Laboratori del Gusto di Slow Food-2016
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Laboratori del Gusto di Slow Food-2016
I Laboratori del Gusto per la Mostra del Tartufo di Città di Castello 2016 I Laboratori del Gusto® sono lo strumento ideato da Slow Food® nel 1994 per realizzare il progetto di Educazione del Gusto, obiettivo-chiave del movimento. Si tratta di degustazioni speciali guidate da esperti del settore enogastronomico e dell’associazione, coadiuvati da valenti artigiani e produttori, cuochi e selezionatori che accompagnano i partecipanti alla scoperta dei prodotti dell’enogastronomia di eccellenza. Il tutto in modo consapevole e gioioso, competente e gratificante: i partecipanti possono toccare con mano, annusare, assaggiare, confrontare quanto viene descritto e raccontato, interagendo con i relatori. Nel caso specifico dell’evento, l’area del Loggiato Bufalini dedicato interamente alle iniziative Food, sarà suddiviso in spazzi definiti per i Laboratori del Gusto, esposizione e vendita dei dell’agroalimentare regionale, dei Presidi Slow Food e per la divulgazione dei tanti progetti internazionali legati alla filosofia della salvaguardia della biodiversità alimentare e culturale nel fondante della filosofia di Slow Food del diritto al piacere del cibo buono, pulito e giusto. di Slow prodotti locali e concetto L’area dei Laboratori del Gusto, centrale al contenitore e opportunamente attrezzata con cucina, sedie e tavolini per i partecipanti, sarà gestita con gli eventi sotto riportati e aperta al pubblico con opportuna prenotazione. La rotazione degli eventi sarà continua e articolata per tutta la durata della manifestazione. L’obiettivo principale di questo progetto è senza dubbio quello di parlare in modo corretto e completo del cibo che ci riguarda e delle persone che lo producono. Un concetto altro di territorialità e impegno che da 30 anni vede Slow Food battersi contro la massificazione e costruire instancabilmente le basi culturali di una nuova e sostenibile concezione di cibo. Marino Marini Laboratori del Gusto di Slow Food Chiacchiere che fanno farina Incontro con Stefano Piergentili, Cinzia Corgnoli e la storia del Mulino Medievale dei Renzetti, l’opificio del grano che da secoli lavora ininterrottamente e che oggi si sta affermando sempre più come luogo della fabbricazione di farine biologiche di alta qualità da grani antichi macinati a pietra. Il Laboratorio propone una degustazione di varie tipologie di pane accompagnate da salumi e formaggi degli altri progetti territoriali di Slow Food Alta Umbria. Durante il Laboratorio saranno proiettate immagini del documentario “Chiacchiere che fanno farina” con l’intervento filmato del fondatore di Slow Food Carlo Petrini. Il fagiolo “dimenticato” di Marzana Incontro con Elena Caraffini, la giovane ragazza che guida l’Azienda Reno e Talacchio, luogo suggestivo della campagna umbra al confine tra il comune di Città di Castello e Monte S.Maria Tiberina. In questo luogo Elena e la sua famiglia, oltre che coltivare moltissime varietà di frutti antichi, ortaggi, cereali e le rinomate patate di Talacchio, da alcuni anni hanno salvato e ripristinato la coltivazione di una particolare varietà di fagiolo piatto bianco che da sempre era definito il fagiolo di Marzana, una piccola località oggi completamente abbandonata e riassorbita dalla natura. La tenacia di Elena nel rimettere in circolazione questo fagiolo “dimenticato” ha prodotto una grande serie di consensi dovuti alla particolare delicatezza del sapore di questo legume nobile. Oltre al racconto dell’esperienza di questa famiglia umbra il Laboratorio proporrà la degustazione di alcune combinazioni culinarie ottenute dalla trasformazione del fagiolo “dimenticato” di Marzana con altri ingredienti e Presidi dell’Alta Umbria. La “Cucina dell’Umbria che amo” con Chiara Filippi, chef Chiocciola Slow Food del Ristorante Miniera di Galparino Appena riconfermata al Salone del Gusto di Torino con la Chiocciola della Guida delle