Danno e responsabilità

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Danno e responsabilità
Danno e responsabilità
Sommario
OPINIONI
Danno morale
Responsabilità
da farmaci
GLI ENTI: DAL DANNO MORALE AL “NUOVO” DANNO NON PATRIMONIALE
di Cristina Poncibò
237
LA RESPONSABILITÀ DA FARMACI NELL’ORDINAMENTO STATUNITENSE: CRONACA DI UNA REALTÀ
CHE CAMBIA
di Agnese Querci
244
GIURISPRUDENZA
Legittimità
Prescrizione
SINISTRI STRADALI, VISITA MEDICA E PRESCRIZIONE
Cassazione civile, sez. III, 14 luglio 2008, n. 19321
di Gino M.D. Arnone
265
266
Danni non
patrimoniali
LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO PATRIMONIALE FUTURO TRA ONERI PROBATORI E VALUTAZIONE
DELLE CIRCOSTANZE CONCRETE
Cassazione civile, sez. III, 15 luglio 2008, n. 19445
commento di Denise Amram
270
272
DANNO NON PATRIMONIALE DA INADEMPIMENTO: LE SS.UU. E LE PRIME APPLICAZIONI
NELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO
Cassazione civile, sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972
commento di Massimo Gazzara
279
279
RILEVANZA DELL’OBBLIGAZIONE CUSTODIALE NEL CONTRATTO DI ALBERGO
Cassazione civile, sez. III, 5 dicembre 2008, n. 28812
commento di Gaetana Marena
293
295
Deposito
e custodia
Itinerari della giurisprudenza
Responsabilità
professionale
LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELL’AVVOCATO
a cura di Luca Nocco
302
Merito
IL ROGO DI UNA LAGUNA: LA RESPONSABILITÀ DA PRODOTTO DIFETTOSO DELLA RENAULT S.A.
Tutela
dei consumatori Tribunale di Caltanissetta 14 ottobre 2008
commento di Alessandra Pera
315
316
Osservatorio di legittimità
a cura di Antonella Batà e Angelo Spirito
321
Osservatorio sulla giustizia amministrativa
a cura di Gina Gioia
324
Osservatorio di giustizia penale
a cura di Carlo Piergallini
Danno e responsabilità 3/2009
329
235
Danno e responsabilità
Sommario
ASSICURAZIONI
Indennizzo
diretto
PER FORZA O PER SCELTA: L’INDENNIZZO DIRETTO E L’ART. 141 COD. ASS. DOPO L’INTERVENTO
DELLA CONSULTA
Corte costituzionale, ord., 13 giugno 2008, n. 205
commento di Maurizio Hazan
333
INDICE
335
INDICE DEGLI AUTORI
345
INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTI
345
INDICE ANALITICO
345
Danno
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Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Danno morale
Il danno alla persona giuridica
Gli enti: dal danno morale al
“nuovo” danno non patrimoniale
di Cristina Poncibò
L’articolo ricostruisce l’evoluzione del danno non patrimoniale degli enti, partendo dal danno morale per arrivare a considerare il “nuovo” danno non patrimoniale. A tale fine, lo scritto considera le prime aperture giurisprudenziali sul danno non patrimoniale degli enti (i.e. il danno all’immagine e il danno per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo). La parte finale dell’articolo verte sul danno esistenziale dell’ente
alla luce della recente giurisprudenza di legittimità e contiene alcune riflessioni conclusive.
Il danno morale
La possibilità di configurare un danno morale in capo agli enti è stata lungamente controversa nella
giurisprudenza di legittimità (1).
Secondo un primo e risalente orientamento il danno morale consisterebbe principalmente in una alterazione dello stato d’animo della vittima e, pertanto,
esso sarebbe riferibile esclusivamente alla persona fisica (2). Tale orientamento si fondava su una concezione “riduttiva” del danno morale, dal momento
che esso circoscriveva la portata di tale figura alle
sofferenze e ai patimenti che possono riguardare solo le persone fisiche.
Il medesimo argomentare si rinviene in quella dottrina che ha proposto di distinguere il danno psichico-morale, concepibile solo in relazione a soggetti
“nati da ventre di donna”, dal danno non patrimoniale-esistenziale che sarebbe invece riferibile anche
alle persone giuridiche, qualora esso provochi un
impedimento nel raggiungimento dello scopo statuario dell’ente (3).
A fronte di questo indirizzo interpretativo, non sono
mancate delle voci di dissenso.
I giudici della Corte di cassazione hanno ammesso la
possibilità di risarcire il danno morale occorso ad
una persona giuridica (4). Nel caso qui citato, un disastro di enorme gravità (i.e. “Il disastro del
Vajont”), per il numero delle vittime e per le devastazioni causate, è stato ritenuto lesivo del diritto
dell’ente territoriale esponenziale alla sua identità
storica, politica e culturale costituzionalmente garantita (ai sensi dell’art. 114 Cost.).
In tale sede, i giudici di legittimità hanno accolto
una lettura costituzionale del sistema della responsa-
Danno e responsabilità 3/2009
bilità civile da illecito (nella dicotomia 2043-2059
c.c.), atta a legare i precetti delle norme di garanzia
ai valori costituzionali. In particolare, la Corte di
cassazione ha affermato che, se tale metodo ermeneutico trova applicazione in relazione alla clausola
generale dell’art. 2043 c.c., esso deve valere egualmente per la clausola di garanzia del danno morale
da reato. Su tali presupposti, la corte, sussistendo la
prova della lesione della posizione soggettiva costituzionalmente protetta, ha tratto la conclusione che
l’ente territoriale era legittimato ad esigere il risarcimento del danno morale patito a causa del disastro.
Questo orientamento, rispetto la quale è evidente
una certa sovrapposizione tra il concetto di “danno
morale” e di “danno non patrimoniale”, è rimasto,
per un certo periodo di tempo, isolato nel panorama
giurisprudenziale italiano.
Ed infatti, i primi chiari segnali di rottura sono andati delineandosi solo successivamente in relazione
all’applicazione giurisprudenziale della Legge Pinto
(l. 89/2001): in tale sede, un indirizzo troppo restritNote:
(1) D. Vittoria, Il danno non patrimoniale degli enti collettivi, in
Riv. dir. civ., 2007, 539-559, 540.
(2) Trib. Milano 18 settembre 1989, in Diritto dell’informazione e
dell’informatica, 1990, 144 ss.
(3) P. Ziviz, La Responsabilità civile, VII, a cura di P. Cendon,
1998, Torino.
(4) Cass. 15 aprile 1998, n. 3807, in GC, 1999, I, 223, nota Lo Iudice, Cacciavillani, in La Responsabilità Civile, 1998, 992, nota
Basini; in Giur. it., 1999, 2270, nota Suppa; Trib. Roma 10 giugno
1986, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 45, nota di Zeno-Zencovich, Danno non patrimoniale - Liquidazione a favore dello Stato. G.F. Basini, La Cassazione ribadisce la configurabilità di danni
non patrimoniali anche in capo alle persone giuridiche, nota a
Cass. 15 aprile 1998, n. 3807, in Resp. civ. e prev., 998 ss.
237
Opinioni
Danno morale
tivo avrebbe comportato un illogico diniego di tutela. In base a tale orientamento giurisprudenziale,
che risulta essere oggi maggioritario, è possibile configurare un danno morale per la violazione di diritti
che possono riguardare anche soggetti diversi dalla
persona fisica (es. il diritto all’onore, alla reputazione, all’immagine, al nome e alla riservatezza). Il fatto che la persona giuridica, in quanto entità astratta,
sia per sua natura “spiritualmente insensibile”, è irrilevante, mentre la lesione della sua sfera di dignità,
rispettabilità e credibilità nei confronti dei consociati assume rilevanza ai fini della risarcibilità del relativo danno morale.
Il “nuovo” danno non patrimoniale
La giurisprudenza e la dottrina hanno lungamente
sovrapposto le nozioni di danno morale e di danno
non patrimoniale e ciò ha consentito una più agevole estensione della fattispecie di danno anche alle
persone giuridiche (5).
Il nuovo sistema della responsabilità civile inaugurato dalla Cassazione con le sentenze del 2003 (6) e
in seguito fatto proprio dalla Corte costituzionale
(7) consente ora di distinguere, con maggiore chiarezza, le suddette nozioni.
L’espressione danno “non patrimoniale” è più ampia
e ricomprende, oltre al danno morale soggettivo,
tutto ciò che - pur non traducendosi in una perdita
di carattere patrimoniale - rappresenta un danno alla sfera giuridica dell’individuo (8).
Su tali basi, questo articolo introduce il tema della
risarcibilità del “nuovo” danno non patrimoniale
degli enti (persone giuridiche o “meri soggetti di diritto”), soffermandosi sulle prime aperture giurisprudenziali e dottrinali in questa materia (9).
Il danno da lesione dell’immagine
L’espressione danno all’immagine indica, generalmente, una pluralità di lesioni di diritti di diversa
specie, tutti però relativi ad aspetti della personalità
umana, quali: il diritto all’identità personale, il diritto all’onore, il diritto alla reputazione (10).
La terza sezione civile della Corte di cassazione ha
affrontato, con una interessante sentenza del 2007,
il tema della risarcibilità del danno all’immagine
delle persone giuridiche (11).
Anteriormente alla sentenza qui citata, il tema in
esame era stato oggetto di una sentenza di legittimità in tema di risarcimento del danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo ai
sensi della citata l. 89/2001 (12).
La sentenza delle terza sezione civile si colloca al
238
termine di un lungo contenzioso giudiziario tra un
istituto di credito e alcune società, che si erano viste
rigettare una richiesta di finanziamento, essendo risultate in una posizione di sofferenza presso la Centrale rischi della Banca d’Italia; posizione, poi, rivelatasi inesistente.
Nel corso del primo grado di giudizio davanti al Tribunale di Napoli, le società avevano convenuto in
giudizio l’istituto di credito, chiedendo la condanna
al risarcimento del danno subito “a causa della lesione della propria immagine”.
In esito al rigetto della domanda risarcitoria in primo e in secondo grado, le società avevano, quindi,
adito la Corte di cassazione.
I giudici di legittimità hanno ritenuto di accogliere i
rilievi svolti dalle ricorrenti in relazione all’esistenza
di un danno non patrimoniale da lesione di immagine, richiamando l’art. 2059 c.c., oltre all’art. 2043
c.c.
Il Supremo Collegio ha seguito quella linea interpretativa che identifica il danno patrimoniale riconNote:
(5) Cass. 10 luglio 1991, n. 7642, in Giust. civ., 1991, I, 1955;
Cass. 5 dicembre 1992, n. 12951, in Foro it., 1994, I, 561, nota
Salerno.
(6) Cass. 12 maggio 2003, n. 7283, in questa Rivista, 2003, 713,
con nota di Ponzanelli; Cass. 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828,
in questa Rivista, 2003, 816, con note di Busnelli, Ponzanelli,
Procida Mirabelli di Lauro.
(7) Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233, in Foro it., 2003, I, c. 2201,
con nota di Navarretta; in questa Rivista, 2003, 939, con note di
Bona, Cricenti, Ponzanelli, Procida Mirabelli di Lauro, Troiano; in
Corr. giur., 2003, 1028, con nota di Franzoni.
(8) Tale riflessione ha trovato, da ultimo, una piena conferma nell’orientamento accolto dalla Corte di cassazione che è oggetto di
esame nell’ultimo paragrafo di questo scritto (cfr. Cass., sez.
un., 11 novembre 2008, n. 26972/2008). Si vedano, inoltre, le
sentenze della Corte di cassazione n. 26973-2697426975/2008).
(9) U. Dal Lago, R. Bordon (a cura di) La nuova disciplina del danno non patrimoniale, in Il diritto privato oggi (serie a cura di) P.
Cendon, Milano, 2005. G. Ponzanelli, Il nuovo danno non patrimoniale, Padova, 2004. M. Bona, P.G. Monateri, Il nuovo danno
non patrimoniale, Ipsoa, Milano, 2004. R. Berti, F. Peccenini, M.
Rossetti, I nuovi danni non patrimoniali, Milano, 2004.
(10) C. Iurilli, La tutela dell’immagine delle persone giuridiche tra
danno evento e danno conseguenza, Nota a Cass. civ., sez. III, 4
giugno 2007, n. 12929, in La Responsabilità Civile, 2008, 126132. A.P. Brocchetta, Sulla risarcibilità del danno all’immagine
della persona giuridica - Recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, nota Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929,
in Impresa, 2008, 11 ss. R. Foffa, La lesione dell’immagine di
una persona giuridica, in questa Rivista, 2007, 1243 ss.
(11) Cass., sez. III, 4 giugno 2007, n. 12929, Impresa, 2007,
1085; in Foro it., Rep. 2007 [Danni civili, 2020], 200.
(12) Cass. 2 luglio 2004, n. 12110, in Foro it., 2005, I, 801, in
Giur. it., 2005, 487, in GC, 2005, I, 1042, in questa Rivista, 2005,
977, nota Venturelli, La Responsabilità civile, 2005, 624, nota
Giorgianni.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Danno morale
ducibile direttamente all’art. 2043 c.c. esclusivamente in quello concretatosi in una conseguenza del
fatto illecito di tipo economico. Alla luce di detto
orientamento, la nozione di “danno non patrimoniale” include, oltre al danno morale in senso soggettivo, tutte quelle fattispecie di danno che l’evoluzione giurisprudenziale identificava come danni patrimoniali in senso non economico.
Sulla scorta di tale impostazione, la Corte ha stabilito che la lesione di diritti della persona, aventi fondamento nella Costituzione, deve essere risarcibile
anche allorquando si verifichi la lesione di un diritto della persona giuridica, o del soggetto giuridico
collettivo, che rappresenti l’equivalente di un diritto avente detta natura riferibile alla persona fisica.
Il fondamento costituzionale del diritto all’immagine della persona giuridica - sottolinea la sentenza in
esame - è da rintracciare nell’art. 2 Cost., che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, (cioè della persona fisica) anche nelle formazioni sociali. Secondo
la Corte, sarebbe contraddittorio riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale per la lesione
di un diritto fondamentale alla persona fisica e negare tale tutela quando sia leso un analogo diritto di
una “formazione sociale” che è pur sempre una
espressione dell’individuo.
Ne consegue che, nel caso in esame, è stato ritenuto
risarcibile il danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona
giuridica o dell’ente che si esprime nella sua immagine.
Sempre nella medesima prospettiva, va rilevato che
un danno all’immagine può derivare alla persona
giuridica anche dalla condotta penalmente rilevante tenuta da coloro che operano in qualità di organi dell’ente.
In tal senso, si è pronunciata ancora la terza sezione
civile della Corte di cassazione, secondo la quale
una persona giuridica è legittimata a proporre una
domanda di risarcimento del danno non patrimoniale (per la lesione del diritto all’immagine) nei
confronti dell’amministratore che abbia posto in essere una condotta penalmente rilevante nell’esercizio delle proprie funzioni (13).
La natura del danno
I giudici di legittimità, una volta ammessa la risarcibilità del danno non patrimoniale in capo alla persona giuridica per diretta derivazione costituzionale
dall’art. 2 Cost., si sono soffermati sulla identificazione di tale danno.
Secondo la sentenza qui commentata, il diritto al-
Danno e responsabilità 3/2009
l’immagine presenta un duplice aspetto in relazione
alla persona fisica, in quanto esso si esprime (i) sia
nella considerazione che un certo soggetto ha di se
stesso, (ii) sia nella sua reputazione presso i consociati.
Per i giudici di legittimità, tale ricostruzione è riproponibile, con qualche adattamento, al caso degli enti collettivi.
Il danno in questione è risarcibile indipendentemente dal fatto che l’incidenza negativa sull’agire
delle persone fisiche, che rappresentano gli organi
dell’ente, abbia determinato un qualche danno patrimoniale. Esso prescinde, infatti, dal profilo economico e si configura per il solo fatto che l’agire di
dette persone e, di riflesso, l’agire dell’ente risente
della lesione causata alla sua immagine.
Un ulteriore profilo è, poi, identificabile nel danno
causato dalla lesione dell’immagine dell’ente presso
la generalità dei consociati.
La lesione del diritto alla ragionevole
durata del processo
Alla luce della giurisprudenza di legittimità, anche
la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, riconosciuto dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“C.E.D.U.”), è causa di un
danno non patrimoniale risarcibile in capo agli enti
collettivi.
Nel nostro ordinamento, l’art. 2 l. 89/2001, nel testo
oggi vigente (14), sancisce che il danno non patrimoniale derivante dall’irragionevole durata del processo è un danno risarcibile in capo alla vittima
(15). In particolare, secondo l’art. 2, comma 1, della
citata legge: «Chi ha subito un danno patrimoniale
o non patrimoniale per effetto di violazione della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi
della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del
mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione».
Note:
(13) Cass., sez. III, 26 giugno 2007, n. 14766, in Foro it., Rep.
2007, Danni civili [2020] n. 213.
(14) L. 24 marzo 2001 n. 89, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.
78 del 3 aprile 2001.
(15) F. Petrolati, I tempi del processo e l’equa riparazione per la
durata non ragionevole (la c.d. Legge Pinto), Milano, 2005. Cass.
2 agosto 2002, n. 11573, in Giur. it., 2003, I, 28 ss., con nota di
Didone, Il danno non patrimoniale da irragionevole durata del
processo per le persone giuridiche; Cass. 8 giugno 2005, n.
12015, in Foro it., Rep. 2005, voce Diritti politici e civili, n. 51.
239
Opinioni
Danno morale
Le prime sentenze in materia hanno riconosciuto il
danno non patrimoniale patito da una società di capitale se e in quanto l’irragionevole durata del processo ne abbia leso i diritti immateriali (es. come
quello alla esistenza, alla identità, al nome, all’immagine, alla reputazione) (16). Per i giudici di legittimità, le persone giuridiche che agiscono per ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali
derivanti dalla eccessiva durata del processo devono
dedurre e provare tali danni, i quali non si possono
identificare, a differenza di quanto accade per le persone fisiche, nella lesione in sé del diritto alla ragionevole durata del processo.
La stessa Corte di cassazione ha, poi, esteso detto
orientamento anche nei riguardi delle società di
persone, riaffermando (e chiarendo) il principio per
cui, in tale ipotesi, il danno non patrimoniale non è
ravvisabile soltanto in ragione della tensione o della preoccupazione della persona fisica, ma anche
della compromissione di una serie di diritti immaterialidella personalità, che sono compatibili con l’assenza della fisicità (es. il diritto all’esistenza, all’identità, al nome, all’immagine e alla reputazione)
(17).
In base all’orientamento oggi prevalente, l’irragionevole protrarsi del processo è idoneo a cagionare
un danno non patrimoniale nei riguardi delle persone giuridiche: si tratta, però, di un danno morale che
è correlato dalla giurisprudenza ai turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto provoca, generalmente, alle persone preposte alla gestione dell’ente ed ai suoi membri (18).
Pertanto, il danno consistente nel patema d’animo e
nei turbamenti psichici causati dalla irragionevole
durata del processo è risarcibile anche alle persone
giuridiche, dal momento che le situazioni giuridiche
ad esse imputate sono riferibili alle persone fisiche
che le compongono (19).
In base a tale ricostruzione, la valutazione della lesione, e quindi del danno, è autonoma dal diritto alla reputazione e all’onore del’ente e dipende, principalmente, dai disagi e dai turbamenti di carattere
psicologico, che detta lezione provoca alle persone
che sono preposte alla gestione dell’ente o ai suoi
membri.
Tale orientamento si fonda sulla natura transitoria
della soggettività delle persone giuridiche e, pertanto, sulla possibilità di imputare “direttamente” le attività dell’ente ai suoi soci, nonché ai soggetti preposti alla sua gestione (20).
La violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo arreca agli enti, oltre che un danno patrimoniale, anche un danno non patrimoniale per i di-
240
sagi ed i turbamenti che la lesione di tale diritto
provoca ai membri dell’ente, considerati come soggetti che finiscono per immedesimarsi con l’ente
stesso. In tale sede, il principio della distinta soggettività delle persone giuridiche è posto in secondo
piano al fine di garantire l’effettività della tutela dei
diritti di cui alla citata l. 89/2001.
Il danno esistenziale
Vengo, ora, a considerare il tema del danno esistenziale dell’ente nella lettura offerta dalla giurisprudenza e dalla dottrina anteriormente alla sentenza n.
26972/2008 resa dalla Sezioni Unite della Corte di
cassazione lo scorso 11 novembre 2008 (21).
La categoria del danno esistenziale ha cominciato a
manifestarsi già negli anni novanta per individuare
il danno causato dalla lesione dei valori costituzionali inerenti la persona, in ogni sua manifestazione
di vita.
In un primo momento, la giurisprudenza ha affermato che il danno esistenziale consisteva nella lesione
di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante per la
persona, risarcibile nelle sue conseguenze non patrimoniali. Ogni interesse afferente alla persona (e
non corrispondente al bene-salute), leso da un atto
ingiusto, appariva meritevole di tutela, anche se
detto interesse non fosse, espressamente, menzionato dalla Costituzione. Tale particolare categoria di
danno risultava risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Note:
(16) Cass. 2 luglio 2004, in GC, 2005, I, 1042.
(17) Cass. 10 aprile 2003, n. 5664, in Mass. Giust. civ., 2003, 5.
(18) Cass., sez. I, 30 agosto 2005, n. 17500, in questa Rivista,
2006, 153, nota De Giorgi, in La Nuova Giurisprudenza Civile
Commentata, 2006, I, 505, nota Morese, in La Responsabilità Civile, 2006, 281, nota Pasquinelli, in Giust. civ., 2006, I, 1247.
(19) F. Toschi Vespasiani, La risarcibilità del danno da irragionevole durata del processo in favore delle società, nota a Cass.,
sez. I, 7 gennaio 2008, n. 31, in La Responsabilità Civile, 2008,
1000 ss.
(20) Cass., sez. I, 10 gennaio 2008, n. 337, consultata il
15.10.2008 all’indirizzo http://www.altalex.com/index.php?idnot=42101. S. Oliari, Danno non patrimoniale alle persone giuridiche per errata segnalazione alla Centrale Rischi, nota a Cass.,
sez. III, 4 gennaio 2007, n. 12929, in Nuova giur.civ. comm.,
2008, 9-16. Cass. 2 febbraio 2007, n. 2246, in Foro it., Rep.
2007, Diritti politici e civili [2170], n. 83; Cass. 29 marzo 2006, n.
7145, in Foro it., Rep. 2006, Diritti politici e civili, 2006, [2170], n.
253; Cass. 11 novembre 2005, n. 2185, in Foro it., Rep. 2005, Diritti politici e civili [2170], n. 2567; Cass., 8 giugno 2005, n.
12015, in Foro it., Rep. 2005, voce Diritti politici e civili, n. 51;
Cass. 1 febbraio 2005, n. 3396, in Foro it., Rep. 2007, Diritti politici e civili [2170], n. 62.
(21) Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972/2008. Si vedano, inoltre, le sentenze della Corte di cassazione n. 2697326974-26975/2008.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Danno morale
e si poneva come terzo rispetto al danno patrimoniale e al danno morale (22).
Successivamente, i giudici di legittimità hanno precisato che il “danno non patrimoniale”, ai sensi dell’art. 2059 c.c., è costituito da ogni danno alla sfera
non patrimoniale e che detta figura comprende il
danno biologico, il danno morale e il danno relativo
ai valori costituzionali (23).
Ai nostri fini, occorre ricordare che, secondo alcuni
autori, il danno esistenziale non si addice ad un
gruppo organizzato ed, in effetti, è difficile individuare le attività non reddituali da considerare per
valutare il pregiudizio “esistenziale” che può essere
lamentato da un ente (24). È evidente che gli enti
non hanno una dimensione relazionale che esula
dallo scopo sociale.
Al fine di ovviare a tale difficoltà, un autore ha proposto di distinguere tra enti lucrativi e enti non lucrativi, rilevando che solo per questi ultimi è possibile ipotizzare una serie di momenti privi di rilevanza economica (25). Questa tesi, in forza della quale
il danno esistenziale non è configurabile per gli enti
lucrativi, pare riscontrare una crescente adesione in
dottrina (26).
Una sentenza della Corte dei conti analizza in modo
approfondito la tematica in esame nel presente paragrafo (27). La Corte dei conti ha rilevato, in relazione ad un caso di corruzione di alcuni funzionari di
un ente pubblico, che il danno dovuto alla lesione
dell’immagine dell’ente può essere qualificato come
“danno esistenziale”, che assume il carattere di danno-evento risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. (28)
Secondo la sentenza qui citata, il modello risarcitorio del danno esistenziale per le fattispecie diverse
dalla lesione del diritto alla salute e quindi dell’art.
32 Cost. è applicabile anche alla tutela dell’immagine della pubblica amministrazione.
L’ordinamento tutela il suddetto diritto con riferimento alle persone fisiche, ma esso non esclude le
persone giuridiche, che possono beneficiare della
medesima tutela, salvo le limitazioni derivanti dall’assenza di fisicità.
In particolare, la tutela delle persona giuridiche
pubbliche e, quindi, della pubblica amministrazione, discende dallo stesso dettato costituzionale: e,
segnatamente, da quanto previsto dall’art. 2 Cost.,
relativo alla tutela delle formazioni sociali, nonché
dall’art. 97, primo e secondo comma, Cost.
Il primo comma di questo articolo fissa per l’agire
amministrativo dei parametri di imparzialità e di
buon andamento ed il legislatore ordinario, su tale
fondamento, ha ulteriormente individuato parametri di trasparenza, economicità e produttività del
Danno e responsabilità 3/2009
soggetto pubblico (art. 1, comma 1, della l.
241/1990).
È indubbio che questi criteri costituiscono il riconoscimento di interessi generali e collettivi di grande
rilievo sociale, che si aggiungono e si intrecciano
con quelli alla corretta gestione delle risorse pubbliche. Anche il secondo comma dell’articolo 97 Cost., relativo alla determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei
funzionari, trova applicazione nel caso in esame ad
integrazione della copertura costituzionale del diritto delle pubbliche amministrazioni alla tutela della
propria immagine ed identità personale.
Sulla scorta di simili considerazioni, la Corte dei
conti ha concluso che la pubblica amministrazione
ha un interesse costituzionalmente garantito, affinché le competenze individuate vengano rispettate,
le funzioni assegnate vengano esercitate correttamente e le responsabilità proprie dei funzionari vengano attivate nel rispetto della legge. Ogni azione
del pubblico dipendente che leda tali interessi si traduce in una alterazione dell’identità della pubblica
amministrazione e, più ancora, nella lesione della
sua immagine presso i cittadini, in quanto struttura
organizzata confusamente e gestita in modo inefficiente.
Ciò premesso, il danno all’immagine di una pubblica amministrazione non rientra nell’ambito di applicabilità dell’art. 2059 c.c., ma è una delle fattispecie
del danno esistenziale, inteso, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione, come «(…) ogni
pregiudizio che l’illecito provoca sul fare a-reddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli
assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo
la sua quotidianità e privandolo di occasioni per l’espressione e la realizzazione della sua personalità
verso il mondo esterno. Peraltro il danno esistenziaNote:
(22) Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Corr. giur., 2000, 7, 873,
con nota di De Marzo.
(23) Cass. 31 maggio 2003, n. 8828, Cass. 31 maggio 2003, n.
8827; Cass. 12 maggio 2003, n. 7283; Cass. 12 maggio 2003, n.
7281, in Foro it., 2003, I, 2272, con nota di La Battaglia e con nota di Navarretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il
nuovo diritto vivente.
(24) M. Bona, P.G. Monateri, op. cit., 740.
(25) A. Fusaro, I diritti della personalità degli enti collettivi, Padova, 2002.
(26) D. Vittoria, op. cit., 557, nota 67.
(27) P. Cendon, P. Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale,
Milano, 2003.
(28) Corte dei Conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale, 23
aprile 2003, n. 10, in Foro it., 2004, 166 ss.
241
Opinioni
Danno morale
le si fonda sulla natura non meramente emotiva ed
interiore (propria del cd. danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la
prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso» (29).
Nella sentenza qui in considerata, la Corte dei conti propende, infine, per la qualificazione della fattispecie in esame quale danno-evento, stabilendo che
è necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno,
ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una
perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art.
1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione
di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente)
commisurato.
Il danno esistenziale dell’appaltatore
Nel presente paragrafo è oggetto di esame un’altra
interessante sentenza del Consiglio di stato relativa
all’ammissibilità del danno esistenziale occorso ad
una impresa (30).
L’Azienda ospedaliera San Martino di Genova aveva risolto il rapporto di appalto di servizi di pulizia
con una società a causa di una informativa antimafia emessa dalla prefettura di Napoli. In esito al procedimento penale, l’informativa antimafia in questione era risultata essere totalmente errata ed era
stata, perciò, revocata dalla pubblica amministrazione.
L’impresa aveva, indi, richiesto, tra l’altro, il risarcimento del danno non patrimoniale dovuto alla lesione della propria immagine conseguente alla erronea informativa antimafia.
La sentenza qui ricordata riconosce espressamente il
risarcimento del danno esistenziale all’attrice: i giudici amministrativi, facendo proprio l’orientamento
della Corte di cassazione (cfr. la citata sentenza
Cass. 4 giugno 2007 n. 12929), hanno affermato che
il diritto all’immagine, ovvero il diritto all’immagine che un soggetto ha di sé e alla reputazione di cui
gode, non può essere considerato appannaggio
esclusivo della persona fisica. Il diritto all’immagine
dell’impresa-attrice, che trae fondamento dalla previsione dell’art. 2 Cost., è stato - nella specie - menomato sia dall’informativa antimafia, sia dalla conseguente revoca dell’appalto, e va risarcito, ai sensi
dell’art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80/1998, da parte della pubblica amministrazione.
In base alla sentenza in esame, tale proposta deve tenere conto delle conseguenze pregiudizievoli che
un’informativa prefettizia negativa, nonché la revo-
242
ca di un appalto regolarmente aggiudicato, sono suscettibili di arrecare alla sfera giuridica della ricorrente, dal punto di vista della sua esistenza e della
sua capacità di operare nel mercato.
Riflessioni conclusive
In esito all’esame della giurisprudenza sin qui condotto è possibile tracciare alcune brevi riflessioni
conclusive sul tema di questo scritto.
Il danno non patrimoniale occorso a causa della lesione dei diritti degli enti personificati (o non personificati) è suscettibile di essere risarcito quando la
lesione dei diritti di tali abbia compromesso interessi di rango costituzionale (31).
È interessante notare che - secondo quanto emerso
nella giurisprudenza di legittimità relativa al danno
all’immagine degli enti - tale affermazione sembra
essere riferibile non solo alle persone giuridiche, ma
anche ai “soggetti di diritto”. A riguardo, è sufficiente ricordare che il dettame costituzionale è chiaro
nel fissare la necessità di tutelare gli individui anche
nelle formazioni sociali che ne sono una forma di
espressione (art. 2 Cost.) (32).
Merita un particolare cenno la casistica relativa alla
lesione del diritto alla ragionevole durata del processo. In tale ambito, i giudici di legittimità sembrano avere trovato uno “stratagemma” per tutelare gli
enti rispetto ai danni patiti a causa della eccessiva
durata del processo: i giudici di legittimità hanno risolto il problema mediante una “forzosa” imputazione in capo agli enti collettivi degli stati soggettivi
legati al possesso di qualità psichiche tipicamente
umane (33).
Detta soluzione, per quanto frutto di una forzatura
logica, consente di ovviare al rischio di un diniego
di tutela, che sarebbe risultato alquanto illogico alla
luce del dettato normativo e della giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Diversamente, nonostante le aperture sopra ricordate, la possibilità di ammettere un danno esistenziale
Note:
(29) Cass., sez. un., 24 aprile 2006, n. 6572, in Foro it., 2006, I,
1353.
(30) Consiglio di stato, sez. V, 12 febbraio 2008, n. 491, in Corr.
giur., 2008, 4, nota di a cura di Carbone, D’Adamo, Dell’Oro.
(31) M. Franzoni, Il danno risarcibile, in Trattato della responsabilità civile (diretto da) Franzoni M., Milano, 2004, 475 ss., cit.,
548.
(32) E. Rossi, Le formazioni sociali nella Costituzione italiana,
Università degli studi di Trento, Collana del dipartimento di scienze giuridiche, Padova, 1989.
(33) D. Vittoria, op. cit., 2007, 553.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Danno morale
in capo ad un ente deve essere esclusa alla luce dell’orientamento recentemente assunto dalla Corte di
cassazione sul danno esistenziale. Con la fondamentale sentenza in data 11 novembre 2008 n. 26972 (di
contenuto identico ad altre tre sentenze, tutte depositate contestualmente) le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno non solo composto i precedenti contrasti sulla risarcibilità del c.d. danno esistenziale, ma hanno anche più in generale riesaminato approfonditamente i presupposti ed il contenuto della nozione di “danno non patrimoniale” di cui
all’art. 2059 c.c. (34)
La sentenza ha, innanzitutto, ribadito che il danno
non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti
dalla legge, i quali si dividono in due gruppi: le
ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo
espresso (ad es., nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato); e quella in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo
espressamente prevista da una norma di legge, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per
avere il fatto illecito leso, in modo grave, un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione.
La decisione qui citata è, quindi, passata ad esaminare il contenuto della nozione di danno non patrimoniale, stabilendo che quest’ultimo costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. È, pertanto, scorretto e non conforme al dettato normativo pretendere di distinguere
il c.d. “danno morale soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non
patrimoniali: la sofferenza morale non è che uno
dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere
conto nella liquidazione dell’unico ed unitario
danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé
stante.
Da questo principio è stato tratto il corollario che
non è ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilità di un danno “esistenziale”, inteso quale la
perdita del fare areddituale della persona. Una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di
un diritto della persona costituzionalmente garantito, costituisce un ordinario danno non patrimoniale
e risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, si
può concludere che il danno non patrimoniale, nella nuova lettura data all’art. 2059 c.c., dovrebbe essere risarcibile anche a causa della lesione dei diritti
degli enti personificati, o non personificati, nei limi-
Danno e responsabilità 3/2009
ti precedentemente indicati (e quindi: nei casi
espressamente previsti dalla legge, ovvero quando il
fatto illecito abbia leso, in modo grave, un diritto
della persona tutelato dalla Costituzione).
Nota:
(34) Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972/2008. Si vedano, inoltre, le sentenze della Corte di cassazione n. 2697326974-26975/2008. F. R. Fantetti, Diritto di autodeterminazione
e danno esistenziale alla luce della recente pronuncia delle S.U.
della Cassazione, in La Responsabilità Civile, 2009, 75 ss. R. Partisani, Il danno esistenziale al vaglio delle Sezioni Unite, in La Responsabilità Civile, 2008, 6 ss.
243
Opinioni
Responsabilità da farmaci
Violazione del duty to warn
La responsabilità da farmaci
nell’ordinamento statunitense:
cronaca di una realtà
che cambia (*)
di Agnese Querci
La tematica attualmente più calda e discussa negli Stati Uniti è quella concernente la preemption, ossia la
questione se l’approvazione di un prodotto da parte delle Agenzie governative possa esonerare il produttore da responsabilità. Il presente lavoro si pone la finalità di illustrare le peculiarità, la ratio ed i pro e contro di
tale orientamento, oltreché i possibili riflessi per il nostro ordinamento giuridico. Del resto, il giurista è anche
«un viaggiatore, che viaggia per poi tornare, per poi raccontare, per capire se stesso e gli altri, la propria cultura e quella altrui in egual modo» (1).
Rilevanza dell’ordinamento statunitense
nel campo della responsabilità da farmaci
Per approfondire la tematica della responsabilità da
prodotti farmaceutici, non si può prescindere dall’esame dell’esperienza statunitense (2). Nella nostra
dottrina si rinvengono, infatti, frequenti richiami a
tale ordinamento (3) ed anche la giurisprudenza sta
affrontando attualmente tematiche che ricordano
molto da vicino quelle oggetto delle sentenze statunitensi in materia, come ad esempio quella del duty
to warn (4).
Ciò deriva, in primo luogo, dall’elevato grado di sviluppo raggiunto in questo paese dalla ricerca e dall’industria farmaceutica, tanto che moltissimi dei
Note:
(*) Il presente lavoro costituisce il risultato di una ricerca svolta
in loco, presso la Georgetown University di Washington D.C.
Desidero ringraziare, per i loro preziosi consigli ed il loro sostegno, il Prof. Guido Calabresi, il Prof. David Vladeck della Georgetown University, la Prof. Catherine Sharkey della Columbia University e la Prof. Marie Eve Arbour dell’Università del Salento.
Per approfondimenti si rinvia anche all’elaborato in corso di pubblicazione in Contratto e impresa.
(1) M. Lupoi, Sistemi giuridici comparati. Traccia di un corso, Genova, 1998, 6.
(2) G. Alpa, La responsabilità del produttore di farmaci, in Rass.
dir. farm., 1984, 343, osserva che «l’esperienza comparatistica è
utilissima, in questo campo, per accertare quali potrebbero essere nel futuro eventuali evoluzioni di questa materia anche nel
244
nostro ordinamento… Almeno questa è l’opinione che ci si può
fare considerando l’orientamento della giurisprudenza, soprattutto nell’esperienza nord-americana». Di recente, anche G.
Guerra, Responsabilità in nanomedicina. Profili giuridici delle tecnologie biomediche avanzate, Padova, 2008, XXV, evidenzia come l’ordinamento giuridico americano assuma notevole importanza sotto il profilo delle iniziative giuridiche predisposte ed in
via di programmazione, nell’ambito della regolamentazione delle
nuove applicazioni scientifico-tecnologiche. È noto, infatti, che lo
stato di avanguardia nella ricerca ha portato spesso gli Stati nordamericani ad esplorare problematiche giuridiche, politiche ed
etiche in anticipo rispetto agli altri Paesi.
(3) Influenze del diritto statunitense si rinvengono, fra l’altro, nella determinazione dei requisiti e delle procedure necessarie per
l’immissione in commercio dei farmaci; nella codificazione delle
regole della buona pratica clinica; nella farmacovigilanza; nella tematica del dovere di informazione gravante sul produttore; nella
disciplina dei farmaci off-label, nell’indennizzo per i danni derivanti da vaccinazioni; nella recente discussione in tema di regolamentazione delle nanotecnologie. Anche in tema di danno da
emotrasfusioni e da emoderivati la dottrina ha rilevato che: «il
contenzioso più ampio in materia si sia svolto negli Stati nordamericani, là dove è nata e si è sviluppata l’intera problematica».
L. Di Costanzo, Il danno da trasfusione ed emoderivati infetti,
Napoli, 1998, 13.
(4) Si tratta del dovere di informazione gravante sul produttore.
Trib. Vercelli 7 aprile 2003, in questa Rivista, 2003, 10, 1001 ss.,
con nota di G. Ponzanelli, Responsabilità oggettiva del produttore e difetto di informazione; Cass. 15 marzo 2007, n. 6007, in Resp. civ. prev., 2007, 1216, con nota di A. L. Bitetto ed in Foro it.,
2007, I, 2415, con nota di G. Palmieri; Cass. 8 settembre 2007,
n. 20985, in questa Rivista, 2008, 3, 290 ss., con nota di A. L. Bitetto e R. Pardolesi, Risultato anomalo e avvertenza generica: il
difetto nelle pieghe del prodotto, G. Indovino, Il labile confine tra
nozione di difetto e responsabilità per colpa, e A. Querci, Protesi mediche tra regolamentazione di sicurezza e responsabilità da
prodotto: l’onere della prova tutela il consumatore.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
farmaci ivi prodotti sono importati anche nel nostro
mercato. A ciò si deve aggiungere che ivi la giurisprudenza che ha affrontato tale tematica, a differenza di quella rinvenibile nel nostro ordinamento
(5), è sterminata e ricca di spunti interessanti.
La ragione di tale intensa produzione giurisprudenziale si può ricercare nella severità con cui, specie in
passato, si è qui affrontata la tematica della responsabilità del produttore, affermando in capo ad esso la
sussistenza di una responsabilità oggettiva, se non
addirittura assoluta, senza possibilità di liberarsi dalla stessa tramite lo state-of-the-art defence (6).
Ciò ha comportato una vera e propria “crisi della responsabilità” (7), anche perché gli assicuratori, di
fronte all’incrementarsi di ipotesi di condanna al risarcimento dei danni, si sono rifiutati di coprire i rischi derivanti da nuovi prodotti o hanno preteso il
pagamento di premi altissimi (8), con risvolti ancora più delicati in campo farmaceutico. Questa linea
di tendenza è stata, conseguentemente oggetto di revisione, anche tramite l’intervento del Third Restatement on Product Liability (9) che, pur mantenendo
in generale la regola della strict liability, prevede importanti correttivi e limitazioni, in tema di difetti di
progettazione e rischi di sviluppo.
Anche nel settore della responsabilità da farmaci, a
fronte del proliferare di azioni legali contro i produttori (10), le Corti stanno oggi assumendo un atteggiamento meno rigido nei loro confronti, tramite
l’utilizzo di una pluralità di tecniche giuridiche, fra
cui emerge quella della preemption.
La responsabilità da farmaci tra duty to
warn, Comment K e Third Restatement
Procedendo con ordine nell’analisi della casistica in
materia, si nota, innanzitutto, che la maggior parte
delle cause sono promosse per violazione del duty to
warn, ossia del dovere, gravante sul produttore, di
dare adeguate e corrette informazioni (11) - tramite
i propri rappresentanti, il bugiardino od altri mezzi ad esempio sulle dosi, le modalità d’uso od i possibili effetti collaterali legati all’uso del farmaco (12).
Note:
(5) Ove le cause, che pur coinvolgono centinaia di attori quando
vengono intraprese, non sono molto numerose e riguardano soprattutto i prodotti derivati dal sangue. Sulla responsabilità da
contagio cagionato da prodotti emoderivati e trasfusioni di sangue si vedano, di recente, Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, nn.
576, 577, 578, 579, 580, 581, 582, 583, 584, 585, tutte in Banca
dati Leggi d’Italia Professionale. Alcune di queste sentenze (nn.
577, 578, 581, 582, 584), sono pubblicate, in Foro it., 2008, I,
451 ss. Sulla sentenza n. 576, v. anche il commento di M. Capecchi, Nesso di causalità e perdita di chances: dalle Sezioni unite penali alle Sezioni unite civili, in Nuova giur. civ. comm., 2008,
Danno e responsabilità 3/2009
V, 149. Nella stessa rivista sono pubblicate anche le sentenze n.
577 e 581, da pag. 623 ss., con note di R. De Matteis, La responsabilità della struttura sanitaria per danno da emotrasfusioni e di A. Querci, La rilevanza della prescrizione nella responsabilità extracontrattuale per danni da emotrasfusioni ed emoderivati. La sentenza n. 577 rinvenibile altresì in Resp. civ., 5, 2008,
397 ss., con nota di R. Calvo, Diritti del paziente, onus probandi
e responsabilità della struttura sanitaria; in Giur. it., 7, 2008, 1653
ss., con nota di A. Ciatti; in Resp. civ. prev., 2008, con nota di M.
Gorgoni, Dalla matrice contrattuale della responsabilità nosocomiale e professionale al superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, ed in questa Rivista, 2008, 7, con
commento di G. Vinciguerra. La n. 580 è pubblicata anche in
Giur. it., 2008, 7, 1646 ss. con nota di A. Valore, e la n. 581 in Guida al dir., 6, 2008, 20, con nota di F. Martini, Si allungano i tempi
della prescrizione per le richieste di risarcimento danni. La sentenza n. 584 è poi pubblicata in Giur. it., 2008, 5, 1115.
(6) In campo farmaceutico, tale principio è stato affermato in Beshada v. Johns-Manville Products Corp., 90 N.J., 191, 447 A. 2d
539 (N.J. 1982). Questo aspetto è messo ben in luce da G. Ponzanelli, La responsabilità del produttore negli Stati Uniti d’America, Premessa ad Owen, in questa Rivista, 11, 1999, 1065, che
parla in proposito di “absolute liability” e di “retroactive liability”
e di «giurie tradizionalmente orientate pro-plaintiff». In Italia, tale
nozione è simile al rischio di sviluppo. Ai sensi dell’art. 6 lettera
e) d.P.R. 224/1988 (ora art. 118 lett. e) Cod. consumo) il produttore può, infatti, liberarsi da responsabilità provando che «lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il
produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva
ancora di considerare il prodotto come difettoso».
(7) P.W. Huber, Liability: The legal Revolution and its Consequences, New York, 1990, 1-18; K.W. Starr, Preface, in R.A. Epstein e
M.S. Greve, Federal Preemption, States’Powers, National Interests, Washington D.C., 2007, XV; G. Ponzanelli, La responsabilità
civile. Profili di diritto comparato, Bologna, 1992, 185 ss.
(8) Si veda G.L. Priest, The Current Insurance Crisis and Modern
Tort Law, in 96 (1987), Yale Law Journal n. 1521; Id., La controrivoluzione nel diritto della responsabilità da prodotti negli Stati
Uniti d’America, in Foro it., 1989, IV, 120; F. Cosentino, Responsabilità da prodotto difettoso: appunti di analisi economica del diritto, cit., 139 ss.; G. Ponzanelli, La responsabilità del produttore
negli Stati Uniti d’America, cit., 1065. Con particolare riferimento al settore farmaceutico, L. Lasagna, The Chilling Effect of Product Liability on New Drug Development, in P.W. Huber e R.E.
Litan, The Liability Maze. The Impact of Liability Law on Safety
and innovation, 1991, Washington D.C., 337.
(9) Il Restatement è una fonte di cognizione elaborata dalla dottrina, anche se svolge un ruolo molto simile alle fonti di produzione: esso non ha efficacia vincolante per le istituzioni legali, ma
i legislatori dei singoli Stati e la giurisprudenza delle Corti fanno
spesso riferimento allo stesso, come linea guida per la ricerca
della più adeguata soluzione giuridica. Il Third Restatement è stato elaborato dall’ALI (American Law Institute) nel 1998, e costituisce il risultato dell’analisi ragionata dei principi giuridici che
informano questo settore del diritto. Sul punto si vedano G. Ponzanelli, La Responsabilità del produttore negli Stati Uniti d’America, cit. e D.G. Owen, Il Terzo Restatement, anch’esso in questa
Rivista, 11, 1999, 1065 ss.
(10) In un periodo ultratrentennale, più di 11.000 cause sono state promosse nei confronti dei produttori di farmaci, davanti alle
sole Corti federali.
(11) Questo dovere grava, in generale, su tutti i fabbricanti, a prescindere dal tipo di prodotto. Cfr. § 2, lett. c) del Third Restatement, su cui si veda D.G. Owen, Il Terzo Restatement, cit., 1067.
(12) Richards v. Upjohn Co., 95 N.M. 675, 625 P. 2d 1192 (1980), indica nel dettaglio le avvertenze necessarie. Il produttore deve menzionare le possibili reazioni avverse ed i relativi metodi di intervento, specie nei casi in cui queste siano rapide e devastanti come lo
(segue)
245
Opinioni
Responsabilità da farmaci
Sono rare, invece, le cause in cui viene invocato un
difetto di progettazione (design) (13) o di produzione (manufacturing) (14). La ragione di ciò è rinvenibile, innanzitutto, nel fatto che i farmaci non presentano, di solito, difetti di fabbricazione (properly
made), nonostante siano intrinsecamente pericolosi
per la presenza di “inherent and unavoidable dangers”
(15). Inoltre, il medicinale normalmente viene consumato, dacché non è spesso possibile effettuare i
dovuti accertamenti sulla eventuale difettosità che
abbia colpito un singolo esemplare della serie; infine
l’effetto dannoso non è di solito immediato e possono combinarsi plurimi fattori causali (16).
La giurisprudenza ha sempre valutato con molta rigidità il duty to warn, la cui violazione rende il prodotto difettoso di per sé, indipendentemente dal fatto che questo sia stato fabbricato perfettamente
(17): «It is important to note that a failure to warn action is technically not based upon the inherent defectiveness of the drug. Many drugs are of a great value for the
treatment of certain illness and yet have very serious side effects. The issue in a failure to warn action should be
directed toward the effect of the warning (or lack of one)
rather than a contest over the virtues of the drug» (18).
Le Corti sono state, così, di frequente chiamate a
valutare l’adeguatezza (19) delle informazioni dispensate dal produttore (20). In particolare, si è sancita la responsabilità di quest’ultimo anche in ipotesi in cui egli aveva reso noti i possibili effetti collaterali, non valorizzando, però, adeguatamente il rischio relativo (21).
Al fine di effettuare la valutazione di adeguatezza,
l’organo giudicante può servirsi di un testimone
esperto (expert witness) (22); spesso è inoltre considerata determinante l’opinione del medico che ha
effettuato la prescrizione (23).
Tradizionalmente, si è affermato, infatti, che le
informazioni, relative ai farmaci da somministrarsi
sotto prescrizione medica(prescription drugs) (24) ed
ai dispositivi medici (medical devices), devono essere
comunicate al medico e non già al paziente (25).
Note:
(continua nota 12)
shock anafilattico. Egli è stato, così, ritenuto responsabile per non
aver indicato i metodi, a lui noti, per arrestare gli effetti collaterali (la
cecità) causati dal farmaco: Singer v. Sterling Drug. Inc., 461 F. 2d
288 (7 th Cir. 1972). Per approfondimenti, si veda anche G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, cit., 190 ss.
(13) In proposito, le Corti sono chiamate a valutare la ragionevolezza della scelta effettuata dal produttore, in base alle conoscenze del tempo: Felger v. McGhan Medical Corp. (In re Minnesota Breast Implant Litig.), 36 F. Supp. 2d 863, 873 (D. Minn.
1998). Il Restatement Third of Torts, riflette la tendenza delle
Corti a condannare solo in rari casi i produttori di farmaci per difetti di progettazione, circoscrivendo, nel § 6 (c) la responsabilità
246
ai soli casi in cui sia stato dimostrato che il prodotto farmaceutico sia oltremodo pericoloso per tutte le categorie di pazienti. Sul
punto si veda D.G. Owen, Il Terzo Restatement, cit., 1070, ed
amplius, infra. Si confronti anche la norma generale contenuta
nel § 2 (c), secondo cui il produttore è responsabile se avesse
potuto adottare un “safe alternative designer”.
(14) I tre tipi di difetti ricevono una diversa disciplina nel Restatement Third in materia di products liability, § 2. Si è osservato che
nei casi di difetti di fabbricazione è stata accolta la tesi della responsabilità oggettiva; mentre la responsabilità per difetti di progettazione e di informazione è connotata dai principi della colpa.
Sul punto si vedano J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety and
Product Liability, in P.W. Huber e R.E. Litan, The Liability Maze,
cit., 305, e D.G. Owen, Il Terzo Restatement, cit., 1070.
(15) L’espressione è ripresa dal Comment K del Restatement Second of Torts, su cui si veda infra.
(16) F.C. Woodside e G.M. Sealinger, Manufacturer’s Liability, in
F.C. Woodside, Drug Product Liability, Newark-San Francisco,
2007, II, cap. 14, 107.
(17) Smith v. E.R. Squibb & Sons, Inc., 405 Mich. 79, 273 N.W.2d
476 (1979); McDonnell v. Chelsea Mfrs., Inc., 259 A.D. 2d 674,
687 N.Y.S.2d 172, 174 (1999), su cui si veda R.M. Patterson e P.C.
Holey, Drugs in Litigation. Damage Awards Involving Prescription
and Nonprescription Drugs, Newark-San Francisco, 2007, rispettivamente S-26 e P-62. Contra Spuhl v. Shiley, Inc., 795 S.W. 2d 573
(Mo. Ct. App. 1990), in cui la domanda del consumatore è stata rigettata per non aver allegato il difetto della valvola cardiaca.
(18) F.C. Woodside e G.M. Sealinger, Manufacturer’s Liability,
cit., 14-26.
(19) Nel New Jersey, lo statuto definisce quando l’avviso è adeguato, facendo riferimento al criterio del buon professionista.
N.J. Stat. Ann. 2A:58C-4.
(20) Brumely v. Pfizer, Inc., 149 f. Supp. 2d 305, 311-312 (S.D.
Tex 2001) ha, in proposito, sottolineato che un avvertimento non
può essere difettoso per il semplice fatto che è stato inserito
sotto la dizione “precaution” al posto di “warning”.
(21) Texas: McNeil v. Wyeth, 462 F. 3d 364, 368-69 (5th Cir
2006), su cui si veda R.M. Patterson e P.C. Holey, Drugs in Litigation, cit., M-57.
(22) Pennsylvania: Soufflas v. Zimmer, Inc., 474 F. Supp. 2d 737,
2007 U.S. Dist. LEXIS 12255.
(23) Stahl v. Novartis Pharms. Corp., 283 F. 3d 254, 266-267 (5th
Cir. 2002), su cui si veda R.M. Patterson e P.C. Holey, Drugs in Litigation, cit., T-4. Cfr. anche Timm v. Upjohn Co., 624 F. 2d 536
(5th Cir. 1980), riportata anche in R.M. Patterson e P.C. Holey,
Drugs in Litigation, cit., C-89, in cui il produttore è stato condannato al risarcimento sulla base del solo fatto che il medico, nella
propria expert testimony, aveva dichiarato di non ricordare esattamente quando e come avesse ricevuto l’informazione.
(24) Per la definizione delle Prescription Drugs, cfr. F.C. Woodside, Concepts and Relationships Underlying Injuries Involving
Drug or Medical Devices - An Overview for the Practitioner, in
F.C. Woodside, Drug Product Liability, cit., I, cap.1, 3: «Prescription drugs are available only upon prescription by a physician or
other licensed health care practitioner, and are dispensed by the
practitioner or by a licensed pharmacist». Tale definizione è quella accolta anche dal Third Restatement, § 6 (a). Sul punto si vedano anche J.T. O’Reilly e N.C. Cod, The Product Liability Resource Manual, Chicago, 1993, 270.
(25) In passato, ne conseguiva che la maggior parte delle azioni
erano rivolte contro il medico, che non aveva adempiuto al suo
dovere di informare il consumatore, e non già contro il produttore. Il renvirement si ebbe nel 1964, nel caso Love v. Wolf, 226
Cal. App. 2d 378, 38 Cal. Rptr. 183 (1964), in cui si affermò la
possibilità di agire nei confronti di entrambi i soggetti. Oggi è pacifico che l’azione possa essere promossa direttamente nei confronti del produttore.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
Questa regola è chiamata “learned intermediary doctrine” (26), poiché il medico viene considerato come
un intermediario fra il produttore ed il consumatore.
La ratio di tale dottrina si ravvisa nel fatto che il medico si trova nella posizione migliore per avvertire il
paziente dei rischi e dei benefici relativi (27).
La giurisprudenza ha, del resto, riconosciuto alcune
eccezioni alla regola, individuandole nei casi dei
vaccini (che vengono spesso somministrati in una
clinica ad una generalità di persone, per cui viene
meno la relazione individuale fra medico e paziente)
(28); dei contraccettivi (29); e dei medicinali contenenti nicotina (30).
Un’ulteriore eccezione è stata, più di recente, individuata nelle ipotesi in cui il produttore pubblicizzi
direttamente il prodotto al pubblico (31), dovendolo conseguentemente avvertire dei rischi connessi
all’assunzione del farmaco, a pena di incorrere in responsabilità (32). Oggi, infatti, è sempre più spesso
il paziente a decidere quale medicinale utilizzare ed
a richiederlo al medico, venendo così meno i presupposti della learned intermediary doctrine (33).
Infine, il produttore è tenuto ad avvisare direttamente il consumatore anche nel caso di medicine
non soggette a prescrizione medica (Over-the-Counter Drugs) (34).
Affinché il produttore possa essere ritenuto responsabile è inoltre necessaria la prova del nesso causale
(35), ossia del fatto che il medico non avrebbe prescritto il prodotto se fosse stato adeguatamente
informato (proximate cause, corrispondente sostanzialmente alla condicio sine qua non). L’interruzione
del nesso causale è riconosciuta qualora si riesca a
dimostrare che il medico era comunque a conoscenza dei possibili effetti collaterali (36), o quando riNote:
(26) Teoria dell’intermediario erudito. Essa è stata affermata per la
prima volta in Sterling Drug. Inc. v. Cornish, 370 F. 2d 82, 85 (8th
Cir. 1966). Significativa in tal senso è Brown v. Abbott Laboratories, Corte Suprema della California, 31 marzo 1988, in Foro it.,
1989, IV, 119, che afferma: «mentre il consumatore ordinario può
ragionevolmente attendersi che un prodotto… funzioni senza pericolo se usato come dovuto, le aspettative di un paziente sugli effetti di un medicinale sono quelle riferitegli dal suo medico». Per
un caso recente, v. Yanovich v. Sulzer Orthopedics, Inc., 2006 U.S.
Dist. LEXIS 903322, at * 33 (N.D. Ohio Dec. 13. 2006). La casistica in materia è numerosa: per i riferimenti giurisprudenziali, v. F.C.
Woodside e A.C. Osterbock, The Physician’s Responsibility and
Liability, in F.C. Woodside, Drug Product Liability, cit., cap. 11, 7
ss.; F.C. Woodside e G.M. Sealinger, Manufacturer’s Liability, cit.,
43 ss.; L. Noah e B.A. Noah, Law, Medicine and Medical Technology, New York, 2002, 559 ss. Sul punto si veda anche J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety and Product Liability, cit., 293; D.G.
Owen, Il Terzo Restatement, cit., 1070; M.E. Arbour, Danno da
medicinali in Europa ed in Nord America: la responsabilità del farmacista come professionista e distributore, in G. Comandè (a cura di), Persona, tutele giuridiche ed innovazione scientifica. Saggi
su ricerche di diritto comparato, Torino, 2003; D.G. Owen, J.E.
Danno e responsabilità 3/2009
Montgonery, M.J. Davis, Products Liability and Safety, New York
2004, 4a ed., 354. Questa tesi è stata accolta anche dal Third Restatement of Torts che, nella Section 6 (d), ha affermato che il produttore di una prescription drug ha il dovere di informare il consumatore solo se «the manufacturer knows or has reason to know
that health care providers will not in a position to reduce the risk
of harm in accordance with the instruction or warnings».
(27) Anche perché a conoscenza della sua situazione personale.
(28) Petty v. United States, 740 F. 2d 1428, 1440 (8th Cir. 1984). È discusso se ciò valga anche quando il vaccino sia stato somministrato
presso l’ufficio di un medico, come in Givens v. Lederle, 556 F. 2d
1341 (5th Cir. 1977), che riguardava il caso in cui una madre aveva
contratto la poliomelite a seguito del contatto col proprio bambino,
sottoposto a vaccinazione. Per un commento della sentenza v. R.M.
Patterson e P.C. Holey, Drugs in Litigation, cit., P-107. Per un noto
caso analogo in Italia, v. Corte cost., 22 giugno 1990, n. 307, in Foro
it., 1990, I, 2694, con note di A. Princigalli e G. Ponzanelli.
(29) Odgers v. Ortho Pharm. Corp., 609 F. Supp. 867 (E.D. Mich.
1985). La FDA ha, infatti, incrementato le informazioni necessarie per questo tipo di farmaci, ed il Restatement (Third) of Torts,
al § 6, ha sancito che l’informazione deve essere direttamente
comunicata al paziente quando le Agenzie lo stabiliscano, come
appunto nel caso dei contraccettivi orali.
(30) V. ad esempio, Edwards v. Basel Pharms, 933 P. 2d 298, 301
(Okla 1997), esaminato in R.M. Patterson e P.C. Holey, Drugs in
Litigation, cit., N-19. Anche per questi medicinali la FDA richiede
che alcune informazioni siano comunicate direttamente al paziente. Il Products Liability Statute dell’Ohio afferma, in proposito, che il produttore non può invocare la learned intermediary
doctrine se non ha rispettato i requisiti richiesti dalla FDA.
(31) Si parla, in proposito, di Direct to Consumer (DTC) Advertising. La Upjohn Company, nel 1980, è stata la prima industria a
pubblicizzare il prodotto direttamente al pubblico. Da allora, queste ipotesi sono cresciute esponenzialmente. Sul punto si veda,
in particolare, D. Vladeck, The Difficult Case of Direct-to-Consumer Drug Advertising, 41 Loyola Los Angeles Law Review
(forthcoming 2008) reperibile in rete in SSRN://htto://ssrn.
com/abstract=1014134.
(32) Perez v. Wyeth Lab., 161 N.J. 1, 734 A. 2d 1245, 1257
(1999), su cui si veda R.M. Patterson e P.C. Holey, Drugs in Litigation, cit., M-15.
(33) Perez v. Wyeth Lab., cit., evidenzia che: «the fact that manufacturers are advertising their drugs and devices to consumers suggests that consumers are active participants in their
health care decisions, invalidating the concept that is the doctor,
not the patient, who decides whether a drug or devices should
be used». In senso contrario, si è peraltro evidenziato che, per i
prodotti per i quali è necessaria la prescrizione medica, il medico
continua a giocare un ruolo essenziale: F.C. Woodside e G.M.
Sealinger, Manufacturer’s Liability, cit., 38, sottolinea che il caso
del Viagra sarà un buon banco di prova per la DTC exception.
(34) Perez v. Wyeth Lab., 161 N.J. 1, 734 A. 2d 1245, 1257
(1999), su cui si veda R.M. Patterson e P.C. Holey, Drugs in Litigation, cit., S-73, in cui il produttore è stato ritenuto responsabile per non aver avvertito dei rischi connessi all’uso prolungato di
un’aspirina. Sul punto si veda G. Alpa, La responsabilità del produttore di farmaci, cit., 345.
(35) Tuttavia, alcuni Stati ritengono possibile avvalersi di presunzioni.
(36) V. ad esempio, Odom v. G.D. Searle & Co., 979 F. 2d. 1001
(4th Cir. 1992). Contra, Schenebeck v. Sterling Drug, Inc., 423
F.2d 918 (8th Cir. 1970). Spesso si ammette la testimonianza del
medico, relativa al fatto che non avrebbe prescritto il prodotto se
adeguatamente informato: Bristol-Meyers Co., v. Gonzales, 548
S.W. 2d 416 (Tex. App. 1976). Alcune Corti guardano con diffidenza a tale testimonianza, che è, però, ritenuta sufficiente dalla legge del Mississipi: v. Thomas v. Hoffman-La roche, Inc., 949
F. 2d 806, 814 (5th Cir. 1992).
247
Opinioni
Responsabilità da farmaci
sulti accertato che questi ha preso una decisione in
piena autonomia, senza leggere le avvertenze (37).
Anche il comportamento del consumatore può incidere sulla responsabilità, secondo la regola della contributory or comparative negligence (concorso di colpa), ad esempio nei casi di abuso del farmaco o
quando il danneggiato abbia sottovalutato il rischio,
chiedendo un consulto medico solo dopo lungo
tempo dal verificarsi dell’evento avverso (38).
Altra tematica significativa, affrontata in numerosi
casi giurisprudenziali, è quella relativa alle reazioni
idiosincratiche, ossia non usuali, che possono verificarsi in soggetti con particolari predisposizioni (si
pensi, ad esempio, ad alcune rare forme di allergia)
(39). In tali ipotesi, si è affermato che il produttore
è tenuto a fornire le relative informazioni, solo se si
tratta di reazioni che possono verificarsi in un numero rilevante di persone (40) (Allergy or Idiosyncratic Rule).
Quanto al contenuto dell’informazione, il produttore deve comunicare le nozioni che conosceva o che
avrebbe dovuto ragionevolmente conoscere (41):
tale responsabilità trova dunque il proprio fondamento nella negligence (42). Si è pertanto esonerato
il produttore dalla responsabilità per i rischi concretizzatisi nel cosiddetto honeymoon period (43), ossia
nel primo periodo di commercializzazione del prodotto, ove ancora non sono noti molti dei possibili
effetti collaterali (44). Del resto, il cambiamento
nelle avvertenze (45), effettuato dopo la scoperta di
Note:
(37) Berry v. Wyeth, No. 3458, 2005 Phila. Ct. Com.Pl., LEXIS
271, at * 11-*12 (June 13, 2005).
(38) Sul punto si rinvia a F.C. Woodside, Drug Product Liability,
cit., 135. Ulteriore difesa è quella della Wrongful Conduct Rule,
per cui il produttore non risponde se il consumatore ha tenuto un
comportamento illegale, ad esempio per ottenere prescription
drugs. Alcune Corti hanno, peraltro, evidenziato che la responsabilità rimane ferma, nei casi in cui anche il convenuto abbia tenuto un comportamento non conforme alla legge, e questo assume maggiore gravità. Orzel v. Scott Drug. Co., 449 Mich. 550,
537 N.W. 3d, 214 (1995).
(39) Howard v. Avon Products, 155 Colo. 444, 395 P.2d 1007
(1964) ha fissato le basi di questa regola: «the seller may expect,
within some reasonable limits, that the product will be used by
normal persons, and that he will not be held responsible when
some idiosyncrasy peculiar to the plaintiff makes him abnormally sensitive a product quite harmless to ordinary people. This
must be qualified to the extent that he is required to take into account allergies common to a substantial portion of the population».
(40) Si veda, ad esempio, Daley v. McNeil Consumer Prods. Co.,
164 F. Supp. 2d 367, 373 (S.D.N.Y. 2001), che esonera il produttore dalla necessità di comunicare reazioni che possono colpire
solo «a mere microscopic fraction of potential users». L’informazione deve essere invece data se gli effetti collaterali possono verificarsi in una percentuale anche bassa di persone, specie
se questi possono essere devastanti, come nel caso della peni-
248
cillina. Sul punto si veda, F.C. Woodside, Drug Product Liability,
cit., 100 ss. La tematica è trattata sinteticamente, ma con estrema puntualità anche da G. Alpa, La responsabilità civile, in G. Alpa (a cura di), Trattato di diritto civile, IV, Milano, 1999, 845.
(41) Un ruolo significativo è rivestito dalla letteratura scientifica.
Per un esempio si veda Wagner v. Roche Lab., 77 Ohio St. 3d
116, 671 N.E. 2d 252, 256 (1996), esaminato da R.M. Patterson
e P.C. Holey, Drugs in Litigation, cit., I-46, relativo ad un caso in
cui si è affermato che il produttore poteva conoscere che un medicinale contro l’acne era cancerogeno, poiché esso utilizzava lo
stesso principio attivo di un altro farmaco, di cui erano noti i devastanti effetti collaterali. Cfr. altresì Toole v. Richarson-Merrel,
Inc., 251 Cal. App. 2d 689, 60 Cal. Rptr. 398 (1967), in cui il produttore è stato ritenuto responsabile per non aver tenuto conto
degli effetti collaterali (cecità e morte) verificatisi nei test sugli
animali; O’Hare v. Merck & Co., 381 F. 2d 286 (8th. Cir. 1967) in
cui il produttore è stato similmente condannato al risarcimento
dei danni. Questi, infatti, aveva effettuato solo i test minimi, perché il medicinale nasceva dalla combinazione di due sostanze
già sperimentate e di per sé sicure, ma estremamente pericolose se associate insieme.
(42) D.G. Owen, Il Terzo Restatement, cit., 1068. Anche per i farmaci è possibile agire sia per colpa che per responsabilità oggettiva. Nel primo caso l’onere della prova per l’attore è più complesso; tuttavia è più semplice fare presa sulle giurie. La responsabilità oggettiva, che pure gioca un ruolo importante, è inoltre
meno usata per i medicinali rispetto agli altri prodotti, per il fatto
che questi sono soggetti ad apposita autorizzazione prima dell’immissione in commercio. Cfr. F.C. Woodside, Drug Product
Liability, cit., 158.
(43) Il produttore è, in ogni caso, responsabile se ha garantito la
sicurezza del medicinale, inducendo il medico a sottovalutarne i
rischi. V. ad esempio, Crocker v. Withrop Labs., Div. of Sterling
Drug. Inc., 514 S.W. 2d 429 (Tex. 1974).
(44) Alcune Corti hanno, infatti, limitato la responsabilità ai casi di
conoscenza attuale del rischio (Actual Knowledge Rule). V. Johnston v. Upjohn Co., 442 S.W. 2d 93 (Mo. Ct. App. 1969), su cui
si veda R.M. Patterson e P.C. Holey, Drugs in Litigation, cit., L26, relativa ad una reazione allergica, verificatasi nei primi anni di
commercializzazione di un antibiotico. Questo era stato testato
su più di quattrocentosessanta persone ed in nessuna si era verificata tale reazione. Il produttore deve segnalare alla FDA le adverse reactions se serie o se coinvolgono un numero sostanziale di persone.
(45) Si è affermato che il produttore dovrebbe anche avvertire i
medici dei pericoli scoperti dopo la messa in vendita dei prodotti, nel modo più effettivo, ad esempio tramite il detailman. Il Restatement (Third) of Torts § 10 prevede, in proposito, che egli sia
responsabile se non fornisca le informazioni post-sale che una
persona ragionevole avrebbe indicato. Sul punto si veda D.G.
Owen, Il Terzo Restatement, cit., 1071. È discusso se egli possa
aggiungere ulteriori informazioni senza l’approvazione della FDA.
Per l’opinione favorevole, v. Motus v. Pfizer Inc., 127 F. Supp. 2d
1085, 1096 (C.D. Cal 2000); J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety and Product Liability, cit., 302; D. Vladeck, Before the Committee on the Judiciary United States Senate. Hearings on regulatory Preemption: Are Federal Agencies Usurping Congressional an state Authority, 12 settembre 2007, reperibile in rete,
http://judiciary.senate.gov/pdf/07-09-12VladeckTestimony.pdf 9,
e Id., The Emerging Threat of regulatory Preemption, American
Constitution Society for Law and Policy, 2008, 3, reperibile in
www.acslaw.org/node/5908-27K, secondo cui: «drug manufacturers have significant authority - and indeed responsability - to
modify labeling when hazards emerge and may do so without
securing the FDA’s approval». Per quella contraria, D.E. Troy,
The Case for FDA Preemption, in R.A. Epstein, M.S. Greve, Federal Preemption, cit., XV, 85. I produttori, comunque, di solito
preferiscono consultare la FDA, prima di effettuare il cambiamento unilateralmente. Il §. 314.70 dello FDCA richiede l’appro(segue)
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
nuovi pericoli, così come il ritiro volontario del prodotto dal mercato, non possono provare di per sé il
difetto del prodotto, essendo effettuati al fine di incrementarne la sicurezza (46).
Tali tematiche si sono intrecciate con quelle dell’applicabilità del Comment K (47) della Section 402 A
del Restatement (Second) of Torts del 1965 (48). La
formula decisionale, che il Comment K indica alle
Corti, si incentra sulla valutazione costi-benefici e
prevede un’esimente (49) per i prodotti unavoidably
unsafe, come i medicinali soggetti a prescrizione medica (50) ed i vaccini (51) - che non possono essere
completamente immuni da rischi - quando l’utilità
sociale sia maggiore dei pericoli cui essi espongono
l’utilizzatore (52). Ciò a condizione che il prodotto
sia correttamente preparato (53) e che il consumatore sia opportunamente informato sui rischi legati
all’uso del prodotto.
In tale criterio è insita l’idea che la società, in generale, ed il ragionevole paziente, in particolare, siano
disposti a sopportare un pericolo, in cambio dei benefici sociali e del miglioramento delle proprie condizioni di salute, portati dallo sviluppo della tecnologia (54).
In giurisprudenza è, peraltro, dubbio come interpretare il riferimento esplicito alla valutazione costi-benefici. In alcune giurisdizioni statali si accoglie, infatti, un’interpretazione radicale della formula, che
quistati solo da medici o dietro loro prescrizione. E ciò è vero in
particolare per molti farmaci, nuovi o sperimentali, per i quali, per
mancanza di tempo o di opportunità di sperimentazione medica
o anche per incertezze circa gli ingredienti, non può essere garantita la sicurezza, ma quel tanto di sperimentazione svolta ne
consente la commercializzazione e l’uso pur in presenza di un rischio latente. Il venditore di tali prodotti, sempre che questi siano preparati e venduti correttamente e dotati delle giuste avvertenze, non può essere ritenuto oggettivamente responsabile per
le conseguenze sciagurate derivanti dal loro uso». Sul punto si
vedano L. Noah e B.A. Noah, Law, Medicine and Medical Technology, cit., 393 ss.; J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety, cit.,
291; G.L. Priest, La controrivoluzione nel diritto della responsabilità da prodotti negli Stati Uniti d’America, cit., 124; G. Ponzanelli, Il caso Brown e il diritto italiano della responsabilità civile del
produttore, in Foro it., 1989, IV, 130.
Note:
(51) In Calabrese v. Trenton State College, 162, NJ Super., 145,
392, A2d 600, 604 (1978), la Corte ha ritenuto che il Pasteur Vaccine fosse un prodotto unavoidable unsafe (nella specie le particelle animali usate per produrre il vaccino non erano state rimosse). Anche per il Sabin Vaccine, le Corti normalmente hanno
escluso la configurabilità della responsabilità oggettiva: si veda,
ad esempio, Gottsdanker v. Cutter Laboratories, 6 Cal. Rptr. 320
- (Ct. App. 1960). Per il Salk Vaccine, è invece stata rigettata la difesa che il medicinale era nuovo e, dunque, non sottoposto a
strict liability: Plummer v. Lederle Laboratories, 819 F. 2d 349,
351 (2d Cir. 1987). Su questi casi si vedano R.M. Patterson e P.C.
