Compiti per le vacanze 2013 - Sito Istituto Comprensivo Albano

Transcript

Compiti per le vacanze 2013 - Sito Istituto Comprensivo Albano
Scheda 1
Data _________________
Alunno ______________________________
Leggi attentamente più volte il brano, quando sei certo di averlo capito bene inizia le esercitazioni.
1
GEPPETTO CREA PINOCCHIO da “ Le Avventure di Pinocchio” di Collodi
La porzione di testo qui accanto è un testo:
La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva es- □ Espressivo
□ Poetico
sere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco
□ Fantastico
buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di
□ Descrittivo
fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il
□ Regolativo
fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una
□ Narrativo
□ Realistico
pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una
□ Informativo
nuvola di fumo, che pareva fumo davvero.
Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino.
– Che nome gli metterò? – disse fra sé e sé. – Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina.
Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora
cominciò a lavorare a buono, e gli fece subito i capelli,
poi la fronte, poi gli occhi.
Fatti gli occhi, figuratevi la sua maraviglia quando si
accorse che gli occhi si muovevano e che lo guardavano
fisso fisso.
Geppetto, vedendosi guardare da quei due occhi di
legno, se n’ebbe quasi per male, e disse con accento risentito:
– Occhiacci di legno, perché mi guardate?
Nessuno rispose.
Allora, dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto, cominciò a crescere: e cresci, cresci, cresci
diventò in pochi minuti un nasone che non finiva mai.
Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma più
lo ritagliava e lo scorciva, e più quel naso impertinente
diventava lungo.
Dopo il naso, gli fece la bocca.
La bocca non era ancora finita di fare, che cominciò
subito a ridere e a canzonarlo.
– Smetti di ridere! – disse Geppetto impermalito; ma
fu come dire al muro.
– Smetti di ridere, ti ripeto! – urlò con voce minacciosa.
Allora la bocca smesse di ridere, ma cacciò fuori
Metti una X sulla risposta giusta
tutta la lingua.
Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non
avvedersene, e continuò a lavorare.
Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, le spalle,
lo stomaco, le braccia e le mani.
Appena finite le mani, Geppetto senti portarsi via la
parrucca dal capo. Si voltò in su, e che cosa vide? Vide
la sua parrucca gialla in mano del burattino.
– Pinocchio!... rendimi subito la mia parrucca!
E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la
messe in capo per sé, rimanendovi sotto mezzo affogato. A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece
triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua,
e voltandosi verso Pinocchio, gli disse:
– Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e
già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!
E si rasciugò una lacrima.
Restavano sempre da fare le gambe e i piedi.
Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì
arrivarsi un calcio sulla punta del naso.
– Me lo merito! – disse allora fra sé. – Dovevo pensarci prima! Ormai è tardi!
Poi prese il burattino sotto le braccia e lo posò in
terra, sul pavimento della stanza, per farlo camminare.
Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva
muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.
Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio
cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza;
finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare.
1) Rispondi sul quaderno a queste domande:
a) Che lavoro iniziò a fare Geppetto?
b) Appena fatti gli occhi del burattino Geppetto restò meravigliato : perché?
c) Cosa faceva il naso appena finit?
d) Quale fu l’ultima parte del burattino che Geppetto gli fece?
e) Come finisce il brano?
2) Nel brano ci sono undici verbi sottolineati; fai l’analisi grammaticale scrivendo sul quaderno: voce;
coniugazione; modo; tempo; persona.
3) Nel brano ci sono quattro nomi alterati, nell’ordine un diminutivo, un vezzeggiativo, un dispregiativo e un accrescitivo: trovali e trascrivili qui sotto insieme al nome primitivo da cui derivano.
1° _____________, deriva da_____________; 2°_____________, deriva da_____________;
3° _____________, deriva da_____________; 4°_____________, deriva da_____________;
4) Disegna sul quaderno la casa di Geppetto in base alla descrizione (1) del testo.
5)
Scheda 2
Data _________________
Alunno _____________________________
Leggi attentamente più volte il brano, quando sei certo di averlo capito bene inizia le esercitazioni.
LA FORZA DELLE PAROLE
Papà era giardiniere e faceva un lavoro faticoso ma non si tirava mai indietro, perché lo faceva per noi:
per me, per la mamma e per mia sorella Clara che aveva un anno più di me e mi trattava come un moccioso.
Voleva che studiassimo.
Pensava che questo ci avrebbe permesso non solo di sapere molte cose, ma anche di aspirare ad una vita
più sicura di come capitava a noi che dipendevamo dalla benevolenza dei signori Tremendissimi, dei
Gallina, dei Parapiglia e di quanti gli chiedevano di lavorare per i loro giardini.
Già…
Ma io allora ero un po’ discolo e mi piaceva molto giocare a pallone, correre dietro al mio aquilone, andare a pescare nel fiume che scorreva vicino casa.
Ecco perché avevo preso quel brutto voto: non avevo studiato per la verifica di storia e non sapevo nulla
dell’era neolitica.
Non sapevo.
Punto e basta.
Papà era stato chiaro: quel pomeriggio sarei andato a lavorare con lui, lo avrei aiutato e sarei entrato nel
giardino di quei tizi dal cognome impossibile, i Signori Tremendissimi di Valpaura.
In paese si diceva che nascondessero qualcosa di davvero terrificante oltre l’alta muraglia di recinzione
di casa loro. Alcuni ragazzi si vantavano di aver cercato di scalarla e di aver visto dalla sommità un
bambino con tre teste legato ad una catena che miagolava come un gatto e che al posto delle dita aveva
unghie lunghe quanto una mano.
Qualcuno giurava di aver visto da lontano una macchina cigolante che tagliava in due di chi si introduceva nella villa di nascosto.
Io credevo che fosse vera la storia del pozzo in mezzo al giardino, infestato da serpenti così lunghi che
potevano uscire all’improvviso e attorcigliarsi alle gambe di chi passava vicino.
Erano tutti racconti brutti ed io avevo paura.
Così, finito il pranzo, mi alzai dalla sedia di malavoglia e pensai che forse mio padre volesse sbarazzarsi
di me.
Che altro significato poteva avere quello che mi aveva detto all’inizio del pranzo:
“Hai preso un altro brutto voto?
Mi deludi, Marco.
Vuol dire che oggi verrai con me.”
Cosa doveva farsene, pensavo, di un figlio che non studiava e ripagava tutte le sue fatiche con brutti voti? Tanto valeva fargli fare una brutta fine in casa dei Tremendissimi…!
Mi sentivo in colpa.
