Laboratori del Gusto di Slow Food-2016

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Laboratori del Gusto di Slow Food-2016
I Laboratori del Gusto per la Mostra del Tartufo di Città di Castello 2016
I Laboratori del Gusto® sono lo strumento ideato da Slow Food® nel 1994 per realizzare il progetto di
Educazione del Gusto, obiettivo-chiave del movimento.
Si tratta di degustazioni speciali guidate da esperti del settore enogastronomico e dell’associazione,
coadiuvati da valenti artigiani e produttori, cuochi e selezionatori che accompagnano i partecipanti alla
scoperta dei prodotti dell’enogastronomia di eccellenza. Il tutto in modo consapevole e gioioso, competente e
gratificante: i partecipanti possono toccare con mano, annusare, assaggiare, confrontare quanto viene
descritto e raccontato, interagendo con i relatori.
Nel caso specifico dell’evento, l’area del Loggiato Bufalini dedicato interamente alle iniziative
Food, sarà suddiviso in spazzi definiti per i Laboratori del Gusto, esposizione e vendita dei
dell’agroalimentare regionale, dei Presidi Slow Food e per la divulgazione dei tanti progetti
internazionali legati alla filosofia della salvaguardia della biodiversità alimentare e culturale nel
fondante della filosofia di Slow Food del diritto al piacere del cibo buono, pulito e giusto.
di Slow
prodotti
locali e
concetto
L’area dei Laboratori del Gusto, centrale al contenitore e opportunamente attrezzata con cucina, sedie e
tavolini per i partecipanti, sarà gestita con gli eventi sotto riportati e aperta al pubblico con opportuna
prenotazione. La rotazione degli eventi sarà continua e articolata per tutta la durata della manifestazione.
L’obiettivo principale di questo progetto è senza dubbio quello di parlare in modo corretto e completo del
cibo che ci riguarda e delle persone che lo producono. Un concetto altro di territorialità e impegno che da 30
anni vede Slow Food battersi contro la massificazione e costruire instancabilmente le basi culturali di una
nuova e sostenibile concezione di cibo.
Marino Marini
Laboratori del Gusto di Slow Food
Chiacchiere che fanno farina
Incontro con Stefano Piergentili, Cinzia Corgnoli e la storia
del Mulino Medievale dei Renzetti, l’opificio del grano che
da secoli lavora ininterrottamente e che oggi si sta
affermando sempre più come luogo della fabbricazione di
farine biologiche di alta qualità da grani antichi macinati a
pietra.
Il Laboratorio propone una degustazione di varie tipologie di
pane accompagnate da salumi e formaggi degli altri progetti
territoriali di Slow Food Alta Umbria.
Durante il Laboratorio saranno proiettate immagini del documentario “Chiacchiere che fanno farina” con
l’intervento filmato del fondatore di Slow Food Carlo Petrini.
Il fagiolo “dimenticato” di Marzana
Incontro con Elena Caraffini, la giovane ragazza che guida
l’Azienda Reno e Talacchio, luogo suggestivo della
campagna umbra al confine tra il comune di Città di Castello
e Monte S.Maria Tiberina.
In questo luogo Elena e la sua famiglia, oltre che coltivare
moltissime varietà di frutti antichi, ortaggi, cereali e le
rinomate patate di Talacchio, da alcuni anni hanno salvato e
ripristinato la coltivazione di una particolare varietà di
fagiolo piatto bianco che da sempre era definito il fagiolo di
Marzana, una piccola località oggi completamente
abbandonata e riassorbita dalla natura.
La tenacia di Elena nel rimettere in circolazione questo fagiolo “dimenticato” ha prodotto una grande serie di
consensi dovuti alla particolare delicatezza del sapore di questo legume nobile.
Oltre al racconto dell’esperienza di questa famiglia umbra il Laboratorio proporrà la degustazione di alcune
combinazioni culinarie ottenute dalla trasformazione del fagiolo “dimenticato” di Marzana con altri
ingredienti e Presidi dell’Alta Umbria.
