Katiuscia Greganti

Transcript

Katiuscia Greganti
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
INTERFACOLTA’ IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE
DISSERTAZIONE FINALE
IN VIAGGIO ALLA RICERCA DELL’ISOLA SCONOSCIUTA
Un laboratorio orientativo nella scuola secondaria di primo grado
Relatore:
Katiuscia Greganti
firma
Candidata:
Margherita Schirone
matr. n° 200690
firma
Anno accademico 2010 - 2011
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
[…]
Spesso quand’io ti miro […]
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?
Giacomo Leopardi (1829, Canto notturno di un
pastore errante dell'Asia)
1
The Road Not Taken
Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;
Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,
And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.
2
I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I-I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
Robert Frost (1916, dalla raccolta
Mountain Interval)
1
2
Immagine tratta dal sito http://angoloriflesso.bloog.it/lisola-che-non-ce.html
Immagine tratta dal sito http://endlessstream.blogspot.com/2011/10/road-not-taken.html
Pag. 2 di 195
INDICE
INTRODUZIONE......................................................................................................5
PRIMA PARTE: ASPETTI TEORICI..................................................................... 10
1 L’ORIENTAMENTO A SCUOLA.........................................................................11
1.1 Cos’è l’orientamento e perché è importante...........................................................................................11
1.2 Orientamento: breve excursus storico.....................................................................................................24
1.3 L'intervento orientativo nella scuola.......................................................................................................36
1.4 Preadolescenza e scelte per il futuro........................................................................................................53
2 DALLE IDENTITÀ POSSIBILI ALL’IDENTITÀ REALE ..................................... 57
2.1 Preadolescenza, adolescenza e costruzione dell’identità........................................................................57
2.2 Il progetto di sé: costruzione del sé come narrazione di sé....................................................................84
2.3 Decidere la propria vita............................................................................................................................ 88
SECONDA PARTE: IL LABORATORIO .............................................................102
3 METODOLOGIA, OBIETTIVI E CONTESTO....................................................103
3.1 Com’è nata l’idea del laboratorio e perchè. .........................................................................................103
3.2 Obiettivi e modalità di valutazione........................................................................................................104
3.3 Metodologia..............................................................................................................................................105
3.4 I soggetti....................................................................................................................................................114
4 REALIZZAZIONE E VERIFICA DEI RISULTATI ..............................................116
4.1 Verifica della qualità del processo......................................................................................................... 116
4.2 Verifica dei risultati.................................................................................................................................130
CONCLUSIONI.................................................................................................... 137
ALLEGATO A – SCHEMA DEL DIARIO DEGLI INCONTRI ............................. 150
ALLEGATO B – TABELLE MATERIALE EMERSO......................................... 151
Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° T................................................................................ 151
Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° V................................................................................156
Pag. 3 di 195
Scuola Palmieri di Torino - Classe 3° Z......................................................................................................160
ALLEGATO C – SCHEDE DI VALUTAZIONE ................................................... 164
Scheda di valutazione alunni.......................................................................................................................164
Scheda di valutazione professore................................................................................................................166
ALLEGATO D – IL LIBRETTO........................................................................... 169
BIBLIOGRAFIA................................................................................................... 183
Testi................................................................................................................................................................183
Siti Internet................................................................................................................................................... 196
Pag. 4 di 195
INTRODUZIONE
Ogni individuo percorre la strada della propria vita e man mano che procede,
crescendo e maturando, cadendo e rialzandosi, fermandosi a riposare o mettendosi a
correre, tenendo altri per mano o stringendo i pugni, costruisce sé stesso. Ogni strada è un
percorso unico e irripetibile, che si incrocia con innumerevoli altri percorsi. Ogni strada ha
i suoi bivi, le sue deviazioni, i suoi sensi unici. Nessuno può percorrere la strada che
appartiene a qualcun altro, né può tracciarne il percorso, anche se a volte può influenzarlo.
Ogni incrocio che si presenta lungo il cammino impone una scelta.
Two roads diverged in a wood, and I…
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference3.
Migliaia, milioni di scelte tracciano il percorso della vita di ognuno, alcune più
importanti, altre secondarie, ma ciascuna porta con sé le proprie conseguenze.
In un passato non molto lontano gran parte del sentiero era già deciso in base alla
posizione sociale (nobile, contadino, operaio…), economica (ricco, povero) e familiare
(primogenito, maschio, femmina,…) acquisita alla nascita. Pochi erano coloro che, per
forza di spirito o per fortuna, riuscivano a deviare il corso del proprio destino, scegliendo,
spesso a caro prezzo, chi diventare ed essere. Oggi, nella società occidentale attuale, non è
più così. Innumerevoli possibilità ed opportunità di scelta sembrano aprirsi di fronte al
giovane che, uscendo dal nido famigliare, si affaccia al mondo e si deve preparare a
prendere definitivamente il volo verso l’autonomia e l’indipendenza. Non solo, ma anche
per chi il “nido” l’ha già lasciato da un pezzo è possibile cambiare ancora percorso,
inventare e re-inventare se stesso o parti di se stesso, cambiando lavoro, cambiando
professione, disfando una famiglia e costruendone un’altra, cominciando una “nuova vita”.
A ben guardare, però, non sempre si tratta di una scelta. La fluidità del mondo del lavoro,
legata all’enorme progresso tecnico e scientifico, ha determinato continui e decisivi
cambiamenti nel panorama professionale ed occupazionale: professioni una volta
considerate “sicure” e di prestigio sono scomparse o quasi, gli artigiani sono in via di
estinzione, il posto fisso è un miraggio difficile da concretizzare. Anche la famiglia è
cambiata: se la donna non lavora raramente è perché ha scelto di fare la “casalinga”, più
3
Dalla poesia “The road not taken” di Robert Frost (1916). Traduzione: “Divergevano due strade in un
bosco, e Io…/Io presi la meno battuta, / e di qui ogni differenza è venuta”.
Pag. 5 di 195
spesso o è disoccupata o ha dovuto stare a casa per guardare i figli, visto che asili ce ne
sono pochi, sono costosi e non sempre i nonni possono aiutare, anche perché talvolta
lavorano ancora. Separazioni, convivenze, famiglie allargate: all’immagine tradizionale
della famiglia nucleare, tipica del contesto urbano, che già aveva soppiantato quella della
famiglia estesa contadina, si è oggi sostituita una miriade di immagini, di possibili
combinazioni parentali che si mescolano e confondono come riflessi dai frammenti di uno
specchio rotto. Non esiste più un momento in cui si possa dire “sono arrivato” e la
precarietà, non solo lavorativa, è il sottofondo dominante alla vita di ciascuno.
Scegliere non è mai semplice, richiede un insieme complesso di operazioni mentali:
riconoscere le possibilità disponibili, valutarne le conseguenze, stabilire delle priorità,
effettuare delle rinunce. Quando le opportunità di scelta si moltiplicano, mentre le
conseguenze possibili divengono confuse e incerte, la situazione si fa ancora più difficile.
Nella società contemporanea, complessa e in continua trasformazione, soprattutto i
giovani si trovano immersi in un bombardamento di notizie, informazioni, sollecitazioni,
suggestioni, in cui sembrano apparentemente muoversi a loro agio, circondati da televisori,
cellulari, computer, videogiochi.
“I giovani d’oggi hanno tutto”, si sente spesso dire, trascurando che quello che manca
loro è lo spazio, non solo fisico (certo mancano anche i luoghi di incontro), ma soprattutto
lo spazio mentale, il tempo per riflettere e scoprire sé stessi. Non fanno in tempo a
desiderare qualcosa, perché c’è sempre qualcun altro (la moda, la televisione, gli amici, i
genitori) che già li ha preceduti e “sa” cosa desiderano: la maglietta firmata, il cellulare
ultima generazione, la moto, la macchina, le serate in discoteca.
Manca il tempo del dialogo, il tempo del confronto, il tempo per stare un po’ con sé e
raccontarsi la propria vita, capire chi si è, dove si è, dove si può e si vuole andare. Gli
adulti, indaffarati e stanchi, anch’essi confusi e frastornati, non sempre riescono a fornire ai
ragazzi sostegno e contenimento, esempio e guida. Riempiono il tempo dei propri figli di
scuola, sport, attività, corsi vari, oppure li affidano alla televisione, al computer.
Così, il giovane adolescente che si confronta con le prime scelte importanti della
propria vita (quelle relative alla scuola, ma anche al proprio modo di porsi di fronte agli
altri, ai divertimenti, alla droga, al fumo, allo sport) non solo fatica a conoscersi e a
riconoscersi (condizione fisiologica per questa età), ma spesso non ha neppure gli
strumenti per farlo, né trova facilmente validi punti di riferimento.
Pag. 6 di 195
Diventa sempre più pressante la necessità di un’educazione che fornisca agli individui
competenze orientative, ossia che li renda capaci di fare scelte, elaborare progetti, acquisire
consapevolezza di sé e della realtà esterna.
L’orientamento, che in passato ha assunto diverse funzioni e impiegato varie
metodologie, oggi, superata la concezione diagnostica e assistenzialistica, posto il soggetto
al centro del proprio processo, si pone l’obiettivo di aiutare le persone a sviluppare
competenze utili a fronteggiare le situazioni di transizione, a compiere scelte responsabili
in modo autonomo e competente, ad adattarsi in modo attivo alle diverse situazioni in cui
si vengono a trovare o che scelgono di affrontare.
Lo sviluppo di queste capacità e competenze inizia nei primi anni e prosegue per tutta
la vita. Tuttavia l’adolescenza resta il periodo in cui maggiormente si fa sentire la necessità
di un supporto orientativo, non solo perché i ragazzi si trovano a fare scelte che
influenzeranno l’intero percorso della loro esistenza, ma anche perché è l’età in cui si
definisce l’identità personale del soggetto.
Sempre più simile alla formazione, con cui condivide alcune finalità, l’orientamento è
entrato nella scuola, sia a livello di programmi che di legislazione, ponendosi come finalità
la maturazione dell’identità personale e sociale degli studenti e della loro capacità
decisionale, per la costruzione di un personale progetto di vita, al cui interno pianificare il
proprio futuro professionale. Si tratta di aiutare i ragazzi a prendere coscienza della realtà
esterna, delle opportunità e dei rischi che essa presenta: a questo scopo vengono attuati
interventi di orientamento informativo. Si tratta però anche di fornire loro strumenti e
competenze per interpretare criticamente tale realtà, per trovare personali risposte ai
problemi, per conoscere se stessi: per questo sono necessari interventi di orientamento
formativo, mirati allo sviluppo dell’empowerment dei soggetti. Tra questi si collocano le
attività di orientamento narrativo.
L’orientamento narrativo – una delle metodologie di orientamento che la scuola sta sperimentando in
questi anni – attraverso specifici percorsi di lavoro individuali e di gruppo permette proprio di attuare
un processo durante il quale le persone hanno la possibilità di intervenire sulla proprio identità,
sull’autoefficacia, sull’immagine di sé nei differenti contesti e, inoltre, possono acquisire competenze
progettuali a partire dall’utilizzo di materiali propri, provenienti cioè da attribuzioni di significato e da
sistemi di valori che sono propri esclusivamente del soggetto in apprendimento, nel rispetto della
centralità della persona. (Batini, Giusti, 2008, pag. 10)
In questo ambito si inserisce il laboratorio “In viaggio alla ricerca dell’isola
sconosciuta”, pensato, progettato e realizzato con l’obiettivo di stimolare lo sviluppo delle
Pag. 7 di 195
competenze necessarie alla comprensione di sé e della realtà, anche attraverso il confronto
con persone diverse da sé. Si è voluto creare uno spazio accogliente, aperto al dialogo, in
cui i ragazzi potessero sentirsi liberi di esprimersi, di guardarsi dentro, di ascoltarsi e farsi
ascoltare, uno spazio per riflettere sull’importanza dei sogni, dei desideri e sulla necessità
di impegnarsi per realizzarli.
Il presente lavoro è articolato in due parti. Nella prima sono delineati gli aspetti teorici
relativi all’orientamento e alla costruzione dell’identità, mentre la seconda è dedicata al
laboratorio.
La prima parte è composta da sue capitoli. Nel primo, dopo una breve introduzione sul
significato di orientamento e di autorientamento, si affronta il tema delle competenze
orientative e dei diversi modelli di orientamento, per arrivare a una panoramica dell’attuale
situazione delle attività in tale ambito in Italia. Come si vedrà, esiste una grande varietà di
tipologie di azione orientativa, che si dispiega in molteplici contesti: questo rende difficile
definire i precisi contorni della figura dell’orientatore, a cui è dedicato un apposito
paragrafo. Si è quindi voluto tracciare il percorso attraverso il quale, a partire dalle prime
formulazioni teoriche che risalgono all’inizio del XX secolo, passando attraverso
rielaborazioni di teorie e sperimentazioni pratiche, si è giunti all’attuale definizione di
orientamento. Infine l’attenzione si è focalizzata sull’intervento orientativo nella scuola,
nel passato e oggi, in particolare sulle potenzialità che la metodologia narrativa può
sviluppare in tale contesto.
Il secondo capitolo è dedicato al tema dell’identità e del sé, con particolare attenzione
all’aspetto processuale, di costruzione dell’identità stessa e all’adolescenza come momento
critico di tale processo. Dopo alcuni brevi cenni all’origine del concetto di sé, si analizzano
i diversi contributi dati dalla psicologia sociale in questo ambito, il concetto di compiti di
sviluppo ed il punto di vista della teoria dell’attaccamento. L’importanza per l’uomo della
ricerca di significato, relativamente alla realtà esterna ed alla propria vita, e l’importanza
del pensiero narrativo, sono oggetto di un successivo paragrafo. Infine, si affronta più nel
dettaglio il problema delle scelte, dal punto di vista del processo decisionale e
dell’importanza dei valori che ad esso sottostanno.
Nella seconda parte viene presentato il laboratorio “In viaggio alla ricerca dell’isola
sconosciuta”, partendo dal racconto di come è nata l’idea di realizzarlo e di quali erano gli
obiettivi prefissati, per passare poi alla metodologia e alle modalità usate per la valutazione
Pag. 8 di 195
del processo e dei risultati. Viene quindi analizzato l’andamento globale del laboratorio:
come si sono svolti gli incontri, il materiale raccolto durante le attività, il livello di
partecipazione e coinvolgimento dei ragazzi. Sulla base di quanto emerso e delle
valutazioni formulate dalla conduttrice, dalle insegnanti e dai ragazzi stessi, si traccia
infine un bilancio del percorso fatto.
Pag. 9 di 195
PRIMA PARTE: ASPETTI TEORICI
Pag. 10 di 195
CAPITOLO PRIMO
1 L’ORIENTAMENTO A SCUOLA
1.1 Cos’è l’orientamento e perché è importante
Nel film Robin Hood principe dei ladri, girato nel 1991 con Kevin Costner come
protagonista, Azeem, compagno di viaggio di Robin e musulmano, sbarca sulle coste
inglesi. I due arrivano da Gerusalemme, dove si combatte una delle crociate. Non appena
sceso dalla nave, Azeem chiede con insistenza a Robin: “Dove sorge il sole in questo
paese?”. Vuole pregare e per farlo deve rivolgersi verso la Mecca, ma non sa orientarsi. Ha
bisogno di un punto di riferimento: il punto in cui sorge il sole può indicargli dove si trova
l’Est.
1.1.1 Sapere dove si vuole andare e conoscere la strada
Il termine “orientamento” deriva dal latino oriens, oriente, a sua volta participio del
verbo orior, che vuol dire sorgere. Il significato rimanda quindi all’atto di trovare la
direzione in base al riferimento dei punti cardinali, al nascere del sole.
Orientarsi non è un’operazione semplice: occorre sapere dove ci si trova, conoscere
l’ambiente circostante, scegliere la direzione in cui ci si vuole muovere, tenendo conto dei
possibili ostacoli, delle difficoltà, del tempo disponibile, sapendo cogliere le opportunità e
gli aiuti che si possono incontrare lungo la strada. La scelta non è mai definitiva, prima o
poi si troverà un bivio, una deviazione, un ostacolo che costringeranno a ri-orientarsi.
Questo è valido sempre, sia che ci si riferisca ad un ambiente fisico, sia che si parli di
percorsi di vita.
Dunque, vivere la vita, costruire consapevolmente il proprio percorso di crescita e di
evoluzione richiede la capacità di orientarsi, che a sua volta implica impegno, volontà e
competenze che non sono innate, ma si possono apprendere. In particolare nei momenti di
transizione4, quando si affrontano cambiamenti importanti, è fondamentale saper operare
4
Il termine transizione deriva dal latino transitio (passaggio), che a sua volta deriva dal verbo transire
(passare), ed indica un passaggio da una condizione all’altra o da una situazione all’altra.
“La situazione di transizione rappresenta una situazione critica, non di per se stessa negativa, ma che
comporta uno stato temporaneo di disorganizzazione, caratterizzato da una difficoltà dell’individuo nel
fronteggiare l’evento utilizzando gli strumenti con cui abitualmente usa risolvere i problemi che gli si
presentano.
La capacità di gestire una situazione critica chiama in causa sia una componente emozionale, legata ai vissuti
soggettivi dell’esperienza, sia una componente cognitiva, legata cioè all’adeguatezza delle mappe o degli
schemi cognitivi utili per interpretare una situazione inaspettata o diversa rispetto a quelle sperimentate fino a
Pag. 11 di 195
delle scelte e saper realizzare praticamente quanto deciso, in modo soddisfacente per sé e
utile per la società. Momenti di transizione sono, per esempio, il passaggio dalla scuola al
mondo del lavoro, il cambiamento di posto di lavoro o addirittura di mestiere, il passare
dalla posizione di occupato a quella di disoccupato, l’andare in pensione, ma anche
cambiare città, un lutto in famiglia, una malattia improvvisa.
Orientarsi però non significa solo fare delle scelte, eliminare delle possibilità a favore
di altre, ma significa anche progettare e progettarsi, tenendo conto del contesto sociale e
lavorativo attuale, che è in continuo mutamento.
Come vedremo nel prossimo paragrafo, il concetto di orientamento ha assunto nel
corso del secolo scorso diversi significati.
Il termine può infatti sottintendere a due azioni: l’orientarsi, ossia l’attivarsi del
soggetto per affrontare e trovare una soluzione ad un problema che lo riguarda, oppure
l’orientare, ossia l’azione di qualcuno che dirige, indirizza qualcun altro verso una
direzione, un’attività.
Esiste però una terza accezione del termine orientamento: l’azione di qualcuno volta
ad aiutare, sostenere e accompagnare il processo mediante il quale gli individui imparano
ad effettuare scelte consapevoli.
In questa prospettiva l’individuo è artefice della propria storia e solo lui è al centro delle sue scelte, in
questo modo viene superata la tendenza ad attribuire al soggetto dell’azione orientativa una situazione
di dipendenza.
L’orientamento così inteso conduce la persona a progettare sé stessa e a diventare gradualmente
responsabile e protagonista della propria vita, tenendo conto di tutte le variabili che interagiscono
reciprocamente nelle scelte: dall’orientamento si passa così all’autorientamento. (Batini, 2005, pagg.
14-15)
L’autorientamento5 è, dunque, la capacità del soggetto di affrontare le diverse
situazioni, i problemi, i momenti di transizione, in modo autonomo e competente,
adattandosi alla realtà in modo attivo. Grazie ad una buona conoscenza della realtà esterna
quel momento.” (Ramondino Roberto, dal sito http://www.psicopedagogika.it/view.asp?id=39).
5
Il termine autorientamento è composto dal prefisso “auto”, che significa “sé stesso”, “da solo” e dal termine
“orientamento”: letteralmente quindi indica la capacità dell’individuo di orientare sé stesso.
Nel documento Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita allegato alla C.M. n. 43
del 15 aprile 2009, tra le azioni necessarie alla realizzazione di percorsi efficaci di orientamento è indicato “il
potenziamento della capacità di auto-orientarsi dentro il sistema formativo e in relazione con la realtà sociale
e con il mondo del lavoro” (http://www.professioneorientamento.it/download/Lineeguida.pdf).
Varani A. individua come elementi fondamentali necessari per sviluppare un positivo atteggiamento di autoorientamento l’autonomia personale, la conoscenza di sé e la conoscenza del contesto. Partendo da questo
presupposto disegna una mappa concettuale dell’auto-orientamento che si svilupperebbe attraverso l’uso di
informazioni, la soluzione di problemi, l’organizzazione, l’abitudine a decidere, la capacità relazionale, la
consapevolezza metaemozionale e l’atteggiamento metacognitivo. (Varani, 2006, pagg. 21-22)
Pag. 12 di 195
e di sé stesso, delle proprie aspirazioni, desideri, bisogni, consapevole delle proprie risorse
e limiti, così come delle possibilità e degli ostacoli presenti nell’ambiente in cui si muove,
egli saprà effettuare le proprie scelte ed elaborare un progetto di vita che lo porterà a
realizzare sé stesso e a dare il proprio contributo alla comunità in cui vive.
Nella società complessa in cui viviamo oggi, dove non ci sono certezze e punti fermi
univoci, dove non esistono più valori universalmente riconosciuti e strade già tracciate da
seguire, la capacità di autorientarsi diventa fondamentale e orientare significa aiutare i
soggetti ad acquisire questa capacità. L’orientamento è dunque un processo di
empowerment6 delle persone.
Nel contesto dell’apprendimento permanente, l’orientamento rimanda a una serie di attività che
mettono in grado i cittadini di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita, di identificare le proprie
capacità, le proprie competenze e i propri interessi, prendere decisioni in materia di istruzione,
formazione e occupazione, nonché gestire i propri percorsi personali di vita nelle attività di formazione,
nel mondo professionale e in qualsiasi altro ambiente in cui si acquisiscono e si sfruttano tali capacità e
competenze. L’orientamento, quindi, si configura come una serie complessa e unitaria di attività e
azioni in grado di sviluppare, attraverso processi di apprendimento, l’empowerment delle persone, la
loro capacità di definire obiettivi e di reperire risorse per raggiungerli. (Batini, Giusti, 2008, pag. 7)
Lo sviluppo di queste capacità e competenze inizia nei primi anni e prosegue per tutta
la vita, anche se il periodo più importante è forse quello dell’adolescenza, quando si
definisce l’identità personale del soggetto. E’ quindi naturale che la scuola possa e debba
ricoprire un ruolo rilevante nel processo di orientamento, che però non si esaurisce in essa
o nell’ambito dell’apprendimento formale, ma trova nutrimento e sostegno nei diversi
contesti7 e prosegue lungo tutto l’arco della vita.
Al centro dell’intervento orientativo c’è dunque la persona, considerata nella sua
globalità e in rapporto ai fattori sociali che influiscono sul suo sviluppo personale e
professionale. L’orientatore non effettua le scelte, non dà consigli o suggerimenti, ma entra
in relazione con il soggetto e ne favorisce lo sviluppo di competenze. La relazione che si
stabilisce è interattiva ed educativa.
L’orientamento inteso come processo educativo di costruzione dell’identità personale,
sociale e professionale presenta tre fattori di complessità: non può essere isolato dalle
6
L’Empowerment, dall’inglese to empower (che si traduce con “dare pieni poteri”), rappresenta il processo
attraverso il quale si possono “attivare risorse e competenze, accrescere nei soggetti individuali e collettivi la
capacità di utilizzare le loro qualità positive e quanto il contesto offre a livello materiale e simbolico per agire
sulle situazioni e per modificarle.” (Amerio, 2000)
7
E’ possibile individuare due dimensioni dell’apprendimento: la dimensione verticale (Lifelong learning),
che accompagna tutta l’esistenza di un individuo, e la dimensione orizzontale (Lifewide learning), che
valorizza le diverse esperienze del soggetto nei vari ambiti della vita. Entrambe sono importanti per
l’orientamento. (Batini, Giusti, 2008, pag. 20)
Pag. 13 di 195
dimensioni dello sviluppo globale (cognitivo, affettivo, relazionale) della persona, è
influenzato da molti fattori intrapersonali (immagine di sé, interessi, valori) e dalla storia
personale del soggetto, non può prescindere dai fattori del contesto. E’ necessario quindi
che gli interventi siano progettati tenendo conto delle esigenze e delle caratteristiche del
singolo, anche quando si svolgono in contesti che per loro natura si prestano a percorsi
collettivi, come la scuola.
Tre sono le dimensioni del processo di orientamento: la formazione, l’informazione, la
consulenza.8
La formazione orientativa comprende le attività volte a favorire lo sviluppo di
competenze utili a fronteggiare le situazioni di transizione e a compiere scelte responsabili,
come ad esempio la didattica orientativa e le esperienze di alternanza scuola/lavoro. Poiché
l’acquisizione di competenze orientative è lo scopo di ogni azione orientativa, è evidente
che la dimensione della formazione non si esaurisce all’interno del percorso scolastico.
L’informazione orientativa consiste nel fornire dati e informazioni sulla realtà
circostante, in particolare sul mondo della formazione e del lavoro.
La consulenza orientativa è una azione di sostegno individualizzato, rivolto a persone
in difficoltà, che si trovano a dover pensare o ripensare il proprio percorso formativo o
lavorativo e necessitano di un supporto per scegliere e progettare tale percorso.
Le tre dimensioni qui descritte non sono tra loro separate o, peggio, alternative, ma si
completano e integrano tra loro. Un approccio corretto all’orientamento deve considerarle
tutte. Un’azione formativa può prevedere anche il passaggio di informazioni, così come un
momento informativo può essere occasione per stimolare la ricerca autonoma di
informazioni, fornendo indicazioni e strumenti per realizzarla.
1.1.2 Quali competenze per orientarsi?
Occorre, a questo punto, specificare cosa si intende col termine competenza e quali
siano le competenze orientative.
Nell’allegato tecnico al DM n. 139 del 22 agosto 2007 si trovano le seguenti
definizioni:
“Conoscenze”: indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le
conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro;
le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche.
8
Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, cap. 4
Pag. 14 di 195
“Abilità”: indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine
compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo
e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti).
“Competenze”: indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali,
sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o
personale; le competenze sono descritte in termine di responsabilità e autonomia.
Le competenze sono dunque relative all’esperienza concreta dell’individuo, al suo
agire, al fare scelte e metterle in pratica. E’ possibile considerare la competenza come uno
specifico compito lavorativo, scolastico, di vita che la persona sa svolgere, oppure come la
caratteristica o l’insieme di caratteristiche personali che consentono al soggetto di svolgere
un determinato compito9.
Questo secondo approccio alla competenza è probabilmente il più utile
nell’orientamento in quanto può essere applicato anche a persone che non hanno ancora
mai lavorato o vogliono intraprendere un nuovo mestiere, permette di identificare capacità
spendibili in ambiti e situazioni differenti, consente di considerare anche caratteristiche
personali quali il carattere, gli interessi, i valori. E’ possibile così distinguere tre diversi tipi
di competenze (Isfol10, 1998):
- le competenze di base, intese come conoscenze di carattere generale e capacità
tecniche fondamentali per poter svolgere una qualsiasi attività;
- le competenze professionali, ossia l’insieme delle conoscenze e delle capacità
connesse all’esercizio efficace di determinate attività professionali, ovvero i requisiti
richiesti da un settore/comparto;
- le competenze trasversali, che non sono connesse ad una specifica attività lavorativa,
ma che possono essere applicate in più ambiti lavorativi e di vita. L’Isfol identifica
come competenze trasversali: diagnosticare (la situazione, il compito, il problema, sé
stesso), relazionarsi (con persone o cose), affrontare (ossia elaborare strategie di
azione finalizzate ad uno scopo).
Batini e Giusti (2008) parlano di competenze strategiche trasversali, che si
distinguono in competenze relazionali (saper comunicare, saper interagire, saper lavorare
in gruppo e confrontarsi), competenze decisionali (saper risolvere problemi, saper decide,
saper scegliere) e competenze diagnostiche (saper analizzare, saper reperire e trattare
informazioni, saper valutare una situazione in evoluzione).
9
Per un approfondimento sui due possibili approcci
http://www.orientamento.it/orientamento/6d.htm
10
Isfol: Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori
Pag. 15 di 195
alla definizione di competenza, cfr.
Le competenze una volta acquisite devono essere mantenute attraverso un’opera di
costante aggiornamento. Questo è particolarmente vero in una società come la nostra,
basata sulla conoscenza e sull’informazione, in cui il panorama lavorativo e sociale subisce
continui e rapidi mutamenti.
L’Unione Europea propone e supporta da anni una politica tesa a garantire l’accesso
all’istruzione e alla formazione a tutti i cittadini, senza distinzioni di nessun genere,
neppure di età, al fine di consentire l’acquisizione e l’aggiornamento delle competenze
necessarie ad una attiva partecipazione alla vita sociale. Il 18 dicembre 2006, il Parlamento
europeo ed il Consiglio hanno approvato una Raccomandazione relativa a competenze
chiave per l'apprendimento permanente, in cui le competenze chiave sono definite come
“quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la
cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.”11 Esse dovrebbero essere
acquisite al termine del periodo obbligatorio di istruzione o di formazione e si distinguono
dalle competenze di base, che vengono intese come le capacità di base nella lettura, nella
scrittura e nel calcolo.
Le competenze orientative, ossia quelle necessarie ai soggetti in orientamento per
poter fare con consapevolezza, responsabilità e autonomia le proprie scelte e attivarsi per
realizzarle, sono molteplici e polivalenti. Sono quelle che aiutano a compiere con successo
una transizione, a costruire o ricostruire un progetto di vita, fino ad attivarsi in un processo
di autorientamento. Tali competenze si possono dividere in quattro aree: la conoscenza di
sé (delle proprie risorse, dei propri limiti, bisogni, interessi, desideri), la conoscenza del
contesto in cui si è inseriti, la capacità di connettere le due aree precedenti ai fini di una
scelta, la capacità di progettare la realizzazione della decisione presa (Bellamìo, Cicciarelli,
Scandella, Vimercati, 2002, pag. 65).
Fondamentali sono l’autostima ed il senso di autoefficacia (self efficacy), soprattutto
per acquisire la capacità di autorientarsi, che è l’obiettivo ultimo di ogni processo di
orientamento.
11
Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave: 1) comunicazione nella madrelingua; 2)
comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e
tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di
iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale.
Pag. 16 di 195
1.1.3 Modelli di orientamento
Nel corso del XX secolo, diverse discipline scientifiche hanno apportato il loro
contributo all’evolversi del concetto e delle pratiche di orientamento, in particolare la
psicologia, la pedagogia e la sociologia. Si sono dunque succeduti, sovrapposti ed a volte
sommati diversi modelli teorici ed operativi, rendendo difficile un inquadramento organico
dell’orientamento, sia a livello teorico che pratico.
I principali metodi operativi dell’orientamento scolastico e professionale sono i
seguenti:
- Modello informativo, che consiste nel fornire al soggetto il maggior numero di
informazioni che lo possano aiutare ad effettuare le proprie scelte e prendere le
conseguenti decisioni. Questo modello presenta il grosso limite di non prevedere un
aiuto al soggetto nell’elaborare le informazioni ricevute, nell’assumere un
atteggiamento critico verso di esse. Inoltre una volta acquisite tutte le informazioni
del caso nel modo corretto, per poterne fare buon uso sono necessarie competenze di
tipo decisionale e capacità progettuali.
- Modello psicodiagnostico, che si propone di valutare come un soggetto possa
inserirsi in un contesto formativo o professionale attraverso un confronto tra le
caratteristiche, capacità, abilità richieste da tale contesto e quelle rilevate nel
soggetto. Attraverso strumenti quali test psicometrici, questionari, test proiettivi di
personalità, vengono rilevate le attitudini, caratteristiche personali, intelligenza,
interessi, inclinazioni, valori dell’individuo. Fondamentale è la validità degli
strumenti utilizzati, la qualità dell’elaborazione dei dati, la preparazione degli
operatori che effettuano l’intervento, i cui risultati possono influenzare notevolmente
l’individuo e le sue scelte.
- Modello educativo, che si propone di supportare lo sviluppo globale della persona, le
cui scelte scolastiche e professionali si inseriscono in un percorso di vita, in un
processo evolutivo individuale. Il soggetto deve essere aiutato a maturare una
adeguata conoscenza di sé stesso e della realtà che lo circonda, ad acquisire le
competenze di giudizio, di autovalutazione, di scelta. Così egli sarà in grado di
decidere e progettare da solo la propria vita, in modo autonomo e consapevole. Si
tratta di delineare veri e propri percorsi educativi. Non quindi un intervento limitato
nel tempo e legato ad un momento specifico o ad una sola area della personalità del
soggetto, ma un processo educativo finalizzato al sostegno dello sviluppo personale,
Pag. 17 di 195
lungo tutto l’arco di vita. E’ evidente come la scuola, in tutti i suoi ordini e gradi,
non possa non essere coinvolta in questo compito.
- Modello del counseling, che, basato su un approccio non-direttivo 12 (centrato sul
cliente), si propone di offrire alle persone una possibilità di aumentare il proprio
livello di conoscenza e consapevolezza, la propria capacità di vedere e saper cogliere
le opportunità. Il counseling è un’attività di orientamento psicologico, sociale e
personale. E’ una forma di relazione di aiuto, che coinvolge due figure: l’orientatore
(counselor) ed il cliente. Si svolge in una situazione di colloquio psicologico che è
un parlare/ascoltare per conoscere e capire. Nei momenti di crisi, il soggetto è aiutato
a vedere le diverse possibilità, positive e negative, che la situazione offre e ad
aumentare la propria capacità di coping13.
L’intervento di counseling si distingue dalla psicoterapia in quanto non ha intenti
terapeutici, si concentra sulle parti sane, sulla salute del cliente, lavora sul “qui ed
ora”. Di solito non si protrae per più di 6-8 incontri.
Un tipo particolare di counseling è il career counseling, finalizzato a scelte di
sviluppo professionale.
- Modello psicosociale, che parte dalla constatazione che la vita di ogni individuo si
svolge in un contesto (fisico, sociale e culturale) e all’interno di una fitta rete di
relazioni interpersonali. Il modo in cui il soggetto percepisce la realtà esterna e sé
stesso in relazione a tale realtà influenza notevolmente la costruzione dell’immagine,
anzi delle immagini che egli ha di sé. Nello stesso tempo motivazioni, aspettative e
bisogni del soggetto condizionano la sua percezione e interpretazione della realtà
esterna.
All’interno di questo modello si trovano due prospettive: quella binaria, che pone il
soggetto che percepisce e l’oggetto che funge da stimolo soli uno di fronte all’altro, e
quella ternaria, introdotta da Moscovici14, che evidenzia la presenza di un terzo
12
Secondo il metodo non-direttivo messo a punto da Carl Rogers (1902, 1987) il terapeuta, nel promuovere il
processo di modificazione della personalità del paziente, si affida non a tecniche o all’interpretazione, ma
all’empatia, ossia alla piena comprensione dell’altro priva però di identificazione. “La comunicazione nondirettiva illustrata da Rogers si fonda sul rapporto interpersonale centrato sul soggetto che chiede aiuto, al
fine di facilitare la sua comunicazione spontanea con atteggiamenti di piena accettazione e comprensione.”
(Simeone, 2004, pag. 144). Per un approfondimento, cfr. Rogers Carl R., 1970, Psicoterapia e relazioni
umane: teoria e pratica della terapia non direttiva, Torino, Boringhieri; Rogers Carl R., 1982, Terapia
centrata sul cliente, Giunti, Firenze
13
“Con coping si può intendere, […], la condizione di un soggetto nell’affrontare situazioni di difficoltà o di
stress (le abilità di coping corrispondono dunque alle abilità di fronteggiamento).” (Batini, 2005, pag. 22)
14
Cfr. Moscovici Serge, 1961, La psychanalyse, son image et son public, Paris, PUF; Moscovici Serge, 2005,
Le rappresentazioni sociali, Bologna, Il mulino
Pag. 18 di 195
elemento: l’Altro, inteso come soggetto sociale. L’Altro funge da ponte tra soggetto
e oggetto.
L’ottica ternaria, quindi, considera l’individuo, con le sue caratteristiche e vocazioni, connesso
all’ambiente sociale, inteso come scuola o ambito lavorativo, attraverso i valori del gruppo al quale
appartiene, i quali determinano le rappresentazioni che spingeranno il soggetto a scegliere un dato
ambiente piuttosto che un altro. (Petruccelli, 2005, pag. 19)
Nel progettare un intervento orientativo è quindi necessario tenere conto delle
caratteristiche dell’ambiente in cui il soggetto è inserito, valutare quale significato
egli attribuisca all’appartenere ad un determinato gruppo sociale, quali immagini
abbia di sé in relazione ad un dato ruolo e le sue aspettative. Acquisendo una
maggiore consapevolezza dell’influenza che l’ambiente ha sulle sue opinioni e sui
suoi valori, egli potrà valutare con maggiore obiettività e senso critico la propria
situazione e le opportunità che in essa può cogliere.
- Modello interdisciplinare, che integra al proprio interno i diversi contributi dei
modelli fin qui descritti. L’orientamento è un processo continuo e considera la
persona nella sua totalità, tenendo conto sia degli elementi personali che sociali.
Scopo del processo è sviluppare la capacità di autorientarsi. Protagonista è il
soggetto, attivo nel fare le proprie scelte.
1.1.4 Le attività di orientamento in Italia oggi
Nell’ultimo decennio l’interesse per l’orientamento è andato notevolmente
aumentando, parallelamente all’aumentare della complessità della società e ad un evolversi
del sistema economico e lavorativo nella direzione di una sempre maggiore flessibilità e
instabilità. I destinatari degli interventi non sono più solo i giovani, ma ha assunto sempre
maggiore rilevanza l’orientamento dei lavoratori adulti.
L’orientamento dei lavoratori adulti ha acquistato infatti, negli ultimi anni, una valenza particolare
connotandosi sia come uno strumento per la realizzazione della piena occupazione e della lotta
all’esclusione sociale, sia come “volano” per garantire pari opportunità nelle fasi di transizione di
carriera.
In questa direzione si spiega la ricca e articolata offerta di interventi orientativi per gli adulti messi in
campo da enti di formazione, università e centri e servizi per il lavoro.
Gli adulti esprimono bisogni di orientamento che si fanno più complessi al variare delle condizioni
occupazionali (si pensi anche al target specifico delle donne che decidono di intraprendere un’attività
lavorativa dopo aver assolto per anni attività di cura), e pertanto nel corso dell’esperienza lavorativa
assumono una duplice connotazione a seconda che alla base della “richiesta d’aiuto” ci sia una
motivazione intrinseca dell’adulto occupato che desidera uno sviluppo di carriera o un cambiamento
professionale, oppure una condizione oggettiva di crisi a seguito della perdita del lavoro o di altri fattori
esterni.
Pag. 19 di 195
A usufruire dei servizi di orientamento sono prevalentemente i soggetti disoccupati, quelli in cerca di
prima occupazione, quelli in mobilità o cassa integrazione e i soggetti attualmente in cerca di lavoro a
prescindere dalla qualifica e dalla posizione lavorativa, ma anche le donne e i soggetti con un livello di
istruzione elevata. (Isfol, 2011, pagg. 521-522)
Con l’aumento della domanda si è avuto un conseguente aumento dell’offerta di
orientamento, che ha portato ad un moltiplicarsi di proposte e attività pratiche, a cui non è
corrisposta una adeguata riflessione teorico-culturale.
L’offerta di orientamento in Italia negli ultimi anni è cresciuta vertiginosamente e senza
regolamentazioni facendo aumentare il numero e le tipologie di strutture presenti nei diversi territori
regionali ma senza una corrispondente conoscenza delle caratteristiche e dei profili organizzativi di tali
strutture. Inoltre la molteplicità dei soggetti organizzativi, soprattutto di natura privata, che
continuamente si aggiunge alla lista, rende molto difficile se non addirittura impossibile
l’identificazione di un universo stabile e reale. (Isfol, 2011, pag 34).
La necessità di affrontare tempestivamente le emergenze ha prevalso su quella di
prevenire e di educare alla scelta.
Attualmente le attività di orientamento si realizzano principalmente all’interno di
cinque macrocontesti:
- Istruzione
Oltre alla funzione di orientamento connessa alla finalità istituzionale formativa
realizzata dai docenti tramite la cosiddetta didattica orientativa, nella maggior parte
delle scuole è presente uno sportello o un servizio di accoglienza per gli studenti,
mentre
meno
diffusa
è
la
programmazione
legata
a
specifici
progetti
(percorsi/laboratori di educazione alla scelta). Sono previste attività per il gruppo
classe, ma spesso anche per singoli studenti, generalmente su esplicita richiesta del
soggetto.
Altre attività sono: la valutazione iniziale delle conoscenze (test d’ingresso), colloqui
di
orientamento
individuali
o
di
gruppo,
informazione(consultazione
e
autoconsultazione, sportello, bacheche, saloni dell’orientamento, job meeting, ecc.),
giornate
aperte,
tirocini
formativi
di
orientamento
e
stage
aziendali,
attivazione/raccordo con la rete locale.
- Università e Alta Formazione
Le attività ed i servizi offerti in questo ambito sono tipicamente: la realizzazione di
materiale informativo di natura cartacea oppure veicolato via web; l’organizzazione
di momenti di incontro con i giovani per presentare l’offerta formativa; i servizi
Pag. 20 di 195
diretti rivolti all’utenza; la partecipazione della struttura a manifestazioni e convegni
connessi all’orientamento.
Tra i servizi diretti per l’utenza troviamo lo sportello informativo e di orientamento,
le attività di preparazione ai test d’ingresso, le attività di accoglienza e
accompagnamento, l’accoglienza/analisi della domanda, i percorsi/laboratori di
orientamento al mercato del lavoro, i colloqui individuali di orientamento, i colloqui
di orientamento di gruppo, i tirocini formativi di orientamento, gli stage aziendali, le
attività di formazione e sviluppo competenze autorientative, i colloqui con
psicologo, i percorsi di inserimento lavorativo.
- Centri di Formazione Professionale
Le attività di orientamento offerte dagli enti di formazione sono: l’accoglienza, gli
stage aziendali, il counseling, l’informazione e il bilancio di competenze.
- Centri per l’impiego (Centri di Orientamento e Servizi per il Lavoro)
Le azioni orientative svolte in queste strutture sono molteplici. Le principali sono
l’accoglienza/analisi della domanda, l’erogazione di informazione, il counseling e i
tirocini formativi e di orientamento, ma vengono proposti anche percorsi/laboratori
di orientamento alla scelta, laboratori sulle tecniche di ricerca attiva del lavoro,
bilancio di competenze, accompagnamento all’inserimento e reinserimento
lavorativo, attività di integrazione per soggetti disabili o con disagio sociale, stage
aziendali. Altre azioni/attività orientative che risultano essere svolte in misura meno
rilevante sono: percorsi/laboratori per il recupero della dispersione scolastica, azioni
di outplacement/ricollocamento, percorsi/laboratori per il recupero delle competenze,
oltre ad una serie di attività minori quali: aiuto alla compilazione dei CV, assistenza
ad eventi culturali, convenzioni con agenzie lavoro, corsi per stranieri, consulenze,
laboratori nelle scuole, attività di mediazione culturale, orientamento scolastico,
preselezione per aziende, sportelli per disabili, tutoraggio, supporti ai progetti
formativi. Infine più della metà delle strutture svolge attività di “attivazione/raccordo
con la rete locale a cura del servizio/struttura di orientamento”.
- Aziende.
I progetti orientativi realizzati all’interno delle aziende hanno nella maggior parte dei
casi come destinatari soggetti esterni, ma a volte sono rivolti anche ad utenti interni.
L’attività orientativa prevalente realizzata nelle imprese è quella degli stage
aziendali e dei tirocini formativi e di orientamento. Altre attività sono l’accoglienza,
Pag. 21 di 195
l’analisi della domanda, il counseling, l’informazione, il bilancio di competenze, gli
interventi di coaching/mentoring, l’analisi attitudinali, gli strumenti on-line e web
game,
la
formazione.
In
alcune
imprese
vengono
svolti
interventi
di
outplacement/ricollocamento, conseguenza evidente della crisi economica attuale.
1.1.5 L’esperto di orientamento: verso una nuova professione
La sempre maggiore attenzione rivolta all’orientamento, il moltiplicarsi delle proposte
in questo ambito, sia nel mondo scolastico che professionale, ha portato ad interrogarsi
sulla figura dell’orientatore. Fino ad oggi, in assenza di un quadro normativo dedicato,
diversi operatori hanno costruito sul campo il proprio know-out operativo, attraverso
l’esperienza diretta, lo scambio di informazioni e le occasioni formative disponibili. Tra
essi si trovano psicologi, educatori, insegnanti.