Clara mi aveva ignorato, la mamma mi aveva raccomandato di ubbidire e mio padre aveva detto:
“Sbrigati e portati un cappello; c’è sole, avrai caldo”.
Eravamo partiti da casa a bordo del suo camioncino con il tagliaerba e tutti gli attrezzi di lavoro.
Quando giungemmo davanti a casa dei Tremendissimi con un cancellone nero, di ferro, che non lasciava
vedere all’interno del giardino, papà scese per aprirlo e a me vennero i brividi.
Entrammo.
Io che tremavo come una foglia, restai stupefatto.
Mentre avanzavamo sulla ghiaia del vialetto rimasi colpito dalla bellezza dello spettacolo che mi apparve.
Vedevo aiuole verdi rasate di fresco che si alternavano a siepi di arbusti fioriti e a zone ombrose con alberi svettanti che lasciavano fluttuare le loro chiome alla brezza di primavera.
Un mare di colori e di profumi mi accolse, mentre scendevo titubante dall’automezzo.
Non vedevo esseri a tre teste miagolanti né pozzi pericolosi né tanto meno ghigliottine.
Mi rassicurai.
Papà mi disse: “Marco, aiutami!
I padroni di casa sono partiti per il fine settimana e la loro cagna ha avuto una bella cucciolata.
Controlliamo madre e piccoli e puliamo la cuccia”.
Seguii mio padre, curioso.
Sul retro della casa, nel box, vidi la grossa cesta con un bel cane che allattava sei cuccioletti dal pelo
scuro, con la punta delle zampine e del musino chiari.
“Stai attento! Avvicinati piano e con rispetto.
Stammi vicino e te li farò accarezzare”.
Poco dopo passavo la mano sul pelo caldo e morbido dei cagnolini.
Era una sensazione bellissima.
Mi sembrava che aspettassero solo me per farsi toccare dolcemente.
Quando papà mi suggerì di riempire la ciotola dell’acqua e come fare per quella del cibo, non esitai un
momento e feci tutto per bene.
Poi insieme controllammo il prato per vedere se l’impianto di irrigazione aveva funzionato a dovere e
trapiantammo nei vasi alcune piantine che erano in una cassetta a bordo del camioncino di papà.
Intorno alle quattro papà mi chiese se avessi fame e volessi far merenda; io risposi di sì.
Mentre mangiavamo il panino che la mamma ci aveva preparato, papà mi fece quel discorso che non ho
più dimenticato.
“Ti ho portato con me oggi, perché volevo che tu vedessi come guadagno ogni giorno i quattrini che
servono per la nostra famiglia.
I soldi non crescono sugli alberi, lavorare e guadagnare costa fatica.
Sei stanco, vero?
Anch’io lo sono alla fine di ogni giornata.
Questo è il mio lavoro, sono contento di averlo e lo faccio al meglio che posso, perché voglio che chi mi
paga, sappia che può contare su di me.
Andare a scuola è il tuo lavoro.
Devi imparare a farlo bene, perché sei tu che paghi per te stesso.
Te ne accorgerai da grande.
La scuola non è tempo perso né divertimento e basta.
E’ il momento in cui i ragazzi si preparano per quando saranno adulti.
Lo so che ti sembra un tempo lontano, quasi una cosa che capiterà ad un altro, ma quell’altro sei proprio
tu.
Devi imparare che il compito che ti viene affidato, deve essere fatto bene.
Tu sei fortunato, perché ci sono state epoche in cui i bambini come te lavoravano duramente e vi sono
nazioni in questo avviene ancora oggi.
Andare a scuola è come costruire una casa fatta di tanti mattoncini che sono le conoscenze che ogni
giorno acquisisci e che ti serviranno da grande”.
Rimasi stupito.
Non avevo mai pensato alla scuola in questo modo.
Papà con le sue parole semplici mi aveva fatto pensare ad essa in modo nuovo.
Quel giorno ho anche scoperto che le parole possono cambiare la vita delle persone.
La mia è cambiata.
Mi sono appassionato alle parole, ne ho compreso il significato e la forza e sono diventate il mio lavoro
di scrittore che scrive fiabe, come questa.
Ho scoperto che “tremendo ” deriva dal verbo latino “tremere” che è il modo in cui i Romani indicavano
la conseguenza dell’avere freddo o aver paura, come ne avevo avuta io per tanto tempo, e “paura” deriva
dal latino “pavor” che significa paura, ma è anche collegato all’idea di pavido, fifone, come lo ero io a
quell’età.
Ormai le parole non mi fanno più paura.
…A proposito… negli anni ho poi conosciuto Mariella Tremendissimi, una bella ragazza bionda e gentile.
Ci siamo innamorati e finita l’università ci siamo sposati.
Ecco a che serve andare a scuola e studiare: senza alcun dubbio ad imparare e, talvolta, anche a conoscere la compagna della propria vita…
Rispondi alle domande sul testo precedente:
1) (metti una X sulla risposta giusta)
Il protagonista del racconto :
□ era bravissimo a scuola; □ aveva qualche problema a scuola; □ non voleva andare a scuola.
2) In base a quanto scritto nel testo spiega il perché della risposta che hai scelto sopra.
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________
3) Qual era il motivo per cui la famiglia Tremendissimi di Valpaura spaventava tante persone?
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
4) Perchè il padre del protagonista va spesso a casa della famiglia Tremendissimi?
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
5) Spiega con parole tue come fa il padre di Marco a fargli capire che la scuola è importante?
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
6) Nel brano ci sono dei nomi e degli aggettivi sottolineati: fai l’analisi grammaticale sul quaderno.
7) Nella lingua Italiana“ridere come una jena”, “correre come una lepre”, “mangiare come un maiale”, “dormire come un ghiro” sono espressioni definite similitudini. C’è una similitudine simile anche in questo brano: trovale e copiala qui sotto.
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
8) Hai capito cosa vuole insegnarti questo brano? Marco, il protagonista del racconto, impara qualcosa
d’importante dal padre? Cosa? Scrivi nelle righe sottostanti, usando parole tue, cosa vuole insegnare
il racconto a chi lo legge.
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
Scheda 3
Data _________________
Alunno _______________________________
Ed ora… goditi questo meraviglioso e commovente racconto del grande scrittore per ragazzi Gianni
Rodari! Leggi attentamente, anche più di una volta, e sforzati di capire il significato del brano.
IL PROFESSOR GRAMMATICUS
di Gianni Rodari
Il professor Grammaticus, viaggiando in treno, ascoltava la conversazione dei suoi compagni di scompartimento. Erano operai meridionali, emigrati all’estero in cerca di lavoro: erano tornati in Italia per le
elezioni, poi avevano ripreso la strada del loro esilio.
