la storia del rap francese
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Il Comité Veil, il Preambolo e i nuovi diritti: la “revanche” della tradizione costituzionale francese? Paola Piciacchia SOMMARIO: 1. Il Comité Veil, il Preambolo e la costituzionalizzazione di nuovi diritti: significato di un rifiuto. – 2. Il valore giuridico del Preambolo nell’evoluzione costituzionale francese: il dibattito dottrinario nella III e IV Repubblica. – 3. La V Repubblica, l’elaborazione giurisprudenziale e la piena affermazione del valore giuridico del Preambolo. – 4. I poteri pubblici francesi di fronte alla tradizione costituzionale francese: spunti di riflessione. 1. Il Comité Veil, il Preambolo e la costituzionalizzazione di nuovi diritti: significato di un rifiuto. L’oggetto principale di questo contributo riguarda una delle idee di fondo emerse dalla “dottrina” del Comité de réflexion sur le Préambule de la Constitution presieduto da Simone Veil ed è riconnessa direttamente all’esito stesso del Rapporto rimesso al Presidente della Repubblica nel dicembre 2008, Rapporto con il quale, il Comitato si è chiaramente espresso contro la modifica del Preambolo e l’introduzione di nuovi diritti. In particolare riguarda il mancato accoglimento da parte del Comitato dell’idea di giungere ad una costituzionalizzazione della giurisprudenza costituzionale, e la volontà fortemente manifestata di rifiutarsi di porre mano al Preambolo al fine di mettere punti fermi e paletti fissi a quello che ormai costituisce un apparato giurisprudenziale di ampissima portata in tema di diritti e che rappresenta la base evolutiva di un catalogo dei diritti che – come è noto – si esprime in Francia attraverso testi di ispirazione diversa che si sono sovrapposti nel tempo, quali la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, il Preambolo della Costituzione del 1946 e solo di recente la Carta dell’ambiente del 2004 costituzionalizzata nel 20051. 1 Sulla costituzionalizzazione della Charte de l’environnement v. la Legge costituzionale n. 2005-205 del 1° marzo 2005 (J.O. del 2 marzo 2005). Riguardo al catalogo dei diritti, oltre ai testi sopra menzionati direttamente conte- 274 LA V REPUBBLICA FRANCESE Il richiamo alla tradizione costituzionale francese contro la tendenza alla costituzionalizzazione eccessiva – richiamo nel quale sembra di poter cogliere il significato più profondo dell’esito del Rapporto del Comitato Veil – appare, a mio avviso, uno degli elementi di maggiore risalto nella valutazione di tutta la fase latu senso costituente2 dell’era Sarkozy3 in cui con forza sembrano riemersi alcuni capisaldi della cultura politico-istituzionale francese. Ed è proprio su questo che siamo indotti a riflettere. È bene innanzitutto accennare alle vicende che hanno portato all’istituzione del Comitato Veil. Come è noto, sulla scia del fervore riformista che aveva animato i primi mesi della presidenza Sarkozy con l’istituzione del Comité di réflexion sur la modernisation des institutions presieduto da Edouard Balladur nel luglio 20074 (che ha nuti nel Preambolo, occorre naturalmente non dimenticare gli articoli della Costituzione stessa del 1958 che fanno riferimento ai diritti e alle libertà. 2 È noto come in Francia vi sia una sostanziale sovrapposizione di concetti tra potere costituente e potere di revisione costituzionale. Cfr. sul punto M. VOLPI, La forma di governo in Francia alla luce della riforma costituzionale del luglio 2008, p. 1, in http://www.astrid-online.it/Dossier. 3 Per un approfondimento delle dinamiche emerse agli inizi delle presidenza Sarkozy v. M. LAZAR, G. BALDINI (a cura di), La Francia dì Sarkozy, Bologna, Il Mulino, 2007, in particolare il saggio introduttivo dei due autori, La nuova Francia del presidente Sarkozy, p. 7 ss. e quello di S. CECCANTI, Le istituzioni e il sistema politico dopo il primo «quinquennato», p. 27 ss. 4 Sul Comitato Balladur cfr. AA.VV., Projet de réformes institututionnelles, in Regards sur l’actualité, n. 339 marzo 2008, Paris, La Documentation française, 2008. Vedi in particolare: D. CHAGNOLLAUD, Le propositions du Comité Balladur pour une Ve République plus démocratique, in Regards sur l’actualité, n. 339 marzo 2008, Paris, La Documentation française, 2008, p. 15-25; F. HAMON, Du Comité Vedel au Comité Balladur. Permanences et evolutions des grandes thèmes du réformisme constitutionnel, in Regards sur l’actualité, n. 339 marzo 2008, Paris, La Documentation française, 2008, pp. 27-42. Cfr. inoltre Y. GAUDENET, Rapport de la Commission Balladur: libre propos croisés de Pierre Mazeaud et Olivier Schrameck, in Revue du Droit Public, 1/2008, pp. 2-49. A sottolineare ulteriormente gli intenti riformistici della presidenza Sarkozy portati avanti attraverso il metodo della creazione di Comitati di studio e di proposta, merita qui infine ricordare anche l’istituzione con decreto n. 2008-1078 del 22 ottobre 2008 del Comité pour la réforme de collectivités locales presieduto anch’esso da Edouard Balladur incaricato «d’étudier les mesures propres à simplifier les structures des collectivités locales, à clarifier la répartition de leurs competences et à permettre une mellieure allocation de leurs moyens financiers, et de formuler toute autre recommandation qu’il jugerà utile» e con il compito di rimettere il suo Rapporto al Presidente della Repubblica per il 1° marzo 2009. Cfr. COMITÉ POUR LA RÉFORME DE COLLECTIVITÉS LOCALES, Il est temps de décider, Rapport au Président de la République, 5 marzo 2009. PAOLA PICIACCHIA 275 poi portato alla revisione costituzionale del 23 luglio 20085), dopo l’annuncio che era stato fatto dal Presidente della Repubblica l’8 gennaio dello scorso anno, il 9 aprile successivo era stato istituito il Comité di réflexion sur le préambule presieduto da Simone Veil6, che veniva incaricato dell’elaborazione di un Rapporto nel quale si sarebbe dovuto esprimere circa l’opportunità o meno di procedere ad una revisione del Preambolo attraverso un approfondimento dei contenuti dello stesso7. Nello specifico, il Comitato di riflessione sul preambolo era stato incaricato così da Nicolas Sarkozy, come si legge nella lettre de mission dello stesso 9 aprile «d’étudier si et dans quelle mesure les droits fondamentaux reconnus par la Constitution doivent être complétés par des principes nouveaux», con particolare riferimento al problema della parità tra donne e uomini, alle problematiche legate alla bioetica e alla possibilità di nuove politiche di integrazione per la 5 Sulla revisione costituzionale del 23 luglio 2008 v. P. JAN (a cura di), La Constitution de la Ve République, Études de la Documentation française, Paris, La Documentation française, 2008; AA.VV., La réforme de l’État, in Cahiers français, Paris, La Documentation française, n. 346, settembre-ottobre 2008; V. anche B. MATHIEU (a cura di), 1958-2008 - Cinquantième anniversaire de la Constitution française, Paris, Dalloz, 2008. Sulla spinta revisionista degli ultimi anni in Francia v. M. CALAMO SPECCHIA, La revisione della Costituzione in Francia. Tra rovesciamenti di regime e manutenzione costituzionale, in F. PALERMO (a cura di), La “manutenzione” costituzionale, Cedam, Padova, 2007, pp. 109 ss.; Vedi anche F. LUCHAIRE, G. CONAC, X. PRÉTOT, La Constitution de la République française - Analyses et commentaires, Paris, Economica, 2009, p. 55 ss. 6 Cfr. il decreto di nomina del 9 aprile 2008 n. 2008-328 con la composizione del Comitato: oltre al Presidente Simone Veil, già membro del Consiglio costituzionale e Ministro di Stato, il Comitato era composto da: Bernard Accoyer, presidente dell’Assemblea Nazionale; Francine Bardy, consigliere della Corte di Cassazione; Claude Bébéar, direttore d’azienda; Denys de Béchillon, professore di Diritto pubblico all’Università di Pau e dei paesi dell’Adour; Philippe Bélaval, consigliere di Stato; Richard Descoings, consigliere di Stato e direttore dell’Istituto di Studi politici di Parigi; Samia Essabaa, professore di inglese al liceo professionale di Moulin Fondu (Noisy-le-Sec); Patrice Gélard, senatore; Axel Kahn, Direttore di ricerca dell’Istituto nazionale della sanità e della ricerca medica, presidente dell’Università di Paris-V (Réné Descartes); Pierre Manent, direttore di studi alla Scuola di alti studi nelle scienze sociali; JeanFrançois Sirinelli, direttore del Centro di Storia di Sciences Po. 7 Sui timori espressi circa l’opportunità di ampliare il catalogo dei diritti del Preambolo e il rischio di attentato alla filosofia politica espressa dal modello repubblico e ai principi della Repubblica quale quello di uguaglianza di tutti davanti alla legge v. le considerazioni di A.-M. LE POURHIET, Touche pas à mon préambule, in Le Figaro, 23 maggio 2008. 