ARRIVANO I CINESI

Transcript

ARRIVANO I CINESI
ARRIVANO I CINESI
La Cina è fermamente contraria a restrizioni agli scambi imposte da altri Paesi. Non è il principale responsabile del
brutale aumento delle esportazioni di tessili su certi mercati” ha affermato il suo ministro del Commercio, Bo Xilai.
“Prima della mondializzazione c’è stato un periodo transitorio di l0 anni durante il quale alcuni Paesi non hanno preso
provvedimenti. Per questo si è verificata l’impennata dell’export, per questo siamo già intervenuti per lirnitarla con
varie misure, tra cui l’incremento dei dazi doganali all’export”. Qualora il messaggio non fosse stato abbastanza chiaro,
Bo ha fatto diffondere un comunicato via internet: “Noi speriamo che l’Unione europea sia consapevole delle
conseguenze negative che avrebbe una sua decisione in materia di clausole di salvaguardia. Speriamo quindi che eviterà
di influenzare il commercio bilaterale con azioni unilaterali
Il Sole 24 Ore 27/04/2005
Il contrasto sull’importazione dei prodotti tessili cinesi rischia non solo di lacerare la trama già piuttosto logora del
cosiddetto libero commercio internazionale ma anche di spaccare l’Europa.Il tentativo cinese di annientare l’industria
tessile e calzaturiera europea - con l’eccezione di alcune fasce di altissima qualità - semplicemente non può essere
accettato da Paesi con una rilevante presenza di questi settori produttivi, dalla Grecia alla Francia, ma soprattutto
dall’Italia che ne vedrebbe stravolta la propria struttura industriale. La Cina, però, se usa contro l’Europa il bastone
delle esportazioni di camicie e scarpe, fa balenare agli europei anche la carota di enormi contratti per l’industria
meccanica. Agli “altri” europei, infatti (e in particolare ai tedeschi) potrebbe essere assegnata la ricostruzione dell’intera
rete ferroviaria cinese, un lavoro di 10-20 anni. E il torrente delle esportazioni di camicie, mutande e reggiseni - a prezzi
così stracciati da risultare inferiori a quelli delle materie prime necessarie per fabbricarli - potrebbe essere uno
strumento di pressione da parte di Pechino per indurre Bruxelles a revocare il divieto alla vendita di armi alla Cina,
proclamato dopo la sanguinosa repressione dei moti studenteschi del 1989. Montando i congegni elettronici europei sui
loro aerei e missili, i cinesi sarebbero in grado di sfidare militarmente gli Stati Uniti, quantomeno in Asia. In questo
modo, le calze e i calzini cinesi su cui il commissario europeo Mandelson ha deciso di aprire un’inchiesta, superando
amletiche esitazioni, entrano sull’orizzonte delle grandi strategie internazionali e su di essi possono scivolare i precari
equilibri europei e mondiali.
Mario Deaglio, Europa e Cina alla guerra del tessile, in “La Stampa”, 27/04/2005
La politica estera del nostro Paese esprime la volontà di attivare relazioni di collaborazione e cooperazione con la Cina.
Gli italiani, però, non hanno una visione aperturista nei confronti dello stato cinese e del sud est asiatico. Il motivo è la
spietata concorrenza che danneggia l’economia del Paese. La maggioranza degli italiani (76%) non ha dubbi: la Cina è
una minaccia. Un serio pericolo per il sistema economico italiano. Una visione radicata espressa con ancora maggiore
forza da una parte consistente di questo segmento e che ha negli abitanti del nord, del Mezzogiorno e nei rispondenti di
bassa scolarità le fasce della popolazione più convinte di questa opinione. Gli abitanti del Settentrione e del Meridione
percepiscono la Cina come una minaccia perché la produzione a basso costo e i prezzi più competitivi rubano
importante fette di mercato alle imprese del territorio. Gli intervistati con un livello di scolarità più basso, invece, sono
preoccupati dalla delocalizzazione nel sud est asiatico, che farebbe perdere loro il posto del lavoro. Un pericolo reale
per i lavoratori che sempre più spesso sono spettatori dello spostamento della filiera produttiva nel sud est asiatico, dove
la manodopera ha costi più bassi. I rispondenti con una scolarità più alta si dividono sulla percezione della Cina e del
mercato asiatico. Una parte è allineata con il trend nazionale ed è preoccupata dalla possibilità di avere meno
opportunità lavorative o essere scavalcati dalla concorrenza cinese. È presente, però, all’interno di questo segmento una
parte di intervistati che esprime una posizione diversa. I più scolarizzati hanno una visione negativa più debole del sud
est asiatico, e sono convinti che si può vincere la sfida della concorrenza cinese con la conoscenza, la professionalità e
la competenza. Una parte di intervistati (20%) si smarca da questa visione e ritiene che il sud est asiatico non danneggi
l’economia del nostro Paese. Una posizione che esprime una tensione maggiore al dialogo, la collaborazione e la
cooperazione.
