"Dinamica degli inquinanti"

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"Dinamica degli inquinanti"
UNIVERSITÀ DI CATANIA
Facoltà di Ingegneria – Sede di Enna
Corso di Laurea in Ingegneria per
l'Ambiente ed il Territorio
corso di
"Dinamica degli inquinanti"
Lezioni 1-5 su "Introduzione alla dispersione turbolenta
degli inquinanti in un fluido"
ing. G. MANCINI
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Trasporto e dispersione nei corpi idrici
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Trasporto e dispersione nei corpi idrici
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La dispersione e il trasporto nei fluidi
La dispersione, un concetto intuitivo???
Principi di base e meccanismi generali della dispersione:
1) Trasporto
2) Diffusione
3) Dispersione (turbolenta)
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Il trasporto
dq
= kS Δ P
dt
con :
dq/dt = quantità di materia o energia trasferite nell’unità di tempo;
k =coefficiente di proporzionalità ;
S = grandezza geometrica caratterizzante il moto
ΔP= grandezza energetica che causa il moto (forzante del sistema);
dq
forza motrice
=
dt
resistenza
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Variazione di energia
del sistema
Grandezza trasportata,
caratteristiche geometriche
caratteristiche delle fasi
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Il trasporto
Fenomeni di trasporto: passaggio di energia o materia attraverso fasi fisiche
diverse senza che avvengano trasformazioni chimico fisiche (spostamento
nello spazio).
A questo si possono aggiungere molteplici fenomeni che concorrono a
modificare il risultato finale del trasporto in termini di dispersione
•Scambio di calore
•Assorbimento
•Adsorbimento
•Diffusione
•Evaporazione
•Fusione
•Condensazione
•Liquefazione
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Un esempio: il trasporto di calore
• Convezione: flusso di calore tra due sezioni all’interno di un fluido.
dQ
= hA Δ T
dt
con :
dQ/dt = velocità del flusso calorico (kcal ora-1);
h = coeff. di trasmissione del calore per convezione (kcal m-1 ora-1 °C-1);
A = area normale alla sezione di passaggio (m2);
ΔT= differenza di temperatura tra le sezioni di partenza e arrivo (°C);
T2
T1
ΔT
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Trasporto per convezione
Spostamento per moto convettivo verticale (circolazione naturale)
• Differenza di densità
• Forza peso
• Spinta di Archimede
F p − F A = ( δ C − δ F )V C g
con :
VC = volume del corpo immerso nel fluido;
g = accelerazione di gravità;
δC = densità del corpo immerso
δF = densità del corpo immerso
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Schema di formazione delle correnti d’aria convettive
BASSA PRESSIONE
ALTA PRESSIONE
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BASSA PRESSIONE
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Trasporto di materia:
Spostamento di inquinanti con il fluido
dM
dt
dm
C
dt
=
con :
dM/dt = spostamento di massa inquinante (kg ora-1);
dm/dt = spostamento di fluido (kg ora-1);
C = concentrazione di inquinante (kg kg-1)
Influenza della frazione particolata (piene nei fiumi)
• Necessità di tenere conto prodotto portate per differenti
concentrazioni nel tempo
dM
dt
t
=
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∫ (Q
t
⋅ C t )dt
0
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Tra diffusione e dispersione
La diffusione molecolare è rilevante solo per acque in quiete e tempi
sufficientemente lunghi. (0,5 – 2 m/anno nei sedimenti e profondità
oceaniche)
La dispersione turbolenta è molto più efficace nel determinare il trasporto
delle sostanze in un fluido. La turbolenza del fluido nasce dalla velocità del
fluido e dall’importanza relativa degli ostacoli che il fluido incontra durante
il suo corso (compresa la scabrezza).
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Diffusione Molecolare
Gas
∂C
dN
= − D gg A
dt
∂z
con : dN/dt = numero di moli per unità di tempo (kmoli ora-1);
Dgg = coefficiente di diffusione molecolare gas/gas (k moli ora-1 kg-1)
A = area della superficie di contatto (m2);
∂C/∂Z = gradiente di concentrazione nella direzione Z (kmoli m-3 m);
Liquido
ΔC
dN
= − D LL A
dt
ΔX
con : dN/dt = numero di moli per unità di tempo (kmoli ora-1);
DLL = coefficiente empirico di diffusione molecolare liquido/liquido (k moli ora1 kg-1)
A = area della superficie interessata allo scambio (m2);
ΔC= gradiente di concentrazione tra i punti a distanza ΔX (kmoli m-3);
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La misura della dispersione
La misura dei fenomeni di diluizione e dispersione turbolente si effettua
utilizzando dei traccianti conservativi (chimici e fisici)
• Temperatura
• Salinità
• Coloranti
• Composti radioattivi
Nel caso di dispersioni a grande scala (correnti marine superficiali e
profonde, circolazione nei laghi) si fa ricorso a galleggianti a debole
immersione o a forte immersione.
Enorme importanza, in relazione alla dispersione turbolenta, riveste la
stratificazione del fluido (inversione termica in atmosfera, stratificazione
giornaliera e stagionale nei laghi e nel mare) per effetto di calore o
concentrazione di sali disciolti.
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Trasporto diffusione e dispersione
Misura della diluizione in un estuario avente escursioni di marea,
marea, mediante l’l’uso di
un tracciante a impulso singolo. La concentrazione di un tracciante
tracciante viene misurata
in diversi punti a distanza x all’
all’immissione
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La dispersione nei fluidi
Lo studio della dispersione di inquinanti in un fluido viene diviso in genere in
due fasi:
la prima consiste nel calcolo del campo fluidodinamico
mentre la seconda quello delle concentrazioni di inquinanti.
L'ipotesi per cui i due problemi possono essere disaccoppiati è che la
presenza dell'inquinante non perturbi il campo fluidodinamico. Questo
presuppone che l'inquinante abbia bassa concentrazione e che la sua
densità non sia troppo diversa da quella del fluido.
Nel caso che l'inquinante sia costituito da particelle solide (o liquide in un
fluido gassoso) è necessario anche che queste abbiano dimensioni ridotte, in
modo da poter trascurare l'effetto prodotto dai gradienti di velocità e dagli
sforzi di taglio sulla particella.
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La dispersione nei fluidi
In queste ipotesi l'inquinante segue in modo neutro il campo di velocità e il
calcolo della dispersione può essere fatto successivamente alla
determinazione del campo fluidodinamico.
Preso atto che la soluzione analitica del sistema delle equazioni della
fluidodinamica è impossibile (salvo casi molto semplificati molto spesso privi
di interesse pratico), il campo fluidodinamico può essere calcolato mediante
dei metodi numerici, che integrano le equazioni del moto dei fluidi, oppure
ricorrendo a dati sperimentali.
Il campo fluidodinamico può essere determinato con diversi gradi di
accuratezza a seconda del modello di dispersione che si vuole utilizzare
nella fase successsiva.
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La dispersione nei fluidi
Sempre nel caso dell'approccio sperimentale, se si vogliono ottenere risultati
molto accurati, è necessario svolgere innanzitutto un'analisi fluidodinamica
dettagliata, che consiste essenzialmente nel calcolare il campo
fluidodinamico, nel dominio analizzato, nel maggior numero di punti possibili
(punti di misura), dove sono presenti le stazioni di monitoraggio.
Se ci si limita ad interpolare questi dati all'intero dominio, con un metodo più
o meno congruente con le condizioni fisiche del problema si ottengono i
modelli diagnostici. In questo caso si fa una valutazione limitata all'istante in
cui si sono realizzate le misure.
Se si vuole fare una previsione anche per gli istanti successivi si devono
utilizzare modelli previsionali, che integrano nel tempo e nello spazio le
equazioni di bilancio della fluidodinamica. In questo ultimo caso si ricade
nella branca dei modelli numerici propriamente detti.
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I regimi del moto nei confronti della dispersione
Immettendo del colorante all’interno della corrente in movimento in una
condotta si osservano tre modalità di movimento o REGIMI DI MOTO
(Esperienza di Reynolds).
MOTO LAMINARE: il movimento avviene per filetti fluidi che si mantengono
paralleli alle pareti del condotto, il colorante immesso mantiene una sua
traiettoria senza mescolarsi con il fluido circostante.
MOTO TURBOLENTO DI TRANSIZIONE: il movimento avviene ancora per
filetti fluidi, questi però all’aumentare della velocità divengono sempre più
instabili, perdono il loro parallelismo con le pareti e inizia a verificarsi uno
scambio di massa tra le diverse regioni del campo.
MOTO PURAMENTE TURBOLENTO: in questo caso gli scambi di massa tra
le diverse regioni del campo sono prevalenti, il moto non avviene più per
filetti fluidi ed il colorante si disperde subito occupando tutte le zone del
campo di moto. Gli effetti del regime di moto sono riassunti dal Numero di
Reynolds, Re = ρ VD/μ.
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I regimi del moto nei confronti della dispersione
Il numero di Reynolds può considerarsi un indice del grado di turbolenza:
quanto maggiore è il suo valore, tanto più elevato è il grado di turbolenza
della corrente fluida. Sperimentalmente si è trovato che per un valore del
numero di Reynolds pari a circa 2000 (detto valore critico) si ha il primo
insorgere della turbolenza.
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Fenomeni dispersivi
A.
B.
C.
D.
Immissione laterale di un
flusso in un canale avente
una corrente laminare
Immissione laterale di un
flusso in fiume turbolento
Emissione da un camino in
un campo di vento
sostenuto lungo una
direzione
Emissione da un camino in
un campo di vento debole
e irregolare.
A lato sono indicati gli
andamenti delle
concentrazioni nel flusso
emesso, lungo l’l’asse
perpendicolare a, o lungo
l’asse centrale parallelo
alla direzione x
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Mezzo continuo
La materia, che come è noto è costituita da particelle elementari, sarà trattata
in seguito come un mezzo continuo, si supporrà cioé che la massa sia
distribuita con continuità nello spazio. Saranno sempre considerati volumi
sufficientemente grandi da contenere un gran numero di particelle
elementari. D'altra parte l'elemento di volume deve essere sufficientemente
piccolo, rispetto alle scale caratteristiche del moto, in modo tale che in esso
si possa supporre che le grandezze varino linearmente e sia possibile
applicare il calcolo differenziale. L'ipotesi del continuo porta dunque ad
ignorare la struttura intima della materia a livello atomico e la descrizione del
moto a tale livello. Per tenere conto di questi moti vengono introdotte variabili
termodinamiche quali la temperatura che è legata alla energia cinetica e
potenziale media dei moti a livello atomico e subatomico.
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Mezzo continuo
Si consideri un punto P,individuato dalla sua posizione x, all'interno del
mezzo in esame, ed un volume V che lo racchiude, indicato con M la massa
contenuta in V, il limite :
ΔM
lim
(1)
ΔV →0
ΔV
non è una funzione continua delle variabili spaziali, essendo zero se nel
punto P non è presente alcuna particella elementare ed un valore molto
elevato se in P si trova una particella elementare. Inoltre il rapporto M/V
dipende dal modo con cui si fa tendere il volume a zero (possono essere
considerate sfere, cubi con centro in P o altre figure geometriche). L'ipotesi
del continuo permette di affermare che il limite esiste ed è una funzione
continua di classe Cn. Tale limite, la densità, verrà indicato con ρ (x).
Un fluido,in fase aeriforme o liquida, è un corpo che sotto l'azione di una
forza si deforma con velocità costante. Congruentemente con l'ipotesi di
mezzo continuo, per particella fluida si intende una piccola porzione di fluido
per cui, nello sviluppo in serie di Taylor di ogni grandezza, vengono
considerati i soli termini lineari.
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Alcune notazioni e operatori
⎡ x1 ⎤
x = ⎢⎢ x2 ⎥⎥
⎢⎣ x3 ⎥⎦
⎡1 0 0⎤
⎧1 se i = j
δ ij = ⎨
δ = ⎢⎢0 1 0⎥⎥
⎩0 se i ≠ j
⎢⎣0 0 1⎥⎦
δ ij u j = ui
(4)
Vettore posizione: x
Componenti del vettore posizione: x1, x2, x3.
Versori: a1, a2, a3.
(2)
Delta di Kronecker:
(3)
d è un tensore di secondo ordine isotropico rispetto a una rotazione del
sistema di riferimento. Il tensore isotropico del terzo ordine viene detto
simbolo di permutazione, ed è così definito:
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Alcune notazioni e operatori
⎧ 1 se ijk = 123, 231, 312 (terna destra)
⎪
εijk = ⎨ 0
se due indici sono uguali
⎪- 1 se ijk = 321, 213, 132 (terna sinistra)
⎩
3
(5)
2
1
Prodotto scalare
(6)
u ⋅ v = u1v1 + u2 v2 + u3v3 = ui vi
Prodotto vettoriale
u × v = (u 2 v3 − u3v2 )a1 + (u3v1 − u1v3 )a 2 + (u1v2 − u 2 v1 )a 3
⎡a1 a 2
⎢
u × v = ⎢u1 u2
⎢ v1 v2
(8)
⎣
a3 ⎤
⎥
u3 ⎥
v3 ⎥⎦
(7)
La k-esima componente di tale vettore può essere scritta come:
(u × v) k = ε ijk ui v j = ε kij ui v j
(9)
Per esempio se k = 1 i termini non nulli si hanno per i=2, j=3 e per i=3, j=2
(u × v)1 = ε ij1ui v j = ε 231u2 v3 + ε 321u3v2 = u 2v3 − u3v2
(10)
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Alcune notazioni e operatori
Operatore gradiente (genera un vettore a partire da uno scalare)
∂
∂
∂
(11) (Notazione di Einstein)
∇ = a1
+ a2
+ a3
∂x1
∇φ = ai
∂x2
∂x3
∂φ
∂ xi
∂φ
∂xi
(∇φ ) i =
(12)
Il gradiente è un vettore ortogonale alle equipotenziali di φ e individua la
direzione in cui è massimo il cambiamento spaziale dello stesso scalare. Il
cambiamento lungo le altre direzioni è pari a:
∂φ
= (∇φ ) ⋅ n
∂n
(13)
La divergenza di un vettore è pari a:
∇ ⋅u =
∂u i ∂u1 ∂u 2 ∂u 3
+
+
=
∂xi ∂x1 ∂x2 ∂x3
(14)
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Alcune notazioni e operatori
Si possono generalizzare tali operazioni sui tensori. L’operatore
divergenza è un operatore che decresce l’ordine del tensore, mentre il
gradiente lo aumenta. Ad esempio la divergenza di un tensore del
secondo ordine, è un vettore con i-esima componente pari a:
(∇ ⋅ τ)i =
∂τ ij
(15)
∂x j
Il rotore di un vettore u è definito come il vettore ∇ × u la cui i-esima
componente è pari a:
∂uk
∂x j
(16)
Le tre componenti del vettore rotore sono quindi:
(∇ × u) i = ε ijk
⎛ ∂u3 ∂u2 ⎞ ⎛ ∂u1 ∂u3 ⎞
⎜⎜
⎟⎟ , ⎜⎜
⎟⎟ ,
−
−
⎝ ∂x2 ∂u3 ⎠ ⎝ ∂x3 ∂u1 ⎠
⎛ ∂u2 ∂u1 ⎞
⎜⎜
⎟⎟
−
⎝ ∂x1 ∂u 2 ⎠
(17)
Un campo vettoriale è detto solenoidale se ∇ ⋅ u = 0, e irrotazionale se
∇×u = 0
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Tensore gradiente di velocità
Per la descrizione del comportamento cinematico di una particella fluida si
sceglie una terna di assi di riferimento che ad un certo istante ha origine nel
baricentro della particella stessa. Il baricentro G durante l'intervallo di tempo t
si sposta nel punto G' con velocità (u)G :
GG'= ( u ) G Δt
(18)
Un generico punto P della particella fluida, individuato dalla sua posizione x,
si sposta nello stesso intervallo di tempo in P' con velocità u (fig. 1).