276 LA V REPUBBLICA FRANCESE valorizzazione delle diversità; temi oltre ai quali erano stati poi suggeriti come oggetto di riflessione il riconoscimento del principio della dignità della persona umana, il pluralismo delle correnti di espressione e dei media, il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali, il radicamento europeo della Repubblica. Inizialmente previsto per il giugno 2008, il Rapporto della Commissione Veil sulla riforma del Preambolo del 1958 è stato rimesso al Presidente della Repubblica solo il 17 dicembre dello scorso anno. In estrema sintesi, l’unico contributo in termini di proposte concrete prodotte dal lungo ed articolato Rapporto8 (143 pagine più gli allegati) del Comité Veil è stato quella relativo alla richiesta di una aggiunta all’articolo 1 della Costituzione al fine di introdurre un riferimento esplicito al principio di eguale dignità di ciascuno. Su tutte le altre questioni che gli erano state sottoposte il Comitato ha ritenuto che, appunto, il contenuto del Preambolo non necessitasse di alcuna modifica e che l’apparato giuridico – che oltre ai testi costituzionali riguarda proprio tutta la giurisprudenza elaborata negli anni in tema di diritti dal giudice costituzionale e tutti i principi da essa espressi – sia attualmente in Francia ampiamente sufficiente a coprire e a tutelare i diritti fondamentali e che, per alcuni specifici ambiti e per la realizzazione di vere e proprie politiche miranti alla tu8 Come già anticipato, dopo una minuziosa analisi attraverso la quale il Comitato Veil ha ripercorso i punti cardine dell’evoluzione dei diritti fondamentali in Francia e analizzato nello specifico ciascuna delle questioni che gli erano state sottoposte, esso ha ritenuto «ni souhaitable, ni utile de proposer d’importants enrichissements du préambule» in relazione a «l’ampleur de notre corpus constitutionnel». L’unica questione per la quale il Comité ha valutato come necessario l’intervento del costituente è stata quella della dignità della persona, optando per una scelta positiva convergente sulla formulazione di “uguale dignità” «la seule, philosophiquement et historiquement, à ne recouvrir que l’acception la plus libérale de la dignité». Nello specifico, il Rapporto del Comitato Veil si è sviluppato in due parti. Nella prima parte il Comitato ha espresso i punti essenziali della sua dottrina sulla base della quale ha fondato la propria decisione. Tra questi punti essenziali della dottrina del Comitato Veil sono emersi il rispetto dell’eredità costituzionale francese, l’importanza di assicurare l’intangibilità dell’opera costituzionale recente, il rifiuto di suggerire l’arricchimento del Preambolo senza una vera utilità e l’idea di mantenere l’intervento del potere costituente il suo valore di ultima istanza. Nella seconda parte il Comitato ha espresso la propria posizione in relazione alle questioni fondamentali che gli sono state sottoposte quali il radicamento europeo, la parità tra uomini e donne, il pluralismo delle correnti di pensiero e dei media, la bioetica, il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali, l’uguaglianza delle chance. PAOLA PICIACCHIA 277 tela di particolari diritti, il vettore più appropriato per l’approfondimento di alcuni diritti sia a tutt’oggi la legge9. 9 Riguardo specificatamente agli esiti del Rapporto del Comitato Veil, molti sono gli aspetti sui quali ci si potrebbe soffermare, ciascuno meriterebbe in effetti un approfondimento specifico, come ad esempio quello relativo al rifiuto manifestato dal Comitato Veil di ricorrere all’utilizzo della via costituzionale per le affirmatives actions, relativo quindi al problema della costituzionalizzazione delle diversità basate sul criterio etnico-sociale. Tra le questioni affrontate appare dunque sicuramente di maggiore interesse quella relativa al profilo dell’uguaglianza delle chances e alle azioni positive. Il Comitato Veil infatti – pur riconoscendo l’uguaglianza delle chances e la lotta contro le discriminazioni come una delle aspirazioni più forti della società contemporanea – si è orientato per il rifiuto dell’utilizzo della via costituzionale a favore dello sviluppo di forme concrete di azioni positive. Un passaggio essenziale è stato quello relativo al rifiuto dell’accoglimento di una politica della promozione delle diversità fondata sulla razza, le origini, le religione. Il profilo sul quale l’attenzione della dottrina si è concentrata principalmente nell’attendere gli esiti del Rapport Veil è stato quello della “costituzionalizzazione delle diversità” e quindi dell’eliminazione degli ostacoli giuridici alle azioni positive fondate sul criterio etnico-sociale. Il rifiuto del Comitato di trasferire in Francia la politica dell’affirmative action fondata sulla razza, presente in altri Paesi, è stato basato su una serie di considerazioni. In primo luogo, sul fatto che in altri Paesi le affirmativs actions fondate sulla razza si giustificano perché esse fanno seguito a periodi di segregazione attuata attraverso il diritto. L’adozione di criteri etcnici a fini di discriminazioni positive sono ammessi in contesti come gli Stati Uniti in cui certi criteri sono usuali ma non è il caso della Francia Paese in cui la nozione stessa di razza è dibattuta. In secondo luogo, il Comitato ha ricordato – rifacendosi alla recente giurisprudenza della Corte Suprema che sembra aver messo in discussione il principio dell’affirmative action basato su criteri razziali a partire dal 1978 – come sarebbe singolare che venisse accolto in Francia tale principio laddove proprio negli Stati Uniti sta cedendo il passo. In terzo luogo, il Comitato ha stimato una via non percorribile cercare di attenuare il divieto costituzionale di ogni discriminazione fondata sull’origine; in quarto luogo il Comitato ha temuto che una politica di discriminazione positiva su base etnica potesse comportare effetti perversi come un indebolimento del vivere insieme o una crescita di tensioni e di risentimenti tra cittadini comunitari. In sostanza, il Comitato ha indicato come l’attuale quadro costituzionale offra ampi margini di manovra per attuare politiche di azioni positive. Eccezion fatta per le discriminazioni a carattere razziale, la Costituzione in vigore offre spazi per l’attuazione di politiche di azioni positive, di differenziazione positiva. D’altronde tale possibilità non è mai stata esclusa neanche dalla giurisprudenza del Conseil constitutionnel il quale, come si ricorda nel Rapporto del Comitato, si è più volte espresso sul fatto che nessun principio o regola di valore costituzionale impedisce al legislatore di prendere le misure necessarie al fine di agevolare le categorie disagiate. Sulle affirmatives actions in Francia v. il n. 111 di Pouvoirs, Discriminations positives, novembre 2004; in particolare cfr. G. CALVES, Les politiques françaises de discrimination: trois spécificites, in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 29; B. PERREAU, L’invention répubblicaine. Éléments d’une herméneutique minoritaire, in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 41; 278 LA V REPUBBLICA FRANCESE Il mancato accoglimento dell’opzione di costituzionalizzare la giurisprudenza costituzionale, procedendo così a dare certezza normativa all’apparato giurisprudenziale sedimentatosi nel tempo, appare, dunque, tra le sottolineature più forti giunte dal Comitato. Infatti la posizione del Comitato pare al riguardo essere netta. Pur riconoscendo la mancanza di argomenti giuridici di fondo che possano supportare la scelta della limitazione del potere costituente in tale campo, il Comitato ha rimarcato con decisione come il solo scopo della “codificazione” sarebbe quello di migliorare la conoscenza e la intelligibilità dei diritti costituzionali e come questo potrebbe essere uno scopo perseguibile anche attraverso altre vie, ma che, di contro, la costituzionalizzazione rappresenterebbe invece “un tratto regressivo” riguardo alla tradizione francese di protezione dei diritti fondamentali, tradizione che si è sempre invece inserita nel solco del progresso, un asse di progresso che nei secoli si è alimentato dell’aggiunta di diritti nuovi e che la “codification stricte” “évoque forcément le projet d’arrêter le mouvement de l’histoire ou d’empêcher son cours naturel”10. In sostanza il Comitato ha ritenuto che l’intervento del costituente fosse da considerare come un intervento di ultima istanza in quanto il Preambolo “ne povait se concevoir que dans des matières qui, sans être totalement figées, n’étaient pas susceptibles d’évolutions marquées a court ou moyen terme”11. Il rifiuto del Comitato sembra dunque corrispondere al timore che una costituzionalizzazione ulteriore rispetto ai testi attuali possa comportare un eccessivo irrigidimento del quadro dei diritti i quali per natura non sono “fissi” ma hanno la necessità di evolversi in relazione anche ai valori espressi dalle società in un determinato momento storico. Di qui la A. LEVADE, Discrimination positive et principe d’égalité en droit français, in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 55; E. LÉPINARD, L. BERENI, La parité ou le mythe d’une exception française, in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 73; F. STASSE, Pour le discrimination positives, in Pouvoirs, n. 111, 2004, p. 119; A.-G. SLAMA, Contre la discrimination positive. La liberté insupportable, p. 133 ss. Sulle anticipazioni del Rapporto Veil e le azioni positive v. le osservazioni di P. LOZÉS, Le rapport controversé du Comité Veil, in Le Nouvel Observateur, 10 dicembre 2008, www.nouvelobs.com. 10 COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport au Président de la République, dicembre 2008, p. 38. 