Riflessione sulle competenze comunque acquisite dagli

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Riflessione sulle competenze comunque acquisite dagli
Influenze didattiche, scuola e famiglia, nella costruzione delle
competenze
Ines Marazzani
N.R.D. Bologna
Questo articolo è stato oggetto di pubblicazione in.
Marazzani I. (2004). Riflessione sulle competenze comunque acquisite dagli
alunni. Un esempio: il numero. In: D’Amore B., Sbaragli S. (eds.) (2004). Il
grande gioco della matematica. Atti dell’omonimo Convegno Nazionale II,
Lucca 10-11 settembre 2004. 65-69.
Quando un individuo entra a far parte dell’istituzione scuola alcuni adulti si
propongono come coloro che hanno la facoltà di riconoscere e “certificare”
le conoscenze e le competenze da lui possedute.
Nella scuola tradizionale, tale “certificazione” si costruisce su una serie di
prove che vengono sottoposte all’allievo e che devono essere superate.
Vengono, quindi, proposti agli allievi, su vari livelli, test (o esercizi)
standardizzati e, in base al buono o cattivo esito di tali prestazioni, lo scolaro
viene ammesso (o non) a far parte del gruppo a cui verrà proposto un
percorso successivo. Qui, di nuovo, in base ad un programma, vengono
proposte prove che possono, se superate positivamente, garantire l’accesso
alla parte successiva del percorso.
Quindi:
- nel costruire le prove ci si basa su percorsi standardizzati che
vengono proposti a tutti gli alunni della stessa età, con sfumature
diverse nei singoli casi, ma sostanzialmente identici;
- in base al responso si passa al percorso successivo oppure viene
proposto in modalità diverse lo stesso percorso di partenza.
Provo ad indicarlo con un grafico:
Percorso A
neg
Prova A
risposta
pos
Percorso B
Prova B
Nello svolgersi di questo evento gli adulti preposti a “certificare” le
conoscenze e le competenze possedute dagli allievi riconoscono conoscenze
e competenze diverse e più ampie di quelle necessarie a superare i test
proposti, ma non le valorizzano né prendono queste come base su cui
costruire il successivo sapere.
Consideriamo, ad esempio, le reali competenze possedute da bambini di 5 o
6 anni relativamente al numero: una recente ricerca (AA. VV. 2004) ha
dimostrato che i bambini di questa età possiedono competenze diverse da
quelle che la scuola ha sempre ritenuto possedessero, che nei percorsi
tradizionali non vengono prese in considerazione.
Ipotizziamo però che tali competenze siano assunte come base fondamentale
e che i bambini possano “giocare” all’interno della spirale che evidenzia il
fenomeno apprenditivo, proposta da Bruno D’Amore (2000).
conoscenze
competenza
uso
(esogeno)
padronanza
(endogena)
completamento
della conoscenza
aumento della
competenza
aumento delle
conoscenze
Supponiamo che tutto funzioni e che il bambino, a cui viene riconosciuta
una conoscenza (disciplinare) decida di farne uso, completandola (non più
disciplinare), qualora si rivelasse insufficiente, aumentando la propria
competenza.
Esempio: Paolo – prima elementare - insieme alla sua insegnante (detentrice
del sapere) si pone di fronte a numeri. L’insegnante riconosce le sue
competenze, le valorizza e su queste fonda la sua azione didattica che va al
di là di quella che rientra nella prassi didattica tradizionale. L’alunno
costruisce ulteriore sapere in questo senso, sapere che l’insegnante tiene
sotto controllo e sul quale costruisce i successivi passaggi che possano
portare l’alunno alla formazione del concetto: nel primo anno della scuola
elementare sta lavorando con i numeri che fanno parte del mondo del
bambino limitandosi a quelli a tre cifre, ma tentando sempre di soddisfare le
curiosità dei suoi allievi. A scuola tutto funziona.
Ma l’alunno non vive solo a scuola.
È a casa e sta leggendo un libro che parla di animali (la sua passione). È
fermo ad un punto critico:
“Perché gli struzzi non sanno volare? Sono troppo pesanti. Uno struzzo è
90.000 volte più pesante di un colibrì”.
Tenta da solo di leggere quel numero.
“Lo so che 2000 si legge duemila. Allora un 2 e tre zeri si legge due mila,
come 2 e due zeri si legge cento. Me lo ha detto la maestra. 3 e due zeri si
legge trecento. Allora 3 e tre zeri si legge tre (si ferma, alza un dito come
fosse un direttore d’orchestra e continua) mila. Tremila! Allora qui c’è 90 (si
ferma di nuovo) e tre zeri. Novanta (di nuovo l’indice alzato come a
dirigere) mila. Novantamila!
Mamma, senti… (legge a voce alta tutto il brano del libro calcando con la
voce su quel numero)… ho letto bene? Si legge così questo 90 con tre zeri?”
La mamma, felice della scoperta di suo figlio istituzionalizza il sapere
scoperto con un sorriso ed un abbraccio.
Ma un adulto, non insegnante, ha il potere di istituzionalizzare il sapere
scoperto da un altro essere umano?
Il bambino piccolo apprende imitando le persone che lo circondano e che lui
ritiene importanti, quindi un essere umano “importante” ha il potere di
istituzionalizzare il sapere in gioco, non solo la mamma, è ovvio, allo stesso
modo un leader di una banda di giovani rende patrimonio del gruppo il suo
sapere.
Il bambino va avanti ed utilizza la “nuova” conoscenza ogni volta che ne ha
bisogno nelle sue letture “casalinghe”, facendola diventare competenza.
