La relazione giurata estimativa del professionista

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La relazione giurata estimativa del professionista
CONSIGLIO NAZIONALE
DEI DOTTORI COMMERCIALISTI
E DEGLI ESPERTI CONTABILI
COMMISSIONE NAZIONALE DI STUDIO
“IL DIRITTO FALLIMENTARE DOPO LA RIFORMA”
dott. Franco Michelotti
dott. Alberto Guiotto
dott. Massimo Bellantone
dott. ssa Paola Lorenzetti
dott. Roberto Marrani
dott. Armando Mussolino
dott. Antonio Passantino
dott. Liberato Passarelli
dott. Marcello Pollio
dott. Stefano Tedeschi
prof. Massimo Fabiani
avv. Chiara Micarelli
presidente
segretario
componente
componente
componente
componente
componente
componente
componente
componente
esperto
segretario tecnico
dott.ssa Giulia Pusterla – consigliere nazionale delegato
LA RELAZIONE GIURATA ESTIMATIVA DEL PROFESSIONISTA
NEL CONCORDATO PREVENTIVO E NEL CONCORDATO FALLIMENTARE
SOMMARIO
1.
LA RELAZIONE ESTIMATIVA QUALE CONDIZIONE DI AMMISSIBILITÀ DEL CONCORDATO
PREVENTIVO E FALLIMENTARE CON FALCIDIA DEI CREDITORI PRELATIZI.
2.
LO SCOPO E L’OGGETTO DELLA RELAZIONE ESTIMATIVA
3.
IL CONTENUTO DELLA RELAZIONE ESTIMATIVA
4.
I CRITERI DI VALUTAZIONE
COMMISSIONE NAZIONALE DI STUDIO
"IL DIRITTO FALLIMENTARE DOPO LA RIFORMA"
La relazione giurata estimativa del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare
1. LA RELAZIONE ESTIMATIVA QUALE CONDIZIONE DI AMMISSIBILITÀ
DEL CONCORDATO PREVENTIVO E FALLIMENTARE CON FALCIDIA DEI
CREDITORI PRELATIZI.
Una delle novità di maggior rilievo introdotte dal decreto correttivo delle
procedure concorsuali è rappresentata senza dubbio dalla possibilità di soddisfare in
misura non integrale i crediti assistiti da privilegio generale.
A onor del vero, già la riforma del diritto fallimentare attuata con il d. lgs 9
gennaio 2006, n. 5, con la nuova formulazione dell’art. 124 l. fall., aveva introdotto
la possibilità di soddisfare in misura percentuale i creditori muniti di ipoteca, pegno
e privilegio speciale, purché i cespiti o crediti oggetto della garanzia fossero
indubitabilmente insufficienti a garantire, con il ricavato della loro vendita,
l’integrale pagamento di quel debito. Questa impostazione, peraltro, non era
innovativa giacché già prima di allora la possibilità di limitare la soddisfazione dei
creditori ipotecari al valore dell’immobile posto a garanzia era affermata da diverse,
ancorché sporadiche, pronunce giurisprudenziali. Seguendo la supposta ratio della
norma riformata, alcuni commentatori già ritenevano di poter estendere la
possibilità di pagamento falcidiato anche ai privilegi generali, ancorché larga parte
della dottrina fosse di parere opposto. Con l’attuale formulazione degli artt. 124 e
160 i dubbi paiono essere risolti e, pertanto, la dottrina dominante ritiene oggi
possibile formulare una proposta concordataria (da parte del debitore, dei creditori
o di terzi) che preveda il pagamento parziale anche dei debiti che risultino assistiti
da privilegi generali.
Dunque, allorché il piano di concordato, preventivo o fallimentare, preveda la
soddisfazione non integrale dei creditori prelatizi, vale a dire dei creditori muniti di
pegno, ipoteca o privilegio, generale o speciale, è necessario che alla proposta di
concordato venga allegata una relazione giurata di stima, redatta da un dottore
commercialista o da un ragioniere commercialista o da un avvocato, iscritti nei
relativi albi professionali, ed iscritto altresì nel registro dei revisori contabili, nella
quale venga indicato il valore di mercato effettivamente realizzabile dalla
liquidazione dei beni e dei diritti oggetto della garanzia. Tale relazione di stima, che
può essere redatta anche da professionisti soci o associati in società professionali o
studi professionali associati, purché il professionista incaricato abbia i requisiti sopra
illustrati e
la società o l’associazione professionale sia composta soltanto da
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professionisti iscritti negli albi sopra richiamati, è, dunque, condizione di
ammissibilità della domanda di concordato preventivo o fallimentare che preveda
la falcidia dei creditori prelatizi. La funzione della relazione in esame è, pertanto,
quella di stabilire indirettamente la misura minima della percentuale di soddisfazione
dei creditori prelatizi offerta con il concordato, al disotto della quale la proposta
non può essere ammessa. Infatti, stabilito quanto i creditori prelatizi riceveranno in
mancanza di concordato, la proposta non può prevedere l’offerta di una percentuale
inferiore. Dunque, la proposta di concordato deve offrire ai creditori prelatizi
falcidiati un riparto superiore a quello che riceverebbero nel fallimento senza il
concordato.