11 COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport, cit., p. 41. PAOLA PICIACCHIA 279 necessità di mantenerli entro una cornice sufficientemente elastica da poter naturalmente favorire tale evoluzione. In tal senso la posizione del Comité Veil si inserisce in un quadro che vede nel giudice costituzionale l’interprete più idoneo di quei valori e di quei principi sui quali la Costituzione si fonda, i quali sono suscettibili però di evolversi e di adattarsi alle mutate esigenze espresse dalla società. Di fatto, il Comitato ha sottolineato che il vizio più eclatante dell’arsenale costituzionale sui diritti fondamentali non è quello di essere insufficiente, ma di essere ignorato12. Il Comitato, infatti, ha rilevato che i diritti costituzionalmente protetti in Francia formano oggi un corpo considerevole tale da essere considerato – anche alla luce dell’entrata in vigore della Carta dell’ambiente del 2004 – uno dei più “denses” ed “équilibrés”13 del mondo occidentale. E questo grazie non solo ai testi che formano il Preambolo della Costituzione del 1958, Dichiarazione dei diritti del 1789 e Preambolo del 1946, ma anche grazie al lavoro dei giudici e in particolare dei giudici costituzionali, i quali, attraverso una grande opera di interpretazione e grazie anche all’utilizzazione di tutte le virtualità offerte dal Preambolo stesso, sono riusciti a saldare insieme la base di valori su cui esso si fonda e hanno portato all’elaborazione di una nutrita giurisprudenza, producendo un arricchimento significativo del corpo dei diritti fondamentali. Sebbene l’apporto del Comité Veil sia dunque apparso alla dottrina piuttosto modesto, a tal punto che c’è chi ha anche parlato di “echec”14 nel senso anche della singolarità di una commissione di tale portata che propone lo status quo rispetto alle aspettative e soprattutto rispetto all’ampiezza delle richieste formulate nella “lettre de mission” del Presidente Sarkozy, di sicuro esso, da un lato, costituisce un ottimo punto riferimento per riprendere una riflessione complessiva sullo stato dei diritti fondamentali in Francia che, come è noto, a partire dalla sentenza del 16 luglio del 1971 godono di particolare protezione grazie all’affermazione sul valore giuridico del Preambolo 12 Cfr. COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport au Président de la République, dicembre 2008, p. 137. 13 Cfr. COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport…, cit., p. 137. 14 P. MBONGO, Le Comité Veil. Chronique d’un échec annoncé, in Revue Administrative, vol. 62, n. 369, 2009, pp. 253-255. 280 LA V REPUBBLICA FRANCESE fatta dal Conseil constitutionnel attraverso l’inclusione del medesimo nel cosiddetto “bloc de constitutionnalité”; dall’altro, costituisce uno spunto per ripercorre in chiave diacronica la dinamica del costituzionalismo francese in tema di diritti e il ruolo svolto dall’interpretazione giurisprudenziale nell’elaborazione di quello che viene definito un vero e proprio diritto costituzionale giurisprudenziale. 2. Il valore giuridico del Preambolo nell’evoluzione costituzionale francese: il dibattito dottrinario nella III e IV Repubblica. Come è noto, la protezione dei diritti in Francia costituisce una peculiarità rispetto ad altre esperienze. Il fatto che in Francia il catalogo dei diritti sia contenuto nel Preambolo rappresenta una particolarità rispetto ad altri Paesi nei quali l’evoluzione dei diritti ha seguito un percorso diverso. Questo ha indotto a riflettere sul valore e sulla portata delle Dichiarazioni dei diritti e dei Preamboli stessi. Ogni Costituzione è anche il riflesso di una certa concezione del ruolo dello Stato nella società e di una determinata filosofia politica, che si esprime naturalmente attraverso l’insieme delle disposizioni costituzionali relative all’organizzazione del potere. Per ciò che concerne le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, esse hanno assunto spesso il valore di una enunciazione filosofica sul ruolo stesso dello Stato. Le Dichiarazioni, inserite talvolta in Preamboli, hanno contenuto, in genere, previsioni articolate relative alla posizione del cittadino in seno alla società. Il loro testo è risultato separato da quello costituzionale e questo anche in virtù delle influenze esercitate dalle dottrine politiche del Settecento per cui si riteneva che i diritti fondamentali dell’individuo fossero “innati e naturali” e, quindi, che essi andassero solo accertati e dichiarati e non attribuiti15. Riguardo specificatamente ai Preamboli, il contenuto de15 G. MORANGE, Le valeur juridique des principes contenus dans la Déclaration des Droits, in Revue du Droit Public, 1945, p. 243; M. PELLOUX, Le préambule de la constitution du 26 octobre 1946, in Revue du Droit Public, 1947, p. 367; L. PHILIP, La valeur juridique de la Déclaration des droits de l’Homme et du citoyen du 26 août 1789, selon la jurisprudence du Conseil constitutionnel, in Mélanges Kayser, II, Paris, PUAM, 1979, p. 317; P. BISCARETTI DI RUFFIA, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Milano, Giuffrè, 1988; G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 1999. PAOLA PICIACCHIA 281 gli stessi però si è presentato spesso molto vario e non sempre esso ha fatto esplicito riferimento ai diritti fondamentali: talvolta infatti esso ha assunto il carattere di una solenne promulgazione della Costituzione come nel caso del Preambolo della Costituzione statunitense del 1787; altre volte esso ha fatto esplicito riferimento alla fonte di legittimazione del potere costituente come nel caso dello Statuto Albertino del 1948; in altri contesti esso ha assunto un significato politico, contenendo riserve come nel caso della Legge fondamentale tedesca 1949 e rinviando ad un momento successivo alla riunificazione la previsione di una nuova Costituzione; in altri casi, come appunto in quello francese, il Preambolo è servito a proclamare o a fare un esplicito e solenne rinvio ad una serie di principi e di libertà, non più menzionati in seguito dal testo costituzionale. In virtù della moltitudine di significati attribuiti al Preambolo, non è un caso che ci si sia spesso interrogati sul valore giuridico da riconoscersi ad esso. In genere, per il loro contenuto fortemente ideologico le disposizioni dei Preamboli sono state spesso ritenute importanti nell’ambito interpretativo dell’intera normativa costituzionale, ma in linea generale si è sempre ammesso che la loro natura è varia: sebbene, infatti, si ritenga che tutte le enunciazioni dei Preamboli debbano comunque in qualche modo concorrere come criteri interpretativi della Costituzione, è innegabile che le disposizioni in essi contenute possano essere assimilati a disposizioni di “principio, programmatiche e ad efficacia differita, salve ipotesi in cui la precettività sia immediata”16. In linea generale, infatti, – come la dottrina ha evidenziato – la portata e il valore che, sul piano giuridico, possono attribuirsi ai diritti dell’uomo dipende da diversi fattori. Uno di questi è costituito dal loro posto all’interno del testo costituzionale; infatti solo le garanzie costituzionali dei diritti poste nel testo stesso della Costituzione hanno in linea di principio un reale valore giuridico, mentre, al contrario, le Dichiarazioni dei diritti non hanno, di solito, che il valore di un enunciato filosofico che aiuta ad interpretare il testo costituzionale e ad ispirare l’azione del potere, ma che resta priva di sanzione giuridica. Un secondo fattore è anche dato dalla natura e dalla forma propria di tali enunciazioni: perché la garanzia costituzionale 16 G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, cit., p. 199 ss. 282 LA V REPUBBLICA FRANCESE abbia una vera portata giuridica occorre infatti che la garanzia possa risolversi in una prescrizione d’azione o di astensione. Un terzo fattore determinante nel valutare il valore giuridico delle prescrizioni contenute nei Preamboli è dato dall’esistenza o meno di organismi giurisdizionali abilitati a imporre il loro rispetto del controllo di costituzionalità delle leggi. Il grado di problematicità relativa al contenuto dei Preamboli e delle Dichiarazioni si è profilato sin dall’epoca liberale. Partendo dai presupposti sopra enunciati, i costituenti si preoccuparono sempre più spesso di inserire i diritti dell’individuo nel corpo stesso della Costituzione con l’intento di attribuire ad essi la stessa precettività delle norme costituzionali e di evitare così che rimassero allo stato di principi filosofici privi di valore giuridico17. Si inserisce in questa logica l’abbandono delle Dichiarazioni dei diritti distinte dal testo costituzionale e la scelta operata da alcuni paesi a favore dell’inserimento nel testo di precise norme per la garanzia dei diritti. Non è un caso, infatti, che, a partire dalla Costituzione belga del 1831, si sia sempre cercato di trattare la materia dei diritti direttamente nel testo costituzionale. Oltre alla rilevanza via via acquisita dalla materia dei diritti e oltre ad evidenti ragioni di organicità del testo