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Scrivere un progetto: come imparai a
farmi capire e ad amare la scrittura
A cura di Antonio Finazzi
Agrò
Il ciclo di progetto
Pragmatica testuale e progettazione sociale
La progettazione sociale, pur non
riducendosi alla produzione di un testo
scritto, ha pur tuttavia nella stesura del
documento finale (il mitico «Progetto») un
suo qualificante momento esecutivo.
È soprattutto l’elaborato progettuale il
luogo in cui si incontrano la nostra
intenzione e quella del nostro finanziatore
o sponsor. Con la speranza, spesso
frustrata, che si «alleino» tra loro dando
luogo alla gestione del progetto…
Quale fattore, riferibile esclusivamente all’
autore del documento, può impedire che
questo avvenga? Che competenze
rischiano di farci difetto nel momento
strategico della stesura del nostro
elaborato
finale?
2
Parli come badi! Che lingua parliamo in Italia?
Le nostre tecniche di scrittura risentono di tutte le
caratteristiche dell’italiano, inteso come lingua scritta.
Inclusi alcuni limiti e vizi.
L’Italiano, nato dal volgare umbro toscano, si è evoluto
come lingua letteraria di una élite. Certi usi linguistici,
dall’800 in poi, hanno finito per favorire la formazione
di una lingua di classe, una lingua iniziatica il cui uso era
prerogativa di pochi, impastata di oscurità e giochi
letterari, o prestiti dal latino e dal francese.
Ultimamente, dall’inglese.
Il progresso intellettuale è stato per decenni presentato
come familiarizzazione con questo linguaggio
iniziatico, diverso dalle lingue veicolari,
prevalentemente dialettali, con cui si esprimevano le
masse.
Questo sistema educativo e formativo può indurre a
credere che, quanto più oscuramente ci esprimiamo,
tanto più la nostra esposizione sembrerà seria,
professionale e attendibile.
Fino a non più di quindici anni fa i
programmi ministeriali ancora
declinavano questo tipo di obiettivi:
«Il fanciullo (sic!) apprenderà
dapprima a comporre elaborati
semplici e chiari, e quindi man mano
che progredirà nell’istruzione
vieppiù complessi»! (T. De Mauro,
Capire le Parole)
Italo Calvino e l’Antilingua
Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’
balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: «Stamattina
presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho
preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata». Impassibile, il
brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore
antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente
incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al
contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo
durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante».
Ogni giorno, soprattutto da cent’anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri
concittadini traducono mentalmente con la velocità di macchine elettroniche la lingua italiana in un’antilingua
inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di
telegiornali scrivono parlano pensano nell’antilingua. Caratteristica principale dell’antilingua è quella che definirei il
«terrore semantico», cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato, come se «fiasco»
«stufa» «carbone» fossero parole oscene, come se «andare» «trovare» «sapere» indicassero azioni turpi. Nell’
antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi
non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente. […]
Chi parla l’antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover
sottintendere: «io parlo di queste cose per caso, ma la mia «funzione» è ben più in alto delle cose che dico e che faccio,
la mia «funzione» è più in alto di tutto, anche di me stesso ». La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’
un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi. La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che
diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l’antilingua – l’italiano
di chi non sa dire ho «fatto», ma deve dire «ho effettuato» – la lingua viene uccisa.
(Da: Italo Calvino, L’Antilingua, apparso su Il Giorno, 3-2-65)
La scuola di Barbiana e le regole dello scrivere
A giugno del terzo anno di Barbiana mi presentai alla licenza media come
privatista.
Il tema fu: «Parlano le carrozze ferroviarie».
A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: aver qualcosa di
importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive.
Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo.
Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo
parlando. Non porsi limiti di tempo.
Testo e significato
•
Il «significato», cioè l’atto di disambiguazione
finale col quale chi riceve un messaggio vi
attribuisce un senso, al termine di un
complesso processo di ipotesi, negoziazioni e
processi semi inconsapevoli, è il risultato non
solo di ciò che è «in presenza» nel testo come
catena di segni e frasi, ma anche di altri
importanti fattori di contorno: contesto dell’
enunciazione, co-testo cioè ciò che viene prima
e dopo una determinata porzione di
comunicazione all’interno dello stesso processo
comunicativo ecc.