Osterie d’Italia, la chef Chiara Filippi si cimenta in un Laboratorio del Gusto di assoluta eccellenza con la degustazione dei piatti che hanno reso famoso il ristorante posto all’interno della tenuta dell’Azienda Agraria di famiglia. Osservanza delle componenti aromatiche e maniacale precisione nelle tecniche culinarie, hanno fatto di Chiara Filippi una vera e propria icona umbra della cucina tradizionale rivisitata con sapienza e garbo. Dolce come il Miele di Montecorona Biologi, tecnici alimentaristi e cultori del nettare per eccellenza, non a caso compongono questo team straordinario di produttori di miele di alta qualità. La vocazione verso questa meraviglia naturale è la colonna portante del loro concetto di impresa sostenibile e sicuramente il segreto del successo che riscontrano i loro prodotti. Api”cultura” è in sintesi il motto dell’Apistica Montecorona che al prodotto unisce il racconto e la diffusione dei principi della salvaguardia della biodiversità ricordando instancabilmente la preziosità di questi insetti che quotidianamente garantiscono la vita degli esseri umani grazie alla loro instancabile operosità. Cantone e la cucina sapiente della Comunità del Cibo dell’Appennino dell’Umbria del nord Si parla piuttosto frequentemente e purtroppo a sproposito, del concetto di cucina popolare o tradizionale ma spesso si banalizza senza conoscere la realtà delle pratiche arcaiche di trasformazione alimentare che hanno riguardato le nostre varie aree geografiche. Simona e Giacomo Traversini hanno reso possibile la fruizione della conoscenza gastronomica della vera tradizione appenninica dell’Umbria settentrionale. Dalla loro azienda agricola e al relativo opificio gastronomico di Cantone, località di origini longobarde posta nel passaggio naturale dell’area dell’Appennino umbro marchigiano, operano una intensa e sapiente attività di produzione e trasformazione alimentare straordinariamente complessa e meritevole. La cucina delle carni difficili ma sensazionali al palato, è uno dei loro principali meriti e la riproposizione di questi piatti dimenticati è di fatto una reale esperienza che ogni cultore del cibo vero dovrebbe vivere. Le birre di Montone L’arte birraria si sta diffondendo anche nel nostro Paese, cosa culturalmente piuttosto bizzarra dato il nostro millenario rapporto con i frutti della vite. Eppure le tecniche più raffinate e le tecnologie più all’avanguardia della modernità, permettono oggi di depositare nei calici umbri birre di straordinaria qualità che trovano spazzi impensati nei vari mercati del food e beverage. Uno di questi minuscoli ma non meno rinomati micro birrifici umbri trova luogo nelle terre del Capitano di ventura Andrea Fortebracci. Montone celebra quindi un nuovo connubio con la più antica delle bevande inventate dall’umanità e la pone all’attenzione di tutti sotto il rigoroso metro della qualità. Nero del Monte, il Tartufo del marchesato La nobiltà di un luogo storico come Monte Santa Maria Tiberina è ancora di più accentuata dalla nobiltà del più ambito dei frutti del bosco che in queste terre riesce a evidenziarsi anche nella più semplice delle sue varietà, il tartufo nero. Le terre dell’antico marchesato dei Bourbon Del Monte ne sono ricchissime e la gradevolissima peculiarità organolettica che questo tubero offre è apprezzata da chiunque si avventuri per le pittoresche vie di questo borgo antico. Il Culatello di San Leo Si dice che la tradizione è un’innovazione ben riuscita e anche se certamente il culatello non può vantare natali umbri, il risultato ottenuto dalla sperimentazione di questa tecnica della norcineria padana ha trovato nel laboratorio Chiodi di San Leo Bastia l’habitat ideale a una replica oltremodo apprezzabile di questo salume dell’eccellenza nazionale. Borgiona e Gentille “l’oliva dell’olio umbro d’eccellenza” Saverio Pandolfi, responsabile Slow Food Umbria della Guida agli Extravergini, da vita al Laboratorio del Gusto sull’olio d’oliva regionale presentando una serie di prodotti