algeria - Aiuto alla Chiesa che Soffre
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algeria - Aiuto alla Chiesa che Soffre
ALGERIA La pratica religiosa è regolata dall'assai restrittiva ordinanza del 28 febbraio 2006: essa, infatti, sottomette l'esercizio di ogni culto – eccetto che quello dell'islam – a un'autorizzazione amministrativa e condanna il proselitismo non musulmano. Questo testo prevede una pena da due a cinque anni di prigione e una multa da 500.000 a 1 milione di dinari (da 5.000 a 10.000 euro) per chiunque «inciti o costringa un musulmano a convertirsi a un'altra religione o a questo fine utilizzi mezzi di seduzione o istituzioni didattiche, di educazione, di sanità, a carattere sociale o culturale, o istituzioni di formazione, o qualsiasi altra istituzione, o mezzo finanziario», o ancora «fabbrichi, depositi, o distribuisca documenti, materiale stampato o registrazioni audiovisive o qualsiasi altro strumento o mezzo che miri a far vacillare la fede di una persona musulmana». Viceversa, i musulmani hanno ogni libertà di predicare e di convertire. Due comunità religiose godono di uno statuto legale: la Chiesa cattolica, costituita da quattro diocesi, è erede del periodo coloniale ed è sopravvissuta all'indipendenza (1962), e la cosiddetta “Chiesa protestante d'Algeria” che, riconosciuta nel 1975, comprende i fedeli della Chiesa riformata e dei movimenti neo-protestanti (evangelici, pentecostali, battisti e metodisti). Le conversioni di musulmani hanno fatto registrare un forte sviluppo da diversi anni, soprattutto in Cabilia, sebbene esse abbiano luogo anche nelle altre regioni. I convertiti appartengono in maggioranza ai movimenti evangelici che battezzano sei algerini al giorno, secondo i dati ufficiali del 2010, ma soffrono della carenza di luoghi di culto, poiché le autorità negano loro i permessi per costruire. In Cabilia, particolarmente a TiziOuzou e dintorni, i convertiti sono anche esposti all'ostilità degli islamici. Alcuni musulmani si interessano al cattolicesimo, dato che la Chiesa cattolica è meno rigida di una volta nei confronti delle richieste di battesimo, sebbene essa subisca il contraccolpo dei successi apostolici dei neo-protestanti. Di conseguenza, il Governo restringe il numero e la durata dei visti di entrata per tutto il personale della Chiesa – sacerdoti, religiosi, religiose, perfino laici di cui essa ha bisogno per le sue ordinarie attività – e coloro che ottengono il permesso devono limitare le loro attività nel Paese; inoltre, essi si vedono talvolta confiscare i loro libri di preghiera all'aeroporto.1 Per un algerino diventare cristiano significa esporsi ad ingiustizie e a cause legali presso i tribunali, come testimonia Mahmoud Yahou, battezzato nel 1994 e pastore dal 1998: «La nostra vita quotidiano è fatta di vessazioni e di soprusi. Ci sono gli sguardi, la violenza di certe affermazioni, le voci assurde sulle abitudini della nostra comunità, per non parlare della sorveglianza e dei controlli incessanti della polizia»; egli stesso si è visto rifiutare il rinnovo del passaporto perché, in quanto cristiano, era un traditore della patria. Il sindaco di Ath Atteli, vicino a Tizi-Ouzou, dove Mahmoud abita, ha ingiunto alla comunità cristiana di rinunciare a praticare il loro culto. Il 12 dicembre 2010, perseguitato dalla 1 Zenit, 24 ottobre 2010 giustizia per aver aperto un luogo di culto illegale (una semplice casa) in quel villaggio e per «dare alloggio a persone straniere» (benché muniti di visti regolari), Yahou è stato condannato a tre mesi di prigione col beneficio della condizionale e al pagamento di una multa di 10.000 dinari (100 euro). Con lui sono stati processati altri quattro algerini convertiti.2 Numerosi casi simili concernenti i convertiti al cristianesimo sono stati segnalati a partire dal secondo semestre 2010. Nel settembre di quest’anno, due operai cristiani, Hocine Hocini e Salem Fellak, sorpresi in treno a mangiare durante il digiuno del Ramadan, sono stati giudicati dal tribunale di Aïn El-Hammam (Cabilia) per «attentato e offesa ai precetti dell'islam»; sono stati poi rilasciati grazie alla mobilitazione di militanti dei diritti umani.3 Nel maggio 2011, Karim Siaghi, convertito dal 2007, è stato citato a comparire per «ingiurie verso il Profeta» su denuncia di un suo vicino. Avrebbe negato di ottemperare alla richiesta di quest’ultimo che gli intimava di rendere omaggio a Maometto e gli avrebbe consegnato un DVD sulla vita di Cristo. È stato condannato a cinque anni di carcere duro. La sentenza sottolinea che egli «ha negato i fatti, ma la sua apostasia è una presunzione di colpevolezza».4 Peraltro, l'Algeria subisce l'influenza delle monarchie della penisola arabica e degli sconvolgimenti politici sopraggiunti nei Paesi vicini (Tunisia, Marocco, Libia), dove i partiti islamici hanno ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni legislative che sono seguite alle rivoluzioni del 2011. Questa reislamizzazione porta lo Stato a prendere delle misure che limitano la libertà dei musulmani. Ad esempio, è vietato dare nomi non musulmani ai bambini o iscriverli a una scuola privata, dato che non vi si insegna l'islam, la religione di Stato. Allo stesso modo, le autorità hanno fatto chiudere numerosi bar, discoteche e sale di cinema, anche ad Algeri. Vigilano anche sul rigoroso rispetto del digiuno del Ramadan da parte dei musulmani.5 2 Le Figaro-Magazine, 24 dicembre 2010 United States Commission on International Religious Freedom 2012 Annual Report 4 Le Figaro, 23 novembre 2011 5 Le Monde, 1 febbraio 2012 3