Nel presente documento, si intende per “professionista stimatore” il professionista
idoneo a redigere la relazione giurata di stima di cui agli artt. 124 e 160 della legge
fall.
2. LO SCOPO E L’OGGETTO DELLA RELAZIONE ESTIMATIVA.
Lo scopo della relazione di stima di cui agli artt. 160 e 124 l. fall. è quello di
informare i creditori ed il Tribunale sul valore di mercato, effettivamente ricavabile
a prezzi di realizzo con la liquidazione coattiva fallimentare, dei beni e dei diritti del
debitore sui quali sussiste una causa di prelazione a favore dei creditori (c.d.
creditori prelatizi).
L’oggetto della relazione in esame è dato dal “valore di mercato” dei beni e dei
diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, pegno, ipoteca o privilegio, generale o
speciale. Infatti, è da ritenere sotto il profilo letterale che l’aggettivo “indicato” si
riferisca non al sostantivo “ricavato”, bensì al “valore di mercato”. Occorre
considerare in proposito che nel testo degli artt. 124 e 160 citati non vi è la virgola
dopo le parole “causa di prelazione”; qualora, invece, tale virgola vi fosse stata,
allora l’aggettivo “indicato” sarebbe stato riferibile al “ricavato” e non al “valore di
mercato”. Dunque, la relazione deve indicare il valore di mercato dei beni e dei
diritti gravati da cause di prelazione.
Tuttavia, siccome il valore di mercato che deve essere indicato nella relazione è
indubitabilmente quello effettivamente realizzabile con la liquidazione fallimentare,
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in concreto la distinzione terminologica tra valore di mercato e ricavato non pare
rilevante sotto il profilo giuridico se non sotto l’aspetto delle spese inerenti il
realizzo del bene o del diritto oggetto di stima. Si tratta, cioè, di stabilire se il valore
di mercato effettivamente realizzabile sia da considerare nella relazione di stima al
lordo o al netto delle spese. In questa prospettiva, è da ritenere utile riconsiderare lo
scopo della relazione estimativa di cui si parla.
Se, come si è detto, il fine della relazione in esame è quello di informare i
creditori prelatizi e il Tribunale di quanto realizzeranno nel fallimento dalla
liquidazione dei beni e diritti su cui insistono le cause di prelazione che garantiscono
il loro credito, non sembra sufficiente indicare soltanto il valore di mercato lordo
che potrà essere ragionevolmente realizzato, perché le spese comunque verranno
sostenute e necessariamente verranno detratte dal ricavato lordo. Pertanto,
nell’ipotesi di vendita di un immobile, la stima dovrà certamente avere ad oggetto il
prezzo effettivamente realizzabile nel fallimento, ma dovrà necessariamente
considerare anche le spese della vendita che sono a carico del venditore, come
quelle di perizia, quelle di cancellazione delle iscrizioni e delle trascrizioni
pregiudizievoli, ecc.. Così, nel caso di realizzo di crediti, oltre alla somma che si
ritiene realizzabile avuto riguardo alla solvibilità del debitore e all’esistenza di
contestazioni, non potrà essere omessa la deduzione delle spese relative al recupero
del credito, in quanto al creditore prelatizio ciò che viene distribuito non è il lordo
ma il netto.
Dunque, l’oggetto della relazione è da ritenere che sia il valore di mercato
effettivamente realizzabile con la liquidazione fallimentare al netto delle spese
inerenti di carattere specifico. Non sembra, viceversa, che debba essere oggetto
della relazione di stima, la quota parte di spese generali o comuni alle varie masse,
imputabile al realizzo del bene o del diritto oggetto della garanzia prelatizia.
L’indicazione delle spese generali della procedura verrà effettuata nel piano di
concordato, preventivo o fallimentare che sia. Infatti, la stima delle spese generali
presuppone la conoscenza di tutta la procedura fallimentare, il che pare eccessivo
per chi – come il professionista stimatore – può, nel più frequente dei casi (pegno,
ipoteca e privilegio speciale), essere chiamato a stimare il presumibile realizzo di
singoli beni o diritti.