In Italia, attualmente, non esistendo una prefigurazione condivisa sui ruoli professionali degli operatori
di riferimento, accade che le figure preposte a tali attività siano professionalità differenti, a volte
provenienti da settori completamente diversi, con competenze diverse, che devono adattarsi a ruoli e
organizzazioni poco chiari e poco consolidati. Per questo spesso, nella realizzazione di attività che
corrispondono a medesimi bisogni degli utenti, non esistono orientamenti condivisi, o, viceversa, con la
stessa denominazione sono indicate attività diverse che richiedono anche diversi ruoli professionali.
Sulla base di tali considerazioni emerge con forza l’urgenza di un modello di competenze e
professionalità condivise su scala nazionale.15
Oggi si sente, dunque, l’esigenza di definire con chiarezza le specificità e i modelli di
competenza che devono caratterizzare coloro che svolgono una funzione professionale in
questo ambito, delineando di conseguenza standard formativi condivisi a livello nazionale.
Nonostante a livello sociale non ci sia ancora una rappresentazione chiara e netta
dell’orientamento, possiamo affermare che anche in questo settore è iniziato il processo di
professionalizzazione16, ossia di individuazione professionale e differenziazione sociale del
lavoro svolto dall’orientatore.
Data la grande varietà di tipologie di azione orientativa e la molteplicità di ambiti in
cui essa si dispiega, definire un’unica figura di orientatore potrebbe portare a delineare un
profilo troppo generico e quindi non adeguato. Per questo motivo, l’Isfol17 nel proporre una
15
http://www.orientamento.it/orientamento/1c.htm ; per un approfondimento della situazione attuale cfr.
Isfol, 2011, capitolo 8: “I professionisti dell’orientamento: dai dati del Rapporto alla valorizzazione delle
competenze”.
16
Per una interessante riflessione sul processo di professionalizzazione in generale e sulla
professionalizzazione nell’orientamento, cfr. Sarchielli Guido, 2000, Orientatore: una professione emergente.
Rappresentazioni, esigenze del compito e sistemi di competenze in Soresi S.(a cura di), 2000; inoltre cfr.
Isfol, 2011, pag. 287 e segg.
17
Cfr. Isfol, 2003
Pag. 22 di 195
sistematizzazione delle professionalità, ha identificato quattro funzioni principali
dell’orientamento, che corrispondono a quattro profili lavorativi, come descritto nella
seguente tabella:
Funzione
Profilo professionale
Compiti specifici
Informazione
Operatore
dell’informazione
orientativa
Accoglienza, erogazione di informazioni, attività per
favorire l’apprendimento di abilità sociali.
Accompagnamento
Tecnico dell’orientamento
Tutorato e monitoraggio orientativo nei percorsi di
scolarizzazione, formazione, ricerca lavoro.
Consulenza
Consulente di
orientamento
Supporto ai processi decisionali
Coordinamento dei
diversi servizi
Analista di politiche e
servizi di orientamento
Assistenza tecnica alle istituzioni e ai sistemi nella
fase di definizione delle politiche di orientamento.
Queste quattro professionalità sono accomunate dalla necessità di maturare
competenze e conoscenze nelle seguenti aree:
- area della comunicazione (capacità di ascolto, decodifica, attenzione, riconoscimento
della specificità dei target, ecc,)
- area della organizzazione (capacità di lavorare in team, cultura di rete, mediazione e
negoziazione inter e intra-organizzativa, ecc.)
- area della legislazione (conoscenze della normativa relativa ai sistemi scolastici, di
formazione professionale, elementi di diritto del lavoro e di contrattualistica, ecc.)
- area dell’informatica e delle nuove tecnologie (competenze di base nei settori)
Gli insegnanti che intendono occuparsi di orientamento devono anch’essi sviluppare le
competenze fondamentali in questo campo.
Successivamente l’Isfol18 ha costituito un gruppo di lavoro che ha elaborato una
proposta di percorsi formativi per operatori dell’orientamento, percorsi che hanno
l’obiettivo di consentire “sia una acquisizione di skill e competenze valide ed efficaci,
nonché condivise, a coloro che entrano per la prima volta nel sistema, sia un adeguato
processo di qualificazione-perfezionamento a chi già vi opera.”19
18
19
Cfr. Isfol, 2006
Isfol, 2006, pag. 7
Pag. 23 di 195
1.2 Orientamento: breve excursus storico
Il concetto di orientamento è cambiato nel tempo, parallelamente al mutare della
società, dell’economia e del modo di considerare la persona.
Nelle diverse fasi storiche l’importanza attribuita a determinati concetti o variabili
connessi con l’orientamento è stata strettamente legata all’evoluzione delle scienze
psicologiche e al contesto scolastico-professionale.
La prima formulazione teorica e proposta operativa dell’orientamento risale al 1909,
anno della pubblicazione negli Stati Uniti del libro di Frank Parsons dal titolo Choosing a
vocation, in cui venivano affrontati problemi legati alla scelta professionale, alla
preparazione e al collocamento nel mondo del lavoro.
Prima dell’avvento dell’era industriale il mestiere veniva tramandato di generazione in
generazione: erano i genitori e gli anziani che affiancavano i giovani e trasmettevano loro
regole, informazioni e competenze necessarie ad affrontare la vita, anche quella lavorativa.
In genere il luogo e la condizione di nascita determinavano i percorsi di vita e le possibilità
di scelta erano assai limitate.
Fino al XIX secolo, pertanto, si può parlare di orientamento semplicemente come pratica empirica ed
intuitiva svolta a livello familiare. (Pombeni, 1990, pag. 12)
Con l’avvento dell’era industriale e della nuova organizzazione del lavoro, aumenta la
diversificazione delle professionalità e conseguentemente la possibilità di scegliere. La
preparazione culturale e professionale dei lavoratori assume una sempre maggiore
importanza e al mondo dell’istruzione viene richiesto di provvedervi. Nasce così il
problema dell’orientamento professionale che assume subito una connotazione collettiva:
si tratta di indirizzare i giovani a scegliere un lavoro che non solo sia adeguato alle loro
aspirazioni e attitudini, ma sia soprattutto funzionale alla produttività del sistema
economico. In sostanza, lo scopo dell’orientamento professionale è, in questa prima fase,
non quello di rispondere ai bisogni di realizzazione professionale degli individui, ma di
contribuire ad aumentare l’efficienza e la redditività del ciclo produttivo.
Partendo dalle teorie e pratiche della psicofisiologia 20, si cerca di determinare la
coincidenza tra le attitudini dell’individuo e i requisiti professionali richiesti per una
20
La psicofisiologia è la scienza che indaga la correlazione e le interazioni somatopsichiche. E’ lo studio
obiettivo dei rapporti tra il corpo e la psiche.
Pag. 24 di 195
determinata attività. Questa fase viene definita “diagnostico-attitudinale”. L’idea di base è
che ogni persona abbia capacità e disposizioni congenite, non modificabili, rilevabili e
misurabili grazie all’uso di prove attitudinali. Inizialmente si costruiscono test per
osservare singole attitudini, successivamente vengono introdotti i metodi dell’analisi
fattoriale.
In questa ottica, l’orientamento viene a coincidere con la selezione e consiste nell’individuazione delle
attitudini specifiche che ogni singola attività lavorativa richiede; questa congruità permette poi di
raggiungere il successo professionale. (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 33)
Lo scopo è di trovare “L’uomo giusto al posto giusto”. Il primo modello
d’orientamento fu elaborato su questi presupposti dal già citato Frank Parsons all’inizio del
XX sec.
Il merito di questo primo approccio all’orientamento è di aver richiamato l’attenzione
sulla conoscenza dell’individuo, a cui tuttavia non viene riconosciuta la responsabilità della
scelta: è l’esperto che, basandosi sui risultati dei test, ne valuta le capacità e indica la
“giusta” professione.
Negli anni trenta si fa gradualmente strada il concetto di interesse: la pratica dimostra
infatti che a parità di attitudini, persone con un maggiore interesse per l’attività lavorativa
in cui sono impegnate ottengono risultati decisamente migliori. Spesso l’interesse può
anche compensare una carenza di attitudini. La riuscita scolastica o professionale è dunque
legata ad aspetti della personalità non dipendenti esclusivamente dalle capacità. Si entra
così nella fase dell’orientamento definita “caratteriologica-affettiva”, che si protrarrà fino
agli anni cinquanta.
L’obiettivo resta sempre quello di un incremento della produttività a parità di costi; nello stesso tempo
si teneva in maggior conto il grado di soddisfazione individuale che poteva essere raggiunto nello
svolgimento di una mansione ritenuta più congeniale alle proprie attitudini. (D’Alessio, Laghi, Pallini,
2005, pag. 35)
Gli esperimenti condotti da un gruppo di studiosi guidati da Elton Mayo (1880-1949)
tra il 1927 ed il 1932 presso gli stabilimenti della Western Eletric Company di
Hawthorne21, mettono in evidenza il ruolo delle motivazioni, della collaborazione e della
soddisfazione sull’incremento della produzione. Inizialmente l’obiettivo di Mayo e dei suoi
21
Per un approfondimento cfr. Elton Mayo, 1933, The Human Problems of an Industrial Civilization, New
York, Viking Press
Pag. 25 di 195
colleghi è di studiare la correlazione tra condizioni ambientali (luce, temperatura) e
produttività, scopo ben in linea con l’idea meccanicistica e razionalistica del lavoro in voga
in questi anni. Dall’osservazione di gruppi di lavoratrici e lavoratori all’opera in un reale
contesto produttivo, emerge inaspettatamente come la produttività non sia legata a variabili
strutturali, ma al contrario sia influenzata da elementi psicologici, in particolare dal senso
di appartenenza al gruppo, da quanto gli operai sentano la situazione di lavoro gratificante
e motivante di per sé.
In conseguenza di queste considerazioni e scoperte, viene elaborata la teoria
caratterologica, secondo la quale l’agire dei singoli individui è influenzato dal rispettivo
carattere ed è l’atteggiamento individuale che attiva e potenzia le capacità.
L’orientamento non si occupa più di studiare le attitudini come aspetto isolabile e a sé
stante, ma rivolge il proprio interesse ad aspetti più complessi ed articolati della
personalità, sforzandosi di andare oltre la semplice indagine esterna di capacità osservabili
per cogliere aspetti più interiori, quali affetti, pensieri, volontà. Il lavoro non è più visto
come un aspetto isolato della vita della persona, ma esiste un rapporto profondo tra la
personalità dell’individuo e la sua riuscita professionale.
Gli strumenti usati rimangono ancora i test. Oggetto di indagine sono soprattutto gli
adolescenti: si ritiene infatti che l’adolescenza sia il periodo evolutivo in cui si formano gli
interessi e si strutturano le inclinazioni personali.
Il contesto in cui i soggetti vivono e si formano, così come l’influenza dei fattori
sociali, non vengono ancora presi in considerazione.
Nel secondo dopoguerra, il panorama delle scienze psicologiche è dominato dalla
psicoanalisi, che mette in evidenza come, accanto a elementi coscienti, esistano elementi
inconsci che guidano e motivano l’agire umano. Questi elementi inconsci, a carattere
emozionale, affondano le proprie radici nella storia del soggetto, nelle sue esperienze e nel
suo vissuto. Il modo in cui si svolge lo sviluppo del bambino, che si ritiene avvenga
seguendo fasi prevedibili e descrivibili, è quindi considerato determinante per il formarsi
della personalità e per la salute mentale dell’adulto.
Un’analisi psicologica che indaghi esclusivamente la personalità del soggetto nel
momento attuale si rivela insufficiente e inadeguata: lo studio del passato è essenziale per
comprendere il presente, le tendenze e le motivazioni profonde delle persone.
Pag. 26 di 195
In questi anni si diffondono le idee di Jean Piaget 22, che aveva sviluppato la teoria
degli stadi dello sviluppo cognitivo e indicato l’intelligenza come la più alta forma di
adattamento biologico all’ambiente. Il susseguirsi dei diversi stadi, secondo Piaget, trova la
sua base in una matrice genetico-biologica, ma l’intelligenza è il risultato dell’interazione
tra l’organismo e l’ambiente.
Nello stesso tempo anche i lavori di Lev S. Vygotskij 23 sono sempre più studiati ed
apprezzati. Egli aveva sottolineato la dimensione sociale della coscienza umana e
affermato il primato del sociale sull’ideale, descrivendo le funzioni psichiche dell’uomo
come strettamente dipendenti dalla rete di fattori sociali e culturali entro cui cresce e si
sviluppa il bambino.
In conseguenza al diffondersi di studi di ispirazione psicodinamica, l’orientamento
volge la sua attenzione non più solo alle qualità e alle caratteristiche che rendono gli
individui più o meno idonei alle diverse professioni, ma anche al vissuto, agli interessi, alle
tendenze dei soggetti. Gradualmente si modifica anche la concezione del lavoro, a cui si
chiede non solo più di soddisfare le esigenze produttive e aziendali, ma anche di rispondere
ai bisogni e alle motivazioni esistenziali dei soggetti.
In questi anni, un importante contributo viene dal lavoro dell’italiano Agostino
Gemelli24, promotore dell’orientamento nel nostro paese. Egli distingue gli interessi dalle
inclinazioni e ritiene che siano queste ultime a rivelare i bisogni veri e profondi della
personalità umana. Mentre gli interessi, che indicano una generica preferenza per una
professione, trovano origine in fattori esterni alla personalità del soggetto e sono variabili
nel tempo, le inclinazioni si fondano su meccanismi inconsci e sono più stabili, essendo
espressione della maturità della persona.
Si inaugura dunque una nuova fase dell’orientamento, che viene definita “clinicodinamica” e che concentra l’attenzione sugli elementi profondi della personalità,
22
La teoria elaborata da Piaget (1896-1980) descrive lo sviluppo del bambino come diviso in quattro fasi o
“stadi”: lo stadio dell’intelligenza senso-motoria (dalla nascita a 18 mesi circa), lo stadio del pensiero
intuitivo (18 mesi-5 anni), lo stadio del pensiero reversibile e operatorio (6-11 anni) e lo stadio del pensiero
formale o ipotetico deduttivo (da 12 anni). Il passaggio da uno stadio al successivo è sollecitato dalla
maturazione biologica del soggetto, dal contatto con la realtà esterna, dalla pressione culturale e dalla
tendenza della mente a cercare condizioni di equilibrio. L’intelligenza si sviluppa nell’interazione organismoambiente, attraverso l’equilibrio dinamico tra l’attività di assimilazione dei dati esperienziali in schemi
mentali e l’attività di accomodamento degli schemi mentali stessi, ossia dei nuovi schemi con quelli
preesistenti. Per una introduzione all’opera di Piaget, cfr. Piaget Jean, 2000, Lo sviluppo mentale del
bambino e altri studi di psicologia, Torino, Einaudi.
23
Per un approfondimento delle teorie di Vygotskij (1896-1934), cfr. Vygotskij Lev Semenovič, 2009, Storia
dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Firenze, Giunti; Vygotskij Lev Semenovič, 2010, Lo
sviluppo psichico del bambino, Roma, Editori riuniti university press
24
Cfr. Gemelli Agostino, 1943, La psicologia a servizio dell’orientamento professionale nelle scuole,
Bologna, Zanichelli
Pag. 27 di 195
indagando inclinazioni e motivazioni inconsce. L’obiettivo diviene quello di individuare il
percorso professionale che più soddisfa i bisogni profondi dell’individuo. Le tecniche
prevalentemente utilizzate sono il colloquio clinico ed i reattivi proiettivi. Si ritiene che
attraverso queste pratiche sia possibile fare emergere le diverse componenti psicologiche
della personalità del soggetto e arrivare così alla conoscenza della sua personalità globale.
In questo modo è ancora l’esperto che indica le scelte migliori che il soggetto può
compiere in campo scolastico e professionale.
Fino a questo momento, la psicologia, come scienza e come insieme di
strumentazioni, ha svolto il ruolo di unica e indiscussa protagonista nell’ambito
dell’orientamento, i cui esperti ed attori sono stati appunto gli psicologi. Critiche a questo
tipo di approccio vengono in questi anni sollevate sia dalla sociologia che dalla pedagogia.
I sociologi sottolineano la necessità di tenere conto dell’ambiente come importante
fattore condizionante, che concorre alla formazione degli interessi ed in cui si
concretizzano le reali possibilità di scelta. Evidenziano inoltre come l’orientamento abbia
necessariamente una dimensione pubblica e politica. In particolare Naville (1945) critica la
pratica orientativa a lui contemporanea perché isolata dal contesto sociale, in quanto non
considera la diversa provenienza degli individui, né le strutture in cui essi si devono
inserire. In pratica essa dipende esclusivamente dagli interessi della classe dirigente25.
L’ambiente, la divisione del lavoro, fattori economici e sociali influenzano gli individui e
le loro scelte.
Non ci può essere contrapposizione fra persona e mondo del lavoro, né in una logica di adattamento
dell’uomo al lavoro né in una logica di adattamento del lavoro all’uomo, ma è necessario, secondo
Naville, comprendere l’unitarietà del processo di orientamento-formazione professionale, un processo
in cui ambiente e individuo sono due realtà a sé stanti e su cui l’ambiente gioca ancora un ruolo
fondamentale. (Pombeni, 1990, pag. 19)
L’orientamento deve quindi rivolgersi alla collettività e non può ridursi a semplici
consigli per singoli individui. Sul piano operativo Neville ritiene necessario costituire un
servizio pubblico, gestito dallo stato, con personale appositamente preparato non solo in
ambito psicologico.
Anche in ambito pedagogico si fa strada una sempre maggiore attenzione
all’importanza dei fattori ambientali, sociali e familiari, che influenzano l’intero sviluppo
25
Pierre Naville (1904-1993) fu uno scrittore e sociologo francese. Per approfondire il suo contributo al
dibattito sul problema dell’orientamento professionale cfr. Naville Pierre, 1945, Theorie de l’orientation
professionnelle, Paris, Gallimard
Pag. 28 di 195
del soggetto, contribuendo al formarsi delle sue aspirazioni e della sua capacità di avere
una visione realistica di sé stesso e del mondo. Nel 1957, Leon 26 afferma che
l’orientamento deve divenire azione educativa, che coinvolga il soggetto nell’elaborazione
dei suoi progetti scolastici e professionali. Scopo finale è l’adattamento attivo alla realtà.
L’orientamento si realizza attraverso un’azione informativa, che si concretizza nel
trasmettere all’individuo le informazioni utili sulla realtà sociale, economica e
professionale, ed in un’azione educativa, volta a indirizzare la scelta professionale secondo
interessi e scopi della collettività. L’individuo, da parte sua, è chiamato a collaborare in
modo attivo a questo processo.
Un importante contributo alla comprensione del processo di orientamento è stato dato
dalla teoria dello sviluppo vocazionale, che trova la sua origine nelle teorie sviluppate da
Donald Edwin Super alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso. Egli parte dal
presupposto che la persona sia dotata di capacità di scelta e di autorealizzazione, capacità
che essa sviluppa lungo un percorso evolutivo contrassegnato da diverse fasi, legate a
determinati compiti da assolvere. Obiettivo di tale processo di sviluppo è la capacità di
assumere decisioni in piena autonomia. Il soggetto, aiutato adeguatamente, può quindi
decidere del proprio futuro. Lo scopo dell’orientatore è quello di promuovere la
consapevolezza del soggetto e di facilitarne i processi di scelta nei momenti di transizione.
Il centro dell’azione orientativa non è più l’esperto, ma il soggetto stesso, che non viene
passivamente indirizzato in una direzione scelta per lui dall’esterno, ma viene sollecitato e
aiutato a sviluppare competenze per autorientarsi27.
Negli anni settanta avvengono importanti cambiamenti a livello sociale, dovuti al
risveglio di una certa coscienza politica, a sua volta legata in primo luogo ai movimenti
studenteschi. Nel 1968 la grande protesta studentesca dilaga in America ed in Europa,
arrivando anche in Italia, dove però dura più a lungo e coinvolge anche gran parte del
movimento operaio. Si diffondono, soprattutto tra i giovani, gli ideali della solidarietà, del
26
Cfr. Leon Antoine, 1957, Psycopédagogie de l’orentation professionnelle, Paris, Puf
Dal modello elaborato da Super (1910-1994) deriva il metodo dell’Attivazione dello Sviluppo Vocazionale
(ADVP), ideato inizialmente in Canada dall’Università di Laval, poi diffusosi anche in Italia negli anni
Ottanta. Tale metodo ha lo scopo di aiutare la persona a raggiungere la maturità della decisione professionale
sulla base dell’evoluzione dell’immagine di sé durante le varie tappe vocazionali dello sviluppo. La
realizzazione dell’apprendimento e della comprensione è considerata fondamentale, di conseguenza è
richiesto il coinvolgimento dei docenti, che devono realizzare una dettagliata programmazione collegiale. Per
un approfondimento della teoria di Super, cfr. Super Donald Edwin, 1957, The psychologyof careers, New
York, Harper
27
Pag. 29 di 195
pacifismo, dei diritti civili, dell’antiautoritarismo, della libertà di parola e di espressione.
La scuola viene criticata come autoritaria e selettiva, si diffonde la cultura
dell’uguaglianza, della socializzazione e dell’integrazione. Viene attuata la riforma del
diritto di famiglia, approvata la legge sulla tutela della salute, vengono chiusi gli ospedali
psichiatrici ed istituiti i consultori familiari.
A partire dagli anni settanta inizia il declino delle grandi industrie tradizionali, a
favore della nascita di molte aziende più piccole o di grandi stabilimenti fortemente
automatizzati: si avvia il processo di deindustrializzazione e prendono sempre più piede
nuove tecnologie, che modificano il modello di organizzazione del lavoro stesso.
Questi grandi cambiamenti a livello economico e sociale si accompagnano ad un
importante cambiamento anche nelle teorie e nelle pratiche orientative: l’individuo ed il
problema della formazione della sua personalità complessiva ne divengono interesse
principale.
Segnale importante di questo cambiamento in atto è la definizione di orientamento
data dall’UNESCO a sintesi del seminario tenutosi a Bratislava nel novembre 1970:
“Orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire per
l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice
scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della sua persona.” 28
Questa enunciazione resta ancora oggi un punto di riferimento importante.
L’azione orientativa assume il significato di “educazione alla scelta” e come tale non
si esaurisce in un “giudizio” o “consiglio” formulato dall’esperto in un momento di
passaggio, ma accompagna la crescita ed il formarsi dell’individuo. L’orientamento viene
visto come un processo evolutivo, continuo e graduale. Il soggetto viene aiutato ad
acquisire consapevolezza di sé e della realtà circostante, ad usare il pensiero critico e
creativo, a sviluppare senso pratico e organizzativo. Conoscendo le proprie attitudini,
capacità e limiti, egli può “orientarsi” nel mondo in cui vive.
L’individuo deve non solo imparare a operare scelte autonome e responsabili,
affrontando il rischio di poter sbagliare, ma deve anche saper vedere e cogliere le
alternative e opportunità che gli si presentano. Non si tratta dunque di adattarsi
passivamente ad una situazione esterna immodificabile, ma di adattarsi e se necessario
riadattarsi ad una realtà di cui si è parte attiva.
28
http://www.comune.torino.it/servizieducativi/or/or_or.htm
Pag. 30 di 195
Perde significato la distinzione tra orientamento scolastico ed orientamento
professionale. I destinatari degli interventi non sono più solo gli adolescenti, ma tutti i
gruppi sociali.
Giugni29 parla di “orientamento esistenziale”: al centro del processo educativo c’è la
persona, con le sue caratteristiche e le modalità di progettare e pianificare la propria vita.
L’esperto non è più solo lo psicologo, ma anche l’educatore e l’insegnante sono chiamati a
partecipare attivamente al processo, lungo tutto l’arco del percorso scolastico, già a partire
dalle prime classi.
Giugni (1994) distingue tra autorappresentazione, ossia ciò che l’individuo pensa,
immagina, sente di essere, e autoprogettazione, ossia ciò che l’individuo decide e si
impegna a realizzare nella società e nel mondo del lavoro. L’autorappresentazione è
fondamento della autoprogettazione.
Pierre Benedetto (1987) paragona l’individuo ad un attore, che deve recitare un testo
già scritto, ma può interpretarlo come meglio ritiene: nello stesso modo nel proprio
processo orientativo ogni persona deve gestire due componenti, una soggettiva ed una
oggettiva.
Assumendo una dimensione soprattutto educativa, l’orientamento allarga la propria
sfera di intervento ed acquista una maggiore valenza sociale, che si esplica in due
direzioni: la prevenzione ed il recupero. In particolare la prevenzione non si limita al solo
disagio scolastico, ma diviene prevenzione sociale e non si rivolge più solo agli adolescenti
(che restano tuttavia i destinatari privilegiati degli interventi), ma anche ai soggetti disabili,
alle donne, ai disoccupati, alle persone svantaggiate in generale.
L’obiettivo prioritario dell’orientamento resta comunque, almeno a livello teorico,
quello di essere un processo di supporto alla costruzione di un’identità sociale e
professionale. La prevenzione operata tramite l’azione orientativa trova un proprio senso e
utilità se inserita in una politica sociale di prevenzione più ampia, all’interno della quale
essa si occupa dei disagi legati ai processi di transizione. L’individuo è chiamato a
partecipare attivamente allo sviluppo della società e gli interventi orientativi devono
guardare al contesto sociale non solo nei termini di possibilità lavorative o di realizzazione
personale, ma devono anche tenere conto delle dinamiche e delle problematiche che lo
caratterizzano.
29
Cfr. Giugni Guido, 1994, La dimensione pedagogica dell’orientamento in “Orientamento scolastico e
professionale”, 1-2, pagg. 15-28; Giugni Guido, 1997, Formazione e ruolo degli insegnanti nelle attività di
orientamento in “Orientamento scolastico e professionale”, 3, pagg. 193-199
Pag. 31 di 195
Tuttavia, nel corso degli anni ottanta del secolo scorso si assiste ad una esaltazione del
momento informativo. L’enfasi sulla necessità di aumentare in ogni soggetto la
consapevolezza di sé e della realtà circostante, di accrescere la comprensione della
complessità sociale e del mondo del lavoro, porta a ritenere necessario, ed in una certa
misura sufficiente, ridistribuire le informazioni disponibili, soprattutto tra le categorie più
svantaggiate. Le attività e i servizi di informazione si moltiplicano, mentre vengono
trascurati altri tipi di intervento, come per esempio il supporto alla programmazione
orientativa nella scuola. Il momento informativo, che è fondamentale ma deve essere
integrato in un processo orientativo più completo, diviene in alcuni casi l’unico intervento
realmente attuato. Questo è dovuto principalmente a due fattori: informare è un’attività
relativamente semplice da realizzare praticamente, che rende visibile e facilmente
dimostrabile l’impegno
nell’ambito dell’orientamento, inoltre il dibattito teorico,
sviluppatosi in questi anni, non ha saputo fornire indicazioni su come tradurre in pratica le
idee e i concetti elaborati.
In realtà la pura e semplice attività informativa finisce per essere discriminante
proprio nei confronti delle persone più svantaggiate, che non hanno le capacità e i mezzi
per far proprie e utilizzare al meglio le notizie ricevute.
Nel frattempo, sempre nel corso degli anni ottanta, la ricerca e lo sviluppo di nuove
tecnologie porta ad una vera e propria rivoluzione tecnologica, che contribuisce ad una
notevole ripresa dell’economia mondiale e alla nascita del fenomeno della globalizzazione,
sia in ambito economico, sia nell’informazione e nella comunicazione (soprattutto grazie
alla nascita e diffusione di internet), sia in ambito culturale.
La quantità di informazioni disponibili aumenta in modo esponenziale: attraverso la
televisione ed i giornali, ma soprattutto utilizzando la rete internet tutti possono facilmente
e rapidamente accedere ad una mole di informazioni mai avute prima. Il problema diventa
saper discriminare ciò che è utile da ciò che non lo è, trovare quello che serve senza
perdersi, riconoscere i dati attendibili e saperli interpretare in modo corretto.
Condizione affinché la tecnologia sia strumento di supporto per chi deve orientarsi diventa quindi anche
il possesso di competenze specifiche: per individuare le fonti, per raccogliere, analizzare e interpretare
le informazioni, e ovviamente per usare lo strumento informatico (alfabetizzazione digitale).
Le tecnologie dell’informazione possono essere utilizzate in orientamento per migliorare la qualità dei
servizi, perché esse consentono di ampliare le fonti di informazione e gli strumenti a disposizione; ma
anche a vantaggio degli operatori per stabilire contatti con altre strutture, con colleghi e professionisti
che operano nell’orientamento allo scopo di identificare le risorse, scambiare esperienze e strumenti,
fruire di consulenze e formarsi migliorando la propria professionalità. ( Bellamìo, Cicciarelli,
Scandella, Vimercati, 2002, pag. 16)
Pag. 32 di 195
Il mondo del lavoro cambia rapidamente. Individuare un mestiere che duri tutta la vita
diventa quasi impossibile. La scuola cerca di tenere il passo dei cambiamenti, ampliando la
propria offerta formativa, introducendo percorsi professionalizzanti 30, ma la distanza tra le
richieste del mondo del lavoro e l’offerta formativa della scuola si fa sempre più ampia.
Inoltre l’idea di una formazione scolastica iniziale che basti per tutta la vita lavorativa
viene superata dalla necessità di una formazione continua o almeno a cicli. Imparare ad
imparare diviene una necessità di base. Si aprono così nuovi spazi all’azione orientativa,
che accompagna tutta la vita scolastica e lavorativa del soggetto. Nei momenti di maggiore
difficoltà o incertezza diventa importante poter contare sull’aiuto di un esperto.
E’ fondamentale saper vedere, scegliere e cogliere le opportunità, valorizzare le
proprie capacità e svilupparne di nuove, essere in grado di affrontare gli imprevisti.
Sempre più si parla di competenze trasversali: progettuali, relazionali, di adattamento.
Dimensioni quali il coping, i vissuti emotivi, l’immagine di sé entrano a far parte degli
interessi dei professionisti dell’orientamento.
L’utenza si fa più ampia e diversificata: non più solo giovani o soggetti svantaggiati,
ma anche adulti che cercano una nuova occupazione o che vogliono migliorare la propria
situazione lavorativa o di vita. Si fa dunque urgente la necessità di monitorare la qualità e
la quantità dell’utenza, per poter valutare e analizzare la domanda e proporre soluzioni e
strumenti ad essa adeguati.
La prospettiva dell’orientamento come processo che accompagna il soggetto lungo
tutto il percorso di vita intreccia saldamente orientamento e formazione, nell’ottica
dell’apprendimento permanente (lifelong) e della necessità di aiutare le persone a diventare
autonome nelle decisione e nelle scelte.
L’orientamento assume la funzione di empowerment del soggetto. I servizi offerti si
differenziano, le modalità di intervento sono sempre più spesso personalizzate e vengono
introdotte nuove pratiche, come il bilancio di competenze, il tutoraggio, il counseling,
l’orientamento narrativo.
Il concetto di orientamento, per quanto abbia poco più di un secolo di vita, è molto
cambiato nel corso degli anni, facendo notevoli progressi. Ognuno dei diversi approcci qui
descritti ha dato il proprio contributo sottolineando un diverso aspetto del problema. Il
limite di ciascuno di essi è stato piuttosto quello di affrontare l’argomento privilegiando un
30
Riforma Moratti (Legge 28 marzo 2003, n. 53)
Pag. 33 di 195
solo punto di vista. Attualmente il centro dell’azione orientativa è la persona nella sua
globalità, inserita nel suo contesto di vita, personale, sociale e lavorativo.
La tabella della Figura 1 riassume le caratteristiche dei diversi approcci
all’orientamento nel XX secolo.
Pag. 34 di 195
Figura 1 - L'orientamento nelle diverse fasi storiche31
Periodo
1910
1930
1945
Dal
1970
Fase storica
Diagnosticoattitudinale
Caratterologica-affettiva
Clinicodinamica
Educativa
Costrutti
analizzati
Principale agente
d’orientamento
Abilità e attitudini
Psico-fisiologo
Interessi e valori
Psicodiagnosta
Motivazioni
Psicologo clinico
Autoregolazione
Insegnante
Strumenti di
analisi
Approccio
Test
psicometrici
Inventari e
questionari
Test proiettivi,
colloquio
clinico
Centrato sul sé
adattivo
(approccio
eterodiagnostico)
Focus
tematico
Finalità
Ruoli e tipo di
relazione
Dimensione
dell’orientamento
Sé
Conoscenza
della
predisposizione
ad un ambito
formativo/
lavorativo
Utente: destinatario
Operatore: protagonista
(psicologo, tecnico
psicometrista)
Relazione: direttiva
(prescrittivi)
consulenza
Materiali
informativi a
carattere
generale o
mirato
Centrato sulla
realtà esterna
(approccio
informativo)
Realtà
esterna
Questionari,
schede di
autovalutazion
e, test, griglie,
giochi
didattici,
guide,
materiale
informativo,
ecc.
Centrato sul sé
adattivo
(approccio
educativo
relazionale)
Negoziazione/connessione
tra sé e la
realtà
esterna
31
Adeguamento al
mercato
Autorientamento
Utente: destinatario
Operatore: protagonista
(docente, tutor,
formatore, consigliere
di orientamento,
psicologo)
Relazione: strumentale,
adattiva
Utente: protagonista
(controllo del processo)
Operatore: comprimario
con funzione di
facilitazione, aiuto,
sostegno (docente,
tutor, formatore,
consigliere di
orientamento,
psicologo)
Relazione: interattiva,
dinamica
informazione
Approccio
integrato
(informazione,
formazione,
consulenza)
La tabella presentata è frutto della rielaborazione di due tabelle tratte rispettivamente da D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 31 e Bellamìo, Cicciarelli, Scandella,
Vimercati, 2002, pag. 47
Pag. 35 di 195
1.3 L'intervento orientativo nella scuola
1.3.1 Ancora un po’ di storia
Le prime attività espressamente deputate all’orientamento all’interno della scuola
risalgono agli anni settanta del secolo scorso. I soggetti istituzionali di riferimento per
l’orientamento scolastico sono in questi anni i distretti scolastici, che, con poche risorse
finanziarie a disposizione, devono basarsi sulla disponibilità e sulle capacità dei
rappresentanti eletti. Si ha quindi una distribuzione poco omogenea delle varie iniziative
sul territorio nazionale, col conseguente delinearsi di una situazione frammentata, con
insufficiente interazione di soggetti e sistemi e scarsa ottimizzazione delle (poche) risorse
disponibili. Le sperimentazioni32 in questo campo degli anni settanta e ottanta sono attuate
principalmente all’interno dei bienni sperimentali delle scuole superiori.
Fino agli anni novanta, a livello legislativo le linee guida per l’orientamento nella
scuola si trovano all’interno dei programmi scolastici, in particolare per la scuola media 33
nel Dm del 9 Febbraio 1979 e per la scuola elementare il Dpr del 12 Febbraio 1985, n. 104.
La scuola media deve concorrere allo sviluppo della personalità del soggetto, favorire
“la progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto che intercorre fra
le vicende storiche ed economiche, le strutture, le aggregazioni sociali e la vita e le
decisioni del singolo”, consolidare la capacità decisionale. Essa si colloca all’interno di un
processo unitario di sviluppo della formazione che inizia nella scuola primaria e pone le
premesse per l'ulteriore educazione permanente e ricorrente.
La scuola elementare deve svolgere un’attività didattica che ponga le basi per lo
sviluppo della personalità del fanciullo e del suo essere cittadino attivo e consapevole.
Nel 1991 sono presentati i programmi per i bienni e i trienni della scuola secondaria
superiore messi a punto dalla Commissione Brocca, in cui l’orientamento è inteso come un
lungo
processo
volto
all’autorientamento.
Vi
si legge:
“Le
finalità
generali
dell’orientamento nella secondaria superiore sono sinteticamente riconducibili alle
seguenti: la maturazione della identità personale e sociale e della capacità decisionale; la
32
Le sperimentazioni di questi anni trovano il loro fondamento legislativo nel Dpr del 31 maggio 1974, n.
419 (“Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi
istituti”), art. 3
33
Già nella Legge per l’ “Istituzione e ordinamento della scuola media statale” del 31 Dicembre 1962, n.
1859 si legge “La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i
principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività
successiva”.
Pag. 36 di 195
chiarificazione e la pianificazione del futuro professionale alla luce di un personale
progetto di vita”. Nel biennio, strumento privilegiato della scuola per l’orientamento sono
le discipline di insegnamento, a cui si affiancano le dinamiche emotivo relazionali, ossia le
relazioni instaurate tra i soggetti che condividono l’esperienza educativa. Per il triennio
viene sottolineata l’importanza della dimensione informativa dell’orientamento.
Nel 1997 vengono pubblicati due importanti documenti: la Direttiva ministeriale
sull’orientamento delle studentesse34 e degli studenti e il Documento congiunto del MPI e
del MURST35 sull’orientamento. Essi affrontano il tema dell’orientamento in una visione
sistemica e ampliano il campo d’azione della scuola. Pur ribadendo la valenza orientativa
delle attività disciplinari, prevedono la realizzazione di interventi espressamente dedicati,
soprattutto in prossimità dei momenti di transizione. Le sole risorse e competenze della
scuola non bastano più, ma devono essere integrate con quelle di altri soggetti (pubblici e
privati), detentori di specifiche competenze. Strumento dell’integrazione fra soggetti
detentori di competenze diverse, per realizzare iniziative comuni e per reperire risorse, è
senz’altro la rete di relazioni. L’orientamento svolge la sua funzione non solo nell’aiutare e
supportare individui in difficoltà, ma deve essere proattivo, ossia operare per prevenire le
situazioni di svantaggio.
I successivi testi36 di riforma del sistema di istruzione e formazione introducono
ulteriori contributi per l’orientamento scolastico e professionale: l’elevamento dell’obbligo
di istruzione, l’obbligo formativo fino al compimento del diciottesimo anno di età,
l’attuazione dell’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche. L’orientamento,
attraverso lo sviluppo ed il potenziamento della capacità di scelta, ha il fine di combattere
la dispersione scolastica, garantire il diritto all’istruzione e alla formazione, aiutare gli
alunni ad effettuare le scelte più confacenti al proprio progetto di vita, agevolare
l’eventuale passaggio tra diversi indirizzi della scuola secondaria superiore e verso percorsi
formativi alternativi.
Si profila dunque una nuova funzione dell’orientamento: quella di consentire percorsi di crescita e
formazione nel rispetto dell’identità di ciascuno, mediante lo sviluppo di competenze coerenti sia con le
34
Direttiva MPI del 6 agosto 1997, n. 487
Con il Decreto Legislativo del 30 luglio 1999, n. 300 il Ministero dell'Università e della Ricerca
Scientifica e Tecnologica (MURST) è trasferito con il Ministero della Pubblica Istruzione (MPI) nel MIUR Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.
36
Legge 9/1999 “Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione”; DM del 9 agosto 1999, n.
323;
legge 144/1999, art. 68; Dpr del 12 luglio 2000, n. 257; Circolare ministeriale del 7 aprile 2000, n. 109.
35
Pag. 37 di 195
attitudini e le scelte personali, sia con le esigenze di inserimento nel contesto sociale e nel mondo del
lavoro: esigenze che possono estendersi alla revisione della propria professionalità ogniqualvolta se ne
presenti la necessità o l’occasione.
L’orientamento è insomma inteso come dispositivo che rende possibile una corretta connessione tra
identità personale, percorsi formativi e occupabilità, con riferimento alle specifiche realtà
territoriali. (Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, pag. 40)
I vari testi indicano numerose azioni di orientamento e riorientamento. Oltre alla
scuola, le agenzie formative ed i servizi per l’impiego vengono chiamati a concorrere alle
funzioni orientative. Viene affermato per ogni individuo il diritto di costruire il proprio
percorso di crescita, di poter scegliere tra opzioni alternative ed equivalenti, di veder
riconosciuti anche crediti formativi acquisiti in ambito lavorativo e nel tempo libero.
Il 28 marzo 2003 viene approvata la legge n. 53 (riforma Moratti) per “la definizione
delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di
istruzione e formazione professionale”, che all’articolo 2 afferma:
è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di
raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e
abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento
nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed
europea
[…] la scuola secondaria di primo grado, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla crescita
delle capacità autonome di studio ed al rafforzamento delle attitudini alla interazione sociale; organizza
ed accresce […] le conoscenze e le abilità, […]; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità
di scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi; fornisce strumenti adeguati alla
prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione […]; aiuta ad orientarsi per la successiva scelta
di istruzione e formazione
Successivamente, anche in seguito alle indicazioni dell’Unione Europea37, nel sistema
dell’istruzione italiano è stata affermata la centralità del concetto di competenza.
In particolare viene introdotta la certificazione delle competenze alla fine della scuola
secondaria di primo grado38. Nelle “Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e
per il primo ciclo dell’istruzione” (2007), documento che delinea le finalità del processo
formativo, le competenze da sviluppare e gli obiettivi di apprendimento, si legge:
Educare istruendo significa essenzialmente tre cose:
• consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato perché non vada disperso e possa essere
messo a frutto;
• preparare al futuro introducendo i giovani alla vita adulta, fornendo loro quelle competenze
indispensabili per essere protagonisti all'interno del contesto economico e sociale in cui vivono;
37
“Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sulle Competenze chiave per l’apprendimento
permanente” del 18 dicembre 2006.
38
Circolare Ministeriale del 15 marzo 2007, n. 28
Pag. 38 di 195
accompagnare il percorso di formazione personale che uno studente compie sostenendo la sua ricerca
di senso e il faticoso processo di costruzione della propria personalità.
[…]ci ostiniamo a pensare a una scuola che non abbia come obiettivo solo l’essere in funzione della
richiesta del mercato. Solo se non si rinuncia ad educare istruendo si può mettere veramente a frutto
l’unicità e l’irripetibilità di ogni singolo individuo. Solo così ogni persona può essere protagonista e
costruire il proprio futuro in modi plurali, diversi ed innovativi.
•
Oltre alla certificazione delle competenze effettuata al termine della scuola secondaria
di primo grado, alla conclusione dei dieci anni dell’obbligo di istruzione gli alunni possono
richiedere un’ulteriore certificazione delle competenze, che sarà comunque rilasciata al
compimento dei diciotto anni di età.
Viene così avviata la transizione dall’impianto curricolare di tipo disciplinare a quello
basato sulle competenze e sui risultati di apprendimento.
Nel già citato DM del 22 agosto 2007, n. 139 (vedi par. 1.1.2) sono elencati i saperi e
le competenze per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione riferiti ai quattro assi culturali
(dei linguaggi, matematico, scientifico–tecnologico, storico-sociale).
Essi costituiscono “il tessuto” per la costruzione di percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione
delle competenze chiave che preparino i giovani alla vita adulta e che costituiscano la base per
consolidare e accrescere saperi e competenze in un processo di apprendimento permanente, anche ai
fini della futura vita lavorativa.
Nell’allegato 2 del Documento Tecnico dello stesso DM vengono elencate e descritte
le competenze chiave di cittadinanza, che sono: imparare ad imparare, progettare,
comunicare (comprendere/rappresentare), collaborare e partecipare, agire in modo
autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni,
acquisire ed interpretare criticamente l’informazione.
Nelle successive Linee guida del 27 dicembre 2007, l’orientamento viene indicato
come strumento per lo sviluppo delle competenze chiave.
Portare la logica delle competenze nella scuola ha come obiettivo quello di porre
l’individuo al centro di ogni azione e di ogni intervento. Alunni e docenti sono prima di
tutto persone e il loro incontro è un incontro tra persone che insieme fanno esperienze,
imparano a conoscersi e a riconoscersi. Il momento della valutazione assume una diversa
connotazione: da giudizio senza appello a certificazione, testimonianza utile per
individuare i punti di forza e di debolezza dell’alunno. Il percorso didattico ed educativo
deve tenere conto dei livelli di ingresso, dei diversi ritmi e stili cognitivi degli studenti,
prevedendo sia attività di recupero che promozione dell’eccellenza.
Pag. 39 di 195
Nonostante le dichiarazioni e le indicazioni operative fornite a livello normativo, nella
pratica gli ostacoli ad una reale attuazione di un percorso didattico educativo ed orientativo
sono ancora molti. Primo tra tutti il problema della formazione dei docenti, che devono
apprendere un nuovo modo di insegnare, ma soprattutto devono rivedere il proprio ruolo,
acquisire un nuovo modo di guardare agli allievi, di valutare il loro operato. Le risorse
economiche sono poche, i metodi e gli strumenti orientativi poco conosciuti, la figura
dell’orientatore come esperto non è definita a livello legislativo.
Con il Decreto Dipartimentale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca del 26 ottobre 2009, n. 54 viene costituito il “Forum nazionale per l’orientamento
lungo tutto il corso della vita” con l’obiettivo di assicurare l’efficace cooperazione e
coordinamento tra i Soggetti responsabili a livello nazionale, regionale e locale dell’offerta
dei servizi di orientamento scolastico. Il Forum nazionale esprime, inoltre, pareri e formula
proposte in ordine ad iniziative normative e amministrative finalizzate al coordinamento
delle azioni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in materia di
orientamento, considerato il suo carattere trasversale e permanente.