La “Cucina dell’Umbria che amo” con Chiara Filippi, chef
Chiocciola Slow Food del Ristorante Miniera di Galparino
Appena riconfermata al Salone del Gusto di Torino con la
Chiocciola della Guida delle Osterie d’Italia, la chef Chiara
Filippi si cimenta in un Laboratorio del Gusto di assoluta
eccellenza con la degustazione dei piatti che hanno reso
famoso il ristorante posto all’interno della tenuta dell’Azienda
Agraria di famiglia.
Osservanza delle componenti aromatiche e maniacale
precisione nelle tecniche culinarie, hanno fatto di Chiara
Filippi una vera e propria icona umbra della cucina
tradizionale rivisitata con sapienza e garbo.
Dolce come il Miele di Montecorona
Biologi, tecnici alimentaristi e cultori del nettare per
eccellenza, non a caso compongono questo team
straordinario di produttori di miele di alta qualità.
La vocazione verso questa meraviglia naturale è la colonna
portante del loro concetto di impresa sostenibile e
sicuramente il segreto del successo che riscontrano i loro
prodotti.
Api”cultura” è in sintesi il motto dell’Apistica Montecorona
che al prodotto unisce il racconto e la diffusione dei principi
della
salvaguardia
della
biodiversità
ricordando
instancabilmente la preziosità di questi insetti che
quotidianamente garantiscono la vita degli esseri umani grazie alla loro instancabile operosità.
Cantone e la cucina sapiente della Comunità del Cibo
dell’Appennino dell’Umbria del nord
Si parla piuttosto frequentemente e purtroppo a sproposito,
del concetto di cucina popolare o tradizionale ma spesso si
banalizza senza conoscere la realtà delle pratiche arcaiche di
trasformazione alimentare che hanno riguardato le nostre
varie aree geografiche.
Simona e Giacomo Traversini hanno reso possibile la
fruizione della conoscenza gastronomica della vera
tradizione appenninica dell’Umbria settentrionale. Dalla loro
azienda agricola e al relativo opificio gastronomico di
Cantone, località di origini longobarde posta nel passaggio
naturale dell’area dell’Appennino umbro marchigiano,
operano una intensa e sapiente attività di produzione e
trasformazione alimentare straordinariamente complessa e meritevole. La cucina delle carni difficili ma
sensazionali al palato, è uno dei loro principali meriti e la riproposizione di questi piatti dimenticati è di fatto
una reale esperienza che ogni cultore del cibo vero dovrebbe vivere.
Le birre di Montone
L’arte birraria si sta diffondendo anche nel nostro Paese, cosa
culturalmente piuttosto bizzarra dato il nostro millenario
rapporto con i frutti della vite. Eppure le tecniche più
raffinate e le tecnologie più all’avanguardia della modernità,
permettono oggi di depositare nei calici umbri birre di
straordinaria qualità che trovano spazzi impensati nei vari
mercati del food e beverage.
Uno di questi minuscoli ma non meno rinomati micro
birrifici umbri trova luogo nelle terre del Capitano di ventura
Andrea Fortebracci. Montone celebra quindi un nuovo
connubio con la più antica delle bevande inventate dall’umanità e la pone all’attenzione di tutti sotto il
rigoroso metro della qualità.
Nero del Monte, il Tartufo del marchesato
La nobiltà di un luogo storico come Monte Santa Maria
Tiberina è ancora di più accentuata dalla nobiltà del più
ambito dei frutti del bosco che in queste terre riesce a
evidenziarsi anche nella più semplice delle sue varietà, il
tartufo nero. Le terre dell’antico marchesato dei Bourbon Del
Monte ne sono ricchissime e la gradevolissima peculiarità
organolettica che questo tubero offre è apprezzata da
chiunque si avventuri per le pittoresche vie di questo borgo
antico.
Il Culatello di San Leo
Si dice che la tradizione è un’innovazione ben riuscita e
anche se certamente il culatello non può vantare natali umbri,
il risultato ottenuto dalla sperimentazione di questa tecnica
della norcineria padana ha trovato nel laboratorio Chiodi di
San Leo Bastia l’habitat ideale a una replica oltremodo
apprezzabile di questo salume dell’eccellenza nazionale.
Borgiona e Gentille “l’oliva dell’olio umbro d’eccellenza”
Saverio Pandolfi, responsabile Slow Food Umbria della Guida
agli Extravergini, da vita al Laboratorio del Gusto sull’olio
d’oliva regionale presentando una serie di prodotti selezionati
delle migliori aziende olivicole con panel test e degustazioni
mirati al riconoscimento dei profumi e dei sapori dell’oro
verde umbro.