costituzionale, uno dei motivi di questa scelta va rintracciato appunto nella volontà di non sollevare dubbi sulla precettività di tali disposizioni. Quanto alle Costituzioni francesi, esse a partire dalla prima Costituzione, dopo la Rivoluzione francese, fino ad arrivare alla Costituzione del 1958, salvo alcune eccezioni, hanno fatto spesso esplicito riferimento ai diritti o nei Preamboli o direttamente in alcune Dichiarazioni che precedevano la Costituzione ma non sempre alla Dichiarazione dei diritti ha fatto seguito una enunciazione delle garanzie dei diritti contenute nella Costituzione stessa. Dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 178918 – la quale come è noto oltre a consacrare i diritti del’uomo in quanto individuo, li sviluppava in relazione alla Nazione – riguardo 17 Sul legame tra costituzioni e diritti di libertà cfr. P. ARDANT Les constitutions et les libertés, in Pouvoirs, n. 84, 1998, p. 61 ss. 18 Sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino v. fra gli altri G. JELLINEK, La Déclaration des droits de l’homme du citoyen, Paris, Albert Fontemoing, Editeur, 1902; Cfr. anche G. CONAC, M. DEBENE, G. TEBOUL (a cura di), La déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 1789, Paris, Economica, 1993. PAOLA PICIACCHIA 283 al riconoscimento dei diritti le Costituzioni francesi succedutesi nel tempo hanno offerto esempi diversificati. La Costituzione del 179119, ad esempio, prevedeva al tempo stesso una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (sostanzialmente la riproduzione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789) ed inoltre una garanzia dei diritti posta direttamente nel titolo primo relativo alle “Disposizioni fondamentali garantite dalla Costituzione” nelle quali erano esplicitamente inclusi tutti “i diritti naturali e civili” (la libertà per ogni uomo di andare, di restare, di partire, senza poter essere arrestato o detenuto; la libertà di ogni uomo di parlare, di scrivere, di stampare e di pubblicare i propri pensieri; la libertà dei cittadini di riunirsi pacificamente e senza armi, adempiendo agli obblighi previsti dalle leggi di polizia; la libertà di indirizzare alle autorità costituite delle petizioni firmate individualmente, ecc.). Allo stesso modo le due Costituzioni del 1973 e dell’anno III (1795) furono precedute da una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. La Costituzione del 1793 non entrò mai in vigore ma diventò presto un punto di riferimento per il pensiero democratico successivo. Nella Dichiarazioni dei diritti si affermavano infatti nuovi principi quali la fraternità tra i popoli e il diritto dei singoli al lavoro, all’istruzione, all’assistenza, alla felicità, in nuce dunque una prima affermazione dei cosiddetti diritti sociali. La Costituzione del 1793 fu dotata anche di una garanzia dei diritti enunciati negli ultimi articoli della Costituzione stessa. Di contro, la Costituzione del 1795 prevedeva oltre all’enunciazione dei diritti, per la prima volta, quella dei doveri dell’uomo e del cittadino. Successivamente alle prime Costituzioni post-rivoluzionarie si assiste in Francia ad un eclissamento della Dichiarazione dei diritti: la Costituzione dell’Anno VIII (1799) e le Carte del 1814 (il cui Preambolo definiva principalmente le finalità e il carattere “ottriato” della Costituzione) e del 1830, infatti, comportarono solo una garanzia dei diritti: i diritti e le libertà furono collocate nel corpo stesso dalla Costituzione. La Costituzione del 1848, invece, oltre al Preambolo che riconosceva dei diritti e dei doveri anteriori e superiori alle leggi positive, 19 A. SAITTA, Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (17891875), Milano, Giufffrè, 1975. 284 LA V REPUBBLICA FRANCESE aprendosi anche alle istanze sociali emerse in quel periodo, dedicava l’intero capitolo II del testo all’enunciazione dei diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione. In modo singolare, invece, le tre leggi costituzionali del 1875, (quella del 24 febbraio 1875 relativa all’organizzazione del Senato, quella del 25-28 febbraio 1875 relativa all’organizzazione dei pubblici poteri e infine quella del 7 luglio 1875 relativa al rapporti tra i pubblici poteri) che costituivano il corpo della Costituzione della Terza Repubblica, non inclusero né una dichiarazione dei diritti, né alcuna garanzia dei diritti limitandosi a regolare solo la parte organizzativa dei pubblici poteri. Malgrado questa lacuna, però, la Terza Repubblica non smise mai di richiamarsi ai principi del 1789 sforzandosi di garantirli concretamente attraverso le sue leggi. Durante tale esperienza costituzionale infatti fu adottato il più grande numero di misure tendenti a garantire le libertà. La dottrina si è interrogata sul perché proprio le leggi costituzionali della Terza Repubblica, si siano astenute dal prevedere disposizioni specifiche relative ai diritti e alle libertà: la causa va presumibilmente rintracciata nella volontà del costituente di non affrontare una spinosa questione politica sulla quale ci si sarebbe potuto dividere e che avrebbe reso sicuramente più difficile l’adozione di testi costituzionali. Paradossalmente però è proprio durante l’esperienza della Terza Repubblica che fiorisce il ricco dibattito dottrinario sulla natura dei Preamboli e delle Dichiarazioni dei diritti, sul loro valore giuridico e sulla forza giuridica (in termini anche di opponibilità) delle proprie disposizioni. Le posizioni dottrinarie elaborate durante l’esperienza costituzionale della Terza Repubblica risultavano divise fondamentalmente tra i sostenitori della teoria del non valore e quella del valore dei Preamboli e delle Dichiarazioni dei diritti. Secondo la dottrina del non valore, i Preamboli o le Dichiarazioni dei diritti, essendo posti al di fuori delle costituzioni, non ne farebbero parte. È questa la teoria portata avanti da due autorevoli esponenti della dottrina dell’epoca, Adhemar Esmein e da Carré de Malberg. Secondo tale impostazione i Preamboli e le Dichiarazioni non comportano delle regole di diritto, ma solamente dei principi. PAOLA PICIACCHIA 285 Secondo Esmein, “les déclarations des droits émanent donc de corps possédant une autorité légale et même souveraine, d’assemblées constituantes; mais ne sont pas des articles de lois précis et exécutoires. Ce sont purement et simplement des déclarations des principes”20. Carrè de Malberg21, invece, riferendosi alla Dichiarazione dei diritti del 1789, sosteneva che essa non aveva che la portata dogmatica di una dichiarazione di verità filosofiche, e che quindi essa si riduceva all’enunciazione di concetti di diritto naturale che avevano ben potuto ispirare la Costituzione del 1791, “mais qui ne sauraient être considerér comme des prescriptions juridiques ayant l’èfficacité de régler le droit positif”. In particolare, secondo Carré de Malberg, o si riteneva la Dichiarazione dei diritti del 1789 come facente parte della Costituzione del 1791, e quindi era chiaro che essa fosse scomparsa con la Costituzione stessa, oppure si considerava come un atto distinto da essa, ma allora non era da qualificarsi una norma giuridica, ma solo un documento dal valore dommatico non superiore a quello di una dichiarazione di verità filosofiche. Teorici del valore giuridico del Preambolo e delle Dichiarazione dei diritti furono, invece, Maurice Hauriou secondo il quale la Dichiarazione dei diritti è una parte importante di quella che viene definita la Costituzione sociale, e dunque anche il Preambolo fa parte della Costituzione e Léon Duguit, secondo il quale la Dichiarazione è un valore fondamentale e quindi la base stessa del sistema politico. Maurice Hauriou, in particolare, legando i diritti alla Costituzione sociale definiva la Dichiarazione dei diritti come «le texte constitutionnel de la Constitution sociale»22 e i diritti individuali riconosciuti dalle Dichiarazioni dei diritti non come mere dichiarazioni di principio, ma come dichiarazioni solenni di volontà dello Stato, il quale, riconoscendo attraverso le Dichiarazioni accettate dalla Nazione e che legano e limitano la sovranità dello Stato, i diritti indivi20 A. ESMEIN, Éléments de droit constitutionnel français et comparé, ristampa Paris, L.G.D.J., 2001, p. 554. 21 R. CARRÉ DE MALBERG, Contribution à la théorie générale de l’État, II Tomo, Paris, Sirey, 1922, p. 580 ss. 22 M. HAURIOU, Précis de Droit constitutionnel, Paris, Libraire de la Societé du Recueil Sirey, 1929, p. 625-626. 