universita` degli studi di siena
Transcript
universita` degli studi di siena
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Fisioterapia TESI DI LAUREA “Allungamento muscolare globale decompensato: trattamento del Low Back Pain cronico aspecifico” RELATORE STUDENTE Dott.ssa Lorenza Daolio Laura Ceccolini ANNO ACCADEMICO 2009/2010 INDICE INTRODUZIONE ………………………………………………………. pag.5 CAPITOLO 1 LA COLONNA LOMBARE …………………………………………… pag.7 1.1 Anatomia e biomeccanica………………………………………. pag.7 1.2 Strutture muscolari responsabili……………………………… pag.10 1.2.1 Muscoli addominali ed estensori della colonna………. pag.10 1.2.2 L’ileopsoas…………………………………………………... pag.14 1.2.3 Il diaframma…………………………………………………. pag.16 1.2.4 Il sistema mio fasciale…………………………………...... pag.19 CAPITOLO 2 IL LBP CRONICO ASPECIFICO……………………………………. pag.26 2.1 Cause scatenanti……………………………………………....... pag.26 2.2 Strategie terapeutiche………………………………………...... pag.28 2.2.1 Metodiche di trattamento………………………………….. pag.29 CAPITOLO 3 IL METODO MEZIERES E LE CATENE MUSCOLARI………….. pag.31 CAPITOLO 4 METODO RAGGI E PANCAFIT……………………………………. pag.36 4.1 Come avvengono le modificazioni muscolari…………....... pag.38 2 4.2 Importanza della respirazione diaframmatica…………….…. pag.41 CAPITOLO 5 MATERIALI E METODI………………………………………………… pag.44 5.1 Campionamento…………………………………………………… pag.45 5.2 Strumenti di valutazione utilizzati……………………………… pag.46 5.2.1 Scala VAS……………………………………………………... pag.47 5.2.2 Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire……. pag.49 5.2.3 Test di Schöber modificato……………………………….... pag.52 5.3 Attrezzatura utilizzata…………………………………………… pag.53 5.4 Casistica……………………………………………….…………… pag.55 5.5 Piano di trattamento……………………………………………… pag.57 5.6 Trattamento riabilitativo…………………………………………. pag.59 CAPITOLO 6 RISULTATI………………………………………………………………. pag.68 7.1 Risultati scala VAS……………………………………………….. pag.69 7.2 Risultati Oswestry low back pain disability questionnaire.. pag.73 7.3 Risultati test di Schöber modificato………………………….. pag.77 CAPITOLO 7 DISCUSSIONE DEI RISULTATI……………………………………... pag.80 3 CAPITOLO 8 CONCLUSIONI……………………………………………………….. pag.82 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………….. pag.86 SITOGRAFIA………………………………………………………….. pag.91 4 INTRODUZIONE Le algie vertebrali sono molto diffuse nella società odierna tanto da essere definite “il male del secolo” o vere e proprie epidemie[1]. Gli studi affermano che durante la vita lavorativa l’80% degli individui, soprattutto dei Paesi industrializzati, soffre di lombalgia con diversa gravità[2,3]. Di questi solo il 20% circa presenta un trauma anatomopatologico oggettivamente diagnosticabile con esami radiografici da poter giustificare la sintomatologia[4]. Perciò, nella stragrande maggioranza delle persone che soffrono di dolore lombare cronico non si rileva nessun danno apparente[5]. Queste lombalgie, dette funzionali o ideopatiche, sono legate ad un possibile danno di tutte le strutture vertebrali come l’osso e il periostio, le articolazioni e le capsule articolari, i muscoli, i tendini e i legamenti. Spesso le lombalgie sono combinazione di vari processi fisiopatologici locali e generali in cui il dolore non sempre è espressione di danno anatomo-patologico. Ci sono molte persone che hanno un danno organico senza dolore, altre hanno dolore senza un trauma, oppure l’intensità del dolore è sproporzionata alla gravità della lesione. Le cause che scatenano il dolore lombare sono multifattoriali dove l’interazione di fattori biomeccanici, posturali, viscerali, neurologici, psicologici ecc., non permette di ragionare in termini di causa-effetto o di una reazione attribuita ad una causa specifica[6]. Le correnti linee guida per il trattamento del mal di schiena cronico aspecifico propongono un approccio interdisciplinare e di una terapia multifattoriale[7] al fine di ottimizzare la funzionalità spinale. 5 Durante il mio tirocinio ho avuto modo di riscontrare che un metodo di trattamento per il dolore lombare cronico era l’allungamento posturale decompensato con l’utilizzo di Pancafit. Incuriosita ho cercato sia in riviste scientifiche del settore riabilitativo, che nelle banche dati più accreditate (Medline, Pedro, DARE, Chocrane) di trovare informazioni e riscontri di tale approccio, ma la ricerca non ha recuperato alcun articolo scientifico che ne documentasse la tecnica e l’efficacia terapeutica. A tal proposito, con la mia tesi mi sono prefissata lo scopo di sperimentare, attraverso uno studio non randomizzato secondo la modalità “pre e post test”[27] effettuato su un gruppo di 20 persone, l’efficacia di questa metodica di esercizi, chiamata “allungamento muscolare decompensato su Pancafit - Metodo Raggi” in casi di soggetti affetti da lombalgia cronica disfunzionale aspecifica. 6 CAPITOLO 1 LA COLONNA LOMBARE 1.1 ANATOMIA E BIOMECCANICA La colonna lombare è composta da 5 vertebre localizzate tra bacino e gabbia toracica. Le vertebre lombari sono tutte composte di un corpo vertebrale, un processo spinoso, due processi trasversi e quattro apofisi articolari. Tra i corpi vertebrali, uno sovrapposto all'altro, si trovano i dischi intervertebrali. Questi ammortizzatori sono composti da due parti funzionalmente opposte: il nucleo polposo che con ogni compressione sviluppa una forza centrifuga, e dall'anello fibroso che lo circonda e che lo contiene. Nell'immediata vicinanza dei dischi intervertebrali fuoriescono le radici del plesso lombare attraverso i fori intervertebrali. La colonna lombare, vista dal lato, forma una curvatura lordotica con convessità in avanti che è fisiologica e naturale[8]. Fig.1 anatomia colonna 7 Tutte le vertebre hanno la caratteristica di essere mobili, in diversi gradi in base alla loro collocazione e quindi struttura, nelle varie direzioni dello spazio. L'ampiezza dei movimenti elementari, scarsa a livello dei singoli segmenti, diviene rilevante considerando il rachide nel suo insieme che risulta così in continuo aggiustamento con movimenti di estensione, flessione, rotazione, inclinazione e scivolamento. Esistono però lungo la colonna vertebrale delle zone di rotazione sul piano trasverso privilegiate, definite "cerniere di rotazione". Tali cerniere coincidono con i punti di inversione delle curve fisiologiche della colonna vertebrale (lordosi lombare, cifosi dorsale, lordosi cervicale) e con i segmenti a livello dei quali i movimenti di rotazione dei tratti rachidei sottostanti e sovrastanti si contrappongono. Le caratteristiche strutturali delle vertebre variano in base alla curva rachidea di appartenenza e presentano, a livello delle cerniere fisiologiche di passaggio fra esse, una vertebra "di transizione" che somma le caratteristiche delle vertebre del gruppo superiore e inferiore[14]. Le cerniere di rotazione a livello della colonna sono: Cerniere cervicali C7-D1, C1-C2 (atlante-epistrofeo) , e occipiteatlante. Cerniera dorso-lombare D12-L1 La complessa attività della cerniera D12 –L1 consente la variazione della posizione del tronco nello spazio. La dodicesima vertebra dorsale (D12) rappresenta il fulcro immobile della cerniera dorso-lombare, paragonata a una vera rotula dell'asse rachideo (presenta un voluminoso corpo vertebrale, con articolazioni superiori di tipo toracico e quelle inferiori di tipo lombare, i principali muscoli spinali passano a ponte dietro il suo arco vertebrale), poiché a questo livello vi è un cambio di capacità 8 di rotazione e della curva fisiologica della colonna vertebrale (cifosi dorsale, lordosi lombare). Durante la deambulazione, le vertebre al di sopra di D12 e fino alla D7 permettono la rotazione del tronco sufficiente a seguire l'arto inferiore che avanza. Le vertebre dorsali superiori alla D7 invece ruotano in senso contrario seguendo il bilanciamento dato dall'avanzamento dell'arto superiore controlaterale all'arto inferiore; da cui l'importanza anche del cingolo scapolo omerale nelle attività motorie. Al di sotto di D12 è effettuata una rotazione relativa, poiché la cerniera lombo sacrale, come visto, ruota al massimo di 5° e consente di rimanere stabili nel proprio assetto verticale durante la rotazione. Ogni segmento vertebrale dorsale ha stretti rapporti con le coste corrispondenti le quali, formando la gabbia toracica, oppongono resistenza limitando i movimenti. Per tale motivo il grado di rotazione del tratto dorsale (35°, flessione 40°, estensione 30°, inclinazione 20°) è massimo in corrispondenza D10-D11 in quanto le ultime due coste sono fluttuanti ossia non si articolano con lo sterno. Cerniera lombo-sacrale L5-S1 Le rotazioni minime caratteristiche della colonna lombare (5°), che presenta invece movimenti di flesso-estensione (50°-35°) e inclinazione (flessione laterale 20°) analoghi agli altri livelli rachidei, sono principalmente a carico della cerniera lombo-sacrale, e sono di importanza fondamentale per bilanciamento corporeo durante la deambulazione. 9 1.2 LE STRUTTURE MUSCOLARI COINVOLTE I muscoli deputati a trasformare la trave flessibile vertebrale in colonna di sostegno sono detti "muscoli stabilizzatori vertebrali". A livello del tratto lombare, essi possono essere classificati in: Muscoli stabilizzatori principali: anteriori: ileopsoas laterali: quadrato dei lombi posteriori: interspinosi, intertrasversari, trasverso-spinali. Muscoli stabilizzatori accessori: muscoli del torchio addominale: diaframma, addominali trasversi ed obliqui, muscoli perineali muscoli equilibratori del bacino: grande gluteo e muscoli retti dell’addome apparato ausiliario estensore: muscoli ischiatici e sacro spinali 1.2.1 I MUSCOLI ADDOMINALI E GLI ESTENSORI DELLA COLONNA Per mantenerci eretti, contrastando la forza di gravità, abbiamo bisogno di muscoli robusti. La colonna vertebrale è dotata di piccole fasce muscolari che si estendono da una vertebra a quella contigua o alla successiva. Sono muscoli situati vicino alle vertebre e sono capaci di agire in modo molto preciso, tenendo le vertebre in posizione le une sulle altre. Sono 10 quindi i muscoli che con la loro azione ci permettono di mantenere l'impilamento vertebrale. A questi muscoli di piccole dimensioni si sovrappongono i lunghi muscoli dorsali che si estendono ai lati della colonna vertebrale e si possono paragonare alla velatura di una nave, nella quale l'albero è rappresentato dalla colonna vertebrale. Soprattutto nel tratto cervicale e in quello lombare, i muscoli dorsali hanno una struttura particolarmente robusta. Questi muscoli sono azionati soprattutto per i movimenti di forza o di grande ampiezza. Poi vengono i muscoli addominali retti e obliqui, che funzionano come un efficace corsetto che contiene la massa addominale. Più la muscolatura dorsale e addominale è forte, maggiore è il vantaggio acquisito dalla colonna vertebrale dal punto di vista della forma e della stabilità. Se la parete posteriore dell'addome è troppo rilassata, accade che gli organi interni prolassano in avanti. In questo modo la colonna lombare si inarca ancora di più, fino a raggiungere una lordosi patologica. Il muscolo sacrospinale (o erettore della colonna vertebrale) è un lungo muscolo che occupa le docce vertebrali per tutta la lunghezza della colonna vertebrale, dalla regione nucale a quella sacrale. Fa parte dei muscoli delle docce vertebrali del piano superficiale. Nel muscolo sacrospinale si possono considerare tre parti: - Laterale, il muscolo ileocostale. - Intermedia, il muscolo lunghissimo. - Mediale, il muscolo spinale. Il muscolo ileocostale è innervato dai rami posteriori dei nervi toracici e del 1° lombare; contraendosi, estende la colonna vertebrale e la inclina dal proprio lato; può anche elevare ed abbassare le coste. 