Con Pandolfi si parlerà delle straordinarie cultivar Borgiona e
Gentile dell’alto Tevere assieme a Dante Sambuchi,
produttore d’eccellenza e profondo conoscitore del mondo
dell’olio extravergine d’oliva.
“Libero impastatore” la visione del pane di Andrea
Pioppi
Perugino doc, è stato impastato con acqua e farina nel forno
di famiglia, luogo magico in cui fin da piccolo ha potuto
conoscere e provare il duro mestiere del fornaio acquisendo i
fondamenti dell’arte bianca (dal lievito "padre” Pippo e dal
lievito "madre" Bruna).
Dopo 20 anni di collaborazione con l’azienda familiare, Il
Forno di Pioppi, e il diploma di operatore chimico biologico
decide di seguire la sua vocazione di libero impastatore (da
sempre si definisce ed è conosciuto in questo modo)
occupandosi di consulenza e formazione nel settore dell'arte bianca: panetteria, pizzeria, pasticceria,
ristorazione-catering, industria prodotti da forno.
Orgoglioso di essere italiano, non è però un fanatico del made in Italy; crede nel valore aggiunto della tipicità
a qualunque latitudine senza considerarla però un dogma.
“Dolci e pasticci” la giovane Chef pasticcera Caterina
Tripaldi elabora la sua idea di dolce con le Pesche di
Montecorona
La passione è un ingrediente molto difficile da reperire e pare
del tutto impossibile da acquistare. La passione però è
l’ingrediente in abbondanza delle creazioni della
giovanissima Caterina Tripaldi, pasticcera che ha saputo
fondere con estrema sensibilità le antiche tecniche dell’arte
dolciaria del meridione con le tecniche della più moderna
pasticceria internaionale.
Alla provocazione di Slow Food in merito all’utilizzo della
Pesca di Montecorona, uno dei frutti più rappresentativi
dell’Alta Valle del Tevere, Caterina risponde in un mix
garbato e fresco di artistica passione.
La “Farsiccia” un gustoso wurstel dell’Antica Roma.
Lo chef Francesco Pascasio guida la degustazione di uno dei
prodotti alimentari più curiosi del momento: una salsiccia di
2000 anni fa.
La Farsiccia è una salsiccia di carne di maiale e farro (far in
latino), ispirata a una ricetta di Marco Gavio Apicio, il più
celebre gastronomo dell’antica Roma.
E’ il frutto della ricerca di un archeologo e di un cuoco che
hanno dato vita ad Archeofood (www.archeofood.com) spinti
dal desiderio di conoscere e sperimentare cibi e sapori del
passato che oggi non si conoscono più.
La ricetta è stata reinterpretata con ingredienti di primissima scelta, selezionati con cura e sperimentati a più
riprese, anche grazie ad un apposito progetto sostenuto dalla Comunità Europea tramite la Regione
dell’Umbria (PSR).
Oltre a vantare 2000 anni di storia ed essere gustosissima, la Farsiccia ha anche interessantissimi aspetti
nutrizionali e un singolare apprezzamento da parte dei giovani.
Formaggi sardi dell’Umbria De Muro
L’antichissima pratica arcaica della pastorizia trova nella
Sardegna uno dei suoi più fertili terreni di diffusione
culturale. Le dinamiche economiche degli ultimi decenni
hanno favorito la migrazione particolarissima di molte
famiglie sarde verso i fertilissimi terreni umbri e dato vita a
una rinnovata tradizione casearia che oggi si distingue per
l’eccellenza qualitativa di formaggi a latte crudo.
Di questo prezioso scambio culturale fanno parte anche la
famiglia De Muro che da Orgosolo si è stabilita nel nord
dell’Umbria e si fregia di produzioni casearie di primissimo livello. I profumi della terra umbra oltrepassano
l’antica trasformazione e riprendono tono nei formaggi di questa bellissima famiglia nell’esatto modo in cui
l’armonico accento sardo persiste nelle nuove generazioni ormai umbre a tutti gli effetti. Uno dei migliori
esempi della contaminazione culturale dei territori che è stata sempre parte imprescindibile dell’evoluzione
delle civiltà.