PP' = uΔt
(19)
La velocità u, generalmente diversa da (u)G, si ottiene come sviluppo in
serie nell'intorno dell'origine (che coincide con il baricentro della particella) :
⎛ ∂2 u ⎞
⎛ ∂u ⎞
u = ( u )G + ⎜
+
x
⎟ x i x j +....
⎟ i ⎜
⎝ ∂x i ⎠G
⎝ ∂x i ∂x j ⎠G
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(20)
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Tensore gradiente di velocità
Figura 1 definizione della velocità del punto materiale
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Tensore gradiente di velocità
Tenendo conto della definizione di particella, i termini di ordine superiore al
primo vengono trascurati, pertanto :
⎛ ∂u ⎞
u = ( u )G + ⎜
⎟ xi
⎝ ∂x i ⎠G
(21)
Lo spostamento di un generico punto di una particella fluida è dunque
descritto dal tensore gradiente di velocità valutato nel baricentro (sarà in
seguito omesso il pedice G) :
∂u1
∂x1
∂u2
∇u =
∂x1
∂u3
∂x1
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∂u1
∂x 2
∂u2
∂x 2
∂u3
∂x 2
∂u1
∂x 3
∂u2
∂x 3
∂u3
∂x 3
(22)
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Tensore gradiente di velocità
Il tensore gradiente di velocità può essere decomposto nella somma di due
tensori, uno antisimmetrico ed uno simmetrico :
1 ⎛ ∂u ∂u j ⎞
1 ⎛ ∂u ∂u j ⎞
e ij = ⎜ i +
⎟
rij = ⎜ i −
⎟
2 ⎝ ∂x j ∂x i ⎠
2 ⎝ ∂x j ∂x i ⎠
(23)
Quindi la velocità del generico punto di una particella è data da :
u i = ( u i ) G + rij x j + e ij x j
(24)
Il moto può essere considerato, come sarà visto in seguito, come la somma
di :
una traslazione con la velocità del baricentro della particella ;
una rotazione rigida descritta dal tensore rij;
una velocità di deformazione descritta dal tensore eij .
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La turbolenza
E' possibile dare differenti definizioni della turbolenza.
Secondo Taylor: "la turbolenza è un moto irregolare che in genere appare nei
fluidi, gassosi o liquidi, quando lambiscono superfici solide od in movimenti di
superfici di separazione tra due fluidi".
Secondo Hiure, "il moto turbolento è una condizione di flusso irregolare nel
quale le varie grandezze mostrano un comportamento aleatorio nello spazio
e nel tempo, e possono essere descritte in termini statistici".
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La turbolenza
Molti flussi che si incontrano nell’ingegneria pratica ed in natura sono
prevalentemente turbolenti.
I flussi turbolenti non ammettono uno studio analitico rigoroso, ma vengono
spiegati prevalentemente sulla base di intuizioni fisiche e dall’analisi
dimensionale.
Nonostante l’esperienza di ogni giorno, la turbolenza non si può definire
facilmente con precisione. (Tendenza a confondere flussi turbolenti con
“flussi casuali” (random flows)).
CARATTERISTICHE DELLA DISPERSIONE TURBOLENTA:
•CASUALITA’;
•NON LINEARITA’;
•DIFFUSIVITA’;
•VORTICITA’;
•DISSIPAZIONE.
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La turbolenza
CASUALITA’
I fenomeni turbolenti sono apparentemente irregolari, caotici ed imprevedibili.
NON LINEARITA’
I fenomeni dispersivi turbolenti sono altamente non lineari. La non linearità si
può trattare con due aspetti.
Il primo è causato dalla rilevante non linearità dei parametri, (numero di
Reynolds Re, numero di Rayleigh Ra, numero di Richardson), quando
superano un valore critico. In un flusso instabile le piccole perturbazioni
crescono spontaneamente e possono raggiungere infine lo stato caotico.
Secondo; la non linearità di un flusso turbolento risulta nello stiramento di un
vortice, un processo chiave attraverso il quale i flussi turbolenti
tridimensionali mantengono la loro vorticità.
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La turbolenza
DIFFUSIVITA’
E’ dovuta al mescolamento macroscopico delle particelle fluide.
I flussi turbolenti sono caratterizzati da una elevata velocità di diffusione della
quantità di moto e del calore.
VORTICITA’
la dispersione turbolenta è caratterizzata da alti livelli di fluttuazioni vorticose.
Le strutture identificate in un flusso turbolento sono chiamate vortici. In un
fenomeno turbolento le diverse strutture coalescono, si dividono, si allungano
e soprattutto si trasformano in strutture filamentose.
La caratteristica principale della turbolenza è l’esistenza di un grande
range di scale di vortici. I grandi vortici hanno ordine di grandezza della
regione fisica dove avviene il fenomeno e contengono la maggior parte
dell'energia. L’energia si trasferisce dai vortici più grandi a quelli più piccoli
tramite interazioni non lineari. Fino a quando non viene dissipata dalla
diffusione viscosa dei vortici più piccoli, la cui grandezza è dell’ordine dei
millimetri.
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La turbolenza
DISSIPAZIONE
I meccanismi di allungamento dei vortici trasferiscono energia e vorticosità in
maniera crescente alle scale più piccole, fino a quando i gradienti diventano
così grandi che essi vengono appiattiti dalla viscosità. I fenomeni turbolenti
perciò richiedono una continua fornitura di energia per superare le
perdite dovute alla viscosità.
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Caratteristiche del moto turbolento
Le caratteristiche caotiche di un moto turbolento e la non-prevedibilità dei
suoi dettagli non significano che non esista una relazione di causa ed effetto
che regola il verificarsi delle fluttuazioni turbolente.
La conoscenza, tuttavia, delle condizioni iniziali ed ai limiti nella scala spaziotemporale in cui si verificano i fenomeni turbolenti, è praticamente
impossibile.
La non prevedibilità del moto turbolento è quindi legata alla non conoscenza
di queste condizioni.
Tuttavia anche se le condizioni iniziali ed ai limiti fossero perfettamente
conosciute, ci si troverebbe di fronte alla impossibilità, anche con gli attuali
mezzi di calcolo, di risolvere completamente le equazioni che governano il
moto del fluido.
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Difficoltà nello studio del moto turbolento
Il regime turbolento nel moto di un fluido è caratterizzato, in relazione al
regime laminare, dai seguenti aspetti:
„ il movimento è disorganizzato ed è irregolare nel tempo e nello spazio;
„ mentre nel regime laminare le equazioni di Navier-Stokes con opportune
condizioni ai limiti sono sufficienti per definire il moto, nel moto turbolento il
moto non è predicibile e, piccole modifiche danno luogo a successivi grandi
cambiamenti: la sensibilità alle condizioni iniziali è ciò che caratterizza un
sistema caotico;
„ i fenomeni di dispersione sono molto accentuati;
„ non ripetibilità sperimentale di un flusso turbolento in tutti i suoi dettagli; ciò
è dovuto alle fluttuazioni delle grandezze che descrivono il campo (velocità,
pressione, temperatura, densità, concentrazione....); per esempio se si
riproduce il moto turbolento nel fluido che si muove in un condotto che unisce
due serbatoi, si trova che la velocità in un assegnato punto ed in un
assegnato istante è differente per differenti ripetizioni dello stesso
esperimento.
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Caratteristiche del moto turbolento
Le grandezze che caratterizzano il moto turbolento ed in particolare le
velocità possono essere decomposte in valore medio e parte fluttuante
(decomposizione di Reynolds):
(25)
u = u + u′
Le difficoltà teoriche e sperimentali connesse con lo studio dei fenomeni
turbolenti hanno portato ad affrontare tale problema con metodi statistici.
La validità di tale modo di procedere è legata al fatto che sia dal punto di
vista teorico, sia da quello sperimentale ha interesse conoscere i valori medi
delle grandezze fluidodinamiche e non le loro fluttuazioni;
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La dispersione turbolenta
La teoria della dispersione turbolenta è stata sviluppata storicamente
secondo due approcci: quello di tipo euleriano e quello di tipo lagrangiano.
Tali definizioni prendono spunto dalle teorie sulle quali sono fondate le
descrizioni del moto, quella euleriana, o locale, e quella lagrangiana, o
molecolare o sostanziale.
Nella prima il moto viene studiato valutando l'evoluzione temporale delle
caratteristiche del flusso in punti fissi dello spazio, mentre nella seconda si
considera ogni punto del fluido come un'entità individuale in modo da
determinarne, istante per istante, la posizione. Per il rilievo sperimentale
delle grandezze il metodo euleriano è evidentemente assai più pratico di
quello lagrangiano.
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La descrizione lagrangiana
Nella descrizione lagrangiana si segue la storia di una
particella individuale di fluido.
t
t=0
x
x0
Come variabili indipendenti
vengono presi il
tempo e la posizione della particella
in un istante di tempo
(convenientemente per t=0). Ogni
variabile F, viene quindi
espressa come F(x0,t). In particolare
la posizione della particella viene
individuata tramite x(xo,t).
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La descrizione lagrangiana
Il sistema di riferimento lagrangiano
z
particella a t=to
z
y
x
Riferimento lagrangiano
y
particella a t=to+dt
x
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La descrizione lagrangiana
Per particella fluida si intende un volume di fluido con dimensioni molto
maggiori rispetto alle distanze molecolari medie, in modo che siano
applicabili i principi della meccanica del continuo, e sufficientemente piccolo
affinché sia descrivibile da un punto materiale.
Le dimensioni delle particelle, quindi, saranno piccole così che le velocità e
le pressioni, nel volume da esse occupato, possano essere considerate
identiche, e mobili come un tutto, senza deformazioni apprezzabili.
E' chiaro come la descrizione lagrangiana sia direttamente legata ai singoli
elementi fluidi che costituiscono nel loro insieme il flusso, e quindi più
naturale che non quella euleriana.
Questo vantaggio è però controbilanciato dalla notevole complessità della
misura lagrangiana rispetto a quella euleriana, motivo per il quale raramente
le equazioni in forma lagrangiana sono utilizzate per calcoli applicativi.'
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La descrizione lagrangiana
La caratterizazionelagrangiana di un flusso incompressibile avviene quindi
tramite la funzione X(X0,t) che fornisce, ad ogni istante t, le coordinate
X=(X1,X2,X3) di tutte le particelle fluide, ognuna identificata da un diverso
parametro X0 (la posizione iniziale della particella).
In linea di principio, le equazioni della fluidodinamica permettono in maniera
semplice la valutazione della X(X0,t) per ogni t>t0 in funzione delle condizioni
iniziali e quindi delle altre grandezze come la velocità:
⎡ ∂ X (χ , t ) ⎤
u (χ , t 0 ) = ⎢
⎥
∂t
⎣
⎦ t = t0
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(26)
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La dispersione turbolenta nella visione lagrangiana
Lo studio dei modelli di diffusione basati sull'approccio lagrangiano della
turbolenza (noti anche come Modelli a Particelle o Modelli Monte-Carlo o
Random Flight Models), ha avuto un'origine antecedente a quello della
modellistica euleriana ma uno sviluppo modesto per le difficoltà evidenziate.
Solamente dagli inizi degli anni settanta, però, ha subito un ulteriore impulso,
anche per l'avvento di mezzi di calcolo sofisticati e metodi di misura sempre
più accurati, in grado di acquisire i dati fluidodinamici necessari per le
simulazioni numeriche.
Nei modelli lagrangiani, nei quali la velocità delle particelle viene descritta da
un processo stocastico, la dispersione è valutata calcolando le traiettorie di
un gran numero di particelle rilasciate nel punto di emissione (sorgente).
Nei modelli a particella singola ogni traiettoria viene calcolata
separatamente, senza tenere conto della presenza delle altre particelle: in
questo modo può quindi essere valutato il valore medio delle concentrazioni
ma non i momenti statistici superiori
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La descrizione euleriana
Nella descrizione euleriana classica del moto dei fluidi si studia l'evoluzione
del campo di velocità in un determinato punto del campo di moto u(x,t), dove
x=(x1,x2,x3) rappresenta un punto del campo rispetto ad un sistema di
riferimento fisso nello spazio.
Assegnate le condizioni iniziali u(x,t0)=u0(x), si calcola l'evoluzione della
grandezza u(x,t) per t>t0.
Nonostante la semplicità di questo tipo di trattazione, è ovvio come il
fenomeno della dispersione dipenda dal modo in cui il campo di moto agisce,
al variare del tempo, sugli elementi fluidi costituenti la sostanza inquinante. In
altre parole l'interesse è centrato sulle variazioni nel tempo e nello spazio
delle velocità delle singole particelle fluide.
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La descrizione euleriana
Il sistema di riferimento euleriano
z
particella a t=to+dt
particella a t=to
y
Riferimento euleriano
x
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La descrizione euleriana
Si è visto come nella descrizione lagrangiana la velocità e l'accelerazione di
una particella fluida sono semplicemente le derivate parziali temporali
ui =
∂xi
∂t
∂ui ∂ 2 xi
= 2
∂t
∂t
ai =
(27)
essendo la particella su cui si misurano le grandezze sempre la stessa
Nella descrizione euleriana, la derivata parziale ∂ ∂t esprime solo il tasso
di variazione locale nel punto x e non il tasso di variazione totale vista da
una particella di fluido.
Per tale motivo è necessario introdurre degli ulteriori termini.
Sia F un campo scalare, vettoriale o tensoriale (temperatura, velocità).