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Tale interpretazione estensiva del concetto di valore ricavabile dalla liquidazione
fallimentare, comprendente anche la valutazione delle spese specifiche imputabili al
realizzo dei beni e dei diritti in parola, trova fondamento anche nella scelta che il
legislatore ha fatto in ordine alle qualifiche professionali che devono possedere i
soggetti che effettuano la stima in esame. Infatti, se il valore che doveva esser
indicato nella relazione, fosse stato soltanto quello lordo, allora tra i professionisti in
parola avrebbero potuto essere ricompresi anche quelli delle materie tecniche, ma
essendo richiesta dal legislatore una professionalità diversa è logico che la relazione
estimativa debba spingersi fino alla indicazione del ricavato al netto delle spese,
quantomeno specifiche. Il tutto, al fine di facilitare il compito del Tribunale e dei
creditori prelatizi nella valutazione della proposta concordataria in confronto con la
liquidazione fallimentare.
Sulla scorta delle suesposte considerazioni, si può, ora, esaminare la nozione di
“beni e diritti”, il cui valore di mercato effettivamente realizzabile deve essere
indicato nella relazione estimativa.
La distinzione tra beni e diritti è stabilita dal codice civile negli artt. 812 e 813
c.c. I beni immobili sono elencati positivamente e tassativamente dall’art. 812, co. 1,
che indica quelli per natura e per accessione o incorporazione, e dall’art. 812, co. 2,
che indica quelli per destinazione in funzione della loro utilizzazione.
I beni mobili sono individuati negativamente dall’art. 812, co. 3, come tutti i
beni che non sono immobili. I diritti sono distinti in diritti immobiliari e diritti
mobiliari in forza dell’art. 813 c. c. I diritti immobiliari sono i diritti reali che hanno
per oggetto i beni immobili e le loro azioni. I diritti mobiliari sono tutti gli altri.
Pertanto, la dottrina e la giurisprudenza hanno ricondotto tra i beni immobili,oltre
a quelli indicati dalla legge, anche le miniere, tra i diritti immobiliari il diritto di
proprietà, piena o nuda, e l’usufrutto sui terreni e sui fabbricati, la superficie, il
diritto dell’enfiteuta, la servitù e l’abitazione, l’azione possessoria, i diritti che
derivano da concessioni amministrative (diritto di derivazione di acqua, di pesca, di
tonnara) i quali abbiano carattere reale cioè possano essere opposti a chiunque, il
diritto al sepolcro, le azioni di regolamento dei confini e di apposizione dei termini,
di costituzione di servitù coattive, quelle per la riduzione delle donazioni di beni
immobili, per l’annullamento o la rescissione di un contratto che attribuisca o
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disconosca il diritto reale su un bene immobile, le azioni revocatorie della
donazione di un bene immobile, quelle ordinarie o fallimentari relative alla vendita o
alienazione di un bene immobile o che hanno per oggetto un diritto reale su un
bene immobile.
Tra i beni mobili sono ricompresi le quote di s.r.l. e di società di persone, quali
beni immateriali. Tra i diritti mobiliarisono compresi tutti i diritti e le azioni che
hanno per oggetto beni mobili, come la proprietà, l’usufrutto e l’uso su beni mobili,
i diritti di garanzia come il pegno e i privilegi su cose mobili, i diritti di credito e le
relative azioni che mirano ad ottenere un bene mobile, un facere o una somma di
denaro, le azioni di responsabilità verso gli organi sociali delle società, le azioni
revocatorie ordinarie e fallimentari che abbiano ad oggetto un bene mobile, ecc.
Oggetto della stima, dunque, devono essere i beni e i diritti su cui grava la
garanzia che assiste il credito oggetto di falcidia in base al piano di concordato.
Nel caso di pegno, oggetto della garanzia reale possono essere i beni mobili, le
universalità di mobili, i crediti, titoli di credito, quote di fondi comuni, azioni, quote
di s.r.l. e gli altri diritti aventi per oggetto i beni mobili (c.d. diritti mobiliari).
Nel caso di ipoteca, oggetto della garanzia reale possono essere i beni immobili e
le loro pertinenze, l’usufrutto sugli stessi beni, il diritto di superficie, il diritto
dell’enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico, le rendite dello Stato nel
modi determinato dalle leggi relative al debito pubblico, le navi, gli aeromobili e gli
autoveicoli.
Nel caso di privilegi speciali, oggetto della garanzia può essere un bene mobile
(c.d. privilegi mobiliari) o un bene immobile (c.d. privilegi immobiliari).