286 LA V REPUBBLICA FRANCESE duali, «il s’est interdit de les violer»23. Secondo tale impostazione le Dichiarazioni dei diritti avevano valore giuridico non solo in quanto «déclaration de volonté de l’État reconnaissant l’existence des droits individuels» ma anche in quanto «engagement de l’État de faire les lois organiques nécessaires»24. Lo Stato, dunque, inserendo un diritto individuale nella lista dei diritti, ne proclamava così il principio e si impegnava ad organizzarlo (come peraltro le leggi organiche prima o poi avevano fatto). Questo impegno, secondo l’autore, pur mancando di sanzione, non è meno giuridico. E inoltre «non seulement les déclarations des droits ont une valeur juridique, mais elles ont une valeur constitutionnelle, en tant qu’elles contiennent le principe de chacun des droits individuels, et cette valeur constitutionnelle interdirait au pouvoir législatif ordinaire de supprimer en principe une liberté»25. Léon Duguit, da parte sua, sottolineava come il sistema delle Dichiarazioni dei diritti tendeva a determinare i limiti che si imponevano all’azione dello Stato, e, perciò, si individuavano dei limiti superiori che dovevano essere rispettati tanto dal legislatore costituente quanto dal legislatore ordinario. «Dans le système de 1789 – scriveva Duguit – il y a trois catégories de lois se hiérarchisant, les déclarations des droits, les lois constitutionnelles et les lois ordinaires. Le législateur constituant est soumis aux déclarations et le législateur ordinaire au législateur constituant. A fortiori, le législateur ordinaire est-il lié par le déclarations de droits, et s’il n’y a pas dans la Constitution des dispositions rappelant ou garantissant les droits inscrits dans la déclaration, le législateur ordinaires n’en reste pas moins lié par la déclaration et il lui est toujours interdit de la violer, sous peine de faire une loi contraire au droit»26 In tal senso, dunque, Duguit riteneva che le Dichiarazioni di diritti dovessero prevalere sulle leggi costituzionali e che queste ultime fossero superiori alle leggi ordinarie, cosa che implicava la creazione di un controllo di costituzionalità delle leggi, se non addirittura quello di un controllo di conformità delle leggi costituzionali ai principi definiti dalle Dichiarazioni dei 23 M. HAURIOU, Précis de Droit constitutionnel, Paris, Libraire de la Societé du Recueil Sirey, 1923, p. 84. 24 M. HAURIOU, Précis de Droit constitutionnel, cit., p. 90. 25 ID., ibidem, p. 90. 26 L. DUGUIT, Manuel de Droit constitutionnel, Paris, E. de Boccard, 1918, p. 183 ss. PAOLA PICIACCHIA 287 diritti. Per Duguit le Dichiarazioni dei diritti erano il fondamento stesso dell’organizzazione della società. Il dibattito è continuato durante la Quarta Repubblica anche alla luce dell’inserimento della Dichiarazione del 1789 nel Preambolo della Costituzione del 1946. I costituenti, al momento dell’elaborazione della Costituzione del 1946, crearono infatti un Preambolo che rinviava alla Dichiarazione dei diritti del 1789 per l’enunciazione dei diritti classici e ne aggiunsero dei nuovi, i cosiddetti “diritti sociali”. Oltre al riferimento alla dichiarazione dei diritti del 1789 e ai principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica, il Preambolo del 1946 enuncia infatti i principi «particulièrement nécessaires à notre temps» ovvero i cosiddetti diritti sociali che introducono la categoria delle libertà positive. Non è certo che i costituenti, la cui preoccupazione di fondo era quella di riaffermare la sovranità parlamentare come nella Terza Repubblica, avessero l’intenzione di conferire ad Preambolo valore giuridico. Pertanto, anche il Preambolo della Costituzione del 194627, è stato oggetto di numerose discussioni dottrinarie in relazione alla sua portata e al suo valore giuridico. Alcuni ritenevano che non avesse che il valore indicativo di principi e che l’intento del costituente non fosse stato quello di attribuire ad esso valore giuridico; una parte della dottrina sottolineava invece che occorresse fare una distinzione tra le disposizioni del Preambolo che potevano essere oggetto di una applicazione diretta e quelle che contenevano semplicemente dei principi filosofici, dichiarazioni di intenti che non avevano carattere normativo e che non potevano quindi costituire oggetto di applicazione giurisdizionale. Si ricorda in particolare la posizione dottrinaria di Georges Vedel, il quale, attribuiva al Preambolo della Costituzione del 1946 un valore relativo sulla base del diverso grado di precettività delle norme contenute in esso. Vedel in linea generale riteneva28 infatti, che il Preambolo, testo votato dall’Assemblea costituente sotto il titolo generale relativo all’intero testo costituzionale e sottoposto in27 Sul preambolo della Costituzione del 1946 v. G. CONAC, M. DEBENE, G. TETOUL (a cura di), Le Préambule de la Constitution de 1946, Paris, Dalloz, 2001. 28 G. VEDEL, Manuel élémentaire de droit constitutionnel, Paris, 1949, p. 326. 288 LA V REPUBBLICA FRANCESE sieme ad esso a referendum, facesse parte integrante della Costituzione e che quindi avesse un valore giuridico pari ad essa. Egli sottolineava però, che erano sottratte a questo principio generale quelle parti del Preambolo che per la loro imprecisione non potevano essere ricollegate a prescrizioni sufficientemente rigorose per essere considerate vere regole di diritto. Ma al di la delle posizioni dottrinarie in Francia, la portata giuridica della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e del Preambolo della Costituzione del 1946, si è affermata a poco a poco, attraverso l’applicazione fatta dai tribunali malgrado le intenzioni contrarie dei costituenti. Sebbene, infatti, la Costituzione del 1946, introducendo una prima forma di controllo di costituzionalità attraverso l’istituzione del Comité constitutionnel, avesse implicitamente escluso la possibilità di un controllo anche sul Preambolo (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 92 Cost., il Comitato costituzionale poteva «solo decidere sulla possibilità di revisione delle disposizioni dei titoli dal I al X della presente Costituzione»), tuttavia, proprio durante l’esperienza della Quarta Repubblica, le disposizioni del Preambolo servirono da base giuridica per la creazione dei principi generali del diritto, principi ai quali il Consiglio di Stato ha fatto riferimento per stabilire decisioni giurisprudenziali innovative (vedi, ad esempio, C.E. 7 luglio 1950, Dehaene). Inizialmente, quindi, il riferimento al Preambolo fu importante in relazione alla definizione dei principi generali del diritto, dal momento che il Consiglio di Stato ancora esitava a riconoscere ad esso “valore positivo e costituzionale”. In tal senso il ruolo giocato dalle disposizioni del Preambolo nell’elaborazione di tali principi mostrava la forza della creazione giuridica operata dalla giurisprudenza e l’importanza delle regole del Preambolo come fonte ispiratrici della giurisprudenza stessa. L’affermazione della portata giuridica del Preambolo, avvenuta per opera dei tribunali e del Consiglio di Stato, riguardò innanzitutto il diritto di sciopero: in particolare, il Consiglio di Stato cominciò ad annullare alcuni decreti che ne disconoscevano le disposizioni. Il Consiglio di Stato all’inizio evitò di fare espressamente riferimento al Preambolo o alla Dichiarazione dei diritti del 1789 preferendo appellarsi a les principes généraux du droit, che si trovano inseriti sia nella Dichiarazione dei diritti sia nel Preambolo: sarà solo a partire PAOLA PICIACCHIA 289 dal 1956 che il Consiglio di Stato si rifarà espressamente ai due testi per la prima volta (Amicale des Annamites, CE, 11 luglio 1956 e Condamine, CE, 7 giugno 1958), manifestando così la volontà di riconoscere il valore del Preambolo in quanto tale. Dopo il 1958 il Consiglio di Stato ha mantenuto questa posizione, sottoponendo soprattutto le ordinanze e i regolamenti autonomi al rispetto dei principi generali del diritto, pur rifiutandosi di conferire a tutte le disposizioni della Dichiarazione dei diritti e del Preambolo del 1946 lo stesso valore giuridico. 3. La V Repubblica, l’elaborazione giurisprudenziale e la piena affermazione del valore giuridico del Preambolo. Con la promulgazione della Costituzione del 1958 e la nascita della Quinta Repubblica, lo stesso tipo di dibattito sul Preambolo ha finito inevitabilmente per riaprirsi alla luce anche dell’elemento nuovo costituito dall’introduzione di un vero e proprio controllo di costituzionalità delle leggi. Con una formula breve ma efficace, il costituente francese del 1958, come è già stato osservato, pose all’inizio della Costituzione un Preambolo in virtù del quale «La peuple français proclame solennement son attachement aux droits de l’homme et aux principes de la souveraineté nazionale tels qu’ils ont été définis par la Déclaration de 1789, confirmé et completé par le Préambule de la Constitution de 1946» (Preambolo che come è stato ricordato dal 2005 è stato ampliato con l’espressione «ainsi qu’aux droits et devoirs définis dans la Charte de l’environnement de 2004»). Sin dall’inizio dell’esperienza costituzionale della Quinta Repubblica ci si interrogò sulla forza giuridica delle disposizioni del Preambolo e sulla loro applicabilità non essendo escluso in linea teorica il controllo del Conseil constitutionnel anche in riferimento ad esso, come invece era stato per il Preambolo della Costituzione del 1946 che – come abbiamo già visto – veniva di fatto sottratto dall’art. 92 Cost. dal controllo eventualmente svolto dal Comité constitutionnel. Anche se in realtà, quando il Conseil fu creato nel 1958 l’intenzione dei costituenti non era quella di istituire un organo che garantisse il rispetto dei diritti fondamentali piuttosto quella – nella prospettiva della razionalizzalizzazione del parlamentarismo – di con- 290 LA V REPUBBLICA FRANCESE trollare il Parlamento, al fine di preservare i poteri del Governo, soprattutto quelli normativi nell’ambito del domaine réglementaire, è innegabile il fatto che la V Repubblica ha considerevolmente rafforzato la portata giuridica delle disposizioni della Dichiarazione dei diritti del 1789 e del Preambolo del 1946 permettendo che si instaurasse un controllo di costituzionalità delle leggi in relazione ad essi. Infatti negli anni il Conseil cambierà natura trasformandosi presto in gardien dei diritti e delle libertà fondamentali. Sebbene la dottrina dubiti29 delle reali intenzioni del costituente di voler sottomettere il legislatore al rispetto delle disposizioni anche del Preambolo, certo è che il non aver, esplicitamente e formalmente, escluso il Preambolo dal controllo operabile da parte del Consiglio costituzionale ha permesso al giudice costituzionale, di arrivare, attraverso l’apertura di quella breccia, a consacrare il valore costituzionale del Preambolo nella famosa sentenza del 1971. Invero l’apertura verso il riconoscimento del valore giuridico del Preambolo si era avuta, anche se in maniera discreta, già a partire dal 1970 in una decisione del Conseil constitutionnel del 19 giugno 1970 (70-39 DC). La piena affermazione del valore giuridico del Preambolo si avrà però solo con la succitata sentenza n. 44-71 DC del 16 luglio 1971 relativa alla libertà di associazione che sarà seguita successivamente da altre due sentenze del 28 novembre (n. 73-80 L) e del 27 dicembre 1973 (n. 73-51 DC). Nella sentenza del 1971, il riconoscimento del valore giuridico del Preambolo avvenne fondamentalmente attraverso tre passaggi: innanzitutto attraverso la considerazione che il Preambolo era parte integrante della Costituzione; in secondo luogo attraverso la constatazione del profondo legame tra il Preambolo del 1958, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e il Preambolo del 1946 e quindi attraverso il riconoscimento implicito del valore costituzionale della Dichiarazione del 1789 e del Preambolo del 1946; e infine attraverso l’affermazione del valore costituzionale dei principi 29 Cfr. B. CHANTEBOUT, Droit constitutionnel, Paris, Armand Colin, 2003, p. 40. Sull’ambiguità dei lavori preparatori della Costituzione del 1958 riguardo l’inclusione del Preambolo nel blocco di costituzionalità cfr. D. MAUS, La naissance du contrôle de constitutionnalité en France, in Mélanges en l’honneur de Pierre Pactet, Paris, Dalloz, 2003, p. 713 ss. PAOLA PICIACCHIA 291 fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica30, formula questa con la quale si apriva il Preambolo della Costituzione del 1946. L’apertura del Conseil constitutionnel, operata con la sentenza del 197131, ebbe, come noto, una portata considerevole in quanto contribuì ad accrescere il valore e il senso del controllo di costituzionalità delle leggi. Un’ulteriore tappa fu rappresentata, nel 1973, dalla sentenza del 27 dicembre la n. 73-51 DC sulla tassazione d’ufficio prevista dalla legge finanziaria per il 1974. La questione ivi esaminata era relativa alla possibilità che la legge operasse una discriminazione tra medi e grandi contribuenti ammettendo per i primi come prova la loro buona fede e negandola ai secondi. La soluzione operata dal Conseil andò nel senso della negazione di tale possibilità in quanto in palese contrasto con il principio di uguaglianza contenuto nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e solennemente riaffermato nel Preambolo della Costituzione del 1958. Fu questa la prima volta in cui il Consiglio costituzionale si pronunciò sulla violazione del principio di uguaglianza non fondandosi direttamente sull’allora art. 2 della Costituzione ma direttamente sulla Dichiarazione del 1789 alla quale il Preambolo si riferisce32. La terza tappa fu rappresentata dalla sentenza n. 74-54 DC del 15 gennaio 1975 sull’interruzione volontaria della gravidanza. Il Conseil fu chiamato in causa per la violazione da parte della legge – che estendeva la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza – dell’art. 2 della Convenzione europea dei diritti del30 L. FAVOREU, Les principes fondamentaux reconnus par le lois de la République, AA.VV., La République en droit français, Paris, Economica, 1996; B. GENEVOIS, Une catégorie de principes de valeur constitutionnelle: les principes fondamentaux reconnus par le lois de la République, in Revue française de droit administrative, 1998, p. 479 ss. 31 V. sul punto, L. FAVOREU, Le principe de constitutionnalité essai de définition d’après la jurisprudence du Conseil Constitutionnel, in AA.VV., Recueil d’études en hommage à Charles Eisenmann, Paris, Ed. Cujas, 1975, p. 33 ss. Sulla sentenza del 1971 cfr. anche F. LUCHAIRE, Le Conseil constitutionnel et la protection des droits et libertés du citoyen, in Mélanges Waline, Paris, LGDJ, 1974, p. 563 ss.; L. PHILIP, La valeur juridique de la Déclaration des droits de l’Homme et du citoyen du 26 août 1789m selon la jurisprudence du Conseil constitutionnel, in Mélanges Kayser, II, Aix-en-Provence, PUAM, 1979, p. 317 ss. 32 M. DE VILLIERS, Le principe d’égalité dans la jurisprudence du Conseil Constitutionnel, in Revue administrative, n. 216, 1983 e n. 217 1984. 292 LA V REPUBBLICA FRANCESE l’uomo e del cittadino e del Preambolo del 1946 che prevede che la nazione garantisce a tutti, soprattutto ai bambini e alla madre, la protezione della salute. In quell’occasione il Conseil fece tre importanti affermazioni. In primo luogo, stabilì che la legge non era contraria all’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché non spetta al Consiglio Costituzionale di pronunciarsi sulla conformità di una legge ad un impegno internazionale; in secondo luogo stabili che la legge non era contraria al principio di libertà affermato dalla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino, in quanto la madre poteva decidere o no di abortire e i medici potevano decidere di partecipare o meno all’intervento; in terzo luogo dichiarò che essa non era contraria neanche al Preambolo del 1946 perché le deroghe poste dalla legge non costituivano attentato alla protezione della salute che la Nazione riconosce al fanciullo. La portata di questa sentenza si misura, da un lato, per l’esclusione degli impegni internazionali dal blocco di costituzionalità, dall’altro, per l’applicazione del Preambolo del 1946. La portata del controllo operato dal Conseil fu negli anni naturalmente rafforzata grazie anche all’allargamento della saisine parlamentare del Consiglio costituzionale33 a partire dal 197434 così da arrivare alla costruzione di un “droit constitutionnel jurisprudentiel” che ad oggi può contare su un corpo considerevolmente ampio di pronunce volte alla completa tutela dei diritti fondamentali. Ma se già nel 1975 tutti gli elementi del blocco di costituzionalità erano ben individuati fu solo nel tempo che il Conseil andò oltre chiarendo una questione lasciata aperta dalle pronunce precedenti quella relativa all’esistenza o meno di una gerarchia tra gli elementi del bloc de constitutionalitè. La questione fu risolta dalla sentenza n. 82-132 DC del 16 gennaio 198235 sulle nazionalizzazioni. Il problema 33 Legge cost. n. 74-904 del 29 ottobre 1974. ruolo dell’allargamento della saisine parlementaire cfr. D. MAUS, A. ROUX (a cura di), 30 ans de saisine parlementaire du Conseil constitutionnel, Paris, Economica, 2006. 35 F. COLLY, Le conseil constitutionnel et le droit de proprieté, in Revue du droit public, 1988, p. 135 ss.; L. FAVOREU, Le droit de proprieté dans la déclaration de 1789, in AA.VV., La Déclaration des droits de l’homme et du citoyen et la jurisprudence, Paris, PUF, 1989; P. BON, Le statut constitutionnel du droit de proprieté, in Revue française de droit administratif, n. 6, 1989, p. 1009 ss. 34 Sul PAOLA PICIACCHIA 293 giuridico che si pose allora fu quello di individuare la prevalenza o meno di un elemento del blocco di costituzionalità sull’altro. La questione in altri termini era di sapere quale elemento del bloc nel caso in questione – in cui la nazionalizzazione era contraria al diritto di proprietà salvaguardato dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino previsto sia dal Preambolo del 1946 sia dallo stesso art. 34 Cost. – dovesse prevalere. Il Conseil chiarì che, qualora si realizzi un conflitto tra gli elementi del bloc de constitutionnalité (in questo caso il diritto di proprietà sancito dalla Dichiarazione del 1789 e la nazionalizzazione prevista dal Preambolo del 1946 e dalla Costituzione del 1958), occorre conciliare tali elementi perché essi hanno tutti lo stesso valore e non possono essere posti secondo un ordine gerarchico36. Nel caso in specie, il Conseil tradusse il principio affermato con una decisione che, da un lato, non dichiarava incostituzionale la legge sulle privatizzazioni ma che, dall’altro, invitava a considerare tutti gli elementi del Preambolo di pari dignità e posti sullo stesso piano. Negli anni la giurisprudenza del Consiglio costituzionale37 si è notevolmente accresciuta e si può sicuramente affermare che non vi è ambito entro il quale il Conseil non sia intervenuto38 e questo ha contribuito alla costituzione del bloc de constitutionnalité. È spettato sostanzialmente al giudice costituzionale individuare i «principes fondamentaux reconnus par les lois de la République» che sia il costituente del 1946 che quello del 1958 avevano riaffermato. Attraverso una ricca giurisprudenza il Consiglio costituzionale ne ha identificati una decina tra i quali la libertà di associazione (decisione n. 71-44 DC del 16 luglio 1971); i diritti della difesa (decisione n. 76-70 DC del 2 dicembre 1976); la libertà individuale (decisione n. 76-75 36 B. MATHIEU, M. VERPEUX, Droit constitutionnel, Paris, Puf, 2004. M.