la storia del rap francese

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la storia del rap francese
Il Comité Veil, il Preambolo e i nuovi diritti:
la “revanche” della tradizione costituzionale francese?
Paola Piciacchia
SOMMARIO: 1. Il Comité Veil, il Preambolo e la costituzionalizzazione di nuovi diritti: significato di un rifiuto. – 2. Il valore giuridico del Preambolo nell’evoluzione costituzionale francese: il dibattito dottrinario nella III e IV Repubblica. – 3. La V Repubblica, l’elaborazione giurisprudenziale e la piena affermazione del valore giuridico del Preambolo. – 4. I poteri pubblici francesi di
fronte alla tradizione costituzionale francese: spunti di riflessione.
1.
Il Comité Veil, il Preambolo e la costituzionalizzazione di nuovi
diritti: significato di un rifiuto.
L’oggetto principale di questo contributo riguarda una delle
idee di fondo emerse dalla “dottrina” del Comité de réflexion sur le
Préambule de la Constitution presieduto da Simone Veil ed è riconnessa direttamente all’esito stesso del Rapporto rimesso al Presidente
della Repubblica nel dicembre 2008, Rapporto con il quale, il Comitato si è chiaramente espresso contro la modifica del Preambolo e
l’introduzione di nuovi diritti.
In particolare riguarda il mancato accoglimento da parte del
Comitato dell’idea di giungere ad una costituzionalizzazione della
giurisprudenza costituzionale, e la volontà fortemente manifestata di
rifiutarsi di porre mano al Preambolo al fine di mettere punti fermi e
paletti fissi a quello che ormai costituisce un apparato giurisprudenziale di ampissima portata in tema di diritti e che rappresenta la base
evolutiva di un catalogo dei diritti che – come è noto – si esprime in
Francia attraverso testi di ispirazione diversa che si sono sovrapposti
nel tempo, quali la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
del 1789, il Preambolo della Costituzione del 1946 e solo di recente
la Carta dell’ambiente del 2004 costituzionalizzata nel 20051.
1 Sulla
costituzionalizzazione della Charte de l’environnement v. la Legge costituzionale n. 2005-205 del 1° marzo 2005 (J.O. del 2 marzo 2005).
Riguardo al catalogo dei diritti, oltre ai testi sopra menzionati direttamente conte-
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Il richiamo alla tradizione costituzionale francese contro la tendenza alla costituzionalizzazione eccessiva – richiamo nel quale sembra di poter cogliere il significato più profondo dell’esito del Rapporto del Comitato Veil – appare, a mio avviso, uno degli elementi di
maggiore risalto nella valutazione di tutta la fase latu senso costituente2 dell’era Sarkozy3 in cui con forza sembrano riemersi alcuni
capisaldi della cultura politico-istituzionale francese. Ed è proprio su
questo che siamo indotti a riflettere.
È bene innanzitutto accennare alle vicende che hanno portato
all’istituzione del Comitato Veil. Come è noto, sulla scia del fervore
riformista che aveva animato i primi mesi della presidenza Sarkozy
con l’istituzione del Comité di réflexion sur la modernisation des institutions presieduto da Edouard Balladur nel luglio 20074 (che ha
nuti nel Preambolo, occorre naturalmente non dimenticare gli articoli della Costituzione
stessa del 1958 che fanno riferimento ai diritti e alle libertà.
2 È noto come in Francia vi sia una sostanziale sovrapposizione di concetti tra potere costituente e potere di revisione costituzionale. Cfr. sul punto M. VOLPI, La forma
di governo in Francia alla luce della riforma costituzionale del luglio 2008, p. 1, in
http://www.astrid-online.it/Dossier.
3 Per un approfondimento delle dinamiche emerse agli inizi delle presidenza
Sarkozy v. M. LAZAR, G. BALDINI (a cura di), La Francia dì Sarkozy, Bologna, Il Mulino,
2007, in particolare il saggio introduttivo dei due autori, La nuova Francia del presidente
Sarkozy, p. 7 ss. e quello di S. CECCANTI, Le istituzioni e il sistema politico dopo il primo
«quinquennato», p. 27 ss.
4 Sul Comitato Balladur cfr. AA.VV., Projet de réformes institututionnelles, in Regards sur l’actualité, n. 339 marzo 2008, Paris, La Documentation française, 2008. Vedi
in particolare: D. CHAGNOLLAUD, Le propositions du Comité Balladur pour une Ve République plus démocratique, in Regards sur l’actualité, n. 339 marzo 2008, Paris, La Documentation française, 2008, p. 15-25; F. HAMON, Du Comité Vedel au Comité Balladur.
Permanences et evolutions des grandes thèmes du réformisme constitutionnel, in Regards
sur l’actualité, n. 339 marzo 2008, Paris, La Documentation française, 2008, pp. 27-42.
Cfr. inoltre Y. GAUDENET, Rapport de la Commission Balladur: libre propos croisés de
Pierre Mazeaud et Olivier Schrameck, in Revue du Droit Public, 1/2008, pp. 2-49.
A sottolineare ulteriormente gli intenti riformistici della presidenza Sarkozy portati avanti attraverso il metodo della creazione di Comitati di studio e di proposta, merita qui infine ricordare anche l’istituzione con decreto n. 2008-1078 del 22 ottobre
2008 del Comité pour la réforme de collectivités locales presieduto anch’esso da Edouard
Balladur incaricato «d’étudier les mesures propres à simplifier les structures des collectivités locales, à clarifier la répartition de leurs competences et à permettre une mellieure allocation de leurs moyens financiers, et de formuler toute autre recommandation
qu’il jugerà utile» e con il compito di rimettere il suo Rapporto al Presidente della Repubblica per il 1° marzo 2009. Cfr. COMITÉ POUR LA RÉFORME DE COLLECTIVITÉS LOCALES,
Il est temps de décider, Rapport au Président de la République, 5 marzo 2009.
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poi portato alla revisione costituzionale del 23 luglio 20085), dopo
l’annuncio che era stato fatto dal Presidente della Repubblica l’8
gennaio dello scorso anno, il 9 aprile successivo era stato istituito il
Comité di réflexion sur le préambule presieduto da Simone Veil6, che
veniva incaricato dell’elaborazione di un Rapporto nel quale si sarebbe dovuto esprimere circa l’opportunità o meno di procedere ad
una revisione del Preambolo attraverso un approfondimento dei
contenuti dello stesso7.
Nello specifico, il Comitato di riflessione sul preambolo era
stato incaricato così da Nicolas Sarkozy, come si legge nella lettre de
mission dello stesso 9 aprile «d’étudier si et dans quelle mesure les
droits fondamentaux reconnus par la Constitution doivent être complétés par des principes nouveaux», con particolare riferimento al
problema della parità tra donne e uomini, alle problematiche legate
alla bioetica e alla possibilità di nuove politiche di integrazione per la
5 Sulla
revisione costituzionale del 23 luglio 2008 v. P. JAN (a cura di), La Constitution de la Ve République, Études de la Documentation française, Paris, La Documentation française, 2008; AA.VV., La réforme de l’État, in Cahiers français, Paris, La Documentation française, n. 346, settembre-ottobre 2008; V. anche B. MATHIEU (a cura di),
1958-2008 - Cinquantième anniversaire de la Constitution française, Paris, Dalloz, 2008.
Sulla spinta revisionista degli ultimi anni in Francia v. M. CALAMO SPECCHIA, La revisione
della Costituzione in Francia. Tra rovesciamenti di regime e manutenzione costituzionale,
in F. PALERMO (a cura di), La “manutenzione” costituzionale, Cedam, Padova, 2007, pp.
109 ss.; Vedi anche F. LUCHAIRE, G. CONAC, X. PRÉTOT, La Constitution de la République
française - Analyses et commentaires, Paris, Economica, 2009, p. 55 ss.
6 Cfr. il decreto di nomina del 9 aprile 2008 n. 2008-328 con la composizione del
Comitato: oltre al Presidente Simone Veil, già membro del Consiglio costituzionale e
Ministro di Stato, il Comitato era composto da: Bernard Accoyer, presidente dell’Assemblea Nazionale; Francine Bardy, consigliere della Corte di Cassazione; Claude
Bébéar, direttore d’azienda; Denys de Béchillon, professore di Diritto pubblico all’Università di Pau e dei paesi dell’Adour; Philippe Bélaval, consigliere di Stato; Richard
Descoings, consigliere di Stato e direttore dell’Istituto di Studi politici di Parigi; Samia
Essabaa, professore di inglese al liceo professionale di Moulin Fondu (Noisy-le-Sec);
Patrice Gélard, senatore; Axel Kahn, Direttore di ricerca dell’Istituto nazionale della sanità e della ricerca medica, presidente dell’Università di Paris-V (Réné Descartes);
Pierre Manent, direttore di studi alla Scuola di alti studi nelle scienze sociali; JeanFrançois Sirinelli, direttore del Centro di Storia di Sciences Po.
7 Sui timori espressi circa l’opportunità di ampliare il catalogo dei diritti del
Preambolo e il rischio di attentato alla filosofia politica espressa dal modello repubblico
e ai principi della Repubblica quale quello di uguaglianza di tutti davanti alla legge v. le
considerazioni di A.-M. LE POURHIET, Touche pas à mon préambule, in Le Figaro, 23
maggio 2008.