Io ho andato in Germania nel 1958 – diceva uno di loro.
Io ho andato prima in Belgio, nelle miniere di carbone. Ma era una vita troppo dura.
Per un poco il professor Grammaticus li stette ad ascoltare in silenzo. A guardarlo bene, però, pareva
una pentola in ebollizione. Finalmente il coperchio saltò, e il professor Grammaticus esclamò, guardando severamente i suoi compagni:
Ho andato! Ho andato! Ecco di nuovo il benedetto vizio di tanti italiani del Sud di usare il verbo avere
al posto del verbo essere. Non vi hanno insegnato a scuola che si dice:”sono andato“?
Gli emigranti tacquero, pieni di rispetto per quel signore tanto perbene, con i capelli bianchi che gli uscivano di sotto il cappello nero.
Il verbo andare, – continuò il professor Grammaticus, – è un verbo intransitivo, e come tale vuole
l’ausiliare essere.
Gli emigranti sospirarono. Poi uno di loro tossì per farsi coraggio e disse: – Sarà come dice lei, signore.
Lei deve aver studiato molto. Io ho fatto la seconda elementare, ma già allora dovevo guardare più alle
pecore che ai libri. Il verbo andare sarà anche quella cosa che dice lei.
- Un verbo intransitivo.- Ecco, sarà un verbo intransitivo, una cosa importantissima, non discuto. Ma a me sembra un verbo triste, molto triste. Andare a cercar lavoro in casa d’altri… Lasciare la famiglia, i bambini.
Il professor Grammaticus cominciò a balbettare, i bambini.
- Certo… Veramente… Insomma, però… Comunque si dice, sono andato, non ho andato. Ci vuole il
verbo essere: io sono, tu sei, egli è…
- Eh,- disse l’emigrante, sorridendo con gentilezza, – io sono, noi siamo!… Lo sa dove siamo noi, con
tutto il verbo essere e con tutto il cuore? Siamo sempre al paese, anche se abbiamo andato in Germania
e in Francia. Siamo sempre là, e là che vorremmo restare, e avere belle fabbriche per lavorare, e belle
case per abitare.
E guardava il professor Grammaticus con i suoi occhi buoni e puliti.
E il professor Grammaticus aveva una gran voglia di darsi dei pugni in testa. E intanto borbottava tra sé:
– Stupido! Stupido che non sono altro. Vado a cercare gli errori nei verbi… Ma gli errori più grossi sono
nelle cose!
1) Il prof. Grammaticus va su tutte le furie quando i poveri emigranti, che hanno studiato poco, confondono il verbo “avere” con il verbo “essere”. Tu, invece, che a scuola ci vai, dimostra di conoscere bene
i due ausiliari avere ed essere completando i primi due tempi
ESSERE modo indicativo
PRESENTE
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
AVERE modo indicativo
PASSATO PROSSIMO
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
PRESENTE
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
PASSATO PROSSIMO
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
2) Perché gli operai sul treno non hanno studiato? (metti una X sulla risposta giusta)
□ Perché non amavano molto la scuola
□ Perché erano poveri e costretti a lavorare sin da piccoli
□ Perché ai loro tempi la scuola non esisteva
3) Perché gli operai sul treno hanno lasciato il loro paese al sud dell’Italia per trasferirsi all’estero?
□ Perché nel sud Italia non c’era lavoro.
□ Perché erano affascinati dalle grandi e belle città europee
□ Perché nel sud Italia faceva troppo caldo
4) Gli operai sul treno sono felici di aver abbandonato il loro paese per trasferirsi all’estero?
□ Si, perché all’estero- hanno trovato lavoro
□ No, perché hanno dovuto lasciare nel loro paese i figli, le mogli, i parenti e gli amici
□ No, perché all’estero il clima non è bello come da noi in Italia.
5) Alla fine il professor Grammaticus capisce di non essersi comportato bene nei riguardi degli operai
suoi compagni di viaggio; è pentito di averli rimproverati e vorrebbe darsi dei pugni in testa. Perché?
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
6) Alla fine del brano il professor Grammaticus dice che gli errori più gravi non stanno nei verbi ma
nelle cose… Quali potrebbero essere, secondo te, queste cose sbagliate?
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________ ________
7) Adesso prova a pensare che il racconto continui; dopo aver capito di non essere stato affatto carino
nei riguardi degli operai suoi compagni di viaggio, il professor Grammaticus, rivolgendosi all’ultimo
operaio emigrante che aveva parlato, quello con gli occhi buoni e puliti, gli dice:
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
8) Ora ti diamo qualche informazione sul grande scrittore per ragazzi Gianni Rodari. Leggi attentamente le notizie sulla sua vita in modo da imparare a conoscerlo megio.
GIANNI RODARI nacque ad Omegna, nella provincia di Novara nel 1927.
Maestro elementare per qualche anno, giornalista, redattore di Paese sera, collaboratore di altri giornali e
di programmi televisivi; dal 1950 si è dedicato alla letteratura per l’infanzia con “Le avventure di Cipollino”, suo primo libro tradotto in tantissime lingue e adottato addirittura, come libro di testo nelle scuole,
nei paesi dell’Est europeo, al tempo dell’Unione Sovietica.
Rodari è tra gli scrittori italiani più tradotti all’estero. Non solo i bambini e non solo in Italia conoscono
le sue filastrocche e le sue favole amatissime.
Il bisogno di giocare con le parole per inventare nuove realtà è sentito in tutti i paesi e ad ogni età.
Favole al telefono è il suo libro più conosciuto, ma anche: Filastrocche in cielo e in terra, Il libro degli
errori, Grammatica della fantasia, C’era due volte il barone Lamberto, sono opere molto apprezzate e
coinvolgenti. Morì nel 1980 a soli 53 anni.
Scheda 4
Data _________________
Alunno ________________________
Eh si, eh già, il professor Grammaticus ha ormai capito che la grammatica nella vita non è tutto… perciò ha deciso di riformarla… (cambiarla)
LA RIFORMA DELLA GRAMMATICA di Gianni Rodari
Il professor Grammaticus, un giorno, decise di riformare la grammatica. - Basta, - egli diceva, - con tutte
queste complicazioni. Per esempio, gli aggettivi, che bisogno c'è di distinguerli in tante categorie? Facciamo due categorie sole: gli aggettivi simpatici e gli aggettivi antipatici. Aggettivi simpatici: buono, allegro, generoso, sincero, coraggioso. Aggettivi antipatici: avaro, prepotente, bugiardo, sleale, e via discorrendo. Non vi sembra più giusto?