selezionati delle migliori aziende olivicole con panel test e degustazioni mirati al riconoscimento dei profumi e dei sapori dell’oro verde umbro. Con Pandolfi si parlerà delle straordinarie cultivar Borgiona e Gentile dell’alto Tevere assieme a Dante Sambuchi, produttore d’eccellenza e profondo conoscitore del mondo dell’olio extravergine d’oliva. “Libero impastatore” la visione del pane di Andrea Pioppi Perugino doc, è stato impastato con acqua e farina nel forno di famiglia, luogo magico in cui fin da piccolo ha potuto conoscere e provare il duro mestiere del fornaio acquisendo i fondamenti dell’arte bianca (dal lievito "padre” Pippo e dal lievito "madre" Bruna). Dopo 20 anni di collaborazione con l’azienda familiare, Il Forno di Pioppi, e il diploma di operatore chimico biologico decide di seguire la sua vocazione di libero impastatore (da sempre si definisce ed è conosciuto in questo modo) occupandosi di consulenza e formazione nel settore dell'arte bianca: panetteria, pizzeria, pasticceria, ristorazione-catering, industria prodotti da forno. Orgoglioso di essere italiano, non è però un fanatico del made in Italy; crede nel valore aggiunto della tipicità a qualunque latitudine senza considerarla però un dogma. “Dolci e pasticci” la giovane Chef pasticcera Caterina Tripaldi elabora la sua idea di dolce con le Pesche di Montecorona La passione è un ingrediente molto difficile da reperire e pare del tutto impossibile da acquistare. La passione però è l’ingrediente in abbondanza delle creazioni della giovanissima Caterina Tripaldi, pasticcera che ha saputo fondere con estrema sensibilità le antiche tecniche dell’arte dolciaria del meridione con le tecniche della più moderna pasticceria internaionale. Alla provocazione di Slow Food in merito all’utilizzo della Pesca di Montecorona, uno dei frutti più rappresentativi dell’Alta Valle del Tevere, Caterina risponde in un mix garbato e fresco di artistica passione. La “Farsiccia” un gustoso wurstel dell’Antica Roma. Lo chef Francesco Pascasio guida la degustazione di uno dei prodotti alimentari più curiosi del momento: una salsiccia di 2000 anni fa. La Farsiccia è una salsiccia di carne di maiale e farro (far in latino), ispirata a una ricetta di Marco Gavio Apicio, il più celebre gastronomo dell’antica Roma. E’ il frutto della ricerca di un archeologo e di un cuoco che hanno dato vita ad Archeofood (www.archeofood.com) spinti dal desiderio di conoscere e sperimentare cibi e sapori del passato che oggi non si conoscono più. La ricetta è stata reinterpretata con ingredienti di primissima scelta, selezionati con cura e sperimentati a più riprese, anche grazie ad un apposito progetto sostenuto dalla Comunità Europea tramite la Regione dell’Umbria (PSR). Oltre a vantare 2000 anni di storia ed essere gustosissima, la Farsiccia ha anche interessantissimi aspetti nutrizionali e un singolare apprezzamento da parte dei giovani. Formaggi sardi dell’Umbria De Muro L’antichissima pratica arcaica della pastorizia trova nella Sardegna uno dei suoi più fertili terreni di diffusione culturale. Le dinamiche economiche degli ultimi decenni hanno favorito la migrazione particolarissima di molte famiglie sarde verso i fertilissimi terreni umbri e dato vita a una rinnovata tradizione casearia che oggi si distingue per l’eccellenza qualitativa di formaggi a latte crudo. Di questo prezioso scambio culturale fanno parte anche la famiglia De Muro che da Orgosolo si è stabilita nel nord dell’Umbria e si fregia di produzioni casearie di primissimo livello. I profumi della terra umbra oltrepassano l’antica trasformazione e riprendono tono nei formaggi di questa bellissima famiglia nell’esatto modo in cui l’armonico accento sardo persiste nelle nuove generazioni ormai umbre a tutti gli effetti. Uno dei migliori esempi della contaminazione culturale dei territori che è stata sempre parte imprescindibile dell’evoluzione delle civiltà. Dolce, dolcissima credenza. La Natura sottovetro di Giovannella Migliorati Quello che in casa