Holey, Drugs in Litigation, cit., P-94 e P-109 e D.A. Fischer, M.
Green, W. Powers, J. Sanders, Products Liability, Cases and Materials, St. Paul. Minn, 3a ed., 2002, 212 ss.
(continua nota 45)
vazione della FDA per effettuare le modifiche, stabilendo tuttavia che essa non è necessaria «to add or strengthen a contraindication, warning, precaution, or adverse reaction». Similmente,
il Preamble to Preemption Statements prevede l’approvazione
per i cambiamenti nelle avvertenze, eccetto nel caso di “editorial
or similar minor changes”. Il ritiro del prodotto dal mercato è obbligatorio solo se la FDA lo stabilisce, ma negli altri casi il produttore può comunque essere chiamato a rispondere per negligenza: Restatement Third of Torts, § 11.
(46) La finalità di questa regola è quella di incentivare le misure
precauzionali. Anche i provvedimenti adottati dalla FDA non sono determinanti ai fini di sancire la difettosità del prodotto. Rufer
v. Abbot Labs, No. 48909-7-I, 2003 Wash. App. LEXIS 2496, at *
39-40 (Oct., 27, 2003). Ciò è stato disposto anche a livello normativo: Fed. R. Evid. 407 del 1997.
(47) Esemplare in tal senso è la motivazione di Brown v. Abbott
Laboratories et al., Corte Suprema della California, 31 marzo
1988, cit., secondo la quale «esistono alcuni prodotti che, allo
stato attuale delle conoscenze umane, non è dato rendere sicuri per l’uso previsto ed ordinario. La maggior diffusione di questi
prodotti si ha nel campo dei medicinali. Un chiaro esempio ci è
dato dal vaccino Pasteur anti-rabbia che, non di rado, quando viene iniettato, innesca conseguenze piuttosto serie e pericolose.
Dal momento che la malattia comunque porta ad una terribile
morte, sono pienamente giustificabili la commercializzazione e
l’uso del vaccino, malgrado l’alta percentuale di rischio che comportano…lo stesso vale per molti altri medicinali, vaccini et similia, molti dei quali, per questo grave motivo, possono essere ac-
Danno e responsabilità 3/2009
(48) Su cui si veda G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di
diritto comparato, cit., 188 ss.; G. Alpa e M. Bessone, La responsabilità del produttore, 4a ed., Milano, 1999, 187; G. Alpa,
La responsabilità civile, cit., 843; U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile. Analisi di un concetto sul tema del danno da
contagio per via trasfusionale, Padova, 2004, 333; F.C. Woodside
e G.M. Sealinger, Manufacturer’s Liability, cit., 183 ss.: «Section
402 A imposes strict liability on the seller who markets any product in a defective condition unreasonably dangerous to the consumer».
(49) Nella specie, si tratta di un esonero dalla responsabilità oggettiva. Brown v. Abbott Laboratories, Corte Suprema della California, 31 marzo 1988, cit. supra, secondo cui: «in pratica il principio che attesta è basato sulla negligenza… cioè il Comment K
imporrebbe la responsabilità su un produttore solo se questi
manca di avvertire circa un fatto a lui noto o che, comunque,
avrebbe dovuto conoscere».
(50) Si ritiene che tale disposizione si applichi anche ai medical
devices, anche se non espressamente previsti, in quanto questi
presentano caratteristiche simili alle prescriptions drugs (necessità di incentivarne la ricerca e, dall’altro lato, notevoli rischi):
Hufft v. Horowitz, 4 Cal. App. 4th 8, 5 Cal. Rptr. 2d 377, 384
(1992).
(52) In Grundberg v. Upjohn Co., 313 P 2d 89 (Utah 1991), pubblicata anche in L. Noah e B.A. Noah, Law, Medicine and Medical Technology, cit., 398 ss., si afferma che tale immunità riguarda solo i difetti di design e non di informazione. Si trattava di un
caso in cui una giovane aveva ucciso la madre, sotto l’effetto di
un farmaco antidepressivo.
(53) Il prodotto è properly prepared se sono stati effettuati tutti i
passi ragionevoli per eliminare o ridurre i pericoli connessi all’uso. Stanton v. Astra Pharm Prods., Inc., 718 F.2d 553 (3d Cir.
1983).
(54) Si è sottolineato, infatti, che «se le industrie farmaceutiche
fossero soggette a responsabilità oggettiva, potrebbero essere
riluttanti all’idea d’intraprendere programmi di ricerca per lo sviluppo di alcuni medicinali o di distribuirne altri… per il timore di
grossi esborsi pecuniari conseguenti a sentenze sfavorevoli».
Corte Suprema della California, 31 marzo 1988, cit.
249
Opinioni
Responsabilità da farmaci
rifiuta di effettuare caso per caso la valutazione menzionata nel Comment K e ritiene che lo stesso debba
essere applicato a tutte le prescription drugs, senza alcuna distinzione (55).
La maggior parte delle Corti sostiene, invece, che il
risk-utility test debba essere condotto in concreto,
con riferimento allo specifico prodotto incriminato,
prima di decidere se applicare l’esimente (56).
L’orientamento giurisprudenziale e dottrinale oggi
emergente sembra favorire quest’ultimo approccio,
che è accolto anche dalla formula esplicativa recentemente adottata nel Third Restatement on Product
Liability (57): «Un prodotto farmaceutico da vendersi solo su prescrizione medica o un’attrezzatura
medica non sono ragionevolmente sicuri per la presenza di un difetto di progettazione, se il rischio di
causazione del danno sia sufficientemente probabile
in relazione ai prevedibili effetti terapeutici benefici, nella misura in cui un soggetto abilitato a prescrivere cure mediche, conoscendo tali possibili rischi
ed effetti terapeutici benéfici, non prescriverebbe il
prodotto farmaceutico o l’attrezzatura medica per
nessuna categoria di pazienti» (58).
Federal Preemption e Silent Tort Reform:
riflessi nel nostro ordinamento
La tematica attualmente più calda e discussa concerne la questione se il rispetto dei requisiti fissati
dalle autorità federali (per quanto qui rileva, la FDA
(59)) possa di per sé esonerare da responsabilità il
produttore.
Nel nostro paese, così come negli altri facenti parte
dell’Unione europea, si è ritenuto che la dimostrazione dei requisiti cui è subordinata l’immissione in
commercio delle specialità medicinali e la stessa autorizzazione alla commercializzazione non costituiscano argomenti probanti per liberare da responsabilità il produttore.
In occasione del caso Trilergan (60), si è dettato, in
proposito, il seguente principio di diritto «Le imprese farmaceutiche che intervengono nel ciclo produttivo di gammaglobuline umane sono responsabili, ai
sensi dell’art. 2050 c.c., dei danni conseguenti al
contagio prodotto dall’uso del farmaco se, pur avenNote:
(55) Young v. Key Pharms., 130 Wash. 2d 160, 922 P.2d 59, 6364 (1996). Così anche Brown v. Abbott Laboratories, Corte Suprema della California, 31 marzo 1988, cit., secondo cui va disapprovato il concetto «per cui solo i medicinali ritenuti “inevitabilmente pericolosi” debbano essere governati dal Comment
K».
(56) Feeman v. Hoffman-La Roche, Inc., 260 Neb. 552, 618 N.W.
2d 827, 836 (2000).
250
(57) Cfr. § 6 (c). Traduzione proposta da D.G. Owen, Il Terzo Restatement, cit., 11, 1066 ss.
(58) Si tratta del cosiddetto “reasonable health care provider”.
Per effettuare la relativa valutazione, il giudice dovrà dunque assumere il punto di vista di un «soggetto abilitato a prescrivere
cure mediche». Sul punto si vedano F.C. Woodside, Drug Product Liability, cit., 200 ss.; U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, cit., 474, che riportano anche le critiche mosse dalla dottrina alla formula prescelta: essa, infatti, presuppone che il
medico abbia più conoscenze del produttore sullo specifico farmaco; non tiene conto dell’utilità sociale dei diversi medicinali,
disciplinando allo stesso modo, ad esempio, sia i cosmetici sia i
farmaci salva-vita; si basa eccessivamente sulla expert witness.
Nel 2000, la Suprema Corte del Nebraska è stata la prima a rigettare la Section 6 (c).
(59) Food and Drug Administration, che è incaricata di stabilire le
procedure dei test dei medicamenti e di vigilare sulla loro corretta
applicazione. Tale organo ha, infatti, tre principali compiti con riferimento ai farmaci: «to assure that clinical research on drugs
meets appropriate ethical and scientific standards, that all marketed drug products meet certain standards of safety, effectiveness,
and quality, and that all marketed drug products are labeled accurately and promoted honestly». Così J.P. Swarzey, Prescription
Drug Safety, cit., 298 ss.; Id., Preemption by Preamble: Federal
Agencies and the Federalization of Tort Law, Columbia Public Law
Research Paper no. 06-110, 227 ss., specie 237. Essa è stata definita “guardian of public healt”. Sul punto si vedano anche J.T.
O’Reilly e N.C. Cod, The Product Liability Resource Manual, cit.,
273 ss.; D. Vladeck, The Emerging Threat, of Regulatory Preemption, cit., 4, nota 13 e Id., Overview of the FDA, disponibile in rete, alla pagina: www.fda.gov/oc/opacom/fda101/sld015.html; J.P.
Swarzey, Prescription Drug Safety, op. loc. cit.
(60) Sulla vicenda del Trilergan cfr. Trib. Napoli 9 ottobre 1986, in
Resp. civ. prev., 1988, 407, ed in Foro it., Rep. 1988, voce Responsabilità civile, n. 143; App. Trieste 16 giugno, 1987, in Resp.
civ. prev., 1988, 334; Trib. Roma 27 giugno 1987, in Nuova giur.
civ. comm., 1988, I, 475; Cass. 15 luglio 1987, 1987, n. 6241, in
Foro it., 1988, I, 144, con nota di D. Caruso; in Nuova giur. civ.
comm., 1988, I, 475, con nota di E. Da Molo, Responsabilità civile per attività di produzione e commercio di farmaci; e in Resp.
civ. prev., 1988, 406, con nota di G. Tassoni, Responsabilità del
produttore di farmaci «per rischio di sviluppo» e art. 2050 c.c.;
Trib. Milano 19 novembre 1987, in Foro it., 1988, I, 144; App. Roma 17 ottobre 1990, in Giur. it, 1991, I, 2, 816, con nota di G. Tassoni, La produzione di farmaci tra l’art. 2050 c.c. e i c.d. “developement risk”; Cass. 27 luglio 1991, n. 8395, in Giur. it., 1992,
I, 1331, con nota di A. Barenghi, In tema di farmaci difettosi;
Cass. 20 luglio 1993, n. 8069, in Foro it., 1994, 445; in Resp. civ.
prev., 1994, 61, con nota di A. Busato, I danni da emoderivati: le
diverse forme di tutela, e in Giust. civ., 1994, I, 1057, con nota di
A. Barenghi, Brevi note in tema di responsabilità per danni da
emoderivati difettosi tra obiter dicta e regole giurisprudenziali;
App. Roma 7 aprile 1994, in Gius, 1994, 213; Cass. 1° febbraio
1995, n. 1138, in Resp. civ. prev., 1996, 164, con nota di S. Bastianon, La Cassazione, il “Trilergan” e la responsabilità per danni da emoderivati infetti; Cass. 27 gennaio 1997, n. 814, in Corr.
giur.,1997, 3, 291. Il caso è noto nei suoi profili di fatto: all’inizio
degli anni settanta, il produttore Crinos S.p.a. mise in circolazione un emoderivato, preparato con gammaglobuline, fornite da
una società statunitense (la Armour Pharmaceutical Co.) ed importate da un operatore nazionale (l’Istituto sieroterapico milanese). Alcuni lotti del medicinale risultarono, peraltro, infetti dal
virus dell’epatite B. A quel tempo non era stata ancora introdotta la normativa sulla responsabilità da prodotto difettoso e le relative richieste risarcitorie vennero per lo più accolte dalle Corti
di merito, poi confermate in sede di legittimità, ricorrendo al disposto dell’art. 2050 c.c., e ponendo così le basi di quell’orientamento giurisprudenziale, pervenuto incontrastato sino ai giorni
nostri, che qualifica come pericolosa l’attività di produzione di
farmaci.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
do ottemperato alle disposizioni normative vigenti,
non dimostrino di avere adottato ogni cautela idonea ad impedire l’evento» (61).
La nostra giurisprudenza ha, infatti, preferito applicare al settore farmaceutico l’art. 2050 c.c. (62),
estendendo la nozione di pericolosità intrinseca dal
prodotto all’attività produttiva. La ragione di ciò si
può riscontrare nel fatto che i danneggiati (ed i loro
avvocati) preferiscono invocare in giudizio i tradizionali strumenti forniti dal codice civile, poiché
ravvisano in essi una miglior tutela, consentendo
maggiori possibilità rispetto a quelle ricavabili dalla
normativa sulla responsabilità da prodotto difettoso
(63); anche in considerazione della lettura dell’art.
2050 c.c. che si è andata progressivamente affermando, di estrema severità per i produttori e di favor
verso i consumatori (64).
Anche la dottrina maggioritaria (65) si è allineata
nel ritenere che l’autorizzazione all’immissione in
commercio ed il rispetto dei requisiti necessari a tal
fine non esonerino da responsabilità il produttore.
A sostegno di tale opinione, si adotta un parallelo
fra l’omologazione dei farmaci e quella degli autoveicoli, o si sottolinea che i requisiti richiesti per
l’approvazione del prodotto costituiscono solo degli
standard minimi, la cui osservanza non libera l’imprenditore che non abbia adottato le dovute precauzioni. Si afferma, infatti, che il parametro dell’idoneità del medicinale è «mobile ed indicizzato al raggiunto livello di progresso, della tecnica farmaceutica, o delle rigorose prescrizioni scientifiche» (66).
Ciò trova conferma nella considerazione che l’autorizzazione integra un provvedimento comunemente
ritenuto esplicazione di un’attività vincolata, e non
già di un potere discrezionale della Pubblica amministrazione (67). Per questa via, parte della dottrina
(68) è giunta ad affermare che l’unico riflesso privatistico dell’autorizzazione consisterebbe in una strict liability a carico del produttore, qualora il farmaco non
soddisfacesse neanche gli standards ministeriali (69).
Lo stesso d.lgs. 29 maggio 1991, n. 178, di recepimento delle direttive comunitarie in tema di specialità medicinali, prevede espressamente che: «l’autorizzazione non esclude la responsabilità civile e penale (70) del fabbricante e di chi immette in commercio il prodotto».
esame si veda anche L. Cabella Pisu, La responsabilità del produttore, in Il diritto dei consumi, III, a cura di P. Perlingeri e E.
Caterini, Rende, 2007, 246; e L. Villani, Il danno da prodotto:
analisi dei casi più recenti e nuove prospettive di utilizzo della
direttiva della Comunità europea n. 374 del 1985, in Resp. civ.
prev., 2005, 10, 850. Nella specie venne, però, convenuta in
giudizio la società importatrice in Italia del farmaco, che risultava, per espressa menzione sulla confezione, prodotto in
Francia. Ai sensi dell’art. 4, d.P.R. n. 224/1988 (oggi art. 116
Cod. consumo), peraltro, in tal caso la domanda avrebbe dovuto essere rigettata, in quanto erano carenti i presupposti della
legittimazione passiva del fornitore. La domanda venne tuttavia accolta, ma solo per la ragione che gli attori non avevano
mancato di invocare in giudizio anche il disposto dell’art. 2050
c.c.
(63) Sul punto, si consenta di rinviare a A. Querci, Protesi mediche tra regolamentazione di sicurezza e responsabilità da prodotto, cit., 302 ss.
(64) Sui dubbi di conformità di tale interpretazione con la normativa comunitaria, così come interpretata da CGCE, 25 aprile
2002, causa C-183/00, in Foro it., 2002, IV, 294, si rinvia a L. Cabella Pisu, La responsabilità del produttore, cit., 446; Id., Ombre
e luci nella responsabilità del produttore, in Contr. e impr. Europa, 3, 2008, 645.
(65) G. Alpa, La responsabilità del produttore di farmaci, cit., 350
ss.; D. Caruso, Quando il rimedio è peggiore del male: emoderivati infetti e responsabilità civile, in Foro it., 1988, I, 146; C.M.
Verardi, Esclusione della responsabilità, in Aa. Vv. (a cura di), La
responsabilità per danno da prodotti difettosi, (d.P.R. 24 maggio
1988, n. 224), sub art. 6, Milano, 1990, 79 ss.; C. Castronovo, voce Danno da prodotti, (diritto italiano e straniero), in Enc. giur.,
Roma, 1995, 12; P.G. Monateri, La responsabilità civile, in Tratt.
dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 1998, 721; G. Smorto, Certificazione di qualità e normazione tecnica, in Dig. disc. priv., Agg. II,
Torino, 2003, 200 ss., specie 219; M. Dellacasa, Sulle definizioni
legislative nel diritto privato. Tra Codice e Nuove leggi civili, Torino, 2004, 355 ss., M.E. Arbour, Sicurezza alimentare e prodotti
difettosi dopo Lidl e Bilka: un binomio sfasato?, in questa Rivista,
2007, 10, 989 ss., i quali ritengono che l’osservanza di norme e
standards di sicurezza non valga ad escludere il carattere difettoso del prodotto. Contra A. Luminoso, Certificazione di qualità dei
prodotti e tutela del consumatore-acquirente, in Europa e dir.
priv., 2000, 52; G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, cit., 195, secondo cui «il rispetto della legge e di
ciò che ad essa può essere accostato quanto ad efficacia e rango normativo esclude automaticamente l’insorgere di una precisa responsabilità».
(66) L’osservazione è tratta da D. Caruso, op. loc. cit.
(67) Ciò a partire da Cons. Stato, 30 marzo 1979, n. 356, in Foro
it., Rep., voce Sanità Pubblica, n. 158.
(68) A. Frignani, Responsabilità del produttore: il progetto di direttiva Cee e gli ordinamenti degli stati membri, in Giur. piem.,
1985, 414, 419.
(61) Cass. 8069/1993; Cass. 1138/1995, n. 1138, cit.
(69) Similmente, negli USA, le Corti ritengono che sussista una
presunzione di negligenza a carico del produttore che ha violato
il FDCA. V. ad esempio, Toole v. Richardson-Merrel, Inc., cit. supra, nota 40. In Perez. V. Wyeth Lab., cit. si afferma, peraltro, che
tale presunzione non è assoluta. La maggior parte delle Corti parlano di negligence per se (una sorta di colpa specifica), principio
accolto anche dal Third Restatement al § 4 lett. a), in D.G. Owen,
Il Terzo Restatement, cit., 1068. V. ad esempio, Ezagui v. dow
Chem. Corp., 589 F. 2d 727 (2d Cir. 1979); Toole v. RichardsonMerrel, Inc., cit.
(62) L’unico caso, a quanto consta, in cui i legali di un paziente
scelsero di invocare il d.P.R. n. 224/1988, è costituito da Trib.
Roma 20 aprile 2002, in questa Rivista, 2002, 10, 984, con nota di L. La Battaglia; in Foro it., 2002, I, 3225; ed in Resp. civ.
prev., 2002, 4-5, 1107, con nota di U. Carnevali. Sul caso in
(70) Anche in sede penale, seppur con diversa rilevanza, si esclude che l’aver rispettato i requisiti di legge, possa esonerare di per
sé da responsabilità. Sul punto, sia consentito rinviare a G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2002,
494.
Note:
Danno e responsabilità 3/2009
251
Opinioni
Responsabilità da farmaci
Neppure se si applicasse la normativa sulla responsabilità del produttore questo modus operandi subirebbe un cambiamento. Nonostante l’art. 7, lett. d) della Direttiva 85/374/Cee disponga che «il produttore
non è responsabile se prova… che il difetto è dovuto alla conformità del prodotto a regole imperative
emanate da pubblici poteri» (71) si afferma, infatti,
che i requisiti pubblicistici costituiscano solo il minimum di garanzia per i consumatori. Il produttore risponderà, dunque, in ogni caso del danno cagionato,
anche qualora abbia osservato gli standard necessari
per porre in commercio il prodotto, qualora questi
non corrispondano più allo stato della tecnica (72).
Si segnala, tuttavia, una recente pronuncia del Tribunale di Milano (73) che ha, in senso contrario, ritenuto di esonerare da responsabilità un’azienda farmaceutica, per aver fornito, nel foglietto illustrativo, le informazioni richieste dal d.lgs. 540/1992 in
materia di etichettatura dei medicinali per uso umano, confermate a livello europeo dalla Direttiva
2001/83/Ce. Nella specie, l’industria farmaceutica
aveva omesso di indicare, nel foglietto illustrativo,
reazioni collaterali rappresentate come molto rare
nelle pubblicazioni scientifiche, o comunque di
“modesta rilevanza”; pur avendo rispettato la normativa vigente nel riportare le indicazioni terapeutiche, le controindicazioni di più comune verificazione (74).
Dopo aver esaminato la situazione nel nostro ordinamento, occorre rilevare come negli Stati Uniti il
problema della competenza istituzionale a gestire il
rischio sia da sempre al centro di un dibattito molto
più ampio (75).
Le relative questione giuridiche sono oggi discusse
sotto il nomen juris di preemption, la cui rilevanza si
sta progressivamente incrementando (76), tanto da
trovare sostegno non solo nelle opinioni delle agenzie governative, ma anche di gran parte della giurisprudenza e della stessa Corte Suprema (sebbene sinora quest’ultima si sia pronunciata solo con riferimento ai dispositivi medici) (77): «preemption is the
fiercest battle in products liability litigation today» (78).
Tale termine è utilizzato, in via generale, per indicare la prevalenza della legge federale sulle normative
dei singoli Stati (79), a norma dell’art. IV, sez. seconda della United States Constitution (80). Si tratta
dunque di una sorta di gerarchia tra fonti (simile al
principio secondo cui “lex superior derogat legi inferiori”) utilizzata, però, per risolvere questioni di diritto
privato, come quella della responsabilità: il principio ha, pertanto, una larga portata e non è limitato
al solo campo medico (81).
I sostenitori della preemption traggono da ciò i pre-
252
Note:
(71) Norma recepita nell’art. 6, lett. d) del d.P.R. 24 maggio 1988,
n. 224, attuativo della Direttiva Cee 85/374 ed ora nell’art. 118,
lett. d) Cod. consumo, del 6 ottobre 2005, n. 206.
(72) G. Smorto, op. loc. cit.; D. Di Loreto, I dispositivi medici tra
regolamentazione di sicurezza e responsabilità, in G. Comandé
(a cura di), Gli strumenti della precauzione: nuovi rischi, assicurazione e responsabilità, Milano, 2006, 316; A. Querci, Protesi
mediche tra regolamentazione di sicurezza e responsabilità da
prodotto, cit., 308.
(73) Trib. Milano 29 marzo 2005, n. 3520, in Rass. dir. farm.,
2006, 1, 34.
74 Si trattava di un trattamento con Tamoxifene (principio attivo
Kessar), farmaco di sintesi che serve per contrastare gli effetti
dell’ormone estrogeno, in caso di carcinoma mammario, sia dopo l’intervento chirurgico di prima istanza, sia a seguito dell’eventuale recidiva. Esso è usato, inoltre, per il trattamento di numerose altre condizioni patologiche, tra cui anche l’infertilità.
(75) Per una ricostruzione degli orientamenti dottrinari in chiave
storica si rinvia a U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, cit., 472 ss.
(76) La dottrina ha parlato, in proposito, di “boom in preemption
cases”: J.T. O’Reilly, Federal Preemption of State and Local
Law, Chicago, 2006, 3.
(77) Medtronic v. Riegel, Supreme Court of United States, 20
febbraio 2008.
(78) C.M. Sharkey, Products Liability Preemption: An Instituitonal Approach, George Washington Law Review, vol. 76, 2008,
450, nota 449.
(79) J.T. O’Reilly, Federal Preemption of State and Local Law,
cit., 1, così definisce la preemption: «preemption is a doctrine of
American constitutional law under which states and local governments are deprived of their power to act in a given area,
whether or not state or local law, rule or action is in direct conflict with federal law». Sul punto si vedano anche D.A. Fischer,
M. Green, W. Powers, J. Sanders, Products Liability, cit., 489 e
G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato,
cit., 197, il quale evidenzia che «nel contrasto tra la disciplina federale, che rivela un disegno ambizioso ed organico, tendente a
introdurre una legislazione sempre più uniforme, e la legislazione dei singoli Stati in materia di responsabilità extracontrattuale,
deve prevalere la prima».
(80) «This Constitution and the Laws of the United States which
shall be made in pursuance thereof; and all Treaties made, or
which shall be made, under the Authority of the United States,
shall be the Supreme Law of the Land: and the Judges in every
State shall be bound thereby, any Thing in the Constitution or
Law of any State to the contrary notwithstanding». Sul punto si
veda R.A. Epstein e M.S. Greve, Introduction Preemption in
Context, in Federal Preemption, cit., 3 ss.; J.T. O’Reilly, Federal
Preemption of State and Local Law, cit., 30.
(81) Leading Case in materia è costituito da Cipollone v. Liggett
Group, Inc., 505 U.S. 504, 530 n. 27 (1997), ed anche in D.A. Fischer, M. Green, W. Powers, J. Sanders, Products Liability, cit.,
489 ss., in cui si affermò che il Public Health Cigarette Smoking
Act del 1969 expressly preempts le relative azioni di responsabilità. V. anche, a titolo esemplificativo, Geier v. America Honda
Motor Co., 529 U.S. 861 (2000), in cui è stata ritenuta preempted l’azione di un danneggiato, che lamentava l’assenza di airbag
nella propria auto, quale difetto di design. La questione coinvolge tutte le Agenzie regolatorie: la National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), la Consumer Products Safety
Commission (CPSC) e la Federal Railroad Administration (FRA).
Per particolari applicazioni della preemption, v. T.W. Hazlett, Federal Preemption in Cellular Phone Regulation, in R.A. Epstein e
M.S. Greve, Introduction Preemption in Context, Washington
(segue)
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
supposti per affermare che, se un prodotto farmaceutico ha ricevuto l’autorizzazione all’immissione in
commercio da parte della FDA (82), le eventuali
azioni di responsabilità (state common law actions)
nei confronti del produttore dovrebbero essere impedite (preempted), in quanto confliggenti con le
normative di origine federale e con quelle secondarie emanate dalle Agenzie governative (83). La ratio
di tale orientamento è dunque legato alla peculiarità
dell’ordinamento statunitense (84) ed ai rapporti
sussistenti fra governo federale e poteri statali (85),
poiché la materia dei Torts è tradizionalemente di
competenza degli Stati (86).
Prendendo le mosse dalla questione della responsabilità per dispositivi medici (medical devices) difettosi (87), che ha formato oggetto di una recente pronuncia della Corte Suprema (88), bisogna innanzitutto tenere in considerazione il Medical Device
Amendments (MDA) del 1976, che contiene una
“clausola di prevalenza” (“preemption clause”), volta
ad impedire agli Stati di imporre requisiti ulteriori o
differenti da quelli predisposti a livello federale
(89).
Tale atto è stato adottato a seguito di un’imponente
vicenda giudiziale: negli anni sessanta e settanta
vennero messi in commercio numerosi dispositivi
intrauterini (spirali) (90), molti dei quali causarono
gravi infezioni, decessi o comunque non servirono al
loro scopo, procurando nascite indesiderate (wrongful brith) (91). Più di mille cause vennero intraprese
contro i produttori. Risultò così evidente che il sistema di responsabilità delineato dalla Common law
era insufficiente a gestire i rischi connessi ai dispositivi pericolosi e molti Stati adottarono leggi che prevedevano l’approvazione dei medical devices prima
della loro immissione sul mercato (92). Il Congresso
decise allora di introdurre una disciplina uniforme a
livello federale.
A lungo ci si è chiesti se tale normativa dovesse essere interpretata nel senso di impedire l’operatività
di quella statale in tema di product liablity, onde evitare un sostanziale aggiramento della volontà del
Congresso di rimettere alla FDA la determinazione
dei livelli di sicurezza dei medical devices.
In passato, la Corte Suprema, nel leading case Medtronic Inc. v. Lohr (93), si è rifiutata di riconoscere
alle normative secondarie, di competenza delle
Note:
(continua nota 81)
D.C., 2007, 113 ss.; H.L. Scott, Federalism and Financial Regulation, in R.A. Epstein e M.S. Greve, Federal Preemption, cit.,
166 ss. Un interessante caso è costituto da Hillsbourgh County,
Florida v. Automated Medical Laboratories, Inc., 471 U.S. 707
Danno e responsabilità 3/2009
(1985), in cui sono state ritenute non preempted due ordinanze,
emanate dallo Stato della Florida per regolamentare i centri di
raccolta del sangue.
(82) PMA, ossia premarket approval.
(83) Sul punto si vedano C.M. Sharkey, Federalism in Action:
FDA Regulatory Preemption in Pharmaceutical Cases in State
versus Federal Courts, Brooklyn Journal of Law and Policy, XV,
No. 3, 2007, 1013.
(84) Ciò è ben evidenziato da K.W. Starr, Preface, in R.A. Epstein
e M.S. Greve, Federal Preemption, cit., 11 ss.
(85) C.M. Sharkey, Federalism in Action, cit., 1013 evidenzia che
«Federal preemption of state law unequivocally alters the balance between federal and state power… the extent to which a federal statute displaces (or preempts) state law affects both the
substantive legal rules under which we live and the distribution
of authority between the states and the federal government».
(86) D. Vladeck, The Emerging Threat of Regulatory Preemption,
cit., 1, reperibile in rete, sottolinea, in proposito che «historically,
state tort and damages law have served as a background to state and federal regulatory law». V. anche Desiano v. Warner-Lambert Co., 467 F. 3d 85 (2d Cir. 2006): «it has long fallen within the
province of states to safeguard the health and safety of their citizens». G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto
comparato, cit., 187, evidenzia come tuttavia pochi Stati hanno
esercitato il loro potere legiferante su tutti gli aspetti della disciplina dei torts, che è dunque tutt’oggi largamente di common
law.
(87) Su cui si veda, anche per ulteriori spunti comparatistici, A.
Querci, Protesi mediche tra regolamentazione di sicurezza e responsabilità da prodotto, cit., 308 ss.
(88) Medtronic v. Riegel, cit.
(89) Medical Device Amendments 21 U.S.C. § 360 e ss.: «except as provided in subsection b of this section, no State or political subdivision of a State may establish or continue in effect
with respect to a device intended for human use any requirement - 1) which is different from, or in addition to, any requirement applicable under this chapter to the device, and 2) which
relates to the safety or effectiveness of the device or to any
other matter included in a requirement applicable to the device
under this chapter». D. Vladeck, The Emerging Threat of Regulatory Preemption, cit., 6, reperibile in rete, evidenzia peraltro
come questa normativa sia stata introdotta col fine di rafforzare e non diminuire i rimedi in favour del consumatore, e non
possa pertanto costituire il fondamento della tesi della preemption.
(90) Contraceptive uterine devices (IUDs). Circa 2.2 milioni di
donne utilizzarono approssimativamente detti prodotti fra il 1970
ed 1974. In seguito a tali eventi vennero attivate numerose cause, al fine di richiedere compensatory e punitive damages, per
un totale superiore a 400 milioni di dollari.
(91) Su questa tematica, si rinvia ai riferimenti giurisprudenziali e
dottrinali contenuti in A. Querci, Vita indesiderata, ingiusta, non
sana: profili di responsabilità civile, in Familia, 2005, 4-5, 943 ss.
(92) Leflar e Adler, The Preemption Pentad: Federal Preemption
of Products Liability Claims After Medtronic, 64 Tenn. L. Rev.
691, 703, n. 66 (1997).
(93) Medtronic Inc. v. Lohr, 518 U.S. 470 (1997), riportato anche
in L. Noah e B.A. Noah, Law, Medicine and Medical Technology,
cit., 425 ss., su cui si veda il commento critico di R.H. Turner,
Preemption of State Product Liability Claims Involving Medical
Devices: Premarket Approval as a Shield Against Liability, 72
Wash. L. Rev. 963 (1997) e quello favorevole di C.M. Sharkey,
Products Liability Preemption, cit., 466. Sul punto si veda anche
F.C. Woodside e M.L. Korfhage, Medical Devices, in F.C. Woodside, Drug Product Liability, cit., cap. 1, § 9, 65 ss., che ricostruisce tutta la vicenda della preemption in questo particolare
settore.
253
Opinioni
Responsabilità da farmaci
Agenzie amministrative, la capacità esclusiva di determinare ex ante se un prodotto possieda un livello
di sicurezza ottimale, al punto di precludere l’accertamento ex post operato in sede giudiziale. In tale
sofferta decisione, la Corte ha stabilito che l’applicazione della product liability statale non fosse inclusa nella federal preemption, sul presupposto che il pur
rigoroso processo di controllo delegato dalla normativa federale alla FDA non garantisse un livello specifico di sicurezza sul singolo esemplare di apparecchiatura medicale (nella specie un pace-maker).
La stessa Corte ha, peraltro, adottato un diverso
punto di vista nel caso Buckman Co v. Plaintiffs’Legal
Committee’s (PLC) (94), in cui si è ritenuto che
spetti alla FDA punire le frodi ed inoltre che debba
essere riservata alla stessa la competenza di effettuare, in sede di approvazione di un nuovo dispositivo,
il bilanciamento fra effettività, sicurezza e necessità
dello stesso. Utilizzando lo strumento della preemption sono state, pertanto, considerate inammissibili
le azioni di responsabilità proposte sulla base del fatto che l’autorizzazione in commercio era stata ottenuta a seguito di una rappresentazione fraudolenta
della realtà da parte del produttore (95). Nel caso di
specie, numerose persone avevano subito danni a seguito dell’impianto di un chiodo ortopedico nella
colonna vertebrale, dispositivo approvato sulla base
della falsa rappresentazione che esso sarebbe stato
utilizzato solo per gli arti.
Tali principi sono stati ulteriormente portati avanti
dalla recente decisione Riegel v. Medtronic (96), che
ha rigettato la domanda di risarcimento danni da
parte di un paziente che aveva subito un arresto cardiaco, a seguito dell’inserimento di un catetere per
la dilatazione dell’arteria coronarica. La Suprema
Corte ha affermato che: «common law causes of action for negligence and strict liability impose requirements and would be preempted by federal requirements
specific to a medical device» e che, pertanto, i produttori di medical devices devono andare immuni da responsabilità sotto l’egida della approvazione da parte della FDA (97). Il ragionamento seguito dai giudici è condizionato da considerazioni di cost-benefits
analysis: il costo dei danni cagionati dai dispositivi
approvati dalla FDA è ritenuto pur sempre inferiore
rispetto a quello connesso alle sofferenze patite in
assenza dei nuovi medical devices, che si potrebbero
concretizzare se si applicassero le tort law dei cinquanta Stati a tutte le innovazioni (98).
Questo orientamento è, peraltro, piuttosto rischioso
per i consumatori, se solo si considera che ai sensi
del § 510 (K) dello MDA non è necessaria una specifica approvazione se si tratta di un dispositivo so-
254
stanzialmente equivalente ad uno già immesso in
commercio (“substantially equivalent” exception);
prassi a cui la FDA ricorre con frequenza (99). In
ogni caso, i medical devices sono poi approvati dopo
sperimentazioni che coinvolgono necessariamente
un numero limitato di pazienti, e non è possibile effettuare, a differenza dei farmaci, test col placebo o
che coinvolgano soggetti sani (100).
Non sono mancate, comunque, prese di posizione di
segno contrario, quali quella del giudice R. Bader
Ginsburg (101) che con la sua dissenting opinion ha
sottolineato come la normativa del 1976 sia volta ad
Note:
(94) Si tratta di un caso coinvolgente un migliaio di attori. Buckman Co. v. Plaintiffs’Legal Committee’s, 531 U.S. 341 (01) 437,
riportato anche in L. Noah e B.A. Noah, Law, Medicine and Medical Technology, cit., 437 ss. su cui si veda C.M. Sharkey, The
Fraud Caveat to Agency Preemption, Northwestern University
Law Review, vol. 102, No. 2, 2008, 3 ss., reperibile anche in rete in http://ssrn. com/abstract=1020722.
(95) Conformi Ledbetter v. Merck & Co., 2007 WL 1181991 (Tex
Dist. April 20, 2007), concernente un’ipotesi di attacco di cuore
causato dall’assunzione di un medicinale; Baycol Product Liabilty
Litigation, 495 F. Supp. 2d 977 (D. Minn. 2007), in cui, in un caso
di danni renali causati da un medicinale approvato a seguito di
informazioni fraudolente date all’FDA, i giudici non ritennero
neppure di sentire i testimoni; Aredia & Zomenta Products Liability Litigation, 2008 WL 913087 (M.D. Tenn. Apr. 2, 2008). Contra, Desiano v. Warner Lambert & Co. cit. supra e infra.
(96) Supreme Court of United States, 20 febbraio 2008, su cui si
veda L. Greenhouse, Justice Shield Medical Devices from Lawsuits, in The New York Times, 21 febbraio 2008; D.E. Troy, The
Case for FDA Preemption, cit., 101.’
(97) C.M. Sharkey, What Riegel Portends for FDA Preemption of
State Law Products Liability Claims, in Northwestern University
Law Review (21 July 2008), reperibile in rete, alla pagina
http://colloquy.law.northwestern. edu/main/2008/07/what-riegel-por.htm, 2, evidenzia che la soluzione diversa rispetto a Lhor,
adottata in questo caso, dipende anche dal fatto che qui si è ravvisata un’ipotesi di preemption espressa («the statute itself
speaks clearly to the point at issue»), mentre in Lhor si era rilevata una «”substantial ambiguity” in the statute».
(98) «The cost of injuries from Food and Drug Administration-approved medical devices was outweighed by solicitude for those
who would suffer without new medical devices if juries were allowed to apply the tort law of 50 States to all innovations…a
jury, on the other hand, sees only the cost of a more dangerous
design, and is not concerned with its benefits; the patients who
reaped those benefits are not represented in court».
(99) Nel 2005, ad esempio, la FDA si è avvalsa del § 510 (k) in
3.148 casi, ed ha approvato espressamente solo 32 dispositivi.
Anche nel caso Riegel v. Medtronic si è verificata una tale situazione.
(100) D. Vladeck, The Emerging Threat of Regulatory Preemption, cit., 7. Si pensi, ad esempio, al caso della valvola cardiaca
St. Jude Silzone. Solo dopo la messa in commercio si scoprì che
la stessa provocava infezioni. Le cause intentate contro il produttore resero noto il rischio e costrinsero il produttore a ritirare
la valvola dal mercato, ma essa, nel frattempo, era stata impiantata a ben 36.000 pazienti. St. Jude, Inc. Silzone Heart Valves
Prod. Liab. Litig., 2004 WL 45503 (D. Minn. Jan. 5, 2004).
(101) Tale opinione è stata espressa nel caso Riegel v. Medtronic, sopraccitato.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
aumentare e non già a diminuire le tutele concesse
ai consumatori e come la regolamentazione di sicurezza e la responsabilità debbano operare su piani distinti, poiché «regulation cannot protect against all
possible injures that might result from use of device over
time» (102).
La questione della preemption è ancora più delicata e
discussa con riferimento ai medicinali.
La normativa di riferimento è costitutita dal Food,
Drug and Cosmetic Act del 1906 (FDCA) (103), che,
a differenza del MDA sopra esaminato, non contiene previsioni che possano essere interpretate alla
guisa di una express preemption (104), con la conseguenza che ci si è domandati se esso possa comunque
costituire un implicito (105) ostacolo alle azioni di
responsabilità fondate sulla legge statale, con particolare riferimento alle state failure to warn claims.
La FDA, inizialmente restia a sostenere la preemption (106), ha di recente mutato il proprio iniziale
orientamento (107), tramite l’approvazione del cosiddetto “Preemption Preamble” (108), che stabilisce:
«under existing preemption principles, FDA approval of
labeling under the act, whether it be in the old or new
format, preempts conflicting or contrary state law»
(109).
La dottrina ha rilevato che tale provvedimento costituisce solo “la punta di un iceberg” e che, così facendo, si sta realizzando una riforma silenziosa della
tort law (110).
Ne è conseguita una divergenza di tesi giurisprudenziali (111), che coinvolge sia le Corti statali, generalmente più diffidenti a riconoscere la preemption,
che quelle federali, al contrario più favorevoli verso
questo istituto (112).
In Colacicco v. Apotex (113), ad esempio, si è ritenuNote:
(102) Tale tesi è stata sostenuta, a livello politico, altresì dal senatore Edward M. Kennedy, Democratico del Massachusetts,
che ha invitato il Congresso a provvedere, sottolineando come lo
scopo della legge non fosse quello di creare un’immunità a favore dei produttori.
(103) Tale atto ha subito successive modifiche nel 1938, nel
1962 e nel 1997. Sul punto, si veda T.H. Bleakley e F.C. Woodside, FDA Regulations and Recalls, in F.C. Woodside, Drug Product Liability, cit., cap. 1, § 8, 3.
(104) Salvo che per i medicinali non soggetti a prescrizione medica (OTC), per i quali nel 1997 il Congresso ha stabilito che,
escluse espresse eccezioni, nessuno Stato possa stabilire o
mantenere in auge requisiti in aggiunta, o comunque non identici a quelli disposti dalla FDA: National uniformity for Nonprescription Drugs and Preemtion for Labeling or Packaging of Cosmetics, 21 U.S.C.S, § 39r (a) (2). Tuttavia, esso dispone che restano escluse da tale previsione le azioni di responsabilità statali (lett. f). Nonostante ciò, molte Corti sostengono comunque l’operare della preemption: si veda, ad esempio, Kanter v. WarnerLambert Co., 99 Cal. App. 4th 780, 790-795, 122 Cal. Rptr. 2d 72
(2002); Contra Peters v. Astrazeneca, LP, 417 F. Supp. 2d 1051,
Danno e responsabilità 3/2009
2006 U.S. Dist. LEXIS 8990, at *7-*13 (W.D.Wis. 2006). Per approfondimenti, M.A. Fetters, Liability for Over-the-Counter
Drugs, in F.C. Woodside, Drug Product Liability, cit., cap. 1, § 8a,
19 ss.
(105) La preemption può, infatti, essere sia espressa che implicita. Quest’ultima ipotesi si verifica quando la struttura o gli
obiettivi di una legge federale implicitamente preempt la legge
statale in quel campo. Cfr. J.T. O’Reilly, Federal Preemption of
State and Local Law, cit., 65; T.H. Bleakley e F.C. Woodside,
FDA Regulations and Recalls, cit., 87.
(106) D. Vladeck, The Emerging Threat of Regulatory Preemption, cit., 1, ben evidenzia in proposito che «in making these propreemption determinations, the agency is repudiating longstanding agency policy to the contrary».
(107) J.T. O’Reilly, Federal Preemption of State and Local Law,
cit., 135, sottolinea come un mutamento di posizione sia avvenuto a partire dal 1996, a seguito del sopra esaminato caso Lohr.
A partire dal 2001, la FDA ha spesso esercitato un intervento volontario nelle cause di responsabilità civile, mentre prima di tale
data non era parte in causa se non espressamente chiamata.
(108) Emanato il 18 gennaio 2006 ed entrato in vigore il 30 giugno 2006. Esso è anche significativamente chiamato “regulatory
time bomb”.
(109) Requirements on Content and Format of Labeling for Human Prescription Drug and Biological Products, 71 Fed. Reg.
3934 (Jan. 24, 2006), su cui si vedano C.M. Sharkey, Federalism
in Action, cit., 1019; Id., Preemption by Preamble, cit., 227 ss.;
R.N. Weiner, Preemption and the FDA Preamble, in G.W. Evans
e D.E. Troy, Pharmaceutical Law, Across the Product Life Cycle,
New York, 2006, 847 ss.
(110) C.M. Sharkey, Preemption by Preamble, cit., 227 ss., parla
di “blackdoor federalization”. Simili Preambles sono stati adottati anche da altre Agenzie federali, in particolare dalla CPSC e dalla NHTSA.
(111) Secondo la regola della Chevron deference bisogna attribuire rilevanza alle interpretazioni dell’Agenzia solo se il Congresso non ha espressamente disciplinato la singola questione e
tale interpretazione è fondata su una possibile ricostruzione dello statuto. Chevron U.S.A. Inc. v. Natural res. Def. Council, 467
U.S. 837, 842-43 (1984). Secondo la Skidmore deference, invece, si deve tener conto di detta interpretazione solo se essa persuade la giuria. Skidmore v. Swift & Co., 323 U.S. 134 (1944).
(112) C.M. Sharkey, Federalism in Action, cit., 1017 ss., che riferisce di uno studio operato su 300 casi di responsabilità da prodotto e reperibile in rete: K.N. Hylton, Preemption and Products
Liability: A Positive Theory, 20 (Aug. 2006), reperibile in rete, alla
pagina http://ssrn. com/abstract=433661.
(113) 432 F. Supp. 2d 514, Civ. Action No. 05-5500 (E.D. Penn.
May 25, 2006), su cui si veda C.M. Sharkey, Federalism in Action, cit., 1033. Si tratta del primo caso in cui si è preso in esame
il “Preemption Preamble”. In tale occasione la FDA, chiamata a
spiegare le finalità del Preamble, ha affermato che i propri standards sono ottimali e non già minimali. Tale decisione ha trovato
ulteriori conferme in giurisprudenza: Colacicco v. Apotex, Inc., F.
3d, 2008 WL 927848 (3d Cir. April 8, 2008). Accolgono la tesi della preemption anche Ackermann v. Wyeth Pharmaceuticals,
2006 WL 2591078 (Mag. E.D. Tex. Sept. 6, 2006); Price v. Cook,
2007 WL 2154766 (W. Va Cir. July 9, 2007); Tucker v. Smithkline
Beecham Corp., 2007 WL 2726259 (S.D. Ind. Sept. 19, 2007);
Dobbs v. Wyeth Pharmaceuticals, 530 F. Supp. 2d 1275 (W.D.
Okla. 2008); O’Neil v. Smithkline Beecham Corp., 2008 WL
275782 (E.D. Cal Jan 30, 2008); Miller v. Smithkline Beecham
Corp., 2008 WL 510449 (N.D. Okla. Feb. 15, 2008); White v.
Smithkline Beecham Corp., F. Supp. 2d, 2008 WL 612354 (W.D.
Mich. March 6, 2008), anch’esse attinenti a casi di suicidio; Abramowitz v. Cephalon, Inc., 2006 WL 560636 (N.J. Super. March 3,
2006), relativa ad un caso di caduta di denti a seguito dell’assun(segue)
255
Opinioni
Responsabilità da farmaci
to che l’approvazione del foglietto illustrativo (warning) da parte della FDA impedisse di intentare una
causa nei confronti del produttore per ottenere il risarcimento dei danni (114). Si è, infatti, affermato
che il “Preemption Preamble” può applicarsi anche
retroattivamente, poiché esso non introduce nuovi
principi, bensì chiarifica l’esistenza di una norma già
nota (115). Nel caso di specie, una donna si era tolta la vita a seguito dell’assunzione di farmaci antidepressivi, e suo marito aveva agito in giudizio lamentando che la casa farmaceutica non aveva adeguatamente informato dell’aumento dei rischi di suicidio
associati al medicinale (116).
In un’ipotesi analoga, Jackson v. Pfizer (117), al contrario, nessuna rilevanza è stata data al “Preemption
Preamble” ed è stata accolta la domanda risarcitoria
dei genitori di un giovane che aveva commesso suicidio a seguito dell’assunzione associata di due medicinali. Nel caso in specie, si è infatti sostenuto che
gli standards di etichettatura previsti dalla FDA rappresentano solo i requisiti minimi, ed il produttore è
abilitato ad aggiungere ulteriori informazioni.
Similmente, nei recenti casi Vioxx (118), la Suprema Corte del New Jersey (119) e la United States District Court for the Eastern District of Louisiana (120),
Note:
(continua nota 113)
zione di un medicinale; Gourdine v. Crews, 2006, WL 5277412
(Md. Cir. June 28, 2006), concernente un’ipotesi di ipoglicemia
connessa all’uso di insulina; Bextra & Celebrex Marketing Sales
Practices & Products Liability Litigation, 2006 WL 2374742 (N.D.
Cal. Aug. 16, 2006), su un caso di rischio cardiovascolare non
adeguatamene segnalato; Conte v. Wheyth. Inc., 2006 WL
2692469 (Cal. Super. Sept. 14, 2006) e 2006 WL 3939262 (Cal.
Super. Sept. 14, 2006), in un’ipotesi di reflusso gastroesofageo;
Brockert v. Wyeth Pharmaceuticals, 2007 WL 2077554 (Tex. Dist. Jan. 31, 2007), relativa ad un caso di attacco di cuore causato dall’uso del Prempro; Sykes v. Glaxo-Smithkline, 484 F. Supp.
2d 289 (E.D. Pa 2007), concernente un’ipotesi di danni neurologici conseguenti all’assunzione del Thinerosal; Pennsylvania Employees Benefit Trust Fud v. Zeneca, Inc., 499 F. 3d 239 (3d Cir.
2007), in un’ipotesi di false avvertenze nell’etichettatura; Sykes
v. Bayer Pharmaceutical Corp. Action No. 3.07-CV-660 (E.D. Va.
Feb. 12, 2008), concernente un caso di insufficiente informazione relativa a gammaglobuline; Longs v. Wyeth, F. Supp. 2d, 2008
WL 542387 (N.D. Ohio Feb. 28, 2008), in un caso di ipertensione polmonare. In tutti i questi casi si afferma che le azioni di responsabilità sono impedite da un implicito conflitto di preemption. Solo in alcuni di essi si invoca peraltro espressamente il
“Preemption Preamble”. In Prohias v. Pfizer, Inc., 490 F. Supp.
2d 1228 (S.D. Fla 2007), invece, si sostiene l’implicito conflitto
con la preemption a partire dal 2004, e non prima, in un caso di
informazioni false contenute nel bugiardino.
(114) «When Congress passed the Food, Drug and Cosmetic
Act…, it vested FDA with authority to regulate the specifics of
drug labelling, making important judgments of what is required
for safety of the consuming public, what new drugs may appear
in the marketplace, and what warnings their instructions and labels must carry».
(115) Colacicco v. Apotex, cit., at 28.
256
(116) Oggi la FDA richiede l’inserimento di dettagliate informazioni con riferimento agli antidepressivi. In passato, però essa ha
rifiutato, in ben tre occasioni, di prendere provvedimenti in proposito. Solo alla fine del 2004 è stato riconosciuto il rischio associato a questi farmaci. FDA, “Public Health Advisory: Worsening
Depression and Suicidality in Patients Being Treated with Antidepressant”, March 22, 2004, reperibile in rete, alla pagina:
http://www.fda.gov/cder/drug/antidepressant/AntidepressantPHA.htm.
(117) 432 F. Supp. 2d. 964 (D. Neb. 2006), su cui si veda C.M.
Sharkey, Federalism in Action, cit., 1045. Conformi, LaisureRadke v. Par Pharmaceutical, Inc., 2006 WL 901657 (W.D. Wash. March 29, 2006), Jackson v. Pfizer, Inc., 432 F. Supp. 2d. 964
(D. Neb. 2006), McNellis v. Pfizer, Inc., 2006 WL 2819046 (D.N.J
Sept. 29, 2006), Collins v. Smithkline Beecham Corp., 2008 Phila. Ct. Com. Pl LEXIS 57 (Pa C.P. March 11, 2008), tutte relative
a casi di suicidio, agevolato dall’assunzione del Prozac o di altri
farmaci antidepressivi; Diet Drugs Products Liability Litigation
(Mingus), 2006 WL 1071545 (E.D. Pa Apr. 21, 2006), concernente un caso di ipertensione polmonaria causata da un farmaco dietetico; Kelly v. Wyeth, 2007 WL 1302589 (Mass. Super. April 12,
200); Barnhill v. Teva Pharmaceuticals USA, Inc., 2007, U.S., Dist. LEXIS 44718 (D. Ala April 24, 2007), relativa alla sindrome di
Stevens Johnson cagionata da un farmaco anticefalea; Zyprexa
Products Liability Litigation, 489 F. Supp. 2d 230 (E.D.N.Y. 2007),
concernente gli effetti collaterali (iperglicemia e diabete) del farmaco Zyprexa; Giles v. Wyeth, Inc., 500 F. Supp. 2d 1063 (S.D.
Ill. 2007); Sarli v. Mylan Bertek Pharmaceuticals, Inc., 2007 WL
2111577 (M.D.N.C. July 19, 2007) attinente un’ipotesi di danni
alla persona non meglio specificati; Duson v. Mcneil-PPC, Inc.,
2007 WL 3052315 (Pa. C.P. Sept. 12, 2007) in un caso di assunzione mortale di un farmaco. In tutte queste sentenze si rigetta
la preemption defence, affermando che non sussiste un implicito conflitto fra la legge statale e federale; spesso non si prende
in considerazione il “Preemption Preamble”.
(118) Su cui si vedano M. Gilhooley, Addressing Potential Drug
Risks: The Limits of Testing, Risk Signals, preemption, and the
Drug Reform Legislation, 59 South Carolina Law Review, 2008,
347, 5 ss., reperibile in LEXIS NEXIS; G. Guerra, Regole e responsabilità in nanomedicina, cit., 254 ss. Si tratta di un medicinale antinfiammatorio, che si scoprì comportare rischi all’apparato cardiovascolare. La FDA raccomandò l’inserimento del relative avvertimento solo dopo che il prodotto era stato ritirato volontariamente dal mercato.
(119) Doherty v. Merck & Co., Inc., No. ATL-L-638-05-MT (N.J.
Super. June 9, 2006), su cui si vedano C.M. Sharkey, Federalism
in Action, cit., p. 1035 ss.; Mc. Darby v. Merck & Co., Inc.,
Docket No., A-0076T1, A-0077-07T1, 29 May 2008, N.J. Super
LEXIS 116. In quest’ultimo caso si è affermato che il riconoscimento dei danni compensatori, secondo quanto previsto dal PLA
(New Jersey Product Liability Act), non è preempted dal FDCA,
mentre la preemption opera con riferimento ai danni puntivi.
(120) Arnold v. Merck &Co., No. 5-2627; Gomez v. Merck & Co.,
Inc., No. 05-1163, 501 F. Supp. 2d 776; 3 July 2007 U.S. Dist. LEXIS
48367. Per un ulteriore casistica relativa al farmaco Vioxx cfr. Kennedy v. Merck & Co. (2003) 2003 Ohio 3774; Ernst v. Merck & Co.,
No. 199961-Bh02 (Jud. Dist. Ct. Brazoria County, Tex., Aug. 19,
2055), sentenza storica per quanto attiene l’ammontare della condanna, poiché la casa farmaceutica è stata condannata a pagare la
somma di 235 milioni di dollari, alla vedova di un uomo deceduto
per arresto cardiaco dopo l’assunzione del farmaco; Humeston v.
Merck & Co., No. ATL-L-2272-03-MT (Super Ct., Atlantic County,
N.J. Nov. 3, 2005); Mc Darby v. Merck & Co., No. ATL-L-3553-05
(Super. Ct. Atlantic County, N.J., Apr. 11, 2006); Graza v. Merck &
Co., No. DC-03-841 (Jud. Dist. Ct., Starr County, Tex., Apr. 21,
2006); Dedrick v. Merck & Co., No. 2. 05CV2524 (U.S. Dist. Ct.,
E.D. La, Dec. 13, 2006), riportati in R.M. Patterson e P.C. Holey,
Drugs in Litigation, cit., R-20 ss., i quali evidenziano come nel 2006
vi fossero 2600 azioni pendenti con riferimento a tale medicinale;
F.C. Woodside, Illustrative Awards and Settlements, in F.C. Woodside, Drug Product Liability, cit., IV, cap., 40, 40 ss.
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
non solo hanno rigettato la preemption defence, ma
hanno anche affermato che nessun valore vincolante deve essere attribuito al Preamble, in quanto privo
di forza di legge (121). Né tale posizione è isolata
nella giurisprudenza, che già antecedentemente ha
affermato: «the FDA’s statement deserves no reference»
(122).
Di estremo interesse è, inoltre, la sentenza Desiano
v. Warner-Lambert & Co. (123) (estensore G. Calabresi). In tale caso, si è invocato l’operare della “presumption against preemption”, secondo la quale i poteri statali non sono preempted da quelli federali, salvo
nei casi in cui vi è un manifesto proposito del Congresso in tal senso (124). Si è inoltre negato che dovessero trovare applicazione i principi affermati in
Buckman (125), poiché essi riguardano solo le ipotesi in cui sia stata promossa una causa basata unicamente sulla frode esercitata dal produttore nei confronti dell’agenzia (“fraud-on-the-FDA claim”), mentre nella specie potevano rinvenirsi gli estremi di
una “traditional common law claim”.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul medesimo caso (126), non ha accolto l’invito delle
aziende farmaceutiche di vietare le cause promosse
dai pazienti danneggiati dall’assunzione di farmaci
insicuri. Questa decisione è stata peraltro adottata
con “tie vote” (quattro voti favorevoli e quattro contrari), cosa che la rende priva di valore di precedente vincolante.
La Corte è stata, pertanto, nuovamente investita
della questione nel caso Wyeth v. Levine, tuttora in
decisione (127). La controversia concerne una donna, che ha perduto una mano e l’avambraccio a causa della cancrena, cagionata dall’uso del farmaco
Phenergan, prescrittole al fine di alleviare la nausea
causatale dalle frequenti emicranie.
Poiché le tradizionali modalità di somministrazione
del farmaco non avevano dato alcun esito, il medico
decise di praticare il metodo “IV Push”, ossia un’iniezione intra-venosa, per iniettare il farmaco. La
sostanza venne però a contatto con le arterie provocando i suddetti esiti infausti: l’informativa allegata
al prodotto non avvertiva, peraltro, adeguatamente
di tali possibili rischi.
La questione da risolvere è, dunque, ancora una volta, se l’approvazione da parte della FDA possa esonerare da responsabilità il produttore, anche se il foglio illustrativo allegato al farmaco non contenga
informazioni sufficienti od adeguate.
Nei precedenti gradi di giudizio sono stati riconosciuti all’attrice ben 6,8 milioni di dollari.
La decisione della Corte Suprema è attesa per i primi mesi del 2009 (128), ed è di estrema importanza
Danno e responsabilità 3/2009
poiché essa sancirà se la preemption possa o meno
giocare un ruolo determinante nel campo della responsabilità da farmaci, così com’è avvenuto per i
dispositivi medici.
La rilevanza della pronuncia è evidenziata anche
dai numerosi “Brief for the United States Amicus
Curiae” che sono stati presentati in due diverse fasi nelle more del processo, dapprima per supportare la tesi dell’attore (129) e, a partire dal mese di
Note:
(121) Conformi, McNellis v. Pfizer, Inc., cit.; Weiss v. Fujisawa
Pharm. Co., 464 F.Supp. 2d 666, 673-74 (E.D. Ky. 2006). C.M.
Sharkey, Federalism in Action, cit., 1040 evidenzia che «technically, the preamble is a regulatory advisory opinion».
(122) Levine v. Wyeth, A. 2d, 2006 WL 3041078 (Vt. Oct. 27,
2006).
(123) Desiano v. Warner Lambert & Co., cit., su cui si veda C.M.
Sharkey, The Fraud Caveat to Agency Preemption, cit., 12 ss. e
Id., Products Liability Preemption, cit., 509. Nella specie, ci si domandava se la legge del Michigan, che immunizza i produttori da
responsabilità, salvo nelle ipotesi di frode, fosse preempted dalla normativa federale. L’attore lamentava danni causati dall’assunzione del Rezulin, un farmaco utilizzato per la cura del diabete. Dopo il verificarsi di serie reazioni avverse la FDA autorizzò
cambiamenti nelle avvertenze ed, infine, il ritiro del prodotto dal
mercato.
(124) Si afferma infatti che: «because the States are independent sovereigns in our federal system, we have long presumed that Congress does not cavaliery preempt state-law of
action». Le Corti hanno per lungo tempo sostenuto la sussistenza di tale presunzione, più forte per determinate materie,
come la sicurezza e la salute pubblica, che storicamente venivano supervisionate dagli Stati. Si veda, anche di recente, McNellis ex rel. De Angelis v. Pfizer, Inc, No. Civ. 05-1286 (JBS),
2006 WL 2819046, at * 5 (D.N.J. Sept. 29, 2006). Sul punto,
cfr. J.T. O’Reilly, Federal Preemption of State and Local Law,
cit., 7.
(125) Buckman Co. v. Plaintiffs’Legal Committee’s (PLC), cit.
(126) Warner-Lambert Co. v. Kent, 128 S. Ct. 1168 (2008), su cui
si veda C.M. Sharkey, The Fraud Caveat to Agency Preemption,
cit., 3. L’attore era, nel frattempo, deceduto a causa dei danni
causatigli dal medicinale, e la figlia gli era succeduta nel processo. Sul punto si veda anche il Brief of Amicus Curiae AARP in
Support of Respondents, On Writ of Certorari to the United States Court of Appeals for the Second Circuit, gennaio 2008, redatto da D. Vladeck, il quale sostiene la decisione assunta nel caso Desiano, evidenziando in particolare che «The job of compensating people injured through the fault of others has historically been the exclusive province of state tort law».
(127) Su cui si veda C.M. Sharkey, Products Liability Preemption,
cit., 507; G. Guerra, Regole e responsabilità in nanomedicina,
cit., 258.
(128) Nel mese di novembre i giudici pronunceranno e stenderanno gli Arguments su cui poi verrà presa la decisione definitiva.
(129) Nel dicembre 2007, così si è espresso il Solicitor General.
Cfr.
www.justice.gov/osg/briefs/2007/2pet/6invit/20061249.Ret.ami.inv.html; conformi sono stati i pareri espressi dalla
Camera di Commercio (in www.uschamber.com/nclc/wyethamicus-pr.htm) e da un gruppo di economisti e di giuristi (E.R.
Berndt, R.W. Halm, T. Philipson, P.H. Rubin, W.K. Viscusi, in
http://ssrn. com/abstract=1142997), rispettivamente il 3 e l’11
giugno 2008.
257
Opinioni
Responsabilità da farmaci
agosto, per sostenere l’opinione anti-preemption
(130).
Occorre, poi, ricordare che, a seguito degli esaminati casi giurisprudenziali, il Congresso ha adottato un
recente provvedimento (131), chiamato FDA
Amendments Act (FDAAA) (132), al fine di incrementare i poteri della FDA, specie nel post-approval
period, concedendo alla stessa l’autorità di imporre ai
produttori ricerche addizionali (133). È discusso se
tale atto rinforzi o meno la teoria della preemption
(134).
Ci si potrebbe infine chiedere se, in questi casi,
non possa ravvisarsi almeno una responsabilità della FDA e del Governo, per negligenza nei controlli (135), in analogia a quanto accade nel nostro
paese nei confronti del Ministero della Salute
(136).
Esaminando la casistica giurisprudenziale, si rinvengono rari casi (137) in cui tale responsabilità è stata
riconosciuta, anche se, in prevalenza, con riferimento ad ipotesi di vaccini, ove l’intervento pubblico è
comunque più significativo (138). Questa casistica
costituisce, comunque, un’eccezione e non una regola.
Nel caso dell’Oral Polio Vaccine (OPV) e del Sabin
Vaccine (139), è stata esclusa la responsabilità dell’Agenzia, con la motivazione che essa aveva violato solo norme dalla stessa emanate. Si è ritenuto,
inoltre, insussistente il nesso causale, soffermandosi
su una mera cause-in-fact e non sulla proximate cause
(140), ed affermando che la condotta tenuta dal
Governo non era la causa diretta del danno e che
l’attore avrebbe dovuto dimostrare che non avrebbe
contratto la malattia se il vaccino avesse rispettato i
neurovirulence requisits.
In più occasioni (141), è stata poi negata la responsabilità degli United States, per non essersi adoperati
a rafforzare i federal standards. La motivazione principale di queste decisioni di rigetto si basa sulla tesi
discrezionalità della Pubblica Amministrazione (discretionary function exception), che invece, nello specifico campo delle trasfusioni e degli emoderivati, è
stata progressivamente superata dalla nostra giurisprudenza (142).
Negli USA, si afferma, infatti, che la valutazione
della FDA non riguarda “merely scientific tasks”
Note:
(130) Tutti i brief presentati, in Support of Petitioner or of Respondent, sono pubblicati in http://www.scotuswiki.com/index.php?title=Wyeth_v._Levine. Per un commento, cfr. l’articolo apparso sul The Wall Street Journal il 13 agosto 2008, e reperibile in druganddevicelaw.blogspot.com/2008/08/todays-wsjon-wyeth-v-levine.html.
258
(131) Esso è stato emanato a seguito degli studi effettuati dallo
Insistitute of Medicine of the National Academies (IOM) on the
Future of Drug Safety (IOM Report).
(132) Food and Drug Administration Amendments Act of 2007,
Pub. L. 110-85, 120 stat. 823, su cui si veda C.M. Sharkey, The
Fraud Caveat to Agency Preemption, cit., 23 ss.; Id., Products
Liability Preemption, cit., 505; P.B. Hutt, The State of Science at
the Food and Drug Administration, in FDA Science and Mission
at Risk: Report of Subcommittee on Science and Technology
app. B, at B-5 (2007), reperibile in rete, alla pagina
http://www.fda.gov/ohrms/dockets/ac/07?briefing/20074329b_
02_02_FDA%20Report%20Appendices%20A-K.pdf; M. Gilhooley, Addressing Potential Drug Risks, cit., 347.
(133) Tale provvedimento aumenta i poteri sanzionatori della
FDA e conferisce alla stessa il compito di risolvere le procedure
arbitrali concernenti l’approvazione di un nuovo prodotto. Si prevede, inoltre, l’istituzione di un sito, ove vengano pubblicate le
recensioni negative dei farmaci e le procedure di revisione dell’approvazione in corso presso la FDA. Si parla in proposito di
“active surveillance system”.
(134) In tal senso, D. Vladeck, The Emerging Threat of Regulatory Preemption, cit., 505. Contra M. Gilhooley, Addressing Potential Drug Risks, cit., 18.
(135) Su questa problematica si veda F.C. Woodside, Concepts
and Relationships Underlying Injuries Involving Drug or Medical
Devices - An Overview for the Practitioner, in F.C. Woodside
Drug product Liability, cit., cap. 1, 25 ss.
(136) Cass. 6 aprile 1998, n. 3553, in Foro it., Rep., voce Responsabilità civile, n. 230; Trib. Roma 27 novembre 1998, in questa Rivista, 1999, 214; App. Roma 4 ottobre 2000, in questa Rivista, 2001, 5, 1067, con nota di U. Izzo; Trib. Roma 14 giugno
2001, in Corr. giur., 9, 2001, 1204 ss., ed in Nuova giur. civ.
comm., 2002, 559 ss.; Trib. Roma 19 dicembre 2002, in Resp.
civ. prev., 2003, 830 ss.; Trib. Roma 29 agosto 2005, n. 18523 e
Cass. 31 maggio 2005, n. 11609, in questa Rivista, 2006, 3, 269
con nota di M. Capecchi, Note in tema di illecito omissivo e di S.
Corongiu, Danno da trasfusioni di sangue infetto: il Ministero è
responsabile per omessa vigilanza fin dai primi anni settanta;
Trib. Roma 31 agosto 2005, in Foro it., 2006, I, 793, e, da ultimo,
Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, nn. 581 e 584, citt.
(137) Griffin v. United States, 351 F. Supp., 10, 26 (E.D. Pa. 1972)
in cui è stata affermata la responsabilità per negligenza del Bureau of Biologics of the National Institute of Health, che aveva
approvato la somministrazione di un vaccino antipolio anche nelle persone adulte. Significativo è il caso Berkovitz v. United States, 486 U.S. 531 (1988), pubblicato anche in L. Noah e B.A.
Noah, Law, Medicine and Medical Technology, cit., 444 ss., in
cui si è ritenuto che non si vertesse in tema di atti discrezionali,
poiché nonostante fosse stata adottata una politica volta ad evitare la distribuzione di prodotti infetti, non erano stati rispettati i
doverosi standards di sicurezza.
(138) Nel 1976, il Governo attuò un programma di vaccinazioni
per affrontare l’emergenza causata da un’influenza pandemica.
Per proteggere i produttori, il Congresso adottò un emendamento allo FDCA, che permetteva di agire nei confronti del Governo. A seguito del verificarsi della sindrome di Guillain-Barre in
molti degli assuntori del vaccino, quest’ultimo ha dovuto sostenere una spesa di 100 milioni di dollari in cause legali.
(139) United States v. St. Louis Univ., 336 F. 3d 294, 303-304
(3th cir. 2003).
(140) Critico F.C. Woodside, Concepts and Relationships Underlying Injuries Involving Drug or Medical Devices, cit., cap. 1,
26.
(141) V. ad esempio, Gelley v. Astra Pharm. Prods, Inc., 466 F.
Supp., 182, 184 (D. Minn. 1979); Johnson v. National Transportation Safetety Board, 979 F. 2d 618, 720 (7th Cir. 1992).
(142) Cfr. La giurisprudenza citata alla nota 147.
Danno e responsabilità 3/2009
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Responsabilità da farmaci
(143), ma implica valutazioni di natura politica, invocando il Federal Torts Claims Act (144), che prevede un’immunità qualora vengano in gioco funzoni
discrezionali.
La battaglia delle idee: sicurezza e danno
da prodotti farmaceutici
Per comprendere a fondo l’evoluzione giurisprudenziale in materia, occorre ancora approfondire le ragioni che stanno alla base della tesi “pro-preemption”
e “contra-preemption”.
Nel primo caso, si invocano innanzitutto motivazioni di politica del diritto, volte ad evitare la “retrospective jury nullification of FDA regulations” (145). Si
sostiene infatti che, permettendo ai giudici di affermare che un prodotto, ritenuto sicuro dalla FDA, è
invece unsafe, si interferisce nel potere dell’Agenzia
di effettuare il bilanciamento rischi-benefici (146).
Si afferma, inoltre, che la responsabilità civile sarebbe controproducente al fine di aumentare la sicurezza dei prodotti: «Where the manufacturer has complied
with the FDCA and its implementing regulations, tort
law does not appear to have significant ability to generate safer drugs» (147).
Secondo quest’angolo visuale, infatti, le frequenti
condanne di responsabilità indurrebbero i produttori ad inserire avvertenze eccessive e non provate
(148), cagionando così nel pubblico il timore di assumere medicinali che potrebbero, al contrario, risultare benefici (149). Inoltre, ciò comporterebbe,
tramite la “loss spreading rationale” (150), un aumento dei prezzi dei prodotti, che invece, in campo medico, dovrebbero essere accessibili a tutti (151): «il
più ampio interesse pubblico alla disponibilità a
prezzi abbordabili dei medicinali deve essere tenuto
presente nella decisione riguardo le norme sulla responsabilità per danni derivanti dal loro uso» (152).
L’argomentazione principale consiste, peraltro, nel
fatto che la responsabilità civile possa frenare l’innovazione (153) e comportare altresì il ritiro dal mercato di prodotti già esistenti154. Tale timore si giustifica maggiormente se si considera che, come già accennato (155), negli USA le cause contro i produttori si
sono notevolmente incrementate nel tempo ed hanno spesso comportato pesanti condanne nei confronti di questi ultimi, anche mediante gli strumenti delle
class actions e dei danni punitivi (156).
Note:
(143) Ortopedic Bone Screw Prod. Liab. Litig., 264 F. 3d 344,
363-365 (3d Cir. 2001)
(144) 28 U.s.C.S. § 2680 (a).
Danno e responsabilità 3/2009
(145) L’espressione è ripresa da C.M. Sharkey, Federalism in Action, cit., 1025.
(146) D.E. Troy, The Case for FDA Preemption, cit., 84 ss. Secondo l’autore la “ex post view” effettuata dai giudici potrebbe
interferire sulla credibilità della FDA. Egli evidenzia che l’approvazione da parte della FDA non determina che il prodotto sia sicuro in ogni circostanza, ma che esso sia sufficientemente benefico da giustificarne l’immissione in commercio. Per i medicinali, infatti, le reazioni avverse, dipendono spesso dalla stessa
composizione del prodotto, e sono inseparabili dagli effetti benefici. La FDA può, inoltre, approvare anche dispositivi medici
che presentino intensi pericoli, di fronte alla loro possibilità di
consentire grandi vantaggi per la salute, non altrimenti raggiungibili (si pensi al caso degli apparecchi al cuore per bambini, in
cui la percentuale di sopravvivenza mediante l’utilizzo dell’apparecchio è stimata a meno del 50%).
(147) W.K. Viscusi et Al., Deterring Inefficient Pharmaceutical Litigation: An economic rationale for the FDA Regulatory Compliance Defense, 24 Seton Hall L. Rev. 1437 (1994). G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, cit., 195,
evidenzia che la relazione fra la normativa amministrativa ed il
giudizio di responsabilità presenta vistosi inconvenienti: un controllo eccessivo dei rischi, la propagazione di una notevole incertezza negli operatori del settore ed un aumento considerevole
dei costi amministrativi di gestione.
(148) C.d. “defensive labeling”, che vengono ritenuti inammissibili dalla FDA. Alcune Corti hanno affermato che l’avviso deve
essere dato solo quando il rischio è sostanziale: Doe v. Meis
Lab.s, Inc., 927 F.2d 187, 194 (4th Cir. 1991).