11 Il muscolo lunghissimo è innervato dai rami posteriori dei nervi spinali, dal 1° cervicale al 5° lombare; con la sua azione estende ed inclina dal proprio lato la testa e la colonna vertebrale. Il muscolo spinale è innervato dai rami posteriori dei nervi spinali dal 3° cervicale al 12° toracico; contraendosi, estende la colonna vertebrale. Forma la parte mediale del muscolo sacrospinale e si trova tra il muscolo lunghissimo e i processi spinosi. Le sue origini e le sue inserzioni si effettuano tutte sui processi spinosi [9]. Fig.2 veduta posteriore 12 Fig 3. Veduta anteriore 13 1.2.2 L’ILEOPSOAS Il muscolo grande psoas si divide in una parte superficiale e una parte profonda. La parte superficiale origina dalle superfici laterali dei corpi della XII vertebra toracica e della I – IV vertebra lombare e dai dischi intervetebrali interposti. La parte profonda origina dai processi costi formi della I-V vertebra lombare. Il muscolo grande psoas si unisce al muscolo iliaco a formare il muscolo ileopsoas, il quale, circondato dalla fascia iliaca, attraversa la lacuna musculorum per inserirsi al piccolo trocantere. Tra i due strati del muscolo grande psoas si trova il plesso lombare. Il muscolo grande psoas è un muscolo multiarticolare che permette la flessione della coscia sul bacino; il muscolo iliaco, con cui si unisce per formare il muscolo ileopsoas, è un muscolo flessore e completa l’effetto dello psoas. Ambedue poi collaborano, in posizione sdraiata, al sollevamento della metà superiore o inferiore del corpo. Inoltre lo psoas può collaborare in modo modesto ad inclinare di lato la colonna vertebrale. Come variazioni si può trovare un muscolo piccolo psoas in meno del 50% dei soggetti. Ha origine dalla XII vertebra toracica e dalla I lombare e si irradia sulla fascia iliaca inserendosi nell’eminenza ileo pubica. Ha effetto nella tensione della fascia. La fascia del muscolo ileopsoas nella porzione che ricopre il grande psoas si estende dall’arco lombo costale mediale fino alla coscia. Cosi processi suppurativi della colonna vertebrale possono invadere la coscia decorrendo all’interno della fascia. 14 Fig. 4 origine e inserzione ileo psoas Come vediamo dalle immagini (Fig.4) le zone di origine del muscolo psoas (porzione vertebrale dell’ileopsoas) sono sia anteriori sui corpi vertebrali che laterali sulle apofisi trasverse delle vertebre. Questa grande area di contatto fa si che esso sia fortemente condizionante la mobilità vertebrale nel momento in cui si trovi in accorciamento/tensione. Il muscolo ileopsoas partecipa quindi al mantenimento dell'equilibrio fisiologico del bacino, aumentando, con la sua contrazione, la lordosi lombare. Favorisce dunque l'antiversione del bacino, e un suo ipertono può causare fastidiose lombalgie [10,11]. 15 1.2.3 IL DIAFRAMMA Il diaframma è il principale muscolo inspiratorio. Anatomicamente è una lamina muscolo tendinea che divide la cavità toracica da quella addominale. Si inarca superiormente nella cavità toracica formando una cupola destra e una sinistra. La cupola destra, essendo in rapporto inferiore con il fegato è spostata superiormente rispetto alla sinistra sotto cui si trovano fegato e milza. È costituito da una parte tendinea centrale, il centro frenico o tendineo. Il diaframma può essere suddiviso, in base ai punti di inserzione dei muscoli che si dipartono dal centro frenico in tre porzioni: - Sternale - Costale - Lombare 16 - La parte sternale ha origine dalla superficie interna del processo xifoideo: è costituita dalle fibre muscolari più chiare rispetto alle altre zone e si continua nel centro tendineo. - La parte costale origina dalla faccia interna delle coste 7°-12° con alcune digitazioni, che si ingranano con le digitazioni del muscolo trasverso dell’addome. - La parte lombare possiede da ambedue i lati, un pilastro mediale e un pilastro laterale e, talvolta, un pilastro intermedio, separato dal pilastro mediale. Il pilastro mediale destro ha origine dai corpi della I-IV vertebra lombare, il pilastro mediale sinistro dai corpi della I-III vertebra lombare. Il pilastro laterale origina da due arcate fibrose, l’arcata lombo costale mediale, formata dall’arcata del muscolo psoas e l’arcata lombo costale laterale formata dall’arcata del muscolo quadrato dei lombi. L’arcata dello psoas si estende dal lato del corpo della I vertebra lombare fino al processo costiforme della I vertebra lombare. L’arcata del muscolo quadrato dei lombi si estende da questo processo fino all’apice della XII costa. Sotto la rispettiva arcata tendinea decorrono il muscolo grande psoas e il muscolo quadrato dei lombi [12]. 17 Fig. 5 anatomia diaframma 18 1.2.4 IL SISTEMA MIOFASCIALE Il tessuto connettivo, definito anche fascia connettivale, è in realtà un vero e proprio sistema, questa volta fibroso, che connette tutte le varie parti del nostro organismo. Esso forma una rete ubiquitaria, che avvolge, sostiene e collega tutte le unità funzionali del corpo, partecipando in maniera importante al metabolismo generale. L'importanza fisiologica di questo tessuto è in realtà maggiore di quanto si supponga normalmente. Esso prende parte alla regolazione dell'equilibrio acido-base, del metabolismo idrosalino, dell'equilibrio elettrico e osmotico, della circolazione sanguinea e della conduzione nervosa (riveste e forma la struttura portante dei nervi). È sede di numerosissimi recettori sensoriali, inclusi gli esterocettori e i propriocettori nervosi e struttura i muscoli, anatomicamente e funzionalmente, in catene miofasciali, assumendo pertanto un ruolo fondamentale all'interno del sistema dell'equilibrio e della postura; è nella rete connettivale che registriamo postura e pattern di movimento tramite la comunicazione meccanica connettivale, la quale incide in ciò più dei meccanismi riflessi dei fusi neuromuscolari e degli organi tendinei del Golgi (organi di senso propriocettivi attraverso cui il sistema nervoso si informa su ciò che accade nella rete miofasciale). Il sistema connettivale funge da barriera all'invasione di batteri e particelle inerti, presenta cellule del sistema immunitario (leucociti, mastociti, macrofagi, plasmacellule) ed è frequentemente il luogo di svolgimento dei processi infiammatori. Esso inoltre possiede grandi capacità riparative delle zone danneggiate da infiammazioni e/o traumi riempiendone, se necessario, gli spazi. Nel tessuto adiposo, che costituisce un tipo di tessuto connettivo, si accumulano i lipidi, importanti riserve nutritizie mentre nel tessuto connettivo lasso si conserva acqua ed elettroliti (grazie al suo alto contenuto di mucopolissacaridi acidi) e circa 1/3 delle proteine plasmatiche totali sono nel compartimento intercellulare del tessuto connettivo. 19 Ma non solo, oggi sappiamo che, tramite delle specifiche proteine di membrana (integrine), il sistema connettivo è in grado di interagire con i meccanismi cellulari. Ci troviamo di fronte a una vera e propria rete sopramolecolare continua e dinamica che si estende in ogni angolo e spazio corporeo composta da una matrice nucleare interna a una matrice cellulare immersa in una matrice extracellulare. A differenza delle reti formate dal sistema nervoso, da quello endocrino e da quello immunitario, il sistema connettivo presenta un metodo forse apparentemente più arcaico ma non certo meno importante di comunicazione: quella meccanica. Esso "semplicemente" tira e spinge comunicando così da fibra a fibra, da cellula a cellula e da ambiente interno ed esterno alla cellula e viceversa, tramite la trama fibrosa, la sostanza fondamentale e sofisticati sistemi di trasduzione del segnale meccanico. In questa struttura le parti in compressione (le ossa) spingono in fuori contro le parti in trazione (miofascia) che spingono verso l'interno. Questo tipo di strutture presentano una stabilità più elastica rispetto a quelle a compressione continua e diventano tanto più stabili quanto più vengono caricate. Tutti gli elementi interconnessi di una struttura a come questa si ridispongono in risposta a una tensione locale. "Blocchi" locali, come le aderenze fasciali, possono derivare da sforzi eccessivi o mancanza di esercizio, traumi ecc. L'eliminazione di tali impedimenti e quindi il ripristino della corretto flusso consente alle cellule interessate di passare da un metabolismo di sopravvivenza a quello fisiologico specifico. Nel sistema miofasciale (muscolo-fasciale) del nostro corpo, ciascun muscolo è tenuto in sede tramite lamine connettivali (aponeurosi o aponevrosi) ed è racchiuso nelle fasce come la polpa di un'arancia lo è nelle pareti cellulari che la suddividono (perimisio ed endomisio). Tramite la fascia connettivale i muscoli si strutturano e funzionano come catene muscolari o meglio miofasciali che si connettono e interscambiano in tutto il corpo; 20 Thomas Myers, nel libro "Meridiani Miofasciali", le definisce "Anatomy Trains”[13]. Fig 6. catena superficiale posteriore La catena miofasciale posteriore è la più estesa, influisce su postura e movimento sul piano sagittale ed è formata da tutti i muscoli profondi e superficiali che vanno dalla linea occipitale alla punta delle dita dei piedi: trapezio, gran dorsale, romboidei, elevatore della scapola, dentato, erettore della colonna, trasverso spinoso, interspinosi e intertrasversi, semimembranoso, semitendinoso, gracile, bicipite femorale, adduttori, plantare, popliteo, gemelli (grastrocnemio), soleo, tibiale posteriore, flessori lunghi delle dita e plantari del piede. 