Migliorati cercano di fare è mantenere le vecchie tradizioni seppure adeguandosi al progresso e a ciò che esso ci impone. Le confetture di questa microscopica azienda agricola umbra vengono fatte bollire in pentola come da metodo classico e portate a ebollizione tramite vapore. Nessun addensante ma solo frutta, zucchero, miele. Presenti da sempre al Mercato della Terra di Slow Food, hanno sempre condiviso e praticato senza clamori la filosofia del cibo buono, pulito e giusto puntando a una qualità di prodotto che rispecchiasse anche la qualità della vita nell’amore vero verso la propria Madre Terra. Il Mazzafegato dell’Alta Valle del Tevere Presidio Slow Food Questo insaccato che ha la sua zona di origine nel centro Italia, trova la sua massima espressione nell’area dell’alta valle del Tevere, al confine tra Umbria e Toscana. In quest’area il mazzafegato, altrimenti detto sanbudello nella Valtiberina toscana, è stato fino a qualche decina di anni fa un parente “povero” della salsiccia, immancabile sulla tavole in autunno e inverno, legato fortemente alla tradizione della norcineria casalinga. Ogni famiglia che possedeva suini, nella stagione della macellazione dei maiali produceva mazzafegati da consumare subito o, più raramente, da conservare sotto strutto, sott’olio, oppure nel grano o nella semola. Preparare e consumare insieme i mazzafegati alla fine della lavorazione del maiale, è frutto dell’esperienza e della tradizione di ogni famiglia: a parte gli ingredienti di base – le carni rosse, più ricche di sangue, altrimenti non utilizzate (fegato,cuore,polmone e carni avanzate dalle altre lavorazioni) – il tipo di speziatura varia secondo il produttore, ognuno custodisce i propri segreti, tramandati oralmente in ogni comunità. Il mazzafegato è l’ultimo salume che si prepara, dopo aver lavorato tutti gli altri, quando rimangono sul bancone le ultime parti della macellazione, la cosiddetta “ripulitura di banco”. Le carni vengono tritate grossolanamente, addizionate di un piccola parte di cotenna e di fegato e conciate con sale, pepe, piccole quantità di aglio, scorza di limone e/o arancio e soprattutto fiori di finocchio che, assieme alla grana grossolana, caratterizzano fortemente questo salume. L’impasto viene poi fatto riposare e insaccato nel budello naturale di suino detto “torto” . La legatura avviene manualmente, con lo spago: si formano piccole salsicce di 10 centimetri di lunghezza e circa 3 di diametro, che sono poi lasciate asciugare per circa 7-10 giorni dopo di che sono pronte per il consumo. La tradizione prevede la cottura alla brace, accompagnandole con erbe di campo cotte e saltate. Il colore del mazzafegato è scuro, ed è inconfondibile il sentore di fiori di finocchio che esprime tutto il suo aroma senza coprire il profumo della concia e delle carni. Un prodotto complesso, che unisce la grossolanità delle carni a una speziatura suadente, nato dalla necessità di utilizzare tutto il maiale: grazie alla abilità dei norcini si è fatto di necessità virtù, trasformando quelli che possono essere considerati avanzi in un insaccato ricercato dagli amatori. Il Presidio Oggi la produzione di mazzafegato non è più diffusa come un tempo, la difficoltà di trovare un pubblico preparato ai sapori complessi ha portato al declino questo insaccato, che rischiava di scomparire sulle tavole non solo degli abitanti dell’alta valle del Tevere ma anche di altre zone del centro Italia dove, con altri nomi e altre ricette, si era ben radicato. In Umbria, tra Città di Castello e Umbertide, alcuni norcini non hanno mai interrotto la produzione, supportati da una piccola parte della comunità che non ha mai abbandonato il consumo dei mazzafegati. Il Presidio ha riunito sette produttori che, spinti dalla voglia di recuperare questo prodotto e di riproporlo secondo le tradizione della propria famiglia, hanno ripreso con entusiasmo la produzione lavorando carni di provenienza locale. Il loro obiettivo adesso è cercare di convincere anche altri a riprendere