La domestica che era stata ad ascoltarlo rispose: - Giustissimo.
- Prendiamo i verbi, - continuò il professor Grammaticus. - Secondo me essi non si dividono affatto in
tre coniugazioni, ma soltanto in due. Ci sono verbi da coniugare e quelli da lasciar stare, come per esempio: mentire, rubare, ammazzare, arricchirsi alle spalle del prossimo. Ho ragione sì o no?
- Parole d'oro - disse la domestica. E se tutti fossero stati del parere di quella buona donna la riforma si
sarebbe potuta fare in dieci minuti.
Eh già, sarebbe interessante avere solo due tipi di aggettivi: simpatici e antipatici e due tipi di verbi: da
coniugare e da lasciar stare! Prova tu a continuare la riforma iniziata dal professor Grammaticus.
AGGETTIVI
SIMPATICI
Buono
Allegro
Generoso
Sincero
Coraggioso
•
AGGETTIVI
ANTIPATICI
Prepotente
Bugiardo
Avaro
Sleale
VERBI
DA CONIUGARE
Amare
Studiare
VERBI
DA LASCIAR STARE
Mentire
Rubare
Ammazzare
Ora crea sul tuo quaderno un breve testo che contenga almeno un aggettivo simpatico, un aggettivo antipatico, un verbo da coniugare e un verbo da lasciar stare tra quelli che hai inserito nelle colonne. Finito
il testo cerchia su di esso i due aggettivi e i due verbi che hai usato.
Scheda 5
Data _________________
Alunno ________________________
PINOCCHIO E LA SCUOLA da “ Le avventure di Pinocchio” di Collodi
(...) Il giorno dopo Pinocchio andò alla scuola comunale.
Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro scuola un burattino!
Fu una risata, che non finiva più.
Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro; chi gli levava il berretto di mano; chi gli tirava il giubbettino di
dietro; chi si provava a fargli coll'inchiostro due grandi baffi sotto il naso; chi si attentava perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani per farlo ballare.
Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via; ma finalmente, sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli, che più lo tormentavano e si pigliavano gioco di lui, e disse loro a muso duro: - Badate,
ragazzi: io non son venuto qui per essere il vostro buffone. Io rispetto gli altri e voglio essere rispettato.
- Bravo ! Hai parlato come un libro stampato! - urlarono quei monelli, buttandosi via dalle matte risate:
e uno di loro, più impertinente degli altri allungò la mano coll'idea di prendere il burattino per la punta
del naso.
Ma non fece a tempo: perché Pinocchio stese la gamba sotto la tavola e gli consegnò una pedata negli
stinchi.
- Ohi! Che piedi duri! - urlò il ragazzo stropicciandosi il livido che gli aveva fatto il burattino. - E che
gomiti!... anche più duri dei piedi! - disse un altro che, per i suoi scherzi sguaiati, s'era beccata una gomitata nello stomaco.
Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata Pinocchio acquistò subito la stima e la simpatia di tutti i
ragazzi di scuola: e tutti gli facevano mille carezze e tutti gli volevano un bene dell'anima.
E anche il maestro se ne lodava, perché lo vedeva attento, studioso, intelligente, sempre il primo a entrare nella scuola, sempre l'ultimo a rizzarsi in piedi, a scuola finita.
Il solo difetto che avesse era quello di bazzicare troppi compagni: e fra questi, c'erano molti monelli conosciutissimi per la loro poca voglia di studiare e di farsi onore.
Il maestro lo avvertiva tutti i giorni, e anche la buona Fata non mancava di dirgli e di ripetergli più volte:
- Bada, Pinocchio! Quei tuoi compagnacci di scuola finiranno prima o poi col farti perdere l'amore allo
studio e, forse forse, col tirarti addosso qualche grossa disgrazia.
- Non c'è pericolo! - rispondeva il burattino, facendo una spallucciata e toccandosi coll'indice in mezzo
alla fronte, come per dire: "C'è tanto giudizio qui dentro!".
(metti una X sulla risposta giusta)
1) Cosa fecero i compagni di classe il primo giorno di scuola, appena conosciuto Pinocchio?
□ Lo accolsero gentilmente
□ Lo picchiarono
□ Lo presero in giro e lo tormentarono
2) Ad un certo punto Pinocchio perde la pazienza e cosa fa?
□ Tira calci e gomitate ai compagni che lo prendono in giro
□ Scappa via da scuola
□ Piange e chiede aiuto alla fatina buona
3) All’inizio Pinocchio a scuola si comportò da bravo bambino e da studente responsabile , cos’è che lo
fece diventare discolo e somaro?
□ A forza di studiare si stancò e non volle impegnarsi più
□ Non fu mai davvero buono, fece solo finta perché sapeva che il grillo parlante e la fatina lo osservavano
□ Le cattive compagnie lo influenzarono.
4) Fai sul quaderno un disegno che rappresenti una delle tre risposte giuste che hai dato.
5) E tu ricordi il tuo primo giorno di scuola? Scrivi sul quaderno quello che ricordi.
Scheda 6
Data _________________
Alunno ________________________
LA PAGINA DELLA POESIA - Come già saprai la poesia serve a trasmettere emozioni, messaggi e
idee. Per farlo si serve dei suoni delle parole e del ritmo delle sillabe. Le parole che il poeta scegli formano i versi che spesso finiscono con suoni simili: le rime. Altri trucchetti che il poeta usa per creare le
sue poesie sono le personificazioni, le similitudini e le metafore
Chi di noi non e mai rimasto affascinato
dalla magia delle bolle di sapone?
Le cose belle della vita sono semplici, durano pochissimo e bisogna sapersi guardare intorno per non perdere il fascino
della loro bellezza.
Ecco una meravigliosa poesia del grande
scrittore e poeta Gabriele D’Annunzio.
LA BOLLA DI SAPONE
Gabriele D'Annunzio
La bolla
spunta a poco a poco dalla cannuccia,
si arrotonda, cresce, si colora.
Poi riflette la finestra,
i vasi di fiori in cielo.
E il bimbo,
prima di lanciarla al vento,
ci si specchia dentro.
La fa dondolare lievemente,
poi la stacca.
La bolla s’innalza,
brilla un istante al sole e sparisce.
In questo caso l’autore ha scritto una poesia con la rima baciata
per aiutarti a ricordare il messaggio utile e simpatico che vuole
esprimere. Leggi attentamente e… fanne tesoro!
IL TRUCCO di M. Faustanelli
A casa mia (come a casa tua)
c'è un quadro luminoso
né quadrato né tondo
da cui si vede il mondo,
una finestra fosforescente
a cui s'affaccia un sacco di gente;
signorine, cantanti, signori noiosi,
attori, musicanti, animali curiosi
e, meglio di tutti, tra fischi e boati
i pupazzetti dei cartoni animati...