Impiegando le coordinate euleriane (x, y, z, t). Si vuole calcolare la velocità
di cambiamento di F in ciascun punto, seguendo una particella di fissata
identità. L’obiettivo è quindi quello di rappresentare un concetto che, in
natura, è essenzialmente lagrangiano, in un linguaggio euleriano.
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La descrizione euleriana
Per incrementi arbitrario ed indipendenti di dx e dt, segue un incremento di
F(x, t) pari a:
dF =
∂F
∂F
dt +
dxi
∂t
∂xi
(27)
Se si considera un incremento non più arbitrario, ma individuato seguendo
una particella di fissata identità, gli incrementi di dx e dt, non sono più
indipendenti, ma sono legati alle componenti della velocità dalle seguenti
relazioni:
dxi = ui dt
(28)
sostituendo nella relazione precedente, si ottiene:
∂F
dF ∂F
=
+ ui
dt ∂t
∂xi
(29)
Per sottolineare il fatto che la derivata temporale viene ottenuta seguendo
una particella, nella meccanica dei fluidi la notazione d/dt, che è troppo
generale, viene sostituita con una notazione speciale D/Dt.
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La descrizione euleriana
Si ottiene:
∂F (30)
DF ∂F
+ ui
=
Dt ∂t
∂xi
Derivata materiale, o
SOSTANZIALE (sulla particella)
possono essere distinte due termini:
rappresenta il tasso di cambiamento locale di F in un dato
∂F ∂t che
punto, ed è nullo se il flusso è stazionario.
ui
∂F è chiamato derivata advettiva (cambiamento di F perchè la
particella si sposta in un punto dove F è differente)
∂xi
I
In particolare nel caso in cui A è la velocità, si ottiene l'accelerazione :
ai =
Du i ∂u i ∂u i
=
+
u
Dt
∂t ∂x j j
;
a=
∂u
+ ( u ⋅ ∇) u
∂t
(31)
Alla stessa relazione si può pervenire per altra via.
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La descrizione euleriana
Alla stesse relazioni si può pervenire per altra via. Si consideri una particella
P che, all'istante t, occupa la posizione x. Trascorso un intervallo di tempo Δt,
la particella P si porta in P', di coordinate x+Δx. Individuiamo con Q la
particella che al tempo t+Δt si porta proprio nella posizione che al tempo
iniziale t era occupata dalla particella P. La derivata sostanziale è data da :
DA
A ( P' ) − A ( P )
= lim
Δ
t
→
0
Δt
Dt
(32)
Le derivate parziali rispetto al tempo e alle coordinate spaziali risultano:
⎛ ∂A ⎞
A(x, t + Δt ) − A(x, t )
⎜ ⎟
= lim
=
⎝ ∂t ⎠x=cos t. Δt →0
Δt
(33)
⎛ ∂A ⎞
A ( x + Δx c i , t ) − A ( x , t )
= lim
=
⎜
⎟
Δx
⎝ ∂x i ⎠t=cos t . Δx →0
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La descrizione euleriana
Calcolo della accelerazione di una particella nel riferimento euleriano
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La descrizione euleriana
La variazione locale della grandezza A è quindi data dalla:
A ( Q' ) − A ( P ) =
∂A
Δt
∂t
(34)
ed è quindi rappresentata dalla derivata parziale rispetto al tempo.
Posto:
A ( P' ) − A ( P ) = A ( P' ) − A ( Q' )} + { A ( Q' ) − A ( P )}
(35)
{
la quantità A(P') - A(Q') è la differenza tra i valori che la quantità A assume,
nello stesso istante, in punti differenti; questa quantità è dunque data da:
∂A
A ( P' ) − A (Q' ) =
Δx j
∂ xj
(36)
Quindi la derivata totale risulta:
D A ∂ A ∂ A dx j
=
+
∂ t ∂ xj d t
Dt
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(37)
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La descrizione euleriana
Si può osservare che essendo dxj/dt le componenti della velocità della
particella P, si arriva alla relazione precedentemente ottenuta:
A titolo di esempio si consideri il moto con velocità u costante di un fluido in
un condotto che viene riscaldato dall'esterno. Una particella che all'istante t si
trova nella sezione caratterizzata dall'ascissa x, con temperatura T(x, t), si
porta, dopo un intervallo di tempo Δt, nel punto di ascissa x + u Δt, con una
temperatura T(x + u Δt, t + Δt). La derivata sostanziale è data da:
T( x + u Δt, t + Δt ) − T( x, t )
DT
∂T
⎡ ∂T Δx ∂T ⎤ ∂T
= lim
= lim ⎢
+ ⎥=
u+
Δ t →0 ⎣ ∂x Δt
∂t ⎦ ∂x
∂t (38)
Δt
Dt Δt→0
Come altro esempio si consideri in un corso d'acqua:
ƒuna roccia che rimane ferma nel tempo;
ƒuna foglia che viene trasportata dalla corrente ed ha quindi la stessa
velocità del fluido con cui è a contatto;
ƒun pesce libero di muoversi in qualsiasi direzione con qualsiasi velocità.
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La descrizione euleriana
Rappresentazione grafica della derivata totale
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La descrizione euleriana
La generica derivata rispetto al tempo di una grandezza associata al fluido è
quella effettuata dal pesce che si sposta di Δx nel tempo Δt:
⎛ ∂A Δx i ∂A ⎞ ∂A dx i ∂A
dA
= lim ⎜
+
+
⎟=
dt Δt →0 ⎝ ∂x i Δt
∂t ⎠ ∂x i dt
∂t
(39)
In questo caso dxi/dt è la velocità del pesce ma non quella del fluido. La
derivata parziale rispetto al tempo è quella effettuata dalla roccia che
coincide con quella del pesce nel caso in cui quest'ultimo resti fermo. La
derivata sostanziale è quella effettuata dalla foglia che coincide con quella
del pesce solo nel caso in cui quest'ultimo si muova con la stessa velocità
del fluido.
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Tipologie di moto: definizioni
A seconda del parametro considerato i moti di un fluido possono essere
classificati in vario modo; alcune possibili classificazioni sono:
Tridimensionale: se le grandezze che caratterizzano il moto dipendono da
tutte le variabili indipendenti spaziali.
Bidimensionale: se le grandezze che caratterizzano il moto dipendono da
due variabili indipendenti spaziali; se tale variabili sono due coordinate
cartesiane si parla di moto piano; se tali variabili sono ϕ e r in coordinate
cilindriche si parla di moto assialsimmetrico.
Unidimensionale: se le grandezze che caratterizzano il moto dipendono da
una sola variabile spaziale indipendente; è questo il caso del moto in un
condotto.
Permanenti o stazionari: se le grandezze che caratterizzano il moto non
dipendono dal tempo;: in tal caso, in una descrizione euleriana, sono nulle le
derivate spaziali rispetto al tempo.
Subsonici o supersonici: a seconda che la velocità del fluido sia molto
inferiore o comparabile alla velocità di propagazione delle piccole
perturbazioni (velocità del suono).
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Tipologie di moto: definizioni
Sono definiti i seguenti luoghi geometrici:
Traiettoria di una particella: il luogo dei punti occupati in tempi successivi
dal baricentro della stessa particella fluida.
Linea di corrente (o linea di flusso): è una linea che risulta tangente al
vettore velocità.
Linea di fumo: è il luogo dei punti che ad un assegnato istante occupano le
particelle che in istanti precedenti sono passate per uno stesso punto.
Nel caso di moto permanente i tre luoghi geometrici, precedentemente
introdotti, coincidono.
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La turbolenza
I momenti di una variabile turbolenta
Le variabili di un flusso turbolento non si possono determinare in dettaglio e
devono pertanto essere trattate come variabili stocastiche o casuali.
Sia u(t) una variabile misurabile di un flusso turbolento. Come primo caso
consideriamo quello in cui le “caratteristiche medie” di u(t) non varino con il
tempo. In tale caso noi possiamo definire la velocità media come media
temporale delle velocità registrate.
u
t
1 0
u = lim ∫ u (t )dt
to →∞ t
0 0
(40)
t
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La turbolenza
I momenti di una variabile turbolenta
Se invece consideriamo una situazione dove le caratteristiche medie varino
con il tempo, la media non può essere formalmente definita usando la (40),
perché non si riesce a specificare quanto grande debba essere l'intervallo
su cui mediare t0 nel valutare l’integrale (40).
u
Se si prende infatti un t0 molto
grande allora non si ottiene un
valore attendibile della media
“locale”; se si prende un t0 troppo
piccolo non si ottiene una media
attendibile.
t
(serie temporale non stazionaria)
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La turbolenza
I momenti di una variabile turbolenta
Nel caso di serie temporale non stazionaria, si può comunque definire una
media (in un istante t) compiendo un gran numero di esperimenti (insieme),
condotti tutti sotto le stesse condizioni.
La i-esima realizzazione è denotata da ui(t). La
media della serie al tempo (t) è chiamata media
d’insieme, o valore atteso.
u
u3(t)
u (t ) ≡
1
N
N
∑ u (t )
i =0
i
(41)
Operando commutazioni sull’operatore
differenziale si ha che:
u2(t)
⎤
∂u
1 ⎡ ∂ u 1 (t ) ∂ u 2 ( t ) ∂ u 3 ( t )
=
+
+
+ .......... .... ⎥ =
⎢
N ⎣ ∂t
∂t
∂t
∂t
⎦
=
u1(t)
8 a.m.
9 a.m.
10 a.m. t
∂ ⎡ 1
⎤ ∂u
u 1 ( t ) + u 2 ( t ) + ..... ⎥ =
∂ t ⎢⎣ N
∂ t (42)
⎦
{
}
(commutazione fra operatore differenziale e
media d’insieme)
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La turbolenza
I momenti di una variabile turbolenta
Analoga commutazione può essere effettuata con l’operatore integratore.
∂u
∂u
=
∂t
∂t
b
∫
a
∂u
∂u
=
∂xi
∂xi
b
udt
=
∫
∫ udx
u dt
a
=
(43)
∫ u dx(44)
In atmosfera e nell'oceano non si riescono però a ottenere misure sotto le
stesse identiche condizioni per cui si è soliti ricorrere alla media temporale,
interpretandola come media di insieme, ma scegliendo un appropriato
intervallo di tempo, piccolo se confrontato con il tempo durante il quale si
possono registrare variazioni significative delle proprietà medie del
fenomeno esaminato.
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La turbolenza
I momenti di una variabile turbolenta
Le grandezze che caratterizzano le variazioni di una variabile casuale, cioè
la media e lo scarto quadratico medio, sono chiamate le statistiche o
momenti di una variabile. Quando le statistiche di una variabile casuale
sono indipendenti dal tempo, il processo è stazionario.
Per un processo stazionario la media temporale (che è la media di ogni
singola realizzazione) coincide con la media d’insieme.
Allo stesso modo si definisce un processo omogeneo come quello in cui
le statistiche non dipendono dallo spazio, per il quale la media
d’insieme è uguale alla media spaziale.
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31
La turbolenza
I momenti di una variabile turbolenta
Il valore quadratico medio di una variabile è detto varianza.
La radice quadrata della varianza è chiamata scarto quadratico medio
(rms):
varianza = u 2
(45)
u rms = (u 2 )1 2
Le serie dei tempi [u(t)-ū], ottenute sottraendo la media ū dalle serie,
rappresentano le fluttuazioni della variabile attorno al suo valore medio. Il
valore di rms della fluttuazione è chiamato deviazione standard, definito
come:
[
uSD = (u − u)2
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]
1
2
(46)
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Correlazioni
L’autocorrelazione di una singola variabile u(t) in due momenti t1 e t2 è
definita come:
R (t1 , t 2 ) = u (t1 )u (t 2 )
(47)
Nel caso generale in cui la serie non è stazionaria, il valore sopra segnato
deve essere visto come una media di insieme. Quindi la correlazione può
essere computata come segue: ottenere un numero sufficiente di ripetizioni
del fenomeno (es. valori di u(t)), e, per ognuno di essi, leggere il valore di u al
tempo t1 e t2. Poi moltiplicare i due valori di u e calcolare il valore medio di
tutti i prodotti così ottenuti.
La grandezza di questo prodotto mediato è piccola quando un valore positivo
di u(t1) è associata sia a valori positivi che negativi di u(t2). In questo caso i
valori di u a t1 e a t2 vengono definiti “poco correlati”.
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32
Correlazioni
Se dall’altro lato, un valore positivo di u(t1) è prevalentemente associato ad
un valore positivo di u(t2), e un valore negativo di u(t1) è associato con un
valore negativo u(t2) allora la grandezza R ( t 1 , t 2 ) è grande e positiva; in
entrambi i casi diciamo che u(t1) e u(t2) sono “molto correlati”.
E' possibile anche avere un caso con R ( t 1 , t 2 ) grande e negativa nel quale
un segno di u(t1) è molto associato con l’opposto segno di u(t2).
Per un processo stazionario le statistiche (che sono i vari tipi di media) sono
indipendenti dall’origine del tempo, cosicché è possibile spostare l’origine del
tempo in qualunque modo. Spostando l’origine di t1, l’autocorrelazione (14)
diviene, u (0)u (t 2 − t1 ) = u (0)u (τ ) dove τ = t 2 − t1 è lo sfasamento.
È chiaro quindi che è possibile scrivere la correlazione come u (t )u (t + τ ) ,
che è una funzione solo di τ, essendo t una misura arbitraria dell’origine. In
questo caso (stazionarieta) media di insieme e temporale ovviamente
coincidono
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Calcolo della funzione di autocorrelazione
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33
Correlazioni
E' quindi possibile definire una funzione autocorrelazione di un processo
stazionario con:
R (τ ) = u (t )u (t + τ )
(48)
Finora è stata ipotizzata la stazionarietà, il valore soprassegnato in tutte le
espressioni può essere considerato quindi un valore medio nel tempo. Per
valutare correlazione basta semplicemente allineare la serie u(t) con u(t+τ) e
le moltiplica verticalmente.
Possiamo anche definire una funzione di autocorrelazione normalizzata:
r (τ ) ≡
u (t )u (t + τ )
u
(49)
2
dove u 2 è il valore quadratico medio (o varianza).