la lavorazione dei mazzafegati, in modo da diffonderlo sul territorio, farne conoscere il valore, la complessità e il significato a consumatori che non ne hanno memoria. Area di Produzione. Città di Castello e Umbertide (provincia di Perugia) Stagionalità Il mazzafegato si produce tradizionalmente nella stagione invernale, da novembre a marzo. Il Vinosanto Affumicato dell’Alta Valle del Tevere Presidio Slow Food La produzione del vinosanto è una tradizione che appartiene a tutte le aree vitivinicole di Toscana e Umbria. Ma nell’alta Valtiberina, intorno a Città di Castello, nei secoli le famiglie hanno elaborato una tecnica che ha reso unico e originale questo prodotto: l’appassimento dei grappoli o coppiole (grappoli appesi uniti a due a due) è fatto in locali ricchi di fumo, per la presenza di camini e stufe, e questo dona una nota affumicata al prodotto finale. Storicamente tutte le famiglie della zona appendevano i grappoli alle travi del soffitto, in cucina, permettendo al fumo del camino di salire e permeare gli acini, ma nell’Ottocento questa tradizione si è intrecciata con l’attività in ascesa dell’epoca: la produzione del tabacco. Nei locali costruiti per stendere ad asciugare le foglie di tabacco, i produttori di vino sistemavano anche i grappoli, esponendoli al fuoco e al fumo delle grandi stufe a legna. Il connubio tra i due prodotti continuava anche dopo: quando i contadini dissotterravano le casse in latta dove avevano nascosto un po’ di tabacco per sottrarlo ai monopoli di stato, per ammorbidire le foglie le irroravano con il vinosanto. E la tradizione di inzuppare il sigaro toscano nel vinosanto prima di fumarlo esiste ancora oggi. Le uve impiegate sono trebbiano, malvasia ma anche grechetto, cannaiolo, vernaccia e san colombano, tutte raccolti a maturazione ancora non eccessiva, affinché le bucce degli acini siano spesse e resistano all’appassimento, che dura almeno tre, quattro mesi, fino a dicembre o gennaio. I grappoli sono quindi diraspati, pigiati e lasciati a fermentare in botti di legno con il lievito madre che ogni famiglia custodisce. Rimangono poi in locali ben areati e soggetti agli sbalzi di temperatura stagionali. Il tempo fa il resto, offrendoci – dopo almeno tre anni – un vino amabile con note di frutta secca e miele di castagno, ma con un inconfondibile sentore di fumo che ricorda appunto il tabacco da sigaro. Il Presidio Il Presidio vuole convincere altri piccoli viticoltori a riprendere la produzione in modo professionale, riportando sul mercato un prodotto dal sapore antico che potrebbe rappresentare un’interessante integrazione dell’attività agricola nella valle del Tevere, un’area in cui le coltivazioni ad alto reddito degli ultimi decenni – frutticoltura e tabacco in primis – sono state progressivamente abbandonate. Area di produzione Alta Valle Tevere, provincia di Perugia Stagionalità Il prodotto è disponibile tutto l’anno. Roveja di Civita di Cascia Presidio Slow Food Si deve alla tenacia di Silvana Crespi De Carolis, questa piccola grande donna, se oggi la roveja è ancora presente nel corredo delle leguminose umbre. La roveja è un piccolo legume simile al pisello, dal seme colorato che va dal verde scuro al marrone, grigio. Nei secoli passati era coltivato su tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui Monti Sibillini, dove i campi si trovavano anche a quote elevate: la roveja è resistente anche alle basse temperature, si coltiva in primavera-estate e non ha bisogno di molta acqua. Cresce anche in forma spontanea, lungo le scarpate e nei prati, ma nei secoli passati era protagonista dell’alimentazione dei pastori e contadini dei Sibillini con altri legumi poveri quali lenticchie, cicerchie, fave. Proprio perché cresce da sempre anche selvatico alcuni ricercatori sostengono che si tratti di un progenitore del pisello comune. Secondo altri invece è una vera e propria specie (Pisum arvense) differente da quella del pisello (Pisum sativum), in ogni caso la classificazione botanica è