21 Fig 7. catena miofasciale superficiale frontale La catena miofasciale superficiale frontale bilancia la catena superficiale posteriore riguardo postura e movimento sul piano sagittale e protegge gli organi addominali. Fig 8. catena miofasciale profonda frontale La catena miofasciale profonda frontale assume un ruolo prioritario nel supporto di postura e movimento. 22 Fig 9. catena laterale La catena laterale influenza postura e movimento sul piano frontale (es. sbilanciamenti laterali in flessione). Fig 10. catena miofasciale a spirale La catena miofasciale a spirale (dx e sx) contribuisce a influenza postura e movimento su tutti i piani. 23 Fig 11. catene miofasciali degli arti superiori Le catene miofasciali degli arti superiori dato il loro peso (sono appesi al cingolo scapolo omerale) e le loro molteplici attività influenzano postura e movimento Fig 12. catene miofasciali funzionali Le catene miofasciali funzionali sono perlopiù superficiali e stabilizzano posture non di riposo e movimenti complessi (es. gesti sportivi). 24 In un corpo sano, le fasce profonde consentono alle strutture adiacenti di scivolare una sull'altra. Tuttavia, in seguito a malattie infiammatorie, come ad esempio nei casi di contratture muscolari croniche, o a lesioni traumatiche, si ha la formazione di cicatrici aderenziali nei diversi strati, che aumentano l'attrito interno durante la contrazione muscolare e contrastano i movimenti e l'allungamento del muscolo (formazione di muscolo retratto). Se non ci si oppone abbastanza contro le retrazioni cicatriziali (tramite stretching, mobilizzazioni articolari, massaggi ecc.), esse si trasformano in fibrosità capaci di rendere difficilmente reversibili posture anomale e movimenti limitati. Le retrazioni connettivali inoltre riducono anche la circolazione del sangue e dei liquidi interstiziali e la conduzione nervosa, interessando quindi anche il tono muscolare (grado residuo di leggera contrazione del muscolo a riposo) e la salute globale dell'individuo concorrendo così all'affaticamento e alle tensioni generali. È quindi nel cristallo del sistema connettivo che viene determinato e registrato il nostro stato globale. Pertanto, metodologie (manuali, del movimento, ergonomiche ecc.), basate sul concetto di riarmonizzazione del sistema connettivale in accordo con gli altri sistemi, possono avere importanti effetti oltre che immediati anche a lunga durata sulla salute generale dell'organismo [13]. 25 CAPITOLO 2 DEFINIZIONE LBP CRONICO ASPECIFICO La maggior parte delle persone avrà, nel corso della propria vita, esperienza di almeno un episodio di dolore lombare, che è il principale, se non l’unico, sintomo della grande maggioranza dei disturbi vertebrali. Si parla di lombalgia specifica nel caso in cui ci sia una patologia ben precisa a monte (neoplasia, stenosi del canale vertebrale, infezione ecc.), mentre per lombalgia aspecifica si intende una sintomatologia senza specifica causa, ovvero dolore lombare di origine sconosciuta[14]. In questo gruppo rientrano tutte le sindromi disfunzionali legate al sistema muscolo tendineo e capsulo legamentoso. All’incirca il 90% di tutti i pazienti con dolore lombare hanno una lombalgia aspecifica, che è sostanzialmente una diagnosi basata sull’esclusione di una patologia specifica. A fronte delle diverse nomenclature impiegate dalle differenti figure sanitarie, non esiste al momento attuale una classificazione generalmente valida per il dolore lombare aspecifico; esso viene solitamente classificato in funzione della durata del sintomo: acuto se dura meno di sette giorni, subacuto se dura tra una settimana e tre mesi e cronico se dura più di tre mesi [15,16]. 2.1 CAUSE SCATENANTI Le cause eziologiche del dolore localizzato alla regione lombare sono numerosissime. Esistono dei fattori di rischio ben conosciuti che hanno un ruolo assai importante nello sviluppo della sintomatologia dolorosa a livello lombare; questi possono essere divisi in costituzionali (età, sesso, patrimonio genetico), legati allo stile di vita (fumo, sovrappeso e sedentarietà, 26 esercizio fisico, fattori psicopatologici) movimentazione dei carichi, ecc) [17] e occupazionali (posture, . Fattori di rischio costituzionali: ETA’: secondo alcuni studi l’incidenza della lombalgia aumenta gradualmente a partire dai 16 anni, raggiungendo il picco massimo intorno ai 40 e diminuendo progressivamente intorno ai 60. SESSO: alcuni ricercatori sostengono che la prevalenza sia leggermente più alta nel sesso maschile. FATTORI GENETICI: anormalità ereditarie della struttura della colonna vertebrale o dello spessore dei dischi intervertebrali. Fattori di rischio legati allo stile di vita: FUMO: alcuni studi hanno chiaramente dimostrato nei fumatori un incremento del rischio di avere lombalgia di 1,5 - 2,5 volte rispetto ai non fumatori. SEDENTARIETA’ E SOVRAPPESO: le persone che non svolgono regolare attività fisica, seppur minima, incrementano il loro rischio di andare incontro ad episodi di lombalgia, soprattutto nel periodo in cui di dedicano ad attività manuali stressanti non abituali. ATTIVITA’ SPORTIVE: l’esercizio fisico praticato a livello agonistico dagli atleti, soprattutto in sport ad alto impatto delle strutture vertebrali quali lo scii, il basket, il calcio, il golf, il tennis, richiedono un elevato stress per la colonna che si trova a dover assorbire continue pressioni, torsioni e rotazioni. FATTORI PSICOSOCIALI: svolgono un ruolo importante soprattutto come fattori predittivi di cronicizzazione della lombalgia e della disabilità che ne può derivare. 27 Fattori di rischio occupazionali: POSTURA DA SEDUTI: è il più importante dei fattori predisponesti. Secondo alcuni autori[6,16] la postura da seduti, mediante la flessione completa del rachide, può produrre il LBP in sé, senza l’intervento di ulteriori fattori. Sedere rilassati per un qualsiasi lasso di tempo, pone la colonna in posizione di stiramento completo. Questa posizione, se mantenuta per un periodo prolungato, diventerà dolorosa. FREQUENZA DELLA FLESSIONE: questo fattore è facilmente intuibile quando si esamina lo stile di vita delle culture occidentali nel ventesimo secolo. E’ proprio dalle azioni quotidiane orientate sempre nella flessione della schiena che l’uomo sta perdendo la sua abilità di estendere liberamente la colonna. LA MOVIMENTAZIONE DEI CARICHI E FREQUENTI SOLLEVAMENTI: particolarmente se in flessione e rotazione POSTURA ERETTA PROTATTA 2.2 LE STRATEGIE TERAPEUTICHE Il LBP cronico non rappresenta un’entità o una diagnosi a sé, quanto un sintomo in pazienti con stadi molto diversi di danno, disabilità e cronicità, pertanto in questi casi è raccomandata la valutazione di diversi fattori prognostici. Devono essere presi in considerazione i fattori correlati all’attività lavorativa, lo stress psico-sociale, le aspettative e i sintomi più recenti riferiti dal paziente[16]. In caso di LBP a bassa disabilità possono essere sufficienti terapie semplici basate sull’evidenza di efficacia: l’esercizio fisico riduce il dolore e migliora lo stato funzionale rispetto all’assistenza standard, pertanto deve essere raccomandato; sono consigliati l’approccio cognitivocomportamentale, nonché brevi interventi educazionali. 28 È indicata terapia farmacologia orale con FANS per brevi periodi o analgesici. Quando ha fallito il trattamento mono-disciplinare è raccomandata la presa in carico da parte di un team multidisciplinare: un programma multidisciplinare di riabilitazione fisica e psico-sociale riduce il dolore e migliora lo stato funzionale rispetto a trattamenti non multidisciplinari. Mancano lavori controllati e randomizzati sulle terapie fisiche (applicazione di calore o ghiaccio, trazioni, laser, ultrasuoni, massaggi, corsetti e TENS) [18,19]. Gli obiettivi da raggiungere con il trattamento fisioterapico sono: 1. Insegnare una corretta gestione della colonna. 2. Ottenere un buon allenamento funzionale per svolgere le attività domestiche e lavorative. 3. Mantenere una buona condizione fisica generale atta a prevenire le recidive ed in grado di garantire una buona qualità di vita. 4. Sensibilizzare il paziente verso l'autogestione del proprio problema. 5. Ridurre l'importanza dei fattori di rischio individuali 2.2.1 Metodiche di trattamento 1. La Back School: fornisce informazioni utili per il paziente, per un corretto utilizzo della sua colonna, infonde l'autostima e la fiducia in se stessi, insegnando l'autogestione del proprio problema 2. McKenzie: usa il concetto di centralizzazione del sintomo, considerando un miglioramento la localizzazione lombare del dolore ed un peggioramento l'irradiarsi a distanza nel gluteo e nell'arto inferiore. 3. Meziéres: usa esercizi di allungamento praticati mantenendo una postura più corretta possibile, in particolare in statica, sensibilizzando il paziente a percepire profondamente il suo corpo. 29 4. Souchard o Rieducazione Posturale Globale, derivato dal metodo Meziéres e basato sul trattamento delle catene cinetiche. 5. Rieducazione Propriocettiva: infonde un migliore controllo posturale tramite un potenziamento massimale delle afferenze propriocettive, attraverso esperienze personali ed individuali del paziente. 6. Riprogrammazione Senso-Motoria: ripristina un corretto atto motorio, mediante una sua elaborazione cognitiva e percettiva ed una conseguente normalizzazione degli automatismi statici e dinamici. 7. Stabilizzazione della Colonna Lombare: si basa sul concetto del mantenimento della colonna lombare in posizione indolore il più al lungo possibile durante qualsiasi attività della vita quotidiana. Si svolge all'interno delle Back School. 8. Work Hardening: un programma sistematico di attività progressive, correlate al lavoro realizzato con meccanismi corporei perfetti, che ricondiziona i sistemi muscolo-scheletrico, cardio-respiratorio e psicomotorio della persona per prepararla al ritorno al lavoro. 9. Allungamento muscolare globale decompensato: riprende dal metodo Mezieres usando esercizi di allungamento delle catene muscolari tramite l’utilizzo di Pancafit. 