-C. PONTHREAU, La reconnaissance des droits non-écrits par les cours constitutionnelles italienne et française. Essai sur le pouvoir créateur du juge constitutionnel, prefazione di A. Pizzorusso, Paris, Economica, Coll. Droit public positif, 1994; B. MATHIEU, M. VERPEUX, Contentieux constitutionnel des droit fondamentaux, Paris, LGDJ, 2002; L. FAVOREU, P. GAÏA, O. MÉLIN-SOUCRAMANIEN-PFERSMANN, J. PINI, A. ROUX, G. SCOFFONI, J. TREMEAU, Droit des libertés fondamentales, Paris, Dalloz, 2005; L. FAVOREU, Les grandes décisions du conseil constitutionnel, Paris, Puf, 2007; AA.VV., Les grandes délibérations du Conseil constitutionnel, Paris, Dalloz, 2009. 38 Sull’acquis in tema di diritti in Francia v. B. STIRN, L’État des libertés bilan critique, in Pouvoirs n. 84, 1998, p. 99 ss. 37 Cfr. 294 LA V REPUBBLICA FRANCESE DC del 12 gennaio 1977); la libertà d’insegnamento (decisione n. 7787 DC del 23 novembre 1977), in particolare la libertà di insegnamento superiore (decisione n. 99-414 DC du 8 juillet 1999); la libertà di coscienza (decisione n. 77-87 DC del 23 novembre 1977); la specificità della giustizia dei minori (decisione n. 2002-461 DC del 29 agosto 2002). Ma il Consiglio costituzionale è poi andato oltre ricavando attraverso la sua giurisprudenza i “principes de valeur constitutionnelle”, tra i quali il rispetto della vita privata (decisione n. 76-75 DC del 12 gennaio 1977; decisione n. 94-352 DC del 18 gennaio 1995; decisione n. 99-416 DC del 23 luglio 1999; 2003-467 DC del 13 marzo 2003); la continuità del servizio pubblico e il diritto di sciopero (decisione n. 79-105 DC del 25 luglio 1979); la libertà d’impresa (decisioni n. 81-132 DC del 16 gennaio 1982 e n. 92-316 DC del 20 gennaio 1993); la dignità della persona umana (decisione n. 94-343/344 DC del 27 luglio 1994); la libertà contrattuale (decisioni n. 2000-437 DC del 19 dicembre 2000 e n. 2006-535 DC del 30 marzo 2006). Esso si è inoltre preoccupato di vigilare anche sulla protezione di quelli che ha considerato “objectifs de valeur constitutionnelle”, nozione che si riconnette a principi che trovano indirettamente il loro fondamento nella Costituzione, quali la salvaguardia dell’ordine pubblico, il rispetto delle libertà altrui, la preservazione del carattere pluralista delle correnti di espressione socioculturali (decisione n. 82141 DC del 27 luglio 1982), il pluralismo delle correnti di pensiero e di opinione (decisione n. 2004-497 del 1 luglio 2004), in particolare il pluralismo dei quotidiani di informazione politica e generale (decisione n. 84-181 DC del 11 ottobre 1984); la protezione della sanità pubblica (decisione n. 90-283 dell’8 gennaio 1991; decisione n. 93325 DC del 13 agosto 1993) e molti altri. Si ricordi anche come il Consiglio costituzionale abbia, attraverso les règles ou principes innommés, giustificato la limitazione della portata di una norma costituzionale (interesse generale, ordine pubblico, urgenza ecc.), o modulato l’intensità del suo controllo (proporzionalità, sanzione di soli errori manifesti). Una tappa importante è stata, infine, costituita dalla sentenza n. 2005-514 del 28 aprile 2005 DC, sulla Loi relative à la création du registre international français. Il Consiglio costituzionale in questa oc- PAOLA PICIACCHIA 295 casione ha applicato per la prima volta la Carta dell’Ambiente39 nel quadro del controllo di costituzionalità delle leggi; precedentemente l’utilizzazione della Carta era avvenuta solo in relazione al controllo sul Trattato di Costituzione Europea. 4. I poteri pubblici francesi di fronte alla tradizione costituzionale francese: spunti di riflessione. Alla luce di quanto suesposto, la posizione assunta dal Comitato Veil assume un connotato preciso. In sostanza il Comitato si è rifiutato di porre mano ad una riscrittura (per i seri rischi di insicurezza giuridica che questo comporterebbe) e ad un rimaneggiamento dei testi adducendo come motivazione forte la volontà di non venir meno a una delle attitudini più radicate della tradizione francese cioè quella della “stratificazione progressiva dei diritti e delle libertà eredi del passato repubblicano unita alla volontà di assicurare la loro applicazione combinata”40. E questo sia in virtù del fatto che “la conciliazione – obbligatoria – dei principi d’ispirazione individualista del 1789 con quelli più collettivi del 1946, ha permesso questo risultato soddisfacente dal punto di vista della continuità repubblicana” sia perché “la sovrapposizione di norme d’ispirazione diversa oggi unite nel Preambolo” viene ritenuta una delle ricchezze “più preziose della democrazia francese e che sarebbe dannoso attentare ad essa”41. La rivendicazione, in sostanza, di una continuità giuridica che unisce nei secoli e ricompone in sintesi le contraddizioni di una società in evoluzioni sulla base però della capacità di rilettura critica delle propri bisogni. A ben vedere, la posizione del Comitato Veil sul punto in questione sembra in effetti riecheggiare l’approccio dei pubblici poteri francesi di fronte ad alcune questioni e principi fondamentali che non hanno spesso permesso al costituente francese di andare oltre deter39 B. MATHIEU, La porté de la Charte pour le juge constitutionnel, in Actualité Juridique - Droit Administratif, 2005, p. 1170 ss.; M. PRIEUR, Les nouveau droits, in Actualité Juridique - Droit Administratif, 2005, p. 1157 ss. 40 Cfr. COMITE DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport…, cit., p. 27. 41 Cfr. COMITÉ DE RÉFLEXION SUR LE PRÉAMBULE DE LA CONSTITUTION, Rapport…, cit., p. 27. 296 LA V REPUBBLICA FRANCESE minati limiti imposti dalla cultura politico-istituzionale facendo così preferire un’evoluzione nella continuità entro cornici sufficientemente “souples” da consentire empirici adattamenti alle nuove realtà. E penso qui ad esempio alle problematiche connesse all’istituto della legislativa42. Sebbene infatti tale istituto abbia finalmente trovato nella Costituzione del 1958 esplicito riconoscimento dopo quasi un secolo di incertezza normativa, in virtù di una cultura giuridica di matrice rivoluzionaria e, in specie giacobina, protesa alla definizione formale della legge e all’affermazione dell’assoluta superiorità di essa, (quale espressione della volontà generale, ben poco permeabile all’idea della delegabilità del potere legislativo e della sua limitazione), esso però non ha poi trovato definitivo chiarimento neanche nella V Repubblica per quanto riguarda la natura delle ordinanze lasciando ancora una volta alla giurisprudenza amministrativa e costituzionale il compito di ricostruire il quadro giuridico di riferimento, manifestatamene variabile43. E penso ancora al problema del decentramento in Francia riguardo al quale i principi di unité ed indivisibilité della Repubblica hanno sempre costituito un autentico limite all’idea dell’introduzione di un vero e proprio potere legislativo alle Regioni, passaggio questo di fondamentale importanza per un decentramento che possa definirsi compiuto e che invece ha, al massimo, permesso l’introduzione (in specie con la riforma del 2003) di un potere di sperimentazione legislativa (e anche regolamentare) nel senso della possibilità di adattamento di disposizioni legislative (o regolamentari) a specifiche realtà entro comunque una cornice altamente proceduralizzata e guidata dall’alto44. 42 Mi sia permesso il rinvio a P. PICIACCHIA, La delega legislativa nell’esperienza costituzionale francese. Procedura e controllo dell’attività normativa dell’Esecutivo nella V Repubblica, Milano, Giuffrè, 2006. 43 Per quanto riguarda ad esempio la distinzione tra ordinanza ratificata e non ratificata e le ipotesi di controllo su di esse, in un recupero nella continuità dell’approccio delle precedenti esperienze. 