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valorizzazione delle diversità; temi oltre ai quali erano stati poi suggeriti come oggetto di riflessione il riconoscimento del principio
della dignità della persona umana, il pluralismo delle correnti di
espressione e dei media, il rispetto della vita privata e la protezione
dei dati personali, il radicamento europeo della Repubblica.
Inizialmente previsto per il giugno 2008, il Rapporto della Commissione Veil sulla riforma del Preambolo del 1958 è stato rimesso al
Presidente della Repubblica solo il 17 dicembre dello scorso anno.
In estrema sintesi, l’unico contributo in termini di proposte
concrete prodotte dal lungo ed articolato Rapporto8 (143 pagine più
gli allegati) del Comité Veil è stato quella relativo alla richiesta di una
aggiunta all’articolo 1 della Costituzione al fine di introdurre un riferimento esplicito al principio di eguale dignità di ciascuno. Su tutte
le altre questioni che gli erano state sottoposte il Comitato ha ritenuto che, appunto, il contenuto del Preambolo non necessitasse di
alcuna modifica e che l’apparato giuridico – che oltre ai testi costituzionali riguarda proprio tutta la giurisprudenza elaborata negli anni
in tema di diritti dal giudice costituzionale e tutti i principi da essa
espressi – sia attualmente in Francia ampiamente sufficiente a coprire e a tutelare i diritti fondamentali e che, per alcuni specifici ambiti e per la realizzazione di vere e proprie politiche miranti alla tu8 Come
già anticipato, dopo una minuziosa analisi attraverso la quale il Comitato
Veil ha ripercorso i punti cardine dell’evoluzione dei diritti fondamentali in Francia e
analizzato nello specifico ciascuna delle questioni che gli erano state sottoposte, esso ha
ritenuto «ni souhaitable, ni utile de proposer d’importants enrichissements du préambule» in relazione a «l’ampleur de notre corpus constitutionnel».
L’unica questione per la quale il Comité ha valutato come necessario l’intervento
del costituente è stata quella della dignità della persona, optando per una scelta positiva
convergente sulla formulazione di “uguale dignità” «la seule, philosophiquement et historiquement, à ne recouvrir que l’acception la plus libérale de la dignité».
Nello specifico, il Rapporto del Comitato Veil si è sviluppato in due parti. Nella
prima parte il Comitato ha espresso i punti essenziali della sua dottrina sulla base della
quale ha fondato la propria decisione. Tra questi punti essenziali della dottrina del Comitato Veil sono emersi il rispetto dell’eredità costituzionale francese, l’importanza di
assicurare l’intangibilità dell’opera costituzionale recente, il rifiuto di suggerire l’arricchimento del Preambolo senza una vera utilità e l’idea di mantenere l’intervento del potere costituente il suo valore di ultima istanza.
Nella seconda parte il Comitato ha espresso la propria posizione in relazione alle
questioni fondamentali che gli sono state sottoposte quali il radicamento europeo, la parità tra uomini e donne, il pluralismo delle correnti di pensiero e dei media, la bioetica,
il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali, l’uguaglianza delle chance.
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tela di particolari diritti, il vettore più appropriato per l’approfondimento di alcuni diritti sia a tutt’oggi la legge9.
9 Riguardo
specificatamente agli esiti del Rapporto del Comitato Veil, molti sono
gli aspetti sui quali ci si potrebbe soffermare, ciascuno meriterebbe in effetti un approfondimento specifico, come ad esempio quello relativo al rifiuto manifestato dal Comitato Veil di ricorrere all’utilizzo della via costituzionale per le affirmatives actions, relativo quindi al problema della costituzionalizzazione delle diversità basate sul criterio
etnico-sociale. Tra le questioni affrontate appare dunque sicuramente di maggiore interesse quella relativa al profilo dell’uguaglianza delle chances e alle azioni positive.
Il Comitato Veil infatti – pur riconoscendo l’uguaglianza delle chances e la lotta
contro le discriminazioni come una delle aspirazioni più forti della società contemporanea – si è orientato per il rifiuto dell’utilizzo della via costituzionale a favore dello sviluppo di forme concrete di azioni positive. Un passaggio essenziale è stato quello relativo al rifiuto dell’accoglimento di una politica della promozione delle diversità fondata
sulla razza, le origini, le religione. Il profilo sul quale l’attenzione della dottrina si è concentrata principalmente nell’attendere gli esiti del Rapport Veil è stato quello della “costituzionalizzazione delle diversità” e quindi dell’eliminazione degli ostacoli giuridici alle
azioni positive fondate sul criterio etnico-sociale.
Il rifiuto del Comitato di trasferire in Francia la politica dell’affirmative action
fondata sulla razza, presente in altri Paesi, è stato basato su una serie di considerazioni.
In primo luogo, sul fatto che in altri Paesi le affirmativs actions fondate sulla razza si giustificano perché esse fanno seguito a periodi di segregazione attuata attraverso il diritto.
L’adozione di criteri etcnici a fini di discriminazioni positive sono ammessi in contesti
come gli Stati Uniti in cui certi criteri sono usuali ma non è il caso della Francia Paese
in cui la nozione stessa di razza è dibattuta. In secondo luogo, il Comitato ha ricordato
– rifacendosi alla recente giurisprudenza della Corte Suprema che sembra aver messo in
discussione il principio dell’affirmative action basato su criteri razziali a partire dal 1978
– come sarebbe singolare che venisse accolto in Francia tale principio laddove proprio
negli Stati Uniti sta cedendo il passo. In terzo luogo, il Comitato ha stimato una via non
percorribile cercare di attenuare il divieto costituzionale di ogni discriminazione fondata
sull’origine; in quarto luogo il Comitato ha temuto che una politica di discriminazione
positiva su base etnica potesse comportare effetti perversi come un indebolimento del
vivere insieme o una crescita di tensioni e di risentimenti tra cittadini comunitari.
In sostanza, il Comitato ha indicato come l’attuale quadro costituzionale offra
ampi margini di manovra per attuare politiche di azioni positive. Eccezion fatta per le
discriminazioni a carattere razziale, la Costituzione in vigore offre spazi per l’attuazione
di politiche di azioni positive, di differenziazione positiva.
D’altronde tale possibilità non è mai stata esclusa neanche dalla giurisprudenza
del Conseil constitutionnel il quale, come si ricorda nel Rapporto del Comitato, si è più
volte espresso sul fatto che nessun principio o regola di valore costituzionale impedisce
al legislatore di prendere le misure necessarie al fine di agevolare le categorie disagiate.
Sulle affirmatives actions in Francia v. il n. 111 di Pouvoirs, Discriminations positives, novembre 2004; in particolare cfr. G. CALVES, Les politiques françaises de discrimination: trois spécificites, in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 29; B. PERREAU, L’invention
répubblicaine. Éléments d’une herméneutique minoritaire, in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 41;
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Il mancato accoglimento dell’opzione di costituzionalizzare la
giurisprudenza costituzionale, procedendo così a dare certezza normativa all’apparato giurisprudenziale sedimentatosi nel tempo, appare, dunque, tra le sottolineature più forti giunte dal Comitato. Infatti la posizione del Comitato pare al riguardo essere netta. Pur riconoscendo la mancanza di argomenti giuridici di fondo che possano
supportare la scelta della limitazione del potere costituente in tale
campo, il Comitato ha rimarcato con decisione come il solo scopo
della “codificazione” sarebbe quello di migliorare la conoscenza e la
intelligibilità dei diritti costituzionali e come questo potrebbe essere
uno scopo perseguibile anche attraverso altre vie, ma che, di contro,
la costituzionalizzazione rappresenterebbe invece “un tratto regressivo” riguardo alla tradizione francese di protezione dei diritti fondamentali, tradizione che si è sempre invece inserita nel solco del
progresso, un asse di progresso che nei secoli si è alimentato dell’aggiunta di diritti nuovi e che la “codification stricte” “évoque forcément le projet d’arrêter le mouvement de l’histoire ou d’empêcher
son cours naturel”10.
In sostanza il Comitato ha ritenuto che l’intervento del costituente fosse da considerare come un intervento di ultima istanza in
quanto il Preambolo “ne povait se concevoir que dans des matières
qui, sans être totalement figées, n’étaient pas susceptibles d’évolutions marquées a court ou moyen terme”11. Il rifiuto del Comitato
sembra dunque corrispondere al timore che una costituzionalizzazione ulteriore rispetto ai testi attuali possa comportare un eccessivo
irrigidimento del quadro dei diritti i quali per natura non sono
“fissi” ma hanno la necessità di evolversi in relazione anche ai valori
espressi dalle società in un determinato momento storico. Di qui la
A. LEVADE, Discrimination positive et principe d’égalité en droit français, in Pouvoirs, n.
111, 2004, p. 55; E. LÉPINARD, L. BERENI, La parité ou le mythe d’une exception française,
in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 73; F. STASSE, Pour le discrimination positives, in Pouvoirs,
n. 111, 2004, p. 119; A.-G. SLAMA, Contre la discrimination positive. La liberté insupportable, p. 133 ss. Sulle anticipazioni del Rapporto Veil e le azioni positive v. le osservazioni di P. LOZÉS, Le rapport controversé du Comité Veil, in Le Nouvel Observateur, 10
dicembre 2008, www.nouvelobs.com.