Nel caso di privilegi generali, oggetto della garanzia è il patrimonio mobiliare del
debitore. Dunque, in tale fattispecie occorre valutare l’azienda e, quindi, anche
l’eventuale avviamento, qualora si ritenga realizzabile nella liquidazione fallimentare.
Se il privilegio generale gode anche della collocazione sussidiaria sugli immobili,
allora l’oggetto della garanzia si estende anche ai beni immobili compresi nel
patrimonio del debitore.
Problematica peculiare è quella del concordato, preventivo e fallimentare, delle
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società di persone. Infatti, nel caso di fallimento delle società di persone, si ha, oltre
al fallimento sociale, anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili. I
creditori sociali vengono ammessi allo stato passivo della società e a quelli dei soci
falliti con l’eventuale medesimo privilegio generale di cui siano titolari. Pertanto, nel
caso di falcidia dei creditori con privilegio generale, l’oggetto della stima in esame
deve comprendere anche i patrimoni mobiliari dei soci illimitatamente responsabili
su cui si soddisfa nel fallimento il credito con privilegio generale. Va da sé che se il
credito con privilegio generale è assistito anche dalla collocazione sussidiaria sugli
immobili e se nel patrimonio dei soci vi sono degli immobili, la stima in oggetto
dovrà comprendere anche tali immobili personali.
In conclusione, l’oggetto della garanzia è l’oggetto che deve essere stimato nella
relazione di cui ci si occupa. Pertanto, l’oggetto della stima sono non tutti i beni del
debitore ma soltanto quelli su cui grava la garanzia che assiste il credito che il
concordato propone che sia falcidiato.
3. IL CONTENUTO DELLA RELAZIONE ESTIMATIVA.
Venendo al contenuto specifico della relazione estimativa, è da ritenere che il
professionista debba esporre:
1. la descrizione dell’incarico ricevuto, con l’indicazione dei beni e dei diritti da
stimare;
2. la descrizione dei beni e dei diritti stimati;
3. la indicazione dei criteri di valutazione adottati in relazione alle categorie di
beni e diritti oggetto di stima;
4. la descrizione delle modalità seguite per la stima dei beni e dei diritti;
5. la data di riferimento della stima;
6. l’attestazione del valore di mercato realizzabile nella liquidazione fallimentare,
indicando il valore massimo, presumibile, vale a dire che il valore realizzabile
non è superiore ad un determinato importo; valore da intendersi come
comprensivo delle eventuali detrazioni per oneri specifici;
7. il giuramento della stima.
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In concreto, per la redazione della relazione estimativa non vi è uno schema o
un modello fissato dalla legge, per cui la forma è libera, potendo ogni professionista
a ciò incaricato procedere secondo la propria esperienza e competenza tecnica. E’,
comunque, senz’altro preferibile che la relazione venga redatta mediante una
struttura per sezioni o parti autonome per ciascuno degli argomenti indicati in
precedenza.
Nella relazione di stima non deve essere contenuto il confronto tra il valore di
mercato realizzabile in caso di fallimento e il trattamento riservato ai creditori
prelatizi destinati ad essere falcidiati nel piano di concordato. Tale confronto, infatti,
dovrà essere contenuto nella proposta concordataria e dovrà essere oggetto – nel
caso di concordato preventivo - della relazione attestativa del professionista ex art.
161 della legge fall..
Circa le valutazioni da giurare, è senz’antro auspicabile che il professionista
effettui un sola stima e non offra ai creditori e al Tribunale un ventaglio di valori, in
quanto lo scopo della relazione si realizza se la stima è certa e univoca.
Tuttavia, è stato rilevato come la liquidazione fallimentare all’indomani della
riforma imponga al curatore un percorso ben preciso, volto alla massimizzazione
del ricavato. In questa prospettiva, pertanto, il curatore, in presenza di un
compendio aziendale, ha l’obbligo di esperire prima dei tentativi di vendita
dell’azienda nel suo complesso, poi di tentare il realizzo di beni e rapporti giuridici
individuabili in blocco e, in caso di infruttuoso esperimento dei suddetti tentativi di
vendita, può procedere alla vendita atomistica del beni. Orbene, in tali ipotesi, si
avranno altrettante valutazioni di stima del realizzo prevedibile in caso di fallimento.
È presumibile, che, in tali casi, lo stimatore proponga non un solo valore ma una
serie di valori condizionati al verificarsi delle fattispecie sopra descritte. Si ritiene,
tuttavia, che lo stimatore, anche in presenza di ipotesi subordinate, debba esprimere
una sola valutazione, valutando anche in termini probabilistici l’ipotesi che
ragionevolmente risulta realizzabile in concreto.
