un mese dopo l’esordio della sintomatologia (C-F), le
immagini coronariche in FLAIR (C-D) mostrano una iperintensità a nastro della corteccia interemisferica e
delle convessità, con risparmio delle regioni intorno al solco centrale in prossimità del vertice (D).
Un egualmente esteso coinvolgimento della corteccia ma con iperintensità più cospicua soprattutto
nelle regioni parietali è visibile in DWI (sezioni assiali, E, F).
230
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M O R F O L O G I C A
Un’altra sede da valutare attentamente nella ricerca di alterazioni di segnale è la corteccia cerebrale. Una modesta iperintensità in densità protonica ed in T2 è a volte difficilmente apprezzabile; le immagini in FLAIR sono sicuramente più dimostrative. È noto da tempo, da descrizione di singoli casi o di
piccole serie, che, nella malattia di Creutzfeldt-Jakob, esami RM in diffusione sono più sensibili di quelli eseguiti con le sequenze tradizionali nel dimostrare alterazioni nel neostriato e soprattutto in corteccia. La prima serie sufficientemente ampia in cui la combinazione di esami FLAIR e DWI è stata
dimostrata essere la più efficace nel documentare il coinvolgimento a nastro della corteccia è stata recentemente pubblicata da Young et al. (49). Secondo questi autori, il coinvolgimento della corteccia è più
frequente di quello del neostriato e, con immagini FLAIR e DWI, la sensibilità e specificità del quadro RM
sale ad oltre il 90% (49). Si possono osservare alterazioni a volte estese a gran parte della corteccia cerebrale, a volte in aree più limitate, con coinvolgimento di alcune circonvoluzioni e risparmio di altre
adiacenti senza un “pattern” chiaramente identificabile. Un risparmio della corteccia del giro centrale,
da noi spesso osservato, con interessamento esteso invece di aree frontali e parietali è considerato caratteristico da Young et al. (49) che notano anche un risparmio costante della corteccia calcarina (figura 12,
C-F). A volte è estesamente coinvolto il sistema limbico. In pochi casi è colpita la corteccia cerebellare.
Come prospettato da Parchi et al. (45) gli aspetti neuropatologici e la distribuzione dei depositi di
PrPSc variano
a seconda del tipo di proteina prionica e del polimorfismo al codone 129. Anche se a vol-
te abbiamo osservato dei pattern di distribuzione di segnale nella corteccia e nei nuclei della base apparentemente legati a queste varianti, non è ancora possibile identificare con sicurezza delle correlazioni
attendibili.
Ringraziamenti
Si ringraziano i Dottori Floriano Girotti e Fabrizio Tagliavini per le continue discussioni chiarificatrici e l’aiuto alla comprensione di queste patologie.
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Addendum: Dopo la fine della stesura del capitolo, sono stati pubblicati alcuni articoli sulla paralisi
sopranucleare progressiva e sulla demenza frontotemporale che riteniamo utile segnalare:
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resonance imaging atrophy for frontotemporal lobar degeneration syndromes. Arch Neurol 2005;
62: 1106-1110.
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Whitwell JL, Josephs KA, Rossor MN, et al. Magnetic resonance imaging structures of tissue pathology in frontotemporal dementia. Arch Neurol 2005; 62: 1402-1408.
–
Likeman M, Anderson VM, Stevens JM, et al. Visual assessment of atrophy on magnetic resonance
imaging in the diagnosis of pathologically confirmed young-onset dementias. Arch Neurol 2005;
62: 1410-1415.
234
CAPITOLO 11
DEMENZE DEGENERATIVE:
RM METABOLICO-FUNZIONALE
A. Falini, E. Scola, G. Scotti
Neuroradiologia - Ospedale San Raffaele, Milano
Il crescente perfezionamento delle tecniche di imaging RM ha permesso una progressiva miglior
visualizzazione in vivo delle strutture neuroanatomiche con un elevato contrasto ed una risoluzione
inferiore al millimetro. Questo ha reso possibile il riconoscimento di modificazioni che avvengono nel
cervello quando interessato da patologie di tipo neurodegenerativo consentendo una diagnosi ed, in
alcuni casi, un trattamento. Tuttavia, le modificazioni strutturali che si manifestano nella fase iniziale
delle malattie neurodegenerative sono spesso troppo sfumate o diffuse per essere riconosciute con la
sola analisi di tipo ispettivo delle immagini. Questo ha portato all’introduzione e allo sviluppo di tecniche di misurazione quantitativa del danno tessutale, basate su modelli matematici sensibili alle più
sottili modificazioni delle dimensioni, della posizione, della forma e delle caratteristiche di segnale delle strutture cerebrali coinvolte dai processi degenerativi. Oltre alle tecniche volumetriche, che forniscono informazioni relative all’entità della perdita tessutale, hanno ricevuto grande sviluppo tecniche quali
la Spettroscopia (MRS), le tecniche di Diffusione e Perfusione (DWI e PWI), il Magnetization Transfer
(MTI) e gli studi di attivazione funzionale (fMRI) che, fornendo informazioni di tipo metabolico, ultrastrutturale e funzionale permettono di aggiungere dati importanti per riconoscere e approfondire i meccanismi patogenetici delle diverse malattie fin dalle fase precoci. Nel corso del capitolo saranno riportati
alcuni esempi paradigmatici dell’applicazione delle diverse tecniche metabolico-funzionali nella Malattia di Alzheimer, nella Demenza a Corpi di Lewy, ed in altre forme degenerative meno comuni.
1.
Malattia di Alzheimer
La Malattia di Alzheimer (AD) rappresenta la causa più frequente di demenza negli anziani. Il sin-
tomo dominante all’esordio è solitamente il deficit di memoria; la differenziazione fra il graduale declino delle capacità mnesiche tipico dell’aging fisiologico da quello dell’AD è spesso difficoltoso. La
mancanza di un marker biologico affidabile e la non totale affidabilità della testistica neuropsicologica
in fase iniziale di malattia hanno favorito la ricerca di marker di neuroimaging.
La compromissione precoce della regione antero-mediale del lobo temporale nel corso della malattia ha spinto fin dall’inizio misurazioni volumetriche basate sulla RM che sono in grado di identificare
la perdita tissutale anche nelle fasi iniziali di malattia. Gli studi PET hanno tuttavia dimostrato come vi
235
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
sia una riduzione del metabolismo del glucosio nella porzione posteriore del gyrus cinguli e nella corteccia pericingolare sia nei soggetti con AD iniziale, sia nei portatori asintomatici dell’allele APOE-e4,
indicando la presenza di modificazioni metaboliche precliniche in queste aree. Il dato ha ulteriormente supportato l’utilizzazione di tecniche in grado di dare informazioni di tipo metabolico quali la spettroscopia.
1.1 Spettroscopia
Fin dai primi lavori del 1993 (1) la spettroscopia è stata in grado di dimostrare la riduzione del marker di funzionalità/densità neuronale, l’N-Acetil Aspartato (NAA) e l’incremento del mio-Inositolo (mI)
(figura 1). La riduzione dell’NAA suggerisce una perdita o una disfunzione neuronale. Il picco del mI è
composto principalmente da mI, da Inositolo-1-fosfato e da Glicina. Fra le varie ipotesi è stato postulato che l’incremento di mI sia secondario ad una disfuzione della via dei messaggeri polifosfati o ad un
processo di gliosi di accompagnamento al fenomeno neurodegenerativo.
FIGURA 1
NAA
Cr
Cho
Glx
m-Ins
PPM
A
4
2
0
Spettroscopia ad Idrogeno di un soggetto con AD in cui sono evidenziati in rosso
l’incremento del picco di mio-Inositolo ed il decremento del picco dell’NAA.
In uno dei primi studi eseguiti con tecnica multivoxel e multislice in soggetti con AD probabile,
Tedeschi e coll. (2) erano in grado di dimostrare una perdita di NAA significativa nella sostanza bianca
delle regioni frontale, temporale e parietale di questi pazienti. Sempre con tecnica multivolumetrica e
multislice Shonk e coll. (3) valutavano contemporaneamente i valori di NAA nei diversi lobi cerebrali e
la volumetria della regione ippocampale in soggetti con AD, dimostrando come vi fosse una riduzione
236
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
di NAA nelle stesse aree interessate dal processo patologico (temporale e parietale) e come l’associazione delle due metodiche, spettroscopica e volumetrica, portasse l’accuratezza diagnostica al 95% dall’89%
della sola volumetria.
In lavori eseguiti con tecnica a volume singolo sono state indagate le caratteristiche metaboliche di
soggetti con Mild Cognitive Impairment (MCI), una sindrome caratterizzata da deficit selettivo della
memoria che rappresenta uno stato transizionale fra l’invecchiamento fisiologico e la malattia di Alzheimer. I soggetti con MCI hanno infatti una percentuale di conversione verso la AD del 12-15% annui, decisamente più alta rispetto all’1-2% annuo dei soggetti normali. Gli autori (4) hanno campionato la regione
temporale superiore, il gyrus cinguli posteriore ed il lobo occipitale (figura 2) di soggetti con MCI, di soggetti con AD e di soggetti di controllo, per valutare le modificazioni patologiche nelle diverse fasi, precoce e tardiva, della stessa malattia. Nella figura 3 sono riportati i rusultati esemplificativi dello studio che
ipotizza che la modificazione precoce nella progressione verso la malattia conclamata sia un aumento del
mio-Inositolo rispetto ad una riduzione dell’NAA che si svilupperebbe più tardivamente.
FIGURA 2
A
B
C
Posizionamento dei volumi di interesse nel lobo occipitale (A),
nella porzione posteriore del gyrus cinguli (A) e nel giro temporale superiore (B, C).
Da: Kantarci K, et al. Neurology. 2000 Jul 25; 55 (2): 210-7.
FIGURA 3
NAA
NAA
NAA
Cr
MI
Cr
MI Cho
Control
MI Cho
MCI
Cho
Cr
AD
Esempi di spettri misurati nel gyrus cinguli posteriore in un soggetto di controllo, in un soggetto
con MCI ed in uno con AD. Nel soggetto con AD il picco dell’NAA è ridotto e quello del mI è aumentato.
Nell’MCI predomina l’aumento del picco del mI.
Da: Kantarci K, et al. Neurology. 2000 Jul 25; 55 (2): 210-7.
237
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Non è ancora chiaro se l’aumento del picco del mio-Inositolo sia dovuto ad un’attivazione microgliale o astrocitica, entrambe associate alle placche neuritiche. Possibile infine anche l’origine infiammatoria. Uno dei limiti delle tecniche a volume singolo è quello di poter campionare solo piccoli volumi
di alcune aree cerebrali nelle quali si ipotizza di poter dimostrare modificazioni patologiche precoci.
Un altro approccio possibile è quello di utilizzare tecniche spettroscopiche non localizzate in cui il
segnale deriva da tutto il tessuto cerebrale, includendo la neocorteccia e la sostanza bianca sottocorticale,
componenti ugualmente coinvolte in modo diffuso nella malattia di Alzheimer. Una di queste tecniche
(5) permette di quantizzare la concentrazione di NAA dell’intero encefalo. In uno studio recente compiuto con questa tecnica (6) è stato valutato il grado di compromissione neuroassonale in soggetti con
AD e con MCI confrontandoli con soggetti normali. Nella figura 4 sono riportati alcuni esempi di profili spettrali misurati nei diversi soggetti.
FIGURA 4
Intensity (mA)
1.5
1.0
0.5
A
0.0
-0.5
-1.0
-1.5
100
150
200
Hz
250
300
350
1.5
Intensity (mA)
1.0
0.5
B
0.0
-0.5
-1.0
-1.5
100
150
200
Hz
250
300
350
1.5
Intensity (mA)
1.0
0.5
C
0.0
-0.5
-1.0
-1.5
100
150
200
Hz
250
300
350
Alcuni esempi di profili spettrali misurati in un soggetto normale (A),
in uno con MCI (B) ed in uno con AD (C). L’area tratteggiata rappresenta la concentrazione
di NAA dell'intero encefalo di ognuno dei tre soggetti.
Nella tabella 1 sono riportati i valori medi di volume cerebrale e la concentrazione media di NAA
nei diversi gruppi. I risultati dimostrano come nei soggetti con MCI il volume cerebrale sia intermedio
238
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
fra i valori normali e quelli misurabili nei soggetti con AD, indicando una compromissione strutturale
macroscopica ancora modesta rispetto ai valori di NAA che appaiono nettamente ridotti, indicando
una compromissione ultrastrutturale e/o funzionale neuro-assonale simile a quella della malattia conclamata.
Tabella 1
Soggetti normali
Soggetti con AD
Soggetti con MCI
Volume cerebrale medio (SD) [mL]
1251 (127)
1122 (86)
1184 (94)
Concentrazione media di NAA(SD) [mM]
14.8 (4.2)
10.5 (3.8)
11.5 (3.2)
È probabile che la riduzione di NAA osservabile nei soggetti con MCI sia dovuta ad una disfunzione più che ad una degenerazione neuronale. È inoltre ipotizzabile l’utilizzazione delle concentrazione di
NAA quale marker predittivo di conversione verso una forma di AD conclamata.
Oltre che nella diagnosi precoce di malattia e quale strumento di approfondimento della patogenesi
la spettroscopia è stata utilizzata quale strumento di diagnosi differenziale nei confronti di altre malattie degenerative dementigene. Nella tabella 2 sono riportati i risultati ottenuti utilizzando una tecnica a
volume singolo in una serie di pazienti affetti da malattie dementigene diverse (7).
Tabella 2
Valori dei rapporti fra i principali metaboliti misurati con un volume localizzato nella porzione posteriore del cingolo in
soggetti normali, con AD, con demenza fronto-temporale (FTLD), con demenza corpi di Lewy (DLB) e con demenza vascolare (VaD). Da: Kantarci K, et al. Neurology. 2004 Oct 26; 63 (8): 1393-8.
n
NAA/Cr (range)
Cho/Cr (range)
MI/Cr (range)
Normal
AD
FTLD
DLB
VaD
206
121
41
20
8
1.53 + 0.13
1.42 +
0.12§
1.43 +
0.15§
1.53 + 0.13
1.43 + 0.13*
(1.07 – 1.93)
(1.11 – 1.67)
(1.13 – 1.78)
(1.23 – 1.78)
(1.27 – 1.69)
0.66 + 0.08
0.69 + 0.08#
0.70 + 0.08#
0.73 + 0.10^
0.69 + 0.11
(0.49 – 0.95)
(0.45 – 0.91)
(0.55 – 0.92)
(0.61 – 0.92)
(0.52 – 0.90)
0.65 + 0.08
0.73 + 0.11§
0.76 + 0.09§
0.69 + 0.11
0.64 + 0.08
(0.32 – 0.89)
(0.40 – 0.97)
(0.56 – 1.00)
(0.55 – 0.92)
(0.51 – 0.79)
Metabolite ratios were different from normal on Dunett test: *p = 0.08; #p < 0.05; ^p < 0.01; §p < 0.001.
Dal confronto fra le diverse malattie emerge come la sensibilità della tecnica non sia accompagnata da una pari specificità, desumibile dalle importanti sovrapposizioni dei valori fra i diversi gruppi.
1.2 Diffusione
La diffusione è il moto casuale di molecole d’acqua causato da energia termica. Dalla misura della
diffusione dell’acqua è possibile ottenere informazioni sulla struttura ed architettura del tessuto che altre
tecniche non invasive non sono in grado di fornire (8-10). La diffusione è influenzata dalle componenti strutturali, dalle barriere fisiche e dalle proprietà chimiche di un tessuto. Le alterazioni istologiche del-
239
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
la Malattia di Alzheimer, come la deposizione di amiloide, la degenerazione neuritica e la destabilizzazione citoscheletrica influenzano i valori di diffusione delle molecole di acqua (11).
È possibile studiare separatamente le alterazioni della diffusione nella sostanza grigia e nella sostanza bianca attraverso tecniche di segmentazione, basate sulla soglia dell’Anisotropia Frazionaria (FA) (figura 5), oppure in aree specifiche (ROI - Region Of Interest) (figura 6) dell’encefalo.
FIGURA 5
Maschera di
sostanza grigia
e LCR
FA < 0,17
FA > 0,20
Maschera di
sostanza bianca
Esempio di segmentazione basato sulle diverse caratteristiche di FA della sostanza bianca e di quella grigia.
FIGURA 6
Esempio di posizionamento di ROI per la determinazione dei valori di Diffusione e FA.
240
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
Gli istogrammi dei valori di Diffusione (ottenibile anche per gli indici di Anisotropia) consentono
la rappresentazione grafica della distribuzione dei valori nei pixel dell’intero encefalo o di una segmentazione dello stesso (figura 7).
La diffusione dell’encefalo, calcolata come l’integrale sottostante alla curva dell’istogramma di Diffusione, in pazienti colpiti dalla Malattia di Alzheimer è aumentata rispetto a soggetti controllo (12).
L’altezza del picco della curva (la frazione di pixel corrispondente al più comune valore di Diffusione) è
ridotto e la posizione del picco (il più comune valore di Diffusione) è spostata verso destra, verso valori
più elevati.
Un incremento dei valori di Diffusione è presente anche nella sostanza grigia globale, nella sostanza grigia del lobo temporale (12), del lobo parietale e dell’ippocampo (13). L’aumento della Diffusione è
in accordo con l’evoluzione patologica della Malattia di Alzheimer e sembra essere dovuto sia all’edema
citotossico, conseguente all’attivazione gliale associata alle placche senili, sia all’espansione dello spazio
extracellulare a cui contribuisce la perdita neuronale (11).
FIGURA 7
100
Altezza picco
90
80
70
60
50
40
Rimozione
CSF
30
20
10
0
0
20
Posizione picco
40
60
80
MD
Esempio di analisi istografica delle mappe di diffusività media (MD) applicate ad un encefalo dopo rimozione
del CSF, con indicate le principali misure (integrale della curva, altezza e posizione del picco).
I valori di Diffusione (sia di tutto l’encefalo sia esclusivamente della sostanza grigia) correlano con
lo stato cognitivo globale del paziente (espresso dal MMSE) (12).
Il valore del coefficiente di diffusione misurabile nell’encefalo umano tramite RM è dipendente
dalla direzione lungo la quale venga effettuata la misura, cioè è anistropico; anisotropia che riflette la
struttura delle sottostanti fibre. Questa osservazione ha portato allo sviluppo del modello tensoriale di
diffusione in RM (DTI) (14): dal tensore è possibile derivare il valore della diffusività media (D) e dell’anistropia frazionaria (FA), che è una delle misurazioni più efficaci dell’anisotropia (15), e quindi della
direzionalità del movimento delle molecole d’acqua lungo i fasci di fibre della sostanza bianca (16).
Nei pazienti con AD c’è un considerevole danno microscopico a carico della sostanza bianca non
241
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
riconosciuto dalle sequenze RM convenzionali, ma dimostrato dalla RM col calcolo del Tensore di Diffusione e in particolare dallo studio della Anisotropia Frazionaria (FA), indice dell’integrità delle fibre
assonali (13, 17).
Nella Malattia di Alzheimer le fibre di sostanza bianca che connettono le aree associative presentano
valori ridotti di FA e aumentati di Diffusione dovuti verosimilmente alla degenerazione walleriana degli
assoni conseguente all’atrofia della corteccia associativa. L’aumento della Diffusione della sostanza bianca nei pazienti con AD è infatti dimostrato anche in regioni cerebrali prive di lesioni ischemiche e in
pazienti selezionati per l’assenza di vasculopatia cerebrale evidente allo studio TC, quindi indipendente dal danno microischemico, frequente nei soggetti con AD in quanto anziani (12, 18). L’alterazione dei
valori di diffusione si riferisce inoltre al danno ossidativo di membrana, all’alterazione nell’omeostasi di
fluidi e ioni e alla riduzione del trasporto assonale legato alle disfunzioni citoscheletriche osservate nella Malattia di Alzheimer (19-21).
L’aumento della Diffusione e la riduzione dell’Anisotropia Frazionaria, in pazienti con Malattia di
Alzheimer, sono stati dimostrati nel corpo calloso, in particolare nello splenio, nella sostanza bianca del
lobo frontale, temporale e parietale, nel centro semiovale, nel fascicolo longitudinale superiore, nel cingolo posteriore e nel peduncolo temporale (22-25). Questi risultati sono in accordo con i dati anatomopatologici di rarefazione della sostanza bianca per perdita di mielina, assoni e oligodendrociti (26). Nei
pazienti con Malattia di Alzheimer la sostanza bianca di circuiti motori (capsula interna) o visivi (radiazioni ottiche) del lobo occipitale e dell’area pericallosa ha valori di Diffusione invariati rispetto ai controlli, coerentemente con la presentazione clinica dei pazienti con Malattia di Alzheimer nei quali il
declino cognitivo prevale sui disturbi motori (22).
Vista la stretta correlazione fra il punteggio al MMSE e la Diffusività Media è verosimile che le alterazioni microstrutturali a carico della sostanza bianca associate alla AD contribuiscono al declino cognitivo (22). Al contrario, non è stata trovata una correlazione significativa tra il MMSE e la FA del giro del
cingolo posteriore, mentre la correlazione è significativa se si considera la MD di questa regione; questo
suggerisce che la Diffusività Media, ma non l’Anisotropia Frazionaria, del giro del cingolo posteriore
riflette la progressione istologica della AD: l’ipotesi è che la Diffusione esprima le alterazioni funzionali
del neurone mentre la FA quantifica le alterazioni strutturali, più tardive, della membrana e della guaina mielinica assonale (27). La quantificazione del danno a carico della sostanza bianca potrebbe rivelarsi
utile nel monitoraggio dell’evoluzione della Malattia di Alzheimer.
In un recente lavoro (28) compiuto utilizzando le sole immagini pesate in diffusione (Diffusion
Weighted Imaging o DWI) viene dimostrato come questa tecnica sia sensibile nel riconoscere precocemente le alterazioni ippocampali a livello microscopico, nei soggetti con Mild Cognitive Impairment,
condizione che precede la comparsa della demenza di Alzheimer conclamata (figura 8).
Nell’esperienza degli autori l’imaging in diffusione può aiutare nell’identificare quei soggetti che
progrediranno verso una forma di AD conclamata, in modo perlomeno analogo, se non migliore rispetto alle determinazioni volumetriche dell’atrofia ippoccampale. Risultati analoghi sono stati raggiunti in
un ulteriore lavoro in via di pubblicazione (29) combinando tecniche volumetriche e diffusione tensoriale in soggetti con MCI (figura 9).
242
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
FIGURA 8
A
B
C
Determinazione delle regioni di interesse sulle immagini FLAIR coronali (A) utilizzando come riferimento
le corrispondenti immagini T1 (C). In B le stese aree sono riportate sulle mappe di ADC.
Da: Kantarci K, et al. Neurology 2005; 64: 902-904.
FIGURA 9
Nelle immagini di riferimento (a destra) sono evidenziate le regioni ippocampali utilizzate per la misurazione
dei valori di MD e FA (a sinistra). Lo studio dimostra come i valori di MD siano significativamente più alti in
entrambe le regioni ippocampali nei soggetti MCI rispetto alla popolazione di controllo.
Da: Muller MJ, et al. Neuroimage. 2005 Aug 2.
1.3 Perfusione
La RM di perfusione si avvale del passaggio in bolo di mezzo di contrasto paramagnetico attraverso il parenchima cerebrale, visualizzandolo con una sequenza dinamica T2*; si ottengono così informazioni sull’effetto di primo passaggio del mezzo di contrasto nel microcircolo regionale attraverso le
modificazioni del segnale di risonanza. Durante l’iniezione in bolo del contrasto paramagnetico, vengono acquisite multiple sezioni EPI (ecoplanari) dell’encefalo, ad intervalli di 1-2 secondi; le modificazioni del segnale vengono misurate per ciascun voxel. Si ottengono così delle stime di flusso ematico
cerebrale relativo (rCBF), tempo di picco (TTP) e tempo medio di transito (MTT). In pratica le informazioni ottenute sono simili a quelle della PET, anche se la quantificazione assoluta dei parametri nella
perfusione è più complessa.
243
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Nella Malattia di Alzheimer questa tecnica si è rivelata utile nell’evidenziare aree di ipoperfusione,
in particolare a livello temporo-parietale (30). Più utile si è rivelata l’associazione con studi di Diffusione e analisi volumetrica per corroborare i reperti di ipometabolismo regionale (31). Ancora più promettente uno studio recente in cui la perfusione è stata valutata in soggetti con AD ed MCI utilizzando la
tecnica di Arterial Spin-labeling (32). Nei pazienti affetti da Malattia di Alzheimer gli autori dimostrano
un’ipoperfusione nella corteccia parietale inferiore, nel giro cingolato posteriore e nel giro frontale superiore. Modificando i valori soglia, trovano un’ipoperfusione anche nella porzione inferiore del lobo parietale destro dei soggetti con MCI.