Dolce, dolcissima credenza.
La Natura sottovetro di Giovannella Migliorati
Quello che in casa Migliorati cercano di fare è mantenere le
vecchie tradizioni seppure adeguandosi al progresso e a ciò
che esso ci impone.
Le confetture di questa microscopica azienda agricola umbra
vengono fatte bollire in pentola come da metodo classico e
portate a ebollizione tramite vapore.
Nessun addensante ma solo frutta, zucchero, miele.
Presenti da sempre al Mercato della Terra di Slow Food, hanno sempre condiviso e praticato senza clamori la
filosofia del cibo buono, pulito e giusto puntando a una qualità di prodotto che rispecchiasse anche la qualità
della vita nell’amore vero verso la propria Madre Terra.
Il Mazzafegato dell’Alta Valle del Tevere Presidio Slow
Food
Questo insaccato che ha la sua zona di origine nel centro
Italia, trova la sua massima espressione nell’area dell’alta
valle del Tevere, al confine tra Umbria e Toscana.
In quest’area il mazzafegato, altrimenti detto sanbudello nella
Valtiberina toscana, è stato fino a qualche decina di anni fa
un parente “povero” della salsiccia, immancabile sulla tavole in autunno e inverno, legato fortemente alla
tradizione della norcineria casalinga. Ogni famiglia che possedeva suini, nella stagione della macellazione
dei maiali produceva mazzafegati da consumare subito o, più raramente, da conservare sotto strutto,
sott’olio, oppure nel grano o nella semola.
Preparare e consumare insieme i mazzafegati alla fine della lavorazione del maiale, è frutto dell’esperienza e
della tradizione di ogni famiglia: a parte gli ingredienti di base – le carni rosse, più ricche di sangue,
altrimenti non utilizzate (fegato,cuore,polmone e carni avanzate dalle altre lavorazioni) – il tipo di speziatura
varia secondo il produttore, ognuno custodisce i propri segreti, tramandati oralmente in ogni comunità.
Il mazzafegato è l’ultimo salume che si prepara, dopo aver lavorato tutti gli altri, quando rimangono sul
bancone le ultime parti della macellazione, la cosiddetta “ripulitura di banco”.
Le carni vengono tritate grossolanamente, addizionate di un piccola parte di cotenna e di fegato e conciate
con sale, pepe, piccole quantità di aglio, scorza di limone e/o arancio e soprattutto fiori di finocchio che,
assieme alla grana grossolana, caratterizzano fortemente questo salume. L’impasto viene poi fatto riposare e
insaccato nel budello naturale di suino detto “torto” . La legatura avviene manualmente, con lo spago: si
formano piccole salsicce di 10 centimetri di lunghezza e circa 3 di diametro, che sono poi lasciate asciugare
per circa 7-10 giorni dopo di che sono pronte per il consumo. La tradizione prevede la cottura alla brace,
accompagnandole con erbe di campo cotte e saltate.
Il colore del mazzafegato è scuro, ed è inconfondibile il sentore di fiori di finocchio che esprime tutto il suo
aroma senza coprire il profumo della concia e delle carni.
Un prodotto complesso, che unisce la grossolanità delle carni a una speziatura suadente, nato dalla necessità
di utilizzare tutto il maiale: grazie alla abilità dei norcini si è fatto di necessità virtù, trasformando quelli che
possono essere considerati avanzi in un insaccato ricercato dagli amatori.
Il Presidio
Oggi la produzione di mazzafegato non è più diffusa come un tempo, la difficoltà di trovare un pubblico
preparato ai sapori complessi ha portato al declino questo insaccato, che rischiava di scomparire sulle tavole
non solo degli abitanti dell’alta valle del Tevere ma anche di altre zone del centro Italia dove, con altri nomi
e altre ricette, si era ben radicato.
In Umbria, tra Città di Castello e Umbertide, alcuni norcini non hanno mai interrotto la produzione,
supportati da una piccola parte della comunità che non ha mai abbandonato il consumo dei mazzafegati.