Così, di guardare, ascoltare non la finirei mai.
Ma a restare imbambolati so che si rischiano guai:
come farsi poltroni, restare di stucco...
Sicché ho imparato il trucco:
dopo un'oretta, zac!... spengo e addio,
il mondo me lo scopro per conto. mio.
Per esprimere meglio le sue emozioni il poeta usa delle
immagini fatte di … parole. Sono le IMMAGINI POETICHE.
Te ne ricordo tre:
1) LA PERSONIFICAZIONE: il poeta ci parla di animali o addirittura di cose come se fossero persone.
2) LA SIMILITUDINE: il poeta fa un paragone tra due o più
cose trovando degli elementi simili. Spesso le similitudini sono introdotte dalla parola “come”.
3) LA METAFORA: somiglia un po’ alla similitudine ma non
c’è un paragone tra due cose; il poeta parla di una cosa
ma, in realtà, ti sta spiegando o descrivendo un’altra cosa. Le immagini poetiche le trovi sul tuo libro di lettura.
Cercale e ripassale.
Ora tocca a te….crea sul quaderno una o più poesie su alcuni
argomenti che ti piacciono, per esempio sul luogo
dove sei stato in vacanza (Mare, montagna, città o altro).
Mi raccomando, cerca di usare le tre immagini poetiche.
In quest’altra poesia l’autore, che è stato un famoso scrittore di romanzi d’avventura , crea una meravigliosa similitudine tra il letto del bambino e un
grande veliero. Ne consegue che il sonno non è più
un momento fermo e di riposo, ma un viaggio avventuroso che si conclude al mattino col risveglio.
IL MIO LETTO E’ UNA NAVE
di Robert Louis Stevenson
Il mio letto è come un veliero:
Cummy alla sera mi aiuta a imbarcare,
mi veste con panni da nocchiero
e poi nel buio mi vede salpare.
Di notte navigo e intanto saluto
tutti gli amici che attendono al molo,
poi chiudo gli occhi e tutto è perduto,
non vedo e sento più, navigo solo.
E a volte mi porto a letto qualcosa,
come ogni buon marinaio deve fare,
a volte una fetta di torta cremosa,
a volte balocchi per giocare.
Navigo tutta la notte come in volo,
ma quando infine il giorno è ritornato
salvo nella mia stanza, accanto al molo
il mio veliero è di nuovo attraccato.
Scheda 6
Scheda 7
Data _________________
Alunno ________________________
LA MEDUSA
Avrete forse veduto al mare una medusa. Forse l'avrete ahi ahi! anche toccata.
Ma che cos' è una medusa?
Pare un ombrellino e si sposta nell'acqua aprendosi e chiudendosi proprio come un ombrello.
La medusa è un animale che vive solo nell'acqua.
È trasparente e spesso colorata, sembra di vetro ma è molle ed elastica perché il suo corpo è composto
soprattutto di acqua: una medusa 'asciugata' è irriconoscibile, e presto di essa non rimane nulla. Dalle
uova della medusa nascono piccolissime larve che per un po' nuotano e poi vanno a posarsi sul fondo
del mare.
Qui si fissano e cambiano forma, alcune sviluppandosi come piante con rami e fior, che naturalmente
non sono veri fiori, altre invece (ne esistono molte specie diverse) continuando a nascere una dopo l'altra, ossia una dall'altra: come una pila di piatti, dei quali quello di sopra appena maturo si stacca e diventa... una medusa!
Queste forme fisse al fondo del mare si chiamano polipi: ma attenti a quella i non vi sto parlando dei
polpi, che sono molluschi marini provvisti di tentacoli.
La medusa, che si muove libera nel mare o si lascia trasportare dalla corrente, che cosa vede?
Certo non può vedere e capire come noi, e neanche quanto un pesce.
Ma essa ha molti minuscoli organi detti "ocelli", che significa "piccoli occhi", i quali le fanno vedere la
luce. Sapere dove c'è luce e calore, ossia il sole, alla medusa basta.
E sa anche come difendersi dai pericoli.
Sul suo corpo, e soprattutto sui tentacoli quelle barbe molli e mobili che pendono dall'ombrello ci sono
tante piccole camere che contengono un filo sottile avvolto come un' gomitolino, e una gocciolina di veleno. Se la medusa urta qualcosa, questo filo si svolge uscendo dalla sua camera, e punge.
Per questo toccare una medusa fa bruciare la pelle.
L’UOMO DI NEANDERTHAL
L'uomo di Neanderthal è una specie di essere umano del paleolitico me- Quando un testo come quelli in
dio. I primi uomini di Neanderthal compaiono circa 200.000 anni fa in
questa pagina, ci dà informazioEuropa, Africa ed Asia. La specie è contemporanea degli homo sapiens. I ni su qualcuno o qualcosa, è un
testo:
reperti che testimoniano l'esistenza dei Neanderthal sono concentrati
□ Espressivo
prevalentemente in Europa. Lo stesso nome Neanderthal deriva dalla val- □ Poetico
le di Neander, nei pressi di Dusseldorf ( Germania ), ove sono rivenuti i □ Fantastico
primi reperti fossili nel 1856 da parte di Johann Fuhlrot. L'uomo di Ne- □ Descrittivo
anderthal è caratterizzato da una statura bassa ma robusta e da un cranio □ Regolativo
allungato con le arcate sopraccigliari pronunciate. In Europa gli uomini □ Narrativo
di Neanderthal dimostrano d'essere particolarmente abili nella produzio- □ Realistico
ne dei manufatti in osso. Le migrazioni dei Neanderthal contribuiscono □ Informativo
alla loro diffusione soprattuto in Europa e in Asia, fino in Cina. NonoMetti una X sulla risposta giusta
stante siano rinvenute comunità neanderthaliane anche in Sud Africa, i
Neanderthal non si distribuiscono allo stesso modo anche nel resto dell'Africa. La specie degli uomini di
Neanderthal scompare circa 30 mila anni fa per cause ancora non precisate. Probabilmente gli uomini di
Neanderthal sono annientati dall'espansione degli Homo Sapiens e dalla conseguente perdita dei territori
di caccia. Secondo una teoria genetica un processo di ibridazione, dovuto alla stretta convivenza, ha
consentito ad una parte dei neanderthalensis di fondersi con i Sapiens.
Ora tocca a te, crea sul quaderno un testo informativo su uno di questi argomenti: il mio paese; la mia famiglia;
la mia casa; il posto dove vado a fare la spesa; il luogo dove sono andato in vacanza.