FIGURA 10
A
B
C
Perfusione in pazienti con Malattia di Alzheimer. A: mappe di ipoperfusione. B: mappe di ipoperfusione
corrette per la perfusione cerebrale globale. C: Mappe di perfusione corrette per il volume cerebrale.
La perfusione si mantiene significativamente ridotta nel giro cingolato posteriore e nelle cortecce
associative anche correggendo per il ridotto volume cerebrale.
Le regioni gialle sono quelle con maggiore differenza fra i gruppi.
Da: Johnson NA, et al. Radiology. 2005 Mar; 234 (3): 851-9.
1.4 Magnetization Transfer Imaging
Il Magnetization Transfer Imaging permette una quantificazione accurata delle modificazioni istologiche cerebrali (33, 34). L’MTI è basato sullo scambio di magnetizzazione tra i protoni delle molecole di acqua e i protoni legati alle macromolecole (quali ad esempio la mielina) nei tessuti biologici. Il
valore di Magnetization Transfer dipende dalla concentrazione e dalle interazioni chimiche e biofisiche
tra le macromolecole e può essere quantificato dal calcolo del Magnetization Transfer Ratio. L’analisi
degli istogrammi di MTR permette una stima quantitativa del danno strutturale in precise aree cerebrali e correla con il declino cognitivo nei pazienti affetti da demenza (12, 35-37). La caratteristica più
informativa degli istogrammi si è rivelata essere l’altezza del picco che corrisponde all’entità del danno strutturale cerebrale. Nella Malattia di Alzheimer il valore di MTR è alterato non solo nel lobo temporale mediale ma anche nel lobo frontale. Le modificazioni dei parametri di MTR precedono la
comparsa dell’atrofia e sono presenti anche in pazienti in stadi preclinici della malattia, come la condizione di Mild Cognitive Impairment (38). La misurazione del MTR contribuisce nella diagnosi differenziale tra la demenza a corpi di Lewy e la Malattia di Alzheimer: il valore di MTR dell’ippocampo di
pazienti con demenza a corpy di Lewy è significativamente più alto che nei pazienti affetti da Malattia di Alzheimer (39).
244
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
1.5 Imaging funzionale
La Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) identifica le regioni cerebrali attivate da specifici stimoli e compiti. L’attività cerebrale è misurata sulla base di modificazioni regionali della concentrazione
di deossiemoglobina. Una sequenza rapida pesata in T2*, solitamente Gradient Echo Echo-Planar, è
acquisita durante la presentazione di uno stimolo o lo svolgimento di un compito e a riposo; si effettua
successivamente un confronto per ogni singolo voxel tra le immagini ottenute durante il periodo di stimolo/compito e le immagini ottenute a riposo, creando una mappa statistica di attivazione che può
essere sovrapposta ad un’immagine pesata in T1.
Fin dai primi studi si è visto che la RM funzionale è applicabile nei soggetti anziani normali ed in
quelli con AD (40). Quando sottoposti a compiti di apprendimento questi ultimi dimostrano una relativa riduzione dell’area di attivazione in regione ippocampale (figura 11).
FIGURA 11
Sezioni sagittali, coronali, assiali mostrano l’aumentata attivazione dell’ippocampo e del giro
paraippocampale di sinistra nei controlli confrontati con i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer,
durante un compito di apprendimento. Lo stesso pattern di attivazione è visibile nell’ippocampo
e nel giro paraippocampale destro.
Da: Rombouts SA, et al. AJNR Am J Neuroradiol 21: 1869-1875, 2000.
Studi di fMRI hanno inoltre dimostrato che i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer hanno un’attivazione di aree cerebrali diversa rispetto a controlli sani durante l’esecuzione di compiti diversi.
245
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 12
3
2.5
2
1.5
1
0.5
0
Ridotta attivazione del lobo temporale mediale durante test di memoria in pazienti
con AD lieve rispetto a controlli di pari età non dementi.
Da: Dickerson BC, Sperling RA. Neurorx. 2005 April; 2 (2): 348-360.
Durante la somministrazione di test di apprendimento visivo i pazienti con diagnosi di Malattia di
Alzheimer hanno un’attivazione ippocampale e paraippocampale che è notevolmente ridotta rispetto a
soggetti sani (figura 12) e un’attivazione aumentata in altre aree cerebrali, quali la regione parietale
mediale, il cingolo posteriore e la regione frontale superiore (41). Il reclutamento di altre regioni cerebrali
durante l’esecuzione di compiti potrebbe rappresentare la presenza di processi di compenso del danno
ai circuiti cerebrali (41-45).
I dati di imaging funzionale durante task di memoria hanno mostrato sia una riduzione che un
incremento dell’attivazione delle aree cerebrali implicate nei test mnesici in pazienti con Mild Cognitive Impairement, condizione ad alto rischio di sviluppo di demenza di Alzheimer, se confrontati con soggetti di pari età sani (41-45). La variabilità dei dati di RM funzionale dell’attivazione del lobo temporale
mediale sembra correlare con il grado di compromissione cognitiva nei pazienti MCI. Inoltre la fMRI
sembra poter predire l’evoluzione futura ad AD dei soggetti MCI con rischio genetico di AD in base alle
alterazioni dell’attivazione cerebrale durante test di memoria (46). Un recente studio di RM funzionale
(47) ha dimostrato che i pazienti con MCI che evolveranno a AD reclutano una porzione più ampia del
giro paraippocampale destro nella fase di apprendimento del test di memoria: questo riflette una risposta compensatoria all’accumularsi delle alterazioni patologiche della AD.
Risultati contrastanti si sono ottenuti dallo studio di individui con familiarità per AD e genotipo
APOE e4: alcuni studi riportano una ridotta attivazione nel lobo temporale inferiore postero-mediale
durante prove di denominazione e di fluenza verbale e altri dimostrano un incremento dell’attività ippocampale nelle prove mnesiche (44). Un recente studio ha dimostrato come in soggetti anziani a rischio
di sviluppare la AD in quanto portatori del genotipo APOE e4 è necessario uno sforzo cognitivo maggiore, rispetto a controlli di pari età per raggiungere lo stesso livello di performance (figura 13); ulteriori dati di fMRI mostrano un’attivazione di aree non attivate nei controlli durante lo svolgimento di prove
di apprendimento (48).
246
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
FIGURA 13
Genetic Risk (apo e4 carriers)
Controls (apo e3 carriers)
Difference (Genetic Risk minus Controls)
Mappe di attivazione ottenute durante test di memoria in pazienti con rischio genetico di Malattia di
Alzheimer (portatori di genotipo APOEe4) confrontati con soggetti controllo (genotipo ApoEe3).
Le aree colorate indicano le regioni con significativo incremento di intensità di segnale durante lo
svolgimento di prove di memoria rispetto a periodi di riposo. L’attivazione è presente nelle regioni
temporali e frontali in entrambi i gruppi; tuttavia sia l’intensità di attivazione che l’estensione del segnale
sono maggiori nel gruppo a rischio; questo suggerisce un’attivazione compensatoria.
Da: Bookheimer SY, et al. N Engl J Med 343: 450-456, 2000.
2.
Demenza a Corpi di Lewy
La malattia a corpi di Lewy (LBD) viene ora riconosciuta come la seconda più comune causa di
demenza dopo la malattia di Alzheimer (AD), responsabile di circa il 20% di tutti i casi di decadimento
cognitivo nell’anziano accertati con esame autoptico (49, 50).
Il concetto di LBD ha storicamente avuto una lenta evoluzione nel tempo, fino ad una sua precisa
ed accettata definizione nosologica, avvenuta tra gli anni ’60 e ’80, circa ottant’anni dopo la descrizione delle caratteristiche alterazioni anatomopatologiche (i corpi di Lewy) riscontrate da Friedrich Lewy in
pazienti affetti dalla cosiddetta paralisi agitante (‘shaking palsy’), descritta da James Parkinson nel 1817.
La LBD è stata quindi riconosciuta come un’entità clinica a sé stante, caratterizzata da una sintomatologia progressiva, prevalentemente cognitiva e psichiatrica, e correlata da un punto di vista neuropatologico, alla presenza di inclusioni neuronali (corpi di Lewy LB), evidenziabili mediante colorazioni
immunoistochimiche per l’α-sinucleina e l’ubiquitina, e dei neuriti di Lewy, con distribuzione a livello
della neocorteccia, della corteccia limbica, dei nuclei della base e del tronco encefalico (51, 52).
La triade clinica cardinale che caratterizza la LBD è rappresentata da: 1) compromissione cognitiva
fluttuante; 2) allucinazioni visive persistenti; 3) sindrome parkinsoniana (51).
247
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Le alterazioni rilevabili nella LBD con tecniche convenzionali di risonanza magnetica (RM) sono
tuttora in corso di definizione, riportando dati talora controversi. Tra i reperti più consolidati, una riduzione volumetrica a carico dei lobi temporali e delle strutture ippocampali, ancorchè di entità inferiore
rispetto a quanto rilevato nell’AD, viene generalmente ritenuta suggestiva di LBD (53, 54). Tuttavia, la
maggior parte degli studi eseguiti, è di difficile comparazione, soprattutto a causa della varietà di tecniche adottate (per lo più operatore dipendenti), della selezione dei pazienti, del ristretto numero dei casi
studiati. Risultati più interessanti sembrano emergere dagli studi mirati alla determinazione della volumetria globale o regionale basata su immagini di RM, attraverso numerose tecniche, congegnate al fine
di ottenere valutazioni sempre meno qualitative e più quantitative del volume cerebrale, inteso sia come
misura globale che regionale (vedi relativo capitolo). L’applicazione delle tecniche metabolico-funzionali
nella Demenza a Corpi di Lewy è invece ancora in uno stato iniziale
2.1 Spettroscopia
Il numero di studi di Spettroscopia effettuati in soggetti con LBD è molto esiguo. In uno studio del
2002 Molina et al. (55) hanno valutato un gruppo di 12 soggetti affetti da LBD ed 11 soggetti normali con
una tecnica a volume singolo studiando la sostanza bianca dei centri semiovali e quella grigia della corteccia parietale parasagittale. Gli spettri ottenuti a livello della sostanza bianca dimostrano una riduzione del rapporto NAA/Cr, Glutammato/Cr e Cho/Cr; quelli misurati a livello della sostanza grigia non
differiscono in modo significativo rispetto a quanto osservabile nei soggetti di controllo, in contrasto con
i dati di imaging strutturale di perdita della sostanza grigia in corso di malattia. Nel lavoro di confronto
fra i diversi tipi di demenza, già citato a proposito della Malattia di Azheimer (vedi tabella 2), Kantarci
et al (7) confermano in 20 soggetti con LBD una riduzione non significativa di NAA ma trovano un
aumento del rapporto Cho/Cr simile a quanto osservabile in altre malattie caratterizzate da deficit colinergici quale la AD.
2.2 Magnetization Transfer Ratio
La tecnica di magnetization transfer imaging (MTI) è stata utilizzata in un recente lavoro (56) per
cercare di riconoscere le differenze strutturali regionali dei soggetti con LBD rispetto a quelli con AD (17
e 31 soggetti, rispettivamente). Lo studio ha evidenziato come non vi siano differenze significative nella sostanza bianca frontale fra i due gruppi. Quando l’analisi è stata condotta a livello delle regioni ippocampale, paraippocampale e del cingolo posteriore si è visto come i valori di MTR erano decisamente
inferiori nei gruppi dei pazienti rispetto ai soggetti di controllo (18 soggetti). All’interno del gruppo dei
soggetti affetti da patologia, quelli con LBD dimostravano valori di MTR molto più alti rispetto ai soggetti con AD, quale possibile riflesso di un processo di depauperamento neuronale ippocampale molto
meno spiccato in corso di malattia a corpi di Lewy.
2.3 Diffusione
I processi patologici che modificano l’integrità tissutale, come avviene nel caso della degenerazione
neuronale in corso di LBD, possono determinare un aumento del coefficiente di diffusione, misurabile
in vivo. L’informazione desumibile dalla misurazione regionale del valore di Diffusione e FA può fornire
elementi di approfondimento indiretto sulle caratteristiche microstrutturali che si manifestano nei sog-
248
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
getti con LBD. Partendo da questo presupposto è stato compiuto uno primo studio di diffusione tensoriale
in pazienti affetti da LBD probabile o possibile, mediante l’utilizzo di tecniche strutturali quantitative
(VBM e DTI). Le immagini di DTI sono state analizzate valutando i valori regionali di FA e MD mediante
selezione di ROI in aree strategiche della sostanza bianca ed in alcune strutture nucleari profonde (22). Nella figura 14 sono indicate le diverse aree campionate.
FIGURA 14
Capsula
interna
Putamen
Ginocchio
del corpo
calloso
Area
pericallosale
anteriore
Testa del
nucleo
caudato
Talamo
Lobo
temporale
Area
pericallosale
posteriore
Lobo
occipitale
Lobo
frontale
Lobo
parietale
Esemplificazione delle ROI selezionate con indicata, per ciascuna, la struttura indagata.
In tabella 3 e 4 sono rispettivamente riportati i valori medi di MD e di FA misurati nelle diverse
regioni strategiche della sostanza bianca nella popolazione dei pazienti affetti da LBD e in quella dei
soggetti sani di controllo. Nei soggetti con LBD sono state trovate aree di incremento significativo dei
valori di diffusione nella sostanza bianca delle regioni frontale, parietale e occipitale, nel corpo calloso,
nelle aree pericallosali e nel nucleo caudato. Per quanto concerne il valore di FA questo è risultato significativamente ridotto nella sostanza bianca delle regioni frontale, parietale, occipitale e temporale, nel
corpo calloso e nelle regioni pericallosali.
249
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Tabella 3 - Valori di MD misurati in aree selezionate di sostanza bianca cerebrale nel gruppo di pazienti con
LBD e nella popolazione sana di controllo
Controlli sani
Pazienti con LBD
p (*)
Lobi frontali
0.80 (0.05)
0.94 (0.06)
NS (0.029)
Lobi parietali
0.82 (0.05)
1.00 (0.09)
<0.001
Lobi temporali
0.87 (0.05)
0.91 (0.05)
N.S (0.40)
Lobi occipitali
0.90 (0.08)
1.00 (0.10)
<0.001
<0.001
Corpo calloso
0.85 (0.06)
1.02 (0.13)
Aree pericallosali
0.84 (0.04)
0.96 (0.09)
<0.001
Capsula interna
0.83 (0.04)
0.82 (0.04)
N.S (0.42)
Talami
0.84 (0.02)
0.88 (0.08)
N.S (0.15)
Corpo caudato
0.76 (0.07)
0.91 (0.08)
<0.001
Putamen
0.85 (0.06)
0.94 (0.10)
N.S (0.007)
(*) t-test per campioni non appaiati con correzione di Bonferroni per comparazioni multiple. Vengono considerati statisticamente significativi valori di p<0.005.
LBD = demenza a corpi di Lewy; N.S = non significativo.
MD, diffusività media, espressa nella seguente unità di misura: m2s-1x10-9. Per ciascuna quantità sono riportati il valore
medio dell’intera popolazione e la deviazione standard. Nella colonna adiacente a ciascun gruppo di pazienti sono riportati, quando significativi, i valori di significatività statistica.
Tabella 4 - Valori di FA misurati in aree selezionate di sostanza bianca cerebrale nel gruppo di pazienti con LBD
e nella popolazione sana di controllo
Controlli sani
Pazienti con LBD
p (*)
Lobi frontali
0.32 (0.03)
0.26 (0.03)
<0.001
Lobi parietali
0.34 (0.03)
0.27 (0.07)
<0.001
Lobi temporali
0.25 (0.02)
0.21 (0.02)
<0.001
Lobi occipitali
0.22 (0.04)
0.16 (0.03)
<0.001
<0.001
Corpo calloso
0.66 (0.08)
0.51 (0.06)
Aree pericallosali
0.37 (0.04)
0.30 (0.04)
0.001
Capsula interna
0.45 (0.06)
0.45 (0.04)
N.S (0.91)
Talami
0.31 (0.06)
0.31 (0.07)
N.S (0.83)
Corpo caudato
0.26 (0.06)
0.21 (0.06)
N.S (0.06)
Putamen
0.25 (0.05)
0.20 (0.03)
N.S (0.008)
(*) t-test per campioni non appaiati con correzione di Bonferroni per comparazioni multiple. Vengono considerati statisticamente significativi valori di p<0.005.
LBD = demenza a corpi di Lewy; N.S = non significativo.
FA, anisotropia frazionaria. Per ciascuna quantità sono riportati il valore medio dell’intera popolazione e la deviazione
standard. Nella colonna adiacente a ciascun gruppo di pazienti sono riportati, quando significativi, i valori di significatività statistica.
Lo studio ha confermato, nella LBD, la presenza di alterazioni patologiche a carico di diverse strutture encefaliche. Ha inoltre evidenziato una distribuzione del danno tissutale che sembra essere peculiare
di questa entità nosologica, con un minor coinvolgimento della sostanza bianca del lobo temporale ed
250
D E M E N Z E D E G E N E R AT I V E : R M M E TA B O L I C O - F U N Z I O N A L E
una maggior compromissione di quella del lobo occipitale rispetto alla più comune demenza neurodegenerativa, la AD. Tale differente distribuzione del danno tissutale microscopico suggerisce che le alterazioni riscontrate nella sostanza delle due diverse patologie siano conseguenti ad un processo di
degenerazione walleriana secondario ad un processo degenerativo primitivo prevalentemente a carico di
aree associative diverse, almeno nelle fasi più precoci di malattia. Di interesse, infine, il reperto di alterazioni microscopiche a carico del nucleo caudato: tale rilievo infatti sarebbe in accordo con la presunta natura sottocorticale della LBD.
3.
Altre demenze
Spettroscopia, diffusione, perfusione ed imaging funzionale, sono stati applicati nello studio di
altre malattie dementigene su base neurodegenerativa, perlopiù come report di singoli casi o in casistiche relativamente ristrette. Una delle forme maggiormente indagate, anche se spesso quale confronto
rispetto alla Malattia di Alzheimer, è la Demenza Fronto-Temporale (FTD) con le sue diverse varianti. In
uno dei primi studi di spettroscopia, Ernst et al. (57) confrontavano le modificazioni metaboliche dei soggetti con FTD con quelle dei soggetti con AD in fase precoce, trovando una significativa riduzione dei
valori di NAA e di Glutammato e Glutammina nelle regioni frontali dei primi rispetto ai secondi. In un
lavoro più recente (58) sono state applicate tecniche multivolumetriche per campionare la regione posteriore del cingolo, in soggetti con FTD e con AD, senza riuscire a trovare significative differenze fra i due
gruppi, in analogia con altri lavori simili (7). Iniziali studi condotti con tecnica di diffusione post-mortem (59) ed in vivo (60), indicano come anche in queste forme la diffusione dimostri grandi potenzialità nel rilevare alterazioni microstruturali nelle regioni cerebrali coinvolte dal processo patologico.
4.
Conclusioni
L’impiego delle tecniche RM avanzate nel grande capitolo delle malattie neurodegenerative ha por-
tato contributi di indubbio valore nella dimostrazione in vivo di quanto noto dalla neuropatologia. Pur
non avendo per ora una significatività sufficiente a portare ad una diagnosi clinica nel caso singolo,
sempre più la semplificazione, l’automazione e la maggior affidabilità delle diverse tecniche rendono
possibile una più estesa applicazione con un conseguente potenziale contributo al raggiungimento di
una diagnosi precoce o al monitoraggio di terapie.
Ulteriori miglioramenti possono derivare dall’associazione di tecniche morfologico-funzionali con
studi volumetrici di tipo quantitativo (figura 15) e da ulteriori sviluppi delle singole tecniche, come nel
caso della determinazione dei valori di Diffusione e di Anistropia Frazionaria lungo specifici fasci di fibre
desunti attraverso le motodiche di Fiber-tracking.
251
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 15
Applicazione del modello della Voxel Based Morphometry alle mappe di MD e FA. Nella figura sono
riportati singolarmente i ‘cluster’ di ‘voxel’ con incrementi di MD risultati statisticamente significativi in
un gruppo di pazienti con LBD comparati con quello dei controlli. Ciascun cluster è stato rappresentato
sia su di un ‘template’ di immagini pesate in T1 ad elevata risoluzione anatomica (figura in alto a sinistra),
sia sul ‘template’ delle immagini EPI creato ad hoc per questo studio (figura in basso a sinistra).
A destra, la stessa area è stata proiettata, dopo appropriata conversione delle coordinate spaziali,
sull’atlante stereotassico di Talairach e Tournox (linea rossa). L’utilizzo di questa tecnica può permettere
il riconoscimento di aree di alterata diffusione non desumibili a priori.
Cortesia di M. Bozzali.
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256
CAPITOLO 12
I METODI DI NEUROIMMAGINE
FUNZIONALE NELLE DEMENZE
Daniela Perani, Valentina Garibotto, Stefano F. Cappa
Università Vita-Salute San Raffaele
Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele
Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare-CNR
1.
Introduzione
Le tecniche di neuroimmagine funzionale, in particolare le metodiche di tomografie ad emissione
(PET e SPECT) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno assunto nel corso dell’ultimo decennio un ruolo di crescente importanza per lo studio clinico e la ricerca nel campo delle demenze.
In questo ambito, le applicazioni cliniche delle neuroimmagini funzionali sono molteplici. Ricordiamo: a) la diagnosi differenziale tra le modificazioni di flusso cerebrale e di metabolismo associate
all’invecchiamento normale e quelle che sono indicative delle fasi precoci di una demenza; b) la diagnosi differenziale tra le numerose malattie neurologiche che si possono associare a demenza; c) la valutazione di parametri metabolici e funzionali in vivo e in modo longitudinale degli effetti delle terapie
farmacologiche e degli interventi comportamentali.
Anche le applicazioni di ricerca hanno conosciuto un grande sviluppo, in particolare nell’ultimo
decennio. Ad esempio, la possibilità di correlare quadri specifici di compromissione cognitiva con la
sede prevalente del deficit di flusso o metabolismo ha consentito un importante ampliamento dell’ambito di studio della neuropsicologia tradizionale, basata sullo studio delle conseguenze delle lesioni focali. Un ruolo particolarmente importante in questo ambito hanno avuto gli studi sui quadri di deficit
neuropsicologico progressivo a carattere relativamente selettivo, che hanno fornito notevoli contributi
allo studio delle basi neurologiche della memoria e del sistema semantico.
Un’altra linea di ricerca di notevole rilevanza è quella che utilizza le metodiche dell’imaging molecolare. Essa si basa in particolare sulla possibilità di indagare processi biochimici in vivo mediante l’uso
di traccianti PET e SPECT, che consentono la valutazione in vivo di sistemi di neurotrasmissione, o di
fenomeni patologici quali l’infiammazione o la deposizione di proteine anomale. Si tratta di un ambito
di ricerca di grande complessità sul piano metodologico, ma che appare assai promettente per la comprensione dei fenomeni neuropatologici responsabili delle patologie associate a demenza.
La letteratura internazionale sull’imaging funzionale delle demenze è ormai vastissima. Scopo di
questo capitolo è in particolare porre in evidenza il contributo all’indagine clinica, attraverso una sin-
257
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
tetica revisione della letteratura rilevante e la presentazione di alcune immagini a carattere relativamente
tipico per le principali patologie associate a demenza. Appare tuttavia opportuno sottolineare sin dall’inizio del capitolo che, nella maggior parte dei casi “esemplari” qui presentati (come del resto in generale
in letteratura), la diagnosi è di probabilità, in quanto quasi sempre manca il criterio di certezza che è
derivabile solo dall’indagine anatomo-patologica.
2.
Cenni sulle principali metodiche
I metodi di neuroimmagine funzionale più utilizzati per lo studio delle patologie associate a
demenza sono la tomografia ad emissione di fotone singolo (SPECT) e la tomografia a emissione di
positroni (PET).
PET e SPECT presentano la caratteristica comune di consentire la misurazione in vivo di specifici
processi biochimici cerebrali. Entrambe le metodiche possono quindi individuare modificazioni a livello cellulare, che non si riflettono necessariamente in modificazioni strutturali visibili a livello macroscopico. Una discussione degli aspetti tecnici e metodologici di PET e SPECT può essere reperita, ad
esempio, in Perani e Cappa, 1996.
Date le proprietà differenti dell’emissione di positroni e dell’emissione di fotoni gamma, la strumentazione e gli algoritmi di ricostruzione differiscono tra PET e SPECT. Il principale vantaggio della
PET consiste nella possibilità di inserire in molecole biologicamente rilevanti, senza alterarne le proprietà, radioisotopi emittenti positroni di atomi come il carbonio, l’ossigeno e il fluoro. La SPECT invece presenta il vantaggio di una maggiore disponibilità, dovuta ai costi più contenuti dell’esame.