30 CAPITOLO 3 IL METODO MEZIERES e LE CATENE MUSCOLARI “Il corpo è schiacciato dalla propria forza-peso, vale a dire dalla propria forza muscolare, dalle ipertonie, dagli stati di tensione e contrazione, dalle perdite di elasticità”(F. Mézières). Secondo Françoise Mézières, creatrice e studiosa del Metodo, esiste una “forma” normale del corpo alla quale rifarsi e da confrontare con tutte le altre. Essa è quella che rispetta le proporzioni del “numero aureo”, usato dagli antichi greci nella scultura del periodo classico, molto caro a Leonardo da Vinci e considerato dalla ideatrice stessa “legge di armonia universale”. Secondo la Mézières è infatti la forma a governare la funzione e non il contrario; attraverso un costante miglioramento della forma, della quale la “statua greca” è il canone, ci si avvicina alla forma perfetta. A partire da questi presupposti tale Metodo ha lo scopo di “curare” la persona cercando di ripristinare la simmetria delle parti con un lavoro di rieducazione di tipo posturale attraverso esercizi che favoriscono l’allungamento dei muscoli privi di elasticità. I numerosi muscoli, specialmente quelli posteriori del corpo e dorsali, si comportano come un unico grande e potente muscolo in grado di deviare la corretta posizione di vertebre e capi articolari su cui hanno inserzione. Questo comportamento venne analizzato dalla Mézières attraverso uno studio minuzioso dell’anatomia e della cinesiologia muscolare, per arrivare a sostenere che ogni muscolo del corpo è collegato all’altro e sovrapposto come “tegole” di un tetto andando a costituire diverse catene muscolari[20]: 31 Catena posteriore Catena antero-inferiore Catena brachiale anteriore Catena anteriore del collo. La Catena Posteriore è la più estesa, è costituita da tutti quei muscoli profondi e superficiali che vanno dalla linea occipitale alla punta delle dita dei piedi. Comprende sul piano superficiale: il trapezio e il gran dorsale; sul piano medio: i romboidei, l'elevatore della scapola e i dentati posterosuperiori e postero-inferiori; sul piano profondo può essere suddiviso a sua volta in tre piani : a) il piano superficiale costituito dall'erettore della colonna; b) il piano intermedio rappresentato dal trasverso spinoso; c) il piano profondo comprendente i muscoli interspinosi e i muscoli intertrasversi. Sulla regione posteriore dell'arto inferiore troviamo invece il semimembranoso, il semitendinoso, il bicipite femorale, gli adduttori, il popliteo, i gemelli, il soleo, il plantare gracile il tibiale posteriore, i flessori lunghi delle dita ed i flessori plantari sulla regione posteriore del piede. Rappresenta la catena posturale della statica e ci mantiene eretti contro la gravità. 32 La Catena Antero-Inferiore è costituita dagli scaleni, dal diaframma, dall'ileopsoas e dalla fascia iliaca. Questa catena è fondamentale nella respirazione. La sua retrazione trascina la testa in avanti, cifotizza il dorso e antepone le spalle. La Catena Anteriore del Braccio è costituita dal coraco-brachiale, dal bicipite, dal brachiale, dal brachio-radiale, dal lungo supinatore, da tutti i flessori e pronatori dell'avambraccio compresi i muscoli dell'eminenza tenar e ipotenar. Questa catena è molto soggetta a fenomeni di retrazione e l'accorciamento cronico di questa catena determina una marcata anteposizione delle spalle, una flessione del gomito e una pronazione eccessiva dell'avambraccio alla quale si somma un' intrarotazione di tutto l'arto superiore. Catena anteriore del braccio 33 La Catena Anteriore del Collo è costituita dal piccolo e grande retto, dal lungo del collo e dal tendine centrale che collega il rachide cervicale al diaframma e all'asse viscerale. Il piccolo retto va dalla massa laterale dell'atlante all'apofisi basilare dell'occipite, il grande retto va dalle apofisi trasverse di C3-C6 all'apofisi basilare dell'occipite. Il lungo del collo è composto da tre parti: da fibre oblique discendenti, fibre oblique ascendenti e da fibre longitudinali che collegano l'atlante a D1,D2,D3. Si estende quindi dall'apofisi basilare dell'occipite al corpo della terza vertebra dorsale. I muscoli della catena anteriore del collo accorciandosi aumentano la lordosi posteriore. Catena anteriore del collo Ciascuna seduta del Metodo Mézières inizia con l'osservazione del paziente. Considerato che il recupero della forza e dell'elasticità e la riduzione del dolore dipendono dal ripristino della buona morfologia, il bilancio sarà essenzialmente morfologico. Si comincia in piedi, poi piegati in avanti e infine sdraiati supini per terra. Grazie all'osservazione, rapida e precisa, il terapeuta ha già una visione sintetica delle asimmetrie del paziente e delle difficoltà che potrà incontrare. Ha inizio così il trattamento: una successione di posture, proposte dal terapeuta e mantenute dal paziente. Lo scopo delle posture è di allungare le catene muscolari facendo riferimento alla forma perfetta. Lo stiramento dei muscoli provoca 34 però un certo disagio e quindi il corpo, in maniera del tutto incosciente, mette in atto tutta una serie di "compensazioni" per evitare l'allungamento che spesso si esprime in una sensazione di dolore. Si tratta di un dolore da stiramento muscolare che i pazienti descrivono come "un dolore che si sente che fa bene". Le diverse posture che vengono proposte al paziente vengono indicate a seconda delle deformazioni del soggetto e delle modalità di compensazione che egli stesso utilizza per proteggerle. Non esistono quindi delle posizioni standard. Non esiste nessuna ricetta, solo alcuni principi di base. In effetti ogni patologia ha una modalità di espressione simile: i sintomi della sciatalgia, ad esempio, sono riconoscibili come il dolore forte al gluteo, nella parte posteriore della coscia, laterale della gamba ecc.. L'accorciamento che provoca il dolore, però, si manifesta spesso in maniera diversa, perciò, due persone, con lo stesso dolore, ma con deviazioni dalla “forma” normale differenti, avranno bisogno di due sedute diverse. In ogni seduta il terapeuta deve inventare, creare su misura una sequenza organizzata di esercizi posturali in funzione della situazione che si presenta. Fig 13. Le tre squadre di Mezieres 35 CAPITOLO 4 METODO RAGGI E PANCAFIT Il Metodo Raggi è un particolare tipo di stretching ad approccio “globale”, che sfrutta i principi del metodo Mezieres nel concetto di globalità del corpo. Ideato dal Dottor Daniele Raggi, questo metodo prende in esame la persona nel suo insieme, osservandone attentamente la postura ed ogni segnale che il corpo evidenzia o nasconde in modo intelligente o “subdolo”. L’obiettivo è quello di risalire alla causa primaria, cioè a quell’episodio o trauma che col tempo ha dato vita all’adattamento posturale. Attraverso una attenta anamnesi si ricerca la possibile causa primaria che ha determinato l’adattamento: i traumi fisici passati, le cicatrici, gli interventi chirurgici, i modi scorretti di usare il corpo, le situazioni emotive che hanno lasciato un segno profondo, le componenti genetiche,le malocclusioni, le interazioni di carattere biochimico-alimentare, l’aspetto culturale, sono solo alcuni esempi di “spine irritative” che possono alterare il Sistema Tonico Posturale (STP). Il metodo Raggi prevede l’utilizzo di Pancafit, un attrezzo che permette l’Allungamento muscolare globale decompensato. Nell’Allungamento muscolare Globale Decompensato la “messa in tensione” delle catene muscolari è molto graduale e progressiva; non si tratta di una trazione ma di una tensione fisiologica che cerca di raggiungere il limite dell’elasticità del tessuto muscolare senza però superarlo. In questo modo il tessuto muscolare che tende a ritornare al suo punto neutro di tensione, è obbligato a vincere le barriere che impediscono questo ritorno. 36 Questa tensione fisiologica permette di esercitare un’azione globale di allungamento su tutta la catena muscolare-fasciale-connettivale posteriore (e di conseguenza anche quella anteriore e quella trasversa). Più in particolare, questa tensione fisiologica in postura decompensata agisce su distretti muscolari retratti, riuscendo a modificare stabilmente la condizione di chiusura permanente dei sarcomeri rimasti imprigionati dal tessuto connettivo in una posizione concentrica, ed impossibilitati a recuperare la posizione primaria in modo naturale e spontaneo. Quando anche un solo muscolo per qualche ragione si accorcia (traumi, tensioni, stress, dolore, posture scorrette, etc.), provoca un'azione sull’intera catena muscolare, la quale disturberà inevitabilmente tutta la struttura muscolo-articolare. Il dolore o l’infiammazione comparirà nel punto più critico, più “debole” della struttura; oppure nel punto dove c’è maggiore compressione articolare, rigidità o tensione [21]. Ogni qual volta si cerca di recuperare la lunghezza di un muscolo attraverso un allungamento muscolare inadeguato, il sistema innesca un meccanismo di compenso (antalgico) e si accorcia in altre parti della catena a nostra insaputa. I diversi angoli di lavoro imposti da Pancafit, permettono di ottenere un allungamento muscolare decompensato, adeguato a qualsiasi situazione individuale. Lo scopo di questa metodica di trattamento è quella di eliminare o ridurre i compensi posturali attuati dal corpo per sfuggire ad un dolore e far emergere la causa nascosta di questo disagio. Si andrà quindi a lavorare non sul muscolo dolorante (effetto di un trauma), ma sulla regione retratta (causa), diventata ipofunzionante per la legge dei compensi: il corpo non vuole sentire dolore, quindi cerca di bilanciare un deficit iperutilizzando altri muscoli. 37 L’obbiettivo di questo metodo è dunque quello di restituire la dovuta lunghezza ed elasticità muscolare, di migliorare la capacità di percepire il proprio corpo, migliorare la coordinazione neuromuscolare e dunque le sinergie. Con l’utilizzo della Pancafit è possibile eseguire molteplici esercizi, che agiscono in modo globale sull’intera struttura muscolare e non a livello locale o settoriale come avviene nello stretching tradizionale. Il nostro lavoro tiene inevitabilmente conto anche della respirazione poiché il diaframma, muscolo principale della respirazione, è intimamente connesso con l’intera colonna e con tutti gli organi interni. Un altro aspetto importante nel lavoro con Pancafit è l’acquisizione di uno stato sufficiente di rilassamento muscolare, tale da permettere di eseguire i semplici movimenti che gli esercizi richiedono. Si può quindi raggiungere, grazie ad uno sblocco diaframmatico: - un miglioramento della respirazione (non pesando più sui muscoli accessori come: dentato, scaleni, pettorali, sternocleidomastoideo, dorsale); - una migliore propriocettività del proprio schema corporeo, cioè una migliore capacità di sentire i cambiamenti che avvengono nel corpo sia per ragioni fisiche che emotive; - un miglioramento della postura e della coordinazione neuromuscolare. 