Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
Oscar 1970 per il migliore film straniero Premio speciale della giuria a Cannes INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO Regia: Elio Petri Sceneggiatura: Ugo Pirro, Elio Petri Musica: Ennio Morricone Anno: 1970 Attori: Gian Maria Volontè è ...Dottore... Florinda Bolkan è Augusta Terzi TRAMA : Personaggio principale del film è il capo della squadra omicidi di Roma, il "Dottore", interpretato da Gian Maria Volonté che, nel giorno della sua promozione a capo della sezione politica, uccide l’amante nel corso di un gioco erotico. Certo di essere al di sopra di ogni sospetto in virtù della posizione di potere che occupa, semina volutamente tracce e indizi a proprio carico. Come previsto, le indagini intraprese dai colleghi della omicidi non lo toccano, ignorando le sue evidenti provocazioni. Soltanto Antonio Pace, uno studente fermato per un attentato dinamitardo alla questura, personalmente “interrogato” dall’ispettore, in privato, ha il coraggio di dirgli che lo riconosce come assassino della donna, ma non lo denuncia e viene rilasciato. In preda a un delirio autopunitivo, l’ispettore consegna ai colleghi della omicidi una lettera di confessione... Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, settimo film di Elio Petri, girato alla fine degli anni Sessanta, racconta la psicosi del Potere. Il capo della Sezione Omicidi della questura di Roma, interpretato da un Gian Maria Volonté al massimo delle sue capacità interpretative non ha nome, è solo il "Dottore" proprio perché rappresenta non tanto se stesso ma quel Potere, appunto, di cui è nulla più che semplice incarnazione. Esercita il Potere con mezzi spionistici e repressivi e, nel racconto di questo esercizio, il film esprime, nel dettaglio, i metodi che il Potere utilizza. Si notino, in tal senso, la gestualità del personaggio, sempre sopra le righe; quel suo gridare ininterrotto in una lingua cadenzata di pura invenzione - una sorta di dialetto colto d'origine centro-meridionale; i ghigni nevrotici che gli percorrono il volto; il punto di vista della macchina da presa, inclinata dal basso verso l'alto quando esalta i volti e le smorfie del Potere e dall'alto verso il basso quando, invece, inquadra, in primi piani sarcastici, le facce delle vittime di turno, immortalate, quasi sempre, nel momento in cui patiscono l'oltraggio supremo, l'interrogatorio vessatorio e antiprocedurale. I luoghi e gli spazi del Potere sono le cupe camere sotterranee destinate agli interrogatori; gli anonimi uffici di polizia - spazi qualsiasi di un unico spazio-mostro che è il kafkiano "Palazzo"; la violenza brutale dell'uso scenografico dei furgoncini della celere e delle celle di sicurezza, al cui interno gli oppositori, o ritenuti tali, sono ammassati come carne al macello. Petri, insomma, prendendo spunto dalla vicenda paradossale del Dottore, non lesina particolari nel raccontarci come il Potere vive ed agisce, giorno dopo giorno. Ma c'è una falla, un'incrinatura. Il Dottore, suo malgrado, ha intrapreso una relazione con una giovane e bella donna libertina, Augusta Terzi che, in un primo momento, solletica il suo senso di onniPotenza quasi divina che gli serve a giustificare tutto di se stesso. Lo ha cercato al telefono, si è fatta fotografare in pose da vittima di cronaca nera. Lo ha istigato, più volte, all'attività delittuosa in virtù di un assioma che il poliziotto non può che condividere: «siccome sei tu che conduci le indagini, tu puoi commettere qualsiasi delitto, tanto nessuno penserà a te». Ben presto però la ragazza comincia a prendersi gioco del Dottore, sbeffeggiandolo durante i convegni amorosi; lo tradisce in modo tale che lui possa accorgersene, con un giovane anarchico; e - offesa delle offese - lo taccia, durante un'accesa discussione, di «incompetenza sessuale», «perché tu fai l'amore come i bambini... non sei niente... tu non sei niente... sei solo un bambino...». Non c'è nulla di più insostenibile, per il Dottore. Così dicendo, la ragazza pone in discussione non solo e non tanto la vigorìa dell'uomo ma, più nel profondo, la convinzione intima del poliziotto e quindi del Potere: quella d'essere in possesso e di detenere il controllo. Va eliminata!! Il dottore, a inizio film, la uccide, disseminando il luogo dell'assassinio - la casa di lei - di indizi che debbono provare la propria colpevolezza. Nell'appartamento ricolmo di veli, specchi e scenografie barocche così diverso dagli spazi anonimi a cui l'ispettore è abituato, quasi fosse un tempio fuori dal mondo e quindi fuori dalla giurisdizione del Potere (d'altra parte, l'indirizzo della casa è «via del Tempio n° 1»), si consuma non solo e non tanto l'omicidio di una donna quanto, piuttosto, la scissione psicotica del Potere che, proprio perché teso a dimostrare a se stesso la propria assoluta insospettabilità arriva pian piano a mostrare la propria celata e profonda debolezza espressa, verso la fine, nel pianto-lamento bambinesco dopo l'interrogatorio del giovane anarchico. Alla fine però interviene il Potere stesso, ora rappresentato dai superiori e dai colleghi di polizia, che nega o elimina fisicamente ogni prova di delitto; riafferma se stesso e demolisce qualsivoglia indizio che possa anche solo far pensare ad un'ipotetica fallibilità. Il tutto è quindi un'analisi complessa, ma lucida e rigorosa, sui meccanismi del Potere. Petri è straordinario nell'utilizzare i modi della narrazione, dell'inquadratura e del montaggio tipici del giallo o thriller all'italiana, ma c'è molto di più. Il film è tecnicamente, registicamente ed intellettualmente ricco e spettacolare. La realtà, apparentemente levigata e limpida mostra imperfezioni e rughe, sinuosità e grinze: tantissime inquadrature sono "sporcate" da oggetti che o si frappongono tra la macchina e l'azione, o limitano a volte fortemente il campo visivo; visi e figure, soprattutto del Dottore, sono tagliati da muri, cancelli, riflessi; spesso vediamo attraverso un telo o un vetro. All'obbiettivo di Petri è sempre applicato uno zoom in forte avvicinamento, che schiaccia l'immagine, e scopre, sulle superfici dei volti e degli ambienti, le mille deformità delle apparenze. E cosa c'è di più deforme e grottesco della rugosità della voce, dei gesti e del volto di Volonté? Questa rugosità della forma finisce per sembrarci del tutto legata simbioticamente ad un discorso di denuncia sui meccanismi del Potere esplicitandone visivamente il lato avvizito, ruvido e caricaturale.