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Correlazioni
Per ogni funzione u(t) si può provare che:
[
] [u (t )]
u (t1 )u (t 2 ) ≤ u 2 (t1 )
1/ 2
1/ 2
2
(50)
2
che è chiamata disuguaglianza di Schwartz. Essa è analoga all’espressione
del prodotto interno di due vettori che non può essere più grande del prodotto
dei loro moduli. Per un processo stazionario il valore quadratico medio è
indipendente dal tempo, cosicché il valore a destra della (50) è uguale a u. 2
Usando la (50), ne segue dalla (49) che:
r ≤1
(51)
Ovviamente, r(0)=1. per un processo stazionario l’autocorrelazione è una
funzione simmetrica, ovvero:
R(τ ) = R(− τ )
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(52)
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Correlazioni
Una tipica funzione di autocorrelazione è mostrata in Figura
In generale, partendo dal valore unitario, l'autocorrelazione tende a zero per
τ tendente all'infinito. L'area compresa tra la funzione e l'asse delle ascisse è
una misura di quanto il fenomeno ha memoria di se stesso.
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La scala integrale lagrangiana
Partendo dalle autocorrelazioni temporali, è possibile definire la scala
integrale temporale Г della turbolenza:
∞
Γ ≡ ∫ r (τ )dτ
0
(53)
Una misura dell’ampiezza della correlazione è in genere rappresentata
dall'area sottesa dalla funzione di autocorrelazione con un rettangolo di
altezza 1 e ampiezza Г.
La scala integrale temporale, è una misura del tempo per il quale u(t) è
fortemente correlata con se stessa. In altre parole Г è la misura della
memoria del processo.
In modo schematico si può dire che il fenomeno è correlato con se stesso
per tempi inferiori a Г, ed è completamente scorrelato per tempi superiori.
Nel caso di rumore bianco si avrebbe Г =0 e nel caso di un flusso laminare si
ha che il fenomeno è sempre correlato e la scala integrale risulta essere
infinita.
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Le altre forme di correlazione
Così facendo abbiamo considerato u come una funzione del tempo e
abbiamo definito la sua autocorrelazione R(τ). In modo simile possiamo
definire una autocorrelazione come una funzione della distanza spaziale tra
due misure della stessa variabile tra due punti.
Siano u(x0, t) e u(x0+x, t) le misure di u nei punti x0 e x0+x. allora la
correlazione spaziale è definita come u ( x0 , t )u ( x0 + x, t ) . Se il campo è
spazialmente omogeneo, allora le statistiche sono indipendenti dal punto x0,
cosicché la correlazione dipende solamente dalla distanza x:
C ( x) = u ( x0 , t )u ( x0 + x, t )
(54)
Fin ora abbiamo definito l’autocorrelazione coinvolgendo misure della stessa
variabile u. Possiamo anche definire una funzione cross-correlazione tra due
variabili stazionarie u(t) e v(t) come:
(55)
C (τ ) ≡ u (t )v(t + τ )
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Correlazioni
Definendo la trasformata di Fourier (S(w)) della funzione di
autocorrelazione (R(t)):
1
S (ω ) =
2π
∞
∫e
−iωτ
R(τ )dτ
(53)
Può essere dimostrato che affinché la relazione precedente sia vera, R(τ)
deve essere funzione di S(ω) tale che :
−∞
∞
∫e
R (τ ) =
iωτ
S (ω ) d ω
(54)
Le due relazioni definiscono “la coppia delle trasformate di Fourier”. La
trasformata di Fourier può essere definita se la funzione va a zero più
velocemente che all’infinito. Si può dimostrare che S(ω) è reale e simmetrica
se R(τ) è reale e simmetrica. Sostituendo τ =0 nella (54) si ottiene:
−∞
∞
u =
2
∫ S (ω )dω
−∞
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Correlazioni
Questo dimostra che S(ω)dω è l’energia (precisamente la varianza) in una
banda di frequenza dω centrata a ω. Praticamente la funzione S(ω) mostra
che l’energia è distribuita come una funzione di frequenza ω. S(ω) è quindi
lo spettro di energia, e tramite la (1) può essere definita come la
trasformata di Fourier della funzione autocorrelazione. Dalla (1) segue
anche che:
1
S (0 ) ≡
2π
∞
∫ R (τ )dτ =
−∞
u2
π
∞
∫ r (τ )dτ =
0
u 2Γ
π
(55)
la quale mostra che il valore dello spettro corrispondente a frequenza
nulla è proporzionale alla scala integrale temporale.
Cosi facendo abbiamo considerato u come una funzione del tempo e
abbiamo definito la sua autocorrelazione R(τ). In modo simile possiamo
definire una autocorrelazione come una funzione della distanza spaziale tra
due misure della stessa variabile in due diversi punti.
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Correlazioni
Siano u(x0, t) e u(x0+x, t) le misure di u nei punti x0 e x0+x. In tal caso la
correlazione spaziale è definita come u ( x0 , t )u ( x0 + x , t )
(56)
Se il campo è spazialmente omogeneo, allora le statistiche sono
indipendenti dal punto x0, cosicché la correlazione dipende solamente dalla
distanza x:
R ( x ) = u ( x0 , t )u (x0 + x , t )
Possiamo ora definire uno spettro di energia S(K) come una funzione del
vettore numero d’onda K tramite la trasformata di Fourier:
∞
(57)
1
S (K ) =
e
(2π ) ∫
1/ 3
− iKx
R ( x )dx
−∞
dove:
∞
R (x ) =
− iKx
∫ e S (K )dK
(58)
−∞
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Correlazioni
Le relazioni (3) e (4) sono rispettivamente analoghe alla (1) e alla (2).
Nell’integrale (3), dx è la notazione per indicare l’elemento di volume dx dy
dz. Analogamente nell’integrale (4), dk = dk dl dm è l’elemento di volume
nello spazio dei numeri d’onda (k,l,m). E’ necessaria una misura istantanea
u(x) funzione della posizione per calcolare la correlazione spaziale R(x).
Questo è un obbiettivo difficile, così determiniamo questo valore
approssimativamente indagando rapidamente in una desiderata direzione.
Se la velocità U0 di attraversamento dell’indagine è abbastanza rapida
possiamo assumere che il campo turbolento è “congelato“ e non cambia
durante le misure. Nonostante l’indagine attuale registri una serie u(t),
potremmo trasformarle in una serie spaziale u(x) sostituendo t con x/U0.
L’assunzione che le fluttuazioni turbolente in un punto sono causate da
avvezione di un campo congelato passato è chiamata ipotesi di Taylor.
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Correlazioni
Abbiamo definito l’autocorrelazione coinvolgendo misure della stessa
variabile u. Possiamo anche definire una funzione crosscorrelazione tra
due variabili stazionarie u(t) e v(t) come:
C (τ ) ≡ u (t )v (t + τ )
(59)
Diversamente dalla funzione autocorrelazione, la funzione di crosscorrelazione non è una funzione simmetrica dello sfasamento τ, perché
C(−τ ) ≡ u(t )v(t −τ ) ≠ C(τ )
(60)
Il valore della funzione della cross-correlazione a sfasamento zero, che è
u (t )v (t ) è semplicemente scritto come uv ed è chiamato la “correlazione”
di u e v.
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Il teorema del trasporto di Reynolds
La derivata sostanziale dell'integrale di una grandezza A in un volume di
fluido V che, racchiuso dalla superficie S, contiene sempre le stesse
particelle è data da :
∫ A ( t' ) dV − ∫ A ( t ) dV
D
V ( t ')
V( t )
∫ A dV = lim
=
Δt →0
Δt
Dt V ( t )
∫ A ( t' ) dV + ∫ A ( t' ) dV − ∫ A ( t ) dV
= lim
ΔV
V( t )
= lim ∫
Δt → 0 V ( t )
V( t )
Δt
Δt → 0
[ A( t' ) − A( t )]
Δt
=
A ( t ' ) dV
dV + lim ∫
Δt →0 ΔV
Δt
(61)
essendo t'= t +Δt e ΔV=V(t') -V(t). Il primo termine rappresenta il limite per
t che tende a zero del rapporto incrementale della grandezza A rispetto alla
variabile t, eseguita sul volume considerato all'istante t.
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Il teorema del trasporto di Reynolds
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Il teorema del trasporto di Reynolds
Dalla figura si deduce che il volume DV è dato da :
ΔV = ∫ u ⋅ n dS Δt
(62)
S( t )
quindi :
dV = u ⋅ n dSdt
(63)
poiché :
lim A(t' ) = A(t )
Δt →0
(64)
si ha :
∂A
D
AdV = ∫
dV + ∫ Au ⋅ ndS
∫
∂t
Dt V (t )
V (t )
S (t )
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(55)
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Il teorema del trasporto di Reynolds
Tenendo conto del teorema di Green si ricava :
∫ Au ⋅ ndS = ∫ ∇ ⋅ ( Au )dV
S (t )
V (t )
⎡ ∂A
∂u ⎤
∂A
D
⎡ ∂A
⎤
∫ A dV = ∫ ⎢
+ ∇ ⋅ ( Au ) ⎥dV = ∫ ⎢
+ ui
+ A i ⎥ dV
∂x i
∂x i ⎦
Dt V ( t )
⎦
V ( t ) ⎣ ∂t
V ( t ) ⎣ ∂t
(66)
e quindi :
⎛ DA
⎞
D
∫ A dV = ∫ ⎜
+ A∇ ⋅ u ⎟ dV
⎠
Dt V( t )
V ( t ) ⎝ Dt
(67)
Il teorema di derivazione sotto il segno di integrale può essere considerato
come un caso particolare del teorema di Reynolds. Si consideri un flusso
monodimensionale in cui ogni grandezza è funzione solo di x1, A(x1,t), per il
quale solo u1 è diverso da zero. Assunto come volume di fluido quello di un
cilindro retto con direttrici parallele e le basi perpendicolari a x1. La superficie
che racchiude il volume V è suddivisa in tre parti , le due basi Sa e Sb di
eguale area e superficie laterale di area Sl.
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Il teorema del trasporto di Reynolds
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Il teorema del trasporto di Reynolds
Siano a(t) e b(t) le distanze delle basi dal piano x1x2(figura), risulta :
D
∫ A ( x1 , t )dx1dx 2 dx 3 =
Dt V ( t )
∂A
dx1dx 2 dx 3 + ∫ Au ⋅ n a dS + ∫ Au ⋅ n b dS + ∫ Au ⋅ n l dS
Sl
V ( t ) ∂t
Sa
Sb
= ∫
(68)
⎧ ∫ dx 2 dx 3 = S a = S b
⎪
⎪ u ⋅ n = − u ( a ) = − da = −a'
1
a
⎪
dt
⎨
db
⎪ u ⋅ n = u ( b) =
= b'
1
b
⎪
dt
(69)
⎪⎩ u ⋅ n = 0
l
risulta :
b( t )
D b( t )
∂A
∫ A ( x1 , t )dx1 = S a ∫
Sa
dx1 − a' A ( a, t )S a + b' A ( b, t )S b (70)
Dt a ( t )
a ( t ) ∂t
Poiché :
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Equazione di bilancio di massa
La massa M di un volume fluido contenente sempre le stesse particelle
rimane costante con il tempo :
M = ∫ ρ dV = cos t.
(71)
V( t )
quindi .
DM D
∫ ρ dV = 0
=
Dt
Dt V ( t )
(72)
tenendo conto del teorema di Reynolds si ottengono le equazioni di bilancio
della massa in forma integrale :
∂ρ
dV + ∫ ρu ⋅ ndS = 0
∂t
V (t )
S (t )
∫
(73)
⎡ ∂ρ
⎡ Dρ
⎤
⎤
∫ ⎢ + ∇ ⋅ ( ρu ) ⎥ dV = 0 ; ∫ ⎢
+ ρ∇ ⋅ u ⎥ dV = 0
⎦
⎦
V(t) ⎣ ∂t
V(t) ⎣ Dt
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(74)
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Equazione di bilancio di massa
Affinché le relazioni precedenti siano verificate per qualsiasi V, occorre che la
funzione integranda sia nulla in tutto il campo; si ottengono quindi le
equazioni di bilancio della massa in forma differenziale :
∂ρ
+ ∇ ⋅ ( ρ u) = 0
∂t
(75)
Dρ
+ ρ ∇⋅u = 0
Dt
(76)
Lo stesso risultato si può ottenere considerando dal punto di vista euleriano,
il flusso entrante ed uscente attraverso la superficie che delimita da un
parallelepipedo infinitesimo fisso.
Se ρ = cost., cioè se il fluido è incomprimibile, il campo risulta essere
solenoidale :
∇⋅u = 0
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;
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∂ ui
=0
∂ xi
(77)
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Equazione di bilancio della quantità di moto
La variazione della quantità di moto Q del fluido contenuto in un volume V
composto sempre dalle stesse particelle è pari alla risultante delle forze
esterne F.
DQ
(84)
=F
Dt
D
ρu dV = ∫ ρf dV + ∫ τ ⋅ n dS
D t V ∫( t )
(t )
(t )
14243 V1
42
4
3 S1
424
3
III
IV
I
14 4424 4
4
3
(85)
II
essendo:
I) la derivata sostanziale della quantità di moto;
II) la risultante delle forze esterne;
III) la risultante delle forze di massa, con f la forza di massa per unità di
massa;
IV) la risultante delle forze di superficie.
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Equazione di bilancio della quantità di moto
Tenendo conto dei teoremi di Green e di Reynolds si ha:
⎡ D(ρu )
⎤
⎢ Dt + ρu∇ ⋅ u ⎥ dV = ∫ ρf + ∇ ⋅τ dV
⎦
V (t ) ⎣
V (t )
[
∫
]
(86)
ovvero:
⎡ ⎛D ρ
⎞
Du ⎤
∫V ( t ) ⎢ u⎜
dV = ∫V ( t ) ρ f + ∇ ⋅ τ dV (87)
+ ρ ∇ ⋅ u⎟ + ρ
⎠
Dt ⎥⎦
⎣ ⎝ Dt
[
]
Dovendo la precedente relazione valere per un volume arbitrario di
integrazione, ed osservando che il termine nelle parentesi tonde del primo
membro dell'equazione è nullo per l'equazione di bilancio della massa, si
ottiene l'equazione di bilancio della quantità di moto in forma differenziale :
ρ
∂ τ ij
Du
Dui
= ρ f + ∇ ⋅τ ; ρ
= ρ fi +
Dt
Dt
∂ xj
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(88)
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Equazioni di Navier-Stokes
La relazione che lega deformazioni e sforzi in un continuo è chiamata
equazione costitutiva. Nei fluidi tale equazione lega lo sforzo alla velocità di
deformazione.
In un fluido in quiete ci sono solo componenti normali dello sforzo su di una
superficie e lo sforzo non dipende dall'orientamento della superficie stessa.
In altre parole il tensore degli sforzi è isotropico o sferico (simmetrico).