4.1 COME AVVENGONO LE MODIFICAZIONI MUSCOLARI Si può valutare il comportamento meccanico di un materiale, tenendo conto dei seguenti criteri: - la forza applicata - la tensione - il tempo 38 esistono due tipi di deformazione: - la deformazione elastica, che è temporanea e scompare alla cessazione della forza applicata - la deformazione permanente. Nel caso di una deformazione elastica, le particelle, sia che si tratti di atomi, ioni, molecole, cristalli, aggregati molecolari, si dispongono in modo da essere in rapporto le une con le altre e, grazie alla loro forza di attrazione, tendono ad una nuova riorganizzazione. Un muscolo si avvicina come comportamento meccanico, di più ad un materiale di tipo viscoso elastico. Un corpo sottoposto a forza, per un lungo periodo di tempo, e che vede tale forza decrescere ed annullarsi mentre lo stesso si deforma, ha subito il fenomeno del rilassamento. Tale tipo di deformazioni lente, ottenute con l’intervento di forze notevolmente inferiori alla soglia di deformazione, sono dette deformazioni a freddo. Se un corpo è idealmente elastico non c’è rilassamento. Più un corpo è elastico, più la tensione dovrà essere forte per arrivare alla soglia di deformazione. Al di là di questa soglia, avviene il contrario e, a una debole tensione, corrisponderà una considerevole deformazione[22]. Applicata all’attività fisica, questa formula prova la supremazia delle posture sulle alternanze per l’influenza diretta del tempo sulla deformazione. Le posture permettono, inoltre di disporre rigorosamente i segmenti che subiscono la trazione, e di evitare la deformazione a caldo che, per essere brusca, fa correre al muscolo il pericolo di rottura. 39 Bisogna capire, innanzitutto, che la soglia di deformazione non è facile da raggiungere e che, essendo qualsiasi forma di allungamento muscolare disgregabile, il soggetto tende a sottrarvisi, con involontari sotterfugi. D’altra parte, se non è stirato il solo muscolo ma tutto il segmento dell’arto, tutti i muscoli che lo compongono saranno sollecitati, a livello della loro “perfetta elasticità”, prima di giungere alla soglia di deformazione del muscolo che risulta meno elastico. Bisognerà quindi esercitare una sufficiente tensione per raggiungere questa soglia. Essendo i gruppi muscolari meno elastici e possedendo quindi una soglia di deformazione più bassa, si deformeranno per primi. La deformazione primaria e il ritorno sono fenomeni che dipendono essenzialmente dal tempo; per esempio, più il tempo dopo lo scarico è lungo, più il ritorno sarà considerevole. Questo permette di considerare che, nel caso di una seduta, esiste un ritmo ideale fra i successivi stiramenti di uno stesso segmento. Sarà uguale per la frequenza delle sedute: troppo distanziate, permetteranno un notevole ritorno allo stato precedente; troppo vicine non saranno tollerate. Ricordiamo che il muscolo retratto ha meno sarcomeri del muscolo normale e quelli che possiede sono allungati. Si sa che il connettivo si è retratto ed è verosimilmente aumentato secondo la regola che costringe una struttura mobile come la fibra muscolare, a degenerare in tessuto fibroso[23]. La forza di trazione è aumentata e la resistenza del muscolo alla distensione è elevata. Bisogna, nello stesso tempo, ricordare che la semplice posizione di comodità posturale nella stazione eretta, unitamente alla componente di compressione e alla ripetuta contrazione concentrica dei muscoli della statica, più fibrosi dei muscoli anteriori, provoca un accorciamento dei primi. 40 È necessario, pertanto, per tornare alla normalità, ammorbidire il muscolo a livello connettivo, senza coinvolgere i residui sarcomeri, che tendono già ad essere troppo allungati ( rischio rottura ), e quindi tentare di formare i sarcomeri mancanti [24,25]. 4.2 IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICA Durante la respirazione fisiologica, in stato di riposo (circa 15 atti respiratori al minuto), è solo nella fase inspiratoria che si utilizza la muscolatura, mentre l’espirazione avviene passivamente. Il diaframma, quale principale muscolo inspiratorio, dovrebbe svolgere almeno i 2/3 del lavoro respiratorio, con il restante 1/3 svolto dagli altri muscoli respiratori principali, ossia gli intercostali, ottenendo cosi la respirazione addominale o diaframmatica. In pausa respiratoria le fibre muscolari diaframmatiche decorrono quasi perpendicolarmente verso la sua zona centrale (centro frenico o tendineo), durante l’inspirazione le fibre muscolari si contraggono abbassando la lamina tendinea, appiattendolo e quindi aumentando il volume polmonare (elevazione delle coste, in particolare inferiori). La discesa del centro frenico, che varia da 1 cm nella respirazione normale fino a 10 cm in quella forzata, viene frenata dal sistema sospensore del pericardio, oltre che dalla pressione dei visceri addominali. Man mano che lo sforzo fisico aumenta, cresce fisiologicamente l’attività dei muscoli respiratori accessori che hanno il compito di innalzare la gabbia toracica aumentandone il volume (respirazione costale). In primo luogo vengono coinvolti i muscoli scaleni (che originano dalle apofisi trasverse delle vertebre cervicali e si inseriscono sulla prima e seconda costa) innervati dal plesso brachiale ed in seguito i romboidi, il 41 gran dentato e il piccolo e grande pettorale, man mano che l’inspirazione diventa sempre più forzata. Sapendo quindi che alcuni dei più importanti muscoli accessori, hanno origine sulle vertebre cervicali e si inseriscono sulle coste, si capisce bene che carico deve subire la zona cervicale che dovrà eseguire un lavoro che non gli compete sempre, se non nella respirazione forzata, questo porterà stress continuo determinerà problemi posturali oltre che un carico compressivo a livello delle vertebre cervicali. Il diaframma esprime la sua funzione in modo corretto a condizione che la sua forma sia altrettanto corretta ed il tessuto muscolare permanga elastico e con la lunghezza funzionale. Un diaframma sempre teso perderà progressivamente la capacità di muoversi con movimenti ampi e completi, diverrà sempre più basso, più piatto, retratto, perdendo progressivamente parte della propria funzione e creando vari disagi in vari organi e distretti. Quindi per effetto del diaframma prima e degli accessori respiratori poi, le coste e dunque il torace si sollevano per aprirsi e far entrare più aria. I muscoli accessori naturalmente intervengono nella stessa proporzione in cui il diaframma perde la sua capacità di essere sufficiente. Anche i muscoli accessori respiratori, tenderanno a fissarsi progressivamente in posizione raccorciata e impediranno proprio per questa ragione al torace di scendere, così da determinare l’impossibilità di far uscire l’aria per un ricambio. In altre parole il torace continuerà a essere sollecitato in apertura per immettere aria che manca, per una ormai impossibilità da parte del soggetto di svuotare il torace. Ogni muscolo accessorio che svolga un lavoro con un ruolo primario subirà e creerà inevitabilmente problemi. Per esempio, i muscoli accessori di origine nucale disturberanno la zona cervicale, i muscoli accessori di origine scapolare creeranno problemi di 42 blocco o rigidità alle spalle, e quelli di origine dorsale creeranno coattazioni e problemi lungo la colonna [26] . Da tutto quello che si è detto finora si capisce bene perché una corretta respirazione diaframmatica sia importante e fondamentale per la riuscita della seduta di allungamento muscolare globale decompensato con Pancafit. 43 CAPITOLO 5 MATERIALI E METODI Il lavoro che ho svolto riguarda un’indagine semisperimentale “pretest/post-test” in un gruppo di 20 utenti non randomizzati[27]. I pazienti verranno valutati all’inizio del trattamento, dopo 10 sedute della durata di circa 40 min ognuna in cui verranno effettuati 5 esercizi su Pancafit comuni per ognuno di loro, e dopo 2 mesi dalla fine del trattamento. Gli strumenti di misurazione utilizzati per ogni utente sono tre: due sono soggettivi (VAS per il dolore e Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire per la disabilità) e uno oggettivo (test di Schober modificato per misurare l’ampiezza della flessione del tratto lombare del rachide). L’obiettivo della tesi quindi è quello di studiare la dimensione dell’effetto del trattamento. Il problema maggiore è la difficoltà di garantire che il cambiamento nelle rilevazioni o misure sia effettivamente un effetto del trattamento, poiché altri fattori possono essere cambiati nello stesso intervallo di tempo[28]. 44 5.1 CAMPIONAMENTO Si tratta di un gruppo di 20 persone campionate in modo non randomizzato. Criteri di inclusione: età superiore ai 28 anni, sia di sesso maschile che femminile, impegnati o non in lavori vari (impiegati, professionisti, casalinghe, pensionati), che non pratichino sport a livello agonistico e con uno stile di vita sedentario, con sintomi e diagnosi clinica di lombalgia cronica aspecifica, con durata superiore ai 3 mesi, diagnosticata dal medico curante o dallo specialista. Criteri di esclusione: età inferiore ai 28 anni, presenza di tumori o metastasi vertebrali, fratture vertebrali, osteoporosi grave, TBC ossea, infezioni o infiammazioni in fase acuta, patologie con interessamento del sistema nervoso centrale, asma bronchiale grave, malattie autoimmuni in fase attiva, malattie reumatiche in fase acuta, ernie discali espulse sia lombari che cervicali, donne in gravidanza, soggetti con scoliosi strutturata con oltre 30° Cobb, dolore insorto da meno di 3 mesi. Questi soggetti sono stati seguiti durante il ciclo di trattamento della durata di 10 sedute nell’ istituto di riabilitazione “Beato Gregorio X” ad Arezzo. Tutti hanno dato il consenso per il trattamento dei dati relativi all’indagine. 45 5.2 STRUMENTI DI VALUTAZIONE UTILIZZATI Tutti i pazienti sono stati valutati al momento di accesso al servizio di riabilitazione, alla fine delle 10 sedute di trattamento e dopo 2 mesi dall’ultimo incontro. Gli strumenti valutativi utilizzati sono stati[29]: - VAS ( Visual Analogic Scale) - Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire - Test di Schöber modificato 46 5.2.1 Scala VAS Il dolore è un fenomeno soggettivo ed è diverso per ogni individuo. Per questo motivo è molto difficile valutare l’estensione delle esperienze psicologiche ed emotive di un’altra persona. Il dolore infatti è un’esperienza complessa e coinvolge più dimensioni; viene condizionato da variabili soggettive quali: l’attenzione, gli stimoli emotivi, le esperienze passate e lo stato d’animo. L’intensità del dolore può comunque essere misurata mediante l’uso di una scala di valutazione descrittiva, numerica o analogico visiva. Si è quindi scelto di utilizzare la scala VAS (Visual Analogic Scale) proprio per quantizzare questo dolore all’inizio e alla fine del trattamento e quindi valutare se ci sono stati o meno miglioramenti. 