Anche la data di riferimento della stima suscita opinioni non univoche. Infatti,
nel caso del concordato preventivo, occorre prevedere i tempi che presumibilmente
saranno necessari per eseguire la liquidazione dell’attivo fallimentare. Non va,
pertanto, riferita la stima al momento attuale, ma a quello presumibile in cui i beni e
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i diritti verranno realizzati.
Nel concordato fallimentare, nel caso che il curatore abbia già depositato il
programma di liquidazione, tale epoca di presunto realizzo potrà essere assunta
dallo stimatore, facendo riferimento ai termini di liquidazione ivi indicati.
4. I CRITERI DI VALUTAZIONE.
La scelta dei criteri di valutazione in relazione ad ogni categoria di beni e di
diritti da stimare rappresenta un tratto fondamentale nel procedimento valutativo.
La mancanza negli artt. 160 e 124 l. fall. di alcun riferimento ai criteri di
valutazione e di indicazioni al riguardo può interpretarsi come un rinvio alla
discrezionalità del professionista, che resta libero non solo di scegliere uno o più
criteri di valutazione, ma anche di indicare o meno nella relazione i criteri prescelti.
Tale rilievo è rafforzato nel concordato fallimentare dal fatto che al Tribunale è
preclusa in sede di designazione la predeterminazione dei criteri di valutazione.
Il silenzio del legislatore sul punto può essere dato dal fatto che non è possibile
stabilire quali siano i criteri di valutazione da adottare caso per caso. In questa
prospettiva, allora, occorre che il professionista nella relazione indichi non solo i
criteri adottati, ma anche le ragioni che hanno condotto alla scelta effettuata,
tenendo conto, altresì, delle alternative che potevano essere in astratto utilizzate.
Anzitutto, è necessario che la stima sia imparziale, per cui non vanno adottati
criteri soggettivi, ma oggettivi.
L’art 160 e l’art. 124 fissano due punti di riferimento essenziali per effettuare la
valutazione allorché affermano che la valutazione vada commisurata “sul ricavato
in caso di liquidazione” e che bisogna avere riguardo “al valore di mercato
attribuibile ai beni o diritti”. Sono, dunque, i due concetti di “liquidazione” e
“valore di mercato” che insieme devono costituire la linea guida da
seguire
nell’attività stimatoria.
I due concetti, se analizzati separatamente, non presentano grandi difficoltà
interpretative, nel senso che la prassi comune ha ben chiaro il concetto di impresa
in liquidazione (che è il contrario di impresa in attività). Al contempo, neppure
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particolarmente difficile risulta il riferimento al valore di mercato allorché un
mercato esiste ed è accessibile.
Invece, quello che, nel caso in esame, rende difficile il lavoro dell’esperto è che
i due concetti sopraindicati (ai quali lo stesso esperto
deve attenersi) sono
praticamente in contraddizione l’uno con l’altro, atteso che, in fatto, non esiste un
“mercato delle liquidazioni”. Ossia, la parola mercato presuppone la esistenza di
un contesto dinamico (non necessariamente geografico, ma anche telematico) cui
gli operatori possono accedere e comunicare tra loro, inoltre tale contesto non può
essere occasionale ma deve presentare il requisito della continuità oppure della
periodicità. Elementi questi ultimi che mancano nella ipotesi della liquidazione di
impresa, costituendo quest’ultimo in fatto comunque eccezionale e quindi non
prevedibile.
In altri termini, il riferimento del legislatore al valore di mercato può, in
determinati contesti, apparire fuorviante.
In effetti, se il riferimento al mercato, inteso nella sua accezione letterale, può
apparire criterio idoneo alla valutazione dei beni fungibili, dei beni liberamente
reperibili in commercio e finanche dei crediti commerciali, vi sono almeno due
considerazioni che dovrebbero indurre l’interprete a considerare anche un diverso
significato del termine.
La prima considerazione è che - come è stato prima d’ora rilevato - il criterio di
stima non può trascurare l’ambito in cui la liquidazione del bene o diritto avviene,
che è l’ambito fallimentare. La cessione avverrà, pertanto, secondo la prassi e i
vincoli procedurali del fallimento, con valori presumibilmente inferiori a quelli
ottenibili mediante una libera contrattazione di mercato, non foss’altro che per
l’assenza di garanzie sui vizi della cosa ex art. 1490 c.c. che le vendite concorsuali
comportano, , visto il tenore dell’art. 2922 c.c..