Sempre nel 2009, dal 2 al 5 marzo, si svolge ad Abano il seminario nazionale
“L’orientamento per il futuro”, a cui sono stati invitati a partecipare tutti i Soggetti
istituzionali, competenti per legge (Ministro del Lavoro, Famiglia, Gioventù, Conferenza
Stato Regioni, UPI, ANCI, Confindustria), al fine di delineare insieme le linee di un
modello condiviso di coordinamento e di azioni per il prossimo futuro, nell’ottica di
contribuire allo sviluppo e alla realizzazione del sistema formativo integrato.
A questo seminario segue la Circolare Ministeriale del 15 aprile 2009, n. 43, intitolata
“Piano nazionale di orientamento: Linee guida in materia di orientamento lungo tutto
l’arco della vita. Indicazioni nazionali”, che ne sviluppa gli esiti, adottando una strategia
che “assegna un ruolo significativo ai team regionali, designati dai rispettivi Uffici
Scolastici Regionali, cui spetta il compito di realizzare la ‘rete territoriale’ di Soggetti e di
rapporti, indispensabile presupposto per lo sviluppo di azioni coerenti, condivise e unitarie
dal livello nazionale fino ad arrivare a quello locale.” In questo documento si sottolinea la
necessità di proseguire la formazione degli operatori, con l’obiettivo di aumentare la
consapevolezza della funzione educativa dell’orientamento e per favorire il “passaggio da
una prassi di orientamento di tipo quasi esclusivamente informativa e limitata ai momenti
di transizione e decisione, ad un approccio olistico e formativo per cui l’orientamento
investe il processo globale di crescita della persona, si estende lungo tutto l’arco della vita,
Pag. 40 di 195
è presente nel processo educativo sin dalla scuola primaria ed è trasversale a tutte le
discipline.”
Nonostante l’importanza e la funzione dell’orientamento non siano più in discussione
e le attività ed iniziative che ad esso fanno riferimento si moltiplichino dentro e fuori la
scuola, attualmente l’organicità tra i diversi interventi e la costruzione di un sistema di
orientamento restano ancora traguardi da perseguire.
La figura professionale dell’operatore di orientamento non è ancora univocamente
definita a livello legislativo e non c’è un percorso formativo ad essa dedicato.
Il dibattito su quali competenze certificare e soprattutto come certificarle è ancora
aperto.
Il forte legame che esiste tra scuola ed orientamento ha poi creato qualche confusione
e fraintendimento, anche tra chi di scuola e di orientamento si occupa a livello
professionale.
Già nel 1990, la Pombeni rilevava che
L’opportunità di integrare la funzione formativa e quella scolastica della scuola, cioè di far rientrare
l’orientamento in un processo formativo più ampio, ha fatto nascere ad un certo punto qualche
confusione che ha rischiato di produrre un “ampliamento all’infinito”, fino alla sua vanificazione, del
concetto di orientamento.
In questo senso è necessario riaffermare che il processo orientativo ha una sua specificità rispetto a
quello educativo in un’ottica di valorizzazione reciproca […] (Pombeni, 1990, pag. 118)
Leonardo Evangelista, commentando la Circolare Ministeriale del 15 aprile 2009, n.
43 afferma che in tale documento viene definito “orientamento” ciò che in realtà è,
secondo lui, “buona didattica”. Per esempio, sviluppare la capacità di ragionamento e
facilitare i processi di apprendimento sono obiettivi della didattica, mentre le competenze
orientative sono quelle che consentono di fare adeguate scelte formative e professionali e
gestire il proprio percorso professionale.
Le attività per sviluppare competenze di carattere generale […] appartengono all’istruzione e alla
formazione, quelle per sviluppare competenze orientative […] appartengono all’orientamento. Questa
distinzione non intende escludere gli insegnanti dallo svolgimento di attività di orientamento, ma solo
chiarire che si tratta di campi diversi e che per svolgere attività di orientamento è necessaria una
preparazione specifica. 39
39
Evangelista Leonardo, 2009, Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita.
Reperibile sul sito www.orientamento.it all’indirizzo http://www.orientamento.it/orientamento/7g.htm
Sullo stesso argomento vedasi:
Evangelista Leonardo, 2002, L’orientamento come educazione alla vita e l’orientamento formativo.
Reperibile sul sito www.orientamento.it all’indirizzo http://www.orientamento.it/orientamento/2c.htm
Pag. 41 di 195
Una interessante distinzione a questo proposito è quella operata da Zanniello (1992):
Logicamente si può operare questa distinzione tra educazione e orientamento: con l’educazione si punta
direttamente a rendere il minore capace di agire con sempre maggiore libertà; con l’orientamento lo si
aiuta ad esercitare quella libertà appena conquistata, chiarendogli le situazioni, facendogli prevedere le
difficoltà e insegnandogli a superarle, indicandogli la direzione da seguire per crescere ulteriormente.
Lo scopo dell’orientamento è che il minore, nell’esercizio iniziale della sua libertà, acquisita in virtù
dell’attività educativa, agisca rettamente, cioè coerentemente con il suo stile personale di vita scelto in
quanto visto come buono, e non perda la strada per il progresso verso ulteriori livelli di libertà.
(Zanniello, 1992, pag. 11)
Nonostante queste difficoltà nel dare definizioni precise e nel delimitare campi
d’azione, c’è un relativo consenso sulla necessità di passare alla scuola delle competenze
tra i professionisti e gli studiosi che si occupano di educazione, a cui si associano anche i
rappresentanti del mondo del lavoro. Non tutti però sono d’accordo.
Angélique del Rey (2009) ritiene che l’approccio per competenze sia di fatto una
risposta efficace alla globalizzazione economica, in quanto prepara i giovani ad adattarsi al
mondo d’oggi con l’obiettivo di creare una forza lavoro sufficientemente malleabile e
flessibile, necessaria ad un sistema che muta sempre più velocemente.
La mia ipotesi è che la scuola delle competenze non appaia come una “risposta” alla crisi della scuola
se non ad un primo livello di analisi […]. In realtà, si trova in un’economia generale di potere che è
quella dell’utilitarismo, economia che a sua volta trasformerà la scuola umanista (scuola al servizio
dello sviluppo umano) in scuola “post-umanista”, scuola che si fonda su una società che mette le
“risorse umane” al servizio dell’apparato di produzione e di scambio economico (in cui ogni uomo è
considerato una microimpresa).[…] Ma dietro la scuola delle competenze si erige non solo la politica o
l’economia, ma anche l’epistemologia, una ideologia, per la quale “l’uomo” non è più un entità al
servizio della politica, dell’economia, dell’educazione, ma quello che ormai deve essere messo al
servizio di tali dimensioni, come risorsa umana. (Del Rey, 2009, pag. 110)
Secondo la del Rey, la scuola delle competenze non tiene conto di due dimensioni
sempre presenti nel processo di apprendimento e insegnamento: la complessità ed il
conflitto. Ad esempio, è normale riscontrare periodi di regressione dell’apprendimento,
specialmente lavorando con adolescenti o con soggetti problematici, che non si spiegano se
non ammettendo l’esistenza del conflitto. Certificare una competenza significa rilevare
l’emergere di qualità concrete in una determinata situazione, emergere alla cui base c’è
anche la motivazione e la condizione psicologica del soggetto in esame.
Dietro l’ideale normativo della scuola delle competenze, esiste la concezione di un uomo astratto,
quello che Musil definiva come un “uomo senza qualità”, anche detto tabula rasa, capace di acquisire le
Pag. 42 di 195
“buone” competenze indipendentemente dalle qualità di cui dispone e alla situazione alla quale ci si
trova di fronte. (ibidem, pag. 112)
Guardando all’attuale crisi della scuola, l’autrice propone una prospettiva alternativa
partendo dall’idea che i conflitti abbiano in sé una dimensione positiva 40 e che la scuola,
come parte della società, debba “inventare e proporre ‘risposte’ situazionali prendendo in
considerazione di volta in volta i conflitti che si presentano”. Tali risposte non possono che
essere legate alle diverse situazioni. Una tecnica non può essere definita come efficace a
priori. Gli insegnanti devono essere collegati con la situazione in cui insegnano e la scuola
deve “esplorare, localmente, le nuove vie possibili di trasmissione e di legami”.
L’emarginazione nasce dal “presupposto che tutto sia integrato anche se a livelli e sotto
forme diverse”.
1.3.2 Il processo di orientamento nella scuola
Come già rilevato (par. 1.1.1), è possibile identificare tre dimensioni del processo di
orientamento: la formazione, l’informazione, la consulenza. I processi di formazione
istituzionali hanno un proprio ruolo nel perseguire azioni orientative in tutte e tre queste
aree.
L’obiettivo di ogni processo orientativo è l’acquisizione di competenze orientative,
che a loro volta possono essere classificate in quattro aree (par. 1.1.2): la conoscenza di sé,
la conoscenza del contesto, la capacità di connettere le due aree precedenti ai fini di una
scelta, la capacità di progettare la realizzazione della decisione presa.
Ciascuna delle tre dimensioni del processo di orientamento concorre, in modo diverso,
al raggiungimento di queste competenze (Figura 2)41.
40
Per un approfondimento di questa visione del conflitto cfr. Benasayag Miguel, Del Rey Angélique, 2007,
Èloge du conflit, La Paris, Dècouverte (trad. it. 2008, Elogio del conflitto, Milano, Feltrinelli)
41
L’immagine “Il processo di orientamento nella scuola” è stata creata dall’autrice utilizzando Microsoft
Word.
Pag. 43 di 195
Figura 2 - Il processo di orientamento nella scuola
La conoscenza di sé, l’autostima, il senso di autoefficacia (self efficacy), la capacità di
autoanalisi, lo sviluppo di competenze per progettare il proprio futuro e per affrontare e
risolvere i problemi sono i principali obiettivi della formazione orientativa, che possono
essere perseguiti in ambito scolastico sia attraverso strumenti della didattica, sia mediante
materiali e attività proposti da professionisti esterni. La scuola, inoltre, è formativa in
quanto luogo di vita in cui l’alunno vive esperienze importanti per la costruzione della
propria identità.
La didattica disciplinare è orientativa, anche se questo non è il suo scopo primario, ogniqualvolta aiuta
a imparare a riconoscere le risorse personali e ad autovalutarsi, a individuare e risolvere problemi, a
valutare e riconoscere l’adeguatezza al compito, a individuare le capacità necessarie ma non ancora
possedute, a conoscere la realtà esterna, a progettare e definire un piano di azione, a sviluppare
competenze psicosociali (comunicare, negoziare, lavorare in gruppo ecc.), utili specialmente quando
nel processo di transizione occorre sapersi inserire in un nuovo contesto organizzativo. E ancora,
ogniqualvolta favorisce lo sviluppo dell’autostima.
In particolare la didattica concorre all’orientamento se e nella misura in cui promuove lo sviluppo delle
capacità per così dire più semplici, costitutive delle competenze […]. (Bellamìo, Cicciarelli, Scandella,
Vimercati, 2002, pagg. 79-80)
Inoltre, entrando in contatto con discipline diverse, l’alunno può gradualmente
riconoscere i propri interessi, desideri e attitudini.
La metacognizione, la riflessione e il controllo sui propri processi di conoscenza, oltre
a favorire la qualità dell’apprendimento, svolge un ruolo importante nel raggiungere la
capacità di autovalutazione, la consapevolezza delle proprie capacità, possibilità e limiti.
La didattica che insegna a riflettere sul funzionamento della mente, sui diversi approcci ai
Pag. 44 di 195
problemi, aiuta a sviluppare capacità di regolazione e controllo metacognitivo, ed è quindi
una didattica orientativa.
Anche l’attività di valutazione dell’alunno fatta dall’insegnante può avere valore
formativo. Fino agli anni settanta del secolo scorso, tale valutazione si basava
esclusivamente sull’assegnazione di voti a singole prestazioni degli studenti, che
sostenevano varie prove volte a valutare conoscenze e capacità acquisite. Si calcolava poi
la media dei voti, ed il risultato indicava il livello di preparazione dello studente. A questo
valutazione, detta sommativa, si è successivamente sostituita (almeno nelle intenzioni) una
valutazione formativa, volta ad analizzare tutto il processo di apprendimento, focalizzando
l’attenzione sui progressi realizzati e su fattori come il coinvolgimento, la motivazione, le
abilità sociali. Questo tipo di valutazione ha il vantaggio di evidenziare le capacità, i punti
di forza, gli aspetti positivi, migliorando non solo la conoscenza di sé, ma anche
l’autostima e il senso di potere interno (self empowerment). Inoltre attraverso di essa il
docente può meglio comprendere gli interessi e le attitudini dei suoi alunni.
Anche se gli insegnanti non somministreranno direttamente le prove di abilità, collaboreranno con gli
specialisti psicologi nella formulazione del profilo di orientamento da restituire al ragazzo e soprattutto
contribuiranno all’elaborazione delle successive indicazioni orientative.
Gli psicologi possono indagare, infatti, le abilità cognitive dei ragazzi attraverso strumenti psicometrici
mentre gli insegnanti utilizzano le prove di profitto. Dal confronto tra le due forme di valutazione
potranno scaturire indicazioni il più possibile aderenti alle reali capacità e potenzialità dei ragazzi.
(D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 63)
Un importante contributo alla conoscenza di sé e delle proprie possibilità viene dalla
valutazione delle competenze e dalla loro successiva certificazione. La natura stessa del
concetto di competenza (vedi paragrafo 1.1.2) rende difficile individuare una modalità
univoca o uno specifico strumento per la rilevazione delle competenze stesse. Alcuni
strumenti attualmente in uso sono: l’osservazione sistematica, questionari, griglie di
osservazione e autovalutazione, colloqui, prove scritte e orali, il portfolio ed il bilancio
delle competenze (utile in particolare in caso di riorientamento).
La didattica disciplinare non può da sola assicurare lo svolgimento di un adeguato
percorso di formazione orientativa per tutti gli studenti. E’ dunque opportuno prevedere
momenti espressamente dedicati all’orientamento, che possono essere gestiti dai docenti
stessi (appositamente preparati) o da esperti coinvolti dalla scuola in base alle necessità. Le
attività possono essere svolte all’interno della scuola, per esempio sotto forma di
laboratori, oppure all’esterno, come nel caso degli stage o delle visite guidate.
Pag. 45 di 195
L’informazione orientativa si declina in due direzioni: da un lato deve fornire dati e
informazioni pertinenti al compito della scelta, dall’altro deve aiutare a sviluppare la
capacità di reperire autonomamente le informazioni necessarie, di saperle leggere
criticamente, selezionarle e utilizzarle. All’interno della scuola si caratterizza
prevalentemente in attività inerenti l’accoglienza, la raccolta e gestione delle informazioni,
la promozione e l’allestimento di iniziative per l’orientamento legate alle fasi di
transizione, come le giornate aperte e i saloni dell’orientamento. Sono necessarie numerose
informazioni atte a conoscere il contesto (scolastico ed extrascolastico) e i mezzi necessari
per muoversi in tale contesto. Le informazioni devono essere attendibili, aggiornate e
fruibili, ossia essere trasmesse con linguaggi e modalità comunicative adatte ai destinatari.
Questo presuppone un’attività di raccolta, selezione e preparazione delle informazioni,
compito che non spetta però agli insegnanti, che devono poter disporre di una adeguata
documentazione mirata ai bisogni orientativi, come ad esempio guide per scelte postobbligo e post-diploma, opuscoli, repertori delle professioni, ecc. Oltre a materiale di tipo
cartaceo, possono essere di supporto interventi di esperti che portano la propria esperienza
e testimonianza ai ragazzi, esperti di orientamento, ma anche esperti in settori specifici (ad
esempio, un professionista che si occupa di selezione del personale che fornisce consigli su
come sostenere un colloquio di lavoro). Un ruolo importante nell’ambito dell’informazione
è svolto da Internet, ormai accessibile alla quasi totalità degli studenti, che consente di
accedere ad un enorme mole di dati in poco tempo. Le potenzialità di questo strumento
sono altissime, a patto però che lo si sappia usare correttamente, imparando a riconoscere i
siti che forniscono dati attendibili e aggiornati, a distinguere tra dati di realtà e opinioni di
chi gestisce un sito, ecc. Occorre quindi non solo un’opera di alfabetizzazione informatica,
ma lo sviluppo di vere e proprie competenze “informatiche”.42
La consulenza orientativa si configura come un intervento di sostegno
individualizzato e in ambito scolastico trova la sua applicazione in situazioni di particolare
difficoltà o disagio. Non sostituisce, ma si affianca ai percorsi di formazione orientativa e
deve essere svolta da personale esperto. Il ruolo dei docenti è quello di individuare i
soggetti che necessitano di un ulteriore aiuto e di indirizzarli a questo servizio, che può
essere interno o esterno alla scuola.
42
Le competenze informatiche a cui si fa qui riferimento sono quelle previste dal modulo 7 della patente
Ecdl, che riguarda l’uso delle reti informatiche. Per maggiori informazioni: www.ecdl.com
Pag. 46 di 195
Il processo di orientamento deve accompagnare lo svolgersi di tutto il percorso
scolastico. I momenti di passaggio da un ciclo ad un altro, così come l’ingresso nel mondo
del lavoro costituiscono delicati momenti di transizione e meritano particolare attenzione,
ma compiti e responsabilità nel campo dell’orientamento spettano a tutti i cicli scolastici,
fin dalla scuola dell’infanzia. Le attività proposte devono tener conto della fase di
maturazione dei soggetti.
Attività comuni a tutti i cicli sono l’accoglienza e la didattica orientativa. Nella scuola
secondaria di primo grado sarà necessario concentrare l’attenzione sullo sviluppo delle
competenze orientative e informare sui possibili percorsi per la prosecuzione degli studi.
Nella scuola secondaria di secondo grado si metteranno in atto anche attività di verifica
della scelta effettuata, di riorientamento quando necessario, di informazione sul mondo del
lavoro.
Attività individualizzate proposte agli allievi potranno essere, oltre alla già citata
consulenza, stage, alternanza scuola lavoro, particolari percorsi di orientamento (magari
svolti per piccoli gruppi).
Mancinelli43 (2002) sottolinea che “le componenti del processo orientativo sono
numerose e fanno costante riferimento ai principi teorici e metodologici di discipline
diverse come la psicologia, la pedagogia, la sociologia, l’economia. Solo tenendo presente
l’interdisciplinarietà dell’orientamento è possibile superare quella visione spesso
dogmatica, ristretta e personale dell’orientamento che porta l’operatore ad adottare sempre
lo stesso tipo di intervento indipendentemente dalla situazione e dal bisogno della persona
che ha davanti.”
Per affrontare in modo adeguato problemi, contesti, persone diverse, l’operatore deve
conoscere le variabili fondamentali implicate nel processo di orientamento, in modo da
poterle scegliere e utilizzare nel modo migliore.
Nell’ambito dell’azione orientativa rivolta ad adolescenti e giovani adulti, impegnati
nella scelta del percorso di studi o nell’inserimento nel mondo del lavoro, Mancinelli 44
(2002) propone un elenco di variabili, psicologiche, psico-sociali e sociali, che può
costituire un riferimento utile sia in caso di un intervento formativo a lungo termine, sia in
caso di un intervento di consulenza orientativa. Tali variabili sono sinteticamente elencate
nella tabella seguente.
43
44
Mancinelli M.R., Le componenti del processo di orientamento in Castelli, 2002, cap. 6
Ibidem, pagg.120 e segg.
Pag. 47 di 195
Variabili psicologiche
- Abilità cognitive: attitudini
innate, abilità acquisite e
consolidate con l’esercizio e la
pratica
- Apprendimento scolastico:
conoscenze scolastiche di base,
predisposizione
all’apprendimento
- Metodo di studio: saper
apprendere concetti nuovi e
saperli elaborare e integrare
nelle conoscenze pregresse,
essere costanti, saper usare le
informazioni acquisite
- Competenze trasversali: saper
progettare, prendere decisioni,
risolvere problemi, adattarsi
positivamente a nuovi contesti,
relazionarsi in modo adeguato
- Momento evolutivo:
caratteristiche del periodo di
sviluppo che il soggetto sta
vivendo
- Storia personale
- Interessi professionali
- Motivazione
- Caratteristiche della personalità:
capacità impegnarsi per
raggiungere un obiettivo, facilità
relazionale, volontà e capacità di
far fronte ai propri impegni e
doveri, capacità di autocontrollo,
apertura mentale
- Autostima
- Sentimenti relativi al problema
orientativo: disponibilità del
soggetto a mettersi realmente in
gioco, ad essere sincero con sé
stesso e con l’operatore, ad
affrontare la fatica e le difficoltà
che l’intervento orientativo può
comportare
45
Variabili psico-sociali
Variabili sociali
- Valori professionali: ossia le - Percorsi formativi: conoscenza
“caratteristiche o condizioni del
lavoro rispondenti ad aspirazioni
personali che si possono
soddisfare
più
o
meno
indipendentemente dai diversi
settori professionali” (Dupont,
Laresche, 1981)45
- Rappresentazioni
sociali,
relative alla scuola ed al lavoro
- Contesto familiare: influenza
diretta o indiretta dei genitori
sulle scelte dei figli, supporto
della famiglia al processo
decisionale
Dupont, Laresche, 1981, citato in Castelli, 2002, pag. 137
Pag. 48 di 195
dei diversi percorsi scolastici e
di formazione professionale
- Sviluppo delle professioni:
caratteristiche
attuali
delle
professioni e prospettive per il
futuro
- Mercato del lavoro: opportunità
occupazionali, consapevolezza
della instabilità e variabilità del
mondo del lavoro
1.3.3 L’orientamento narrativo
Non solo alle elementari, ma ancor più con i preadolescenti e gli adolescenti
il racconto abbatte muri di isolamento e conduce a una conoscenza
reciproca più profonda e sincera. Le storie, si sa, sono strumenti didattici
per eccellenza.
Valentino Merletti, 1998, pag. 61
La fantasia non è in opposizione alla realtà, è uno strumento per conoscere
la realtà, è uno strumento da dominare. L’immaginazione serve per fare
ipotesi e di fare ipotesi ha bisogno anche lo scienziato, ha bisogno anche il
matematico che fa dimostrazioni per assurdo. La fantasia serve per
esplorare la realtà […].
Rodari, 1992, pag.39
Molte sono le metodologie che vengono utilizzate nell’ambito dell’orientamento.
Alcune sono state messe a punto appositamente per orientare, come il metodo Advp e il
bilancio di competenze, altre sono nate con finalità diverse, ma possono trovare un loro
ruolo in un contesto di formazione orientativa. Tra queste ricordiamo il metodo narrativo,
le cui prime sperimentazioni in Italia risalgono agli anni novanta del secolo scorso.
Nel corso degli ultimi decenni molte discipline, come la letteratura, l’antropologia
culturale, la ricerca storica e la sociologia, si sono interessate alla narrazione, studiandola e
interpretandola da diversi punti di vista. Bruner 46 (1986, 1990) la considera come un
modello mentale, ossia una modalità di percepire e organizzare la realtà interpretata. Egli
sostiene l’esistenza di due diversi tipi di funzionamento del pensiero: il pensiero logicoscientifico (o paradigmatico) ed il pensiero narrativo. Il primo ha lo scopo di categorizzare
la realtà, semplificandola e diminuendo il numero di variabili e di dati che se ne traggono,
perseguendo l’ideale di un sistema descrittivo, esplicativo e formale. Cerca leggi
universali, descrive categorie generali, a cui ricondurre i casi particolari. Il secondo ha
come fine la comprensione della realtà, la ricerca di significato e produce racconti
plausibili e ragionevoli, non necessariamente veri. E’ interessato al contesto, alle
intenzioni, alle credenze, ai sentimenti, ai desideri, ai bisogni, alla singolarità del soggetto,
oltre che ai rapporti di causa ed effetto.
In sintesi il pensiero narrativo è quella forma di pensiero che ci consente di organizzare, interpretare e
utilizzare la nostra esperienza in termini di successione di eventi ordinati nel tempo e orientati verso
uno scopo. (Batini F., Giusti S., Del Sarto G., 2007, pag. 37)
46
Cfr. Bruner J.S. (1986, 1990).
Pag. 49 di 195
La narrazione svolge molteplici funzioni. In primo luogo fornisce una struttura alla
realtà: raccontando a noi stessi o ad altri un evento, descrivendo una situazione, ciò che
prima appariva confuso e caotico gradualmente acquista chiarezza, linearità. Il reale viene
diviso in unità temporali, dotate di senso autonomo, ma collegate tra loro e ordinate
cronologicamente. Questo processo avviene continuamente sia a livello di singoli individui
che di collettività: i racconti mitologici sono un esempio di narrazione collettiva.
Organizzare la realtà consente di interpretarla. Per costruire una narrazione è
necessario selezionare gli elementi che la compongono e ordinarli secondo una sequenza
temporale. Per esempio, volendo raccontare una gita al lago sarà necessario identificare i
momenti salienti della giornata, quelli più interessanti. Non avrebbe senso descrivere
minuziosamente ogni istante trascorso: si perderebbe il significato dell’evento nel suo
complesso. La capacità di interpretare è una competenza fondamentale in ambito
orientativo in quanto consente di selezionare ciò che è importante da ciò che non lo è.
Strutturare la realtà e interpretarla rende possibile attribuirvi un significato. Una stessa
esperienza può essere vissuta e di conseguenza descritta, raccontata e ricordata in modo
diverso: non esiste una esperienza oggettiva in quanto ogni esperienza è mediata dai
significati. Nel dare un senso a ciò che accade ogni persona è influenzata dalle
interpretazioni, dai significati che gli altri vi attribuiscono, dalla cultura di appartenenza,
dagli stereotipi. Anche questa funzione della narrazione è fondamentale per l’orientamento.
La motivazione ad agire, la determinazione a conseguire un risultato o a raggiungere un
obiettivo sono strettamente legate al senso attribuito alle azioni necessarie per conseguirlo.
La capacità della narrazione di riprodurre la realtà rendendola adeguata al vissuto
personale del soggetto narrante, dandole un ordine e un significato, aumenta la possibilità
di esercitare su di essa un controllo sia dal punto di vista cognitivo che emotivo,
incrementando così la percezione di autoefficacia del soggetto stesso.
Raccontare le proprie narrazioni ad altre persone ed ascoltare quelle che gli altri
propongono è quindi forse l’unico modo di condividere la realtà, una realtà che non è
neutra ma carica di significati. L’ascolto reciproco permette di cogliere diversi punti di
vista e apre la mente a possibilità nuove, soluzioni diverse per uguali problemi, permette di
socializzare e costruire relazioni. Si impara a negoziare i significati, ad accordarsi su una
visione condivisa di una parte di realtà.
Non solo la realtà esterna può essere interpretata attraverso la narrazione, ma anche il
mondo interno, ossia la coscienza di sé. Ognuno di noi è il risultato della propria storia,
Pag. 50 di 195
una storia di cui possiede un racconto interiore, che costruisce e vive, un racconto che è la
nostra stessa identità.
La costruzione di un’identità matura e consapevole passa attraverso forme di “bricolage identitario
narrativo”, si verifica cioè un processo di accumulo di petits morceaux di storie udite, storie ascoltate,
storie lette, ermeneutiche del visto e dell’accaduto, a noi e agli altri, interpretate non attraverso un
processo di fissazione di un testo (ammesso e non concesso che esistano testi fissi), come può invece
accadere con l’interpretazione di un libro, ma di un testo in movimento (noi stessi, le relazioni che
abbiamo, la nostra prospettiva spazio-temporale…). (Batini F., 2005, pag. 216)
Raccontarsi reciprocamente mette alla prova l’immagine consolidata di sé stessi e può
dare l’avvio ad un processo di revisione e cambiamento di tale immagine.
Infine, saper narrare, ossia saper organizzare il proprio pensiero, dare una sequenza
precisa a idee, riflessioni e, di conseguenza, azioni è fondamentale per poter elaborare
progetti e pianificare strategie d’azione.
L’utilizzo della narrazione è quindi funzionale all’acquisizione di competenze
fondamentali per l’orientamento. Batini (2008, pag. 32) sintetizza tali competenze nel
seguente elenco:
- essere capaci di dare una struttura alla confusa realtà in cui viviamo;
- essere capaci di interpretare funzionalmente ciò che ci accade;
- essere in grado di attribuire un senso e un significato a ciò che ci accade e a ciò che
facciamo;
- essere in grado di socializzare tutte queste competenze;
- essere in grado di negoziare con gli altri i significati che attribuiamo agli eventi, a
noi stessi, alla realtà che ci circonda;
- esercitare un controllo sul reale e agire di conseguenza;
- essere in grado di organizzare pensiero e azioni;
- essere capaci di esercitare previsioni sul futuro e di progettare;
- essere in grado di tenere insieme i differenti aspetti della nostra identità, anche in
modo progettuale.
La competenza narrativa è relativa sia alla capacità di raccontare una storia sia a
quella di ascoltarla.
I processi di orientamento narrativo si servono di strumenti quali l’utilizzo di
narrazioni prototipiche (ad esempio poemi mitologici) o altre narrazioni (film, racconti,
…), con le quali sollecitare l’emergere di interpretazioni personali e il dibattito all’interno
Pag. 51 di 195
di un gruppo; la reiterazione della scrittura o del racconto di uno stesso evento;
l’attribuzione di senso alle azioni dei personaggi e al racconto nel suo complesso; il
modificare storie o inventarne di nuove (anche con l’utilizzo di strumenti quali foto,
filmati, canzoni e canto); la lettura ad alta voce e l’ascolto di una narrazione; il
brainstorming, l’autobiografia.
L’orientamento narrativo di solito si realizza in un contesto di gruppo, all’interno del
quale è possibile il confronto e il riconoscimento reciproco, ed è adattabile a utenti di
qualsiasi età e condizione sociale.
Il professionista dell’orientamento narrativo deve saper ascoltare, avere un
atteggiamento empatico, essere disposto a mettersi in gioco, saper creare un clima di
rispetto, saper improvvisare e affrontare gli imprevisti, senza mai dimenticare che
l’obiettivo finale è l’empowerment e l’autonomia dei soggetti.
Per una valutazione della qualità dell’intervento è fondamentale verificare il vissuto
dei partecipanti, la loro percezione di fare un percorso e raggiungere dei risultati: è tale
percezione che consentirà loro di sentirsi più o meno attivati e motivati. In particolare deve
essere rinforzata l’autoefficacia percepita e la capacità di tradurre in azione un’idea o un
progetto (agentività). Strumenti utili a tale scopo possono essere diari, quaderni, supporti
multimediali compilati dai partecipanti nella varie fasi del percorso.
1.4 Preadolescenza e scelte per il futuro
Non aveva niente in contrario a stare con gli altri quando era il caso. Ma la gente
esagera. Anzi, secondo lui, se si fosse sprecato un po’ meno tempo a stare insieme
e a convincere gli altri a fare lo stesso, e se ne fosse dedicato un po’ di più a stare
da soli e a pensare a chi siamo e a chi potremmo essere, allora il mondo sarebbe
stato un mondo migliore […].
McEwan, 1994, pag.11
Time present and time past
Are both perhaps present in time future,
And time future contained in time past.
Eliot, 1984, pag.4
Con il mutare delle condizioni e della durata della vita, nelle società industrializzate il
percorso di crescita che ogni individuo deve compiere per diventare adulto si è complicato
e allungato. La scomparsa dei riti iniziatici che nelle società primitive segnavano il
passaggio al ruolo attivo nella società, il prolungarsi del periodo degli studi, le difficoltà a
trovare lavoro e quindi a conquistare la propria autonomia hanno contribuito a delineare
l’adolescenza come tappa a sé stante del corso della vita.
Pag. 52 di 195
Fino a non molti anni fa, l’inizio dell’adolescenza veniva fatto coincidere con la
pubertà fisiologica che dava il via alla pubertà psicologica. Il tempo delle trasformazioni
fisiche coincideva con il tempo dell’adolescenza. Oggi la situazione è decisamente
cambiata.
In seguito ad una migliore alimentazione, a maggiore igiene e al progresso delle
scienze mediche, si è assistito ad un’anticipazione nello sviluppo fisico e sessuale. I
ragazzi di oggi sono più alti, l’età della pubertà si è anticipata.
Negli ultimi anni è andato crescendo l’interesse per la preadolescenza come periodo di
transizione dall’infanzia all’adolescenza. Si tratta di un’età dai contorni non ben definiti,
caratterizzata in primo luogo dall’ambiguità: i ragazzi che la attraversano mantengono
ancora caratteristiche infantili, mentre appaiono già tratti tipici dell’adolescenza. Pollo47
paragona la condizione del preadolescente a quella del migrante che entra in una nuova
terra, a cui ancora non sente di appartenere, portando ancora su di sé i segni di
appartenenza ad un’altra terra. Lungo questo percorso quattro sono i principali processi di
cambiamento che si verificano: il passaggio dal corpo infantile a quello adulto capace di
generare, il passaggio dal pensiero logico-operativo a quello logico-formale, l’acquisizione
di una certa autonomia, l’uscita dallo spazio protetto verso lo spazio aperto.
Il preadolescente osserva il proprio corpo cambiare con attenzione, con curiosità, ma
anche con ansia. Deve ridefinire l’immagine del proprio fisico, di sé e degli altri. Spesso
non riesce a comprendere con chiarezza cosa gli stia accadendo e può percepire disarmonia
tra sé e il proprio corpo.
I primi tentativi di affermare la propria indipendenza e di creare un proprio spazio da
cui i genitori siano esclusi, non corrispondono ancora ad un tentativo di affermare
un’autonomia reale, che è ancora lontana, ma sono il modo con cui l’adolescente comincia
a prendere le distanze dalla famiglia a cui però è ancora fortemente legato. In un certo
senso mette alla prova il proprio legame con la famiglia, per verificarne la solidità e sentire
se e quanto egli è importante all’interno della famiglia stessa.
Le relazioni con i pari acquistano per il ragazzo sempre maggiore importanza: è forte
il bisogno di sentirsi riconosciuto e accettato dai coetanei, di “far parte del gruppo”. Anche
se non c’è ancora un pieno riconoscimento dell’altro come realtà distinta da sé, è in questo
primo tentativo di socializzazione autonoma che egli gradualmente apprende a negoziare la
propria differenza con quella degli altri.
47
Pollo Mario, La fine del determinismo delle età, in Magnoni U., Venera A. (a cura di), 2009.
Pag. 53 di 195
Questa fase così delicata dello sviluppo della persona, fase di passaggio ma anche di
prime consapevolezze e prime scelte, trova all’interno della complessità della società
attuale un terreno insidioso, privo di punti di riferimento stabili, di indicazioni chiare, di
adeguato supporto.
La sempre crescente attenzione che i media ed una certa parte della società rivolgono
ai preadolescenti (e agli adolescenti), ha alla base un interesse di tipo economico.
L’importanza che la nostra società ha dato, prima agli adolescenti e adesso ai preadolescenti, è, anche
in parte, legata al fatto che sono considerati importanti consumatori di beni, approfittando
dell’emigrazione che il ragazzo compie dalla società familiare verso il gruppo dei pari, al quale chiede
di essere riconosciuto e accettato e, quindi, “costretto” a omologarsi agli stili di vita e consumo di
massa. (Magnoni U., Venera A., 2009, pag. 32)
Il consumismo non è un problema solo per le attuali giovani generazioni, che al
contrario trovano negli adulti che li circondano modelli di “consumatori” simili a quelli
proposti dai media. In Diario di scuola (2008) Pennac parlando del marketing e
paragonandolo al lupo cattivo delle fiabe, così descrive, in modo colorito ma efficace,
questa situazione:
Dalla metà degli anni settanta, funziona sempre meglio! Quelli che ti pappi oggi sono figli di quelli che
ti pappavi ieri! Ieri miei studenti, oggi i loro figli. Famiglie intere che prendono i loro minimi desideri
per bisogni vitali nella spaventosa mistura della tua digestione argomentata! Ridotti tutti, grandi e
piccoli, alla stessa condizione di infanzia perennemente desiderante. Ancora! Ancora! Grida dal fondo
del tuo stomaco il popolo di consumatori consumati, figli e genitori insieme. Ancora! Ancora! (Pennac
D., 2008, pag. 189)
L’idea di fondo che “tutto possa essere consumato”, unita alla mancanza di un sistema
di valori forte e condiviso a livello sociale e alla relativizzazione dei sistemi di significato,
hanno portato ad un diffuso senso di smarrimento e alla perdita di punti di riferimento,
rendendo difficile la costruzione di identità stabili e la possibilità di prevedere l’esito delle
proprie azioni.
La frammentarietà rivela due caratteri della condizione giovanile attuale. Il primo è legato alla perdita
del centro sociale che frantuma l’esperienza sociale da un tutto unitario in tanti piccoli mondi vitali. Il
secondo è legato a un’esperienza di vissuto personale del giovane divisa in tanti frammenti, tra loro
isolati, che non riescono a dar vita a una esperienza unitaria. Questo significa che ogni esperienza che il
giovane vive ha un significato relativo che si esaurisce all’interno dell’esperienza stessa e che non
riesce a collegarsi a un senso più generale. La frammentazione introduce il discorso sulla crisi
dell’identità dei giovani. (Pollo, 1995, pag. 17)
Il continuo bombardamento di informazioni e di possibilità, che costringono a fare
continue scelte, il desiderio di sfruttare tutte le opportunità che la società offre e la
Pag. 54 di 195
necessità di adattarsi ai continui mutamenti sociali, hanno portato a rinunciare alla
dimensione progettuale della vita e allo smarrimento della coscienza del tempo. Il giovane
vive in un presente che è un susseguirsi di frammenti di vita e di esperienza, slegati dal
passato e privi di orientamento al futuro.
Oltre agli aspetti ora descritti che caratterizzano la società attuale come società
complessa e che rendono più difficile il già non semplice compito dei preadolescenti e
degli adolescenti di conquista della propria maturità, c’è un altro punto da considerare. Nel
passato non troppo lontano, fino all’epoca industriale, il mondo dell’infanzia era distinto
dal mondo degli adulti, i ruoli educativi erano chiaramente definiti e il bambino doveva
conquistarsi con fatica i propri successi, il proprio diventare “grande”. Oggi, nella società
del consumismo, il bambino usa oggetti e indossa abiti equivalenti a quelli che usa
l’adulto, accede alle stesse informazioni, vede gli stessi programmi in televisione. I
videogiochi, internet, il cellulare, gli consentono di sentirsi “bravo”, efficace e soddisfatto
senza dover fare particolare fatica, senza che nulla gli venga chiesto in cambio. Diventa
difficile per lui comprendere lo scopo degli sforzi che gli vengono richiesti a scuola per
studiare, l’importanza della cultura. Il desiderio di crescere, di diventare adulti per potersi
realizzare, per poter vivere la propria vita si perde in questa confusione di ruoli e di
desideri/bisogni. Viene così a mancare la principale e più potente spinta a prendere
coscienza di sé, delle proprie capacità e potenzialità, a costruire un proprio progetto di vita.
E’ quindi fondamentale che le varie agenzie educative agiscano in modo coordinato
per aiutare i ragazzi a riscoprire un rapporto vero e diretto con la realtà, a sperimentare
come le proprie azioni e scelte abbiano conseguenze pratiche, tangibili, che possono essere
previste e quindi è possibile pianificare, progettare. E’ necessario recuperare le identità
narrative dei ragazzi, affinché scoprano il valore del loro passato e abbiano voglia di
guardare più lontano, verso un futuro che loro stessi possono costruire. E’ necessario
educarli alla cittadinanza, alla scoperta della dimensione sociale della vita, che è rete di
sostegno e fonte di risorse preziose per la realizzazione del proprio progetto esistenziale.
In un processo educativo che si ponga questi obiettivi, l’orientamento (non solo
scolastico o professionale, ma anche legato all’esistenza) può e deve svolgere la sua
importante funzione.
Pag. 55 di 195
CAPITOLO SECONDO
2 DALLE IDENTITÀ POSSIBILI ALL’IDENTITÀ REALE
E voi, a che scopo volete una barca, si può sapere, domandò il re.
Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta, rispose l’uomo. […]
Sciocchezze, isole sconosciute non ce ne sono più. […] Sono tutte sulle
carte.
Sulle carte geografiche ci sono soltanto le isole conosciute.
E qual è quest’isola sconosciuta di cui volete andare in cerca.
Se ve lo potessi dire allora non sarebbe sconosciuta.
Saramago J., 1998, pag. 8
2.1 Preadolescenza, adolescenza e costruzione dell’identità
La preadolescenza è, come già delineato nel capitolo precedente, un’età di
trasformazioni fisiche e cognitive, di cambiamenti, di decisioni e di scelte, di tensione
verso l’autonomia e di messa in discussione dei modelli acquisiti da bambino. Il ragazzo
abbandona le note “terre” dell’infanzia per avventurarsi in un’incerta “terra di mezzo”,
iniziando un percorso per lui sconosciuto, la cui destinazione gli appare oscura e nebulosa,
ma che sa di dover affrontare poiché è il solo che lo può condurre all’essere adulto. Ansia,
stress, incertezza, che accompagnano ogni situazione di transizione, lo rendono più
vulnerabile. Sa di non essere più quello di prima, ma non sa chi è ora, né chi sarà domani.
Inizia così a riflettere su sé stesso, alla ricerca di un filo logico che leghi passato, presente e
futuro. Inizia la ricerca della propria identità.
2.1.1 Sé e identità
L’essere umano è un essere sociale. Nessun uomo o donna potrebbe sopravvivere
completamente da solo, non solo per procurarsi il cibo o difendersi dai pericoli, quanto per
un bisogno innato di relazione, di confronto con l’“altro”. Nel film Cast Away 48, il
48
Cast Away è un film girato nel 2000 dal regista Robert Zemeckis, con attore protagonista Tom Hanks.
Racconta l’avventura di Chuck Noland, ingegnere di una nota azienda di spedizione merci, che in seguito ad
un incidente aereo si ritrova su uno scoglio gigante a nord della Nuova Zelanda. Nessuna terra è visibile
all’orizzonte. Chuck deve così affrontare le problematiche di una vita in totale solitudine e riesce a
sopravvivere disegnando occhi, naso e bocca su un pallone trovato tra i rottami dell’aereo, che diviene così il
suo “amico” Wilson. Per tutto il tempo che resta sull’isola (1500 giorni), Chuck parla con Wilson, gli
racconta i suoi sentimenti, le sue paure, il suo amore per la fidanzata lontana che lo crede morto, il suo
desidero di tornare a casa. Quando si avventura nell’oceano con una zattera da lui stesso costruita porta con
sé il signor Wilson, che però perde in mare. Nonostante sappia che si tratta solo di un pallone, nel momento
in cui le onde lo portano lontano da lui grida disperatamente “Scusami Wilson! Scusami!”. Recuperato
fortunosamente da una nave di passaggio torna finalmente alla vita di tutti i giorni.
Pag. 56 di 195
protagonista perso su un’isola deserta usa un pallone per “inventarsi” un compagno di
sventura con cui confrontarsi e condividere emozioni e avventure.
Ogni individuo è inserito in una rete di relazioni, di rapporti, di legami. Ogni
individuo nasce, cresce, si sviluppa all’interno di un contesto, anzi in più contesti, tra loro
connessi ed interdipendenti.
La famiglia contribuisce a costruire un senso di identità nei suoi membri, attraverso l’esperienza
dell’appartenenza e della differenziazione. […] Il senso di differenziazione e di individualità si forma
con la partecipazione di ciascun membro della famiglia sia ai diversi sottosistemi, che a gruppi
extrafamiliari. (Malagodi Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002)
Bronfenbrenner (1979) ha elaborato la teoria ecologica dello sviluppo, sottolineando
come per studiare lo sviluppo di un individuo sia necessario considerare l’intero ambiente
sociale in cui esso è inserito. Tale sviluppo infatti non avviene nel “vuoto”, non avviene
allo stesso modo per tutti gli esseri umani, ma è legato all’esperienza e quindi al contesto
sociale, che a sua volta è articolato e presenta diversi aspetti: familiare, scolastico, vicinato,
cultura, caratteristiche ambientali, … L’individuo è dunque al centro di un insieme di
diversi sistemi che si possono dividere in quattro sottoinsiemi: i microsistemi, i
mesosistemi, gli ecosistemi e il macrosistema, tra loro strettamente collegati, come
mostrato in Figura 349
Un microsistema è uno schema di attività, ruoli, e
relazioni interpersonali (faccia a faccia) di cui
l’individuo in via di sviluppo ha esperienza in un
determinato contesto, e che hanno particolari
caratteristiche fisiche e concrete. Un mesosistema
comprende le interrelazioni tra due o più
microsistemi (ad es., per un bambino le relazioni
tra casa, scuola e gruppo dei coetanei; per un Figura 3 - Il modello ecologico di Bronfenbrenner
adulto quelle tra famiglia, lavoro ed vita sociale).