Il Presidio ha riunito sette produttori che, spinti dalla voglia di recuperare questo prodotto e di riproporlo
secondo le tradizione della propria famiglia, hanno ripreso con entusiasmo la produzione lavorando carni di
provenienza locale. Il loro obiettivo adesso è cercare di convincere anche altri a riprendere la lavorazione dei
mazzafegati, in modo da diffonderlo sul territorio, farne conoscere il valore, la complessità e il significato a
consumatori che non ne hanno memoria.
Area di Produzione.
Città di Castello e Umbertide (provincia di Perugia)
Stagionalità
Il mazzafegato si produce tradizionalmente nella stagione invernale, da novembre a marzo.
Il Vinosanto Affumicato dell’Alta Valle del Tevere
Presidio Slow Food
La produzione del vinosanto è una tradizione che appartiene a
tutte le aree vitivinicole di Toscana e Umbria. Ma nell’alta
Valtiberina, intorno a Città di Castello, nei secoli le famiglie
hanno elaborato una tecnica che ha reso unico e originale
questo prodotto: l’appassimento dei grappoli o coppiole
(grappoli appesi uniti a due a due) è fatto in locali ricchi di
fumo, per la presenza di camini e stufe, e questo dona una
nota affumicata al prodotto finale. Storicamente tutte le
famiglie della zona appendevano i grappoli alle travi del
soffitto, in cucina, permettendo al fumo del camino di salire e permeare gli acini, ma nell’Ottocento questa
tradizione si è intrecciata con l’attività in ascesa dell’epoca: la produzione del tabacco. Nei locali costruiti
per stendere ad asciugare le foglie di tabacco, i produttori di vino sistemavano anche i grappoli, esponendoli
al fuoco e al fumo delle grandi stufe a legna. Il connubio tra i due prodotti continuava anche dopo: quando i
contadini dissotterravano le casse in latta dove avevano nascosto un po’ di tabacco per sottrarlo ai monopoli
di stato, per ammorbidire le foglie le irroravano con il vinosanto. E la tradizione di inzuppare il sigaro
toscano nel vinosanto prima di fumarlo esiste ancora oggi. Le uve impiegate sono trebbiano, malvasia ma
anche grechetto, cannaiolo, vernaccia e san colombano, tutte raccolti a maturazione ancora non eccessiva,
affinché le bucce degli acini siano spesse e resistano all’appassimento, che dura almeno tre, quattro mesi,
fino a dicembre o gennaio. I grappoli sono quindi diraspati, pigiati e lasciati a fermentare in botti di legno
con il lievito madre che ogni famiglia custodisce. Rimangono poi in locali ben areati e soggetti agli sbalzi di
temperatura stagionali. Il tempo fa il resto, offrendoci – dopo almeno tre anni – un vino amabile con note di
frutta secca e miele di castagno, ma con un inconfondibile sentore di fumo che ricorda appunto il tabacco da
sigaro.
Il Presidio
Il Presidio vuole convincere altri piccoli viticoltori a riprendere la produzione in modo professionale,
riportando sul mercato un prodotto dal sapore antico che potrebbe rappresentare un’interessante integrazione
dell’attività agricola nella valle del Tevere, un’area in cui le coltivazioni ad alto reddito degli ultimi decenni
– frutticoltura e tabacco in primis – sono state progressivamente abbandonate.
Area di produzione
Alta Valle Tevere, provincia di Perugia
Stagionalità
Il prodotto è disponibile tutto l’anno.