La seconda considerazione riguarda il fatto che non tutti i beni e i diritti
aziendali sono valutabili secondo criteri di mercato. Non lo sono, ad esempio, i
crediti da risarcimento danni, né i crediti in contenzioso (o nei confronti di soggetti
insolventi o di procedure concorsuali) né i rapporti finanziari; non lo sono i rami
aziendali, né le unità produttive, né specifici marchi, per i quali il criterio adottabile
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dipenderà dalla best practice applicabile alla fattispecie.
In conclusione, il riferimento del legislatore al valore di mercato non vuole e
non può riferirsi ad una valorizzazione che tenga conto del prezzo comunemente
individuato da un indeterminato numero di liberi acquirenti e venditori quanto,
piuttosto, semplicemente e coerentemente con la disciplina concorsuale, al valore
di realizzo dei beni e dei diritti oggetto di prelazione.
Ciò posto e, quindi, preso atto che la interpretazione letterale delle due norme
citate evidenzia una contraddizione in termini, imponendo di coniugare il concetto
di liquidazione con quello di mercato, bisogna tuttavia individuare delle linee guida
per chi, nella veste di esperto, deve attribuire il valore ai beni in questione.
Le tipologie di beni e diritti da valutare possono presentarsi come segue:
-
beni immateriali (avviamento, marchi, brevetti);
-
beni immobiliari (terreni, fabbricati civili e industriali);
-
impianti, macchinari e attrezzature;
-
magazzino (materie prime, semilavorati, prodotti finiti)
-
crediti (commerciali e finanziari);
-
partecipazioni (in società quotate e società non quotate);
-
diritti di vario genere;
È ovvio che la suesposta classificazione non esaurisce l’intera casistica,
potendosi procedere ad ulteriori suddivisioni, ma esemplifica a livello generale le
fattispecie cui bisogna attribuire dei valori numerici di stima.
A questo punto si pone una riflessione per il concordato preventivo. Questa è
senza dubbio una procedura concorsuale tesa a sottrarre l’impresa al fallimento.
Infatti, sia che il concordato abbia finalità esclusivamente dismissorie sia che abbia
lo scopo di riequilibrare la situazione debitoria in una prospettiva di continuità,
qualora non si attivi la procedura concordataria, l’impresa è destinata al fallimento.
Ne consegue che la comparazione tra convenienza concordataria e altre
possibilità è, di fatto, ridotta alla sola comparazione con la procedura fallimentare.
Quindi, per naturale ulteriore conseguenza, le ricordate parole di cui all’art. 160
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“sul ricavato in caso di liquidazione” non possono che fare riferimento alla
liquidazione fallimentare.
In secondo luogo poiché, per quando già detto, non esiste un mercato dei beni
fallimentari (nel senso proprio della parola mercato) è ragionevole dedurre che le
ulteriori parole scritte nell’art. 160 “avuto riguardo al valore di mercato attribuibile
ai beni o diritti” vogliano fare riferimento al valore ordinario e presumibile che da
quei beni può essere ricavato allorché i medesimi saranno offerti sul mercato,
intendendo quest’ultimo non come il luogo dove abitualmente si scambiano le
contrattazioni tra operatori, bensì come la pluralità di possibili compratori che
possono rilevare beni dalle procedure fallimentari.
Le stesse considerazioni valgono per i beni mobili connotati da specificità
(impianti, macchinari) i quali in genere hanno una platea ristretta di interessati
proprio perché sono stati concepiti per una specifica impresa e non sono
facilmente adattabili ad un’altra.
Ovviamente il criterio sopra enunciato vale per tutte le categorie di beni, sicché
si può quindi ricordare una regola generale, peraltro ben nota a tutti gli stimatori,
ossia che quanto più un bene è connotato da specificità, e quindi quanto più
ristretta è la platea dei suoi possibili utilizzatori, tanto più ridotto sarà il suo valore
di presumibile realizzo, mentre, laddove il bene è agevolmente utilizzabile da molti
soggetti, è fondato presumere che il suo valore di realizzo possa avvicinarsi al
valore normale con cui quel bene ordinariamente si acquista. Naturalmente,
occorre sempre tenere conto del fatto che la procedura concorsuale vende il bene
rebus sic stanti bus senza garanzie, quindi bisogna comunque operare una ragionevole
decurtazione rispetto al prezzo normale.
Il criterio enunciato relativamente ai beni è perfettamente applicabile anche ai
crediti e, più in generale, ai diritti.
Per quanto concerne i crediti, finanziari o commerciali, dell’imprenditore fallito
sarà necessaria un’opportuna valutazione sulla loro effettiva sussistenza e sulla
solvibilità di controparte, in esito alla quale potrà rendersi opportuna un’idonea
svalutazione.