Un esosistema è costituito da una o più situazioni ambientali di cui l’individuo in via
di sviluppo non è partecipante attivo, ma in cui si verificano degli eventi che determinano,
o sono determinati da, ciò che accade nella situazione ambientale che comprende
l’individuo stesso. (ad es. per un bambino il posto di lavoro dei genitori, per un adulto
l’economia locale). Il macrosistema, infine, è formato dalla cultura, dalle norme, dalle
49
Immagine tratta dal sito http://physislog.net/wp-content/uploads/2011/05/modello_ecologico.jpg
Pag. 57 di 195
rappresentazioni sociali in cui una famiglia è immersa: è un “meta-sistema” che comprende
tutti gli altri sistemi.
Secondo Bronfenbrenner, l’individuo non “è” ma “diviene”: lo sviluppo della persona
avviene nel tempo all’interno di un contesto.
D’altra parte è esperienza comune che ogni individuo nel percorso che svolge tra il
momento della nascita e quello della morte cambia, si evolve, non solo fisicamente, ma
anche nel modo di rapportasi con la realtà e con gli altri individui, nel modo di ragionare.
Nel tempo ognuno deve prendere delle decisioni, assumere ruoli diversi. Cos’è dunque che
gli permette di riconoscersi sempre come sé stesso, di dire “sono io”, di pensare ad un
bambino che ora non c’è più e dire “ero io” o, ancora, di immaginare un uomo che non c’è
ancora e dire “sarò io”?
La parola identità deriva dal tardo latino identitas, a sua volta derivato da idem, che
significava “stesso, medesimo”. La nostra identità è ciò che ci rende sempre noi stessi, che
ci consente di riconoscerci come sempre “uguali” nonostante i cambiamenti. Cercando sul
vocabolario50 troviamo che identità è “il complesso dei dati personali caratteristici e
fondamentali che consentono l’individuazione o garantiscono l’autenticità”, ma anche
“consapevolezza di un ente razionale di essere sempre il medesimo e distinto da tutti gli
altri”.
Sembra semplice, ma se proviamo a definire con più precisione i “dati personali
caratteristici e fondamentali” di cui si parla, per meglio spiegare e capire come sia
possibile identificarli nel concreto, le cose si complicano non poco.
Il concetto di identità, insieme al concetto di sé, sono infatti tra i più studiati
all’interno delle scienze psicologiche: sono e sono stati oggetto di molte ricerche, studi e
teorie. La distinzione tra questi due concetti non è chiara, né univocamente riconosciuta.
Alcune volte vengono trattati come sinonimi.
Nell’ambito della letteratura internazionale, l’uso dei termini sé e identità sembra evocare la distinzione
tra la psicologia sociale statunitense (ed in particolare il filone della Social Cognition) e la psicologia
sociale europea. Una distinzione che […] sembra soprattutto riprodursi attraverso il prevalente uso della
terminologia associata alla nozione di sé nel primo caso e di quella legata al concetto di identità nel
secondo.
[…] ci sembra di poter definire la nozione di sé come un concetto più generale ed esteso del concetto di
identità, quasi una sintesi delle diverse identità che le persone si trovano a sperimentare nella propria
quotidianità. (Mancini, 2001, pag. 18)
50
Devoto Giacomo, Oli Giancarlo, 2007, Il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana 2008, Milano,
Mondadori
Pag. 58 di 195
La conoscenza di sé è uno dei più antichi interessi dell’uomo ed è stata oggetto di
studi e teorizzazioni prima di tutto in ambito filosofico. Descartes 51 (1644) nei Principia
philosophiae affermando cogito ergo sum, sostiene che l’uomo trova la prova del proprio
esistere grazie alla potenza del proprio pensiero: poiché può dubitare, l’uomo è sicuro di
esistere.
Il primo ad elaborare il concetto di identità personale fu Locke 52 (1688). Partendo
dall’idea che non esistano idee innate e che l’intera conoscenza dell’uomo derivi
dall’esperienza, egli afferma che è proprio l’esperienza che costruisce il nostro mondo
mentale nel suo fluire nel tempo e nelle diverse situazioni. L’unità e la continuità del senso
di sé deriva all’uomo dalla consapevolezza delle proprie sensazioni, percezioni, emozioni.
Pur nel fluire dell’esperienza, questa consapevolezza, che accompagna sempre il pensiero,
è fondamento dell’io come coscienza di sé.
La ricerca contemporanea sul sé trae origine dal pensiero di William James 53 (1890),
che riprende il concetto di identità personale di Locke e lo elabora in una prospettiva più
sociale. L’attività psichica è considerata da James come un flusso di coscienza (stream of
feelings), frutto dell’interazione dell’organismo con l’ambiente circostante. La mente
umana non è distinta dal mondo naturale, ma forma con essa un unico complesso in cui le
due realtà interagendo si integrano. Il sé è l’elemento centrale di collegamento tra il mondo
psichico e mentale dell’individuo ed il mondo esterno.
James distingue all’interno del sé due componenti: l’Io conoscente ed il Me
conosciuto. La prima, l’Io conoscente, è la parte attiva, l’elaboratore delle informazioni. La
seconda, il Me, è l’insieme dei pensieri, credenze, caratteristiche che il soggetto riconosce
come proprie, ossia di quegli elementi con cui il soggetto sviluppa un’identificazione
emotiva. Il Me si forma e si modifica in base alle interazioni sociali, all’esperienza
sviluppata negli eventi autobiografici, alle percezioni e valutazioni che il soggetto riceve
dagli altri su sé stesso. James definisce tre dimensioni del sé: il sé materiale (il proprio
corpo, la propria famiglia, i propri possedimenti), il sé spirituale (le facoltà e disposizioni
51
René Descartes (1596, 1650), filosofo e matematico francese, ritenuto fondatore della filosofia e della
matematica moderna.
52
John Lockes (1632, 1704), filosofo e fisico britannico, considerato padre del liberalismo classico,
dell’empirismo moderno e anticipatore dell’illuminismo critico. Per un approfondimento sul contributo dato
da Lock alla riflessione sull’identità personale cfr. Allegra Antonio, 2005, Dopo l'anima. Locke e la
discussione sull’identità personale alle origini del pensiero moderno, Roma, Studium
53
William James (1842, 1910) psicologo e filosofo statunitense. Per approfondire il pensiero di James cfr.
Franzese Sergio, 2010, Darwinismo e pragmatismo. E altri studi su William James, Udine, Mimesis;
Franzese Sergio, 2000, L’uomo indeterminato: saggio su William James, Roma, D’Anselmi; Riconda
Giuseppe, 1999, Invito al pensiero di William James, Milano, Mursia
Pag. 59 di 195
mentali, la volontà), il sé sociale (il riconoscimento altrui, gli affetti, le simpatie degli altri,
i ruoli sociali). L’Io ed il Me insieme creano un senso coerente di identità.
2.1.2 Il punto di vista della psicologia sociale
Nell’ambito della psicologia sociale, possiamo distinguere tre diverse prospettive
(Mancini, 2001) attraverso cui è stato affrontato lo studio del sé e dell’identità: la
prospettiva cognitiva, la prospettiva sociale e la prospettiva motivazionale.
Nella prospettiva cognitiva, l’individuo è considerato come un attivo “costruttore”
delle informazioni rilevanti relative al proprio sé, che è rappresentato come una rete di
conoscenze e di informazioni correlate tra loro. Le componenti o aspetti di cui il sé è
formato possono essere definite come strutture di conoscenza organizzate attorno a
specifici nuclei tematici o a differenti tipi di situazioni. Il sé non può essere considerato
come una singola struttura cognitiva, ma piuttosto come una gerarchia di concetti, definiti
in base alle impressioni di sé che il soggetto ha nelle diverse situazioni e nei diversi
contesti. Ad esempio, una persona può avere un concetto di sé in base a come pensa di
essere nell’ambito della propria famiglia, un’altra in base a come pensa di essere
nell’ambito lavorativo.
Kihlstrom e Cantor (1984) e Kihlstrom et al. (1988) rappresentano il sé come struttura
di conoscenze utilizzando un modello “a rete”, in cui i nodi simboleggiano i concetti e i
legami le relazioni tra essi.
La Markus (1977) usa il concetto di schema di sé per indicare un insieme di
conoscenze legate a specifici domini comportamentali o campi di competenza di un
individuo. Gli schemi di sè si formano sulla base delle esperienze vissute e sono concezioni
complesse, stabili e articolate. Ad essi si affiancano le concezioni di sé, che sono invece
relative al contesto in cui sono attivate e quindi più variabili. Il sé risulta così essere un
insieme di schemi e concezioni tra loro correlate.
Indipendentemente dal modo in cui viene rappresentato, secondo l’approccio
cognitivo il sé è considerato frutto dell’esperienza, costruito attivamente dal soggetto
attraverso fasi di rilevazione, organizzazione e memorizzazione delle informazioni ritenute
rilevanti per il sé. In particolare le persone possono “conoscersi” osservando il proprio
comportamento nei diversi contesti, ma soprattutto interpretando i propri stati psicologici
interni, le proprie cognizioni, emozioni e motivazioni. Il risultato di questo processo di
costruzione del proprio sé non sarà mai un prodotto finito e stabile, così come non
Pag. 60 di 195
esisteranno mai due sé tra loro identici, anche se individui diversi possono condividere
alcuni schemi di sé.
Oltre a rappresentare sé stessi nel presente, le persone possono costruire immagini di
sé proiettate nel futuro. Markus e Nurius (1986) definiscono tali immagini come sé
possibili, che a loro volta possono essere distinti in sé desiderati, come il soggetto vorrebbe
diventare, il sé temuti, come non vorrebbe essere, il sé ideale, come il soggetto vorrebbe
essere, ed il sé normativo o imperativo, come il soggetto dovrebbe essere (Markus, Wurf,
1987; Cross, Markus, 1991; Higgins, Klein, Strauman, 1987).
Poiché il sé si costruisce e matura all’interno di un contesto che è necessariamente
connotato culturalmente, anche tale connotazione gioca un suo ruolo sul modo in cui esso
si struttura. Triandis (1989) parla di collettivismo culturale, quando le necessità del gruppo
prevalgono su quelle individuali, e di individualismo culturale, quando al contrario sono le
necessità individuali a prevalere. Markus e Kitayama (1991) suggeriscono di distinguere
tra sé interdipendente, tipico del collettivismo culturale e dalla struttura più fluida e
mutevole, e sé indipendente.
Tutti gli schemi di sé che un individuo possiede sono immagazzinati nella memoria.
Una costellazione di concezioni di sé viene di volta in volta attivata e resa operativa in base
al contesto e allo stato motivazionale in cui si trova il soggetto. Markus e Nurius (1986)
definiscono tale costellazione come sé operativo. Le motivazioni che ne influenzano
l’attivazione possono essere molteplici: il desiderio di conservare un’immagine positiva di
sé, di mantenere un senso di coerenza e continuità, di modificare il proprio sé o di
rafforzarlo, ecc.
Con la nozione di sé operativo, la Markus e le sue collaboratrici sostengono l’ipotesi di un concetto di
sé fluido che tende a fluttuare in funzione degli aspetti resi attivi dalla situazione sociale. Nello stesso
tempo però, queste autrici ipotizzano anche l’esistenza di un nucleo concettuale stabile, formato da
strutture di conoscenza delle quali le persone sono consapevoli per la maggior parte del tempo. Questo
“nucleo” rappresenta una sorta di punto di riferimento che garantisce un senso di continuità e di
identità, almeno a quelle persone che, avendo stabilizzato una identità sociale e personale, sono in
grado di distinguere gli aspetti permanenti da quelli mutevoli delle loro concezioni di sé. (Mancini,
2001, pag. 40)
Il sé così delineato svolge nella vita delle persone due importanti funzioni (Mancini,
2001), una nell’ambito dell’elaborazione delle informazioni (sé come schema
anticipatorio)
ed
una
nella
regolazione
dell’azione
(sé
come
regolatore
del
comportamento). Il concetto che un individuo ha di sé stesso influenza il modo in cui
elabora le informazioni autoriferite, sia che vengano recuperate dalla memoria, sia che
Pag. 61 di 195
provengano dall’esterno, ed il modo in cui percepisce e valuta gli altri. Inoltre influisce
sulle previsioni riguardo il proprio comportamento e sulle attribuzioni causali relative ad
esso.
Gli approcci cognitivi considerano l’individuo come dotato di intenzionalità, capace di
valutare le situazioni e gli eventi e di regolare le proprie azioni in base a obiettivi
predefiniti. In quest’ottica il concetto di sé, incidendo sui fattori cognitivi ed affettivi che
regolano la condotta umana, ne influenza i processi di auto-regolazione. 54 In particolare, la
definizione degli scopi da perseguire può essere condizionata dall’insieme di credenze e
aspettative circa la capacità di controllo e l’efficacia personale (Markus, Wurf, 1987), ossia
da quella che Bandura55 (1986) definiva “sentimento di efficacia personale”. Dal punto di
vista affettivo, saranno i bisogni, i motivi, i valori di riferimento ad influenzare l’agire del
soggetto. Infine, i sé possibili (desiderati o temuti) possono modificare gli scopi da
perseguire, così come il desiderio di dare agli altri una certa immagine di sé
(autopresentazione56) o il bisogno di esprimere la propria autenticità (autoespressione).
Riguardo alle strategie scelte per portare a compimento le azioni intraprese, il concetto di
sé svolge un suo ruolo sia rispetto alle strategie di coping che il soggetto conosce e sa
attivare, sia riguardo alla capacità di scegliere tra esse la più adatta in base alla situazione.
Le teorie elaborate nell’ambito della prospettiva sociale sottolineano l’importanza del
contesto per la formazione e lo sviluppo del sé, anche se tale contesto viene studiato e
valutato in modo differente dai diversi autori. Alcuni ritengono fondamentale il livello
delle relazioni interpersonali (prospettiva interazionista), altri quello ideologico
54
In biologia, il termine autoregolazione indica “il potere che ha il protoplasto di accelerare o ritardare i
propri processi vitali in risposta a stimoli interni o ambientali. Con l’irritabilità e la plasticità è una delle
proprietà che distingue la materia viva dal mondo inanimato.” (www.treccani.it). Nell’ambito della
psicologia cognitiva corrisponde alla capacità di stabilire obiettivi e di valutare le proprie azioni facendo
riferimento a standard interni di prestazione.
55
Albert Bandura, nato nel 1925, psicologo canadese di matrice comportamentista, è stato un autore
fondamentale nel passaggio verso il cognitivismo. Ha elaborato la teoria dell’apprendimento sociale, secondo
la quale gli individui apprendono non solo tramite l’esperienza diretta, ma anche attraverso l’osservazione di
altre persone che fungono da modello. L’apprendimento è un processo di acquisizione attiva e gli individui
mantengono con l’ambiente un rapporto di interazione reciproca. Centrale nell’analisi dell’agire umano è per
Bandura il concetto di self-efficacy (senso di auto-efficacia), ossia la fiducia nelle proprie capacità e
possibilità, che influenza le scelte, le aspirazioni, i livelli di sforzo, di perseveranza, la resilienza, la
vulnerabilità allo stress ed in generale la qualità della prestazione. Cfr. anche Bandura (1997; 2009)
56
“L’autopresentazione può essere definita come il processo attraverso il quale le persone manipolano la
propria immagine ed il proprio comportamento all’interno delle interazioni sociali al fine di determinare le
impressioni volute dall’interlocutore.” (Laghi Fiorenzo, Baiocco Roberto, Di Pomponio Ileana, D’Alessio
Maria, L’autopresentazione nella pratica orientativa: fattori di rischio e di protezione in adolescenza, in
Petruccelli F., D’Amario B., Giordano V., 2011, pagg. 219- 234)
Pag. 62 di 195
(prospettiva socio-costruzionista) , altri ancora quello delle relazioni intergruppo (teorici
dell’identità sociale).
Precursore dell’origine sociale del sé fu, come già accennato, William James, alle cui
riflessioni si ispirarono, tra gli altri, Cooley 57 (1902) e Mead58 (1934). Secondo Cooley
ogni persona costruisce il proprio concetto di sé osservando le immagini di sé stesso che
gli altri gli rimandano, ossia, in un certo senso, guardando sé stesso “riflesso” negli altri
come in uno specchio (specchio sociale). Cooley parla di auto-rispecchiamento (looking
glass self).
Mead riprende la distinzione operata da
James tra Io e Me, indicando con Io la parte attiva
del soggetto, la sua capacità di agire in modo
creativo, di modificare la società. Il Me invece è il
frutto dell’interiorizzazione degli atteggiamenti,
delle idee, della morale della società, ossia di
quello che Mead chiama l’“altro generalizzato”. Il
sé emerge dall’interazione, dal dialogo tra Io e Figura 4 - Sè e società in interazione dinamica
Me. Inoltre il sé e la società si costruiscono secondo la teoria di Mead
reciprocamente, nell’ambito di un processo
dinamico che coinvolge l’individuo e gli altri (Figura 4)59.
Nell’ambito della prospettiva socio-costruttivista viene data maggiore enfasi alla
dimensione costruttiva dell’Io nei processi di identificazione sociale. Greenwood (1994)
parla di “identità intesa come progetto”, progetto che si basa su idee e risorse forniti dal
contesto sociale. L’identità è quindi, secondo questo autore, un fenomeno sociale sia
perché nasce come conseguenza di processi di identificazione sociale, sia perché
rappresenta il risultato dell’investimento personale nella costruzione di un’identità scelta
tra quelle considerate possibili nel contesto sociale di appartenenza.
Un altro modo di affrontare il problema della definizione dell’identità è quello di
operare una distinzione tra identità personale, che comprende gli attributi che rendono
57
Charles Horton Cooley (1864, 1929), sociologo statunitense, fu uno dei principali teorici
dell’interazionismo simbolico. Per approfondire cfr. Marshall J. Cohen, 1982, Charles Horton Cooley and
the Social Self in American Thought, New York, Garland Publishing
58
Gorge Herbert Mead (1863, 1931) è stato un filosofo, sociologo, psicologo statunitense, considerato tra i
padri fondatori della psicologia sociale.
59
L’immagine “Sé e società in interazione dinamica secondo la teoria di Mead” è stata creata dall’autrice
utilizzando Microsoft Word.
Pag. 63 di 195
unico l’individuo, e identità sociale, ossia l’insieme delle caratteristiche possedute in
conseguenza all’appartenenza a categorie o gruppi sociali (Gordon, 1968). A queste due
classi di concetti che una persona può usare per autodefinirsi, si deve aggiungere ancora
l’identità di ruolo, ossia le immagini che le persone hanno di sé in base ai ruoli che
interpretano nei contesti della loro vita quotidiana (Stryker, 1987; Thoits, 1991).
A partire dagli anni settanta del secolo scorso, Tajfel 60, muovendosi dai risultati
emersi da una serie di ricerche sperimentali61 condotte sui gruppi minimi62, elabora la teoria
dell’identità sociale (Social Identità Theory, SIT). L’obiettivo delle ricerche era quello di
capire il motivo per cui gli individui nel momento in cui sentono di appartenere ad un
gruppo, tendono sistematicamente a mettere in atto un atteggiamento discriminatorio a
favore dell’ingroup e a sfavore dell’outgroup. Tajfel parte dal presupposto che, almeno
nella nostra società, gli individui cercano di creare e mantenere un’immagine positiva di sé
stessi. Una parte di questa immagine deriva dal sentirsi parte di determinati gruppi o
categorie sociali. Ogni individuo per trovare il proprio posto nella società e orientarsi al
suo interno compie un’opera di categorizzazione, ossia divide l’ambiente sociale in
categorie in base alle quali definisce sé stesso e gli altri. Il bisogno di differenziare
positivamente il proprio gruppo rispetto agli altri è legato quindi alla necessità di cercare
per esso una specificità positiva, valorizzando di conseguenza gli aspetti positivi della
propria identità sociale. Per Tajfel l’identità sociale è infatti la parte dell’immagine di sé
che l’individuo costruisce in base alla consapevolezza di appartenere a uno o più gruppi
sociali, unita al valore che egli attribuisce a tale appartenenza.
Proseguendo gli studi di Tajfel, di cui era collaboratore, John C. Turner (1987)
concentra la propria attenzione sui processi cognitivi che portano le persone a definirsi
come appartenenti a determinate categorie sociali ed arriva ad elaborare la teoria della
categorizzazione del sé (Self Categorization Theory, SCT). Secondo tale teoria, quando le
persone categorizzano sé stesse e gli altri possono utilizzare diversi livelli di astrazione, di
cui i principali sono tre: livello sovraordinato o interspecie (human identity), livello
intermedio o intergruppi (social identity), livello personale (personal identity). Il
60
Henri Tajfel (1919, 1982), psicologo britannico di origine polacca. Nei suoi studi ha indagato le basi
relazionali e sociali della discriminazione intergruppi, della formazione degli stereotipi e del pregiudizio
sociale. Fu tra i principali fondatori dell’EASEP (European Association of Experimental Social Psychology)
61
Per una descrizione dettagliata di questo programma sperimentale cfr. Tajfel, 1981.
62
I gruppi minimi (o gruppi minimali) sono gruppi in cui la categorizzazione ingroup/outgroup viene
effettuata in base ad un criterio debole. Inoltre, tra i due gruppi mancano le condizioni che di solito sono
associate al conflitto intergruppi. (http://www.fscpo.unict.it/sda/slides/RelazioniIntergruppi.ppt). Sono gruppi
artificiali, costruiti dal ricercatore in base a criteri casuali.
Pag. 64 di 195
comportamento, l’atteggiamento del soggetto dipendono dal livello di categorizzazione che
in un dato momento viene attivato. In particolare, il livello intermedio corrisponde ad una
accentuazione del carattere prototipico e stereotipico del gruppo di appartenenza e ad un
aumento della somiglianza percepita tra sé e gli altri membri del gruppo, che produce un
effetto di “depersonalizzazione della percezione di sé dell’individuo”, ossia il soggetto non
si percepisce più come individuo unico e differente, ma come elemento intercambiabile
all’interno del gruppo. L’attivazione di un livello di astrazione piuttosto che un altro
dipende dal contesto di riferimento.
Secondo la SIT e gli studi ad essa connessi, l’elemento motivazionale alla base dei
processi di identificazione sociale è la stima di sé. Secondo altri autori è però necessario
considerare anche altri elementi motivazionali. Hogg e Abrams (1993) hanno elaborato un
modello basato sul principio della “riduzione degli stati di tensione”: tutte le possibili
motivazioni possono essere considerate come derivate dal processo di riduzione degli stati
di incertezza.
Poiché l’interpretazione della realtà sociale è in gran parte legata al consenso sociale e poiché
l’incertezza genera uno stato di disagio dal quale le persone cercano di allontanarsi, il bisogno di ridurre
l’incertezza stessa si accompagna a quello di individuare altri significativi, tendenzialmente simili a sé,
con i quali raggiungere accordo e consenso sul versante dell’interpretazione della realtà. La riduzione
dell’incertezza produce, secondo Hogg ed Abrams, sentimenti di “efficacia”, di controllo personale e
aumenta la stima di sé. (Mancini, 2001, pag. 137)
Secondo altri autori non è però possibile spiegare i molteplici motivi che possono
spingere le persone a scegliere un’identità sociale con un unico bisogno. Deaux et al.
(1999) hanno individuato sette diverse categorie di bisogni, alcuni di natura individuale
(come ad esempio la conoscenza di sé e l’autostima), altri di natura interpersonale, altri di
natura collettiva. Non tutte le identità sociali soddisfano gli stessi bisogni, mentre una
singola identità può soddisfarne più di uno.
Nell’ambito della prospettiva motivazionale vengono principalmente indagati i
processi motivazionali che sono alla base della formazione e dello sviluppo del sé. Mentre
al contesto e ai processi cognitivi viene riconosciuta la capacità di facilitare o inibire tale
sviluppo, sono i bisogni psicologici e sociali che sono ritenuti responsabili delle condotte
umane.
Una particolare attenzione viene dedicata allo studio della “stima di sé”, considerata
un costrutto centrale nei processi di cambiamento e dello sviluppo individuale. Secondo
Pag. 65 di 195
alcuni autori la stima di sé deve essere considerata come un costrutto unitario e globale,
secondo altri invece come un costrutto composto da più dimensioni legate ai diversi ambiti
rilevanti per la costruzione dell’immagine di sé.
Come si costruisce una buona stima di sé? A questo fine è importante la percezione
che il soggetto ha della propria competenza ed efficacia (Greenwald, 1980), ma anche la
percezione degli atteggiamenti degli altri significativi nei propri confronti (Mancini ,
2001).
Harter (1990) ha identificato otto specifici domini di competenza importanti per la
valutazione di sé che comprendono competenze scolastiche/lavorative, competenze
relazionali, capacità atletiche e la percezione del proprio corpo.
Per l’adolescenza, in particolare, varie ricerche (Speltini, 1993; Bariaud, RodriguezTomè, 1994) hanno dimostrato come in questa fase della vita sia particolarmente
importante per la stima di sé l’aspetto fisico, essendo alto il contrasto tra l’immagine del sé
fisico attuale e l’immagine del sé fisico desiderato o normativo, mentre altri autori
(Wallace-Brouscious, Serafica, Osipow, 1994; Mancini, 1999) hanno sottolineato la
rilevanza dell’accettazione da parte dei pari, della riuscita scolastica e sportiva.
La costruzione di una buona autostima è importante perché contribuisce a mantenere
alto l’impegno che le persone investono nel raggiungimento dei propri obiettivi (Breckler,
Greenwald, 1986), mentre una bassa stima di sé induce a scegliere obiettivi irrealizzabili, a
reagire in modo negativo di fronte alle difficoltà e agli ostacoli, a impegnarsi poco e senza
costanza (Kernis, Brockner, Frankel, 1989; Seiffe-Krenke, 1990).
Un importante contributo allo studio delle motivazioni che sono alla base dei processi
di costruzione dell’identità è stato quello apportato da Erikson (1950, 1968, 1982) che,
partendo da una prospettiva psicoanalitica, descrive la vita come una serie di stadi, ognuno
caratterizzato da un dilemma cruciale che deve essere risolto per poter passare allo stadio
successivo. In tutto gli stadi sono otto e si susseguono in una sequenza invariante e
gerarchica: ciascuno si struttura in base all’esito dei precedenti, riorganizzandolo e
arricchendolo in modo da costruire qualcosa di nuovo. Il quinto stadio corrisponde
all’adolescenza e la crisi che lo caratterizza è costituita dalla conflittualità relativa
all’opposizione tra identità e confusione di ruoli.
Nella concezione di Erikson l’identità è una componente di tutti gli stadi del ciclo di vita dell’uomo.
Fondata sulla fiducia e sulla sicurezza infantile, l’identità è in gioco anche nel conflitto Integrità vs
Disperazione della vecchiaia. La formazione dell’identità durante l’adolescenza chiarisce
Pag. 66 di 195
l’orientamento allo sviluppo di tutti gli stadi precedenti del ciclo di vita e costituisce la base per gli
sviluppi successivi della personalità. (Palmonari, 1993, pag.52)
L’identità si configura quindi come “la sintesi dinamica di un processo di integrazione
tra il passato infantile e il futuro in cui aspettative e valori personali si confrontano con le
attese sociali.”63 Le influenze storico-sociali, l’ambiente culturale, la maturazione
psicofisica e l’attività del soggetto nell’organizzare l’esperienza personale concorrono
insieme allo sviluppo dell’individuo.
Per Erikson l’identità è dunque un “fenomeno psico-sociale riferito al fatto che il
soggetto si sente lo stesso nel tempo anche se si vede cambiato per molti aspetti esteriori o
di carattere. Tale fenomeno è radicato sia nei processi intrapsichici dell’individuo, sia nel
contesto culturale che l’individuo stesso condivide con gli altri.”64
Mentre l’infanzia è caratterizzata dalla messa in atto di processi di introiezione e di
identificazione, durante l’adolescenza il soggetto deve divenire in grado di effettuare una
selezione tra le proprie identificazioni infantili, scegliendone alcune e scartandone altre, in
base ai propri interessi, valori e capacità. Fondamentali per l’acquisizione dell’identità
sono quindi la fedeltà verso le scelte effettuate e l’impegno per la loro realizzazione. Il
traguardo da raggiungere è una identità stabile, coerente e separata dagli altri, dove le
identificazioni con gli altri vengono sostituite dal sentimento cosciente di essere sé stesso,
in continuità nello spazio e nel tempo, e di essere come tale riconosciuto dagli altri. Non si
tratta di un obiettivo facile da raggiungere: l’adolescente deve abbandonare le garanzie e le
certezze dell’infanzia per avventurarsi nel mondo adulto, che lo incuriosisce e lo attrae, ma
che appare anche come sconosciuto e inquietante. L’incapacità di effettuare delle scelte e
di mantenerle può portare a situazioni di ambivalenza personale e sociale e alla mancata
acquisizione dell’identità, o alla costruzione di un’identità negativa, basata su un senso di
inferiorità e di inadeguatezza rispetto ai compiti della vita. Erikson definisce “diffusione
dei ruoli”, la situazione che consiste nel passare da una identificazione all’altra, senza
riuscire a costruire una sintesi originale delle esperienze vissute. La “diffusione dei ruoli” è
una condizione accettata e riconosciuta come tipica dell’adolescenza, ma deve essere poi
superata.
La fedeltà verso le scelte effettuate e l’impegno per realizzarle sono dunque, secondo
Erikson, le competenze essenziali per l’acquisizione dell’identità.
63
64
Mancini T., 2001, pag. 161
Palmonari, 1993, pag. 47
Pag. 67 di 195
Il modello di Erikson ha costituito un importante punto di riferimento per i successivi
studi sui processi di formazione dell’identità in adolescenza, tra i quali uno dei più
importanti è stato quello condotto da Marcia (1966, 1980, 1993, 1994), che ha elaborato la
teoria degli stati di identità.
Marcia (1993) distingue tre diversi livelli di significato nel costrutto di identità: livello
esperienziale (fenomenologico), che corrisponde alla definizione di identità data da
Erikson, ossia il senso di coerenza interna, di continuità nello spazio e nel tempo, livello
astratto (intrapsichico), relativo all’organizzazione dinamica di energie, abilità, credenze,
storie personali, che costituiscono la struttura identitaria, e livello comportamentale.
Crescendo ogni individuo diviene gradualmente consapevole di sé stesso e del proprio
posto nel mondo, formando così la propria identità. Alcuni però, attraverso processi di
decisione e di scelta, mettono in atto un processo attivo di costruzione dell’identità,
selezionando tra le varie alternative possibili, scegliendo quelle che ritengono migliori per
sé stessi. Quindi due sono i percorsi possibili: formazione oppure costruzione dell’identità.
Solo il secondo consente al soggetto di avere la consapevolezza di poter controllare o
almeno influenzare i cambiamenti che lo riguardano.
A livello comportamentale, l’identità si manifesta attraverso due indicatori:
l’esplorazione delle possibili alternative identitarie e l’impegno nei confronti delle scelte
effettuate. Ne conseguono quattro diversi stati relativi all’identità:
- acquisizione dell’identità, quando un valido impegno segue ad un processo
esplorativo attuato positivamente
- blocco o chiusura di identità, quando l’individuo è costretto ad assumere impegni
seri troppo precocemente, senza una adeguata fase di esplorazione
- diffusione dell’identità, in seguito ad una esplorazione incerta o assente, il soggetto
non assume impegni
- moratoria dell’identità, l’esplorazione continua senza pervenire ad una assunzione di
impegni e l’individuo si trova in una situazione di stallo
La costruzione dell’identità inizia, secondo Marcia (1966), in seguito ai cambiamenti
fisici, cognitivi e sociali che si verificano nell’adolescenza e che danno il via ad una “crisi
d’identità”, ossia alla rottura dell’equilibrio interno costruito nel corso dell’infanzia e alla
conseguente necessità di una riorganizzazione interna di bisogni, abilità, valori, piani,
storie personali. Quando tale riorganizzazione si conclude, termina la fase di esplorazione e
la nuova struttura dell’identità (livello astratto) si manifesta attraverso gli impegni assunti
Pag. 68 di 195
(livello comportamentale). Questo rende possibile comprendere lo stato di identità in cui si
trova un soggetto osservandone il comportamento. Il paradigma degli stati di identità ha
quindi reso possibile affrontare attraverso la ricerca empirica il concetto di formazione
dell’identità. Tra gli altri, ricordiamo gli studi di Kroger (1992), che ha sottolineato come i
processi di individuazione e separazione dai genitori, il sentirsi sicuri e pronti ad affrontare
i cambiamenti e l’apertura al conflitto siano fattori coinvolti nella formazione dell’identità.
Altre ricerche (Meeus, Dekovic, 1995), mostrano come, sempre per lo sviluppo
dell’identità, in adolescenza sia più rilevante il supporto dei coetanei rispetto a quello dei
genitori.
Bosma (1985, 1994) ha rielaborato il modello degli stati di identità di Marcia,
sottolineando come sia riduttivo parlare di esiti diversi per una crisi, in quanto ogni
adolescente affronta più crisi e non tutte con le stesse modalità e lo stesso esito. Gli ambiti
e i contenuti di impegno sono molteplici (scuola, professione futura, famiglia, amici, ecc.).
Soggetti diversi attribuiscono diversa importanza ai vari ambiti, mentre per ogni individuo
l’importanza di uno stesso ambito varia nel corso del tempo.
Varie ricerche condotte da Mancini (1996, 1997, 1999) hanno evidenziato le aree
tematiche che più interessano i preadolescenti. Tali aree si differenziano rispetto a quelle
tipiche dell’adolescenza più matura e sono la famiglia, gli amici, i rapporti con le persone
dell’altro sesso, la scuola, il tempo libero, alcune caratteristiche personali. L’interesse per
le scelte professionali è ancora vago, così come per i ruoli sessuali.
Se con il crescere dell’età aumenta l’importanza che i preadolescenti attribuiscono al tempo libero, ai
rapporti di amicizia e alle relazioni con l’altro genere, mentre diminuisce quella attribuita alla scuola e
alle scelte professionali future, è comunque il passaggio dal prevalere dell’identificazione (chiusura)
alla ricerca di nuovi elementi identitari (moratoria) la caratteristica peculiare del processo di
formazione/costruzione dell’identità nella preadolescenza. (Mancini, 2001, pag. 182)
2.1.3 Adolescenza o adolescenze? I compiti di sviluppo
Il capitano rilesse il biglietto del re, poi domandò, Potete dirmi il motivo per cui volete una
barca
Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta
[…] voi, se ho ben capito, andate alla ricerca di una dove non sia mai sbarcato nessuno
Lo saprò quando ci arriverò
Se ci arriverete
Sì, a volte si naufraga strada facendo, ma, se mi dovesse capitare, dovreste scrivere negli
annali del porto qual è stato il punto in cui sono arrivato
Volete dire che quanto ad arrivare si arriva sempre
Non sareste chi siete se già non lo sapeste
Saramago J., 1998, pag. 14
Pag. 69 di 195
La psicologia, la psicanalisi, la pedagogia e la sociologia iniziano a studiare
sistematicamente l’adolescenza come periodo della vita umana a partire dall’inizio del XX
secolo, sia in Europa che negli Stati Uniti.
Relativamente alla psicologia particolarmente importante è il lavoro di Stanley Hall 65
(1904), che definisce l’adolescenza come una “nuova nascita”, espressione basata sulla
constatazione della profonda differenza che intercorre tra la vita mentale del bambino e
quella dell’adolescente. Hall descrive questa fase della vita come caratterizzata da
sentimenti molto intensi, da tensioni estreme e spesso contraddittorie, fenomeni che egli
considera
come
attributi
costanti
dell’adolescenza,
biologicamente
determinati,
indipendenti dal contesto e dalla cultura.
Negli stessi anni Sigmund Freud (1905) descrive l’adolescenza come il momento in
cui la vita sessuale infantile raggiunge la sua forma definitiva, ma è soprattutto Anna Freud
(1936) che sviluppa la riflessione psicanalitica sull’adolescenza. Sostenendo che la vita
sessuale inizia nella prima infanzia, la Freud definisce la pubertà come la prima
ricapitolazione del periodo sessuale infantile (la seconda sarà nel climaterio). Tale
ricapitolazione del conflitto edipico provoca instabilità emozionale, umore depresso,
conflitti con i genitori, talora può portare a comportamenti asociali o criminali. La spinta
libidica, dovuta al riaffiorare della sessualità infantile, che assume ora uno spiccato
investimento genitale, impegna l’Io (rafforzato dal periodo di latenza) ed il Super-Io in una
strenua difesa per tenere a bada la forza dell’Es. L’adolescenza è, di conseguenza, un
periodo di “tempesta e passione” (storm and stress) e le gravi problematiche che
l’accompagnano sono un fenomeno universale, senza alcun legame col contesto
ambientale, con le influenze culturali, con le differenze individuali. Questo punto di vista
viene condiviso anche da Blos (1962), psicoanalista considerato tra i più lucidi teorici
dell’adolescenza. L’autore ritiene che sia questo il periodo in cui si struttura il carattere,
inteso come aspetto della personalità che modella le risposte dell’individuo agli stimoli che
provengono sia dall’ambiente che dal sé. Il carattere inizia a formarsi nell’infanzia ma
assume una struttura stabile solo al termine dell’adolescenza. Soggettivamente il carattere è
vissuto come una sorta di senso di sé. Quattro sono le sfide che il ragazzo deve affrontare
per formare il proprio carattere: portare a termine il secondo processo di individuazione (il
65
Granville Stanley Hall (1844, 1924) fu uno psicologo e pedagogista statunitense. Si occupò principalmente
di psicologia dello sviluppo. Fondò il primo laboratorio di psicologia sperimentale degli Stati Uniti. Nel 1892
fondò, insieme ad altri 25 soci, la American Psychological Association, di cui fu il primo Presidente. La sua
opera più nota è Adolescence (1904), in cui affronta lo studio di questa fase dell’esistenza in modo
scientifico.
Pag. 70 di 195
primo si completa verso la fine del terzo anno di vita), rielaborare e controllare i traumi
infantili, stabilire una continuità storica dell’Io, formare la propria identità sessuale.
Una prospettiva diversa è quella adottata da Margaret Mead66 (1928), che descrive le
tempeste emotive e lo stress che si manifestano in adolescenza non come inevitabili e
universali, ma come determinate e influenzate dal contesto sociale, dalla cultura di
appartenenza. La Mead condusse una ricerca con il metodo dell’osservazione
partecipante67 tra le ragazze dell’isola di Tau nell’arcipelago di Samoa (Pacifico
meridionale), verificando come in quella popolazione l’adolescenza, pur essendo
considerata un momento di passaggio tra l’infanzia e l’età adulta, non era caratterizzata da
conflitti e tensioni. Per gli abitanti di Samoa le norme comportamentali erano ampiamente
condivise, basate su conoscenze e simboli noti a tutti, la divisione del lavoro era limitata e
la gerarchizzazione per età chiaramente stabilita. Nella società occidentale invece la
divisione del lavoro è complessa, la cultura è legata ai diversi ruoli sociali e lavorativi, non
ci sono risposte univoche per i problemi che si presentano, le modalità del passaggio
dall’infanzia all’età adulta non sono definite con chiarezza, l’ambiente familiare è spesso
carico di conflitti emotivi, il legame genitori-figli è molto stretto e a volte genera
dipendenza. Il giovane che sente emergere il bisogno di esprimere la propria sessualità si
trova ad affrontare scelte e a prendere posizione rispetto a norme, prescrizioni, precetti
morali e religiosi a volte tra loro discordanti.
A causa di queste diversità, le tempeste emotive e i conflitti negli adolescenti sono
molto più frequenti nei paesi occidentali rispetto a quanto avviene nelle culture preindustriali.
Successive ricerche, in particolare nell’ambito della scuola antropologica denominata
“cultura e società”, condotti in diversi contesti culturali, hanno confermato la stretta
dipendenza tra la cultura di appartenenza e i contenuti, le modalità di manifestarsi, la
durata dell’adolescenza.
Anche gli studi condotti in ambito sociologico hanno portato ad analoghe conclusioni.
Hollingshead (1949), in seguito ad una ricerca condotta nella cittadina di Elmtown, nel
Midwest, definisce il comportamento adolescenziale come un comportamento di
66
Margaret Mead (1901, 1978), etnologa statunitense, è stata una delle più importanti figure nel campo
dell’antropologia.
67
L’osservazione partecipante è una tecnica di ricerca etnografica incentrata sulla prolungata permanenza e
partecipazione alle attività del gruppo sociale studiato da parte del ricercatore. Per un approfondimento cfr.
Semi Giovanni, 2010.
Pag. 71 di 195
transizione dipendente dalla società, in particolare dalla posizione che gli individui
occupano nella posizione sociale.
Antropologi e sociologi concordano però anche nel ritenere che le caratteristiche della
cultura e della società occidentale rendono l’adolescenza un’età difficile, problematica, in
cui si manifestano comportamenti trasgressivi e a volte dissociali68.
Nell’ottica psicanalitica, antropologica e sociologica l’adolescenza appare dunque,
almeno nella cultura occidentale, come un periodo dello sviluppo umano caratterizzato da
problemi e tensioni.
Questi orientamenti di fondo, uniti all’influenza sull’opinione pubblica dei mass media, che tendono a
sovrastimare la diffusione di comportamenti dissociali adolescenziali quali il vandalismo, l’assunzione
di droga, la micro-delinquenza, contribuiscono a rafforzare una rappresentazione dell’adolescenza
come età piena di tempeste e passioni, per certi versi romantica, per altri portatrice di minaccia
all’ordine sociale. (Montuschi, Palmonari, 2006, pag.26)
Una serie di ricerche, portate avanti a partire dagli anni sessanta in ambito
psicologico, hanno però messo in discussione questa immagine di adolescenza e gli
stereotipi ad essa collegati.69 Si è cominciato a centrare l’attenzione sui diversi ambiti e
situazioni concrete in cui gli adolescenti si sperimentano.
In linea con questa esigenza, l’adolescenza può essere vista come un periodo in cui il soggetto, in
rapporto con la propria storia personale, con l’appartenenza a specifici gruppi familiari e sociali, con
l’inserimento in un dato contesto economico e culturale, elabora delle modalità di risposta ai problemi
che gli si pongono di fronte. Tali problemi sono generalmente connessi:
- alle trasformazioni fisiche e pulsionali che caratterizzano il secondo decennio di vita;
- al modo diverso in cui, a causa di tali mutamenti, il soggetto si sente percepito e trattato dagli altri,
assumendo un nuovo modo di considerare se stesso e nuovi criteri di condotta;
- all’allargamento degli interessi cognitivi che si connettono con l’esigenza di ogni soggetto di
affermare la propria diversità nei confronti della famiglia e dell’ambiente di socializzazione in cui è
cresciuto. Da ciò deriva l’interesse ad esplorare l’ambiente circostante contrassegnato da molteplici
novità.
(Montuschi, Palmonari, 2006, pagg 27-28)
Coleman (1974) propone il “modello focale” dell’adolescenza, che evidenzia la
possibilità di uno sviluppo adolescenziale senza crisi drammatiche. Egli afferma che
l’adolescente si trova a fronteggiare, nel suo cammino verso il divenire adulto, numerosi
problemi e che non potrebbe certo farvi fronte se dovesse affrontarli e risolverli tutti
insieme. Oltre ad una serie di problemi “normali”, esperienza comune di tutti i ragazzi (ad
68
Il termine “dissociale” in psicologia sociale indica un individuo incapace di adattarsi ad un ambiente
(www.treccani.it)
69
Per un approfondimento, cfr. Coleman John C., Hendry Leo, 1990.
Pag. 72 di 195
esempio le preoccupazioni per il proprio cambiamento fisico), alcuni si trovano impegnati
anche in ulteriori difficoltà legate a situazioni particolari, come potrebbe essere la morte di
uno dei genitori. Gli adolescenti possono affrontare in modo produttivo e senza tensioni
drammatiche questi problemi, anche quelli più gravi, purché possano affrontarli uno o
pochi per volta, avendo la possibilità di recuperare la propria forza psicologica tra uno e
l’altro. Se invece i problemi si presentano tutti insieme, mescolati tra loro, il ragazzo
potrebbe non avere abbastanza forze per farvi fronte e non riuscire più ad uscire dalla
situazione di disagio in cui si viene a trovare.
Coleman, in pratica, mette in evidenza che, nel corso dell’adolescenza esistono vari periodi in cui il
soggetto è posto di fronte a diverse alternative e deve scegliere assumendo un impegno preciso.
(Palmonari, 1993, pag. 57)
L’adolescenza non è più considerata come un unico processo di crisi che può avere
esito positivo (formazione dell’identità) o negativo, ma come un percorso, un susseguirsi di
crisi e conflitti, necessari per la formazione delle diverse componenti dell’identità. Questo
porta la necessità di introdurre la nozione di compiti di sviluppo, mutuata dalla psicologia
dello sviluppo, e la nozione di far fronte ai compiti di sviluppo, mutuata dalla psicologia
della personalità.