47 Essa consiste nel far individuare al paziente, su una linea di 10 cm, il punto che meglio rappresenta il suo dolore, dove 0 corrisponde all’assenza di dolore e 10 al massimo dolore possibile. La distanza tra il segno lasciato dal paziente e lo 0 (assenza di dolore) viene misurato in centimetri e diventa un valore registrabile e confrontabile nel corso delle sedute[30,31]. Se la scala ha modo di essere usata correttamente, essa si dimostra valida, sensibile e riporta correttamente la misura del dolore del paziente secondo la sua esperienza[30]. 48 5.2.3 Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire 49 50 DESCRIZIONE La Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire rappresenta un sistema di misura della disabilità da lombalgia assai noto e frequentemente utilizzato negli studi clinici. È costituito da dieci sezioni riguardanti le attività della vita quotidiana che possono essere condizionate dalla lombalgia: la prima permette una descrizione specifica del dolore, tutte le altre riguardano le limitazioni dovute alla lombalgia nella vita quotidiana. Le sezioni sono state selezionate come le più significative da una serie di questionari sperimentali indirizzati a valutare le limitazioni delle diverse attività della vita quotidiana provate da pazienti lombalgici che effettuavano terapie riabilitative. Ogni sezione prevede sei affermazioni relative a gradi diversi di limitazione nello stesso tipo di attività (punteggio da 0 a 5 andando verso la maggiore disabilità). Le risposte delle singole sezioni vengono sommate a dare il punteggio finale che prevede pertanto un valore massimo di 50 punti. Tale valore viene moltiplicato per 2 a dare un valore percentuale (percentuale di disabilità)[29]. RIPRODUCIBILITA’ Gli autori hanno dimostrato una riproducibilità molto alta quando la misura è ripetuta lo stesso giorno (0.99) [32]. VALIDITA’ Buona correlazione con la mobilità del tronco e l’attività muscolare in pazienti con lombalgia[33] e con il Waddell Disability Index. Sensibilità alta al miglioramento spontaneo previsto in pazienti dopo un primo episodio di lombalgia (p<0.005) [34]. 51 5.2.2 Test di Schöber modificato Con il paziente in posizione eretta con i piedi ad una distanza pari a quella delle spalle, si segna il punto mediano della linea che unisce le due spine iliache postero-superiori, al di sopra del processo spinoso di S2 e un punto posto verticalmente 10 cm più in alto, e si invita il paziente a flettersi in avanti senza piegare le ginocchia. Vengono quindi eseguite due misurazioni: una in posizione di partenza e l’altra in posizione finale. La differenza tra i valori delle due misurazioni rappresenta l’ampiezza articolare del movimento di flessione della colonna lombare. Solitamente in caso di ridotta motilità vertebrale la distanza tra i due punti, dopo che il paziente si è flesso in avanti, sarà inferiore a 15 cm[35,36,37]. Fig. 14 posizione di partenza e posizione finale del rachide lombare per test di Schober modificato 52 5.3 ATTREZZATURA Fig 15. Pancafit Questo attrezzo ha una struttura abbastanza semplice ed è composta da una base in ferro che quando l’attrezzo è aperto aderisce interamente al pavimento. A questa struttura sono articolate due tavole di legno vincolate al centro della base metallica ma libere di inclinarsi dal lato opposto formando insieme una struttura a V più o meno aperta con vari gradini di difficoltà a seconda delle esigenze di lavoro che l’operatore proposto al servizio intenderà soddisfare. L’unico punto in cui ci si deve sedere è al centro (nell’angolo), fra i due schienali. È proibito sedersi in altre parti degli schienali o spingere con il dorso e con le gambe contro i rispettivi piani di appoggio, giacché questi servono solo come piani di riferimento, dunque solo come delicato appoggio e guida agli esercizi. Insieme a Pancafit vengono poi utilizzati numerosi accessori (star balls, cuscinetti di varie dimensioni, cinghie blocca gambe, etc.) per intensificare, migliorare e personalizzare la posizione del paziente e fargli ottenere in questo modo il massimo benessere. Le star balls sono un set di palline usate su Pancafit per decontrarre e massaggiare i muscoli della colonna. 53 È fondamentale che la pallina sia posta in modo simmetrico e perpendicolare alla colonna andando cosi ad agire sui muscoli paravertebrali. Qualora una volta sdraiati su Pancafit, la testa fosse troppo reclinata indietro è consigliato mettere un cuscinetto sotto la testa. Fig. 16 Star balls e loro applicazione 54 5.4 CASISTICA Lo studio, durato 5 mesi (da giugno a ottobre 2010) ha riguardato in totale 20 soggetti affetti da Low Back Pain cronico aspecifico, di cui 7 donne e 13 uomini di età compresa tra i 28 e i 67 anni e la maggior parte con un’attività lavorativa più o meno sedentaria. PAZIENTI NOME SESSO ETA’ 1 B.S F 54 2 B.A M 28 3 C.A M 52 4 C.C.G. M 36 5 F.F M 30 6 G.A M 42 7 G.F M 48 8 G.B M 67 9 G.I F 58 10 G.N M 52 11 P.I. M 67 12 P.S M 44 13 P.S F 67 14 E.A F 46 15 P.F F 50 16 R.A M 35 17 R.A F 28 18 S.G M 49 19 U.P M 49 20 S.P F 59 Grafico 1. Tabella dei pz 55 sesso uomini donne 35% 65% Grafico 2. Distribuzione del sesso sul totale dei pz Età 6 5 4 3 maschi 2 femmine 1 0 28-37 38-47 48-57 58-67 Grafico 3. Frequenza dell’età 56 Attività lavorativa 10% 10% 25% 55% pensionato casaliga impiegato manuale Grafico 4. Attività lavorativa dei pazienti 5.5 PIANO DI TRATTAMENTO Dopo aver effettuato la valutazione iniziale ad ogni paziente abbiamo stilato un programma di esercizi, della durata totale di circa 40 minuti, da effettuare su Pancafit, comuni per ognuno di loro. In totale sono 5 tipi di esercizi di allungamento della durata di circa 6-7 minuti l’uno con brevi pause tra un esercizio e l’altro. Verranno effettuate 10 sedute distribuite in 2 o 3 volte a settimana. Alla fine delle 10 sedute verrà effettuata la valutazione finale. I pazienti inoltre verranno rivalutati per il follow up dopo 2 mesi dalla fine del trattamento. 57 COME SI INIZIA AD USARE PANCAFIT Dopo aver predisposto la panca con un’apertura centrale abbastanza ampia (ben oltre 90°) si fa sedere il paziente al centro, col dorso sullo schienale più corto e le gambe tese dall’altro lato, tale da poter restare seduti senza difficoltà o forti tensioni muscolari. In questo modo si può scoprire il grado di elasticità o rigidità muscolo articolare del soggetto: in condizioni ideali dovrebbe poter star seduto su Pancafit aperta a 90° senza accusare tensioni o fastidi. Usando Pancafit è necessario che la testa, il dorso, il bacino, i glutei, le cosce e i polpacci siano sempre ben a contatto con la panca ed in asse perfetto, ossia posizionati sempre ben diritti. Se ci sono troppe tensioni alle gambe o alla schiena tali per cui il sedere si allontana dall’angolo della panca, allora è bene aprire un po’ di più l’angolo di lavoro. Se per stare seduti sulla panca senza tensioni si deve aprire l’angolo di gran lunga superiore a 90°, significa che la muscolatura è divenuta troppo rigida e retratta e che non vengono fatti da troppo tempo esercizi per mantenere una struttura elastica e funzionale. Per alzarsi dalla panca, portare a terra entrambi i piedi, uno per lato; aspettare un istante che la pressione sanguigna si ristabilizzi, poi portare una gamba vicino all’altra e quindi mettersi in ginocchio a lato della panca stessa. Quindi si invita il paziente ad alzarsi lentamente. È importante subito dopo aver stirato la muscolatura, non fare esercizi o lavori pesanti, affinché i muscoli e i centri nervosi superiori memorizzino la nuova condizione. 58 5.6 TRATTAMENTO RIABILITATIVO I 5 esercizi da svolgere sempre in progressione sono: a) Esercizio di stiramento consigliato per braccia, spalle, zona lombare, dorsale, cervicale e gambe. b) Esercizio per stirare i glutei c) Esercizio per adduttori, anche e ginocchia d) Esercizio per gli adduttori e la rigidità delle anche e) Esercizio per mobilizzare le caviglie e stirare i muscoli posteriori degli arti inferiori Durante lo svolgimento degli esercizi, la respirazione dovrà essere fatta in modo del tutto rilassato, l’aria deve uscire liberamente attraverso la bocca ben aperta, come se si dovesse fare il classico respiro di sollievo o uno sbadiglio. Se la respirazione sarà tesa (labbra semichiuse, aria che esce tra i denti o dal naso oppure sbuffando o soffiando, anziché espirando) anche il diaframma sarà teso, quindi la colonna non potrà essere nella condizione ideale per raggiungere gli obiettivi prefissati. È frequente negli esercizi avere la tendenza a respirare contraendo la pancia. Questo è un meccanismo di aiuto e difesa che il corpo adotta in modo automatico per ovviare alle tensioni che altrimenti si evidenzierebbero. Ogni volta quindi che per espirare si contraggono gli addominali, occorre applicare la respirazione paradossa. Tale respirazione si chiama cosi perché richiede un movimento opposto a ciò che avviene in modo naturale e automatico. Si tratta infatti di far uscire la pancia rilassata mentre si fa uscire l’aria durante l’espirazione senza però contrarre la schiena e l’addome. 59 a) Esercizio di stiramento consigliato per braccia, spalle, zona lombare, dorsale, cervicale e gambe. Fig. 17 Fase iniziale Fig. 18 Fase dell’allungamento in espirazione 60 Lo schienale della panca dev’essere ad un’angolazione di circa 40° rispetto al terreno, mentre la parte dove poggiano le gambe è regolata in base alle esigenze del paziente. Le maniglie vanno impugnate come nella figura 17 e le braccia vanno distese verso l’alto. Se c’è difficoltà a estendere completamente le braccia le maniglie si possono anche tenere in modo che i gomiti siamo piegati, aperti in fuori o chiusi in dentro. Le mani però dovranno sempre lavorare in modo simmetrico. Occorre rimanere in posizione distesa il più a lungo possibile e mentre si respira si lascia scendere il torace con la schiena che torna a toccare lo schienale. Ad ogni espirazione devono essere allungate sia le braccia che il collo e per rendere il lavoro ancora più completo, sempre durante l’espirazione si portano i piedi verso di se in modo da completare l’allungamento della muscolatura posteriore degli arti inferiori. Va prestata attenzione a non tirare indietro le dita quando si portano i piedi verso di se, ma tenerle diritte e rilassate, in asse con tutto il piede. 61 b) Esercizio per stirare i glutei Fig. 19 secondo esercizio Con lo schienale nello stesso livello del primo esercizio, si deve trovare un’apertura adeguata per ogni persona di modo che senta tirare ma che questo non sia cosi eccessivo da provocare dolore. Una volta trovata l’apertura adatta si fa accavallare una gamba sopra l’altra e facciamo prendere al paziente con le mani il ginocchio che sta sotto trazionando verso il petto. In questo modo il gluteo opposto va in tensione. Rimanere nella posizione almeno 2-3 minuti respirando e poi cambiare gamba. 