10 COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport au Président de la République, dicembre 2008, p. 38.
11 COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport, cit.,
p. 41.
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necessità di mantenerli entro una cornice sufficientemente elastica da
poter naturalmente favorire tale evoluzione. In tal senso la posizione
del Comité Veil si inserisce in un quadro che vede nel giudice costituzionale l’interprete più idoneo di quei valori e di quei principi sui
quali la Costituzione si fonda, i quali sono suscettibili però di evolversi e di adattarsi alle mutate esigenze espresse dalla società.
Di fatto, il Comitato ha sottolineato che il vizio più eclatante
dell’arsenale costituzionale sui diritti fondamentali non è quello di
essere insufficiente, ma di essere ignorato12.
Il Comitato, infatti, ha rilevato che i diritti costituzionalmente
protetti in Francia formano oggi un corpo considerevole tale da essere considerato – anche alla luce dell’entrata in vigore della Carta
dell’ambiente del 2004 – uno dei più “denses” ed “équilibrés”13 del
mondo occidentale. E questo grazie non solo ai testi che formano il
Preambolo della Costituzione del 1958, Dichiarazione dei diritti del
1789 e Preambolo del 1946, ma anche grazie al lavoro dei giudici e
in particolare dei giudici costituzionali, i quali, attraverso una grande
opera di interpretazione e grazie anche all’utilizzazione di tutte le
virtualità offerte dal Preambolo stesso, sono riusciti a saldare insieme
la base di valori su cui esso si fonda e hanno portato all’elaborazione
di una nutrita giurisprudenza, producendo un arricchimento significativo del corpo dei diritti fondamentali.
Sebbene l’apporto del Comité Veil sia dunque apparso alla dottrina piuttosto modesto, a tal punto che c’è chi ha anche parlato di
“echec”14 nel senso anche della singolarità di una commissione di tale
portata che propone lo status quo rispetto alle aspettative e soprattutto rispetto all’ampiezza delle richieste formulate nella “lettre de
mission” del Presidente Sarkozy, di sicuro esso, da un lato, costituisce
un ottimo punto riferimento per riprendere una riflessione complessiva sullo stato dei diritti fondamentali in Francia che, come è noto, a
partire dalla sentenza del 16 luglio del 1971 godono di particolare
protezione grazie all’affermazione sul valore giuridico del Preambolo
12 Cfr. COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport au
Président de la République, dicembre 2008, p. 137.
13 Cfr. COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport…,
cit., p. 137.
14 P. MBONGO, Le Comité Veil. Chronique d’un échec annoncé, in Revue Administrative, vol. 62, n. 369, 2009, pp. 253-255.
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fatta dal Conseil constitutionnel attraverso l’inclusione del medesimo
nel cosiddetto “bloc de constitutionnalité”; dall’altro, costituisce uno
spunto per ripercorre in chiave diacronica la dinamica del costituzionalismo francese in tema di diritti e il ruolo svolto dall’interpretazione
giurisprudenziale nell’elaborazione di quello che viene definito un
vero e proprio diritto costituzionale giurisprudenziale.
2.
Il valore giuridico del Preambolo nell’evoluzione costituzionale
francese: il dibattito dottrinario nella III e IV Repubblica.
Come è noto, la protezione dei diritti in Francia costituisce una
peculiarità rispetto ad altre esperienze.
Il fatto che in Francia il catalogo dei diritti sia contenuto nel
Preambolo rappresenta una particolarità rispetto ad altri Paesi nei
quali l’evoluzione dei diritti ha seguito un percorso diverso. Questo
ha indotto a riflettere sul valore e sulla portata delle Dichiarazioni
dei diritti e dei Preamboli stessi.
Ogni Costituzione è anche il riflesso di una certa concezione del
ruolo dello Stato nella società e di una determinata filosofia politica,
che si esprime naturalmente attraverso l’insieme delle disposizioni
costituzionali relative all’organizzazione del potere. Per ciò che concerne le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, esse
hanno assunto spesso il valore di una enunciazione filosofica sul
ruolo stesso dello Stato. Le Dichiarazioni, inserite talvolta in Preamboli, hanno contenuto, in genere, previsioni articolate relative alla
posizione del cittadino in seno alla società. Il loro testo è risultato separato da quello costituzionale e questo anche in virtù delle influenze esercitate dalle dottrine politiche del Settecento per cui si riteneva che i diritti fondamentali dell’individuo fossero “innati e naturali” e, quindi, che essi andassero solo accertati e dichiarati e non
attribuiti15. Riguardo specificatamente ai Preamboli, il contenuto de15 G.
MORANGE, Le valeur juridique des principes contenus dans la Déclaration des
Droits, in Revue du Droit Public, 1945, p. 243; M. PELLOUX, Le préambule de la constitution du 26 octobre 1946, in Revue du Droit Public, 1947, p. 367; L. PHILIP, La valeur
juridique de la Déclaration des droits de l’Homme et du citoyen du 26 août 1789, selon la
jurisprudence du Conseil constitutionnel, in Mélanges Kayser, II, Paris, PUAM, 1979, p.
317; P. BISCARETTI DI RUFFIA, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Milano,
Giuffrè, 1988; G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam,
1999.
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gli stessi però si è presentato spesso molto vario e non sempre esso
ha fatto esplicito riferimento ai diritti fondamentali: talvolta infatti
esso ha assunto il carattere di una solenne promulgazione della Costituzione come nel caso del Preambolo della Costituzione statunitense del 1787; altre volte esso ha fatto esplicito riferimento alla
fonte di legittimazione del potere costituente come nel caso dello
Statuto Albertino del 1948; in altri contesti esso ha assunto un significato politico, contenendo riserve come nel caso della Legge fondamentale tedesca 1949 e rinviando ad un momento successivo alla riunificazione la previsione di una nuova Costituzione; in altri casi,
come appunto in quello francese, il Preambolo è servito a proclamare o a fare un esplicito e solenne rinvio ad una serie di principi e
di libertà, non più menzionati in seguito dal testo costituzionale.
In virtù della moltitudine di significati attribuiti al Preambolo,
non è un caso che ci si sia spesso interrogati sul valore giuridico da
riconoscersi ad esso. In genere, per il loro contenuto fortemente
ideologico le disposizioni dei Preamboli sono state spesso ritenute
importanti nell’ambito interpretativo dell’intera normativa costituzionale, ma in linea generale si è sempre ammesso che la loro natura
è varia: sebbene, infatti, si ritenga che tutte le enunciazioni dei
Preamboli debbano comunque in qualche modo concorrere come
criteri interpretativi della Costituzione, è innegabile che le disposizioni in essi contenute possano essere assimilati a disposizioni di
“principio, programmatiche e ad efficacia differita, salve ipotesi in
cui la precettività sia immediata”16.
In linea generale, infatti, – come la dottrina ha evidenziato – la
portata e il valore che, sul piano giuridico, possono attribuirsi ai diritti dell’uomo dipende da diversi fattori. Uno di questi è costituito
dal loro posto all’interno del testo costituzionale; infatti solo le garanzie costituzionali dei diritti poste nel testo stesso della Costituzione hanno in linea di principio un reale valore giuridico, mentre, al
contrario, le Dichiarazioni dei diritti non hanno, di solito, che il valore di un enunciato filosofico che aiuta ad interpretare il testo costituzionale e ad ispirare l’azione del potere, ma che resta priva di sanzione giuridica. Un secondo fattore è anche dato dalla natura e dalla
forma propria di tali enunciazioni: perché la garanzia costituzionale
16 G.
DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, cit., p. 199 ss.
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abbia una vera portata giuridica occorre infatti che la garanzia possa
risolversi in una prescrizione d’azione o di astensione. Un terzo fattore determinante nel valutare il valore giuridico delle prescrizioni
contenute nei Preamboli è dato dall’esistenza o meno di organismi
giurisdizionali abilitati a imporre il loro rispetto del controllo di costituzionalità delle leggi.
Il grado di problematicità relativa al contenuto dei Preamboli e
delle Dichiarazioni si è profilato sin dall’epoca liberale. Partendo dai
presupposti sopra enunciati, i costituenti si preoccuparono sempre
più spesso di inserire i diritti dell’individuo nel corpo stesso della
Costituzione con l’intento di attribuire ad essi la stessa precettività
delle norme costituzionali e di evitare così che rimassero allo stato di
principi filosofici privi di valore giuridico17. Si inserisce in questa logica l’abbandono delle Dichiarazioni dei diritti distinte dal testo costituzionale e la scelta operata da alcuni paesi a favore dell’inserimento nel testo di precise norme per la garanzia dei diritti. Non è un
caso, infatti, che, a partire dalla Costituzione belga del 1831, si sia
sempre cercato di trattare la materia dei diritti direttamente nel testo
costituzionale. Oltre alla rilevanza via via acquisita dalla materia dei
diritti e oltre ad evidenti ragioni di organicità del testo costituzionale,
uno dei motivi di questa scelta va rintracciato appunto nella volontà
di non sollevare dubbi sulla precettività di tali disposizioni.
Quanto alle Costituzioni francesi, esse a partire dalla prima Costituzione, dopo la Rivoluzione francese, fino ad arrivare alla Costituzione del 1958, salvo alcune eccezioni, hanno fatto spesso esplicito
riferimento ai diritti o nei Preamboli o direttamente in alcune Dichiarazioni che precedevano la Costituzione ma non sempre alla Dichiarazione dei diritti ha fatto seguito una enunciazione delle garanzie dei diritti contenute nella Costituzione stessa.
Dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del
178918 – la quale come è noto oltre a consacrare i diritti del’uomo in
quanto individuo, li sviluppava in relazione alla Nazione – riguardo
17 Sul legame tra costituzioni e diritti di libertà cfr. P. ARDANT Les constitutions et
les libertés, in Pouvoirs, n. 84, 1998, p. 61 ss.
18 Sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino v. fra gli altri G. JELLINEK, La Déclaration des droits de l’homme du citoyen, Paris, Albert Fontemoing, Editeur,
1902; Cfr. anche G. CONAC, M. DEBENE, G. TEBOUL (a cura di), La déclaration des droits
de l’homme et du citoyen del 1789, Paris, Economica, 1993.
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al riconoscimento dei diritti le Costituzioni francesi succedutesi nel
tempo hanno offerto esempi diversificati.
La Costituzione del 179119, ad esempio, prevedeva al tempo
stesso una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (sostanzialmente la riproduzione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino del 1789) ed inoltre una garanzia dei diritti posta direttamente nel titolo primo relativo alle “Disposizioni fondamentali garantite dalla Costituzione” nelle quali erano esplicitamente inclusi
tutti “i diritti naturali e civili” (la libertà per ogni uomo di andare, di
restare, di partire, senza poter essere arrestato o detenuto; la libertà
di ogni uomo di parlare, di scrivere, di stampare e di pubblicare i
propri pensieri; la libertà dei cittadini di riunirsi pacificamente e
senza armi, adempiendo agli obblighi previsti dalle leggi di polizia; la
libertà di indirizzare alle autorità costituite delle petizioni firmate individualmente, ecc.).
Allo stesso modo le due Costituzioni del 1973 e dell’anno III
(1795) furono precedute da una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino. La Costituzione del 1793 non entrò mai in vigore ma
diventò presto un punto di riferimento per il pensiero democratico
successivo. Nella Dichiarazioni dei diritti si affermavano infatti nuovi
principi quali la fraternità tra i popoli e il diritto dei singoli al lavoro,
all’istruzione, all’assistenza, alla felicità, in nuce dunque una prima
affermazione dei cosiddetti diritti sociali. La Costituzione del 1793
fu dotata anche di una garanzia dei diritti enunciati negli ultimi articoli della Costituzione stessa. Di contro, la Costituzione del 1795
prevedeva oltre all’enunciazione dei diritti, per la prima volta, quella
dei doveri dell’uomo e del cittadino.
Successivamente alle prime Costituzioni post-rivoluzionarie si
assiste in Francia ad un eclissamento della Dichiarazione dei diritti:
la Costituzione dell’Anno VIII (1799) e le Carte del 1814 (il cui
Preambolo definiva principalmente le finalità e il carattere “ottriato”
della Costituzione) e del 1830, infatti, comportarono solo una garanzia dei diritti: i diritti e le libertà furono collocate nel corpo stesso
dalla Costituzione.
La Costituzione del 1848, invece, oltre al Preambolo che riconosceva dei diritti e dei doveri anteriori e superiori alle leggi positive,
19 A. SAITTA, Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (17891875), Milano, Giufffrè, 1975.
284
LA V REPUBBLICA FRANCESE
aprendosi anche alle istanze sociali emerse in quel periodo, dedicava
l’intero capitolo II del testo all’enunciazione dei diritti dei cittadini
garantiti dalla Costituzione.
In modo singolare, invece, le tre leggi costituzionali del 1875,
(quella del 24 febbraio 1875 relativa all’organizzazione del Senato,
quella del 25-28 febbraio 1875 relativa all’organizzazione dei pubblici poteri e infine quella del 7 luglio 1875 relativa al rapporti tra i
pubblici poteri) che costituivano il corpo della Costituzione della
Terza Repubblica, non inclusero né una dichiarazione dei diritti, né
alcuna garanzia dei diritti limitandosi a regolare solo la parte organizzativa dei pubblici poteri.
Malgrado questa lacuna, però, la Terza Repubblica non smise
mai di richiamarsi ai principi del 1789 sforzandosi di garantirli concretamente attraverso le sue leggi. Durante tale esperienza costituzionale infatti fu adottato il più grande numero di misure tendenti a
garantire le libertà. La dottrina si è interrogata sul perché proprio le
leggi costituzionali della Terza Repubblica, si siano astenute dal prevedere disposizioni specifiche relative ai diritti e alle libertà: la causa
va presumibilmente rintracciata nella volontà del costituente di non
affrontare una spinosa questione politica sulla quale ci si sarebbe potuto dividere e che avrebbe reso sicuramente più difficile l’adozione
di testi costituzionali.
Paradossalmente però è proprio durante l’esperienza della Terza
Repubblica che fiorisce il ricco dibattito dottrinario sulla natura dei
Preamboli e delle Dichiarazioni dei diritti, sul loro valore giuridico e
sulla forza giuridica (in termini anche di opponibilità) delle proprie
disposizioni.
Le posizioni dottrinarie elaborate durante l’esperienza costituzionale della Terza Repubblica risultavano divise fondamentalmente
tra i sostenitori della teoria del non valore e quella del valore dei
Preamboli e delle Dichiarazioni dei diritti.
Secondo la dottrina del non valore, i Preamboli o le Dichiarazioni dei diritti, essendo posti al di fuori delle costituzioni, non ne farebbero parte. È questa la teoria portata avanti da due autorevoli
esponenti della dottrina dell’epoca, Adhemar Esmein e da Carré de
Malberg. Secondo tale impostazione i Preamboli e le Dichiarazioni
non comportano delle regole di diritto, ma solamente dei principi.
PAOLA PICIACCHIA
285
Secondo Esmein, “les déclarations des droits émanent donc de
corps possédant une autorité légale et même souveraine, d’assemblées constituantes; mais ne sont pas des articles de lois précis et exécutoires. Ce sont purement et simplement des déclarations des principes”20.
Carrè de Malberg21, invece, riferendosi alla Dichiarazione dei
diritti del 1789, sosteneva che essa non aveva che la portata dogmatica di una dichiarazione di verità filosofiche, e che quindi essa si riduceva all’enunciazione di concetti di diritto naturale che avevano
ben potuto ispirare la Costituzione del 1791, “mais qui ne sauraient
être considerér comme des prescriptions juridiques ayant l’èfficacité
de régler le droit positif”.
In particolare, secondo Carré de Malberg, o si riteneva la Dichiarazione dei diritti del 1789 come facente parte della Costituzione
del 1791, e quindi era chiaro che essa fosse scomparsa con la Costituzione stessa, oppure si considerava come un atto distinto da essa,
ma allora non era da qualificarsi una norma giuridica, ma solo un documento dal valore dommatico non superiore a quello di una dichiarazione di verità filosofiche.
Teorici del valore giuridico del Preambolo e delle Dichiarazione
dei diritti furono, invece, Maurice Hauriou secondo il quale la Dichiarazione dei diritti è una parte importante di quella che viene definita la Costituzione sociale, e dunque anche il Preambolo fa parte
della Costituzione e Léon Duguit, secondo il quale la Dichiarazione
è un valore fondamentale e quindi la base stessa del sistema politico.
Maurice Hauriou, in particolare, legando i diritti alla Costituzione sociale definiva la Dichiarazione dei diritti come «le texte constitutionnel de la Constitution sociale»22 e i diritti individuali riconosciuti dalle Dichiarazioni dei diritti non come mere dichiarazioni di
principio, ma come dichiarazioni solenni di volontà dello Stato, il
quale, riconoscendo attraverso le Dichiarazioni accettate dalla Nazione e che legano e limitano la sovranità dello Stato, i diritti indivi20 A. ESMEIN, Éléments de droit constitutionnel français et comparé, ristampa Paris,
L.G.D.J., 2001, p. 554.
21 R. CARRÉ DE MALBERG, Contribution à la théorie générale de l’État, II Tomo,
Paris, Sirey, 1922, p. 580 ss.
22 M. HAURIOU, Précis de Droit constitutionnel, Paris, Libraire de la Societé du
Recueil Sirey, 1929, p. 625-626.
286
LA V REPUBBLICA FRANCESE
duali, «il s’est interdit de les violer»23. Secondo tale impostazione le
Dichiarazioni dei diritti avevano valore giuridico non solo in quanto
«déclaration de volonté de l’État reconnaissant l’existence des droits
individuels» ma anche in quanto «engagement de l’État de faire les
lois organiques nécessaires»24. Lo Stato, dunque, inserendo un diritto individuale nella lista dei diritti, ne proclamava così il principio
e si impegnava ad organizzarlo (come peraltro le leggi organiche
prima o poi avevano fatto). Questo impegno, secondo l’autore, pur
mancando di sanzione, non è meno giuridico. E inoltre «non seulement les déclarations des droits ont une valeur juridique, mais elles
ont une valeur constitutionnelle, en tant qu’elles contiennent le principe de chacun des droits individuels, et cette valeur constitutionnelle interdirait au pouvoir législatif ordinaire de supprimer en principe une liberté»25.