(149) Requirements on content and Format Labeling for Human
prescription Drug and biological products, 71 Fed. Reg. at 3935,
riportato da C.M. Sharkey, Products Liability Preemption, cit.,
505. Conforme, in dottrina, D.E. Troy, The Case for FDA Preemption, cit., 85, secondo il quale: «a changing in labeling can alter
the balance struck by the FDA by either overemphasizing the risk or underemphasizing the benefit».
(150) Si tratta del meccanismo per cui il produttore ripartisce i
costi sostenuti (anche assicurativi) fra gli acquirenti, tramite l’aumento dei prezzi. Tale sistema è anche noto come third party insurance. Sul punto, si vedano F. Cosentino, Responsabilità da
prodotto difettoso, cit., 138; D.A. Fischer, M. Green, W. Powers,
J. Sanders, Products Liability Cases and Materials, cit., 214 ss.
(151) Brown v. Superior Court (Abbot Labs), 751 P. 2d 470 (Cal.
1988), pubblicata anche in L. Noah e B.A. Noah, Law, Medicine
and Medical Technology, cit., 393 ss. In dottrina, L. Lasagna, The
Chilling Effect of Product Liability, cit., 335; D. Caruso, Quando il
rimedio è peggiore del male, cit., 148.
(152) Brown v. Abbott Laboratories, Corte Suprema della California, 31 marzo 1988, cit. supra, nota 26.
(153) D.E. Troy, The Case for FDA Preemption, cit., 86: «first, the
litigation environment stifles innovation in the pharmaceutical industry»; J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety, cit., 291 ss.;
W.K. Viscusi e M.G. Moore, An Industrial Profile of the Links
between Product Liability of Innovation, in P.W. Huber e R. E Litan, The Liability Maze, cit., 81 ss.; L. Lasagna, The Chilling Effect of Product Liability, cit., 334 ss.
(154) J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety, cit., 311 evidenzia
che: «it can be difficult to determinate whether a given drug was
withdrawn “only” because it became economically unviable for
its manufacturer, rather than because of serious hazards». Sul
punto si veda anche G. Tassoni, La produzione di farmaci tra
l’art. 2050 c.c. ed i cosiddetti “development risks”, cit., 17.
(155) Cfr. § 1.
(156) Con specifico riferimento alla responsabilità da farmaci si
veda T.L. Flieman e F.C. Woodside, Damages, in F.C. Woodside,
Drug Product Liability, cit., vol. II, cap. 17, 79 e N.C. Cody e F.C.
(segue)
259
Opinioni
Responsabilità da farmaci
Si è parlato di una vera e propria explosion (157) nel
numero e nei costi, relativi ai tort cases. Per questo,
parte della dottrina auspica che la responsabilità sia
mantenuta solo per le ipotesi di dolo mentre, negli
altri casi, che venga sostituita da meccanismi di “social insurances”.
In proposito, si porta l’esempio del Bendectin (158),
medicinale contro la nausea causata dalla gravidanza, ritirato spontaneamente dal mercato da parte del
produttore. A seguito di tale ritiro, numerosissime
cause sono state promosse nei confronti della causa
farmaceutica e nessuna industria statunitense ha più
ritenuto conveniente produrre tale genere di farmaci, nonostante sia stato rilevata, a livello sperimentale, la possibilità di elaborare strumenti tali da eliminare i riscontrati effetti collaterali.
Si teme che, similmente, le industrie potrebbero
non essere più sollecitate a produrre anche farmaci
essenziali, come il cortisone e la penicillina, che recano con sé gravi effetti collaterali (159).
La situazione si fa ancora più difficile con riferimento ai “farmaci orfani”, volti alla cura di malattie
rare, a proposito dei quali si è rilevato l’effetto negativo che la responsabilità civile comporta sulla ricerca, anche per l’aumento dei costi assicurativi
(160). Similmente avviene per i vaccini, la cui ricerca e produzione richiede grandissimi risorse e
comporta grandi rischi: «the profit per dose is low,
and yet the perceived liability per dose is high» (161). A
ciò si deve aggiungere che, come visto sopra, «vaccine manufacturers have been deemed liable not only if
they produce a defective product but also if they fail to
warn vaccine recipients (or their guardians) of such
reactions» (162).
Ne consegue che i produttori disposti a produrre
questo tipo di farmaci sono ormai pochissimi negli
USA163, ed il prezzo degli stessi è lievitato164. Un
esempio significativo è costituito dal D-T-P vaccine
(165): quando i Wyeth Laboratories cessarono di vendere al pubblico tale prodotto, il Centers for Disease
Control fu costretto a raccomandare ai medici di fermare la vaccinazione dei bambini di età superiore ad
un anno, per conservare le scorte per quelli più piccoli e più vulnerabili.
Similmente è accaduto in passato con riferimento
ad un vaccino contro un particolare tipo di malaria,
contraibile in Asia, e prodotto solo in Giappone. Esso è stato, infatti, ritenuto non importabile, perché
la casa produttrice non aveva un’adeguata copertura
assicurativa (166).
Proprio al fine di incentivare la produzione di tali
essenziali medicinali, sono stati adottati il National
Childhood Vaccine (167), l’American Vaccine Injury
260
Note:
(continua nota 156)
Woodside, Punitive Damages, in F.C. Woodside, Drug Product
Liability, cit., vol. IV, cap. 37. Tali danni sono intesi a svolgere una
funzione deterrente ed a punire il danneggiante per aver commesso, in una posizione soggettiva di mala fede, un fatto particolarmente grave e riprovevole. La discrezionalità delle giurie nel
riconoscerli e la mancanza di specifici standards nel quantificarli
rischiano peraltro di «prevent development of new products and
have a great economic impact on an individual or industry». Questa tematica è stata approfondita da illustri giuristi, fra cui G.
Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato,
cit., 220 ss.
(157) J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety, cit., 294.
(158) L. Lasagna, The chilling effect of Product Liabilityt, cit.,
340; D.E. Troy, The Case for FDA Preemption, cit., 88 ss. Per la
casistica principale in materia, si ricordino Albertson v. Richardson-Merrell, Inc. (Fla. App. 1983), 441 So. 2d 1146; In re Bendectin Litig. (6th Cir. 1988) 857 F. 2d 290; Wilson v. Merrell Dow
Pharms, Inc. (10th Cir. 1990) 893 F.2d 1149; DeLuca v. Merrell
Dow Pharms, Inc. (3d Cir. 1990) 911 F. 2d 941; Merrel Dow
Pharms., Inc. V. Oxendine (D.C. 1994) 469 A. 2d 825; Daubert v.
Merrell Dow Pharms., Inc. (9th Cir. 1995) 43 F. 3d 1311; Merrell
Dow Pharms. V. Havner (Tex. 1997) 953 S.W. 2d 706; Blum v.
Merrell Dow Pharms., Inc. (2000) 564 Pa. 3, 764 A. 2d, 1, tutte
illustrate da R.M. Petterson e P.C. Holey, Drug in Litigation, cit.,
D-102 ss. Per i riferimenti giurisprudenziali, si veda anche F.C.
Woodside, Illustrative Awards and Settlemts, cit., 17 ss. In
Brown c. Abbott Laboratories et al., Corte Suprema della California, 31 marzo 1988, cit., si ricorda che il Bendectin fu ritirato
dal mercato nel 1983 perché i costi assicurativi eguagliavano l’intero introito ricavato dalla vendita del prodotto, e che prima del
ritiro il prezzo del medicinale aveva subito un aumento del 300
%.
(159) Brown v. Superior Court (Abbot Labs), cit. «l’argomentazione che i fabbricanti di prodotti potenzialmente pericolosi dovrebbero risarcire il danno, tutelarsi con un’assicurazione ed assommare il costo di questa al prezzo di vendita del prodotto, va
incontro a riserve se consideriamo che due dei più grandi rimedi
medicinali, la Penicillina ed il Cortisone, recano entrambi effetti
collaterali pericolosi, e che le compagnie potrebbero essere a ragione spinte a sospendere la produzione e la vendita».
(160) Public Health Service, 1989, Report of the national commission on Orphan Diseases. U.S. Department of Health and human services.
(161) D.E. Troy, The Case for FDA Preemption, cit., 88.
(162) L. Lasagna, The Chilling Effect of Product Liability, cit.,
342.
(163) Negli USA, solo due produttori sono attualmente autorizzati a vendere il vaccino per l’influenza.
(164) H. Grabowski, Product Liability in Pharmaceuticals, in P.W.
Huber e R.E Litan, The Liability Maze, cit., 334 ss
Già in Brown c. Abbott Laboratories et al., Corte Suprema della
California, 31 marzo 1988, cit., si rilevava come il prezzo dei vaccini si fosse centuplicato, parallelamente all’incremento delle
cause giudiziarie.
(165) Diphteria-tetanus-pertussis. Su questo caso si veda L. Lasagna, The Chilling Effect of Product Liability, cit., 343 ss.
(166) L. Lasagna, The Chilling Effect of Product Liability, cit., 344
ss.
(167) U.S.C. § 300aa-1ss. Tale atto, emanato nel 1986, prevede
che i produttori di vaccini corrispondano tasse aggiuntive per i rischi causati e siano esonerati da responsabilità. Esso è riportato
in T.H. Bleakley e F.C. Woodside, FDA Regulations and Recalls,
cit., 100-111 ss. Sul punto si vedano L. Noah e B.A. Noah, Law,
Medicine and Medical Technology, cit., 405 ss.
Danno e responsabilità 3/2009
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Responsabilità da farmaci
Compensation Program (168) ed il Swine Flu Act
(169), che limitano fortemente la responsabilità dei
produttori.
Queste problematiche hanno di recente trovato ulteriori riscontri, con riferimento al vaccino per
l’AIDS. La dottrina (170) aveva previsto che lo sviluppo della ricerca sullo stesso sarebbe stato arrestato anche dal timore di incorrere in intense responsabilità, dati i rischi connessi a tali sperimentazioni.
La sospensione delle stesse, avvenuta in due diverse
occasioni (prima per il vaccino prodotto dalla casa
farmaceutica Merck e, successivamente, per quello
governativo PAVE) (171), è stata peraltro motivata
più da esigenze di proteggere la sicurezza, prima dei
volontari e poi del pubblico, che da considerazioni
di ordine economico (172). Gli esperti hanno, infatti, messo in dubbio l’efficacia del farmaco e sottolineato il rischio di contagio, invitando a procedere
ad ulteriori ricerche prima di dare avvio agli studi
sull’uomo (173).
Peraltro, numerosi Scholars e parte della giurisprudenza hanno intrapreso una vera e propria battaglia
(174) contro la preemption, al fine di salvaguardare
la sicurezza dei prodotti e la salute pubblica, obiettando che lo strumento della responsabilità è necessario per incrementare le misure precauzionali
(175), poiché esso incentiva il produttore ad investire in sicurezza (176) ed aumenta la rilevazione
delle informazioni necessarie (177).
Esso è, inoltre, l’unico in grado di garantire l’operare
dei meccanismi compensatori (178). La regolamentazione di sicurezza svolge, infatti, un ruolo differente da quello rivestito dalla responsabilità civile, e
non può, da sola, bastare a tutelare adeguatamente il
Note:
(168) Esso costituisce una parte del National Childhood Vaccine
Injury Act ed è entrato in vigore il 1° ottobre 1988. Sul punto si
veda L. Lasagna, The Chilling Effect of Product Liability, cit., 353.
(169) 42 U.S.C.S., § 247 (b)(j), 1983.
(170) L. Lasagna, The Chilling Effect of Product Liability, cit., 345
ss.
(171) Il 17 luglio 2008 il NAID, Istituto statunitense per le allergie
e le malattie infettive ha bloccato, per motivi di sicurezza, il piano nazionale che avrebbe dovuto cominciare a testare il preparato su 8.500 volontari. La sperimentazione era condotta dal PAVE
(Partnership for Aids Vaccine Evalutation) un consorzio di agenzie governative ed altre organizzazioni. Tale vicenda segue di pochi mesi l’interruzione della sperimentazione di un altro vaccino
prodotto dalla casa farmaceutica Merck: oltre 3.000 partecipanti
in nove paesi avevano presentato un aumento del rischio di contagio.
(172) Sul punto si veda L.K. Altman, Trial for Vaccine Against H.I.V.
Is Canceled, in The New York Times, 18 luglio 2008, consultabile
anche in rete http;//www.nytimes.com/2008/07/18/health/18vaccine.html?_r=2&hp+&adxnnl+1&oref.
Danno e responsabilità 3/2009
(173) L’immunologo Fernando Aiuti spiega che: «oggi non abbiamo metodi validi per valutare l’efficacia del vaccino, né modelli
animali adeguati per eseguire i test. Inoltre, finora abbiamo usato solo vaccini basati sulle proteine del virus». La citazione è tratta da AIDS, negli Usa nuovo stop nella corsa al vaccino: potrebbe aumentare il rischio di infezione, articolo apparso su “Il Messaggero”, reperibile anche in http://www.il messaggero.it/articolo.php?id=27986&sez=HOME_SCIENZA. Gli scienziati sono, infatti, stati avvisati di non poter proseguire nelle ricerche allo stato attuale, perché le conoscenze su come l’HIV interagisca sul sistema immunitario sono ancora insufficienti. È infatti necessario
prima approfondire le ragioni del fallimento del vaccino Merck.
Anche in Italia si stanno conducendo, presso l’Università di Urbino, studi su di un possibile vaccino terapeutico (ma, a differenza
che negli USA, essi coinvolgono solo soggetti già portatori del virus).
(174) Contro la preemption si sono levate voci da parte di un gruppo di
Procuratori generali; della National Conference of State Legislatures;
del Governatore dell’Oregon Kulongoski, dell’American Trial Lawyers’Association e dell’American Bar Association (per la posizione assunta da quest’ultima si veda W. Funk, Federal agency Preemption of State Tort Law, in The National Press Club, Washington D.C., 26 Oct.
2006, reperibile in rete). Voci critiche si sono registrate anche in seno al
Congresso: da parte dei Senators E. Kennedy e C. Dodd e dei Rapresentatives S. Brown, H. Waxman e J. Dingell. V. Letter from the Office
of the Attorneys General of Twenty-Six States to NHTSA (Dec. 23,
2005); Letter from National Conference of States Legislatures to the
Secretary of the U.S. Department of Health and Human Services (Jan.
13, 2006, at http://www.ncsl.org/programs/press/2006/060113Leavitt.htm; Federal Preemption of State Authority a Disturbing and
Growing Trend, NCLS News, Apr. 6, 2006 http://www.ncls.org/programs/press/2006/pr060406.htm; R. Ammons e D. George, Tort
Reform by Regulation, 58 Admin L. Rev. 709729 n. 144 (2006), at
http://dmses.dot.gov/deocimages/pdf94/372927_web.pdf. Per rendere l’idea di quanto sia calda oggi questa tematica negli USA, si ricordi ancora l’invettiva del Justice Scalia, esponente dell’opinione
maggioritaria in Riegel, nei confronti dei media: «Scalia said news organizations often fail to focus on the text of the laws the Court interprets… The Media often make it appear as though the court is reaching policy judgments on its own rather than basing its decisions on
the text of the law at issue in a case». Scalia Criticizes News Media,
Associated Press, (March 27, 2008), disponibile in: http://www.breitbar.com/article.php?id=D8Vmo47O4&show_article=1, ricordato da
C.M. Sharkey, What Riegel Portends for FDA Preemption of state
Law Products Liability Claims, in Northwestern University Law Review, 21 July 2008, reperibile in retehttp://colloquy.law.northwestern. edu/main/2008/07/what-riegel-por.htm, 2.
(175) S. Shavell, Liability for Harm Versus Regulation of Safety,
13 Legal Stud., 1984, 482.
(176) D.A. Fischer, M. Green, W. Powers, J. Sanders, Products
Liability, cit., 214. G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di
diritto comparato, cit., 195, evidenzia che la regolamentazione
amministrativa-legislativa, se disgiunta dalla responsabilità civile,
«può mancare nella irrinunciabile funzione di creazione di incentivi per diminuire il numero e l’ampiezza dei rischi esistenti in un
determinato settore, oltre che non soddisfare completamente la
funzione di assicurare un risarcimento del danno».
(177) Sandoz Pharms v. Gunderson, No. 2004-CA-0015360-MR,
2005 Ky. App. LEXIS 222, at * 35-*38 (Oct. 21, 2005).
(178) V. Cipollone v. Liggett Group, Inc., cit., at 896 (Stevens, J.,
dissenting): «This distinction [between legislative and administrative rulemaking, on one hand, and common-law liability, on
the other] was certainly a rational one for Congress to draw the
Safety Act given that common-law liability - unlike most legislative or administrative rulemaking - necessary performs an important remedial role in compensating accident victims». Altre Corti
hanno ben evidenziato che la legge statale integra quella federale, quanto ai meccanismi compensatori: Caraker v. Sandoz
Pharms. Corp., 172 F. Supp. 2d (S.D. Ill. 2001).
261
Opinioni
Responsabilità da farmaci
consumatore: «Regulation seeks to prevent injuries,
weed out products that are unsafe or ineffective, and
reward innovation. Tort law serves related but different
functions - it compensates those injured through the fault
of others, alerts the public about unforeseen hazards, and
deters excessive and unwarrented risk taking» (179).
La damages litigation aiuta, infatti, a scoprire ed a valutare i rischi, non ancora rilevati durante la fase di
approvazione del farmaco, ed ha spesso influenzato
le decisioni della FDA sulla modifica dei labeling o
sul ritiro dei prodotti dal mercato.
Ciò evita anche il rischio che le Agenzie non rivedano le regolamentazioni per lungo tempo (180)
(regulatory ossification): la tort law è, invece, dinamica e risponde ai progressi tecnologici, fornendo una
più completa informazione per il consumatore.
La stessa Corte Suprema ha, in passato, affermato
che: «Torts suits can serve as catalyst to improve industry and federal regulatory practices by aiding in the exposure of new dangers and addressing their consequence» (181). A sostegno di ciò, si evidenzia che i requisiti espressi dalle agenzie rappresentano standards minimi e non già ottimali (182). Essi, infatti,
non possono essere esaustivi, per cui residua pur
sempre uno spazio in cui può e deve operare la responsabilità (183).
La dottrina evidenzia in proposito che la FDA non
ha sufficienti risorse per monitorare ogni farmaco
presente sul mercato (184). Si rileva, inoltre, che i
provvedimenti adottati dalle Agenzie governative
non possono avere forza normativa senza una espressa delega di poteri da parte del Congresso (185).
Da tutto quanto sopra, consegue l’ineludibile necessità di conservare meccanismi riparatori quali, in primis, la responsabilità civile: «Because there are not federal remedies for individuals harmed by prescription
drugs, a finding of implied preemption in these cases
would abolish state-law remedies and would, in effect,
render legally impotent those who sustain injuries from
defective prescription drugs» (186).
Una parte della giurisprudenza (187) e della dottrina (188) hanno, infine, proposto una condivisibile
soluzione intermedia, ai sensi della quale le azioni di
Note:
(179) D. Vladeck, The Emerging Threat, cit., 2. Si veda altresì S.
Shavell, Liability for Harm, cit., 357 ss., secondo cui due fattori le differenti conoscenze ed i costi amministrativi - favoriscono la
responsabilità; mentre altri due - l’incapacità di pagare e la necessità di evitare le cause legali - avvantaggiano la regolamentazione.
(180) D. Vladeck, Before the Committee on the Judiciary United States Senate, cit., 2, porta il significativo esempio del Titanic: esso era pienamente conforme al numero di scialuppe
raccomandate dalla legislazione dell’epoca, ma le stesse era-
262
no comunque di gran lunga insufficienti con riguardo al numero dei passeggeri a bordo. G. Ponzanelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, cit., 195, evidenzia che la regolamentazione amministrativa-legislativa non sembra costituire la miglior forma di disciplina nei casi in cui esista un rilevante divario temporale tra il momento della creazione di nuovi rischi e quello del loro controllo. Essa incontra inoltre ulteriori limiti poiché, prevedendo le varie ipotesi in modo uniforme, non è in grado di percepire le differenze determinanti caso per caso.
(181) Bates, 544 U.S. at 451, ricordata da D. Vladeck, Before the
Committee on the Judiciary United States Senate, cit., 6.
(182) Si tratta del “minimum standard approach”, in passato
utilizzato dalla giurisprudenza maggioritaria. «FDCA estabilished a floor, not a celing, for safety standards... common law
tort standards always complement federal regulation»: così
afferma C.M. Sharkey, Federalism in Action, cit., 1036, con riferimento al caso Wyeth v. Levine, deciso dalla Suprema Corte del Vermont su cui si veda supra. In senso conforme F.C.
Woodside, Drug Product Liability, cap. 14, 73 e 126; J.P. Swarzey, Prescription Drug Safety, cit., 316; D. Vladeck, The Emerging Threat, cit., 8, secondo cui: «PMA process provides minimum safeguards, it cannot replace the continuous and comprehensive safety incentives, information disclosure, and victim compensation that tort law has traditionally provided».
Contra D.E. Troy, The Case for FDA Preemption, cit., 84.
(183) «But federal safety standards rules cannot be imposed
everywhere for every risk of every product... when federal safety schemes leave omissions, then the State Trial Courts can
award damages they are unaffected by preemption». Così J.T.
O’Reilly, Federal Preemption of State and Local Law, cit., 94.
(184) I prodotti regolamentati dalla FDA costituiscono un quarto
di tutti quelli consumati negli USA, ma il personale addetto a tali controlli ammonta a sole 9.000 unità. V. D. Vladeck, The Emerging Threat, cit., 4; Id., Before the Committee on the Judiciary
United States Senate, cit., 10.
(185) Il potere di preempt è stato attribuito dalla Costituzione al
Congresso. Quest’ultimo può, tuttavia, delegare tale compito alle Agenzie federali che, altrimenti, non hanno alcuna autorità per
stabilire la preemption. Ne consegue che il preamble consiste in
una mera opinione interpretativa e non ha forza di legge. In tal
senso, J.T. O’Reilly, Federal Preemption of State and Local Law,
cit., 45; D. Vladeck, The Emerging Threat, cit., 2 e 15.
(186) Arnold v. Merck & Co., No 5-2627; Gomez v. Merck & Co.,
citt. Si veda anche Letter from Representative Jan Schakowsky
to President George W. Bush (Feb. 16, 2006), at
http://www.house.gov/schakowsky/PressRelease_2_16_06_Bu
schletters.htm, in cui si legge: «The private right of action is more important than ever in ensuring that unsafe practices and
products are identified and kept out of the market».
(187) Perry v. Novartis Pharmaceutical Corp., 456 F. Supp. 2d
678 (E.D. pa. 2006), relative ad un caso di failure to warn, in cui
un medicinale, somministrato ad un bambino di due anni, gli aveva cagionato un tumore. Nell’incertezza dei dati scientifici, la
FDA non aveva preso nessuna esplicita posizione. Conseguentemente, la Corte ha rigettato la richiesta di preemption, avvertendo però che «different result would be obtain where the FDA
has made e conclusive determination, positive or negative, as to
the existence of a link between the drug at the issue and some
adverse health consequence». Conforme, Dusek v. Pfizer Inc.
No. Civ.A. H-02-3559, 2004 WL 2191804 (S.D. Tex Feb. 20,
2004), concernente un caso di suicido a seguito dell’assunzione
dell’antidepressivo Zoloft. La FDA aveva impedito di aggiungere
avvisi concernenti tale rischio, ragion per cui l’azione è stata considerate preempted.
(188) C.M. Sharkey, Products Liability Preemption, cit., 508
ss. Una posizione intermedia è sostenuta anche da G. Ponza(segue)
Danno e responsabilità 3/2009
Opinioni
Responsabilità da farmaci
responsabilità sarebbero precluse solo qualora il produttore abbia proposto alla FDA di effettuare cambiamenti, ad esempio nelle avvertenze, e quest’ultima abbia rigettato tale richiesta.
Nota:
(continua nota 188)
nelli, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, cit.,
196, secondo cui «il rispetto della disciplina regolamentare-
Danno e responsabilità 3/2009
amministrativa predisposta dall’Agenzia specializzata come
regola, dovrebbe escludere la responsabilità per eventuali
danni, quando l’attività sia esattamente quella disciplinata e
l’imprenditore abbia messo a disposizione tutti i dati e gli elementi necessari al fine di verificare la perfetta corrispondenza
tra l’esercizio dell’attività e la sua regolamentazione. L’unica
valida eccezione al riguardo si ha quando il complesso regolamentare-amministrativo presenti qualche lacuna: in questo caso, il giudizio di responsabilità, secondo le ordinarie regole dell’istituto dei torts, potrà di nuovo spiegare la sua normale operatività».
263
Giurisprudenza
Prescrizione
Efficacia interruttiva delle trattative
Sinistri stradali, visita medica
e prescrizione
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 14 luglio 2008, n. 19321 - Pres. Fabio Mazza - Rel. Alberto Talevi P.M. Salvi (conf.) - S.S.C. c. P.S. Uniass Ass.ni S.p.a.
Le trattative per comporre bonariamente la vertenza, le proposte, le concessioni e le rinunce fatte dalle parti
a scopo transattivo, se non raggiungono l’effetto desiderato, non avendo come proprio presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non rappresentando, quindi, il riconoscimento del diritto
altrui, ai sensi dell’art. 2944 c.c., non hanno efficacia interruttiva della prescrizione, né possono importare
rinuncia tacita a far valere la prescrizione stessa.
L’esigenza di evitare che l’autore di un reato - dichiarato responsabile e condannato in sede penale - resti esente dall’obbligo di risarcimento verso la vittima in conseguenza dell’avvenuta più breve prescrizione civile
durante il tempo necessario per l’accertamento della responsabilità penale, e comunque di impedire che l’azione di risarcimento del danno si estingua quando è ancora possibile che l’autore del fatto sia perseguito
penalmente, viene meno laddove la querela non risulti in concreto proposta.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2008, n. 6034, Cass. civ., sez. III, 5 giugno 2007, n. 13057, Cass. civ., sez.
III, 19 dicembre 2006, n. 27169, Cass. civ., sez III, 14 ottobre 2002, n. 14748; Cass. civ., sez. III, 25
maggio 1990, n. 14199.
Difforme
Cass. civ., sez. lav., 30 ottobre 2002, n. 15353; Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1642, Cass.
civ., sez. III 19 novembre 1999, n. 12833,
Svolgimento del processo
…Omissis…
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia «Mancata
applicazione dei principi che si desumono, in via analogica, dal combinato disposto degli artt. 2054 c.c., 278 c.p.c.
e 2944 c.c., difetto di motivazione e conseguente violazione dell’art. 2947 c.c. per non aver la Corte d’Appello ritenuto che nelle controversie per il risarcimento dei danni
conseguenti a lesioni personali causate al pedone dalla
circolazione di veicoli senza guida di rotaie, la visita medica dell’infortunato, disposta ed eseguita senza riserve dalla compagnia assicuratrice, non comportano riconoscimento dell’an debeatur e non costituiscono quindi atti idonei quantomeno a interrompere il termine di prescrizione
biennale entro cui deve essere esercitato nei confronti
della compagnia assicuratrice il diritto di chiedere il risarcimento dei danni causati dal sinistro, qualora il fatto da
cui è stato causato il danno non sia considerato dalla legge come reato per il quale è stabilita una prescrizione più
lunga». (omissis) Il motivo non può essere accolto in
quanto la motivazione esposta dalla Corte d’Appello di
Roma appare sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione (omissis).
Danno e responsabilità 3/2009
2. Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia
«Violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c. e difetto di motivazione per avere la Corte d’Appello affermato
che nei giudizi contro le compagnie di assicurazione per i
danni causati dalla circolazione stradale, la visita medica
- alla quale viene sottoposto l’infortunato - e la consegna
da parte di quest’ultimo al medico incaricato di eseguire
la visita medica della documentazione sanitaria comprovante l’entità dei postumi invalidanti derivatigli dal sinistro, e dei quali l’infortunato chiede di essere risarcito,
non sono idonei a interrompere la prescrizione» (omissis). Il motivo in esame deve ritenersi privo di pregio, dato che si è di fronte a un tipico giudizio di merito che si
sottrae al sindacato di legittimità in quanto immune dai
vizi lamentati; infatti la Corte di merito ha escluso che il
predetto comportamento dell’infortunato potesse produrre una valida interruzione della prescrizione sulla base
di una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.
3. I motivi terzo e quarto vanno esaminati insieme in
quanto connessi. Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 secondo e terzo comma c.c., per aver la Corte di Appello
affermato che in caso di danni prodotti dalla circolazione
dei veicoli, ove il fatto dannoso costituisca un reato per-
265
Giurisprudenza
Prescrizione
seguibile a querela e questa non sia stata proposta è applicabile la prescrizione biennale civilistica e non quella
più lunga prevista per il reato, a norma dell’art. 2947 terzo comma c.c.» con il quarto motivo parte ricorrente denuncia «Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art.
2947, secondo e terzo comma del codice civile e difetto
di motivazione per non avere la Corte di Appello considerato, come era stato specificamente dedotto nel terzo
motivo d’appello, che i danni arrecati all’integrità personale della signora S.S. - dei quali costei aveva chiesto di
essere risarcita dalla compagnia assicuratrice - erano stati
ad essa cagionati dal comportamento imprudente o negligente del conducente del veicolo assicurato che, investendola con la propria autovettura mentre la stessa era
in attesa di attraversare la via (omissis) le aveva cagionato una lesione personale, con invalidità permanente e
quindi da una fatto che è previsto dall’art. 590 c.p. come
delitto punibile con la reclusione, il quale costituisce in
particolare un reato che si prescrive nel termine di cinque anni, in base all’art. 154 n. 4 c.p.: termine che è applicabile anche alla prescrizione dell’azione civile relativa al risarcimento dei danni, in base al disposto del terzo
comma del citato art. 2947 c.c.». Anche i motivi terzo e
quarto non possono essere accolti - per essere tali doglianze ancor prima che prive di pregio (omissis), inam-
missibili dato che non hanno costituito oggetto della
specifica ratio decidendi esposta nella sentenza impugnata,
e la parte ricorrente non ha ritualmente dedotto di aver
sollevato la questione in secondo grado indicando ove
l’avrebbe fatto - in quanto l’impugnata decisione è immune dai vizi denunciati
4. Con il quinto motivo la parte ricorrente denuncia
«violazione dell’art. 112 c.p.c. e difetto di motivazione
per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciare in conseguenza della ritenuta prescrizione del diritto di
chiedere il risarcimento dei danni, che era stato esercitato dall’attuale ricorrente nel presente giudizio - sui motivi di gravame e relative richieste, che erano stati proposti
con i motivi si appello (omissis) esponendo che con il
presente mezzo la ricorrente richiama integralmente i
suddetti motivi di appello, affinché essi - in seguito all’annullamento della sentenza impugnata che sarà disposto in accoglimento dei precedenti motivi del presente ricorso - vengano integralmente devoluti dalla Corte di
Cassazione all’esame dei Giudici di Rinvio». Il rigetto dei
precedenti motivi comporta la non accoglibilità del
quinto. Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto le
parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
…Omissis…
IL COMMENTO
di Gino M.D. Arnone
La decisione in commento, colma di obiter dicta, fa definitivamente chiarezza intorno ad una questione ampiamente discussa e controversa: la visita medica disposta dalla compagnia d’assicurazione della vettura
danneggiante per l’accertamento dei danni riportati dalla vittima d’un sinistro stradale ha efficacia o meno riguardo all’interruzione dei termini di prescrizione per l’esercizio dell’azione aquiliana? La decisione della Cassazione non pone dubbi per l’esclusione di tal efficacia. In sostanza l’incarico affidato al proprio medico fiduciario da parte della compagnia d’assicurazione per l’accertamento dei postumi invalidanti provocati al pedone investito per fatto del proprio assicurato non vale ad interrompere i termini di prescrizione per l’esercizio dell’azione risarcitoria.
Il caso
Anno 1992. Una donna, ferma nell’attesa di attraversare la sede stradale, viene investita da un’autovettura riportando danni fisici. A seguito di tale fatto la signora domanda immediatamente, previa denuncia di sinistro e trasmissione della relativa documentazione alla compagnia assicuratrice del veicolo
danneggiante (effettuata nell’agosto 1992) il giusto
risarcimento dei danni patiti in conseguenza del sinistro. Come prassi viene successivamente invitata
a presentarsi presso il medico fiduciario della compagnia d’assicurazione del vettore danneggiante per
l’accertamento dei postumi invalidanti temporanei
e permanenti. Non trovandosi via a definizione bonaria s’instaurava, nell’aprile 1996, il giudizio nei
266
confronti della compagnia d’assicurazione del veicolo danneggiante innanzi il Tribunale di Roma il quale però dichiarava l’intervenuta prescrizione e di seguito rigettava la domanda. Avverso tale decisione
veniva proposto dalla soccombente gravame innanzi la Corte d’Appello di Roma che definitivamente
pronunciando rigettava l’appello per la stessa rilevata intervenuta prescrizione. Medesimo esito negativo, con la decisione in commento, in Corte di Cassazione con il rigetto integrale del ricorso. Il problema verte intorno all’efficacia o meno della visita
medica disposta dalla compagnia assicuratrice nell’interrompere i termini di prescrizione - tesi sostenuta dalla parte ricorrente - per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno. Ben tre gradi di giudi-
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Prescrizione
zio escludono che la visita medica disposta dalla
compagnia d’assicurazione del vettore danneggiante
abbia efficacia interruttiva della prescrizione. Da ciò
consegue, nella specie, la soccombenza delle pretese
della vittima del sinistro stradale.
Tempus fugit: e non sarà certo una visita
medica a fermarlo
La decisione in commento fa definitivamente chiarezza intorno ad una questione ampiamente discussa
e controversa: la visita medica disposta dalla compagnia d’assicurazione della vettura danneggiante per
l’accertamento dei danni riportati dalla vittima d’un
sinistro stradale ha efficacia o meno riguardo all’interruzione dei termini di prescrizione per l’esercizio
dell’azione aquiliana? La decisione della Cassazione
non pone dubbi per l’esclusione di tal efficacia. In
sostanza l’incarico affidato al proprio medico fiduciario da parte della compagnia d’assicurazione per
l’accertamento dei postumi invalidanti provocati al
pedone investito per fatto del proprio assicurato non
vale ad interrompere i termini di prescrizione per
l’esercizio dell’azione risarcitoria. Ciò anche laddove l’incarico affidato al medico sia stato comunicato
alla vittima in mancanza d’una espressa riserva in
ordine al mancato riconoscimento parziale o totale,
da parte della compagnia d’assicurazioni, delle responsabilità in punto an debeatur. In tal modo risulta evidente come non resti degna di protezione la
supposizione della vittima sul fatto che la mancanza
dell’espressa riserva in ordine al riconoscimento delle responsabilità abbia effetti, se non ai fini del riconoscimento della pretesa in punto an, quantomeno
ai fini dell’interruzione della prescrizione di modo
che ulteriori atti interruttivi, una volta denunziato il
sinistro e ricevuta la chiamata a visita, non fossero,
rebus sic stantibus, nella specie necessari. Del resto in
tema di estinzione del diritto al risarcimento del
danno derivante da fatto illecito la Cassazione ha
avuto già più volte modo di sottolineare come «le
trattative per comporre bonariamente la vertenza, le
proposte, le concessioni e le rinunce fatte dalle parti a scopo transattivi, se non raggiungono l’effetto
desiderato, non avendo come proprio presupposto
l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non rappresentando, quindi, il riconoscimento
del diritto altrui, ai sensi dell’art. 2944 c.c., non
hanno efficacia interruttiva della prescrizione, né
possono importare rinuncia tacita a far valere la prescrizione stessa» (1). Ben riflettendo detta ultima
posizione pare inattaccabile posto che non può essere considerata degna di pregio la posizione di chi
Danno e responsabilità 3/2009
escluda che il sol fatto del cercare la definizione stragiudiziale valga quale rinuncia tacita a far valere la
causa estintiva del diritto altrui atteso che, ai sensi
del terzo comma art. 2937 c.c., il ricercare la definizione bonaria non può sicuramente configurarsi per
l’essere comportamento incompatibile con la volontà d’avvalersi della prescrizione. Sempre nel precedente caso riportato in nota la Corte di Cassazione aveva infatti escluso come «la visita medica disposta in via cautelativa dalla compagnia di assicurazione in favore del danneggiato integrasse un riconoscimento dell’altrui diritto al risarcimento».
In sostanza la decisione risulta essere rilevante non
tanto per il pacifico deciso, quanto più per il fatto
del far definitiva chiarezza in ordine alla natura definibile come “neutra” della visita medica disposta dal
fiduciario dell’impresa d’assicurazioni nonché ordine alla sua totale inidoneità a configurare un qualche tipo di riconoscimento alle pretese del soggetto
danneggiato dal sinistro stradale e quindi infine per
l’essere priva di riverberi in ordine al decorso della
prescrizione.
Le trattative per la bonaria composizione di una vertenza, non avendo quale precipuo presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e
non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui ai sensi dell’art. 2944 c.c., non hanno efficacia interruttiva della prescrizione, né possono
importare quindi rinuncia tacita a far valere la stessa, perché non costituiscono fatti incompatibili in
maniera assoluta - senza cioè possibilità alcuna di diversa interpretazione - con la volontà di avvalersi
della causa estintiva dell’altrui diritto, come richiesto dall’art. 2937, comma 3, c.c., a meno che dal
comportamento di una delle parti - che come visto
non si configura nemmeno nella mancanza dell’espressa riserva - risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito e si accerti che la transazione è mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione del credito e non anche all’esistenza di
tale diritto (2).
A riprova del fatto che tale soluzione, che trova
conferma nel caso oggi in esame, fosse invero pacifica sin da tempo, tanto che sostanzialmente la Cassazione nel caso de quo è null’altro che scrivente una
sentenza di copioso richiamo a sue massime precedenti, basti pensare a quanto scrivevano già anni adNote:
(1) Cass., sez. III, 6 marzo 2008, n. 6034, richiamata proprio nella decisione in commento a sostegno della relativa conclusione.
(2) Sul punto si veda Cassazione civile, sez. III, 19 dicembre
2006, n. 27169.
267
Giurisprudenza
Prescrizione
dietro le corti di merito: «Nell’assicurazione privata
infortuni, la visita medica dell’assicurato, eseguita
da medico incaricato dall’impresa assicuratrice, costituisce in ogni caso atto neutro che non si connota di alcuna valenza di riconoscimento, ex art. 2944
c.c., di un ipotetico diritto risarcitorio in capo al periziando, tanto più quando siffatto accertamento
medico si colloca ancora a monte di una vera e propria trattativa di bonario componimento di vertenza
fra assicurato ed assicuratore. Pertanto nessun effetto interruttivo della prescrizione annuale di cui all’art. 2952 comma 2 c.c. può essere ascritto a tale visita medica» (3).
Prescrizione come inerzia nell’esercizio
del diritto?
La decisione in commento fa chiarezza su un ulteriore punto controverso: la consegna da parte della vittima del sinistro stradale al medico di controparte di
tutta la documentazione medica è altresì valida ad
interrompere la prescrizione? Superficialmente parrebbe doversi concludere per la soluzione affermativa considerato che la prescrizione postula in linea di
massima un comportamento di inerzia del titolare
del diritto: inerzia quindi incompatibile con il comportamento del soggetto, titolare del diritto, che s’adopera per consegnare al medico della compagnia
d’assicurazione tutta la documentazione medico-sanitaria comprovante la fondatezza delle sue pretese.
A detta soluzione si giunge a fortiori se si pensa che
spesso i medici fiduciari delle compagnie d’assicurazione sono inseriti in pianta stabile nell’organico
delle compagnie stesse di modo che la traditio brevi
manu della documentazione medica al fiduciario potrebbe ritenersi equivalente a trasmissione della documentazione medica a mani della stessa compagnia
d’assicurazione. Tuttavia, sebbene sia difficilmente
negabile il fatto che l’adoperarsi della vittima nel
consegnare tutta la documentazione al medico fiduciario sia comportamento incompatibile con l’inerzia nell’esercizio del diritto che caratterizza la prescrizione, è opinione di chi scrive come pure detto
ultimo comportamento della vittima del sinistro
stradale vada inserito nel più ampio percorso di definizione stragiudiziale del contenzioso di modo che,
così come la visita medica disposta dalla compagnia
non valga ad interrompere la prescrizione, del pari
non è idonea ad interrompere detto termine la mera
consegna della documentazione al fiduciario della
compagnia, inserendosi quest’ultima condotta nel
medesimo e più ampio percorso di definizione bonaria del contenzioso.
268
Prescrizione civile Vs Prescrizione penale
La Suprema Corte risolve infine un ulteriore problema, anch’esso notoriamente oggetto di ampio dibattito. Parte ricorrente lamentava il fatto che la Corte
d’Appello di Roma avesse ritenuto corretto concludere come in caso di danni prodotti dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto dannoso costituisse un
reato perseguibile a querela e questa non fossa stata
proposta dalla persona offesa, fosse applicabile la
prescrizione biennale civilistica e non quella più
lunga prevista per il reato così come indicato dall’art. 2947 comma terzo c.c. Il tema in esame coinvolge le fattispecie nelle quali il fatto illecito civilistico sia preveduto dalla legge penale come reato:
nel caso relativo alla decisione in commento il fatto
in se dell’investimento del pedone configurava nella specie pure la consumazione della figura di reato
prevista dall’art. 590 c.p. - lesione personale ergo delitto punibile con la reclusione e sottoposto al termine di prescrizione quinquennale - . Come noto in
tal caso si possono dare due ipotesi distinte: se il termine prescrizionale previsto per il reato è più lungo
di quello previsto per l’esperimento dell’azione civile tale termine dovrà essere applicato pure all’azione
civile laddove se il termine prescrizionale penale
fosse invece più breve rispetto a quello previsto per
l’esperimento dell’azione di risarcimento del danno,
ragioni non vi sarebbero per derogare al prescritto
termine biennale. Ciò giusta la norma di cui all’art.
2947 c.c. Tale disciplina, di cui parte ricorrente
chiedeva l’applicazione, è però valevole nel caso in
cui l’azione civile sia legata a quella penale. Detto
elemento invero è stato comprensibilmente omesso
d’essere sottolineato da parte ricorrente che, pur
chiedendo la cassazione della sentenza della Corte
d’Appello di Roma per non aver considerato nella
specie valevole il termine prescrizionale di cinque
anni previsto per la figura di cui all’art. 590 c.p. al
posto di quello biennale applicato nella specie, opportunamente ometteva di soffermarsi troppo sul
fatto della mancata proposizione della querela e
quindi dell’inesistenza di un procedimento penale il
cui termine prescrizionale avrebbe dovuto a ragione
interessare, travolgendolo, il giudizio per il risarcimento del danno provocato dall’investimento del
pedone. Infatti laddove non vi sia il correre parallelo di due procedimenti, l’uno civile e l’altro penale,
questione di reciproche interazioni prescrizionali
non hanno nemmeno da porsi. Nella specie poi
Nota:
(3) Tribunale Bolzano, 27 marzo 2003, Grillo c. Soc. Ass. Generali in commento su Resp. civ. e prev., 2004, 818 nota Letta.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Prescrizione
l’impossibilità di corsa parallela fu ingenerata dal
fatto che, per usare il verbo della Cassazione, «in
mancanza della querela non può essere iniziata l’azione penale per lesioni colpose conseguenti ad incidente stradale» (4). Bisogna rilevare infatti, senza
spendere quindi troppe parole, come la censura sollevata con il terzo ed il quarto motivo di ricorso sia
stata opportunamente rigettata dalla Cassazione posto che ormai è orientamento conforme della stessa
(5) il concludere che in ordine alle fattispecie costituenti figure di reato, punibili a querela della persona offesa, e in cui si verifichino danni dipendenti
dalla circolazione dei veicoli, il fatto della vittima
che non s’adoperi nello sporgere querela genera l’applicazione del termine di prescrizione biennale civilistico a fronte di quello eventualmente più lungo
previsto per la figura di reato dalla disciplina penalistica. Termine decorrente, per altro, non dalla data
d’estinzione del reato o da quella in cui è divenuta
irrevocabile la statuizione del giudice penale con cui
si dichiara la non procedibilità dell’azione penale come chiedeva parte ricorrente - bensì decorrente
dal termine utile per la presentazione della querela
medesima e ciò perché, con le parole che furono già
dei supremi giudici in un deciso di poco precedente a
quello oggi in commento «l’esigenza di evitare che
l’autore di un reato - dichiarato responsabile e condannato in sede penale - resti esente dall’obbligo di
risarcimento verso la vittima in conseguenza dell’avvenuta più breve prescrizione civile durante il
tempo necessario per l’accertamento della responsabilità penale, e comunque di impedire che l’azione
di risarcimento del danno si estingua quando è ancora possibile che l’autore del fatto sia perseguito penalmente, viene meno laddove la querela non risulti in concreto proposta» (6). Del resto tale conclusione era invero, come rilevato, da tempo pacifica
posto che sin dai primi anni ‘80 si aveva modo di
leggere nei repertori di giurisprudenza in tema di
prescrizione come «la mancanza della querela fa si
che la prescrizione della pretesa risarcitoria decorra
dal giorno in cui si è verificato il fatto illecito» (7).
In conclusione bisogna rilevare quindi come la decisione in esame paia corretta sotto ogni profilo essendo rispettosa tanto della legge regolante la materia
quanto degli ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali afferenti il tema in oggetto. Certo, in
un sistema di valori che pone al centro la persona
umana e i suoi diritti fondamentali, resta difficile allontanare l’impressione che sarebbe “cosa buona e
giusta” riconoscere efficacia interruttiva della prescrizione alla “chiamata” della vittima alla visita
medico legale disposta dalla compagnia d’assicura-
Danno e responsabilità 3/2009
zione specie laddove, come nel caso de quo, l’invito
a visita non fosse accompagnato dall’espressa riserva
in ordine al mancato riconoscimento da parte della
compagnia d’assicurazione d’ogni qual tipo di responsabilità. Tuttavia detta soluzione “è veramente
cosa buona e giusta?” posto che porterebbe all’evidente paradosso che la prescrizione verrebbe così interrotta non dal comportamento fattivo dell’avente
diritto ma dal comportamento della sua controparte
che, invero, ha tutto l’interesse ad eccepire l’intervenuta prescrizione. Una soluzione mediana potrebbe configurarsi nel considerare interruttivo del termine prescrizionale il fatto della consegna di tutta la
documentazione clinica al medico fiduciario di controparte in quanto comportamento incompatibile
con l’atteggiamento d’inerzia che porta l’avente diritto a vedere prescritta la deduzione della sua pretesa in giudizio. Pure detta soluzione tuttavia è stata
sconfessata nella decisione in commento, e in effetti a ragione, posto che la consegna della documentazione, come già sopra rilevato, va inquadrata nel più
ampio percorso di definizione stragiudiziale della
controversia; percorso che, stante la clausola di cui
al terzo comma dell’art. 2937 c.c. e di cui all’art.
2944 stesso codice, non può sicuramente considerarsi come costituente né fatto interruttivo del termine prescrizionale, né rinuncia tacita a far valere
l’intervenuta prescrizione.
Note:
(4) Cass., sez. III, 25 maggio 1990, n. 14199 richiamata dalla decisione 19321/2008 in commento.
(5) Dal ultimo con Cass., sez. III, 5 giugno 2007, n. 13057 altrettanto richiamata nella decisione in commento.
(6) Cass., sez. III, 5 giugno 2007, n. 13057.
(7) Sul punto, anche per l’indicazione della risalente e conforme
giurisprudenza, si veda P.G. Monateri, La responsabilità civile, in
Trattato di Diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1998, Cap.
XXI, 386 (da cui è tratto il virgolettato).
269
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
Lesioni dell’integrità personale
La liquidazione del danno
patrimoniale futuro tra oneri
probatori e valutazione
delle circostanze concrete
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 15 luglio 2008, n. 19445 - Pres. Varrone - Est. Lanzillo - P.M.
Marinelli (conf.) - M.A. c. Riunione Adriatica Sicurtà S.p.a.
Non si può escludere, in linea di principio, e senza motivazione, che il danno alla persona subito da un soggetto minore di età non abbia alcuna influenza sulla sua futura capacità di produrre reddito. È da presumere,
invece, che le lesioni non irrilevanti dell’integrità personale siano destinate a produrre un danno patrimoniale
futuro, in termini di riduzione della futura capacità di guadagno, in quanto risponde ai principi della comune
esperienza che oggi, di regola, qualunque soggetto è tenuto a svolgere un’attività di lavoro, per provvedere al
proprio sostentamento, e che anche una leggera imperfezione dell’integrità fisica potrebbe porre ostacolo
all’opportunità di trovare un lavoro e di produrre reddito.
In tema di risarcimento del danno alla persona, posto che le lesioni non irrilevanti della integrità personale di
un minore di età, non svolgente attività lavorativa, sono presumibilmente destinate a produrre un danno
patrimoniale futuro, in termini di riduzione della sua futura capacità di guadagno, al fine di determinare il relativo danno il giudice deve tener conto non soltanto della rilevanza quantitativa delle lesioni, in termini di percentuale di invalidità medicalmente accertata, ma anche della loro natura e qualità - rispetto alle presumibili
opportunità di lavoro che si presenteranno al danneggiato, avuto riguardo alle sue peculiari tendenze ed attitudini - dell’orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività redditizia, dell’educazione dallo stesso ricevuta dalla famiglia e della posizione sociale ed economica di
quest’ultima, nonché della situazione del mercato del lavoro e, infine, di ogni altra circostanza oggettivamente o soggettivamente rilevante, ferma restando la possibilità per colui che è chiamato a rispondere di dette
lesioni di dimostrare, in forza degli stessi anzidetti criteri, che il minore non risentirà alcun danno dal quel particolare tipo di invalidità.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. 10 marzo 2008, n. 6288, in Resp. civ. prev., 2008, 1311; Cass. 20 febbraio 2007, n. 3949, in questa Rivista, 2008, 21; Cass. 30 novembre 2005, n. 26081, in Giust. civ. Mass., 2005, 11.
Difforme
Cass. 17 gennaio 2003, n. 608, in Dir. e giust., 2003, 9; Cass. 2 ottobre 2003, n. 14678, in Giust. civ.
Mass., 2003, 10.
In fatto
Il (omissis) il minore M.A. è stato investito da un’autovettura Fiat Panda, di proprietà della s.a.s. SAE Office
Automation e condotta da G.C., mentre camminava
lungo la via (OMISSIS), in (omissis).
Con atto di citazione notificato il 3.6.1992 i genitori dell’infortunato, M.B. e M.M., hanno convenuto davanti al
Tribunale di Torre Annunziata proprietario e conducente dell’autovettura e la s.p.a. Italica Assicurazioni (oggi
s.p.a. RAS), chiedendo il risarcimento dei danni.
I convenuti hanno resistito alla domanda, contestando
sia la responsabilità, sia l’entità dei danni.
270
Con sentenza n. 993 del 1998 il Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato la responsabilità esclusiva di G.C.
ed ha condannato i convenuti in via solidale al risarcimento dei danni, quantificati in L. 25.500.000, oltre interessi e spese processuali.
Proposto appello dai danneggiati per ottenere l’incremento della somma liquidata in risarcimento, la Corte
di appello di Napoli - con sentenza 21 maggio - 4 giugno 2004 n. 1849 - in parziale riforma della sentenza di
primo grado, ha quantificato in Euro 27.912,60, oltre
interessi e rivalutazione monetaria, l’importo dei danni.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
Propone ricorso per Cassazione M.A., deducendo due
motivi.
Resiste la RAS con controricorso.
In Diritto
1. - Con il primo motivo, deducendo violazione degli
artt. 1223, 1226, 2056, 2058, 2697, 2727 e 2729 c.c., dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 2, 3, 4, 24, 35, 36, 111 Cost.,
della L. n. 39 del 1977, art. 4, comma 3, nonché omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, il ricorrente lamenta che
la Corte di appello abbia omesso di liquidare in suo favore il danno patrimoniale futuro da inabilità permanente,
con la motivazione che, all’epoca della seconda CTU
esperita nel corso del giudizio, egli aveva (OMISSIS) anni ed era ancora disoccupato.
Rileva il ricorrente che la percentuale di inabilità permanente da lui riportata è in realtà superiore a quella riconosciuta dal CTU (12-13%) ed è comunque superiore alle c.d. micropermanenti, di cui si presume l’ininfluenza
sulla futura capacità di guadagno; che egli ha ottenuto l’iscrizione nel Registro degli esercenti il commercio per
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, con
attribuzione di partita IVA, e che le lesioni riportate, attinenti alla zona tibiotarsica destra, sono destinate a ripercuotersi sulla sua capacità di lavoro e sui suoi futuri
redditi; che dette lesioni gli hanno impedito di intraprendere la carriera militare, come avrebbe desiderato, ed
ostacoleranno lo svolgimento di ogni altra attività lavorativa remunerata, sicché la Corte di appello, pur in mancanza di prova specifica, avrebbe dovuto riconoscergli il
risarcimento del danno patrimoniale futuro, tenuto anche conto della riduzione delle occasioni di lavoro che
potrà permettersi di accettare.
1.1. - Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali derivanti dall’incidenza
delle lesioni riportate dall’infortunato sulla futura capacità di guadagno, con la sola motivazione che non era stata fornita “una prova rigorosa ai sensi dell’art. 2697 c.c.”
della suddetta voce di danno, rilevando “per incidens, che
il predetto aveva tredici anni all’epoca del sinistro e che
all’epoca della seconda CTU aveva (omissis) anni ed era
ancora disoccupato”.
Trattasi di motivazione insufficiente e comunque non
congrua e inidonea a giustificare sotto il profilo logico giuridico la soluzione adottata.
In primo luogo, il caso in cui il danneggiato sia minorenne e di età inferiore a quella in cui normalmente si manifestano, in modo anche solo incipiente, i futuri orientamenti professionali, costituisce una delle fattispecie tipiche in cui il danno patrimoniale futuro non può essere
specificamente provato ed occorre procedere alla sua
quantificazione con valutazione equitativa (art. 1226
c.c., espressamente richiamato in materia di responsabilità extracontrattuale dall’art. 2056 c.c., comma 1). Inoltre, si tratta di voce di danno inquadratale nell’abito del
lucro cessante, per il quale l’art. 2056 c.c., comma 2 cit.
dispone che in ogni caso si proceda “con equo apprezzamento delle circostanze del caso”.
Danno e responsabilità 3/2009
Erroneamente, pertanto, la Corte di appello ha richiesto
la prova specifica della voce di danno in oggetto.
Il risarcimento avrebbe potuto essere negato solo se il
giudice avesse previamente accertato non la mera, mancata dimostrazione del guaritimi, ma l’insussistenza dell’an debeatur, cioè se avesse accertato che non è neppure
astrattamente ipotizzabile che le lesioni riportate dall’infortunato avranno una qualunque incidenza sulla sua
futura capacità di produrre redditi: giudizio che deve essere formulato tenendo conto non del solo aspetto quantitativo (entità della percentuale di invalidità accertata
in via peritale), ma anche della qualità delle lesioni residuate, in relazione ai tipi di attività lavorativa sui quali
potrebbero effettivamente incidere.
Su tali aspetti lei sentenza impugnata - che neppure indica quale sia la natura delle lesioni riportate dall’infortunato - è priva di ogni motivazione. (Nel senso che il diniego al minore del risarcimento dei danni patrimoniali
futuri deve essere specificamente motivato, Cass. civ.,
sez. 3^, 7 agosto 2001 n. 10905).
Il rilievo secondo cui l’infortunato era ancora disoccupato a (omissis) anni è di per sé solo ininfluente ed incongruo, sia perché normalmente la disoccupazione non è
frutto di una scelta di vita, destinata a protrarsi per sempre, ma è imposta da situazioni contingenti, che si auspica vengano superate; sia perché si tratta di un dato ambivalente, potendo la disoccupazione essere stata causata, o
concausata, dalle non perfette condizioni fisiche del soggetto, che possono rappresentare un ostacolo all’impiego,
soprattutto nelle situazioni e nei luoghi di disagio occupazionale, ove si richiede la massima flessibilità nell’offerta di prestazioni lavorative e l’adattabilità del lavoratore a svolgere la più ampia gamma di compiti.
Lo stato di disoccupazione potrebbe cioè costituire parte
o evidenza del danno, anziché dimostrarne l’insussistenza.
In sintesi, non si può escludere in linea di principio, e
senza motivazione, che il danno alla persona subito da un
soggetto minore di età non abbia alcuna influenza sulla
sua futura capacità di produrre reddito.
È da presumere, invece, che le lesioni non irrilevanti dell’integrità personale siano destinate a produrre un danno
patrimoniale futuro, in termini di riduzione della futura
capacità di guadagno, in quanto risponde ai principi della comune esperienza che oggi, di regola, qualunque soggetto è tenuto a svolgere un’attività di lavoro, per provvedere al proprio sostentamento, e che anche una leggera imperfezione dell’integrità fisica potrebbe porre ostacolo allo opportunità di trovare un lavoro e di produrre
reddito.
Il giudice dovrà tenere conto, allo scopo, di ogni circostanza non della sola rilevanza quantitativa delle lesioni,
in termini di percentuale di invalidità medicalmente accertata, ma anche della natura e qualità delle lesioni riportate, in relazione alle presumibili opportunità di lavoro che al danneggiato si presenteranno, tenuto conto delle sue peculiari tendenze ed attitudini; dell’orientamento
eventualmente manifestato verso una determinata attività redditizia; dell’educazione ricevuta o da ricevere;
della posizione sociale ed economica della famiglia; della
271
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
situazione del mercato del lavoro e di ogni altra circostanza oggettivamente o soggettivamente rilevante (cfr.,
sul tema, Cass. Civ., Sez. 3^, 26 febbraio 2004 n. 3868).
Resta ferma, ovviamente, la possibilità per il responsabile di dimostrare il contrario: di dimostrare cioè, in base
agli stessi criteri sopra indicati, che il minore non risentirà alcun danno da quel particolare tipo di invalidità.
La sentenza impugnata non ha motivato su alcuno di
questi aspetti e deve essere per questo capo cassata.
2. - Con il secondo motivo, deducendo violazione degli
art. 1223, 1226, 2043, 2054, 2056, 2059, 2697, 2727 e
2729 c.c., degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.; dell’art.
185 c.p., comma 2, e dell’art. 190 c.p., degli artt. 2, 3, 10,
il, 13, 24, 32, 111 Cost.; 8, 1 comma, Convenzione europea sui diritti dell’uomo, 6 e 46 del Trattato di Amsterdam, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia omesso di
liquidare in suo favore i danni non patrimoniali, per il
fatto che la responsabilità del conducente dell’automobile investitrice è stata accertata sulla base della presunzione di cui all’art. 2054 c.c. il ricorrente richiama, il conso-
lidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il
mancato accertamento dell’aspetto soggettivo del reato
non è di ostacolo alla risarcibilità dei danni non patrimoniali.
2.1. - Il motivo è fondato.
La Corte di appello non ha tenuto conto della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la risarcibilità dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art.
2059 c.c. e dell’art. 185 c.p., non trova ostacolo nel mancato, positivo accertamento della colpa dell’autore del
danno, se essa debba ritenersi sussistente in base ad una
presunzione di legge, come nei casi di cui all’art. 2054 c.c.
e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato” (Cass. Civ., Sez. 3^, 12 maggio 2003 n. 7282;
Cass. civ., Sez. 3^, 19 novembre 2007 n. 23918).
3. - La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio
della causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa
composizione, che deciderà la controversia nel merito,
uniformandosi ai principi sopra indicati e disporrà anche
in ordine alle spese del presente giudizio.
(Omissis)
IL COMMENTO
di Denise Amram
Traendo spunto dalla sentenza in epigrafe, avente ad oggetto il risarcimento del danno patrimoniale futuro
ad un soggetto non percettore di reddito, nel tentativo di ricostruire metodi e criteri di valutazione equitativa di tale pregiudizio, l’Autrice opera un confronto con quelli utilizzati dalla prassi per la liquidazione del profilo non patrimoniale del danno alla persona, soffermandosi, in particolare, sulle innovazioni apportate dalle
SS.UU. 26972-26975/2008 in merito alla quantificazione del danno morale soggettivo.
Il caso
Un minore, investito da un’autovettura, riportava
postumi macro-permanenti quantificati da c.t.u.
medico-legale in una percentuale di invalidità compresa tra i 12 e i 13 punti. In primo grado il Tribunale di Torre Annunziata aveva condannato il conducente dell’auto al risarcimento di una somma pari a
lire 25.500.000, aumentata, in sede di Appello, fino
ad Euro 27.912,60.
Ormai maggiorenne, l’infortunato ricorreva per
Cassazione lamentando la mancata liquidazione in
proprio favore del danno patrimoniale futuro da inabilità permanente, adducendo che le lesioni riportate alla zona tibio-tarsica destra avrebbero avuto ripercussioni sulla propria capacità di lavoro e sui propri redditi futuri.
Il ricorrente, infatti, in seguito alle lesioni subite, si
è trovato costretto a rinunciare ad intraprendere la
carriera militare, nonché inidoneo allo «svolgimento di ogni altra attività lavorativa remunerata». Per
tali motivi, la Corte di Appello, pur in mancanza di
272
prova specifica, avrebbe dovuto riconoscergli il risarcimento del danno patrimoniale futuro, tenuto
anche conto della riduzione delle occasioni di lavoro che potrà permettersi di accettare.
Nella sentenza in commento, la Cassazione, inquadrando la posta di danno richiesta nell’alveo dell’art. 2056, II comma, c.c., ha osservato in primo
luogo che la Corte di Appello avrebbe dovuto tener
conto delle circostanze del caso e, in particolare, del
fatto che la minore età dell’infortunato al momento
del sinistro e la sua giovane età al momento dell’espletamento della seconda c.t.u. (24 anni) giustificassero la mancata allegazione della prova relativa
al danno patrimoniale futuro, vista la difficoltà di
individuare i venturi orientamenti professionali del
soggetto.
In seconda battuta, la sentenza in commento affronta la questione concernente la risarcibilità del danno non patrimoniale, in caso si mancato accertamento della responsabilità e di attribuzione della
stessa sulla base della presunzione di cui all’art 2054,
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
comma 1, c.c., risolvendola in favore della liquidazione dello stesso, aderendo così al consolidato
orientamento di legittimità e di merito.
An e quantum del danno patrimoniale
futuro del minore
La sentenza in commento offre spunti di riflessione
in materia di danno patrimoniale alla persona sia
con riferimento alla sua risarcibilità in un infortunato minorenne, sia con riferimento ai criteri di liquidazione dello stesso (1).
Dottrina e giurisprudenza concordano sul principio
secondo cui la lesione dell’integrità psicofisica, determinante un’invalidità permanente superiore al
9%, abbia delle ripercussioni sulle future capacità di
guadagno, giacché, come si evince dalla sentenza in
epigrafe, «risponde ai principi della comune esperienza che oggi, di regola, qualunque soggetto è tenuto a svolgere un’attività di lavoro, per provvedere
al proprio sostentamento, e che anche una leggera
imperfezione dell’integrità fisica potrebbe porre
ostacolo all’opportunità di trovare una occupazione
e di produrre reddito».
L’impossibilità di escludere a priori che il danno alla
persona del minore possa incidere sulla sua futura
capacità reddituale, conduce alla determinazione di
una presunzione in favore dell’ammissibilità delle
proprie istanze risarcitorie patrimoniali future (2).
Diversamente, l’orientamento giurisprudenziale più
recente tende ad invertire una simile presunzione in
caso di lesioni microinvalidanti: ciò significa che il
soggetto inoccupato, nel nostro caso il minore (ma
potrebbe trattarsi di una casalinga o di un disoccupato (3)) che in ragione dei postumi micropermanenti ritenga di aver perso delle chances lavorative e
di aver subito un danno alla propria capacità reddituale, dovrà provare che, in virtù dello stato di
avanzamento dei propri studi o delle proprie attitudini, avrebbe potuto intraprendere un’attività lavorativa remunerativa (4).
La peculiarità della fattispecie descritta nella sentenza in epigrafe risiede nell’accoglimento della richiesta di parte attrice relativa al danno patrimoniale futuro subito dal ricorrente, minorenne al momento del sinistro. Se infatti il risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa
specifica in un lavoratore attivo, sia sempre risultato
pacifico, non altrettanto può dirsi per quelle categorie di soggetti privi di reddito (5). La sua negazione
si porrebbe, tuttavia, in contrasto con i principi di
integrale risarcimento del danno e della totale reintegrazione del patrimonio del danneggiato (6).
Danno e responsabilità 3/2009
In osservanza dei medesimi principi, sebbene si
escluda che i soggetti privi di reddito possano vedersi liquidare i danni patrimoniali dovuti all’invalidità
temporanea (7), il danno da lucro cessante per l’invalidità permanente (che proiettandosi nel futuro
risulta suscettibile di valutazione) potrà dunque essere quantificato sulla base di determinati parametri
che permettano di commisurare le qualità del sogNote:
(1) In dottrina G. B. Petti, Il risarcimento del danno patrimoniale
e non patrimoniale della persona, Torino, 1999; M. Bona, Quantum del danno patrimoniale e liquidazione equitativa, in questa
Rivista, 2006, 1073; F. Buzzi, Il danno patrimoniale da lucro cessante e la riduzione della capacità lavorativa: una relazione molto
equivoca, in Riv. it. med. leg., 2007, 405.
(2) Secondo la sentenza Cass. 30 novembre 2005, n. 26081, in
Giust. civ. Mass., 2005, 11, tra il riportare, in seguito ad illecito,
postumi di carattere macropermanente e la perdita della capacità lavorativa futura sussisterebbe un nesso di causa effetto e
non un mero rapporto presuntivo. Una simile interpretazione, accolta in dottrina da D. Chindemi, in Il danno da perdita di chance,
Milano, 2007, 79 e ss., se da un lato presenta il pregio di facilitare il riconoscimento del danno patrimoniale futuro a soggetti che
non percepiscono redditi, dall’altro risulta strumentale alla creazione di duplicazioni risarcitorie, mediante il riconoscimento della capacità lavorativa generica quale figura autonoma di danno rispetto al danno biologico, ipotesi priva di fondamento alla luce
dell’orientamento segnato dalle SS.UU. del novembre 2008 (su
cui infra). Sulla differenza tra capacità lavorativa generica e specifica e la necessaria riconduzione della prima all’interno del danno biologico si veda G. Giannini, Il risarcimento del danno alla
persona nella giurisprudenza, II ed., a cura di Martini e Rodolfi,
Milano, 2000.
(3) Sul danno patrimoniale futuro al soggetto disoccupato si veda D. Chindemi, Risarcimento dei danni patrimoniali al disoccupato e principio di Cincinnato, in Resp. civ. prev., 2008, 2001.
(4) Cass. 18 settembre 2007, n. 19357, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2008, 136 e Cass. 26 febbraio 2004, n. 3868, in Giust. civ.
mass., 2004
(5) Tra cui la casalinga (Cfr. Trib. Firenze 24 maggio 1990, n. 885,
in Arch. giur. circ. sin., 1991, 219 e Corte d’appello di Milano 19
ottobre 1993, in Ass., 1994, 124); lo studente (Cass. 1 novembre
1999, n. 13358, in questa Rivista, 1999, 1101, con nota di G. Comandé, Il vademecum della Corte di cassazione sul danno alla
persona e sulle c.d. «tabelle»; Cass. 1 luglio 1998, n. 6420, in
Resp. civ., 1998, 1370, con nota di S. Bastianon, La Cassazione
torna sulla vexata quaestio della quantificazione del danno patrimoniale (da lucro cessante) nel caso di minori non svolgenti attività lavorativa); il disoccupato. Sul tema F. D. Busnelli, Nuove
frontiere della responsabilità civile, in Jus, 1976, spec. 56 ss.;
Id., voce Illecito (diritto civile), in Enc. giur., vol. XV, Roma, 1989,
3 ss.
(6) Tali principi sono tutelati anche dagli artt. II-61 e II-62 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il
29 ottobre 2004 e ratificato con legge 7 aprile 2005, n. 57.
(7) A. Nannipieri «Ritornando sui casi di esclusione del lucro cessante da invalidità temporanea non ritengo di poter condividere
l’interpretazione estensiva dell’art. 4 comma 3 legge 39/1977 sino al punto di legittimare il risarcimento per tale voce di danno a
tutti i soggetti che non svolgono una attività lavorativa o autonoma», in Il danno da riduzione della capacità produttiva, in questa
Rivista, 1997, 559. Contra Cass. 22 febbraio 1995, n. 1955, in
Giust. civ. Mass., 1995, 403 e Cass. 17 gennaio 2003, n. 608, in
Dir. e giust., 2003, 9. Da ultimo si veda Cass. 19 giugno 2008, n.
16639, in Resp. civ. prev., 2008, 1999 con nota di D. Chindemi.
273
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
getto, in base alle proprie attitudini, al proprio curriculum studiorum, alle condizioni socio-economiche
della famiglia e al grado di incisività dei postumi riportati sulle stesse (8).
La sentenza in commento sancisce l’inclusione, tra i
danni risarcibili al minore, quello patrimoniale futuro, dietro la considerazione che, in tale ipotesi, quest’ultimo non possa «essere specificamente provato», occorrendo così «procedere alla sua valutazione
equitativa» (9).
Sul punto è bene soffermarsi, richiamando precedenti pronunce di legittimità che, con maggiore
chiarezza, hanno distinto il piano della risarcibilità
da quello della liquidazione.
Nel 2004 infatti la Cassazione (10) aveva attribuito
al minore che avesse riportato in seguito al sinistro
dei postumi macropermanenti (11), l’onere di provare l’orientamento lavorativo che avrebbe intrapreso, in considerazione della posizione sociale ed
economica della famiglia e il pregiudizio patrimoniale subito, inteso come «minore capacità di guadagno nello svolgimento dell’attività lavorativa futura» (12).
Più recentemente il Supremo Collegio (13) ha precisato che la riduzione della capacità lavorativa specifica non costituisce una conseguenza automatica
della lesione permanente all’integrità psicofisica,
bensì, per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente abbia ricavato o ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, debbono sussistere
degli elementi probatori, quanto meno indiziari
(14), imprescindibili.
In caso di mancata allegazione circa la sussistenza di
una specifica attività lavorativa, sia essa potenzialmente intrapresa o in atto, sarebbe più opportuno
che la generica, benché accertata, difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, dovuta ai postumi riportati dall’infortunato, costituisca un elemento di
personalizzazione del danno biologico, anziché una
posta risarcitoria autonoma (15).
Dal punto di vista dell’an risarcitorio è necessario
dunque ritenere non superato dalla sentenza in epigrafe l’ultimo orientamento prospettato: benché infatti l’individuazione di un nesso di causalità tra i
postumi permanenti riportati e la diminuzione della
capacità lavorativa sia spesso intuitiva, è opportuno
ricordare, in primo luogo, che il nostro ordinamento
non concepisce la liquidazione di danni in re ipsa, secondariamente, che soltanto la lesione della capacità lavorativa specifica costituisce un’autonoma
posta di danno patrimoniale, rientrando, invece, la
compromissione di quella generica nella liquidazione del danno alla salute.
274
Note:
(8) «Il danneggiato, anche se privo di occupazione, ha nel proprio
progetto di vita, secondo previsioni di ragionevole attendibilità, il
prossimo inserimento nel mondo del lavoro. Da questo punto di
vista, la mancanza di reddito al momento dell’infortunio, non può
escludere il danno futuro collegato all’invalidità permanente, la
quale, proiettandosi nell’avvenire, inciderà sulla capacità di guadagno della vittima, dal momento in cui essa inizierà a svolgere
un’attività remunerata», così C. D’Agata, L’incapacità lavorativa
specifica dello studente: pregi e difetti del c.d. “danno da bocciatura”, in questa Rivista, 2008, 21.
(9) Si veda anche Cass. 10.03.2008, n. 6288, in Resp. civ. prev.,
2008, 1311, secondo cui «La domanda di ristoro patrimoniale
per la perdita della capacità lavorativa specifica in soggetto minore, si fonda sul danno ingiusto da lesione della salute, ed è
scientificamente provata dalla valutazione della gravità delle lesioni e dalla loro possibile evoluzione negativa nella fase successiva alla crescita; la valutazione equitativa è a carattere satisfattivo e deve tendere alla integralità del risarcimento».
(10) Cass. 26 febbraio 2004, n. 3868, in Giust. civ. Mass., 2004,
2.
(11) «In tema di danni alla persona, i postumi permanenti di modesta entità (c.d. micropermanente, correlata al mancato superamento del 10%), di norma, salva diversa prova contraria (il cui onere incombe sul danneggiato), non incidono sulla capacità lavorativa specifica e rimangono valutabili soltanto come danno biologico
(e, perciò, di tipo non patrimoniale); in proposito, peraltro, mentre
è agevole presumere - con riguardo a quanti svolgono un’attività
essenzialmente intellettiva - che i loro guadagni futuri rimarranno
sostanzialmente invariati, venendo l’accertata lesione a produrre
un pregiudizio esclusivamente nell’ambito del c.d. danno biologico, diversamente deve ritenersi nell’ipotesi del danneggiato che
esplichi attività manuali, specie se particolarmente faticose e usuranti». Così, Cass., sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20317; Cass., sez.
III, 10 agosto 2004, n. 15418, in Arch. giur. circ. e sin. strad., 2005,
220; Cass. 20 gennaio 1997, n. 535, in Foro it., 1997, I, 3645.