E secondo lei la concorrenza della Cina e del Sud est asiatico danneggiano molto, poco o per
%
niente la nostra economia?
molto
62
abbastanza
14
poco
15
per niente
5
non sa / non risponde
4
AA.VV., Gli italiani soffrono la concorrenza cinese, in “Postpoll.it: rivista di analisi e discussione politica”,
11/09/2006
Giocattoli, abbigliamento e high tech, si acquista sempre più in Cina. Addirittura mozzarelle e pomodori arrivano da
laggiùLe tredicesime sulla via di Pechino. Compriamo molto cinese, ma cosa?La provenienza a volte è del tutto chiara,
a volte mimetizzata. Ma la qualità comincia a non essere più un grande problema [...] C’è poco, infatti, nei grandi
elettrodomestici (frigo, lavastoviglie), dove l’egemonia è ancora italiana e l’unica marca cinese che comincia ad avere
qualche peso è la Haier. Ma l’avvitatore per papà, l’asciugacapelli per la figlia, lo scaldavivande con alimentazione a
cavo Usb, per attaccarlo direttamente al computer, per il nipote all’università, in generale tutti i piccoli elettrodomestici
fra i 5 e i 20 euro vengono quasi certamente dalla Cina. E, ormai, anche la nuova tv a schermo piatto che ci siamo voluti
regalare per Natale, il lettore dvd o Mp3, il videofonino, lo stereo hanno buone probabilità di essere stati fabbricati in
Cina: viene da lì, ufficialmente, il 12 per cento dei prodotti di questo tipo venduti in Italia. [...] Il made in China sta
risalendo velocemente quello che gli economisti chiamano “la catena del valore aggiunto”: presto la Jacuzzi cinese sarà
ottima, le giacche a vento lo sono già. I cinesi hanno smesso di fare accendini di plastica, siamo circondati da computer
e tv che arrivano da Shanghai o da Xian. Risultato? Siamo sommersi da un fiume di prodotti cinesi (a volte ottimi, a
volte pericolosi) molto più grande di quello che pensiamo. Attenzione, non stiamo parlando di falsi e contraffazioni, che
pure pesano e non poco: 7 miliardi di euro l’anno nella sola Italia, per metà nel comparto abbigliamento-borse-valigie.
Stiamo parlando del resto. Che si divide in tre categorie. I prodotti cinesi che si vedono. I prodotti cinesi che non si
vedono (perché stanno dentro altri prodotti). I prodotti che non sappiamo (e non sapremo mai) essere cinesi.
Maurizio Ricci, La concorrenza sleale cinese ci sta distruggendo l’economia italiana, in “La Repubblica” ,
31/12/2008
Il made in Italy alimentare continua ad essere il più copiato e adesso non si salvano nemmeno i cioccolatini. La Ferrero
ha vinto la causa per concorrenza sleale contro la cinese Montresor che aveva commercializzato una linea di
cioccolatini identica ai Ferrero Rocher. La Corte Suprema di Pechino ha confermato la sentenza di secondo grado che
ha condannato l’azienda cinese al risarcimento simbolico di 50 mila euro alla Ferrero oltre alla sospensione delle
vendite e al cambiamento della confezione dei ciccolatini Tresor Dor uguale a quella delle praline originali. “Una
vittoria importante per tutta l’industria italiana” ha commentato l’azienda italiana.
ANSA.IT, Cina: la Ferrero vince la causa per concorrenza sleale, 07/04/2008
Dopo orologi, profumi, borse e vestiti i cinesi iniziano a clonare anche le Ferrari. Nessuno aveva mai osato tanto, anche
se nella stessa Cina da tempo ormai scopiazzano in modo spudorato Daewoo Matiz, Honda Cr-V e in modo meno
palese Bmw serie 7 e Mercedes varie. Quella che hanno copiato i cinesi poi non è una Ferrari qualsiasi, ma una
rarissima 330 P4 del 1967 che vinse tantissime gare e divenne universalmente famosa dopo la memorabile tripletta a
Daytona con arrivo in parata e le tre macchine (prima, seconda, e terza) che tagliano il traguardo affiancate. La copia è
stata svelata direttamente da Franco Frattini, vicepresidente della Commissione europea, in occasione dell’annuncio
della nuova iniziativa UE contro la contraffazione. “Ne esistono soltanto sei esemplari al mondo... Beh, questa è la
settima”, ha scherzato Frattini mentre mostrava alla stampa internazionale la 330 P4 cinese rossa fiammante,
parcheggiata in uno squallido campo cinese alla periferia di Shanghai. “E’ una berlinetta, è bellissima - continua Frattini
- è stata bloccata. Mi hanno spiegato che ne sono state prodotte pochissime. E che è stata imitata e prodotta in Cina
Vincenzo Borgomeo, In Cina copiano anche le Ferrari. Sequestrata una rara 330 P4, in “La Repubblica”,
26/04/2006