Un tensore è definito isotropico quando le sue componenti non cambiano per
effetto di una rotazione del sistema di riferimento. L'unico tensore isotropico
del secondo ordine è il delta di kronecker. Qualunque tensore isotropico deve
essere dunque proporzionale a δ. Pertanto lo sforzo in un fluido in quiete
deve assumere la forma:
τ ij = − pδ ij
dove p è la pressione termodinamica legata a ρ e T da un equazione di stato
Il segno negativo deriva dalla convenzione che gli sforzi che consideriamo
positivi sono gli sforzi di trazione
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Equazioni di Navier-Stokes
Un fluido in movimento sviluppa ulteriori componenti dello sforzo dovute alla
viscosità. I termini diagonali di t diventano diseguali e si sviluppano degli
sforzi di taglio. Per un fluido in movimento possiamo quindi suddividere lo
sforzo in un parte –pδij che esisterebbe anche in quiete, ed una parte σij
dovuta solo al movimento:
τ ij = − pδ ij + σ ij
90)
Si assumerà che p rappresenti ancora la pressione termodinamica. Tale
ipotesi non è però fisicamente basata perchè le quantità termodinamiche
sono definibili per gli stati di equilibrio mentre mentre un flusso in movimento
sottoposto a fenomeni diffusivi è ben lontano dall'essere in equilibrio.
Comunque se il tempo di riassetto per molecole è molto piccolo rispetto alla
scala temporale del fluido questo discostamento è trascurabile
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Equazioni di Navier-Stokes
La parte non isotropica σ, chiamata tensore deviatorico degli sforzi, è legata
ai gradienti di velocità. Come visto precedentemente, il tensore gradiente di
velocità può essere scomposto in una parte simmetrica ed una
antisimmetrica.
∂ui 1 ⎛⎜ ∂ui ∂u j ⎞⎟ 1 ⎛⎜ ∂ui ∂u j ⎞⎟
=
+
+
−
∂x j 2 ⎜⎝ ∂x j ∂xi ⎟⎠ 2 ⎜⎝ ∂x j ∂xi ⎟⎠
(91)
La parte antisimmetrica rappresenta una rotazione del fluido senza
deformazione e non può di per se generare alcuno sforzo. Gli sforzi devono
quindi provenire solo dal tensore velocità di deformazione:
1 ⎛ ∂u ∂u j ⎞⎟
eij = ⎜ i +
2 ⎜⎝ ∂x j ∂xi ⎟⎠
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(92)
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Equazioni di Navier-Stokes
Si assumerà una relazione lineare del tipo
σ ij = − K ijmn emn
(93)
dove Kijmn è un tensore del quarto ordine con 81 componenti che dipendono
dallo stato termodinamico del fluido. L'equazione precedente indica
semplicemente che ciascuna componente dello sforzo è legata linearmente a
tutte e nove le componenti del tensore eij. Tutte le 81 componenti risultano
dunque necessarie per descrivere completamente questa relazione. Si può
però dimostrare che solo due delle 81 componenti sopravvivono se si
assume che il mezzo sia isotropico e che il tensore degli sforzi sia
simmetrico.
Un mezzo isotropico non ha direzioni preferenziali che significa che la
relazione tra sforzi e deformazioni è indipendente dalla rotazione del sistema
di riferimento. Ciò è possibile solo se il tensore è Kijmn isotropico.
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Equazioni di Navier-Stokes
E' dimostrabile in analisi tensoriale che tutti i tensori isotropici di ordine pari
sono costituiti da prodotti di δij, e che un tensore isotropico del quarto ordine
deve avere la forma:
K ijmn = λδ ijδ mn + μδ imδ jn + γδ inδ jm
(94)
Dove λ, μ, e γ sono scalari che dipendono dallo stato termodinamico. Poichè
σij è un tensore simmetrico, la (93) richiede che sia anche simmetrico in i e j.
Ciò è consistente con la (94) solo se:
γ =μ
(95)
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Equazioni di Navier-Stokes
Solo due costanti quindi, delle 81 originarie sono sopravvissute sotto la
restrizione dell'isotropia del materiale e della simmetria dello sforzo. La
sostituzione della (30) nell'equazione costitutiva fornisce:
σ ij = 2μeij + λemmδ ij
Dove:
(96)
emm = ∇ ⋅ u
è il tasso di deformazione volumetrico ovvero la divergenza del vettore
velocità. Il tensore degli sforzi completi diventa quindi:
τ ij = − pδ ij + 2μeij + λemmδ ij
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(97)
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Equazioni di Navier-Stokes
Introdotta l'equazione costitutiva in quella di bilancio della quantità di moto,
supponendo che i coefficienti di viscosità λ e μ siano costanti, si ottiene:
⎛ ∂ u i ∂ u k ⎞⎤
D ui
∂ um ⎞
∂ ⎡⎛
ρ
= ρ fi +
+
⎢⎜ −p + λ
⎟ δ ik + μ ⎜
⎟⎥ =
Dt
∂ x k ⎣⎝
∂ xm ⎠
⎝ ∂ x k ∂ x i ⎠⎦
∂p
∂
= ρ fi −
+λ
∂ xi
∂ xi
(89)
⎛ ∂ um ⎞
∂ 2ui
∂ 2 uk
⎜⎜
⎟⎟ + μ
+μ
=
∂ xk ∂ xk
∂ xi ∂ xk
⎝ ∂ xm ⎠
∂p
∂2 u i
∂ ⎛∂ uk ⎞
(
)
= ρ fi −
+ λ+μ
⎜
⎟+ μ 2
∂ xi
∂ xi ⎝ ∂ xk ⎠
∂ xk
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Equazioni di Navier-Stokes
2
3
Dividendo per ρ e posto λ = − μ , si ricava l'equazione di Navier-Stokes:
∂2 u i
D ui
1 ∂ p 1 ∂ ⎛∂ uk ⎞
+
= fi −
+ ν
ν
⎜
⎟
ρ ∂ xi 3 ∂ xi ⎝ ∂ xk ⎠
∂ x 2k
Dt
(90)
Du
1
1
= f − ∇ p + ν ∇ ⋅ ( ∇ ⋅ u) + ν ∇2 u
Dt
3
ρ
avendo indicato con
ν=
μ
la viscosità cinematica.
ρ
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Equazioni e variabili dipendenti
Riepilogo delle equazioni di bilancio :
Massa :
∂ρ
Dρ
+ ∇ ⋅ ( ρ u) = 0 ;
+ ρ ∇⋅ u = 0
∂t
Dt
(91)
Navier-Stokes :
∂2 u i
D ui
1 ∂ p 1 ∂ ⎛∂ uk ⎞
= fi −
+ ν
⎜
⎟+ ν
∂ x 2k
Dt
ρ ∂ xi 3 ∂ xi ⎝ ∂ xk ⎠
(92)
Du
1
1
= f − ∇ p + ν ∇ ⋅ ( ∇ ⋅ u) + ν ∇2 u
Dt
3
ρ
Energia :
ρc v
DT
= − p∇ ⋅ u + K∇ 2 T + μΦ + ρQ
Dt
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(93)
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Equazioni e variabili dipendenti
assieme alla equazione di stato :
ρ = ρ( T, p )
(94)
che assume la forma di :
ρ = cos t .
per i liquidi
p
= RT
ρ
per i gas perfetti
(95)
costituiscono un insieme completo di sei equazioni scalari nelle variabili
indipendenti x e t e con le sei variabili dipendenti p,ρ,T,u. Tali equazioni
possono essere integrate per via analitica (raramente) o per via numerica
(non sempre) una volta che siano associate opportune condizioni iniziali ed
al contorno. Nelle equazioni compaiono dei parametri che sono caratteristici
del fluido (μ, K, cv, R) che si suppongono costanti.
Il numero di condizioni al contorno da assegnare dipende dall'ordine del
sistema di equazioni differenziali di non semplice valutazione dal momento
che coincide con l'ordine più elevato delle derivate una volta ricondotto il
sistema ad un'unica equazione differenziale. Tale operazione non sempre
risulta possibile.
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Equazione media del moto
Un flusso turbolento soddisfa l’equazione di Navier-Stokes. Comunque è in
pratica impossibile prevedere il flusso in dettaglio, poiché c’è un esteso
range di scale da risolvere, la più piccola scala spaziale raggiunge l’ordine
dei mm e invece la più piccola scala temporale raggiunge l’ordine del
millesimo di secondo. Perfino il più potente computer di oggi prenderebbe
un’enorme quantità di tempo per prevedere in dettaglio il flusso turbolento.
Fortunatamente, noi siamo di solito interessati alla ricerca delle sole
caratteristiche macroscopiche di un tale flusso, come la distribuzione della
velocità media e della temperatura. Verranno quindi ricavate le equazioni
del moto per lo stato medio in un flusso turbolento ed esamineremo quali
effetti possono avere le fluttuazioni turbolente sul flusso medio.
Esplicitando le forze di massa, e assumendo che le variazioni di densità
siano dovute alle fluttuazioni di temperatura (definendo una temperatura
equivalente To per le altre cause della variazione di densità) si può scrivere
che:
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Equazione media del moto
∂u~i ~ ∂u~i
∂ 2u~i
p
1 ∂~
~
+uj
=−
− g[1 − α (T − T0 )]δ i 3 + ν
ρ 0 ∂xi
∂t
∂x j
∂x j ∂x j
(96)
La tilde identifica la quantità istantanea di ogni grandezza.
Effettuando la decomposizione di Reynolds, si esprime ogni grandezza
istantanea, come somma della media
e della fluttuazione.
u~i = U i + u i
~
p = P+ p
(97)
~
T = T + T'
Effettuando la media di entrambi i membri si ottiene che:
ui = p = T '= 0
(98)
e quindi le fluttuazioni hanno media nulla. Scrivendo l’equazione di
~ ∂x = 0mediante la decomposizione di Reynolds si ha che:
continuità ∂u
i
i
∂
(U i + ui ) = ∂U i + ∂ui = ∂U i + ∂ui = 0 (99)
∂xi
∂xi ∂xi ∂xi ∂xi
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Equazione media del moto
Dove abbiamo usato la regola di commutazione. Ponendo ūi=0, avremo
∂U i
= 0
∂xi
(100)
che è l’equazione di continuità del flusso medio. Sottraendo questa
dall’equazione di continuità per il flusso totale avremo che:
∂ui
= 0
∂xi
(101)
che è l’equazione di continuità per le fluttuazioni turbolente. Istante per
istante, la parte media e la parte turbolenta del campo di velocità sono
quindi non divergenti.
Scrivendo l’equazione del moto mediante la decomposizione di Reynolds si
ha che:
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Equazione media del moto
[ (
)]
2
∂
(U i + ui ) + (U j + u j ) ∂ (U i + ui ) = − 1 ∂ (P + p ) − g 1 − α T + T '−T0 δ i 3 + ν ∂ 2 (U i + ui )
∂t
∂x j
ρ 0 ∂xi
∂x j(102)
Effettuiamo la media di ogni termine di questa equazione. La media della
derivata temporale è:
∂
(U i + ui ) = ∂U i + ∂ui = ∂U i + ∂ui = ∂U i
(103)
∂t
∂t
∂t
∂t
∂t
∂t
dove abbiamo usato la regola commutativa, e ūi =0. La media del termine
additivo è:
(U
j
+uj)
( )
∂
(U i + ui ) = U j ∂U i + U j ∂ui + u j ∂U i + u j ∂ui = U j ∂U i + ∂ uiu j
∂x j ∂x j
∂x j
∂x j
∂x j
∂x j
∂x j
(104)
Dove abbiamo usato la regola commutativa, e ūi =0; l’equazione di
continuità ∂uj/∂xj.=0 può anche essere usata per ottenere l’ultimo termine.
La media del termine gradiente di pressione è:
∂
(105)
(P + p ) = ∂ P + ∂ p = ∂ P
∂xi
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∂xi
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∂xi
∂xi
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50
Equazione media del moto
Essendo T ' = 0 la media del termine dovuto alla gravità è:
[ (
)] [ (
g 1−α T + T '−T0 = g 1−α T − T0
)]
(105)
La media del termine viscoso è pari a:
∂ 2U i
∂2
(U i + ui ) = ν
ν
∂x j ∂xi
∂x j ∂xi
(106)
Sostituendo i termini, l’equazione della media del moto assume la seguente
forma:
[
( )
)]
(
∂U i
∂U i
∂ 2U i
1 ∂P
∂
+U j
+
ui u j = −
− g 1 − α T − T0 δ i 3 + ν
ρ 0 ∂ xi
∂t
∂x j ∂ x j
∂x j ∂ xi
(107)
La correlazione u i u j è generalmente diversa da zero, anche se ūi=0.
Scrivendo tale termine a destra della precedente equazione si ha che:
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Equazione media del moto
⎤
∂ ⎡ ∂U i
1 ∂P
DU i
=−
− g 1 − α T − T0 δ i 3 +
− ui u j ⎥ (108)
⎢ν
∂x j ⎣⎢ ∂x j
Dt
ρ 0 ∂xi
⎦⎥
[ (
)]
che inoltre può essere scritta come:
[
)]
DU i
1 ∂ τ ij
=−
− g 1 − α T − T0 δ i 3
ρ 0 ∂x j
Dt
dove:
⎛
(
(109)
∂U ⎞
∂U i
j
⎟ − ρ 0 uiu j
τ ij = − P δ ij + μ ⎜⎜
+
⎟
x
x
∂
∂
j
i
⎠
⎝
(110)
Confrontando tali equazioni con la (36) relativa al flusso istantaneo delle
grandezze effettive, si può notare uno stress in più dato dal termine − ρ0 uiu j
che agisce in un flusso turbolento medio. Infatti, questi stress in più nel
campo medio di un flusso turbolento sono molto più grandi rispetto ai
contributi viscosi μ(∂Ui/∂xj+∂Uj/∂xi) eccetto che in prossimità della superficie
solida dove le fluttuazioni sono piccole.
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Equazione media del moto
Il tensore è chiamato tensore degli stress di Reynolds ed ha nove
componenti cartesiane:
⎡ −ρ u2 −ρ uu −ρ uu ⎤
0 i j
0 i j
⎥
⎢ 0 i
⎢− ρ0 uiu j − ρ0 u j 2 − ρ0 u juk ⎥
⎥
⎢
2
⎢− ρ0 uiuk − ρ0 u juk − ρ0 uk ⎥
⎦
⎣
Questo è un tensore simmetrico, le sue componenti diagonali sono gli stress
normali, e le componenti al di fuori delle diagonali sono gli stress di taglio.