(12) Parimenti la su citata sent. Cass. 26081/2005, cit. ha ribadito che il danno patrimoniale futuro costituisca una posta di danno ulteriore rispetto al danno biologico e si riferisca, in particolare, alla riduzione della capacità lavorativa specifica conseguente
alla grave menomazione cagionata dalla lesione subita in conseguenza del fatto illecito.
(13) Cass. 14.06.2007, n. 13953, in Giust. civ. Mass., 2007, 6.
(14) L. Gremigni Francini «L’aver puntualizzato la necessità ineliminabile di un apporto probatorio - quantomeno di carattere indiziario - ai fini della presa in considerazione del danno patrimoniale futuro costituisce da parte del S. C. un segnale di chiara disapprovazione rispetto a quegli atteggiamenti liquidatori (ancora
non del tutto sradicati dal terreno della prassi) che desumono
meccanicamente dall’accertata sussistenza del danno alla salute
un lucro cessante ricollegabile al detrimento della capacità lavorativa generica, giungendo così inopinatamente a raddoppiare le
voci di danno risarcibile», in Ipotesi particolari di danno alla persona e oneri della prova, nota a Cass. 15641/2002, in questa Rivista, 2003, 618
(15) Così, Tribunale di Roma 9 gennaio 2001, n. 250, disponibile
su www.lider-lab.org/odp_database ed oggetto di analisi nell’ambito dell’Osservatorio sul Danno alla Persona, istituito dall’Isvap e dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Nella specie,
essendo emerso dalla c.t.u. medico-legale che l’infortunato
avrebbe trovato difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro, a
causa della ridotta capacità deambulatoria, l’organo giudicante
ha ritenuto equo, non potendosi basare sul reddito percepito al
momento del sinistro, elevare l’ammontare relativo al danno biologico di lire 30.000.000, in ragione dell’incidenza dei postumi
sulla capacità lavorativa generica, non potendo infatti liquidare alcuna somma a titolo di perdita di capacità lavorativa specifica,
per mancanza di allegazione probatoria circa la percezione di un
reddito in epoca precedente al sinistro.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
Passando ad analizzare i profili relativi al quantum
debeatur, la sentenza in epigrafe individua nella norma contenuta nel secondo comma dell’art. 2056 c.c.
il riferimento primario su cui incentrare la valutazione del danno, ovvero «l’equo apprezzamento delle circostanze del caso». Nella fattispecie sono state
prese in considerazione quelle relative allo stato di
disoccupazione del soggetto (ormai ventiquattrenne
al momento dell’espletamento della seconda c.t.u.
medico-legale) e alla possibilità che le non perfette
condizioni fisiche dello stesso abbiano potuto rappresentare un ostacolo all’impiego, soprattutto là
dove si richieda la massima flessibilità nell’offerta di
prestazioni lavorative (16).
Pur estendendo la gamma di circostanze su cui ponderare la valutazione, la pronuncia in commento
aderisce all’orientamento segnato dalla precedente
Cass. n. 3949/2007 (17), secondo cui, per quantificare la diminuita capacità del minore non percettore di reddito al momento dell’illecito, si dovrà operare una valutazione prognostica della futura attività
lavorativa, sulla base degli studi compiuti e delle inclinazioni, rapportando tale risultato alla posizione
economico-sociale della famiglia. Ciò significa che
il parametro del c.d. caso Gennarino (18) potrà essere utilizzato solo se una simile previsione non possa essere eseguita.
Per quanto riguarda la determinazione del quantum
debeatur, il giudice non potrà dunque applicare il criterio del triplo della pensione sociale in via automatica, ma sarà chiamato ad adeguare il risarcimento sulla base delle circostanze concrete (19), che sono state
esemplificate, nella sentenza che si va commentando,
nella natura e nell’entità delle lesioni, da valutare in
relazione «alle presumibili opportunità di lavoro che
al danneggiato si presenteranno, tenuto conto delle
sue peculiari tendenze ed attitudini, dell’orientamento eventualmente manifestato verso una determinata
attività redditizia, dell’educazione ricevuta o da ricevere; della posizione sociale ed economica della famiglia; della situazione del mercato del lavoro e di ogni
altra circostanza oggettivamente o soggettivamente
rilevante», salva prova contraria del danneggiante.
Il criterio del triplo della pensione sociale contenuto nella norma di cui all’art. 4, l. 39 del 26 febbraio
1977, anche con riferimento a quanto disposto dall’art. 137 cod. ass., potrebbe essere assunto come base oggettiva di calcolo, suscettibile pertanto di essere aumentata in ragione di ciascun elemento allegato durante la fase istruttoria che sia considerato rilevante ai fini della valutazione prognostica delle opportunità lavorative dell’infortunato. Ciò non significa tuttavia che tale criterio sia suscettibile di appli-
Danno e responsabilità 3/2009
cazione automatica, né che possa fungere da rimedio
alla mancata allegazione probatoria del mancato
guadagno futuro (20).
La combinazione di circostanze soggettive (le tendenze e le attitudini del minore) ed oggettive (il grado di istruzione raggiunto al momento del sinistro e
posizione economica della famiglia) permette all’organo giudicante di costruirsi un percorso logico circa l’attività futura potenzialmente svolta dal danneggiato (21).
Note:
(16) Non dissimile il caso oggetto della sentenza Cass. 17 gennaio 2003, n. 608, cit., che ha confermato la sentenza di merito
con cui era stato liquidato il danno futuro subito all’età di 17 anni da un minore dedito agli studi, applicando quale base di calcolo il triplo della pensione sociale ed il coefficiente di capitalizzazione stabilito per una persona dell’età di 24 anni, ritenendo, sulla scorta delle risultanze processuali, che a detta età egli avrebbe concluso il ciclo di studi, inserendosi nel mondo del lavoro.
(17) Cass. 20 febbraio 2007, n. 3949, in questa Rivista, 2008, 21,
con nota di C. D’Agata, in Foro it., 2007, 5, 145, in Resp. civ.
prev., 2007, 1092, con nota di D. Chindemi, in Riv. giur. sarda,
2008, 3, con nota di S. Lecca.
(18) Il riferimento è alla nota sentenza Gennarino, con cui il Tribunale di Milano 18 gennaio 1971 (in Dem. dir., 1971, 225 ss.,
con nota di A. Galoppini) aveva stabilito un’equivalenza tra il reddito prodotto dal genitore e quello presumibilmente producibile
dal figlio durante la propria vita lavorativa.
(19) Tribunale di Pisa 11 febbraio 1999 «nell’ipotesi di danno alla
persona subito da un minore, la somma base per il successivo
calcolo dei guadagni virtuali e cd. figurativi è costituita dall’importo della pensione sociale triplicata (..) il giudice deve partire
da questo importo minimo operando sullo stesso un aumento
multiplo che potrà variare da caso a caso in relazione della situazione occupazionale esistente al momento della pronuncia e alla
peculiarità della fattispecie concreta», in M. Iafisco, Ricordate
Gennarino?, in Dir. prat. ass., 1990, 73 ss.
(20) Così, Cass. 8 novembre 2007, n. 23293, cit.
(21) Si vedano alcuni esempi di combinazione delle circostanze
concrete: Tribunale di Cosenza 11 luglio 2005, il quale stabilisce
che nell’ipotesi di invalidità permanente riportata da un minore
«il danno (..) non può che essere determinato dal giudice per
mezzo di presunzioni, in base al tipo di attività che va accertata
con criteri di probabilità, tra cui gli studi compiuti o le inclinazioni
manifestate, se possibile rilevarle in concreto, ovvero tenendo
conto dell’attività lavorativa e della situazione economico-sociale
della famiglia del minore, ovvero di altri elementi da cui desumere quale attività avrebbe esercitato il minore, al fine di determinare il suo probabile reddito futuro». Verificando tuttavia nella
fattispecie concreta la mancata allegazione di ulteriori elementi,
il Tribunale ha applicato le tabelle di cui al RD 9 ottobre 1922, n.
1403, ricavando il quantum attraverso la nota formula algebrica,
avente per base la pensione sociale di cui all’art. 4 l. 39/1977.
Diversamente il Tribunale di Taranto 6 luglio 2005, ha accolto in
motivazione il criterio di quantificazione basato sulla pensione
sociale. Tuttavia, al momento della liquidazione, ha utilizzato, come base di calcolo il reddito medio del genitore imprenditore, riducendolo di un 25% in ragione del fatto che occorra considerare il guadagno medio conseguibile mensilmente dall’infortunato
nel suo percorso lavorativo inferiore rispetto a quanto percepito
mediamente dal genitore. Le sentenze sono disponibili su
www.lider-lab.org/odp_database ed oggetto di analisi nell’ambito dell’Osservatorio sul danno alla Persona, istituito dall’Isvap e
dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
275
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
Solo operando attraverso tale criterio il giudice sarà
in grado di valutare prudentemente il danno sofferto dal minore, avvicinandosi il più possibile all’integrale ristorazione dei pregiudizi, senza incorrere nell’errore di generalizzazioni di situazioni simili, ma
non omogenee, ovvero scongiurando il pericolo che
a tutti i soggetti privi di reddito sia attribuito il triplo della pensione sociale (22).
Si eviterà altresì di concedere poste risarcitorie prive di accertamento ed allegazione probatoria delle
circostanze concrete (in quanto il fatto che la liquidazione avvenga in via equitativa, non esclude la
permanenza degli oneri probatori, capaci di supportare le presunzioni su cui si incentra il convincimento del giudice), che sfocerebbero in duplicazioni rispetto al danno alla salute nella sua componente di
lesione della capacità lavorativa generica.
Danno morale soggettivo
L’ulteriore punto in cui la pronuncia della Corte di
Appello di Napoli è stata cassata dalla sentenza in
epigrafe si riferisce alla mancata liquidazione del
danno non patrimoniale.
Il risarcimento del danno non patrimoniale era tradizionalmente legato all’interpretazione letterale
dell’art. 2059 c.c. in combinato disposto con l’art.
185 c.p., in quanto unica disposizione (fino alla legislazione speciale degli ultimi anni dello scorso secolo) (23) che espressamente prevedesse la sua risarcibilità, seppur esclusivamente in presenza di reato.
Il danno non patrimoniale nella sua manifestazione
di danno morale soggettivo veniva ad essere identificato con il patimento transeunte dell’animo, pregiudizio che non poteva, in virtù del principio dell’integrale risarcimento del danno subito, limitarsi
né alle fattispecie di accertamento della colpa del
danneggiante, né alla sussistenza di sentenza di condanna penale. Così, con le sentenze della terza sezione civile del maggio del 2003 (24), il Supremo
Collegio ha stabilito che il mancato superamento
della presunzione legale di cui all’art. 2054 c.c. non
debba escludere la risarcibilità del danno morale
soggettivo. Il medesimo orientamento, ormai considerato pacifico, è stato ribadito dalla pronuncia in
commento.
Appartenendo la pecunia doloris alla sfera più intima
di ciascun infortunato, onde poter attribuire un certo grado di oggettività alla valutazione del danno
morale soggettivo, altrimenti in balia dell’arbitrio
dell’organo giudicante, i tribunali hanno elaborato
ed applicato il criterio della liquidazione del danno
morale quale frazione del danno biologico (25).
276
Sennonché, a turbare tale prassi, indubbiamente
agevole per gli operatori del diritto, capaci di prevedere esattamente il quantum risarcito a seconda del
foro competente, sono intervenute Sezioni Unite
dell’11 novembre 2008 (26), con cui è stata sancita,
in termini di principio, l’unitarietà del danno non
patrimoniale.
Da una simile affermazione scaturiscono delle conseguenze di non scarso rilievo: assunta la funzione
meramente descrittiva delle “etichette” attribuite ai
vari pregiudizi non patrimoniali (la confutazione dei
Note:
(22) Si veda, D. Chindemi, Criteri di valutazione dell’invalidità permanente del minore privo di reddito, in Resp. civ. prev., 2007,
1093, nota a Cass. 20 febbraio 2007, n. 3949.
(23) Tra cui l’art. 2 l. 13 aprile 1988, n. 117; l’art. 29 l. 31 novembre 1996, n. 675; l’art. 44 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; l’art. 2 l.
24 marzo 2001, n. 89.
(24) Cass. 12 maggio 2003, nn. 7281 e 7283, in Foro it., 2003, I,
2273 e ss. con nota di E. Navarretta e L. La Battaglia; n. 7282 in
Resp. civ. prev., 2003, 676, con nota di E. Bargelli e P. Ziviz; e
7283 in questa Rivista, 2003, 713, con nota di G. Ponzanelli. In
senso conforme, la giurisprudenza di legittimità successiva:
Cass., sez. III, 1° giugno 2004, n. 10482; Cass., sez. III, 15 luglio
2005, n. 15044.
(25) Così Cass., sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11039, in Giust. civ.
Mass., 2006, 5.
Per comprendere il grado di diffusione della tendenza, si veda il
numero di sentenze che, in un campione di 100 pronunce di merito, raccolte in modo casuale dall’ISVAP ed analizzate nell’ambito dell’Osservatorio sul danno alla Persona, hanno liquidato il
danno morale in ragione di una percentuale del danno biologico:
Trib. Lucca 9 maggio 2006; Trib. Napoli 14 marzo 2006; Trib. Milano 13 febbraio 2006; Trib. Brindisi 16 gennaio 2006; Trib. Imperia 3 dicembre 2005; Trib. Milano 18 dicembre 2005; Trib. Torino 15 settembre 2005; Trib. Parma 12 settembre 2005; Trib.
Savona 18 agosto 2005; Trib. Foggia 1 agosto 2005; Trib. Teramo
23 marzo 2005; Trib. Varese 12 gennaio 2005; Trib. Chieti 17 dicembre 2004; Trib. Roma 9 dicembre 2004; Trib. Taranto 13 ottobre 2004; Trib. Palermo 18 maggio 2004; Trib. Matera 23 febbraio 2004; Trib. Monza 24 novembre 2004; Trib. Gela 6 marzo
2004; Trib. Bergamo 7 maggio 2004; Trib. Latina 20 marzo 04;
Trib. Alba 7 gennaio 2004; Trib. Latina 29 ottobre 2004; Trib. Latina 5 aprile 2004; Trib. Cassino 12 gennaio 2004; Trib. Cassino
12 gennaio 2004; Trib. Monza 21 aprile 2004; Trib. Monza 22
marzo 2004; Trib. Monza 24 febbraio 2004; Trib. Cassino 9 dicembre 2003; Trib. Cassino 17 luglio 2003; Trib. Pesaro 17 dicembre 2002; Giudice di Pace La Spezia 11 maggio 2001; Giudice di Pace Pesaro 10 aprile 2001; Trib. Salerno 20 febbraio 2001;
Trib. Verona 9 gennaio 2001; Trib. Perugia, 27 gennaio 2001; Giudice di Pace Messina 31 gennaio 2001; Trib. Latina 5 marzo
2001; Trib. Ferrara 8 maggio 2001; Giudice di Pace Torino 15
gennaio 2001; Trib. Nuoro 16 marzo 2001; Giudice di Pace Cirò
29 maggio 2001; Trib. Sondrio 7 maggio 2001; Trib. Genova 20
aprile 2001; Giudice di Pace Messina 6 febbraio 2001; Trib. Sondrio 31 gennaio 2001; Trib. Sondrio 20 gennaio 2001; Giudice di
Pace Messina 29 gennaio 2001; Giudice di Pace Messina 20
gennaio 2001. Il testo e la scheda di analisi di ciascuna sono disponibili sulla banca dati dell’Osservatorio sul Danno alla Persona, in www.lider-lab.org/odp_database
(26) Cass., sez. un., 11 novembre 2008, nn. 26972-26975, in
questa Rivista, 2009, 19 e ss. con nota di A. Procida Mirabelli di
Lauro, S. Landini e C. Sganga; in Guida al dir., 2008, n. 47, 34 con
nota di G. Comandé, in Dir. e formaz, 2008, 825 con nota di F.D.
Busnelli.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
quali esula da tale sede), la ristorazione di quelli morali soggettivi trova dimora solo là dove essi non siano riconducibili alla lesione della salute o di un altro
diritto inviolabile dell’infortunato. La protezione di
determinati interessi da parte della legge penale permette infatti di estendere la liquidazione del danno
non patrimoniale anche al di là dell’offesa a diritti
inviolabili della persona, senza passare dal vaglio
della invocata (dalle stesse quattro pronunce) “ingiustizia costituzionalmente qualificata”.
Allorquando si verifichi un’intersezione delle due
aree di tutela (penale e costituzionale), ovvero, generalmente in presenza di un’offesa al bene alla salute, la liquidazione del danno morale andrebbe a costituire una duplicazione rispetto al biologico (27).
Onde evitare un simile effetto il giudice, anziché aggiungere una posta risarcitoria, calcolandola in una
frazione dell’importo attribuito a titolo di danno
biologico, dovrà adeguare quest’ultimo alla fattispecie concreta, così come suggerito dal legislatore negli artt. 138 e 139 cod. ass.
È stato argomentato, infatti, che l’integrale riparazione dei pregiudizi subiti non si otterrebbe liquidando automaticamente la pecunia doloris in ragione
del danno biologico, poiché in tali occasioni, la personalizzazione del danno alla salute già assurge alla
funzione riparatoria del risarcimento del danno
(28), ponendosi, oltretutto, in armonia con un regime probatorio meno flessibile.
Qualora dunque sia lesa l’integrità psicofisica, qualunque sofferenza ad essa connessa rientra nella liquidazione del danno non patrimoniale nella sua
manifestazione di danno biologico, giacché una sua
autonoma considerazione costituirebbe un surplus
rispetto alla perdita effettivamente subita.
Le SS.UU. dichiarano così il fallimento del criterio
di valutazione del danno morale soggettivo in percentuale del quantum dato a titolo di danno biologico; gli ermellini omettono, tuttavia, di indicare all’interprete degli ulteriori criteri atti ad attribuire un
indice di valutazione di quella che, tra le manifestazioni del danno non patrimoniale, meno si presta ad
assumere valori oggettivi.
Alla luce di tali considerazioni, il danno morale soggettivo è oggi inteso come lesione consistente in
una “sofferenza soggettiva in sé considerata” (non
più dunque transeunte), non degenerante in danno
biologico e non conseguente alla lesione di un diritto inviolabile (29).
Per tali motivi la sua liquidazione non può prescindere dall’accertata sussistenza delle altre epifanie del
medesimo pregiudizio non patrimoniale, poiché il
danno morale soggettivo non deve convivere con
Danno e responsabilità 3/2009
esse, come avvenuto nella prassi sino allo scorso novembre, ma fondersi come stesso metallo dell’unica
moneta coniabile (id est l’integrale ristorazione del
danno non patrimoniale).
Qualche osservazione conclusiva
La sentenza in epigrafe mostra come il tormentato
cammino del danno alla persona non sia circoscritto
al solo danno non patrimoniale, ma sussistano molteplici profili controversi anche in materia di danno
patrimoniale.
Sussiste tuttavia un principio comune, riaffermato
anche dalle SS.UU. del novembre del 2008 (30), tra
le due tipologie di danno, ovvero la necessità che
ciascun pregiudizio, per poter essere risarcibile, integri i requisiti richiesti dall’art. 2043 c.c.: quale che
sia la sfera della persona tutelata, deve trattarsi di un
danno ingiusto, causalmente connesso al fatto illecito, cagionato da una condotta dolosa o colposa del
danneggiante.
Di conseguenza, l’ulteriore profilo condiviso tra il
danno non patrimoniale e il danno patrimoniale futuro, oggetto della fattispecie descritta nella pronuncia in commento, consiste nella necessità di ricorrere a criteri equitativi per la valutazione del
quantum debeatur.
Alla luce di ciò, l’osservanza degli oneri probatori
assume una valenza primaria per selezionare quali
pregiudizi, ed eventualmente in che misura, siano
suscettibili di liquidazione.
Le SS.UU., in tema di mezzi di prova per il danno
non patrimoniale, suggeriscono al giudice di avvaNote:
(27) M. Gagliardi, Il “nuovissimo” sistema di risarcimento del
danno: le voci di danno non patrimoniale tra tipicità degli interessi protetti e interpretazione costituzionalmente orientata, disponibile su www.lider-lab.eu e G. Comandé, Un’autentica estensione di tutela che cancella solo “diritti immaginari”, in Guida al
dir., 2008, 47, 34.
(28) In tal senso si elude la possibilità che il danno non patrimoniale, nella sua accezione di pretium doloris, assurga prevalentemente ad una funzione satisfattiva. Sul punto A. Mirabelli di Lauro, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni Unite. Un de
profundis per il danno esistenziale, cit., 43; S. Landini, Danno
biologico e danno morale soggettivo nelle sentenze delle
SS.UU. 26972, 26973, 26974, 26975/2008, cit., 45 e ss., C.
Sganga, Le sezioni unite e l’art. 2059 c.c.: censure, rioridini e innovazioni del dopo principio, cit., 54 e ss.
(29) Si legge infatti che «esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno
biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al
ristoro del danno nella sua interezza».
(30) Si veda il § 2.8 della motivazione delle sentenze Cass., sez.
un., 11 novembre 2008, n. 26972-26975, cit.
277
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
lersi, oltre che della c.t.u. medico-legale (suscettibile di essere disattesa previa motivazione), anche di
«tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo,
delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni».
A tal fine, l’allegazione di «tutti gli elementi che,
nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la
serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto» (31) ovvero, come si legge
nella pronuncia in commento, di «ogni altra circostanza oggettivamente o soggettivamente rilevante»
costituisce una tappa fondamentale, affinché il giudice possa procedere alla liquidazione, mediante una
sorta di “personalizzazione” dell’importo stabilito
come base di calcolo (stavolta non dalle sole tabelle
di invalidità, come per il danno non patrimoniale,
ma dalla loro combinazione con la misura minima di
risarcimento prevista per il danno da lucro cessan-
278
te), ovvero il triplo della pensione sociale.
In conclusione, la valutazione equitativa del danno
alla persona, sia esso o meno di natura patrimoniale,
non può ancorarsi a meccanismi automatici di
quantificazione, ma necessita di un’accorta personalizzazione che permetta all’importo risarcito, come
un pendolo, di oscillare nel settore dell’integrale riparazione (la cui ampiezza varia in ragione degli elementi allegati), senza sconfinare nelle adiacenti zone della overcompensation (costituita dalle duplicazioni) e della undercompensation, che può coincidere
con l’automatica applicazione del criterio della pensione sociale.
Nota:
(31) Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972-26975, cit.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
Danno da inadempimento
Danno non patrimoniale
da inadempimento:
le SS.UU. e le prime applicazioni
nella giurisprudenza di merito
CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 - Pres. Carbone - Est. Preden - P.M.
Iannelli (conf.) - A.L. c. S.F.
Per quanto attiene la responsabilità contrattuale anche dall’inadempimento di una obbligazione contrattuale
può derivare un danno non patrimoniale, che sarà risarcibile nei limiti ed alle condizioni già viste (e quindi o
nei casi espressamente previsti dalla legge, ovvero quando l’inadempimento abbia leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione).
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass., Sez. Un., 24 marzo 2006,n. 6572, in questa Rivista, 2006, 678; Cass., sez. III, 29 luglio 2004, n.
14488, ivi, 2005, 379, con nota di Feola; Cass., sez. lav., 17 febbraio 2004, n. 3802, in Rass. trib., 2004,
1826, con nota di Galetti.
Difforme
Cass. civ., sez. lav., 26 gennaio 1989, n. 473, in Mass. giur. lav., 1989, 210; Cass. civ., 28 gennaio 1985,
n. 472
... Omissis...*
IL COMMENTO
di Massimo Gazzara
La sentenza in commento, che giunge carica di attese perché destinata a costituire una pietra miliare nella
controversa storia del danno esistenziale, affronta incidentalmente, ma in modo sufficientemente approfondito, anche il tema del danno non patrimoniale da inadempimento, che necessita oggi di essere rivisitato alla luce della lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., norma che le Sezioni unite considerano pacificamente applicabile anche alla responsabilità contrattuale.
Contraddicendo una Giurisprudenza non ricchissima ma comunque sufficientemente consolidata in senso
contrario al riconoscimento, le Sezioni unite, in adesione all’orientamento prevalente della più recente dottrina, chiariscono come il danno non patrimoniale vada riconosciuto ove l’inadempimento comporti la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, e ciò senza bisogno di ricorrere all’espediente del cumulo di azioni, ed inoltre quando interessi a carattere non patrimoniale siano trasfusi nella causa contrattuale, intesa come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare.
Il danno non patrimoniale da inadempimento
e il problema dell’applicabilità dell’art. 2059
c.c. alla responsabilità contrattuale
La tanto attesa pronunzia delle Sezioni Unite sul
danno esistenziale (1) costituisce l’occasione per affrontare in maniera sistematica la questione della ri-
Danno e responsabilità 3/2009
Note:
(*) Il testo della sentenza, stralciato, è stato pubblicato in questa
Rivista, 2009, 19.
(1) La sentenza è stata commentata in questa Rivista, 2009, 19,
con note di: Procida Mirabelli di Lauro, Il danno non patrimoniale
secondo le Sezioni Unite. Un “De profundis” per il danno esi(segue)
279
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
sarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, figura risarcitoria che, a parere della S.C.,
veniva negata dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, e che merita oggi di essere rivisitata alla luce
della nuova interpretazione, costituzionalmente
orientata, dell’art. 2059 c.c.
Orbene, effettivamente, sino agli albori del nuovo
secolo, lo scenario giurisprudenziale, peraltro non
ricchissimo, si configura come quasi unanimemente
contrario al riconoscimento del danno non patrimoniale da inadempimento: data, infatti, per scontata
l’applicabilità dell’art. 2059 c.c. alla nostra figura, si
configurano evidentemente come assai rari, nella
concreta realtà giuridica, fattispecie di inadempimento contrattuale che concretizzino anche un illecito penale, ipotesi pressoché unica nella quale il riconoscimento potrebbe essere ammesso (2).
Il quadro giurisprudenziale inizia a mutare in maniera significativa nel corso di questi ultimi anni, anche
in virtù dell’opera altamente innovativa della giurisprudenza onoraria (3) e della Corte di Giustizia,
traendo per di più linfa dalla speculazione teorica in
materia di danno non patrimoniale e della rivoluzione operata con le pronunzie della S.C. (4) e della
Corte Costituzionale (5) dell’anno 2003.
Assai più vasto e frastagliato appare viceversa il panorama dottrinario: nell’incipit di uno studio da me
dedicato all’argomento nel non lontano anno 2003
(6), affermavo che il tema aveva suscitato un interesse assai circoscritto nella civilistica italiana, confinato per lo più - posteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice civile - e con l’eccezione di pochi contributi che ne avevano fatto oggetto di specifica indagine (7), nelle trattazioni di quegli autori
che si erano occupati di illecito civile in generale e
di danno non patrimoniale in particolare, o, sotto
altro versante, nelle opere dedicate alla responsabilità contrattuale.
Tale affermazione merita di essere oggi, a distanza di
appena un lustro, del tutto rovesciata, essendosi il
dibattito arricchito, nelle more, di una messe insolitamente ampia di contributi, anche a carattere monografico (8).
Questione preliminare, e risolta in senso affermativo
dalla pronunzia in commento, è quella relativa all’applicabilità dell’art. 2059 c.c., dettato in tema di
disciplina dei fatti illeciti, anche alle ipotesi di danno non patrimoniale da inadempimento, categoria
concettualmente più ampia rispetto a quella di danno non patrimoniale contrattuale, alla quale è spesso sovrapposta nel linguaggio giuridico (9).
A sostegno di tale tesi sono stati addotti prevalentemente argomenti di carattere sistematico. Si è dun-
280
Note:
(continua nota 1)
stenziale; Landini, Danno biologico e danno morale soggettivo
nelle sentenze della Cass. SS.UU. 26972, 26973, 26974,
26075/2008; Sganga, Le sezioni Unite e l’art. 2059 c.c.: censure,
riordini e innovazioni del dopo principio. Cfr. altresì Castronovo,
Danno esistenziale: il lungo addio, ivi, 5.
(2) Cass. 28 gennaio 1985, n. 472, in Foro it., Rep. 1985, V. Previdenza sociale, n. 498; Appello di Perugia 8 giugno 1998, in
Rass. giur. umbra, 1999, 2, con nota di Naso, Inadempimento
contrattuale e risarcimento del danno morale; Trib. Bologna 17
aprile 1975, in Giur. it., 1976, I, 2, c. 360; Cass., sez. lav., 26 gennaio 1989, n. 473, in Mass. Giur. lav., 1989, 210.
(3) Cfr., ad es., Giudice di pace Milano 18 dicembre 2000 e Giudice di pace di Verona 16 marzo 2000, entrambe in Giur. it.,
2001, I, c. 1159 ss., con nota di Bilotta, Inadempimento contrattuale e danno esistenziale.
(4) Cass. 31 maggio 2003, n. 8828, in questa Rivista, 2003, 816
e ss., con commenti di Busnelli, Chiaroscuri d’estate. La Corte di
Cassazione e il danno alla persona; di Ponzanelli, Ricomposizione dell’Universo non patrimoniale: Le scelte della corte di Cassazione; di Procida Mirabelli di Lauro, L’art. 2059 c.c. va in Paradiso; in Resp. civ. prev., 2003, 675 e ss., con nota di Cendon, Anche se gli amanti si perdono l’amore non si perderà. Impressioni
di lettura su Cass. 8828/2003; di Argelli, Danno non patrimoniale ed interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059
c.c., e di Ziviz, E poi non rimase nessuno.
(5) Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233, in questa Rivista, 2003,
939 e ss., con commenti di: Bona, Il danno esistenziale bussa alla porta e la corte Costituzionale apre (verso il “nuovo” art. 2059
c.c.); Cricenti, Una diversa lettura dell’art. 2059 c.c.; Ponzanelli,
La Corte Costituzionale si allinea con la Corte di Cassazione; Procida Mirabelli di Lauro, Il sistema di responsabilità civile dopo la
sentenza della Corte Costituzionale n. 233/03; O. Troiano, L’irresistibile ascesa del danno non patrimoniale.
(6) Gazzara, Il danno non patrimoniale da inadempimento, Napoli, 2003.
(7) Costanza, Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 127 ss.; Zeno Zencovich, Interesse del creditore e danno contrattuale non patrimoniale, in Riv.
dir. comm., 1987, I, 77 ss., C. Scognamiglio, Il danno non patrimoniale contrattuale, in Il contratto e le tutele, a cura di Mazzamuto, Torino, 2002, 467 e ss.
(8) Liberati, Il danno non patrimoniale da inadempimento, Padova, 2004; Navarretta e Poletti, I danni non patrimoniali nella responsabilità contrattuale, in I danni non patrimoniali - lineamenti
sistematici e guida alla liquidazione, a cura di Navarretta, Milano,
2004, 59; Amato, Il danno non patrimoniale da contratto, in Il
“nuovo danno non patrimoniale”, a cura di Ponzanelli, Padova,
2004, 141 e ss.; Rabitti, Il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, in Resp. civ. prev., 2004, 340; Serrao, Inadempimento e danno esistenziale, in La nuova disciplina del danno non patrimoniale, a cura di Dal Lago e Bordon, Milano, 2005,
449 e ss.; Bona, Il danno non patrimoniale da inadempimento, in
Dialoghi sul danno alla persona, a cura di Rizzo, Trento, 2006; Tescione, Il danno non patrimoniale da contratto, Napoli, 2008.
(9) Sotto il profilo terminologico l’espressione danno non patrimoniale da inadempimento è senz’altro più esatta di quella,
spesso usata a mo’di sinonimo, di danno non patrimoniale contrattuale. La disciplina della responsabilità da inadempimento
dell’obbligazione è infatti applicabile tanto alle obbligazioni di
fonte contrattuale, quanto a quelle di fonte diversa. Sul punto
cfr., ad es., Mengoni, V. Responsabilità contrattuale (dir. vig.), in
Encicl. dir., Vol. XXXIX, Milano, 1988, 1072 e ss; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, 74. Si è posto,
ad esempio, nella concreta casistica un problema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dal mancato adempi(segue)
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
que sostenuto che, nonostante la collocazione topografica della norma a chiusura del titolo nono relativo ai fatti illeciti, non dovrebbe dubitarsi dell’applicabilità della relativa disciplina all’ipotesi di danni
da inadempimento giacché «risulterebbe inconcepibile che il legislatore, nel momento in cui adottava
una determinata soluzione di un problema così grave ed annoso, come quello concernente il danno
non patrimoniale, intendesse circoscrivere la medesima soluzione alla sfera extracontrattuale» (10).
La medesima obiezione circa una presunta “disarmonia sistematica” che si verificherebbe con l’ammettere una più ampia risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento rispetto al danno non
patrimoniale da illecito aquiliano è stata altresì formulata da parte di un’autorevole dottrina (11), la
quale si richiama all’interpretazione che alla luce
della Relazione al codice civile (n. 557) è stato dato
del requisito della patrimonialità della prestazione
di cui all’art. 1174 c.c., come tendente appunto a garantire la sanzione patrimoniale in caso di inadempimento (12).
L’argomento sistematico è stato, infine, utilizzato
per ipotizzare una graduazione del regime di responsabilità che vedrebbe la responsabilità da inadempimento post-posta a quella da illecito civile e a quella da illecito penale, con la conseguenza che «sarebbe pertanto incoerente che il sistema riconoscesse
l’illimitata risarcibilità del danno non patrimoniale
per inadempimento contrattuale e non invece nel
caso - più grave - di illecito aquiliano» (13).
L’argomento sistematico è tuttavia estremamente
leggero, tanto da poter essere agevolmente capovolto a favore della tesi opposta che nega l’applicabilità
dell’art. 2059 alla responsabilità da inadempimento.
È innegabile, infatti, che il Legislatore abbia mutuato
i criteri di risarcimento del danno aquiliano dalla disciplina del risarcimento del danno da inadempimento, mediante il richiamo previsto nell’art. 2056 agli
art. 1223, 1226, 1227: «il Legislatore, cioè, fa estensione dei canoni risarcitorii del campo contrattuale a
quello extracontrattuale e non viceversa» (14).
Questa elementare considerazione, se non è forse
sufficiente di per sé a fondare l’assunto ulteriore secondo cui la volontà di regolare espressamente anche il danno non patrimoniale contrattuale «avrebbe comportato che la previsione ora contenuta all’art. 2059 fosse posta accanto all’art. 1223, salvo
poi, richiamarla, per estenderla anche al campo
aquiliano, nel corpo dell’art. 2056 cod. civ.» (15),
pone però felicemente in luce che la lettura dell’art.
2059 come norma collocata nella disciplina del fatto illecito ma estensibile senza alcun richiamo all’il-
Danno e responsabilità 3/2009
lecito contrattuale, lungi dal rappresentare un dato
di coerenza sistematica, costituirebbe una vera e
propria anomalia del sistema.
Vi è, inoltre, da considerare che all’epoca della codificazione il dibattito sul danno non patrimoniale
in genere ma anche specificamente su quello contrattuale era estremamente vivace (16).
Risulta, dunque, difficile immaginare una svista o
una dimenticanza dei compilatori, tanto più che il
codice civile tedesco, che tanto avrebbe secondo alcuni influenzato il Legislatore del 42 sino a spingerlo ad adottare l’espressione danno non patrimoniale, anziché quella più tradizionale di danno morale,
prevedeva la relativa disciplina non già nel Libro II,
sez. VII, titolo XXV, relativo ai fatti illeciti ma nel
Libro II, Sez. I, titolo I che detta la disciplina del
rapporto obbligatorio.
Note:
(continua nota 9)
mento di una disposizione modale, risolto negativamente in virtù
del disposto dell’art. 2059 c.c. (Trib. Bologna 17 aprile 1975, cit.).
È stato invece ammesso il risarcimento del danno esistenziale
da mancato adempimento degli obblighi di mantenimento da
parte del genitore non affidatario. Trattandosi della prima pronunzia della S.C. che ha riconosciuto la nuova categoria del danno esistenziale, la sentenza di Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, è
stata oggetto di numerosi commenti; la si può leggere in Foro it.,
2001 I, c. 187, con nota di D’Adda, Il cosiddetto danno esistenziale e la prova del pregiudizio; in Giur. it., 2000, c. 1352, con nota di Pizzetti, Il danno esistenziale approda in Cassazione; in Resp. civ. prev., 2000, 930 con nota di Ziviz, Continua il cammino
del danno esistenziale; in questa Rivista, 2000, 836 con commento di Monateri, “Alle soglie”: la prima vittoria in Cassazione
del danno esistenziale e di Ponzanelli, Attenzione: non è danno
esistenziale ma vera e propria pena privata.
(10) De Cupis, Il danno, III ed., vol. I, Milano, 1979, 133. Nello
stesso senso Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, III,
Milano, 1964, 467; R. Russo, Concorso dell’azione aquiliana con
la contrattuale nel contratto di trasporto, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1950, 971; Asquini, Massime non consolidate in tema di responsabilità nel trasporto di persone, in Riv. dir. comm., 1952, II,
9; da ultimo C. Bona, Danno non patrimoniale da inadempimento: risarcibilità e limiti, in questa Rivista, 2008, 190 e ss.
(11) Cian, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, in Riv. dir. civ., 1968, I, 231.
(12) Barassi, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1948,
n. 37, 148 e ss.; Bilotta, Inadempimento contrattuale e danno
esistenziale, cit., 1060; ma in senso contrario cfr. Giorgianni,
L’obbligazione, Milano, 1968, 33.
(13) V. Zeno Zencovich, Interesse del creditore, cit., 87.
(14) G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983, 230.
(15) Id., op. loc. cit.
(16) In senso favorevole alla riparabilità del danno non patrimoniale da inadempimento erano orientati, ad es., Minozzi; Studio
sul danno non patrimoniale (danno morale), Milano, 1901, 193
ss., e Dalmartello, Danni morali contrattuali, in Riv. dir. civ., 1933,
53 e ss.; contrari, invece, Gabba, Contributo alla teorica del danno e del risarcimento in diritto civile italiano, in Giur. it., 1896, I,
2, 570; L. Coviello, L’art. 185 del codice penale e la risarcibilità
dei danni morali in materia civile, in Riv. dir. civ., 1932, 317, n. 1.
281
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
La valenza pratica della disputa è tuttavia oggi fortemente ridimensionata alla luce della lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 stesso: pur volendosi ammettere che tale norma si applichi alla responsabilità contrattuale, la conseguenza non sarebbe infatti quella prospettabile ante 2003 di un filtro
pressoché totale alla risarcibilità dei danni non patrimoniali derivanti dall’inadempimento, ma la selezione dei medesimi secondo i nuovi parametri di
rilevanza e meritevolezza comuni anche all’illecito
aquiliano (17).
Le fattispecie di danni non patrimoniali
risarcibili. Le ipotesi tipiche. Il contratto
di lavoro, il contratto di trasporto
e il danno da vacanza rovinata
Nella citata monografia del 2003, che non poteva
evidentemente tenere conto della giurisprudenza
coeva che ha praticamente rivoluzionato la materia
del danno non patrimoniale, giungevo alle conclusioni che, alla luce dei principi strettamente attinenti alla materia contrattuale, e quindi in adesione ad
un’ampia corrente dottrinaria che esclude l’applicazione dell’art. 2059 alla responsabilità da inadempimento (18), il risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento fosse da riconoscere, aldilà
delle fattispecie testualmente previste, e sulle quali si
avrà modo di ritornare, ogniqualvolta l’inadempimento medesimo incida su posizioni soggettive costituzionalmente garantite o comunque ritenute meritevoli di tutela secondo una valutazione sociale tipica, ovvero quando il contratto sia finalizzato a soddisfare in via principale un interesse non economico.
A conclusioni non dissimili mi pare giungano ora,
pur partendo dalla diversa premessa dell’applicabilità dell’art. 2059 alla responsabilità da inadempimento, le Sezioni Unite, le quali affermano che «se
l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre
la violazione degli obblighi di rilevanza economica
assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela
risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere
versata nell’azione di responsabilità contrattuale,
senza ricorrere all’espediente del cumulo di azioni».
Quanto alle seconda delle suesposte alternative, mi
pare che anch’essa incontri il favore delle S.U., se
ben interpreto l’assunto in virtù della quale «l’individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell’area del contratto che oltre a quelli a contenuto patrimoniale
presentino carattere non patrimoniale va condotta
accertando la causa concreta del negozio da inten-
282
dersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare».
Tale indagine risulta vieppiù superflua laddove ricorrano ipotesi di danno non patrimoniale da inadempimento tipizzate dal legislatore: sono i casi,
espressamente richiamati dalle Sezioni Unite, dell’art. 2087 c.c. in tema di contratto di lavoro (19) e
dell’art. 1681 c.c. in tema di contratto di trasporto,
ma anche, come più diffusamente si vedrà in seguito, dell’art. 95 del Codice del consumo che sotto la
dizione «danni diversi da quello alla persona» contemplerebbe, secondo l’autorevole interpretazione
della Corte di Giustizia, l’ipotesi del danno non patrimoniale da inadempimento del contratto di viaggio, meglio noto come danno da vacanza rovinata.
L’art. 2087 c.c. prevede espressamente che «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro» e la Giurisprudenza ha chiarito
che si tratta di un obbligo «che trova fonte immediata e diretta nel rapporto di lavoro e la cui inosservanza, pertanto, ove sia stata causa di danno, può essere fatta valere dal dipendente medesimo con azione risarcitoria contrattuale (nell’ordinario termine
decennale di prescrizione), indipendentemente dal
fatto che la violazione stessa integri estremi di reato,
ovvero configuri anche un illecito aquiliano» (20).
È stato dunque riconosciuto il diritto al risarcimento anche del danno non patrimoniale alle lavoratrici oggetto di molestie sessuali da parte del datore di
lavoro e la natura contrattuale della relativa azione
(21).
Nota:
(17) Concorde, sul punto, Spangaro, Il danno non patrimoniale da
contratto: l’ipotesi del danno da vacanza rovinata, in Resp. civ.
prev., 2005, 731.
(18) Bonilini, Il danno non patrimoniale, cit., 227 e ss.; Busnelli,
Interessi della persona e risarcimento del danno, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1996, 15; Costanza, Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale, cit., 127 e ss; Tescione, Il danno non
patrimoniale da contratto, 30 e ss. Sulla non applicabilità dell’art.
2059 alla responsabilità da inadempimento concorda R. Scognamiglio, Il danno morale, in Riv. dir. civ., 1957, 316, il quale tuttavia ne trae conseguenze esattamente opposte e cioè nel senso
di negare in radice la stessa configurabilità di un danno non patrimoniale (inteso però come danno morale strictu senso) derivante dall’inadempimento.
(19) Sulla questione cfr. Liberati, Rapporto di lavoro e danno non
patrimoniale, Milano, 2005.
(20) Cass. 14 maggio 1987, n. 4441, in Giust. civ., 1987, I, 1268.
(21) Cass., sez. lav., 17 luglio 1995, n. 7768, in Giur. it., 1996, I,
c. 1110, con nota di Iafisco, Un’importante pronuncia della Suprema Corte in tema di responsabilità del datore di lavoro colpevole di molestie sessuali.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
In questo caso, tuttavia, prospettandosi la ricorrenza
del reato di cui all’art. 521 c.p., la risarcibilità del
danno morale poteva apparire scontata.
Viceversa laddove la molestia sia stata commessa
non dal datore ma da un superiore gerarchico, con
decisione non esente da censure sotto il profilo
dommatico, è stato riconosciuto alla lavoratrice molestata il risarcimento del danno morale nei confronti dell’effettivo responsabile ed il risarcimento
del danno esistenziale nei confronti del datore per
inosservanza degli obblighi di protezione (22).
Già prima dell’affermarsi del nuovo corso giurisprudenziale in tema di danno non patrimoniale, dottrina e giurisprudenza si erano posti il problema di garantire, anche laddove il comportamento vessatorio
del datore o di altro dipendente dell’impresa non integrasse gli estremi della fattispecie penale, il risarcimento della sofferenza morale non accompagnata
dall’insorgere di patologie cliniche obbiettivamente
apprezzabili dalla scienza medica.
La soluzione è stata individuata nella nozione di
mobbing (23) - che abbraccia una vasta gamma di
comportamenti, che vanno dalle critiche e i maltrattamenti verbali esasperati, le offese alla dignità, il demansionamento, la discriminazione, la mancata concessione del riposo compensativo o delle ferie, sino al
licenziamento ingiurioso - e nel ricorso alla categoria
del danno esistenziale (24), al dichiarato scopo di
sottrarsi alle strettoie dell’art. 2059 c.c. (25)
Altra ipotesi tipica è quella prevista all’art. 1681 c.c.
relativa al contratto di trasporto. È in particolar modo con riferimento ad esso che storicamente nasce e
si consolida il principio in virtù del quale «il concorso di responsabilità contrattuale con responsabilità extracontrattuale è ammissibile quando si tratti
di un medesimo fatto che violi non solo i diritti derivanti dal contratto, ma anche diritti che alla persona del danneggiato spettano indipendentemente
dal contratto stesso. Tale principio trova applicazione nell’ipotesi di responsabilità per danni derivanti
da fatti illeciti che abbiano colpito la persona del
viaggiatore o le sue cose, potendo in tal caso la pretesa del danneggiato avere fondamento, oltre che
nel contratto di trasporto nel generale precetto di
non arrecare danno ad alcuno, di cui all’art. 2043
c.c.» (26)
In caso di sinistri che abbiano provocato la morte o
lesioni personali per il passeggero, viene dunque riconosciuto a quest’ultimo o ai suoi familiari il risarcimento del danno non patrimoniale (27).
Vi è stato in dottrina ampio dibattito tra gli autori
favorevoli (28) e quelli contrari (29) alla tesi del
concorso.
Danno e responsabilità 3/2009
Note:
(22) Trib. Pisa 3 ottobre 2001, in questa Rivista, 2002, 456, con
nota di Nunin, Molestie sessuali e risarcimento del danno esistenziale.
(23) H. Ege, I numeri del mobbing. La prima ricerca italiana, Bologna, 1998; Monateri, Bona, Oliva, Mobbing, vessazioni sul lavoro, Milano 2000; Gallotti - Cusmai, Mobbing, Roma, 2001; Pizzoferrato, Mobbing e danno esistenziale: verso una revisione
della struttura dell’illecito civile, in Contr. e impr., 2001, 304 e
ss.; Cimaglia, Riflessioni su mobbing e danno esistenziale, in
Riv. giur. lav., 2002, II, 91 e ss; Tullini, Mobbing e rapporto di lavoro, una fattispecie emergente di danno alla persona, in Riv. it.
dir. lav., 2000, I, 251 e ss; Pera, Angherie e inurbanità negli ambienti di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2001, I, 291 e ss;. Boscati,
Mobbing e tutela del lavoratore alla ricerca di una fattispecie vietata, in Dir. rel. ind., 2001, 285 e ss.; Lazzari, Il mobbing fra norme vigenti e prospettive di intervento legislativo, in Riv. giur. lav.,
2001, 1, 59; Nisticò, Mobbing o pregiudizio alla personalità morale?, in questa Rivista, 2003, 327 e ss; Nogler, Danni personali
e rapporto di lavoro: oltre il danno biologico?, in Riv. it. dir. lav.,
2002, I, 287 e ss; Zoli, Il mobbing: brevi osservazioni in tema di
fattispecie ed effetti, in questa Rivista, 2003, 337 e ss.
(24) Trib. Forlì 15 marzo 2001, in Lav. giur., 2002, 552 con nota
di Nunin, Mobbing verticale, risarcibilità del danno esistenziale
e parametri per la definizione del risarcimento, e di D. Carlomagno, Il mobbing danneggia l’esistenza, ivi, 938; Trib. Pisa 3
ottobre 2001, cit.; Trib. Forlì, in Dir. e giust., 2003, 915, con nota di Martina, “Nuovi danni” nell’ambito del rapporto di lavoro:
breve rassegna di Giurisprudenza; Cass., sez. lav., 5 febbraio
2000, n. 1307, in Foro. it., 2000, I, c. 1554 con nota di De Angelis, Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore.
In dottrina, tra i tanti G. G. Greco, Danno esistenziale e risarcimento da mobbing, in Riv. crit. dir. lav., 2001, 411; Oliva, Mobbing: quale risarcimento?, cit., 31 e ss. Contra R. Scognamiglio, Danno biologico e rapporto di lavoro subordinato, in Arg.
dir. lav., 1997, 16.
(25) Esemplari, in tal senso, le parole di Pizzoferrato, op. cit.,
310: «Ben venga dunque la categoria del danno esistenziale che
supera le anguste strettoie della lesione dell’integrità psico-fisica accertata secondo le regole della scienza medico-legale, o del
danno psichico a carattere permanente o ancora del danno morale subiettivo subordinato alla ricorrenza di un reato, se esso
serve a dare cittadinanza certa e definitiva a valori imprescindibili della persona umana, riconosciuti a livello costituzionale, quali
la libertà, la sicurezza, la dignità, la privacy, la professionalità, l’onore, l’identità personale e l’immagine».
(26) Così, Cass. 9 gennaio 1979, n. 119, cit. Per il concorso tra
azione contrattuale ed extracontrattuale in tema di trasporto cfr.,
ad. es., Cass., sez. un., 20 ottobre 1956, n. 3785, in Foro it.,
1957, I, c. 1467; Cass. 28 gennaio 1972, n. 226, in La Giurisprudenza italiana in tema di trasporti, a cura di S. M. Carbone, Milano, 1988; Cass. 24 maggio 1993, n. 5381, Arch. giur. circ. trasp.,
1993, 878; Cass. 19 marzo 1979, n. 1593, ivi, 1979, 441; da ultima in riferimento ad un caso di contratto di utenza di sciovia
Cass. 18 marzo 2003, n. 3980, in Guida al dir., n. 21/2003, 512.
(27) Cass. 20 aprile 1989, n. 1855, cit.
(28) Alpa e Bessone, La responsabilità civile, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, Vol. XIV, Torino, 1982, 234 e ss.; S. Roberti, Il preteso assurdo cumulo di azione nel contratto di trasporto,
in Foro it., 1960, IV, c. 266; Arienzo, In tema di concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e di prescrizione
dell’azione di risarcimento, in Giust. civ., 1957, I, 15.
(29) G. Azzariti, In tema di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Riv. dir. civ., 1959, II, 469 e ss.; Toscano, Responsabilità civile; problema del cumulo e del concorso delle responsabilità, ivi, 1956, II, 248; Asquini, Massime non consolidate in tema di responsabilità nel trasporto di persone, in Riv. dir.
comm., 1952, II, 2.
283
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
Il problema si pone essenzialmente in caso di avvenuta prescrizione dell’azione contrattuale: spirato,
infatti, il termine annuale di cui all’art. 2951 c.c.,
non resta al viaggiatore vittima del sinistro altra via
che l’azione di risarcimento ex art. 2043 c.c., che seguirà il regime probatorio previsto per la responsabilità aquiliana (30).
Infine, tra le ipotesi normativamente previste, merita di essere segnalata quella del danno non patrimoniale da inadempimento del contratto di viaggio,
meglio noto come danno da vacanza rovinata, stranamente “dimenticato” dalle Sezioni Unite nella loro pur ampia elencazione di ipotesi esemplificative.
L’art. 95 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice
del consumo, prevede che “le parti contraenti possono convenire in forma scritta, fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 1341, secondo comma del
codice civile, limitazioni al risarcimento del danno,
diverso dal danno alla persona, derivante dall’inadempimento o dalla inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico”. La nozione di danno diverso da quello alla persona comprenderebbe, secondo l’interpretazione
della Corte di Giustizia delle Comunità Europee,
consacrata nella celebre pronunzia del 12 marzo
2002 (31), anche il danno da vacanza rovinata: la
Corte ha, infatti, affermato che l’art. 5 della direttiva del Consiglio 13 giugno 1990, 90/314/CEE, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”, sostanzialmente trasfuso nell’art. 16 del d.lgs.
17 marzo 1995, n. 111, e quindi, a seguito dell’adozione del codice del consumo, nell’art. 95 cit.,
dev’essere interpretato nel senso che il consumatore
ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione
delle prestazioni fornite in esecuzione di un contratto turistico rientrante nel campo di applicazione
della direttiva.
Alla luce di tale interpretazione, appare definitivamente risolta ogni questione relativa al riconoscimento del danno da vacanza rovinata nel nostro diritto interno: la sussistenza di una espressa previsione normativa consente infatti di soddisfare il requisito richiesto dall’art. 2059 c.c. per il risarcimento
del danno non patrimoniale.
La sostanza non muta anche per quanti, come chi
scrive, ritengono errato il riferimento all’art. 2059
c.c., trattandosi di norma che - come detto - disciplina soltanto la responsabilità da fatto illecito e
non anche la responsabilità da inadempimento. Ad
analogo risultato si sarebbe dovuti pervenire anche
in assenza di una norma specifica, giustificata dall’importanza socio-economica che il fenomeno dei
284
viaggi organizzati ha assunto nelle moderne società,
con l’affermarsi del c.d. turismo di massa (32), e che
ha imposto con maggiore urgenza, in questo specifico settore, la predisposizione di efficaci strumenti di
tutela del compratore del pacchetto di viaggio.
Il riconoscimento del danno non patrimoniale (33)
in questa ipotesi, piuttosto che come una fattispecie
eccezionale, va infatti intesa come applicazione di
un principio di carattere generale che impone il risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento quando il contratto sia diretto, come è pacifico nel caso di specie (34), a soddisfare in via
principale un interesse di carattere non economico.
Occorre tuttavia ben precisare che l’interesse alla
vacanza è da ritenersi meritevole di tutela nei limiti
in cui esso costituisca la causa del contratto di viaggio: come diritto di credito, dunque, e non come diritto assoluto tutelabile in via aquiliana e tanto meNote:
(30) In caso di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli merita di essere segnalata Cass., sez. un., n. 5121 del 10
aprile 2002, in Dir. e giust., 2002, n. 19, 16 la quale ha esteso anche per il trasportato a titolo di cortesia la presunzione di responsabilità del conducente di cui all’art. 2054 c.c.
(31) Corte di Giustizia delle Comunità Europee, VI sez.,
12.03.2002, in Foro. it., 2002, IV, c. 330, con nota di Palmieri; in
Giur. it., 2002, 1801 con nota di Sesta, Danno da vacanza rovinata e danno morale contrattuale; in Resp. civ. prev., 2002, 373,
con nota di Guerinoni, L’interpretazione della Corte di Giustizia riguardo al danno da vacanza rovinata; in questa Rivista, 2002,
1099, con nota di Carrassi, L’interpretazione da parte della corte
di Giustizia CE delle norme comunitarie è, indiscutibilmente, vera nomofiliachia; cfr. altresì i commenti di Maiolo, La Corte di giustizia, il danno da vacanza rovinata e il sistema bipolare della responsabilità civile, ivi 2002, 1106, ed il mio Vacanze “tutto compreso” e risarcimento del danno morale, ivi, 2003, 245.
(32) Per una ricostruzione storica del fenomeno cfr. G. Minervini,
Il contratto turistico, in Riv. dir. comm., 1974, I, 275 ss., Tassoni,
Il contratto di viaggio, Milano, 1998, cap. I e II; Monticelli, in
Monticelli - Gazzara, Il contratto di viaggio, in E. Gabrielli - E. Minervini (a cura di), I contratti dei consumatori, Torino, 2005, II.
(33) La natura non patrimoniale del danno da vacanza rovinata
può ormai considerarsi del tutto pacifica, e nel medesimo senso
si esprime la prevalente dottrina, oltre che la Corte di Giustizia
che, nella sentenza sopra ricordata, lo qualifica espressamente
come danno morale. Non sono mancate tuttavia opinioni diverse
che, qualificandosi la vacanza come un bene della vita suscettibile di valutazione economica, e sovrapponendo il concetto di
patrimonialità della prestazione a quello di patrimonialità del danno derivante dal suo inadempimento, attribuiscono al danno in
parola natura patrimoniale (Pierfelici, La qualificazione giuridica
del contratto turistico e la responsabilità del tour operator, in
Rass. dir. civ., 1986, II, 658-659; Molfese, Il contratto di viaggio,
cit., 29). Del tutto isolata è invece rimasta la pronunzia del Giudice di pace Siracusa, 26 marzo 1999, in Giust. civ., 2000, I, 1205,
con nota di Serra, Inadempimento del contratto di viaggio e danno da vacanza rovinata, che ha ricondotto la fattispecie nell’alveo
del danno biologico.
(34) Sulla causa del contratto di viaggio, caratterizzata dalla finalità turistica e di svago, cfr. Cass. 24 luglio 2007, n. 16315, in
Giur. it., 2008, c. 1133, con nota di Izzi, Causa in concreto e sopravvenienze nel contratto di viaggio tutto compreso.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
no come diritto assimilabile a quelli della persona
costituzionalmente garantiti, per la cui lesione la più
recente Giurisprudenza ha ormai superato - ai fini
della concessione del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale - il limite del reato, così come
si vorrebbe da quanti sovrappongono il concetto di
vacanza a quello di ferie pretendendo di fondarne la
rilevanza sull’art. 36, 2° comma Cost. che riconosce
al lavoratore il diritto irrinunziabile alle ferie (35).
Il concetto di ferie come diritto inviolabile ed irrinunziabile del lavoratore va infatti tenuto nettamente distinto da quello di vacanza, e ciò se non altro per
l’ovvia considerazione che si può benissimo godere
delle prime senza concedersi necessariamente una vacanza e tantomeno concludere un contratto di viaggio, e che consumatori di un viaggio - vacanza possono essere benissimo studenti, disoccupati, pensionati
per i quali non può parlarsi di ferie in senso tecnico.
Diversamente opinando, bisognerebbe infatti considerare il diritto al godimento di una vacanza non
soltanto come un diritto di credito nascente dal
contratto di viaggio nei confronti dell’organizzatore,
ma anche come un bene della vita autonomamente
tutelabile, con la conseguenza che il danno da vacanza rovinata andrebbe riconosciuto anche ad un
soggetto che, rimasto vittima incolpevole di un sinistro stradale alla vigilia della partenza, si veda costretto a rinunziare al viaggio (36).
Nell’attuale quadro economico dovrebbe invece essere chiaro che l’esigenza di tutela del viaggiatore insoddisfatto non è tanto un problema di tutela della
personalità umana, nelle variegate forme in cui essa si
manifesta, quanto una questione di tutela del mercato e della libera concorrenza conformemente ai principi enunziati nella direttiva 314 del 13 giugno 1990.
Nel settore dei viaggi internazionali, ove non mancano operatori improvvisati, a loro volta spesso in
rapporti con corrispondenti locali ancor meno affidabili, il rischio di incorrere in pretese risarcitorie
per danno da vacanza rovinata spingerà le agenzie
ed i tour operators a selezionare con maggiore cura i
propri partners commerciali, favorendo una selezione basata sulla qualità del servizio, sull’affidabilità
del gestore, sulla correttezza dei comportamenti imprenditoriali, a tutto vantaggio dei consumatori e
dello sviluppo di un settore già oggi trainante sotto
il profilo economico ed occupazionale.
niale da inadempimento pacificamente risarcibili
quelli derivanti dalla cattiva esecuzione della prestazione medica, sia che essa trovi la sua fonte in un vero o proprio contratto, sia che origini dal contatto
sociale tra paziente e sanitario operante in una struttura pubblica.
Tra i pregiudizi risarcibili devono individuarsi non
solo, come è sempre stato ritenuto pacifico, quelli
consistenti in (o conseguenti ad) una lesione della
salute e dell’integrità fisica o psichica del creditore,
ma anche quelli che potremmo definire esistenziali
o morali puri, come ad esempio le conseguenze di
una errata diagnosi che non abbia tuttavia comportato un peggioramento dello stato di salute del paziente, o una perdita di chanches di guarigione o di
sopravvivenza.
Si pensi al caso di una malattia, non soggetta a peggioramento né letale, la cui fastidiosa sintomatologia può tuttavia essere significativamente ridotta
con cure adeguate.
Si pensi, ancora, ad un ammalato a cui sia stato erroneamente diagnosticato un male incurabile (37),
o del genitore a cui venga erroneamente indicato la
positività del feto al test atto ad accertare la sindrome di down.
Non è infatti difficile immaginare il patema d’animo, lo stress, la sofferenza psichica che la notizia
di una così grave patologia indurrà nel destinatario.
Che un simile turbamento abbia (per fortuna) natura transitoria, non esclude il diritto al risarcimento
del danno commisurato alla durata e all’intensità e
all’importanza delle conseguenze indotte dalla falsa
diagnosi (angoscia per il futuro, necessità di nuovi
controlli, abbandono delle proprie attività lavorative e del tempo libero, minor cura della famiglia, e
quante altre si possano immaginare).
Si pensi, ancora, al danno c.d. da nascita indesidera-
Le ipotesi socialmente tipizzate:
la responsabilità sanitaria, la violazione
degli obblighi familiari
(37) Cfr. sul punto R. Castiglioni, False diagnosi, in Trattato breve
dei nuovi danni, a cura di Cendon, Padova, 2001, XIII, 411 e ss.;
P. D’Amico, Il danno da emozioni, Milano, 1992, 133. Per la giurisprudenza cfr. Trib. Bologna, 04.02.2008, in Resp. civ. prev.,
2008, 1855, con nota di Ziviz, Pregiudizio derivante da falsa diagnosi di sieropositività: danno biologico o esistenziale?
Costituiscono altresì ipotesi di danno non patrimo-
Danno e responsabilità 3/2009
Note:
(35) Molfese, op. cit., 328-329; Mengozzi, Il risarcimento del
danno morale da vacanza rovinata dopo la sentenza della corte di
Giustizia Ce del 13 marzo 2002, cit., 603 e ss.
(36) Al danno da “diminuito godimento del riposo feriale”, e non
a quello di vacanza rovinata, fa riferimento la pronunzia del tribunale di Milano n. 10090 del 16 settembre 2005, in La Resp. civ.,
2006, 400, con nota di Migliavacca, Il danno da vacanza rovinata
trova spazio anche nell’infortunistica stradale, sicché non soltanto la massima ma anche il titolo del commento appaiono mentitori.
285
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
ta (38), valutabile sia sotto il profilo patrimoniale
che non patrimoniale, declinato in Giurisprudenza
in almeno tre diverse accezioni: 1) come danno conseguente ad un fallito intervento di sterilizzazione o
di interruzione della gravidanza e dunque risarcibile
ai genitori che sottoponendosi a tali interventi avevano concretamente manifestato la propria volontà
contraria all’assunzione degli oneri morali e materiali connessi allo status genitoriale (39); 2) come danno da mancata diagnosi di gravi affezioni prenatali e
conseguente nascita di un bambino affetto da gravi
handicap, per effetto della menomata possibilità della scelta di interrompere la gravidanza, danno riconosciuto dalla S.C. non soltanto alla madre ma anche al padre (40); 3) come danno azionabile iure proprio dal minore affetto da gravi patologie, non tempestivamente diagnosticate dai medici durante la gestazione, su cui si è per il momento espressa in senso
contrario la Giurisprudenza di legittimità (41).
Un’ulteriore campo di applicazione del danno non
patrimoniale da inadempimento di obbligazioni di
fonte non contrattuale è quello della violazione degli obblighi di natura familiare, la cui piena giuridicità costituisce principio ormai comunemente condiviso (42).
La prova dell’inadempimento sarà certamente più
agevole laddove l’obbligo consista nel pagamento di
un’obbligazione pecuniaria (alimenti, assegno di
mantenimento etc.). Per rifarsi ad una concreta casistica può citarsi la giurisprudenza di legittimità che ha
statuito la risarcibilità del danno non patrimoniale da
ritardo nel pagamento degli oneri di mantenimento
da parte del genitore non affidatario, qualificato come
“danno esistenziale o alla vita di relazione” (43).
L’indagine si fa viceversa più complessa e delicata ove
si intenda far valere una responsabilità per violazione
di doveri di assistenza morale e di collaborazione personale, sulla cui natura molto si è discusso, ipotizzandosi in tali casi il ricorso alla tutela aquiliana (44) e
senza escludere, a mio avviso più fondatamente, la
possibilità di un concorso di responsabilità (45).
La complessa trama delle relazioni familiari, i rapporti tra libertà del singolo, tutela della personalità
individuale, e doveri di solidarietà familiare, rendono particolarmente delicato l’intervento del Giudice, che andrà comunque limitato a quei casi in cui la
violazione si manifesti in comportamenti particolarmente riprovevoli e con modalità particolarmente
offensive (46).
Note:
(38) In dottrina, cfr., tra i tanti, A. D’Angelo (a cura di) Un bambino non voluto è un danno risarcibile?, Milano, 1999; De Matteis,
286
Il danno risarcibile per nascita indesiderata, in questa Rivista,
1999, 1033 e ss.; Nicolais - Silvetti, La nascita indesiderata, in
Trattato breve dei nuovi danni, a cura di P. Cendon, Padova,
2001, Cap. XXXVII, 1073 e ss.
(39) Accanto ad un danno patrimoniale derivante dalla necessità di
mantenimento del figlio non voluto (accordato, ad es., da Trib. Venezia 10 settembre 2002, in Resp. civ. prev., 2003, 117 e ss., e in
questa Rivista, 2003, 403 e ss., con nota di Bitetto, Bambino inatteso. Paga il medico consapevole della responsabilità del suo arrivo) la giurisprudenza ha ritenuto altresì di liquidare una somma a titolo di ristoro della lesione del diritto ad una procreazione cosciente e responsabile (cfr. Trib. Milano, sez. VII, 20 ottobre 1997, in
questa Rivista, 1999, 82 e ss., con commento di Bona, e in Resp.
civ. prev., 1998, 1143 e ss., con nota giustamente critica di Gorgoni, Intervento di vasectomia non riuscito e genitorialità indesiderata: problemi di qualificazione e quantificazione dei danni connessi
alla nascita del figlio). La tendenza di parte della giurisprudenza e
della dottrina ad escludere il risarcimento del danno non patrimoniale sul presupposto che la nascita di un figlio, seppur indesiderata, non possa mai considerarsi come un evento dannoso si risolve
in realtà in una petizione di principio. Se può a prima vista lasciare
perplessi la qualifica in termini di danno di un evento naturale e
normalmente felice come la nascita di un figlio, non può negarsi
che in molti casi, specie ove si tratti di genitori in giovane età ed
economicamente non autosufficienti, l’assunzione della responsabilità di genitore possa sconvolgere gli equilibri esistenziali: il radicale stravolgimento delle proprie abitudini di vita, la difficoltà di
proseguire gli studi, la perdita di chanches lavorative sono eventi
che possono essere vissute con notevole sofferenza e in casi
estremi addirittura drammaticamente da chi, scegliendo di abortire, aveva inequivocabilmente dimostrato di non sentirsi pronto ad
assumere le responsabilità connesse al ruolo.
(40) Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, in Resp. civ. prev., 2003,
117 e ss., con nota di Gorgoni, Il contratto tra la gestante ed il ginecologo ha effetti protettivi anche nei confronti del padre; Cass.
20 ottobre 2005, n. 20320, in questa Rivista, 2005, 510, con nota di Cacace, La scelta solo alla madre, il risarcimento anche al
padre: cronache di una nascita indesiderata.
(41) Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, in Giust. civ., 2005, I, 121, con
nota di Giacobbe, Wrongful life e problematiche connesse, e in
questa Rivista, 2005, 379, con nota di M. Feola, Essere o non essere: la Corte di Cassazione e il danno prenatale.
(42) Cfr. sul punto, senza alcuna pretesa di completezza, P. Perlingieri, Sulla famiglia come formazione sociale, in Rapporti personali nella famiglia, Napoli, 1982, 39 e ss; S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 32 e ss.; F. Santoro Passarelli,
Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio, in Comm. al
diritto italiano della famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi,
Padova, 1992, 48 e ss.; Ruscello, I rapporti personali tra i coniugi, Milano, 2000, 337 e ss.; Fraccon, I diritti della persona nel matrimonio. Violazione dei doveri coniugali e risarcimento del danno, in Dir. fam. pers., 2001, 367 e ss.; A. Gabrielli, Mantenimento e alimenti,: la violazione degli obblighi, in Cendon (a cura di),
Trattato breve dei nuovi danni, Padova, 2001, 1382 e ss.
(43) Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, cit.; per la Giurisprudenza di
merito cfr., altresì, Trib. Venezia 18 aprile 2006, in Cassano, La
Giurisprudenza sul danno esistenziale, Padova, 2007, 1251.
(44) Trib. Milano 4 giugno 2002, in Resp. civ. prev., 2002, 1440,
ha riconosciuto la responsabilità ex art. 2043 del marito che, nel
periodo della gestazione e in quello immediatamente successivo
alla nascita del figlio, aveva lasciato la moglie priva di ogni assistenza morale e materiale. Cfr. altresì Trib. Venezia 30 giugno
2004, in questa Rivista, 2005, 548, con nota di De Stefanis, che
ha condannato il padre naturale colpevole di aver privato il figlio
di ogni assistenza morale e materiale.
(45) Cendon - Sebastio, Lei, lui e il danno. La responsabilità civile
tra coniugi, in Resp. civ. prev., 2002, 1296 e ss.
(46) Cfr., in relazione alla violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, Trib. Milano 22 novembre 2002, n. 14196, in Dir. e giust., n.
(segue)
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
Il problema dei danni c.d. bagatellari
Aldilà delle ipotesi tipizzate, e dei macrosettori appena esaminati delle relazioni familiari e della responsabilità sanitaria, il danno non patrimoniale da
inadempimento ha trovato ingresso nelle nostre
Corti in riferimento ad una serie di ipotesi eterogenee e difficilmente riconducibili a sistema che sarebbe troppo lungo e probabilmente inutile elencare.
In via generale il problema, comune a tutta l’area
del danno non patrimoniale ed in particolare a quella che oggi, alla luce della pronunzia in commento,
potremmo definire la pseudo-sottocategoria del danno esistenziale, è quello di selezionare i danni risarcibili da quelli c.d. bagattellari (47), che non di rado, negli ultimi anni, hanno trovato tutela risarcitoria in discutibili e eccentriche sentenze, specie dei
Giudici di pace, di cui le Sezioni unite forniscono
un’ampia ed efficace panoramica (48).
È proprio l’abuso che si è fatto della nozione di danno esistenziale, utilizzata a mo’di passepartout per garantire ristoro ad ipotesi di pregiudizi di dubbia rilevanza, avvicinabili nella migliore delle ipotesi ai c.d.
punitive damages, ad alimentare una reazione contraria al riconoscimento della categoria stessa, le cui ragioni storiche erano peraltro venute meno, o quantomeno fortemente mitigate, alla luce della lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.
La storia del danno esistenziale è, infatti, quella della fuga dall’art. 2059; un percorso per certi versi paragonabile a quella del danno biologico, nel tentativo di sottrarre una serie di pregiudizi, che possono
tranquillamente continuare a definirsi esistenziali,
alle strette maglie dell’art. 2059 (49): una volta ampliatesi tali maglie in maniera significativa per effetto della più autorevole Giurisprudenza, le ragioni di
continuare a ricorrere a tale categoria sembrano venute meno.
Se, dunque sul piano ontologico e descrittivo ha ancora un
senso distinguere il pregiudizio esistenziale, inteso come pregiudizio incidente sul fare areddituale del soggetto leso, dal
danno biologico e dal danno morale c.d. puro, va preso atto che tale distinzione non spiega alcuna influenza sul piano della disciplina.
I criteri di selezione dei danni risarcibili
desumibili dalla disciplina dell’inadempimento:
la prevedibilità e il concorso del creditore
nella causazione dell’evento dannoso
Tornando, dunque, all’indagine circa i criteri di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali derivanti
dall’inadempimento, un primo filtro può essere rap-
Danno e responsabilità 3/2009
presentato, come ricordato dalle stesse Sezioni Unite, dalla disciplina dell’inadempimento medesimo
ed in particolare dall’art. 1225 c.c.: versandosi in tema di responsabilità contrattuale, dovrebbe infatti
essere rispettato non solo il criterio della conseguenzialità immediata e diretta (50), comune anche alla
responsabilità aquiliana, ma anche quello della preNote:
(continua nota 46)
22/03, 75, ove si ribadisce il principio secondo cui, ai fini della
concessione del diritto al risarcimento, è necessaria la “obbiettiva gravità della condotta violatrice”; nello stesso senso Trib.
Brescia 9 ottobre 2006, in Cassano, La Giurisprudenza sul danno
esistenziale, cit., 1372. Sarebbe infatti risibile e fuori luogo pensare oggigiorno di attivare un giudizio risarcitorio ogniqualvolta
uno dei coniugi intenti una relazione extraconiugale, ovvero si rifiuti di intrattenere col partner rapporti intimi, o dedichi poca attenzione alla cura dei figli. Tuttavia quando i comportamenti in
violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale si connotano per la sistematicità, per la particolare evidenza del loro
manifestarsi, pur senza necessariamente concretizzarsi in azioni
avente rilevanza penale, l’ipotesi di una responsabilità per danni,
anche di natura non patrimoniale, appare tutt’altro che peregrina.