•
Tralasciamo per ora questi fatti linguistici e
concentriamoci esclusivamente su quegli
aspetti teorici strettamente semiotici, che
attengono al testo in quanto oggetto fisico,
medium tra un autore e un lettore.
Che cos’è un testo
Cos’è un testo? Secondo Umberto Eco (Lector in
Fabula) un testo, quale appare nella sua superficie,
rappresenta una catena di artifici espressivi che
debbono essere attualizzati dal lettore.
La «cooperazione interpretativa» non è un’
appendice al significato di un testo, ma un processo
indispensabile alla sua formazione. Senza
cooperazione del lettore un testo è muto. Quando
scriviamo possiamo di volta in volta facilitare,
ostacolare, orientare e in alcuni casi perfino
deliberatamente disorientare questo processo.
Un testo si distingue da un messaggio orale per la
sua maggiore complessità. È intessuto di non detto,
di meccanismi di implicitazione dell’informazione
che sta al lettore attivare. Le nostre implicitazioni
sono figlie delle nostre enciclopedie, cioè di quelle
reti di conoscenze che si condensano nel significato
di ogni parola.
«Un testo» - scrive Eco – «è un
meccanismo pigro (o
economico) che vive sul
plusvalore di senso introdottovi
dal destinatario. […] Un testo
vuole che qualcuno lo aiuti a
funzionare»
Il Lettore
Scrivere significa scommettere sulle
competenze del lettore, ma… «La
competenza del Destinatario non è
necessariamente quella dell’Emittente»!
«Un testo» – scrive sempre Eco – «è un
prodotto la cui sorte interpretativa deve
far parte del proprio meccanismo
generativo»
Scrivere è disegnare una strategia
capace di prevedere le mosse
interpretative del proprio lettore,
mosse determinate dalle sue
competenze (enciclopediche). La
corretta ipotesi sul lettore modello è
dunque la principale condizione di
felicità di un testo.
L’Autore «prevedrà un Lettore
Modello capace di cooperare all’
interpretazione, muovendosi
interpretativamente così come lui
si è mosso generativamente»
Scrivere in modo strategico
Un testo è sempre un meccanismo pigro
e parassitario, cioè un processo
comunicativo che per essere
attualizzato dipende dalle conoscenze
del lettore.
Una delle decisioni cruciali è perciò sul
giusto equilibrio di detto e non detto:
quanta informazione implicitare
facendo appello alle competenze del
lettore – quello che Eco chiama l’
Enciclopedia – e quanta informazione
invece rendere esplicita, accettando di
rendere più prolisso, ridondante e forse
noioso il nostro elaborato.
Di seguito proviamo a declinare alcune
regole, una sorta di galateo della
comunicazione testuale ad uso del
progettista sociale, che possano aiutarci
a valutare e migliorare le nostre
strategie.
Fanno eccezione i testi estetici (poesie, letteratura),
cioè quei testi deliberatamente e
programmaticamente aperti, capaci di produrre quell’
indefinita rosa di significati che produce quel
particolare tipo di piacere che è il piacere estetico.
Regola n. 1: Conosci il tuo lettore
Non esiste un testo – e quindi un progetto –
buono per tutti gli usi e i lettori. Ricordiamoci
che la scrittura è un atto comunicativo, da
persona a persona, perché qualcuno faccia
qualcosa di ciò che abbiamo espresso. John
Austin avrebbe detto che un progetto è un atto
comunicativo «illocutorio/perlocutorio»:
esprime una nostra intenzione dotata di una sua
forza, che mira a influenzare le decisioni del
Dove possiamo acquisire informazioni sul
nostro lettore.