Torniamo in classe. L’insegnante non sa che cosa è successo a casa e non sa
quali competenze possiede “ora” il suo alunno. Non per cattiva volontà, ma
perché sottopone tutti gli alunni, fra cui Paolo, a verifiche standardizzate che
non possono far emergere le vere e nuove competenze possedute da quello
scolaro.
Prima o poi ci arriverà. Prima o poi la scuola e l’insegnante proporranno
situazioni per far appropriare l’alunno di un sapere che loro ritengono
“nuovo”.
Possono essere situazioni didattiche, situazioni a-didattiche, non importa, il
bambino gioca a scoprire un sapere che in realtà già sa.
Può riscoprirlo, dargli un nome “scolastico”, ma non scoprire da nuovo,
perché, se tutto funziona, i bambini stanno sempre un passo avanti alla
scuola. Nel mondo fori delle pareti dell’aula accrescono il loro sapere e
quando entrano in aula sono costretti a riscoprirlo.
Se non cade nella trappola della scolarizzazione (D’Amore, 1999) lo
studente giunge ad una distanza tale dalla scuola che difficilmente si potrà
sanare.
A quel punto la scuola, l’insegnante non avrà più alcuna rilevanza nella
crescita culturale dello studente che accederà da solo al sapere.
A sei o sette anni non potrà farlo se non attraverso una mediazione della
famiglia che sceglierà per lui i saperi che ritiene fondamentali.
Non esisterà più il triangolo della didattica? Quello esiste a scuola, non fuori
da essa. E fuori, dove allo stesso modo si può apprendere?
Forse potrà formarsene uno parallelo, dove al posto dell’insegnante ci sarà
la famiglia? Una scuola privata? Internet?
A questo punto possiamo ipotizzare di concludere.
Sembra che quella collaborazione che scuola e famiglia dovrebbero mettere
in atto nel processo di costruzione delle competenze di un bambino, di fatto
non esista
La scuola non si impegna nel riconoscere le competenze comunque
costruite. Il problema viene sollevato nel caso in cui i bambini iniziano a
frequentare la prima elementare (anche se molto spesso è solo posto), ma
viene dimenticato per il tempo che segue, non solo non riconoscendo al
bambino le competenze apprese fuori dalla scuola, ma non dandogli
nemmeno modo di basare la costruzione del suo sapere su quelle costruite a
scuola.
Su questo punto vorrei fare un esempio. In seconda elementare
tradizionalmente si studiano le tabelline. In alcuni sussidi parascolastici
capita di trovare situazioni in cui si chiede al bambino di trovare una
risposta alla domanda:
3x4=?x3
In base a tale risposta, presumibilmente il bambino costruisce una
conoscenza che, però, non viene poi chiesto di utilizzare, dal momento che,
qualche pagina oltre viene fatta la successiva richiesta di costruire tutte le
tabelline. Ci sarebbe da discutere su vari punti, ma quello che vorrei
sottolineare qui è che il bambino non viene spinto ad utilizzare la
conoscenza posseduta di cui dicevamo poco fa.
Ma se un alunno, a scuola, non viene messo nelle condizioni di utilizzare le
proprie conoscenze, non si può sperare che costruisca competenze, infatti, se
conosce la risposta a “quanto fa 3 x 6?” ha senso che si pretenda una
risposta data con il grafico dello schieramento a “quanto fa 6 x 3?”, a che
cosa può servire?
Se un alunno viene messo nelle condizioni di usare le proprie conoscenze
per costruirne di nuove, è più facile che nasca in lui la volontà di completare
quelle conoscenze che di fatto si rivelano insufficienti?
Torniamo all’esempio delle tabelline. Se l’insegnante spinge l’alunno ad
utilizzare le conoscenze costruite a proposito della proprietà commutativa
per costruire le tabelline, e se lo fa anche in altre occasioni, può aspettarsi
che l’alunno faccia suo questo modo di costruire sapere e sia spinto ad
utilizzare, sempre, le proprie conoscenze?
Altro esempio a proposito delle addizioni. In prima elementare
tradizionalmente si evitano addizioni con il cambio. In seconda elementare
“si presentano” ai bambini casi di addizioni con un cambio. In terza
elementare “si presentano” casi di addizioni con due cambi, ri-spiegandoli di
nuovo.
La scuola, quindi, oltre a non riconoscere al bambino le competenze
costruite fuori, non riconosce nemmeno quelle che costruisce fra le sue
mura.
Sempre a proposito di numeri. È possibile prevedere che un alunno di prima
elementare a cui siano state sempre riconosciute le proprie competenze e che
sia stato sempre spinto ad utilizzarle, ritorni a scuola dopo le vacanze estive
(ad esempio) con un bagaglio di competenze notevolmente accresciuto, e
che la scuola dovrebbe prevedere e riconoscere.
La famiglia, molto spesso, non si impegna nel soddisfare le richieste di
completamento delle conoscenze fatte dal bambino. La famiglia stessa, per
mancanza di conoscenze spinge il bambino a fare ciò che l’insegnante vuole
“Come ti ha detto di fare la maestra?”, e a dire ciò che l’insegnante vuol
sentire “Cosa ti ha detto di rispondere la maestra?”
Bibliografia:
AA.VV. (2004). Le competenze dei bambini di prima elementare: un
approccio all’aritmetica. La matematica e la sua didattica. 1, 47-95.
D’Amore B. (1999). Scolarizzazione del sapere e delle relazioni: effetti
sull’apprendimento della matematica. L’insegnamento della matematica e
delle scienze integrate. 22A, 3, 247-276.
D’Amore B. (2000). La complessità dell’educazione e della costruzione dei
saperi. Riforma e didattica. 4, 35-40.