Léon Duguit, da parte sua, sottolineava come il sistema delle
Dichiarazioni dei diritti tendeva a determinare i limiti che si imponevano all’azione dello Stato, e, perciò, si individuavano dei limiti superiori che dovevano essere rispettati tanto dal legislatore costituente
quanto dal legislatore ordinario. «Dans le système de 1789 – scriveva
Duguit – il y a trois catégories de lois se hiérarchisant, les déclarations des droits, les lois constitutionnelles et les lois ordinaires. Le législateur constituant est soumis aux déclarations et le législateur ordinaire au législateur constituant. A fortiori, le législateur ordinaire
est-il lié par le déclarations de droits, et s’il n’y a pas dans la Constitution des dispositions rappelant ou garantissant les droits inscrits
dans la déclaration, le législateur ordinaires n’en reste pas moins lié
par la déclaration et il lui est toujours interdit de la violer, sous peine
de faire une loi contraire au droit»26 In tal senso, dunque, Duguit riteneva che le Dichiarazioni di diritti dovessero prevalere sulle leggi
costituzionali e che queste ultime fossero superiori alle leggi ordinarie, cosa che implicava la creazione di un controllo di costituzionalità
delle leggi, se non addirittura quello di un controllo di conformità
delle leggi costituzionali ai principi definiti dalle Dichiarazioni dei
23 M. HAURIOU, Précis de Droit constitutionnel, Paris, Libraire de la Societé du
Recueil Sirey, 1923, p. 84.
24 M. HAURIOU, Précis de Droit constitutionnel, cit., p. 90.
25 ID., ibidem, p. 90.
26 L. DUGUIT, Manuel de Droit constitutionnel, Paris, E. de Boccard, 1918, p. 183 ss.
PAOLA PICIACCHIA
287
diritti. Per Duguit le Dichiarazioni dei diritti erano il fondamento
stesso dell’organizzazione della società.
Il dibattito è continuato durante la Quarta Repubblica anche
alla luce dell’inserimento della Dichiarazione del 1789 nel Preambolo della Costituzione del 1946.
I costituenti, al momento dell’elaborazione della Costituzione
del 1946, crearono infatti un Preambolo che rinviava alla Dichiarazione dei diritti del 1789 per l’enunciazione dei diritti classici e ne
aggiunsero dei nuovi, i cosiddetti “diritti sociali”. Oltre al riferimento alla dichiarazione dei diritti del 1789 e ai principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica, il Preambolo del 1946
enuncia infatti i principi «particulièrement nécessaires à notre
temps» ovvero i cosiddetti diritti sociali che introducono la categoria
delle libertà positive.
Non è certo che i costituenti, la cui preoccupazione di fondo era
quella di riaffermare la sovranità parlamentare come nella Terza Repubblica, avessero l’intenzione di conferire ad Preambolo valore giuridico.
Pertanto, anche il Preambolo della Costituzione del 194627, è
stato oggetto di numerose discussioni dottrinarie in relazione alla sua
portata e al suo valore giuridico. Alcuni ritenevano che non avesse
che il valore indicativo di principi e che l’intento del costituente non
fosse stato quello di attribuire ad esso valore giuridico; una parte
della dottrina sottolineava invece che occorresse fare una distinzione
tra le disposizioni del Preambolo che potevano essere oggetto di una
applicazione diretta e quelle che contenevano semplicemente dei
principi filosofici, dichiarazioni di intenti che non avevano carattere
normativo e che non potevano quindi costituire oggetto di applicazione giurisdizionale.
Si ricorda in particolare la posizione dottrinaria di Georges Vedel, il quale, attribuiva al Preambolo della Costituzione del 1946 un
valore relativo sulla base del diverso grado di precettività delle
norme contenute in esso. Vedel in linea generale riteneva28 infatti,
che il Preambolo, testo votato dall’Assemblea costituente sotto il titolo generale relativo all’intero testo costituzionale e sottoposto in27 Sul
preambolo della Costituzione del 1946 v. G. CONAC, M. DEBENE, G. TETOUL
(a cura di), Le Préambule de la Constitution de 1946, Paris, Dalloz, 2001.
28 G. VEDEL, Manuel élémentaire de droit constitutionnel, Paris, 1949, p. 326.
288
LA V REPUBBLICA FRANCESE
sieme ad esso a referendum, facesse parte integrante della Costituzione e che quindi avesse un valore giuridico pari ad essa. Egli sottolineava però, che erano sottratte a questo principio generale quelle
parti del Preambolo che per la loro imprecisione non potevano essere ricollegate a prescrizioni sufficientemente rigorose per essere
considerate vere regole di diritto.
Ma al di la delle posizioni dottrinarie in Francia, la portata giuridica della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del
1789 e del Preambolo della Costituzione del 1946, si è affermata a
poco a poco, attraverso l’applicazione fatta dai tribunali malgrado le
intenzioni contrarie dei costituenti.
Sebbene, infatti, la Costituzione del 1946, introducendo una
prima forma di controllo di costituzionalità attraverso l’istituzione
del Comité constitutionnel, avesse implicitamente escluso la possibilità di un controllo anche sul Preambolo (ai sensi dell’ultimo comma
dell’art. 92 Cost., il Comitato costituzionale poteva «solo decidere
sulla possibilità di revisione delle disposizioni dei titoli dal I al X
della presente Costituzione»), tuttavia, proprio durante l’esperienza
della Quarta Repubblica, le disposizioni del Preambolo servirono da
base giuridica per la creazione dei principi generali del diritto, principi ai quali il Consiglio di Stato ha fatto riferimento per stabilire decisioni giurisprudenziali innovative (vedi, ad esempio, C.E. 7 luglio
1950, Dehaene). Inizialmente, quindi, il riferimento al Preambolo fu
importante in relazione alla definizione dei principi generali del diritto, dal momento che il Consiglio di Stato ancora esitava a riconoscere ad esso “valore positivo e costituzionale”. In tal senso il ruolo
giocato dalle disposizioni del Preambolo nell’elaborazione di tali
principi mostrava la forza della creazione giuridica operata dalla giurisprudenza e l’importanza delle regole del Preambolo come fonte
ispiratrici della giurisprudenza stessa.
L’affermazione della portata giuridica del Preambolo, avvenuta
per opera dei tribunali e del Consiglio di Stato, riguardò innanzitutto
il diritto di sciopero: in particolare, il Consiglio di Stato cominciò ad
annullare alcuni decreti che ne disconoscevano le disposizioni. Il
Consiglio di Stato all’inizio evitò di fare espressamente riferimento al
Preambolo o alla Dichiarazione dei diritti del 1789 preferendo appellarsi a les principes généraux du droit, che si trovano inseriti sia
nella Dichiarazione dei diritti sia nel Preambolo: sarà solo a partire
PAOLA PICIACCHIA
289
dal 1956 che il Consiglio di Stato si rifarà espressamente ai due testi
per la prima volta (Amicale des Annamites, CE, 11 luglio 1956 e
Condamine, CE, 7 giugno 1958), manifestando così la volontà di riconoscere il valore del Preambolo in quanto tale.
Dopo il 1958 il Consiglio di Stato ha mantenuto questa posizione, sottoponendo soprattutto le ordinanze e i regolamenti autonomi al rispetto dei principi generali del diritto, pur rifiutandosi di
conferire a tutte le disposizioni della Dichiarazione dei diritti e del
Preambolo del 1946 lo stesso valore giuridico.
3.
La V Repubblica, l’elaborazione giurisprudenziale e la piena affermazione del valore giuridico del Preambolo.
Con la promulgazione della Costituzione del 1958 e la nascita
della Quinta Repubblica, lo stesso tipo di dibattito sul Preambolo ha
finito inevitabilmente per riaprirsi alla luce anche dell’elemento
nuovo costituito dall’introduzione di un vero e proprio controllo di
costituzionalità delle leggi.
Con una formula breve ma efficace, il costituente francese del
1958, come è già stato osservato, pose all’inizio della Costituzione un
Preambolo in virtù del quale «La peuple français proclame solennement son attachement aux droits de l’homme et aux principes de la
souveraineté nazionale tels qu’ils ont été définis par la Déclaration de
1789, confirmé et completé par le Préambule de la Constitution de
1946» (Preambolo che come è stato ricordato dal 2005 è stato ampliato con l’espressione «ainsi qu’aux droits et devoirs définis dans la
Charte de l’environnement de 2004»).
Sin dall’inizio dell’esperienza costituzionale della Quinta Repubblica ci si interrogò sulla forza giuridica delle disposizioni del Preambolo e sulla loro applicabilità non essendo escluso in linea teorica il
controllo del Conseil constitutionnel anche in riferimento ad esso,
come invece era stato per il Preambolo della Costituzione del 1946
che – come abbiamo già visto – veniva di fatto sottratto dall’art. 92
Cost. dal controllo eventualmente svolto dal Comité constitutionnel.
Anche se in realtà, quando il Conseil fu creato nel 1958 l’intenzione dei costituenti non era quella di istituire un organo che garantisse il rispetto dei diritti fondamentali piuttosto quella – nella prospettiva della razionalizzalizzazione del parlamentarismo – di con-
290
LA V REPUBBLICA FRANCESE
trollare il Parlamento, al fine di preservare i poteri del Governo, soprattutto quelli normativi nell’ambito del domaine réglementaire, è
innegabile il fatto che la V Repubblica ha considerevolmente rafforzato la portata giuridica delle disposizioni della Dichiarazione dei diritti del 1789 e del Preambolo del 1946 permettendo che si instaurasse un controllo di costituzionalità delle leggi in relazione ad essi.