Roveja di Civita di Cascia Presidio Slow Food
Si deve alla tenacia di Silvana Crespi De Carolis, questa
piccola grande donna, se oggi la roveja è ancora presente nel
corredo delle leguminose umbre. La roveja è un piccolo
legume simile al pisello, dal seme colorato che va dal verde
scuro al marrone, grigio. Nei secoli passati era coltivato su
tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in
particolare sui Monti Sibillini, dove i campi si trovavano
anche a quote elevate: la roveja è resistente anche alle basse
temperature, si coltiva in primavera-estate e non ha bisogno
di molta acqua. Cresce anche in forma spontanea, lungo le
scarpate e nei prati, ma nei secoli passati era protagonista dell’alimentazione dei pastori e contadini dei
Sibillini con altri legumi poveri quali lenticchie, cicerchie, fave. Proprio perché cresce da sempre anche
selvatico alcuni ricercatori sostengono che si tratti di un progenitore del pisello comune. Secondo altri invece
è una vera e propria specie (Pisum arvense) differente da quella del pisello (Pisum sativum), in ogni caso la
classificazione botanica è ancora indefinita. Esiste invece un totale accordo sulla sua valenza nutritiva: è
molto proteica, in particolare se consumata secca, ha un altro contenuto di carboidrati, fosforo, potassio e
pochissimi grassi. Oggi è stata pressochè abbandonata ovunque e resistono solo pochi agricoltori nella val
Nerina, in particolare a Cascia dove, in una località chiamata Preci, c’è una fonte detta dei rovegliari. In
questa vallata la roveja si semina a marzo a un’altitudine che va dai 600 ai 1200 metri e si raccoglie tra la
fine di luglio e l’inizio di agosto. La battitura è simile a quella della lenticchia: quando la metà delle foglie è
ingiallita e i semi sono diventati cerosi, si sfalciano gli steli e si lasciano sul prato ad essiccare. Quando
l’essicamento è completato si portano sull’aia e si trebbiano. Si deve poi liberare la granella dalle impurità
con una ventilazione che avviene con setacci. La roveja, detta anche roveglia, rubiglio, pisello dei campi,
corbello, si può mangiare fresca oppure essiccata, in questo caso diventa un ottimo ingrediente per minestre,
zuppe. Macinata a pietra, si trasforma in una farina dal lieve retrogusto amarognolo che serve per fare
la farecchiata o pesata: una polenta tradizionalmente condita con un battuto di acciughe, aglio e olio
extravergine di oliva, buona anche il giorno successivo, affettata e abbrustolita in padella.
Il Presidio
Come per la produzione di lenticchie a quote elevate e in aree impervie, anche nel caso della roveja la
raccolta è molto faticosa e difficoltosa: gli steli sono lunghi, superano abbondantemente il metro di altezza, e
sono facili all’allettamento, rendendo così quasi impossibile l’impiego della mietitrebbia meccanica. I mezzi
moderni sono perfetti per gli steli più bassi delle varietà di frumento selezionate negli ultimi decenni e non
riescono a lavorare gli steli lunghi delle antiche varietà. Infatti la roveja è falciata a mano. Occorre lavorare
chinati e ovviamente ci vuole molto tempo. Questo ha scoraggiato la coltivazione della roveja e anche
l’abbondono degli antichi legumi minori ha contribuito a far sì che quasi nessuno oggi conosca più questo
piccolo ma gustoso pisello, dal sapore che ricorda vagamente la fava. Il Presidio coinvolge quattro piccoli
produttori di Civita di Cascia che hanno recuperato il seme antico e si propone di diffondere la conoscenza di
questo legume e coinvolgere altri coltivatori che al momento producono solo per autoconsumo.
Area di produzione
Territorio del comune di Cascia (provincia di Perugia)
Stagionalità
La roveja si raccoglie tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. Essiccata è disponibile tutto l’anno
La Fagiolina del Lago Trasimeno Presidio Slow Food
Il seme è piccolo come un chicco di riso. Coltivata da sempre
sui terreni attorno al lago Trasimeno e diffusa fino agli anni
Cinquanta del Novecento, in seguito la fagiolina è quasi
scomparsa. L’area del lago ha subito infatti, da quel periodo
in poi, un grave spopolamento delle campagne, e questa
antica coltivazione, a differenza di altre che hanno
consolidato il loro valore commerciale (mais, girasole,
peperoni…) è andata progressivamente scomparendo. Colpa
anche di una coltivazione lunga, faticosa e ancora tutta
manuale: dalla semina alla raccolta fino alla battitura. La
maturazione, inoltre, è scalare: i fagioli devono essere raccolti ogni giorno per un paio di settimane. Le
piantine si sistemano nell’aia, si fanno essiccare e si battono con forche e bastoni. Poi, con i vagli si separano
i semi e si insaccano.
È un fagiolo con forma ovale e minuscola e può essere di vari colori: dal crema al nero passando per il
salmone e per tutte le tonalità del marrone, anche screziato. In bocca è tenero, burroso e particolarmente
saporito.
Le ricette locali a base di fagiolina sono semplicissime: quella essiccata si mangia lessa con un po’ di olio
extravergine di oliva locale, proveniente dalle colline che circondano il lago, mentre quella fresca (il
cornetto) si passa in tegame con pomodoro e aglio.