ATTENZIONE, non si tratta di un testo descrittivo e quindi non devi descrivere nulla, nemmeno raccontare perché non è un testo narrativo e nemmeno esprimere le tue impressioni perché non è un testo soggettivo o poetico:
devi solo dare informazioni obiettive che diano un’idea esatta e reale dell’argomento di cui parli.
Scheda 8
Data _________________
Alunno ________________________
Ecco un altro bellissimo racconto di Gianni Rodari;leggilo attentamente , individua le parti più importanti e fai il riassunto sul quaderno che non superi i quindici righi.
IL COLOSSEO di Gianni Rodari
Questa è una storia vera. Un passero cresceva in casa di un vigile urbano amico mio. Lo aveva trovato
per terra presso il capolinea del 28 una mattina presto: doveva essere caduto dal nido, perché non sapeva
volare.
Il vigile lo portò a casa, lo nutrì, gli fece il nido in un vecchio kepì di sughero, di quelli che i vigili portano d’estate. Lo chiamò Sasà e gli voleva un gran bene.
Anche il passero gliene voleva. Per esempio, se squillava il campanello e qualcuno entrava in casa, il
passero continuava tranquillamente a fare quel che stava facendo: passeggiare sotto il tavolo, becchettare in cucina, esplorare sotto i mobili; ma se entrava il vigile, il passero correva alla porta cinguettando
per dargli il benvenuto. Quando la famiglia andava a tavola, il passero s’accoccolava vicino al piatto del
vigile e gli beccava i piselli dello spezzatino.
Il vigile aveva un bambino di nome Roberto. Anche Roberto voleva bene al passero e il passero gli voleva bene, ma non come al padre.
Una mattina Sasà fu trovato morto e Roberto scoppiò in lacrime.
- Non piangere, - gli disse il padre. – Ora mettiamo Sasà in questa scatoletta. Tu sta’ attento che nessuno
lo tocchi, e dopo pranzo lo portiamo a seppellirlo.
Alle due il vigile tornò dal suo lavoro; pranzò con la famiglia, poi, siccome aveva mezza giornata di libertà, prese Roberto per mano, si mise in tasca la scatoletta con il povero Sasà e uscì. Prima però aveva
involtato la scatoletta in un robusto foglio di carta da zucchero e l’aveva legata con uno spago in croce.
- Vieni, - disse a Roberto.
- Dove lo portiamo? - domandò il bambino. – Al cimitero?
- No, là non ce lo lasciano mettere. E poi è un passero: sotto terra non ci starebbe bene.
- Allora dove?
- Vedrai, - disse il vigile.
Montarono su un filobus; scesero in centro; aspettarono un autobus e con questo arrivarono fino in piazza del Colosseo.
Roberto non aveva mai visto il Colosseo e gli parve così grande che non ci stava negli occhi.
Padre e figlio entrarono al Colosseo, fecero il giro della vasta arena su cui un tempo combattevano leoni
e gladiatori, salirono sulla prima galleria dove c’è il palco dell’imperatore, salirono sulla seconda galleria e poi sul terrazzino più alto. Di lassù si vedeva tutto l’interno del Colosseo e si respirava un’aria così
forte che dava le vertigini.
Il vigile si guardò attorno per assicurarsi che i guardiani non lo stessero spiando; poi si tolse la scatoletta
di tasca, la infilò in una fenditura tra due massi e la ricoperse di terriccio e di calcinacci grattati lì intorno.
Ogni volta che vado al Colosseo mi fermo a guadare i turisti di tutto il mondo che scattano fotografie e
si fanno spiegare dai ciceroni i gladiatori, i leoni, i cristiani, gli imperatori, e via dicendo.
E mi viene un po’ da ridere a pensare che la cosa più curiosa e gentile di tutto il Colosseo, che è così
grosso e così vecchio, è un piccolo passero sepolto lassù lassù nella sua scatoletta avvolta nella carta da
zucchero.
In ogni cosa c’è sempre un piccolo segreto che i ciceroni non conoscono.
•
Fai l’analisi grammaticale sul quaderno di tutte le parole sottolineate.
Scheda 9
Data _________________
Alunno ________________________
Ricordi le cose che abbiamo detto su Don Milani? Era davvero una persona giusta, sempre pronta a
combattere contro le ingiustizie e a difendere i più deboli… Una specie di Robin Hood moderno…
In questo brano scritto da lui stesso in una lunga lettera rivolta a dei giudici durante un processo ecco
come presenta brevemente la sua scuola di Barbiana…
Da “ L’OBBEDIENZA NON È PIÙ UNA VIRTÙ ” di Don Lorenzo Milani
…. vi occorrerà prima sapere come mai oltre che parroco io sia anche maestro.
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola elementare. Cinque classi
in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare.
Timidi e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in
città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i
ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in
città. Nessuno aveva da ridire.
Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.
La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme….
1) Dopo aver conosciuto Don Milani, cosa pensi che sia giusto fare quando assistiamo ad una cosa in-
giusta ?
(tra queste possibili risposte non ce n’è una esatta o una sbagliata, sono tutte possibili, mi piacerebbe solo sapere come ti comporteresti dopo aver letto il pensiero di Don Milani)
□ Far finta di niente, soprattutto se non ci riguarda direttamente
□ Intervenire in qualche modo solo se l’ingiustizia riguarda noi
□ Intervenire sempre e comunque, perché ogni ingiustizia subita da qualcuno è come se fosse stata
fatta a te, perché avresti potuto essere tu a subirla
2) Ti è mai successo di assistere ad una cosa ingiusta? Oppure, ti è mai accaduto di essere tu a subire
un’ingiustizia? Racconta sul quaderno.
2) Riscrivi nelle righe sottostanti tutta la parte del brano sottolineata nel testo, dividendo in sillabe ogni
parola.
______________________________________________________
Vi oc-cor-re-rà pri-ma sa-pe-re
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________
3) Completa i due futuri dei due ausiliari essere e avere
ESSERE modo indicativo
FUTURO SEMPLICE
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
FUTURO ANTERIORE
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
AVERE modo indicativo
FUTURO SEMPLICE
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
FUTURO ANTERIORE
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
Scheda 10
Data _________________
Alunno ________________________
Ora ti proponiamo un racconto di… PAURA!!! Credi negli spiriti? E nei fantasmi? Da parte nostra
possiamo assicurarti che non esistono, ma se hai qualche dubbio fai come Tommy e Bess…: fai un giro
di notte nel cimitero del paese…!!!
PAURA AL CIMITERO di Roberto Piumini
La faccenda era cominciata una sera prima.