44 Sulle prospettive del decentramento francese in rapporto allo stato regionale e alle dinamiche in Europa, cfr. J. FOUGEROUSSE (a cura di), L’État régional, une nouvelle forme d’État?, Bruxelles, Bruylant, 2008. Sulla riforma del 2003 mi sia permesso il rinvio a P. PICIACCHIA, Decentramento francese ad una svolta? La riforma costituzionale su “L’organisation décentralisée de la République” tra vecchie e nuove tendenze in “Nomos-Le attualità del diritto”, 3/2003, pp. 37-72. PAOLA PICIACCHIA 297 E penso infine proprio alla recente revisione del luglio scorso. Sebbene infatti con l’ultima revisione siano stati accolti gli aspetti più specifici e necessari, e sottolineo “necessari”, volti ad una rivalutazione del Parlamento in un contesto di massiccia presidenzializzazione del sistema, rivalutazione la cui portata però potrà essere valutata pienamente solo con l’attuazione della riforma demandata in parte alle leggi organiche, in parte alle leggi ordinarie e ai regolamenti parlamentari45 (e il caso dello Statuto dell’opposizione è emblematico), proprio in tema di forma di governo ancora una volta si è ritenuto di non dover giungere alla costituzionalizzazione della prassi presidenzialistica attraverso una netta ridefinizione dei ruoli delle due teste dell’Esecutivo, Presidente della Repubblica e Primo Ministro, come invece era stata suggerito dalle proposte del Comitato Balladur46, e con un approccio ancora una volta molto pragma45 Fino ad oggi sono stati approvati i seguenti testi di applicazione della revisione del 23 luglio 2008: la legge organica n. 2009-38 del 13 gennaio 2009 in applicazione dell’art. 25 della Constituzione; la legge organica n. 2009-403 del 15 aprile 2009 in applicazione degli articoli 34-1, 39 e 44 della Constituzione; la legge organica n. 2009-966 del 3 agosto 2009 che proroga il mandato dei membri del Consiglio economico, sociale, e dell’ambiente; la legge n. 2009-39 del 13 gennaio 2009 relativa alla commissione prevista dall’art. 25 della Constituzione e all’elezione dei députati; la legge n. 2009-689 del 15 giungo 2009 di modifica dell’ordinanza n. 58-1100 del 17 novembre 1958 relativa al funzionamento delle assemblee parlamentairi e al completamento del codice di giustizia amministrativa; il Regolamento dell’Assemblea Nazionale modificato il 27 maggio 2009. 46 Significativo al riguardo il pacchetto di proposte presentato il 29 ottobre 2007 dal Comitato di riflessione e di proposta sulla modernizzazione e il riequilibrio delle istituzioni istituito il 18 luglio 2007 dal Presidente Sarkozy. Le proposte riguardanti i rapporti tra Presidente della Repubblica e Primo Ministro erano tendenzialmente orientate a riprodurre nel testo costituzionale le dinamiche consolidate negli anni dalla lettura presidenzialistica della Costituzione con i dovuti correttivi volti anche ad un contestuale rafforzamento del Parlamento. V. Rapport du Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions de la Vème République, in particolare Propositions n. 1, 2, 3, 4 (pp. 10-13), relative alla modifica degli artt. 5, 20, 21 Cost.: esse erano state concepite in funzione della “clarification des responsabilités” in seno all’Esecutivo con una definizione netta dei ruoli del Presidente della Repubblica e del Governo. La proposta di modifica dell’art. 5 Cost. mirava, infatti, ad introdurre un ultimo comma in base al quale il Presidente della Repubblica «definisce la politica della Nazione» mentre la proposta di modifica dell’art. 20 Cost. tendeva a sottrarre al Governo la determinazione della politica nazionale affidandogli solo la conduzione di essa: “Les propositions de clarification – si legge infatti nel Rapporto – qui pourraient s’en déduire sont simples. Elles viseraient à prendre acte de la prééminence que son élection au suffrage universel direct confère au chef de l’Etat, qui serait chargé de «déterminer la politique de la nation». Come è noto invece la riforma costituzionale approvata il 21 luglio 2008 (Loi 298 LA V REPUBBLICA FRANCESE tico, a mio avviso senz’altro da condividere, si è voluto evitare un irrigidimento dello schema della forma di governo lasciando alla souplesse del testo la possibilità di eventuali evoluzioni. È da ritenere insomma che vi siano chiari tratti culturali ed un richiamo implicito alla continuità repubblicana che sembrano costituire dei veri limiti e che sembrano porre quasi un freno ad ipotesi più incisive di riforme. In fondo credo che vi sia un parallelismo tra l’approccio adottato dai costituenti con la revisione del luglio 2008 e l’approccio del Comitato Veil che è ravvisabile nella scelta del mantenimento della suddetta souplesse e quindi del mantenimento del rilievo assoluto assunto oggi, in tema di diritti, in Francia da quello che è definito il diritto costituzionale giurisprudenziale47 come elemento imprescindibile della cultura politico-istituzionale francese, in nome della riaffermazione dell’assoluta fedeltà ai valori radicati nella coscienza collettiva anche alla luce dei principi filosofici, politici e anche economici su cui si fondano i diritti di libertà in Francia48. Tale approccio – che nella decisione del Comitato Veil si è sostanziata, da un lato, nel rifiuto di suggerire di procedere alla costituzionalizzazione di nuovi diritti e, dall’altra, nel rifiuto di suggerire una costituzionalizzazione di tutto “l’arsenale giurisprudenziale” prodotto negli anni dal Consiglio costituzionale a favore di una evoluzione “guidata” dei diritti nel solco della tradizione attraverso il vettore ritenuto più idoneo quello legislativo – appare oggi un profilo molto importante sul quale riflettere. Il fervore riformista che talvolta è parso (come nel caso del Preambolo) trasformarsi in “frenesia costituente” con l’esasperaconstitutionnelle n. 2008-724 del 23 luglio 2008, J.O. 24 luglio 2008) pur avendo in gran parte accolto le proposte del Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions de la Vème République relative al rafforzamento del Parlamento non ha però dato seguito a quelle sulla ridefinizione dei rapporti tra le due teste dell’Esecutivo lasciando quindi pressoché inalterato il contenuto degli artt. 5, 20, 21 Cost. e prospettando quindi nella souplesse del testo costituzionale un’evoluzione dei rapporti tra Primo Ministro e Presidenza della Repubblica dettata come sempre dai rapporti di forza determinati di volta in volta dalla congiunture politiche. 47 L. FAVOREU, L’apport du Conseil constitutionnel au droit public, in Pouvoirs, n. 13, 1980; L. FAVOREU, Le droit constitutionnel jurisprudentiel (mars 1983-mars 1986), in Revue du Droit Public, 1986, pp. 395-495. 48 Cfr. J. RIVERO, Les libertés publiques, I, Les droits de l’homme, coll. «Themis», Paris, Puf, 1973; C.-A. COLLIARD, Libertés publiques, Paris, Dalloz, 1975. PAOLA PICIACCHIA 299 zione eccessiva del ricorso alle riforme costituzionali, sembra insomma essere controbilanciato dal momento alto della Costituzione e dei valori sui quali essa si fonda, che trova proprio nella tradizione culturale e giuridica il suo punto di maggiore forza. Certo potrebbe sembrare una contraddizione – tenendo conto che oggi la tendenza al voler “constitutionnaliser tout”49 sembra rispondere, da un lato, al timore di un governo dei giudici50 e alla paura di dover lasciare alle giurisdizioni nazionali, ma anche internazionali (si pensi alla Corte europea dei diritti dell’uomo), il compito di dedurre e di creare nuove garanzie dei diritti e, dall’altro, alla volontà di lasciare invece al Parlamento la possibilità di realizzare i principi costituzionali – ma probabilmente non lo è, è solo l’altra faccia della stessa medaglia. Anche le contraddizioni più marcate, come, di contro, il continuo movimento e aspirazione verso la ricomposizione in sintesi delle stesse, rappresentano infatti una delle caratteristiche e delle ricchezze più forti della cultura e della tradizione politico-istituzionale francese e anche su questo occorrerebbe riflettere in un contesto in cui si parla di riforme istituzionali e di recezione di modelli. Riferimenti bibliografici AA.VV., Les grandes délibérations du Conseil constitutionnel, Paris, Dalloz, 2009. 49 Sulla costituzionalizzazione eccessiva dei diritti v. quanto scrive P. ARDANT, Les constitutions et les libertés, cit., pp. 73-74: «En définitive, derrière l’évolution des libertés constitutionnelles, le vrai problème est celui de ce que l’on met dans une constitution. S’il est tentant d’y inscrire le plus de choses possible, ce choix peut se retourner contre l’objectif poursuivi, l’autorité du texte se dilue à vouloir trop protéger. Le sommet de la hiérarchie des normes se fissurera s’il est trop lourd. Aussi les libertés proclamées n’ont-elles rien à gagner à être trop nombreuses. En entrant dès l’origine dans les constitutions, les libertés se sont placées d’emblée au coeur du système institutionnel. Celui-ci a pour mission de permettre, en suivant des voies diverses et des étapes différentes, par la réalisation des libertés, l’épanouissement de la personne. Le symbole conserve toute sa valeur, mais il est moins certain que la constitution assure toujours aux libertés la garantie attendue. Les instruments de protection des libertés constitutionnelles se sont perfectionnés mais sont loin de s’être généralisés. D’eux dépend en définitive l’efficacité de la proclamation constitutionnelle». 50 Sul ruolo dei giudici e la tutela delle libertà v. J.-P. COSTA, Le juge et le libertés, in Pouvoirs, n. 84, 1998, p. 75 ss. 300 LA V REPUBBLICA FRANCESE ARDANT P., MATHIEU B., Institutions politiques et droit constitutionnel, 20e édition - Paris, LGDJ, 2008. ARDANT P., Les constitutions et les libertés, in Pouvoirs n. 84, 1998, p. 61. BATTAGLIA F., voce Dichiarazioni dei diritti, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 414. BISCARETTI DI RUFFIA P., Introduzione al diritto costituzionale comparato, Milano, Giuffrè, 1988. 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