Se le fluttuazione turbolente sono completamente isotropiche, cioè che non
hanno delle direzioni preferenziali, allora gli sforzi di taglio sono nulli, e
2
2
ui = uj = uk
2
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Equazione media del moto
Dalle prove sperimentali si può vedere che i vortici più grandi in un flusso
turbolento sono anisotropi, nel senso che essi sono consci della direzione
dell’attrito medio o del gradiente di densità di fondo. Infatti in un caso
anisotropico non può essere estratta energia da un campo medio. Quindi
la turbolenza si deve sviluppare anisotropicamente per combattere la
dissipazione viscosa e autosostenersi. Questo è mostrato nella figura
successiva che rappresenta una nuvola di punti data (alcune volte
chiamate scatter plot) in un piano u-v (rispettivamente pari a ui e uj). I punti
rappresentano il valore istantaneo di una coppia di coordinate in diversi
istanti. Nel caso isotropo non c’è una direzione preferenziale, e i punti si
dispongono con simmetria sferica. In questo caso una u positiva è legata
ugualmente sia ad un valore positivo che negativo di v.
Conseguentemente, il valore medio del prodotto medio uv è zero se la
turbolenza è isotropica. Diversamente la disposizione dei punti in un
campo turbolento anisotropo ha una polarità. La figura mostra come
ad una u positiva è maggiormente associata ad una v negativa e
viceversa, dando uv < 0
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Equazione media del moto
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Equazione media del moto
È facile vedere come il valore atteso del prodotto della media delle velocità
fluttuanti in un flusso turbolento risulti non essere zero.
Consideriamo una sezione del flusso in cui dU/dy è positiva (vedi figura
successiva). Assumiamo che una particella a livello y è istantaneamente
trasportata verso l’alto (v>0).
Nella media la particella mantiene la sua velocità originale durante lo
spostamento, e quando arriva al livello y+dy si trova in una regione in
prevale una velocità maggiore. Quindi la particella tende a rallentare le
particelle di fluido vicine dopo aver raggiunto il livello y+dy causando una u
negativa.
Al contrario, le particelle che si spostano verso il livello più basso (v<0)
tendono a causare una u positiva del livello y-dy. Nella media, quindi a
positivi valori di v sono associati valori negativi di u e viceversa, quindi, la
correlazione uv è negativa per il campo di moto assegnato.
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Equazione media del moto
U(y)
y+dy
v>0
y
v<0
y-dy
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Ipotesi di Boussinesque
Supponendo di avere a che fare con un fluido incompressibile a
temperatura costante, abbiamo quattro equazioni scalari del bilancio della
massa e della quantità di moto e dieci incognite P e U e le sei componenti
del tensore simmetrico ρ ui u j .
Per superare questo inconveniente sono possibili due alternative:
ƒ legare il tensore di Reynolds al valore della velocità media ed ai suoi
gradienti (ipotesi di Boussinesque);
ƒ trovare ulteriori relazioni per le componenti del tensore di Reynolds.
Gli effetti della turbolenza possono in qualche misura essere spiegati con
meccanismo simile a quello con cui agisce la viscosità. Supponiamo di
avere due strati di fluido separati da una superficie piana che si muovono
con differenti velocità media parallele alla superficie di separazione. In
presenza della turbolenza alcune particelle vengono scambiate tra i due
strati provocando un rallentamento dello strato più veloce ed
un'accelerazione dello strato più lento.
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Ipotesi di Boussinesque
In definitiva alla superficie di separazione è come se si avesse uno sforzo
di taglio direttamente proporzionale alla differenza di velocità tra i due
strati ed inversamente proporzionale alla distanza in cui tale differenza si
manifesta. Sulla scia di queste considerazioni si può ammettere che il
tensore di Reynolds sia legato al tensore gradiente di velocità ed assuma
la stessa forma del tensore di Navier (Ipotesi di Boussinesque, 1877):
⎛ ∂U ∂U j ⎞
⎟
− ui u j = ν T ⎜ i +
⎜ ∂x
⎟
∂
x
i ⎠
⎝ j
essendo nT il coefficiente di viscosità turbolenta. Una sostanziale
differenza tra sforzi viscoso e quelli turbolenti è legata al fatto che mentre
ν è una caratteristica del fluido, νT, oltre che dal fluido, dipende anche dal
gradiente di velocità. Il coefficiente di viscosità turbolenta aumenta
allontanandosi dalla parete per cui in prossimità della parete gli sforzi
viscosi sono predominati (ν>>νT); lontano dalla parete sono predominanti
gli sforzi turbolenti (ν<<νT).
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Ipotesi di Boussinesque
L'ipotesi di Boussinesque, tuttora ampiamente utilizzata, non risulta
completamente fondata:
– le direzioni principali del tensore di Reynolds non coincidono con quelle
del tensore velocità di deformazione;
– misure sperimentali evidenziano che lo sforzo di taglio è massimo lì
dove non si hanno gradienti di velocità;
– ponendo i=j nella espressione precedente, si ha:
− ui = 2ν T
2
∂U j
∂U k
∂U i
2
2
; − u j = 2ν T
; − uk = 2ν T
∂x j
∂x k
∂xi
quindi, tenendo conto dell'equazione
di bilancio della massa, si ha un moto
turbolento con energia turbolenta nulla:
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2
2
2
ui +u j +uk = 0
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Teoria della lunghezza di mescolamento
Altra teoria che lega i termini del tensore di Reynolds alla velocità media, è
la teoria della lunghezza di mescolamento, introdotta da Prandtl e Taylor,
basata sulla considerazione che i vortici di opportuna scala si muovono in
modo da approssimare il moto di molecole libere di un gas. Questi
agglomerati di fluido dopo un breve tempo, perdono la loro individualità
mentre se ne determina la nascita di altri. La distanza trasversale in cui tali
strutture conservano la loro identità è chiamata lunghezza di
mescolamento lm. Si consideri un fluido turbolento che lambisce una parete
solida, sia x l'asse parallelo alla parete nella direzione del moto medio e z
quello ortogonale (figura successiva), risulta dunque:
dove: U=Ui; V=Uj; W=Uk
U ≠ 0; V = 0; W = 0
u=−
∂U
l
∂z m
le fluttuazioni turbolente nella direzione z, risultano dello stesso ordine di
grandezza, quindi:
w = cu
(c = costante)
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Teoria della lunghezza di mescolamento
fluttuazioni
w>0
U
w<0
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Teoria della lunghezza di mescolamento
Se una particella si muove verso l'alto (w>0) incontra uno strato con
particelle mediamente più veloci, pertanto per questa particella risulta u<0 e
quindi:
uw < 0
In modo analogo una particella che si muove verso il basso (w<0) trova strati
meno veloci, per cui u>0, e quindi anche in questo caso risulta valida la
relazione precedente. Pertanto le componenti del tensore di Reynolds
risultano essere in genere negative. Risulta dunque:
2
⎛ ∂U ⎞
2 ⎛ ∂U ⎞
uw = −cl ⎜
⎟
⎟ ≅ lm ⎜
⎝ ∂z ⎠
⎝ ∂z ⎠
2
2
m
avendo conglobato la costante c nella definizione di lunghezza di
mescolamento. In accordo con la teoria cinetica dei gas risulta quindi:
ν T = lm u
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Bilancio dell’energia cinetica del flusso medio
In questa sezione esamineremo le sorgenti e i pozzi dell’energia cinetica
media in un flusso turbolento. L’equazione dell’energia cinetica può essere
ottenuta moltiplicando l’equazione DU/Dt per U (per unità di massa).
L’equazione del moto per il flusso medio è pari a:
dove lo stress è dato da:
∂U i
∂U i
1 ∂τ ij g
−
ρδ i 3
=
+U j
(1)
∂x j ρ 0 ∂x j ρ o
∂t
τ ij = − Pδ ij + 2 μEij − ρ 0 ui u j
in cui è stato introdotto lo sforzo medio:
1 ⎛ ∂U ∂U j ⎞⎟
Eij ≡ ⎜ i +
∂xi ⎟⎠
2 ⎜⎝ ∂x j
Moltiplicando la (1) per Ui si ottiene:
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Bilancio dell’energia cinetica del flusso medio
∂
∂t
( U )+ U
1
2
2
i
j
∂
∂x j
( U ) = ρ1
1
2
2
i
0
(
)
∂U i g
∂
1
U i τ ij − τ ij
−
ρU iδ i 3
∂x j
ρ o ∂x j ρ o
Esplicitando il termine relativo alla sollecitazione si ha che:
D
Dt
( U ) = ∂∂x
2
1
2
i
j
⎛ 1
⎞ 1
∂U i
∂U i
∂U i g
⎜⎜ − U i Pδ ij + 2νU i Eij − ui u jU i ⎟⎟ +
Pδ ij
− 2νEij
+ ui u j
−
ρU 3
ρ
ρ
∂
x
∂
x
∂x j ρ 0
0
0
j
j
⎝
⎠
Nel quarto termine a destra, per l’equazione di continuità si ha che:
δ ij (∂U i ∂x j ) = ∂U i ∂x j = 0
quindi, il bilancio dell’energia cinetica diventa:
D
Dt
( U ) = ∂∂x
1
2
2
i
j
⎛ PU j
⎞
∂U i g
⎜⎜ −
+ 2νU i Eij − ui u jU i ⎟⎟ − 2νEij Eij + ui u j
−
ρU 3
∂x j ρ 0
⎝ ρ0
⎠
(2)
Il termine a sinistra, rappresenta la velocità di cambiamento dell’energia
cinetica media, e la parte destra rappresenta il meccanismo che porta a
questo cambiamento.
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Bilancio dell’energia cinetica del flusso medio
I primi tre termini sono nella forma di “divergenza di flussi”. Se integriamo la
(2) sullo spazio otteniamo il tasso di variazione dell’energia cinetica totale (o
globale), allora i termini divergenti possono essere trasformati in un
integrale di superficie attraverso il teorema di Gauss. Inoltre questi termini
non danno contributo se il flusso è confinato in una regione limitata dello
spazio, con U=0 ad una distanza sufficiente. Ne consegue che i primi tre
termini possono solo trasportare o ridistribuire energia da una regione
ad un’altra, ma non possono generarla o dissiparla. Il primo termine
rappresenta il trasporto dell’energia cinetica media attraverso la pressione
media, il secondo attraverso gli sforzi viscosi medi 2νEij, e il terzo termine il
trasposto di energia cinetica media dovuto agli sforzi di Reynolds (scambio
di fluido dovuto ai vortici).
Il quarto termine è il prodotto fra la variazione dello sforzo medio Eij e lo
sforzo viscoso medio 2vEij. E’ una perdita per ogni punto del flusso e
rappresenta la dissipazione viscosa diretta dell’energia cinetica media.
La energia è persa attrito generato dallo sforzo viscoso, e così riappare
come energia cinetica di campo molecolare (avviene solo alle piccole
scale).
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Bilancio dell’energia cinetica del flusso medio
Il quinto termine è analogo al quarto. Può essere scritto come
ui u j (∂U i ∂x j ) = ui u j Eij in quanto il doppio prodotto contratto di un tensore
simmetrico ui u j e un qualsiasi tensore (∂U i ∂x j ) è uguale al prodotto del
primo per la parte simmetrica del secondo (pari a Eij). Il quinto termine è
quindi un prodotto dello sforzo turbolento per la variazione dello sforzo
medio turbolento. Come visto precedentemente, il termine uv è negativo
per dU/dy>0. Il quinto termine è comunque negativo nei flussi d’attrito.
Analogamente al quarto, questo rappresenta una perdita di energia verso
l’agente che genera lo sforzo turbolento, detto campo fluttuante. Questo
termine è una perdita di energia cinetica media e un guadagno di energia
cinetica turbolenta. Chiameremo questo termine produzione di attrito
turbolento dovuto all’interazione degli sforzi di Reynolds e dell’attrito
medio.
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Bilancio dell’energia cinetica del flusso medio
Il sesto termine rappresenta lo sforzo fatto dalla gravità per uno
spostamento verticale medio. Per esempio uno spostamento verso l’alto
risulta essere accompagnato da una perdita di energia cinetica media con
un conseguentemente aumento dell’energia potenziale del campo medio.
Il secondo e il quarto termine della (2) relativi al trasporto viscoso e alla
dissipazione viscosa, sono piccoli in un flusso completamente turbolento
con elevati numeri di Reynolds. Confrontando, per esempio, la dissipazione
viscosa e le perdite dovute alla turbolenza avremo:
2νEij2
ui u j (∂U i ∂x j )
≈
ν (U L )2
u
2
rms
U L
≈
ν
UL
<< 1
dove U è la scala per la velocità media, L la lunghezza della scala, e urms lo
scarto quadratico medio della fluttuazione turbolenta. Si è posto che urms e U
sono dello stesso ordine, poiché esperimenti hanno dimostrato che urms è
una frazione rilevante di U. l’influenza diretta dei termini viscosi è comunque
trascurabile nel bilancio dell’energia cinetica media.
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Bilancio dell’energia cinetica del flusso medio
Quello che avviene in un flusso turbolento è che il flusso medio perde
energia verso il campo turbolento attraverso la produzione di sforzi;
l’energia cinetica turbolenta così generata è successivamente
dissipata dalla viscosità.
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Bilancio di energia del flusso turbolento
Analogamente a quanto visto per il flusso medio, il bilancio di energia del
flusso turbolento viene ricavato a partire dall’equazione del moto per il
flusso totale, ottenendo la seguente relazione:
D
Dt
( u ) = − ∂∂x
1
2
2
i
j
⎛ 1
⎞
⎜⎜
pu j + 12 ui2u j − 2ν ui eij ⎟⎟ − ui u jU i , j + gα wT − 2ν eij eij
⎝ ρ0
⎠
con e = 1 (u + u )
ij
i, j
j ,i
2
I primi tre termini a destra sono nella forma di una divergenza di un flusso e
quindi rappresentano il trasporto spaziale dell’energia cinetica
turbolenta. I primi due termini rappresentano il trasporto turbolento in se
stesso e il terzo termine il trasporto viscoso.
Il quarto termine ui u jU i , j appare anche nel bilancio dell’energia cinetica del
flusso medio col segno cambiato ed è l’interazione fra la divergenza del
moto medio e la parte fluttuante. Questo termine rappresenta una perdita di
energia cinetica media con guadagno di energia cinetica turbolenta.