«Che cosa c'è di notte nei cimiteri, Tommy?» mi aveva chiesto la mia piccola sorella.
«Quello che c'è di giorno, Bess».
«Cioè le tombe, le croci...».
«Certo. E forse qualche coniglio selvatico».
Il cimitero di Courtplace era a mezzo miglio fuori dal villaggio, sul crinale allungato di una collinetta,
ad Ovest. Non era altro che un terreno mal recintato, con un cancelletto di legno che, anche chiuso, non
avrebbe impedito a nessuno di entrare. All'interno, un po' più alte e fitte che altrove, crescevano erbe
spinose. Le croci delle tombe, inclinate in ogni direzione, sembravano alberi maestri di una flotta naufragata in una tempesta polare, ghiacciata per l'eternità. Più che un posto triste o spaventoso, il camposanto di Courtplace era un postaccio.
«Ci sono gli spiriti, nel cimitero, Tom?» aveva chiesto Bess il giorno dopo.
«No, Bessy, non ci sono».
«Nemmeno quelli buoni?».
«Né al cimitero, né in altri posti».
«Come fai a dirlo?».
«Lo dico perché sono ragionevole».
«Al, e Florence, e la signorina Claridge, e anche Cindy Fraser, dicono che gli spiriti ci sono. La signorina Claridge li ha visti».
«Frottole. Non li ha visti: nessuno li ha visti. Sono storie di fifoni, per i fifoni; storie di quelli che vogliono spaventare i fifoni. Nessuno va a vedere spiriti al camposanto, ma c'è sempre qualcuno che dice
che ci sono, o che qualcun altro li ha visti».
«Tu sei mai andato a vedere se non ci sono, Tom?».
«Che idea! Se ti dicono che in fondo al mare ci sono asini rossi con la testa di fata, tu vai a vedere?».
«Se potessi sì. Mi piacerebbe almeno vedere il mare... però in fondo al mare non si può andarci, ma al
cimitero sì».
«Insomma, Bessy: ti dico che non ci sono. Il cimitero di notte, è soltanto un brutto posto, triste e deserto,
e...».
«Sai, Tom, io a questa faccenda degli spiriti, mica ci credo, però non del tutto... Se lo dicesse solo Cindy
Fraser, che ci sono gli i spiriti, non ci crederei per niente, perché quella è un'oca: ma lo dicono anche Al
e sua sorella, che sono tipi ragionevoli come te, e anche dei grandi, come la signora Claridge, che fa dei
biscotti così buoni, che mi sembra impossibile che sia pazza...».
«Ma il reverendo Preston, che pur senza biscotti è la persona più saggia che conosciamo, dice che gli
spiriti non ci sono, Bess. Le persone intelligenti dicono che non ci sono: questo è un segno».
«Sì, però la signora Claridge li ha visti. Insomma Tommy, finché io non posso vedere che non ci sono
davvero, ci crederò sempre un pochino».
«Cioè sarai un pochino sciocca, Bessy?».
«Perché non andiamo a vedere che non ci sono, Tom?».
Io risposi qualcosa, sperando che dimenticasse quell'idea: ma alcuni giorni dopo eravamo al villaggio
con papà, dato che questo accadeva quattro anni fa. Lui stava ad una riunione degli agricoltori, nel magazzino di Sam, perché dovevano discutere di leggi e di terreni. Io e Bess avevamo chiesto di andare con
lui, e anche mamma era venuta a passare un paio di ore con Francis Delaney, una vecchia amica, chiacchierando e ricamando tovaglie bianche.
Finiva il tramonto, e io e Bess eravamo sulla strada, a giocare. Quando fu buio, lei disse: «Andiamo al
cimitero Tommy? In venti minuti ci arriviamo».
«Mamma non vuole» io risposi.
«Mica glielo diciamo. Prima di un'ora e mezza, non si ricorda di noi: ci vuole almeno un'ora e mezza
perché lei e la signora Delaney finiscano di scambiarsi informazioni. E papà non uscirà dal magazzino
prima delle undici... Se andiamo svelti torniamo in meno di un'ora. Venti minuti andare, venti tornare,
più un'occhiatina. Mamma mica ci ha detto di non allontanarci...».
Sentii la sfida, e l'accettai. Dopotutto, la strada per il cimitero era abbastanza lunga perché Bess cambiasse idea. Mi prese per mano, come per farsi guidare.
«Sai, Tommy... Ho chiesto di nuovo ad Al» quasi bisbigliò camminando. «Dice che esistono senz'altro:
ma non è detto che si facciano vedere da tutti. Pare che, se uno non ci crede veramente, come te, non si
fanno vedere per ripicca».
La cosa mi faceva piacere, ma non del tutto.
«Bella scusa» dissi masticando una paglia dolciastra che avevo raccolto lungo la strada. «E così gli spiriti si fanno vedere solo da quelli che ci credono, eh?».
«Così tu non li vedrai, e io semmai solo un pochino».
La sua mano piccola stringeva la mia. Eravamo già oltre le ultime case di Courtplace, e un vento fresco
veniva giù dalla collina, proprio dalla direzione del cimitero. Comunque c'era la luna. Proseguivamo in
silenzio. Bess aveva un passo deciso. Ad un centinaio di metri dal cimitero sentimmo un grido sospeso
nell'aria, a sinistra.
«Cos'è, Tom?».
«Una civetta, Bessy; come quella che sta sull'albero dietro casa. Non la senti mai di notte?».
«Però quella ha un suono diverso».
«Come la gente che canta in chiesa... mica tutti hanno la stessa voce, Bessy. Ma ci vuoi ancora andare là
dentro? Magari è proibito. Io credo che il reverendo Preston non approverebbe le visite segrete al cimitero».
«Ma che male c'è, Tom? E poi, mica ci vede».
Ci avvicinammo, rallentando solo un poco. Il cancelletto di legno, scardinato e storto, ci apparve alla luce della luna.
«Ma gli spiriti, se ci sono, come sono?» disse Bess.
«Non ci sono, e basta» risposi, irritato.
«Ma se ci fossero, come sarebbero?».
«Chiedilo ad Al, o a Cindy, o alla vecchia Claridge: sono loro i grandi esperti di spiriti. La signora Claridge li ha visti, no? Non ti ha detto come sono?».
«No, dice solo: - Oh, sì, sì, misericordia: li ho visti! - e mette le mani davanti alla bocca, come se fosse
maleducato parlarne».
Ci fermammo a tre metri dal cancelletto, in silenzio. Io sentivo la mano di Bessy che scottava.
«Pensi che farebbero un certo rumore di respiro, Tom?».