Infatti negli anni il Conseil cambierà natura trasformandosi presto in gardien dei diritti e delle libertà fondamentali.
Sebbene la dottrina dubiti29 delle reali intenzioni del costituente
di voler sottomettere il legislatore al rispetto delle disposizioni anche
del Preambolo, certo è che il non aver, esplicitamente e formalmente,
escluso il Preambolo dal controllo operabile da parte del Consiglio
costituzionale ha permesso al giudice costituzionale, di arrivare, attraverso l’apertura di quella breccia, a consacrare il valore costituzionale del Preambolo nella famosa sentenza del 1971.
Invero l’apertura verso il riconoscimento del valore giuridico
del Preambolo si era avuta, anche se in maniera discreta, già a partire
dal 1970 in una decisione del Conseil constitutionnel del 19 giugno
1970 (70-39 DC). La piena affermazione del valore giuridico del
Preambolo si avrà però solo con la succitata sentenza n. 44-71 DC
del 16 luglio 1971 relativa alla libertà di associazione che sarà seguita
successivamente da altre due sentenze del 28 novembre (n. 73-80 L)
e del 27 dicembre 1973 (n. 73-51 DC).
Nella sentenza del 1971, il riconoscimento del valore giuridico
del Preambolo avvenne fondamentalmente attraverso tre passaggi:
innanzitutto attraverso la considerazione che il Preambolo era parte
integrante della Costituzione; in secondo luogo attraverso la constatazione del profondo legame tra il Preambolo del 1958, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e il Preambolo del
1946 e quindi attraverso il riconoscimento implicito del valore costituzionale della Dichiarazione del 1789 e del Preambolo del 1946; e
infine attraverso l’affermazione del valore costituzionale dei principi
29 Cfr. B. CHANTEBOUT, Droit constitutionnel, Paris, Armand Colin, 2003, p. 40.
Sull’ambiguità dei lavori preparatori della Costituzione del 1958 riguardo l’inclusione
del Preambolo nel blocco di costituzionalità cfr. D. MAUS, La naissance du contrôle de
constitutionnalité en France, in Mélanges en l’honneur de Pierre Pactet, Paris, Dalloz,
2003, p. 713 ss.
PAOLA PICIACCHIA
291
fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica30, formula
questa con la quale si apriva il Preambolo della Costituzione del
1946.
L’apertura del Conseil constitutionnel, operata con la sentenza
del 197131, ebbe, come noto, una portata considerevole in quanto
contribuì ad accrescere il valore e il senso del controllo di costituzionalità delle leggi.
Un’ulteriore tappa fu rappresentata, nel 1973, dalla sentenza del
27 dicembre la n. 73-51 DC sulla tassazione d’ufficio prevista dalla
legge finanziaria per il 1974. La questione ivi esaminata era relativa
alla possibilità che la legge operasse una discriminazione tra medi e
grandi contribuenti ammettendo per i primi come prova la loro
buona fede e negandola ai secondi. La soluzione operata dal Conseil
andò nel senso della negazione di tale possibilità in quanto in palese
contrasto con il principio di uguaglianza contenuto nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e solennemente riaffermato
nel Preambolo della Costituzione del 1958. Fu questa la prima volta
in cui il Consiglio costituzionale si pronunciò sulla violazione del
principio di uguaglianza non fondandosi direttamente sull’allora art.
2 della Costituzione ma direttamente sulla Dichiarazione del 1789
alla quale il Preambolo si riferisce32.
La terza tappa fu rappresentata dalla sentenza n. 74-54 DC del
15 gennaio 1975 sull’interruzione volontaria della gravidanza. Il Conseil fu chiamato in causa per la violazione da parte della legge – che
estendeva la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria della
gravidanza – dell’art. 2 della Convenzione europea dei diritti del30 L. FAVOREU, Les principes fondamentaux reconnus par le lois de la République,
AA.VV., La République en droit français, Paris, Economica, 1996; B. GENEVOIS, Une
catégorie de principes de valeur constitutionnelle: les principes fondamentaux reconnus par
le lois de la République, in Revue française de droit administrative, 1998, p. 479 ss.
31 V. sul punto, L. FAVOREU, Le principe de constitutionnalité essai de définition
d’après la jurisprudence du Conseil Constitutionnel, in AA.VV., Recueil d’études en
hommage à Charles Eisenmann, Paris, Ed. Cujas, 1975, p. 33 ss. Sulla sentenza del 1971
cfr. anche F. LUCHAIRE, Le Conseil constitutionnel et la protection des droits et libertés du
citoyen, in Mélanges Waline, Paris, LGDJ, 1974, p. 563 ss.; L. PHILIP, La valeur juridique
de la Déclaration des droits de l’Homme et du citoyen du 26 août 1789m selon la
jurisprudence du Conseil constitutionnel, in Mélanges Kayser, II, Aix-en-Provence,
PUAM, 1979, p. 317 ss.
32 M. DE VILLIERS, Le principe d’égalité dans la jurisprudence du Conseil Constitutionnel, in Revue administrative, n. 216, 1983 e n. 217 1984.
292
LA V REPUBBLICA FRANCESE
l’uomo e del cittadino e del Preambolo del 1946 che prevede che la
nazione garantisce a tutti, soprattutto ai bambini e alla madre, la protezione della salute. In quell’occasione il Conseil fece tre importanti
affermazioni. In primo luogo, stabilì che la legge non era contraria
all’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché
non spetta al Consiglio Costituzionale di pronunciarsi sulla conformità di una legge ad un impegno internazionale; in secondo luogo
stabili che la legge non era contraria al principio di libertà affermato
dalla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino, in quanto la
madre poteva decidere o no di abortire e i medici potevano decidere
di partecipare o meno all’intervento; in terzo luogo dichiarò che essa
non era contraria neanche al Preambolo del 1946 perché le deroghe
poste dalla legge non costituivano attentato alla protezione della salute che la Nazione riconosce al fanciullo. La portata di questa sentenza si misura, da un lato, per l’esclusione degli impegni internazionali dal blocco di costituzionalità, dall’altro, per l’applicazione del
Preambolo del 1946.
La portata del controllo operato dal Conseil fu negli anni naturalmente rafforzata grazie anche all’allargamento della saisine parlamentare del Consiglio costituzionale33 a partire dal 197434 così da arrivare alla costruzione di un “droit constitutionnel jurisprudentiel”
che ad oggi può contare su un corpo considerevolmente ampio di
pronunce volte alla completa tutela dei diritti fondamentali.
Ma se già nel 1975 tutti gli elementi del blocco di costituzionalità erano ben individuati fu solo nel tempo che il Conseil andò oltre
chiarendo una questione lasciata aperta dalle pronunce precedenti
quella relativa all’esistenza o meno di una gerarchia tra gli elementi
del bloc de constitutionalitè. La questione fu risolta dalla sentenza n.
82-132 DC del 16 gennaio 198235 sulle nazionalizzazioni. Il problema
33 Legge
cost. n. 74-904 del 29 ottobre 1974.
ruolo dell’allargamento della saisine parlementaire cfr. D. MAUS, A. ROUX (a
cura di), 30 ans de saisine parlementaire du Conseil constitutionnel, Paris, Economica,
2006.
35 F. COLLY, Le conseil constitutionnel et le droit de proprieté, in Revue du droit public, 1988, p. 135 ss.; L. FAVOREU, Le droit de proprieté dans la déclaration de 1789, in
AA.VV., La Déclaration des droits de l’homme et du citoyen et la jurisprudence, Paris,
PUF, 1989; P. BON, Le statut constitutionnel du droit de proprieté, in Revue française de
droit administratif, n. 6, 1989, p. 1009 ss.
34 Sul
PAOLA PICIACCHIA
293
giuridico che si pose allora fu quello di individuare la prevalenza o
meno di un elemento del blocco di costituzionalità sull’altro. La questione in altri termini era di sapere quale elemento del bloc nel caso
in questione – in cui la nazionalizzazione era contraria al diritto di
proprietà salvaguardato dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e
del cittadino previsto sia dal Preambolo del 1946 sia dallo stesso art.
34 Cost. – dovesse prevalere. Il Conseil chiarì che, qualora si realizzi
un conflitto tra gli elementi del bloc de constitutionnalité (in questo
caso il diritto di proprietà sancito dalla Dichiarazione del 1789 e la
nazionalizzazione prevista dal Preambolo del 1946 e dalla Costituzione del 1958), occorre conciliare tali elementi perché essi hanno
tutti lo stesso valore e non possono essere posti secondo un ordine
gerarchico36. Nel caso in specie, il Conseil tradusse il principio affermato con una decisione che, da un lato, non dichiarava incostituzionale la legge sulle privatizzazioni ma che, dall’altro, invitava a considerare tutti gli elementi del Preambolo di pari dignità e posti sullo
stesso piano.
Negli anni la giurisprudenza del Consiglio costituzionale37 si è
notevolmente accresciuta e si può sicuramente affermare che non vi
è ambito entro il quale il Conseil non sia intervenuto38 e questo ha
contribuito alla costituzione del bloc de constitutionnalité. È spettato
sostanzialmente al giudice costituzionale individuare i «principes
fondamentaux reconnus par les lois de la République» che sia il costituente del 1946 che quello del 1958 avevano riaffermato. Attraverso una ricca giurisprudenza il Consiglio costituzionale ne ha identificati una decina tra i quali la libertà di associazione (decisione n.