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60
Bilancio di energia del flusso turbolento
Il quinto termine può avere entrambi i segni, in funzione della natura della
distribuzione delle temperature passate. In una situazione stabile in cui le
temperature di fondo aumentano (come per esempio nello strato
atmosferico notturno), elementi fluidi in alto possono essere associati ad
una fluttuazione negativa della temperatura, cui deriva wT ' ≤ 0 e cioè una
diminuzione del flusso turbolento caldo. Infatti in una situazione stabile il
quinto termine rappresenta il tasso di energia turbolenta persa dal lavoro
contro il gradiente di densità. Nel caso opposto, quando il profilo di densità
di fondo è instabile, il flusso turbolento caldo wT ' è in aumento, e i moti
convettivi causano un incremento dell’energia cinetica turbolenta.
z
T(z) finale
flusso
di
calore
wT ' > 0
convezione
T(z) iniziale
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Bilancio di energia del flusso turbolento
Il quinto termine viene detta produzione dovuta al galleggiamento
dell’energia cinetica turbolenta, avendo inteso che esso può anche
essere una distruzione di energia di galleggiamento se il flusso caldo è
verso il basso. La generazione di “galleggiamento” dell’energia cinetica
turbolenta riduce energia potenziale del flusso medio. Questo può essere
compreso dalla figura precedente, dove si vede che il flusso ha un
movimento verso il basso nello stato finale come effetto di un flusso caldo.
Il sesto termine 2ν eij eij è la dissipazione viscosa dell’energia cinetica
turbolenta ed è chiamata ε. Questo termine non è trascurabile
nell’equazione dell’energia cinetica turbolenta, sebbene un analogo termine
2νEij2 è trascurabile nell’equazione dell’energia cinetica media. La
dissipazione viscosa ε è infatti dello stesso ordine dei termini della
produzione turbolenta.
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Produzione turbolenta e cascata
Da analisi sperimentali è stato osservato che i vortici più grandi in un flusso
turbolento sono anisotropi, nel senso che essi sono “consci” della direzione
dell’attrito medio o del gradiente di densità di fondo. In un campo
completamente isotropico le componenti diagonali del tensore di Reynolds
sono nulle, come nullo è il flusso di calore verso l’alto wT' poiché non c’è
direzione preferenziale tra l’alto e il basso. Infatti in un caso anisotropico
non può essere estratta energia da un campo medio. Quindi la turbolenza
si deve sviluppare anisotropicamente per combattere la dissipazione
viscosa e autosostenersi.
Consideriamo una sezione di un flusso parallelo U(y) mostrato nella figura
successiva, nel quale gli elementi di fluido traslano, ruotano, e si
accavallano generando deformazioni. La natura delle deformazioni di un
elemento dipende dall’orientamento dell’elemento. Un elemento orientato
parallelamente agli assi xy è influenzato solamente da uno sforzo di taglio
1
E xy = 12 dU dy ma non da sforzi normali E xx = E yy = 0
dU dy ⎤
⎡ 0
2
E = ⎢1
⎣ 2 dU dy
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0
⎥
⎦
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Produzione turbolenta e cascata
y
Eαα =
U(y)
Ebb
b
1 dU
2 dy
a
45°
x
Eaa
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E ββ = −
1 dU
2 dy
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Produzione turbolenta e cascata
Un tensore simmetrico simile può essere diagonalizzato con una rotazione
di 45°. Lungo questi assi principali denotati con α e β, il tensore diventa:
0
⎡ 1 dU dy
⎤
E = ⎢2
⎥
1
−
dU
dy
0
⎣
⎦
2
Dall’analisi di tale nuovo tensore, si può notare la presenza di una
1
estensione lineare Eαα = 2 dU dy e di una compressione lineare
E ββ = − 12 dU dy e non ci sono sforzi di taglio.
I grandi vortici orientati lungo l’ asse α si intensificano in forza a causa
dell’allungamento dei vortici, e quelli orientati lungo l’asse β decrescono in
forza. L’effetto netto dello sforzo medio in un campo turbolento è dunque la
causa di una predominanza di vortici la cui vorticità è orientata lungo l’asse
α. Come si vede nella figura, questi vortici sono associati ad una u positiva
quando la v é negativa e viceversa, cui è associato un valore positivo per la
produzione di taglio − uv(dU dy )
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Produzione turbolenta e cascata
I vortici più grandi sono dell’ordine di grandezza dello spessore del flusso
d’attrito, per esempio del diametro di un tubo o dello spessore di uno strato
esterno lungo un muro o dello strato superficiale dell’oceano. Questi vortici
estraggono l’energia cinetica dal campo di moto medio. L’energia cinetica
scende, quindi,a cascata dai larghi vortici ai vortici più piccoli in una serie di
piccoli passaggi. Questo processo di cascata energetica è essenzialmente
non viscoso, poiché il meccanismo di deformazione dei vortici deriva da
termini non lineari dell’equazione di moto.
In un flusso del tutto turbolento (che si ha per grandi numeri di Reynolds), la
turbolenza del fluido non contribuisce alla produzione di attrito, se tutte le
altre variabili sono mantenute costanti. La viscosità, invece, determina le
scale alla quale l’energia turbolenta è dissipata in calore. Dall’espressione
ε = 2ν eij eij è chiaro che l’energia dissipata è effettiva solo a scala
veramente piccola. La deformazione continua e la cascata generano lunghi
e sottili filamenti, in qualche modo simili “spaghetti”.
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Produzione turbolenta e cascata
Quando questi filamenti diventano abbastanza sottili, gli effetti della
diffusione molecolare sono capaci di appiattire i loro gradienti di velocità.
Queste sono le scale più piccole in un flusso turbolento e sono responsabili
della dissipazione dell’energia cinetica turbolenta. Il largo mescolamento in
un flusso turbolento, quindi, è essenzialmente un effetto delle fluttuazioni
turbolente che tendono a generare grandi superfici sulle quali la diffusione
molecolare può infine agire. È chiaro che ε non dipende da ν, ma è
determinato dalla proprietà non viscosa della larghezza dei vortici, la quale
fornisce l’energia alla dissipazione delle scale.
Supposto che l è la tipica lunghezza della scala della larghezza dei vortici (il
quale possiamo prendere uguale la lunghezza della scala integrale definita
da una correlazione spaziale, analogamente alla scala integrale del tempo)
e u’ è una tipica scala della velocità delle fluttuazioni (che possiamo
prendere uguale al rms delle fluttuazioni di velocità). Allora la scala del
tempo della larghezza dei vortici è dell’ordine l/u’. I vortici più grandi
perdono la maggior parte della loro energia durante il tempo tale che la
parte di energia trasferita dai larghi vortici è proporzionale a u '2 e alla
frequenza u’/l. La dissipazione deve essere allora di un ordine pari a:
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Produzione turbolenta e cascata
ε≈
u '3
l
e quindi la dissipazione viscosa è determinata dalle proprietà non viscose di
larga scala in un campo turbolento.
Kolmogorov nel 1941 suggerì che la misura della dissipazione dei vortici
dipende dai parametri che sono rilevanti per i piccoli vortici. Questi
parametri sono la velocità di dissipazione ε alla quale l’energia è stata
dissipata dai vortici e dalla diffusività ν che appiattisce il gradiente di
velocità. Poiché la dimensione di ε è cm2 / s3, l’analisi dimensionale mostra
che la lunghezza della scala dipende da ε e da ν, ed è:
14
⎛ν 3 ⎞
η = ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ε ⎠
detta microscala di Kolmogorov
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Produzione turbolenta e cascata
Al diminuire di ν diminuisce solamente la scala alla quale la dissipazione
viscosa riesce ad agire, e non la velocità di dissipazione. η è dell’ordine di
mm negli oceani e nell’atmosfera. Nei flussi in laboratorio la microscala di
Kolmogorov è molto piccola perché è molto grande la velocità con cui
avviene la dissipazione.
Supponiamo di usare un frullatore domestico da 100 watt in recipiente
contenente 1 Kg di acqua. Se tutta la potenza è usata per generare la
turbolenza, la velocità di dissipazione è ε=100 watt/Kg=100m2/s3. Usando
per l’acqua ν=10-6 m2/s, otterremo η=10-2mm.
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Spettro della turbolenza nel subrange inerziale
Precedentemente abbiamo definito lo spettro dei numeri d’onda S(k),
rappresentando l’energia cinetica turbolenta come una funzione del vettore
numero d’onda k. Se la turbolenza è isotropica, allora lo spettro diventa
indipendente dall’orientamento del vettore numero d’onda e dipende
solamente dall’intensità del vettore K. In questo caso possiamo scrivere
∞
u 2 = ∫ S (K )dK
0
Possiamo associare un numero d’onda K ad un vortice di ampiezza k-1.
Piccoli vortici sono perciò rappresentati da grandi numeri d’onda. Supposto l
la scala dei larghi vortici. Alle scale relativamente piccole rappresentate da
numeri d’onda k>>l-1, non c’è una interazione diretta tra la turbolenza e il
moto dei grandi vortici contenenti energia. Questo perché le piccole scale
sono state generate da una lunga serie di piccoli passaggi,perdendo
informazioni ad ogni passaggio.
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Spettro della turbolenza nel subrange inerziale
Lo spettro ,in questo range dei numeri d’onda è quasi isotropico, solamente
i larghi i larghi vortici sono consci della direzione dei gradienti medi. Lo
spettro in questo range dipende solo dai parametri che determinano la
natura della scala piccola del moto, cosicché possiamo scrivere
S = S (K , ε ,ν )
K 〉〉 l −1
Il range dei numeri d’onda con k>>l-1, è di solito chiamato il range
−1
d’equilibrio. I numeri d’onda dissipativi con K ≈ η ,oltre il quale lo spettro
diminuisce rapidamente, costituisce la parte finale del range d’equilibrio. La
parte più bassa di tale range per cui
l −1 〈〈 K 〈〈η −1 è chiamato subrange
inerziale, perché c’è solo trasferimento di energia dalle forze d’inerzia
(deformazione dei vortici), che prendono posto in questo range. Sia la
produzione che la dissipazione sono piccoli nel sub range inerziale. La
produzione di energia dei larghi vortici causa una improvvisa caduta di S
per K ≥ η −1
E’ necessario sapere come varia S con K tra i due limiti nel subrange
inerziale.
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Spettro della turbolenza nel subrange inerziale
Tipico spettro dei numeri d'onda osservato in oceano
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Spettro della turbolenza nel subrange inerziale
Kolmogorov trovò che nel subrange inerziale S è indipendente da υ, allora si
ha:
−1
−1
S = S (K , ε )
l 〈〈 K 〈〈η
Sebbene piccole dissipazioni prendono posto nel subrange inerziale, lo
spettro qui non dipende da ε. Questo perché l’energia che è dissipata deve
essere trasferita oltre il subrange inerziale. Poiché l’unità di S è m3/s2 e
quella di ε è m2/s2,allora dimensionalmente si ha
S = Aε 2 / 3 K −5 / 3
l −1 〈〈 K 〈〈η −1
dove A è circa pari a 1,5 ed è stata scoperta come costante universale
valida per tutti i flussi turbolenti. La precedente relazione viene detta legge
di Kolmogorov.
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La dispersione turbolenta
dai due sistemi di riferimento
I vari modelli lagrangiani fino ad oggi sviluppati differiscono sostanzialmente
nel modo in cui essi descrivono l'effetto della turbolenza sul moto delle
particelle.
Contrariamente ai modelli di tipo euleriano, abitualmente utilizzati nelle
applicazioni pratiche, i modelli lagrangiani sono in grado di descrivere i
processi di diffusione non solo in condizioni di forte disomogeneità della
turbolenza ma, soprattutto, per flussi in cui la turbolenza è fortemente
asimmetrica .
Ciononostante, data la difficoltà di utilizzo di questi modelli (misure) si verifica
un uso più diffuso dei modelli di tipo euleriano
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Per valutare la dispersione in forma euleriana si integra l'equazione di
bilancio della massa di inquinante scritta per un sistema di riferimento fisso
rispetto alla Terra.
A seconda delle semplificazioni operate sull'equazione di partenza si
ottengono classi di modelli con gradi di approssimazione diversi, la cui
applicabilità è legata alla validità delle ipotesi di partenza.
L'equazione di bilancio della massa di inquinante c può essere ottenuta
uguagliando la variazione nel tempo della massa di inquinante contenuta in
un volume V di fluido in movimento, al flusso attraverso la superficie di
contorno di V:
∂c ∂
(Φ i ) = 0
+
∂t ∂xi
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(24)
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
dove Φi è la componente vettoriale i-esima del flusso della grandezza c
attraverso una superficie unitaria normale alla direzione i; esso è somma di
due addendi, il primo dovuto al trasporto macroscopico, o a larga scala, cui, il
secondo, φi, all'agitazione molecolare. La (24) diviene quindi:
∂c ∂
(cui ) + ∂ (φi ) = 0
+
∂xi
∂t ∂xi
(25)
La soluzione numerica della (25) nel caso di flusso turbolento risulta poco
agevole. Conviene allora fare riferimento ad una forma più maneggevole,
dove compaiono i termini medi in luogo dei valori istantanei.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Applicando l'operatore di media alla (25) si ottiene:
( )
()
∂c ∂
∂
+
φi = 0
ui c +
∂t ∂xi
∂xi
(26)
Nell'ipotesi di flusso incomprimibile la (25) può essere riscritta nella seguente
forma:
⎛∂
∂ ⎞ ∂φi
⎜⎜ + ui
⎟⎟c +
=0
∂
t
∂
x
∂xi
i ⎠
⎝
(27)
Effettuando la decomposizione di Reynolds la (26) diviene invece:
( )
( )
⎛∂
∂ ⎞
∂
∂
⎜⎜ + ui
⎟⎟c +
ui′c′ +
φ =0
∂xi ⎠ ∂xi
∂xi i
⎝ ∂t
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(28)
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Confrontando la (27) con la precedente si può notare che le due espressioni
hanno struttura pressoché identica, salvo per la comparsa di operatori medi
in luogo dei valori puntuali e del termine di correlazione, funzione incognita,
dovuto alla non linearità dell'equazione di partenza.
Trascurando il termine dovuto al trasporto molecolare, la (27) si semplifica
nella:
Dc
=0
Dt
(29)
che esprime la conservazione nel tempo della concentrazione lungo una
traiettoria qualsiasi: in assenza di diffusione molecolare ogni particella fluida,
quindi, conserva durante il moto il valore iniziale della concentrazione.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Un comportamento analogo non si ha invece per la (28), dove viene descritto
il fenomeno in termini medi, a meno che non sia nullo il gradiente del flusso
della concentrazione che però, in genere, non è trascurabile.
Poiché c, e quindi c, sono quantità che si conservano globalmente nel campo,
il fatto che c vari lungo la traiettoria media significa che un fenomeno di
trasporto, da una regione all'altra del campo, si è sovrapposto al moto medio.
Questo fenomeno di trasporto, generato dalla correlazione ui′c′ , esercita sulla
distribuzione di c un carattere dispersivo.