Secondo Havighurst (1953), che per primo ha usato il concetto di compiti di sviluppo,
la vita di ogni essere umano è costituita da una successione di compiti che devono essere
affrontati e risolti al momento opportuno, altrimenti lo sviluppo dell’individuo ne risulta
compromesso.
I compiti variano in rapporto all’età del soggetto e possono essere ricorrenti (ossia che
si manifestano per un lungo periodo o per tutta la vita) o non ricorrenti (specifici di un’età,
come per esempio imparare a camminare), universali o specifici, biologicamente
determinati o legati alla cultura di appartenenza. Differenze si riscontrano anche tra classi
sociali o gruppi diversi.
Relativamente all’adolescenza, Havighurst individua dieci compiti di sviluppo, aventi
la ricerca dell’indipendenza come elemento costante. Alcuni di questi compiti si
manifestano specificamente durante l’adolescenza, altri sono presenti nell’adolescenza ma
devono essere affrontati già nel periodo precedente.
I compiti di sviluppo descritti dall’autore risentono del periodo storico in cui sono stati
formulati e “di una sorta di pregiudizio positivo dell’autore nei confronti della propria
Pag. 73 di 195
classe sociale di appartenenza: quelli indicati sono […] compiti di sviluppo tipici degli
adolescenti bianchi di classe media americana anni ’50.” (Palmonari, 1993, pag. 60).
Compilare una unica lista di tutti i compiti di sviluppo di un adolescente è impossibile,
soprattutto in una società complessa e pluralista come la nostra, proprio perché essi variano
in base al contesto ed alle situazioni di vita. La nozione di compiti di sviluppo è tuttavia
utile per indicare i diversi e molteplici problemi che un adolescente deve affrontare per
costruire la propria identità e conquistare la propria autonomia. Vediamone alcuni.
Abbiamo già sottolineato come l’adolescente si trovi a transitare in una sorta di “terra
di mezzo”: sa di non essere più bambino e non ancora adulto, che ci sono alcune cose che
non può più fare e altre che non può ancora fare, sa che gli altri (in particolare gli adulti per
lui significativi) nutrono delle aspettative nei suoi confronti e vorrebbe essere in grado di
soddisfarle. Spesso però non sa come fare.
Da questa esperienza di nuove possibilità e di incertezza possono derivare comportamenti pieni di ansia
così come di spavalderia, caratterizzati dalla paura di sbagliare o dalla ostentata e rigida sicurezza di sé.
Quanto questi fenomeni comportamentali siano interdipendenti appare chiaro se vengono riferiti alla
loro comune origine. Variazioni di classe sociale e di cultura possono accentuare, a loro volta, la
tendenza del soggetto ad elaborare, in una direzione o nell’altra, le esperienze di incertezza proprie
della condizione che sta vivendo.
Sono perciò comprensibili, in rapporto a ciò, le difficoltà che ragazze e ragazzi incontrano in ogni
transizione da un contesto ad un altro […]. Tali difficoltà saranno ancora più rilevanti qualora ragazzi e
ragazze debbano inserirsi in un contesto in cui si parla una lingua diversa da quella natia e in cui i
significati degli stili di vita e delle norme di comportamento non sono immediatamente comprensibili
nemmeno agli adulti più prossimi come i familiari. (Montusci, Palmonari, 2006, pag.42)
Uno dei compiti di sviluppo più importanti per l’adolescente è dunque quello di
imparare ad orientarsi nell’ambiente socio-psicologico in cui è inserito e per farlo deve
interessarsi ad esso, esplorare attivamente il mondo intorno a sé, saper vedere e cogliere le
opportunità che offre. Gli adulti che lo accompagnano devono consentirgli questa libera
esplorazione, offrendo il proprio supporto ma senza soffocarlo con una eccessiva pretesa di
controllo.
Far fronte alle trasformazioni fisiche e alla comparsa delle pulsioni sessuali è un altro
compito di sviluppo che impegna tutti gli adolescenti, anche se, anche in questo caso, il
significato che la società e la cultura di appartenenza attribuiscono a tali cambiamenti ha
una forte influenza sui problemi che essi possono comportare.
Speltini70 (1993) sottolinea che bisogna distinguere tra pubertà, che è il “passaggio
dalla condizione fisiologica del bambino alla condizione fisiologica dell’adulto”, e
70
Speltini Giuseppina, Dall’infanzia all’adolescenza: pubertà e sviluppo fisico in Palmonari A., 1993.
Pag. 74 di 195
adolescenza, che è il “passaggio dallo status sociale del bambino a quello dall’adulto”. Il
corpo umano cambia continuamente, dalla nascita alla morte. Mentre però il bambino
piccolo non è in grado di crearsi una rappresentazione mentale di tali mutamenti,
l’adolescente è consapevole dei cambiamenti che rapidamente e profondamente lo
trasformano. Egli deve trovare un senso di continuità e di stabilità di sé pur nel variare del
proprio aspetto fisico. L’immagine corporea, relativamente alla percezione della propria
piacevolezza fisica, può influenzare positivamente o negativamente la stima di sé del
soggetto, così come può fare anche l’efficacia fisica, ossia il sentimento di poter incidere
attraverso le proprie abilità e competenze fisiche sull’ambiente circostante (Thornton,
Ryckman, 1991).
Riguardo alla sessualità, si assiste oggi, nella società occidentale, ad una sempre più
anticipata maturazione del sistema riproduttivo71, che si accompagna ad un sempre più
ritardato riconoscimento della piena maturità sociale degli individui. L’adolescente si trova
a dover ristrutturare la propria identità corporea72 e contemporaneamente a integrare la
sessualità nell’immagine di sé, nella ricerca di un ruolo sessuale definito. Egli deve
stabilire relazioni nuove e più mature con i coetanei di entrambi i sessi.
Uno dei compiti di sviluppo più importanti per l’adolescente è quello di trovare la
propria autonomia dalla famiglia di origine e costruire la propria indipendenza: questo è
necessario per l’acquisizione di un’identità positiva e stabile di adulto. Non si tratta,
ovviamente, di rompere i rapporti con i familiari, ma di trasformarli, rendendoli più paritari
e reciproci; così come essere indipendenti non significa fare tutto quello che si vuole, ma
assumersi la responsabilità di ciò che si fa, saper fare delle scelte, costruire nuove
relazioni. Lutte (1987) sottolinea che l’autonomia da raggiungere non è solo esterna, ma
anche interna: occorre imparare a scegliere senza costruirsi sensi di colpa, a giudicarsi in
base a criteri propri e non in base a quelli attribuiti ai propri genitori.
Contemporaneamente a questo processo di emancipazione e differenziazione dalle
figure adulte, l’adolescente sente un sempre maggiore bisogno di rapportarsi con i propri
coetanei, che diventano l’oggetto più prossimo di identificazione. A partire dagli studi di
71
Con tendenza secolare si intende un processo grazie al quale l’età della pubertà dei nostri adolescenti si è
notevolmente abbassata nell’ultimo secolo, in maniera progressiva in tutti quei paesi che hanno conosciuto
un periodo di sviluppo positivo, soprattutto economico; questo può trovare una spiegazione plausibile se si
pensa alle conseguenze che spesso un migliore tenore di vita porta con sé, come una migliore e più ricca
alimentazione, una migliore igiene etc. (Palmonari A., dal sito www.psicopedagogika.it)
72
Per identità corporea si intende “l’insieme di caratteristiche, elementi, conoscenze, qualità che l’individuo
attribuisce al proprio corpo e che hanno una connotazione affettiva.” (Spelini G., 1993, cit.)
Pag. 75 di 195
Sherif (1964), numerose altre ricerche hanno confermato l’influenza del gruppo di coetanei
sulla formazione del concetto di sé in età adolescenziale.
Nel gruppo, attraverso il rapporto ed il confronto con i coetanei, l’adolescente trova un
luogo di identificazione, un punto di riferimento affettivo e cognitivo, un sostegno
strumentale ed emotivo. Qui può sperimentare relazioni con l’altro sesso, esplorare nuovi
spazi, valutare il proprio comportamento in modo autonomo. Insieme agli altri componenti
del gruppo può cercare e costruire nuovi modelli e valori generazionali73.
Di solito si tratta di gruppi informali 74, che si riuniscono abitualmente una o più volte
alla settimana, per parlare e confrontarsi su vari argomenti.
In che rapporto si trovano gruppo dei pari e famiglia? Sono gruppi in competizione o collaborativi? Da
numerose ricerche sembra emergere che il sentimento di integrazione nella famiglia è presente
nell’adolescente, ed è sempre più forte del sentimento di integrazione nel gruppo di pari, anche se
diminuisce progressivamente in funzione dell’età a favore di un maggiore sentimento di individuazione.
Inoltre gli adolescenti considerano i loro pari e i loro genitori delle guide ugualmente competenti, ma in
campi differenti: ai genitori ci si rivolge in modo particolare per problemi morali e materiali, progetti e
scelte future; al gruppo di amici per problemi sentimentali e per discutere su aspetti valoriali. (Malagodi
Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002, pagg. 116-117)
Inserirsi positivamente nel gruppo di coetanei è dunque uno dei compiti di sviluppo
dell’adolescente.
Costruire un’identità sociale e professionale, comprendere il valore dell’esperienza
scolastica e l’importanza di porre, grazie ad essa, basi solide per il proprio futuro, sono
ulteriori compiti di sviluppo.
Ogni adolescente dunque deve affrontare una serie di compiti e può farlo contando
sulle risorse proprie e dell’ambiente, in base alla situazione e al contesto in cui è inserito.
Alcuni faranno più fatica in alcuni ambiti, altri in altri. Gli adulti possono essere di
sostegno e di aiuto, ma è necessario che sappiano valutare la vera natura del problema,
distinguendo tra (Maggiolini, 1997):
- difficoltà strettamente collegate ai compiti di sviluppo, che sono ostacoli da
affrontare e non costituiscono un reale sintomo di disagio psicologico;
- difficoltà che sorgono nell’affrontare tali compiti e che sono segnali di un disagio più
profondo o di disadattamento;
73
Per un approfondimento, cfr. Freddi Cesare, 2005, La funzione del gruppo in adolescenza. Il gruppo di
pari, terapeutico e di classe. I seminari di Area G, Milano, FrancoAngeli
74
“Il termine gruppi informali riguarda le aggregazioni di adolescenti formatesi in modo spontaneo o naturale
che non perseguono attività specifiche; la coesione del gruppo si fonda sull’intensità della relazione e della
comunicazione fra i vari membri e sulla condivisione del tempo libero, del divertimento, dell’impegno nei
confronti della realtà.” (Palmonari, 1993, pag. 228)
Pag. 76 di 195
- disturbi più gravi, sintomo di una vera e propria psicopatologia.
Fu Lazarus (1966, 1974) il primo a introdurre il concetto di “far fronte” e a iniziare gli
studi sulle modalità con cui le persone fanno fronte (are coping with) alle emozioni e allo
stress. Egli parte dalla visione dell’uomo come essere pensante, in grado di valutare le
situazioni, le risorse a disposizione e di decidere come farvi fronte, risolvendo,
padroneggiando o tollerando i problemi incombenti.
Il processo di coping consiste in una attività cognitiva che procede ad una doppia valutazione della
situazione: nella prima di tali valutazioni la persona apprezza quanto siano rilevanti il rischio e la
minaccia da affrontare, da dove derivino e quanto siano imminenti; nella seconda valutazione la
persona apprezza che cosa può eventualmente fare per superare il pericolo e per migliorare le
probabilità di ottenere un vantaggio. (Palmonari, 1993, pag. 62)
Lazarus distingue tra due diverse modalità di coping: centrate sul problema (ad
esempio, modificare la situazione) e centrate sull’emozione (ad esempio, prendere le
distanze dalla situazione). Per il coping possono essere attivate risorse di tipo materiale e
sociale o di tipo personale.
Diverse ricerche sono state condotte per valutare in che modo gli adolescenti fanno
fronte ai compiti di sviluppo. Tra queste ricordiamo quella di Seiffge-Krenke (1984), che
ha costruito una lista di venti strategie di coping e l’ha verificata in otto ambiti
problematici indicati dai ragazzi stessi (scuola, insegnanti, genitori, coetanei in genere,
coetanei di sesso diverso, tempo per il divertimento, il futuro, sé stessi). La ricerca ha
permesso di ricondurre le venti strategie iniziali a tre maggiori dimensioni: svolgere attività
positive (ad esempio, cercare informazioni, chiedere consiglio, leggere testi pertinenti);
sforzarsi per cercare una soluzione personale al problema; attivare difese (ad esempio,
negare la situazione o fuggire). Quest’ultima dimensione è disfunzionale per lo sviluppo ed
il benessere della persona.
2.1.4 Stili di attaccamento e sviluppo del concetto di sé in
adolescenza
Essere stati amati tanto profondamente ci
protegge per sempre, anche quando la persona
che ci ha amato non c’è più.
Rowling, 2002, pag. 284
Pag. 77 di 195
Negli anni trenta/quaranta del secolo scorso, in ambito psicoanalitico furono compiuti
numerosi studi sullo sviluppo della personalità del bambino e sulle conseguenze
dell’assenza della figura materna.
I risultati di queste ricerche e gli studi compiuti in ambito etologico da Lorenz
influenzarono il lavoro di John Bowlby75, psicoanalista britannico che elaborò la teoria
dell’attaccamento, che rappresenta oggi uno dei principali framework di riferimento nello
studio della dimensione relazionale dello sviluppo del Sé.
Gli sviluppi più recenti della teoria dell’attaccamento, a partire dalla cosiddetta “svolta
rappresentazionale”(Main, Kaplan, Cassidy, 1985), hanno esplorato le configurazioni e i significati che
i legami d’attaccamento assumono dall’infanzia all’età adulta, evidenziandone l’importanza nello
sviluppo del Sé. (Arace, 2006, pag. 11)
Secondo la teoria dell’attaccamento76, le modalità di accudimento del bambino, la
qualità del rapporto che si stabilisce tra il piccolo e chi si prende cura di lui (in genere la
madre) costituiscono una determinante fondamentale per uno sviluppo sano ed equilibrato.
Il bisogno di protezione, impellente per la sopravvivenza del neonato, si manifesta
come bisogno di vicinanza e conforto. La necessità di avere una base sicura da cui partire
per esplorare il mondo e a cui tornare quando se ne sente il bisogno è fondamentale non
solo per il bambino, ma è presente per tutta la vita. Tuttavia è nei primissimi anni che si
pongono le basi per la costruzione di un attaccamento sicuro.
In base alle modalità con cui la madre risponde ai richiami del bambino, egli
gradualmente si costruirà un “modello operativo interno”, ossia una rappresentazione
mentale della figura di attaccamento, del proprio sé e della relazione. Questo modello
influenzerà lo sviluppo del bambino, in quanto è determinante della qualità dell’immagine
di sé che il bambino interiorizza (e di conseguenza dell’autostima, della sicurezza e fiducia
75
John Bowlby nacque a Londra nel 1907 e morì nel 1990. Fu un importante psicoanalista britannico. Egli
integrò il modello psicoanalitico classico con osservazioni comportamentali del mondo animale di stampo
etologico, in particolare riguardo le interazioni madre-cucciolo e madre-bambino. Pose al centro del
comportamento e della psiche umana il sistema d’attaccamento, come principale sistema motivazionale.
76
Per un approfondimento sulla teoria dell’attaccamento, cfr. Ainsworth, Mary, 1967, Infancy in Uganda:
infant care and the growth of love, Baltimore, Johns Hopkins University Press; Bowlby, John, 1983,
Attaccamento e perdita. 1: L'attaccamento alla madre, Torino, Boringhieri (ed. or. 1969); Bowlby, John,
1983, Attaccamento e perdita. 2: La separazione dalla madre, Torino, Boringhieri (ed. or. 1973); Bowlby,
John, 1983, Attaccamento e perdita. 3: La perdita della madre, Torino, Boringhieri (ed. or. 1980); Bowlby,
John, Una base sicura,1989, Milano, Cortina (ed. or. 1988); Crittenden, Patricia M., Nuove prospettive
sull’attaccamento, 1994, Milano, Guerrini; Holmes, Jeremy , La teoria dell'attaccamento: John Bowlby e la
sua scuola, 1994, Milano, R. Cortina; Cassidy Jude, Shaver Philip R. (a cura di), Manuale dell’attaccamento.
Teoria, ricerca e applicazioni cliniche, 2002, Roma, Fioriti; Arace, Angelica, Attaccamenti, separazioni,
perdite, 2006, Milano, Unicopli.
Pag. 78 di 195
in sé stesso), dell’immagine degli altri (possibilità di avere fiducia negli altri, capacità di
chiedere aiuto) e della possibilità di costruire relazioni positive e solide.
I modelli operativi interni determinano il modo in cui il soggetto, divenuto adulto,
interagisce con la realtà, sono una sorta di lenti attraverso cui osserva il mondo e le persone
che lo circondano. Nel momento in cui si trova a costruire una relazione importante, come
quella col partner o con i propri figli, ogni persona si pone in modo diverso a seconda della
fiducia che ha sviluppato nei confronti di sé stesso, degli altri, della possibilità di costruire
relazioni positive e sincere.
Il modello di attaccamento che garantisce maggiori possibilità di uno sviluppo sano e
corretto (l’attaccamento non è però l’unica variabile che influisce sulle modalità di
crescita) è l’attaccamento sicuro. Quando la madre è sufficientemente vicina al bambino, si
mostra attenta e sensibile ai suoi bisogni, ha un comportamento responsivo, il piccolo
acquista fiducia in sé stesso e negli altri. Potrà tranquillamente esprimere i propri stati
d’animo, sicuro che sarà ascoltato e accolto. Per chi ha sviluppato uno stile di attaccamento
sicuro:
Nell’adolescenza è più facile fidarsi, aver voglia di incontrare gli altri, esprimere con spontaneità i
propri sentimenti. Andare incontro ai cambiamenti tipici dell’età credendo in sé, condividendo con i
coetanei leggerezza, riflessioni, sogni e timori, tenerezza e intimità. Non trovarsi “disarmati” davanti
alla tristezza e al dolore. Affrontare da soli o con la vicinanza di altri, ad esempio, la delusione o
sofferenza per la fine di un rapporto. […] Sia la complicità che l’autonomia, la libertà, restano tutelate.
C’è spazio per la differenza. (Verlato, 2011, pagg. 30-31)
I modelli di attaccamento insicuro (ambivalente o evitante) non precludono tuttavia
uno sviluppo “normale” del bambino, anche se ne comportano una maggiore fragilità.
L’attaccamento evitante è legato ad una modalità di accudimento rifiutante: la mamma
(o la persona che si prende cura del bambino) tende a evitare il contatto fisico, manifesta
insofferenza o indifferenza verso i bisogni e le richieste del figlio, è soddisfatta quando il
bambino è tranquillo e “si aggiusta da solo”. I bambini evitanti appaiono eccessivamente
autonomi, ma in realtà sono rassegnati: sanno che è inutile chiedere aiuto, pensano che
esprimere le emozioni possa portare ad una rottura del legame, ad essere rifiutati.
Nell’adolescenza il desiderio di vicinanza e di amore si trova a lottare con la paura: paura
di deludere, di non essere degni d’amore, dell’invasione, di perdere la libertà, paura delle
emozioni (Verlato, 2011).
Pag. 79 di 195
L’attaccamento ambivalente deriva da un atteggiamento imprevedibile della madre,
che risponde in modo diverso alle richieste del bambino a seconda del proprio diverso stato
d’animo: a volte ne ignora i segnali di richiesta di vicinanza, altre volte interviene senza
bisogno, togliendo spazio alla sua spontaneità. Di conseguenza il bambino manterrà
costantemente attivo il sistema di attaccamento, cercando continuamente l’attenzione della
madre, sapendo che prima o poi riceverà la risposta che aspetta. Quando i genitori sono
troppo soffocanti, iperprotettivi, temono il distacco e l’autonomia del figlio, egli impara a
sentirsi amato solo quando risponde alle aspettative altrui ed evita tutto ciò che il genitore
non approva o rifiuta. Durante l’adolescenza, il ragazzo continua a svalutare ciò che sente
dentro di sé, tende a prendere come modello il modo di pensare degli altri, di cui è in grado
di comprendere i bisogni che cerca di soddisfare. “Tende a dare più importanza al giudizio
degli altri, ad adattarsi alle loro aspettative; la misura del suo valore è data dall’interesse
che le mostrano, da una rubrica del cellulare piena di indirizzi, dal ricevere molti
messaggi.” (Verlato, 2011, pag. 38)
Più grave è la situazione dei bambini che, in seguito ad una modalità di accudimento
che può definirsi traumatica (maltrattamento, abuso, trascuratezza, psicopatologie del
genitore),
sviluppano
un
attaccamento
atipico
di
tipo
disorganizzato
o
ambivalente/evitante.
L’attaccamento atipico porta gravi conseguenze quali: deficit nella regolazione
emotiva, nella capacità riflessiva e di mentalizzazione, maggiore vulnerabilità psicoaffettiva, bassa autostima, comportamento antisociale ed aggressivo. Se crescendo il
bambino non ha la possibilità di sperimentare relazioni positive, di acquisire maggiore
fiducia in sé e negli altri, sono alte le probabilità che da adolescente o da adulto manifesti
disturbi di personalità (borderline) e patologie dissociative.
C’è però una situazione ancora più pericolosa per lo sviluppo: quando il bambino non
ha la possibilità di costruire un legame di attaccamento, perché abbandonato a sé stesso per
la maggior parte del tempo o perché accudito da persone sempre diverse. In questo caso si
verifica l’assenza di attaccamento, un problema definito nel DSM77-IV come “disturbo
reattivo dell’attaccamento”, che può portare all’incapacità di instaurare relazioni
significative, o ad una eccessiva e indiscriminata socievolezza verso adulti estranei.
77
Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali), noto con l’acronimo DSM, è uno dei sistemi nosografici più utilizzato da medici, psichiatri e
psicologi di tutto il mondo, sia nella clinica che nella ricerca.
Pag. 80 di 195
I legami di attaccamento costruiti durante l’infanzia e la fanciullezza tendono a
permanere negli anni successivi, specialmente se l’ambiente educativo rimane stabile
(Bowlby, 1998), anche se possono subire trasformazioni e reintegrazioni. Una
modificazione importante nel funzionamento può verificarsi con l’emergere della pubertà
(Ainsworth, 1991), che dà l’avvio alla maturità fisica e sessuale.
Sebbene la necessità di affermare il proprio bisogno di autonomia e individualità porti
l’adolescente a manifestare comportamenti di fuga attiva e intenzionale dalle relazioni di
attaccamento con le figure genitoriali (Allen, Land, 1999), anche per l’adolescente un
attaccamento sicuro verso il padre e la madre è importante per affrontare i propri compiti
di sviluppo (Rice, 1990). Egli, mentre da un lato ristruttura i propri modelli operativi
interni, dall’altro avvia il proprio processo di cambiamento partendo dai presupposti creati
dalle relazioni significative della sua infanzia.
Un’altra caratteristica distintiva del sistema di attaccamento in adolescenza è il fatto che proprio a
partire da questo momento transizionale dello sviluppo, grazie al sorgere del pensiero formale e di una
più chiara percezione della differenziazione fra sé e l’altro, si assiste allo strutturarsi di un singolo
«modello di attaccamento». Esso integra e sintetizza le più diverse esperienze relazionali passate e
funge da intelaiatura per i legami successivi […].
Un altro aspetto fondamentale è che durante l’adolescenza il rapporto con i pari viene ad assumere le
caratteristiche di una relazione di attaccamento […]. Esso soddisfa infatti quel bisogno di intimità e di
sostegno che l’adolescente tende a non manifestare più con le figure genitoriali. 78
Secondo Armstden e Greenberg (1987) la qualità dell’attaccamento degli adolescenti
verso le figure genitoriali può essere valutata in base alla fiducia riposta in tali figure, alla
qualità e quantità dello scambio comunicativo e al sentimento di isolamento e disaffezione
(alienazione), secondo il seguente schema:
- livelli medi o alti di fiducia e comunicazione e livello medio o basso di disaffezione:
attaccamento sicuro
- livelli medi o bassi di fiducia e comunicazione e livello alto di disaffezione:
attaccamento insicuro
- livello medio o basso di fiducia e livelli medi o alti di comunicazione e disaffezione:
attaccamento insicuro ambivalente
Vari studi79 hanno dimostrato che in adolescenza l’attaccamento alle figure genitoriali
diminuisce, pur mantenendosi su livelli alti.
78
Arace A., 2001, pag. 72
Cfr. Buist, Deković, Meeus, van Aken, 2002; San Martini, Zavattini, Ronconi, 2009; Fermani, Crocetti,
Pojaghi, Meeus, 2010
79
Pag. 81 di 195
Un attaccamento sicuro ai genitori sembra essere, in adolescenza, correlato
positivamente ad un più alto livello di autostima, maggiore benessere psicologico e sociale,
migliori strategie di coping, adeguate competenze sociali e scolastiche (Crocetti, Rubini,
Palmonari, 2008; Laible, Carlo, Raffaelli, 2000; Noom, Deković, Meeus, 1999; Vivona,
2000). Anche il processo di costruzione dell’identità personale sembra essere agevolato da
un attaccamento sicuro (Arseth, Kroger, Martinussen, Marcia, 2009).
Una recente ricerca (Fermani, Crocetti, Pojaghi, Meeus, 2010), ha mostrato come la
chiarezza del concetto di sé80 degli adolescenti è associato positivamente alla percezione di
fiducia riposta nel padre e nella madre e negativamente alla percezione di disaffezione nei
confronti di entrambi i genitori. Inoltre durante l’adolescenza il concetto di sé tende a farsi
più chiaro per i maschi e più incerto per le femmine, che si mostrano più attivamente
impegnate nella ricerca della propria identità, più riflessive e più disposte a mettersi in
discussione. “L’esplorazione, la riflessione e l’approfondimento possono, dunque, produrre
condizioni di disagio, incertezza e confusione nel raggiungimento della chiarezza del
concetto di sé”.
Inoltre, mentre per i ragazzi delle scuole secondarie di primo grado il rapporto con il
padre e con la madre sembrano avere la stessa importanza per la chiarezza del concetto di
sé, durante le scuole superiori per le ragazze diventa rilevante solo il rapporto con la madre
e per i ragazzi solo quello col padre. Questo, secondo gli autori, può essere legato al fatto
che, mentre “durante la prima adolescenza i ragazzi e le ragazze possono vedere in
entrambi i genitori modelli a cui rifarsi per la definizione della propria individualità”,
successivamente, “durante la media e tarda adolescenza, la necessità di definire il proprio
concetto di sé assumendo ruoli rilevanti in vari ambiti, tra cui spiccano le scelte legate al
proprio ruolo di genere e al modo appropriato di vivere la sessualità […], possono spingere
gli adolescenti a ricercare maggiore sostegno nel genitore dello stesso sesso, in modo da
potersi confrontare con lui/lei.”
I modelli operativi interni riguardano non solo il sé, ma anche l’altro e la qualità della
relazione. Basandosi su schemi ripetuti di esperienze interattive, il bambino costruisce una
quantità di modelli di sé stesso e dell’oggetto relazionale che influenzano il suo
comportamento, le sue aspettative nei confronti degli altri e la qualità delle sue interazioni.
80
Gli autori della ricerca, mutuando il concetto da Campbell (1990), definiscono la chiarezza del concetto di
sé come ciò che “indica la misura in cui le percezioni che un individuo ha di sé stesso sono chiaramente
definite e temporalmente stabili.”
Pag. 82 di 195
La ricerca condotta da Arace (2001) mostra come lo stile di attaccamento
dell’adolescente ne influenza la rappresentazione di sé sia nella dimensione dell’identità
personale che in quella dell’identità relazionale. “Un adolescente che ha sperimentato un
attaccamento sicuro tende a percepire le relazioni interpersonali come fonte di sostegno per
il Sé, manifestando un buon livello di reciprocità nel rapporto. Un attaccamento insicuro
tende invece a favorire lo sviluppo di un modello di sé come non degno di cure e di
attenzioni, e un modello degli altri come inaffidabili […].”
Le ricerche fin qui citate sembrano dunque dimostrare che il tipo di legame di
attaccamento sviluppato nell’infanzia influisce sullo sviluppo individuale dell’identità e
della capacità relazionale in adolescenza.
2.2 Il progetto di sé: costruzione del sé come narrazione di sé
Un giorno, nella notte dei tempi, un narratore iniziò a raccontare una
storia. Da quel giorno nacquero i ricordi e, come per incanto,
comparvero eroi, dei, donne e uomini da imitare. Le storie si diffusero
per tutto il mondo e, oltre a narrarlo, contribuirono a formarlo.
(Batini, Del Sarto, 2005, pag. 35)
Identità è un concetto che più passa il tempo e più mi disturba perchè
identità con che cosa? Oppure identità con chi? E nel caso dell’identità
con sé stessi mi verrebbe da dire identità con sé stessi chi? E anzi mi
sembra bello del mettersi a scrivere che uno trova sempre qualcos’altro.
Trovare qualcos’altro mi sembra bello, perché uno esce dalla sua noia.
(Cornia Ugo, Epistolario elettronico minimo su identità e narrazione, in
Batini, Zaccaria, 2002, pag. 138)
Nel capitolo precedente, parlando di orientamento narrativo, si è già accennato
all’importante ruolo che la narrazione svolge nei processi di organizzazione,
interpretazione e comprensione della realtà e nella costruzione dell’identità personale.
Riconoscere che l’individuo utilizza un insieme di narrazioni per dare senso alla sua
esistenza nel mondo, significa riconoscere che la mente umana funziona, appunto,
attraverso le narrazioni.
Nell’ambito della social cognition, l’individuo che attraverso l’osservazione della
realtà, raccogliendo e interpretando informazioni dall’ambiente, cerca di comprendere il
mondo circostante e sé stesso e di individuare le strategie di comportamento più efficaci, è
stato nel tempo descritto in modi diversi. In un primo tempo (anni cinquanta-sessanta del
secolo scorso) è stato definito “ricercatore di coerenza”, ossia come un soggetto interessato
a mantenere uno stato di coerenza tra atteggiamento, credenze e sentimenti (Festinger,
Pag. 83 di 195
1957; Heider, 1958). Lo stato di incoerenza è la motivazione che lo spinge a cercare di
ritrovare lo stato di coerenza, modificando il proprio comportamento oppure attraverso una
ristrutturazione cognitiva.
Successivamente è stata introdotta le definizione di “scienziato ingenuo”: l’individuo,
dotato di capacità logico-razionali e motivato a spiegare le cause degli eventi per poterli
prevedere e sapere come agire, raccoglie i dati necessari alla conoscenza di un certo
oggetto e giunge a conclusioni logiche (Kelley, 1967).
Nella visione dell’uomo come “economizzatore di risorse cognitive” (Taylor, 1982) il
soggetto è descritto come impegnato a risparmiare tempo ed energie grazie all’uso di
“scorciatoie di pensiero” (euristiche), che però portano a distorsioni ed errori nel
ragionamento e nel giudizio.
Dagli anni ottanta si è diffuso il modello dell’individuo come “tattico motivato”
(Fiske, Taylor, 1991). Egli possiede diverse strategie cognitive a cui fa ricorso in base agli
scopi ed ai bisogni che si presentano in una determinata situazione: può pensare ed agire
rapidamente oppure decidere di ragionare con calma, ponendo attenzione alle informazioni
raccolte nella realtà. La motivazione assume un ruolo fondamentale ed è la base
dell’attività di conoscenza.
Parallelamente Bruner (1990) pone nuovamente in risalto l’importanza della “ricerca
di significato” come scopo principale della psicologia umana. Egli sostiene che occorre
analizzare come l’individuo, impegnato in tale ricerca, interpreta la realtà, gli altri e sé
stesso. Infatti, secondo Bruner (1986, 1990), sia il mondo che il sé sono frutto di una
costruzione intersoggettiva, sono prodotti dell’azione e della simbolizzazione umana. Gli
individui vivono in un contesto e condividono esperienze e realtà con altri individui, con i
quali partecipano a scambi di significati. La psicologia culturale 81, di cui Bruner è il
fondatore, assume come punto di partenza il concetto di cultura: è infatti proprio la cultura
che da significato all’azione, fornendo un sistema interpretativo alla luce del quale
comprendere gli stati intenzionali propri e altrui. Tale sistema può essere meglio
identificato in quella che Bruner definisce “psicologia popolare” (folk psychology) o più
semplicemente “senso comune”. Le persone ritengono il mondo organizzato secondo certe
modalità, giudicano coerenti le proprie idee, hanno credenze e desideri sulle base delle
81
Per un approfondimento sulla psicologia culturale, cfr. Inghilleri Paolo, 2009, Psicologia culturale,
Milano, Raffaello Cortina editore; Groppo Mario, Ornaghi Veronica, Grazzani Ilaria, Carruba Letizia, 1999,
La psicologia culturale di Bruner: aspetti teorici ed empirici, Milano, Cortina; Cole Michael, 1996, Cultural
Psychology: a once e future discipline, Cambridge, Harvard University press (trad. it. 2004, Psicologia
culturale: una disciplina del passato e del futuro, Roma, Carlo Amore)
Pag. 84 di 195
quali agiscono con l’obiettivo di raggiungere determinati fini. Per sua natura la psicologia
popolare è organizzata su base narrativa piuttosto che logica o categoriale82.
Proprio per la naturale struttura narrativa della mente in letteratura è emerso il cosiddetto principio di
Don Chisciotte, riferendosi a quel processo attraverso il quale la lettura e l’ascolto di storie
contribuiscono a plasmare l’identità della persona, grazie a forti meccanismi identificatori. Così
emblematicamente successe a Alonzo Quesada che dopo aver letto molti libri sui cavalieri erranti si
immedesimò così tanto in loro da diventare Don Chisciotte della Mancia. (Farello, Bianchi, 2007, pag.
25)
Bruner (1990, 1996) ha sottolineato come il significato che il soggetto attribuisce ad
un evento influisce sul modo in cui tale evento viene memorizzato: tenendo traccia di
alcuni aspetti e non di altri, evidenziando alcune cause piuttosto che altre, strutturando così
il ricordo. Il mondo in cui viviamo è dunque costruito più dai significati attribuiti che dagli
eventi. Una stessa esperienza può essere interpretata, vissuta e ricordata in modo diverso
da persone diverse, che di conseguenza l’affronteranno in modo tra loro differente.
Poiché le narrazioni costituiscono la realtà vissuta dagli esseri umani, la
socializzazione delle narrazioni è un processo fondamentale di condivisione della realtà.
Narrare è dare un senso alle cose. In particolare, la narrazione autobiografica è il racconto
che una persona fa del proprio vissuto, richiamando alla memoria fatti, eventi, emozioni,
scegliendo di cosa parlare, stabilendo un ordine nell’esposizione, attribuendo significati.
Posto al centro della scena, protagonista assoluto del proprio narrare, il soggetto esamina
sé stesso, attribuisce significati alla propria esistenza e, in questo modo, porta avanti il
processo di autoformazione.
Lo stretto legame che esiste tra dimensione narrativa e costruzione del sé ha massima espressione
proprio nel resoconto autobiografico, prodotto dal pensiero narrativo, che rappresenta uno strumento
attraverso il quale attribuiamo un senso a noi stessi e alla nostra storia per presentarci e inserirci nei
canoni del sistema simbolico culturale a cui apparteniamo. (Carruba Letizia, in Castelli, 2002, pag. 210)
Molti autori descrivono la struttura narrativa del sé come costituita da un certo numero
di imago (Farello, Bianchi, 2007), che funzionerebbero in modo simile agli schemi del sé
(cfr. paragrafo 2.1.2), essendo però anche associate a vissuti ed esperienze emotive. “Il Sé,
dunque, viene considerato dotato di una struttura narrativa organizzata per schemi, ed è su
questa base che la persona conosce sé stessa.” (ibidem, pag. 26)
82
E’ già stata accennata nel precedete capitolo la distinzione che Bruner fa tra due diversi tipi di
funzionamento del pensiero: il pensiero logico-scientifico (o paradigmatico) ed il pensiero narrativo.
Pag. 85 di 195
Infatti, grazie a questi schemi narrativi il soggetto riconosce sé stesso e gli altri ed è in
grado di prevedere come si svolgeranno determinati eventi, elaborando soluzioni ai
possibili problemi che possono sorgere.
Il concetto di Sé narrativo comprende, secondo Smorti (1994) tre livelli di analisi: la
narrazione sul sé (i fatti e gli eventi rilevanti per una persona), la rappresentazione
narrativa sul sé (gli episodi importanti della vita di una persona sono organizzati in una
trama narrativa che li connette), gli schemi narrativi sul sé (tipo specifico di conoscenza
generale in base al quale le narrazioni sul sé possono essere create, archiviate, ricostruite).
Nel trasformare i propri ricordi in racconti, l’individuo deve trasformare il linguaggio
interiore, deve “linealizzarlo” (Smorti, 2007), trasporlo in fonemi e quindi in parole in
successione. Deve cioè tradurlo in un linguaggio esteriore, che deve seguire delle regole
culturali ed essere comprensibile per l’ascoltatore, adeguato al contesto in cui sarà esposto.
Nel racconto autobiografico, il contenuto della memoria, trasformato in storia, assume una
configurazione nuova, in cui un protagonista (l’individuo stesso) agisce o subisce su una
scena, segue uno scopo, utilizza mezzi e risorse. Non si tratta solo di una riorganizzazione
dei ricordi:
Quando la memoria autobiografica si trasforma in narrazione autobiografica questa nuova forma che il
ricordo assume non è come il vestito buono che mettiamo per uscire di casa. I nostri ricordi risultano
sostanzialmente trasformati. Infatti la narrazione autobiografica funziona come ristrutturazione dei
processi di memoria. Quando noi torneremo a ricordare, attraverso la memoria autobiografica, noi
ricorderemo qualcosa che è stato trasformato dalla narrazione autobiografica e la storia della nostra vita
starà dentro di noi pronta ad una nuova trasformazione per opera di un successivo racconto. (Smorti,
2007).
Bruner (1990) ha scritto che nell’autobiografia un narratore, presente qui e ora,
descrive il procedere di un protagonista là e allora, protagonista che porta il suo stesso
nome. Deve quindi legare passato e presente, congiungere narratore (nel presente) e
protagonista (nel passato), dimostrare che, pur essendo distinti, essi sono una persona sola.
Deve coniugare tra loro il sé narrante e il sé narrato e, per fare questo, l’autobiografia deve
contenere una qualche teoria narrativa sul cambiamento e sull'identità.
Infine, le ricerche condotte in diversi ambiti (Spence, 1982; Pennebaker, 1990), hanno
dimostrato come narrare i propri ricordi e le proprie esperienze produca una profonda
trasformazione del sé, del mondo interno, influenzando così i successivi processi di
pensiero, ricordo, immaginazione.
Pag. 86 di 195
La costruzione delle narrazioni avviene nel tempo, nell’interazione con l’ambiente
sociale, ed è alla base delle scelte, dei desideri, delle aspirazioni che emergono proprio
dall’interpretare gli eventi passati, presenti e futuri. Il soggetto immagina scenari futuri e
possibili percorsi per realizzare i propri progetti, da solo o collaborando con altri.
Ricerche su adolescenti hanno dimostrato che l’utilizzo di modalità narrative di pensiero facilita, in
ambito scolastico, un adattamento soddisfacente, in quanto il soggetto si colloca in un contesto di senso
che ha un inizio e una fine, le emozioni vengono canalizzate in una trama e per questo seguono un
ordine costruttivo.
La narrazione permette di giungere a un buon livello di completezza e di chiusura in senso psicologico,
favorendo una visione più definita dei compiti da portare a termine.
Pensare in modo narrativo sembra favorire la capacità di collaborazione con gli altri per realizzare i
propri progetti. (Farello, Bianchi, 2007, pag. 27)
Aiutare un soggetto a crescere, a prendere consapevolezza di sé, delle proprie capacità
e possibilità, a impegnarsi nella costruzione attiva della propria identità e della propria vita
significa, dunque, sostenerlo nel processo di costruzione di “mappe” della realtà, mappe
che gli consentano di orientarsi, di trovare un senso al proprio procedere, al proprio agire
nel mondo e di scegliere una direzione da seguire.
Gran parte del lavoro degli educatori possiamo allora dire che consiste nel modificare le storie che le
persone raccontano su sé stesse, sulle persone che hanno accanto, sul proprio lavoro e sulle relazioni
che legano questi diversi mondi della vita; nel conferire potere alle persone e nel renderle consapevoli
del controllo che possono avere sulle proprie vite o sulle proprie professioni mettendole in grado di
riscrivere e riprogettare le storie familiari, le storie professionali in maniera tale che ognuno venga
investito del potere di cambiare le situazioni e mettere in atto mutamenti positivi. (Rossi, Fabbri, 2005,
pag. 59)
2.3 Decidere la propria vita
Il battente di bronzo tornò a chiamare la donna delle pulizie, ma la
donna delle pulizie non c’è più, ha fatto il giro ed è uscita con il
secchio e lo spazzolone da un’altra porta, quella delle decisioni, che
viene usata di rado, ma quando viene usata, lo è per davvero.
Saramago J., 1998, pag. 11
L’identità è dunque ciò che permette a ogni individuo di riconoscere sé stesso
nonostante il passare del tempo, il mutare delle situazioni, il succedersi delle esperienze
vissute. Passando da una fase all’altra della vita egli si riconosce come essere unico,
distinto da tutti gli altri, e percepisce la propria continuità.
Anche se alcune sue componenti non possono essere scelte, come ad esempio il nome,
il sesso e la razza, l’identità chiama in gioco le possibilità, le capacità e l’intenzionalità del
Pag. 87 di 195
soggetto ed, essendo in continuo mutamento, presenta le caratteristiche di evolutività,
incompiutezza e plasticità. In una prospettiva costruttivista, l’identità può essere
concettualizzata come un insieme di diverse dimensioni e di più livelli interpretativi, come
un sistema che non si consolida quasi mai, ma resta invece sempre fluido, suscettibile al
contesto, al tempo, agli stati emotivi, alle esperienze pregresse.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, Bruner (1986, 1990) ritiene che le
varie parti che compongono l’identità siano tenute insieme, assumendo una forma unitaria
e caratteristica, grazie al processo di significazione attraverso cui si costruisce l’identità
stessa. Il soggetto costruisce e ricostruisce il significato delle proprie azioni, emozioni,
esperienze utilizzando il pensiero narrativo. Mediante il linguaggio si rappresenta la realtà
del mondo e la realtà di sé e può condividere tali rappresentazioni con le persone con cui
si trova a interagire.
La narrazione non ha però solo la capacità di organizzare la realtà e consentirne
l’interpretazione, ma anche quella di permetterne il controllo, di facilitare l’agentività dei
soggetti. Nominare la realtà, “tenerla a mente” in un insieme coerente e ordinato dà la
sensazione di controllo, di ordine, di tranquillità. Se gli eventi hanno un senso, una
posizione definita nel quadro complessivo della vita, è possibile esercitare su di essi un
controllo sia dal punto di vista cognitivo che emotivo. Avere la percezione di sapere come
stanno le cose e come muoversi al loro interno aumenta il senso di autoefficacia del
soggetto, contribuendo di conseguenza allo sviluppo del suo empowerment.
Il procedimento di riconoscimento del senso, della coerenza e della continuità del racconto, della sua
adeguatezza, si configura come narrazione sulla propria narrazione. Si tratta di un procedimento
tipicamente metacognitivo, e come la metacognizione costituisce un procedimento di controllo sulla
propria conoscenza, così la narrazione interna consente l’esercizio del controllo sulla realtà. (Batini,
Giusti, 2008, pag. 43)
L’identità è frutto di un processo di costruzione, di crescita, di maturazione, che
chiede di mettere in campo le capacità progettuali e direzionali dell’individuo, il quale si
trova a fare i conti con la necessità di interagire con gli altri e con il mondo, interazione in
cui l’identità si costruisce e consolida, ma che può essere anche luogo di difficoltà ed
ostacoli.
Realizzare sé stessi non è solo un diritto, ma è anche un compito (Batini, Del Sarto
2005), compito reso oggi più difficile dalla complessità della società in cui viviamo, dalle
continue spinte al conformismo e al consumismo che provengono dai media, che si
Pag. 88 di 195
sforzano di persuadere un pubblico a volte ingenuo e disarmato che “acquistare” è
sufficiente per “divenire” e che “apparire” è sinonimo di “essere”.
Elaborare un progetto di sé è dunque un compito di primaria importanza. Non si tratta
ovviamente di predisporre un dettagliato piano d’azione da realizzare passo a passo, quanto
piuttosto di scegliere una direzione, delineare possibili percorsi, fare delle scelte. Ancora
una volta le caratteristiche che devono contraddistinguere il progetto di vita sono
flessibilità, dinamicità, capacità di revisione e di adattamento.