Del tutto peculiare è la valutazione di posizioni creditorie relative a rapporti
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finanziari complessi, quali futures o derivati, con la necessità di operare una stima –
tutt’altro che agevole – sulla base di simulazioni contrattuali (mark to market) o di
modelli matematici (mark to model). Con riguardo a questa categoria di rapporti di
natura contrattuale è importante segnalare l’estrema rilevanza della data di
riferimento della stima: mentre per la massima parte dei beni uno scostamento
temporale di alcune settimane non incide in maniera significativa sul loro valore,
nel caso dei derivati il loro valore può variare in misura assai sensibile al variare dei
tassi di cambio o dei tassi di interesse di riferimento, investendo così di un’inusitata
alea la valutazione dell’esperto.
Maggiori cautele richiede, poi, la stima dei beni immateriali che possano essere
oggetto di alienazione separata rispetto all’azienda quali, principalmente, i marchi
aziendali. Non è certo questa la sede per elencare, neppure sommariamente, i
criteri di valutazione comunemente accettati dalla prassi aziendalistica: occorre,
peraltro, ribadire come la valutazione risentirà necessariamente dei peculiari flussi
economici e finanziari prospettici che un’azienda fallita potrà generare.
Notevoli difficoltà operative caratterizzano anche la valutazione dei crediti in
contenzioso alla data di riferimento della stima. A questo proposito, sarà
certamente necessaria una valutazione prognostica sulle probabilità di successo
della causa, accompagnate da un idoneo apprezzamento sia della solvibilità di
controparte, sia della tempistica necessaria per la riscossione del credito che
comporterà, nella maggior parte dei casi, un’attualizzazione del medesimo.
Nel caso di richieste risarcitorie, ivi comprese le azioni di responsabilità nei
confronti degli organi sociali, un’ulteriore alea sarà rappresentata dalle
determinazioni del giudice in merito alla quantificazione del danno che dovranno,
con un notevole sforzo interpretativo, formare oggetto di previsione da parte dello
stimatore.
Alcune considerazioni finali meritano le c.d. “azioni di massa”, identificabili
principalmente con le azioni revocatorie fallimentari e ordinarie azionate dal
curatore, che parte della dottrina ritiene di escludere dal perimetro valutativo ex art.
124 l. fall.
E’ da ritenere che le argomentazioni che negano la necessità di stima delle
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azioni revocatorie sulla base dell’interpretazione letterale della locuzione “di
mercato”, contenuta nella norma in esame, non paiono del tutto convincenti.
Premesso che, ai sensi dell’art. 106 l. fall., le azioni revocatorie sono
autonomamente alienabili da parte del curatore anche al di fuori del concordato,
sembra evidente che la finalità di confrontare i valori presumibilmente ricavabili
dalla liquidazione con i valori contenuti nella proposta concordataria sia quella di
consentire una valutazione di convenienza tra la prosecuzione della procedura
fallimentare e l’alternativa adesione ad un concordato preventivo che comporti il
raggiungimento, da parte dei creditori concorsuali, di un determinato livello di
soddisfazione economica.
Orbene, se questo è lo scopo, appare necessario che la proposta concordataria
si confronti con tutte le utilità potenzialmente ricavabili dalla continuazione del
fallimento tra le quali, inevitabilmente, vi saranno anche i denari e i valori
recuperabili attraverso le azioni pauliane ex artt. 66 e 67.
Se così è, allora il professionista designato dal Tribunale ai sensi e per le finalità
di cui all’art. 124, terzo comma, l. fall. dovrà apprezzare, secondo le proprie
capacità professionali, anche i possibili incrementi di ricchezza che la massa attiva
potrà ricavare da un eventuale successo nei giudizi che il curatore avrà intrapreso o
indicato nel proprio programma di liquidazione al fine di ottenere la dichiarazione
di inefficacia degli atti ritenuti revocabili.
Una separata trattazione merita la possibilità che la liquidazione investa l’intera
azienda, o un ramo di essa nel concordato fallimentare, evento, questo, tutt’altro
che improbabile in considerazione del rinnovato favor legislativo per la
conservazione dei beni aziendali, testimoniato dalla formulazione del secondo
comma dell’art. 104-ter nonché dell’articolata regolamentazione dell’esercizio
provvisorio dell’impresa e dell’affitto d’azienda contenuta negli artt. 104 e 104-bis.
In questo caso, il criterio del valore di mercato proposto dall’art. 124 appare
certamente improprio. Ai fini della valutazione di azienda, o di ramo d’azienda, lo
stimatore dovrà attenersi ai criteri valutativi comunemente accettati dalla dottrina
aziendalistica, utilizzando quello tra loro che maggiormente si adatta alle peculiari
caratteristiche dell’oggetto di stima.