( )
P
Po
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Per comprendere questo fatto, si consideri una goccia di fluido contaminato
dalla presenza di una sostanza inquinante in un campo di moto turbolento;
per effetto di esso la goccia viene stirata, distorta, sfilacciata, però, i suoi
punti conservano la concentrazione iniziale c e l'inquinante rimane confinato
entro il volume di fluido che lo conteneva alla partenza:
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Basta però sovrapporre un gran numero di processi distinti, con la stessa
condizione iniziale e le stesse condizioni al contorno, ed eseguire una media
di insieme per ottenere una quantità che risulta dispersa su di un volume più
grande di quello di partenza:
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Considerazioni analoghe possono essere fatte nei riguardi di una media
temporale applicata ad un processo stazionario, come può essere ad
esempio l'emissione da una condotta sottomarina con intensità costante nel
tempo in un campo di moto con valori medi stazionari:
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
In questo caso è come se si sovrapponessero più fotografie istantanee fatte
a tempi successivi;
Si ottengono quindi delle sovrapposizioni di zone inquinate del tutto simili a
quelle rilevate nell'esempio precedente.
Nella figura, la zona tratteggiata indica la porzione di campo inquinata in un
certo istante, mentre il tratteggio esterno racchiude la zona di campo che è
interessata nel corso del tempo dall'inquinante, ossia, inviluppa tutti i
pennacchi sovrapposti.
Tirando le somme su quanto detto nei due esempi precedenti, si può
affermare che questi processi di media, sebbene non siano coincidenti,
mettono in rilievo un aspetto comune, almeno in termini qualitativi, nei
riguardi delle quantità mediate:
il moto di agitazione turbolenta esercita un'azione dispersiva.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Se il fenomeno viene osservato per tempi, o distanze, grandi, quest'azione
dispersiva acquista le fattezze di una diffusione molecolare di notevole
intensità; per questo motivo si parla di diffusione turbolenta e dei relativi
coefficienti.
Questa analogia è valida solo se si considerano grandezze mediate e,
quindi, il comportamento medio di un gran numero di flussi o della
distribuzione spaziale mediata nel tempo di un flusso stazionario in media.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
È invece assolutamente errato dedurre dall'analogia tra diffusione molecolare
e diffusione turbolenta fatti che riguardano un particolare flusso turbolento
descritto dalle consuete variabili locali u(x,t) e c(x,t).
In particolare non è vero che i moti turbolenti spingano c verso l'uniformità,
estinguendone i gradienti; in realtà i moti turbolenti, con la loro dinamica di
frammentazione in cascata, producono differenze di concentrazione su scale
geometriche sempre più piccole; questo processo trova un limite solo per
effetto finale della diffusione molecolare.
Dunque i gradienti vengono esaltati dal moto turbolento poiché questo riduce
le scale. Ovviamente questo fatto non è visibile con la (26) essendo
un'equazione relativa a grandezze mediate e quindi, per sua natura, non è in
grado di descrivere tutto ciò.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Un aspetto ulteriore da evidenziare è l'interazione tra trasporto convettivo e
diffusione molecolare. Il flusso turbolento tende, col suo procedere
disordinato fatto di configurazioni sempre variabili, sia ad allontanare
particelle fluide inizialmente vicine, sia ad avvicinare particelle tra loro
inizialmente lontane, dando luogo, una volta sommati gli effetti, ad un
aumento, con il tempo, della distanza tra le particelle.
La rapidità con cui avviene questo fenomeno è proporzionale alla velocità
associata alle scale spaziali del moto turbolento comparabili con le
dimensioni della nube.
La convezione turbolenta, in sè, non modifica la concentrazione
dell'inquinante, come la (27) pone in rilievo: questo implica, come osservato
in precedenza, che se non ci fosse la diffusione molecolare il volume della
regione che lo contiene rimarrebbe costante.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Allora è solo per effetto della diffusione molecolare che l'inquinante si
ridistribuisce su volumi crescenti di fluido;
l'intensità di questo processo diffusivo è, come detto, amplificato dalla
turbolenza del campo di moto.
In effetti, il trasporto disordinato di particelle di fluido con concentrazione
diversa provoca, nei vari punti del campo, regioni con altissimo gradiente di
concentrazione;
le concentrazioni iniziali si mantengono quasi costanti lungo le traiettorie, ma
traiettorie inizialmente distanti possono avvicinarsi moltissimo causando il
detto incremento di gradiente.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
In termini quantitativi l'accelerazione del processo di ridistribuzione che ne
risulta è enorme. È bene avere un'idea degli ordini di grandezza coinvolti:
il flusso della sostanza inquinante rispetto alla i-esima direzione è esprimibile
come:
∂c
Fi = − K
∂x i
(28)
dove K è il coefficiente di diffusione.
Per effetto della sola turbolenza il flusso sarà quindi proporzionale a:
Fi ≈ K
c
λ
(29)
dove λ rappresenta la minima lunghezza d'onda delle componenti dello
spettro della concentrazione generate dal moto turbolento.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Per effetto della sola diffusione molecolare si ottiene invece:
Fi ≈ K
c
l
(30)
dove l rappresenta la scala spaziale della regione inquinata, che può anche
essere dell'ordine delle centinaia di metri. Dal momento che è λ
proporzionale alla microscala di Kolmogorov, dell'ordine di qualche decimo di
mm, il rapporto tra il contributo della turbolenza e il contributo della diffusione
molecolare, dell'ordine del rapporto l/λ, è molto elevato.
Il moto turbolento esercita allora, proprio per l'enorme variabilità delle scale,
due effetti combinati: da una parte sparpaglia, attraverso le sue grandi scale,
volumi costanti di inquinante su distanze sempre crescenti, dall'altro
amplifica la diffusione molecolare, dislocando gradienti sensibili di
concentrazione su distanze piccolissime.
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
Questi due aspetti sono strettamente legati nei processi reali e provocano
una rapida dispersione.
Se, però, il fenomeno è studiato facendo riferimento alle medie, questa
intensa interazione, che ha sede nelle piccole scale tra trasporto convettivo e
diffusione, si perde, e la diffusione molecolare risulta essere un aspetto di
minore importanza.
Infatti, mentre la non linearità del termine convettivo fa si che le piccole scale
intervengano anche nel problema mediato, nel termine diffusivo, lineare,
queste scompaiono. In quest'ultimo termine, allora, la diffusività molecolare,
legata alle piccole scale del moto, e cioè alle piccole scale della
concentrazione, non interviene.
Quindi nell'equazione della diffusione in termini medi:
( )
∂c ∂
∂ ⎛⎜ ∂ c ⎞⎟
+
=0
ui c +
K
∂t ∂xi
∂xi ⎜⎝ ∂xi ⎟⎠
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(31)
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
il rapporto tra il termine diffusivo e quello convettivo è dell'ordine di
grandezza della quantità K/(lmU), dove lm rappresenta la lunghezza tipica del
gradiente di concentrazione media ed U una velocità caratteristica delle
grandi scale del moto. Il rapporto in esame può essere riscritto anche nella
forma:
K
K⎛ ν ⎞ K 1
⎟=
= ⎜⎜
lmU ν ⎝ lmU ⎟⎠ ν Re
(32)
La quantità K/ ν è dell'ordine di 1 nei gas e <<1 per i liquidi; il rapporto tra il
termine diffusivo e il termine convettivo è quindi, al più, dell'ordine
dell'inverso del numero di Reynolds, molto elevato nei comuni flussi
analizzati (dell'ordine delle centinaia di migliaia). Una volta eliminato il
termine relativo alla diffusività molecolare la (31) si semplificherà nella:
( )
∂c ∂
+
ui c = 0 (33)
∂t ∂xi
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Descrizione euleriana della dispersione turbolenta
ossia, operando la decomposizione di Reynolds:
( )
∂c
∂c ∂
+ ui
+
ui′c′ = 0
∂t
∂xi ∂xi
(34)
In conclusione si può affermare che la diffusione molecolare esercita
un'influenza trascurabile sulla concentrazione media dell'inquinante;
in compenso, la sovrapposizione di più processi, o di istanti diversi di uno
stesso processo, crea l'apparenza di un rapido accrescimento per effetto
convettivo del volume inquinato;
tale fatto non trova alcun riscontro nei processi singoli, ossia nelle
configurazioni istantanee non sovrapposte di uno stesso processo.
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Teoria di Taylor della dispersione turbolenta
Il largo miscelamento in un flusso turbolento è dovuto al fatto che le particelle
fluide gradualmente deviano dalla posizione iniziale.
Taylor (1921) studiò questo problema e calcolò la velocità alla quale le
particelle si disperdono dalla sua posizione iniziale.
Egli considerò una sorgente puntiforme che emette fumo. Le particelle sono
emesse dentro un moto turbolento e stazionario nel quale la velocità media è
zero. Taylor usò le coordinate Lagrangiane X(a,t), riferendosi alla posizione
al tempo t di una particella che era nella posizione a al tempo t=0.
Si prenda la sorgente puntiforme come l’origine delle coordinate e inoltre si
consideri un insieme di esperimenti nel quale viene misurata la posizione
X(0,t) al tempo t di tutte le particelle che partono dall’origine (Figura). Per
semplicità si può eliminare il primo argomento tra parentesi in X(0,t) e
scrivere X(t) per significhare la stessa cosa.
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Teoria di Taylor della dispersione turbolenta
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Teoria di Taylor della dispersione turbolenta
Consideriamo il comportamento di una singola componente di X, detta
Xα(con α=1, 2, 3). La velocità media alla quale l’intensità di Xα aumenta con il
tempo può essere trovata calcolando d (X α2 )/ dt dove la barra denota la
media d’insieme e non la media temporale. Possiamo scrivere
( )
dX α
d
X α2 = 2 X α
dt
dt
(1)
dove abbiamo usato l’equazione commutativa di mediazione e
differenziazione.
Definendo
uα =
dX α
dt
come la componente della velocità lagrangiana di una particella fluida al
tempo t, allora avremo
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( )
t
⎡t
⎤
d
X α2 = 2 X α uα = 2 ⎢ ∫ uα (t ')dt '⎥uα = 2 ∫ uα (t ')uα (t )dt '
dt
0
⎣0
⎦
dove abbiamo usato l’equazione commutativa di mediazione e integrazione.
Abbiamo quindi scritto anche che
t
X α = ∫ uα (t ' )dt '
0
che è valida quando Xα e uα sono associati alla stessa particella. Essendo il
flusso stazionario, u2α è indipendente dal tempo e l’autocorrelazione di uα(t)
uα(t’) è solo una funzione della differenza del tempo t-t’.
Definendo l’autocorrelazione delle componenti delle velocità lagrangiane di
una particella:
rα (τ ) ≡
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uα (t )uα (t + τ )
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uα2
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Teoria di Taylor della dispersione turbolenta
La relazione (1) che definisce la variazione della dispersione nel tempo
diventa:
( )
t
t
d
X α2 = 2uα2 ∫ rα (t '−t )dt ' = 2uα2 ∫ rα (τ )dτ
dt
0
0
dove abbiamo cambiato la variabile di integrazione t’ con τ = t-t’. Integrando
avremo
t
t'
X α2 = 2uα2 ∫ dt ' ∫ rα (τ )dτ
0
0
che mostra come la varianza della posizione di una particella cambia con il
tempo. Un’altra forma della equazione precedente, è quella ottenuta
integrando per parti, ottenendo la seguente espressione:
⎛ τ⎞
X α (t ) = 2uα t ∫ ⎜1 − ⎟rα (τ )dτ
t⎠
0⎝
t
2
2
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(2)
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r(t)
Esaminiamo i casi estremi:
•Comportamento per bassi valori di t:
se t è piccolo si può assumere r (τ ) ≈ 1
e quindi sostituendo in (2) si ha che:
bassi t
1
X α2 (t ) ≈ uα2 t 2
Effettuando la radice di ambo i
membri si ha che:
alti t
T
X αrms = uαrms t
t
t<<T
che dimostra che lo scarto quadratico medio dello spostamento
incrementa linearmente con il tempo ed è proporzionale in media
all’intensità della fluttuazione turbolenta
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• Comportamento per alti valori di t:
Se il valore di t è molto alto, il termine t/t nell’espressione(2) può essere
trascurato, e quindi si ottiene:
X α2 (t ) ≈ 2uα2T t
dove la scala integrale temporale determinata tramite la correlazione
lagrangiana è pari a:
∞
T ≡ ∫ rα (τ )dτ
0
Effettuando la radice di ambo i membri si ha che:
X αrms = uαrms 2T t
t >> T
che dimostra che lo scarto quadratico medio dello spostamento per alti
valori di t incrementa con la radice del tempo.
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Teoria di Taylor della dispersione turbolenta
Il comportamento della t1/2 nell’espressione precedente, per un grande
tempo è simile al comportamento in un cammino casuale (random walk), nel
quale la distanza trascorsa in una serie casuale (che è non correlata)
aumenta con t1/2. Questa somiglianza è dovuta al fatto che per grandi tempi
t, le particelle del fluido hanno dimenticato il loro comportamento iniziale al
tempo t=0 (è scorrelato con il fenomeno). Diversamente per piccoli tempi il
comportamento.
Per lo studio del random walk, si immagini una persona camminare in
maniera casuale, sapendo che non c’è correlazione tra le direzioni di due
passi consecutivi. Sia il vettore Rn la distanza percorsa dall’origine dopo n
passi, e il vettore L l’ampiezza del passo. supponiamo che ogni passo ha la
stessa grandezza L. Allora si ha che:
Rn=Rn-1+L
e quindi R2n=Rn*Rn=(Rn-1+L)*(Rn-1+L)
L
Rn
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= R2n-1+L2+2 Rn-1*L
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Teoria di Taylor della dispersione turbolenta
Effettuando la media si ha che:
Rn2 = Rn2−1 + L2 + 2 Rn −1 ⋅ L
L’ultimo termine è nullo perché non c’è correlazione fra la direzione
dell’ennesimo passo e il luogo raggiunto dopo n-1 passi. Si ha quindi che:
Rn2 = Rn2−1 + L2 = Rn2− 2 + 2 L2 = R12 + (n − 1) L2 = nL2
Lo scarto quadratico medio della distanza trascorsa dopo n passi non
correlati, ciascuno di lunghezza L è quindi:
Rnrms = L n
che è chiamato cammino casuale.
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Teoria di Taylor della dispersione turbolenta
Un esempio applicativo dell’analisi di Taylor può essere effettuato studiando
la geometria del pennacchio in uscita da una ciminiera. Si possono infatti
individuare due comportamenti della nube: nella
fase iniziale, la deviazione standard della nube
cresce linearmente con il tempo:
Z' 2 = f ( t )
Nella seconda parte, quando le velocità sono
scorrelate, si ha una crescita con la radice del
tempo:
Z '2 = f ( t )
La distanza dalla sorgente del punto in cui si verifica il cambiamento di
Andamento, è proporzionale alla scala integrale lagrangiana.
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