71-44 DC del 16 luglio 1971); i diritti della difesa (decisione n. 76-70
DC del 2 dicembre 1976); la libertà individuale (decisione n. 76-75
36 B.
MATHIEU, M. VERPEUX, Droit constitutionnel, Paris, Puf, 2004.
M.-C. PONTHREAU, La reconnaissance des droits non-écrits par les cours constitutionnelles italienne et française. Essai sur le pouvoir créateur du juge constitutionnel,
prefazione di A. Pizzorusso, Paris, Economica, Coll. Droit public positif, 1994; B.
MATHIEU, M. VERPEUX, Contentieux constitutionnel des droit fondamentaux, Paris,
LGDJ, 2002; L. FAVOREU, P. GAÏA, O. MÉLIN-SOUCRAMANIEN-PFERSMANN, J. PINI, A.
ROUX, G. SCOFFONI, J. TREMEAU, Droit des libertés fondamentales, Paris, Dalloz, 2005; L.
FAVOREU, Les grandes décisions du conseil constitutionnel, Paris, Puf, 2007; AA.VV., Les
grandes délibérations du Conseil constitutionnel, Paris, Dalloz, 2009.
38 Sull’acquis in tema di diritti in Francia v. B. STIRN, L’État des libertés bilan critique, in Pouvoirs n. 84, 1998, p. 99 ss.
37 Cfr.
294
LA V REPUBBLICA FRANCESE
DC del 12 gennaio 1977); la libertà d’insegnamento (decisione n. 7787 DC del 23 novembre 1977), in particolare la libertà di insegnamento superiore (decisione n. 99-414 DC du 8 juillet 1999); la libertà
di coscienza (decisione n. 77-87 DC del 23 novembre 1977); la specificità della giustizia dei minori (decisione n. 2002-461 DC del 29
agosto 2002).
Ma il Consiglio costituzionale è poi andato oltre ricavando attraverso la sua giurisprudenza i “principes de valeur constitutionnelle”, tra i quali il rispetto della vita privata (decisione n. 76-75 DC
del 12 gennaio 1977; decisione n. 94-352 DC del 18 gennaio 1995;
decisione n. 99-416 DC del 23 luglio 1999; 2003-467 DC del 13
marzo 2003); la continuità del servizio pubblico e il diritto di sciopero (decisione n. 79-105 DC del 25 luglio 1979); la libertà d’impresa (decisioni n. 81-132 DC del 16 gennaio 1982 e n. 92-316 DC
del 20 gennaio 1993); la dignità della persona umana (decisione n.
94-343/344 DC del 27 luglio 1994); la libertà contrattuale (decisioni
n. 2000-437 DC del 19 dicembre 2000 e n. 2006-535 DC del 30
marzo 2006).
Esso si è inoltre preoccupato di vigilare anche sulla protezione
di quelli che ha considerato “objectifs de valeur constitutionnelle”,
nozione che si riconnette a principi che trovano indirettamente il
loro fondamento nella Costituzione, quali la salvaguardia dell’ordine
pubblico, il rispetto delle libertà altrui, la preservazione del carattere
pluralista delle correnti di espressione socioculturali (decisione n. 82141 DC del 27 luglio 1982), il pluralismo delle correnti di pensiero e
di opinione (decisione n. 2004-497 del 1 luglio 2004), in particolare
il pluralismo dei quotidiani di informazione politica e generale (decisione n. 84-181 DC del 11 ottobre 1984); la protezione della sanità
pubblica (decisione n. 90-283 dell’8 gennaio 1991; decisione n. 93325 DC del 13 agosto 1993) e molti altri.
Si ricordi anche come il Consiglio costituzionale abbia, attraverso les règles ou principes innommés, giustificato la limitazione
della portata di una norma costituzionale (interesse generale, ordine
pubblico, urgenza ecc.), o modulato l’intensità del suo controllo
(proporzionalità, sanzione di soli errori manifesti).
Una tappa importante è stata, infine, costituita dalla sentenza n.
2005-514 del 28 aprile 2005 DC, sulla Loi relative à la création du registre international français. Il Consiglio costituzionale in questa oc-
PAOLA PICIACCHIA
295
casione ha applicato per la prima volta la Carta dell’Ambiente39 nel
quadro del controllo di costituzionalità delle leggi; precedentemente
l’utilizzazione della Carta era avvenuta solo in relazione al controllo
sul Trattato di Costituzione Europea.
4.
I poteri pubblici francesi di fronte alla tradizione costituzionale
francese: spunti di riflessione.
Alla luce di quanto suesposto, la posizione assunta dal Comitato
Veil assume un connotato preciso. In sostanza il Comitato si è rifiutato di porre mano ad una riscrittura (per i seri rischi di insicurezza
giuridica che questo comporterebbe) e ad un rimaneggiamento dei
testi adducendo come motivazione forte la volontà di non venir
meno a una delle attitudini più radicate della tradizione francese cioè
quella della “stratificazione progressiva dei diritti e delle libertà eredi
del passato repubblicano unita alla volontà di assicurare la loro applicazione combinata”40. E questo sia in virtù del fatto che “la conciliazione – obbligatoria – dei principi d’ispirazione individualista del
1789 con quelli più collettivi del 1946, ha permesso questo risultato
soddisfacente dal punto di vista della continuità repubblicana” sia
perché “la sovrapposizione di norme d’ispirazione diversa oggi unite
nel Preambolo” viene ritenuta una delle ricchezze “più preziose della
democrazia francese e che sarebbe dannoso attentare ad essa”41.
La rivendicazione, in sostanza, di una continuità giuridica che
unisce nei secoli e ricompone in sintesi le contraddizioni di una società in evoluzioni sulla base però della capacità di rilettura critica
delle propri bisogni.
A ben vedere, la posizione del Comitato Veil sul punto in questione sembra in effetti riecheggiare l’approccio dei pubblici poteri
francesi di fronte ad alcune questioni e principi fondamentali che non
hanno spesso permesso al costituente francese di andare oltre deter39 B.
MATHIEU, La porté de la Charte pour le juge constitutionnel, in Actualité Juridique - Droit Administratif, 2005, p. 1170 ss.; M. PRIEUR, Les nouveau droits, in Actualité
Juridique - Droit Administratif, 2005, p. 1157 ss.
40 Cfr. COMITE DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport…,
cit., p. 27.
41 Cfr. COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport…,
cit., p. 27.
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LA V REPUBBLICA FRANCESE
minati limiti imposti dalla cultura politico-istituzionale facendo così
preferire un’evoluzione nella continuità entro cornici sufficientemente “souples” da consentire empirici adattamenti alle nuove realtà.
E penso qui ad esempio alle problematiche connesse all’istituto
della legislativa42. Sebbene infatti tale istituto abbia finalmente trovato nella Costituzione del 1958 esplicito riconoscimento dopo quasi
un secolo di incertezza normativa, in virtù di una cultura giuridica di
matrice rivoluzionaria e, in specie giacobina, protesa alla definizione
formale della legge e all’affermazione dell’assoluta superiorità di
essa, (quale espressione della volontà generale, ben poco permeabile
all’idea della delegabilità del potere legislativo e della sua limitazione), esso però non ha poi trovato definitivo chiarimento neanche
nella V Repubblica per quanto riguarda la natura delle ordinanze lasciando ancora una volta alla giurisprudenza amministrativa e costituzionale il compito di ricostruire il quadro giuridico di riferimento,
manifestatamene variabile43.
E penso ancora al problema del decentramento in Francia riguardo al quale i principi di unité ed indivisibilité della Repubblica
hanno sempre costituito un autentico limite all’idea dell’introduzione di un vero e proprio potere legislativo alle Regioni, passaggio
questo di fondamentale importanza per un decentramento che possa
definirsi compiuto e che invece ha, al massimo, permesso l’introduzione (in specie con la riforma del 2003) di un potere di sperimentazione legislativa (e anche regolamentare) nel senso della possibilità di
adattamento di disposizioni legislative (o regolamentari) a specifiche
realtà entro comunque una cornice altamente proceduralizzata e guidata dall’alto44.
42 Mi
sia permesso il rinvio a P. PICIACCHIA, La delega legislativa nell’esperienza costituzionale francese. Procedura e controllo dell’attività normativa dell’Esecutivo nella V
Repubblica, Milano, Giuffrè, 2006.
43 Per quanto riguarda ad esempio la distinzione tra ordinanza ratificata e non ratificata e le ipotesi di controllo su di esse, in un recupero nella continuità dell’approccio
delle precedenti esperienze.
44 Sulle prospettive del decentramento francese in rapporto allo stato regionale e
alle dinamiche in Europa, cfr. J. FOUGEROUSSE (a cura di), L’État régional, une nouvelle
forme d’État?, Bruxelles, Bruylant, 2008. Sulla riforma del 2003 mi sia permesso il rinvio a P. PICIACCHIA, Decentramento francese ad una svolta? La riforma costituzionale su
“L’organisation décentralisée de la République” tra vecchie e nuove tendenze in “Nomos-Le attualità del diritto”, 3/2003, pp. 37-72.