ancora indefinita. Esiste invece un totale accordo sulla sua valenza nutritiva: è molto proteica, in particolare se consumata secca, ha un altro contenuto di carboidrati, fosforo, potassio e pochissimi grassi. Oggi è stata pressochè abbandonata ovunque e resistono solo pochi agricoltori nella val Nerina, in particolare a Cascia dove, in una località chiamata Preci, c’è una fonte detta dei rovegliari. In questa vallata la roveja si semina a marzo a un’altitudine che va dai 600 ai 1200 metri e si raccoglie tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. La battitura è simile a quella della lenticchia: quando la metà delle foglie è ingiallita e i semi sono diventati cerosi, si sfalciano gli steli e si lasciano sul prato ad essiccare. Quando l’essicamento è completato si portano sull’aia e si trebbiano. Si deve poi liberare la granella dalle impurità con una ventilazione che avviene con setacci. La roveja, detta anche roveglia, rubiglio, pisello dei campi, corbello, si può mangiare fresca oppure essiccata, in questo caso diventa un ottimo ingrediente per minestre, zuppe. Macinata a pietra, si trasforma in una farina dal lieve retrogusto amarognolo che serve per fare la farecchiata o pesata: una polenta tradizionalmente condita con un battuto di acciughe, aglio e olio extravergine di oliva, buona anche il giorno successivo, affettata e abbrustolita in padella. Il Presidio Come per la produzione di lenticchie a quote elevate e in aree impervie, anche nel caso della roveja la raccolta è molto faticosa e difficoltosa: gli steli sono lunghi, superano abbondantemente il metro di altezza, e sono facili all’allettamento, rendendo così quasi impossibile l’impiego della mietitrebbia meccanica. I mezzi moderni sono perfetti per gli steli più bassi delle varietà di frumento selezionate negli ultimi decenni e non riescono a lavorare gli steli lunghi delle antiche varietà. Infatti la roveja è falciata a mano. Occorre lavorare chinati e ovviamente ci vuole molto tempo. Questo ha scoraggiato la coltivazione della roveja e anche l’abbondono degli antichi legumi minori ha contribuito a far sì che quasi nessuno oggi conosca più questo piccolo ma gustoso pisello, dal sapore che ricorda vagamente la fava. Il Presidio coinvolge quattro piccoli produttori di Civita di Cascia che hanno recuperato il seme antico e si propone di diffondere la conoscenza di questo legume e coinvolgere altri coltivatori che al momento producono solo per autoconsumo. Area di produzione Territorio del comune di Cascia (provincia di Perugia) Stagionalità La roveja si raccoglie tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. Essiccata è disponibile tutto l’anno La Fagiolina del Lago Trasimeno Presidio Slow Food Il seme è piccolo come un chicco di riso. Coltivata da sempre sui terreni attorno al lago Trasimeno e diffusa fino agli anni Cinquanta del Novecento, in seguito la fagiolina è quasi scomparsa. L’area del lago ha subito infatti, da quel periodo in poi, un grave spopolamento delle campagne, e questa antica coltivazione, a differenza di altre che hanno consolidato il loro valore commerciale (mais, girasole, peperoni…) è andata progressivamente scomparendo. Colpa anche di una coltivazione lunga, faticosa e ancora tutta manuale: dalla semina alla raccolta fino alla battitura. La maturazione, inoltre, è scalare: i fagioli devono essere raccolti ogni giorno per un paio di settimane. Le piantine si sistemano nell’aia, si fanno essiccare e si battono con forche e bastoni. Poi, con i vagli si separano i semi e si insaccano. È un fagiolo con forma ovale e minuscola e può essere di vari colori: dal crema al nero passando per il salmone e per tutte le tonalità del marrone, anche screziato. In bocca è tenero, burroso e particolarmente saporito. Le ricette locali a base di fagiolina sono semplicissime: quella essiccata si mangia lessa con un po’ di olio extravergine di oliva locale, proveniente dalle colline che circondano il lago, mentre quella fresca (il cornetto) si passa in tegame