Dovremo cercare di farci un’idea il più precisa
possibile del nostro lettore: sapere come
ragiona, quali sono i suoi assunti, soprattutto
cosa sa del mondo di vita di cui scrivo. Dovremo
cercare anche di farci un’idea del suo orizzonte
di aspettative. Terremo conto del suo punto di
vista ideologico, perché la sua interpretazione
implicherà anche complessi processi –
consapevoli o inconsapevoli – di decodifica
ideologica.
nostro lettore? Ad esempio… incontrandolo
o leggendo di lui tutto ciò che è reperibile in
rete; nel caso dell’Amministrazione pubblica
facendo attenzione alle griglie di
valutazione dei progetti, che nei bandi sono
obbligatoriamente esplicitate. Dovremmo
concepire i nostri elaborati come strategie
testuali a partire da lì…
Regola n. 2: Elabora e struttura il tuo testo come una
strategia argomentativa
Ricordiamo sempre che, per genere, i
progetti appartengono alla famiglia dei
testi argomentativi.
Spesso è inevitabile che il nostro testo non
possa poggiare sulle competenze del
lettore, ma debba produrre in lui un
processo di apprendimento di nuove
informazioni.
È allora fondamentale facilitargli il lavoro,
strutturando il più possibile il nostro testo
attraverso i comuni repertori di
segmentazione dell’informazione – capitoli,
paragrafi, sottoparagrafi – e altri repertori
soprasegmentali – grassetti, corsivi,
sottolineati che lo aiutino a identificare
una precisa strategia argomentativa.
Utilizziamo (con parsimonia e proprietà)
tutti i repertori paralinguistici disponibili
per magnificare le informazioni che
vogliamo trasmettere: grafici, schemi
ecc.
Regola n. 3: Economia nell’esposizione
Il tempo è una risorsa scarsa, anche per il
nostro lettore. Cercheremo di prenderlo
per mano, accompagnandolo sui punti più
qualificanti della nostra proposta.
Se il progetto risponde a un bando nel
quale sono definiti i criteri e i pesi di
assegnazione del punteggio, eviteremo
che il valutatore debba leggere due o tre
volte il progetto per formarsi un giudizio…
facciamo in modo che l’assegnazione sia
un processo il più possibile automatico!
Eliminiamo tutto ciò che è inutilmente
ripetitivo o inessenziale, e concentriamoci
sulle informazioni che sappiamo essere
fondamentali. Non di più… e non di
meno! Assicuriamoci che il documento
soddisfi i requisiti informativi necessari.
Regola n. 4: scrivi quando ti sei chiarito le idee, non
per chiarirti le idee
La scrittura è una potente tecnica di
oggettivazione del pensiero. Scrivere spesso ci
aiuta a chiarirci idee, concetti, presupposizioni.
Benedetto Croce, nella sua Estetica, addirittura
identificava intuizione ed espressione.
Dobbiamo però ricordarci che il nostro testo di
progetto è un elaborato finale, che viene dopo
l’ideazione. Accingiamoci alla stesura quando
le unità concettuali del nostro discorso
saranno ben assestate e divenuteci chiare. Il
nostro elaborato ne guadagnerà in concisione e
trasparenza.
È importante e utile distinguere
ideazione e scrittura del progetto
come due momenti distinti nello
sviluppo del lavoro. Quanto più l’
ideazione viene curata (ricorrendo
a tecniche quali il Quadro logico)
tanto più l’esposizione sarà concisa
ed efficace.
L’ultima regola…
«Ammonisco ed esorto infine i
fratelli che, nella predicazione, le
loro parole siano controllate e
caste e tornino ad utilità e ad
edificazione del popolo (…), e
questo sia fatto concisamente,
giacché "concisa fu la parola del
Signore su questa terra».
Francesco d'Assisi, Regola Bullata,
IX Norma
Bibliografia essenziale sull’argomento
•
Italo Calvino, L’Antilingua, pubblicato su: Il Giorno, 3
febbraio 1965
•
Scuola di Barbiana, Lettera a una Professoressa,
Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1968
•
Tullio De Mauro, Capire le Parole, Roma-Bari, Laterza,
1994
•
Umberto Eco, Lector in Fabula, Milano, Bompiani,
1979
•
John Austin, Come Fare Cose con le Parole, Genova,
Marietti, 1987
•
Paul Grice, Logica e conversazione. Saggi su
intenzione, significato e comunicazione, Bologna, Il
Mulino, 1993
•
Maria Emanuela Piemontese, Capire e Farsi Capire.
Teorie e tecniche della scrittura controllata, Napoli,
Tecnodid, 1996