La SPECT viene abitualmente utilizzata per effettuare una misura semiquantitativa del flusso ematico regionale, ovvero di un parametro funzionale che, in condizioni di normale accoppiamento tra
richiesta metabolica e flusso sanguigno, è strettamente connesso al fabbisogno metabolico. La misurazione quantitativa del flusso ematico cerebrale, così come del consumo di ossigeno, è possibile con la
PET. La maggior parte degli studi PET nelle demenze utilizzano tuttavia come tracciante il [18F]fluorodesossiglucosio ([18F]FDG), che fornisce una misura quantitativa o qualitativa del consumo locale di glucosio, indice diretto dell’attività cerebrale regionale.
La maggior parte degli studi clinici si basa su misurazioni effettuate mentre i soggetti si trovano in
condizioni di riposo. I metodi di analisi dei dati acquisiti sono molteplici, e vanno dalle semplici misure semiquantitative basate sulle regioni di interesse (ROI), tipiche degli studi SPECT, ai metodi più complessi, come quelli sviluppati nell’ambito dello Statistical Parametric Mapping (SPM) (Friston et al., 1995).
Per favorire l’utilizzo clinico di queste tecniche statistiche sono state proposte metodiche per l’automatizzazione dell’analisi dei dati (Signorini et al., 1999; Herholz et al., 2002).
Anche la risonanza magnetica (RM), che si basa su principi fisici completamente differenti, consente di effettuare studi di imaging funzionale. Una applicazione importante è la risonanza magnetica
funzionale (fMRI), che consente di misurare le attivazioni cerebrali locali di soggetti impegnati in compiti sensorimotori e cognitivi (Buxton, 2001). Le modificazioni dell’attività sinaptica si riflettono in una
variazione del flusso ematico che può essere misurata mediante modificazioni locali del rapporto tra emoglobina ossigenata e deossigenata, che sono alla base del segnale BOLD (Logothetis and Wandell, 2004).
258
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
La procedura richiede l’acquisizione di rapide sequenze T2*, di solito immagini ecoplanari a gradiente di
eco, ripetute nel tempo, mentre il soggetto esegue il compito. Con differenti metodi statistici viene poi
indagata la correlazione di ciascun voxel con il compito in esame. La mappa dei voxel significativamente correlati con il compito si sovrappone quindi ad un’immagine anatomica standard o ricavata dagli stessi soggetti sottoposti allo studio funzionale. Misure in vivo di numerosi parametri biochimici sono anche
possibili mediante la tecnica di spettroscopia RM (Kantarci et al., 2004).
3.
La malattia di Alzheimer
Gli studi PET nella malattia di Alzheimer (AD) sono ormai numerosissimi, e hanno dimostrato l’in-
dubbia utilità della metodica in differenti aree della ricerca sulle demenze (Herholz, 2003). Il pattern
funzionale caratteristico in pazienti con AD lieve o moderata è caratterizzato da una riduzione prevalente
a livello temporo-parietale bilaterale del metabolismo del glucosio (figura 1), che rispecchia il deficit perfusionale riscontrato nelle medesime aree con la tecnica SPECT (figura 2).
FIGURA 1
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 18F-FDG PET in un caso di malattia di Alzheimer probabile. È evidente la riduzione di captazione
del radiotracciante che rispecchia l'ipometabolismo a livello delle cortecce associative, in particolare a sede
temporo-parietale bilaterale. È evidente inoltre il risparmio delle cortecce primarie e delle strutture grigie
sottocorticali. La scala colorimetrica si riferisce ai livelli di distribuzione della radioattività
(rosso/viola:valori alti; verdi/blu: valori bassi).
259
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 2
LEFT
SPECT
PET
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studi di perfusione con 99mTc-ECD SPECT e di metabolismo con 18F-FDG PET in un caso di AD probabile.
È evidente un comparabile difetto di perfusione e metabolismo a sede temporo-parietale bilaterale.
Come nel caso dell’AD, in presenza di una condizione patologica associata ad un normale accoppiamento flusso-metabolismo, la SPECT evidenzia alterazioni della perfusione sovrapponibili a quelle
mostrate dalla PET, e costituisce quindi un eccellente strumento diagnostico in ambito clinico.
La riduzione metabolica, che è presente a carico sia del metabolismo ossidativo sia di quello glucidico, si accoppia alla riduzione perfusionale, e non è una semplice conseguenza dell’atrofia cerebrale.
Infatti, correggendo gli effetti di volume parziale legati alla presenza di atrofia, la riduzione dei valori
metabolici resta significativa nei pazienti con AD rispetto ai controlli (Ibanez et al., 1998).
Nelle fasi iniziali della malattia, in accordo con i dati neuropatologici e con l’evidenza clinica di
deficit di memoria, la riduzione metabolica interessa anche le aree temporali mesiali (Perani et al., 1993).
Una riduzione metabolica precoce è riscontrabile anche a livello della corteccia cingolata posteriore
(Minoshima et al., 1997). Con la progressione di malattia, la riduzione metabolica si estende alle aree
associative frontali (figura 3).
Il quadro “tipico” presenta molteplici variazioni a livello individuale. Molto frequente è l’osservazione di pazienti che presentano una riduzione metabolica asimmetrica, spesso con prevalenza sinistra
(Haxby et al., 1985). L’asimmetria correla con la prevalente compromissione neuropsicologica: a livello
verbale per prevalenza sinistra, a livello visuo-spaziale per prevalenza destra (figura 4).
Nei pazienti ove il quadro clinico è caratterizzato da marcata compromissione delle funzioni visuospaziali (la cosiddetta atrofia corticale posteriore, di solito una variante dell’AD) è caratteristica la presenza di marcato ipometabolismo parieto-occipitale (Benson et al., 1988).
L’analisi statistica basata sul confronto tra il soggetto in esame ed un gruppo di controllo, basata su
programmi come SPM, migliora notevolmente il valore diagnostico dell’esame, in particolare nei soggetti
in fase iniziale di malattia (figura 5).
260
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
FIGURA 3
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 8F-FDG PET in un paziente con AD grave e in fase avanzata. Oltre alla tipica riduzione di metabolismo
temporo-parietale bilaterale, è evidente una estensione dell’ipometabolismo anche alle regioni frontali.
FIGURA 4
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 8F-FDG PET in un caso di AD che presenta prevalenti disturbi visuospaziali.
L’ipometabolismo è asimmetrico con prevalente compromissione emisferica destra.
261
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 5
A
B
C
D
Analisi statistica parametrica con procedure SPM. La figura mostra l’immagine di distribuzione di
metabolismo glucidico di un soggetto di controllo normalizzata allo spazio stereotassico (A).
In B, l’immagine 18F-FDG PET di metabolismo glucidico in un soggetto con AD probabile, non
normalizzata allo spazio stereotassico. Le procedure SPM consentono la normalizzazione dello studio PET
del paziente (C) e il confronto statistico con il gruppo di controllo che risulta in mappe di differenza
statistica basate sui valori dei singoli voxels (D). I confronti statistici tra immagini normalizzate
consentono di identificare le regioni in cui il metabolismo glucidico è inferiore in modo statisticamente
significativo rispetto ai valori di norma.
Gli studi sulla sensibilità e specificità diagnostica della PET nell’AD dimostrano un’accuratezza, nella discriminazione dai controlli normali, intorno al 95% (Herholz, 1995). I risultati di uno studio europeo multicentrico hanno dimostrato (utilizzando una casistica di quasi 500 AD e 100 controlli) che la
diagnosi automatizzata di AD è fattibile, con una metodica che ha una sensibilità e una specificità del
93% nella diagnosi del singolo soggetto (Herholz et al., 2002). Nell’ambito del medesimo studio si è
potuta anche dimostrare la correlazione diretta tra gravità del deficit cognitivo e entità della compromissione metabolica (figura 6).
262
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
FIGURA 6
t-sum-AD
300.000
200.000
100.000
0
0
10
20
30
MMSE
Normal range
Correlazione tra entità della compromissione metabolica (t-sum: somma dei voxels patologici) e del deficit
cognitivo (punteggio al Mini Mental Status Examination). Per dettagli vedere Herholz et al., 2002.
Oltre al ruolo importante nella diagnosi differenziale tra AD e invecchiamento normale, la PET ha
un ruolo predittivo sulla probabilità di sviluppo di demenza: Perani et al. (1997) hanno dimostrato in
soggetti portatori di mutazione APP717 e AD familiare, in fase preclinica, la presenza di ipofunzione
regionale cerebrale. Studi recenti hanno dimostrato anomalie metaboliche anche in portatori giovani a
rischio per sviluppare AD per la presenza dell’allele epsilon 4 (Reiman et al., 2004).
La SPECT, data l’ampia disponibilità delle attrezzature e il costo limitato dell’esame, è uno strumento molto diffuso, che è ormai utilizzato in molti centri come esame di routine per la diagnosi di AD.
Il quadro SPECT tipico nelle fasi iniziali dell’AD è quello di una ipoperfusione che interessa le aree associative temporo-parietali dei due emisferi (figura 7).
Anche il deficit di perfusione cerebrale dimostrato dalla SPECT, di solito con traccianti marcati con
99mTc,
presenta una buona correlazione con le caratteristiche neuropsicologiche del quadro di deterio-
ramento cognitivo. Un’asimmetria del deficit di perfusione tra i due emisferi è correlata alla presenza di
asimmetrie nelle prestazioni a test verbali e non verbali (Perani et al., 1988). In condizioni caratterizzate da un accoppiamento tra flusso e metabolismo, come l’AD, l’informazione fornita dallo studio SPECT
è di regola comparabile a quella ottenibile con metodiche PET per la misura del metabolismo glucidico.
Inoltre, l’introduzione di sistemi ad alta risoluzione SPECT ha notevolmente migliorato la qualità della
metodica. Un confronto sistematico tra PET con
18F-FDG
e SPECT ad alta risoluzione con
99mTc-HM-
PAO, nella stessa popolazione di pazienti con AD in fase iniziale, ha confermato l’eccellente correlazione tra i risultati delle due indagini nello stesso soggetto (Messa et al., 1994). Utilizzando un’analisi
semiquantitativa basata sul calcolo di rapporti, la sensibilità della PET nel dimostrare anomalie temporo-parietali si è dimostrata del 100%, quella della SPECT del 90%.
263
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 7
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio
4.
99mTc-ECD SPECT in un caso di AD probabile di entità moderata.
È evidente una ipoperfusione temporo-parietale bilaterale.
Il Mild Cognitive Impairment (MCI)
L’etichetta diagnostica di MCI è da qualche anno utilizzata nella pratica clinica per descrivere un
ampio spettro di disordini cognitivi lievi, che coinvolgono in modo selettivo la memoria, e che, data
l’assenza di impatto funzionale, non sono classificabili come demenza (Petersen et al., 1999). Pur nel
contesto di una notevole eterogeneità, sembra ormai dimostrato che per molti soggetti la condizione di
MCI costituisce una fase prodromica dell’AD. Secondo una recente revisione del concetto di MCI, quadri di deficit selettivo di funzioni non mnesiche, che condividono con il “classico” MCI amnesico l’assenza di impatto funzionale rilevante, potrebbero rappresentare fasi prodromiche di altre patologie con
demenza, quali la demenza vascolare e la demenza frontotemporale (FTD) (Petersen, 2004). Sebbene i
soggetti con MCI presentino un rischio di evolvere in demenza più alto rispetto al resto della popolazione, gli studi prospettici indicano che non tutti i soggetti con MCI svilupperanno una demenza. Le
indagini funzionali hanno fornito delle indicazioni promettenti a livello prognostico. Infatti, la presenza di alterazioni funzionali cerebrali (metabolismo glucidico e perfusione ematica) misurate con la PET
o con la SPECT sembrano essere un fattore predittivo per l’evoluzione verso AD (Chetelat et al., 2003).
Tale risultato, se confermato, appare di notevole interesse clinico, in quanto consentirebbe di selezionare,
nell’ambito di una condizione che appare intrinsecamente eterogenea, sottogruppi di soggetti “a rischio”
264
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
da includere, ad esempio, in studi terapeutici. Nella nostra esperienza, basata su uno studio multicentrico
europeo di un numeroso campione, la PET dimostra una eccellente valore predittivo: infatti, solo i soggetti che sono progrediti ad AD nel corso di un anno presentavano già al momento del primo esame
con FDG un quadro caratteristico per AD iniziale (vedi Anchisi et al., 2005) (figura 8).
FIGURA 8
Risultati di una analisi con procedure SPM in una serie di soggetti con Mild Cognitive Impairment (MCI)
che hanno successivamente dimostrato una progressione ad AD nel corso di un anno
(studio 18F-FDG PET). Le aree di metabolismo glucidico significativamente ridotte rispetto ai controlli
(p<0.001) coinvolgono la corteccia retrospleniale e la corteccia temporo-parietale, bilateralmente.
Inoltre, l’entità della compromissione metabolica nei pazienti MCI correlava anche con l’entità del
deficit di memoria (figura 9).
FIGURA 9
Analisi di correlazione statistica in un gruppo di soggetti con MCI. Le aree evidenziate come
significativamente ipometaboliche sono correlate con i punteggi ai test di memoria a lungo termine.
265
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
5.
La demenza vascolare
I metodi di indagine funzionale giocano un ruolo secondario nella diagnosi di demenza vascolare,
che è invece suffragata dai risultati dell’imaging strutturale (Pullicino et al., 1996). Il reperto di ipoperfusione o ipometabolismo “a chiazze” di regola non aggiunge molto a quanto può essere dimostrato da
una tomografia computerizzata o da una risonanza magnetica, che evidenziano direttamente la presenza di alterazioni parenchimali di origine vascolare.
Va comunque sottolineato che, oltre alle aree direttamente interessate dalla patologia vascolare, i
metodi funzionali possono dimostrare la presenza di aree di ipoperfusione o ipometabolismo corticale
che non corrispondono alla presenza di lesioni strutturali, ma che sono piuttosto secondari ad effetti di
disconnessione dovuta ad interessamento della sostanza bianca (diaschisi). Ad esempio, le immagini
funzionali hanno dimostrato che nei pazienti affetti da demenza vascolare ischemica sottocorticale è
riscontrabile con la PET una marcata compromissione metabolica corticale a livello frontale, che ben
correla con le caratteristiche neuropsicologiche che definiscono il quadro clinico (sindrome disesecutiva) (Reed et al., 2004).
6.
La demenza fronto-temporale
La presenza di anomalie di perfusione e metabolismo nella corteccia associativa frontale ha una
bassa specificità per la diagnosi di AD e, di regola, si osserva sono in fasi relativamente avanzate della
malattia (Herholz, 1995). La relativa selettività di compromissione metabolica e perfusionale a livello
frontale dimostrata dai metodi di indagine funzionale costituisce quindi un importante elemento di
supporto per la diagnosi di demenza frontotemporale (FTD) (Salmon et al., 2003). Va comunque ancora una volta ricordato che una depressione funzionale a prevalenza frontale non esclude la possibilità di
AD a prevalente localizzazione frontale nel singolo paziente. In questa condizione è presente comunque
anche una ipofunzione della corteccia parietale o parietotemporale bilaterale.
Nelle FTD le metodiche SPECT e PET dimostrano principalmente una riduzione di perfusione e di
metabolismo nelle regioni fronto-temporali. Uno studio multicentrico, che ha valutato clinicamente e con
18F-FDG
una vasta casistica di pazienti con FTD, ha dimostrato che l’ipometabolismo rilevabile nelle aree
ventro-polari della corteccia frontale è un marcatore precoce per questa malattia (Salmon et al., 2003).
Le sedi delle alterazioni di flusso e metabolismo presentano una variabilità che è correlata alle manifestazioni neuropsicologiche, che costituiscono l’elemento diagnostico differenziale per le tre principali presentazioni cliniche della FTD: la variante frontale della FTD, la demenza semantica e l’afasia non
fluente progressiva (Neary et al., 1998).
La variante frontale, che è la forma caratterizzata dalla prevalenza dei disturbi comportamentali,
si associa a prevalente compromissione perfusionale e metabolica frontale (Franceschi et al., 2005)
(figura 10).
266
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
FIGURA 10
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 18F-FDG PET in un caso di demenza fronto-temporale.
È presente un marcato ipometabolismo bilaterale a sede frontale e temporale anteriore inferiore.
Nel caso di FTD associata ad afasia progressiva gli studi PET hanno confermato la classica correlazione con l’interessamento delle aree perisilviane dell’emisfero sinistro (Chawluk et al., 1986) (figura 11).
Nei quadri di afasia non fluente progressiva il deficit di produzione di linguaggio si associa a una compromissione funzionale delle porzioni anteriori delle aree del linguaggio (Cappa et al., 1995).
In pazienti con FTD associata a deficit di linguaggio di tipo fluente (demenza semantica) è presente una riduzione focale della perfusione/metabolismo cerebrale a carico della porzione extraperisilviana
del lobo temporale di sinistra (Hodges et al., 1992). Raramente, la prevalente compromissione riguarda
il lobo temporale destro, e si manifesta clinicamente come un’agnosia progressiva (Evans et al., 1995).
267
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 11
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 18F-FDG PET in un caso di afasia lentamente progressiva.
La figura mostra un ipometabolismo nelle aree perisilviane dell’emisfero sinistro.
7.
Altre demenze
Un’altra malattia degenerativa appartenente al gruppo delle taupatie, la paralisi sopranucleare pro-
gressiva, presenta una compromissione funzionale frontale (D’Antona et al., 1985) (figura 12).
Sempre nello stesso gruppo, la degenerazione corticobasale è caratterizzata dalla compromissione
di perfusione o metabolismo asimmetrica, a prevalente localizzazione sottocorticale e corticale frontoparietale (Garraux et al., 2000) (figura 13).
Va sottolineato come la depressione metabolica e perfusionale frontale abbia quindi un carattere
molto aspecifico, in quanto può essere presente anche in altre malattie neurodegenerative, come ad
esempio nella corea di Huntington (Young et al., 1986), oltre che nella demenza vascolare (vedi sopra).
Inizialmente considerata una demenza rara, la malattia a corpi di Lewy è ora ritenuta essere per
frequenza la seconda causa di demenza degenerativa dell’anziano (McKeith et al., 1996). L’imaging funzionale contribuisce alla diagnosi differenziale con AD se dimostra la presenza di depressione metabolica o ipoperfusione occipitale (Colloby et al., 2002) (figura 14).
268
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
FIGURA 12
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 18F-FDG PET in un paziente con paralisi sopranucleare progressiva.
La figura mostra un marcato ipometabolismo emisferico destro, a sede corticale frontale e sottocorticale.
FIGURA 13
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 99mTc-ECD SPECT in un caso di degenerazione corticobasale. È presente una ipoperfusione
emisferica asimmetrica a livello dei gangli della base e della corteccia frontale e parietale di sinistra.
269
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 14
LEFT
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio 18F-FDG PET in un caso di demenza a corpi di Lewy. È evidente, oltre all’ipometabolismo a sede
temporoparietale, anche un marcato ipometabolismo che interessa la corteccia occipitale bilaterale.
Tale localizzazione preferenziale del deficit funzionale non è di frequente osservazione nell’AD, e
appare in buona correlazione con la presenza di allucinazioni visive, e con la frequente compromissione visuospaziale ai test neuropsicologici. Va segnalato che per questa patologia ha particolare rilevanza
lo studio in vivo della neurotrasmissione, che dimostra la marcata compromissione del sistema dopaminergico, che correla con il quadro di deficit extrapiramidale (vedi in seguito).
8.
Le malattie da prioni
In questo ambito di patologia il contributo dei metodi funzionali appare di limitato interesse sul
piano diagnostico. Alcuni studi hanno sottolineato la presenza di ipometabolismo diffuso, spesso asimmetrico, e con frequente estensione anche al cervelletto e alle aree visive primarie, in pazienti con malattia di Creutzfeldt-Jakob verificata neuropatologicamente (Engler et al., 2003). Nella insonnia fatale
familiare è caratteristica la presenza di prominente ipometabolismo talamico a cui si associa ipometabolismo frontale (Cortelli et al., 1997).
270
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
9.
Gli studi di attivazione
Gli studi di attivazione PET e fMRI hanno conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo senza prece-
denti, ed hanno fornito un essenziale contributo alla comprensione delle basi neurali dei processi cognitivi nei soggetti normali (figura 15).
FIGURA 15
La figura mostra attivazioni regionali misurate con tecnica fMRI BOLD
durante un compito cognitivo di lettura di frasi. Le mappe di attività sono ottenute con
procedure SPM e sono sovraimposte all’anatomia MRI in 3D degli stessi soggetti.
271
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
L’applicazione alla patologia, ed in particolare allo studio delle demenze rimane ancora abbastanza limitata, anche se in crescita. Alcuni studi si propongono di valutare l’effetto dell’invecchiamento
sull’attivazione cerebrale in risposta ad un “challenge cognitivo”, secondo il principio teorico di un test
da sforzo.
A titolo di esempio, ricordiamo il classico studio di Grady et al. (1995), che ha valutato soggetti
anziani normali, nella ottava decade di età, mentre eseguivano un compito di memoria di volti. Va ricordato che un risultato piuttosto consistente degli studi di attivazione in soggetti normali impegnati in
compiti di memoria a lungo termine è che le aree prefrontali di sinistra sono particolarmente attive
durante la codifica delle informazioni, mentre il prefrontale di destra ha una prevalenza funzionale
durante la fase di recupero delle informazioni memorizzate (Tulving et al., 1994). La mancata attivazione dell’ippocampo di destra e delle aree frontali di sinistra, come avviene invece in soggetti giovani
durante la fase di encoding, ha portato gli autori a suggerire che queste modificazioni possano essere
correlate al decremento di prestazioni mnesiche in compiti di memoria episodica che è caratteristico
dell’invecchiamento normale. Analoghe modificazioni, in generale caratterizzate dalla perdita del normale pattern di asimmetria emisferica di attivazione presente nei soggetti giovani, sono state osservate
sia in compiti di memoria episodica non verbale (memoria per i volti) (Cabeza et al., 2000) che durante
prove di memoria di lavoro (Reuter-Lorenz et al., 2000). La tendenza all’attivazione frontale bilaterale è
stata interpretata come espressione di un reclutamento di risorse aggiuntive necessario a mantenere un
livello adeguato di prestazione.
La possibilità di applicare metodi di attivazione anche a soggetti affetti da demenza è limitata dalla necessità di collaborazione da parte del paziente, che limita quindi la possibilità di applicare paradigmi complessi, e di studiare soggetti in fasi avanzate di malattia. Risultati interessanti sono stati ottenuti
in soggetti AD mediante la misurazione PET del metabolismo cerebrale del glucosio durante attivazione
con semplici stimoli uditivi o visivi. Questi studi indicano una maggiore sensibilità rispetto agli studi a
riposo nel valutare la gravità della demenza (Pietrini et al., 1999).
Rispetto alla PET, la fMRI presenta il vantaggio di richiedere acquisizioni di breve durata durante l’esecuzione di compiti cognitivi, limitando la richiesta di collaborazione da parte del paziente. Anche con
questa metodica gli studi di attivazione cognitiva durante compiti di memoria hanno dimostrato nei
pazienti attivazioni più estese rispetto ai controlli. Tali attivazioni hanno un possibile carattere compensatorio, dato che correlano con il livello di prestazione (Grady et al., 2003).
La fMRI appare promettente ai fini della diagnosi preclinica di AD (Elgh et al., 2003). Pazienti a
rischio di AD (familiarità e presenza dell’allele epsilon 4) dimostravano una diminuzione dell’attivazione
delle aree temporali inferiori posteriori e del precuneo in un compito di fluenza verbale e denominazione su presentazione visiva (Smith et al., 1999). Anche nel caso di MCI, i pazienti dimostrano una maggiore
compromissione funzionale durante compiti di memoria rispetto ai controlli in aree temporali mediali
(Machulda et al., 2003). Nella FTD iniziale, l’attivazione prefrontale durante un compito di memoria di
lavoro era significativamente ridotta rispetto a quella osservata in pazienti AD (Rombouts et al., 2003).
272
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
10. L’imaging molecolare
L’utilizzo della PET e di traccianti radiomarcati per i siti dei neurorecettori e per l’attività enzimatica consente lo studio in vivo di specifici sistemi di neurotrasmissione, ed in generale apre una finestra
sulla visualizzazione dei processi patologici a livello molecolare. Si tratta di un ambito di applicazione clinica e di ricerca di notevole complessità metodologica, che richiede adeguate risorse di sviluppo e ricerca nell’ambito della radiochimica e neurofarmacologico.