(47) Mi pare lapidaria, ed in tale formulazione non condivisibile,
l’affermazione di P. Ziviz, Lo spettro dei danni bagatellari, in Resp. civ. prev., 2007, 520, secondo cui nell’ambito della responsabilità contrattuale, “il concetto di lesione bagatellare non si
presta ad esplicare alcun ruolo autonomo”, giacché, «una volta
appurato l’inadempimento, la violazione dell’interesse della controparte non necessita di un ulteriore accertamento, essendo la
stessa correlata al venir meno della condotta contrattualmente
dovuta». Non di rado, infatti, ciò che viene ad essere risarcito
non è la mancata soddisfazione dell’interesse non patrimoniale
trasfuso nella causa del contratto, ipotesi nella quale ovviamente chi scrive non può che concordare, ma le conseguenze che l’inadempimento produce sul piano della tranquillità psicologica
del creditore insoddisfatto.
(48) Per un’ampia e meditata disamina del panorama giurisprudenziale cfr. Liberati, Il danno non patrimoniale da inadempimento, cit.; cfr., altresì, Cassano, La Giurisprudenza sul danno
esistenziale, cit.
(49) Esemplari, sul punto, le argomentazioni di Cass. 5 novembre 2002, n. 15449, in questa Rivista, 2003, 266, con nota di
Ponzanelli, Prova del danno non patrimoniale ed irrilevanza del
danno esistenziale: «... la figura del danno “esistenziale” è stata
elaborata per sopperire alle lacune, riscontrate in punto di protezione civilistica, degli attributi e dei valori della persona, connesse all’impossibilità di giovarsi dell’art. 185 c.p. (e di liquidare perciò il relativo danno morale) quante volte non si fosse concretizzata una fattispecie di reato…». Cfr. sul punto Castronovo, Del
non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d.
perdita di chanche, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa dir. priv., 2008, 345, e Busnelli, Interessi della persona e risarcimento del danno, cit., 17.
(50) In linea di massima qualsiasi inadempimento sarà fonte di
preoccupazione, di fastidio, di disappunto per il creditore insoddisfatto. Si pensi alla mancata o pessima esecuzione dei lavori di
ristrutturazione di un appartamento ed ai disagi che normalmente ne conseguono; si pensi ancora all’acquisto di una vettura difettosa, o alla rottura, per effetto di errata manutenzione, di un
motore marino nel bel mezzo della stagione estiva. Nella maggioranza dei casi il creditore patirà un nervosismo, uno stress
emotivo e sul piano nel non fare, tanto caro ai mentori del danno
(segue)
287
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
vedibilità del danno al momento del sorgere dell’obbligazione (51).
Il limite non opera, come a tutti è noto, in caso di
inadempimento doloso, che ricorre, secondo la Giurisprudenza più recente, quando sussista la consapevolezza da parte del debitore di essere tenuto ad una
certa prestazione, accompagnata alla violazione intenzionale di tale obbligo, anche a prescindere della
consapevolezza del danno (52).
Il criterio della prevedibilità del danno assume evidentemente rispetto al danno non patrimoniale
connotati specifici e peculiari.
Esso va inteso, secondo la giurisprudenza, come ragionevole probabilità del suo verificarsi, secondo la
stima dell’uomo medio: deve quindi escludersi che
possa ritenersi prevedibile, e vada perciò risarcito, il
pregiudizio morale che abbia assunto per il creditore
insoddisfatto una particolare gravità in virtù di particolari circostanze del tutto soggettive, a meno che
le stesse non siano rese note alla controparte all’atto
della conclusione del contratto.
Se «i danni imprevedibili sono quelli inconsueti e
anomali rispetto all’utilità che la prestazione è normalmente idonea a realizzare» (53) e, dunque, «la
disposizione dell’art. 1225 sta a significare, secondo
l’opinione corrente, che il risarcimento del danno
contrattuale deve essere correlato ad un rischio specifico determinato in base alla funzione economica
del contratto» (54) non dovrebbero, al contrario,
esserci dubbi che il danno non patrimoniale sia sempre risarcibile quando il contratto era diretto a soddisfare in via principale un interesse non economico.
Né dovrebbero sussistere dubbi sulla risarcibilità del
danno non patrimoniale da inadempimento nell’ipotesi di violazione di quegli obblighi di protezione
normalmente connessi allo svolgimento di una certa attività. Si pensi alle ipotesi, già elencate, del
danno non patrimoniale conseguente alle lesioni
personali causate in occasione di un contratto di trasporto, all’attività medica, alla violazione dell’obbligo gravante sul datore di lavoro di garantire e salvaguardare il benessere psico-fisico dei propri dipendenti, ma anche a quello (richiamato espressamente
in sentenza) gravante sull’istituto scolastico di proteggere l’incolumità degli allievi.
Trova infine applicazione, anche in ordine al danno
non patrimoniale contrattuale, la norma di cui all’art. 1227, che disciplina l’ipotesi del concorso del
fatto colposo del creditore nella produzione del danno, prevedendo al II comma che il risarcimento non
sia dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
288
Qualora, ad esempio, si verta in tema di inadempimento di un contratto avente ad oggetto la prestazione di un servizio, il danno non patrimoniale andrà risarcito soltanto ove il creditore non sia posto
in grado di reperire sul mercato una prestazione
equivalente a quella non eseguita, imputandone poi
i costi al debitore inadempiente (55).
È il caso, ad esempio, dell’inadempimento del conNote:
(continua nota 50)
esistenziale, si vedrà costretto a distogliere tempo alle proprie
abituali attività per porre rimedio al pregiudizio subito, rivolgersi
ad un Legale per la tutela dei propri diritti, etc. Tuttavia qualunque ordinamento, anche quello ove non esistono limiti testuali al
risarcimento del danno non patrimoniale, si trova di fronte alla
necessità di operare una selezione tra le conseguenze pregiudizievoli suscettibili di risarcimento e quelle che rientrano della soglia di una normale tolleranza, e di una accettabile alea di rischio,
connessa allo svolgimento di qualunque attività negoziale, posto
che, come affermano le S.U. nella sentenza in commento, non
esiste il diritto alla serenità astrattamente inteso.
(51) Sul requisito di prevedibilità del danno come elemento di differenziazione tra le due specie di responsabilità insistono, ad es.,
C. Turco, Brevi considerazioni sul principio di prevedibilità del
danno come profilo distintivo fra responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 104 e ss.; Ferrari,
Prevedibilità del danno e “contemplation rule”, in Contr. e impr.,
1993, 760 e ss; Giardina, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Una distinzione attuale?, in Riv. crit. dir. priv., 1987,
155 e ss.; C. Rossello, Responsabilità contrattuale ed aquiliana:
il punto sulla Giurisprudenza, in Contr. e impr., 1997, 646-7; Pinori, Il danno contrattuale, Padova, 1998, 245 e ss. Non mancano in dottrina voci tendenti a ridimensionare l’importanza del
mancato richiamo in sede di disciplina dell’illecito (art. 2056) alla
norma di cui all’art. 1225 c.c., osservando come nella concreta
esperienza giurisprudenziale il criterio della prevedibilità venga di
fatto applicato, seppur implicitamente, anche in caso di responsabilità aquiliana. In questo senso cfr., ad es., Visintini, Trattato
breve della responsabilità civile, cit., 211 e ss. e 608 e ss.
(52) In questo senso Cass. 25 marzo 1987, n. 2899, in Foro it.,
Rep. 1987, V. Danni civili, n. 140; Cass. 30 ottobre 1984, n. 5566,
in Mass. Giust. civ., 1984, fasc. 10. Nel senso, invece, che il dolo presupponga la specifica intenzione di arrecare danno al creditore cfr. Cass. 7 dicembre 1978, n. 5811, in Foro it., Rep. 1978,
V. Danni civili, n. 27; Cass. 7 agosto 1962, n. 2441 in Giust. civ.,
1963, I, 845. Giurisprudenza e dottrina più recente sono concordi, infine, nel negare, sotto questo aspetto, l’equiparazione della
colpa grave al dolo: cfr., ad es., G. Visintini, Osservazioni critiche
sulla supposta esistenza di un principio dell’equiparazione della
colpa grave al dolo, in Riv. dir. mar., 1982, 217; Cian, Lata culpa
dolo aequipatur, in Riv. dir. civ., 1963, I, 148.
(53) Majello, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, in Rass. dir. civ., 1988, 109 e ss., oggi in Scritti di diritto patrimoniale, Napoli, 1992, 265.
(54) Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, cit., 611.
(55) Non è dato rinvenire in Giurisprudenza soluzioni univoche in
ordine alla questione relativa al se l’obbligo di diligenza previsto
al 2° comma dell’art. 1227 c.c. comprenda anche quello di procurarsi aliunde la prestazione, ove ciò sia possibile: in senso positivo cfr. ad es. Cass. 12 ottobre 1967, n. 2348, in Foro it., 1968,
I, c. 138 con nota di M. R. D’Angelo; in senso contrario Cass. 6
settembre 1983, n. 5274, in Foro it., 1984, I, c. 2820 e ss., con
nota di Valcavi, Evitabilità del maggior danno ex art. 1227, 2°
comma c.c. e rimpiazzo della prestazione non adempiuta.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
tratto avente ad oggetto la ripresa della cerimonia
nuziale, o dell’improvvisa indisponibilità del servizio di catering comunicata a poche ore dalla festa.
Viceversa, in caso di mancata prenotazione da parte
di un’agenzia di viaggi di una camera d’albergo per
una settimana di vacanze sulla neve, il danno non
patrimoniale sarà risarcibile solo ove il turista non
possa trovare una diversa sistemazione in altro albergo nella medesima località a condizioni di
comfort sostanzialmente analoghe.
Un ultimo accenno alla disciplina, alle quali le sezioni Unite dedicano un fugace e lapidario assunto
secondo il quale “varranno le specifiche regole del
settore circa l’onere della prova (come precisati da
sez. un. n. 13533/2001) e la prescrizione”.
Il regime probatorio
Quanto al problema dell’onere della prova, occorrerà ovviamente distinguere tra prova dell’inadempimento e prova del danno.
Per quanto attiene alla prova dell’inadempimento
vengono richiamati ancora una volta i criteri fissati
nella celebre pronunzia delle stesse Sezioni Unite
del 30.10.2001 n. 13533 (56), più volte confermati
dalla successiva Giurisprudenza di legittimità (57),
ove venne statuito che, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che
agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve
soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo
diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore
convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto
estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto
adempimento.
Tale soluzione merita piena adesione in caso di inadempimento totale, risultando in molti casi quasi
impossibile (si pensi all’omesso pagamento di un’obbligazione pecuniaria) la dimostrazione, ex parte creditoris, di non aver ricevuto la prestazione dovuta.
Desta invece non poche perplessità l’applicazione
della medesima regola anche all’ipotesi di inesatto
adempimento, soluzione cui - come riconosciuto
dalle stesse Sezioni Unite - non si era spinta neppure la Giurisprudenza (minoritaria) cui esse dichiarano di prestare adesione (58) e sulla quale non a caso
si sono appuntati, già in sede di primi commenti, i
più acuti rilievi critici (59).
Se infatti il creditore non nega il fatto dell’adempimento, ma adduce la difettosa esecuzione della prestazione medesima, il principio della vicinanza della
Danno e responsabilità 3/2009
prova impone che sia il creditore stesso a darne dimostrazione (60).
In tal senso si esprime unanimemente proprio quella dottrina che, sostenitrice dell’idea di una equiparazione del regime probatorio tra il creditore che
Note:
(56) Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Guida al dir.,
2001, n. 45, 41 e ss., con commento di SacchettinI, Il creditore
che propone l’azione giudiziaria non deve provare l’inadempimento del debitore; in Corr. giur., 2001, 1569 e ss., con nota di
V. Mariconda, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni
Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; in Contratti, 2002, 113 e ss., con nota di U. Carnevali, Inadempimento
e onere della prova; in Foro it., 2002, I, c. 769 e ss., con nota di
Laghezza, Inadempimenti ed onere della prova: le sezioni unite e
la difficile arte del rammendo; in Nuova giur. civ. comm., 2002, I,
349, con nota di Meoli, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova. Cfr. altresì i commenti di Villa, Onere della prova,
inadempimento e criteri di razionalità economica, in Riv. dir. civ.,
2002, II, 707 e ss.; di Tuozzo, Inadempimento ed onere della prova. Intervengono, finalmente, le Sezioni Unite, in Contr. e impr.,
2002, 547 e ss.; di Riva, Le Sezioni Unite in materia di prova dell’inadempimento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 323 e ss.; nonché i contributi di Barbiera, Ripartizione degli oneri probatori nelle obbligazioni contrattuali, in Studi in onore di Ugo Majello, Napoli, 2005, I, 79 e ss.; di Pagliantini, Gli arcani confini di un idola
fori: l’onere della prova nella risoluzione del contratto, ivi, II, 353
e ss. e di Visintini, La Suprema Corte interviene a dirimere un
contrasto tra massime (in materia di onere probatorio a carico
del creditore vittima dell’inadempimento), ivi, II, 821 e ss..
(57) Cfr. tra le più recenti e significative, Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Resp. civ. .prev., 2008, pag. 849, con nota
di Gorgoni, Dalla matrice contrattuale della responsabilità nosocomiale e professionale al superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzo/di risultato e in questa Rivista 2008, 788, con
nota di Vinciguerra, Nuovi (ma provvisori?) assetti della responsabilità medica, e 1002 con mio commento, Le Sezioni unite
“fanno il punto” in tema di onere della prova della responsabilità
sanitaria.
(58) Cosicché, oltre che nel merito, l’intervento delle Sezioni Unite appare scorretto anche nel metodo, non essendovi sul punto
alcun contrasto di giurisprudenza da sanare, risultando unanime
l’opinione che ritiene di gravare il creditore della prova dell’inesattezza dell’adempimento ricevuto. Tale obiezione, che avrebbe consentito in linea di principio alle sezioni semplici, così come
alla Giurisprudenza di merito, di discostarsi più serenamente dal
principio fissato dalle S.U., non ha reso meno dannosa l’enunciazione del principio medesimo, come è evidente dall’esame
delle successive decisioni.
(59) U. Carnevali, op. cit., 120; Laghezza, op. cit., c. 774; Pagliantini, op. cit., 360 e s.s.; Villa, op. cit., 729; V. Mariconda, op.
ult. cit., secondo cui l’indirizzo assunto sullo specifico punto dalle Sezioni Unite «si basa su una non adeguatamente meditata
estensione del regime probatorio gravante sul creditore e realizza in definitiva una sostanziale violazione del disposto dell’art.
2697 c.c.» (pag. 1571) e «rischia, qualora non venga tempestivamente superato, di portare a conseguenze applicative addirittura aberranti». (pag. 1572).
(60) Conf. S. Patti, Prove, cit., 120. Nel senso che gravi sul creditore l’onere della prova dell’adempimento inesatto cfr., oltre
agli autori citati alla nota precedente, Mengoni, Voce Responsabilità contrattuale, in Encicl. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1097; A. di
Majo, Delle obbligazioni in generale, cit., 461; Sacco, Il contratto,
cit., 610; Luminoso, in Luminoso - Carnevali - Costanza, Della risoluzione per inadempimento, cit., 228; De Cristofaro, Mancata
o inesatta prestazione e onere probatorio, in Riv. dir. civ., 1994,
590 e ss..
289
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
agisce per l’adempimento e quello che agisce per la
risoluzione o per il risarcimento del danno, può considerarsi l’ispiratrice della giurisprudenza minoritaria cui le Sezioni Unite assumono di aderire (61).
Inoltre, se nell’ipotesi di mancato adempimento può
ritenersi operante il dibattuto principio di presunzione di persistenza del diritto (62), espressamente
evocato a sostegno della propria tesi dalle S.U., ciò
non può valere per l’inesatto adempimento: in questo secondo caso il creditore ammette, infatti, l’adempimento nella sua materialità, pur negando ad
esso valore solutorio, considerazione questa tutt’altro che artificiosa - come sbrigativamente la liquida
la S.C. - e densa di conseguenze sul piano probatorio.
Il fatto che il debitore abbia eseguito (seppur, a dire
del creditore, in maniera difettosa o inesatta) la propria prestazione spiega effetti rilevanti in ordine alla
riferibilità della prova. Se, infatti, in caso di totale
inadempimento, viene in rilievo, per dirla con le
SS.UU., «la difficoltà per il creditore di fornire la
prova di non aver ricevuto la prestazione, e cioè di
fornire la prova di un fatto negativo», in ossequio all’antico brocardo per cui negativa non sunt probanda
(63), nel caso di inesatto adempimento, applicando
il riparto probatorio enunziato con la citata sentenza, e onerando dunque il debitore della prova di aver
fornito una prestazione esatta, si finisce in realtà con
l’addossare a quest’ultimo l’onere di dimostrare di
non aver commesso errori, di non aver violato norme tecniche o deontologiche, di non aver omesso le
opportune informazioni, e così via.
È invece il creditore che ha ricevuto la prestazione
che si trova nella posizione migliore per contestare
efficacemente i vizi della medesima.
Un’altra occasione persa, in sostanza, per accogliere,
sul punto, i rilievi critici della dottrina maggioritaria.
Quanto, infine, alla prova del danno, non è azzardato affermare che il problema dell’accertamento e
della quantificazione del danno non patrimoniale
costituisce da sempre il nodo centrale della speculazione teorica intorno a tale figura e le obbiettive difficoltà ad esso connesse rappresentano storicamente
il motivo più consistente dell’atteggiamento di diffidenza quando di non manifesta ostilità verso il danno non patrimoniale medesimo. Ci si trova, infatti,
di fronte ad un danno che per un verso non è obiettivabile naturalisticamente, per altro non è liquidabile secondo parametri certi e determinati.
Sotto il profilo della prova, parte della dottrina fa discendere dalle accennate difficoltà di dimostrazione
del danno (64) un sostanziale esonero dell’attore
290
dall’onere probatorio, limitandosi a richiedere la
prova del fatto generatore da cui discenderebbe in re
ipsa il danno non patrimoniale (65).
Appare tuttavia convincente l’osservazione di
un’autorevole dottrina, cui si è uniformata la costante giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni
(66), in virtù della quale una deroga così significatiNote:
(61) Particolarmente significativa la presa di posizione di Sacco
che nella terza edizione del volume sul contratto scritto a quattro
mani con De Nova, Torino, 2004, 644, alla luce della citata sentenza 13533/2001 ribadisce come «ci sono casi in cui l’inadempimento - conduca esso alla risoluzione del contratto o alla generica domanda di danni, o di adempimento deve essere provato (dal creditore): così avviene in caso di cattiva esecuzione (opera mal costruita dal debitore), di cattiva qualità della cosa alienata, di negligenza professionale del medico o dell’avvocato». Analogamente già Mengoni, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi”, cit., 378, sottolineava come «il contenuto dell’obbligazione del medico è tale che l’attore non può limitarsi a dimostrare di non essere guarito». Più articolata la posizione di
Verde, L’onere della prova nel processo civile, Napoli, 1974, 429,
il quale - fedele all’idea di una diversa ripartizione dell’onere probatorio tra il creditore che agisca per l’adempimento e quello che
agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno - assume
che nel primo caso sarà il convenuto a dover provare l’esatto
adempimento mentre nel secondo spetterà all’attore la prova
che l’adempimento è inesatto.
(62) Bianca, Inadempimento delle obbligazioni, 2° ed., in Comm.
al cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, 175;
Carnevali, Della risoluzione per inadempimento, cit., 74; contra
S. Patti, Prove. Disposizioni generali, in Comm. al cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1987, 120, il quale pur
ammettendo in linea generale l’esistenza del principio, ne contesta l’applicazione al caso di specie, sostenendo che assumere
che il credito, una volta scaduto il termine per l’esecuzione, debba presumersi insoddisfatto salvo prova del contrario significa
sovvertire il dato statistico per cui i debiti vengono normalmente
onorati, dovendosi semmai pervenirsi ad una presunzione di regolare adempimento, tesi cui aderisce Villa, op. cit., 717. Critico
sull’esistenza del principio anche De Cristofaro, op. cit., 582 e
ss. Riformulato da Mengoni, Voce Responsabilità contrattuale,
cit., 1095, «in termini di principio probatorio di equivalenza tra
l’effetto dell’acquisto del diritto e la titolarità attuale del medesimo» esso trova l’adesione di V. Mariconda, op. cit., 1576 e ss., e
di Pagliantini, op. cit., 365.
(63) Lo pone a fondamento della regola che dispensa il creditore
dalla prova dell’inadempimento S. Patti, Prove, cit., 52 e ss.. La
sussistenza o quanto meno l’assolutezza del principio è stata
contesta dalla dottrina secondo cui è sempre consentito la prova dei fatti negativi mediante la prova di fatti positivi contrari. Sul
punto bisogna convenire con le S.U. che parlano di una tecnica
probatoria non agevolmente praticabile.
(64) De Cupis, Il danno, cit., I, 581 parla di «obbiettiva impossibilità della stessa prova».
(65) Minozzi, Studio sul danno non patrimoniale, cit., 206;Cesareo Consolo, Trattato sul risarcimento del danno in materia di delitti e quasi delitti, Torino, 1908, 220; Scuto, Osservazioni sul
danno non patrimoniale e sulla sua risarcibilità nel nostro diritto
positivo, cit., 460 e ss.; Franzoni, Danno morale, cit., 375 e ss. In
questo senso, in Giurisprudenza, App. Milano 4 aprile 1955, in
Foro it., 1955, I, c. 905; Cass. 8 aprile 1959, n. 1041, in Resp. civ.
prev., 1960, 164 e, in generale, la giurisprudenza in tema di lesioni all’onore e alla reputazione (in dottrina cfr., sul punto Ricciuto - Zeno Zencovich, Il danno da mass media, Padova, 1990,
85 e ss.)
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
va al regime ordinario in tema di onere probatorio
avrebbe dovuto trovare espresso riconoscimento legislativo, sì che in difetto non resta altra via che il
ricorso a dati di comune esperienza e a presunzioni
(67).
Le prime pronunce di merito successive
alla fissazione dei nuovi parametri
di risarcibilità del danno non patrimoniale
da inadempimento
I primi pronunziamenti giurisprudenziali, a quanto
consta inediti, denunziano ancora qualche problema di assestamento nell’adeguamento ai principi fissati dalle S.U. Una pronunzia del Tribunale di Trieste dell’8 gennaio 2009, nell’accogliere la domanda
di risarcimento del danno patrimoniale conseguente
all’inadempimento di un architetto che aveva presentato un progetto non conforme ai parametri edilizi ed urbanistici, e quindi inidoneo ad ottenere il
rilascio della concessione edilizia, ha rigettato,
conformemente ai principi enunziati dalle SS.UU.,
la domanda relativa al danno esistenziale asseritamente patito dalla creditrice-committente e consistente nei patemi, disagi e turbamenti della serenità
conseguenti alla aspettativa delusa. In modo assai
discutibile ha altresì escluso il risarcimento del danno biologico (sub specie di danno psichico) che pure la c.t.u. aveva riconosciuto come conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, e ciò sul presupposto della non prevedibilità del danno (68). Il
Giudice di pace di Piacenza con sentenza n. 7395/08
ha viceversa riconosciuto il danno non patrimoniale (rectius esistenziale) lamentato da un pendolare,
abbonato della Trenitalia S.p.a., che lamentava la
pessima qualità del servizio erogato dall’azienda nella tratta Piacenza-Milano, riconosciuta peraltro dalla stessa azienda che, in base a contratti stipulati con
la Regione Lombardia, aveva corrisposto agli abbonati un indennizzo consistente in un nuovo abbonamento gratuito. La decisione, che pure richiama
espressamente i limiti sanciti dalle S.U. al riconoscimento del danno esistenziale, afferma che tali limiti
dovevano considerarsi nel caso di specie superati,
attesa la sistematicità della condotta inadempiente
di Trenitalia, ed i conseguenti disagi qualificabili oltre la soglia di normale tollerabilità; individua, inoltre, in tale condotta - oltre che il mancato rispetto
delle norme del codice del consumo - anche la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, consistente nella salvaguardia della personalità del cittadino. In realtà a me pare che tale decisione tradisca,
aldilà di un ossequio meramente formale, i principi
Danno e responsabilità 3/2009
enunziati dalla S.C., configurandosi peraltro assai
debole ed incerto il fondamento costituzionale dei
diritti asseritamente lesi: essa appare piuttosto ispirata ad un intento sanzionatorio della condotta gravemente inadempiente della Società che gestisce in
regime di sostanziale monopolio un servizio pubblico; ancora una volta la sensazione è quella di trovarsi di fronte a dei danni punitivi, il cui riconoscimento è stato da sempre costantemente negato dalla
Giurisprudenza della S.C. (69)
Riflessioni conclusive
In conclusione, in riferimento alla questione oggetto specifico dell’indagine, la sentenza in commento
merita, pur con le riserve e le precisazioni di ordine
teorico già sopra formulate, di essere sostanzialmente condivisa nelle sue ricadute pratico-applicative,
operando una doverosa e significativa apertura al riconoscimento del danno non patrimoniale da inadempimento, pur nella fissazione di limiti che meglio e più compiutamente andranno elaborati dalla
giurisprudenza successiva, ma comunque idonei a
porre un freno al dilagare di richiesta risarcitorie prive di adeguato fondamento.
Essa costituisce la naturale conseguenza della svolta
giurisprudenziale dell’anno 2003, ma anche il risultato di un processo più ampio non soltanto di valorizzazione della centralità della persona umana nel sistema
dell’ordinamento privatistico, e dunque di una rinnovata sensibilità verso una più estesa rete di protezione
degli interessi non patrimoniali ad essa connessi, ma
Note:
(66) Tra le tante Cass. 8 ottobre 2007, n. 20987, in Resp. civ.
prev., 2008, 865, Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, in Foro it., 2006, I, c. 2337, con nota di Ponzanelli, La prova del danno
non patrimoniale e il confine tra danno esistenziale e danno non
patrimoniale.
(67) R. Scognamiglio, Il danno morale, cit., 329; Nello stesso
senso Mastropaolo, Il risarcimento del danno alla salute, Napoli,
1983, 604, 136; Ravazzoni, La riparazione del danno non patrimoniale, Milano, 1962, 142; Bonilini, Il danno non patrimoniale,
cit., 376 e ss.
(68) Anche a voler ammettere che un contratto di prestazione
d’opera per la redazione di un progetto non contempli, tra i rischi
prevedibili, anche l’insorgere di una patologia depressiva per il
committente insoddisfatto, risulta del tutto omessa ogni valutazione della condotta del progettista, causa efficiente, secondo la
c.t.u, dell’insorta patologia, sotto il profilo dell’illecito extracontrattuale.
(69) Cass. 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, 1461 e
ss., con nota di G. Ponzanelli, Danni punitivi? No, grazie, ed in
questa rivista, 2007, 1125, con commento di P. Pardolesi, Danni
punitivi all’indice. Cfr., altresì, sui danni punitivi, con particolare
riferimento all’ambito contrattuale, la recente indagine di Benatti, Correggere e punire. Dalla law of torts all’inadempimento del
contratto, Milano, 2008.
291
Giurisprudenza
Danni non patrimoniali
anche di un clima culturale (70), di respiro europeo
ed internazionale, che ha prodotto - sotto il versante
più squisitamente contrattualistico-mercantile - la riscoperta e la valorizzazione della rilevanza dell’interesse non patrimoniale del creditore, consacrato, per
il nostro ordinamento, nell’art. 1174. c.c. (71)
Nelle società occidentali, ove è più marcato l’affrancamento dell’uomo dalla necessità di soddisfazione
dei bisogni primari, si assiste al proliferare di accordi
diretti a soddisfare bisogni, esigenze, aspirazioni di
contenuto non patrimoniale.
Nel solco di quel processo che va sotto il nome di
terziarizzazione dell’economia, che ha caratterizzato
il finire del secolo scorso per proseguire ineluttabile
in quello nascente, assume un ruolo centrale ed egemonico, anche sotto il profilo occupazionale, il settore della prestazione di servizi rispetto a quello della produzione e commercializzazione di beni.
Sempre più di frequente gli individui stipulano contratti diretti a soddisfare interessi neppure mediatamente economici, quali lo svago, la crescita spirituale,
culturale, etc.; contratti finalizzati a migliorare la qualità della vita, piuttosto che ad accrescere il proprio patrimonio inteso nella accezione puramente reddituale.
Non avrebbe dunque senso un sistema che, come
avveniva quasi sino a pochi anni orsono, lasciasse
sostanzialmente privo di tutela il soggetto che pur
avendo stipulato un contratto per la soddisfazione di
un proprio bisogno non economico, benché vittima
dell’altrui inadempimento, non sia in grado di provare, come nella maggioranza dei casi accadrà, di
aver subito un danno patrimoniale.
Così come apparirebbe aberrante, per altro verso,
che l’inadempimento della controparte rimanesse
(come di fatto rimaneva) privo di qualsiasi sanzione;
292
una sorta di debito senza responsabilità, privo di
qualsiasi ragione giustificatrice.
Nell’attuale quadro economico deve al contrario essere chiaro che l’esigenza di tutela del creditore insoddisfatto, che pure non riesca a dimostrare un danno qualificabile in termini di danno emergente e di
lucro cessante intesi in termini puramente economico-redddituale, non è tanto e soltanto un problema di
tutela della personalità umana, nelle variegate forme
in cui essa si manifesta, quanto una questione di tutela del mercato, di cui una grande fetta è occupata oggi da aziende che commercializzano beni o servizi diretti alla soddisfazione di bisogni non economici.
Note:
(70) Testimoniato da vari indici: già l’art. 7.4.2 dei principi dei contratti commerciali internazionali redatti dall’Unidroit, nel disciplinare le conseguenze dell’inadempimento prevede al II comma
che «il danno può essere di natura non pecuniaria e comprende,
per esempio, la sofferenza fisica e morale». L’art. 9:501 dei principi di diritto europeo dei contratti redatti dalla Commissione
Lando statuisce che il creditore insoddisfatto ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale e l’art. 164 del progetto preliminare al Codice europeo dei contratti redatto dall’Accademia
dei giusprivatisti europei diretta da Gandolfi in tema di responsabilità contrattuale prevede la risarcibilità del danno morale pur
con significative limitazioni..
(71) Cian, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, cit, 204. L’interesse non patrimoniale trova riconoscimento
anche in sede contrattuale; così si ammette pacificamente che
possa essere non patrimoniale l’interesse dello stipulante nel
contratto a favore del terzo (Majello, L’interesse dello stipulante
nel contratto a favore di terzi, Napoli, 1962, 110 ss; L. V. Moscarini, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, 240 ss. Per la Giurisprudenza cfr., tra le tante, Cass. 14 novembre 1986, n. 6688, in
Foro it., Rep. 1986, V. Contratto in genere, n. 309; Cass. 28 novembre 1986, n. 7026, ivi, V. Servitù, n. 6) così come l’interesse
meritevole di tutela ex art. 1322 II comma c.c. (In questo senso
Donisi, Verso la “depatrimonializzazione” del diritto privato, in
Rass. dir. civ., 1980, 651, e nel medesimo senso. Checchini, L’interesse a donare, in Riv. dir. civ., 1976, I, 288).
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Deposito e custodia
Contratto di albergo
Rilevanza dell’obbligazione
custodiale nel contratto
di albergo
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 5 dicembre 2008, n. 28812 - Pres. Rel. Filadoro - P.M. Pivetti (conf.)
- Gestitur S.r.l. c. M. C. e D.P.
L’art. 1783 c.c. regola la responsabilità limitata dell’albergatore per il deterioramento, la distruzione o la sottrazione delle cose portate in albergo. L’art. 1784 c.c., invece, contempla la responsabilità illimitata per le cose
consegnate in custodia o per le quali la custodia si stata rifiutata illegittimamente.
In tema di responsabilità per le cose portate in albergo, poi, il cliente non ha l’obbligo di affidare gli oggetti di
valore di sua proprietà in custodia all’albergatore. Ove, però, non si avvalga di tale facoltà, non potrà ottenere, in caso di sua sottrazione, l’integrale risarcimento del danno.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. civ. 24 gennaio 1997, n. 750; Cass. civ. 23 marzo 2001, n. 4236; Cass. civ. 24 febbraio 2004, n.
3863; Di Maio, Le modalità dell’obbligazione.
Difforme
Cass. civ. 17 maggio 1969, n. 1702; Bianca, Dell’inadempimento dell’obbligazione; Zaccaria, comm.
Cain e Trabucchi, 840.
Svolgimento del processo
…Omissis…
Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di
inammissibilità del ricorso, per inosservanza del termine
per la impugnazione, sollevata nel controricorso del 29
novembre - 7 dicembre 2004. Ad avviso dei controricorrenti, la tardività deriverebbe dalla notifica a mezzo posta
del ricorso per cassazione, perfezionatasi con la consegna
del plico al destinatario oltre il termine di sessanta giorni, decorrente dal 22 luglio 2004 (data di notifica della
sentenza della Corte di Appello di Cagliari).
Con sentenza n. 436 del 31 ottobre 2002 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale del
combinato disposto dell’art. 149 c.p.c., e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, nella parte in cui
prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto dell’Ufficiale giudiziario. Poiché nel caso di specie, la
consegna del ricorso per cassazione è avvenuta nel sessantesimo giorno successivo alla notifica della sentenza
della Corte di appello di Cagliari (5 novembre 2004) la
eccezione risulta priva di fondamento.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia ille-
Danno e responsabilità 3/2009
gittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3,
per violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 257
c.p.c., nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c..
Secondo i ricorrenti, i Giudici di appello avevano fatto
un uso erroneo delle disposizioni di legge richiamate in
materia di valutazione delle prove testimoniali e delle
presunzioni.
In base alle disposizioni di legge vigenti, artt. 1783 c.c. e
ss., per quanto riguarda la responsabilità dell’albergatore
per le cose portate in albergo, colui che vuoi far valere in
giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e dunque della immissione delle cose
rubate in albergo, oltre che della loro sottrazione.
A ben vedere, non era stata fornita alcuna prova della
presenza del cofanetto dei gioielli nella Camera degli appellanti: ciò nonostante, i Giudici di appello avevano ritenuto raggiunta la prova seppur attraverso un ragionamento presuntivo.
L’unica testimonianza utilizzata consisteva in una testimonianza “de relato” del direttore dell’albergo, che si era
limitato a riferire quanto a lui dichiarato dall’interessato,
C..
Questa deposizione non aveva ricevuto alcuna conferma
in altri elementi o informazioni riferite da terzi, sicché
non avrebbe potuto essere utilizzata per formare il convincimento del Giudice.
293
Giurisprudenza
Deposito e custodia
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, sotto altro
profilo, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativo al
riconoscimento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c..
Riprendendo quanto già esposto nel primo motivo, la ricorrente osserva che la Corte, senza alcuna giustificazione, aveva fondato il proprio procedimento presuntivo su
una inesatta e infedele ricostruzione del contenuto delle
dichiarazioni rese dal direttore del residence, (omissis).
I Giudici di appello non avevano rilevato le numerose
contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni rese da C. e la
deposizione di quest’ultimo (ed unico) teste.
Era sufficiente tale rilievo per far ritenere assolutamente
insufficiente la motivazione adottata dalla Corte territoriale.
Gli elementi che i giudici di appello avevano individuato per giustificare la constatazione finale che doveva ritenersi raggiunta la prova della immissione dei preziosi nel
residence e della loro sparizione erano privi di qualsiasi
valenza qualificatoria.
Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di
un punto decisivo della controversia, relativo alla determinazione del quantum riconosciuto al C..
I Giudici di appello avevano omesso di fornire qualsiasi
spiegazione in ordine ai motivi per i quali aveva ritenuto
di condannare, seppur in via equitativa, la Gestitur al
massimo dell’importo consentito dall’art. 1785 c.c..
I Giudici di appello avevano escluso qualsiasi responsabilità per colpa a carico dell’albergatore, ai sensi dell’art.
1785 bis c.c., ritenendo quindi di circoscrivere il quantum del risarcimento entro i limiti prescritti dall’art.
1783 c.c..
Senza motivazione adeguata, la Corte territoriale aveva
escluso che il comportamento tenuto dal C. avesse contribuito alla determinazione del danno.
Secondo i Giudici di appello, la legge non impone affatto al cliente dell’albergo (o del residence) di depositare i
propri valori nelle cassette di sicurezza messe a disposizione dall’albergatore.
Non era stato posto in evidenza tuttavia che, nel caso di
specie, gli operai addetti alla manutenzione erano dotati
di passepartout ed avevano ampia possibilità di accedere
all’appartamento anche in assenza dei C..
In tal modo, la Corte territoriale aveva omesso qualsiasi
valutazione sul fatto - posto nel dovuto rilievo da Gestitur - ossia che, nel caso di specie, pur ritenendo effettivamente confermata la presenza di preziosi per oltre L.
quindici milioni, nell’appartamento - secondo la ricostruzione dei fatti proposta dagli stessi C. - occorreva comunque riconoscere che questi ultimi avevano obiettivamente tenuto un comportamento contrario ad ogni ragionevole principio di prudenza, lasciando incustoditi i
gioielli pur nella certezza che, in loro assenza, sarebbero
entrati alcuni operai nell’appartamento, per effettuare le
riparazioni richieste.
Del tutto priva di motivazione era, infine, la determina-
294
zione del risarcimento nella misura corrispondente al
massimo consentito dall’art. 1785 c.c..
In particolare, i Giudici di appello avevano considerato il
prezzo dell’intero alloggio, senza ripartirlo per il numero
delle persone che lo occupavano (e non solo quello della
consorte del C. alla quale appartenevano i gioielli). Tra
l’altro, tale prezzo globale era comprensivo dei servizi aggiuntivi di pulizia.
I tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto
connessi tra di loro, non sono fondati. Con motivazione
del tutto adeguata i Giudici di appello hanno ritenuto
provati, sulla base di elementi indiziari, gli elementi della domanda risarcitoria proposta dai coniugi C. ai sensi
dell’art. 1783 c.c. e seguenti: e precisamente: l’introduzione in albergo dei gioielli, il furto degli stessi dalla stanza ed il relativo valore.
Il ricorso, sotto il profilo della violazione di norme di legge e di vizi della motivazione, critica l’accertamento
compiuto dai Giudici di appello, che tuttavia è ampiamente motivato e dunque non è sindacabile in sede di legittimità.
Quanto alla dedotta violazione di norme di legge, la stessa è del tutto insussistente.
Infatti, i Giudici di appello si sono adeguati alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia di deposito di cose in albergo.
Al riguardo non merita adesione la tesi dei ricorrenti secondo cui l’albergatore non deve rispondere della sottrazione di oggetti preziosi che non siano stati affidati alla
sua custodia a meno di un ingiustificato rifiuto di questa.
Premesso che l’art. 1783 c.c., regola la responsabilità limitata dell’albergatore (pari a cento volte il prezzo della
locazione giornaliera) per il deterioramento, la distruzione o sottrazione delle cose “portate” in albergo, mentre
l’art. 1784 c.c., contempla la responsabilità illimitata per
le cose “consegnate in custodia” o per le quali la custodia
sia stata illegittimamente rifiutata, deve rilevarsi che nel
caso di specie non poteva trovare applicazione l’art. 1785
bis c.c., che, sempre per le cose “portate” in albergo, prevede la responsabilità illimitata in caso di colpa dell’albergatore, dei membri della sua famiglia o dei suoi ausiliari.
In tema di responsabilità per le cose portate in albergo, il
cliente non ha l’obbligo di affidare gli oggetti di valore di
sua proprietà in custodia all’albergatore, mancando una
specifica previsione normativa in tale senso; pertanto,
ove non si avvalga di tale facoltà, corre solo il rischio di
non poter ottenere, in caso di sottrazione, l’integrale risarcimento del danno (art. 1783 c.c.), a meno che non
provi la colpa dell’albergatore ai sensi dell’art. 1785 bis
c.c..
Come è stato rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1684 del 1994) l’art. 1785 bis c.c., (introdotto dalla L. 10 giugno 1978, n. 316), ha parzialmente modificato la disciplina precedente nel senso che, fermo restante la distinzione tra cose “portate” in albergo e cose
consegnate all’albergatore o da quest’ultimo ingiustamente rifiutate, ha stabilito anche per le prime una responsabilità senza limite qualora il deterioramento, la di-
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Deposito e custodia
struzione o la sottrazione siano dovuti a colpa dello stesso albergatore o degli altri soggetti a lui legati da rapporto di parentela o collaborazione.
E poiché nel caso in esame, con accertamento di fatto
congruamente motivato e come tale non censurabile in
sede di legittimità, i Giudici del merito hanno affermato
la assenza di qualsiasi colpa dei C., (omissis), la conclusiva applicazione dell’art. 1783 c.c., risulta giuridicamente
corretta per la ricorrenza dei relativi presupposti.
Resta, infine, da dire in ordine ai criteri adottati per la
quantificazione del risarcimento.
Le censure proposte a tale riguardo non possono trovare
ingresso in questa sede, in quanto la determinazione del
quantum rientra nel potere discrezionale del Giudice, il
quale è libero di determinare la somma da liquidare secondo il suo prudente apprezzamento, con il limite massimo prescritto dall’art. 1783 c.c., u.c..
Le svolte considerazioni conducono al rigetto del ricorso.
Sussistono giusti motivi, in considerazione delle diverse
conclusioni cui sono pervenuti i Giudici del merito, per
disporre la integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
…Omissis…
IL COMMENTO
di Gaetana Marena
Il commento s’incentra sull’analisi degli aspetti salienti della sentenza della Corte Suprema di Cassazione, n.
28812 del 2008, in tema di responsabilità dell’albergatore per le cose, di appartenenza del cliente, sottratte
in albergo. Anzitutto si esaminano, nello specifico, il contratto di albergo e le diverse forme di responsabilità
dell’albergatore, a seconda che le cose siano state semplicemente portate in albergo, con consequenziale
applicazione dell’art. 1783 c.c., oppure siano state consegnate in custodia all’albergatore, con operatività
dell’art. 1784 c.c. Nel tentativo di evidenziare, altresì, la rilevanza giuridica di tale obbligazione, nell’ambito
dello schema legale del contratto d’albergo, si procede, poi, all’esposizione del dibattito dottrinale relativo alla natura giuridica dell’obbligazione custodiale, con la disamina analitica delle diverse opzioni teoretiche, di
volta in volta, deputate ad individuare la giusta sussumibilità della stessa se nell’alveo della prestazione principale o del criterio di responsabilità o ancora di un mero dovere di protezione. Strettamente correlata alla tematica in questione è, poi, l’individuazione del fondamento della responsabilità ex recepto ed, altresì, un breve accenno alla specifica ipotesi della responsabilità della Pubblica Amministrazione, per danni derivanti da
omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche.
Il caso
La vicenda in esame riguarda la sottrazione di cose
portate in albergo dai clienti dello stesso e, più precisamente, la scomparsa di gioielli collocati nel cofanetto posto nella valigia, appositamente sistemata
in camera.
Con sentenza del 28 gennaio 2004 la Corte d’Appello di Cagliari accoglie l’appello proposto avverso
la sentenza 18 dicembre 2001 - 14 gennaio 2002 del
locale Tribunale, condannando il residence al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni
per la sottrazione dei gioielli, avvenuta nell’alloggio
loro assegnato ad opera di ignoti, ma probabilmente
imputabile ad alcuni operai addetti alla manutenzione degli alloggi.
Secondo i giudici di appello, la responsabilità del residence per la sottrazione delle cose portate in albergo deve essere limitata al valore delle stesse, sino all’equivalente di cento volte il prezzo di locazione
dell’alloggio per giornata, ai sensi dell’art. 1783 c.c.
Avverso tale decisione viene proposto ricorso per
cassazione, sollevando l’eccezione d’inammissibilità
Danno e responsabilità 3/2009
del ricorso, dovuta a tardività della notifica; invocando un uso erroneo delle disposizioni di legge in
materia di valutazione delle prove testimoniali e
delle presunzioni e lamentando un’insufficiente motivazione sul punto inerente la determinazione del
quantum riconosciuto al C..
La Corte ritiene i motivi addotti non fondati e respinge il ricorso, con un’articolata argomentazione.
Premesso, infatti, che l’art’1783 c.c. regola la responsabilità limitata dell’albergatore (pari a cento
volte il prezzo della locazione) per il deterioramento, la distruzione o la sottrazione delle cose “portate”
in albergo, mentre l’art. 1784 contempla la responsabilità illimitata per le cose “consegnate in custodia” o per le quali la custodia sia stata illegittimamente rifiutata, la Corte di Cassazione ribadisce che
nel caso di specie non può operare l’art. 1785 c.c.
che, sempre per le cose portate in albergo, prevede
la responsabilità illimitata in caso di colpa dell’albergatore o dei membri della sua famiglia, dovendo
necessariamente operare nel caso di specie l’art.
1783 c.c.
295
Giurisprudenza
Deposito e custodia
La responsabilità dell’albergatore per le
cose sottratte o danneggiate
La sentenza affronta la problematica inerente il contratto d’albergo e, nello specifico, la questione della
responsabilità dell’albergatore per le cose sottratte o
danneggiate, distinguendo a seconda che si tratti di
cose portate in albergo o di cose depositate in custodia all’albergatore.
Il contratto d’albergo non può considerarsi un contratto tipico, non rinvenendo una specifica regolamentazione nel codice civile (il quale agli articoli
1783 e 1785 disciplina solo il deposito delle cose portate in albergo o consegnate in custodia), né nella legislazione speciale. Esso è, invece, un contratto atipico o misto, con cui l’albergatore si obbliga a prestazioni molteplici ed eterogenee, dalla locazione dell’alloggio, alla fornitura dei servizi, al deposito, senza
che la preminenza riconoscibile alla locazione dell’alloggio possa valere, sotto il profilo causale, a far
assumere alle altre prestazione carattere accessorio.
La normativa sulla responsabilità degli albergatori
presenta un ambito di applicazione piuttosto ampio
dal momento che agli alberghi sono assimilati le case di cura, gli stabilimenti di pubblico spettacolo,
quelli balneari, nonché le pensioni, le pizzerie, le carrozze letto o anche i campeggi organizzati (1). La responsabilità dell’albergatore è diversamente graduata, a seconda che la cosa danneggiata o sottratta sia
solamente portata in albergo o concretamente consegnata in deposito allo stesso, all’interno dell’albergo. Nel primo caso non esiste un vero e proprio contratto di deposito e, dunque, un tipico contratto custodiale, con la conseguenza che l’albergatore risponderà della sottrazione della cosa, sicuramente a titolo
contrattuale ex art. 1218 c.c., ma per inadempimento di un’obbligazione accessoria a quella principale,
sussumibile tra gli obblighi giuridici di protezione. In
questi casi, si applicherà l’art. 1783 c.c., che configura una responsabilità limitata al valore di quanto deteriorato, distrutto o sottratto sino all’equivalente di
cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per
giornata, per le cose portate in albergo. Per queste ultime la norma intende quelle che ivi si trovano durante il tempo nel quale il cliente dispone dell’alloggio; le cose di cui l’albergatore o i membri della sua
famiglia assumono la custodia, fuori dell’albergo, durante il periodo di tempo in cui il cliente dispone
dell’alloggio ed infine le cose di cui l’albergatore o i
membri della sua famiglia assumono la custodia in un
tempo ragionevole, precedente o successivo a quello
del suo soggiorno. Nel caso, invece, in cui il cliente
consegni in deposito le proprie cose all’albergatore, si
296
incardina tra i due soggetti un vero e proprio rapporto contrattuale di deposito, in virtù del quale il secondo diviene titolare di un’obbligazione di custodia. Essendo il contratto di deposito un tipico contratto “custodiae causa”, l’obbligazione custodiale assurge a prestazione principale del vincolo contrattuale, qualificandolo sotto il profilo causale. Pertanto,
l’inadempimento di tale obbligo genera una responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. e legittima il ricorso agli ordinari rimedi processuali, tra cui l’azione
risarcitoria. In questi casi, l’albergatore risponderà
della sottrazione o del danneggiamento delle cose
depositate illimitatamente, come sancito dall’art.
1784 c.c., che dispone questa forma di responsabilità
e per i casi di consegna in custodia e per l’ipotesi del
rifiuto di ricevere in custodia cose che aveva l’obbligo di accettare, come gli oggetti di valore, il denaro
contante e le carte valori. L’art. 1785, poi, tipizza una
regola generale di esonero da responsabilità dell’albergatore, per il caso in cui l’evento lesivo sia addebitato al cliente, alla forza maggiore o alla natura delle cose. Fondamentale, inoltre, ai fini della trattazione della responsabilità dell’albergatore è l’art. 1785
quinquies, che esclude l’operatività della normativa
ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi ed agli animali vivi. Se, ovviamente, il cliente utilizza il garage dell’albergo si conclude uno specifico contratto di deposito, accessorio a quello alberghiero, il cui oggetto
non è limitato al solo veicolo, ma si estende alle cose a questo funzionalmente collegate, come gli optionals o l’autoradio. Per le altre cose l’albergatore risponde solo se il cliente ha avvertito della loro presenza, senza ricevere un rifiuto alla custodia. Egualmente deve dirsi concluso un contratto di deposito
se il cliente parcheggia il veicolo in prossimità dell’albergo o in un’area di pertinenza alberghiera, consegnandone poi le chiavi all’albergatore o ai suoi familiari. La consegna delle chiavi, infatti, costituisce
una consegna simbolica e dunque, in quanto “traditio
rei”, è idonea a perfezionare la fattispecie contrattuale reale.
Nota:
(1) «I campeggi turistici organizzati vanno inclusi tra gli stabilimenti assimilabili agli alberghi, per cui al deposito di cose all’interno di essi e quindi anche di veicoli o di roulotte si applicano le
norme sul deposito in albergo».
Per i campeggi si verifica una situazione analoga a quella che
s’instaura tra cliente ed albergatore, tanto con riguardo all’esigenza di tutelare l’utente del campeggio per le cose che abbia
necessità di introdurre nel suo recinto o nei suoi locali, quanto in
relazione all’opportunità di limitare la responsabilità del gestore
del campeggio in considerazione del carattere peculiare e sussidiario della sua attività di custode, con la conseguenza che tale
responsabilità del gestore del campeggio cessa con l’estinzione
del rapporto, cui quello di custodia accede.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Deposito e custodia
In giurisprudenza si è, poi, affermato che l’affidamento in custodia è rituale e la responsabilità dell’albergatore illimitata anche quando la vigilanza sia
dovuta agli usi o alla cortesia. In ogni caso, l’albergatore e i soggetti assimilati vanno esenti da ogni responsabilità se il bene sia rimasto sotto il controllo
del cliente (per esempio, sul tavolo del ristorante)
(2).
Natura giuridica dell’obbligazione
custodiale
Nel contratto d’albergo acquista rilevanza l’obbligazione di custodire, nell’ipotesi in cui sia stipulato tra
l’albergatore ed il cliente un contratto di deposito,
in virtù del quale origina in capo al primo un vero e
proprio obbligo di custodire le cose consegnate. In
via generale, l’obbligazione custodiale può promanare sia da una fonte contrattuale sia da una extracontrattuale e può presentarsi sia come obbligo
principale (3) sia come obbligo meramente accessorio o strumentale. Dal primo punto di vista, tale obbligazione acquista rilevanza nei contratti restitutorii ed in quelli traslativi. Per contratti restitutorii
s’intendono quelle vicende contrattuali, connotate
da un inscindibile legame tra obbligo di consegnare
ed obbligo di restituire. In altri termini, la “traditio
rei” non s’innesta su una vicenda traslativa della titolarità di un diritto, ponendosi, invece, in un’ottica
strumentale e servente rispetto all’obbligazione
principale di restituire. La restituzione della cosa
consegnata presuppone, implicitamente, un obbligo
di custodirla, assurgendo tale obbligazione custodiale a mero obbligo di protezione. Tipici esempi di
questa tipologia contrattuale sono ravvisabili nei
contratti di locazione, di comodato o anche di mutuo. Nei contratti traslativi, dove, invece, si verifica,
per effetto automatico dello scambio dei reciproci
consensi, una vicenda di trasferimento della titolarità di un diritto in capo ad un altro soggetto, sussiste un’inscindibile vincolo tra obbligo di consegnare
ed obbligo di custodire. In altri termini, si deve custodire una cosa che si ha poi l’obbligo di consegnare all’avente diritto. Ciò si desume, tra l’altro, dall’art. 1177 c.c., che, attraverso la tipizzazione di questo legame tra le due tipologie di obbligo, assurge
l’obbligazione custodiale ad obbligo di protezione,
servente rispetto all’obbligo principale di consegnare. Distinti dai contratti traslativi e da quelli restitutorii sono i contratti custodiali, ovvero “custodiae
causa”, nei quali la prestazione di custodia costituisce il contenuto principale dell’obbligazione, qualificando, sotto un profilo causale, il contratto stesso.
Danno e responsabilità 3/2009
In tale categoria rientrano sia il contratto tipico di
deposito sia i contratti atipici di custodia, come il
contratto di vigilanza, di parcheggio (4) e di ormeggio.
La custodia, allora, è oggetto principale dell’obbligazione nel contratto di deposito, di deposito nei magazzini generali e nel contratto con la banca avente
ad oggetto il servizio delle cassette di sicurezza. Nei
contratti di albergo e di trasporto, l’obbligo di custodia discende dal contenuto legale del contratto. Il
relativo regime di responsabilità è oggetto di una serie di disposizioni specifiche che la dottrina suole ricondurre allo schema della responsabilità “ex recepto
(5)” (art. 1693, 1780, 1783 ss., 1787, 1839 c.c.).
In tema di deposito, l’art. 1768 c.c. dispone che il
depositario deve custodire la cosa con la diligenza
del buone padre di famiglia (6). La norma va coordinata con la disposizione di cui all’art. 1780 c.c., secondo cui il depositario è liberato dall’obbligazione
di restituire la cosa se la detenzione gli è tolta, in
conseguenza di un fatto a lui non imputabile, ma
con l’obbligo di farne immediata denuncia al depositante.
Per il contratto bancario inerente il servizio delle
Note:
(2) Cass. 19 febbraio 1997, n. 1537, in Foro it., 1997, I, 2519.
(3) Se l’obbligo di custodire costituisce un obbligo principale e
specifico, non è possibile alcuna identificazione con il dovere di
diligenza. «La diligenza, infatti, si sostanzia in un obbligo di condotta e non in una specifica prestazione»; così P. Monateri, La
responsabilità contrattuale e precontrattuale, Torino, 1998, 43.
(4) La Cassazione, (con la sentenza del 26 febbraio 2004, n.
3863, in Resp. civ. prev., 2004, 717 e in Corr. giur., 2005, 384,
con nota di Gorgoni) ha stabilito che la predisposizione di un’apposita area di parcheggio indica, di regola, un esplicito consenso
alla presa in custodia dell’autovettura; che, pertanto, oggetto del
contratto di parcheggio, che si è formato attraverso mezzi meccanici, è la messa a disposizione di uno spazio, a cui si combina
la custodia, allo stesso modo in cui avviene nel contratto di deposito, nel quale l’obbligo di custodia è elemento essenziale (art.
1766 c.c.); che, infatti, nella vita sociale la funzione pratica del
contratto di posteggio è quella di liberare l’automobilista da ogni
preoccupazione relativa alla custodia del veicolo ed il significato
oggettivo di questo comportamento prevale su eventuali condizioni generali di contratto predisposte dall’impresa di parcheggio, che escludano tale obbligo di custodia. Il conducente non
potrebbe venire a conoscenza di tali condizioni, proprio per la celerità con cui questa tipologia contrattuale viene stipulata.
(5) Il receptum in diritto romano era un tipo di responsabilità senza colpa cui erano sottoposti i nautae, i caupones, gli stabularii.
(6) Nel caso del veicolo consegnato per effettuarvi riparazioni,
con accettazione delle chiavi, che sia sottratto al prestatore d’opera, costui è responsabile del risarcimento del danno. Se il veicolo era stato parcheggiato nella pubblica via, non assume alcun
rilievo la circostanza che il proprietario avesse acconsentito a
quel parcheggio. Cass. 10 dicembre 1996, n. 10986, in Giur. it,
Rep. 1996, voce Lavoro autonomo, n. 10. Il titolare dell’autofficina è responsabile del furto delle autovetture a lui affidate se non
prova la violenza o la minaccia.
297
Giurisprudenza
Deposito e custodia
cassette di sicurezza (7), l’art. 1839 c.c. stabilisce che
la banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la
custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito. Norme speciali, poi, riguardano il
deposito nei magazzini generali (8) (art. 1787 c.c.)
ed il deposito durante il trasporto aereo (9) (legge n.
202/1954).
L’obbligo di custodire, poi, può anche avere una fonte extracontrattuale. Si pensi agli obblighi dell’usufruttuario o del titolare di un diritto d’uso o di abitazione, che possono derivare sia da un contratto derivativo-costitutivo, sia dalla legge o anche del custode di cosa pignorata.
Non tutti poi sono d’accordo nel ritenere che l’obbligazione custodiale concreti una vera e propria
prestazione in senso tecnico. In dottrina (10) si è
diffuso l’orientamento che assurge la custodia a
semplice criterio di responsabilità, risolvendosi, in
definitiva, nella diligenza qualificata ex art. 1176
c.c. (11). Secondo questo indirizzo, la custodia non
potrebbe costituire oggetto di prestazione, sia per
l’asserita mancanza del requisito della patrimonialità ex art. 1174 c.c., sia per l’essenziale indeterminatezza dell’attività custodiale, sia ancora per l’assoluta incoercibilità del preteso obbligo di custodire, ma solo come criterio di responsabilità. A tale
impostazione si obietta che la custodia rappresenta
una prestazione del debitore e ciò non solo in considerazione della sua rilevanza patrimoniale, ma anche e soprattutto della sua determinabilità. Un’altra opzione teoretica, invece, sussume l’obbligazione custodiale tra i meri doveri di protezione “ex fide
bona”. Si dice, in sostanza, che tale obbligo non può
assurgere a prestazione principale, qualificante, sotto un profilo causale, il vincolo contrattuale, dovendosi, al contrario, collocare tra quegli obblighi
accessori e strumentali, che ampliano il contenuto
complessivo del rapporto obbligatorio, fino ad
estenderlo alla cura di quegli interessi ulteriori rispetto all’interesse primario creditorio, involgenti
la cura della persona e delle cose del creditore stesso (12). Si tende a distinguere, infatti, tra obblighi
di protezione in senso stretto e meri doveri di protezione, a seconda delle diverse tutele creditorie attivabili. In altri termini, solo i primi legittimerebbero l’esperibilità degli ordinari rimedi giudiziali,
data la loro coercibilità.
Note:
(7) Si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive, qualificabile come locazione di cose e “locatio operis” (Cass. 12 maggio
1992, in Foro it., 1993, I, 878, con nota di F. Caringella). La clausola secondo cui l’uso della cassetta è concesso per la custodia
298
di cose di valore complessivo non superiore ad un certo limite,
con l’ulteriore previsione che, ai fini del risarcimento del danno
subito dal cliente, deve tenersi conto del predetto massimale, è
soggetta alle disposizioni del comma 1, dell’art. 1229 c.c. sulla
nullità dei patti limitativi della responsabilità per dolo o colpa grave (Cass., sez. un., 1° luglio 1994, n. 6225, in Giur. it., 1995, I, 1,
206, con nota di E. Scoditti; Cass. 24 gennaio 1997, n. 750, in
questa Rivista, 1997, 4, 461).
(8) Il cui regime di responsabilità è modellato su quello del vettore di cose.
(9) Per la responsabilità del vettore, Cass. 23 marzo 2001, n.
4236, in Mass. giur. it., 2001; Cass. 21 dicembre 1999, n. 14397,
in Dir. trasporti, 2000, 839; Cass. 16 febbraio 2000, n. 1712, in
Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 625 ed in Dir. e giust., 2000, f. 7.
(10) Sull’accessorietà e strumentalità dell’obbligo di custodia vedi Zaccaria, in Comm. Cian e Trabucchi, 840, per il quale la strumentalità dell’obbligo di custodia non esclude la tendenziale applicabilità analogica delle norme sul deposito. Vedi anche Di
Majo, Le modalità dell’obbligazione, Bologna, 1986, 491: l’obbligazione di custodia tende ad assumere tratti peculiari, ove riferita all’attività d’impresa. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. al codice civile Scialoja e Branca (Artt. 1218 1229), Bologna - Roma, 1979, 26. Non sono obblighi che siano
esigibili per se stessi, ma se la loro inosservanza provoca un’esecuzione manchevole, l’inosservanza stessa renderà responsabile il debitore. Tali sono gli obblighi preparatori della esatta esecuzione della prestazione. Per fare un esempio di obbligo strumentale, la cui inosservanza può determinare un adempimento
inesatto, si pensi all’art. 1177 c.c., dove si ravvisa nella custodia
un corollario della buona fede.
Sempre sull’accessorietà dell’obbligo di custodia, vedi Cass. 17
maggio 1969, n. 1702, in Foro it., 1969, I, 1601: l’obbligo di custodire la cosa fino alla consegna sussiste ogniqualvolta taluno,
per legge o per contratto, è obbligato alla restituzione o alla consegna di una cosa ed anche se la custodia non costituisca l’obbligazione principale del rapporto.
Sulla piena autonomia dell’obbligazione di custodia quale obbligazione di fare vedi, invece, Dalmartello e Portale, Deposito (diritto vigente), in Enc. dir., Milano, XII, 236. Per la tesi della custodia quale “autonomo dovere” vedi anche il Di Majo, Le modalità dell’obbligazione, 485.
(11) È la tesi sostenuta, in modo particolare, da Majello, il quale
argomenta nel senso che con il deposito si realizza non tanto
una generica funzione di custodia, bensì un servizio di detenzione di cose altrui. Si parla, infatti, di detenzione mediante custodia, assurgendo la prestazione detentiva a funzione causale del
contratto e degradando la custodia a mero criterio di responsabilità. Il Majello (Custodia e deposito, Napoli, 1958, 14) identifica
una fase di pre-adempimento nella quale la diligenza rileverebbe
esclusivamente quale criterio di responsabilità. A questa idea
centrale si riconduce l’elaborazione della nozione di custodia
quale criterio di responsabilità per la perdita ed il danneggiamento della cosa dovuta. Secondo l’autore. la custodia integrerebbe
anche un obbligo di protezione, che però rileverebbe solo per il
danno prodotto dalla sua violazione.
Non rilevando allora l’obbligazione custodiale come prestazione
in senso stretto, la sua violazione non legittima il ricorso agli ordinari rimedi contrattuali, bensì acquisterà valenza unicamente a
posteriori e cioè nel momento temporale dell’inadempimento
dell’obbligazione di restituire.
(12) Avuto specificamente riguardo al deposito regolare, la custodia non può non assurgere a prestazione principale, autonoma ed essenziale sotto il profilo causale, per il fatto che l’obbligazione di restituzione, sulla quale sembra far leva la disposizione definitoria di cui all’art. 1766 c.c., non può essere qualificante. Ciò è ravvisabile, ad esempio, nella figura speciale del deposito liberatorio, dove l’obbligazione restitutoria può anche mancare, costituendo, in questo caso, solo la normale modalità
estintiva tipica dei contratti di durata che presuppongono la traditio della cosa.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Deposito e custodia
Fondamento giuridico della responsabilità
“ex recepto”
La custodia può essere presupposto sia di responsabilità contrattuale, quando il comportamento non attuativo del debitore si sostanzi nella violazione di
un’obbligazione contrattuale di custodire sia di responsabilità extracontrattuale, quando il suddetto
obbligo trovi la sua fonte nella legge o in un altro
fatto. È l’ipotesi degli articoli 2051, 2052, 2053 e
2054 c.c.
La responsabilità da inadempimento contrattuale
dell’obbligazione di custodire integra una tipica ipotesi di responsabilità “ex recepto”, diversa da quella
ordinaria ex art. 1218 c.c. ed in ordine alla quale si
sono susseguite diverse opzioni dottrinali circa il suo
fondamento giuridico. Anzitutto si deve premettere
che, per quanto riguarda la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., alcuni ne sostengono la natura oggettiva, dal momento che il debitore inadempiente può essere esonerato da tale responsabilità
solo ove provi il fattore oggettivo dell’impossibilità
assoluta e sopravvenuta, essendo irrilevante ogni indagine circa la colpa. Altri optano, invece, per la sua
natura soggettiva, argomentando dal combinato disposto dell’art. 1218 c.c. con l’art. 1176 c.c., che postula, pertanto, una prova liberatoria fondata sull’assenza di colpa e dunque sull’osservanza dell’ordinaria regola di diligenza. Ciò premesso, si discute circa
il fondamento giuridico della responsabilità “ex recepto”.
Un primo orientamento assume il “receptum” come
un autonomo criterio di imputazione della responsabilità contrattuale, che vale ad attribuire alla stessa
un fondamento giuridico diverso da quello ordinario
ex art. 1218 c.c. In una diversa prospettiva, si dice
che la responsabilità “ex recepto” non avrebbe un
fondamento diverso da quella ordinaria. Si tratterebbe, pur sempre, di responsabilità soggettiva, fondata sul criterio della colpa, ma si caratterizzerebbe
per una specifica limitazione della prova liberatoria.
Pertanto, mentre il debitore inadempiente può esonerarsi da responsabilità dimostrando di non essere
stato negligente, il depositario, sul quale incombe
l’obbligo di custodire la cosa, potrà liberarsi solo
provando il concreto fatto non imputabile che abbia
impedito la restituzione della cosa. Da ciò consegue
che, dato il particolare rigore, la causa ignota resterebbe a carico del debitore (13).
Un diverso orientamento, invece, configura la responsabilità “ex recepto” come figura speciale rispetto a quella ordinaria ex art. 1218 c.c., ma non aggravata. La sua peculiarità risiede nel fatto che essa può
Danno e responsabilità 3/2009
essere esclusa non da cause genericamente non imputabili al debitore, ma da cause tipiche e tassativamente previste dalla legge, restando, pertanto, a carico del debitore non solo la causa ignota, ma anche
quella non contemplata. Deve trattarsi poi di cause
necessariamente esterne al debitore inadempiente.
Per cui, mentre il normale debitore potrebbe liberarsi allegando anche fatti interni alla propria sfera personale ed organizzativa, come l’esercizio di un diritto di sciopero o di candidatura o di assunzione di un
munus publicum, il debitore ex recepto, invece, potrebbe allegare solo fatti esterni alla propria sfera.
Inoltre, appare ragionevole sostenere la natura oggettiva (14) di tale responsabilità, dal momento che
il criterio d’imputazione è dato dalla qualità professionale ed imprenditoriale del debitore (vettore, albergatore, gestore di magazzini generali) e dalla relazione che viene a crearsi con il cliente.
La custodia, poi, rileva anche come presupposto di
responsabilità extracontrattuale ed, al riguardo, si
contrappongono divergenti impostazioni, soprattutto con riferimento all’ipotesi dell’art. 2051 c.c.
Secondo un risalente indirizzo giurisprudenziale ed
una parte minoritaria della dottrina, l’art. 2051 c.c.
prospetterebbe un’ipotesi di responsabilità per colpa
presunta, superabile con la prova del caso fortuito,
che, tra l’altro, in questo rileverebbe in chiave soggettiva (15) (casus = non culpa). Secondo, invece, il
più recente indirizzo pretorio, si tratterebbe di un
Note:
(13) La giurisprudenza è piuttosto rigida nell’ipotesi di furto o incendio della res depositata. È costante l’orientamento, in base al
quale il custode non può sottrarsi alla propria responsabilità allegando, come ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, un furto
subito, a meno che non sia in grado di provare, in relazione alle
particolari modalità e circostanze in cui fu commesso, l’imprevedibilità ed inevitabilità dell’evento. Ad esempio, quando il furto
venga commesso con mezzi eccezionali, tali da rendere vana
ogni forma di difesa oppure sia compiuto con violenza o minaccia, come nel caso della rapina, dove non si può far rientrare tra
gli obblighi del custode quello di esporre al pericolosa propria integrità fisica, per salvare beni patrimoniali altrui (Cass. 10 dicembre 1996, n. 10986, in Giur. it., Rep. 1996, voce Lavoro autonomo, n. 10).
(14) Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961;
Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità oggettiva, Napoli, 1965; Franzoni, La responsabilità oggettiva. Il danno da cose e da animali, Padova, 1988.
(15) In dottrina si distinguono tre tipi di caso fortuito, a seconda
dell’incidenza della causa esterna sul processo di verificazione
dell’evento lesivo. Si parla di fortuito autonomo, se il danno è cagionato dal fortuito, quale causa indipendente sia dalla cosa sia
dal custode stesso; sarà ravvisabile il fortuito incidente, se la cosa partecipa alla produzione dell’evento dannoso, solo come mera occasione, posto che il fatto esterno assorbe, in modo esclusivo, la causalità dell’evento; Si ha fortuito concorrente, quando,
invece, quando il caso fortuito si pone come elemento concorrente, con altri fattori, nella produzione del danno.
299
Giurisprudenza
Deposito e custodia
caso di responsabilità oggettiva, in cui il soggetto
viene chiamato a rispondere dei danni cagionati sulla base del semplice nesso di causalità tra la cosa in
custodia e l’evento. Si parla, al riguardo, non più di
presunzione di colpa, bensì di presunzione di responsabilità (16) e, conseguentemente, di un’accezione
oggettiva di caso fortuito, inteso non più come causa di esclusione di colpa, bensì del nesso di causalità.
La responsabilità della P.A. per danni
da cose in custodia
Al centro di accesi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali è stata la responsabilità della Pubblica Amministrazione, per danni derivanti da omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche.
Variegati e diversi sono stati gli orientamenti giurisprudenziali, che si sono progressivamente susseguiti nel tempo, nel tentativo di individuare un canone
normativo univoco di riferimento. Una prima corrente ha individuato il referente normativo nell’art.
2043 c.c., argomentando dal fatto che la Pubblica
Amministrazione incontra, nell’esercizio del suo potere discrezionale esercitato in tema di gestione di
beni demaniali, limiti derivanti da norme di legge
ed in particolare dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere (art. 2043 c.c.), in applicazione della quale è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, non visibile e non prevedibile, da cui
origina l’insidia o il trabocchetto. Un orientamento
minoritario, invece, riconduce la responsabilità della P.A. nell’alveo dell’art. 2051 c.c., assumendo che
la stessa sia proprietaria e, dunque, custode del bene,
seppur demaniale. Un orientamento intermedio,
che si è sviluppato progressivamente negli anni, ritiene che l’art. 2051 c.c. trovi applicazione unicamente con riguardo a beni demaniali, non oggetto
di utilizzazione generalizzata dei terzi, ma direttamente utilizzati dalla Pubblica Amministrazione,
con concreto esercizio di un potere di controllo e vigilanza idonea ad impedire l’insorgenza di cause di
pericolo oppure ancora qualora si tratti di beni demaniali o patrimoniali, che, per la loro limitata
estensione, consentano un’adeguata attività di vigilanza sulle stesse. Decisiva, in tal senso, è sembrata
la sentenza della Cassazione, n. 15383/ 2006 (17),
che ha cercato di dissipare ogni dubbio al riguardo,
trovando una soluzione contemperativa dei divergenti orientamenti sopra indicati ed, al tempo stesso, sancendo importanti principi di diritto. Anzitutto, la responsabilità ex art. 2051 per i danni cagionati da cose in custodia, anche nell’ipotesi di beni
300
demaniali in effettiva custodia della P.A., si atteggia
in termini oggettivi, fondata sull’accertamento concreto del nesso causale tra la cosa in custodia ed il
danno arrecato, non acquisendo,per converso, alcuna rilevanza la condotta del custode, violativa o meno di un obbligo di vigilanza. Così intesa, allora, tale tipo di responsabilità è esclusa solo dalla prova rigorosa del caso fortuito, ovvero di quel fattore che,
operando su un piano essenzialmente causale, di derivazione cioè del danno dalla cosa, presenta i connotati imprescindibili dell’oggettiva imprevedibilità
ed inevitabilità. Ciò premesso, consegue, in via logica, che la presunzione di responsabilità di cui all’art.
2051 c.c. non trova effettiva applicazione, ogniqualvolta sul bene demaniale non sia possibile esercitare
la custodia, quale potere di fatto sulla stessa e, dunque, nell’eventualità specifica della notevole estensione del bene demaniale e dell’utilizzazione generalizzata e diretta dello stesso da parte dei terzi. Ove
non sia, pertanto, applicabile la disciplina normativa dell’art. 2051 c.c., vige sempre la regola generale
dell’art. 2043 c.c. In questo caso sul danneggiato
grava l’onere di provare l’anomalia del bene demaniale, elemento già di per sé idoneo a configurare il
comportamento colposo della P.A. Tanto in ipotesi
di responsabilità oggettiva della P.A. ex art. 2051
c.c., quanto in ipotesi di responsabilità della stessa
ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del danneggiato esclude la responsabilità della P.A., integrando un caso tipico di concorso di colpa ai sensi
dell’art. 1227 c.c.
Note:
(16) Cass. 20 febbraio 2006, n. 15383, in Corr. giur., 10, 2006,
pag. 1358: «La responsabilità ex art. 2051 per i danni cagionati
da cose in custodia, anche nell’ipotesi di beni demaniali in effettiva custodia della P.A., oggettivo e, poiché tale responsabilità
possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che
rilevi la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo
dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa, ma ad un elemento esterno., recante
i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità. La presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. non si applica
agli enti pubblici per i danni subiti dagli utenti dei beni in questione, ogniqualvolta sul bene demaniale non sia possibile esercitare la custodia, quale potere di fatto sulla stessa. L’estensione
del bene demaniale e l’utilizzazione generalizzata e diretta dello
stesso da parte dei terzi sono figure sintomatiche dell’impossibilità della custodia da parte della P. A., mentre elemento sintomatico della possibilità di custodia del bene del demanio stradale comunale è che la strada, dal cui difetto di manutenzione derivi un danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso Comune”.