De Pieri (2000) identifica le seguenti competenze come necessarie per poter elaborare
un realistico progetto di vita (life-planning), saperlo attuare e riadattare quando le
circostanze lo richiedano:
- conoscere e accettare sé stessi: accettare i propri limiti, il proprio passato (successi e
insuccessi), superare il condizionamento del giudizio altrui e formare un positivo
concetto di sé
- saper programmare e programmarsi: immaginare il futuro, calcolare risorse e
opportunità, prevedere azioni e obiettivi a breve, medio e lungo termine
- farsi un quadro di valori, distinguendo tra i valori che riguardano le cose possedute e
quelli che riguardano il modo di essere della persona
- saper decidere, basandosi sugli obiettivi del progetto di vita e non su istinti e
pregiudizi
Abbiamo visto come l’individuo definisca sé stesso nella relazione con l’altro, sia
rispecchiandosi nel suo sguardo (Cooley, 1902), sia confrontandosi con ciò che “non è” e
guardando a ciò che “potrebbe essere”. L’altro con cui rapportarsi non è sempre esterno al
soggetto, ma si può configurare anche come un altro sé, come un sé possibile (Markus,
Nurius, 1986). Il soggetto utilizza nella costruzione di sé anche la dimensione del futuro e
del realizzabile, immaginando possibili modi di essere, sia in una prospettiva temporale
(chi sono, chi sarò), sia in una prospettiva basata su diversi livelli di realtà (chi sono, chi
potrei diventare, chi vorrei diventare). Il futuro, che per sua natura è ignoto, porta con sé
speranze e apre le porte ai desideri, ai sogni, alle aspettative, ma anche alla paura, al timore
di non farcela, al dubbio. All’immagine di ciò che verosimilmente si potrebbe diventare si
affiancano anche le immagini dei sé desiderati e dei sé temuti, che concorrono alla
costruzione dell’identità e sono fortemente influenzati dalle aspettative che il soggetto ha
su se stesso, sul contesto in cui vive e sulla possibilità di agire attivamente in tale contesto,
eventualmente modificandolo.
Pag. 89 di 195
In particolare l’adolescente, che non è più un fanciullo e non è ancora un adulto ma è
sostanzialmente alla ricerca di sé, esercita la sua mente al desiderabile e al possibile
(Palmonari, 2001).
Se il sé attuale è in continua evoluzione ed i sé possibili si proiettano nel futuro, la
dimensione temporale del sé comprende anche il passato, la memoria di sé. La possibilità
di costruire il proprio futuro affonda le radici nel terreno dei ricordi e del significato che a
tali ricordi viene attribuito, si nutre del presente, che non è mai statico e rapidamente
diviene passato.
I sé possibili emergono dalle esperienze sociali passate, ma instaurano anche un legame dal presente al
futuro (Dunkel, 2000, pag. 522).
I sé possibili sono mediatori di una motivazione a lungo termine capaci di fornire una
direzione per il raggiungimento dell’obiettivo desiderato (Wurf, Markys, 1991).
Guardare al futuro come qualcosa da creare o inventare implica necessariamente la
disponibilità al cambiamento, a modificare il proprio modo di essere, ad andare “oltre”.
Dunkel (2000) paragona l’individuo ad uno scienziato che, partito all’esplorazione della
propria identità, formula ipotesi da verificare. Tali ipotesi prendono la forma di sé
possibili.
Dopo aver immaginato i vari percorsi, resta ancora da scegliere quale intraprendere,
progettare il cammino e avviarsi nella direzione scelta.
2.3.1 Il processo decisionale
Prendere una decisione è un’operazione complessa, difficile, che richiede di
combinare insieme aspettative, bisogni, possibilità concrete. Secondo il principio della
razionalità, ci si potrebbe aspettare che gli individui tendano a fare sempre la scelta
“migliore”, ossia quella che ha maggiori probabilità di produrre le migliori condizioni
possibili. In realtà, nell’ambito dello studio dei processi decisionali, le teorie
razionalistiche si sono rivelate inadeguate a descrivere il comportamento umano (Tversky,
Kahneman, 1974). L’uomo tende a ricorrere a strategie che producono risultati
soddisfacenti, anche se non ottimali, al fine di risparmiare le proprie energie cognitive
(Simon, 1981). Nell’effettuare delle scelte l’individuo è condizionato dai propri limiti (per
esempio di memoria e attenzione), dalle conoscenze a cui può accedere, dalla complessità
dell’ambiente, dal tempo disponibile. Simon parla di “razionalità limitata”.
Pag. 90 di 195
Anche nel valutare le situazioni e formulare giudizi la mente umana non si comporta
seguendo un modello razionalistico. Si è già accennato alle euristiche (scorciatoie di
pensiero), utilizzate per semplificare le operazioni da svolgere per calcolare la probabilità
degli eventi. Inoltre la mente umana tende al conservatorismo (Edwards, Phillips, 1964) e
fatica a prendere in considerazione dati nuovi, specialmente se contrastano con quelli di cui
è già in possesso e che sono consolidati.
Lo scarto tra modelli matematici fondati sulla teoria della probabilità e comportamento umano
dovrebbe rivelare la limitatezza dei modelli scientifici rispetto alla complessità della mente umana
piuttosto che orientare a ritenere “inadeguata” la capacità personale di ragionare e decidere. La
conoscenza delle strategie euristiche permette così di elaborare nuovi modelli di sostegno alla
dimensione cognitiva della scelta, modelli che partono dall’accettazione dell’uomo, così come egli è
[…]. (Sbattella, 2002)
Le capacità decisionali, in particolare quelle necessarie per elaborare progetti di
sviluppo personale, cambiano nel corso del tempo. Ginzberg et. al (1951) hanno elaborato
un modello per rappresentare la sequenza di fasi che segnano la maturazione delle capacità
decisionali, fasi che sarebbero influenzate da fattori sociali, economici, familiari, dalla
formazione scolastica, da pressioni a decidere, dai valori e dall’assetto emotivo del
soggetto.
Anche se la concezione stadiale dello sviluppo appare oggi superata, tuttavia le
ricerche hanno constatato che tra i 12 e i 18 anni la capacità di prendere decisioni aumenta
(Lewis, 1981) e già intorno ai 14-15 anni gli adolescenti sono in grado di identificare più
soluzioni possibili per un problema e di rappresentarle in termini astratti (Mann et al.,
1989; Nota, 2001). Successivamente aumenta il numero di alternative che i soggetti sono
in grado di individuare, cresce l’attenzione alle conseguenze delle proprie scelte e diviene
più frequente il ricorso ai consigli e alle informazioni che persone più esperte possono
fornire.
Nel processo decisionale non entrano però in gioco solo fattori cognitivi, ma anche
fattori emotivi, come la capacità di controllare l’ansia, lo stile di coping, gli atteggiamenti
generali, oltre alla capacità di tollerare lo stress derivante dalla possibilità di insuccesso e
dalle possibili implicazioni negative legate alla scelta (Goffman, 1971).
La teoria del conflitto decisionale di Janis e Mann (1977) rappresenta un tentativo per
comprendere come le persone gestiscono i conflitti psicologici e per individuare le
condizioni in cui utilizzano i diversi stili di coping. In particolare tale teoria descrive le
Pag. 91 di 195
modalità, adattive e non, con le quali le persone affrontano decisioni difficili e si occupa di
come fattori quali l’autostima e la fiducia influenzano tali decisioni.
Identifica le seguenti strategie usate per far fronte al conflitto decisionale:
- Compiacenza, che si può manifestare come adesione non conflittuale (la persona
decide di continuare a fare ciò che sta facendo, ignorando le informazioni sui rischi e
sulle perdite) o cambiamento non conflittuale (decisione acritica di adottare qualsiasi
nuovo corso di azione che venga consigliato e indicato da altri)
- Ipervigilanza, quando si effettua una scelta impulsiva (in genere si attua quando non
c'è tempo sufficiente per valutare o per ponderare una serie di opzioni)
- Evitamento difensivo, descrive la tendenza ad evitare la presa di decisione. Tre sono i
tipi di evitamento: il procrastinare (rimandare senza necessità una riflessione,
riluttanza a risolvere compiti o problemi); lo scaricare la propria responsabilità su
altri (trasferire la responsabilità ad un’altra persona e accettare acriticamente la sua
scelta); il razionalizzare (ignorare le informazioni disponibili su alcune alternative e
alterare dati di realtà)
- Vigilanza. È la strategia di decision-making più efficace e vantaggiosa. Questo stile
adattivo di comportamento richiede che vengano realizzate le seguenti sette fasi:
individuare i valori e gli obiettivi importanti; vagliare una serie di opzioni che
permettano di perseguire i propri obiettivi; condurre una ricerca accurata di
informazioni; valutare le informazioni senza pregiudizi; assimilare nuove
informazioni; riesaminare tutte le informazioni; scegliere ed implementare quanto
deciso.
Nella società contemporanea, contrassegnata dalla complessità, il compito di pensare e
organizzare il proprio progetto di vita, una volta ritenuto tipico dell’adolescenza, diventa il
motivo dominante di tutta l’esistenza.
In questo ambiente lavorativo moderno, incerto e mutevole, andremo più d’accordo con le persone
indipendenti, vigilanti e proattive che sanno gestire le incertezze e assumersi dei rischi, con le persone
che imparano in fretta e che comunicano bene. […] I giovani che hanno un forte bisogno di sicurezza e
di stabilità troveranno il nuovo ambiente molto difficile. In questo ambiente, la persona con un
problem-solving e con uno stile di decision-making attivi e vigili si troveranno bene, la persona con uno
stile di decision-making passivo, evitante e procrastinatore avrà sicuramente dei problemi. (Mann,
2000, pag. 69)
Pag. 92 di 195
Mann (2000) ritiene che l’evitamento difensivo, diffuso in tutta la popolazione, sia
particolarmente problematico in adolescenza, proprio perché in tale periodo “il giovane si
trova di fronte ad importanti decisioni relative alla propria autonomia e indipendenza, alle
pressioni del gruppo e all’accettazione sociale, allo studio, al lavoro e alle scelte che hanno
a che fare con la sessualità, all’uso di droghe e di alcolici e ad altre scelte riguardanti la
salute e il benessere psicologico.”
La procrastinazione può essere determinata da molteplici fattori e pertanto si esprime
in modi diversi (frequente distrazione, trovare scuse, ma anche eccesso di perfezionismo).
Spesso i procrastinatori si trovano a completare il compito all’ultimo minuto,
freneticamente e talvolta con un aumento di eccitazione e adrenalina. La procrastinazione è
spesso accompagnata da sentimenti di inadeguatezza personale e di frustrazione, da
insoddisfazione, nei casi più gravi può assumere la forma di una psicopatologia.
Talvolta, quando il problema da risolvere è particolarmente difficile e/o le
informazioni a disposizione sono insufficienti, la procrastinazione può essere “costruttiva”
(Janis, Mann, 1977), in quanto diventa attesa di un aiuto, di un evento che possa cambiare
la situazione
Si può inoltre distinguere (Mann, 2000) tra:
- procrastinazione come risposta ad un particolare problema, che può essere basata sul
conflitto o sul compiacimento
- procrastinazione abituale di fronte alle decisioni, che può essere abitudinaria, o
dovuta a carattere/personalità, oppure basata sulla sicurezza o sullo stile cognitivo o
sulla coercizione (quando la persona si prefigge di raggiungere standard e aspettative
eccessivi)
La strategia più adattiva tra quelle elencate è la vigilanza, che è l’unica ad essere
associata a livelli di stress moderati e che sembra portare a prendere le decisioni più
efficaci. L’ansia, tenuta sotto controllo, non ostacola le operazioni cognitive necessarie alla
scelta, piuttosto le sostiene.
2.3.2 Volere quel che si fa
Ma cos’è che spinge a decidere? Alla base di ogni decisione ci sono delle motivazioni,
che svolgono sia la funzione di attivare (componente energetica) il comportamento, sia
quella di orientarlo (componente direzionale).
Pag. 93 di 195
Le motivazioni si dicono primarie quando sono tese al soddisfacimento di bisogni
naturali e istintivi, secondarie quando soddisfano bisogni di carattere sociale e culturale.
La motivazione da sola non è però sufficiente affinché un soggetto riesca a portare a
termine un compito che si è prefissato: occorre che abbia anche la volontà di farlo. Alla
fase motivazionale deve seguire la fase volitiva, che richiede impegno, attenzione,
organizzazione, regolazione emotiva.
L’attenzione implica la capacità di
selezionare
percettivamente
gli
elementi rilevanti rispetto all’obiettivo;
l’organizzazione
si
riferisce
alla
strategia che il soggetto utilizza per
aggiungere
in modo
efficiente ed
efficace lo scopo che si è proposto; la regolazione
Figura 5 - Processi motivazionali e volitivi
emotiva consente di gestire le proprie emozioni
rilevanti rispetto al compito e all’obiettivo posto (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 170,
da cui è tratta anche la Figura 5).
Tornando agli aspetti motivazionali, resta ancora da chiederci cosa guida un individuo
nella scelta degli obiettivi da perseguire. Come illustrato nella Figura 5, alla base di tale
scelta troviamo gli interessi, i bisogni ed i valori.
Il termine “interesse” deriva dal latino: inter (tra) e esse (essere), ossia significa
“essere tra”.
Gli interessi sono elementi cognitivo/affettivi che si frappongono tra i bisogni da soddisfare e gli
oggetti che noi riteniamo possano costituire una risposta ai nostri bisogni. (D’Alessio, Laghi, Pallini,
2005, pag. 112)
Viglietti (1988) ritiene che l’interesse si collochi tra il bisogno (inteso come generica
manifestazione di mancanza di qualcosa) ed il valore (ossia ciò che soddisfa il bisogno).
L’interesse è quindi la tendenza, che coinvolge aspetti emotivi e cognitivi, ad agire per
raggiungere l’oggetto condizionante il valore. Attraverso gli interessi si struttura il proprio
sistema di valori.
Pag. 94 di 195
I valori si distinguono dai bisogni perché permangono anche se sono soddisfatti e si distinguono dagli
interessi, per il loro aspetto normativo.
E’ possibile definire i valori come: principi ideali da cui derivano norme e condotte. (D’Alessio, Laghi,
Pallini, 2005, pag. 123)
La motivazione è stata oggetto di numerosi studi e ricerche.
Secondo l’approccio comportamentista, l’agire umano può essere spiegato come
reazione ad uno stimolo e come risposta al rinforzo positivo o negativo presenti
nell’ambiente in cui il soggetto è inserito. Gli sviluppi più recenti di questo orientamento
hanno riconosciuto il ruolo dell’attività cognitiva e delle emozioni del soggetto come
mediatori tra lo stimolo e la risposta.
Maslow83 (1954) ha sottolineato l’importanza dei bisogni, che sarebbero alla base
dell’agire umano. Egli stabilisce una gerarchia di
bisogni costruendo quella che è stata definita la
“piramide di Maslow” (Figura 6)84. Al livello più
basso della piramide ci sono i bisogni fisiologici,
seguiti dai bisogni di sicurezza, di appartenenza, di
stima (bisogni dell’Io), fino ad arrivare ai bisogni di
autorealizzazione
o
meta-bisogni.
Il
Figura 6 - Piramide di Maslow
soddisfacimento dei bisogni a livello
più basso è necessario per poter affrontare quelli di livello più alto e, parallelamente, nel
momento in cui si è soddisfatto un livello si attivano i bisogni di livello superiore.
I processi motivazionali sono fondamentali per la vita umana: essi sono presenti in
tutte le culture e in tutti i popoli del mondo. I bisogni degli uomini sono universali, ma
vengono soddisfatti in modo diverso nelle varie culture.
A partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, due concetti sono stati ripetutamente
utilizzati nello studio della motivazione: motivazione intrinseca e motivazione estrinseca.
L’uso di questo concetto può essere così riassunto: un comportamento può essere definito motivato
intrinsecamente quando avviene in virtù di sé stesso, oppure, in altri termini, quando un individuo
agisce sulla base del proprio impulso. Un comportamento viene invece definito motivato
estrinsecamente quando il suo movente è posto all’esterno dell’azione vera e propria, oppure, in altri
termini, quando un individuo sembra guidato da fuori. (Rheinberg, 1997, pag.139)
83
Maslow (1908-1970), psicologo statunitense, fu un esponente di spicco della psicologia umanistica. Per
approfondire il suo pensiero, cfr. Goble Frank G., 2004, The Third Force: The Psychology of Abraham
Maslow, Chapel Hill (NC), Maurice Bassett
84
L’immagine “La piramide di Maslow” è tratta dal sito www.lucianogiustini.org
Pag. 95 di 195
In realtà vari autori hanno nel tempo elaborato diverse teorie che si occupano della
distinzione tra intrinseco ed estrinseco. Deci e Ryan (1985) sostengono che si può parlare
di motivazione intrinseca se il comportamento è autodeterminato e autonomo. Alla base
della condotta autodeterminata c’è il bisogno di competenza ed efficacia. I contesti sociali
favoriscono un atteggiamento motivato intrinsecamente se soddisfano tre bisogni: il
bisogno di competenza, di autonomia e di relazione.
Un esempio relativo ad attività in sé stesse soddisfacenti riguarda l’esperienza flow
(flusso), descritta da Csikszentmihalyi (1993). Si tratta di esperienze in cui l’individuo è
assorbito in modo completo e irriflesso da un’attività che fluisce senza ostacoli.
In tali esperienze di flusso, azione e consapevolezza si fondono insieme con una totale concentrazione
che determina un’absorption totale. In tali esperienze vi è una perdita della dimensione temporale e
una focalizzazione attentiva che esclude tutti gli stimoli non connessi col compito. (D’Alessio, Laghi,
Pallini, 2005, pag. 136)
Sia le teorie del rafforzamento del comportamento che le teorie dei bisogni hanno
descritto le azioni motivate delle persone come reazioni a pressioni, aventi origine da
incentivi estrinseci oppure da bisogni sentiti internamente. Gradualmente, le teorie della
motivazione hanno cominciato a riconoscere che le persone, oltre a essere sollecitate in
questo modo, sono talvolta più proattive nel decidere cosa vogliono fare e perché vogliono
farlo.
Considerando questa evoluzione, la maggior parte dei teorici della motivazione ha
mutato
orientamento: dai bisogni delle persone è passata a parlare degli obiettivi delle
persone.
Uno dei primi e più importanti esponenti della teoria degli obiettivi è Martin Ford
(1992), che ha considerato tre processi interrelati nell’ambito motivazionale: le convinzioni
sulle proprie capacità d’azione, l’arousal emotivo, l’individuazione di obiettivi personali.
Wentzel (1999) definisce un obiettivo come un insieme integrato di convinzioni,
attributi, affetti e sentimenti che guidano le intenzioni comportamentali.
Pag. 96 di 195
Le variabili motivazionali sono influenzate dalla percezione della propria
autoefficacia, ossia dal giudizio sulle proprie capacità, dal concetto di sé e dall’autostima 85,
intesa come giudizio circa il proprio valore.
Si è già accennato (paragrafo 2.1.2) al concetto di self-efficacy elaborato da Bandura,
che gli attribuisce un ruolo centrale nella regolazione del comportamento e nella scelta di
obiettivi ed azioni da intraprendere.
Le credenze di autoefficacia consentono di anticipare una serie di “scenari” in cui, se
tali credenze sono buone, l’individuo si immagina impegnato con successo in varie attività,
altrimenti si prefigura difficoltà e fallimenti. Inoltre esse influenzano gli stati emozionali,
per esempio aumentando il livello di stress, depressione, ansia, che a loro volta influenzano
la quantità e la qualità delle azioni di fronteggiamento che l’individuo riesce a mettere in
atto.
Le aspettative di efficacia influenzano e “controllano” il comportamento umano attraverso una serie di
processi di mediazione che sarebbero particolarmente attivi:
• nell’individuazione e selezione degli obiettivi personali;
• nella determinazione della quantità di persistenza che può essere profusa nei tentativi di
raggiungimento dei propri obiettivi;
• nella caratterizzazione delle emozioni che si sperimentano quando vengono avanzate
richieste di prestazione o quando ci si trova impegnati nella risoluzione di situazioni
“difficili”;
• nella scelta di compiti e situazioni.
(Nota, Soresi, 2000, pag. 17)
Al concetto di autoefficacia è collegato quello di locus of control, ossia al fatto che un
individuo ritenga gli eventi della propria vita prodotti dai propri comportamenti e azioni
(locus of control interno), oppure da cause esterne indipendenti dalla propria volontà
(locus of control esterno). Il costrutto di locus of control fu elaborato per la prima volta da
Rotter (1954, 1966, 1990). Successivamente Weiner (1979, 1986) ha sottolineato che la
percezione delle persone circa le cause dei risultati che riescono ad ottenere è influenzata
da tre diverse dimensioni: il locus, la stabilità attribuita alle cause stesse e la controllabilità,
ossia quanto esse si ritengano responsabili dei propri comportamenti. In generale, persone
che hanno un locus prevalentemente interno hanno più fiducia in sé stessi, sono in grado di
85
L’autostima “può essere considerata come la componente valutativa del concetto di sé, caratterizzandosi
come l’insieme dei sentimenti di autoaccettazione, di autopiacevolezza e di autorispetto che la persona nutre
nei propri confronti.” (Nota, Soresi, 2000, pag. 37)
Pag. 97 di 195
padroneggiare meglio le situazioni stressanti, intraprendono compiti più difficili e
persistono nonostante gli insuccessi86.
2.3.3 Sapere quel che si vuole
Poi, poco dopo il sorgere del sole, l’uomo e la donna andarono a
dipingere sulla prua dell’imbarcazione, da un lato e dall’altro, a lettere
bianche, il nome che ancora bisognava dare alla caravella. Verso
mezzogiorno, con la marea, L’Isola Sconosciuta prese infine il mare,
alla ricerca di sé stessa.
Saramago J., 1998, pag. 29
Nel progettare il proprio futuro i ragazzi hanno bisogno di avere principi guida a cui
far riferimento e di costruire gradualmente un proprio sistema di valori.
L’adolescente, confrontandosi e mettendo in discussione i modelli che la famiglia e la
scuola gli hanno trasmesso nell’infanzia, conferma più consapevolmente valori prima
accolti in modo acritico, oppure ne individua di propri.
Il sistema di valori così abbozzato si stabilizzerà nel corso del tempo, contribuendo
alla costruzione dell’identità del soggetto.
L’adolescente ha fame di relazioni verticali con adulti competenti e desidera porre ai genitori domande
cruciali per la sua crescita. Perciò le idee e i valori genitoriali giocano un ruolo fondamentale nella
formazione dell’identità e nei processi di scelta. Proprio nell’ambito familiare e scolastico vengono
sollecitate le prime aspirazioni, incoraggiati comportamenti, favorite o impedite le scelte. L’adolescente
si confronta comunque con il sistema di valori del proprio gruppo di appartenenza, sia per prenderne le
distanze sia per identificarsi. . (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 126)
Si è già accennato nel capitolo precedente (paragrafo 1.4), come nella società
occidentale attuale manchino per i giovani stabili punti di riferimento valoriali e come, di
conseguenza, ci sia una tendenza a rinunciare alla dimensione progettuale della vita.
Verlato (2011), in base alla sua esperienza come psicologa e psicoterapeuta dell’età
evolutiva, rileva come sempre più spesso nei racconti degli adolescenti si ritrova rabbia,
collera, aggressività, una visione competitiva dei rapporti, angoscia e confusione, che
emergono non tanto nei momenti di conflitto o in seguito a esperienze destabilizzanti,
quanto proprio nei momenti in cui i ragazzi potrebbero apparentemente stare tranquilli e
ascoltarsi dentro.
86
Per un approfondimento sulla teoria dell’attribuzione causale, cfr De Grada Eraldo, 1988, L’attribuzione
causale: teorie classiche e sviluppi recenti, Bologna, Il Mulino; Hewstone Miles, 1989, Teoria
dell’attribuzione: estensioni sociali e funzionali, Bologna, Il Mulino; Zamperini Adriano, 1993, Modelli di
causalità. Introduzione alla teoria dell’attribuzione con glossario dei concetti chiave, Milano, Giuffrè;
Forsterling Friedric, 2001, Attribution: an introduction to theories, reseach, and applications, Hove,
Psychology Press; Tilly Charles, 2007, Perché? La logica nascosta delle nostre azioni quotidiane, Milano,
Rizzoli
Pag. 98 di 195
Ma, in un momento della vita in cui lo specchio interiore “come un caleidoscopio non
riflette mai un’immagine unitaria, stabile” di noi stessi, “come fare senza che nessuno aiuti
a integrare la complessità in un’unica identità con le sue tinte variegate e sfumate?”
L’autrice descrive la sensazione provata da questi adolescenti come “vuoto”.
E’ molto di più del dolore legato ad un abbandono o a una perdita. Più della noia e del non senso. Un
grande senso di mancanza… Vuoto lancinante come una ferita aperta per cui non c’è sollievo, o vuoto
di sé, lo smarrimento nella paura, nell’angoscia che non si riesce a fermare, vuoto che fa perdere i
propri contorni, come una spirale che risucchia, fa implodere, un abisso in cui si precipita, in cui non si
trova il senso di quello che accade attorno. Vuoto di speranza, di futuro. […]
Vuoto di valori, di buoni motivi per andare avanti. […] La mancanza di desideri e sogni lo amplifica.
(Verlato, 2011, pag. 75)
Tomolo (1999) sottolinea come la decisione, non essendo un semplice calcolo di
vantaggi e svantaggi fra alternative diverse, “esige un’educazione appropriata” (pag. 241).
Educazione che non può e non deve tradursi, da parte degli adulti, in un semplice
voler proteggere a tutti i costi i ragazzi da pericoli e sofferenze, concedendo loro tutto
quello che chiedono nel timore che si sentano diversi o inferiori ai loro coetanei. Neppure
può essere un semplice affiancarsi a loro come amici un po’ “stagionati”, ma sempre pronti
a battere una pacca sulla spalla o peggio a chiedere di essere capiti e sostenuti da loro, in
una tragica inversione di ruoli.
E’ invece importante che gli adulti trattino i ragazzi (ed i bambini) come persone,
imparando ad amarli e ad accettarli per come sono, aiutandoli a valorizzare le loro doti e a
correggere i difetti, sorreggendoli nella fatica e nello sforzo di cercare sé stessi, fornendo
loro una base sicura da cui partire per esplorare il mondo e a cui tornare a prendere fiato
nei momenti più difficili. Una base che, una volta interiorizzata, sarà per loro un porto
sicuro in tutte le tempeste che la vita gli riserverà.
Occorre che gli adulti trovino risposta al senso del proprio vivere/morire e che insegnino ai minori a
cercare risposte proprie, educandoli «al» desiderio, costruendo una forza interiore che spinga «oltre» e
non lasci seduti, anche se in alcuni momenti non si sa perché si vuole di più. (Mariani, 2008, pag. 75)
Ma non basta.
L’educazione è tale se è educazione «del» desiderio, perché spesso non si sa quel che si vuole.
Occorre, infatti, insegnare come desiderare e cosa scegliere. […] E’ questo il dilemma grande
dell’educazione: dover suscitare desiderio e motivazione, già questo è difficile, e nei confronti,
oltretutto, di qualcosa che il soggetto in formazione non è ancora in grado di comprendere se e quanto
sia in sé buono. (ibidem)
Pag. 99 di 195
Per volare non è sufficiente avere le ali, bisogna saperle dispiegare, avere un punto
stabile da cui spiccare il volo e aver imparato come orientarsi nel cielo dell’esistenza.
Siamo convinti del fatto che nessun’autocostruzione produce guadagni effettivi in termini di incremento
della personalità se non è guidata da una «filosofia dello sviluppo», cioè da un complesso di idee,
ideali, tensioni, aspirazioni nel cui nome far sì che il personale divenire sia orientato e non si disegni al
contrario come casualistico e opportunistico e che, in definitiva, l’autorealizzazione s’identifichi in una
esperienza di valori. Di ogni processo autorealizzativo non è possibile ignorare il significato morale.
(Rossi, Fabbri, 2005, pag. 45)
Pag. 100 di 195
SECONDA PARTE: IL LABORATORIO
Pag. 101 di 195
CAPITOLO TERZO
3 METODOLOGIA, OBIETTIVI E CONTESTO
3.1 Com’è nata l’idea del laboratorio e perchè.
Nella complessità della società in cui viviamo orientarsi è difficile. Trovare sé stessi e
la propria strada nel labirinto di esperienze, informazioni, possibilità, pressioni,
condizionamenti a cui tutti siamo continuamente esposti non è semplice. Inventare la
propria voce e qualcosa di personale da dire in un mondo dove il silenzio è merce rara e
preziosa richiede grande impegno, fatica e consapevolezza di sé. D’altra parte questa
consapevolezza, la capacità di osservare, comprendere e giudicare in modo critico non
sono innati, ma vanno costruiti giorno per giorno, coltivati già nei bambini. Non si diventa
adulti responsabili e maturi da un giorno all’altro, per anzianità anagrafica.
In quest’ottica l’azione orientativa non si può limitare a risolvere specifici problemi di
scelta, ma deve essere volta principalmente a stimolare lo sviluppo ed il cambiamento
personale, a fornire strumenti e suggerire strategie affinché gli individui imparino a
conoscersi e a conoscere, acquisendo gradualmente la capacità di auto-orientarsi.
Nella scuola si parla molto di orientamento, ma spesso questo si riduce a trasmettere
agli alunni una serie di informazioni (quali scuole, quali possibilità di impiego, ecc.) e a
valutarne le attitudini in base alle osservazioni fatte dagli insegnanti o tramite
l’applicazioni di test. Si trascurano così due aspetti importanti: il ruolo della motivazione e
l’importanza della consapevolezza di sé, dei propri limiti e delle proprie capacità. Questi
due aspetti sono tra loro strettamente interconnessi, infatti per stabilire i propri obiettivi e
impegnarsi a raggiungerli si deve prima sapere ciò che si vuole, ciò che realmente si
desidera, quali possibilità si ha di farcela e quali ostacoli si dovranno affrontare, si deve
imparare a distinguere i desideri propri da quelli indotti. Solo così le informazioni sulle
scuole, sulle strade formative o lavorative disponibili potranno essere fruite nel modo
migliore.
Nel rumore assordante che televisione e media impongono come sottofondo alla vita
di oggi, tra adulti sempre indaffarati, spesso stressati, a loro volta disorientati e incerti del
futuro, costretti in città povere di parchi, di spazi aperti adatti a contenere il loro bisogno di
socializzare, di muoversi, frastornati dal crollo di valori morali che tutti esaltano ma pochi
Pag. 102 di 195
davvero seguono, i ragazzi, oggi più di ieri, hanno bisogno di momenti per fermarsi,
guardarsi dentro, ascoltarsi, riconoscere la propria voce e provare ad esprimersi. Hanno
bisogno di luoghi di incontro, di scambio, di condivisione, per poter guardare l’altro per
quello che è, come essere umano, indipendentemente da quello che indossa o da quello che
possiede, e sentirsi guardato nello stesso modo.
L’idea di questo laboratorio è nata proprio dal desiderio di offrire ai ragazzi uno
spazio per riflettere su sé stessi, sulle proprie capacità e possibilità, sulle proprie fantasie e
desideri per il futuro. Uno spazio dove poter far sentire la propria voce, vederla ascoltata e
riconosciuta e contemporaneamente poter ascoltare quella dei propri compagni.
Gli incontri sono stati pensati e organizzati basandosi sulla metodologia
dell’orientamento narrativo che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ha come
obiettivo lo sviluppo delle competenze necessarie per comprendere sé stessi e la realtà che
ci circonda attribuendole un senso, per organizzare i propri pensieri ed azioni, per fare
progetti realistici e confrontarsi con persone diverse da sé.
La metafora della vita come viaggio su una nave, che ha fatto da filo conduttore di
tutti gli incontri, aiuta a comprendere l’importanza di determinare una rotta, di scegliere
una meta o almeno una direzione, per non finire in balia dei venti e naufragare sugli scogli
o arenarsi su una spiaggia deserta. La fatica di tenere il timone, scrutare l’orizzonte, evitare
i pirati, gli scogli e le sirene, è sostenuta dal desiderio, dalla volontà, dal sogno dell’isola
sconosciuta, dal sogno di noi stessi. Per potersi realizzare un sogno deve prima essere
sognato.
La presenza dell’insegnante durante le attività del laboratorio ha avuto lo scopo di
consentire di ascoltare i ragazzi, vederli da un diverso punto di vista e valutare il livello di
consapevolezza che essi hanno delle loro capacità e possibilità attuali e future
3.2 Obiettivi e modalità di valutazione
Gli obiettivi di questo laboratorio sono stati:
- incoraggiare i ragazzi a guardare a sé stessi riconoscendo i propri pregi e le proprie
capacità, anche aiutati dallo sguardo dei compagni,
- far riflettere i ragazzi sull’importanza di avere dei sogni, dei desideri e di impegnarsi
per realizzarli,
Pag. 103 di 195
- consentire all’insegnante che ha partecipato agli incontri di osservare i ragazzi in un
diverso contesto relazionale, ascoltarne i pensieri, i desideri, le difficoltà e rilevare le
dinamiche di classe.
La valutazione del percorso si è articolata in due parti: verifica della qualità del
processo (basata sull’auto-valutazione effettuata dalla conduttrice) e verifica dei risultati
(schede di valutazione compilate dai ragazzi e dagli insegnanti).
Al termine di ogni incontro la conduttrice ha redatto un breve diario 87 in cui, oltre alle
proprie osservazioni personali, ha annotato i seguenti aspetti:
- livello di partecipazione della classe
- gradimento dell’attività svolta da parte dei ragazzi (si sono divertiti? Erano a loro
agio? Si sono manifestate difficoltà particolari?)
- qualità delle interazioni tra i ragazzi
- qualità delle interazioni tra i ragazzi e la conduttrice
- materiale emerso
Terminati gli incontri previsti, è stata valutata con gli stessi parametri, ma a livello
globale, l’attività svolta, basandosi sui diari degli incontri e sui questionari compilati dalle
tre insegnanti.
3.2.1 Strumenti per la verifica dei risultati
Per la verifica è stata effettuata l’analisi dei questionari compilati dai ragazzi
nell’ultimo incontro i quali hanno fornito informazioni utili ad evidenziare alcuni degli
effetti più immediati che le attività hanno prodotto in loro.
3.3 Metodologia
Il laboratorio è stato pensato e progettato utilizzando i metodi tipici dell’orientamento
narrativo. Questa metodologia permette di mantenere il soggetto in orientamento sempre al
centro del processo, lavora per la costruzione dell’identità personale e, attraverso i lavori di
gruppo, dell’identità sociale. Il soggetto partecipa attivamente sia quando ascolta le
narrazioni altrui, elaborandole, interpretandole ed eventualmente facendole proprie, sia
quando produce i propri testi.
87
Lo schema seguito nella compilazione del diario degli incontri è riportato nell’allegato A.
Pag. 104 di 195
Il percorso, anche se definito nelle sue linee principali, è individualizzabile e
flessibile: ogni incontro nasce e cresce dall’incontro tra le storie, tra le persone e tra le
storie e le persone, ed è pertanto imprevedibile, personalizzabile nel suo svolgersi a
seconda delle necessità, dei bisogni e dei desideri che nascono nel momento.
L’orientamento narrativo si pone come obiettivo l’autonomizzazione del soggetto,
lavorando nella logica dell’empowerment, ed è particolarmente adatto ad essere applicato
nel contesto scolastico in quanto utilizza strumenti e materiali familiari agli alunni e vicini
alla loro cultura, inoltre agisce sul gruppo classe, creando un clima di collaborazione e
dialogo, di scambio e reciproca conoscenza.
I percorsi di orientamento narrativo, quindi, permettono importanti acquisizioni
primarie (lavoro sull’identità, sull’immagine di sé, sull’autostima, ecc.) e secondarie (saper
comunicare, saper lavorare in gruppo, ecc.), attraverso attività di gruppo piacevoli,
facilmente realizzabili in ambito scolastico e che non richiedono risorse costose.
Il laboratorio è stato ideato per ragazzi della classe terza delle scuole secondarie di
primo grado. Sono stati previsti quattro incontri per ogni classe: tre della durata di
centodieci minuti l’uno (due ore scolastiche) ed un quarto più breve, di conclusione e
restituzione del percorso fatto.
Ognuno dei primi tre incontri è stato così strutturato:
- momento iniziale, con una duplice funzione: sottolineare il distacco tra lo spaziotempo della seduta e quello al di fuori di essa; creare un’atmosfera di gruppo,
all’interno della quale ciascuno ha la stessa importanza e tutti collaborano
- momento di ascolto di un brano, una fiaba o un racconto
- momento creativo e di riflessione
- momento di scambio, discussione, condivisione di idee
- momento di chiusura
Nell’ambito di una medesima forma, ogni incontro è stato dedicato ad un tema
specifico: il primo all’identità personale (chi sono io?), il secondo all’importanza di
guidare la propria vita, di fare le proprie scelte in modo consapevole (dove vado?), il terzo
al percorso che ciascuno deve scegliere e poi compiere per realizzare i propri desideri (il
viaggio).
Il filo conduttore ed il collegamento di tutto il lavoro svolto è stata la metafora del
“viaggio”, in particolare il “viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta”, da cui il titolo del
Pag. 105 di 195
laboratorio88. All’inizio del primo incontro è stato spiegato ai ragazzi che la conduttrice si
trovava lì con loro perché inviata da un uomo, capitano di una nave, che aveva bisogno di
un equipaggio per partire alla ricerca dell’isola sconosciuta. Loro stessi avrebbero potuto
entrare a far parte dell’equipaggio e partire con lui. Poiché però quest’uomo non si
accontentava di un equipaggio qualsiasi, ma voleva per compagni gente motivata, decisa e
consapevole, dovevano sottoporsi ad alcune prove. Le attività svolte nei diversi incontri
sono diventate così le prove da superare per mettersi in viaggio, per cercare la propria isola
sconosciuta, ossia per cercare sé stessi e ciò che vorranno diventare.
Uno strumento importante utilizzato è stato il cartellone dei “Pensieri in movimento”,
consegnato ai ragazzi completamente bianco, tranne che per il titolo, all’inizio del
laboratorio.
I ragazzi sono stati invitati a scrivervi frasi, pensieri, parole di canzoni, poesie o altro
che venissero loro in mente e che ritenessero attinenti con quanto si stava facendo o,
semplicemente, interessanti.
Il cartellone è stato lasciato appeso nell’aula per tre settimane e nell'ultimo incontro si
è letto quanto vi era stato scritto, commentandolo tutti insieme.
Gli strumenti narrativi utilizzati sono stati il libro Il racconto dell’isola sconosciuta di
Josè Saramago (1998), che è stato letto quasi integralmente, e alcune fiabe. Il libro di
Saramago, bellissimo e molto intenso nella sua apparente semplicità, è a sua volta una
sorta di fiaba per adulti.
I racconti, le storie e le fiabe in particolare, parlano non solo alla parte razionale
dell’ascoltatore, che ne decodifica il codice linguistico e studia la trama, ma anche a parti
più profonde, attraverso simboli ed immagini. La fiaba si esprime con un linguaggio
semplice, descrive i problemi in modo chiaro e conciso, disegna personaggi tipici, privi di
ambiguità, immediatamente classificabili come buoni o come cattivi e, proprio grazie a
queste sue caratteristiche, aiuta a riconoscere le proprie emozioni, i propri istinti e
sentimenti, a dargli un nome e a verificare che è possibile affrontare e risolvere i problemi
che nella vita inevitabilmente si incontrano.
Le fiabe sono uniche, non solo come forma di letteratura ma anche come opere d’arte che sono
totalmente comprensibili per il bambino, come non lo è nessun altra forma d’arte. Come avviene per
tutta la grande arte, il significato più profondo della fiaba è diverso per ciascuna persona, e diverso per
la stessa persona in momenti differenti della sua vita. (Bettleheim, 2008, pag. 18)
88
Cfr. Batini, Del Sarto, 2005, pagg. 77-78
Pag. 106 di 195
Nel secondo e nel terzo incontro, è stato proposto l’ascolto di una canzone inerente al
tema: la musica piace molto ai giovani e, quando è di qualità, parla un linguaggio molto
simile a quello della poesia.
I momenti di condivisione di quanto creato dai ragazzi stessi, di confronto su quanto
letto, di discussione e scambio di idee, sono stati organizzati in modo da lasciare loro la
possibilità di esprimersi il più liberamente possibile, di trarre le proprie deduzioni e
conclusioni da soli, senza forzature o pressioni da parte degli adulti presenti. La
conduttrice assumeva il semplice ruolo di moderatrice dell’incontro, anche se ogni tanto
lanciava spunti di riflessione, suggerimenti, o anche provocazioni. Se un ragazzo faticava
ad esprimersi gli lasciava tempo per organizzare i pensieri, per tentare di capirsi e farsi
capire. Unica regola imprescindibile era il rispetto reciproco, la libertà di pensiero e
opinione.
Al termine del laboratorio, ogni ragazzo ha ricevuto un libretto contenente un breve
estratto degli argomenti affrontati e i testi da lui stesso prodotti. Lo scopo non era solo
quello di lasciare un ricordo tangibile del percorso fatto, ma anche dare importanza ai loro
scritti, posti così sullo stesso piano dei testi delle canzoni, delle storie ascoltate. La
pergamena per il messaggio nella bottiglia, la scheda dei tre desideri e la petizione da
presentare al re, sono storie, sono racconti che parlano di loro stessi a loro stessi.
Agli incontri era presente anche l’insegnante di lettere della classe, che ha potuto
osservare i propri studenti in un diverso contesto relazionale.
Tutto il materiale utilizzato (schede, immagini da proiettare, CD per le canzoni, testi
da leggere, cartellone, libretti con i testi dei ragazzi) sono stati forniti dalla conduttrice. La
scuola ha messo a disposizione l’aula e, quando possibile, la Lavagna Interattiva
Multimediale (LIM).
Nei prossimi paragrafi è riportata una breve descrizione di come sono stati progettati i
singoli incontri.
3.3.1 Primo incontro: chi sono io?
Questo incontro aveva l’obiettivo di aiutare i ragazzi a guardare agli aspetti positivi di
sé stessi, alle proprie capacità e potenzialità.
Momento iniziale
Pag. 107 di 195
Presentazione del laboratorio ai ragazzi. La conduttrice si presenta e spiega
brevemente cosa si andrà a fare. Introduzione del cartellone “Pensieri in movimento” e
della metafora del viaggio: la conduttrice parla di un uomo, capitano di una nave, che ha
bisogno di un equipaggio per partire alla ricerca dell’isola sconosciuta.
Gioco di inizio: ogni ragazzo si presenta dicendo “Io sono … e sulla nave vorrei
essere …”.
Momento di ascolto
La conduttrice legge un breve brano tratto dal libro L’inventore dei sogni di Ian
McEwan (1994): la descrizione di Peter all’inizio del primo capitolo.
Momento creativo/di riflessione
Attività “Il messaggio nella bottiglia”89.
La conduttrice spiega che quando si viaggia è sempre meglio essere preparati per ogni
evenienza! Ogni ragazzo è invitato a immaginare di naufragare su un’isola deserta e di
avere con sé solo un foglio di carta, una penna e una bottiglia. L’unica speranza di essere
salvati consiste nello scrivere una lettera da infilare nella bottiglia e affidare alle onde del
mare. Nella lettera ciascuno dovrà descrivere sé stesso meglio che può, cercando di
apparire “interessante” a chi lo leggerà e deciderà così di venire a salvarlo. E’ però
necessario non mentire, altrimenti il potenziale salvatore, accorgendosene, non vorrà più
portarlo con sé. Si tratta di valorizzare sé stessi senza inventare ciò che non si è.
Ai ragazzi viene distribuito un foglio su cui scrivere la propria lettera e lasciato il
tempo necessario per farlo. Verrà messa una musica in sottofondo (Giovanni Allevi). In
caso sia disponibile la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM), verrà proiettata
l’immagine di una bottiglia col messaggio galleggiante sull’acqua.
Momento di scambio
I ragazzi sono invitati a condividere con gli altri quanto hanno scritto. Nessuno è
obbligato a farlo, ma chi vuole può leggere ad alta voce la propria “lettera” o chiedere alla
conduttrice di farlo al posto suo. Viene incoraggiato il dialogo e la discussione: è possibile
commentare (in modo costruttivo!) quanto scritto dai compagni, indicare eventuali aspetti
positivi dimenticati o commentare quelli elencati.
89
Liberamente tratto da Batini, Del Sarto, 2005, pag. 99
Pag. 108 di 195
Momento di chiusura
La conduttrice fa una breve sintesi di quanto emerso nel corso dell’incontro, consegna
ai ragazzi la scheda “Fare i bagagli”90: per il viaggio ognuno può portare con sé dieci
oggetti, che possono avere qualsiasi forma e misura. Questi oggetti devono però essere, per
chi li sceglie, di particolare importanza e devono essere sistemati in tre sacche:
- la sacca della vita personale
- la sacca della vita scolastica
- la sacca degli interessi
Dopo questa divisione si deve indicare quale è l’oggetto più importante di tutti quelli
scelti e perché. Questo lavoro lo faranno a casa, riportando il foglio compilato per il
prossimo incontro.