La maggior parte delle applicazioni allo studio delle demenze si sono incentrate su metodiche che
consentono la misurazione in vivo di parametri funzionali relativi ai principali sistemi di neurotrasmissione, in particolare i sistemi dopaminergico, serotoninergico e colinergico, anche se le possibilità di sviluppo sono molto più estese.
Analogamente a quanto si verifica per le misure di flusso ematico e metabolismo regionale, preliminare ad ogni indagine nel campo delle patologie dementigene è la raccolta di informazioni relative alle
modificazioni rilevabili nell’invecchiamento normale. Ad esempio, nel cervello dell’anziano normale si
osserva una perdita di marker pre- e postsinaptici per la dopamina (Volkow et al., 1998). Nel caso del
sistema serotoninergico vi è, con l’età, una diminuzione di legame della
18F-altanserina
ai recettori
5HT2A (20% per decade dopo i 30 anni), anche dopo correzione per l’atrofia cerebrale (Meltzer et al.,
1998). Studi del sistema colinergico con SPECT (Kuhl et al., 1996) e PET (Kuhl et al., 1999) (Lee et al.,
1996) hanno invece dimostrato solo un lieve deficit con l’invecchiamento.
Gli studi nell’AD non sono molto numerosi, ma hanno evidenziato interessanti correlazioni con le
caratteristiche cliniche. Ad esempio, la disfunzione del sistema dopaminergico, caratterizzata da ridotta
densità dei recettori D2, misurata in vivo mediante
11C-raclopride,
correla con la gravità dei disturbi
comportamentali (Tanaka et al., 2003). È presente anche una importante riduzione del recettore serotoninergico di tipo 2A, misurabile in vivo con SPECT and 123I-5-I-R91150 (Versijpt et al., 2003b). Il deficit
colinergico è importante (tra 15 e 30%), e correlato alla precocità dell’insorgenza della malattia (Kuhl et
al., 1999). I deficit del sistema colinergico risultano più marcati per i sistemi di trasporto che per la concentrazione di recettori o per l’attività dell’acetilcolinesterasi. Un recente studio PET (Herholz et al.,
2004) ha valutato l’attività in vivo dell’acetilcolinesterasi (AchE) utilizzando il tracciante MP4A (11C-Nmetil-4-piperidil-acetato), substrato specifico dell’AChE. I risultati dimostrano che la compromissione
del sistema colinergico nei pazienti AD avviene precocemente e inizia nella neocorteccia e nella amigdala, mentre i nuclei della base e il nucleo del Meynert sono relativamente preservati.
Come già detto, le possibilità di imaging molecolare delle metodiche ad emissione non si limitano
alla valutazione delle funzionalità recettoriali, ma consentono anche di indagare aspetti patogenetici a
livello molecolare. Un esempio è costituito dal tracciante PK11195 (PK), che è un ligando selettivo per
il recettore periferico delle benzodiazepine. Questo recettore è presente sulle cellule della microglia e
viene iperespresso in corso di processi infiammatori. Il PK può essere marcato con
123I
o con
11C
ed è
stato usato con SPECT e PET per valutare il grado di attività gliale e di infiammazione in pazienti con probabile AD. Uno studio PET ha dimostrato un aumento dell’attività microgliale nelle aree temporo-parietali, le stesse che appaiono ipofunzionanti agli studi PET con 18F-FDG (Cagnin et al., 2001), mentre uno
studio SPECT più recente ha riscontrato un aumento di captazione del tracciante PK in tutta la neocor-
273
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
teccia, particolarmente nelle aree temporali mediali e in quelle frontali (Versijpt et al., 2003a). Una analoga attivazione è stata osservata nella FTD nelle regioni frontali colpite, suggerendo che il fenomeno
non è direttamente dipendente dalla deposizione di amiloide (Cagnin et al., 2004).
Grande interesse, anche ai fini della valutazione in vivo della efficacia di terapie in corso di sviluppo, ha la valutazione in vivo dei depositi cerebrali di amiloide. Si tratta di un obiettivo difficile, per
raggiungere il quale sono state tentate diverse strategie (Nordberg, 2004). Particolarmente promettenti
sono due ligandi, FDDNP marcato con
18F
e PIB marcato con
11C,
che mostrano una maggiore capta-
zione nei cervelli di pazienti con AD rispetto a soggetti di controllo.
Nella demenza con corpi di Lewy, gli studi dei sistemi di neurotrasmissione hanno un ruolo particolarmente interessante, soprattutto ai fini ai fini della (non facile) diagnosi differenziale con l’AD. La
dimostrazione di una compromissione del sistema dopaminergico pre-sinaptico con tecnica SPECT a
parità di gravità clinica, rispetto ai soggetti con AD sembra poter contribuire ai criteri diagnostici clinici per la malattia (figura 16).
FIGURA 16
LEFT
A
B
DISTRIBUZIONE
DI RADIOATTIVITÀ
Studio SPECT con 99mTc-Ioflupano (radiotracciante per il trasportatore della dopamina a livello
pre-sinaptico). In A, un caso di probabile AD con evidente integrità del sistema nigro-striatale;
in B un caso di LBD, con severa compromissione del sistema bilaterale.
Dati a questo proposito sono stati ottenuti inizialmente mediante PET ed il ligando presinaptico
11C-beta-CIT-FE
(Walker et al., 1999). Studi di ricerca hanno dimostrato una grave riduzione della cap-
tazione di radiotracciante a livello dei gangli della base, confermata anche con analisi statistiche SPM di
confronto tra gruppi di pazienti e soggetti di controllo (figura 17).
274
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
FIGURA 17
RIGHT
DISTRIBUZIONE DI
RADIOATTIVITÀ
4
ANALISI
SPM (p<0.001)
2
0
Z values
Studio PET con 11C-beta-CIT-FE in un paziente con demenza a corpi di Lewy.
L’analisi qualitativa delle immagini evidenzia riduzione bilaterale della captazione del radiotracciante
a livello dei gangli della base, e il confronto statistico SPM con un gruppo di soggetti sani dimostra
una riduzione statisticamente significativa estesa a tutto lo striato.
Una eccellente differenziazione tra invecchiamento normale, AD e LBD è stata dimostrata da Gilman et al. (2004) con 11C-diidrotetrabenazina, un ligando monoaminergico presinaptico per studi PET.
La riduzione di captazione a livello striatale nella LBD era del 50-70% rispetto sia ai pazienti con AD che
ai controlli.
Nelle FTD, esiste una correlazione tra la gravità del quadro extrapiramidale e la riduzione del trasportatore delle dopamina, misurata in vivo mediante il legame di 11C-CFT a livello del putamen e del caudato (Rinne et al., 2002). Inoltre lo studio dei recettori 5-HT2A con il ligando
11C-MDL
ha dimostrato
correlazioni specifiche con il quadro di deficit comportamentali (Franceschi et al., 2005), (figura 18).
Anche le altre taupatie sono state indagate con metodiche di imaging molecolare. In questo ambito, il prevalente interesse clinico riguarda la diagnosi differenziale nell’ambito delle malattie extrapiramidali. Nella PSP è relativamente caratteristica la ridotta captazione di
18F-DOPA
a livello dell’intero
putamen e del caudato, rispetto alla prevalente riduzione nel putamen posteriore dei pazienti parkinsoniani (Brooks et al., 1990). A livello post-sinaptico, una ridotta densità dei recettori D2 è caratteristica della PSP e degli altri “Parkinsonismi atipici” (Schreckenberg et al., 2004). Studi con 11C-CFT e PET nella PSP,
per la valutazione del sistema presinasptico dopaminergico, hanno dimostrato una ridotta captazione del
radiotracciante correlata alla grave degenerazione del sistema nigro-striatale (figura 19).
Recentemente, nella CBD la PET con
11C-PK11195
ha dimostrato una intensa attivazione della
microglia nelle regioni dei nuclei della base e nelle aree frontali, compatibile con la prevalente localizzazione della neuropatologia (Gerhard et al., 2004).
275
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 18
t scores
8.05
5.51
4.12
2.74
Analisi statistica SPM di uno studio PET con 11C-MDL PET per la misura della densità di recettori 5HT2A
in un gruppo di pazienti con demenza frontotemporale. Si riscontra una riduzione statisticamente
significativa (p<0.001) del legame del tracciante, e quindi della concentrazione di recettori 5HT2A,
in corrispondenza della corteccia frontomesiale, frontale dorsolaterale, e del giro del cingolo anteriore.
FIGURA 19
RIGHT
DISTRIBUZIONE DI
RADIOATTIVITÀ
4
ANALISI
SPM (p<0.001)
2
0
Z values
Studio PET con 11C-beta-CIT-FE per la valutazione del sistema di trasporto presinaptico della dopamina
in un paziente con paralisi sopranucleare progressiva. L’analisi qualitativa delle immagini evidenzia
marcata riduzione bilaterale della captazione del radiotracciante a livello dei gangli della base,
e il confronto statistico con procedure SPM dimostra una riduzione statisticamente significativa rispetto
al gruppo di controllo che coinvolge tutto lo striato.
276
I METODI DI NEUROIMMAGINE FUNZIONALE NELLE DEMENZE
11. Conclusioni
Da questa panoramica risulta evidente l’importante contributo clinico e di ricerca delle neuroimmagini funzionali nel campo delle demenze. Per quanto riguarda il contributo diagnostico, è tuttavia
doveroso sottolineare ancora una volta il carattere “ancillare” dei dati di neuroimmagine rispetto alle
informazioni cliniche. A titolo di esempio, come detto sopra, una ipoperfusione o ipometabolismo a
localizzazione preferenziale prefrontale non consente certamente di porre diagnosi di FTD: il dato è compatibile con una forma atipica di AD, o addirittura con una demenza vascolare sottocorticale. È solo il
contesto clinico che consente di formulare una diagnosi che comunque, in assenza di verifica neuropatologia, rimane di probabilità. Il contributo delle neuroimmagini funzionali in vivo, dati i persistenti
limiti della ricerca sui marcatori biologici, appare comunque tutt’altro che trascurabile, ed è in continua crescita quantitativa e qualitativa.
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281
CAPITOLO 13
LA TAC NELLE
DEMENZE SECONDARIE
Marta Spagnoli, Daniela Cevolani, Hodman Ahmed Sheikh Maye, Marco Leonardi
Servizio di Neuroradiologia,
Ospedale Bellaria; Bologna
Numerose e diverse sono le classificazioni, basate su criteri anatomo-patologici, etiologici, prognostici ed età-correlati, che prendono in considerazione la patologia degenerativa del SNC, la quale
può avere una espressione clinica nelle demenze.
Scegliendo il criterio di classificazione anatomo-patologico, in base alla sede delle lesioni, si distinguono due grandi categorie di Sindromi Demenziali: quelle determinate da un danno corticale e quelle
dovute ad un danno sottocorticale.
Anche se la distinzione clinica classica riconosce Demenze Corticali e Sottocorticali, tale distinzione risulta tuttavia controversa, in quanto numerose demenze sottendono contemporaneamente alterazioni sia corticali che sottocorticali ed i danni neuropsicologici conseguenti non sono mai strettamente
specifici dell’una o dell’altra forma.
La sindrome demenziale è costituita da una combinazione di deficit neuropsicologici acquisiti che
limitano l’autonomia e la vita di relazione.
In questo capitolo verranno trattate le Demenze Secondarie, o non Alzheimer, secondo il criterio di
classificazione su base etiologica, con l’eccezione di quelle vascolari e cioè i deterioramenti cognitivi
associati ad altre patologie identificabili, aventi fattori causali ben precisi, potenzialmente curabili e talvolta regredibili.
Le forme sottocorticali che includono la maggior parte delle demenze secondarie sono caratterizzate
da alterazioni del comportamento e dell’umore, associate a disfunzione delle funzioni esecutive ed a
disturbi motori, con minore o più tardiva compromissione delle funzioni strumentali come la memoria
ed il linguaggio.
Tali deterioramenti cognitivi ad insorgenza insidiosa sono inquadrabili anche nelle Demenze Organiche, condizioni caratterizzate da un declino progressivo delle funzioni mentali, rispetto al livello precedentemente raggiunto dall’individuo. Queste ultime forme secondarie sono, infatti, generate da
condizioni neurologiche, metaboliche, endocrine, post-traumatiche, infettive ed espansive del SNC, che
si associano al normale processo d’invecchiamento.
Le nuove metodiche neuroradilogiche, TC dapprima ed RM poi, hanno da alcuni decenni permesso di conseguire enormi progressi, soppiantando definitivamente esami invasivi come l’encefalografia
283
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
gassosa e la ventricolografia con contrasto iodato ed hanno permesso la visualizzazione diretta dell’encefalo, la valutazione delle dimensioni ventricolari e degli spazi subaracnoidei, fornendo, così, parametri indispensabili per una migliore diagnosi neurologica .
Spesso, tuttavia, la diagnosi e l’eventuale terapia giungono con notevole ritardo poiché il paziente, specie se anziano, viene sottoposto ad esame TC solo quando al quadro involutivo mentale, imputato
sovente all’età, si associano altri segni neurologici deficitari.
La valutazione neuroradiologica si basa, una volta esclusa una patologia espansiva neoplastica o
traumatica, su segni diretti ed indiretti, evidenziati dalla TC, i quali consistono in: variazioni di densità, dilatazione ventricolare ed aumento degli spazi liquorali diffuso o localizzato.
È possibile anche quantificare la dilatazione dei solchi e dei ventricoli mediante indici indiretti,
peraltro non specifici e non usati nella pratica quotidiana.
Occorre, inoltre, sottolineare che nel cervello senile, in assenza di sintomatologia involutiva, avvengono modificazioni correlate all’età, a malattie metaboliche sistemiche ed anche all’assunzione di farmaci. Tali modificazioni possono avvenire a carico della sostanza sia bianca che grigia ed essere
caratterizzate da progressiva perdita neuronale ed assonale, con allargamento dei solchi, delle cisterne e
del volume ventricolare, con assottigliamento della corteccia e relativa ipodensità della sostanza grigia
corticale e bianca periventricolare, con depositi minerali a livello dei nuclei grigi. Di conseguenza, verranno presi in considerazione alla TC indici non specifici, che, come tali, dovranno sempre essere messi in relazione alla clinica.
Entrambe le forme di demenza, secondaria propriamente dette e conseguenti ad altre patologie del
SNC, siano esse degenerative, metaboliche o carenziali (Morbo di Parkinson, Corea di Hungtinton, Paralisi Sopranucleare Progressiva, Epilessia Mioclonica Progressiva, Morbo di Fahr, Morbo di Wilson, Demenza Alcolica, Sindrome di Wernicke-Korsakoff, Pellagra, Deficit di Vitamine B12 e Folati) hanno quadri TC
simili e tra loro sovrapponibili, caratterizzati da alterazioni prevalentemente sottocorticali, ma talvolta
associati a danno corticale.
La presenza di demenza nei pazienti affetti da Morbo di Parkinson è più frequente, rispetto a soggetti non parkinsoniani della stessa età. L’insorgenza tardiva della malattia, la gravità precoce e la bradifrenia sono fattori di rischio per l’evoluzione in demenza, tipicamente sottocorticale, ma talvolta con
coesistenza di quadri corticali. La malattia può esordire con disturbi del tono dell’umore e progredire
con un quadro involutivo, tuttavia la TC non potrà fornire che indicazioni generiche. Le modificazioni
TC nel Parkinson (figure 1 e 2), come già sottolineato, sono aspecifiche e caratterizzate da quadri nella
normalità o con dilatazione dei solchi corticali e del sistema ventricolare; si possono evidenziare talvolta minuscoli esiti lacunari in sede mesencefalica a carico della substantia nigra, meglio rilevati con RM.
Il deterioramento intellettivo nella malattia di Hungtington è presente precocemente, ma è di lieve entità e talvolta difficile da evidenziare; a malattia conclamata, il deficit intellettivo è più invalidante, rispetto alla sindrome coreica associata. I deficit neuropsicologici possono coinvolgere: la memoria,
l’attenzione, le funzioni cognitive, il linguaggio e le attività visuo-spaziali. La TC non mostra quadri tipici in quanto riesce raramente ad evidenziare le alterazioni specifiche della malattia di Huntington: l’atrofia dei caudati (figura 3), del putamen e del globus pallidus; talvolta, in una fase tardiva, si può rilevare
modesta atrofia frontale e temporale.
284
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 1
A
B
C
D
E
F
Morbo di Parkinson. Sezioni trasversali TC condotte sul mesencefalo (A), sui nuclei della base (B-C-D)
e sui ventricoli laterali (E-F); il quadro non è specifico in quanto si evidenzia modesta dilatazione dei
ventricoli e degli spazi subaracnoidei. Minuscoli depositi minerali a livello dei nuclei lenticolari (C).
285
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 2
A
B
Morbo di Parkinson. Il quadro non è specifico in quanto si evidenzia unicamente
modesta dilatazione degli spazi subaracnoidei.
FIGURA 3
A
B
C
Morbo di Hungtinton. Sezioni trasversale (A) e coronale (B) condotte sui nuclei della base; atrofia
dei nuclei caudati con dilatazione dei corni frontali (A-B); spazi subaracnoidei ampi in sede frontale (A).
Comparazione con preparato anatomico (C).
286
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
Nel Morbo di Fahr, caratterizzato da alterazioni del metabolismo fosforo-calcio, si possono osservare deficit cognitivi che potranno evolvere verso una demenza. In questo caso, la TC può visualizzare
i tipici depositi minerali a livello dei nuclei della base e dei nuclei dentati (figura 4).
FIGURA 4
A
B
C
Morbo di Fahr. Sezioni trasversali condotte sui nuclei della base (A-B) e sul cervelletto (C); presenza di
cospicui depositi minerali a livello dei nuclei della base (A-B), dei nuclei dentati e dei lobuli cerebellari (C).
Nel Morbo di Wilson, caratterizzato da alterazioni del metabolismo del rame, il deterioramento
delle funzioni cognitive può esordire subdolamente od insorgere in seguito. Alla TC, oltre ad una dilatazione ventricolare, si può osservare atrofia corticale ed ipodensità dei gangli della base (figura 5).
FIGURA 5
A
B
Morbo di Wilson. Sezioni trasversali condotte sui nuclei della base in due casi differenti (A, B): si osserva
ipodensità simmetrica dei nuclei della base localizzata a livello del putamen (A) e del globo pallido (B).
Nella Sclerosi Multipla coesistono sempre disturbi cognitivi che possono insorgere più o meno precocemente; questi deficit, non forzatamente correlati all’intensità dei deficit sensitivo-motori, possono
essere assimilati a quelli delle demenze sotttocorticali. Alla TC, oltre a modificazioni comuni alle altre for-
287
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
me su base degenerativa, si possono individuare le placche di demielinizzazione, visibili come aree di ipodensità periventricolare, talvolta con aspetto di cavità (figura 6).
FIGURA 6
A
B
C
D
Sclerosi Multipla. Aree ipodense multiple di demielinizzazione sono presenti nelle sedi fronto-basale (A),
paraventricolare (B-C) ed emisferica (D), delle quali alcune (C) hanno aspetto di cavità.
In tutte le forme di demenza elencate, la TC è utile unicamente per ipotizzare o avvalorare una diagnosi di deterioramento intellettivo associato ad una precisa forma morbosa, ma non sempre la terapia
medica potrà migliorare il quadro psichico involutivo.
Le altre forme di demenza secondaria, non degenerative e pertanto considerate reversibili, talora
con esordio subdolo (disturbi cognitivi e turbe del carattere), potranno giovarsi di una diagnosi TC precoce e di un possibile intervento terapeutico, spesso chirurgico, che, in alcuni casi, risulterà risolutivo.
Prendiamo come esempio alcune fra le patologie più frequenti ed esaminiamo i loro quadri TC:
esiti di traumi cranici, come gli ematomi subdurali cronici, gli igromi, gli esiti dei focolai lacero-contusivi, l’idrocefalo normoteso, alcune encefalopatie croniche, ed i processi espansivi extra ed intrassiali.
Gli ematomi sottodurali cronici, conseguenza post-traumatica di natura vascolare, per la loro insidiosa e lenta formazione, sono una delle cause più frequenti di improvviso e progressivo deterioramento delle funzioni cognitive, non sempre ipotizzate in pazienti anziani che possono aver subito un trauma
cranico minore misconosciuto. La suddetta patologia è il risultato di sanguinamenti ripetuti associati
288
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
all’attrazione osmotica di liquidi. Alla TC, si evidenzia la falda fluida extracerebrale sottodurale con densità non sempre omogenea, conseguente sia ai diversi stadi della degradazione del sangue, sia alla reazione della capsula, meglio delineata dalla somministrazione di mdc; il quadro è associato ad effetto
compressivo, con dislocazione della linea mediana (figure 7-11). L’effetto compressivo esercitato dall’ematoma, che causa l’aggravamento delle condizioni cliniche, è probabilmente l’evento che fa richiedere la TC come esame di prima scelta.
FIGURA 7
A
B
C
D
Ematoma sottodurale cronico. Sezioni trasversali senza (A-B) e con mdc (C-D). Falda di ematoma a sinistra
con effetto compressivo sulle strutture della linea mediana e sulle circonvoluzioni fronto-insulari (A-B).
Dopo mdc si definisce in maniera migliore la falda sottodurale (D).
Un deficit cognitivo a lenta comparsa o associato a turbe del carattere può essere determinato da
lesioni cerebrali malaciche, esiti di focolai lacerativi e contusivi, o da falde liquorali extracerebrali come
gli igromi (figure 12-14).
289
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 8
A
B
Ematoma sottodurale cronico a destra con “livello” di sanguinamento più recente al suo interno.
Effetto compressivo sulle strutture della linea mediana e sulle circonvoluzioni adiacenti.
FIGURA 9
A
B
Ematoma sottodurale cronico emisferico a sinistra, con recente sanguinamento
al suo interno e dislocazione della linea mediana.
FIGURA 10
A
B
Ematoma sottodurale cronico a destra, con dislocazione della linea mediana.
290
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 11
A
B
Ematoma sottodurale cronico emisferico bilaterale con recente sanguinamento
al suo interno; compressione sulle circonvoluzioni adiacenti e modesta dislocazione
della linea mediana verso sinistra.
FIGURA 12
A
B
Evoluzione di ematoma sottodurale cronico in falda di igroma bilaterale:
si riconoscono al suo interno minimi coefficienti di iperdensità.
FIGURA 13
A
B
Falda di igroma bilaterale più rappresentato a sinistra.
291
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 14
A
B
C
D
Esiti post-traumatici di pregressi focolai lacerativi. Falda liquorale sottodurale bilaterale (C-D)
drenata a destra con residuo; area malacica fronto basale bilaterale più estesa in sede polare a sinistra (A-B).
Nelle manifestazioni più tipiche dell’idrocefalo normoteso, le turbe mentali compaiono dopo le
turbe della marcia ed evolvono in maniera più o meno progressiva. Si osserva un rallentamento, una
riduzione dell’insieme delle attività, un’indifferenza affettiva ed uno stato depressivo o più raramente
maniacale. La presenza di una demenza è un elemento prognostico sfavorevole e risponde meno frequentemente, rispetto alle turbe della marcia, alla terapia chirurgica di derivazione ventricolo-peritoneale. L’idrocefalo è probabilmente secondario ad un’alterazione cronica del riassorbimento liquorale,
conseguente a danno emorragico e/o meningitico pregresso nonché a riduzione dell’elasticità delle pareti ventricolari. Alla TC si evidenzia una dilatazione tetraventricolare, predominante a livello dei ventricoli laterali, in particolare dei corni frontali, che presentano un profilo “arrotondato”, con solchi della
convessità spesso normali od addirittura scarsamente rappresentati (figure 15-20). Nella fase acuta è frequente l’osservazione dell’ipodensità della sostanza bianca periventricolare, per diffusione e riassorbimento liquorale. Talora la diagnosi differenziale con atrofia cerebrale, sia TC che RM, risulta difficoltosa;
tuttavia, in quest’ultimo caso, l’aumento delle dimensioni ventricolari appare più armonico.
292
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 15
A
B
C
D
Idrocefalo normoteso. Sezioni trasversali senza mdc condotte su: quarto ventricolo (A),
terzo ventricolo (B), ventricoli laterali e spazi subaracnoidei (C-D). Dilatazione tetraventricolare
in assenza di riassorbimento transependimale (C); spazi subaracnoidei meno dilatati al vertice (D).
FIGURA 16
A
B
C
D
Idrocefalo normoteso. Sezioni trasversali senza mdc condotte su: quarto ventricolo (A), terzo ventricolo (B),
ventricoli laterali (C) e spazi subaracnoidei al vertice (D). Dilatazione tetraventricolare in assenza di
riassorbimento transependimale; spazi subaracnoidei scarsamente rappresentati (C-D).