con pomodoro e aglio. Il Presidio Si tratta di una realtà molto piccola: la struttura delle aziende agricole è di tipo familiare e gli addetti non superano le tre unità, producendo, complessivamente, sette, otto quintali di fagiolina. Il Presidio sta lavorando per far conoscere questo prodotto, permettendogli di uscire dal mercato locale (oggi la vendita è perlopiù diretta) e stimolando così un piccolo incremento produttivo. I piccoli produttori che ancora seminano e raccolgono manualmente questo fagiolo policromatico si sono riuniti in una associazione e si sono dotati di un disciplinare che distingue la produzione del Presidio dalle altre, monocromatiche, che si trovano sempre più spesso in vendita riprendendo alcuni aspetti della coltivazione tradizionale come la raccolta esclusivamente manuale. Area di produzione Comuni intorno al lago Trasimeno (provincia di Perugia). Stagionalità Il periodo di raccolta è tradizionalmente compreso tra luglio ed agosto, essiccata è disponibile tutto l’anno. Sapori medievali del “Cicotto di Grutti” Presidio Slow Food Nel piccolo borgo medioevale di Grutti c’è ancora un forno a legna comunale che veniva usato fino a poche decine di anni fa dalle famiglie del paese per cuocere la porchetta e, ovviamente, il cicotto. A Grutti, una frazione di cinquecento abitanti del comune di Gualdo Cattaneo, il cicotto è una tradizione al pari della ormai celeberrima porchetta e la sua lunga e paziente preparazione si è tramandata nel paese di padre in figlio, dagli anziani fino agli attuali produttori. A differenza di altre zone dell’Umbria, dove si tramandano preparazioni simili, ma fatte solo con lo stinco del maiale, la tradizione di Grutti prevede la cottura di tutti i tagli dell’animale. Orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre interiora sono lavorati e disossati a mano, accuratamente lavati e sezionati. Le carni così miscelate sono poste all’interno di una vasca e quindi nel forno di cottura esattamente sotto la porchetta, in modo da raccogliere il grasso di questa e le spezie usate per la sua cottura, una miscela di rosmarino fresco, aglio rosso della vicina Cannara, pepe nero e finocchio. In questo modo si aggiunge sapore al prodotto. La cottura è molto lenta, varia dalle nove alle dodici ore, ad una temperatura di circa 200°C, in questo modo il cicotto rimane morbido e ricco di aromi. Terminata la cottura, lo si lascia raffreddare, si scolano il grasso e i liquidi di cottura in apposite ceste e poi è pronto per il consumo. Ma è ottimo anche conservato e riscaldato. Con il cicotto si preparano anche sughi oppure una ricetta tipica locale con le lumache e alcune ricette con ceci o fagioli. Intenso, con una consistenza morbida, succosa e dalle note affumicate al naso, in bocca rivela tutta la sua sapidità e speziatura. Il nome trova le sue radici nei trattati di cucina del Cinquecento, quando con tale termine era identificato il cosciotto e quindi la zampa dell’animale, ingredienti essenziali di questo prodotto. Il Presidio A Grutti oggi ci sono tre produttori di cicotto, eredi di questa tradizione e produttori di porchetta per professione. Portano avanti la tradizione degli abitanti della zona, lavorando in strutture ammodernate ma senza aver cambiato la tecnica di lavorazione originale. La materia prima arriva dagli allevamenti della media Valle del Tevere, nella zona di produzione, i suini sono allevati in condizioni di benessere animale e alimentati con cereali coltivati in azienda, senza l’utilizzo di organismi geneticamente modificati. Il Presidio vuole promuovere questa produzione così peculiare e al momento commercializzata quasi esclusivamente a livello locale attraverso la vendita diretta e nei mercati del territorio. Infine, valorizzare un serio lavoro di filiera regolamentato da un rigoroso disciplinare. Area di produzione Grutti, frazione del Comune di Gualdo Cattaneo in provincia di Perugia Stagionalità Viene preparato durante tutto l’anno, in relazione alla cottura della porchetta