«Non lo so, perché?».
«Perché io sento un rumore così».
Mossi la testa incredulo, e sentii un respiro lungo e roco venire dall'interno del cimitero.
«Sarà un gatto» dissi, e riempii d'aria il petto, come per prepararmi a soffiare via tutti i gatti e i cimiteri
del mondo.
«Andiamo, Tom?».
«Dove?».
«Dentro».
«Se è una gatta coi piccoli, può graffiare».
«Non ho paura dei gatti, Tom».
«Certo Bess. Nemmeno io». Spinsi il cancelletto di legno, che tremava. Il soffio continuò.
«Se era un gatto, ci sentiva» disse Bess. «Allora gli spiriti dormono e russano: questo Al non lo sapeva».
La guardai. Era pallidissima, nella luce della luna.
Poi soffiò: «Possiamo andare, Tom. Non voglio più vederli: mi basta sapere che dormono».
«Bess, se andiamo via, tu ci crederai per sempre» dissi io, sempre con il cancelletto tremante nella mano.
«Non so, magari non ci credo, Tom. Andiamo dalla mamma».
Respirai a fondo un'altra volta: passai la lingua sulle labbra.
«Aspetta qui, Bessy: vado io».
Lasciai la sua piccola mano; e mi sembrò di lasciare il mondo. Con quattro passi violenti andai verso il
punto da dove veniva il rumore. C'era una bassa tettoia sgangherata: l'unica costruzione del cimitero. Lì
sotto qualcuno russava e fischiava: troppo forte per essere un gatto di dimensioni regolari. Sentivo i capelli tirare tutti insieme sulla testa, come quando mamma, a casa, me li passava con la spazzola, una volta alla settimana, prima di andare in chiesa.
«Tommy!» sentii sussurrare al cancello «Vieni fuori per favore!».
Comunque, c'era la luna. Feci un passo avanti, e guardai. Poi tornai indietro con calma, respirando. Arrivai al cancello. Bess era ancora là, piccola come mai mi era sembrata.
«E' Cliff Perkins, Bess» io dissi. «È là che dorme, ubriaco».
«Cliff Perkins?».
«Vuoi vederlo?».
«No, ti credo, Tom».
«Dammi la mano: non si sveglia, sta sicura».
La accompagnai, nella luce di luna, a guardare la scarpe fangose, e la bottiglia di acquavite vuota, e la
forma sguaiata del corpo, e a sentirne l'odore violento. Poi, in silenzio, uscimmo dal camposanto e ci incamminammo verso il villaggio. Bess andava accanto a me, e mi stringeva la mano.
«Sei parecchio coraggioso, tu» disse, voltandosi a guardarmi.
«Che ci vuole, Bessy».
Lei staccò la mano e allungò il passo. «Sbrigati» disse.
«Vai avanti, se vuoi» dissi.
«Io vengo piano. Si vedono le luci ormai».
«Ma perché non vuoi correre, Tom?».
«Mi sono fatto un po' male al piede, là dentro, su una tomba...».
«Ti fa molto male?».
«No, poco».
Lei si voltò a guardare le case.
«Beh, ti aspetto giù davanti al fabbro» disse, e corse via sotto la luna.
Io ero felice, respiravo, scendevo lento. Si cammina male con i calzoni bagnati.
1) Una domandina facile facile: secondo te Tom aveva paura ? □SI □NO
2) Da cosa lo si capisce?
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________________
3) E tu? Hai avuto paura? No? Ma come…!!! Allora provaci tu a raccontare di quella volta che hai
davvero avuto paura!!! Scrivi il tuo racconto di paura sul tuo quaderno.
4) Completa i quattro passati dei due ausiliari essere e avere
ESSERE modo indicativo
IMPERFETTO
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
PASSATO REMOTO
Io
AVERE modo indicativo
TRAPASSATO PROSSIMO
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
IMPERFETTO
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
TRAPASSATO REMOTO
Io
PASSATO REMOTO
Io
TRAPASSATO PROSSIMO
Io
Tu
Egli
Noi
Voi
Essi
TRAPASSATO REMOTO
Io
Scheda 10
Data _________________
Alunno ________________________
Ora ti propongo un ultimo testo: una delle più belle favole di La Fontaine. Non so se ricordi che le favole sono delle storielle brevi con una morale finale. Quasi sempre i protagonisti delle fiabe sono animali. Purtroppo mi è successo un inconveniente: il computer ha preso un brutto virus che mi ha fatto a
pezzi la favola: riusciresti a rimetterla in ordine? Metti in ordine le sequenze numerandole dall’1 al 9.
Inserisci in questi quadratini
i numeri delle sequenze
LA TESTUGGINE E LE DUE ANATRE di Jean de La Fontaine
Due anatre, alle quali comare testuggine comunicò quel bel progetto, le dissero di avere il modo di
accontentarla. - Vedi quella strada così larga, in cielo? Noi ti scarrozzeremo per aria fino in America: vedrai molte repubbliche, molti regni, molti popoli; potrai istruirti osservandone i diversi costumi. Anche
Ulisse fece così. (Nessuno si aspettava di trovare Ulisse in questa storia, vero?).
C'era una volta una testuggine un po' sciocca che, stanca del suo buco, desiderava mettersi a viaggiare. Si sa, le terre straniere attirano di più e la testuggine era proprio stanca di stare sempre chiusa in casa.
Decisa la cosa, gli uccelli inventarono una macchina per trasportare la viaggiatrice: le misero in
bocca, per traverso, un bastone e le dissero: - Stringi bene il bastone tra i denti... E attenta a non lasciare
la presa!
Poi ciascuna anatra afferrò il bastone per un'estremità.
- La regina! Proprio così: effettivamente lo sono: c'è poco da prendere in giro !!!.
Avrebbe fatto meglio a continuare la sua strada senza dir nulla perché aprendo i denti per parlare lasciò il
bastone, cadde e si schiantò ai piedi di coloro che stavano a guardare.
Sollevata la testuggine, dappertutto ci si stupì nel vedere il lento animale e la sua casa andare in quel
modo nel cielo, in mezzo alle due anatre.
- Miracolo! - gridavano. - Venite a veder passare tra le nubi la regina delle testuggini
La mancanza di attenzione e di concentrazione fu causa della sua brutta fine
.
La testuggine accettò la proposta.
Ora sai perché gli insegnanti ricordano spesso agli alunni di restare attenti e concentrati nei momenti più
importanti !!! Se proprio allora ti metti a chiacchierare, rischi di…. CADERE !!!
• Ecco un disegno che rappresenta la favola. Prova a rifarlo simile sul quaderno usando solo la matita.