293
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 17
A
B
C
D
Idrocefalo ostruttivo da stenosi dell’acquedotto, derivato. Sezioni trasversali condotte su:
quarto ventricolo (A), terzo ventricolo (B), ventricoli laterali (C) e spazi subaracnoidei (D).
Marcata dilatazione triventricolare con quarto ventricolo normale e spazi subaracnoidei meno
rappresentati al vertice; foro di trapano a destra (D) per derivazione rimossa.
FIGURA 18
A
B
C
D
Idrocefalo normoteso. Sezioni trasversali condotte su: quarto ventricolo (A), acquedotto (B),
terzo ventricolo (C) e ventricoli laterali (D). Dilatazione tetraventricolare in assenza di riassorbimento
transependimale; spazi subaracnoidei meno dilatati.
294
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 19
A
B
C
D
Idrocefalo normoteso. Sezioni trasversali condotte su: quarto ventricolo (A), terzo ventricolo (B),
ventricoli laterali (C) e spazi subaracnoidei (D). Dilatazione tetraventricolare in assenza
di riassorbimento transependimale; spazi subaracnoidei scarsamente rappresentati al vertice (D).
FIGURA 20
A
B
C
D
Idrocefalo normoteso derivato. Sezioni trasversali condotte su: quarto ventricolo (A),
terzo ventricolo (B), ventricoli laterali (C) e spazi subaracnoidei (D).
Marcata dilatazione tetraventricolare con modesto riassorbimento transependimale; spazi
subaracnoidei visibili al vertice; sonde di derivazione posizionate all’interno dei ventricoli (C-D).
295
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 21
A
B
C
D
E
F
G
H
Morbo di Creuzfield Jacob (BSE). Sezioni trasversali condotte su: quarto ventricolo (A),
mesencefalo (B-C), terzo ventricolo (D), ventricoli laterali (E-H) e spazi subaracnoidei (E-F-G-H).
Modesta dilatazione tetraventricolare con ipodensità sostanza bianca (G); spazi subaracnoidei dilatati
in regione silviana bilateralmente (E-F); quadro non specifico di atrofia.
296
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
La Malattia di Creutzfieldt-Jakobs (BSE o encefalite spongiforme) è una demenza rara (0,25 casi
/milione abitanti), che interessa una popolazione più giovane rispetto alle altre patologie o alle demenze primarie. È determinata da un’infezione da prioni (particelle virali proteiche termostabili prive di acidi nucleici), che non evocano risposta immunitaria; dalla comparsa clinica il decorso progredisce
rapidamente e fatalmente senza remissioni. Si possono riconoscere forme primitive sporadiche, familiari o secondarie a: trapianti corneali, somministrazione dell’ormone della crescita, impianto di elettrodi cerebrali. Si può manifestare in tre varianti: fronto-piramidale (33%), occipito-parietale (18%),
diffusa corticale con interessamento dei gangli della base (49%). La TC mostra una diffusa atrofia rapidamente progressiva con ampliamento dei solchi e dei ventricoli nel 20% dei casi; raramente si osserva
ipodensità dei lobi occipitali. Ognuna delle varianti può rivelare lesioni talamiche, mesencefaliche, cerebellari o midollari (figura 21).
L’infezione da HIV da sola può essere responsabile di encefaliti e meningiti, acute e subacute. Nell’encefalite subacuta da HIV si avrà una demenza progressiva con alterazioni comportamentali e motorie, apatia, cefalea e crisi epilettiche nel 10% dei casi La TC può evidenziare un quadro di normalità o
un’atrofia con dilatazione degli spazi e dei ventricoli, senza evidenza di alterazioni della sostanza bianca riconoscibili, tuttavia, alla RM (figure 22-23).
FIGURA 22
A
B
C
D
Encefalite cronica da HIV. Sezioni trasversali condotte su: terzo ventricolo (A-B), ventricoli laterali (C-D)
e spazi subaracnoidei (C-D). Modesta dilatazione ventricolare con ipodensità della sostanza bianca;
spazi subaracnoidei dilatati; quadro non specifico di atrofia.
297
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 23
A
B
C
D
E
F
Encefalopatia cronica da HIV. Modesta dilatazione ventricolare (F) con maggior dilatazione
degli spazi subaracnoidei, più accentuata in regione temporale sinistra (A-E);
esiti malacici a livello dei nuclei della base (C-E); quadro non specifico di atrofia diffusa e localizzata.
Processi espansivi extrassiali o intrassiali, localizzati in sede frontale o temporale, possono esordire con un quadro involutivo attribuibile sia ad un deterioramento progressivo delle funzioni cognitive
sia a stati depressivi o maniacali. Alla TC, senza e con mdc, si evidenzia la massa tumorale extra o intrassiale, l’edema perilesionale e l’effetto compressivo esercitato sulle strutture adiacenti (figure 24-29).
298
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 24
A
B
Processo espansivo extracerebrale frontale polare parasagittale: meningioma parzialmente calcificato.
Modesto edema satellite ed effetto espansivo sulle circonvoluzioni adiacenti e sui corni frontali
dei ventricoli laterali (A-B). Sono visibili i rapporti con la falce cerebrale (A).
La diagnosi TC è stata risolutiva, in quanto per questa paziente anziana il deterioramento cognitivo
era stato attribuito ad un processo involutivo senile.
FIGURA 25
A
B
C
Processo espansivo extrassiale frontale basale e polare parasagittale: meningioma parzialmente
calcificato con impianto meningeo prima (A) e dopo (B-C) somministrazione di mdc.
Modesto edema satellite con effetto espansivo.
Concludendo, la TC deve essere utilizzata, in pazienti che presentano una sintomatologia sospetta con turbe del carattere e cambiamento dell’umore, come l’esame di prima scelta e questo per diversi
motivi: l’accesso reso più semplice dalla maggior disponibilità di apparecchiature; la rapidità di esecuzione anche con pazienti non collaboranti; la possibilità di offrire le risposte adeguate ai quesiti clinici
per le opportune scelte terapeutiche; il minor costo dell’esame rispetto ad una RM. Infine, nelle forme
demenziali, la TC è l’esame che ha permesso di raggiungere il primo obiettivo della Neuroradiologia:
escludere la presenza di patologie endocraniche suscettibili di trattamento chirurgico o medico, con conseguente possibile recupero parziale o totale della sintomatologia.
299
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 26
A
B
C
D
Processo espansivo intrassiale frontale polare a destra con compressione sulle circonvoluzioni adiacenti.
Sezioni trasversali prima (A-B) e dopo (C-D) somministrazione di mdc.
Edema e dislocazione della linea mediana (A); dopo mdc (C-D) si osserva una tenue impregnazione
in assenza di miglior definizione della lesione.
FIGURA 27
A
B
Processo espansivo frontale polare mediano: astrocitoma anaplastico. Sezioni trasversali prima (A)
e dopo (B) somministrazione di mdc. Edema ed effetto compressivo sui corni frontali; dopo mdc (B)
si osserva tenue impregnazione in assenza di miglior definizione della lesione.
300
L A TA C N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 28
A
B
Processo espansivo frontale polare mediano a densità disomogenea: dermoide. Effetto compressivo.
FIGURA 29
A
B
Processo espansivo frontale mediano a struttura lipidica con depositi minerali alla periferia:
lipoma del corpo calloso. La lesione esercita un effetto compressivo che può essere la causa
del deterioramento mentale.
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LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
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302
CAPITOLO 14
LE DEMENZE SECONDARIE:
RUOLO DELL’IMAGING
MORFOLOGICO
A. Beltramello, E. Piovan
Servizio di Neuroradiologia
Azienda Ospedaliera Verona
Le demenze secondarie rappresentano una relativamente piccola percentuale di casi di deterioramento mentale, non essendo superiori al 10-15% di tutte le forme diagnosticate, ma vanno sempre
attentamente ricercate perché curabili e dunque potenzialmente reversibili. Il riconoscimento di queste forme è di fondamentale importanza in quanto può consentire un trattamento precoce e tempestivo della patologia sottostante, sia di tipo organico propriamente detto che tossico o carenziale,
potendo determinare un miglioramento talora anche drammatico dei disturbi cognitivi e riuscendo in
una percentuale non trascurabile a portare a piena guarigione. Questo risulta tanto più vero nei Pazienti anziani in cui il delicato equilibrio omeostatico cerebrale si può presentare particolarmente labile:
ne consegue che condizioni patologiche che nell’adulto si manifestano con una sintomatologia ben
codificata e definita, nell’anziano si esprimono particolarmente con disturbi cognitivo-comportamentali, talora fuorvianti per la corretta diagnosi (12); una chiara testimonianza di questo è data dai
meningiomi intracranici che nell’anziano si manifestano, come si vedrà in seguito, molto più frequentemente con disturbi cognitivo-comportamentali rispetto al giovane. L’esatta prevalenza delle
forme di demenza secondaria non è chiaramente codificata anche se le casistiche attuali si attestano
attorno al 10-15% (18). Questa discreta forbice dei dati riscontrati pone il problema della estensiva
applicazione delle metodiche di imaging a questo tipo di Pazienti: se infatti può sembrare costoso e
non del tutto giustificato sottoporre numerosi Pazienti a indagini quali la Risonanza Magnetica (RM)
non sempre facilmente disponibili e dal costo elevato, dall’altra parte la possibilità che venga diagnosticata una forma di demenza secondaria trattabile fa sì che almeno una volta nel corso della patologia che ha portato a deterioramento cognitivo sia del tutto giustificato ed anzi doveroso sottoporre
i Pazienti ad Imaging morfologico. Solo per poche delle forme di demenza secondaria l’indagine di
Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) si rende sufficiente (ad esempio per la patologia espansiva
di tipo tumorale quale meningiomi o glomi), mentre per la stragrande maggioranza delle altre forme
l’indagine di RM è quella che riesce a rispondere più accuratamente alle esigenze del clinico, magari
avviando poi il Paziente ad ulteriori, più sofisticate indagini quali la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET).
303
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Una sommaria classificazione delle demenze secondarie (tabella 1) deve almeno prendere in considerazione le più frequenti forme di patologia intracranica, sia di tipo espansivo che idrocefalico che vascolare, la patologia endocrina e quella infettiva oltre che naturalmente gli stati carenziali e le cause tossiche.
Tabella 1 - Classificazione delle demenze secondarie
Patologia intracranica
A. espansiva:
tumori
ematoma subdurale
B. idrocefalica:
idrocefalo “normoteso”
C. vascolare:
fistole artero-venose durali
Patologia endocrina
– ipo/ipertiroidismo
– ipo/iperparotidismo
– ipo/ipercorticosurrenalismo
Patologia infettiva-infiammatoria
– neurolue
– encefalopatie prioniche
– encefaliti virali
– ascessi cerebrali
Stati carenziali
– ipovitaminosi B12
– deficit di folati
– deficit di niacina (vitamina PP)
Cause tossiche
– alcoolismo
– siderosi
– farmaci
– intossicazione da metalli pesanti (mercurio, arsenico, tallio)
1.
Patologia intracranica
1.1 Patologia espansiva
Tra le forme espansive di tipo tumorale, le più frequenti cause di demenza secondaria sono i processi espansivi dei lobi frontali o dei lobi temporali; inoltre è da sottolineare che la patologia espansiva più
frequentemente associata a deterioramento cognitivo è quella di tipo benigno, riscontrandosi dunque
soprattutto forme di tipo meningiomatoso. È meno frequente, infatti, che i gliomi ed in modo particolare i glioblastomi o gli astrocitomi anaplastici del corpo calloso (figura 1) o delle regioni fronto-temporali
(figura 2) riescano a determinare un vero e proprio deterioramento cognitivo, essendo invece responsabili
più spesso di sindromi frontali ad esordio rapido, dato che la durata della sintomatologia in queste forme
tumorali non è mai di lunga durata. I meningiomi più frequentemente causa di demenza secondaria sono
quelli della fossa cranica anteriore ed in modo particolare quelli della doccia olfattoria (figura 3), del planum etmoido-sfenoidale, della piccola ala sfenoidale (figura 4), della clinoide anteriore o quelli ad estrin-
304
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
secazione dal tubercolo sellare; meno frequentemente possono essere presenti meningiomi del III anteriore
della falce cerebrale (figura 5). È da rilevare, come prima anticipato, che nella popolazione anziana il deterioramento cognitivo rappresenta il sintomo più frequente, essendo in questa fascia di popolazione la
funzione cognitiva superiore talora a livelli “border line”, relativamente facili da superare per forme espansive di notevole volume quali appunto possono rivelarsi talora i meningiomi. Non è eccezionale che grossi meningiomi della doccia olfattoria (figura 3) possano estrinsecarsi per molto tempo portando a
importanti forme di demenza secondaria, essendo molto spesso l’altro sintomo da loro determinato, cioè
l’assenza dell’olfatto, generalmente trascurato e non riportato dal Paziente.
FIGURA 1
A
B
C
D
Glioblastoma del corpo calloso. Indagine RM nei piani assiali, pesata in T2 (A), densità protonica (B),
Flair (C) e T1 dopo Gadolinio e.v. (D). Esteso processo espansivo infiltrativo che interessa il ginocchio
del corpo calloso con estensione bilaterale nei lobi frontali, aree di degenerazione cistica
e necrotica associate ed impronta anteriore sui corni frontali.
305
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 2
A
B
C
D
Astrocitoma anaplastico della regione temporo-insulare di sinistra. Indagine RM nei piani assiale (A, B),
coronale (C) e parasagittale (D) pesata in T2 (A) e T1 dopo Gadolinio e.v. (B-D). Esteso processo infiltrativo
contornato da importante alone di edema perilesionale della regione temporo-insulare di sinistra con aree di
degenerazione necrotica al suo interno e significativo spostamento del sistema ventricolare verso destra.
306
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 3
Meningioma della doccia olfattoria. Indagine RM sul piano assiale T2-pesata. Voluminosa formazione
espansiva extra-assiale, circondata da “cuscinetto” liquorale in corrispondenza della base cranica anteriore
mediana a livello della doccia olfattoria, associata ad importante alone di edema vasogenico perilesionale che
si estende ad interessare entrambi i lobi frontali, con impronta sui corni frontali d’ambo i lati.
FIGURA 4
A
B
Meningiona della piccola ala dello sfenoide di destra: (A) indagine Angio-TAC; (B) indagine RM T2-pesata
nel piano assiale. All’indagine Angio-TAC è riconoscibile voluminosa formazione espansiva dell’ala sfenoidale
di destra che esercita marcata impronta sugli assi vascolari contigui ed in particolare determina sollevamento
dell’arteria cerebrale media di destra (freccia) e latero-deviazione verso sinistra dell’arteria cerebrale anteriore;
all’indagine RM è evidente la formazione espansiva extra-assiale contornata da esteso alone di edema
vasogenico perilesionale che si estende posteriormente fino a livello temporo-occipitale con marcato
spostamento verso sinistra del sistema ventricolare.
307
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 5
A
B
C
D
Meningioma del III anteriore della grande falce cerebrale. Indagine RM pesata in T1 dopo
somministrazione di Gadolinio per via endovenosa nei piani assiale (A), sagittale (B), coronale (C, D).
Estesa formazione espansiva extra-assiale che interessa il III anteriore della falce con maggiore espansione
verso destra, marcato alone di edema vasogenico perilesionale più espanso a destra ed importante
dislocazione inferiore del corpo calloso.
Anche gli ematomi subdurali cronici possono associarsi a sindromi frontali ed essere causa di demenza secondaria (figura 6). Più frequentemente l’ematoma subdurale cronico che si associa a demenza secondaria è del tipo bilaterale (figura 7), talora scarsamente visibile alla indagine TAC e ben risolto invece
dall’indagine RM: in queste forme i deficit neurologici a focolaio possono essere spesso scarsamente presenti, prevalendo la sindrome frontale di deterioramento cognitivo, atassia e disturbi sfinterici.
308
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 6
A
B
Ematoma sottodurale cronico della convessità di sinistra. L’indagine RM T2-pesata nel piano assiale (A)
e T1-pesata in quello coronale (B) dimostra raccolta ematica sottodurale della convessità di sinistra,
marcatamente iperintensa in T2 e in T1, ascrivibile a sangue non coagulato; ben evidente la localizzazione
sottodurale della lesione e l’impronta esercitata sull’emisfero cerebrale che risulta marcatamente compresso;
il tetto della cella media del ventricolo laterale di sinistra è marcatamene abbassato (freccia).
FIGURA 7
A
B
C
Ematoma sottodurale cronico della convessità bilaterale più espanso a sinistra. Indagine RM T2-pesata
sul piano assiale (A) e T1-pesata sul piano coronale (B) e sagittale (C); raccolte fluide sub-durali bilaterali,
con netta prevalenza a sinistra con compressione sul sistema ventricolare.
309
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
1.2 Patologia idrocefalica
L’idrocefalo idiopatico dell’anziano, cosiddetto “normoteso” è caratterizzato da dilatazione ventricolare per una incompleta ostruzione subaracnoidea presente tra le cisterne della base ed il seno longitudinale superiore, con inversione della normale corrente liquorale; l’etiopatogenesi dell’idrocefalo
“normoteso” sembra risiedere nell’alterato riassorbimento liquorale a livello dei villi aracnoidei con transitorio e saltuario aumento della pressione liquorale che viene poi progressivamente a ridursi fino a livelli normali, con ciò giustificando l’appellativo di “normoteso” man mano che i ventricoli si espandono, in
ciò soggiacendo alla legge di Laplace; nel determinismo della patogenesi dell’idrocefalo “normoteso” viene senz’altro a giocare un ruolo di primo piano la ridotta “compliance” del tessuto cerebrale in seguito a
gliosi e demielinizzazione ipossica sottocorticale verosimilmente da vasculoialinosi o da piccole lesioni
vascolari ripetutesi in precedenza (15). L’idrocefalo “normoteso” può essere distinto in una forma idiopatica ed una forma secondaria derivante da patologie capaci di indurre aracnoidite adesiva quali emorragia
subaracnoidea (figura 8), trauma cranico, processi flogistici meningitici e granulomatosi (figura 9), ecc. Il
quadro clinico è spesso incompleto: quando presente nella sua completezza prende il nome di triade di
Hakim-Adams consistendo in atassia, deterioramento mentale ed incontinenza sfinterica.
FIGURA 8
A
B
Panno lepto-meningeo secondario ad emorragia subaracnoidea conseguente a rottura di aneurisma
dell’arteria comunicante anteriore. Sezioni RM T2-pesate nel piano assiale: sia a livello della superficie
dorsale del mesencefalo (A) che in corrispondenza degli spazi subaracnoidei delle scissure silviane (B)
si evidenzia bordatura ipo-intensa (freccie) riferibile a deposizione emo-siderinica con conseguente alterato
riassorbimento liquorale e modesta dilatazione ventricolare.
Le alterazioni dell’andatura sono espresse da retropulsione, aprassia della marcia ed atassia: il
Paziente inizia a camminare più lentamente, in maniera insicura, a zig-zag. A volte prevale invece un
quadro sintomatologico simulante una sindrome piramidale, talora invece il prevalente disturbo dell’equilibrio può suggerirne origine cerebellare. Man mano che la malattia progredisce i soggetti perdono
progressivamente l’autonomia della marcia, richiedendo aiuto anche per mantenere la stazione eretta.
310
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 9
A
B
Panno lepto-meningeo di natura granulomatosa tubercolare. Scansioni RM sul piano sagittale (A) ed assiale
(B) dopo somministrazione di Gadolinio e.v. È presente marcata accentuazione di contrasto nelle cisterne
basali con interessamento lepto-meningeo diffuso ed in corrispondenza dello sbocco del IV ventricolo a
livello dell’obex (A, freccia). Il panno lepto-meningeo interessa diffusamente le scissure silviane ed i solchi
della superficie mesiale dei lobi occipitali; è presente idrocefalo ostruttivo non comunicante (B).
Abbastanza caratteristica è l’incontinenza sfinterica, generalmente urinaria ma talora doppia,
peraltro scarsamente avvertita dal Paziente. L’atassia e l’incontinenza urinaria si ritiene essere dovute ad
alterazione dei tratti corticospinali peri-ventricolari, ai quali è delegata la motricità e la funzione vescicale, secondaria alla dilatazione dei ventricoli. Le indagini strumentali utili nella diagnosi di idrocefalo “normoteso” sono la TAC che dimostra la dilatazione degli spazi ventricolari con ampliamento dei
solchi liquorali corticali associata al rilievo di cisterne liquorali della base sostanzialmente normali
(figura 10), la cisternografia radio-isotopica (figura 11) e l’indagine RM (figura12, A-C) che, oltre a delineare meglio quanto già rilevabile alla TAC, talora riesce ad evidenziare il cosiddetto “flow void” a livello dell’acquedotto di Silvio (figura 12, D), espressione di ipercinesia liquorale da ridotta “compliance”
tissutale; l’indagine Cine-RM conferma e meglio delinea il quadro rilevato di situazione ipercinetica
liquorale (figura 13). Altri test strumentali quali quelli di infusione o sottrazione liquorale, sono spesso richiesti per predire l’utilità di un eventuale intervento di derivazione liquorale che è seguito da successo in una percentuale piuttosto variabile dei casi delle forme idiopatiche (10-35%) mentre la
percentuale di successo è più elevata per le forme secondarie (buoni risultati sono ottenibili nel 6075% dei Pazienti) (17). In generale, migliori risultati, come già detto, sono ottenibili nelle forme secondarie, nei Pazienti con esordio clinico tipico e completo configurante nella sua pienezza la triade di
Hakim-Adams e quelli con breve durata dei sintomi (4).
311
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 10
A
B
C
D
Idrocefalo “normoteso”. Sezioni assiali TAC.
Evidente dilatazione tetraventricolare (A-C) con rilievo di scarsa evidenza degli spazi liquorali corticali (D).
312
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 11
A
B
C
D
Indagine Mielo-cisternografica Radio-isotopica. Idrocefalo “normoteso”. Nella rilevazione a due ore
dall’introduzione del radiofarmaco (A) si evidenzia radioattività nella cisterna magna e nel sistema
ventricolare; al controllo dopo sei ore (B) la radioattività cisternale descresce aumentando quella
endo-ventricolare. Dopo 24 ore (C, D) la radio-attività persiste in sede endo-ventricolare
(C: visione frontale; D: visione laterale); non è mai rilevabile radiofarmaco negli spazi subaracnoidei delle
convessità, dimostrando dunque scoordinamento idro-dinamico liquorale per cospicuo reflusso di liquor
nelle cavità ventricolari associato a ridotto flusso verso gli spazi sub-aracnoidei delle convessità.
313
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 12
A
B
C
D
Idrocefalo “normoteso”. Indagine RM nel piano assiale (A, B) pesata in T1 (A) ed in T2 (B)
e sul piano coronale (C): evidente dilatazione del sistema ventricolare senza segni di fissurazione
trans-ependimaria (A, B) con ridotta evidenza degli spazi liquorali delle convessità d’ambo i lati (C);
la RM sul piano sagittale T2-pesata (D) evidenzia vuoto di segnale (“flow void”, freccia) per flusso liquorale
accelerato in corrispondenza dell’acquedotto di Silvio.
314
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 13
A
B
Indagine Cine-RM in idrocefalo “normoteso”. L’indagine testimonia di uno stato di ipercinesia liquorale,
particolarmente evidente a livello acqueduttale (freccie) con esagerazione della normale cinetica liquorale.
1.3 Patologia vascolare
Le fistole arterovenose durali (DAVSs) sono costituite da anomale comunicazioni artero-venose
all’interno della dura, rappresentando dal 10 al 15% delle malformazioni cerebro-vascolari. Un’ampia
varietà di segni e sintomi può derivare da questa patologia, variando dall’acufene pulsatile all’emorragia
intracranica. L’alta variabilità del decorso e della sintomatologia di queste lesioni è legata sia alla sede
intracranica che al pattern di anomalo drenaggio venoso; nelle localizzazioni a livello del seno trasverso o della base della fossa cranica anteriore è possibile deterioramento della memoria, del giudizio e dell’orientamento di significativa entità tale da limitare l’autonomia funzionale dei Pazienti; la cefalea
cronica è presente nella maggioranza dei Pazienti; alla indagine TAC o, meglio, alla RM sono rilevabili
focolai di alterata intensità di segnale compatibili con aree di edema o di ischemia venosa (figura 14);
l’Angiografia è l’indagine di scelta, atta a dimostrare la lesione e a consentirne la de-afferentazione
mediante embolizzazione, con ciò portando ad un miglioramento o addirittura alla scomparsa dei sintomi di deterioramento cognitivo (7).
2.