62 c) Esercizio per adduttori, anca e ginocchia Fig. 20 Terzo esercizio La posizione di partenza è come quella degli esercizi precedenti. Si piegano le gambe “a farfalla”, portando i piedi pianta contro pianta, il più in basso possibile con le ginocchia ben divaricate. Si chiede al paziente di spingere verso il basso le ginocchia durante la fase di espirazione e nello stesso tempo di allungare il collo spingendo il mento verso il basso. Si ripete una serie di 10/15 respirazioni per 3/4 volte. 63 d) Esercizio per gli adduttori e la rigidità delle anche Fig. 21 Quarto esercizio Lo schienale è in posizione verticale, perpendicolare al terreno mentre la parte dove poggiano le gambe è orizzontale a contatto col suolo. Le gambe vanno divaricate al massimo, con i piedi verticali e a 90°. Mentre si mantiene la posizione si effettua l’auto-allungamento della colonna, la quale dovrà rimanere aderente allo schienale e sempre durante la fase di espirazione si chiede al paziente di portare di dorsiflettere le caviglie. Vanno fatte almeno 20 respirazioni ripetute per 2 o 3 volte. È importante la posizione della colonna, del collo e dei piedi e in questa posizione, dove è difficile far aderire la colonna allo schienale e può essere utile applicare la respirazione paradossa. 64 e) Esercizio per mobilizzare le caviglie e stirare i muscoli posteriori degli arti inferiori Fig.22 Quinto esercizio Fig. 23 fase di ulteriore allungamento durante l’espirazione 65 Questo esercizio si svolge in posizione eretta. Lo schienale della panca dev’essere abbassato al terreno e la parte dei piedi dev’essere al primo, secondo o terzo gradino di difficoltà in base alla capacità del soggetto. I piedi sono ben appoggiati sulla panca e il paziente inizia a flettere il tronco, “arrotolandosi” ,partendo a flettere dalla testa per poi scendere fino a toccare se ci riesce la panca con le mani, cercando però di mantenere le ginocchia estese. Mantenere la posizione per 15 respirazioni per 3 o 4 volte. Quando si risale va fatto lo stesso procedimento che è stato effettuato per flettersi in avanti, ma al contrario. Per creare tensioni diverse si può fare l’esercizio spostando le mani in vari punti del piano di appoggio. Si può ad esempio portare le mani il più lontano possibile dai piedi durante l’espirazione sempre cercando di non flettere le ginocchia (Fig.23). Ci sono alcune regole basilari da eseguire per poter trarre il massimo beneficio dall’utilizzo della panca: - Quando il paziente è sdraiato su Pancafit è importante che testa, tronco, zona lombare, sacrale, cosce e piedi siano aderenti alla panca e ben allineati ed uniti. Durante il lavoro tanto più si riesce a far aderire i punti menzionati senza sforzo, tanto più si riuscirà a mettere in tensione da allungamento la catena muscolare posteriore. Qualora le gambe non riuscissero a stare facilmente unite, con le caviglie che si toccano, potrete fissarle legandole con un asciugamano a livello delle cosce, in prossimità delle ginocchia. 66 - La respirazione deve essere fatta bocca ben aperta e rilassata per ridurre tutta la resistenza e permettere al diaframma di lasciare che la colonna aderisca perfettamente alla panca. - L’autoallungamento che si chiede di fare per ottenere il massimo risultato su Pancafit, consiste nell’abbinare alla respirazione un allungamento della colonna. Occorre quindi allungarsi senza sforzo e senza spingere né con la schiena, né con le gambe durante la fase di espirazione. 67 CAPITOLO 6 RISULTATI In base ai punteggi ottenuti dai pazienti nelle varie scale di misurazione sono stati formulati dei grafici riassuntivi per ogni valutazione effettuata all’inizio del trattamento (T0), alla fine delle 10 sedute (T1) e dopo due mesi dall’ultimo incontro (T2). Sono state analizzate le frequenze di ogni misurazione ed infine valutate le percentuali di miglioramento dei soggetti per ogni scala di valutazione in relazione al tempo. 68 6.1 RISULTATI SCALA VAS Di seguito viene riportata una griglia riassuntiva con tutti i risultati ottenuti dalla somministrazione della scala VAS ad ogni singolo paziente. T0 = inizio del trattamento T1 = dopo 10 sedute T2 = controllo dopo 2 mesi Pazienti 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 T0 T1 8 9 9 9 7 8 8 9 10 8 8 8 7 9 9 10 9 7 9 10 T2 2 0 1 3 1 5 2 1 2 0 0 1 1 2 1 3 0 0 2 2 2 0 3 3 0 3 2 0 3 0 0 1 0 5 2 4 0 2 0 3 Grafico 5. Tabella risultati scala VAS 69 Nei grafici che seguono sono stati riportati tutti i valori della scala VAS per il dolore per evidenziare le differenze tra la prima, la seconda e l’ultima valutazione. Scala VAS 12 punteggio VAS 10 8 6 T0 4 T1 T2 2 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Pazienti Grafico 6. Istogramma punteggi VAS 12 10 punteggio 8 6 T0 T1 4 T2 2 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Pazienti Grafico 7. Grafico a linee punteggi VAS 70 Per visualizzare meglio questi risultati si è creato un istogramma di frequenza. Frequenze Scala VAS 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 T0 T1 T2 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Risultati Grafico 8. Istogramma di frequenza 71 Ad ogni intervallo di tempo vengono poi valutate le percentuali di miglioramento o peggioramento del gruppo. Risultati passaggio da T0 a T1 0% migliorati invariati peggiorati 100% Grafico 9. Percentuali miglioramento da T0 a T1 Risultati passaggio da T1 a T2 35% 25% migliorati invariati 40% peggiorati Grafico 10. Percentuali miglioramento da T1 a T2 72 6.3 RISULTATI OSWESTRY LOW BACK PAIN DISABILITY QUESTIONNAIRE Di seguito viene riportata una griglia riassuntiva con tutti i risultati ottenuti dalla somministrazione dell’Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire ad ogni singolo paziente. T0 = inizio del trattamento T1 = dopo 10 sedute T2 = controllo dopo 2 mesi I dati sono espressi in percentuale di disabilità percepita dal paziente. Pazienti T0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 T1 48% 52% 72% 66% 54% 70% 80% 80% 84% 60% 52% 48% 40% 40% 62% 74% 38% 62% 56% 22% T2 10% 4% 6% 8% 4% 10% 8% 6% 20% 4% 6% 4% 8% 6% 8% 14% 4% 2% 8% 2% 8% 0% 12% 14% 0% 12% 4% 4% 22% 4% 2% 6% 8% 12% 18% 20% 2% 14% 2% 6% Grafico 16. Tabella dei risultati 73 Nei grafici che seguono sono stati riportati tutti i valori dell’Oswestry low back pain disability questionnaire per evidenziare le differenze tra la prima, la seconda e l’ultima valutazione. Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire 90% 80% 70% risultati 60% 50% 40% T0 30% T1 20% T2 10% 0% 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 pazienti Grafico 17. Istogramma risultati 90% 80% 70% risultati 60% 50% T0 40% T1 30% T2 20% 10% 0% 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 pazienti Grafico 18. Grafico a linee risultati 74 Per visualizzare meglio questi risultati si è creato un istogramma di frequenza. Frequenze Oswestry low back pain disability questionnaire 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 T0 T1 T2 Risultati Grafico 19. Istogramma di frequenza 75 Ad ogni intervallo di tempo vengono poi valutate le percentuali di miglioramento o peggioramento del gruppo. Risultati passaggio da T0 a T1 0% migliorati invariati peggiorati 100% Grafico 20. Percentuali miglioramento da T0 a T1 Risultati passaggio da T1 a T2 40% 50% migliorati invariati 10% peggiorati Grafico 21. Percentuali miglioramento da T1 a T2 76 6.2 RISULTATI TEST DI SCHOBER MODIFICATO Di seguito viene riportata una griglia riassuntiva con tutti i risultati ottenuti dalla somministrazione del test di Schober modificato ad ogni singolo paziente. T0 = inizio del trattamento T1 = dopo 10 sedute T2 = controllo dopo 2 mesi I risultati sono espressi in centimetri. Pazienti T0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 T1 3,5 4 2,2 2,5 3 3,5 3 2,3 3,5 4 3,8 3,3 4 3,5 3 2,5 4,2 2,5 3,2 4 T2 5 6 4 5 7 5,3 4,5 5 6 5,5 6 5,5 6,2 6,7 5,5 5,2 7 4,6 4,5 6,6 5 5 3,4 3 6,2 4 4,5 3,5 4,5 4,3 5 4 5,2 5,3 5 3,7 7 3,5 4,5 5,4 Grafico 11. Tabella risultati 77 Nei grafici che seguono sono stati riportati tutti i valori del test di Schober per evidenziare le differenze tra la prima, la seconda e l’ultima valutazione. Test di Schober modificato cm mobilità rachide lombare 8 7 6 5 4 T0 3 T1 2 T2 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 pazienti Grafico 12. Istogramma risultati cm mobilità rachide lombare 8 7 6 5 4 T0 3 T1 2 T2 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 pazienti Grafico 13. Grafico a linee risultati 78 Ad ogni intervallo di tempo vengono poi valutate le percentuali di miglioramento o peggioramento del gruppo. Risultati passaggio da T0 a T1 0% migliorati invariati peggiorati 100% Grafico 14. Percentuali miglioramento da T0 a T1 Risultati passaggio da T1 a T2 0% 20% migliorati invariati 80% peggiorati Grafico 15. Percentuali miglioramento da T1 a T2 79 CAPITOLO 7 DISCUSSIONE DEI RISULTATI Lo scopo di questo studio era di valutare l’efficacia del trattamento della lombalgia cronica aspecifica tramite l’allungamento muscolare globale decompensato su Pancafit in un gruppo di 20 persone campionate in modo non randomizzato. Per quel che riguarda i risultati del mio studio, il parametro che riguarda il dolore, è stato valutato somministrando una scala soggettiva, la VAS. Dai dati ottenuti emerge che dopo le 10 sedute, i pazienti hanno un notevole calo del dolore percepito, infatti abbiamo un miglioramento del sintomo sul 100% dei soggetti. Dopo due mesi dall’ultimo incontro invece i dati dimostrano che nel 40% dei pazienti il sintomo è rimasto invariato rispetto all’ultima seduta, nel 35% è peggiorato, mentre solamente il 25% è ulteriormente migliorato. Riguardo alla disabilità percepita dal paziente a causa della lombalgia cronica è stata somministrata una scala di misura soggettiva: l’Oswestry low back pain disability quesionnaire. Dai dati riportati emerge, alla fine delle 10 sedute, un miglioramento della totalità dei pazienti che percepiscono una notevole riduzione della propria disabilità. Al follow up dopo 2 mesi il 40% dei soggetti riferisce un ulteriore miglioramento, il 10% è rimasto invariato rispetto all’ultimo incontro mentre il 50% dei pazienti è lievemente peggiorato, senza però tornare al livello di disabilità percepito all’inizio del trattamento. Anche dal test di Schober, che valuta oggettivamente l’ampiezza articolare del movimento di flessione della colonna lombare, emerge che la mobilità 80 del rachide lombare è aumentata nella totalità dei pazienti alla fine delle 10 sedute, ma nel riscontro dopo 2 mesi soltanto nel 20% dei soggetti il risultato rimane invariato, mentre il restante 80% dimostra una riduzione della mobilità lombare che però non è tornata a livelli dell’inizio del trattamento. In tutte le valutazioni quindi emerge un miglioramento della totalità dei pazienti, rispetto alla prima seduta, che permane nel tempo, ma questi risultati tendono a regredire nel riscontro al follow up dopo 2 mesi in quanto una grande percentuale dei soggetti dimostra un peggioramento riferito a mobilità del rachide lombare, disabilità e dolore rispetto ai valori raggiunti al termine delle 10 sedute di trattamento. 