PAOLA PICIACCHIA
297
E penso infine proprio alla recente revisione del luglio scorso.
Sebbene infatti con l’ultima revisione siano stati accolti gli aspetti più
specifici e necessari, e sottolineo “necessari”, volti ad una rivalutazione del Parlamento in un contesto di massiccia presidenzializzazione del sistema, rivalutazione la cui portata però potrà essere valutata pienamente solo con l’attuazione della riforma demandata in
parte alle leggi organiche, in parte alle leggi ordinarie e ai regolamenti parlamentari45 (e il caso dello Statuto dell’opposizione è emblematico), proprio in tema di forma di governo ancora una volta si
è ritenuto di non dover giungere alla costituzionalizzazione della
prassi presidenzialistica attraverso una netta ridefinizione dei ruoli
delle due teste dell’Esecutivo, Presidente della Repubblica e Primo
Ministro, come invece era stata suggerito dalle proposte del Comitato Balladur46, e con un approccio ancora una volta molto pragma45 Fino ad oggi sono stati approvati i seguenti testi di applicazione della revisione
del 23 luglio 2008: la legge organica n. 2009-38 del 13 gennaio 2009 in applicazione dell’art. 25 della Constituzione; la legge organica n. 2009-403 del 15 aprile 2009 in applicazione degli articoli 34-1, 39 e 44 della Constituzione; la legge organica n. 2009-966 del
3 agosto 2009 che proroga il mandato dei membri del Consiglio economico, sociale, e
dell’ambiente; la legge n. 2009-39 del 13 gennaio 2009 relativa alla commissione prevista dall’art. 25 della Constituzione e all’elezione dei députati; la legge n. 2009-689 del 15
giungo 2009 di modifica dell’ordinanza n. 58-1100 del 17 novembre 1958 relativa al
funzionamento delle assemblee parlamentairi e al completamento del codice di giustizia
amministrativa; il Regolamento dell’Assemblea Nazionale modificato il 27 maggio 2009.
46 Significativo al riguardo il pacchetto di proposte presentato il 29 ottobre 2007
dal Comitato di riflessione e di proposta sulla modernizzazione e il riequilibrio delle istituzioni istituito il 18 luglio 2007 dal Presidente Sarkozy. Le proposte riguardanti i rapporti
tra Presidente della Repubblica e Primo Ministro erano tendenzialmente orientate a riprodurre nel testo costituzionale le dinamiche consolidate negli anni dalla lettura presidenzialistica della Costituzione con i dovuti correttivi volti anche ad un contestuale
rafforzamento del Parlamento. V. Rapport du Comité de réflexion et de proposition sur la
modernisation et le rééquilibrage des institutions de la Vème République, in particolare
Propositions n. 1, 2, 3, 4 (pp. 10-13), relative alla modifica degli artt. 5, 20, 21 Cost.: esse
erano state concepite in funzione della “clarification des responsabilités” in seno all’Esecutivo con una definizione netta dei ruoli del Presidente della Repubblica e del Governo.
La proposta di modifica dell’art. 5 Cost. mirava, infatti, ad introdurre un ultimo comma
in base al quale il Presidente della Repubblica «definisce la politica della Nazione» mentre la proposta di modifica dell’art. 20 Cost. tendeva a sottrarre al Governo la determinazione della politica nazionale affidandogli solo la conduzione di essa: “Les propositions de clarification – si legge infatti nel Rapporto – qui pourraient s’en déduire sont
simples. Elles viseraient à prendre acte de la prééminence que son élection au suffrage
universel direct confère au chef de l’Etat, qui serait chargé de «déterminer la politique de
la nation». Come è noto invece la riforma costituzionale approvata il 21 luglio 2008 (Loi
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LA V REPUBBLICA FRANCESE
tico, a mio avviso senz’altro da condividere, si è voluto evitare un irrigidimento dello schema della forma di governo lasciando alla souplesse del testo la possibilità di eventuali evoluzioni.
È da ritenere insomma che vi siano chiari tratti culturali ed un
richiamo implicito alla continuità repubblicana che sembrano costituire dei veri limiti e che sembrano porre quasi un freno ad ipotesi
più incisive di riforme.
In fondo credo che vi sia un parallelismo tra l’approccio adottato dai costituenti con la revisione del luglio 2008 e l’approccio del
Comitato Veil che è ravvisabile nella scelta del mantenimento della
suddetta souplesse e quindi del mantenimento del rilievo assoluto assunto oggi, in tema di diritti, in Francia da quello che è definito il diritto costituzionale giurisprudenziale47 come elemento imprescindibile
della cultura politico-istituzionale francese, in nome della riaffermazione dell’assoluta fedeltà ai valori radicati nella coscienza collettiva
anche alla luce dei principi filosofici, politici e anche economici su
cui si fondano i diritti di libertà in Francia48.
Tale approccio – che nella decisione del Comitato Veil si è sostanziata, da un lato, nel rifiuto di suggerire di procedere alla costituzionalizzazione di nuovi diritti e, dall’altra, nel rifiuto di suggerire
una costituzionalizzazione di tutto “l’arsenale giurisprudenziale”
prodotto negli anni dal Consiglio costituzionale a favore di una evoluzione “guidata” dei diritti nel solco della tradizione attraverso il
vettore ritenuto più idoneo quello legislativo – appare oggi un profilo molto importante sul quale riflettere.
Il fervore riformista che talvolta è parso (come nel caso del
Preambolo) trasformarsi in “frenesia costituente” con l’esasperaconstitutionnelle n. 2008-724 del 23 luglio 2008, J.O. 24 luglio 2008) pur avendo in gran
parte accolto le proposte del Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et
le rééquilibrage des institutions de la Vème République relative al rafforzamento del Parlamento non ha però dato seguito a quelle sulla ridefinizione dei rapporti tra le due teste
dell’Esecutivo lasciando quindi pressoché inalterato il contenuto degli artt. 5, 20, 21
Cost. e prospettando quindi nella souplesse del testo costituzionale un’evoluzione dei
rapporti tra Primo Ministro e Presidenza della Repubblica dettata come sempre dai rapporti di forza determinati di volta in volta dalla congiunture politiche.
47 L. FAVOREU, L’apport du Conseil constitutionnel au droit public, in Pouvoirs, n.
13, 1980; L. FAVOREU, Le droit constitutionnel jurisprudentiel (mars 1983-mars 1986), in
Revue du Droit Public, 1986, pp. 395-495.
48 Cfr. J. RIVERO, Les libertés publiques, I, Les droits de l’homme, coll. «Themis»,
Paris, Puf, 1973; C.-A. COLLIARD, Libertés publiques, Paris, Dalloz, 1975.
PAOLA PICIACCHIA
299
zione eccessiva del ricorso alle riforme costituzionali, sembra insomma essere controbilanciato dal momento alto della Costituzione
e dei valori sui quali essa si fonda, che trova proprio nella tradizione
culturale e giuridica il suo punto di maggiore forza.
Certo potrebbe sembrare una contraddizione – tenendo conto
che oggi la tendenza al voler “constitutionnaliser tout”49 sembra rispondere, da un lato, al timore di un governo dei giudici50 e alla
paura di dover lasciare alle giurisdizioni nazionali, ma anche internazionali (si pensi alla Corte europea dei diritti dell’uomo), il compito
di dedurre e di creare nuove garanzie dei diritti e, dall’altro, alla volontà di lasciare invece al Parlamento la possibilità di realizzare i
principi costituzionali – ma probabilmente non lo è, è solo l’altra faccia della stessa medaglia.
Anche le contraddizioni più marcate, come, di contro, il continuo movimento e aspirazione verso la ricomposizione in sintesi delle
stesse, rappresentano infatti una delle caratteristiche e delle ricchezze più forti della cultura e della tradizione politico-istituzionale
francese e anche su questo occorrerebbe riflettere in un contesto in
cui si parla di riforme istituzionali e di recezione di modelli.
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49 Sulla
costituzionalizzazione eccessiva dei diritti v. quanto scrive P. ARDANT, Les
constitutions et les libertés, cit., pp. 73-74: «En définitive, derrière l’évolution des libertés constitutionnelles, le vrai problème est celui de ce que l’on met dans une constitution. S’il est tentant d’y inscrire le plus de choses possible, ce choix peut se retourner
contre l’objectif poursuivi, l’autorité du texte se dilue à vouloir trop protéger. Le sommet de la hiérarchie des normes se fissurera s’il est trop lourd. Aussi les libertés proclamées n’ont-elles rien à gagner à être trop nombreuses. En entrant dès l’origine dans
les constitutions, les libertés se sont placées d’emblée au coeur du système institutionnel. Celui-ci a pour mission de permettre, en suivant des voies diverses et des étapes
différentes, par la réalisation des libertés, l’épanouissement de la personne. Le symbole
conserve toute sa valeur, mais il est moins certain que la constitution assure toujours aux
libertés la garantie attendue. Les instruments de protection des libertés constitutionnelles se sont perfectionnés mais sont loin de s’être généralisés. D’eux dépend en définitive
l’efficacité de la proclamation constitutionnelle».
50 Sul ruolo dei giudici e la tutela delle libertà v. J.-P. COSTA, Le juge et le libertés,
in Pouvoirs, n. 84, 1998, p. 75 ss.
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