Patologia endocrina
Tra le numerose alterazioni endocrino-metaboliche possono essere causa di deterioramento men-
tale sia l’ipotiroidismo che l’ipertiroidismo; l’ipotiroidismo assume caratteristiche simil- demenziali con
bradipsichismo, apatia, demotivazione ed importante calo delle prestazioni fisico-intellettive (14). L’ipertiroidismo può invece avere esordio acuto con prevalente interessamento della funzione mnesica e
cognitiva ed accompagnarsi ad ansia, agitazione psicomotoria ed insonnia.
315
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 14
A
D
B
C
E
F
Fistola artero-venosa durale del seno laterale di sinistra con encefalopatia venosa congestizia.
L’indagine TAC senza (A) e dopo (B) somministrazione di mezzo di contrasto per via endovenosa fa rilevare
marcata accentuazione di contrasto dopo M.d.C. in sede temporo-occipitale di sinistra; l’indagine RM nel
piano assiale in Flair (C) dimostra area di edema in regione temporo-occipitale sinistra.
L’indagine SPECT (D) fa rilevare ridotta perfusione in sede temporo-occipitale di sinistra mentre l’indagine
Angiografica per cateterismo selettivo dell’arteria occipitale di sinistra (E) mette in evidenza fistola arterovenosa durale del seno laterale di sinistra associata ad encefalopatia venosa congestizia (F).
L’Imaging può essere utile permanendo rigorosamente normale (figura15, A) anche nel corso di
esami seriati ripetuti nel tempo, con ciò escludendo forme degenerative nelle quali è invece presente
atrofia temporo-mesiale a livello ippocampale (figura 15, B) e ponendo dunque il dubbio per una forma
secondaria invece che primaria degenerativa di malattia di Alzheimer (5).
316
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 15
A
B
Misure lineari dell’ampiezza del corno temporale in controllo sano (A) ed in paziente affetto
da malattia di Alzheimer (B). L’ampiezza del corno temporale è significativamente superiore
alla norma nel paziente affetto da demenza di tipo Alzheimer (B).
3.
Patologia infettiva-infiammatoria
Oltre alle raccolte ascessuali soprattutto se in sede frontale (figura 16), tra la patologia infettivo-
infiammatoria notevole importanza ha acquisito recentemente la malattia di Creutzfeld-Jakob per la sua
relazione con la encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Questa malattia a virus lenti è caratterizzata clinicamente da demenza severa e rapidamente progressiva, spesso con importante mioclono spontaneo e
riflesso, associato ad atassia cerebellare; possono comunque riscontrarsi casi con decorso clinico difficilmente differenziabile da una demenza di tipo degenerativo. Il quadro istologico caratteristico della
malattia di Creutzfeld-Jakob è quello di diffusa perdita neuronale e gliosi con vacuolizzazione (“stato
spongiforme”) nelle regioni cerebrali affette, da cui il termine di “encefalopatia spongiforme subacuta”.
La indagine TAC è sostanzialmente negativa, mentre all’indagine RM sono rilevabili focolai di alterata intensità (13) prevalentemente nei nuclei della base e a livello delle regioni striatali (testa del nucleo
caudato e putamen) (figura 17).
317
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 16
A
B
C
D
Ascesso frontale destro. L’indagine RM espletata nei piani assiali (A, B, C) e coronale (d) con sequenze
T2 pesate (A), intensità protonica (B) e dopo somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico per via
endovenosa nel piano assiale (C) e coronale (D) dimostra formazione espansiva con ampia cavità colliquativa
necrotica centrale contornata da capsula con marcata accentuazione di contrasto ed importante edema
vasogenico che interessa estesamente il lobo frontale di destra.
318
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 17
A
B
Malattia di Creutzfeld-Jakob. Indagine RM T2-pesata nei piani assiali: focolai speculari di alterata
intensità di segnale si evidenziano bilateralmente nei nuclei della base a livello delle regioni neo-striatali
(testa del nucleo caudato e putamen).
4.
Stati carenziali
Tra gli stati carenziali interessante appare l’ipovitaminosi B12: la vitamina B12 è necessaria per la
sintesi di DNA ed il mantenimento delle guaine mieliniche; la sua carenza si può correlare a importanti disturbi cognitivi: i segni mentali sono frequenti, variando da irritabilità, apatia, sonnolenza ed instabilità emozionale ad una marcata psicosi di tipo confusionale o depressivo (1, 2). È da rilevare che la
localizzazione cerebrale può associarsi a mielopatia e disturbi sensitivi e motori per la localizzazione spinale a livello dei cordoni posteriori e laterali (3) ove è rilevabile demielinizzazione, talora seguita da perdita assonale, che incomincia nei cordoni spinali posteriori e si estende anteriormente a coinvolgere i
cordoni laterali e quelli anteriori; il processo incomincia a livello del passaggio cervico-dorsale, diffondendosi poi cranialmente e caudalmente. Il deterioramento mentale indotto presenta caratteristiche cliniche spesso di difficile differenziazione da quelle della demenza degenerativa primaria: l’insorgenza
può essere infatti subdola e l’andamento lentamente progressivo; il deterioramento è globale e diffuso,
interessando tutte le funzioni intellettive e irreversibile qualora si ometta per lungo tempo la correzione
della causa disnutrizionale. Da rilevare che le manifestazioni psichiatriche dovute a deficit di vitamina
B12 e le conseguenti manifestazioni neurologiche quali neuropatia e mielopatia possono manifestarsi
anche in presenza di un quadro ematologico normale (8).
319
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
5.
Cause tossiche
Tra le cause tossiche, più frequente è l’intossicazione alcolica che si può esprimere in due forme,
malattia di Marchiafava-Bignani ed encefalopatia di Wernicke.
La malattia di Marchiafava-Bignami è rara complicanza dell’intossicazione alcoolica, dal possibile
decorso acuto, subacuto o cronico, caratterizzato da demenza, spasticità, disartria e impossibilità al cammino. I Pazienti affetti da questa encefalopatia possono cadere in coma e morire, sopravvivere per molti anni in stato di demenza, o raramente recuperare. Nei Pazienti sopravvissuti è stata rilevata sindrome
da disconnessione inter-emisferica (16).
La malattia è caratterizzata da demielinizzazione e necrosi del corpo calloso, con possibile coinvolgimento della sostanza bianca degli emisferi cerebrali; talora può essere riscontrabile necrosi dei nuclei della base e necrosi corticale laminare. La RM rileva le alterazioni patologiche descritte ed in modo particolare
l’interessamento del corpo calloso, con aree di degenerazione cistica di alterato segnale; le anomalie possono essere ristrette ad una porzione del corpo calloso (particolarmente la sua parte centrale) o possono
interessarlo diffusamente; le lesioni descritte possono persistere dopo la risoluzione dei segni clinici.
L’encefalopatia di Wernicke, causata da deficit di tiamina, è caratterizzata clinicamente dalla classica
triade di atassia, alterazioni dell’oculomozione ed encefalopatia; tuttavia, molti Pazienti non presentano la triade nella sua espressione completa e in alcuni la più frequente rappresentazione clinica può
essere quella di stato letargico o coma. Le lesioni caratteristiche della encefalopatia di Wernicke, e così
dunque i reperti RM (6) sono caratterizzati dal coinvolgimento simmetrico delle strutture che circondano il III ventricolo, l’acquedotto ed il IV ventricolo. I corpi mammillari sono coinvolti praticamente in
tutti i casi, mentre nella grande maggioranza sono coinvolti i talami dorso-mediali, il locus coeruleus, la
sostanza grigia peri-acqueduttale, i nuclei dei nervi oculomotori e quelli vestibolari.
Più raro il riscontro il deterioramento mentale da Siderosi Superficiale del sistema nervoso centrale. Tale malattia è una rara condizione caratterizzata da deposizioni di emosiderina nelle leptomeningi
e negli strati sub-piali del cervello e del midollo spinale, responsabile di una sindrome clinica caratterizzata da ipoacusia neurosensoriale, atassia, paraparesi spastica, disturbi sfinterici, anosmia e deficit
cognitivi. La Siderosi Superficiale del sistema nervoso centrale è conseguenza di un sanguinamento cronico o ripetuto all’interno del liquor; l’identificazione e la rimozione della fonte di sanguinamento è lo
scopo del management clinico. Qualora non siano riscontrate né forme tumorali (specialmente ependimomi), né malformazioni vascolari, ematomi subdurali o altre cause, la siderosi superficiale viene definita idiopatica. La RM, con la sua elevata sensibilità ai prodotti di degradazione dell’emoglobina, è
l’indagine di scelta facendo rilevare marcata ipointensità di segnale attorno al tronco, al cervelletto e al
rivestimento leptomeningeo spinale (figura 18) (10, 11).
320
L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E : R U O L O D E L L’ I M A G I N G M O R F O L O G I C O
FIGURA 18
A
B
C
Siderosi Superficiale Idiopatica del sistema nervoso centrale.
Indagine RM espletata nel piano assiale (A), sagittale (B) e coronale (C).
Orlatura marcatamente ipointensa di tipo emosiderinico contorna la superficie del tronco encefalico (C)
con interessamento del VII e dell’VIII nervo cranico (A). È presente marcata atrofia cerebellare (B).
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322
CAPITOLO 15
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA
MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE
DEMENZE SOTTOCORTICALI
M. Filippi, F. Agosta, M. Rovaris
Neuroimaging Research Unit, Dipartimento di Neurologia,
Istituto Scientifico e Università Ospedale San Raffaele, Milano
1.
Introduzione
Il termine demenza sottocorticale viene utilizzato per indicare un quadro neuropsicologico carat-
terizzato da rallentamento cognitivo, compromissione delle abilità visuo-spaziali, disfunzione esecutiva,
apatia, depressione e compromissione del richiamo di informazioni e della memoria di lavoro. Funzioni quali il linguaggio e la prassia sono solitamente conservate [1]. Questa sindrome neuro-comportamentale appare eterogenea da un punto di vista eziopatogenetico, potendosi verificare nel corso di
patologie caratterizzate da differenti meccanismi patogenetici, quali la demenza vascolare o multi-infartuale, la sclerosi multipla (SM), il lupus eritematoso sistemico (LES), le vasculiti del sistema nervoso centrale, l’infezione da HIV, la malattia di Parkinson. Il meccanismo tramite il quale si determina demenza
in questi pazienti è verosimilmente una disconnessione cortico-sottocorticale e cortico-corticale, con
conseguente isolamento, più o meno completo, dei lobi frontali da altre aree coinvolte in funzioni cognitive. Nei prossimi paragrafi, verranno illustrati e discussi i reperti di neuroimaging di cinque di queste
condizioni, scelte o per la loro frequenza in clinica neurologica o per la loro valenza paradigmatica.
2.
Sclerosi multipla
Tra il 30 ed il 60% dei pazienti affetti da SM presenta deficit cognitivi [2, 3], talvolta già nelle fasi
precoci di malattia. In particolare risultano compromessi l’attenzione, il “problem solving”, la velocità
di “information processing” e le funzioni mnesiche. Tali deficit tendono ad accentuarsi per intensità e
frequenza con la durata di malattia.
Nella SM, le immagini pesate in T2 rivelano multiple lesioni iperintense della sostanza bianca in
oltre il 95% dei pazienti con una forma definita di malattia [4]. Come mostrato in figura 1, l’aspetto delle lesioni è prevalentemente ovoidale, con morfologia digitata, e la loro localizzazione è prevalentemente
periventricolare con distribuzione asimmetrica tra i due emisferi (figura 1, B e D). Le lesioni interessano,
tuttavia, anche le regioni sottotentoriali (figura 1, A), sottocorticali (figura 1, B) e il corpo calloso (figu-
323
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
ra 1, C). L’utilizzo di immagini pesate in T1 ottenute dopo somministrazione di gadolinio (Gd) consente di identificare le lesioni in fase di infiammazione, in quanto il Gd è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica in caso di incrementata permeabilità della stessa e il suo accumulo determina un
incremento di segnale del tessuto affetto (figura 1, E). Le lesioni di SM che appaiono come aree ipointense (i cosiddetti “buchi neri”) sulle immagini pesate in T1 dopo somministrazione di Gd (figura 1, E)
corrispondono invece a zone di grave disorganizzazione della matrice tissutale, secondaria a demielinizzazione e/o perdita assonale, e rappresentano circa il 15-30% del totale delle lesioni [5].
FIGURA 1
A
B
D
C
E
Nella figura 2 vengono mostrate immagini di risonanza magnetica (RM) assiali dell’encefalo di un
paziente affetto da SM secondariamente progressiva (SP), su sezioni a livello del tetto dei ventricoli laterali. Sulle sequenze pesate in densità protonica (A), sono visibili numerose aree iperintense. Alcune lesioni rivelano un chiaro coinvolgimento della sostanza bianca juxtacorticale a livello dei lobi frontali.
L’ipointensità in T1 (B) di alcune di queste lesioni indica la presenza di danno tissutale grave ed irreversibile. Pertanto, tali lesioni possono verosimilmente contribuire ad una disfunzione della connessione tra
le aree corticali e le altre strutture encefaliche e causare deficit neuropsicologici.
324
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
FIGURA 2
A
B
Nei pazienti con SM, l’estensione delle alterazioni della sostanza bianca encefalica su immagini
pesate in T2 è, infatti, strettamente correlata con i risultati ottenuti in un ampio spettro di test neuropsicologici ed il grado di tale correlazione è maggiore rispetto a quello dimostrato con la disabilità fisica
[6-9]. Rao et al. [8] hanno correlato l’entità dei deficit neuropsicologici con l’entità dell’area lesionale
totale in T2 (TLA) in 53 pazienti con SM e hanno osservato che il TLA rappresenta un importante indice predittivo della presenza di compromissione cognitiva, soprattutto per quel che concerne la memoria a breve termine, le capacità astrattive e concettuali, il linguaggio e la risoluzione di problemi
visuo-spaziali. Questi risultati, confermati da altri autori [6, 7, 9-11], ribadiscono l’ipotesi che un danno
della sostanza bianca sufficientemente esteso in pazienti con SM può condurre ad una disconnessione
funzionale tra differenti aree corticali e tra queste e i nuclei della base, con conseguente sviluppo di deficit cognitivi.
Alcuni studi hanno valutato se pattern particolari di declino cognitivo in corso di SM fossero il risultato della localizzazione delle lesioni in aree “strategiche” della sostanza bianca emisferica [6, 7, 9-12]: il
coinvolgimento del lobo frontale è risultato il miglior fattore predittivo di un’alterazione della capacità di risoluzione di problemi astratti, della memoria e della fluenza dell’eloquio e il coinvolgimento
parieto-occipitale sinistro di un deficit nell’apprendimento verbale e delle capacità visuo-integrative
complesse [9]. Foong et al. [7] e Rovaris et al. [11] hanno trovato una correlazione significativa tra il
coinvolgimento di funzioni cognitive del lobo frontale e il volume lesionale regionale. Tuttavia, tutti
questi studi hanno anche dimostrato un’uguale importanza del contributo del carico lesionale totale al
decadimento delle funzioni del lobo frontale.
Nella figura 3 sono mostrate le immagini di sezioni assiali dell’encefalo di una paziente con SM
secondariamente progressiva (SP), a livello dei ventricoli laterali, che rivelano la presenza di una estesa
lesione frontale destra (A), ipointensa in T1 (B), la cui comparsa era associata al peggioramento del quadro di disfunzione esecutiva già presente e funzionalmente invalidante. La figura mostra inoltre un evidente quadro di atrofia corticale e sottocorticale, che pure, come discusso in seguito, è frequentemente
correlato alla presenza di deficit cognitivi in corso di SM.
325
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 3
A
B
Miki et al. [12] hanno valutato la frequenza e la localizzazione del coinvolgimento delle fibre ad U
e hanno correlato questi dati con il decadimento neuropsicologico di pazienti con SM. La maggior parte delle lesioni con tale localizzazione (circa il 65%) sono state rilevate nel lobo frontale e i risultati dei
test neuropsicologici, che valutano le performance esecutive e mnesiche, si sono dimostrati significativamente differenti tra pazienti con lesioni multiple a carico delle fibre ad U e pazienti senza o con una
singola lesione a carico di tali fibre. Un esempio di lesioni con coinvolgimento elettivo di tali fibre è
mostrato nella figura 4, con immagini dell’encefalo di due pazienti con SM a ricadute e remissioni (RR).
FIGURA 4
A
B
D
326
C
E
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
In uno studio condotto su 22 pazienti divisi tra cognitivamente compromessi e non, Rovaris et al.
[13] hanno dimostrato che, nei pazienti compromessi, il carico lesionale medio nelle regioni corticosottocorticali era circa 10 volte maggiore che in quelli senza deficit cognitivo. Un recente studio longitudinale [14] ha dimostrato che, dopo un follow-up medio di quattro anni, i pazienti con SM mostrano
un significativo deterioramento delle performance cognitive nei domini dell’attenzione e della memoria verbale e che tale deterioramento era significativamente correlato con l’incremento del carico lesionale nei lobi frontale e parietale.
Questi dati indicano che la localizzazione delle lesioni, oltre che il loro “carico” totale, potrebbe giustificare la presenza e le caratteristiche dei deficit cognitivi in corso di SM. Alcuni di questi studi [7, 10,
11] hanno, inoltre, dimostrato la stretta correlazione tra estensione del danno encefalico globale ed
estensione delle lesioni regionali, suggerendo così che il coinvolgimento di una specifica area dell’encefalo ed il conseguente pattern di deficit cognitivi potrebbero essere il risultato di un processo stocastico.
Oltre al carico lesionale, un altro aspetto di imaging convenzionale che ben riflette la gravità e la
irreversibilità del danno secondario a SM è lo sviluppo e la progressione di atrofia cerebrale diffusa.
La figura 5 mostra la presenza di atrofia marcata e diffusa, coinvolgente le strutture sotto-(A) e
sovratentoriali (B), in un paziente con SMSP e marcata disabilità locomotoria associata a grave compromissione cognitiva.
FIGURA 5
A
B
La relazione tra atrofia e demenza da SM è stata riscontrata in diversi studi. Edwards et al. [15] hanno riportato un’elevata correlazione inversa tra volume della sostanza bianca sovratentoriale e performance cognitiva in 40 pazienti con SM, suggerendo che l’atrofia della sostanza bianca riflette la gravità
dei processi di disorganizzazione del network cortico-sottocorticale che, a sua volta, contribuisce allo
sviluppo di deficit cognitivi. L’esistenza di correlazioni significative tra atrofia cerebrale e deficit cognitivi è stata confermata anche da uno studio longitudinale [16], in cui pazienti con SM, seguiti per due
anni, avevano manifestato un decadimento delle funzioni intellettive ed un parallelo decremento del
volume cerebrale. Quest’ultimo era significativamente maggiore rispetto a quello osservato in pazienti
cognitivamente non compromessi e correlato con il grado di deterioramento cognitivo stesso. Benedict
et al. [17] hanno studiato la correlazione tra misure di RM convenzionale e performance neuropsicolo-
327
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
gica in un gruppo di 37 pazienti SM, allo scopo di individuare misure di RM maggiormente in grado di
predire il decadimento cognitivo correlato con la SM. Solo l’ampiezza del terzo ventricolo è risultata
correlare significativamente con la performance cognitiva dei pazienti, mentre il carico lesionale encefalico mostrava una correlazione significativamente minore. Nell’ipotesi che l’atrofia di regioni “strategiche”, più che l’atrofia cerebrale globale, possa contribuire al grado di severità della demenza
sottocorticale da SM, Amato et al. [18] hanno valutato l’entità della riduzione del volume corticale in
pazienti affetti da SMRR: l’atrofia corticale era significativamente maggiore nel gruppo di pazienti con
decadimento delle funzioni intellettive. Nello stesso gruppo di pazienti [18], è stata inoltre riscontrata
una correlazione tra misure di volume corticale normalizzato e misure di memoria verbale, fluenza verbale e attenzione/concentrazione.
La figura 6 mostra i risultati dell’analisi quantitativa del volume corticale (raffigurato in giallo e
misurato con il metodo dello studio di Amato et al. [18]) in due pazienti con SMRR rispettivamente senza (A) e con (B) compromissione cognitiva. È chiaramente visibile una riduzione dello spessore del manto corticale nel paziente con deficit neuropsicologici rispetto a quello cognitivamente indenne.
FIGURA 6
A
B
Per gentile concessione di Maria Pia Amato e Nicola De Stefano.
Nel corso degli ultimi 10 anni, tecniche di RM strutturale quantitativa, dotate di maggiore specificità patologica e di migliore sensibilità per il danno dei tessuti encefalici apparentemente normali rispetto alle tecniche di RM convenzionale, sono state progressivamente sempre più applicate allo studio dei
disturbi cognitivi della SM. Tra di esse, la RM con tecnica di trasferimento di magnetizzazione (RM-MT)
è stata la più utilizzata. La principale misura fornita dalla RM-MT, il cosiddetto “magnetization transfer
ratio (MTR)”, riflette la capacità delle macromolecole nel tessuto cerebrale di scambiare magnetizzazione con le circostanti molecole d’acqua libere ed una sua riduzione indica la presenza di un danno a carico delle mielina o della membrana assonale [19]. Rovaris et al. [11] hanno correlato l’estensione delle
328
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
alterazioni individuate su immagini pesate in T2 e T1 e di RM-MT con il decadimento cognitivo globale, con i disturbi frontali e con il deficit di memoria in 30 pazienti con SM. I pazienti con compromissione del lobo frontale e decadimento cognitivo globale presentavano un valore medio del MTR delle
lesioni più basso rispetto ai pazienti senza compromissione cognitiva. Quest’ultimo dato è stato anche
riscontrato per il valore medio del MTR dell’intero encefalo valutato tramite analisi istografica. Risultati simili sono stati ottenuti in un altro studio [20], in cui i dati MT sono stati correlati con la performance cognitiva di 44 pazienti con SM. In questo studio, i risultati di molti test neuropsicologici sono
risultati correlati con misure MT corrette e non corrette per il volume cerebrale ed il grado di correlazione
variava da moderato a buono. In altri studi [13, 21, 22], sono state valutate le differenti caratteristiche
di RM convenzionale e non convenzionale tra due gruppi di pazienti SM rispettivamente con e senza
demenza di tipo frontale, che avevano caratteristiche simili per quanto riguardava tutte le altre variabili cliniche principali (durata di malattia, disabilità neurologica e tipo di decorso). Comi et al. [21] hanno dimostrato che i due gruppi differivano significativamente per carico lesionale in T2 e in T1, così
come per alcuni dei parametri degli istogrammi MTR dell’intero encefalo e del lobo frontale, mentre gli
istogrammi MTR del cervelletto avevano caratteristiche simili tra pazienti con e senza deficit cognitivi.
Con un’analisi multivariata, Filippi et al. [22] hanno dimostrato che il valore medio di MTR del tessuto
cerebrale apparentemente normale (TCAN) è in grado di spiegare circa il 70% della variabilità del grado
di compromissione cognitiva di pazienti con SMRR.
La figura 7 mostra gli istogrammi dei valori di MTR della sostanza bianca apparentemente normale (normalizzati per le dimensioni encefaliche) nei due gruppi di pazienti con e senza compromissione
cognitiva arruolati nello studio di Filippi et al. [22]. L’istogramma del gruppo di pazienti compromessi
ha una ridotta altezza del picco ed una morfologia caratterizzata da uno spostamento della curva verso
sinistra. Tale aspetto è indicativo di un’aumentata proporzione di tessuto con valori di MTR ridotti, ossia
con un maggior grado di danno strutturale anche in assenza di lesioni visibili in T2.
FIGURA 7
Pazienti senza decadimento cognitivo
Percentuale di pixel normalizzati
Pazienti con decadimento cognitivo
10
8
6
4
2
0
0
20
40
60
MTR del tessuto cerebrale apparentemente normale (%)
Modificata da Filippi et al., JNNP 2000.
329
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Rovaris et al. [13] utilizzando una metodica di segmentazione semi-automatica per la creazione di
istogrammi MTR delle regioni cortico-sottocorticali dell’encefalo, hanno dimostrato che i carichi lesionali in queste sedi, così come i parametri istografici, erano significativamente diversi tra pazienti con e
senza compromissione cognitiva. Tuttavia, ad una analisi multivariata, solo il valore medio di MTR cortico-sottocorticale risultava significativamente correlato con il grado di deterioramento cognitivo. La
figura 8 mostra le mappe assiali di MTR dell’encefalo, ottenute a livello del tetto dei ventricoli laterali,
di un paziente SM arruolato nello studio di Rovaris et al. [13], prima (A e B) e dopo l’esecuzione della segmentazione semi automatica per l’identificazione delle regioni cortico-sottocorticali (C).
FIGURA 8
A
B
C
Rovaris et al., AJNR 2000.