(17) Cass. 6 luglio 2006, n. 15383, in Corr. giur., 10, 2006,
pag.1358.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Deposito e custodia
Conclusioni
Da quanto esposto si desume che la responsabilità
dell’albergatore per la sottrazione o il danneggiamento di cose sia connotata da profili di intensa complessità, variamente disciplinata, a livello normativo, a seconda che il suo contenuto si estenda o meno
all’obbligazione di custodire. Dalla portata complessiva delle norme codicistiche, infatti, si evince una
bipartizione della responsabilità dell’albergatore in
“limitata” al valore di quanto deteriorato, se la cosa è
semplicemente portata in albergo, senza che si configuri, in capo allo stesso, alcun obbligo (art. 1783
c.c.); illimitata, se il contratto di albergo, nella sua
atipicità contenutistica, è assistito dalla stipula di un
vero e proprio contratto di deposito, con conseguente assunzione di un obbligo di custodire in capo all’albergatore (art. 1785 c.c.). L’operazione ermeneutica della portata contenutistica delle norme in questione consente di cogliere, pertanto, la diversa rilevanza del receptum all’interno del contratto in questione ed, altresì, più in generale nell’ambito della
teoretica del diritto civile, l’incisiva valenza dell’obbligazione custodiale, da sempre al centro di vivaci
dibattiti dottrinali e giurisprudenziali involgenti la
sua natura giuridica. Oscillano, infatti, diversi orientamenti dottrinali, che hanno prospettato soluzioni
disparate e, molto spesso, decisamente inadeguate
nei percorsi argomentativi, delineando, in materia,
uno scenario alquanto confuso e poco uniforme. Lo
stesso discorso vale per quanto riguarda il fondamen-
Danno e responsabilità 3/2009
to della responsabilità ex recepto, ovvero da inadempimento dell’obbligazione di custodire, dal momento
che, anche in questo settore, si sono susseguite variegate opzioni teoretiche, che hanno condotto, solo di
recente, con l’autorevole avallo della Corte di Cassazione, alla soluzione univoca del fondamento oggettivo.
Ne risulta, allora, un panorama giuridico connotato
da intensi e continui confronti, che hanno visto dottrina e giurisprudenza arroccarsi su posizioni divergenti, in relazione ad un tema, come quello delle obbligazioni custodiali, infinitamente complesso, nei
suoi tratti contenutistici e dall’ambito applicativo
piuttosto esteso a diverse tipologie contrattuali. A
conferma di ciò si può, altresì, asserire che la maggior
parte dei contratti, in cui acquisisce rilievo giuridico
la custodia, rinviene proprio nella stessa il momento
giustificativo causale e, dunque, la ragione pratica
concretamente perseguita dai paciscenti, che vale a
qualificarli sotto il profilo assiologico - funzionale.
Si auspica, pertanto, una chiarezza in tal senso ed
una definitiva soluzione delle molteplici questioni
ancora aperte, come soprattutto la materia della responsabilità della Pubblica Amministrazione da insufficiente manutenzione e gestione delle autostrade, che ancora affascina la giurisprudenza in relazione a punti scottanti come, ad esempio, la concreta
portata operativa dell’insidia o trabocchetto o il rapporto di operatività tra l’art. 2043 e l’art. 2051 nonché la questione, ancora irrisolta, del fondamento
giuridico della stessa.
301
Itinerari della giurisprudenza
La responsabilità civile
dell’avvocato
a cura di Luca Nocco
In questo itinerario l’A. tratteggia uno spaccato degli orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità
civile dell’avvocato, analizzando gli aspetti di una, per il momento futuribile, evoluzione analoga a quella che
oggi caratterizza la responsabilità sanitaria.
Riflessioni introduttive
tra storia e attualità
« Nelle liti havvi sempre qualche cosa di aleatorio, di dubbio e d’incerto, e nessuno può con sicurezza preventivamente accertare il risultato di una lite. Ogni magistrato è invitato a decidere
una controversia giudica, secondo la sua coscienza, ed il suo giudizio; ma non si può essere sicuri che la medesima controversia, se fosse presentata ad altro magistrato, sarebbe nello stesso modo decisa» (1).
Così si esprime la Corte d’Appello di Catania nel 1883 in un caso di pretesa responsabilità civile di un professionista forense.
Nello stesso torno di anni, un’altra Corte d’Appello paventa che, allargando le maglie della responsabilità professionale forense, « infinite sarebbero nei giudizi le indagini retrospettive, ed
interminabili le discussioni su giudizi compiuti, con grave perturbazione dei pubblici e privati interessi» (2).
E nello stesso senso opina il Supremo Collegio circa mezzo secolo dopo: « Al procuratore in colpa per l’omessa interposizione di appello di cui abbia assunto incarico dal proprio cliente può far
carico il rimborso delle spese invano all’uopo anticipategli, ma non il danno incerto ed eventuale desunto da una stima preventiva dell’esito della lite» poiché « nel calcolo concorrono elementi di difficile valutazione, quali l’opinione personale del giudice, l’apprezzamento che egli dovrà fare delle prove, l’apprestamento delle stesse per opera dei vari litiganti, il regolare corso del
processo, l’attività delle parti, le loro risorse defensionali, ecc.» (3).
Al di là di un linguaggio arcaico e tipico di un’altra epoca, non è solamente la forma che stupisce il lettore odierno, ma anche la sostanza del ragionamento giudiziario sopra descritto. O meglio, non si tratta tanto di stupore per l’irragionevolezza o l’irrazionalità di esso, quanto piuttosto
per la distanza fra il principio sotteso a tali parole e l’odierna realtà.
In altri termini, un ragionamento come quello su menzionato - che pure tuttora non è né può essere definito illogico o non consequenziale - si attaglia ad un contesto radicalmente diverso da
quello odierno, ossia un contesto in cui non solo la configurabilità astratta di una responsabilità
dell’avvocato era un’eccezione, ma lo era anche l’idea in sé della responsabilità del professionista, in virtù di una concezione del rapporto fra cliente ed avvocato rigidamente ispirata alla natura liberale della professione forense, tale da non tollerare neanche la qualificazione in termini
contrattuali di tale rapporto (4).
E non è un caso che in quello stesso periodo storico l’errore medico veniva definito dalla giurisprudenza « disgraziato fardello della scienza medica» (5), e che il suo accertamento era circondato da tutta una serie di cautele, di esimenti, di scusanti e, in ogni caso, nella “denegata
ipotesi” della positiva sussistenza di una colpa medica, di attenuanti.
Note:
(1) App. Catania 1° ottobre 1883, in Giur. it., 1884, II, c. 64, con nota di F. Ricci.
(2) App. Torino 26 marzo 1878, in Foro it., 1878, I, 1151.
(3) Cass. 10 febbraio 1931, n. 495, in Foro it., 1931, I, 628, con nota di A. Parrella, Colpa del procuratore e stima preventiva della lite.
(4) Per una ricostruzione storica, si vedano M. Zana voce Responsabilità del professionista, in Enc. giur.
Treccani, XXVII, Roma, M. Feola, Il danno da perdita di chances, Napoli, 2004, 137 ss., R. Conte, Profili di responsabilità civile dell’avvocato, in Nuova giur. civ. comm. 2004, II, 144 ss. e R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense, Cedam, Padova, 2002, 56. Quest’ultimo richiama, al riguardo, il
pensiero di Gabba, che riteneva inammissibile la responsabilità contrattuale del professionista per l’inesatto adempimento dei suoi compiti, prospettando invece una responsabilità extracontrattuale.
(5) Così in Trib. Lecce 18 luglio 1919, cit. da A. Fiori, Medicina legale della responsabilità medica, Milano, 1999, 245.
302
Danno e responsabilità 3/2009
Itinerari della giurisprudenza
I motivi
dell’irrisarcibilità
L’accenno alla responsabilità sanitaria non è casuale.
Come sarà possibile meglio approfondire nel corso della trattazione, i punti di contatto fra la responsabilità del medico e dell’avvocato vanno ben oltre l’essere tali argomenti due semplici
“capitoli” della responsabilità del professionista, in quanto toccano le modalità evolutive che
questi due settori della responsabilità civile hanno avuto e, a nostro avviso, avranno (6).
Tralasciando i motivi sociologici, e le conseguenti scelte di politica del diritto, la irrisarcibilità del
anno causato al cliente dal professionista legale è stata a lungo ricondotta ad alcune ricorrenti
ragioni giustificatrici.
In primo luogo, come dimostrano le sentenze dianzi citate, l’impossibilità di accertare quale sarebbe stato il risultato del processo, sulla cui definizione influisce una molteplicità di fattori
astrattamente imprevedibili.
In secondo luogo, l’inammissibilità del riesame di questioni già decise con sentenza passata in
giudicato e l’impossibilità di ammettere nel nuovo processo, in assenza del naturale contraddittore, le prove relative al processo precedente.
Tali obiezioni sono state autorevolmente sostenute. Lo stesso Piero Calamandrei, ad esempio,
si domandava: «come si può qualificare ingiusto il danno prodotto da una soccombenza in giudizio, quando questa soccombenza è consacrata in giudicato che, per definizione, facit ius inter
partes, cioè stabilisce irrevocabilmente ciò che in una determinata controversia deve valere per
sempre come giusto?» (7).
Esse, tuttavia, ad un’attenta analisi, si dimostrano infondate: basti pensare che, in tal modo, non
sarebbe più possibile, a rigore, affermare alcun tipo di responsabilità. Infatti, il numero delle variabili ignote, che possono incidere sull’esito della controversia, è sempre virtualmente infinito,
ma ciò non impedisce l’accertamento della responsabilità. Ad esempio, nel caso della responsabilità dell’avvocato, è chiaro che non si saprà mai, di fronte ad una condotta diligente, che nella realtà non c’è stata, quale risposta difensiva avrebbe coltivato il legale di controparte, né a
quale prospettazione avrebbe aderito il giudice. Analogamente, ipotizzando un parallelo con la
responsabilità sanitaria, non si saprà mai se l’opera del medico, ove fosse stata corretta e tempestiva, avrebbe guarito il paziente.
Tuttavia, se fosse necessaria la certezza che la condotta alternativa lecita avrebbe permesso di
raggiungere il risultato sperato, ossia, nei due esempi considerati, salvare il paziente o vincere
la causa, non si verrebbe mai a capo della questione.
Pretendere che l’attore dimostri che «l’opinione personale del giudice, l’apprezzamento che egli
dovrà fare delle prove, l’apprestamento delle stesse per opera dei vari litiganti, il regolare corso
del processo, l’attività delle parti, le loro risorse defensionali, ecc.» (8) non gli avrebbero comunque impedito di vincere la causa, inoltre, significherebbe gravarlo dell’onere della dimostrazione di fatti contrari e incompatibili con quanto da lui stesso affermato (9).
Di seguito vedremo come questo incida sull’accertamento del nesso causale.
Legata a questo discorso è anche la soluzione all’altra antinomia che Calamandrei aveva ritenuto di scorgere, ossia l’intangibilità del giudicato.
Anche in questo caso il problema si pone su un piano diverso rispetto a quello ipotizzato dall’illustre Autore.
Dire che il giudicato è intangibile e che, pertanto, ciò che in esso è statuito non può essere rimesso in discussione, né posto alla base di un eventuale giudizio di responsabilità nei confronti di chi ha contribuito a formare tale statuizione, ossia avvocati e giudice, è, se mi si consente
il parallelo, come dire che, essendo il paziente deceduto, l’irreversibilità della morte impedisce
di verificare se essa sia stata causata da una condotta negligente del medico.
In entrambi i casi, infatti, il decesso e l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato costituiscono dei dati di fatto irreversibili.
Gradualmente l’obiezione sopra riferita, peraltro, ha perso di consistenza, essendo stato sottolineato che l’esame degli atti inerenti al giudicato «concerne la decisione non come «giudicato»,
ma come realtà giuridica, la cui formazione nel processo civile non si astrae dalla condotta tenuta dalle parti e dai loro difensori» (10). Analogamente, verrebbe da dire seguendo l’esempio
su menzionato, il giudizio di responsabilità del medico concerne il decesso del paziente in quanto dato di fatto, limitandosi alla verifica se esso potesse essere evitato.
Note:
(6) Recentemente hanno analizzato questa ipotesi anche D. Covucci e G. Ponzanelli, Responsabilità civile dell’avvocato: un sistema in evoluzione, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 421 ss.
(7) P. Calamandrei, Limiti di responsabilità del legale negligente, in Riv. dir. proc., 1931, II, 263.
(8) Cass. 10 febbraio 1931, n. 495, cit.
(9) Si sofferma a lungo su tale problema V. Zeno-Zencovich, La sorte del paziente. La responsabilità del
medico per l’errore diagnostico, Cedam, Padova, 1994.
(10) Pret. Bologna 12.5.1970, in Giur. it. 1972, I, 2, 51.
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Itinerari della giurisprudenza
L’elemento soggettivo
L’unico riferimento codicistico alla responsabilità nell’ambito del contratto d’opera intellettuale,
com’è noto, è offerto dall’art. 2236 c.c. Tale articolo, pur essendo in origine «sorretto certamente da preoccupazioni corporative» (11), è stato tuttavia ricondotto ad un’interpretazione più
in linea col dettato costituzionale in tema di eguaglianza, nonché con esigenze di logica, non essendo concepibile che, proprio quando «la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici
di speciale difficoltà», il prestatore d’opera intellettuale abbia la possibilità di dar luogo a condotte colpose senza risponderne.
In altre parole, è proprio la particolare difficoltà a dover imporre al professionista l’adozione di
tutte le cautele atte ad evitare il danno.
La ratio della limitazione della responsabilità, di cui all’art. 2236 c.c., è che tale disposizione persegue, oggi in modo alquanto inefficace, il fine di proteggere il professionista, ma solo nella misura in cui ciò protegga anche il cliente. Si vuole, cioè, evitare che il professionista, nel nostro
caso l’avvocato, operi in condizioni psichicamente inopportune, così incrementando le possibilità d’insuccesso.
Quanto affermato emerge, in primo luogo, dalla stessa Relazione del Guardasigilli, ove si scorge la vera “anima” del disposto codicistico, nella misura in cui persegue il fine «di non mortificare l’iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie del cliente in casi di insuccessi e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del
professionista».
Ulteriore conferma è data dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 166 del 28 novembre
1973 (12), resa in un caso di responsabilità sanitaria, che escluse l’illegittimità costituzionale dell’art. 2236 c.c. per violazione dell’art. 3 Cost., non essendo irragionevole la scelta, adottata dal
legislatore, di graduare i presupposti della responsabilità in ragione della difficoltà della prestazione.
In questo modo l’art. 2236 c.c. cessò di essere norma eccezionale, risultando, invece, applicazione concreta del principio di cui all’art. 1176, 2° comma c.c. (13), al quale l’avvocato è sottoposto in quanto esercente attività professionale (14), sicché, in sostanza, l’avvocato è responsabile qualora commetta non già «eventi e mancanze eccezionali, macroscopiche in assoluto»
ma anche «ogni disattenzione e ignoranza che normalmente non ci si attende da un avvocato
di pari livello» (15).
Ne consegue che «l’inadempimento del professionista non può essere desunto senz’altro dal
mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza» e che la responsabilità dell’avvocato «può trovare fondamento in una gamma
di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve, al dolo, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave» (16).
L’accertamento dell’elemento soggettivo e, in particolare, essendo l’ipotesi dolosa un caso di
scuola, del grado della colpa, dovrà tener conto del settore di specializzazione, ufficiale o di fatto, dell’avvocato, in quanto l’aver assunto un incarico nel settore del quale si è specialisti, se da
Note:
(11) L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile, 3, Torino, 1992, 527. Più di recente, U. Breccia, La colpa professionale, in G. Alpa, M. Bessone (a cura di), I contratti in generale. Aggiornamento 1991-1998, III, Torino, 1999, 2365.
(12) In Foro it., 1974, I, 19.
(13) Come confermato da Cass. 15 gennaio 2001, n. 499, in Giur. it., 2003, 460, con nota di A. Spinelli
Francalanci, La responsabilità contrattuale dell’avvocato: la diligenza imposta al professionista nell’espletamento del suo incarico. Rapporto tra gli artt. 1176 e 2236 c.c., giusta la quale la relazione fra gli artt.
1176 e 2236 c.c. «è di integrazione per complementarietà e non già per specialità». Pertanto, prosegue
tale sentenza, «vale, come regola generale, quella della diligenza del buon professionista (art. 1176 secondo comma) con riguardo alla natura della attività prestata; ma quando la «prestazione implica la
soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà» opera la successiva norma dell’art. 2236, delimitando la responsabilità professionale al dolo od alla colpa grave». In senso conf., fra le tante, Cass. 18
maggio 1988, n. 3463, in Corr. giur., 1988, 989, con nota di R. Danovi.
(14) Cfr. da ultimo Cass. 27 marzo 2006, n. 6967, in Giur. Bollettino legisl. tecnica, 2007, 167 e Trib. Roma 2 giugno 2003, in Giust. civ., 2004, I, 243, con nota di R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense. Ma si veda anche Cass. 29 novembre 1973, n. 3298, in Giust. civ. Mass., 1973, 1709 per
l’applicazione dell’art. 1176, 1° comma c.c., con la conseguente estensione della responsabilità alla colpa lieve.
(15) Così G. Musolino, La responsabilità dell’avvocato e del notaio, cit., 404.
(16) Cass. 14 agosto 1997, n. 7618, in questa Rivista, 1998, 190, con nota di A. Batà e A. Spirito, Responsabilità professionale dell’avvocato, Cass. 23 aprile 2002, n. 5928, in Giur. it., 2003, 460, con nota di
A. Spinelli Francalanci, La responsabilità contrattuale dell’avvocato: la diligenza imposta al professionista nell’espletamento del suo incarico. Rapporto tra gli artt. 1176 e 2236 c.c.
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Danno e responsabilità 3/2009
Itinerari della giurisprudenza
un lato agevola sensibilmente l’opera difensiva, d’altro canto impedisce di usufruire della limitazione della responsabilità al dolo ed alla colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c., essendo difficilmente applicabile ad un avvocato, nelle cause riguardanti la sua specializzazione, la nozione
di problemi tecnici di speciale difficoltà (17).
Secondo la giurisprudenza, l’applicazione dell’art. 1176, 2° comma c.c. all’avvocato resta ferma
«comunque si valuti l’obbligazione dallo stesso assunta, come di “risultato” o di “mezzi”» (18).
Ciò sterilizza gran parte delle questioni che ruotano attorno a tale dicotomia ed alla collocazione
della prestazione del professionista forense (19) nell’una o nell’altra, la cui unica conseguenza
pratica, come si approfondirà successivamente, resta un diverso riparto dell’onere della prova.
La previsione, contenuta nel citato art. 2236 c.c., di un regime di responsabilità ad hoc nel caso
ricorrano “problemi tecnici di speciale difficoltà”, rende necessario approfondire la questione
circa il significato attribuito a tale locuzione.
Essa, secondo la giurisprudenza, «è da intendere nel senso che l’impegno intellettuale richiesto
da tale caso sia superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di
preparazione e dispendio di attività anch’esse superiori alla media» (20) mentre la dimostrazione della ricorrenza di siffatto presupposto, per costante giurisprudenza di legittimità, incombe
sul professionista (21).
La sentenza del Giudice delle leggi n. 166/1973, sopra richiamata, restrinse il favorevole regime
dell’art. 2236 c.c. ai soli casi d’imperizia professionale ricollegabili alla particolare difficoltà dei
problemi tecnici che l’attività professionale renda necessari affrontare in concreto, escludendo
negligenza ed imprudenza (22).
Infatti, è proprio nei casi di particolare difficoltà della prestazione che è richiesto al professionista un atteggiamento più prudente e diligente. Viceversa, pretendere, nei medesimi casi, il
massimo della perizia equivarrebbe a scoraggiare i professionisti dal sobbarcarsi l’onere di affrontare le controversie più difficili e la cui soluzione appare meno scontata, con il rischio di
lasciare i cittadini privi di tutela in giudizio proprio nelle questioni più controverse e nuove
(23).
Pertanto, la responsabilità dell’avvocato sussiste solo «in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon
esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave» (24).
In questo ordine di idee, ad esempio, è stata esclusa l’applicabilità della disposizione dell’art.
2236 c.c. in relazione al comportamento dell’avvocato che, pur avendo ricevuto dal proprio as-
Note:
(17) G. Musolino, La responsabilità dell’avvocato e del notaio, cit., 386 s. D. Piselli, La responsabilità civile, in A. Garello, D. Piselli, S. Scuto, Le responsabilità dell’avvocato, in Il Sole 24 Ore, Milano, 2006,
29, condivide la tesi più rigorosa, fondandola però sulla necessità «che l’avvocato svolga la sua prestazione secondo quei canoni medi di perizia, diligenza e prudenza che si suppone debbano essere posseduti da coloro che posseggono l’abilitazione all’esercizio professionale ufficialmente certificata dall’iscrizione all’albo di cui all’art. 2231 c.c.».
(18) Cass. 23 aprile 2002, n. 5928, cit.
(19) E del praticante, che risponde quantomeno per l’assistenza fornita in ambito stragiudiziale. In tal
senso, da ultimo, Cass. 1° aprile 2008, n. 8445, in La resp. civ., 2008, 564.
(20) Cass. 7 maggio 1988, n. 3389, in Dir. e prat. assicuraz., 1989, 497, con nota di M. Antinozzi, Responsabilità dell’avvocato verso il cliente per mancata impugnazione della sentenza di primo grado (responsabilità per omissione, onere probatorio relativo), Cass. 11 agosto 1990, n. 8218, in Mass. giur. it.,
1990, Cass. 23 aprile 2002, n. 5928, cit., Cass. 14 agosto 1997, n. 7618, cit.
(21) Ex multis, Cass. 7 maggio 1988, n. 3389, cit., Cass. 11 agosto 1990, n. 8218, cit., Cass. 7 agosto
1982, n. 4437, in Resp. civ. e prev., 1984, 78, con nota di C. Somarè, Alcune considerazioni in tema di diligenza, Cass. 12 giugno 1982, n. 3604, in Giust. civ., 1983, I, 939.
(22) Queste le parole della Corte Costituzionale: «Siffatta esenzione o limitazione di responsabilità,
d’altra parte, secondo la giurisprudenza e dottrina, non conduce a dover ammettere che, accanto al
minimo di perizia richiesta, basti pure un minimo di prudenza o di diligenza. Anzi, c’è da riconoscere
che, mentre nella prima l’indulgenza del giudizio del magistrato è direttamente proporzionata alle difficoltà del compito, per le altre due forme di colpa ogni giudizio non può che essere improntato a criteri di normale severità».
(23) Ciò non significa che l’avvocato che accetti un incarico per il quale non possegga sufficiente preparazione ed esperienza, cagionando così un danno al cliente, vada necessariamente esente da responsabilità professionale, essendo quantomeno configurabile una colpa per assunzione. Al riguardo,
D. Piselli, La responsabilità civile, cit., 33, prospetta addirittura l’inapplicabilità dell’art. 2236 c.c.,
«stante l’evidente carattere doloso dell’inadempimento del mandato professionale».
(24) Cass. 11 agosto 2005, n. 16846, in Guida al diritto, 2005, 38, 54.
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Itinerari della giurisprudenza
L’attività defensionale
fra obbligazioni
di mezzi
e di risultato...
sistito un foglio in bianco contenente una procura, aveva omesso di impugnarne il licenziamento (25).
Individuato, quindi, il presupposto per l’applicazione dell’art. 2236 c. c., giova, a questo punto,
ripercorrere l’itinerario giurisprudenziale sulla qualificazione della prestazione professionale dell’avvocato come obbligazione di mezzi o di risultato, dalla quale derivano importanti conseguenze tanto in tema di verifica del contenuto dell’obbligazione (se un mero contegno diligente
o un opus), quanto nella valutazione della colpa, nonché, infine, sulla ripartizione dell’onere probatorio.
Senza addentrarci sull’annosa disputa se sia compatibile con il nostro ordinamento tale distinzione, non richiamata nel codice civile (26), deve considerarsi la diversità esistente fra contratto d’opera e professioni intellettuali. Com’è noto, infatti, mentre nella prima il prestatore si impegna a realizzare qualcosa di specifico, conforme alle direttive del committente, nelle attività
intellettuali l’obbligo è solo “di contegno” (27).
Il risultato voluto dal creditore, infatti, non dipende solo dalla controparte contrattuale, essendoci variabili esterne pressoché incontrollabili; si pensi, ad esempio, alla competenza dell’avvocato della controparte, o, più semplicemente, al fatto che chi si rivolge ad un legale abbia torto:
non si può in questo caso pretendere dal proprio difensore di vincere la causa, salvo che la soccombenza derivi direttamente da un fatto a lui imputabile.
In questo senso, la qualificazione dell’obbligo gravante sul professionista come obbligazione di
mezzi e non di risultato è costantemente ribadita dalla giurisprudenza (28) e, sebbene con alcune eccezioni (29), dalla dottrina (30), salvo alcune, per quanto non marginali, eccezioni, il cui numero crescente ha fatto pensare ad una «progressiva erosione del tradizionale principio secondo il quale l’obbligazione dell’avvocato è una obbligazione di mezzi e non di risultato» (31).
Tali eccezioni sono riconducibili all’inadempimento di tutti quelli che una dottrina (32) ha definito incarichi specifici e che, in via meramente esemplificativa, traendo spunto dalla casistica giurisprudenziale, possiamo identificare nella mancata informazione, in sede di parere stragiudiziale, della possibilità che venisse eccepita la prescrizione (33), nella decadenza dalle prove (34) o
nell’omissione della richiesta delle prove testimoniali (35).
La redazione di un contratto o di una lettera è probabilmente, fra tutte le attività che possono
essere demandate ad un legale, quella che più si avvicina alla realizzazione di un opus e che,
pertanto, dovrebbe coerentemente collocarsi nelle obbligazioni di risultato. In realtà, anche la
scrittura di una lettera o di un contratto, al di là dell’aspetto meramente materiale, non può essere in toto assimilata alla realizzazione di un prodotto finito, essendo comunque prevalente
un’attività intellettuale che, nella produzione di un manufatto, è vieppiù assente.
Al riguardo, una dottrina ritiene che possa sussistere un’obbligazione di risultato, costituito perNote:
(25) Cass. 1° agosto 1996, n. 6937, in Gius, 1996, 3327. Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, si veda G. Musolino, La responsabilità dell’avvocato e del notaio, Milano, 2005, 117 s.
(26) Si veda il noto saggio di L. Mengoni, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir.
comm., 1954, I, 386 ss. Contra per tutti U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, II, Milano, 1974, 48 ss. e L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile, 3, cit., 22 s. e 90, che sottolineano l’estrema difficoltà che si
riscontra all’atto di collocare nell’una o nell’altra categoria numerose ipotesi di obbligazione.
(27) G. Cattaneo, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, 295, citazione relativa all’obbligazione del medico ma, ovviamente, estensibile a tutte le attività cui si applicano gli artt. 2229 ss. c.c.
(28) Ex multis, Cass. 18 maggio 1988, n. 3643, in Resp. civ. e prev., 1989, 320, Cass. 8 maggio 1993, n.
5325, in Foro it., 1994, I, 3188, Cass. 18 novembre 1996, n. 10068, in Gius, 1997, 457, Cass. 25 marzo
1995, n. 3566, in Gius, 1995, 2650.
(29) M. Fortino, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano, 1984, 65 che, in
realtà, critica soprattutto il senso della distinzione mezzi-risultato, più che la collocazione della prestazione dell’avvocato in una o nell’altra categoria. Per una rilettura critica della tradizionale distinzione, cfr. anche A. Bonetta, Per la serie «anche gli avvocati piangono»: il procuratore risponde della nullità dell’atto di citazione, in questa Rivista, 2003, 66 ss.
(30) Per tutti, R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense, cit., 63 ss. e A. e S. Baldassari, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1993, 96.
(31) A. Mazzucchelli, L’avvocato, in F. Martini, A. Mazzucchelli, M. Rodolfi, E. Vivori, La responsabilità
civile del professionista, Torino, 2007, 209.
(32) G. Musolino, L’opera intellettuale. Obbligazioni e responsabilità, Cedam, Padova, 1995, 106 ss.
(33) Cass. 14 novembre 2002, n. 16023, in questa Rivista, 2003, 256, con nota di A. Fabrizio-Salvatore,
L’avvocato e la responsabilità da parere, Cass. 29 novembre 1973, n. 3298, cit.
(34) Cass. 8 maggio 1993, n. 5325, cit.
(35) Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286, in questa Rivista, 1999, 441, con nota di A. Fabrizio-Salvatore, La
colpa professionale dell’avvocato: in crisi la distinzione fra obbligazione di mezzi e di risultato.
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Itinerari della giurisprudenza
lomeno dalla «corretta formulazione delle clausole dell’accordo, che debbono essere espresse
in modo da essere idonee al raggiungimento di un “risultato giuridico” e, pertanto, essere immuni da invalidità ed inefficacia di qualsiasi natura» (36).
Ne deriverebbe, pertanto, l’applicabilità dell’art. 2226 c.c. in tema di difformità e vizi dell’opera
e, forse, anche del termine di decadenza della denuncia degli stessi entro otto giorni dalla scoperta, come conferma una risalente giurisprudenza (37) che, a quanto consta, non è stata successivamente superata da altre pronunce in termini.
Il mancato rispetto dei termini, in particolare di notifiche ed impugnazioni, è anch’esso comunemente ritenuto ex se fonte di responsabilità professionale (38), così come in generale tutte
le attività sostanzialmente procuratorie.
Come correttamente rilevato dalla giurisprudenza (39), peraltro, sebbene rientri nella ordinaria
diligenza dell’avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo
cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, tuttavia può accadere che,
«in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine». In tal caso, si rientra nuovamente sia nelle obbligazioni di mezzi che nell’ambito applicativo dell’art. 2236 c.c.
La medesima giurisprudenza di legittimità su richiamata ha ritenuto configurarsi una situazione
intermedia fra le ipotesi estreme della presunzione di responsabilità e di colpa (mancato rispetto dei termini tout court) e della limitazione della responsabilità alla colpa grave (incertezza del
termine). Tale circostanza si verifica «allorché l’incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in
base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, a causa dell’incertezza della norma
giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale
in ordine alla questione relativa all’applicabilità del termine di prescrizione in caso di mancata
proposizione della querela non esime il professionista dall’obbligo di diligenza richiesto dall’art.
1176 c.c.» (40).
In tal caso, «il professionista può essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza,
ex art. 1176, comma 2, c.c., e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c.», ma
è il cliente che deve provare la colpa.
Un altro caso particolare è quello dell’avvocato che abbia rassicurato il cliente circa l’esito favorevole della lite: applicando gli schemi del contratto di prestazione d’opera intellettuale, infatti,
secondo un meccanismo già sperimentato nella responsabilità del medico (41) e dell’ingegnere e/o architetto (42), ne deriverebbe la conversione in obbligazione di risultato (43).
Analogamente, è stato asserito che, nel caso in cui il recupero di un credito sia divenuto impossibile per la perdita, da parte dell’avvocato, delle cambiali affidategli, il cliente e creditore
non ha l’onere di dimostrare che l’esecuzione forzata promuovibile in base al detto titolo avrebbe avuto esito positivo, ma spetta al convenuto, che deduca l’impossidenza del terzo debitore,
provare l’impossibilità del soddisfacimento della pretesa creditoria cui si riferisce la domanda di
risarcimento (44).
Note:
(36) Cfr. D. Piselli, La responsabilità civile, cit., 15 s.
(37) Cass. 21 marzo 1969, n. 904, in Foro it., 1969, I, 2958.
(38) Cfr. R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense, cit., 149 e la giurisprudenza ivi richiamata.
(39) Cass. 18 luglio 2002, n. 10454, in Arch. civ., 2003, 523.
(40) Cass. 18 luglio 2002, n. 10454, cit. e, più di recente, Cass. 17 gennaio 2007, n. 974, in questa Rivista, 2007, 1115, con commento di R. Foffa, Responsabilità professionale dell’avvocato per proposizione
di un appello inammissibile. In tal senso si veda già Cass. 29 novembre 1973, n. 3298, in Foro it., 1974,
I, 678.
(41) Cfr. Cass. 8 agosto 1985, n. 4394, in Corr. giur., 1985, 1221, con nota di C. Malinconico.
(42) Cfr. Cass. 27 ottobre 1984, n. 5509, in Giust. civ., 1985, I, 347. Occorre riconoscere, tuttavia, che
l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria o di architettura, pur avendo per oggetto una prestazione d’opera intellettuale, costituisce già essa stessa un’obbligazione di risultato (cfr. da ultimo
Cass. civ., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781, in Resp. civ. on line, 2005). Ciò impedisce un assoluto parallelismo di tale fattispecie con quella della responsabilità dell’avvocato.
(43) In questo senso A. e S. Baldassari, La responsabilità civile del professionista, cit., 112 e R. Favale,
La responsabilità civile del professionista forense, cit., 73 ss., che ricostruisce la responsabilità dell’avvocato ai sensi dell’art. 1381 c.c. in materia di promessa del fatto del terzo.
(44) Cass. 16 ottobre 1980, n. 5557, in Arch. civ., 1981, 35. Tale sentenza, che definisce «eccezione in
senso sostanziale» e, come tale, oggetto di prova e non di mera allegazione, la deduzione, da parte dell’avvocato, dell’incapienza del terzo debitore, ragiona in termini più di diritto processuale che sostanziale. Con ogni probabilità, è anche lo specifico errore commesso dall’avvocato, ossia la perdita del titolo esecutivo a lui consegnato, a determinare la scelta di addossargli l’intero carico probatorio. Infat(segue)
Danno e responsabilità 3/2009
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Itinerari della giurisprudenza
… ed i riflessi sull’onere
probatorio
Infine, secondo la giurisprudenza di legittimità, la configurazione della prestazione professionale come obbligazione di risultato o di mezzi non incide sulla perdita del diritto al compenso del
professionista, la quale dipende esclusivamente dall’inadempimento del canone della diligenza
del buon padre di famiglia (45). Nel caso in cui venga accertata una responsabilità professionale, pertanto, dovrebbe seguire invariabilmente la ripetizione del compenso, se richiesta, indipendentemente dal fatto che sia rimasta inadempiuta una prestazione di facile o di difficile esecuzione.
Tale soluzione dà adito a dubbi sotto diversi profili, non ultimi quelli attinenti alla natura composita del compenso professionale, commisurato, oltre che all’importanza dell’opera, anche al decoro della professione (46).
Tuttavia, una giurisprudenza di merito, in materia di responsabilità sanitaria ma contenente
spunti applicabili anche al tema di nostro interesse, ha statuito che, in caso di inadempimento
della prestazione professionale e di conseguente risoluzione del contratto, il professionista è tenuto al risarcimento del danno al cliente, ma non alla restituzione del compenso. Infatti, una prestazione contrattuale, qual è quella del pagamento del compenso, non è soggetta a restituzione quando è impossibile la restituzione in natura della controprestazione, ossia la prestazione
professionale (47).
La dicotomia “mezzi-risultato”, la quale, peraltro, mantiene una certa utilità dal momento che,
per così dire, “rende l’idea” del contenuto dell’obbligo del professionista, d’altro canto tende ad
essere per certi aspetti superata sul versante che, ai fini pratici, maggiormente interessa, ossia
quello della ripartizione degli oneri probatori.
Ciò non stupisce. L’odierna responsabilità civile, infatti, è caratterizzata dalla scomparsa delle
nette dicotomie del passato: dalla distinzione “mezzi-risultato” a quella “responsabilità contrattuale-extracontrattuale”, numerosi sono i casi in cui le regole operazionali non corrispondono interamente al dato normativo (48).
Invero, come autorevolmente notato già vent’anni fa, « le obbligazioni del professionista non
possono più essere concepite, in blocco, come prima avveniva, quali obbligazioni di mera diligenza: nei casi in cui, attraverso dati statistici o di esperienza, è possibile ragionevolmente attendersi dal professionista un determinato risultato, allora il rischio del mancato raggiungimento di tale risultato grava sul professionista con ogni conseguenza relativa» (49).
È necessario verificare, dunque, in cosa si traduca questa condivisibile intuizione, soprattutto a
livello di oneri probatori gravanti sulle parti, dal momento che il dosaggio di cosa spetti a ciascuna parte provare in giudizio è sovente decisivo ai fini della vittoria, specialmente in situazioni in cui, come nella responsabilità dell’avvocato e del medico, il numero di variabili e di incognite è potenzialmente infinito.
In linea di massima, l’orientamento dominante prevede che «il cliente che chieda al proprio di-
Note:
(continua nota 44)
ti, a stretto rigore, è opinabile che tale condotta dell’avvocato sia inquadrabile nell’ambito dell’errore
professionale, e non piuttosto dell’errore comune (pertanto escluso dall’applicazione dell’art. 2236 c.c.)
e, comunque, la restituzione dei documenti originali affidati al legale per la conduzione della causa
può fondatamente essere ritenuta un’obbligazione di risultato.
(45) Inter alia, Cass. 23 aprile 2002, n. 5928, in questa Rivista, 2003, 66, con note di A. Bonetta, Per la
serie «anche gli avvocati piangono»: il procuratore risponde della nullità dell’atto di citazione e di A.M. Benedetti, La deriva dell’eccezione d’inadempimento: da rimedio sospensivo a rimedio criptorisolutorio? (a
pag. 753) e App. Bologna 18 maggio 2004, in La Responsabilità civile, 2005, 378, con nota di G. Facci.
(46) Come sottolineato da A.M. Benedetti, La deriva dell’eccezione d’inadempimento: da rimedio sospensivo a rimedio criptorisolutorio?, cit., 762.
(47) Trib. Roma 1° luglio 2004, in Resp. civ. e prev., 2004, 1121, con nota critica di D. Maffeis, Responsabilità medica e restituzione del compenso: precisazioni in tema di restituzioni contrattuali.
(48) Ciò è vero soprattutto per la responsabilità sanitaria. Al riguardo, si veda soprattutto R. De Matteis, La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile, Cedam, Padova, 1995, spec.
397 ss. Sui rapporti fra i due tipi di responsabilità anche F. Giardina, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano, 1993. Sulla dicotomia fra obbligazioni di mezzi e di risultato, da ultimo si segnalano i contributi di A. Nicolussi, Sezioni sempre più unite contro la distinzione fra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. La responsabilità del medico, in questa Rivista, 2008, 871 ss. e F. Piraino, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi” ovvero dell’inadempimento incontrovertibile e dell’inadempimento controvertibile, in
Eur. dir. priv., 2008, 83 ss.
(49) M. Comporti, Intervento introduttivo, in V. Fineschi (a cura di), La responsabilità medica in ambito civile, Milano, 1988, 25. Un esempio di tale approccio è costituito dal primo caso in cui la giurisprudenza (Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, in Foro it., 1979, I, 4) invertì l’onere della prova a vantaggio del
paziente danneggiato, ossia in presenza di trattamenti di routinaria esecuzione conclusisi con esito insoddisfacente.
308
Danno e responsabilità 3/2009
Itinerari della giurisprudenza
Un parallelismo
con la responsabilità
sanitaria?
fensore il ristoro dei danni subiti a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo
grado non può limitarsi a dedurre l’astratta possibilità della riforma in appello in senso a lui favorevole di tale pronuncia, ma deve dimostrare l’erroneità di questa, oppure produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova idonei a fornire la ragionevole certezza che il gravame se proposto sarebbe stato accolto» (50).
Ad esempio, «il cliente che chieda il risarcimento del danno subito a seguito di una tardiva proposizione di un’impugnazione, derivante da una condotta colposa dell’avvocato, deve specificare le circostanze che avrebbero portato ad un esito favorevole nel giudizio d’appello» (51).
Sembrerebbe, dunque, che anche la giurisprudenza recente propenda per l’applicazione rigorosa dell’art. 2697 c.c., facendo gravare sul cliente, asseritamente danneggiato, l’intero peso probatorio della propria pretesa.
Del tutto ed ancora maggioritario, infatti, è l’orientamento che ritiene incombere sul «cliente il
quale assume di avere subito un danno, l’onere di provare la difettosa od inadeguata prestazione professionale, l’esistenza del danno ed il rapporto di causalità tra la difettosa od inadeguata
prestazione professionale ed il danno» (52).
In un unico caso, a quanto consta, il Supremo Collegio ha precisato che «nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli, l’obbligo di diligenza (…) impone all’avvocato di assolvere,
sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche)
ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente (…). A tal fine incombe su di
lui l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta» (53).
Se, dunque, intendessimo il presente lavoro come una fedele ricognizione della giurisprudenza
in materia di responsabilità civile dell’avvocato, la trattazione dovrebbe giungere alla conclusione che l’onere probatorio segue pedissequamente gli schemi dell’art. 2697 c.c. e terminare qui.
Riteniamo, tuttavia, che sia opportuno guardare anche al di là della giurisprudenza al momento
esistente al fine di ipotizzare possibili traiettorie evolutive della giurisprudenza in subiecta materia. Ciò faremo guardando in primis al settore della responsabilità sanitaria che, come si è anticipato e per quanto verificheremo a breve, pare a chi scrive quello più adatto allo scopo, in
quanto caratterizzato da una tendenza alla convergenza con il nostro tema, sì da permettere di
ipotizzare futuri scenari comuni.
Certo, non si può negare che le traiettorie evolutive della responsabilità del medico e dell’avvocato siano state ben diverse negli ultimi decenni, e che il livello di contenzioso raggiunto dalla
responsabilità sanitaria non sia, allo stato, neanche lontanamente immaginabile nell’altro contesto. E tuttavia non può omettersi di rilevare come, negli ultimi anni, vi sia stato nei due menzionati sottosettori della r.c. tutto un rincorrersi di tendenze giurisprudenzial-dottrinarie comunemente orientate verso un approccio maggiormente rigoroso nei confronti del professionista,
vuoi attraverso l’oggettivizzazione della responsabilità, vuoi tramite un maggior ricorso alla categoria del consenso informato, vuoi mediante un affievolimento del legame causale.
Anche i motivi “sociologici” sottostanti l’incremento del contenzioso contro medici ed avvocati, del resto, tendono ad assomigliare: il più facile accesso alla giustizia ed alle cure, l’incremento delle aspettative dell’utenza, l’uniformità a livello nazionale ed internazionale degli standard
di diligenza applicabili ai prestatori d’opera, l’aumento del numero degli iscritti ad entrambi gli
ordini professionali (54) sono tra i fattori che, com’è noto, hanno maggiormente inciso sull’atteggiamento giurisprudenziale (55).
Note:
(50) Cass. 27 gennaio 1999, n. 722, in questa Rivista, 1999, 1123, con nota di A. Lazzari, Perdita di
chances in giudizio: la responsabilità del sindacato per omesso appello da parte del lavoratore, Cass. 5
aprile 1984, n. 2222, in Mass. giur. it., 1984, Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286, cit.
(51) Cass. 26 febbraio 2002, n. 2836, in Resp. civ. e prev., 2002, 1373, con nota di G. Facci, L’errore dell’avvocato, l’appello tardivo e la chance di vincere il processo.
(52) Cass. 18 aprile 2007, n. 9238, in Giur. it., 2007, 2172, Cass. 27 marzo 2006, n. 6967, cit., Cass. 10
luglio 2006, n. 15633, in questa Rivista, 2007, 538, con nota di D. Covucci, La responsabilità professionale nello studio legale associato, Cass. 11 agosto 2005, n. 16846, cit., Cass. 14 settembre 2000, n. 12158,
in questa Rivista, 2001, 519, con nota di D. Calderone, G. Cresta, Insussistenza della responsabilità dell’avvocato per l’estinzione di una procedura esecutiva infruttuosa.
(53) Cass. 30 luglio 2004, n. 14597, in Corr. giur., 2005, 1412, con nota di R. Conte, Obbligazioni di mezzo
ed obbligazioni di risultato nella responsabilità civile dell’avvocato e riflessioni sulla nozione di “colpa lieve”.
(54) Sull’aumento del numero degli iscritti agli albi ed alla Cassa di previdenza forense e sulle conseguenze di questo andamento si veda la relazione annuale per l’anno 2007 del Presidente del Consiglio
Nazionale Forense, Prof. Avv. Guido Alpa, in La previdenza forense, 2008, 103 ss.
(55) Per una panoramica esplicativa dei motivi della litigation explosion nel settore dei danni alla persona, S.D. Sugarman, A Century of Change in Personal Injury Law, 88 Cal. L. Rev., 2403 (2000). Per una
prospettiva differente, tutta focalizzata sulle distorsioni del sistema, non combattute ma, anzi, fomentate dagli agenti istituzionali, W.K. Olson, The Litigation Explosion, Truman Talley Books-Dutton, New
York, 1991.
Danno e responsabilità 3/2009
309
Itinerari della giurisprudenza
Ciò premesso, si partirà da una nota sentenza, non resa in un caso di responsabilità dell’avvocato, ossia quanto deciso della Sezioni unite nella statuizione del 30.10.2001, n. 13533.
In tale statuizione, a composizione di un acceso contrasto giurisprudenziale sul riparto dell’onere probatorio, si è stabilito che «in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione,
il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per
l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo
termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento
della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto
estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza
dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero
per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei
beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento».
La ratio di tale interpretazione, che valorizza notevolmente la natura contrattuale della responsabilità ed aumenta il divario con l’onere probatorio applicabile alla responsabilità aquiliana ex
art. 2697 c.c., è che l’onere della prova deve essere «ripartito tenuto conto, in concreto, della
possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione» (56).
Quindi, seguendo questa linea, nel caso della responsabilità professionale dell’avvocato, essendo questi più vicino al thema probandum rispetto a quanto non lo sia il cliente, normalmente sprovvisto di cognizioni tecnico-giuridiche, una volta che il medesimo cliente abbia provato il
rapporto defensionale ed allegato il preteso inadempimento, dovrebbe spettare all’avvocato la
prova del fatto non imputabile (57).
È chiara, quindi, la forza dirompente di quanto deciso nella sentenza ora citata, che sembrerebbe, per la genericità del principio che esprime, applicabile a tutta la responsabilità professionale. Successivamente alla statuizione delle Sezioni unite ed ispirandosi ad essa, infatti, nella responsabilità sanitaria la Suprema Corte (58) ha coerentemente stabilito di addossare l’onere della prova sul medico convenuto in giudizio, spostando decisamente il piatto della bilancia a favore del danneggiato (59).
Proseguendo nella digressione sul tema della responsabilità sanitaria, infine, un recente orientamento giurisprudenziale delle Sezioni unite radicalizza lo spostamento degli oneri probatori in
capo al convenuto.
Infatti, viene confermato che «in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di
responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e
l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del
debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato
eziologicamente rilevante» (60).
A questo punto, lo svuotamento dell’art. 2697 c.c. ed il travaso dell’obbligazione del medico da
obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato è completo.
Occorre domandarsi, dunque, se siffatto principio possa estendersi a tutta la responsabilità professionale, e segnatamente a quella dell’avvocato.
Mancano, allo stato, sentenze che, successivamente alla pronuncia della Cassazione su menzionata, abbiano accolto l’applicazione del principio de quo all’attività forense. Anzi, è doveroso
Note:
(56) Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Giust. civ., 2002, I, 1934.
(57) Su questo profilo vedi già F. Cafaggi, La responsabilità del professionista, in Digesto, IV ed., Disc.
Priv., Sez. civ., XVII, Torino, 1998, 195.
(58) Cass. 19 maggio 2004, n. 9471; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488, in
questa Rivista, 2005, 23, con commento di R. De Matteis, La responsabilità medica ad una svolta?.
(59) Per una lucida analisi degli ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia V. Zeno-Zencovich,
Una commedia degli errori? La responsabilità medica fra illecito e inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008,
297 ss.
(60) Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in questa Rivista, 2008, 788, con commento di G. Vinciguerra, Nuovi (ma provvisori?) assetti della responsabilità medica.
310
Danno e responsabilità 3/2009
Itinerari della giurisprudenza
Il dovere di informare
il cliente
segnalare che anche recentissimamente il Supremo Collegio si è espresso nel senso che l’onere della prova grava integralmente sull’attore (61).
A parere di chi scrive, peraltro, le sorti della responsabilità del medico e dell’avvocato vanno ormai “a braccetto” ed è assolutamente plausibile ritenere che, in virtù di quella sorta di rincorsa
verso un approccio ad un tempo simpatetico con il danneggiato e maggiormente rigoroso nei
confronti del professionista, che negli ultimi anni si riscontra, l’orientamento che sobbarca il medico dell’onere probatorio verrà, presto o tardi, recepito anche nella giurisprudenza riguardante
gli avvocati (62).
In effetti, il principio enunciato dalla Corte di legittimità sembra agevolmente applicabile anche
al tema di nostro interesse. Infatti, se il fulcro del ragionamento della Cassazione è la maggiore
vicinanza del medico, rispetto al paziente, al thema probandum, come già abbiamo anticipato è
innegabile che tale caratteristica sia condivisa anche dall’avvocato (63).
Questa, in effetti, sembra essere la posizione di una dottrina, espressa peraltro ben prima degli
ultimi rivolgimenti giurisprudenziali sopra menzionati, allorché afferma che «il creditore-cliente
dovrà semplicemente dare la prova che quel dato e specifico provvedimento sfavorevole è conseguito a quella negligenza” e che “il debitore-avvocato non potrà evitare di risarcire i danni
dando la prova che, in ogni caso, la causa sarebbe stata persa, bensì dovrà dimostrare che quel
concreto provvedimento sfavorevole è stato determinato, a prescindere dall’attività difensiva,
da altri fattori» (64).
Il ruolo assunto dal consenso e dai doveri d’informazione gravanti sul professionista, anche alla
luce della natura fiduciaria del rapporto defensionale, è in costante crescita, parallelamente alla
sempre maggiore centralità della tematica in tutta la responsabilità professionale e, in particolare, in quella sanitaria (65).
Le sostanziali differenze esistenti fra la prestazione medica e quella forense hanno sinora impedito l’escalation del contenzioso concernente il mancato ottenimento del consenso informato nell’attività dell’avvocato e, conseguentemente, hanno fatto convergere l’attenzione della
giurisprudenza e della dottrina su altri temi, dall’elemento soggettivo al danno ed al nesso causale.
Peraltro, si è ormai consolidata l’opinione che ritiene l’obbligo di acquisire un consenso pienamente informato risiedere direttamente nell’obbligo di diligenza gravante sul professionista e,
pertanto, che la mancata acquisizione dello stesso, salva la responsabilità disciplinare (66),
esponga a responsabilità contrattuale (67), senza peraltro la possibilità d’invocare il più favorevole regime di responsabilità derivante dall’art. 2236 c.c. (68)
Nell’ambito del dovere di diligenza, infatti, rientrano «i doveri d’informazione, di sollecitazione e
di dissuasione, ai quali il professionista deve adempiere, così all’atto dell’assunzione dell’incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando, anzi tutto, al cliente le questioni di fatto
e/o di diritto, rilevabili ab origine od insorte successivamente, riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o comunque produttive d’un rischio di conseguenze negative o dannose,
invitandolo, quindi, a comunicargli od a fornirgli gli elementi utili alla soluzione positiva delle questioni stesse, sconsigliandolo, in fine, dall’intraprendere o proseguire la lite ove appaia improbabile tale positiva soluzione e, di conseguenza, probabile un esito sfavorevole e dannoso. A
maggior ragione l’onere d’informare il cliente in ordine alle questioni di fatto o di diritto che impediscano o rendano difficoltoso il perseguire la realizzazione d’un determinato interesse ed ai
rischi ai quali possa esporre il tentativo di tale realizzazione incombe sull’avvocato ove l’incarico
professionale ricevuto ed accettato abbia ad oggetto non un’attività giudiziale conseguenza im-
Note:
(61) Cfr. Cass. 16 ottobre 2008, n. 25266, in Il quotidiano giuridico, Ipsoa.
(62) Per alcuni spunti in questo senso si veda anche D. Piselli, La responsabilità civile, cit., 11.
(63) Cfr., ex plurimis, D. Piselli, La responsabilità civile, cit., 18.
(64) A. Lepre, Nuovi spunti in tema di responsabilità civile dell’avvocato, in Nuova giur. civ. comm.,
1999, I, 367.
(65) Sul punto, amplius F. Cafaggi, La responsabilità del professionista, cit., 159. Da ultimo, in giurisprudenza, Cass. pen., sez. IV, 30 settembre 2008, n. 37077, in http://dottrinaediritto.ipsoa.it.
(66) Sulla quale G. Musolino, La responsabilità dell’avvocato e del notaio, cit., 428.
(67) Cass. 26 marzo 1981, n. 1773, in Arch. civ., 1981, 544, Cass. 29 marzo 1976, n. 1132, in Giur. it.,
1977, I, 1, 1980, Cass. 18 giugno 1996, n. 5617, in Giur. it., 1997, I, 638. Nel senso della responsabilità
precontrattuale G. Cattaneo, La responsabilità del professionista, cit., 90 ss. e M. Rodolfi, La responsabilità del professionista, in F. Martini, A. Mazzucchelli, M. Rodolfi, E. Vivori, La responsabilità civile del
professionista, cit., 76. In giurisprudenza, con riferimento alla responsabilità sanitaria, Cass. 25 novembre 1994, n. 10014, in Foro it., 1995, I, 1, 2913.
(68) Cass. 18 giugno 1996, n. 5617, cit., Cass. 13 dicembre 1969, n. 3958, in Giust. civ. 1970, I, 404. D.
Piselli, La responsabilità civile, cit., 43.
Danno e responsabilità 3/2009
311
Itinerari della giurisprudenza
mediata e diretta del conferimento d’un mandato ad litem, bensì un’attività stragiudiziale (preordinata o meno che sia ad una successiva attività giudiziale, stante la latitudine dell’attività consultiva) intesa alla formulazione d’un parere» (69).
Anche dalla rapida lettura della sentenza sopra citata si può immediatamente comprendere la
difficoltà nel circoscrivere il contenuto dell’obbligo informativo gravante sull’avvocato, di cui pare difficile individuare i limiti, dovendo, teoricamente, il professionista informare il cliente in maniera così minuziosa da dissuaderlo probabilmente dal ricorrere alle vie legali.
Se, infatti, il cliente deve essere posto «in grado di decidere consapevolmente, sulla base di una
valutazione ponderata di tutti gli elementi favorevoli e contrari della situazione dedotta in rapporto ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi, di varia natura a seconda dell’attività richiesta al professionista, ai quali questa lo esponga o possa eventualmente esporlo»
(70), ci si domanda con quale minuziosità debbano essere esposti al medesimo i rischi insiti nel
processo, che ad un operatore del diritto sono ben noti, ma che ad un “passante” o ad un
“chiunque” lo sono certamente meno.
Quanto deve essere informato, per esempio, un cliente delle lungaggini processuali inevitabili
e quanto di quelle evitabili che, legittimamente dal suo punto di vista, potrebbe porre in essere
a mero scopo dilatorio il legale avversario, visto che, è noto, il fattore-tempo incide sulla decisione di ricorrere e/o di resistere in giudizio?
Sono domande - la cui impellenza è ulteriormente accentuata dall’orientamento giurisprudenziale suesposto (71), giusta il quale l’onere della prova dell’avvenuto consenso dovrebbe gravare sull’avvocato convenuto - cui, senza scendere nella casistica (72), è effettivamente difficile
dare una risposta. Certo è che sussiste il rischio, anche nel campo della responsabilità dell’avvocato, che il consenso informato si presti ad una deformazione per cui esso si traduca in una
fictio per concedere risarcimenti anche nelle ipotesi in cui non emerga alcun addebito in termini di colpa, venendo usato, pertanto, solo come uno strumento per aggirare il regime normativo della responsabilità.
Una prospettiva per evitare gli eccessi recentemente verificatisi potrebbe essere quella di avvalersi dello strumento delle clausole generali intese, sulla scorta di autorevole dottrina (73), come mezzi di valutazione ex post della condotta, le quali permetterebbero di valutare se questa
si sia adeguata a modelli di comportamento che, pur non essendo esplicitati dalla legge, nondimeno sono da ritenersi doverosi.
Un’ultima parentesi deve essere dedicata all’esercizio in forma associata o societaria della professione (74). Con riferimento all’obbligo informativo, oltre ai consueti doveri sopra esposti, grava sulla società, ai sensi dell’art. 24, 2° comma del d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, l’obbligo di
«informare il cliente, prima della conclusione del contratto, che l’incarico professionale potrà essere eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale richiesta», a fronte del quale «il cliente ha diritto di chiedere che l’esecuzione dell’incarico sia
affidata ad uno o più soci da lui scelti sulla base di un elenco scritto con la indicazione dei titoli
e delle qualifiche professionali di ciascuno di essi». In difetto di tale opzione da parte del cliente, la società gli comunica il nome del socio o dei soci incaricati prima dell’inizio dell’esecuzione
del mandato, configurandosi in caso contrario, per le obbligazioni derivanti dall’attività professionale svolta da uno o più soci, la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci oltre che della società (cfr. art. 26 del d.lgs. 96/2001).
Inoltre, ai sensi del su menzionato art. 26 del d.lgs. 96/2001, il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l’attività professionale svolta in esecuzione dell’incarico.
Infine, il 4° comma del suddetto articolo impone un onere di forma scritta ad probationem della prova dell’adempimento degli obblighi di informazione sopra descritti.
In caso di esercizio associato della professione i professionisti rispondono solidalmente nell’ipotesi di assunzione di incarico congiunto «e ciò indipendentemente dalla circostanza che sia
possibile individuare le rispettive attività in concreto svolte» (75).
Note:
(69) Cass. 14 novembre 2002, n. 16023, in questa Rivista, 2003, 256, con nota di A. Fabrizio-Salvatore,
L’avvocato e la responsabilità da parere.
(70) Cass. 14 novembre 2002, n. 16023, cit.
(71) Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, cit.
(72) Per la quale si rinvia a A. e S. Baldassari, La responsabilità civile del professionista, cit., 192 ss. e
574 ss.
(73) L. Bigliazzi Geri, La buona fede nel diritto privato (spunti ricostruttivi), in AA.VV., Il principio di
buona fede, Milano, 1987, 55 s.
(74) Sul quale amplius R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense, cit., 38 ss. e G. Musolino, La responsabilità dell’avvocato e del notaio, cit., 469 ss.
(75) Trib. Roma 6 agosto 2002, in Riv. dir. comm., 2002, II, 407.
312
Danno e responsabilità 3/2009
Itinerari della giurisprudenza
Nesso causale,
ingiustizia del danno
e perdita di chance
È stato già richiamato l’orientamento, esemplificato dal pensiero di Piero Calamandrei, il quale
negava che l’errore professionale dell’avvocato potesse riverberarsi in un danno ingiusto per il
cliente in quanto ogni soccombenza in giudizio è necessariamente «consacrata in giudicato che,
per definizione, facit ius inter partes, cioè stabilisce irrevocabilmente ciò che in una determinata controversia deve valere per sempre come giusto» (76).
Già in sede di commento alla decisione della Corte d’Appello di Catania del 1° ottobre 1883, con
la quale si è inaugurato il presente itinerario, peraltro, un Autore dell’epoca aveva convincentemente riflettuto che da una sentenza potesse derivare un danno risarcibile, in quanto «se dal capriccio, o dall’arbitrio del giudice, dipendesse la riforma, o la conferma dell’appellata sentenza,
comprenderemmo l’eventualità e l’incertezza del danno, di cui non può tenersi alcuno responsabile. Ma se è vero che la pronuncia del magistrato deve essere conforme a giustizia, e che la
riforma perciò della sentenza appellata, dipende dalle buone ragioni che si hanno per farla riformare, è pur vero, che, potendosi valutare siffatte ragioni, sparisce l’incertezza e l’eventualità del
danno» (77).
È stato d’altro canto già anticipato che a lungo la giurisprudenza ha posto condizioni estremamente rigide per l’affermazione della responsabilità del professionista forense: accanto ad una
rigorosa valutazione della colpa, infatti, a lungo è stata ritenuta necessario provare il nesso causale fra l’errore professionale ed il pregiudizio asseritamente sofferto in termini di certezza (78).
Ad esempio, in un caso in cui il legale, ritenendo applicabile un termine di prescrizione errato,
aveva provocato l’estinzione del diritto del proprio cliente alla percezione di una rendita per un
infortunio sul lavoro, fu fatto gravare sull’attore l’onere della prova che «il risultato stesso si sarebbe con certezza ottenuto, onde trarne la conseguenza che il mancato conseguimento dipendeva dalle irregolarità della prestazione di opera professionale con rapporto di causa ad effetto, secondo le ordinarie regole sul nesso di causalità» (79).
Tale indirizzo, sostenuto talvolta da statuizioni anche recenti, richiedeva la dimostrazione del «sicuro e chiaro fondamento dell’azione che si intendeva promuovere o che era stata promossa e
non fu diligentemente coltivata» per avere « la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente» (80).
Progressivamente, un nuovo orientamento ha condotto ad un’estensione della causalità giuridicamente rilevante, del resto in linea con una tendenza ampiamente riscontrata anche in altri
contesti omogenei, come in primis la responsabilità sanitaria (81), che non a caso è stata più volte citata come tertium comparationis in questo itinerario.
È perciò venuto consolidandosi il principio conformemente al quale «posto che, in materia di responsabilità per colpa professionale, al criterio della certezza degli effetti della condotta si può
sostituire, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta del professionista e l’evento, quello della probabilità di tali effetti e dell’idoneità della condotta a produrli, il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe
avuto non già la certezza, bensì serie ed apprezzabili possibilità di successo» (82). Tale valutazione deve essere effettuata avuto riguardo all’andamento effettivo del processo (83).
L’aleatorietà dell’esito della controversia e, in generale, la presenza di una molteplicità di fattori
che possono aver inciso sull’iter eziologico del danno, derivante da errata attività forense, di cui
in giudizio si reclama il risarcimento, peraltro, nonostante il progressivo abbassamento del livello probatorio richiesto, hanno continuato a costituire a lungo un ostacolo al risarcimento.
In linea con tendenze già riscontrate in altri settori (84), pertanto, si è affermato l’utilizzo della
responsabilità per perdita di chances di vittoria del giudizio.
In qualche modo, l’uso della chance nella responsabilità professionale dell’avvocato era già sta-
Note:
(76) P. Calamandrei, Limiti di responsabilità del legale negligente, in Riv. dir. proc., 1931, II, 263.
(77) F. Ricci, nota a App. Catania 1° ottobre 1983, cit.
(78) Cfr. R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense, cit., 160 ss.
(79) Cass. 29 novembre 1968, n. 3848, in Arch. civ., 1971, 184.
(80) Ex multis, Cass. 28 aprile 1994, n. 4044, in Resp. civ. e prev. 1994, 635, Cass. 13 dicembre 1969, n.
3958, cit., Cass. 10 agosto 1991, n. 8728, in Corr. giur., 1991, 1319.
(81) Cfr., se vuoi, Nocco, Recenti evoluzioni sul nesso di causalità in responsabilità sanitaria, in Comandé, Turchetti (a cura di), La responsabilità sanitaria. Valutazione del rischio e assicurazione, Cedam,
Padova, 2004, 44 ss.
(82) Cass. 6 febbraio 1998, n. 1286, cit. e Cass. 18 aprile 2007, n. 9238, cit.
(83) Ex plurimis, Cass. 19 novembre 2004, n. 21894, in Resp. e risarc., 2005, 1, 12, con commento di L.
Nocco, L’inerzia del professionista diventa rilevante quando incide sul possibile esito dei giudizi.
(84) Cfr. amplius M. Feola, Il danno da perdita di chances, cit. e M. Lo Moro Biglia, Il risarcimento della chance frustrata. Un itinerario incrementale, Napoli, 2006.
Danno e responsabilità 3/2009
313
Itinerari della giurisprudenza
to preconizzato da Calamandrei, il quale, notata la mancanza, fra la colpa dell’avvocato e il danno, di «un nesso di causalità che permetta di considerare la soccombenza come un effetto diretto ed immediato dell’atto illecito», ipotizzava una quantificazione astratta del pregiudizio tenendo conto del numero delle sentenze riformate in appello, secondo il seguente ragionamento: «Se la statistica giudiziaria (…) ci dice, per esempio, che su cento appelli interposti, quaranta sono in media accolti, si può ritenere che l’appellante (…) avrebbe avuto quaranta possibilità
su cento di vincere la causa» (85).
Non è stata questa, ovviamente, la strada prescelta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale
ha adottato, invece, «un criterio prognostico basato sulle concrete ragionevoli possibilità di risultati utili, assumendo come parametro di valutazione il vantaggio economico complessivamente realizzabile dal danneggiato diminuito d’un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di possibilità di conseguirlo e deducibile, questo, caso per caso, dagli elementi costitutivi della situazione giuridica dedotta o, ove tale criterio risulti di difficile applicazione, con ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 c.c.» (86).
Pertanto, nel caso di accertamento di un nesso causale tra l’errore professionale ed il pregiudizio, quest’ultimo dovrà essere interamente risarcito. Nel caso in cui, invece, l’errore abbia solamente fatto perdere al cliente solo talune possibilità di fruire del bene della vita, il ristoro sarà
commisurato alle medesime.
Tale soluzione in seguito si è definitivamente consacrata anche nella giurisprudenza di merito
nei termini seguenti: «La responsabilità professionale dell’avvocato è ravvisabile quando si accerti un nesso eziologico tra la condotta negligente-imprudente-imperita del professionista e il
mancato raggiungimento del risultato sperato dal cliente; il giudice, pertanto, deve verificare caso per caso le concrete possibilità di successo dell’azione giudiziaria e conseguentemente le
«chances» di vittoria che l’avvocato con la sua condotta ha fatto perdere al cliente» (87).
Si deve rammentare, infine, ancora una volta avvalendoci del parallelismo con la responsabilità
sanitaria, un recente orientamento giurisprudenziale di legittimità (88) che distingue nettamente l’accertamento della causalità in sede penale ed in sede civile, affermando, in estrema sintesi, che il criterio di valutazione del nesso causale “oltre ogni ragionevole dubbio” (89) si applica
esclusivamente al diritto penale.
In questa sede ciò che rileva è notare come si prospetti la possibilità di una riduzione dell’ambito applicativo della perdita di chance in quanto, atteso che la causalità civile «si arresta su soglie
meno elevate di accertamento contro fattuale» e che, pertanto, è sufficiente provare che è “più
probabile che no” che l’evento dannoso sia stato causato dalla condotta “incriminata” per ottenere l’intera posta risarcitoria, la possibilità di riparazione della chance dovrebbe coerentemente essere limitata ai casi in cui la percentuale di probabilità di vittoria, frustrata dalla negligenza dell’avvocato, fosse inferiore al 50% (90).
Note:
(85) Calamandrei, Limiti di responsabilità del legale negligente, cit., 264.
(86) Cass. 13 dicembre 2001, n. 15759, in Giust. civ., 2002, I, 1285 e Cass. 22 novembre 2004, n. 22026,
in Dir. e prat. trib., 2005, 2, 9, con nota di Visintini, fattispecie in realtà riguardante un caso di responsabilità di un commercialista per mancata impugnazione di avvisi di accertamento fiscale asseritamente infondati.
(87) G.d.P. Catanzaro 14 dicembre 2007, inedita.
(88) Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619, in Corr. giur., 2008, 35, con commento di M. Bona, Causalità civile: il decalogo della Cassazione a due “dimensioni di analisi” ed in questa Rivista, 2008, 43, con commento di R. Pucella, Causalità civile e probabilità: spunti per una riflessione e Cass. 19 maggio 2006, n.
11755, in questa Rivista, 2006, 1238, con commento di L. Nocco, Causalità: dalla probabilità logica
(nuovamente) alla probabilità statistica: la Cassazione civile fa retromarcia,
(89) Sul quale Cass. pen., sez. un., 11 settembre 2002, n. 30328, in questa Rivista, 2003, 195, con commento di S. Cacace, L’omissione del medico e il rispetto della presunzione d’innocenza nell’accertamento
del nesso causale.
(90) Parte della giurisprudenza amministrativa, nell’ipotesi di perdita di chance di superamento di un
concorso pubblico, limita il risarcimento al caso in cui la detta chance sia stimata superiore al 50%. Da
ultimo, T.a.r. Liguria 13 marzo 2007, n. 483, in Riv. imp. dirig. pubbl., 2007, 88, con nota di S. Nespor,
Perdita di chance e risarcimento del danno. Adottando questo indirizzo, non vi sarebbe più alcuno spazio per la perdita di chance di guarigione.
314
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Tutela dei consumatori
Responsabilità da prodotto difettoso
Il rogo di una Laguna: la
responsabilità da prodotto
difettoso della Renault S.A.
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA, 14 ottobre 2008 - G.I. A. Vella
La responsabilità del produttore per danni causati da difetti del suo prodotto viene in considerazione, nella
direttiva comunitaria e nella normativa italiana di attuazione, come responsabilità extracontrattuale di tipo
oggettivo: il produttore diviene automaticamente responsabile dei danni causati dal bene che ha fabbricato, a
partire dal momento in cui lo mette in commercio, con l’unico correttivo derivante dal fatto che, perché il produttore venga concretamente ritenuto responsabile, è necessaria comunque la presenza nel prodotto di un
difetto, del danno e del nesso di causalità tra l’uno e l’altro, dei quali il danneggiato deve dare la prova.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. civ. 8 ottobre 2007, n. 20985; Cass. civ. 19 luglio 2008, n. 20062.
Difforme
Cass. civ. 15 marzo 2007, n. 6007
Svolgimento del processo
...Omissis...
Motivi della decisione
Va preliminarmente affrontata la questione relativa alla
legittimazione passiva della Renault S.p.a..
Ora, secondo l’indicazione ripetutamente proveniente
dal giudice di legittimità, “il secondo comma dell’art.
1494 cod. civ. non riguarda qualsiasi danno giuridicamente rilevante causato dai vizi della cosa, ma si riferisce
alla sola lesione degli interessi connessi con il vincolo negoziale e con esclusione, quindi, del pregiudizio arrecato
agli interessi del compratore che, essendo sorti al di fuori
del contratto, hanno la consistenza di diritti assoluti”
(Cass. 28 luglio 1986 n. 4833; Cass., 13 marzo 1980 n.
1969 e più recentemente, Cass., 5 febbraio 1998 n.
1158).
LA responsabilità contrattuale delineata dagli artt. 1490
c.c. e seguenti ed in particolare dall’art. 1494 c.c. è dunque attivabile soltanto in presenza di una lesione di “interessi connessi al vincolo negoziale, area a cui sono evidentemente estranei gli interessi sullo sfondo dei quali si
muove la pretesa risarcitoria azionata dagli odierni attori
che è in vero diretta a conseguire il ristoro di danni riconducibili ad una lesione del diritto alla salute e cioè di
un diritto che ha la “consistenza di un “diritto assoluto”,
ovviamente sorto “al di fuori del contratto”.
Non è dunque operante - in relazione al danno allegato
dagli attori - la responsabilità “contrattuale” in ipotesi
Danno e responsabilità 3/2009
fondata sulla disciplina dettata dal codice civile in materia di contratto di compravendita.
…Omissis…
Sussiste, invece, la legittimazione passiva della Renault
S.A., atteso che gli attori invocano a fondamento della
loro pretesa la normativa relativa ai difetti di fabbricazione della cosa.
…Omissis…
La responsabilità del produttore per danni causati da difetti
del suo prodotto viene in considerazione, nella direttiva comunitaria e nella normativa italiana di attuazione, come responsabilità extracontrattuale di tipo oggettivo: il produttore diviene automaticamente responsabile dei danni causati
dal bene che ha fabbricato, a partire dal momento in cui lo
mette in commercio, con l’unico correttivo derivante dal
fatto che, perché il produttore venga concretamente ritenuto responsabile, è necessaria comunque la presenza nel prodotto di un difetto, del danno e del nesso di causalità tra l’uno e l’altro, dei quali il danneggiato deve dare la prova.
…Omissis…
Nel merito, i fattori ivi indicati quali possibili (nel senso
che sono stati riscontrati indizi concreti e ragionevolmente fondati della loro ricorrenza) cause del danno, corrispondono certamente ai difetti dell’autovettura.
La prova del difetto coincide, infatti, con la insicurezza
del prodotto.
...Omissis...
E ritiene ulteriormente questo Giudice sulla base della
documentazione in atti nonché tenuto conto di tutte le
315
Giurisprudenza
Tutela dei consumatori
risultanze probatorie - soprattutto le emergenze di cui alle diverse perizie prodotte, non solo della c.t.u. - che non
appare neanche probabile che il difetto non esistesse al
momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione.
Ed infatti, gli indizi emersi dall’istruttoria, depongono nel
senso della sussistenza originaria (di produzione) del difetto, non risultando - parimenti - supportati da elemen-
ti indiziari fattuali le ipotesi alternative idonee ad esonerare da responsabilità il produttore.
...Omissis...
Quindi l’evento di cui è stato vittima omissis è stato causato da un vizio di produzione o progettazione dell’autoveicolo.
...Omissis...