COMMISSIONE NAZIONALE DI STUDIO
"IL DIRITTO FALLIMENTARE DOPO LA RIFORMA"
La relazione giurata estimativa del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare
Giova ricordare, a questo proposito, che ben difficilmente potrà essere valutato un
avviamento positivo nel caso in cui l’impresa sia, formalmente o sostanzialmente,
cessata. Ben diverso, invece, sarà il caso in cui l’azienda sia funzionante, grazie alla
prosecuzione dell’attività imprenditoriale da parte del curatore, ai sensi dell’art. 104,
o dall’affittuario ex art. 104-bis.
Assai rilevante, peraltro, è la circostanza che alcuni metodi valutativi d’azienda
si fondano su flussi reddituali e finanziari futuri, ricavabili da piani industriali
predisposti dall’organo di governo dell’impresa che quasi mai, nel caso di aziende
appartenenti ad un imprenditore fallito, potranno essere reperiti ovvero essere
dotati di una qualche attendibilità.
In sintesi, la valutazione estimativa dei beni e dei diritti sui quali insiste la causa
di prelazione va operata a “valori di mercato” “in caso di liquidazione” . Dunque, non
secondo criteri di funzionamento, ma secondo criteri di realizzo.
Pertanto, per i beni non sarà il valore normale o il valore corrente che essi
hanno sul mercato in caso di funzionamento, ma sarà il valore corrente in caso di
liquidazione: dunque, occorre applicare al valore corrente di funzionamento un
coefficiente di deprezzamento, variabile da caso a caso, per stimare il valore di
realizzo o di liquidazione fallimentare. Infatti, le vendite fallimentari e quelle in
sede di esecuzione forzata sono effettuate senza la garanzia per i vizi, per cui ciò
comporta inevitabilmente una svalutazione superiore rispetto ad una vendita di
liquidazione non fallimentare o non di esecuzione forzata.
Per i crediti, il criterio di valutazione sarà il valore di presunto realizzo in caso
di liquidazione. Pertanto, occorre svalutare ulteriormente - rispetto alla valutazione
di bilancio - i crediti con un coefficiente di deprezzamento, variabile da caso a caso,
in modo da stimare il valore di presunto realizzo in caso di liquidazione
L’azienda e i rapporti giuridici individuabili in blocco possono essere valutati
anche secondo criteri di funzionamento, ma con il deprezzamento derivante dalla
natura fallimentare della vendita.
Occorre a questo punto esaminare le fattispecie della sottovalutazione della
stima e la sua sopravvalutazione.
In caso di sottovalutazione, la stima dei beni e dei diritti oggetto di garanzia
COMMISSIONE NAZIONALE DI STUDIO
"IL DIRITTO FALLIMENTARE DOPO LA RIFORMA"
La relazione giurata estimativa del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare
viene effettuata ad un valore massimo inferiore a quello realizzabile nel fallimento.
Ciò significa che la percentuale offerta con il concordato potrebbe essere
formalmente superiore a quella ricavabile con il fallimento ma sostanzialmente
inferiore. In tal caso, i creditori che fossero indotti dalla relazione giurata ad
approvare il concordato proposto subirebbero un danno, in quanto con il
concordato ricaverebbero meno rispetto al fallimento. La sottovalutazione, quindi,
espone il professionista al rischio di dover risarcire l’eventuale danno che la sua
relazione potrebbe arrecare alle ragioni dei creditori prelatizi falcidiati.
La sopravvalutazione, invece, risolvendosi nella stima di un valore massimo
superiore a quello effettivamente realizzabile nel fallimento, potrebbe da un lato
rendere più difficile la proposta per il proponente, oltreché indurre i creditori a
respingere la proposta di concordato, basandosi sulla percentuale che risulta
realizzabile nel fallimento. Allorché poi con la definitiva liquidazione fallimentare si
dovesse accertare che con il fallimento la percentuale che si ricava è inferiore a
quella che si sarebbe ricavata con il concordato, il rischio che corre il professionista
è quello di aver causato un danno ai creditori prelatizi falcidiati pari alla differenza
di percentuali di soddisfazione.
Per quanto concerne poi, la concreta valutazione dei singoli beni per i quali la
stima investa anche professionalità tecniche, pare assai logico che il professionista
stimatore si avvalga, a sua volta, delle prestazioni professionali di ingegneri,
architetti, geometri, ecc. di volta in volta da individuarsi in relazione alla natura del
bene da stimare (terreni edificabili, fabbricati a destinazione speciale, programmi
software, ecc.), ferma restando, in ogni caso, la responsabilità in capo al
professionista stimatore per le valutazioni oggetto di giuramento.