La RM pesata in diffusione permette di indagare la struttura, nonché l’orientamento e la distribuzione delle varie componenti dei tessuti biologici. In particolare, dalle sequenze con tensore di diffusione, si possono calcolare parametri come la diffusività media (DM) e l’anisotropia frazionaria (AF), che
riflettono, rispettivamente, il grado di integrità e di organizzazione strutturale di un determinato tessuto. La figura 9 mostra immagini RM assiali dell’encefalo di un paziente affetto da SM. Tutte le lesioni
appaiono iperintense nell’immagine pesata in densità protonica (A), alcune appaiono inoltre ipointense nell’immagine pesata in T1 (B). Nelle mappe di DM (C) e AF (D) alcune di queste lesioni appaiono iperintense ed ipointense, rispettivamente, ad indicare una grave disorganizzazione tissutale. Su queste
mappe, si evidenzia, inoltre, l’estrema variabilità di comportamento in diffusione delle lesioni da SM a
suggerire un’altrettanto marcata eterogeneità dei substrati patologici.
In un recente studio [23] condotto su pazienti con SMRR e basso grado di disabilità clinica, alcuni
parametri derivati dall’analisi degli istogrammi di DM e AF dell’intero encefalo, della sostanza bianca e
della sostanza grigia hanno mostrato correlazioni statisticamente significative con i risultati di singoli test
neuropsicologici che valutavano il linguaggio, la memoria ed l’attenzione.
La spettroscopia RM del protone (1H-SRM) è una tecnica di RM particolarmente sensibile per lo
studio in vivo delle alterazioni biochimiche cerebrali, sia nel contesto di lesioni macroscopiche (quali le lesioni da SM) che in aree di tessuto apparentemente normali. I principali metaboliti evidenziabili in vivo con tecniche di 1H-SRM, con le sequenze con tempo d’eco (TE) lungo, sono: i composti
330
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
contenenti colina (Cho) ed i lipidi, costituenti fondamentali delle membrane cellulari e mieliniche; la
creatina (Cr), marker del metabolismo energetico cellulare; l’N-acetilaspartato (NAA), metabolita che
si ritrova esclusivamente nei neuroni e nei loro processi assonali nel cervello umano maturo; e il lattato (Lac), prodotto del metabolismo ossidativo anaerobio. Utilizzando sequenze a TE breve è possibile, inoltre, osservare il segnale del mio-inositolo (mI), un marcatore di attivazione gliale. La figura
10 mostra un’immagine di RM assiale pesata in densità protonica di un paziente con una lesione di
grandi dimensioni di probabile natura demielinizzante (A). In C) e D) sono raffigurati i corrispondenti spettri ed immagini spettroscopiche. Come riferimento, è riportato anche lo spettro di un controllo sano (B), rispetto al quale lo spettro della lesione SM rivela aumento del Lac e della Cho e
diminuzione dei livelli di NAA e Cr.
FIGURA 9
A
B
C
D
331
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 10
NAA
A
Cho
Cr
B
Lac
C
D
Per gentile concessione di Nicola De Stefano e Douglas Arnold.
Recentemente, Gadea e al. [24] hanno condotto uno studio di 1H-SRM in un gruppo di pazienti
affetti da SMRR, con disabilità lieve, nel 50% dei quali hanno dimostrato, mediante opportuni test neuropsicologici, un deficit delle funzioni attentive. In questo studio, la concentrazione di NAA, calcolata
a livello del tessuto apparentemente normale del ponte (in particolare a livello del locus coeruleus), è
risultata correlata all’entità dei deficit cognitivi. I risultati sono compatibili con un danno strutturale
del network di attivazione che fa capo alla sostanza reticolare ascendente e che potrebbe rivestire un
ruolo importante nel provocare i deficit attentivi parte del quadro della demenza sottocorticale da SM.
La figura 11 mostra la localizzazione del campionamento per gli spettri misurati nello studio di Gadea
et al. [24], a livello del locus coeruleus (A) e gli spettri corrispondenti al tessuto apparentemente normale del ponte, rispettivamente a destra e a sinistra (B1 e B2).
I risultati degli studi di RM strutturale fin qui riportati suggeriscono che sia la gravità del processo
patologico intrinseco delle lesioni cerebrali sia le variazioni patologiche microscopiche a carico del TCAN
di pazienti con SM sono importanti nel determinare una compromissione cognitiva. Questi studi di RM
quantitativa sembrano anche indicare che il coinvolgimento di strutture clinicamente eloquenti potrebbe rivestire un ruolo chiave nella patogenesi di aspetti di disfunzione cognitiva tipici delle demenze sottocorticali. Accanto agli aspetti di indagine e quantificazione del danno tissutale, l’introduzione di
tecniche di RM funzionale (fRM) ha recentemente consentito di studiare in vivo il contributo dei processi
di riorganizzazione corticale allo sviluppo di disabilità clinica nella SM [25]. In seguito, allcuni studi di
fRM si sono posti l’obiettivo di valutare se alla gravità del deficit cognitivo nei pazienti con SM possa con-
332
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
FIGURA 11
2
NAA
1
Cho
Cr
4.0
3.5
3.0
2.5
2.0
8 ppm
A
1.5
1.0
0.5
B
Gadea et al., Brain 2004.
tribuire un alterato pattern di attivazione corticale. Staffen et al. [26] hanno dimostrato, in un gruppo di
pazienti con SMRR e lieve disabilità clinica, un’aumentata attivazione di diverse aree corticali localizzate nei lobi frontali e parietali durante l’esecuzione di un compito cognitivo semplice. Poichè i pazienti
avevano una capacità di eseguire il compito identica a quella dei controlli sani, i risultati di questo studio confermano l’ipotesi di un ruolo compensatorio della plasticità corticale nella SM.
La figura 12 mostra i pattern di attivazione corticale nel gruppo di pazienti SM studiati da Staffen
et al. [26] durante l’esecuzione di una versione modificata del Paced Auditory Serial Addiction Task
(PASAT), dove gli stimoli uditivi erano sostituiti con stimoli visivi. Lo svolgimento di funzioni mnesicoattentive si associava alla attivazione di un esteso network di aree corticali.
Ad ulteriore conferma dell’ipotesi compensatoria della riorganizzazione corticale, Penner et al. [27]
hanno valutato il pattern di attivazione funzionale in un gruppo di pazienti con SMRR o SMSP durante
l’esecuzione di tre compiti cognitivi di difficoltà differente. I pazienti con SM e deficit cognitivo moderato presentavano un’aumentata attivazione di aree in genere non attivate dai soggetti sani, localizzate
in particolare nella corteccia frontale e parietale posteriore. Tale attivazione si riduceva con l’incremento della complessità del compito. Nei pazienti con SM e deficit cognitivo grave, invece, non veniva
riscontrata alcuna aumentata attivazione e l’attivazione della corteccia premotoria non era significativamente differente rispetto a quella dei controlli. Parry et al. [28] hanno valutato il pattern di attivazione corticale in un gruppo di pazienti con SM durante l’esecuzione di test di valutazione delle funzioni
frontali, prima e dopo la somministrazione di rivastigmina. In condizioni basali, questo studio ha dimostrato un’aumenta attivazione della regione frontale mediale sinistra ed una ridotta attivazione della
regione frontale mediale destra nei pazienti rispetto ai controlli. L’entità di queste attivazioni è risultata correlare con il volume cerebrale normalizzato. Dopo somministrazione di rivastigmina, nei pazienti
con SM si è osservata una normalizzazione delle attivazioni corticali durante l’esecuzione dei test, mentre non sono state evidenziate differenze nei controlli, suggerendo che nella SM la plasticità corticale è
modulata da agonisti colinergici.
333
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 12
Staffen et al., Brain 2002.
La figura 13, tratta dallo studio di Parry et al. [28], mostra le differenze di attivazione di aree corticali in pazienti SM e nei controlli durante l’esecuzione del test di Stroop. I pazienti mostravano un’aumentata attivazione di aree con un cluster nel lobo frontale dell’emisfero dominante.
FIGURA 13
A
B
C
D
Parry et al., Brain 2003.
334
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
2.
Lupus eritematoso sistemico
Il LES può essere caratterizzato da coinvolgimento del SNC (neuroLES) in una percentuale di pazien-
ti variabile dal 14 al 75%. I disturbi psichiatrici e il decadimento cognitivo rappresentano le manifestazioni più frequenti di tale interessamento [29, 30]. Tali manifestazioni possono essere dovute sia alla
presenza di lesioni cerebrali infartuali (conseguenza frequente di una sindrome da anticorpi antifosfolipidi), sia ad un danno cerebrale intrinseco, di natura infiammatoria o immunomediata.
La figura 14 mostra immagini assiali di RM pesata in doppio eco (A e B) ed in T1 (C), a livello del tetto dei ventricoli laterali dell’encefalo di un paziente affetto da neuroLES. Le lesioni della sostanza bianca
presentato una morfologia ed una distribuzione topografica indistinguibili da quelle di pazienti con SM.
FIGURA 14
A
B
C
Rovaris et al., JNNP 2000.
Studi di RM convenzionale condotti in pazienti affetti da demenza associata a LES non hanno
dimostrato significative correlazioni tra volume totale delle lesioni della sostanza bianca visibili in T2 o
grado dell’atrofia cerebrale e risultati dei test neuropsicologici [31, 32].
Studi di RM-MT, condotti con tecnica di analisi istografica [33, 34], hanno dimostrato, nei pazienti
affetti da LES e decadimento cognitivo, un’alterazione significativa dei valori degli istogrammi rispetto
ai pazienti con LES senza decadimento cognitivo. Tali alterazioni sono risultate di entità simile a quelle
riscontrate nei pazienti SM. Bosma et al. [35] hanno evidenziato, in un gruppo di 24 pazienti con LES e
storia di sintomi neuropsichiatrici, che il grado di decadimento cognitivo è correlato sia con i parametri
degli istogrammi di MTR sia con l’entità dell’atrofia cerebrale globale. Recentemente, Steens et al. [36]
hanno dimostrato, in pazienti con LES associato a interessamento del SNC, alterazioni significative dei
valori di MTR della sostanza grigia, ma non della sostanza bianca, pur in assenza di alterazioni cerebrali
visibili nelle immagini di RM convenzionale. La figura 15 mostra gli istogrammi di MTR, normalizzati
per il volume cerebrale, della sostanza bianca (linee tratteggiate) e grigia (linee continue) nel gruppo di
pazienti con neuroLES (linee nere) e di controlli sani (linee grigie) studiato da Steens et al. [36]. La morfologia degli istogrammi riflette un aumento del numero di pixel con ridotti valori di MTR nei pazienti
rispetto ai controlli, possibile indice di danno diffuso a carico della sostanza grigia e bianca.
335
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
FIGURA 15
Nero: pazienti
Grigio: controlli
Numero di voxel
(corretto per il volume cerebrale)
200
Sostanza grigia
Sostanza bianca
160
120
80
40
0
20
30
40
50
MTR
Modificata da Steens et al., Arthritis Rheum 2004.
Anche se i parametri di 1H-SRM risultano significativamente alterati in pazienti con neuroLES
rispetto a controlli sani [31, 37-39], l’esistenza di correlazioni significative tra livelli dei metaboliti cerebrali e decadimento cognitivo in corso di LES è stata riscontrata da alcuni autori [38], ma non da altri
[31]. In dettaglio, Brooks et al. [38] hanno dimostrato un’elevata correlazione tra la performance cognitiva di 12 pazienti con neuroLES e il decremento dei livelli di NAA sia nella sostanza grigia che nella
sostanza bianca.
3.
Vasculiti
Le vasculiti dei piccoli vasi (tra cui la granulomatosi di Wegener e la sindrome di Churg-Strauss)
possono determinare un coinvolgimento del sistema nervoso, sia centrale (SNC) sia periferico. In dettaglio, una percentuale variabile dal 22 al 54% dei pazienti affetti da granulomatosi di Wegener presenta
alterazioni del SNC, in genere nelle fasi avanzate di malattia [40]. In questi casi, le immagini di RM convenzionale rivelano frequentemente la presenza di multiple aree iperintense della sostanza bianca encefalica, sia in regione periventricolare sia a livello della giunzione cortico-sottocorticale, in genere con
risparmio delle regioni infrantentoriali. Tali alterazioni possono essere scarsamente distinguibili dalle
lesioni caratteristiche della SM.
La figura 16 mostra immagini RM assiali dell’encefalo di un paziente affetto da granulomatosi di
Wegener. Sulle sequenze pesate in T2 e densità protonica (A e B) sono visibili alcune alterazioni iperintense della sostanza bianca profonda e sottocorticale. Queste lesioni non appaiono ipointense sulla
sequenza T1 pesata (C), come invece si verifica spesso in caso di SM.
336
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
FIGURA 16
A
B
C
Rovaris et al., JNNP 2000.
Le manifestazioni neurologiche conseguenti ad interessamento del SNC comprendono sintomi
focali e crisi comiziali, ma anche disturbi psicotici e decadimento cognitivo. Capra et al. [41] hanno
osservato lo sviluppo subacuto di demenza, parallelamente alla manifestazione clinica di sintomi vasculitici sistemici, in un piccolo gruppo di pazienti con poliangite microscopica. Successivamente, Mattioli et al. [42] hanno valutato la prevalenza di decadimento cognitivo in 43 pazienti con vasculite dei
piccoli vasi associata a positività per anticorpi anti-citoplasma neutrofilo (ANCA), ed assenza di deficit
neurologici focali e cognitivo/comportamentali. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una dettagliata
valutazione neuropsicologica e, in 11 casi, è stata eseguita una RM convenzionale dell’encefalo. Questo
studio ha dimostrato che il 30% dei pazienti affetti da vasculite dei piccoli vasi, pur in assenza di demenza, ha un decadimento neuropsicologico subclinico, caratterizzato da moderata perdita di ragionamento astratto, riduzione della velocità di processazione e deficit di memoria non verbale, con un pattern da
demenza sottocorticale. La frequenza e l’estensione delle alterazioni cerebrali evidenziate dalla RM convenzionale sono risultate maggiori nei pazienti con decadimento cognitivo subclinico ed in questi
pazienti i reperti di RM dell’encefalo sono risultati compatibili con la presenza di danno della sostanza
bianca sottocorticale.
4.
Demenza da HIV
L’infezione da HIV si associa, nel 15-20% dei casi, ad un’ampia gamma di alterazioni neuro-com-
portamentali [43]. La demenza può avere le caratteristiche di una sindrome sia corticale che sottocorticale, pur essendo il pattern sottocorticale leggermente più frequente. I disturbi possono essere dovuti a
un effetto diretto del virus HIV a livello cerebrale, a un’infezione da agenti opportunisti, come la sifilide o la toxoplasmosi, a un tumore, come il linfoma, o alla combinazione di tutti questi fattori [44].
Disturbi cognitivi si possono verificare in pazienti affetti da infezione da HIV anche in assenza di
patologie opportunistiche dimostrabili. In questo caso si parla di demenza associata all’HIV (“HIV
337
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
dementia complex”). Dal punto di vista neuro-comportamentale, i pazienti che ne sono affetti presentano tendenzialmente un deficit con pattern di tipo fronto-sottocorticale. Le immagini di RM convenzionale di pazienti con demenza associata all’HIV possono essere normali o evidenziare alterazioni
aspecifiche della sostanza bianca, iperintense sulle immagini T2 pesate, frequentemente localizzate a
livello delle regioni periventricolari e del centro semiovale. Tali alterazioni tendono ad essere di piccole
dimensioni nelle fasi precoci di malattia, mentre successivamente interessano più diffusamente la sostanza bianca encefalica. L’atrofia corticale è generalmente moderata, con relativo risparmio dell’ippocampo e particolare interessamento dei nuclei della base [43, 45-48].
La figura 17 mostra un’immagine RM assiale, pesata in T2, dell’encefalo di un paziente affetto da
demenza associata all’HIV in fase avanzata. Risulta evidente l’allargamento dei ventricoli laterali e la
presenza di estese aree di iperintensità della sostanza bianca di entrambi i lobi frontali, senza un particolare coinvolgimento delle aree giunzionali cortico-sottocorticali.
FIGURA 17
Recenti studi di RM-MT e RM pesata in diffusione, condotti in pazienti affetti da demenza associata all’HIV, hanno dimostrato una riduzione del MTR e dell’AF encefalica globale rispetto ai controlli. Tali
riduzioni erano significativamente correlate con la gravità della demenza [49, 50]. La figura 18 mostra la
mappa assiale di AF, ottenuta in una sezione a livello dei ventricoli laterali, di un paziente affetto da HIV
(A) e gli istogrammi di AF globale nei controlli (linea blu) e nei pazienti (linea rossa). La morfologia degli
istogrammi riflette chiaramente l’aumentato numero di voxel con ridotti valori di AF nei pazienti con
HIV [49].
La demenza associata ad HIV sembra inoltre essere caratterizzata da una alterazione dei livelli dei
principali metaboliti cerebrali evidenziabili con 1H-RMS. Come mostrato nella figura 19, nelle fasi iniziali
del decadimento cognitivo si osserva un aumento dei livelli di Cr, mI e Cho nella sostanza bianca frontale [51]. I livelli di NAA nelle stesse regioni risultavano invece ridotti solo nei pazienti con demenza
moderata/severa, suggerendo che la disfunzione neuroassonale potrebbe, almeno in parte, spiegare lo sviluppo di deficit cognitivo in corso di HIV [51, 52, 53].
338
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
FIGURA 18
1400
Controlli
Numero di voxels
1200
Pazienti
1000
800
600
400
200
0
0.5
1
AF del tessuto cerebrale
A
B
Modificata da Ragin et al., AJNR 2004.
FIGURA 19
ADC = AIDS dementia complex
CHO
CR
MI
NA
ADC 2
Demenza moderata
ADC 1
Demenza lieve
ADC 0.5
Minor cognitive impairment
Normal
4
3
2
1
0
Controlli
ppm
Modificata da Chang et al., Neurology 1999.
5.
Malattia di Parkinson
Nella malattia di Parkinson (PD) il rischio di demenza è pari al 70%, ossia ben sei volte maggiore
rispetto a quello della popolazione generale [54]. Nei pazienti affetti da PD e disturbi neuro-comportamentali, la RM convenzionale non ha evidenziato uno specifico pattern di alterazione [55].
La figura 20 mostra sezioni assiali di RM dell’encefalo di un paziente con PD. L’immagine pesata in
T1 (A) rivela la presenza di atrofia prevalentemente corticale. L’immagine pesata in T2 (B) non presenta
339
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
alterazioni di segnale intraparenchimale, se non segni di processi degenerativi dei nuclei della base
(ipointensità di segnale).
FIGURA 20
A
B
Alegret et al. [56] hanno dimostrato la presenza di atrofia cerebrale diffusa e degenerazione dei gangli della base in un gruppo di pazienti affetti da PD e decadimento cognitivo. La velocità annuale di sviluppo di atrofia cerebrale è risultata inoltre correlata con il decadimento cognitivo globale [57]. Studi di
atrofia regionale hanno anche riscontrato, nei pazienti affetti da PD e demenza, la presenza di significativa atrofia dell’ippocampo e dei lobi frontali [58-60]. In questi pazienti il grado di atrofia dell’ippocampo era significativamente maggiore non solo rispetto a quello dei controlli sani ma anche rispetto a
quello di pazienti con PD senza demenza [58-60]. Nagano-Saito et al. [60] hanno studiato, utilizzando la
“voxel-based morphometry” (VBM) per il calcolo dell’atrofia regionale, 55 pazienti con PD, tra i quali
nove pazienti con PD e decadimento cognitivo, dimostrando in questi ultimi un’atrofia significativa
dell’area limbica/paralimbica (incluso l’ippocampo), del talamo, della corteccia prefrontale dorsale, del
nucleo caudato, come mostrato dalla figura 21.
Nella PD, l’atrofia dell’ippocampo sembrerebbe essere responsabile del deficit di memoria visuo-verbale [61]. Double et al. [62] hanno evidenziato un’atrofia frontale significativa in un gruppo di pazienti
con PD ad esordio tardivo; tali alterazioni frontali potrebbero essere associate all’importante deficit delle
funzioni esecutive dei pazienti con PD [63]. Più recentemente, Burton et al. [64], utilizzando la VBM, hanno dimostrato, in pazienti con PD e demenza, una riduzione statisticamente significativa del volume dei
lobi temporali bilateralmente (inclusi ippocampo e paraippocampo), dei lobi occipitali bilateralmente,
del lobo frontale destro, del lobo parietale sinistro e di alcune regioni sottocorticali, rispetto ai controlli
sani. Inoltre, come mostrato dalla figura 22, dove le aree di riduzione del volume cerebrale appaiono in
grigio, i pazienti con PD e demenza avevano un’atrofia statisticamente significativa della sostanza grigia
dei lobi occipitali (prevalentemente a sinistra) rispetto ai pazienti con PD senza demenza [64].
Hanyu et al. [65] hanno dimostrato che nei pazienti con PD e demenza il MTR della sostanza bianca sottocorticale (compresa la sostanza bianca frontale e il ginocchio del corpo calloso) era ridotto rispetto a valori ottenuti nei controlli sani. Summerfield et al. [66] hanno misurato, mediante 1H-RMS, la
340
IL CONTRIBUTO DELLA RISONANZA MAGNETICA ALLO STUDIO DELLE DEMENZE SOTTOCORTICALI
FIGURA 21
BA 38
BA 38
IPPOCAMPO
BA 34
BA 10/24/32
TALAMO
VALORE DI T
7.2
NUCLEO
CAUDATO
BA 38
BA 34
3.5
Modificata da Nagano-Saito et al., Neurology 2005.
FIGURA 22
A
B
C
Burton et al., Brain 2004.
341
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
concentrazione di NAA a livello dei nuclei della base e dei lobi occipitali in pazienti PD con e senza
demenza. Questi autori hanno riscontrato una riduzione significativa dell’NAA nei lobi occipitali dei
pazienti con PD e demenza rispetto ai controlli e ai pazienti con PD senza demenza. Tale riduzione era
correlata con il grado di performance neuropsicologica [66].
6.
Conclusioni
Le tecniche di RM strutturale e funzionale hanno fornito un grande contributo alla comprensione
dei meccanismi fisiopatologici delle demenze di tipo sottocorticale nelle diverse condizioni neurologiche che ad esse si associano. I risultati degli studi fin qui condotti indicano che la compromissione cognitiva dipende non solo dal danno a carico della sostanza bianca ma anche da quello della sostanza grigia.
Il danno della sostanza bianca sembra essere indipendente dalla presenza di lesioni visibili su immagini di RM convenzionale. Sebbene questi meccanismi rappresentino un comune denominatore di tutte
le demenze sottocorticali, la loro relativa prevalenza sembra variare da paziente a paziente ed a seconda
della loro specifica condizione patologica, rendendo tuttora problematico l’utilizzo di queste informazioni ai fini prognostici nella gestione di singoli pazienti.
Bibliografia
1.
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346
CAPITOLO 16
TOMOGRAFIA EMISSIVA
NELLE DEMENZE SECONDARIE
Arturo Brunetti, Sabina Pappatà
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali
Università degli Studi di Napoli Federico II
Istituto di Biostrutture e Bioimmagini
Sezione di Bioimmagini - Consiglio Nazionale delle Ricerche
1.
Introduzione
La definizione di “demenze secondarie” include estensivamente tutte le condizioni in cui i distur-
bi cognitivi sono conseguenza di “altre malattie”, delle quali pertanto rappresentano una delle possibili manifestazioni insieme al restante corteo semeiologico-sintomatologico (vedi tabella 1).
Tabella 1 - Demenze secondarie: possibili cause
– Vasculopatie
– Malattie infettive-infiammatorie
– Malattie dismetaboliche - carenziali - tossiche
– Traumatiche
– Neoplasie
– Malattie degenerative del SNC
– Idrocefalo normoteso
– Malattie psichiatriche
Con riferimento alle classiche categorie di patologia generale (malattie su base infiammatoria/infettiva, degenerativa, dismetabolica, traumatica neoplastica) possiamo abbastanza agevolmente inquadrare le varie forme di demenza secondaria.
Le demenze secondarie hanno eziologie definite, estremamente eterogenee: inoltre sono condizioni potenzialmente “reversibili” se la causa viene rimossa in tempo utile.
Tra le cause di gravi disturbi cognitivi inquadrabili come forme secondarie di demenza sono comprese anche le patologie vascolari, responsabili, insieme alla principale forma di demenza “primaria”
attualmente conosciuta, la malattia di Alzheimer, della stragrande maggioranza delle forme di demenza.