La conduttrice, infine, scrive una frase sul cartellone dei “Pensieri in movimento”: “Il
vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”
(Marcel Proust, 2005, Alla ricerca del tempo perduto).
Saluti: “Ciao e buona continuazione di viaggio!”.
3.3.2 Secondo incontro: dove vado?
Questo incontro voleva aiutare i ragazzi a riflettere sull’importanza di essere artefici
delle proprie scelte e a meditare sui propri desideri e sogni, che, per restare nella metafora
del viaggio, sono il vento che soffia sulle nostre vele.
Momento iniziale
Recupero della metafora del viaggio.
Gioco di inizio: ogni ragazzo si presenta leggendo uno solo degli oggetti scelti (il più
importante) e spiega in due parole perché lo porterebbe con sé.
“Bene, ma dove andiamo? Abbiamo parlato di un’isola sconosciuta: dove potremo
trovarla? Forse non siamo gli unici a cercarla…”
Ascolto della canzone “L’isola che non c’è” di Edoardo Bennato. Se disponibile la
lavagna LIM, verrà proiettata l’immagine del mare sotto un cielo stellato e il testo della
canzone.
Momento di ascolto
90
Cfr. Batini, Del Sarto, 2005, pag. 92
Pag. 109 di 195
La conduttrice racconta la fiaba “Alba”91. Se disponibile la lavagna LIM, verrà
proiettata l’immagine di un cavallo.
Momento creativo/di riflessione
La protagonista della fiaba ha un desiderio e questo desiderio è viaggiare.
Immaginando di aver trovato la magica lampada di Aladino, di averla strofinata e di
avere i fronte a sé il famoso genio, i ragazzi sono invitati ad esprimere tre desideri, che
scriveranno su un foglio appositamente distribuito. Non è possibile esprimere un desiderio
che comporti:
- resuscitare i morti
- costringere qualcuno a fare cose o provare sentimenti che non sono suoi
- uccidere, ferire o fare del male
Quando tutti avranno finito, ognuno dovrà scegliere uno solo tra i desideri espressi e
scrivere un breve testo in cui descriverà cosa succederebbe se il desiderio venisse esaudito.
Momento di scambio
I ragazzi sono invitati a condividere con gli altri quanto hanno scritto. Anche questa
volta, nessuno è obbligato a farlo, ma chi vuole può leggere ad alta voce il proprio testo o
chiedere alla conduttrice di farlo al posto suo. Viene incoraggiato il dialogo e la
discussione: è possibile commentare (in modo costruttivo!) quanto scritto dai compagni.
Se il tempo a disposizione lo consente, la conduttrice inviterà i ragazzi a riflettere sul
fatto che ci sono persone che, pur avendo molti bisogni, non hanno più desideri, perché
non sanno sperare o pensano di non poterlo fare 92. Chi sono? Cosa si prova a trovarsi in
una simile condizione? Come si potrebbe aiutarli a sentirsi autorizzati a fare tutto il
possibile per ottenere ciò che desiderano? Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata
l’immagine del quadro L'heureux donateur di René Manritte.
Momento di chiusura
La conduttrice fa una breve sintesi di quanto emerso nel corso dell’incontro e scrive
una frase sul cartellone dei “Pensieri in movimento”:
“- Come possiamo fare qualcosa di impossibile? –
91
92
La fiaba “Alba” è stata scritta dalla conduttrice ed è attualmente inedita.
Zipes, 2005, pagg. 181-182
Pag. 110 di 195
- Con entusiasmo. -” (Paulo Coelho93).
Saluti: “Ciao e buona continuazione di viaggio!”.
3.3.3 Terzo incontro: il viaggio
In questo incontro si è affrontato ancora il tema del desiderio. Si è parlato di ostacoli e
di strategie per superarli. I ragazzi sono stati incoraggiati a scoprire ciò che è davvero
importante nel viaggio che ciascuno di noi compie: partire e viaggiare. L’approdo è solo
una sosta, un nuovo punto di partenza.
Momento iniziale
Recupero della metafora del viaggio: “Dunque cerchiamo la nostra isola sconosciuta,
ma proprio perché è sconosciuta non esiste un percorso, un itinerario già scritto da
seguire.”
Ascolto della canzone “L’isola non trovata” di Francesco Guccini (testo tratto dalla
poesia “La più bella” di Guido Gozzano, 1913). Se disponibile la lavagna LIM, verrà
proiettata l’immagine di una mappa marittima con isola e il testo della canzone.
Momento di ascolto
La conduttrice legge la prima parte del testo de Il racconto dell’isola sconosciuta di
Josè Saramago (1998) (fino a quando l’uomo ottiene la barca e la donna delle pulizie esce
dalla porta delle decisioni, pag 12). Il testo viene introdotto riprendendo il gioco dell’uomo
che cerca un equipaggio: “Possiamo partire con una persona che non conosciamo e di cui
non sappiamo nulla? Leggiamo dunque la storia dell’uomo che voleva una barca per
cercare l’isola sconosciuta.”
Momento creativo/di riflessione
“Cosa chiedereste al re?” Ogni ragazzo risponde a questa domanda su una apposita
scheda, poi scrive un breve racconto/dialogo in cui descrive le difficoltà che pensa di
incontrare, le obiezioni che il re solleverà e come lui pensa di poter superare questi
ostacoli94. La conduttrice sottolineerà che la richiesta al re verrà presentata quel giorno
stesso, devono dunque chiedere qualcosa che desiderano ricevere e di cui possono
usufruire nel presente.
93
94
Coelho, 1998, pag. 210
Liberamente tratto da Batini, Giusti, 2008, pag. 162
Pag. 111 di 195
Momento di scambio
I ragazzi sono invitati a condividere con gli altri quanto hanno scritto. Come sempre,
nessuno è obbligato a farlo, ma chi vuole può leggere ad alta voce il proprio testo o
chiedere alla conduttrice di farlo al posto suo. Viene incoraggiato il dialogo e la
discussione: è possibile commentare (in modo costruttivo!) quanto scritto dai compagni.
Momento di chiusura
La conduttrice racconta/legge la parte restante del testo de Il racconto dell’isola
sconosciuta di Josè Saramago (1998). Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata
l’immagine della caravella “Isola Sconosciuta”.
La conduttrice scrive una frase sul cartellone dei “Pensieri in movimento”:
“L’Isola Sconosciuta prese infine il mare, alla ricerca di sé stessa” (Josè Saramago95)
Saluti: “Ciao e buona continuazione di viaggio!”.
3.3.4 Quarto incontro: restituzione
Questo incontro, previsto come più breve dei precedenti, voleva essere un momento di
“restituzione”: restituzione da parte della conduttrice verso i ragazzi e viceversa. La lettura
della fiaba serviva ad aggiunge al percorso fatto una “lieve” riflessione sul valore della
perseveranza. In realtà leggere le frasi sul cartellone e discuterle insieme ha impegnato
molto più tempo del previsto e l’incontro ha avuto la stessa durata dei primi tre.
Momento iniziale
Saluti e recupero della metafora del viaggio (come procede la navigazione?). La
conduttrice proietta sulla LIM, se disponibile, o scrive alla lavagna la frase: “C’è un tempo
in cui credi che il sogno dell’isola riguardi un approdo, e un altro in cui scopri che è invece
partenza.” (Stefania Mola96) Viene lasciato un po’ di spazio perché chi vuole possa fare
commenti, domande, osservazioni sul percorso fatto.
Spiegazione di come si svolgerà l’incontro.
Lettura delle frasi sul cartellone dei “Pensieri in movimento” e scambio
95
96
Saramago, 1998, pag. 29
Dal sito: http://squilibri2.wordpress.com/2008/10/11/lisola-sconosciuta/#more-731
Pag. 112 di 195
La conduttrice legge le frasi che i ragazzi hanno scritto sul cartellone nei giorni
passati. L’autore della frase può, se vuole, spiegare perché l’ha scelta e cosa voleva dire,
poi i ragazzi sono liberi di commentarla e dire la propria opinione. La conduttrice fa da
moderatrice, cercando di intervenire solo per aiutare gli alunni ad esprimere le proprie idee
e pensieri o per dare spunti di riflessione.
Momento di ascolto
La conduttrice legge la fiaba “Tranquilla Piepesante” 97. Se disponibile la lavagna LIM,
verrà proiettata l’immagine della tartaruga (disegno tratto dal libro).
Questionario
La conduttrice chiede ai ragazzi di compilare una breve scheda di valutazione del
laboratorio e consegna all’insegnante un breve questionario. L’insegnante, se preferisce,
potrà compilare il questionario anche in un secondo tempo.
Momento di chiusura
La conduttrice consegna ad ogni ragazzo un libretto in cui saranno state raccolte le
schede da lui compilate, i testi delle canzoni ascoltate e i riferimenti ai brani letti.
Ringraziamenti e saluti.
3.4 I soggetti
Il laboratorio è stato svolto in tre classi terze di due scuole secondarie di primo grado:
due
classi della scuola A. Gramsci di Grugliasco, che per ragioni di riservatezza
chiameremo 3° T e 3°V, ed una della scuola P. Palmieri di Torino, che indicheremo come
3°Z, coinvolgendo complessivamente 64 ragazzi.
Gli incontri si sono svolti separatamente nelle singole classi e vi hanno preso parte le
rispettive professoresse di lettere, a cui era stato preventivamente consegnato il progetto
del laboratorio con la descrizione delle attività che sarebbero state svolte.
La scuola di Grugliasco si colloca in un contesto suburbano, in una zona tranquilla.
Nelle classi sono presenti alcuni ragazzi stranieri: nella 3° T una ragazza marocchina, nella
3° V una ragazza marocchina, una rumena ed una di origine tunisina. L’atmosfera in classe
97
Tratta dal libro Fiabe e favole di Ende Michael (2004)
Pag. 113 di 195
è relativamente tranquilla. I ragazzi salutano educatamente chi entra in aula, in 3° V la
prima volta che la conduttrice è entrata in aula si sono anche alzati in piedi.
La professoressa della 3° T descrive la sua classe (composta da ventidue alunni, dieci
femmine e dodici maschi) come tranquilla, non particolarmente brillante né molto unita.
Ritiene i ragazzi e le ragazze ancora molto infantili.
La professoressa della 3° V (composta da ventidue alunni, tredici femmine e nove
maschi) parla dei suoi alunni con orgoglio: a suo parere è la classe migliore della scuola, i
ragazzi sono svegli, educati, partecipano attivamente alle attività, sono in grado di
affrontare anche argomenti più complessi. Si tratta di una classe molto unita.
La scuola di Torino si trova in una zona molto frequentata, vicino al nuovo tribunale,
piena di uffici. Non si tratta di un quartiere popolare, ma neppure di un quartiere di lusso.
Nella classe ci sono due ragazzi di origine rumena.
La professoressa descrive la 3° Z (composta da venti alunni, otto femmine e dodici
maschi) come una classe difficile, soprattutto perché i ragazzi sono sempre piuttosto
“agitati”: chiacchierano in continuazione, si alzano dal posto, si prendono in giro. In
particolare, un gruppetto di tre ragazzi disturba continuamente il resto della classe con
scherzi e risatine. Nei due anni precedenti era presente in classe un ragazzo, che ora sta
ripetendo la classe seconda, particolarmente disturbato e disturbante. La sua assenza ha
migliorato un po’ l’atmosfera in classe, anche se il gruppetto di cui sopra ne ha accolto in
un certo senso “l’eredità”. La scorsa primavera è morto improvvisamente il padre di uno
degli alunni, che non ha ancora elaborato il lutto ed è spesso agitato, a volte parla o canta
da solo durante le lezioni, oppure si alza dal posto senza motivo.
Pag. 114 di 195
CAPITOLO QUARTO
4 REALIZZAZIONE E VERIFICA DEI RISULTATI
Il laboratorio si è svolto nel mese di Novembre 2011. Gli incontri hanno avuto
cadenza settimanale.
Prima di iniziare, la conduttrice ha incontrato, separatamente, le tre insegnanti
coinvolte per spiegare loro gli obiettivi, le attività programmate e le modalità di
svolgimento del laboratorio e per avere informazioni utili sulla classe e sui ragazzi.
Gli incontri si sono svolti nelle tre classi secondo le modalità previste dal progetto.
Nella scuola di Grugliasco è stato possibile utilizzare la LIM per tutti gli incontri, mentre
in quella di Torino solo per i due centrali (il secondo ed il terzo).
Nel prossimo paragrafo viene analizzato l’andamento globale del laboratorio ed i
principali elementi emersi, mentre in quello successivo sono valutati gli esiti dell’intero
processo.
4.1 Verifica della qualità del processo
L’analisi che segue è basata sulle osservazioni svolte dalla conduttrice, raccolte nel
diario compilato al termine di ogni incontro, e sul materiale emerso durante le attività
svolte98.
Il laboratorio è stato realizzato seguendo le indicazioni delineate nel progetto iniziale.
Le attività previste, i testi da leggere o raccontare, i tempi ipotizzati sono stati in linea di
massima rispettati. I ragazzi sono stati coinvolti, interessati, hanno partecipato e contribuito
notevolmente allo svolgersi degli incontri, come testimonia il materiale raccolto e descritto
di seguito in questo paragrafo. La metafora del viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta
ha fatto da filo conduttore, fornendo una struttura di base e numerosi spunti di riflessione.
Le insegnanti sono state parte attiva nel processo, soprattutto nel ruolo di osservatrici
ma talvolta anche intervenendo direttamente, facendo domande ai ragazzi o
commentandone le osservazioni. Se qualche volta la conduttrice ha dovuto mitigare la loro
insistenza nel voler sentire il parere di tutti gli allievi (il patto era che condivideva i propri
pensieri solo chi si sentiva di farlo), la loro conoscenza degli allievi e delle dinamiche
98
Per una esposizione schematica dei principali elementi emersi dall’analisi delle schede compilate dai
ragazzi vedere l’allegato B.
Pag. 115 di 195
interne alla classe è stata una risorsa preziosa, sia in fase di avviamento del progetto sia in
alcune situazioni createsi nel corso dei dibattiti più accesi, in particolare quando si è
discusso dei problemi relazionali interni ad alcune classi.
Il livello di partecipazione alle proposte e alle attività del progetto è stato alto in tutti
gli incontri. I ragazzi hanno dimostrato curiosità ed interesse. La maggior parte di loro ha
saputo cogliere l’occasione per esprimersi, per fare sentire la propria voce. Tuttavia in ogni
classe ci sono stati alcuni alunni (due o tre per sezione), che hanno parlato solo se
sollecitati, spesso con difficoltà, si sono isolati e hanno faticato a compilare le proprie
schede. L’impressione è stata che il problema non fosse semplice timidezza, ma piuttosto
una sorta di disinteresse basato sulla sfiducia, in sé prima di tutto, e sulla rinuncia. La
conduttrice ha più volte tentato di coinvolgerli, sia rivolgendosi direttamente a loro
direttamente durante i momenti di condivisione, sia parlando con loro singolarmente
sottovoce, in “privato”, mentre compilavano le schede. Il tempo a disposizione per il
laboratorio non era sufficiente a prevedere attività specifiche mirate a coinvolgerli, né ad
organizzare alcune attività in gruppi più piccoli.
Il clima interno a ciascuna classe ha influenzato l’andamento degli incontri, in
particolare la maggiore o minore disponibilità dei ragazzi a leggere i propri scritti, esporre
le proprie idee, mettersi in gioco.
La lettura dei brani ed il racconto della fiaba sono stati accolti sempre con curiosità e
seguiti in silenzio e con attenzione, in tutte e tre le classi. Anche i ragazzi più turbolenti e
agitati hanno ascoltato senza disturbare, senza distrarsi, fare commenti o risatine
inopportune. Le due fiabe proposte contenevano, come spesso accade, eventi che si
presentavano più volte, frasi ripetute come una sorta di filastrocca, che alcuni ragazzi
hanno subito fatto proprie e ripetuto insieme alla conduttrice. Non tutti hanno gradito
questi momenti o il contenuto di quanto letto, come testimoniano alcune dichiarazioni da
loro fatte nei questionari finali, ma il fascino del racconto, dell’ascoltare una storia ha
creato ogni volta un’atmosfera particolare.
Compilare le schede è stato per tutti i ragazzi il momento più impegnativo, non tanto
per difficoltà legate allo scrivere un testo, pur presenti in alcuni casi, ma soprattutto perché
si trattava di parlare di sé stessi, di svelare pensieri molto personali, come l’immagine di
sé, i propri desideri e bisogni. Poiché la conduttrice ha da subito assicurato che nessuno
sarebbe stato obbligato a leggere in pubblico il suo scritto e di fatto così è stato, la
difficoltà riscontrata non è esclusivamente legata allo svelarsi agli altri, ma forse riguarda il
Pag. 116 di 195
guardarsi dentro, il rivelarsi a sé stessi. Anche il sapere che un adulto (la conduttrice)
avrebbe successivamente letto le schede può avere suscitato un senso di disagio, il timore
del giudizio.
La scheda del messaggio nella bottiglia, su cui ognuno doveva descrivere i propri lati
positivi, le proprie capacità e doti, è stata quella che ha creato meno problemi: tutti l’hanno
compilata, alcuni con un po’ di difficoltà, magari dichiarando di non saper cosa scrivere o
tracciando pochissime righe sul foglio. Nonostante questo, come vedremo nell’analisi del
materiale emerso, le descrizioni sono rimaste a livello superficiale, si sono limitate ad una
ridottissima descrizione fisica (spesso assente) e ad un elenco di sport praticati o di
caratteristiche generiche come la simpatia.
Neppure la scheda dei bagagli ha comportato troppi problemi. Anche se hanno dovuto
compilarla a casa praticamente tutti i ragazzi l’hanno consegnata, a testimonianza del fatto
che l’attività li ha interessati.
La scheda dei tre desideri ha invece creato un po’ di difficoltà in tutte le classi. Alcuni
ragazzi si sono limitati ad esprimerne uno o due, oppure hanno fatto richieste generiche,
vaghe.
La scheda del re, infine, è quella che più ha messo in crisi i ragazzi. Dovevano fare
una richiesta al re, una sola richiesta che doveva essere riferita al presente: il re poteva
esaudirli ora, non nel futuro. Mentre esprimere i desideri di fronte al genio della lampada
aveva un sapore di magico e remoto, con la petizione al re si è scesi più nel concreto, nel
qui ed ora. Molti ragazzi si sono lamentati di non sapere cosa scrivere, in particolare nella
3° Z della Palmieri per i primi cinque minuti pochissimi sono riusciti a scrivere qualcosa e
la conduttrice ha dovuto incoraggiare, stimolare, suggerire, passando tra i banchi e
parlando a volte con i singoli alunni.
La fatica e le resistenze emerse nella compilazione delle schede testimonia che le
attività proposte sollecitavano riflessioni forse non familiari per i ragazzi o comunque
ponevano domande a cui essi non avevano ancora saputo rispondere. D’altra parte,
l’interesse ed il trasporto con cui la maggior parte di loro ha partecipato al momento di
scambio e confronto, le vivaci discussioni che si sono accese affrontando alcuni argomenti,
dimostrano che le resistenze incontrate nella compilazione dei testi non erano legate a
disinteresse o noia, ma a reali difficoltà.
Pag. 117 di 195
Mentre i ragazzi compilavano le schede in sottofondo è stata sempre messa una
musica diversa, utile per creare un clima disteso, favorire la concentrazione e scoraggiare i
chiacchieroni.
Avere uno spazio per parlare di sé di fronte agli altri, per esprimere la propria
opinione e per ascoltare i pensieri dei compagni è stato certamente uno degli aspetti del
laboratorio che maggiormente ha coinvolto i ragazzi. La conduttrice ha cercato di creare
un’atmosfera in cui ogni idea, ogni pensiero potesse essere accolto con rispetto e
attenzione. L’importante era il confronto, lo scambio. Poiché uno degli obiettivi era quello
di consentire ai ragazzi di esprimersi si è lasciato spazio anche ad argomenti non
strettamente pertinenti ma evidentemente di loro interesse, come ad esempio nella 3° T
quando nel primo incontro si è affrontato il tema dell’eccessiva competizione oggi presente
in alcuni sport.
I ragazzi erano inizialmente un po’ imbarazzati, restii a svelarsi e parlare di sé, ma
gradualmente si sono aperti, soprattutto nell’ultimo incontro, quando sono state lette le
frasi scritte sul cartellone dei “Pensieri in movimento”. All’inizio del primo incontro la
conduttrice aveva spiegato cos’era e a cosa serviva il cartellone, ma negli incontri
successivi più volte si è trovata a rispiegarlo e le professoresse hanno dovuto sollecitare i
ragazzi a scriverci sopra. La maggior parte delle frasi sono comparse tra il terzo ed il
quarto incontro. Anche se molte erano frasi tratte da canzoni o da internet o da agende,
tuttavia erano state scelte da loro, che alla fine non vedevano l’ora di leggere tutti insieme.
Il dibattito dell’ultimo incontro è stato molto interessante in tutte e tre le classi: si sono
affrontati temi cari ai preadolescenti, come l’amore, l’amicizia, la vita e la morte, il tempo
che si declina in passato, presente e futuro. Nelle due classi in cui i rapporti tra compagni
non sono sereni ma presentano tensioni ed a volte conflitti, è venuto naturale affrontare
questo problema ed i ragazzi hanno avuto modo di spiegare i propri diversi punti di vista,
di evidenziare le ragioni del malumore e di cercare insieme delle possibili soluzioni.
Nel secondo e terzo incontro gli alunni sono stati invitati ad ascoltare una canzone,
rispettivamente L’isola che non c’è di Bennato e L’isola non trovata di Guccini. Si trattava
di testi per loro “antichi”, la canzone di Bennato molti la conoscevano, quella di Guccini
nessuno l’aveva mai ascoltata. Nonostante questo le hanno accolte con interesse,
soprattutto la prima, forse perché la melodia è più vicina ai loro gusti musicali. La
proiezione del testo sulla LIM ha aiutato molto a catturare la loro attenzione.
Pag. 118 di 195
Infine, al termine dell’ultimo incontro, la consegna ad ogni ragazzo del libretto creato
apposta per lui, in cui erano stati inseriti i testi da lui prodotti, è stato un momento bello di
riconoscimento e restituzione da parte della conduttrice. I ragazzi lo hanno apprezzato
molto.
Nel complesso il laboratorio si è quindi svolto in modo soddisfacente, le attività
previste sono state realizzate nei tempi e nelle modalità indicate sul progetto. I ragazzi
sono stati stimolati a riflettere e a confrontarsi su argomenti che li riguardano direttamente.
Le professoresse presenti hanno potuto osservare ed ascoltare i loro alunni da un diverso
punto di vista.
Dall’esperienza vissuta come conduttrice di questo laboratorio ho imparato molto, sia
in termini di competenza relazionale, per esempio saper intuire il momento giusto per
intervenire e i contenuti da portare, sia in termini di progettazione del percorso e di
gestione delle singole attività.
Analizziamo ora più nel dettaglio gli elementi emersi nell’ambito dei diversi incontri.
Messaggio nella bottiglia
La consegna era di descriversi nel miglior modo possibile, evidenziando le proprie
qualità, capacità, caratteristiche positive, affinché chi avesse raccolto la bottiglia fosse
invogliato ad andare a salvarli. In realtà pochi hanno saputo dare un’immagine davvero
positiva di sé, tanto che alcuni hanno sentito la necessità di promettere una ricompensa in
cambio dell’aiuto ricevuto, mentre altri hanno parlato esplicitamente anche di alcuni propri
difetti.
I messaggi riflettono sia l’immagine che i ragazzi hanno di sé stessi, sia il clima
presente nella classe: dove maggiori erano le tensioni e i dissapori maggiore è stata anche
la paura di esporsi. Questo fenomeno si evidenzia in particolare riguardo l’aspetto fisico,
argomento delicato e di grande interesse in preadolescenza99. Nella classe 3° V della
Gramsci, in cui il clima è più disteso e amichevole, molti hanno elencato alcune delle
proprie caratteristiche fisiche e, anche se una sola ragazza si è descritta come carina nello
scritto, durante il dibattito ogni ragazza parlando delle compagne le definiva “carine” o
“belle”, ma se a sua volta veniva definita tale negava e si schermiva.
99
“Il rapporto con il proprio corpo rappresenta il problema centrale e dà l’impronta all’insieme degli eventi
anche psicologici che si compiono nel soggetto, sia nelle condizioni fisiologiche sia nella patologia.
L’attenzione al corpo è, di conseguenza, primaria per il ragazzo ed è rinforzata dall’ambiente esterno, che ne
percepisce la crescita e gli rimanda un’immagine di sé modificata.” (Marocco Muttini, 2007, pag. 3)
Pag. 119 di 195
Nella classe 3° T quasi tutti hanno inserito nel messaggio una qualche descrizione del
proprio corpo, ma nel dibattito l’argomento non è mai stato sfiorato: nessuno ha fatto
commenti né in positivo né in negativo, né sul proprio aspetto né su quello degli altri.
Infine, nella classe 3° Z della Palmieri, in cui i conflitti interni sono molto sentiti, sono
stati di più i maschi a parlare del proprio fisico, principalmente per evidenziarne la
prestanza, utilizzando aggettivi quali “forte”, “atletico”, “alto”, “agile”. Nessuno ha fatto
commenti sull’aspetto fisico delle ragazze (neppure le altre ragazze), che invece hanno
definito “carini” due ragazzi, tra risatine e imbarazzi.
Quando parlano dell’aspetto fisico, le ragazze sembrano dunque dare importanza
all’estetica, all’essere carine. Desiderano essere belle, ma spesso non si piacciono o non si
sentono sicure si sé stesse. Dicendo delle proprie compagne “è bella!” in qualche modo
esprimono il desiderio di essere a loro volta rassicurate su questo aspetto, ma tutto ciò è
possibile solo in un ambiente in cui si sentono a proprio agio, tra amici, altrimenti
l’argomento non viene neppure sfiorato.
I ragazzi invece sembrano apprezzare del proprio corpo maggiormente le abilità, le
capacità fisiche e, specialmente in un ambiente in cui si respira tensione e a tratti ostilità,
fanno sfoggio delle proprie doti.100
In ogni caso, in tutte e tre le classi le doti maggiormente gradite per sé stessi e nei
propri compagni sono state la simpatia, il saper far ridere o consolare, la generosità, cosa
che evidenzia l’importanza dell’ambito relazionale per i preadolescenti, sia maschi che
femmine. Raramente nel definirsi hanno parlato di intelligenza, dote che veniva
riconosciuta ai compagni solo in base ai meriti scolastici. Molto ammirata è parsa
l’indipendenza, il saper ragionare con la propria testa, doti che però sono riconosciute
quasi esclusivamente negli altri e desiderate per sé stessi. L’onestà è una caratteristica che
è stata valutata positivamente in particolare nella classe 3° Z della Palmieri.
Quando la conduttrice esortava a spiegare cosa intendevano per generosità, onestà e
attenzione agli altri, le spiegazioni che i ragazzi davano erano sempre legate al ristretto
ambito della classe o degli amici: è generoso chi aiuta i compagni nei compiti o condivide
la merenda, l’attenzione agli altri si manifesta nel saperli ascoltare quando sono in crisi,
l’onestà è dire quello che si pensa, non essere falsi.
100
“I maschi risultano ancora più bambini, meno profondi e ragionatori, più impegnati ad acquisire abilità di
movimento e controllo delle energie.” (Marocco Muttini, 2007, pag. 7)
Pag. 120 di 195
I bagagli
Esaminando il “contenuto” dei sacchi della vita personale che i ragazzi hanno
preparato per il viaggio si rilevano alcune differenze tra quelli dei maschi e quelli delle
femmine. Le ragazze hanno scelto prevalentemente di portare con sé oggetti legati alla
sfera famigliare, affettiva: foto, pupazzi, il proprio letto, armadio, cuscino, diario segreto,
vestiti. Per i ragazzi, invece, l’ambito personale sembra coincidere maggiormente con il
tempo libero, il divertimento, le amicizie: hanno infatti privilegiato oggetti come il
computer, il cellulare, la televisione e i videogiochi. Dalle loro scelte emerge inoltre un
certo senso pratico, una maggiore concretezza: cibo, acqua, razzi di segnalazione, armi,
bussola, materie prime o soldi possono essere certamente utili durante un viaggio in mare,
anche se non sono realmente oggetti personali.
Probabilmente l’attività del messaggio nella bottiglia svolta nell’incontro precedente,
mettendo in evidenza la possibilità di un naufragio, ha influenzato alcune delle loro scelte,
come per esempio quella di portare del cibo per sopravvivere. Tuttavia è possibile che il
bisogno di assicurarsi il nutrimento possa essere un riflesso del bisogno di affetto e
accudimento di cui in fondo sentono ancora la necessità.
L’idea di partire per un lungo viaggio, lasciare la propria casa, i propri affetti e
sperimentare la propria autonomia sembra nello stesso tempo affascinare e spaventare i
ragazzi.
Il fatto che le ragazze sentano più forte la necessità di portare con sé parti del proprio
presente, ricordi della propria famiglia, potrebbe indicare una minore autonomia e
indipendenza rispetto ai compagni maschi. Potrebbe però anche dimostrare una maggiore
attenzione a quegli aspetti della propria vita legati alla costruzione dell’identità (infanzia,
passato, famiglia, danza, amici). Al contrario i ragazzi paiono maggiormente proiettati
verso l’esterno e verso le attività ludiche, in particolare videogiochi, televisione, sport.
Nel riempire i “sacchi della vita scolastica” i ragazzi non hanno dimostrato particolare
fantasia o interesse: vi hanno inserito poche cose, quasi esclusivamente tipico materiale
d’uso come i quaderni, le penne, i fogli. Qualcuno ha preso con sé il libro di geografia o le
cartine geografiche, utili per la navigazione. Uniche eccezioni: due ragazze della 3° V della
scuola Gramsci che hanno scelto di portare foto e dediche dei compagni, oggetti
appartenenti alla sfera affettiva e relazionale, ed una ragazza della 3° T, che ha scelto di
Pag. 121 di 195
portare la chitarra, oggetto che richiama alla mente il canto, l’allegria di stare insieme ai
coetanei.
Nonostante lo scarso interesse dimostrato per questo “sacco”, alcuni hanno scelto il
proprio oggetto più importante al suo interno, principalmente per poter scrivere e
documentare il proprio viaggio.
Che ruolo ha la scuola nella vita dei ragazzi che hanno partecipato al laboratorio?
Certamente non è sufficiente questo semplice esercizio per capirlo. Tuttavia la sensazione
che se ne ricava è che in essi manchi ancora la consapevolezza di quanto la scuola può dare
loro, di quanto sia importante quello che vi imparano e le esperienze che essa offre. La
scuola come “dovere”, il sapere come zavorra da mettersi sulle spalle o sotto i piedi per
poter salire i gradini della vita, piuttosto che come strumento per crescere, per maturare,
acquisire capacità e competenze, sono solo per saper fare ma anche per “divenire”. Questo
può essere un problema dal momento che tra meno di due mesi dovranno scegliere come
proseguire i propri studi.
Relativamente agli interessi, nei sacchi delle ragazze troviamo molta tecnologia:
musica, cellulari, televisione, computer, macchina fotografica. I libri sono citati solo da
una ragazza nella 3° T, così come anche nella 3° V, mentre nella 3° Z della Palmieri li
troviamo inseriti in quattro sacchi e “battono” il cellulare, che compare solo due volte. Un
certo successo hanno anche le scarpe da danza, che è un interesse condiviso da alcune
ragazze della 3° V della scuola Gramsci. Se si esclude la chitarra indicata da una ragazza
della 3° T, gli oggetti inseriti rimandano tutti ad attività che si svolgono da soli oppure
permettono di mantenere il contatto con gli amici in modo virtuale (computer) o a distanza
(cellulare).
I sacchi degli interessi dei ragazzi non sono molto diversi da quelli delle loro
coetanee, solo contengono più spesso oggetti legati ad uno sport (quasi sempre il calcio,
ma troviamo anche una canna da pesca ed un fucile da caccia) o al gioco (videogiochi,
gioco delle costruzioni).
Pag. 122 di 195
La lampada di Aladino e i tre desideri
“Hai trovato la lampada di Aladino, l’hai strofinata ed ora il genio è davanti a te. Puoi
esprimere tre desideri! Puoi chiedere qualunque cosa tu voglia, eccetto che di resuscitare i
morti, costringere qualcuno a fare cose o provare sentimenti che non sono suoi, uccidere,
ferire o fare del male ad altri.” Di fronte a questo invito a giocare con l’immaginazione i
ragazzi, in tutte e tre le classi, si sono mostrati imbarazzati, confusi e con poche idee. “Non
so cosa chiedere!”, “Cosa devo dire?”, “E’ giusto se chiedo…” sono state le esclamazioni
più frequenti.
Prima di proporre questa attività la conduttrice aveva raccontato una fiaba, la cui
protagonista aveva un forte desiderio: viaggiare per poter vedere posti nuovi e conoscere
nuove storie. Un cavallo magico l’aiutava a realizzarlo.
Alla fine tutti hanno espresso le loro richieste, anche se con un po’ di fatica, evidente
soprattutto nella classe 3° Z della scuola Palmieri, dove il clima di gioviale presa in giro
che domina tra i maschi della classe ha reso più difficile per alcuni di loro esporsi
rivelando i propri desideri.
Una buona percentuale degli alunni ha chiesto la pace e/o la giustizia nel mondo. In
una classe sette ragazze su undici hanno espresso questo desiderio. Nel dibattito si è
cercato di approfondire l’argomento, stimolando i ragazzi a descrivere un mondo realmente
giusto e soprattutto a riflettere su cosa ciascuno può fare per contribuire a renderlo tale,
portando il discorso da un livello astratto (giustizia nel mondo) ad un livello concreto e
vicino (giustizia qui ed ora anche perché possa esserci più giustizia nel mondo).
Il desiderio di un mondo più equo e accogliente per tutti ha origine forse in un
nascente senso sociale, ma più probabilmente è legato al bisogno di sentirsi buoni, di dare
un’immagine positiva di sé, non accompagnato però ancora da un concreto proposito di
azione.
Forse influenzati in parte dalla fiaba ascoltata, alcuni hanno chiesto di poter viaggiare,
nel mondo o nell’universo, esplorando nuovi pianeti. Altri hanno chiesto di avere il potere
di volare, per andare in tutto il mondo, per osservare cose mai viste, oppure semplicemente
per provare l’emozione di andare sospesi.
I desideri per il proprio futuro hanno riguardato in alcuni casi la professione (diventare
avvocato, ingegnere, archeologa,…) ma più spesso sono stati molto generici: avere una
vita senza complicazioni, un futuro felice, realizzarsi, diventare famoso.
Pag. 123 di 195
Tra le ragazze è diffuso il sogno di diventare una ballerina famosa o una star, tra i
ragazzi di avere successo come calciatori, per guadagnare molti soldi divertendosi.
Soprattutto tra i maschi è frequente infatti il desiderio di essere ricco o di possedere oggetti
che rimandano all’idea di benessere (una Ferrari, una villa) e di conseguenza di potere. Un
ragazzo ha chiesto di diventare Dio.
L’immortalità è il desiderio espresso in tutto da sette ragazzi e due ragazze. Solo nella
classe 3° Z della scuola Palmieri, dove si trova il ragazzo che da poco ha perso il padre, in
due hanno allargato la propria richiesta anche alle persone amate.
L’importanza dell’ambito relazionale e del rapporto con i pari emerge nel desiderio di
avere amici, addirittura di andare a vivere con loro, oppure di essere belli e simpatici.
Nella 3° T due ragazze ed un ragazzo hanno dichiarato di non volere nulla dal genio in
quanto vogliono costruirsi da soli il proprio futuro oppure, per una ragazza, hanno già
quello che desiderano.
In generale, i desideri espressi al genio pur mostrando una discreta varietà di
contenuti, di idee e di interessi, rivelano l’immaturità che si nasconde dietro i tentativi che i
ragazzi fanno per apparire già grandi. La loro visione del futuro è ancora vaga, come di un
sogno lontano: non emergono idee e propositi concreti, progetti da realizzare, obiettivi
definiti a cui mirare nel definire un percorso.
Il bisogno di autonomia, di crescere emerge tuttavia sotto diverse forme, dal rifiuto
dell’aiuto del genio, al voler volare, viaggiare nello spazio, nell’universo alla ricerca di
quanto ancora è ignoto. In generale i maschi appaiono più pratici e forse più spontanei, ma
spesso ancora legati al mondo dei giochi, dei film, telefilm e fumetti.
La proiezione dell’immagine del quadro “L'heureux donateur” di René Magritte ha
consentito, in tutte le classi, di affrontare l’argomento dei sogni e delle utopie, della loro
fondamentale importanza come motori che spingono in avanti il progresso, che sollecitano
a fare e migliorare non solo l’umanità nel suo complesso, ma anche ogni singolo individuo.
Può essere interessante notare che solo un ragazzo tra tutti sapeva il significato della
parola “utopia”.
Il re
Scrivere la petizione al re ha avuto lo scopo di calare più nel presente il discorso del
desiderio, già affrontato nell’incontro precedente, e di introdurre il tema dell’impegno
Pag. 124 di 195
necessario per realizzarlo. Il mandato era di preparare una richiesta da portare al re quel
giorno stesso e di immaginare un modo per convincerlo ad esaudirla.
L’esercizio è risultato difficile per tutte le classi, ma in particolare per la 3° Z della
Palmieri, dove più della metà degli alunni non ha saputo scrivere nulla finchè non è
intervenuta la conduttrice che li ha stimolati, incoraggiati, dato loro suggerimenti ed in
alcuni casi fatto degli esempi.
Nonostante le istruzioni date insistessero molto sul fatto che la richiesta sarebbe stata
esaudita nel presente, alcune domande sono risultate anacronistiche o infantili: sposare il
principe, avere una macchina (non possono ancora guidarla), possedere la base spaziale
della NASA.
Nella 3° della Gramsci la maggior parte degli alunni ha chiesto ricchezze, mentre nelle
altre due classi poter viaggiare è la domanda che ha riscosso maggior successo.
Un certo numero di ragazzi ha chiesto di poter possedere degli oggetti, di solito
scegliendo tra quelli che maggiormente simboleggiano il benessere e la moda: un I-phone,
una villa per dare feste, una Ferrari.
Due ragazzi hanno chiesto di avere uno scudo e la spada, uno dei due spiegando che
vorrebbe usarla per combattere i draghi. In effetti i draghi che un adolescente affronta per
diventare adulto sono davvero impegnativi da sconfiggere!
Un solo ragazzo ha chiesto di avere un castello, anzi proprio il castello del re, il quale
re può essere simbolo della figura genitoriale e volerne il castello può indicare il desiderio
di assumere il ruolo adulto, diventare a propria volta capo del castello, diventare
“comandante” di sé stesso.
Un alunno della 3° Z della Palmieri (uno dei più agitati), ha desiderato di avere più
campi da calcio in città, esprimendo così un bisogno concreto, reale ed attuale.
Ancora una volta dal materiale raccolto emerge l’immagine dell’adolescente confuso
di fronte a sé stesso, diviso tra il mondo dell’infanzia e l’essere adulto. La consapevolezza
di sé nel presente, delle proprie capacità e opportunità, dell’importanza delle proprie scelte
e delle conseguenze che ne derivano è ancora vaga, nebbiosa. Il livello di maturità varia da
soggetto a soggetto, ma tutti condividono il disagio di voler essere grandi, di sentirsi non
più bambini e non ancora adulti. Vorrebbero partire per il viaggio della vita, ma non sanno
da che parte andare, non sanno di cosa hanno bisogno né di cosa già dispongono. Si
sentono come viaggiatori in attesa sul molo, incerti su quale nave salire, confusi sulle rotte
da seguire e, in fondo, con un vago timore di non saper navigare. In realtà sono già in
Pag. 125 di 195
viaggio, sono già ognuno in piedi sulla propria nave che cercano di scrutare l’orizzonte per
vedere dove stanno andando, senza però sapere ancora usare il timone.
Riguardo ai metodi usati per convincere il re ad esaudire la propria richiesta, i ragazzi
hanno mostrato una discreta fantasia. La consegna era di trovare argomenti e spiegazioni
che potessero persuadere il re a concedere il proprio aiuto. Alcuni hanno semplicemente
insistito finché il re non ha ceduto per “sfinimento” (una ragazza ha dichiarato che è il
metodo che usa anche con sua mamma), altri hanno offerto servigi o doni in cambio di
quanto chiesto, altri hanno argomentato la propria petizione, altri ancora hanno, infine,
usato metodi un po’ più “violenti”, quali il ricatto o le minacce. Spesso il re acconsentiva
ad esaudire le richieste purché il richiedente se ne andasse e promettesse di non farsi più
vedere.
Le argomentazioni addotte per convincere il re sono state molto generiche e vaghe, le
più frequenti sono state: “perché sarei felice”, “perché ne ho bisogno” o ancora “perché lo
desidero tanto”. Alcuni hanno fatto leva sul senso del dovere e sugli obblighi del sovrano,
che “deve” pensare alla felicità del suo popolo, altrimenti sarà chiamato “tirchio”. Le
richieste di viaggi (molto frequenti) hanno spesso trovato una giustificazione nella
possibilità di conoscere nuovi posti, popoli, usanze e di imparare meglio le lingue.
Riguardo ai ricatti e alle minacce, un ragazzo ha dichiarato di aver nascosto una
bomba nel castello e di essere pronto a farla esplodere, un altro ha promesso torture basate
sul solletico, una ragazza ha detto di essere pronta a rivelare alla regina tutti i tradimenti
del re, e così via.
Può essere interessante notare come il ricatto e la minaccia siano stati gli strumenti più
frequentemente utilizzati nella classe in cui le richieste di denaro sono state più numerose,
mentre nelle altre due classi hanno prevalso l’argomentazione e l’offerta di servigi.
Pag. 126 di 195
Il cartellone
Leggere le frasi che loro stessi avevano scritto sul cartellone dei “pensieri in
movimento” è stato il momento più entusiasmante e coinvolgente per i ragazzi, che si sono
sentiti protagonisti.
In entrambe le classi della scuola Gramsci le frasi erano davvero molte, a volte tratte
da canzoni o testi, ma spesso create dai ragazzi. Nella 3° Z della Palmieri sul cartellone le
frasi erano meno numerose e meno personali, probabilmente sempre a causa del clima
interno alla classe, che rende faticoso esporsi.
In tutte le classi il dibattito, la condivisione di idee e pensieri, il confronto svoltisi
durante la lettura dei “pensieri in movimento” sono stati accesi, sentiti, partecipati. I
ragazzi hanno saputo esprimere le proprie idee, convinzioni, ma anche ascoltare quello che
gli altri avevano da dire. Sollecitati da domande, a volta volutamente un po’ provocatorie,
che la conduttrice ha loro rivolto, si sono sforzati di capire e dare risposte, dimostrando in
alcuni casi una profondità di pensiero che negli altri incontri non era emersa. La
conduttrice si è limitata a dare pochi spunti, sotto forma di domande, e a fare da
moderatrice della discussione.
Gli argomenti affrontati sono stati suggeriti dai ragazzi tramite le frasi che avevano
scritto e le considerazioni espresse a voce durante l’incontro. In tutte le classi si è parlato
molto di amicizia e di amore, ma anche del tempo che passa, della necessità di dare una
direzione alla propria vita, dell’importanza dei sogni e dei desideri, della morte e
dell’eredità che ogni uomo lascia a chi rimane, ai discendenti. Nella 3° V della Gramsci ci
si è chiesti se la vita sia predeterminata, ossia esista un destino già scritto per ognuno di
noi, o se invece ognuno sia artefice della propria fortuna; ci si è impegnati in
considerazioni sull’importanza del passato, sul filo che lega passato-presente-futuro.
Sia nella 3° T della scuola Gramsci che nella 3° Z della scuola Palmieri, classi in cui
si riscontrano conflitti e dissapori interni, è stato affrontato il problema delle relazioni
interne alla classe. Gli alunni hanno avuto la possibilità di chiarire i diversi punti di vista e
di spiegarsi. In alcuni momenti la discussione ha assunto toni polemici e le rispettive
insegnanti sono intervenute per dare il loro contributo offrendo un punto di vista esterno,
anche se non neutro. Si è trattata di una buona occasione di confronto e verifica, che le
insegnanti volendo potranno riprendere e sviluppare ulteriormente in un secondo momento.
Pag. 127 di 195
Il punto di vista delle insegnanti
Al termine degli incontri è stato chiesto alle insegnanti di compilare un breve
questionario (il cui schema è riportato tra gli allegati) per la valutazione dello svolgimento
del laboratorio e dei risultati da esso raggiunti.