IL COMMENTO
di Alessandra Pera
La giurisprudenza in tema di danno da prodotto difettoso ha oscillato su posizioni non sempre coerenti tra
loro e, talvolta, lontane dal dato normativo. Il Tribunale di Caltanissetta, nella pronuncia in esame, aderisce
ad un recente orientamento della Corte di Cassazione, che, in tema di onere della prova, si mostra rispettoso della natura oggettiva della responsabilità e della posizione del consumatore danneggiato.
Il caso
Con la sentenza in commento, il Tribunale di Caltanissetta ha condannato la Renault SA, casa madre
francese, al risarcimento dei danni, patrimoniali e
non patrimoniali, subiti dai congiunti ed eredi di un
giovane ragioniere, impiegato in banca, morto nel
rogo della propria autovettura Renault Laguna.
Secondo quanto dedotto dagli attori ed accertato in
istruttoria, a mezzo di consulenza tecnica, il rogo era
scoppiato a causa di un difetto di fabbricazione del
collettore dell’aspirazione e dell’impianto di alimentazione.
La sentenza in esame si colloca nell’ambito di un filone interpretativo giurisprudenziale consolidato,
ma non troppo, e condiviso dalla dottrina (1), che
riconosce il risarcimento del danno cagionato ai
consumatori da prodotti difettosi, inquadrando la
responsabilità del produttore nell’alveo della responsabilità oggettiva.
Dunque, l’interprete, ai fini della configurabilità della responsabilità, deve accertare la sussistenza di un
rapporto di causalità tra difetto del prodotto e danno,
non rilevando, invece, la colpa del produttore.
In proposito, è stato rilevato dalla dottrina che il legislatore italiano, nell’attuare la direttiva Cee n.
85/374, con il d.P.R. 224/1988, poi trasfuso nel Codice del Consumo, seguendo gli obiettivi prescritti
dallo strumento comunitario di armonizzazione, ha
superato il concetto di colpa, quale esclusivo criterio
di imputazione del fatto illecito, offrendo una tutela
effettiva ed efficace anche in quelle ipotesi nelle
quali per il consumatore e l’utente diventa impossibile provare la negligenza, imprudenza o imperizia
del produttore (2).
316
La sentenza del Tribunale di Caltanissetta risulta di
particolare interesse in ordine a due diverse questioni che il Giudice si trova ad affrontare nel caso di
specie: la prima, riguardante l’individuazione del
soggetto legittimato passivamente al risarcimento;
la seconda, relativa al regime ed ai limiti in tema di
onere della prova e, quindi, alla natura della responsabilità del produttore in caso di difetto di costruzione o fabbricazione del prodotto (3).
Legittimazione passiva
In ordine alla legittimazione passiva occorre precisare che gli attori, eredi del proprietario e conducente
Note:
(1) R. Pardolesi - A. Palmieri, Difetti del prodotto e del diritto privato europeo, in Foro it., 2002, IV, 300; F. Di Giovanni, in G. Alpa
e altri, La responsabilità per danno da prodotto difettoso, Milano,
1990, 137-138; P. Cendon - P. Ziviz, La prova del difetto, in La responsabilità del produttore, a cura di G. Alpa e P. Cendon, Padova, 1989, 163-164; A. Gorassini, Contributo per un sistema di responsabilità del produttore, Milano, 1990, 254; G. Stella, La responsabilità del produttore per danno da prodotto difettoso nel
nuovo codice del consumo, in Resp. civ. e prev., 2006, 16051606; P.G. Monateri, Illecito e responsabilità civile, in Bessone,
Tratt. dir. priv., X, t. 2, Torino, 2002, 259; C. Castronovo, Voce
Danno da prodotti - Dir. it. e stran., in Enc. giur., X, 1995, 11.
(2) R. Pardolesi - G. Ponzanelli (a cura di), in Nuove Leggi civ.,
1989, 593; R. D’Arrigo, La responsabilità del produttore: profili
dottrinali e giurisprudenziali dell’esperienza italiana, 2006, Milano, passim.
(3) Per una attenta classificazione delle tipologie di difetto del
prodotto: 1) difetto di fabbricazione o manifacturing defect; 2) difetto di progettazione o design defect; 3) difetto di informazione
o information defect; e per una analisi puntuale di come il tipo di
difetto abbia delle conseguenze in tema di onere probatorio, anche in un’ottica comparatistica, cfr. G. Ponzanelli, La responsabilità del produttore negli Stati Uniti d’America, in questa Rivista,
1999, 1065.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Tutela dei consumatori
della Renault Laguna, hanno proposto l’azione sia
nei confronti della Renault SA, sia nei confronti
della Renault Italia S.p.a..
La casa madre francese, però, ha eccepito il proprio
difetto di legittimazione passiva, deducendo che il
rapporto contrattuale di compravendita della autovettura era intercorso tra il defunto e la Renault Italia S.p.a., per il tramite del concessionario locale, e
che gli attori avrebbero dovuto attivare la garanzia
per vizi, ai sensi degli articoli 1490 e ss. c.c., con le
conseguenze che sarebbero derivate, non solo in tema di soggetto obbligato al risarcimento, ma anche
in tema di denuncia dei vizi, di prescrizione e decadenza.
Il Tribunale di Caltanissetta, ha escluso l’applicabilità al caso concreto di tale disciplina più restrittiva
per il consumatore. In particolare, il Tribunale ha
chiarito che la responsabilità contrattuale, invocata
dalla convenuta, sorge soltanto nell’ipotesi di violazione di interessi connessi al vincolo negoziale, e
che, la sfera di diritti ed interessi, sui quali si fonda
la pretesa risarcitoria degli attori, è riconducibile ad
una lesione del diritto alla salute, ovvero di un diritto assoluto, sorto al di fuori del rapporto contrattuale dedotto dalla convenuta.
In altri termini, il Giudice di merito ha ritenuto di
condividere la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale, i danni risarcibili ex art.
1494, comma 2, c.c., non sono tutti i danni causati
dai vizi della cosa, ma soltanto i danni causati dalla
lesione di interessi connessi al vincolo negoziale.
Restano esclusi da tale norma, ma tutelati per altra
via, gli interessi del compratore sorti fuori dal contratto ed aventi la natura di diritti assoluti (4).
Non può, comunque, escludersi il concorso tra gli
strumenti risarcitori “tradizionali” e le forme di tutela previste a livello comunitario ed attuate, successivamente, in Italia (5).
Il consumatore-danneggiato potrà scegliere lo strumento risarcitorio più efficace ed efficiente nel caso
concreto. Ed infatti, lo stesso legislatore italiano stabilisce che la tutela offerta non esclude, né limita «i
diritti che siano attribuiti al danneggiato da altre
leggi» (6), garantendo strumenti concorrenti (7).
Quindi, tornando al caso in esame, secondo la disciplina in materia di danno da prodotto difettoso (8),
invocata davanti al Tribunale di Caltanissetta, il
soggetto passivamente legittimato, contro cui va
proposta l’azione, è il fabbricante del bene (9), restando escluso l’intermediario dello scambio, che è
soggetto logicamente e giuridicamente diverso dal
produttore (10).
Più precisamente, «a rispondere del danno provoca-
Danno e responsabilità 3/2009
to dai difetti di un prodotto - e in particolare di quelli cagionati dalla morte o da lesioni personali - è il
produttore e cioè il fabbricante del prodotto finito o
di una sua componente (…), con la responsabilità
del produttore potendo eventualmente concorrere
quella dell’importatore nella Comunità europea
(…) (non essendo tecnicamente importazione quella all’interno dei paesi membri) o quella del fornitore, ma solo laddove il produttore non sia individuato».
Natura della responsabilità
Decisa così la questione preliminare, inerente la legittimazione passiva, il Giudice di Caltanissetta, entra nel vivo della problematica riguardante il modello di responsabilità extracontrattuale oggettivo, preNote:
(4) In tal senso, Cass. 28 luglio 1986 n. 4833, in Vita not., 1986,
1253; Cass. 13 marzo 1980, n. 1696, in Mass. Giur. it., 1980, 3,
1460; ed ancora Cass. 5 febbraio 1998, n. 1158, in Giur. it., 1999,
32; ed in Dir. econ. assicur., 1999, 243, con nota di D. De Strobel.
(5) G. Ponzanelli, Dal biscotto alla mountain bike: la responsabilità da prodotto difettoso in Italia, in Foro it., I, 1994, 258; S. Bastianon, Responsabilità del produttore per prodotti difettosi.
Quale tutela per il consumatore?, in Resp. civ. e prev., 2002, 45, 997.
(6) Cfr. art. 127 del Codice del Consumo.
(7) Sul dibattito in dottrina, conseguente anche alla sentenza della Corte di Giustizia del 25 aprile 2002, causa C-183/00, si vedano, tra gli altri, A. L. Bitetto, Responsabilità da prodotto difettoso: strict liability o negligence rule, in questa Rivista, 2006, 285;
V. Lenoci, Luci ed ombre della normativa europea in materia di
responsabilità per danno da prodotti difettosi, in Nuov. giur. civ.
comm., 2003, I, 134-138; M.E. Arbour, Corte di giustizia e protezione delle tradizioni giuridiche nell’interpretazione della Direttiva CEE/374/85, sempre in questa Rivista, 2003, 379.
(8) Cfr. articoli 114 e ss. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
(9) Così di recente, sempre in tema di legittimazione passiva e di
rapporti tra fabbricante e fornitore, cfr. Cass. 19 luglio 2008, n.
20062, in Resp. civ., 2008, 12, 1043. In dottrina, U. Carnevali,
Prodotti difettosi, pluralità di produttori e disciplina dei rapporti
interni, in Resp. civ. e prev., 2004, 3, 646.
(10) In proposito, la Corte di Giustizia, con la sentenza del 14
marzo 2006, causa C-177/04, ha chiarito che la responsabilità oggettiva da prodotto difettoso grava esclusivamente sul fabbricante e che, soltanto eccezionalmente, nel caso in cui il distributore abbia volontariamente nascosto l’identità del produttore, risponderà in luogo di quest’ultimo. Per la dottrina francese, J.S.
Borghetti, Contrats et responsabilité. Le responsabilité des fornisseurs du fait du défaut de sécurité de leurs produits, in Revue
des contrats, 2006, 835-840. Sul modello francese, vd. anche G.
Alpa, Brevi osservazioni sulla legge francese del 19 maggio
1998, relativa alla responsabilità per prodotti difettosi, in Resp.
civ. e prev., 1998, 4-5, 1252. Per un’analisi della disciplina tedesca, U. Carnevali, La novella tedesca sulla responsabilità del produttore di farmaci, in Resp. civ. e prev., 2003, 2, 291. Per un approccio giuseconomico e comparato anche del modello americano in tema di apportionament of liability, cfr. B. Tassone, La ripartizione di responsabilità nell’illecito civile, Napoli, 2007, passim.
317
Giurisprudenza
Tutela dei consumatori
visto dal Codice del Consumo, precisando che si
tratta di un modello che esclude la necessità di
un’indagine in ordine all’elemento soggettivo in capo al produttore e che consente «il superamento degli angusti limiti che la legislazione comune e la giurisprudenza precedente imponevano al danneggiato
per ricondurre la fattispecie nell’alveo della responsabilità contrattuale ovvero in quello della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.».
Dunque, esclusa la colpa, quale criterio di imputazione della responsabilità, il Tribunale ritiene il produttore automaticamente responsabile dei danni
causati dal bene che ha fabbricato, nel momento in
cui lo mette in commercio, ove sussistano il difetto,
il danno ed il nesso di causalità tra l’uno e l’altro, ed
il danneggiato sia in grado di offrirne la prova.
Il difetto di fabbricazione si verifica quando il prodotto non è conforme alla sua progettazione originaria, nonostante nella preparazione e nella commercializzazione dello stesso sia stata usata la migliore
diligenza.
La dottrina italiana (11) e nord americana (12) concordano nel ritenere che la responsabilità che deriva
da tale difetto è di tipo oggettivo puro, nella misura
in cui - come sopra accennato - è sufficiente, per ottenere il risarcimento del danno, provare che il danno è stato cagionato dal prodotto che presenta differenze rispetto a quello originariamente progettato,
restando esclusa l’indagine se tale difetto dipenda da
negligenza, imprudenza o imperizia del fabbricante
(13).
Inoltre, secondo l’articolo 117 del Codice del Consumo, un prodotto è difettoso se non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto
conto di una serie di circostanze, tra cui: b) l’uso al
quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato ed i comportamenti che, in relazione ad esso, si
possono ragionevolmente prevedere.
Tale norma è stata interpretata sia dalla giurisprudenza di merito (14) che da quella di legittimità nel
senso che «il danno subito da colui che si serve di
una cosa può essere addebitato ad un difetto di costruzione della cosa medesima solo se questa è stata
usata secondo la destinazione che il produttore poteva ragionevolmente prevedere e se il comportamento tenuto dall’utente (e dal quale il danno è dipeso) era ragionevolmente prevedibile, a meno che
l’utente non fosse stato posto in grado di rappresentarsi che taluni di quei modi d’uso andavano in concreto evitati perché si sarebbe potuta determinare
una situazione foriera di danno» (15).
Nel caso proposto innanzi al Tribunale siciliano,
però, gli accertamenti tecnici condotti nella fase
318
istruttoria, non solo hanno portato a concludere nel
senso della difettosità della Renault Laguna, ma
hanno chiarito che il danneggiato, in occasione del
sinistro, viaggiava in autostrada, ad una velocità
adeguata allo stato dei luoghi, nei limiti previsti dalla legge, mantenendo una condotta di guida conforme a diligenza ed utilizzando, quindi, il bene nel modo in cui “ragionevolmente” ci si aspetterebbe che
venga utilizzato.
In particolare, gli elementi indicati dal c.t.u. quali
cause del danno, secondo il Giudice «corrispondono
certamente a difetti dell’autovettura» e «la prova
del difetto coincide con la insicurezza del prodotto»
(16).
Secondo una certa dottrina (17), in effetti, il modello italiano si dimostra peculiare - rispetto a quello introdotto dalla direttiva comunitaria - nella misura in cui pone particolare attenzione sui danni derivanti da difetto di fabbricazione. Ciò in quanto, riconosce la difettosità di un prodotto tutte le volte in
cui lo stesso non offre la sicurezza “tipica” degli
esemplari della medesima serie. In tali ipotesi la prova del difetto risulta più agevole in tutti i casi in cui
il confronto tra il prodotto normale e quello che ha
arrecato il danno evidenzia immediatamente l’esistenza del difetto.
Ed infatti, il difetto del prodotto si identifica con la
mancanza dei requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall’utenza in relazione alle circostanze.
Note:
(11) G. Ponzanelli, La responsabilità del produttore, cit., 1065.
(12) D. Owen, Il terzo Restatement, in questa Rivista, 1999,
1066.
(13) G. Ponzanelli, La responsabilità del produttore, cit., 1065,
1066.
(14) Cfr. Trib. Monza 20 luglio 1993, in Foro it., 1994, I, 251.
(15) Cfr. Cass. 29 settembre 1995, n. 10274, in questa Rivista,
1996, 87, con nota di M. Cossu. La S.C. ha escluso la responsabilità del produttore per il danno subito da un ragazzo dodicenne
che, oscillando in piedi sui braccioli di un’altalena, si era appoggiato allo snodo superiore di una delle due sbarre di sostegno del
sediolino, subendo l’amputazione di un dito della mano accidentalmente introdotto nel punto di frizione delle lamiere.
(16) Più precisamente, «è difettosa quell’autovettura, perché del
tutto priva del requisito della sicurezza, nel cui vano motore si
produce un incendio, provocando un’esplosione all’interno del
collettore di aspirazione dell’aria, sia che ciò sia riconducibile alla
mancata tenuta di alcune valvole di aspirazione, sia che debba ricondursi ad un anomalo funzionamento del sistema di aspirazione dei vapori di benzina, condividendosi - sul punto - per la loro
logicità, esaustività e linearità - le conclusioni del c.t.u., pienamente compatibili sia con le risultanze testimoniali in atti che
con le risultanze delle altre perizie svolte nel parallelo processo
penale e prodotte dalle parti». Cfr. Trib. Caltanissetta 14 ottobre
2008, n. 565.
(17) A.L. Bitetto, La responsabilità del produttore: da mera comparsa a protagonista, in Riv. crit. dir. priv., 2008, 1, 146.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Tutela dei consumatori
La Corte di Cassazione, in proposito, seppure attraverso declamazioni coerenti con la regola enunciata,
ha assunto posizioni non sempre coerenti tra loro e
foriere di soluzioni operazionali dagli esiti contrastanti.
In particolare, la S.C., seppure invocando detto
principio di responsabilità oggettiva, ha, comunque,
ritenuto che «il danno non prova indirettamente, di
per sé, la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore se non sia anche
in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del
livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia» (18).
Con tale sentenza la Corte ha negato il risarcimento dei danni richiesti da una donna ad un’impresa
produttrice di tinture per capelli, ritenendo che la
legislazione nazionale e quella comunitaria non impongono solo la prova del nesso di causalità tra la
detenzione del prodotto o la sua utilizzazione e l’evento.
In altri termini, secondo la Corte la normativa in
esame «lega la speciale responsabilità del produttore
(…) al nesso di causalità tra il danno ed il difetto del
prodotto al quale (difetto) viene così attribuito il carattere di un prerequisito della responsabilità e la
funzione delimitativa dell’ambito di applicazione di
tale responsabilità che, proprio perché tale, piuttosto che causa di esonero della responsabilità, spetta
al danneggiato provare secondo il principio sull’onere della prova stabilito dall’art. 2697 c.c. e la regola, quindi, che pone a carico di colui che intende
fare valere un diritto l’onere di provare gli elementi
costitutivi di tale diritto».
È evidente che una tale interpretazione frustra la ratio legis, la natura stessa ed i fini del modello di responsabilità oggettiva, in quanto pone ancora una
volta a carico del danneggiato una prova particolarmente onerosa e restringe, in concreto, i limiti di
operatività della tutela prevista sia a livello comunitario che nazionale.
Il Tribunale di Caltanissetta, nella sentenza in commento, invece, si mostra sensibile ad una interpretazione più aderente al tessuto normativo di riferimento, evidenziando che la regola legale prevede
che la responsabilità del produttore è esclusa quando il difetto non esisteva al momento della messa in
circolazione del prodotto, ovvero quando il difetto
sia sorto successivamente per causa non imputabile
al produttore.
Tuttavia, sulla base della c.t.u. e delle altre risultan-
Danno e responsabilità 3/2009
ze istruttorie, il Giudice di merito ha escluso che sia
stato provato che il difetto possa essere derivato dall’intervento di un terzo (id est installazione dell’autoradio e dell’antifurto) o che lo stesso non esistesse
al momento in cui il prodotto era stato messo in circolazione.
Il Tribunale siciliano, quindi, ha condiviso l’opzione
ermeneutica per cui «il danneggiato deve dimostrare (…) che l’uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative» (19),
evidenziando che il thema probandum degli attori
consiste nell’insicurezza dell’autovettura, che si
estrinseca nella circostanza che la stessa abbia preso
fuoco a causa del difetto dell’impianto di aspirazione
e/o alimentazione.
Nel caso di specie, l’ausilio della consulenza tecnica
ha consentito di individuare uno specifico vizio del
prodotto (difetto di fabbricazione), che lo differenzia dagli altri beni della stessa serie, quindi, la valutazione di difettosità è automatica, in quanto, il produttore, da parte sua, non ha dimostrato la sussistenza di alcuna delle cause di esclusione della responsabilità.
Più precisamente, il Giudice ha costruito una motivazione che circoscrive l’onere probatorio del consumatore alla nozione normativa di prodotto difettoso, per cui, acquisita la prova dell’insicurezza del
prodotto, i danneggiati hanno - attraverso la c.t.u. dimostrato il nesso di causalità tra difetto e danno,
ovvero il nesso di causalità materiale tra il difetto
del collettore dell’aspirazione e dell’impianto di alimentazione ed il rogo e tra quest’ultimo e la morte
della giovane vittima.
Il Tribunale, quindi, aderendo ad un orientamento
“illuminato” della Corte di Cassazione (20), ha ritenuto che gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria deponessero «nel senso della sussistenza originaria (di produzione) del difetto, non risultando - parimenti - supportati da elementi indiziari fattuali le
ipotesi alternative idonee ad esonerare da responsabilità il produttore».
La presunzione generale di responsabilità del produttore può essere superata, ove quest’ultimo riesca
Note:
(18) Cfr. Cass. 15 marzo 2007, n. 6007, in Resp. civ. e prev.,
2007, 15787, con nota di M. Gorgoni, Responsabilità per prodotto difettoso: alla ricerca della (prova della) causa del danno. Per
un’opzione interpretativa che assicura una più ampia tutela, si
veda, invece, Cass. 8 ottobre 2007, n. 20985, in Resp. civ. e
prev., 2008, 2, 354, con nota di U. Carnevali, Prodotto difettoso
e oneri probatori del danneggiato.
(19) Cass. 8 ottobre 2007, n. 20985, cit.
(20) Il riferimento è a Cass. 19 luglio 2008, n. 20062, cit.
319
Giurisprudenza
Tutela dei consumatori
a provare una delle cause tassative di esclusione, ma
il rischio dell’impossibilità di raggiungere la prova
del fatto “scriminante” (21) non può che gravare
sullo stesso produttore, trattandosi, peraltro, di circostanze connesse alla sua propria sfera di azione
(22).
Per il consumatore, infatti, dimostrata la insicurezza
del prodotto, ulteriore condizione necessaria, ma
senza dubbio sufficiente, ai fini del risarcimento,
consiste nella prova che gli effetti materiali o fisici
derivati dal difetto hanno causato il danno, ovverosia che gli effetti costituiscono la causa prossima del
danno, mentre la causa remota è il difetto in sé.
Pertanto, essendo stato provato il nesso causale tra
gli effetti materiali del difetto (incendio-difetto del
collettore) e la menomazione dell’integrità fisio-psichica del danneggiato, in assenza della prova liberatoria, volta ad escludere la responsabilità della fab-
320
bricante, il Tribunale ha liquidato il risarcimento
dei danni ai congiunti ed eredi del danneggiato.
In conclusione, quindi, in tema di onere della prova,
il Tribunale di Caltanissetta, seguendo un iter logico
argomentativo, che si condivide, poiché maggiormente coerente con la regola legale e più rispettoso
della natura oggettiva che si riconnette alla forma di
responsabilità in esame, ha ritenuto che l’evento di
cui è stato vittima il conducente-proprietario della
Renault Laguna è stato causato da un vizio di produzione o progettazione dell’autoveicolo.
Note:
(21) Per un approccio penalistico alla responsabilità del fabbricante, vd. C. Piergallini, La responsabilità del produttore: una
nuova frontiera del diritto penale?, in Dir. pen. proc., 2007, 9,
249.
(22) Cfr. ancora Cass. 8. ottobre 2007, n. 20985, cit.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Sintesi
Osservatorio di legittimità
@
a cura di Antonella Batà e Angelo Spirito
RISARCIMENTO DANNI
COLPA
PRESUNTA
Cassazione civile, sez. III, 3 gennaio 2009, n. 479 - Pres.
Varrone - Rel. Petti - P.M. Destro (conf.) - S.R. c. Zurich International S.p.a.
La parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di
un incidente stradale ha diritto al risarcimento integrale
del danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto
come danno morale), che deve essere equitativamente
valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della
vittima, dell’entità delle lesioni e delle altre circostanze
che attengono alla valutazione della condotta dell’autore
del danno, ancorché vi sia accertamento del pari concorso
di colpa, ai sensi del secondo comma dell’art. 2054 c.c.
Il caso
In un grave incidente stradale uno dei conducenti delle vetture coinvolte perde la vita. Nel giudizio di risarcimento del
danno introdotto dagli eredi della vittima i giudici del merito,
facendo applicazione della presunzione di responsabilità di
cui al secondo comma dell’art. 2054 c.c., escludono la risarcibilità del danno non patrimoniale.
Propongono ricorso per cassazione gli eredi, sostenendo il
loro diritto all’integrale risarcimento del danno, non ostandovi che il giudice si sia avvalso della presunzione di pari responsabilità nella produzione dell’evento.
La decisione
La S.C. accoglie sul punto il ricorso, consolidando l’evolutivo
orientamento che sin dal 2003 afferma che alla risarcibilità
del danno non patrimoniale non osta il mancato accertamento della colpa dell’autore del danno, se essa, come nei casi di
cui all’art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistere in base ad
una presunzione di legge .
I precedenti
Tra le prime decisioni in tal senso, cfr. Cass. 12 maggio 2003,
nn. 7281, 7282 e 7283.
La dottrina
In argomento, cfr. E. Navarretta, Danni patrimoniali: il dogma
infranto ed il nuovo diritto vivente, in Foro it. 2003, I, 2274; A.
Carrino, Danno morale e presunzioni colpa: una convivenza
ormai possibile, in Giust. civ. 2004, I, 2377.
DANNI
NON PATRIMONIALI
Cassazione civile, sez. III, 3 gennaio 2009, n. 469 - Pres.
Varrone - Rel. Petti - P.M. Iannelli (conf.) - M.L. c. Azienza
Ospedaliera Sant’Anna di Como
Nella fattispecie di illecito (per responsabilità aquiliana o
Danno e responsabilità 3/2009
Il testo integrale delle sentenze contrassegnate
è disponibile su: www.ipsoa.it\dannoeresponsabilita
contrattuale (nel rispetto del principio del devolutum) da
cui derivi una lesione gravissima alla salute del neonato,
il danno morale richiesto iure proprio dai genitori deve
essere comunque risarcito come danno non patrimoniale, nell’ampia accezione ricostruita dalle S.U. come principio informatore della materia. Il risarcimento deve avvenire secondo equità circostanziata (art. 2056 c.c.), tenendo conto che anche per il danno non patrimoniale il
risarcimento deve essere integrale e tanto più elevato
quanto maggiore è la lesione che determina la doverosità dell’assistenza familiare ed un sacrificio totale ed
amorevole verso il macroleso.
Il caso
In un ospedale nasce un bambino totalmente paraplegico. I
suoi genitori citano in giudizio la ASL, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali, biologici e non patrimoniali. I
giudici del merito accertano la responsabilità dei sanitari nell’evento e procedono alla liquidazione del risarcimento richiesto, ad eccezione di quello non patrimoniale in favore dei genitori.
Questi propongono, allora, ricorso per cassazione, invocando
le recenti evoluzioni giurisprudenziali in tema di danno non
patrimoniale.
La decisione
La S.C. accoglie sul punto il ricorso, facendo riferimento alle
pronunzie delle sezioni unite che hanno riconosciuto il diritto
al risarcimento del danno ingiusto, direttamente ed immediatamente subito dai genitori del macroleso, in relazione alla gravità del fatto, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.
I precedenti
La sentenza in commento fa esplicito riferimento a Cass.
sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556, la quale, in un caso analogo
ha stabilito che ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso; ne consegue che in tal
caso il congiunto è legittimato ad agire iure proprio contro il
responsabile. In questo caso i genitori in proprio avevano
chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale per l’invalidità totale derivata al loro bambino dall’anossia e dalla successiva sindrome asfittica, di cui egli aveva sofferto al momento della nascita per dedotta responsabilità del medico e
della struttura sanitaria, dove la madre era stata ricoverata al
momento del parto.
La dottrina
A. Palmieri, Risarcimento del danno morale per la compromissione di un intenso gravame affettivo con la vittima di le-
321
Giurisprudenza
Sintesi
sioni personali, in Foro it., 2002, I, 3060; A. Ortolani, Il danno
morale riflesso in caso di lesioni, in Giur. it., 2003, 1359.
RESPONSABILITÀ CIVILE
OBBLIGO
DI CUSTODIA
Cassazione civile, sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1691 - Pres.
Filadoro - Rel. Federico - P.M. Lo Voi (conf.) A.V. c. Comune di Roma
La presunzione di responsabilità per il danno cagionato
dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall’art.
2051 c.c., è applicabile nei confronti dei Comuni, quali
proprietari delle strade del loro demanio, pur se tali beni
siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei
cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia
idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per
i terzi.
Il caso
Un motociclista, nel transitare per una strada cittadina, scivola su una macchia di gasolio sparso sull’asfalto, cade e si
procura gravi lesioni. Cita in giudizio il Comune per il risarcimento del danno, deducendo la violazione dell’obbligo di custodia della rete viaria urbana.
I giudici del merito respingono la domanda, ritenendo che la
fattispecie non possa essere inquadrata nel disposto dell’art.
2051 c.c., il quale sancisce una presunzione inapplicabile nei
confronti della P.A., con riferimento ai beni demaniali oggetto di uso generale ed ordinario da parte di terzi. Sostengono,
piuttosto, che debba farsi applicazione dell’art. 2043 c.c., che
impone di far sì che la strada aperta al pubblico transito non
integri per l’utente una situazione di pericolo occulto. In questo caso, però, il motociclista non ha compiutamente dimostrato l’esistenza di una insidia o di un trabocchetto tale da
rendere imprevedibile il pericolo.
La vittima propone, allora, ricorso per cassazione, insistendo
per l’applicazione della disposizione dell’art. 2051 c.c., con
conseguente presunzione di responsabilità a carico del Comune.
La decisione
La S.C. accoglie il ricorso, ricordando l’evoluzione subita dal
tema sin dalla sentenza della Corte cost. n. 156 del 1999, la
quale stabilì l’inapplicabilità della disciplina dell’art. 2051 c.c.
alla P.A. solo quando sul bene di sua proprietà non sia possibile (per la notevole estensione e le modalità d’uso diretto e
generale da parte di terzi) un continuo ed efficace controllo,
idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli
utenti. Di qui la necessità di un’indagine, da parte del giudice
del merito, che, con riferimento allo specifico caso, tenga
conto dei suddetti indici.
Ne è conseguita l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, nel senso che la configurabilità in concreto della custodia deve essere indagata non solo con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che la connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta. Caratteristiche tutte che condizionano le aspettative degli utenti, soprattutto quando le strade si trovano all’interno del perimetro urbano.
322
La S.C. aggiunge pure l’insostenibilità della tesi secondo cui
l’affidamento della manutenzione stradale in appalto alle imprese sottrarrebbe al Comune l’onere di sorveglianza e l’assegnerebbe, appunto, alle suddette imprese, che risponderebbero, dunque, direttamente in caso d’inadempimento. Infatti, il contratto d’appalto per la manutenzione delle strade
costituisce solo lo strumento tecnico - giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale proprio dell’ente territoriale di provvedere alla manutenzione stradale, ma
non esclude la responsabilità del Comune nei confronti degli
utenti, ai sensi dell’art. 2051 c.c.
I precedenti
Tra i precedenti sul tema, cfr. Cass., sez. III, 6 luglio 2006, n.
15384; Cass., sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3651.
La dottrina
P. Laghezza, Insidia e trabocchetto: un addio senza rimpianti,
in questa Rivista 2006, 1220; M. Capecchi, Il punto sulla responsabilità della P.A. per danni cagionati da beni demaniali,
in Nuova giur. civ. comm. 2007, I, 588; A. Carrato, Insidia
stradale: amministrazione responsabile ex art. 2051 c.c., in
Dir. e giust., 2006, 52; V. Amendolagine, La P.A. ed i danni
causati da res di cui la stessa è proprietaria o custode: responsabilità fondata sul neminem laedere o presunzione di
colpa?, in Corr. giur. 2006, 1727.
PROVA
LIBERATORIA
Cassazione civile, sez. III, 16 gennaio 2009, n. 993 - Pres.
Varrone - Rel. Uccella - P.M. Destro (conf.) - B.M.L. c. La
Rinascente S.p.a.
La responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni
cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, ai
fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il
nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso,
indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode
e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. La responsabilità del custode, in base alla suddetta norma, è
esclusa in tutti i casi in cui l’evento sia imputabile ad un
caso fortuito riconducibile al profilo causale dell’evento
e, perciò, quando si sia in presenza di un fattore esterno
che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé
prodotto l’evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso
da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale
(c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile,
ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima.
Il caso
Una signora, nell’esaminare la merce esposta in un supermercato, inciampa su una pedana coperta da un tappeto. Cade e si procura lesioni. Cita in giudizio la società proprietaria
del magazzino per il risarcimento del danno, deducendone la
responsabilità per violazione dell’obbligo di custodia, ex art.
2051 c.c.
I giudici del merito respingono la domanda, ritenendo che la
pedana ebbe un ruolo meramente passivo rispetto alla caduta, la quale era unicamente da attribuirsi alla disattenzione
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Sintesi
della signora, distratta nell’esaminare la merce esposta. Di
qui l’inoperatività della disposizione dell’art. 2051 c.c. (il danno non era stato provocato direttamente dalla cosa) e l’operatività della disposizione generale dell’art. 2043 c.c., rispetto alla quale l’infortunata non ha dimostrato il carattere insidioso della pedana e la sua effettiva impercettibilità.
La danneggiata propone allora ricorso per cassazione, insistendo per l’applicabilità della disposizione che attribuisce la
colpa presunta al supermercato ed il suo onere di liberarsene
mediate prova del fortuito.
La decisione
La S.C. respinge il ricorso. Pur dando atto dell’evoluzione giurisprudenziale secondo la quale la responsabilità ex art. 2051
c.c. ha carattere oggettivo, sicché ai fini della sua configurabilità è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in
custodia e l’evento dannoso (indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza), i giudici di legittimità ritengono
corretta la ricostruzione effettuata nel giudizio di merito, secondo cui l’evento si verificò per la condotta colposa della vittima. Questa, intenta ad esaminare la merce esposta, non
s’era resa conto della presenza della pedana (alta tra i 10 ed
i 15 cm.), che pure normalmente è utilizzata, nei magazzini
aperti al pubblico, per l’esposizione degli elettrodomestici.
Danno e responsabilità 3/2009
Circostanza, questa, che esclude pure la configurabilità della
responsabilità del gestore sotto il rilievo dell’insidia o del trabocchetto.
I precedenti
Tra le più significative sul tema, cfr. Cass., sez. III, 6 febbraio
2007, n. 2563, la quale ha confermato la sentenza impugnata rilevandone l’adeguatezza della motivazione con riferimento all’esclusione della responsabilità da custodia di una società gestrice di un impianto di sci per le lesioni occorse ad
uno sciatore conseguenti alla collisione, durante la discesa,
con un casotto in muratura per il ricovero di un trasformatore dell’energia elettrica necessaria per il sistema di risalita
posto in prossimità della pista, sul presupposto dell’accertata assenza del nesso di causalità tra la cosa e l’evento, invece determinato (così configurandosi un’ipotesi di caso fortuito) dalla condotta colposa della medesima vittima, che non
aveva osservato una velocità adeguata al luogo e che si era,
perciò, imprudentemente portata fino al margine estremo
del piazzale di arrivo, risultato comunque sufficientemente
ampio, senza riuscire ad adottare manovre di emergenza idonee ad evitare l’urto contro il predetto ostacolo.
La dottrina
C.M. Penuti, La prova liberatoria a carico del custode ex art.
2051 c.c., in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 1263.
323
Giurisprudenza
Sintesi
Osservatorio sulla giustizia
amministrativa
@
a cura di Gina Gioia
RISARCIMENTO DANNI
MORTE
DEL MANCATO AGGIUDICATARIO
DOPO IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA
Consiglio di Stato, sez. V, 8 gennaio 2009, n. 23 - Pres.
Frascione - Est. Metro - Regione Puglia c. V.
L’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione
dell’appalto è applicabile solo nel caso in cui l’impresa
possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi.
Il testo integrale delle sentenze contrassegnate
è disponibile su: www.ipsoa.it\dannoeresponsabilita
sprudenza riconosce nella misura del 10%, è applicabile solo
nel caso in cui “l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili,
per l’espletamento di altri servizi. Nel caso in cui, invece, tale dimostrazione non sia stata offerta - come nella specie è
avvenuto - è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di
altri analoghi lavori o di servizi o di forniture, così vedendo in
parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via equitativa, in misura pari al
5% dell’offerta dell’impresa
In relazione a quanto esposto, l’appello va accolto in parte,
nei sensi di cui motivazione.
I precedenti
Il caso
Il dante causa degli odierni ricorrenti, già vincitore di una gara per la costruzione di un ambulatorio specialistico, era stato illegittimamente escluso dalla stessa, come accertato dal
giudice di primo grado con sentenza n. 488/91.
Successivamente, con sentenza di ottemperanza n. 1156/93
veniva disposto l’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al giudicato, che doveva concretarsi “nell’adozione di un
atto di aggiudicazione in favore della ditta ricorrente”.
Non essendo stato possibile procedere a tale aggiudicazione
per la morte del ricorrente e non essendo possibile trasmettere il contratto agli eredi, avendo questo ad oggetto un “facere” per il quale risultava essenziale “l’intuitu personae”, gli
stessi chiedevano il risarcimento del danno, che veniva
quantificato, con sentenza del T.a.r. Puglia n. 1015/07, nella
percentuale del 10% del valore dell’appalto così come ribassato, a suo tempo, dall’offerta del ricorrente.
Avverso tale sentenza propone appello la Regione Puglia,
che sostiene i vizi di violazione e falsa applicazione dell’art.
2043 c.c., mancanza di colpa dell’amministrazione e difetto
di motivazione in quanto la sentenza, nel disporre l’obbligo di
conformarsi al giudicato, aveva fatto salve “eventuali sopravvenienze che impediscano l’esecuzione della sentenza nei
termini prospettati”, come, in effetti, è avvenuto per la sopravvenuta mancanza di fondi disponibili.
In subordine, si sostiene l’eccessiva onerosità della somma
corrisposta a titolo di risarcimento, riferita al 10% dell’offerta, sostenendosi che l’impresa non avrebbe dimostrato la
mancata utilizzazione, nel periodo di riferimento, delle maestranze e dei mezzi per lo svolgimento di altri lavori.
Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 settembre 2004, n. 6302, in
Giornale dir. amm., 2004, 1340, «È illegittimo l’atto dell’amministrazione che compensa, recependo la proposta formulata dal concorrente risultato poi aggiudicatario, le carenze
dell’offerta del medesimo; tale atto modifica, infatti, in maniera sostanziale l’offerta economica e progettuale avanzata
dal concorrente, con la conseguenza che l’accettazione delle
nuove e più favorevoli condizioni in essa contenute costituisce manifesta e grave violazione dei principi di trasparenza
dell’azione amministrativa e di rispetto della par condicio tra
i concorrenti».
Le difficoltà per il giudice amministrativo di valutare in concreto il danno è dovuto all’art. 345 della l. n. 2248/1865, all. F
ora riprodotto dall’art. 122 del regolamento emanato con dpr
n. 554/99, che percentualizza a priori il quantum risarcibile.
Cfr. Cons. Stato, 8 luglio 2002, n. 3796; Cons. Stato, sez. V,
24 ottobre 2002, n. 5860; v. pure Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393, che escludono l’utilizzo dell’art. 345
della legge n. 2248/1865 all. F ove non sia fornito un principio
di prova sulle opportunità alternative alle quali l’interessato
ha dovuto rinunciare.
La dottrina
M. Giustiniani, Le responsabilità della pubblica amministrazione: pre-provvedimentale, provvedimentale ed extra-provvedimentale, in questa Rivista, 2007, 1199; R. Proietti, La prova
per presunzioni della responsabilità della pubblica amministrazione e della quantificazione del danno, in Urbanistica e
appalti, 2007, 1374; O. Forlenza, Il risarcimento del danno da
atto amministrativo illegittimo, Merito, 2006, fasc. 10, 79.
La decisione
L’appello deve ritenersi parzialmente fondato.
Al riguardo si rileva che, come già precisato da questa sezione, l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione
dell’appalto e che, come rilevato in primo grado, sarebbe
spettato sicuramente all’impresa ricorrente e che la giuri-
324
GARE D’APPALTO
REVOCA
DELL’AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA
Consiglio di Stato, sez. VI, 17 dicembre 2008, n. 6264 -
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Sintesi
Pres. Varrone - Est. Contessa - Idrotecna s.r.l. c. Ente sardo acquedotti e fognature
In caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria divenuta onerosa per accordi successivi, il risarcimento è dovuto in forma specifica e non per equivalente.
Il caso
La soc. Idrotecnica s.r.l. partecipa alla gara d’appalto indetta
dall’Ente Sardo Acquedotti e Fognature relativa ai servizi di
conduzione e manutenzione degli impianti di trattamento
delle acque nella zona operativa ‘Logudoru Gallura B’. Riferisce, altresì, che l’ESAF ebbe a comunicare l’avvenuta aggiudicazione provvisoria in proprio favore, con l’aggiunta del
“passaggio del personale attualmente addetto alla gestione
degli impianti” con riferimento ad un protocollo di intesa intercorso fra l’ESAF e le OO.SS.
Di fronte all’imprevista assunzione di personale la soc. Idrotecnica obiettava di non essere in grado di eseguire l’appalto
in questione in modo economicamente conveniente, laddove fosse stata astretta agli obblighi contenuti nel richiamato
protocollo di intesa (per altro, intercorso fra diversi soggetti,
non conosciuto all’atto della presentazione dell’offerta e comunque successivo all’atto di aggiudicazione).
La soc. Idrotecnica confermava la propria volontà di eseguire
l’appalto in questione, nel rispetto degli impegni assunti in
sede di gara, ma l’Ente revocava l’aggiudicazione dell’appalto di cui sopra per non avere l’odierna appellante preso in
consegna gli impianti ed avviato il servizio, disponendo al
contempo l’affidamento dell’appalto in questione a trattativa
privata in favore di altra impresa.
La determinazione in questione (così come l’affidamento del
servizio ad altro soggetto) venivano impugnati dalla soc. Idrotecnica innanzi al T.a.r. per la Sardegna il quale accoglieva in
parte il ricorso, ritenendo fondato il motivo di doglianza fondato sulla violazione, nel caso di specie, del bando di gara e
del capitolato speciale.
Infatti l’imposizione relativa alla salvaguardia dei pregressi livelli occupazionali era stata disposta solo in data successiva
a quella dell’aggiudicazione, mentre - per poter essere correttamente disposta - avrebbe dovuto formare oggetto di
specifiche previsioni in sede di bando di gara. In tal modo,
l’Ente convenuto aveva determinato un’illegittima alterazione ex post degli equilibri economici sui quali l’impresa aveva
correttamente impostato le propria offerta.
Per quanto concerne, invece, l’istanza risarcitoria, il T.a.r. riteneva che essa non fosse accoglibile, osservando che «l’accoglimento del ricorso in esame, con l’annullamento del
provvedimento di revoca dell’aggiudicazione provvisoria e
dell’atto di affidamento del servizio alla controinteressata,
non potrà che condurre all’aggiudicazione definitiva ed alla
successiva stipula del contratto con la ricorrente, purché, ovviamente, la stessa dimostri il possesso dei requisiti dichiarati in sede di partecipazione».
Ciò conduce alla reiezione della domanda di risarcimento
danni proposta dalla Idrotecnica, atteso che l’accoglimento
del ricorso è idoneo a farle conseguire il risultato avuto di mira con la partecipazione alla gara di appalto. La sentenza veniva gravata in appello dalla soc. Idrotecnica s.r.l., la quale ne
chiedeva la riforma per la parte in cui era stata respinta l’istanza risarcitoria per equivalente pecuniario.
La decisione
L’appellante censura la sentenza in epigrafe per la parte in cui
ha respinto l’istanza di risarcimento per equivalente pecunia-
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rio sull’assorbente rilievo per cui l’annullamento dell’illegittimo provvedimento di revoca non avrebbe potuto che determinare l’aggiudicazione definitiva dell’appalto in favore della
soc. Idrotecnica, con la conseguenza per cui l’accoglimento
del ricorso sarebbe stato idoneo a far conseguire alla medesima società il risultato avuto di mira con la partecipazione alla gara d’appalto.
Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato.
La pronuncia risulta infatti del tutto condivisibile laddove osserva che l’esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali in
essere, avrebbe dovuto essere inclusa in un’apposita prescrizione della lex specialis, sulla cui base le imprese partecipanti avrebbero potuto correttamente ed in modo consapevole impostare le proprie offerte.
Al contrario, è certamente illegittima la scelta dell’Ente di assumere ex post impegni dalle inevitabili ricadute economiche, le quali si sarebbero riverberate su soggetti che avevano presentato le proprie offerte sconoscendo in assoluta
buona fede il contenuto dei medesimi impegni. L’Ente appellato non avrebbe potuto in alcun modo alterare con proprie determinazioni successive alla pubblicazione del bando
di gara (se pure, anteriori alla stipula dei conseguenti contratti) gli equilibri e gli assetti disciplinari ed economici che esso
stesso aveva liberamente determinato e sulla cui base le imprese partecipanti avevano correttamente fondato le proprie
offerte e le relative valutazioni di convenienza.
La soc. Idrotecnica lamenta l’erroneità della sentenza gravata per la parte in cui ha respinto la domanda risarcitoria per
equivalente pecuniario, ritenendo satisfattivo dell’interesse
della ricorrente l’annullamento della revoca dell’aggiudicazione il quale non avrebbe potuto che condurre all’aggiudicazione definitiva in suo favore ed all’esecuzione dell’appalto contestato.
Il Tribunale avrebbe omesso di considerare che nel caso di
specie la reintegrazione in forma specifica non era in tutto o
in parte possibile, in tal modo facendo venir meno il presupposto necessario per il riconoscimento del risarcimento in
forma specifica (art. 2058, c.c.), preclusivo del riconoscimento di un risarcimento per equivalente.
Ciò in quanto, al tempo della presentazione della propria offerta, la soc. Idrotecnica avrebbe potuto fruire di un irripetibile vantaggio economico (lo sgravio contributivo totale per i
nuovi assunti, di cui all’art. 44 della l. 28 dicembre 2001, n.
448) il quale le avrebbe consentito di rispettare la struttura
dei costi articolata in sede di offerta e di salvaguardare i propri equilibri economici nella gestione dell’appalto.
Tuttavia l’appellante osserva che poiché il vantaggio contributivo in questione non è stato ulteriormente riproposto per
gli anni successivi, la conseguenza sarebbe nel senso di destituire di fondamento la pronuncia gravata, per la parte in cui
ha ritenuto che il risarcimento in forma specifica (preclusivo
del ristoro per equivalente pecuniario) fosse in tutto o in parte possibile: tale possibilità, infatti, resterebbe preclusa dal
diverso quadro normativo ed economico vigente al momento dell’adozione della sentenza di primo grado rispetto a
quanto sussistente al momento dell’espletamento della gara
all’origine dei fatti di causa. Conseguentemente, la soc. Idrotecnica chiede che la sentenza in questione venga riformata
per la parte relativa alla domanda risarcitoria, con conseguente condanna dell’Ente appellato al ristoro per equivalente della lesione.
Per quanto concerne la quantificazione del danno patito, l’appellante chiede di procedersi alla sua liquidazione mediante il
ricorso alla particolare tecnica di liquidazione di cui al comma
2 dell’art. 35, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (ovvero, in via equi-
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tativa, ai sensi dell’art. 1226, c.c.), tenendo conto: a) dell’ammontare delle spese generali connesse alla partecipazione
alla gara di appalto; b) dell’utile di impresa, pari al 10 per cento dell’importo contrattuale.
L’argomento non può trovare accoglimento. Osserva che,
anche a prescindere dalla fondatezza dell’argomento relativo
alla ristorabilità per equivalente pecuniario del danno asseritamente patito, la domanda risarcitoria risulti nondimeno
inammissibile.
A tal fine, appare necessario inquadrare correttamente sotto
il profilo sistematico la domanda risarcitoria oggetto del presente giudizio, onde verificare compiutamente la presenza
nel caso di specie di tutti i presupposti per la sua corretta proposizione. Il danno per cui la soc. Idrotecnica chiede il ristoro
è stato cagionato dall’illegittima determinazione dell’ESAF di
revocare l’aggiudicazione a suo tempo correttamente disposta in suo favore, in tal modo rendendo impossibile il sorgere dello stesso vincolo contrattuale. La vicenda in questione
va inquadrata nell’ambito della responsabilità precontrattuale
(art. 1337 c.c.).
Tuttavia, il Collegio ritiene che non emergano ragioni sistematiche onde escludere la configurabilità di una responsabilità di carattere precontrattuale in capo all’Amministrazione in
ipotesi in cui il mancato rispetto dei generali canoni di buona
fede e correttezza in contrahendo si sia risolto in un’attività
nel suo complesso illegittima, la quale abbia comunque determinato l’impossibilità del sorgere del vincolo contrattuale.
Ed infatti, non sussiste alcuna ragione sistematica onde
escludere che in ipotesi quale quella all’origine dei fatti di
causa possa individuarsi un’ipotesi di responsabilità precontrattuale in capo all’Amministrazione, atteso che - per un verso - le trattative fra le parti sono state interrotte al mero stadio dell’aggiudicazione provvisoria (fase in cui, è pacifica l’assenza di un vincolo stricto sensu contrattuale) e che - per altro verso - grava sul soggetto pubblico l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, poiché sorge tra le parti un rapporto di affidamento che l’ordinamento ritiene meritevole di
tutela.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, se durante la fase formativa di un negozio giuridico la
P.A. viola il dovere di lealtà e correttezza, ponendo in essere
comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della
controparte in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c.
Riconducendo i principi in questione alle peculiarità del caso
di specie, il Collegio osserva che, effettivamente, la complessiva condotta tenuta dall’Amministrazione all’indomani
dell’aggiudicazione provvisoria non sia stata informata al modello di contegno probo, leale ed informato a chiarezza il quale rappresenta un corollario del più generale obbligo di buona
fede precontrattuale sancito dal più volte richiamato art.
1337 c.c.
Ed infatti, se pure la scelta dell’Ente appellato di concordare
con le OO.SS. la salvaguardia di determinati livelli occupazionali può rispondere a finalità in astratto condivisibili, per le
modalità concrete con cui è stata adottata, essa ha determinato un’evidente violazione del principio della bona fides in
contrahendo, con ogni conseguenza anche sotto il profilo risarcitorio.
Tanto premesso in ordine alla più corretta configurabilità sistematica del tipo di responsabilità che qui si intende far valere, il Collegio osserva che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della pubblica Ammini-
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strazione a seguito della mancata stipula dal contratto, debba
intendersi limitato al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente), nonché al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di
stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente
vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente
interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l’esecuzione del contratto. L’odierna appellante ha appunto incentrato la propria istanza risarcitoria sul mancato utile di impresa ritraibile dal contratto non concluso, richiedendone il ristoro attraverso la tecnica del c.d. “decimo”, in quanto “l’illegittima revoca dell’aggiudicazione [avrebbe] chiaramente
leso una situazione soggettiva che era ormai entrata a far
parte della sfera giuridica della ricorrente”.
Al contrario, la soc. Idrotecnica non ha fornito alcun elemento volto ad individuare e quantificare le spese inutilmente sostenute nel corso delle trattative in vista del contratto non
concluso, né ha fornito alcun elemento di prova relativo ad ulteriori, possibili occasioni di stipulazione di contratti (altrettanto o maggiormente vantaggiosi rispetto a quello non concluso) i quali sarebbero stati impediti proprio dalle trattative
indebitamente interrotte, in tal modo determinando l’obbligo
di ristoro sotto il profilo del lucro cessante.
Per le considerazioni che precedono il ricorso in appello deve
essere respinto.
I precedenti
Sulla responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 cod.
civ., Cons. Stato, Ad. Plen. 5 settembre 2005, n. 6, ma anche
sez. V, 30 novembre 2007, n. 6137; id., sez. V, 14 marzo
2007, n. 1248. Sullo stesso indirizzo, Cass. civ., sez. un., 12
maggio 2008, n. 11656
Sui criteri risarcitori, Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n.
2680; id., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1667, ma anche Cass.
civ., sez. I, sent. 15 aprile 2008, n. 9906; id., sez. I, 26 maggio 2006, n. 12629.
Sulla tecnica del c.d. decimo, cfr. l. 20 marzo 1865, n. 2248,
all. ‘F’, art. 245
La dottrina
G. Afferni, La responsabilità precontrattuale della pubblica
amministrazione tra interesse positivo ed interesse negativo,
in questa Rivista 2006, 353; V. Bellomia, Responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione e tutela risarcitoria nelle procedure ad evidenza pubblica, in Giur. merito,
2006, 421; G. Chiné, La responsabilità precontrattuale della
pubblica amministrazione: ultimo atto, in Corriere merito,
2006, 121; A. Vacca, La responsabilità precontrattuale della
pubblica amministrazione nell’ambito dei procedimenti ad
evidenza pubblica di scelta del contraente: una fattispecie
oscillante fra l’illegittimo esercizio del potere pubblico e l’illecita violazione dei canoni di buona fede e diligenza, in Contratti Stato e enti pubbl., 2006, 116.
RESPONSABILITÀ
PRECONTRATTUALE
T.a.r. Calabria, sez. II, 14 gennaio 2009, n. 7 - Pres. e Est.
Biancofiore - Consorzio Siberene c. Regione Calabria
Non sussiste responsabilità precontrattuale della P.A.
per l’affidamento creato con la partecipazione al bando,
occorrendo che i comportamenti ingeneranti l’affidamento risultino contrastanti con le regole di correttezza
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e di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., laddove tale contrasto sussisterebbe nella mancanza di ogni vigilanza e
coordinamento sugli impegni economici che l’amministrazione veniva assumendo quando la procedura di evidenza pubblica risultava già avviata e addirittura pervenuta all’aggiudicazione.
Il caso
Le società ricorrenti partecipano ad un bando emesso dalla
Regione per la selezione di imprese cui erogare finanziamenti per la realizzazione di progetti imprenditoriali per i settori
tessili, calzaturiero, informatico e del turismo e di avere presentato un progetto nel settore turistico, chiedendo il finanziamento di Euro 6.205.000,00.
Con delibera n. 242 del 26 aprile 2004 è approvato lo schema
di regolamento dei finanziamenti e con delibera n. 76 del
2005 sono state ammesse al finanziamento per l’intero investimento; con tale ultimo atto la Regione si sarebbe impegnata a corrispondere alle società ammesse, tra cui le ricorrenti, “il contributo pubblico nella misura del 45% dell’investimento ammissibile”, a fronte della quale il consorzio ha
sostenuto ingenti spese per la redazione del progetto esecutivo, per le ricerche di mercato e per gli studi di fattibilità. Le
società interessate si attendevano, dunque, di essere convocate per la stipulazione del contratto e per la erogazione
del contributo, mentre ciò non accadeva, neppure dopo apposita diffida.
Soltanto molto tempo dopo con nota del 26 aprile 2006 la
Regione Calabria comunicava l’avvio del procedimento di annullamento e/o revoca in via di autotutela della deliberazione
della Giunta regionale del 26 aprile 2004 n. 242 recante “Approvazione schema regolamento del Contratto di investimento e degli atti consequenziali”, che tuttavia, ancorché annunciato, non è intervenuto.
Sulla base della considerazione che l’approvazione della graduatoria sarebbe ancora valida ed efficace, in quanto non è
stata oggetto di alcun provvedimento di autotutela, le ricorrenti chiedono il risarcimento del danno ex art. 1337 c.c..
La decisione
Le prospettazioni delle imprese consorziate non possono essere condivise ed al riguardo può essere seguito il ragionamento effettuato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 del 5 settembre 2005, in ordine ai presupposti che devono sussistere per potersi affermare la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione.
Le ricorrenti sostengono di avere fatto affidamento sulla stipulazione del contratto di finanziamento, essendo risultate
tra i soggetti ammessi con la delibera n. 76 del 2005, mentre, pur dopo avere ricevuto la nota in data 26 aprile 2006 con
la quale venivano avvisate dell’avvio della procedura di annullamento e/o revoca della delibera n. 242 del 2004 di approvazione dello schema di contratto, non era accaduto nulla
né sul fronte della stipulazione né sul fronte dell’autotutela,
sicché si sono viste costrette a proporre il ricorso a causa del
lungo lasso di tempo intercorso dalla loro ammissione al contributo, senza che seguisse la stipulazione del contratto.
Anzitutto va smentita la circostanza della disconoscenza da
parte delle ricorrenti dello stato degli atti del procedimento.
Tali circostanze di fatto impediscono che si sia formato quel
legittimo affidamento che l’art. 1 della l. n. 241 del 1990 ha
visto inserito nel nostro ordinamento per effetto del richiamo, da un lato, delle norme di diritto privato contenuto dal
comma 1 bis come introdotto dalla l. n. 15 del 2005 e dall’altro per effetto del richiamo ai principi dell’ordinamento co-
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munitario, pure contenuto nel comma 1 anch’esso modificato in tal senso dalla legge testé citata.
L’Adunanza Plenaria riconduce la responsabilità precontrattuale allo stretto dettato civilistico, rilevando che se è vero
che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, «l’impresa
non poteva non confidare, durante il procedimento ad evidenza pubblica (si trattava infatti di una gara revocata per
mancata copertura dell’importo) dapprima sulla “possibilità”
di diventare affidataria del contratto e più tardi - ad aggiudicazione avvenuta - sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso», dall’altro lato occorre che tali comportamenti, ingeneranti l’affidamento
- per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale - risultino contrastanti con le regole di correttezza e di
buona fede di cui all’art. 1337 c.c., laddove, sempre nel caso
preso in esame dall’Adunanza Plenaria, tale contrasto sussisterebbe nella «mancanza di ogni vigilanza e coordinamento
sugli impegni economici che l’amministrazione veniva assumendo quando la procedura di evidenza pubblica risultava
già avviata e addirittura pervenuta all’aggiudicazione» al punto che si rendeva inevitabile la rimozione di tutti gli atti della
fase pubblicistica compresa l’aggiudicazione».
Di nessuna altra dimostrazione dell’interesse pubblico aveva
bisogno l’Amministrazione se non di quella derivante da pronunce giurisdizionali non sospese e di osservazioni dell’organo di controllo che del tutto puntualmente hanno posto in
evidenza le gravi discrasie del procedimento di erogazione
dei fondi comunitari in esame. Ed esse hanno, dunque, costituito la base per la decisione di procedere all’annullamento del Regolamento stesso, il quale si presentava deficitario
per non avere previsto nell’“istruttoria sul progetto” a fianco
delle singole voci di valutazione il punteggio relativo e per
avere effettuato irregolarità nella valutazione del merito finanziario.
Di tale scelta sono state informate tutte le imprese che erano state ammesse al finanziamento con note diramate tra il
16 aprile 2006 ed il 19 maggio 2006, tant’è che le stesse imprese avevano fatto pervenire le loro osservazioni, sicché
non era neppure mancata la ponderazione degli interessi dalle stesse rappresentati, come è dato evincere dalle premesse del provvedimento di cui alla delibera n. 685 del 17 ottobre 2006 impugnata.
Quanto alla ragionevolezza del lasso di tempo, formula adoperata dal legislatore della l. n. 15 del 2005, ma che non ha
mancato di suscitare perplessità, pur nella volontà di lasciare
un termine elastico per l’esercizio del potere di autotutela da
parte dell’amministrazione, è stato osservato che per esser
tale esso non deve consentire un consolidamento della posizione in capo agli interessati e la ragionevolezza deve passare per la valutazione dell’affidamento suscitato nell’amministrato sulla regolarità della sua posizione.
E che nel caso in esame nessun consolidamento della posizione delle ricorrenti si possa essere verificato è dimostrato
dalla più volte rammentata circostanza che, dopo due mesi
dalla sua adozione, la delibera recante l’elenco delle società
ammesse e delle società escluse è stata impugnata da alcune di queste ultime e che, all’esito del contenzioso cautelare
in grado di appello proposto avverso le sentenze del T.a.r. in
data 27 settembre 2005 ed in data 4 gennaio 2006, nel breve lasso di tempo di quattro mesi, le ricorrenti abbiano ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento della procedura.
Né può sostenersi, come pure effettuato in ricorso, che all’annullamento della delibera recante il Regolamento per il
Contratto di investimento sia sopravvissuta la successiva de-
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libera di approvazione delle società ammesse e di quelle
escluse, perché è la stessa deliberazione n. 685 del 2006,
ora impugnata, a sancire espressamente quale conseguenza
dell’annullamento della prima anche la caducazione dei successivi atti, menzionando tra essi la delibera n. 76 del 2005.
Le contestazioni testé effettuate consentono anche di confutare la voce di danno richiesta in ricorso, consistente nel
cd. danno da ritardo; questo si verifica quando l’amministrazione omette o ritarda l’emanazione di un provvedimento
vantaggioso per l’interessato, ma è pur sempre sottoposto al
riconoscimento della spettanza del bene della vita che parte
ricorrente si attendeva di ottenere ed alla impugnativa dell’atto negativo emesso in ritardo dall’amministrazione.
Nel caso in esame pur se vi è stata l’impugnativa dell’atto negativo emesso dall’amministrazione è contestato che esso
sia sopraggiunto in ritardo, per come riconosciuto sopra, come è contestato che si possa essere consolidata una posizione favorevole in capo alle interessate per avere riposto legittimo affidamento nell’operato dell’amministrazione.
I precedenti
Cfr. Adunanza Plenaria n. 7 del 15 settembre 2005, T.a.r. Puglia, Lecce, sez. II, 9 luglio 2008, n. 2083, Cons. Stato, sez.
VI, 2 ottobre 2007, n. 5074)
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Sulla responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 cod.
civ., Cons. Stato, Ad. Plen. 5 settembre 2005, n. 6, ma anche
sez. V, 30 novembre 2007, n. 6137; id., sez. V, 14 marzo
2007, n. 1248. Sullo stesso indirizzo, Cass. civ., sez. un.,
sent. 12 maggio 2008, n. 11656.
Sui criteri risarcitori, Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n.
2680; id., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1667, ma anche Cass.
civ., sez. I, 15 aprile 2008, n. 9906; id., sez. I, 26 maggio
2006, n. 12629.
La dottrina
G. Afferni, La responsabilità precontrattuale della pubblica
amministrazione tra interesse positivo ed interesse negativo,
in questa Rivista, 2006, 353; V. Bellomia, Responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione e tutela risarcitoria nelle procedure ad evidenza pubblica, in Giur. merito,
2006, 421; G. Chiné, La responsabilità precontrattuale della
pubblica amministrazione: ultimo atto, in Corriere merito,
2006, 121; A. Vacca, La responsabilità precontrattuale della
pubblica amministrazione nell’ambito dei procedimenti ad
evidenza pubblica di scelta del contraente: una fattispecie
oscillante fra l’illegittimo esercizio del potere pubblico e l’illecita violazione dei canoni di buona fede e diligenza, in Contratti Stato e enti pubbl., 2006, 116.
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Il testo integrale delle sentenze contrassegnate
è disponibile su: www.ipsoa.it\dannoeresponsabilita
a cura di Carlo Piergallini
RESPONSABILITÀ MEDICA
CONSENSO
DELL’AVENTE DIRITTO, VIOLENZA PRIVATA,
LESIONI PERSONALI VOLONTARIE
Cassazione penale, sez. un., 18 dicembre 2008 (21 gennaio 2008), n. 2437 - Pres. Gemelli - Rel. Macchia - Ric. G.
(1)
Va esclusa la rilevanza penale - con riferimento agli artt.
582 e 610 c.p. - della condotta del medico che sottopone
il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale è stato prestato il consenso informato, nel caso in cui tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si concluda con esito
fausto, derivandone cioè un apprezzabile miglioramento
delle condizioni di salute, tenuto conto anche delle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi siano previe
indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo.
Il caso
Una paziente subisce, nel corso di un intervento in laparoscopia, l’asportazione della salpinge uterina sinistra. La scelta demolitoria del chirurgo e la sua esecuzione sono in sé
corrette: secondo l’accusa, tuttavia, è mancato il consenso
informato della donna alla salpingectomia. Alla condanna del
medico, in primo grado, per violenza privata (a dispetto dell’originaria contestazione per lesioni personali volontarie), segue il proscioglimento, in appello, per prescrizione del reato.
La Sezione V della Cassazione, assegnataria dei ricorsi dell’imputato e della parte civile, rimette la decisione alla Sezioni Unite: va chiarito, infatti, se abbia o meno rilevanza penale
e, nel caso di risposta affermativa, quale ipotesi delittuosa
configuri la condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato del paziente, sottoponga il medesimo ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle “regole
dell’arte” e con esito fausto.
La decisione
Ad avviso delle Sezioni Unite, l’attività sanitaria, proprio perché destinata a realizzare in concreto il diritto alla salute, ha
base di legittimazione direttamente nelle norme costituzionali, che, appunto, tratteggiano il bene della salute come diritto fondamentale dell’individuo: se proprio si vuol parlare di
scriminante, in gergo penalistico, trattasi di una sorta di “scriminante costituzionale”, tale essendo la fonte che “giustifica” l’attività sanitaria, in genere, e medico-chirurgica in specie, fatte salve le ipotesi in cui essa sia rivolta a fini diversi da
quelli terapeutici.
Dai principi della Carta fondamentale (artt. 2, 13 e 32), oltre
che da numerose fonti internazionali, pure si ricava che detta
legittimazione dipende, in ogni modo, dalla scelta, libera e
consapevole, della persona che a quel trattamento sanitario
si sottopone: consegue che, ove manchi o sia viziato il consenso “informato” del paziente, il trattamento risulta eo ipso
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invasivo rispetto al diritto della persona di decidere se, come,
dove e da chi farsi curare. V’è conferma, in questo senso,
nella normativa deontologica (da ultimo, nell’art. 35 del codice approvato il 16/12/2006 della Federazione Italiana dei Medici Chirurghi e Odontoiatri).
È certa, pertanto, l’illiceità, anche penale, della condotta del
medico che abbia operato in corpore vili “contro” la volontà
del paziente, direttamente o indirettamente manifestata, e
ciò a prescindere dall’esito, fausto o infausto, del trattamento sanitario praticato, trattandosi di condotta che, quanto meno, realizza una illegittima coazione dell’altrui volere.
Diverso, tuttavia, è il giudizio delle Sezioni Unite nel caso in
cui, “in assenza” di consenso allo specifico trattamento eseguito, il risultato dello stesso abbia prodotto un beneficio per
la salute del paziente, giacché la violazione delle regole di
deontologia medica e degli stessi principi costituzionali ed internazionali in tema di consenso informato non determina
necessariamente la rilevanza penale del fatto.
Non è configurabile, in particolare, la violenza privata (art. 610
c.p.), dato che la violenza dovrebbe atteggiarsi come mezzo
destinato a realizzare un evento ulteriore (la costrizione della
vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa): nella specie, invece, la violenza sulla persona consisterebbe nella
operazione chirurgica, e poiché l’evento di coazione risiederebbe nel fatto di “tollerare” l’operazione stessa, la coincidenza tra condotta violenta ed evento di “costrizione a tollerare” rende impraticabile il delitto ex art. 610 c.p.. Pure non
è ravvisabile la “costrizione” - altro requisito della violenza
privata -, che postula il contrasto della volontà della vittima
con quella dell’agente: nei confronti del paziente anestetizzato pleno iure, nel quadro di un concordato intervento terapeutico, il chirurgo che si discosti da quell’intervento e ne
pratichi un altro potrà dirsi commettere un fatto di abuso o di
approfittamento di quella condizione di “incapacitazione” del
paziente, ma non certo di “costrizione” della volontà di questi.
Quanto al reato di lesioni personali volontarie (art. 582 c.p.),
le Sezioni Unite reputano insussistente una “malattia” quando l’intervento chirurgico - eseguito lege artis, vale a dire come indicato in sede scientifica per contrastare una patologia
- ottiene risultato favorevole: l’atto, pur se “anatomicamente” lesivo, non soltanto non provoca - nel quadro generale
della “salute” del paziente - una diminuzione funzionale, ma
vale a contrastare la patologia del paziente medesimo. Mancando, in definitiva, l’evento del delitto ex art. 582 c.p., il difetto di consenso al tipo di intervento praticato dal chirurgo,
rispetto a quello originariamente assentito, potrà rilevare su
altri piani, ma non su quello penale. Per tali ragioni, la sentenza d’appello è annullata senza rinvio per insussistenza del
fatto.
Ove, invece, l’esito dell’intervento non sia fausto, nel senso
sopra delineato, la condotta del sanitario cagiona obiettivaNota:
(1) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. Manuel
Formica.
329
Giurisprudenza
Sintesi
mente una “malattia”. Ma se la condotta è volta a fini terapeutici, ad avviso delle Sezioni Unite siffatto atteggiamento
psicologico non è compatibile col dolo delle lesioni: il chirurgo
non vuole produrre alcuna “malattia”, nel significato che rileva
ex art. 582 c.p.. Rimarrebbero configurabili, in ogni modo, forme di colpa “impropria”, nella ipotesi di errore sulla esistenza
del consenso informato, addebitabile ad un atteggiamento colposo, ovvero allorché i confini dell’intervento consentito vengano superati, sempre a causa di un atteggiamento rimproverabile a titolo di colpa (artt. 55 e 59, comma 4, c.p.).
I precedenti
Cass., sez. V, 21 aprile 1992, n. 5639, Massimo, in Riv. it.
med. leg., 1993, 460; Cass., sez. IV, 9 marzo 2001, n. 28132,
Barese, in Cass. pen., 2002, 517; Cass., sez. IV, 27 marzo
2001, n. 36519, Cicarelli, ivi, 2002, 1346; Cass., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 35822, Firenzani, ivi, 2002, 2041; Cass., sez. I,
29 maggio 2002, n. 26446, Volterrani, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2003, 604; Cass., sez. VI, 14 febbraio 2006, n. 11640,
Caneschi, in Riv. pen., 2007, 2, 229; Cass., sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 11335, Huscer, in Riv. pen., 2008, 7-8, 773;
Cass., sez. IV, 24 giugno 2008, n. 37077, Ruocco, in C.e.d.,
RV. 240963.
La dottrina
F. Giunta, Il consenso informato all’atto medico tra principi
costituzionali e implicazioni penalistiche, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2001, 401; P. Veneziani, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale. Tomo II: I delitti colposi, Milano, 2003, 298;
F. Viganò, Profili penali del trattamento chirurgico eseguito
senza il consento del paziente, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004,
141.
GIURISDIZIONE CIVILE
AZIONE
CIVILE NEL PROCESSO PENALE
Cassazione penale, sez. I, 21 ottobre 2008 (13 gennaio
2009), n. 1072 - Pres. Fazzioli - Rel. Silvestri - M. (2)
Il principio dell’immunità giurisdizionale degli Stati costituisce regula iuris soggetta a limitazioni, prevalendo
rispetto ad essa quelle norme consuetudinarie poste a
presidio dei diritti inviolabili della persona. Ne consegue
che è legittimo l’esercizio dei mezzi di tutela apprestati
per la reintegrazione dei danni provocati da crimini internazionali nei confronti dello Stato cui siano riferibili le
condotte lesive della libertà e della dignità umana.
In esito all’appello, proposto dalla difesa dell’imputato e del
responsabile civile, il giudice di secondo grado confermava
ex integro il provvedimento impugnato.
Proponeva, quindi, ricorso per cassazione il responsabile civile, che, rivendicando l’immunità giurisdizionale dello Stato
straniero, denunciava il difetto di giurisdizione, ai sensi dell’art. 20 c.p.p.
La decisione
Il principio di immunità, sottraendo gli Stati stranieri dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale rispetto agli atti iure
imperii, incontra un limite imprescindibile dato dalle condotte che costituiscono grave violazione della libertà e della dignità umana, quand’anche commesse nell’esercizio di poteri sovrani.
Rifacendosi a tale recente affermazione delle Sezioni Unite
civili - pacificamente e ripetutamente accolta dalla successiva giurisprudenza - la Suprema Corte giunge a legittimare la
giurisdizione dello Stato italiano rispetto a fatti commessi sul
proprio territorio e riferibili ad uno Stato straniero.
Invero, nel rilevare l’inconciliabile conflitto tra norme di pari
rango, il Giudice di legittimità ravvisa la prevalenza di quelle
poste a presidio dei diritti fondamentali dell’uomo, in virtù di
un coordinamento condotto alla luce dei principi generali dell’ordinamento internazionale, che considerano quelle di specie norme imperative inderogabili, la cui violazione segna il
punto di rottura tollerabile della sovranità.
D’altra parte - prosegue la Corte - è la coerenza interna del sistema ad esigere che alla violazione di quei valori fondamentali segua la reazione dei rappresentanti la comunità internazionale e delle stesse vittime che hanno subito la lesione,
posto che, diversamente opinando, non avrebbe senso proclamare il primato dei diritti fondamentali della persona ed
escludere, poi, la possibilità di acceso alla giurisdizione nazionale.
I precedenti
Cass., sez. un., 11 marzo 2004, n. 5044, in Riv. dir. int., 2004,
540; Cass., sez. un., 29 maggio 2008, n. 14199, in Giust. civ.
mass., 2008, 832; Cass., sez. I, 24 luglio 2008, n. 31171, L.,
in Riv. dir. int., 2008, 1223.
La dottrina
C. Focarelli, Diniego dell’immunità giurisdizionale degli Stati
stranieri per crimini, jus cogens e dinamica del diritto internazionale, in Riv. dir. int., 2008, 738 ss.; R. Provinciali, L’immunità giurisdizionale degli Stati stranieri, Padova, 1933; M.
Gerardo, L’immunità giurisdizionale degli Stati stranieri tra regionalismo ed universalismo, Salerno, 1990.
QUERELA
Il caso
Ravvisata la penale responsabilità per il reato p. e p. dall’art.