Le demenze vascolari sono trattate specificamente in questo volume: dal punto di vista epidemio-
347
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
logico, se si escludono le forme vascolari, le demenze secondarie restanti costituiscono una frazione non
superiore al 10% di tutte le forme di demenza.
Applicazioni di tomografia emissiva allo studio delle demenze secondarie sono prevalentemente
relative a studi del flusso ematico e del metabolismo cerebrale regionale; non mancano peraltro segnalazioni relative a studi dei sistemi di neurotrasmissione. Molti studi sono relativi a casistiche ridotte e particolarmente sono i “case reports” che rendono più difficile la estrazione di informazioni omogenee.
In questo capitolo descriveremo le modificazioni funzionali encefaliche associate a demenze secondarie evidenziabili con tecnica di tomografia emissiva (studi di perfusione con SPECT e di attività metabolica con PET-FDG) con la presentazione di alcuni casi esemplificativi.
2.
Malattie infettive-infiammatorie
Anche se malattie ad eziopatogenesi infiammatoria come la sclerosi multipla possono essere asso-
ciate a rilevanti disturbi cognitivi, sono soprattutto le malattie infettive ad essere possibile causa di
“demenze secondarie” potenzialmente reversibili in rapporto all’adozione tempestiva di un trattamento appropriato.
Tra le demenze associate a malattie infettive ha assunto particolare rilievo negli ultimi venti anni
la demenza associata all’infezione da HIV del Sistema Nervoso Centrale (SNC): una patologia a carattere generalmente cronico progressivo, con severa compromissione delle funzioni neurologiche cognitive
e comportamentali, clinicamente ben distinta dalle manifestazioni associate a infezioni opportunistiche del SNC (es. infezioni da toxoplasma o criptococco) o dalle sindromi cerebrali osservabili in altre
condizioni di immunodepressione e immunosoppressione. Alterazioni funzionali possono essere dimostrate con tecniche tomografiche in assenza di alterazioni strutturali documentabili con la RM o la TC.
Nell’AIDS dementia complex sono state evidenziate con tecniche SPECT e PET alterazioni di flusso e
metabolismo cerebrale [1]; in particolare, con la PET è stato evidenziato un pattern metabolico caratterizzato da ipermetabolismo dei nuclei della base e ipometabolismo corticale diffuso ingravescente [2]; è
stata poi dimostrata la reversibilità di tali alterazioni con trattamento antivirale con azidotimidina [3]
(figura 1); studi di perfusione con SPECT hanno evidenziato anomalie non specifiche della distribuzione del flusso ematico cerebrale in soggetti HIV positivi; peraltro alterazioni del flusso sono state segnalate anche in pazienti HIV positivi asintomatici [4-6]. Anche con la SPECT è stata dimostrata la
reversibilità delle alterazioni funzionali dopo terapia [7]. Per quanto riguarda lo studio di sistemi di neurotrasmissione in pazienti con demenza associata ad AIDS, recentemente è stata dimostrata, con indagini
PET con [11C]raclopride e [11C]cocaina, una compromissione dei sistemi dopaminergici essenzialmente
pre-sinaptici significativamente correlata al carico virale; tale dato suggerisce la possibilità di un effetto
neurotossico HIV-mediato sui detti sistemi di neurotrasmissione che, a sua volta, potrebbe avere implicazioni nella patogenesi della demenza associata a infezione da HIV [8].
Altre malattie infettive possibile causa di demenze secondarie sono le infezioni da “prioni” come la
malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJ), caratterizzate da un andamento clinico rapidamente ingravescente
associato a sintomi extrapiramidali che ne consente la differenziazione con forme degenerative primarie come la malattia di Alzheimer. Sporadiche segnalazioni (case reports singoli) hanno evidenziato la
348
T O M O G R A F I A E M I S S I VA N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 1
11.25
22-OCT-86
7.50
3-DEC-86
3.75
AIDS. Paziente con AIDS (32/M) con una storia di 6 mesi di progressivo deterioramento cognitivo con
perdita progressiva di memori, agrafia e difficoltà di concentrazione e evidenza di ridotta percezione
visuospaziale, compromissione della performance motoria e delle capacità intelletive complessive.
Immagini PET-FDG basali (in alto) e dopo (in basso) trattamento con azidotimidina (250 mg ogni 4 ore
per os). Lo studio dopo sei settimane di terapia ha evidenziato un incremento del 30,6% del consumo
cerebrale di glucosio. Le funzioni cognitive del paziente apparivano significativamente migliorate. La scala
di colore corrisponde ai valori di consumo di glucosio espressi in mg glucosio/100g tessuto/minuto.
Le condizioni mentali del paziente rimasero stabili per i successivi 7 mesi di trattamento.
Il paziente morì successivamente allo sviluppo di una infezione meningea da criptococco.
Reprinted by permission of the Society of Nuclear Medicine from: A Brunetti, G Berg, G Di Chiro, RM Cohen, R Yarchoan, PA Pizzo,
S Broder, J Eddy, MJ Fulham, and RD Finn. Reversal of brain metabolic abnormalities following treatment of AIDS dementia
complex with 3’-azido-2’,3’-dideoxythymidine (AZT, zidovudine): a PET-FDG study. J Nucl Med. 1989; 30: 581-590. Figure 3.
possibile associazioni di alterazioni funzionali e metaboliche encefaliche, quali disomogenea riduzione
del flusso ematico cerebrale non riconducibile ad alcuno dei patterns noti di demenza [9, 10].
Nel primo caso di malattia di CJ studiato con PET-FDG fu descritto ipometabolismo temporale bilaterale [11]; più recentemente sono stati descritti casi di ipometabolismo diffuso eterogeneo [12] e asimmetrico [13, 14] come gia visto in SPECT [15].
In pazienti con disturbi del visus è stata evidenziata sia con PET che con SPECT ipofunzione della
corteccia occipitale [16, 17].
Studi su casistiche più numerose con valutazione del metabolismo, della perfusione e dell’enzima
monoamino-ossidasi di tipo B, un marker della risposta infiammatoria astrocitaria con [11C]deprenyl
349
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
hanno evidenziato alterazioni funzionali più rilevanti nella corteccia frontale, parietale e occipitale e
nel cervelletto mentre ponte, talamo e putamen appaiono relativamente risparmiati, così come la corteccia temporale [18].
3.
Endocrinopatie e patologie dismetaboliche
Gravi disturbi cognitivi possono conseguire a malattie endocrine e dismetaboliche, così come gravi
insufficienze renali, cardiache, respiratorie polmonari ed epatiche possono associarsi a sintomi neurologici e psichiatrici che includono disturbi dell’attenzione e della vigilanza, rallentamento psicomotorio ed
ideativo fino ad arrivare delirio, allucinazioni, depressione, cambiamenti di personalità.
Tra le disendocrinopatie con possibile compromissione delle funzioni cognitive va ricordato l’ipotiroidismo: l’ipotiroidismo congenito ha conseguenze note sullo sviluppo delle funzioni cognitive,
mentre è meno nota la possibilità di disturbi cognitivi associati ad ipotiroidismo anche nell’età avanzata.
Nell’ipotiroidismo (10 soggetti studiati post-tiroidectomia) è stato descritta una riduzione generalizzata dell’attività metabolica e del flusso ematico cerebrale con tecnica PET (utilizzando rispettivamente
[18F]fluorodeossiglucosio e [15O]H2O, in assenza di specifici deficit focali [19]. A questo dato si aggiungono alcuni “case reports” con SPECT: in un paziente con demenza secondaria, associata a tiroidite
autoimmune è stata segnalata riduzione globale del flusso ematico cerebrale alla SPECT [20] in un altro
paziente con demenza secondaria a sovradosaggio di metimazolo e radioterapia metabolica la SPECT
ha dimostrato una riduzione diffusa del flusso ematico cerebrale, reversibile con il ritorno all’eutiroidismo [21].
Risultati in parte conflittuali sono stati ottenuti con lo studio del flusso ematico cerebrale mediante SPECT in 10 pazienti con ipotiroidismo lieve in cui il flusso risultava ridotto selettivamente nella corteccia parietoocciptale destra, nel cingolo posteriore, nell’insula, nei giri pre- e post-centrale (regioni
coinvolte nel controllo di attività mnesiche, motorie e nell’elaborazione visuospaziale e nell’attenzione)
in cui non si evidenziavano significative modifiche dopo ritorno all’eutiroidismo [22].
Tra le endocrinopatie con possibili rilevanti effetti sulle funzioni cognitive, vanno ricordate anche
le malattie dell’asse ipofisario-surrenalico, in particolare l’iperincrezione di steroidi. Gli ormoni glicocorticoidi influenzano la utilizzazione del glucosio in diversi tessuti e molti studi sperimentali ne hanno evidenziato effetti sul metabolismo cerebrale. Riduzione diffusa del consumo di glucosio nell’emisfero
controlaterale normale è stata evidenziata in pazienti con neoplasie cerebrali sottoposti a prolungato
trattamento steroideo [23]. Inoltre, in un gruppo di 13 pazienti con adenomi ipofisari ACTH secernenti e malattia di Cushing l’esame PET con [18F]fluoro-deossiglucosio ha evidenziato ridotta attività metabolica cerebrale e dopo rimozione dell’adenoma ipofisario è stato verificato un aumento del metabolismo
cerebrale [24] (figura 2).
Non sono state invece indagate con tecniche tomografiche emissive possibili modificazioni funzionali cerebrali associate a disendocrinopatie gonadiche.
350
T O M O G R A F I A E M I S S I VA N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 2
10.0
5.0
2.5
CMRglu (mg/100g/min)
7.5
0.0
CUSHING. Paziente (M/62) con 10 anni di storia di malattia di Cushing.
Immagini trasversali PET-FDG a livello dei gangli basali.
Esame acquisito 2 giorni prima dell’intervento di chirurgia transfenoidale per rimozione
di microadenoma ipofisario (a sinistra) e quattro mesi dopo l’intervento (a destra).
Preintervento chirurgico UFC 259 (VN µg/24 ore 10/90); cortisolo AMPM 22.9/20 µg/dL VN = 5-20).
Immagini presentate con identica scala di colore per valori di utilizzazione di glucosio.
È evidente un aumento globale dell’utilizzazione di glucosio dopo intervento chirurgico.
Reprinted by permission of the Society of Nuclear Medicine from:
A Brunetti, MJ Fulham, L Aloj, B De Souza, L Nieman, EH Oldfield, and G Di Chiro.
Decreased brain glucose utilization in patients with Cushing’s disease. J Nucl Med. 1998; 39: 786-790. Figure 3.
4.
Alcoolismo - Agenti chimici e farmaci
Agenti tossici, in particolare metalli (piombo, manganese alluminio) e non metalli (arsenico), pesti-
cidi, solventi possono causare disturbi cognitivi.
Deterioramento cognitivo può essere anche conseguente a trattamenti terapeutici (benzodiazepine,
anticolinergici, steroidi, antistaminici, L-dopa ed agonisti, diuretici, antiipertensivi).
Una demenza secondaria può associarsi ad abuso di alcool etilico: gravi disturbi cognitivi sono osservabili in una frazione rilevante (circa il 10%) degli alcoolisti cronici. Dopo l’Alzheimer, le malattie cerebrovascolari e la depressione, l’alcoolismo costituisce la quarta causa di demenza nella popolazione anziana.
Tuttavia appare particolarmente complesso il contesto dismetabolico-fisiopatologico che collega l’abuso di
alcool al disordine delle funzioni cognitive. L’alcool etilico può avere un effetto tossico diretto sul SNC,
ma rilevanti effetti indiretti possono conseguire alle epatopatie e alle condizioni di malnutrizione conseguenti all’abuso di alcool, rendendo difficile l’interpretazione eziopatogenetica del danno encefalico.
Le più note condizioni associate a demenza potenzialmente conseguente all’abuso di alcool includono la sindrome di Wernicke-Korsakoff, la malattia di Marchiafava-Bignami e l’encefalopatia da alcoo-
351
LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
lismo-epatopatia cronica (condizione, quest’ultima, di cui peraltro viene da alcuni negata la specificità).
Nella sindrome di Wernicke-Korsakoff, una riduzione del flusso ematico cerebrale [25, 26] e del
metabolismo cerebrale [26-28] sono state dimostrate in sede talamica e corticale cerebrale (temporoparietale, temporale mediale, frontale e del cingolo posteriore). Il coinvolgimento funzionale di aree cerebrali che fanno parte del circuito di Papez/sistema limbico è verosimilmente alla base dei disturbi mnesici
che sono tipici di questa patologia. Recentemente la malattia di Marchiafava-Bignami è una complicanza rara e grave dell’alcoolismo cronico il cui quadro neuropatologico è caratterizzato da distruzione
simmetrica delle fibre del corpo calloso, spesso esteso ad interessare le commissure cerebrali anteriore e
posteriore.
In questa condizione è stata dimostrata con la PET una marcata riduzione della attività metabolica a livello della corteccia associativa frontale e temporo-parieto-occipitale in associazione ad alterazione strutturale ampia del corpo calloso [29] (figura 3) ed alla presenza di disturbi cognitivi di tipo corticale.
In un secondo caso, è stata descritta una prevalente riduzione dell’attività frontale mesiale e sottocorticale, associata ad una alterazione anteriore e posteriore del corpo calloso [30]. Alterazioni perfusive analoghe sono state evidenziate in un caso studiato con SPECT [31]. La distruzione delle connessioni
cortico-corticali transcallose, la perdita neuronale corticale associata o meno all’alcolismo potebbero
contribuire alle manifestazioni clinico-metaboliche osservate in questi pazienti.
5.
Malattie neurodegenerative
Demenze secondarie possono associarsi a malattie degenerative del SNC, come le sindromi parkinso-
niane e la corea di Huntington. Le lesioni striatali potrebbero essere alla base di disturbi comportamentali e neuropsicologici per un meccanismo di disconnessione dei circuiti striato-corticali.
Non è stata peraltro evidenziata una specifica correlazione tra le alterazioni del metabolismo e della perfusione cerebrale e le manifestazioni cliniche.
Nella malattia di Parkinson si evidenzia ridotta attività metabolica corticale rispetto ai nuclei della base, mentre differenti alterazioni distrettuali del metabolismo corticale sono osservabili in corso di
Paralisi Sopranucleare Progressiva e Atrofia Multisistemica [32].
Tali alterazioni funzionali sono associate direttamente alla patologia che interessa le strutture
nucleari e pertanto la discriminazione di una componente funzionale “demenza associata” nei pazienti che presentano disturbi cognitivi risulta non agevole.
6.
Wilson’s disease
La malattia di Wilson (degenerazione epatolenticolare) (figura 4) è una malattia ereditaria a carattere
autosomico recessivo caratterizzata da un abnorme accumulo di rame nell’organismo principalmente nel
fegato, nel cervello e a livello oculare (intorno alla cornea), curabile con la somministrazione di chelanti del
rame. A livello cerebrale le alterazioni sono diffuse ma più importanti nei nuclei lenticolari e si associano
a disturbi motori: bradicinesia, rigidità, tremore, distonia, corea. La presenza di disturbi comportamentali
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T O M O G R A F I A E M I S S I VA N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
FIGURA 3
MRI
18-F-FDG
A
C
E
B
D
F
MARCHIAFAVA BIGNAMI. Paziente (M/39) con storia di alcoolismo severo ed insorgenza improvvisa
di confusione, disturbi del comportamento e deterioramento cognitivo. TC: lesione ipodensa dello splenio
del corpo calloso ed atrofia corticale. Ipotesi diagnostica: malattia di Marchiafava Bignami.
Esame PET con 18F-FDG, MRI ed esame neuropsicologico effettuato un mese dopo:
il paziente era migliorato ma persisteva la demenza (disturbi frontali, linguaggi,
memoria e spaziocostruttivi, con segni di disconnessione callosa).
MRI: in T2 assiale (A) due aree iperintense bilaterali a livello dello splenio del corpo calloso (frecce);
in T1 sagittale (B) un’area di ipointensità in T1 nello splenio del CC (B) (presenza di diverse piccole aree
ipointense e area centrale ipointensa in tutto il corpo calloso (immagini non mostrate).
PET: il metabosimo cerebrale del glucosio (rCMRGlu) nel paziente (C, D) rispetto al controllo (E, F) appare
ridotto bilateralmente in sede prefrontale e temporo-parieto-occipitale mentre appare relativamente
preservato nelle regioni sensori-motorie, visive primarie, talamo e gangli della base.
Studio effettuato presso il Service Hospitalier Frédéric Joliot (SHFJ),
Commissariat à l’Energie Atomique (CEA), Orsay. Modificato da Pappata et al. [29].
e cognitivi può essere presente e rappresentare il primo sintomo in alcuni casi. La Risonanza Magnetica
permette di identificare lesioni caratteristiche a carico dello striato che vanno da alterazioni degenerative
(aumento del segnale in T2) alla presenza di accumulo di rame (con riduzione del segnale in T2).
In uno studio PET FDG su quattro pazienti con malattia di Wilson, Hawkins e collaboratori [33]
hanno evidenziato una diffusa riduzione del metabolismo cerebrale. Successivamente Pappatà e coll.
[34] hanno studiato l’ipotesi di una correlazione tra danno striatale e disturbi cognitivi con la valutazione
del metabolismo cerebrale del glucosio in 10 pazienti trattati con penicillamina, con durata di malattia
compresa tra 1 e 10 anni che, sulla base di un bilancio neuropsicologico, erano divisi in due gruppi: con
e senza disturbi cognitivi.
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LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
A differenza di Hawkins [33] in questo studio non veniva evidenziata riduzione del metabolismo
corticale del glucosio. La rCMRglu appariva ridotta soltanto nel caudato e nel putamen dei pazienti
rispetto ai controlli (figura 2, A-B). Questa riduzione era tanto più severa quanto più severi erano i disturbi motori. Tuttavia non si osservavano differenze significative nel metabolismo corticale tra pazienti con e senza disturbi cognitivi.
Le alterazioni metaboliche osservate nella malattia di Wilson possono regredire dopo terapia [35]. Inoltre sono state messe in evidenza in vivo alterazioni del sistema dopaminegico pre [36] e post-sinaptico [37].
FIGURA 4
Controllo
Wilson’s
Malattia di Wilson. Nella malattia di Wilson all’esame PET-FDG il consumo di glucosio appare ridotto
soltanto nel caudato e nel putamen dei pazienti (centro) rispetto ai soggetti normali (sinistra).
La MRI permette di identificare lesioni caratteristiche a carico dello striato (destra) che vanno da
alterazioni degenerative (aumento segnale in T2, come nel caso presentato) agli effetti dell’accumulo di
rame (riduzione del segnale in T2). Studio effettuato presso il Service Hospitalier Frédéric Joliot (SHFJ),
Commissariat à l’Energie Atomique (CEA), Orsay.
Un ringraziamento particolare al Prof. M Haguenau per aver contribuito a questo studio.
7.
Tumori e idrocefalo
Sono incluse tra le demenze secondarie le gravi compromissioni delle funzioni cognitive associate
a neoplasie endocraniche; i disturbi cognitivi, in caso di lesioni frontali, possono essere la prima manifestazione di malattia. Manifestazioni cognitive degenerative possono essere la conseguenza o conseguenza indiretta (edema, idrocefalo) diretta dell’effetto massa della neoplasia.
In associazione a malattie neoplastiche quali ca. del polmone e della mammella sono inoltre descritte demenze di natura paraneoplastica, come ad esempio la cosiddetta encefalite limbica (con compromissione della memoria e da manifestazioni comportamentali) che comunque si associa a evidenti
modificazioni del segnale delle struttute limbiche-temporo mesiali in RM.
Una condizione di particolare interesse fisiopatologico, che può essere associata a deterioramento
cognitivo ingravescente (fluttuante) oltre che a disturbi della marcia e incontinenza sfinterica è l’idrocefalo normoteso.
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T O M O G R A F I A E M I S S I VA N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
Lo studio del flusso e del metabolismo cerebrale in pazienti con idrocefalo normoteso mediante
PET ha mostrato la presenza di una riduzione cerebrale diffusa del consumo di glucosio (cortico-sottocorticale) [38, 39].
Con tecnica PET sono stati condotti nell’idrocefalo normoteso anche studi del flusso ematico cerebrale evidenziando una significativa riduzione del flusso nella sostanza grigia corticale e sottocorticale ma
non nella sostanza bianca [40]. Gli stessi autori tuttavia, quasi in contemporanea hanno segnalato una
riduzione del flusso ematico nella sostanza bianca adiacente ai ventricoli (in qualche modo in conflitto
con l’altro studio) con modificazioni associate alle variazioni di pressione [41].
Lo studio del flusso ematico cerebrale con SPECT e [99mTc]HMPAO prima e dopo derivazione liquorale ha evidenziato in tutti i soggetti significative modificazioni della perfusione sottocorticale e corticale
con riduzione significativa delle alterazioni dopo terapia [41]. Nella figura 5 sono riportare le alterazioni del flusso ematico cerebrale in un paziente con idrocefalo normoteso.
FIGURA 5
Controllo
rCBF-SPECT
Idrocefalo
Idrocefalo Normoteso. Studio del flusso ematico cerebrale con SPECT-99mTcECD in un soggetto normale
(alto) e in un paziente (basso) con idrocefalo normoteso (M/47 anni), che riferiva l’insorgenza di disturbi
della memoria da qualche anno. L’esame neurologico mostra tetraiperreflessia agli arti, segno di Epstein
presente, ipertono misto. Alla RM erano evidenti dilatazione marcata dei ventricoli laterali e del terzo
ventricolo, riduzione di spessore del corpo calloso; stenosi della porzione intermedia dell’acquedotto di
Silvio. Il tessuto cerebrale appariva ridotto di volume e, nel suo contesto, si evidenziavano alcuni nuclei di
alto segnale in T2 su base gliotica. All’esame neuropsicologico si rilevava: QI verbale = 67,
QI performance = 66, QI totale = 63 (valori nel range della deficitarietà mentale).
La SPECT cerebrale mostra una severa riduzione del flusso ematico cerebrale corticale ed sottocorticale a
livello del talamo e dei nuclei della base, nonché a livello del verme cerebellare; relativamente preservato
appare il flusso ematico a livello degli emisferi cerebellari.
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LE NEUROIMMAGINI DELLE DEMENZE
Lo studio del rCBF effettuato prima e dopo lo shunt potrebbe avere un valore per monitorare l’effetto della terapia a livello perfusionale e clinico. Il valore predittivo nell’indicazione allo shunt è stato
studiato ma rimane controverso.
8.
Traumi
Anche in seguito a traumi cranici chiusi ripetuti (come nei pugili) possono manifestarsi forme di
deterioramento cognitivo anche gravi (demenze da traumi cranici). In queste forme il danno può essere
dovuto alla distruzione di parenchima per lesioni focali di tipo emorragico (ematoma intracerebrale ed epidurale, emorragia subaracnoidea o intraventricolare) o ischemico-ipossico con danno esteso agli assoni.
Nelle demenze post-traumatiche le tecniche di tomografia emissiva hanno evidenziato alterazioni
eterogenee in genere correlate al danno strutturale [42].
9.
Malattie psichiatriche
Disturbi cognitivi anche gravi possono comparire nel corso di malattie psichiatriche, in particola-
re in soggetti depressi (pseudodemenze).
Queste manifestazioni, frequentemente osservabili nei pazienti depressi anziani pongono problemi di diagnosi differenziale con la malattia di Alzheimer che, comunque, negli stadi iniziali può mostrare sintonmi depressivi associati ai primi disturbi mnesici/cognitivi.
In queste condizion il contributo della tomografia emissiva è essenzialmente quello di confermare
l’esistenza di alterazioni metaboliche e funzionali associate alla malattia di Alzheimer, per confermare/escludere l’ipotesi diagnostica.
10. Conclusioni
Le segnalazioni relative ai quadri di tomografia emissiva in corso di demenza secondaria (escluse le
forme vascolari e quelle associate a malattie neurodegenerative) sono numericamente limitate, e quanto descritto nella letteratura deve essere considerato con estrema prudenza: in particolare, la sporadicità di alcune delle condizioni descritte e la scarsa disponibilità di riscontri autoptici fa sì che in molti casi
si tratti di case reports piuttosto che di lavori sistematici su casistiche ampie.
In conclusione nelle demenze secondarie si riscontrano variabili alterazioni delle funzioni studiabili con la PET e la SPECT, che in alcuni casi possono avere una distribuzione topografica consistente
con le manifestazioni cliniche e che possono essere apprezzabili anche quando non si hanno definite
alterazioni morfostrutturali con la RM.
Le indagini funzionali possono essere particolarmente utili per evidenziare modificazioni funzionali
reversibili in rapporto all’adozione di appropriati trattamenti terapeutici.
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T O M O G R A F I A E M I S S I VA N E L L E D E M E N Z E S E C O N D A R I E
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