81 CAPITOLO 8 CONCLUSIONI È generalmente riconosciuto che un buon risultato per trattare e soprattutto prevenire la lombalgia dipenda da diversi fattori[38]. In primo luogo occorre una buona prevenzione, tramite la corretta informazione del paziente sull’ergonomia posturale da tenere sia a casa che sul posto di lavoro. Poi per ogni paziente deve essere fatto un programma di esercizi personalizzato in base al problema e alle sue capacità. Ho voluto quindi provare, come modalità di trattamento, l’allungamento muscolare globale decompensato su Pancafit per valutarne o meno l’efficacia anche se il campione su cui ho lavorato era ristretto ad un gruppo di 20 persone senza gruppo di controllo e non randomizzato. I risultati di questa ricerca dimostrano come il Metodo Raggi, tramite gli esercizi di allungamento muscolare globale decompensato, può divenire una delle terapie utili a quei soggetti adulti affetti di lombalgie croniche aspecifiche e da rigidità muscolari. Gli esercizi di allungamento muscolare globale decompensato su Pancafit hanno infatti raggiunto i seguenti obiettivi: -diminuire o eliminare le componenti di tensione che inducono allo stato doloroso; -migliorare dell’elasticità delle catene muscolari statiche posteriori e anteriori del corpo; -recupero della funzione respiratoria del diaframma. 82 Grazie a questo tipo di lavoro, i soggetti sottoposti agli esercizi di allungamento muscolare globale hanno appreso: 1. ad eseguire l’esercizio terapeutico in modo diverso prendendo la conoscenza e coscienza del gesto, eliminando tensioni muscolare, blocchi articolari e respiratori. 2. ad evitare i compensi che il corpo mette in atto per sfuggire alle tensioni date da allungamenti muscolari. 3. a percepire se stessi più attivi nell’affrontare gli impegni e le attività della vita quotidiana. È da riscontrare però, come riportano i dati, che a medio termine i pazienti, se non esortati a continuare le attività di allungamento a domicilio, tendono a regredire rispetto alla fine del trattamento, anche se riescono a mantenere comunque i miglioramenti ottenuti. Il peggioramento si riscontra soprattutto per quel che riguarda l’ampiezza della flessione del rachide lombare, che diminuisce in ben 80% dei pazienti rispetto all’ultima seduta, anche se rimane comunque maggiore rispetto all’inizio della riabilitazione. Questo sta a dimostrare che gli esercizi di allungamento non vanno interrotti a lungo per mantenere dei buoni risultati, ma il paziente deve essere cosciente del suo corpo e far si che metta in pratica anche a casa le informazioni raccolte durante il periodo di trattamento[39]. Visti i risultati del follow up, si può giungere alle conclusioni riportate anche nelle linee guida toscane dove affermano che è probabile che gli stessi esercizi specifici non siano così importanti come la generale filosofia di incoraggiamento per i normali movimenti senza stressare eccessivamente la schiena[40]. Anche McKenzie crede che la dipendenza dal trattamento non sia desiderabile e debba essere evitata, quando possibile[41]. Quindi, oltre ad 83 eseguire i trattamenti necessari per alleviare i sintomi presenti, si deve insegnare al paziente a fare affidamento su se stesso, per renderlo indipendente dal terapeuta nella gestione delle terapie future. Per ottenere infatti un buon allenamento funzionale e mantenere i risultati ottenuti si deve: - Svolgere costantemente gli esercizi, anche a domicilio; - Correggere le posture errate nel lavoro e nell’ambiente domestico; - Adottare quando possibile posizioni di scarico vertebrale; - Sensibilizzare il paziente verso l’autogestione del proprio problema. Anche se il tipo di studio e la numerosità del campione non permettono di trarre delle conclusioni generalizzate e certe e in letteratura ancora non ci sia ancora nessuno studio che affermi l’efficacia di questa metodica, posso comunque dire, in base ai dati che ho raccolto, che questo tipo di trattamento ha dato dei buoni risultati a breve termine e quindi può essere una delle tecniche di riabilitazione da poter utilizzare in caso di pazienti con mal di schiena cronico aspecifico. Siccome i fattori che entrano in gioco sulla cura delle lombalgie sono molteplici e le statistiche evidenziano l’alta percentuale di popolazione che ne soffre almeno una volta nella propria vita [42], sottolineo l’importanza di approfondire le ricerche riguardo questa problematica che ci investe globalmente. Sarebbe necessario infatti proporre uno studio che rispetti le caratteristiche di un trial clinico controllato e randomizzato con uno sviluppo temporale del progetto di ricerca superiore ai 5 mesi, che permetterebbe un follow up a lungo termine ed il confronto con gruppi di controllo trattati o con tecniche sovrapponibili a tale metodica (es. Back School o Metodo Mezieres) o con trattamenti tradizionali. 84 Ritengo comunque, cosi come riportano alcuni autori[7,43], che sia necessario che da parte dei medici e dei terapisti si affronti la patologia con una collaborazione multidisciplinare atta a indirizzare il malato al migliore processo terapeutico di guarigione. 85 BIBLIOGRAFIA - [1] Allan DB, Waddell G. “An historical perspective on low back pain and disability”. Acta Orthop Scand Suppl. 1989; 234: 1-23 - [2] Frymoyer JW, Pope MH, Costanza MC, Rosen JC, Goggin JE, Wilder DG: “Epidemiologic studies of low-back pain”. Spine 1980;5:419-423 - [3] Anderson GBJ, “The epidemiology of spinal disorders”, In: Frymoyer JW ed., The Adult spine: principles and practise, 2°ed., New York: Raven Press,1997:93-141. - [4] Nachemson, A., Work for All. “For Those With Low Back Pain as wel”l, Clin. Orthop., p.77-85, 1983 - [5] Volinn E, Turczyn KM, Loeser JD. “Patterns in Low Back Pain Hospitalizations: Implications for the Treatment of Low Back Pain in an Era of Health Care Reform”. Clin J Pain 1994; 10: 64-70. - [6] Clinical Evidence . Low back pain (chronic) 2006 - [7] Fritz JM, Delitto A, Erhard RE. Comparison of classificationbased physical therapy based on clinical practice guidelines for patients with acute low back pain Spine 2003; 28:1363-72; - [8] Martini F, Timmons M, Tallitsch R. “Anatomia umana”. EdiSES, 2004 86 - [9] Marinozzi G., Gaudio E., Ripani M., “Anatomia clinica”, Antonio Delfino Editore, 1993 - [10] Netter F.H., “Atlante di anatomia umana”, Edizioni Masson, 2004 - [11] Platzer W. “Anatomia umana, apparato locomotore”. Casa editrice Ambrosiana. 2000 - [12] Testut L., Latarjet A., “Anatomia umana”, quinta edizione volume II, miologia e angiologia, editore UTET, 1972 - [13] Myers T.: "Meridiani Miofasciali" - Tecniche nuove, 2006 - [14] Airaksinen O, Brox JI, Cedraschi C, on behalf of the COST B13 “Working Group on Guidelines for Chronic Low Back Pain. Chapter 4. European guidelines for the management of chronic non specific low back pain”. Eur Spine J 2006; S 192-3000. - [15] Piano Nazionale Linee Guida Regioni. 1 Mal di schiena: raccomandazioni per la costruzione di percorsi assistenziali nelle cure primarie, 2005 - [16]Brotzman S. Brent. “La riabilitazione in ortopedia”. Excerpta Medica 2000 - [17] Kapandji I.A., “Fisiologia articolare”, vol. 3 – tronco e rachide, editore Maloine, 2002 87 - [18] Società Italiana di Medicina Generale (SIMG). Percorsi diagnostico terapeutici per l’assistenza ai pazienti con mal di schiena 2006 - [19] Lichter RL, Hewson JK, Radke SJ, Blum M. “Treatment of chronic back pain: Acommunity-based comprehensive return-towork physical rehabilitation program”. Clin Orthop 1984; 190: 115123 - [20] Godelieve D.S.: "Il manuale del mezierista" - Vol I e II, Ed.Marrapese (1996) - [21] Ferrante A.: "Manuale pratico di terapia miofunzionale" Marrapese editore (2004) - [22] Souchard, P., “Lo stretching posturale globale attivo”, Ed. Marrapese 2004 - [23] Mosca U.: "Manuale professionale di stretching" - Red edizioni 2003 - [24] Anderson B.: "Stretching" - ED.Mediterranee 2000 - [25] Postiglione G. "Stretching settoriale, globale, posturale". GLM Edizioni Marrapese, Roma, 2003. - [25] Souchard P.: "Il diaframma" - Editore Marrapese 1995 - [27] Campbell M.J.- Machin D. –“ Statistica medica” - wiley 2002 88 - [28] Galassi G. “Manuale di metodologia statistica”. Editrice Universo 2005 - [29] Bonaiuti – “Le scale di misura nelle malattie muscoloscheletriche” – IV Publisher 2000 - [30] Gift A.G. “Visual Analogue Scales: measurement of subjective phenomena”. Nurs. Res. 1938 - [31] Frigerio P. “La scala analogico visiva”. Bollettino ARIR 2:7-9, 1999 - [32] Fainbank JCT, Davies JB, Mboat JC, O’Brien JP. “Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire”. Physiotherapy, 1987 - [33] Triano JJ, Schultz AB. “Correlation of objective measure of trunk motion and muscle function with low back disability rating scale”. Spine 1987 - [34] Waddel G. Main CJ. “Assessment of severity in low back pain desorderes”. Spine 1984 - [35] Hezel M. Clarkson. “Valutazione cinesiologica”. Seconda edizione. Edi-Ermes 2005 - [36] Kendall F.P., Kendall McCreary E., Provance P.G., “I muscoli – funzioni e test”, quarta edizione, Verduci editore, 2002 - [37]Petty N.J., Moore A.P. “Esame fisico e valutazione neuromuscoloscheletrica”. Masson: 5-25 89 - [38] Deyo RA. “Conservative therapy for low back pain: Distinguishing useful from useless therapy”. JAMA 250 1983; (8): 1057 - [39] Kisner C , Colby L.A. “L’esercizio terapeutico: principi e tecniche di rieducazione funzionale”. Piccin 2002 - [40] Regione Toscana “Linee guida per la costruzione di percorsi assistenziali aziendali nella primary care, processo di gestioneassistenza della persona adulta affetta da mal di schiena”, 2003 - [41] McKenzie R. “La colonna lombare. Diagnosi e terapia meccanica”. Ed. Spinal Pubblications Italia. Milano, 1998 - [42] CSAG Committee on Back Pain. Back Pain. London: HMSO, 1994: 49-68. - [43] Mather CG. Effective physical treatment for chronic low back pain. Orthop Clin North Am 2004; 35: 57-64 90 SITOGRAFIA - www.giovannichetta.it/catenemuscolari - www.fisiobrain.com - www.fisionline.org - www.fitnessinsight.it - www.mckenzie-italia.com - www.my-personaltrainer.it - www.pancafit.net - www.sportmedicina.com - www.usl1.toscana.it - www.wikipedia.it 91