185 c.p.m.g., il Tribunale Militare di La Spezia condannava alla pena dell’ergastolo il sig. M. M. J., perché, durante lo Stato di guerra tra l’Italia e la Germania, cagionava, in seguito alla rappresaglia disposta dai comandi nazisti per l’uccisione di
quattro militari tedeschi ad opera di partigiani, la morte di
duecentotre persone estranee alle operazioni militari agendo
con crudeltà e premeditazione, usando violenza sessuale a
molte donne e compiendo lo scempio di numerosi cadaveri.
In accoglimento delle istanze risarcitorie, avanzate dalle costituite parti civili, il giudice di prime cure condannava, altresì, la Repubblica Federale di Germania, citata in giudizio in
qualità di responsabile civile.
330
REMISSIONE
TACITA
Cassazione penale, sez. un., 30 ottobre 2008 (15 dicembre 2008), n. 46088 - Pres. Gemelli - Rel. Marzano - P.M.
Martusciello (diff.) - P.G. in proc. V.C. (3)
La mancata comparizione del querelante nel processo
Note:
(2) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. Alessio
Matarazzi.
(3) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. Alessio
Matarazzi.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Sintesi
non integra in alcun caso una remissione tacita di querela - nonostante l’avvertimento del giudice che l’assenza
all’udienza successiva sarebbe stata intesa in tal senso poiché questa si configura esclusivamente in presenza
di una condotta significativa extraprocessuale e non anche processuale.
Il caso
Con sentenza dell’8 maggio 2007, il Giudice di pace di San
Severo dichiarava non doversi procedere per intervenuta remissione tacita di querela, in virtù della condotta processuale della persona offesa, che invitata, da ultimo, a comparire
con la notifica del verbale d’udienza, rimaneva assente nonostante la diffida espressa, ivi contenuta, che tale comportamento sarebbe stato interpretato come fatto incompatibile
con la volontà di persistere nella querela.
Avverso tale provvedimento ricorreva per cassazione il Procuratore Generale presso il Tribunale di Foggia, il quale, osservando che la remissione tacita di querela assume rilevanza unicamente nella forma extraprocessuale e non anche in
quella processuale, ne chiedeva l’annullamento per vizio di
violazione di legge.
Assegnato alla Quinta sezione penale, il processo veniva rimesso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p.
dell’ordinamento, per cui gli oneri processuali a carico delle
parti devono avere una fonte legale, la mancata comparizione del querelante, quale causa di estinzione del reato, risulta
positivamente contemplata nel solo caso ex art. 21, d.lgs.
274 del 2000, che disciplina l’ipotesi del ricorso immediato al
giudice di pace da parte della persona offesa: là dove, infatti,
venga meno l’impulso processuale da parte di chi, per sua diretta iniziativa, geneticamente lo ha posto in essere e, nondimeno, non intenda più coltivarlo, si giustifica appieno la conseguente improcedibilità dell’azione penale, non sussistendo più alcun interesse, né da parte dello Stato né da parte
della persona offesa-querelante, all’ulteriore proseguimento
del processo.
I precedenti
Conformi: Cass., sez. V, 8 marzo 2000, n. 8372, D. P., in
Cass. pen., 2001, 2101; Cass., sez. IV, 13 marzo 2008, n.
17663, P.G. in proc. Farad, in Ced Cass 240166; Cass., Sez.
V, 1 aprile 2008, n. 28152, P.G. in proc. De Nisi, in Ced Cass
240400.
Difformi: Cass., sez. V, 25 giugno 2001, n. 31963, in Cass.
pen., 2002, 1415; Cass., sez. V, 19 marzo 2008, n. 14063,
P.G. in proc. Calza, in Ced Cass 239439; Cass., sez. IV, 12
aprile 2008, n. 20018, P.G. in proc. Aleci, in Ced Cass.
240167.
La decisione
Affrontando la questione sotto un profilo d’ordine generale,
la Suprema Corte si riporta preliminarmente all’indirizzo giurisprudenziale che esclude il perfezionamento della remissione per facta concludentia in caso di semplice assenza del
querelante, essendo tale comportamento privo del carattere
dell’univocità e, quindi, non necessariamente incompatibile
con la volontà di persistere nell’istanza punitiva.
La fattispecie in esame - prosegue la Corte - presenta, tuttavia, una importante nota distintiva, data dalla circostanza che
l’omessa comparizione giungeva in seguito ad una diffida del
giudice, con la quale si preannunciava espressamente al
querelante, che, non ottemperando all’invito, il suo comportamento sarebbe stato inteso come tacita remissione di querela.
Ebbene, stando ad un divisamento esegetico minoritario, tale atteggiamento di perdurante inerzia assumerebbe, nel suo
complesso, sicuro carattere di contraddizione logica rispetto
alla volontà - in precedenza manifestata con l’atto di querela
- di ottenere la punizione del responsabile e, quindi, rilevanza, ai sensi dell’art. 152, comma 2, c.p.p., quale causa estintiva del reato.
Di contrario avviso l’orientamento maggioritario, fatto proprio
dalle Sezioni Uniti, che osservano come la mancata presentazione nel processo del querelante, pur in presenza di
espresso avviso del giudice, non determina ex lege alcuna
conseguenza sanzionatoria, ammissibile se non a costo di
un’estemporanea fictio iuris, che ricolleghi l’improcedibilità
dell’azione penale all’inottemperanza di un onere processuale non previsto dalla legge.
Partendo, tuttavia, dal rilievo positivo che solo in sede extraprocessuale può aversi remissione tacita (art. 152, comma 2,
c.p.p.), che si perfeziona al verificarsi di fatti, inequivocabilmente percepiti nel mondo esterno, incompatibili con la volontà di persistere nella querela, l’inerzia del querelante e il
suo perdurante disinteresse alla vicenda giudiziaria, apprezzandosi esclusivamente in sede processuale, risultano come
tali accadimenti irrilevanti ai fini che ci occupano.
Considerazioni, queste, valide a fortiori rispetto al caso di
specie, ove, in ossequio al menzionato principio generale
Danno e responsabilità 3/2009
La dottrina
L. Saponaro, voce Querela, in Dig. Pen., Agg. III, Tomo 2, Torino, 2005, 1294 ss.; L.D. Cerqua, L’assenza ingiustificata del
querelante in dibattimento equivale a remissione tacita della
querela? Brevi riflessioni, in Giur. mer., 2005, fasc. 4, 1028
ss.; G.L. Fanuli, La remissione tacita di querela. Un istituto da
“rivisitare”, in Riv. pen., 2002, fasc. 2, 589 ss.; A. Laurino, La
remissione tacita della querela per omessa comparizione della persona offesa dopo le leggi sul giusto processo e sulla
competenza penale del giudice di pace, in Cass. pen., 2003,
1021 ss.
APPLICAZIONE DI PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI
COSTITUZIONE
DI PARTE CIVILE
Cassazione penale, sez. un., 27 novembre 2008 (23 dicembre 2008), n. 47803 - Pres. Carbone - Rel. Conti - P.m.
Galati (conf.) - Ric. D’A. (4)
Non è ammessa la costituzione di parte civile nell’udienza avente ad oggetto la richiesta di applicazione della
pena nel corso delle indagini preliminari ex art. 447
c.p.p.
Il caso
Richiesta l’applicazione della pena da parte dell’indagato, in
seguito alla notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., il Giudice delle indagini preliminari fissava udienza in camera di consiglio, dandone comunicazione, oltre all’imputato e ai suoi difensori, anche alle persone offese, che, ivi comparse, presentavano atto di costituzione di parte civile.
Rispetto a tale richiesta si opponeva la difesa dell’imputato,
Nota:
(4) La nota alla sentenza è stata redatta dal Dott. Alessio
Matarazzi.
331
Giurisprudenza
Sintesi
rilevandone l’inammissibilità nell’udienza ex art. 447 c.p.p.,
anche ai soli fini del riconoscimento delle spese.
Il Giudice a quo respingeva detta eccezione e, applicata la
pena concordata, poneva a carico del primo le spese sostenute per il giudizio dalla persone danneggiate dal reato.
Proponeva appello l’imputato che, insistendo per l’esclusione della parte civile, chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato in parte qua.
Riscontrata l’inappellabilità della sentenza, la Corte d’Appello
trasmetteva gli atti alla Suprema Corte, le cui Sezioni Unite
venivano investite della trattazione dalla Quarta Sezione penale, in virtù del rilevato contrasto giurisprudenziale circa
l’ammissibilità della costituzione di parte civile in seno all’udienza ex art. 447 c.p.p.
La decisione
Evidenziato preliminarmente il contrasto giurisprudenziale
sul punto, la Suprema Corte osserva come, in ossequio al
favor separationis, le ragioni risarcitorie non trovino accoglimento in sede di patteggiamento, ove, nondimeno, resta
fermo il diritto della parte civile, costituitasi in udienza preliminare o in limine al dibattimento - prima, pertanto, dell’introduzione del rito speciale - alla refusione delle spese processuali, come stabilito dall’art. 444, comma 2, c.p.p. Posto
che l’esercizio dell’azione civile si colloca in un frangente
dell’ordinaria scansione processuale che accredita le aspettative di condanna al risarcimento del danno, là dove ciò non
si verifichi per le discrezionali determinazioni dell’imputato,
il danneggiato va tenuto indenne dalle spese sostenute. È,
infatti, evidente che la mancata decisione sull’azione civile
esercitata nel processo penale dal soggetto cui il reato ha
recato danno non si ricollega né ad una determinazione dell’interessato - come, invece, nel caso di non accettazione
del giudizio abbreviato - né a qualcosa di addebitabile a lui,
ma soltanto ad una scelta tra le parti del rapporto processuale penale favorevolmente valutata dal giudice, sicché
inaccettabile risulterebbe il paradosso di lasciare a carico
della parte civile anche le spese incontrate per attività, rivelatesi finanche decisive nell’indurre l’imputato a chiedere o
consentire al rito speciale.
332
Diversamente, invece, nell’ipotesi che ci occupa; la circostanza che l’oggetto del giudizio risulti limitato alla decisione
circa l’accoglibilità della richiesta di applicazione di pena su
cui è intervenuto il patteggiamento priva, infatti, di contenuto ogni eventuale iniziativa della persona danneggiata, consapevole ab initio di non poter avanzare utilmente alcuna pretesa giuridica nella sede de qua.
Significative, in tal senso, le scelte del legislatore, che, da un
lato, escludono le formalità dell’avviso al danneggiato dell’udienza ex art. 447 c.p.p., e, dall’altro, contemplano come
eventuale la presenza delle parti necessarie, tal ché, ammettendo in via di mera ipotesi la possibilità di costituzione di
parte civile, la relativa domanda potrebbe non essere nemmeno conoscibile dall’imputato, e cioè dal soggetto nei cui
confronti essa unicamente si rivolge.
D’altra parte - rileva la Corte - proprio nell’ottica dell’anzidetto favor separationis, la sentenza “patteggiata” non assume
efficacia di giudicato in sede civile (art. 445, comma 1 bis,
c.p.p.), ove, pertanto, le aspettative risarcitorie del danneggiato rimangono impermeabili rispetto alla scelta dell’imputato di optare per il rito speciale.
I precedenti
Conformi: Cass., sez. V, 25 novembre 1993, n. 287, Russo,
in Cass. pen., 1995, 1009; Cass., sez. V, 11 gennaio 2002, n.
7802, Donaer, ivi, 2003, 2384; Cass., sez. V, 17 ottobre 2002,
n. 3564, Rinaldi, ivi, 2004, 2412.
Difformi: Cass., sez. II, 22 febbraio 1999, n. 890, Volterra, in
Cass. pen., 2000, 3378; Cass., sez. V, 7 maggio 2004, n.
27980, Merighi, in Riv. pen., 2005, 1112; Cass., sez. V, 8
maggio 2007, n. 20600, Albicini, ivi, 2008, 187; Cass., sez.
III, 26 marzo 2008, n. 19188, R., in Ced Cass. 239860.
La dottrina
A. Marandola, Patteggiamento, in Studium Iuris, 2008, fasc.
1, 85 ss.; M. Maniscalco, Il patteggiamento, Torino, 2006, 75
ss.; B. Giors - P. Spagnolo, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, in Chiavario-Marzaduri, Riti camerali e
speciali, Torino, 2006, 366 s.; L. Filippi, Il patteggiamento, Padova, 2000, 75 ss.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Assicurazioni
Indennizzo diretto
Per forza o per scelta:
l’indennizzo diretto e l’art. 141
cod. ass. dopo l’intervento
della Consulta
CORTE COSTITUZIONALE, ord., 13 giugno 2008, n. 205 - Pres. Bilè - Rel. Finocchiaro
Le disposizioni di cui all’art. 141 ss. del d.lgs. n. 209/2005 (Codice delle assicurazioni), secondo una lettura
costituzionalmente orientata, si limitano a rafforzare la posizione del trasportato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità
civile dell’autore del fatto dannoso.
ORIENTAMENTI DOTTRINALI
Conforme
G. Gallone, Commentario al Codice delle Assicurazioni, Piacenza, 2008, 340; M. Hazan, La nuova assicurazione della r.c.a. nell’era del risarcimento diretto, Milano, 2006, 57; M. Rossetti, Le assicurazioni.
L’assicurazione nei codici, le assicurazioni obbligatorie, l’intermediazione assicurativa, a cura di La
Torre, 2007, 837.
Difforme
R. Alberto, Commentario al codice delle assicurazioni, a cura di Bin, Padova, 2006, 415.
...Omissis...
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 141,
143, 144, 148, 149, 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), e
dell’art. 9, comma 2, del d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254
(Regolamento recante disciplina del risarcimento diretto
dei danni derivanti dalla circolazione stradale, a norma
dell’articolo 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005,
n. 209 - Codice delle assicurazioni private), promossi con
ordinanze del 20 febbraio 2007 dal Giudice di pace di Pavullo nel Frignano nel procedimento civile vertente tra
P. I. e V. A. ed altro e del 19 dicembre 2006 dal Giudice
di pace di Montepulciano nel procedimento civile vertente tra M. G. e G. S. ed altri, iscritte ai nn. 633 e 670
del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 37 e 39, prima serie speciale dell’anno 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il
Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che il Giudice di pace di Pavullo nel Frignano nel corso di un giudizio promosso per il risarcimento del
danno subito dalla parte attrice il giorno 7 marzo 2006, in
Fellicarolo di Fanano, in un incidente stradale - ha solle-
Danno e responsabilità 3/2009
vato questione di legittimità costituzionale degli artt.
141, 143, 144, 148, 149, 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private),
e dell’art. 9 del d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254 (Regolamento recante disciplina del risarcimento diretto dei
danni derivanti dalla circolazione stradale, a norma dell’articolo 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n.
209 - Codice delle assicurazioni private), per violazione
dell’art. 76 della Costituzione, e, in subordine, dell’art.
143 dello stesso d.lgs. n. 209 del 2005, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 148, comma 2, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 149, comma 2, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 149, comma, 2,
per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 149 e
150, in combinato disposto con l’art. 9, del d.P.R. n. 254
del 2006, per violazione dell’art. 3 Cost.;
che il rimettente dichiara di dubitare che le procedure di
liquidazione del danno previste dal codice delle assicurazioni siano in grado di eliminare l’actio generalis di cui all’art. 2054 del codice civile, essendo sostenibile che la regolamentazione prevista da tale codice sia non conforme
alla Carta costituzionale e che, inoltre, la limitazione alla difesa tecnica legale nella fase stragiudiziale violerebbe
un preciso diritto costituzionalmente garantito;
che il giudice a quo assume che, in ragione di tale dubbio
333
Giurisprudenza
Assicurazioni
e applicando la normativa vigente, dovrebbe respingere
la domanda risarcitoria così come proposta, anche in
mancanza di una espressa deroga all’art. 2043 cod. civ.,
che stabilisce, in via generale, il diritto ad agire del danneggiato nei confronti del danneggiante;
che, in punto di rilevanza, il rimettente assume che ove
non fosse applicabile l’art. 2054 cod. civ., utilizzato dalla
ricorrente, sarebbe applicabile la normativa contenuta
nel d.lgs. n. 209 del 2005, della quale, appunto, egli «paventa l’incostituzionalità»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità delle questioni, per non esserne stata adeguatamente valutata e
motivata la rilevanza e l’infondatezza delle stesse;
che il Giudice di pace di Montepulciano - nel corso di un
giudizio promosso per il risarcimento dei danni riportati
dalla parte attrice in un incidente stradale in cui era rimasta coinvolta, quale trasportata su un veicolo di proprietà altrui e condotto da una terza persona, a séguito del
tamponamento subito da detto veicolo ad opera di altra
vettura - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 141 del decreto legislativo 7 settembre
2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), per violazione degli artt. 3, 24 e 76 Cost.;
che il rimettente riferisce che il convenuto, costituendosi in giudizio, ha eccepito la illegittimità costituzionale
della norma censurata, nella parte in cui prevede, in caso
di lesioni del terzo trasportato, la risarcibilità in capo alla
compagnia assicuratrice del vettore, indipendentemente
dalla responsabilità di detto conducente;
che la nuova disciplina, rappresentata dall’art. 141 del
Codice delle assicurazioni, in vigore per i sinistri accaduti a far data dal 1° gennaio 2006 - come quello oggetto del
procedimento a quo - prevede che l’impresa assicuratrice
del veicolo sul quale viaggia il trasportato risarcisca quest’ultimo indipendentemente dalla condotta colposa del
conducente, e che il terzo trasportato abbia azione diretta solo contro l’assicurazione del vettore;
che, in estrema sintesi, il trasportato deve necessariamente rivolgere la richiesta di risarcimento dei danni al
proprio vettore ed alla compagnia assicuratrice di quest’ultimo, indipendentemente da qualsiasi responsabilità
dello stesso, così stravolgendo i canoni classici e tipici
della responsabilità civile;
che il danneggiato non ha, invece, alcuna possibilità di
rivolgere le proprie istanze risarcitorie alla compagnia assicuratrice del responsabile civile, in spregio ed in aperto
contrasto con la Direttiva 2005/14/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, che modifica le direttive del Consiglio 72/166/CEE, 88/357/CEE e
la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione dei veicoli, il cui art. 4-quinquies obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le
persone lese da un sinistro, causato da un veicolo assicurato, possano avvalersi di un’azione diretta nei confronti
dell’impresa che assicura contro la responsabilità civile la
persona responsabile del sinistro;
334
che, secondo il rimettente, con la legge di delegazione 29
luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della
regolazione, riassetto normativo e codificazione. - Legge
di semplificazione 2001), si intendeva tutelare il consumatore ed il contraente più debole e non certo modificare i princípi generali di risarcimento dei danni, con la
conseguenza che la tutela doveva essere riservata a tutti i
rapporti contrattuali (e non extra-contrattuali), ovvero
alle cosiddette garanzie dirette, a favore degli assicuraticonsumatori-contraenti, laddove, invece, il censurato
art. 141, al pari dell’art. 149 del codice delle assicurazioni, non prende assolutamente in considerazione tali soggetti, ma i danneggiati;
che, con l’imporre al danneggiato la richiesta di risarcimento del danno non a chi è responsabile dello stesso in
base al codice civile, bensì alla compagnia assicuratrice
del proprio vettore indipendentemente dalla sussistenza
o meno in capo a quest’ultimo di alcuna responsabilità,
anche in via meramente residuale, il decreto legislativo
ha modificato, sia sostanzialmente sia proceduralmente, i
diritti dei danneggiati, facoltà questa non concessa dalla
legge di delegazione;
che il codice delle assicurazioni ha altresì ridotto i doveri
dei responsabili dei sinistri stradali, dal momento che costoro non dovranno più neppure essere convenuti in giudizio e non saranno più tenuti a rispondere in solido del
danno cagionato;
che, infatti, l’art. 141, comma 3, prevede che il danneggiato possa proporre l’azione diretta di cui all’art. 145 nei
soli confronti dell’impresa di assicurazione del vettore,
senza far menzione alcuna del responsabile del sinistro
(in contrasto con quanto previsto dall’art. 144 dello stesso codice oltre che con i princípi generali dell’ordinamento giuridico), ed ovviamente della compagnia del responsabile civile che, del resto, fino ad allora potrebbe,
anzi dovrebbe, non aver mai neppure ricevuto una richiesta di risarcimento, visto il richiamo operato all’art.
148;
che il rimettente deduce, altresì, la violazione dell’art. 3
Cost., dal momento che il terzo trasportato può agire, ai
sensi dell’art. 141, nei soli confronti dell’assicuratore del
proprio vettore e non anche nei confronti di altri eventuali responsabili, nonché dell’art. 24 Cost., per esservi
lesione del diritto di difesa in capo alla compagnia assicuratrice del vettore, la quale non potrà efficacemente tutelarsi, non disponendo di elementi idonei a dimostrare l’esclusiva responsabilità dell’altro conducente, visto e considerato che detto altro conducente, qualora operi l’art.
149 codice assicurazioni, viene risarcito dalla propria
compagnia, con la conseguenza che la compagnia del
vettore avrà notevoli difficoltà a dimostrare la colpa
esclusiva dell’altro conducente ed far scattare l’inoperatività dell’art. 141;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza della questione sollevata.
Considerato che le due ordinanze investono, sostanzialmente, sotto vari profili, la legittimità costituzionale del-
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Assicurazioni
la disciplina dell’azione diretta del trasportato danneggiato nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo sul quale viaggiava al momento del sinistro, quale risultante dagli articoli 141 e seguenti del decreto legislativo n. 209 del 2005;
che, pertanto, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi, perché siano decisi con unica pronuncia;
che, in particolare, le disposizioni citate sono impugnate
nella parte in cui - prevedendo l’azione diretta del trasportato verso la compagnia assicuratrice del veicolo escluderebbero che il medesimo trasportato possa agire
nei confronti del vero responsabile del danno, così come
previsto dal sistema degli artt. 1917, 2043 e 2054 del codice civile;
che, peraltro, i giudici rimettenti non hanno adempiuto
l’obbligo di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme impugnate, nel senso cioè
che esse si limitino a rafforzare la posizione del trasportato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire
direttamente nei confronti della compagnia assicuratrice
del veicolo, senza peraltro togliergli la possibilità di fare
valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato
dalla responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso;
che tale interpretazione delle norme impugnate avrebbe
consentito di superare i prospettati dubbi di costituzionalità;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
la mancata sperimentazione del tentativo di interpretare
la normativa impugnata in modo conforme a Costituzione comporta la manifesta inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale;
che rimane così assorbito ogni ulteriore profilo di inammissibilità.
PQM
La Corte Costituzionale riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 141, 143, 144, 148,
149, 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209
(Codice delle assicurazioni private), e dell’art. 9, comma
2, del d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254 (Regolamento recante disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti
dalla circolazione stradale, a norma dell’articolo 150 del
decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private), sollevate, in riferimento agli
artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di
Pavullo nel Frignano, con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 141 del medesimo decreto legislativo n. 209 del 2005, sollevata, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Montepulciano, con l’ordinanza in epigrafe.
...Omissis...
IL COMMENTO
di Maurizio Hazan
Traendo spunto dalla Ordinanza in commento, l’autore affronta il delicato tema relativo alla obbligatorietà/facoltatività delle nuove procedure liquidative della RC auto, con specifico riferimento al così detto indennizzo
diretto ed alla procedura di risarcimento del terzo trasportato. Pur muovendo dalla affermazione del sicuro
mantenimento, in capo al danneggiato, dei diritti risarcitori nei confronti del responsabile civile, l’Autore evidenzia la necessità di evitare qualsiasi frettoloso processo di omogeneizzazione tra la posizione - sostanziale e processuale - del trasportato (nell’art. 141 del cod. ass.) e quella del danneggiato (nell’indennizzo diretto). La differente struttura delle due procedure suggerisce, invero, di sostenere che soltanto l’azione diretta
di cui all’art. 141 sia facoltativa, laddove invece quella svolta nell’ambito dell’indennizzo diretto richiede di essere necessariamente indirizzata nei soli confronti dell’impresa assicuratrice del danneggiato. Ciò senza che
tale conclusione si ponga in contrasto con la pronunzia della Consulta.
Verso la crisi del sistema?
All’indomani dell’ordinanza n. 205 del 13 giugno
2008 - con cui la Consulta si è per la prima volta occupata di alcune tra le numerose questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione alla nuova
disciplina delle procedure liquidative della r.c.a. - si
è andata larvatamente diffondendo l’opinione che il
così detto “indennizzo diretto” fosse giunto prematuramente “al capolinea” (1). Ciò in quanto tale
procedura non sarebbe più obbligatoria, come le prime interpretazioni della norma autorizzavano a ritenere, bensì meramente facoltativa, come la pronun-
Danno e responsabilità 3/2009
cia della Corte Costituzionale - in linea con il precedente orientamento di alcuni giudici di merito avrebbe invece implicitamente affermato.
Ed invero, ove si potesse effettivamente sostenere
Nota:
(1) Si veda Fabio Quadri: Codice delle assicurazioni e azioni del
danneggiato: la decisione della Consulta, in www.altalex, 16 giugno 2008, nonché Chi paga per il passeggero, in Il Sole 24 Ore,
22 settembre 2008, in cui si afferma tra l’altro che «da metà giugno sul risarcimento diretto incombe una minaccia: la possibilità
che i danneggiati, seguendo un indirizzo della Corte Costituzionale, lo aggirino…».
335
Giurisprudenza
Assicurazioni
che l’istituto del risarcimento diretto sia nient’altro
che opzionale - e tale da lasciare intatta la possibilità
per il danneggiato di svolgere la propria azione diretta, in via alternativa, nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile - ci troveremmo di fronte ad un potenziale annichilimento degli obiettivi e
della ratio posti a presidio della nuova procedura.
Non pare dubbio, infatti, che le intenzioni del legislatore fossero quelle di introdurre un sistema liquidativo totalmente innovativo, applicabile soltanto a
determinati danni di modico o medio valore e mirato al perseguimento di obiettivi macroeconomici di
largo respiro. Sistema fondato sull’ineludibile cogenza della relativa disciplina, nell’ambito della
quale - come è noto - il danneggiato è tenuto a svolgere le proprie istanze risarcitorie e promuovere l’azione diretta nei soli confronti della propria compagnia assicuratrice (che a sua volta è chiamata a gestirne le richieste “per conto” dell’impresa che assicura il veicolo responsabile).
Certo è che tale istituto, governato dagli artt. 149 e
150 del Codice delle Assicurazioni e dal relativo regolamento attuativo, ha incontrato, sin dalla sua
entrata in vigore, ferme critiche da parte dei primi
commentatori ed immediate - e più specifiche - resistenze da parte di quegli operatori del diritto che
contestavano la legittimità dell’art. 9 comma secondo del d.P.R. 254/2006 (nella parte in cui esclude la
rifusione delle spese di assistenza legale sostenute
dal danneggiato nel corso della trattativa stragiudiziale).
Ebbene, se si accogliesse l’idea della facoltatività
dell’indennizzo diretto, ci troveremmo, da un lato,
innanzi ad uno stravolgimento del sistema concepito dal legislatore, e dall’altro di fronte ad un assai
probabile abbandono sistematico della procedura diretta a favore di quella ordinaria (soprattutto da parte di quella larga pletora di professionisti che va da
tempo ricercando valide argomentazioni per eludere
l’applicazione dell’art. 149 cod. ass. e, come detto,
sottrarsi alle limitazioni risarcitorie introdotte dall’art. 9 del d.P.R. 254/2006). Possibile, dunque, prevedere, in tale contesto prospettico, un deciso inaridimento del filone diretto, a tutto vantaggio della
procedura ordinaria, con contestuale inflazione del
contenzioso ed aumento dei costi di gestione delle
singole posizioni di danno.
Se così fosse, dunque, la misera parabola dell’indennizzo diretto avrebbe esaurito gran parte dei suoi effetti prima ancora di averli concretamente realizzati:
la nuova procedura, da autentico trade mark della
riforma codicistica della r.c.a., si trasformerebbe in
un istituto piuttosto marginale e periferico, limitan-
336
do probabilmente il suo raggio d’azione alla sola fase
stragiudiziale e venendo di fatto soppiantato, nella
fase giudiziale, dal brusco ritorno all’azione diretta
ordinaria (ex art. 148 del cod. ass.).
Sennonché, a parere di chi scrive, l’opinione secondo la quale l’ordinanza della Consulta avrebbe definitivamente ratificato l’orientamento dottrinale e
giurisprudenziale favorevole alla tesi della non obbligatorietà del risarcimento diretto - pur propugnata in dottrina ed in alcune recenti pronunzie di merito (2) - pare tutto fuorché convincente.
Al contrario, tale conclusione sembra fondata su di
una troppo disinvolta estrapolazione, dal testo di
quell’ordinanza, di un principio soi disant generale,
quello della facoltatività delle nuove procedure liquidative introdotte dagli artt. 141 e 149 del Codice
delle Assicurazioni; principio che, a ben voler vedere, la Corte Costituzionale si è ben guardata dall’affermare in termini tanto netti. Ed invero, il fatto
che la Consulta abbia effettivamente sancito, sia pur
in modo non esplicito, la pacifica sopravvivenza ed
esercitabilità dei diritti risarcitori dei danneggiati
(trasportati) nei confronti dei responsabili civili
non significa automaticamente che entrambe le
procedure in parola debbano ritenersi necessariamente facoltative e non obbligatorie.
Al contrario.
Le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 141, 149 e 150 del cod. ass.
È noto che la decisione di inserire l’indennizzo diretto nel corpus del Codice delle Assicurazioni è stata assunta all’ultimo momento e addirittura dopo
che lo schema del Testo Unico (redatto senza alcuna menzione della nuova procedura) era già passato
al vaglio del Consiglio di Stato. Tale improvvisa accelerazione riformista poteva astrattamente essere
giustificata dall’esigenza di non perdere un’ottima
occasione per innovare la materia e per dare seguito,
in seno al Codice, alle indicazioni provenienti dall’Antitrust (3), nonché ad alcuni impegni che il Governo aveva da tempo assunto con l’Ania e le principali associazioni dei consumatori (4). Rimane il
Note:
(2) Ci riferiamo, in particolare, alle seguenti decisioni (sulle quali
si veda più diffusamente infra): Giudice di Pace Trapani 30 giugno 2008, n. 439 (inedita); Giudice di Pace Torino 11 novembre
2008, n. 11327 (inedita); Giudice di Pace Pozzuoli 14 luglio 2008,
n. 1852, pubblicata in data 8 ottobre 2008 sul sito www.altalex.
(3) Ci riferiamo all’indagine conoscitiva della AGCM, di cui al
provvedimento 11891 del 17 aprile 2003.
(4) Si veda il protocollo di intesa tra Governo - Ania - Consumatori del 5 maggio 2003.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Assicurazioni
fatto che gli artt. 149 e 150 sono entrati a far parte
del Codice delle Assicurazioni in tutta fretta e financo quasi di soppiatto, così sfuggendo al necessario dibattito istituzionale preventivo ed eccedendo,
almeno potenzialmente, i limiti della legge delega n.
229/2003. Una “scorciatoia”, questa, certamente
inopportuna (attesa la portata dell’innovazione) e
tale da indurre i primi commentatori a sollevare, già
sul piano formale, dubbi di legittimità costituzionale
delle norme in commento.
D’altra parte, e più in generale, la riforma delle procedure liquidative (di cui agli artt. da 140 a 150 cod.
ass.) si è sin da subito caratterizzata per la debole fattura delle singole disposizioni codicistiche, redatte
sacrificando all’altare della “idea” e dell’innovazione
la stessa qualità e chiarezza espositiva delle norme.
Non ci si può, dunque, stupire se il dibattito sull’interpretazione e sull’esatta portata di alcuni articoli
del codice abbia assunto, con il passare del tempo,
toni sempre più critici, andando velocemente allargandosi sino a coinvolgere vari e molteplici aspetti
della riforma, tutti esaminati - e puntualmente censurati - sotto il profilo della loro tenuta costituzionale (5).
Così, quanto all’indennizzo diretto, si sono da più
fronti, giurisprudenziali e dottrinali, evidenziati, tra
gli altri, i seguenti profili di potenziale illegittimità
costituzionale:
– contrarietà all’art. 76 della Costituzione, in relazione sia alla mancata acquisizione del parere preventivo del Consiglio di Stato che all’asserito superamento dei limiti imposti dalla legge delega
229/2003 (nella misura in cui la nuova disciplina
avrebbe da un lato modificato le regole della responsabilità civile - sottraendo al danneggiato la
possibilità di agire nei confronti del danneggiante ex
art. 2054 c.c. - e dall’altro intaccato i principi sanciti in ambito comunitario in materia di azione diretta verso l’assicuratore del responsabile civile);
– violazione dell’art. 3 della Costituzione e del principio di eguaglianza, per aver la nuova procedura
creato una diversificazione di trattamento tra i danneggiati riguardati dall’indennizzo diretto (cioè
quelli che abbiano subito danni a cose o microlesioni nelle ipotesi disciplinate dall’art. 149 del cod. ass.
e dal relativo regolamento attuativo) e quelli invece
sottoposti al regime ordinario di cui al combinato
disposto degli artt. 145/148 del cod. ass.;
– violazione del diritto di difesa, ex art. 24 Cost., sotto un duplice punto di vista. Anzitutto in relazione
all’asserita preclusione, imposta al danneggiato, di
agire direttamente nei confronti del responsabile civile e della di lui impresa assicuratrice. Secondaria-
Danno e responsabilità 3/2009
mente in relazione alla limitazione imposta dall’art.
9 del d.P.R. 254/2006, che ha definitivamente disposto la non risarcibilità delle spese di assistenza
professionale diverse da quelle medico-legali sostenute dal danneggiato nella fase stragiudiziale della
procedura di risarcimento diretto.
Quanto, invece, all’art. 141 - che obbliga l’assicuratore del vettore a risarcire il terzo trasportato a prescindere da qualsiasi accertamento di responsabilità
e nei limiti del massimale minimo di legge -, le prime dispute dottrinali si erano focalizzate proprio attorno all’asserita necessità, per il passeggero/danneggiato, di rivolgersi soltanto all’impresa del veicolo vettore, con esclusione dell’azione diretta nei
confronti della compagnia assicuratrice del responsabile civile. Una tale impostazione avrebbe, infatti,
implicato gravi problemi di (il)legittimità costituzionale, dal momento che l’impossibilità di convenire in giudizio simultaneamente l’assicuratore del
vettore e quello del veicolo antagonista avrebbe
condotto, tra l’altro, ad una smaccata e non autorizzata deroga al principio della solidarietà tra coautori
di un fatto illecito, di cui all’art. 2055 c.c. (6).
L’ordinanza della Consulta
e l’interpretazione
costituzionalmente orientata
Gli argomenti sopra passati in rassegna sono stati
fatti propri da più di un giudice di merito, ed in particolare dai Giudici di Pace di Pavullo del Frignano
e di Montepulciano, estensori delle ordinanze che
hanno dato corso ai giudizi riuniti decisi dalla Consulta con la pronunzia n. 205 del 13 giugno 2008.
Nel primo caso il giudice a quo aveva sostenuto, da
un lato, l’incostituzionalità dell’eliminazione - sottesa sia all’indennizzo diretto che all’art. 141 - dell’azione generale di responsabilità prevista dall’art.
2054 c.c., e dall’altro, la contrarietà alla Carta Costituzionale della limitazione (imposta dall’art. 9 del
d.P.R. 254/2006) della difesa tecnica legale nella fase stragiudiziale.
Nel secondo caso, il Giudice di Pace di Montepulciano aveva sollevato la questione relativa alla illegittimità costituzionale del solo art. 141 del cod.
ass., per aver tale norma sostanzialmente stravolto i
Note:
(5) In questo senso, si consideri la questione di legittimità costituzionale dell’art. 140 del cod. ass., sollevata dal Tribunale di Nola con ordinanza 15 novembre 2008, n. 3400 (pubblicata sul sito
www.unarca.it).
(6) Si veda, per tutti, M. Rossetti, Le novità del codice delle assicurazioni, in Corr. giur., 2006, 131.
337
Giurisprudenza
Assicurazioni
canoni “classici e tipici” della responsabilità civile,
in aperta violazione degli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione. Il paradigma di operatività della disposizione in parola avrebbe tra l’altro prospettato - nella
ricostruzione del giudice toscano - sia una brusca
rottura con i principi dell’acquis communitaire, cristallizzatisi nella direttiva 2005/14/CE (c.d. quinta
direttiva auto), che invece si muovono nella direzione di obbligare gli Stati membri a provvedere affinché le persone lese da un sinistro possano avvalersi
di un’azione diretta nei confronti dell’assicuratore
del responsabile del sinistro, sia un improvvido tradimento degli obiettivi di tutela dei consumatori
posti a presidio della legge di delegazione n.
229/2003.
La delicatezza e l’importanza dei temi sottopostile
avrebbe potuto/dovuto indurre la Corte Costituzionale ad affrontarli a tutto tondo, con animo dirimente e definitivamente chiarificatore. Ciò non è
invece avvenuto.
Come noto, il Giudice delle Leggi si è limitato a risolvere il caso facendo leva sul fatto che in entrambi i casi i giudici di prossimità non avrebbero adempiuto l’obbligo di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme impugnate. E
da tale «mancata sperimentazione del tentativo di
interpretare le norme in modo conforme a costituzione» la Consulta ha derivato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità sottoposte al
suo vaglio.
Peraltro, nella parte motiva della propria decisione,
la Corte Costituzionale non ha mancato di osservare come l’opzione ermeneutica tralasciata dai Giudici di Pace fosse, in realtà, assai agevolmente esercitabile, sol che si considerasse come le norme impugnate «si limitino a rafforzare la posizione del trasportato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della Compagnia assicuratrice del veicolo, senza peraltro togliergli la possibilità di far valere i diritti derivanti dal
rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità civile dell’autore del fatto dannoso». Il che equivale a
dire che ogni preoccupazione in ordine alla pretesa
soppressione dell’ordinaria azione ex art. 2054 c.c.
nei confronti del responsabile civile deve intendersi, secondo la Consulta, frutto di lettura superficiale
ed erronea del nuovo impianto normativo.
Singolare, poi, il fatto che il ragionamento svolto
dalla Corte sia condotto con esclusivo riferimento al
solo art. 141 ed alla posizione del terzo trasportato,
quasi a non voler considerare le tematiche sottese
all’art. 149 ed all’indennizzo diretto.
Ora, non vi è dubbio, ed a parere di chi scrive non
338
poteva esservi sin dal principio (7), che né il risarcimento diretto né la procedura del terzo abbiano modificato il regime codicistico della responsabilità civile né tantomeno soppresso il diritto del danneggiato nei confronti sia del responsabile quanto del di
lui assicuratore. Diritti che certamente sopravvivono, come è facile desumere dalla stessa formulazione
delle norme in commento e dal fatto che:
– nell’indennizzo diretto, l’impresa gestionaria liquida “per conto” della debitrice ed il danneggiato è tenuto a rilasciare una quietanza liberatoria «valida
anche nei confronti del responsabile del sinistro e
della sua impresa di assicurazione»;
– in entrambe le procedure è prevista la possibilità
che l’impresa del responsabile civile intervenga in
giudizio e si assuma la gestione della lite, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ed
estromettendo l’assicuratore del danneggiato o del
vettore.
Il cuore del problema risiede semmai nella necessità
di comprendere se tali diritti possano dirsi, per effetto delle nuove procedure, “temporaneamente” paralizzati ed atipicamente privati dell’azione agli stessi
normalmente connaturata. Sul punto, la pronuncia
della Consulta sembra chiaramente e definitivamente affermare la piena e pacifica possibilità, da
parte del danneggiato, di svolgere, in alternativa/aggiunta alle domande/azioni dirette di cui agli artt.
141 e 149, l’ordinaria azione di responsabilità nei
confronti dell’autore del fatto dannoso. Nulla, invece, viene detto né circa la possibile convivenza dell’azione diretta di cui agli artt. 141 e 149 con l’azione diretta (ex art. 148) nei confronti dell’ente assicuratore del responsabile civile né sull’eventuale
rapporto di alternatività/cumulabilità dei due rimedi, ove effettivamente coesistenti.
In questo senso ci sentiamo, da un lato, di condividere pienamente l’opinione di quella dottrina che
ha definito l’ordinanza in commento come “laconica e deludente” (8), dall’altro di dissentire dall’opinione di coloro i quali, proprio sulla scorta della pronunzia della Corte Costituzionale, hanno ritenuto
di poter frettolosamente addivenire a conclusioni
definitive (peraltro recepite in alcune recentissime
pronunzie di merito (9)) tutte invariabilmente tese
Note:
(7) Sia benevolmente consentito il rinvio a M. Hazan, Guida all’indennizzo diretto e alle altre procedure liquidative, Milano,
2007, 207 ss.
(8) G. Fortunato, La nuova disciplina dell’assicurazione RC auto
al vaglio della Corte Costituzionale, pubblicato sul sito www.personaedanno.it in data 18 giugno 2008
(9) Vedi supra nota 2.
Danno e responsabilità 3/2009
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all’affermazione della mera facoltatività delle nuove
procedure e della pacifica sopravvivenza dell’azione
diretta ordinaria nei confronti dell’assicuratore del
responsabile civile.
In verità, la Consulta non ha fornito alcun autentico contributo di novità, se non quello di ridimensionare, e di molto, la rilevanza del dibattito e di affermare, sia pur incidentalmente, la sicura, e forse tautologica, tenuta, sul piano costituzionale, delle norme controverse, ove interpretate in modo salvifico e
conforme alla Costituzione. Quale, però, sia tale interpretazione “costituzionalmente orientata” (al filtro delle eccezioni sollevate in dottrina e fatte proprie dai Giudici “rimettenti”) è tema, in realtà,
niente affatto ovvio ed ancora tutto da scrivere, soprattutto - e proprio - con riferimento all’annosa e
cardinale questione della pretesa facoltatività della
disciplina delle nuove procedure liquidative.
Possiamo, così, sostenere che l’indennizzo diretto e
la procedura del trasportato, continuando a pagar
dazio alla loro precaria regolamentazione normativa, non abbiano a tutt’oggi - nonostante il più recentemente orientamento della Giurisprudenza di
merito - superato le necessarie prove d’assetto. Ci sia
dunque concesso di fornire qualche spunto di approfondimento e di ulteriore analisi delle questioni
sin qui trattate, avendo cura di evidenziare come l’omologazione delle problematiche sottese all’indennizzo diretto ed alla procedura ex art. 141 sia, a nostro parere, operazione sostanzialmente errata e, pertanto, da evitare. Terremo pertanto separate le due
diverse tematiche.
La duplicazione degli strumenti di tutela
del terzo trasportato: la non obbligatorietà
della procedura e dell’azione diretta
di cui all’art. 141 del cod. ass.
Come già osservato in un nostro precedente intervento pubblicato su questa rivista (10), il terzo trasportato,
prima dell’avvento dell’art. 141, poteva agevolmente
rivolgersi a più condebitori solidali (11), la colpa dei
quali era presunta ex lege. Così, in caso di scontro tra
veicoli, egli poteva invocare, ricorrendone i presupposti, la responsabilità solidale e concorrente, ex art. 2055
c.c., di tutti i conducenti coinvolti e dei loro assicuratori (ognuno dei quali chiamato a rispondere in via diretta e nei limiti del proprio massimale di polizza).
Se tale era il livello di protezione accordato al passeggero ai tempi della legge 990/69, non pare plausibile che il nuovo sistema codicistico, dichiaratamente teso a rafforzare la posizione del danneggiato,
possa in realtà averla diminuita o pregiudicata.
Danno e responsabilità 3/2009
A fortiori, applicando gli stessi criteri ermeneutici
indicati dalla Consulta, non si potrebbe che addivenire ad identiche conclusioni, non essendo nemmeno ipotizzabile - se non ammettendo la violazione
degli artt. 24 e 76 della Costituzione - che il Codice
delle Assicurazioni abbia posto il trasportato in posizione deteriore rispetto al passato e, comunque, rispetto ad altri danneggiati da sinistri stradali (ci riferiamo, ad esempio, ai pedoni od ai conducenti macrolesi, che potrebbero del tutto pacificamente agire
in via diretta nei confronti di tutti gli assicuratori
degli eventuali corresponsabili civili).
Né si potrà omettere di considerare come la sostituzione dell’azione diretta nei confronti degli assicuratori dei potenziali corresponsabili civili con la diversa e più limitata azione di cui all’art. 141 colliderebbe con la disciplina comunitaria ed in particolare
con quanto stabilito dalla così detta “Quinta direttiva” (n. 2005/14/CE), che prevede espressamente
l’obbligo per tutti gli Stati membri di accordare a
ciascuna persona lesa un diritto di azione diretta nei
confronti dell’impresa di assicurazione che garantisce il responsabile civile.
Alla luce di quanto sopra, deve oggi ritenersi autorevolmente valorizzata l’interpretazione già da noi
in precedenza propugnata sulle pagine di questa
stessa rivista (12). Un interpretazione “di favore”
dell’art. 141, inteso quale strumento “nuovo” ed aggiuntivo di tutela del trasportato, senza alcun pregiudizio del suo “ordinario” diritto di domandare il
risarcimento al responsabile civile ed al suo assicuratore. Soluzione, questa, condivisibile anche seguendo una più semplice e letterale opzione ermeneutica.
Si consideri, infatti, come l’art. 141, comma 3, disciplinando l’azione diretta del trasportato, non si
esprima in termini di assoluta esclusività, al contrario di quanto accade nell’indennizzo diretto (in relazione al quale il danneggiato può proporre l’azione
diretta nei «soli confronti» della propria impresa assicuratrice). La marcata differenza di impianto tra le
due norme pone in giusto rilievo la meno rigida impostazione dell’art. 141 consentendo di desumere,
anche per tale via, il mantenimento - in capo al terzo trasportato - del diritto di avvalersi della procedura ordinaria, secondo il combinato disposto degli
artt. 145/148 del cod. ass..
Note:
(10) M. Hazan, La nuova procedura di risarcimento del terzo trasportato: luci ed ombre, in questa Rivista, 2008, 356 ss.
(11) M. Rossetti, op. ult. cit.
(12) M. Hazan, La nuova procedura di risarcimento del terzo trasportato, cit.
339
Giurisprudenza
Assicurazioni
Pur se giunti a tale (ormai) sicuro approdo, non possiamo ritenere che i problemi introdotti dall’art. 141
siano tutti risolti. Al contrario. Vi è infatti da chiedersi quale sia la relazione tra i due strumenti risarcitori di cui oggi dispone il terzo trasportato, ovvero
se gli stessi siano alternativi ovvero cumulativi.
Al riguardo, nel silenzio della Consulta ed in assenza di indicazioni dirimenti di segno opposto, ci sentiamo di riproporre, in termini invariati, la soluzione
precedentemente suggerita, volta ad escludere la tesi della libera cumulabilità a favore di quella della rigida alternatività dei due rimedi. Pertanto, nel caso
in cui il danneggiato volesse fruire delle agevolazioni probatorie concessegli dall’art. 141, dovrebbe rivolgersi soltanto all’impresa assicuratrice del vettore, nelle forme e con i limiti stabiliti dalla norma;
ove invece ritenesse preferibile contare su di un
massimale più capiente, potrebbe utilizzare gli strumenti ordinari perdendo però i vantaggi procedurali
previsti dalla norma in commento. Intrapresa una
via, non sarebbe poi percorribile l’altra (13).
Al di là di tale problematica, ve ne è un’altra che discende direttamente dall’affermazione della non obbligatorietà della procedura del terzo trasportato. Ci
riferiamo alla questione afferente la (in)compatibilità tra l’art. 141 e l’art. 140 cod. ass., ossia la norma
che disciplina l’ipotesi di pluralità di danneggiati e
di supero del massimale.
Come deve esser letto l’inciso, «fermo restando
quanto previsto dall’art. 140» contenuto nel primo
comma dell’art. 141? Vuol forse significare che l’assicuratore del vettore dovrebbe attivarsi affinché
ciascuna pretesa di ogni trasportato danneggiato
dal medesimo sinistro (a bordo dello stesso veicolo
vettore) venga convogliata presso di sé (onde ripartire tra tutti i passeggeri danneggiati il massimale
minimo di legge)? Se così fosse, la richiesta svolta
da uno dei trasportati ex art 141 finirebbe per costringere gli altri a seguire la stessa procedura. Il che
equivarrebbe a negarne ontologicamente la facoltatività. Tale soluzione non può dunque essere accolta.
Forse allora che il rinvio all’art. 140 sia riferito al
massimale di polizza dell’impresa assicuratrice del
responsabile civile (sul quale, dopo tutto, graverebbe il peso finale della liquidazione)? Aderendo a siffatta impostazione dovremmo dire che in caso di
pluralità di partite (tali da potenzialmente comportare il supero del massimale), la regola dell’art. 140
precluda tout court l’applicazione della procedura di
cui all’art. 141 (incompatibile, tra l’altro, con la fattispecie litisconsortile, anche sotto il profilo della
possibilità per il solo assicuratore del responsabile
340
civile di liberarsi depositando una somma nei limiti
del massimale a favore di tutti i danneggiati).
Né si potrebbe, peraltro, opinare il contrario, e cioè
che l’art. 140 non sia mai applicabile in ipotesi di
danno da trasporto: se così fosse, e se ciascun singolo trasportato potesse contare sul massimale minimo
di legge, si rischierebbe di addivenire, in caso di pluralità di danneggiati dal medesimo sinistro, a liquidazioni complessive eccedenti il massimale contrattuale dell’impresa del responsabile civile (con potenziale pregiudizio del diritto di rivalsa dell’impresa
assicuratrice del vettore).
Sembra dunque preferibile sostenere che in caso di
potenziale supero del massimale e di pluralità di
danneggiati, questi ultimi, trasportati compresi, possano avvalersi soltanto della procedura ordinaria e
dell’azione diretta di cui al combinato disposto degli
artt. 144, 145 e 148 del cod. ass.. Ed invero, il problema della par condicio creditorum si pone non soltanto con riferimento alla pluralità di trasportati
ma, più genericamente, alla pluralità di danneggiati
magari del tutto estranei al trasporto (si pensi a pedoni investiti a seguito di uno scontro tra due o più
veicoli). In tale ipotesi, la necessità di una liquidazione concorsuale si porrebbe, all’evidenza, proprio
con riferimento al massimale di polizza del responsabile civile e non certamente a quello minimo di legge posto a disposizione, ex art. 141, del terzo trasportato.
Ci sia, da ultimo, consentito di evidenziare, ancora
una volta, come tutti i complessi gangli interpretativi sin qui passati in rassegna derivino dall’assoluto
difetto di formulazione e di coordinamento degli articoli in commento. La stessa disciplina dell’art. 140
è stata, peraltro, da più parti tacciata di incapacità di
raccordarsi razionalmente con il sistema liquidativo
della r.c.a. e, tra gli altri, con gli artt. 141 e 149 del
cod. ass., e per tale motivo sottoposta a svariate censure di legittimità costituzionale in seno ad una recentissima ordinanza del Tribunale di Nola (14).
L’obbligatorietà della procedura
di risarcimento diretto
Applicando all’indennizzo diretto i medesimi criteri
ermeneutici utilizzati a proposito dell’art. 141, potrà
rilevarsi come le problematiche afferenti la “tenuta”
della procedura liquidativa del trasportato divergano, e di molto, da quelle riguardanti l’art. 149.
Note:
(13) M. Hazan, ibidem.
(14) Si veda supra nota 5.
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Assicurazioni
A nostro parere, alla pacifica facoltatività della procedura liquidativa del terzo trasportato fa da contraltare la assoluta esclusività e cogenza della disciplina del risarcimento diretto, quale unico ed obbligatorio strumento risarcitorio invocabile dai danneggiati riguardati dal d.P.R. 254/2006.
È in questa direzione, peraltro, che l’accorto interprete dovrebbe muoversi, considerando la ratio ispiratrice dell’indennizzo diretto ed il fatto che tale
procedura, quale autentico pezzo forte della riforma
codicistica, fosse, nelle intenzioni del legislatore, sicuramente destinata ad essere applicata (ricorrendone i presupposti) senza possibilità di deroghe o scelte alternative. Tanto più in considerazione dell’effetto “domino” che ha sin dal principio ispirato i sostenitori dell’indennizzo diretto, tutti invariabilmente convinti del sicuro e positivo impatto della
nuova norma sui costi di gestione dei sinistri, sulla
concorrenzialità del mercato e, in definitiva, sull’abbattimento dei premi finali di polizza.
Ma, al di là delle intenzioni, la fondatezza della tesi
presuppone anzitutto che la procedura di risarcimento diretto regga - nella sua ipotizzata portata obbligatoria - al vaglio di quelle stesse eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate da più parti in dottrina e fatte proprie dal Giudice di Pace di Pavullo
del Frignano nell’ordinanza di rimessione alla Consulta. Passiamole, velocemente, in rassegna.
Quanto alla mancata acquisizione preventiva del
parere obbligatorio del Consiglio di Stato, la questione, se e in quanto effettivamente rilevante, introduce un problema di violazione dell’art. 76 Cost.
che si porrebbe anche laddove si considerasse la procedura del tutto facoltativa. Trattasi dunque di questione ai nostri fini irrilevante, in quanto non impatta sulla natura (obbligatoria o meno) dell’indennizzo diretto. Si consideri, in ogni caso, come non
siano mancate opinioni (15), tese a superare il dato
formale a beneficio di quello sostanziale, soprattutto
alla luce della ratifica che lo stesso Consiglio di Stato, successivamente investito della questione (sia
pur con esclusivo riferimento allo schema di decreto
attuativo), ha dato alla disciplina dell’indennizzo diretto (16), unitariamente e complessivamente considerata (17).
Quanto poi all’asserito superamento dei limiti imposti dalla legge delega n. 229 del 29 luglio 2003, vi è
chi ha sostenuto che la stessa non autorizzasse innovazioni sostanziali della disciplina previgente, se
non nella misura in cui le stesse fossero mirate all’accrescimento della tutela dei consumatori e, in
generale, dei contraenti più deboli. Effettivamente
non pare del tutto agevole affermare che la nuova
Danno e responsabilità 3/2009
disciplina dell’indennizzo diretto, ove obbligatoria,
segni un momento di sicuro sviluppo nella tutela dei
consumatori e, comunque, dei danneggiati (volendo, un poco forzatamente, equiparare questi ultimi
ai primi). Un illegittimo sconfinamento - ed un sicuro eccesso di delega - potrebbe certamente configurarsi nell’ipotesi in cui si ritenesse che l’art. 149
non consenta più al danneggiato di rivolgersi al responsabile del sinistro (come se l’art. 2054 c.c. fosse
stato cancellato). Ma tale lettura della norma, proprio perché contraria alla Costituzione, non può essere avallata, come del resto confermato dalla Consulta nell’ordinanza in commento.
Né vale a confutare la tesi l’opinione di coloro i quali (e con essi lo scrivente) hanno sostenuto che lo
svolgimento dell’azione nei confronti del responsabile civile sarebbe sostanzialmente incompatibile
con la procedura di risarcimento diretto, finendo per
provocare - su istanza del medesimo responsabile - il
coinvolgimento del di lui assicuratore (in luogo di
quello del danneggiato).
Res melius perpensa, la chiamata in causa dell’impresa del responsabile (oltre che costituire ipotesi meramente accademica, non avendo - di regola - il
danneggiato interesse a citare in giudizio persone fisiche in luogo di più solide compagnie assicuratrici)
non condurrebbe ad alcun aggiramento della norma, dal momento che tale chiamata non ricreerebbe
una situazione del tutto analoga a quella che scaturirebbe dall’esercizio dell’azione diretta (ben potendo, ad esempio, l’assicuratore/chiamato sollevare eccezioni contrattuali, altrimenti precluse).
Il riconoscimento della possibile coesistenza dell’indennizzo diretto con l’esercizio di un’azione nei soli
confronti del responsabile civile non esaurisce, peraltro, l’indagine. Occorre infatti compiere un’ulteriore verifica e comprendere se l’obbligatoria sostituzione dell’azione diretta verso l’impresa assicuratrice del responsabile civile con quella verso l’assicuratore del danneggiato integri, o meno, un’indebita compressione dei diritti di quest’ultimo (ed un
Note:
(15) Criscuolo, La R.C. Auto dopo la riforma delle assicurazioni,
Napoli, 2006, 146.
(16) Nel proprio parere consultivo del 27 febbraio 2006 ha sostanzialmente dato via libera all’integrazione regolamentare attuativa (d.P.R. 254/2006), con il che ratificando nel suo insieme
l’intero corpo normativo disciplinante il risarcimento diretto.
(17) In senso contrario v. però Bona, Indennizzo diretto: una disciplina carente, incostituzionale e contro la riparazione integrale
dei danni, in Corr. merito, 2006, 1112. Secondo l’Autore il vizio
genetico non è sanabile, né comunque sarebbe stato sanato dagli ulteriori interventi effettuati dal Consiglio di Stato sullo schema di decreto attuativo.
341
Giurisprudenza
Assicurazioni
conseguente superamento dei limiti della delegazione legislativa).
Orbene, per quanto l’esigenza di protezione delle
vittime di incidenti automobilistici si atteggi quale
principio-cardine dell’intero sistema della r.c.a., non
sembra azzardato dare a tale quesito una risposta negativa. Invero, su un piano astratto, dal punto di vista delle tutele e delle garanzie di pronto ristoro, dovrebbe essere (quantomeno) indifferente per il terzo
leso avere come referente il proprio assicuratore,
piuttosto che quello del responsabile civile; naturalmente, il discorso sarebbe stato ben diverso se la
scelta fosse caduta su un soggetto di diverso rango
patrimoniale, o comunque tale da offrire inferiori
garanzie di solvibilità. Nel caso in esame, al contrario, l’elemento innovativo può esser letto in termini
di autentico miglioramento della posizione del danneggiato in quanto teso, almeno nelle intenzioni, a
favorire una velocizzazione dei tempi di liquidazione
e una riduzione del contenzioso (tenuto conto del
particolare rapporto fiduciario tra contraente ed impresa): obiettivi, questi, che si pongono in linea sia
con i principi espressi dall’art. 4 della legge delega
che con le esigenze di miglior funzionamento del sistema risarcitorio della r.c.a. che, infine, con gli scopi perseguiti dal legislatore UE.
D’altra parte, proprio in ottica comunitaria, non
sembra affatto rilevante il fatto che l’azione diretta
sia qui rivolta ad un assicuratore diverso da quello
del responsabile civile. Si consideri, infatti, come
nel sistema dell’indennizzo diretto la compagnia gestionaria operi “per conto” della debitrice, surrogandosi alla stessa e realizzando una sorta di sostituzione ex lege che non tradisce in alcun modo i principi imposti dalla quinta direttiva. Ciò in quanto
l’impresa del danneggiato, oltre che agire per conto
di quella del danneggiante, sarà tenuta a liquidare
secondo medesimi criteri di correttezza e buona fede (criteri addirittura rafforzati, nell’indennizzo diretto, dal momento che la gestionaria è tenuta a garantire al proprio assicurato - ex art. 9 primo comma
del d.P.R. 254/2006 - la “piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno”). A nostro parere,
pertanto, la previsione del risarcimento diretto quale procedimento liquidativo obbligatorio - non
oltrepassa i limiti fissati dal Parlamento ex art. 76
Cost..
E nemmeno pone insuperabili problemi di tenuta riguardo alla pretesa violazione degli artt. 3 e 24 della
Carta Costituzionale (norme, peraltro, evocate non
tanto in relazione alla cogenza della nuova procedura bensì con riferimento alla pretesa restrizione dell’area del danno risarcibile, soprattutto per quel che
342
attiene alla mancata rifusione delle spese legali sostenute dal danneggiato nella fase stragiudiziale).
Più genericamente dovremmo sostenere che l’indennizzo diretto, non derogando ai principi basilari
che regolano la r.c.a., tende, nella sua astratta previsione legislativa, ad ottimizzare i processi liquidativi,
disegnando una procedura - teoricamente perfetta in seno alla quale l’assicuratore si pone al fianco del
proprio cliente con l’obiettivo di consentirgli la
massima soddisfazione del suo diritto a conseguire
un risarcimento pieno ed integrale (ed in questo
astratto contesto la rinunzia alle spese di assistenza
tecnica e legale sembra del tutto accettabile). Il fatto, poi, che questo disegno “virtuoso” si riveli sovente, nella prassi, nient’altro che “virtuale” (finendo
spesso per penalizzare anziché premiare i danneggiati) è circostanza che non riguarda la costituzionalità
della norma, ma la sua effettiva capacità di raggiungere gli obiettivi alla stessa sottesi.
Ciò posto, non possiamo che evidenziare come la disciplina dell’art. 149 segni una profonda differenza
rispetto a quella del 141: a differenza della prima, la
procedura introdotta da quest’ultima norma, ove
obbligatoria, avrebbe avuto l’effetto - come visto
poc’anzi - di porre (già sulla carta) il trasportato in
posizione certamente deteriore rispetto al passato,
privandolo del beneficio della corresponsabilità legale, ex art. 2055 c.c.. Cosa che, ripetesi, non avviene nell’indennizzo diretto (le cui norme, nella loro
testuale formulazione, confermano anche sotto il
profilo strettamente letterale, la bontà di questa opzione ermeneutica).
Conclusioni
Vi è, dunque, la necessità di scindere i ragionamenti e di separare le conclusioni.
Così, secondo noi, alla necessaria affermazione della
facoltatività della procedura del terzo trasportato si
contrappone - a salvaguardia degli stessi macroobiettivi posti a presidio dell’art. 149 - l’altrettanto
imprescindibile obbligatorietà dell’indennizzo diretto.
Erra, probabilmente, chi ritiene che l’ordinanza della Consulta abbia definitivamente sdoganato la legittimità delle diverse tesi, volte a considerare entrambe le procedure come meramente opzionali. La
pronunzia della Corte Costituzionale (ritagliata, peraltro, attorno alla sola disciplina dell’art. 141) si è,
infatti, sostanzialmente limitata ad affermare incidentalmente il mantenimento, in capo, al danneggiato del diritto di agire nei confronti del solo responsabile civile, ex artt. 2043/2054 c.c..
Danno e responsabilità 3/2009
Giurisprudenza
Assicurazioni
Quanto al resto, la Consulta, ha vividamente invitato gli interpreti a leggere le norme in modo salvifico e conforme alla Carta, senza peraltro offrire particolari ed ulteriori chiavi di lettura.
Alla luce di quanto sopra ci sentiamo di dubitare
della correttezza delle conclusioni a cui più di un
giudice di merito è frettolosamente approdato affermando, proprio sulla scia dell’ordinanza del 13 giugno, la mera facoltatività dell’indennizzo diretto. Ci
riferiamo, in particolare, a quanto sostenuto dal
Giudice di Pace di Trapani (sentenza n. 439 del 30
giugno 2008, inedita), a cui dire «secondo l’ordinanza n. 205 della Corte Costituzionale, depositata
il 13 giugno 2008, è consentito al danneggiato di
agire anche nei confronti del civile responsabile (e
della di lui compagnia)». In senso conforme si registra un ancor più recente orientamento, a mente del
quale, «non essendovi obbligatorietà dell’azione diretta nei confronti del proprio assicuratore ex art.
149 … nulla impedisce al danneggiato che abbia
correttamente instaurato la fase stragiudiziale di
esperire alternativamente l’azione diretta di carattere generale nei confronti della società assicuratrice
del veicolo danneggiante…. ale indirizzo trova conferma nella recente ordinanza della Corte Costituzionale n. 205/2008» (G.d.P. Torino, sentenza n.
11327 dell’11 novembre 2008, inedita).
Merita, infine, di esser separatamente ricordata una
pronunzia del Giudice di Pace di Pozzuoli (n. 1852
del 14 luglio 2008) secondo cui: «… alla luce dell’ordinanza della Corte Costituzionale, una volta
esperita infruttuosamente la procedura stragiudiziale
nei confronti della propria compagnia di assicurazione…il danneggiato ha la facoltà di agire in giudizio
nei soli confronti del danneggiante (avendolo, però,
preventivamente messo in mora) o congiuntamente
con la sua compagnia d’assicurazione, ai sensi degli
articoli 2043 e 2054 c.c. (assicuratore già messo in
mora ex art. 149 e 145)».
A prescindere della non condivisibilità della tesi
“facoltativa”, tale ultima decisione giunge a sostenere che, nelle ipotesi ricadenti entro il paradigma dell’art. 149, l’azione ordinaria possa esser svolta soltanto dopo che il danneggiato abbia esperito la procedura stragiudiziale nei confronti del proprio assicuratore. In sostanza, l’obbligatorietà dell’indennizzo diretto sarebbe limitata alla fase non contenziosa,
dovendosi necessariamente - il danneggiato - rivolgersi preliminarmente alla propria compagnia. Soltanto in caso di infruttuoso decorso dei termini, egli
potrebbe esser libero di agire, a sua discrezione, tanto contro l’impresa gestionaria quanto nei confronti
dell’assicuratore del responsabile civile.
Danno e responsabilità 3/2009
Anche sotto questo profilo, la tesi in esame mostra
qualche crepa, risultando quantomeno inopportuno
che la fase stragiudiziale (istituzionalmente tesa a favorire un accordo e ad evitare un giudizio) sia gestita da un’impresa diversa da quella successivamente
citata in giudizio. In questo modo si annichilirebbe
il diritto di ogni compagnia di controllare e gestire
al meglio la fase stragiudiziale e di evitare ogni aggravio connesso all’eventuale instaurazione di un
processo altrimenti evitabile.
In ultima analisi, pur dovendo prendere atto della
sopra descritta tendenza giurisprudenziale di merito,
riteniamo di non poterne condividere il contenuto.
Non vi è dubbio che l’indennizzo diretto, autentica
rivoluzione copernicana di un sistema risarcitorio
che aveva retto, più che decorosamente, per oltre
trent’anni, non benefici di una regolamentazione
chiara e cristallina. Ed è, parimenti, indubitabile
che tale nuova procedura liquidativa abbia, in concreto, posto almeno tanti nuovi problemi di quanti
abbia tentato di risolvere. D’altra parte non è mistero che intere categorie di professionisti, pregiudicati
dal nuovo regime delle spese di assistenza tecnica e
legale, confidino fortemente nella possibilità di aggirare l’ostacolo rivolgendosi all’assicuratore del responsabile civile, ove ciò sia ritenuto ammissibile.
Ebbene, per quanto tali argomenti siano fortemente
suggestivi (e parzialmente giustificati da una nomopoiesi quantomeno approssimativa), non potranno
perdersi di vista gli autentici tratti distintivi della
procedura diretta. Una procedura che, imbastita dal
legislatore su trame di largo respiro e motivazioni di
rango macroeconomico, ritrae la propria ragion d’essere dalla supposta idoneità a funzionare su larga
scala (e pertanto da una imprescindibile ed ontologica obbligatorietà).
343
Indici
Civile
INDICE DEGLI AUTORI
Corte di cassazione
Civile
Amram Denise
La liquidazione del danno patrimoniale futuro tra
oneri probatori e valutazione delle circostanze concrete .........................................................................
14 luglio 2008, n. 19321, sez. III ..............................
15 luglio 2008, n. 19445, sez. III ...............................
270
11 novembre 2008, n. 26972, sez. un. .....................
5 dicembre 2008, n. 28812, sez. III ..........................
Arnone Gino M.D.
Sinistri stradali, visita medica e prescrizione ............
3 gennaio 2009, n. 469, sez. III .................................
265
16 gennaio 2009, n. 993, sez. III ..............................
Batà Antonella
Osservatorio di legittimità .........................................
3 gennaio 2009, n. 479, sez. III ................................
321
23 gennaio 2009, n. 1691, sez. III ............................
265
270
279
293
321
321
322
322
Penale
Gazzara Massimo
Danno non patrimoniale da inadempimento: le
SS.UU. e le prime applicazioni nella giurisprudenza
di merito ...................................................................
279
Gioia Gina
Osservatorio sulla giustizia amministrativa ...............
324
Hazan Maurizio
Per forza o per scelta: l’indennizzo diretto e l’art. 141
del Codice delle Assicurazioni ..................................
21 ottobre 2008 (13 gennaio 2009), n. 1072, sez. I ..
330
30 ottobre 2008 (15 dicembre 2008), n. 46088, sez.
un. ............................................................................
330
27 novembre 2008 (23 dicembre 2008), n. 47803,
sez. un. .....................................................................
331
18 dicembre 2008 (21 gennaio 2009), n. 2437, sez.
un. . ...........................................................................
329
Tribunale
333
14 ottobre 2008, Caltanissetta .................................
315
Consiglio di Stato
Marena Gaetana
Rilevanza dell’obbligazione custodiale nel contratto
di albergo ..................................................................
17 dicembre 2008, n. 6264, sez. VI ..........................
8 gennaio 2009, n. 23, sez. V ...................................
293
Nocco Luca
Itinerari della giurisprudenza - La responsabilità civile
dell’avvocato ............................................................
INDICE ANALITICO
315
329
237
Querci Agnese
La responsabilità da farmaci nell’ordinamento statunitense: cronaca di una realtà che cambia ...............
244
Spirito Angelo
Osservatorio di legittimità .........................................
321
INDICE CRONOLOGICO
DEI PROVVEDIMENTI
Giurisprudenza
Danno e responsabilità 3/2009
Costituzione di parte civile (Cassazione penale, sez.
un., 27 novembre 2008 (23 dicembre 2008), n.
47803), in Osservatorio di giustizia penale ...............
331
Per forza o per scelta: l’indennizzo diretto e l’art. 141
del Codice delle Assicurazioni (Corte costituzionale,
ord., 13 giugno 2008, n. 205), con commento di
Maurizio Hazan .........................................................
333
Danni non patrimoniali
La liquidazione del danno patrimoniale futuro tra
oneri probatori e valutazione delle circostanze concrete (Cassazione civile, sez. III, 15 luglio 2008, n.
19445), con commento di Denise Amram ...............
270
Danno non patrimoniale da inadempimento: le
SS.UU. e le prime applicazioni nella giurisprudenza
di merito (Cassazione civile, sez. un., 11 novembre
2008, n. 26972), con commento di Massimo Gazzara ..............................................................................
279
Danno morale
Corte costituzionale
13 giugno 2008, n. 205, ord. ....................................
Applicazione di pena su richiesta delle parti
Assicurazioni
Poncibò Cristina
Gli enti: dal danno morale al “nuovo” danno non patrimoniale .................................................................
326
302
Piergallini Carlo
Osservatorio di giustizia penale ................................
Tribunale amministrativo regionale
14 gennaio 2009, n. 7, sez. II, Calabria .....................
Pera Alessandra
Il rogo di una Laguna: la responsabilità da prodotto
difettoso della Renault S.A. ......................................
324
324
333
Gli enti: dal danno morale al “nuovo” danno non patrimoniale, di Cristina Poncibò ..................................
237
345
Indici
Civile
Deposito e custodia
Rilevanza dell’obbligazione custodiale nel contratto
di albergo (Cassazione civile, sez. III, 5 dicembre
2008, n. 28812), con commento di Gaetana Marena ..........................................................................
Prova liberatoria (Cassazione civile, sez. III, 16 gennaio 2009, n. 993), in Osservatorio di legittimità .......
Responsabilità da farmaci
293
Gare d’appalto
revoca dell’aggiudicazione provvisoria (Consiglio di
Stato, sez. VI, 17 dicembre 2008, n. 6264), in Osservatorio sulla giustizia amministrativa ........................
Responsabilità precontrattuale (T.a.r. Calabria, sez.
II, 14 gennaio 2009, n. 7), in Osservatorio sulla giustizia amministrativa .................................................
322
La responsabilità da farmaci nell’ordinamento statunitense: cronaca di una realtà che cambia, di Agnese
Querci .......................................................................
244
Responsabilità medica
324
326
Consenso dell’avente diritto, violenza privata, lesioni
personali volontarie (Cassazione penale, sez. un., 18
dicembre 2008 (21 gennaio 2009), n. 2437), in Osservatorio di giustizia penale ....................................
Giurisdizione civile
Responsabilità professionale
Azione civile nel processo penale (Cassazione penale, sez. I, 21 ottobre 2008 (13 gennaio 2009), n.
1072), in Osservatorio di giustizia penale .................
Itinerari della giurisprudenza - La responsabilità civile
dell’avvocato, a cura di Luca Nocco .........................
329
302
330
Risarcimento danni
Prescrizione
Sinistri stradali, visita medica e prescrizione (Cassazione civile, sez. III, 14 luglio 2008, n. 19321), di Gino M.D. Arnone ........................................................
265
Querela
Remissione tacita (Cassazione penale, sez. un., 30
ottobre 2008 (15 dicembre 2008), n. 46088), in Osservatorio di giustizia penale ....................................
Colpa presunta (Cassazione civile, sez. III 3 gennaio
2009, n. 479), in Osservatorio di legittimità .............
Danni non patrimoniali (Cassazione civile, sez. III, 3
gennaio 2009, n. 469), in Osservatorio di legittimità .
Morte del mancato aggiudicatario dopo il giudizio di
ottemperanza (Consiglio di Stato, sez. V, 8 gennaio
2009, n. 23), in Osservatorio sulla giustizia amministrativa ......................................................................
321
321
324
330
Tutela dei consumatori
Responsabilità civile
obbligo di custodia (Cassazione civile, sez. III, 23
gennaio 2009, n. 1691), in Osservatorio di legittimità .........................................................................
346
322
Il rogo di una Laguna: la responsabilità da prodotto
difettoso della Renault S.A. (Tribunale di Caltanissetta 14 ottobre 2008), con commento di Alessandra
Pera ..........................................................................
315
Danno e responsabilità 3/2009