Il Presidio
Si tratta di una realtà molto piccola: la struttura delle aziende agricole è di tipo familiare e gli addetti non
superano le tre unità, producendo, complessivamente, sette, otto quintali di fagiolina. Il Presidio sta
lavorando per far conoscere questo prodotto, permettendogli di uscire dal mercato locale (oggi la vendita è
perlopiù diretta) e stimolando così un piccolo incremento produttivo.
I piccoli produttori che ancora seminano e raccolgono manualmente questo fagiolo policromatico si sono
riuniti in una associazione e si sono dotati di un disciplinare che distingue la produzione del Presidio dalle
altre, monocromatiche, che si trovano sempre più spesso in vendita riprendendo alcuni aspetti della
coltivazione tradizionale come la raccolta esclusivamente manuale.
Area di produzione
Comuni intorno al lago Trasimeno (provincia di Perugia).
Stagionalità
Il periodo di raccolta è tradizionalmente compreso tra luglio ed agosto, essiccata è disponibile tutto l’anno.
Sapori medievali del “Cicotto di Grutti” Presidio Slow
Food
Nel piccolo borgo medioevale di Grutti c’è ancora un forno a
legna comunale che veniva usato fino a poche decine di anni
fa dalle famiglie del paese per cuocere la porchetta e,
ovviamente, il cicotto. A Grutti, una frazione di cinquecento
abitanti del comune di Gualdo Cattaneo, il cicotto è una
tradizione al pari della ormai celeberrima porchetta e la sua
lunga e paziente preparazione si è tramandata nel paese di
padre in figlio, dagli anziani fino agli attuali produttori. A
differenza di altre zone dell’Umbria, dove si tramandano
preparazioni simili, ma fatte solo con lo stinco del maiale, la
tradizione di Grutti prevede la cottura di tutti i tagli
dell’animale. Orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre
interiora sono lavorati e disossati a mano, accuratamente lavati e sezionati. Le carni così miscelate sono
poste all’interno di una vasca e quindi nel forno di cottura esattamente sotto la porchetta, in modo da
raccogliere il grasso di questa e le spezie usate per la sua cottura, una miscela di rosmarino fresco, aglio
rosso della vicina Cannara, pepe nero e finocchio. In questo modo si aggiunge sapore al prodotto. La cottura
è molto lenta, varia dalle nove alle dodici ore, ad una temperatura di circa 200°C, in questo modo il cicotto
rimane morbido e ricco di aromi. Terminata la cottura, lo si lascia raffreddare, si scolano il grasso e i liquidi
di cottura in apposite ceste e poi è pronto per il consumo. Ma è ottimo anche conservato e riscaldato. Con il
cicotto si preparano anche sughi oppure una ricetta tipica locale con le lumache e alcune ricette con ceci o
fagioli. Intenso, con una consistenza morbida, succosa e dalle note affumicate al naso, in bocca rivela tutta la
sua sapidità e speziatura. Il nome trova le sue radici nei trattati di cucina del Cinquecento, quando con tale
termine era identificato il cosciotto e quindi la zampa dell’animale, ingredienti essenziali di questo prodotto.
Il Presidio
A Grutti oggi ci sono tre produttori di cicotto, eredi di questa tradizione e produttori di porchetta per
professione. Portano avanti la tradizione degli abitanti della zona, lavorando in strutture ammodernate ma
senza aver cambiato la tecnica di lavorazione originale. La materia prima arriva dagli allevamenti della
media Valle del Tevere, nella zona di produzione, i suini sono allevati in condizioni di benessere animale e
alimentati con cereali coltivati in azienda, senza l’utilizzo di organismi geneticamente modificati. Il Presidio
vuole promuovere questa produzione così peculiare e al momento commercializzata quasi esclusivamente a
livello locale attraverso la vendita diretta e nei mercati del territorio. Infine, valorizzare un serio lavoro di
filiera regolamentato da un rigoroso disciplinare.
Area di produzione
Grutti, frazione del Comune di Gualdo Cattaneo in provincia di Perugia
Stagionalità
Viene preparato durante tutto l’anno, in relazione alla cottura della porchetta