Le insegnanti hanno concordato sul fatto che il laboratorio sia stato utile per i ragazzi,
in quanto ha fornito loro l’opportunità di riflettere su aspetti della propria persona sui quali
raramente si soffermano.
Il laboratorio è stato giudicato coinvolgente, soprattutto perché ha utilizzato modalità
e strumenti diversi da quelli tradizionali. Tutti i ragazzi hanno partecipato. Secondo la
professoressa della 3° Z, della scuola Palmieri, anche gli alunni che di solito sono esclusi
dal gruppo hanno potuto essere ascoltati senza pregiudizi.
La libertà di rivelare o meno i propri aspetti più intimi ha fatto in modo che nessuno si
sentisse a disagio, anche se la professoressa della 3° Z ha rilevato tra i suoi allievi un po’ di
imbarazzo nel leggere le proprie riflessioni dovuto, a suo parere, alle dinamiche esistenti
all’interno della classe.
Le insegnanti hanno trovato interessante assistere agli incontri in quanto hanno potuto
osservare i ragazzi da un diverso punto di vista, cogliendone aspetti nuovi.
La conduzione del laboratorio è stata giudicata adeguata. Non sono state rilevate
carenze particolari, anche se la professoressa della 3° T ha suggerito di approfondire
maggiormente la parte riguardante le capacità di ciascuno e di affrontare anche il tema
delle paure personali.
I punti di forza del laboratorio sono stati identificati principalmente nell’ascolto, nella
lettura delle fiabe, nella possibilità del confronto senza giudizio e nell’aver affrontato temi
che sono cari agli adolescenti ma sui quali essi non riflettono quasi mai.
La professoressa della 3° Z ritiene che, potendo, sarebbe meglio svolgere il laboratorio
in un’aula vuota, senza troppa “scuola” intorno.
Pag. 128 di 195
4.2 Verifica dei risultati
Gli esiti del laboratorio In viaggio alla ricerca dell’Isola Sconosciuta possono essere
misurati da tre diversi punti di vista, a seconda degli attori che vi hanno preso parte: gli
alunni, le insegnanti e la conduttrice. Le considerazioni e i risultati riportati di seguito sono
basati sul materiale raccolto durante gli incontri e sulla rielaborazione dei questionari
compilati dai ragazzi e dalle insegnanti101.
Gli alunni
I principali obiettivi di questo laboratorio erano relativi al fornire ai ragazzi che vi
hanno preso parte strumenti utili per orientarsi e, in prospettiva, per imparare ad
autorientarsi. In particolare si voleva incoraggiare i ragazzi a guardare a sé stessi
riconoscendo i propri pregi e le proprie capacità, anche aiutati dallo sguardo dei compagni,
e farli riflettere sull’importanza di avere dei sogni, dei desideri e di impegnarsi per
realizzarli.
L’analisi del materiale emerso, fatta nel precedente paragrafo, rivela che negli scritti e
soprattutto nei dibattiti i ragazzi si sono trovati a riflettere su sé stessi, su aspetti della
propria personalità, sulle proprie aspettative e desideri per il presente e per il futuro. E’
altresì evidente come molti di questi argomenti non fossero stati da loro affrontati in
precedenza, se non ad un livello molto superficiale. Il laboratorio ha quindi dato loro la
possibilità di guardarsi dentro e intorno, si spera sollecitandone la mente e la coscienza
(non quella morale, ma quella legata alla consapevolezza di sé), dando il via ad un
potenziale svolgersi di successivi ragionamenti da farsi con sé stessi o con i genitori o con
gli insegnanti o, ancora, con amici e compagni.
Le risposte fornite dagli alunni nei questionari consegnati al termine dell’ultimo
incontro sembrano confermare queste impressioni.
Alla domanda “Cosa hai imparato da questo laboratorio?” le risposte sono state
leggermente differenti nelle tre diverse classi, come mostra il grafico riportato nella Figura
7102.
101
102
I questionari sottoposti ai ragazzi e alle insegnanti sono riportati nell’allegato C.
I dati riportati nel grafici seguenti sono espressi in percentuale (numero di alunni sul totale classe)
Pag. 129 di 195
In tutte le classi i
ragazzi
dichiarato
meglio
60
hanno
di
aver
compreso
l’importanza
50
40
di
3°T Gramsci
3°V Gramsci
3°Z Palmieri
30
riconoscere i propri
desideri e bisogni, di
avere
delle
20
10
aspirazioni personali
e di ragionare con la
propria testa.
0
CAPIRE,
CONOSCERE GLI
ALTRI
IMPORTANZA DEI
DESIDERI
RAGIONARE
CONOSCERSI
MOLTE COSE
ALTRO
Figura 7 - Grafico "Cosa hai imparato da questo laboratorio?"
Nelle classi dove si è discusso dei problemi di relazione esistenti tra i ragazzi è stata
alta la percentuale di chi ha affermato di avere imparato a comprendere meglio gli altri, a
capire come possano coesistere diversi punti di vista, diversi modi di interpretare un
atteggiamento, un comportamento, un evento e l’importanza di confrontarsi e rispettarsi.
Riguardo alle difficoltà (Figura 8) la maggior parte dei ragazzi ha dichiarato di non
averne incontrate. Un certa fatica si evidenzia nel fare delle scelte, sia riguardo ai
“bagagli” da portare
con sé che ai
90
desideri
da
80
esprimere, fatto
70
che
rende
60
la
50
necessità di un
40
orientamento
30
non solo basato
20
sulla
10
evidente
trasmissione di
3°T Gramsci
3°V Gramsci
3°Z Palmieri
0
NESSUNA
informazioni,
COMUNICARE CON
I COMPAGNI
STARE
ATTENTO/CAPIRE
LE PAROLE
SCRIVERE I TESTI
SCRIVERE LA
FRASE SUL
CARTELLONE
FARE DELLE
SCELTE
Figura 8 - Grafico "Hai incontrato delle difficoltà?"
ma che preveda
anche un’adeguata attenzione alla reale capacità dei ragazzi di elaborare le informazioni
ricevute ed operare delle scelte.
Pag. 130 di 195
Ancora una volta nelle classi più conflittuali si manifestano disagi nell’ambito della
comunicazione tra coetanei, che vengono evidenziati dai ragazzi sia direttamente tra le
difficoltà riscontrate sia, alla domanda “cosa ti è piaciuto di meno”, segnalando come
elemento meno gradito il dover esprimere le proprie idee di fronte ai compagni (Figura 9).
Molti
hanno
indicato tra le
70
60
cose che sono
piaciute
di
meno
lo
scrivere i testi,
50
40
3°T Gramsci
3°V Gramsci
3°Z Palmieri
30
attività che è
forse
stata
interpretata
20
10
come una sorta
0
NIENTE, NESSUNA
RISPOSTA
di compito, un
tipico
RACCONTI
CANZONI
SCRIVERE I TESTI ESPORRE I PROPRI ESSERE TRATTATI
PENSIERI
DA BAMBINI
ALTRO
Figura 9 - Grafico "Cosa ti è piaciuto di meno?"
lavoro
scolastico.
Compilare le schede scrivendo dei testi è però essenziale perché consente ai ragazzi di
riflettere, prendere tempo, chiarire i propri pensieri e tradurli in frasi sensate per sé e per gli
altri. La conduttrice ha spiegato bene che gli elaborati non sarebbero stati giudicati, che la
forma era poco importante, ma per alcuni l’esercizio è risultato ugualmente faticoso.
Nel grafico
40
che riassume le
35
risposte
dei
30
ragazzi
alla
25
domanda “Cosa
20
ti è piaciuto di
15
più?”
(Figura
10
10) si nota che
5
in
0
assoluto
l’attività che ha
3°T Gramsci
3°V Gramsci
3°Z Palmieri
RACCONTI
IL CARTELLONE
PARLARE E
ED IL
CONFRONTARSI
CONFRONTO
CONSEGUENTE
UNO DEGLI
INCONTRI
PER
RAGGIUNGERE
QUALCOSA
BISOGNA
CREDERCI
CANZONI
ALTRO
riscosso
Figura 10 - Grafico "Cosa ti è piaciuto di più?"
maggiore successo è stata quella dell’ultimo incontro, quando si sono lette le frasi da loro
Pag. 131 di 195
scritte sul cartellone e le si è commentate tutti insieme.
Il motivo di questo successo è solo parzialmente dovuto al fatto che questo esercizio
non richiedeva lo sforzo di produrre un testo scritto, mentre l’aspetto fondamentale è che si
è trattato di uno spazio di espressione davvero libera. Negli incontri precedenti infatti il
tema della discussione era guidato e predeterminato dalla conduttrice, mentre nell’ultimo
incontro erano le frasi da loro stessi scelte o inventate e trascritte a guidare il discorso, che
loro stessi poi sviluppavano.
I ragazzi hanno dichiarato di aver gradito l’ascolto dei racconti, mentre poco
entusiasmo hanno suscitato le canzoni, probabilmente perché si trattava di musiche distanti
da quelli che sono i loro gusti e dalle tendenze del momento, specialmente la canzone di
Guccini. D’altro canto probabilmente proprio questa loro caratteristica ha permesso che
l’attenzione fosse concentrata sulle parole e sul significato del testo, che veniva proiettato
sulla LIM.
L’ultimo grafico, che riassume le risposte al quesito “Cosa hai imparato dagli altri?”
(Figura 11), mostra come lo scambio e il confronto aperto tra i ragazzi all’interno della
classe ha stimolato la riflessione sul fatto che gli altri possono avere un’opinione diversa
dalla mia o motivazioni non evidenti per comportarsi in un determinato modo, che pur non
concordando su tutto si può comunque convivere pacificamente se si impara a rispettarsi
vicendevolmente.
90
80
70
60
50
3°T Gramsci
3°V Gramsci
3°Z Palmieri
40
30
20
10
0
BISOGNA SEGUIRE I
PROPRI SOGNI
CONFRONTARMI,
CAPIRE GLI ALTRI E ME
STESSO
I MIEI PREGI
ESSERE FELICI DI CIO'
CHE SI HA
ALTRO
Figura 11 - Grafico "Cosa hai imparato dagli altri?"
Pag. 132 di 195
In conclusione, si può affermare che dei due principali obiettivi prefissati, quello di
stimolare i ragazzi a riflettere sull’importanza di avere dei sogni, dei desideri e di
impegnarsi per realizzarli è stato raggiunto in modo soddisfacente. Avendo più tempo a
disposizione si sarebbe potuto approfondire ulteriormente la questione, magari
coinvolgendo maggiormente gli alunni che ancora si sono tenuti un po’ in disparte, e
affrontare in modo più specifico il tema della scelta di un percorso di formazione e del loro
futuro lavorativo.
Minor successo ha invece avuto l’impegno per aiutare i ragazzi ad acquisire maggiore
consapevolezza dei propri pregi e delle proprie capacità, scopo a cui è stato dedicato il
primo incontro. L’attività del messaggio nella bottiglia ha permesso una breve riflessione
su sé stessi e un confronto tra l’immagine che ognuno aveva di sé e l’immagine che ne
avevano i compagni. Il fatto che questo aspetto fosse stato affrontato nel primo incontro e
il questionario somministrato al termine del quarto, a tre settimane di distanza, dopo due
incontri dedicati ai desideri e un coinvolgente dibattito con i compagni, potrebbe avere
influenzato le risposte. Tuttavia su questo aspetto sarebbe indubbiamente stato opportuno
soffermarsi un po’ di più, possibilmente aggiungendo un ulteriore incontro. A conferma di
questo troviamo il suggerimento dato dalla professoressa della 3° T, che compilando il
questionario finale per le insegnanti segnala l’opportunità di approfondire “la parte
riguardante le capacità di ciascuno” oltre ad affrontare anche il “tema delle paure
personali”.
Le insegnanti
Uno degli obiettivi del laboratorio era di consentire all’insegnante presente durante gli
incontri di osservare i ragazzi in un diverso contesto relazionale, ascoltarne i pensieri, i
desideri, le difficoltà e rilevare le dinamiche di classe. Nonostante gli incontri si siano
svolti in aula con i ragazzi seduti ognuno nel proprio banco, quindi in una situazione
tipicamente scolastica, lo svolgersi delle attività, le modalità con cui sono stati introdotti
gli argomenti e la libertà di parola e di pensiero che è stata adottata, hanno reso l’atmosfera
informale ed i ragazzi hanno potuto esprimersi o non esprimersi come meglio ritenevano.
In ogni caso hanno parlato di sé stessi, o con le parole o con l’atteggiamento.
Alla domanda del questionario “Prendere parte agli incontri è stato per Lei
interessante”, le insegnanti hanno risposto in modo affermativo, adducendo le seguenti
motivazioni:
Pag. 133 di 195
“Ho avuto modo di scoprire, con meraviglia, aspetti dei ragazzi che spesso sfuggono
ai docenti, restando sorpresa della profondità di qualcuno” (professoressa della classe 3° T
della scuola Gramsci).
“Ho potuto osservare le reazioni dei ragazzi da un’altra prospettiva” (professoressa
della classe 3° Z della scuola Palmieri).
“Sono venuti fuori dei lati che conoscevo poco di loro o solo marginalmente”
(professoressa della classe 3° V della scuola Gramsci).
La conduttrice
Il laboratorio è stato un’esperienza intensa, coinvolgente e istruttiva, che ha consentito
di sperimentare nella pratica le teorie apprese dai libri ed elaborate autonomamente, sulla
base delle quali i quattro incontri sono stati progettati.
Tenere un diario, compilato al termine di ogni incontro, è stato uno strumento utile di
riflessione, che ha consentito di apportare piccole modifiche e aggiustamenti di rotta in
corso d’opera, di evitare confusione tra quanto emerso in una classe piuttosto che in
un'altra, oltre a rendere possibile la verifica finale dell’intero laboratorio.
Purtroppo il tempo a disposizione era limitato, perché la sensazione che fosse
necessario dilatare il tempo dedicato alla scoperta di sé si è fatta sentire da subito, così
come anche per la scheda dei bagagli che, se le si fosse dedicato un incontro, avrebbe
potuto offrire l’opportunità per parlare di sé nel presente, nel passato e nel futuro.
Considerando il tempo a disposizione, i risultati ottenuti sono comunque stati
soddisfacenti. Più di tante parole e degli stessi questionari compilati, sono stati gli sguardi
attenti, i toni interessati e partecipi, i discorsi pertinenti, le provocazioni, l’entusiasmo dei
ragazzi a confermare che la direzione presa era giusta.
I dialoghi, le discussioni, i momenti di condivisione e scambio hanno stimolato le
riflessioni che potenzialmente possono generare cambiamento. Si può dire che, per ogni
ragazzo, è stato come gettare un sasso in un lago: l’acqua si è mossa, piccole onde hanno
increspato la superficie, i cerchi si sono allargati: quali conseguenze questo potrà avere,
quali eventuali cambiamenti nel profondo possa aver prodotto si potrà vedere solo in
seguito.
Sarebbe interessante progettare un laboratorio di più ampio respiro, un percorso che
iniziando nella classe prima della scuola secondaria di primo grado, accompagni i ragazzi
fino alla terza, fino al momento di fare la propria scelta scolastica. Si potrebbe così
Pag. 134 di 195
predisporre un sistema di verifica dei risultati basato sul confronto tra gli studenti coinvolti
nel percorso e un gruppo di controllo.
Pag. 135 di 195
CONCLUSIONI
Ogni bambino è il principe della propria vita,
così come ogni bambina ne è la principessa.
Ogni adolescente è un principe o una
principessa che lotta per diventare re o regina
di sé stesso e diventa adulto quando ci riesce.
Per questo le fiabe parlano di noi, ci riguardano
tutti.
E’ ormai trascorso più di un secolo da quando, sotto la spinta di esigenze produttive e
industriali, si è cominciato a parlare di orientamento, inteso inizialmente come lo
strumento più idoneo a trovare “l’uomo giusto” per una determinata mansione lavorativa.
Durante questa prima fase, definita “diagnostico-attitudinale”, l’orientatore, che è
tipicamente uno psicofisiologo, si pone l’obiettivo di rilevare le capacità, disposizioni e
attitudini innate del soggetto per poterle confrontare con i requisiti richiesti per le diverse
professioni.
Negli anni trenta del secolo scorso, in seguito a diversi esperimenti condotti sul
campo, si riscontra l’importanza dell’interesse che il soggetto nutre per l’attività lavorativa
svolta, interesse direttamente correlato con il conseguimento di buone prestazioni. Questa
fase, definita “caratteriologica-affettiva”, si protrarrà fino agli anni cinquanta. L’orientatore
è ora uno psicodiagnosta, i suoi strumenti sono inventari, questionari e test, il suo obiettivo
è indagare affetti, pensieri, volontà dell’individuo.
In seguito alla diffusione del pensiero psicoanalitico, delle teorie di Piaget e di
Vygotskij, a partire dal secondo dopoguerra, l’attenzione degli studiosi si sposta verso gli
elementi più profondi della personalità, verso le emozioni ed i vissuti del soggetto, ritenuti
fondanti delle sue motivazioni e del suo agire. Agostino Gemelli (1943), promotore
dell’orientamento in Italia, sottolinea la differenza tra interessi e inclinazioni: poiché
affondano le proprie radici nell’inconscio sono le inclinazioni che possono indicare la
giusta direzione lavorativa da intraprendere. L’orientatore è ora uno psicologo clinico, che
utilizzando test proiettivi e colloqui clinici, si sforza di individuare il percorso
professionale migliore per il singolo individuo. Nonostante il maggior interesse per il
benessere dei soggetti, nella fase “clinico-dinamica” l’approccio è ancora di tipo direttivo e
l’utente mantiene il ruolo di destinatario passivo dell’intervento. Non viene tenuto in alcun
conto l’importanza che i fattori ambientali, sociali e familiari hanno sullo sviluppo del
soggetto e delle sue inclinazioni. Sociologi e pedagogisti contestano all’orientamento
questa mancanza.
Pag. 136 di 195
Negli anni cinquanta Super (1957) elabora la teoria dello sviluppo vocazionale,
secondo la quale ogni individuo può sviluppare le proprie capacità decisionali e l’attività di
orientamento deve essere di sostegno a tale evoluzione, favorendo il conseguimento
dell’autonomia da parte del soggetto. L’utente diviene attivo costruttore del proprio
percorso.
Gradualmente l’azione orientativa assume il significato di “educazione alla scelta”, al
pensiero critico. Non solo il soggetto può costruire il proprio futuro, non solo è in grado di
valutare le proprie capacità e limiti, di individuare le risorse e i vincoli dell’ambiente, ma
può anche intervenire sulla realtà, di cui è parte attiva. L’orientatore è ora non solo più
psicologo, ma anche educatore o insegnante. L’orientamento acquista una propria valenza
sociale, attraverso attività volte alla prevenzione ed al recupero, non solo in ambito
scolastico e non solo più per gli adolescenti.
Negli corso degli anni ottanta si ritiene necessario rendere disponibili a tutti,
soprattutto alle categorie più svantaggiate, il maggior numero di informazioni possibili. Si
moltiplicano così le attività e i servizi di informazione. Ben presto però appare evidente,
anche in seguito all’avvento della globalizzazione e alla rapida diffusione di internet, che
fornire innumerevoli dati a persone a cui mancano gli strumenti per interpretarli
correttamente, per discriminare l’utile dal superfluo, genera solo maggiore confusione e
disorientamento. Nel frattempo i rapidi cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro
portano a parlare sempre più insistentemente della necessità di una formazione
permanente.
Per muoversi in un mondo così complesso e in continua trasformazione è necessario
non solo acquisire specifiche abilità, saper cogliere le opportunità disponibili, valorizzare
le proprie capacità, ma bisogna essere in grado di affrontare i momenti critici, gli
imprevisti, di mettere in atto adeguate strategie di coping, imparando a progettare, a
relazionarsi, ad adattarsi, ossia si devono sviluppare quelle che vengono definite
competenze trasversali. L’azione orientativa accompagna tutta la vita scolastica e
lavorativa ed assume la funzione di empowerment del soggetto.
L’individuo è considerato artefice del proprio destino, attivo costruttore della propria
vita, di cui è il protagonista, in grado di assumersi la responsabilità delle proprie scelte.
L’orientatore si pone al suo fianco come aiuto e sostegno nel processo che porta l’utente ad
essere in grado di autorientarsi, al fine di realizzare se stesso e dare così il proprio
contributo alla comunità in cui vive. Strumento privilegiato dell’azione orientativa è di
Pag. 137 di 195
conseguenza la relazione che si stabilisce tra orientatore e utente, relazione che è interattiva
ed educativa. Gli interventi devono tenere conto delle esigenze e delle caratteristiche dei
singoli individui. Il fine è la costruzione dell’identità personale, sociale e professionale del
soggetto.
La scuola, come ente formativo ed educativo, è chiamata a fare la propria parte ed è
coinvolta in tutte le dimensioni dell’orientamento: la formazione, l’informazione e la
consulenza, che insieme concorrono all’acquisizione di competenze orientative. Queste
ultime possono essere classificate in quattro aree: la conoscenza di sé, la conoscenza del
contesto, la capacità di connettere le due aree precedenti ai fini di una scelta, la capacità di
progettare la realizzazione della decisione presa.
Le prime attività espressamente deputate all’orientamento all’interno della scuola
risalgono agli anni settanta del secolo scorso, hanno carattere sperimentale e si svolgono
principalmente nelle scuole superiori, per allargarsi poi gradualmente (con finalità diverse)
alle elementari e alle medie. Gli strumenti utilizzati sono le discipline di insegnamento e
specifici momenti informativi. Verso la fine degli anni novanta, si riconosce la necessità di
integrare tali strumenti con interventi formativi espressamente dedicati, gestiti da soggetti
(pubblici e privati) detentori di specifiche competenze. All’orientamento viene chiesto di
essere proattivo, ossia operare per prevenire le situazioni di svantaggio e combattere la
dispersione scolastica.
Successivamente, anche in seguito alle indicazioni dell’Unione Europea (2006), nel
sistema dell’istruzione italiano è avviata la transizione dall’impianto curricolare di tipo
disciplinare a quello basato sulle competenze e sui risultati di apprendimento. Cambia così
la prospettiva della valutazione scolastica, che da giudizio unilaterale diviene
certificazione, attestazione dei punti di forza e di debolezza dell’alunno.
Si viene sempre più concretizzando l’idea di orientamento come processo evolutivo, al
cui centro c’è la persona ed il cui scopo è duplice: personale e sociale. Infatti se il soggetto
sarà in grado di realizzarsi, di vivere pienamente la propria vita, potrà di conseguenza dare
il suo massimo contributo al progresso e al benessere della società in cui è inserito.
Restano tuttavia molti problemi da risolvere e nodi da sciogliere.
Nonostante siano stati fatti e siano attualmente in corso vari sforzi (tra cui la
definizione di un piano nazionale per l’orientamento) per la realizzazione di un sistema
integrato, di una rete territoriale che consenta di ottimizzare le risorse e rendere omogenea
a livello nazionale la distribuzione degli interventi orientativi, nella pratica questo obiettivo
Pag. 138 di 195
appare però ancora lontano. Manca un’univoca definizione della figura professionale
dell’operatore di orientamento e deve essere ancora delineato il percorso formativo ad essa
dedicato, mentre la preparazione degli insegnanti in questo ambito appare ancora
inadeguata.
L’avere introdotto l’orientamento all’interno del processo formativo ed educativo
scolastico ha avuto come conseguenza il crearsi di una certa confusione tra processo
orientativo e processo educativo, mentre il dibattito su quali competenze certificare e
soprattutto come certificarle è ancora aperto.
Nell’ultimo decennio, in relazione alla difficile situazione economica e occupazionale,
ha assunto una sempre maggiore importanza l’orientamento degli adulti, in particolare per i
soggetti disoccupati, in mobilità o cassa integrazione. L’aumento della domanda e
l’urgenza dei problemi da affrontare, ha portato al moltiplicarsi di proposte e attività
pratiche, volte a tamponare situazioni contingenti, prive di finalità realmente educative e
preventive.
In ambito scolastico, la perenne scarsità di risorse finanziarie a disposizione è stata
resa ancora più drammatica dalla grave crisi economica attualmente in corso: mancano i
soldi persino per acquistare il normale materiale di consumo e per pagare il personale che
sarebbe necessario ad un buon funzionamento della struttura (bidelli, insegnanti di
sostegno, supplenti). Di conseguenza si rinuncia in primo luogo a tutto ciò che non è
strettamente indispensabile, poi a ciò la cui necessità non è così evidente o non produce
effetti immediatamente riscontrabili e dimostrabili. L’orientamento ricade in questa
seconda categoria, con l’eccezione delle attività di orientamento informativo, dove il
passaggio di notizie e dati ha un immediato e pratico riscontro. Finisce così che, benché ne
sia stata sottolineata l’importanza sia per i singoli individui che per la collettività da
studiosi di diverse discipline (psicologi, sociologi, educatori) e benché la legge ne solleciti
l’utilizzo, di fatto (come testimonia il Rapporto orientamento 2010 redatto dall’Isfol) nella
scuola l’attività di orientamento si risolve spesso in una semplice azione informativa,
oppure in un supporto psicologico per i casi più problematici, a cui si affiancano stages
aziendali e tirocini formativi.
Certo non mancano sperimentazioni e tentativi di tradurre in metodologie operative e
interventi concreti le indicazioni fornite dai vari teorici, che restano però esperienze più o
meno isolate, legate alla buona volontà e all’impegno dei singoli comuni, se non delle
singole scuole.
Pag. 139 di 195
Un filone importante in quest’ambito è quello dell’orientamento narrativo, i cui primi
esperimenti risalgono agli anni novanta del secolo scorso. L’aspetto peculiare di questa
metodologia orientativa è quello di riuscire a coniugare insieme l’aspetto più profondo
della conoscenza e ricerca di sé, con quello conseguente ma più evidente della costruzione
del proprio percorso di vita. L’utilizzo del pensiero narrativo, utilizzando la terminologia
suggerita da Bruner, per legare insieme i vari fili del proprio essere, della propria storia,
per dare ordine e senso a ciò che è accaduto e accade, a ciò che è stato, è o potrebbe essere,
consente di tessere una tela ordinata della propria vita, di scorgervi l’emergere di un
disegno che, seppure ancora e sempre in costruzione, tuttavia ha un suo significato, segue
una direzione. Da quando ha smesso di essere una scimmia, l’uomo si interroga su se
stesso, sulla propria identità, sul proprio destino e rifiuta l’idea di essere cieca materia nelle
mani del caso. Il viaggio di Ulisse è il viaggio di ogni uomo, che come il mitico eroe greco,
cerca la propria strada, destreggiandosi tra pericoli e ostacoli, e quando infine crede di
essere ad un punto di arrivo scopre che si tratta di una nuova partenza.
La narrazione svolge molteplici funzioni: fornisce una struttura al reale, consente di
interpretare gli eventi, attribuendovi un senso, rende possibile la condivisione di tali
interpretazioni, delle emozioni provate e dei progetti. Una visione chiara e definita della
realtà permette di muoversi al suo interno con maggiore facilità e quindi di esercitare il
proprio controllo su di essa. Organizzare il proprio pensiero è il primo passo per poter
organizzare e pianificare le azioni, prevederne gli esiti e di conseguenza elaborare piani e
progetti per il futuro. Il racconto interiore della propria storia, del proprio vissuto è ciò che
fornisce a ogni individuo l’impressione della propria continuità e gli permette di scorgere
nella vita vissuta una direzione, un “senso”. Questo raccontarsi e ri-raccontarsi
continuamente a se stessi e agli altri contribuisce alla costruzione dell’identità. Bruner
(1986, 1990) ritiene che sia il mondo che il sé siano il prodotto dell’azione e della
simbolizzazione umana: gli individui muovendosi all’interno della propria cultura di
appartenenza, interagendo tra loro, scambiando significati, mettono in atto un processo
continuo di costruzione intersoggettiva della realtà.
Scelte, desideri, aspirazioni, progetti per il futuro traggono nutrimento da queste
narrazioni, dal modo in cui il soggetto interpreta gli eventi passati, presenti e futuri.
Nel processo di costruzione dell’identità, l’adolescenza rappresenta un momento
particolarmente critico. Secondo il modello stadiale dello sviluppo psicosociale
dell’individuo delineato dallo psicanalista tedesco Erik Erikson (1950, 1968, 1982),
Pag. 140 di 195
compito specifico dell’età adolescenziale è l’acquisizione dell’identità personale, mentre
l’eventuale fallimento di questo traguardo conduce alla confusione di ruoli, ovvero ad
un’identità non pienamente coerente ed integrata, in cui persistono bisogni,
comportamenti, atteggiamenti meno maturi insieme a quelli propri dell’età.
L’adolescente si trova a camminare su un terreno sconosciuto e dai contorni non ben
definiti, non più fanciullo e non ancora uomo osserva il proprio corpo cambiare, la propria
mente aprirsi a nuovi modelli di pensiero, acquista una nuova consapevolezza di sé e
pressanti domande si affacciano alla sua mente: chi sono? Chi vorrei essere? Cosa si
aspettano gli altri da me? Chi sarò domani? Il bisogno di distaccarsi dai genitori si
accompagna alla necessità di sentirsi riconosciuti dai pari, che divengono veri e propri
punti di riferimento, a cui rivolgersi per essere rassicurati sulla propria adeguatezza,
normalità, accettabilità, con i quali condividere nuove esperienze, preoccupazioni,
conquiste, con i quali allearsi per contrapporsi agli adulti e al loro mondo.
L’allungarsi del percorso scolastico, le difficoltà a trovare un’occupazione stabile e
che garantisca una reale indipendenza economica, ha dilatato i limiti temporali di questa
fase della vita, che inizia con una pubertà sempre più precoce e la cui conclusione si sfuma
nel passaggio dalla tarda adolescenza allo stadio del giovane adulto. La mancanza di un
sistema di valori stabile e condiviso, l’individualismo esasperato, il consumismo, il
bisogno di apparire come e “più” degli altri, sono i tratti caratteristici dell’attuale società
occidentale. La globalizzazione non ha portato all’elaborazione di un sistema di valori
comuni, anzi paradossalmente si riscontra un ritorno al localismo, forse come ricerca di un
rifugio dalla confusione e dalla sovrabbondanza di informazioni e possibilità, in cui è
difficile districarsi e orientarsi. Immersi nel vortice delle continue novità, del relativismo
morale e culturale, si vive alla giornata, cercando di tenere insieme le diverse immagini
della realtà e di se stessi. Costruire un’identità matura e consapevole è quindi impresa
difficile per gli adolescenti di oggi, che sono necessariamente ancora più disorientati e
confusi degli adulti, in cui faticano a trovare stabili punti di riferimento a cui ancorarsi o a
cui contrapporsi.
La narrazione, dunque, può anche oggi essere uno strumento utile a facilitare la
costruzione attiva di significato da parte dei soggetti. Pur nella crisi delle “metanarrazioni”,
condivise a livello sociale e in passato schema di riferimento per le narrazioni individuali,
resta vivo il bisogno di guardare alla realtà come ad un’unità significativa e comprensibile,
in cui e su cui è possibile agire, per affermare e costruire se stessi e la propria storia.
Pag. 141 di 195
Da queste considerazioni è nata l’idea del laboratorio “In viaggio alla ricerca dell’isola
sconosciuta” basato sulla metodologia dell’orientamento narrativo, il cui obiettivo è
favorire lo sviluppo di competenze utili a fronteggiare le situazioni di transizione e a
compiere scelte responsabili, favorendo l’autonomizzazione del soggetto, nella logica dello
sviluppo di empowerment. Ricordando le tre dimensioni del processo di orientamento
(formazione, informazione e consulenza), questo laboratorio si colloca quindi nell’ambito
dell’orientamento formativo.
Il laboratorio è stato ideato per ragazzi della classe terza delle scuole secondarie di
primo grado, ragazzi che nel transitare dalla preadolescenza all’adolescenza si trovano a
dover fare, più o meno autonomamente, la prima scelta veramente importante per la loro
futura vita sociale e lavorativa: come proseguire il proprio percorso scolastico e formativo.
L’obiettivo del laboratorio è stato quello di stimolare nei ragazzi la riflessione su se
stessi, sull’importanza dei sogni e di impegnarsi per guidare la propria vita, offrendo a
ciascuno di loro uno spazio in cui potersi esprimere, sentirsi ascoltato e nello stesso tempo
potersi confrontare con le immagini di sé restituitegli dai compagni.
L’insegnante che ha partecipato agli incontri ha così avuto modo di osservare i ragazzi
da un diverso punto di vista, ha potuto ascoltarne pensieri, desideri, cogliere le difficoltà
dei singoli e nelle relazioni di classe. Questo è particolarmente importante in quanto,
trattandosi di classi terze della scuola secondaria di primo grado, quest’anno l’insegnante è
chiamato a dare il suo parere sulle scelte dei ragazzi nell’ambito dell’orientamento
scolastico.
Filo conduttore degli incontri è stata la metafora della vita come viaggio, metafora
antica come la civiltà umana, presente in molte narrazioni mitologiche, fiabe e racconti,
non solo della nostra cultura. Ispirandosi al bellissimo testo di Josè Saramago Il racconto
dell’isola sconosciuta, che è stato quasi integralmente letto durante il terzo incontro, si è
proposto ai ragazzi di usare l’immaginazione e la fantasia. La conduttrice si è presentata
come inviata da un uomo, un uomo con una barca a disposizione e con la necessità di
reclutare un equipaggio: loro stessi potevano aspirare a farne parte ed a questo scopo
dovevano sottoporsi ad alcune prove. Le attività svolte nei diversi incontri sono diventate
così le prove da superare per mettersi in viaggio, viaggio la cui meta si è andata delineando
gradualmente, sino a che è stato chiaro che si trattava per ognuno di cercare la propria isola
sconosciuta, ossia se stesso.
Pag. 142 di 195
Elaborare un progetto di vita è indispensabile per non procedere a caso, rischiando di
finire alla deriva, di perdersi nel labirinto di specchi a cui sempre più assomiglia la realtà
contemporanea. Come ogni buon viaggiatore, l’adolescente deve cominciare a delineare un
itinerario di viaggio, una direzione da seguire, valutando le possibilità disponibili e le
proprie capacità, preparando i bagagli necessari e studiato una strategia da seguire.
Impossibile sapere in anticipo tutti gli ostacoli che si incontreranno e probabilmente sarà
necessario ridefinire la rotta più e più volte lungo il cammino, ma questo non fermerà il
viaggiatore adeguatamente preparato e che avrà saputo portare con sé gli strumenti
necessari. La destinazione è sconosciuta e non può che essere immaginata, ma è proprio il
pensarla che le conferisce la prima scintilla di reale esistenza.
Non si può procedere a caso: il primo passo deve essere verso se stessi, per guardarsi,
conoscersi, accertare e accettare le proprie capacità e i propri limiti, il proprio passato ed il
proprio presente, imparando a riconoscere e distinguere tra loro bisogni e desideri.
Allargando lo sguardo al mondo esterno si scoprono poi i percorsi possibili e issate le vele
della motivazione, spinti dal vento dei desideri, dei sogni e dei valori, si può finalmente
prendere in mano il timone della propria vita e partire. Se la vita è il viaggio, ogni arrivo è
solo un nuovo punto di partenza.103
Anche l’adolescenza può essere considerata un punto di arrivo, in quanto conclusione
del percorso definito “infanzia”, un percorso il cui andamento influenza ma non determina
rigidamente il resto del viaggio. Da qui comunque il giovane ri-parte.
Il primo dei quattro incontri previsti, che potremmo intitolare “chi sono io?”, ha avuto
come obiettivo quello di aiutare i ragazzi a guardare agli aspetti positivi di se stessi, alle
proprie capacità e potenzialità. Il secondo, “dove vado?”, voleva essere di stimolo a
103
“Una sera del 1987 il poeta russo Josif Brodskij si ritrovò in una bella sala del Municipio di Stoccolma a
pronunciare il suo discorso di accettazione. Gli era toccato il Premio Nobel, a meno di cinquant’anni, nel
pieno del suo esilio. In fondo al suo breve intervento disse: “E’ maledettamente lunga la strada per arrivare
da Pietroburgo a Stoccolma, ma, dopo tutto, per uno che fa il mio mestiere, l’idea che una linea retta
rappresenti la distanza più breve tra due punti ha perduto da un pezzo la sua attrattiva”. Questo pensiero può
essere utile a dei giovani che da un loro perpetuo punto di partenza non vedono l’ora di essere già arrivati a
qualche traguardo, a qualche preziosa stazione della loro giusta ambizione. Cercano la linea retta, la più
breve, mossi dall'impazienza dell’età e persuasi da un’idea lineare dei tragitti. Non è così. Tra quei due punti,
scorre la vita, che è una continua digressione, un imperterrito divagare, che ha bisogno di ostacoli, rinunce,
buona sorte, anche disgrazia per compiersi. Solo da un arbitrario punto di arrivo si può credere a un percorso,
dare questo nome all’intrico dei propri giorni. Stoccolma non è il capolinea di Pietroburgo, ma solo
un’occasione per voltarsi indietro. Dal guazzabuglio del passato emerge allora non la linea tratteggiata di un
disegno, ma la forza posseduta dal punto di partenza, l’energia contenuta nella premessa. Allora da un
arbitrario punto di arrivo: un letto d'ospedale, una cella di prigione o una cena, al Municipio di Stoccolma,
pretesto per voltarsi indietro, ognuno può riconoscere la saggezza di un destino, che divaga sempre e per
compiersi non insegue rotta, ma deriva.” (De Luca, 1997, pag. 122)
Pag. 143 di 195
riflettere sull’importanza di essere artefici delle proprie scelte e a meditare sui propri
desideri e sogni. Nel terzo incontro, “il viaggio”, si è affrontato ancora il tema del
desiderio, dei possibili ostacoli e delle strategie per superarli, cercando di mostrare come
ciò che davvero conta è proprio partire e “viaggiare”. Infine il quarto incontro ha voluto
essere un momento di “restituzione” di quanto emerso durante il percorso: restituzione da
parte della conduttrice verso i ragazzi e viceversa.
Cuore di ogni incontro è stata la parte di riflessione e di scambio. Dopo un breve
momento introduttivo la conduttrice leggeva un brano o raccontava una storia, quindi i
ragazzi erano invitati, attraverso la compilazione di una scheda, a riflettere sull’argomento
proposto in modo creativo, per esempio scrivendo una lettera di richiesta d’aiuto da
inserire in una bottiglia da affidare al mare oppure esprimendo tre desideri al genio della
lampada. Successivamente chi voleva poteva leggere il proprio testo, che si commentava
tutti insieme, discutendo e confrontando i diversi punti di vista.
Intimiditi e reticenti ad esporsi solo nei primi momenti, i ragazzi hanno saputo usare
lo spazio a loro offerto, hanno partecipato con entusiasmo, esposto dubbi, fatto domande,
cercato risposte. Non si è parlato direttamente di scelte scolastiche, ma delle loro
aspirazioni e desideri, del rapporto con sé stessi e di relazioni interpersonali, di come ogni
azione abbia delle conseguenze che devono essere se possibile previste e comunque
affrontate, di come ogni azione debba essere frutto di una scelta. La conduttrice ha cercato
di creare un’atmosfera in cui ogni idea, ogni pensiero potesse essere accolto con rispetto e
attenzione, anche se il clima interno a ciascuna classe ha influenzato l’andamento degli
incontri. In particolare dove maggiore era la conflittualità tra compagni, minore era la
disponibilità dei ragazzi a leggere i propri scritti, esporre le proprie idee, mettersi in gioco.
Tuttavia proprio la discussione e lo scambio attivato dal laboratorio ha permesso di far
emergere apertamente alcuni dei motivi di divisione e contrasto interno, aprendo così uno
spiraglio per un successivo dialogo che le insegnanti si sono ripromesse di sfruttare.
Riflettere individualmente sul tema proposto compilando le schede è stato, per tutti i
ragazzi di tutte e tre le classi, il momento più impegnativo. Oltre all’oggettiva difficoltà di
tradurre in testo scritto il proprio pensiero, da un lato si è evidenziata la fatica, forse
l’imbarazzo, di parlare di sé, di svelare i propri pensieri, dall’altro era evidente che i temi
toccati sollevavano domande a cui essi non sapevano rispondere e che forse non si erano
ancora poste.
Pag. 144 di 195
Per la verifica e la valutazione del laboratorio sono stati utilizzati il diario degli
incontri, compilato dalla conduttrice, ed i questionari compilati dai ragazzi e dalle
insegnanti. E’ stato inoltre esaminato il materiale prodotto nei diversi incontri.
Stimolati a parlare di sé i ragazzi hanno manifestato i tratti tipici della loro età: scarsa
autostima, bisogno di relazionarsi con i coetanei, di essere accettati, difficoltà nel
riconoscere il proprio corpo che cambia. Nella classe in cui i rapporti tra compagni erano
più amichevoli e distesi si è parlato di aspetto fisico soprattutto in relazione alla bellezza
per le ragazze, mentre dove maggiori erano le tensioni i maschi hanno dato importanza alla
prestanza fisica (quasi uno sfoggio verbale di muscoli e forza), mentre la parte femminile
della classe non ha toccato l’argomento. Infine nella classe in cui i rapporti non erano né
particolarmente amichevoli né particolarmente tesi, si è parlato di fisico solo a livello di
descrizione, senza aggettivi o commenti.
Preparando i propri bagagli per il viaggio, i ragazzi sono apparsi, coerentemente con
la loro età, ancora non pronti per la partenza, per il distacco dalla famiglia. I loro interessi
si concentrano soprattutto sugli affetti, sulle amicizie, sulle attività ludiche o sportive. La
scuola pare occupare uno spazio marginale nei loro interessi, così come il sapere e la
conoscenza, anche se qualcuno indica il libro di geografia come uno strumento utile per
orientarsi viaggiando.
Meno scontato è invece quanto emerge nel momento in cui viene chiesto di esprimere
dei desideri. Di fronte al genio della lampada o, ancora di più, a cospetto del re, i ragazzi
restano senza idee e senza parole. Non sanno cosa chiedere. Nessun desiderio? Troppi
desideri o troppo confusi? Paura di osare o mancanza di immaginazione? Imbarazzo ad
esporsi di fronte ai compagni? Forse un po’ tutte queste cose. Tra le richieste avanzate di
fronte al genio della lampada, compaiono le prime riflessioni a sfondo sociale: viene
auspicata la pace nel mondo, la giustizia, l’eliminazione della fame e della povertà.
Richieste vaghe, sicuramente utopiche, ma soprattutto la cui realizzazione viene delegata
ad altri, ad un potere magico fuori dalla propria portata. Anche quando parlano per se stessi
i ragazzi restano nel generico: chiedono di poter viaggiare, di essere felici, di diventare
ricchi… Manca un progetto di fondo, un’idea a cui ancorare richieste più specifiche, più
concrete. Parlando con loro appare ancora più evidente come “ricchezza”, “felicità”,
“successo” sono per loro termini dal significato vago, che non rimandano ad una immagine
concreta e definita di realtà.
Pag. 145 di 195
Interessi, bisogni e valori cominciano ad emergere, ma ancora in modo confuso e
indistinto e questo rende le loro motivazioni ad agire instabili, la loro visione del futuro
limitata a poco più del presente, oltre al quale il panorama si fa misterioso e quasi fiabesco.
Potendo chiedere un solo favore ad un re potente, un re che li avrebbe accontentati nel
presente, alcune ragazze hanno chiesto di poter sposare il principe, come cenerentola nella
fiaba, mentre alcuni ragazzi hanno chiesto automobili potenti, senza considerare che per
ora non le possono neppure guidare. Molti hanno chiesto di poter viaggiare, richiesta che è
sicuramente legata anche al tema trattato nel laboratorio (il viaggio, appunto), ma che forse
è anche legata al desiderio, non ancora completamente cosciente, di uscire dal nido.
Accanto a questo segni di una immaturità ancora evidente, i ragazzi hanno tuttavia
saputo in alcuni momenti esprimere pensieri più riflessivi, di una profondità maggiore, che
ben testimonia il sorgere del pensiero formale. Così si è parlato del senso del tempo, del
presente che fugge e che nel momento in cui si realizza è già passato, si è parlato di cosa
significhi essere vivi, giungendo a definire come non-viva una persona schiava della droga
o comunque priva di ogni speranza, si è parlato di amore e dei diversi modi in cui questo
sentimento si manifesta, si è parlato della morte, che chiude la nostra avventura e ci spinge
a non rimandare il nostro agire.
Possiamo quindi concludere che il laboratorio ha realizzato gli obiettivi che si era
prefissato?
Compilando la scheda di valutazione del laboratorio consegnata loro dalla conduttrice
al termine dell’ultimo incontro, i ragazzi hanno dichiarato che attraverso le attività svolte
hanno meglio compreso l’importanza di avere dei sogni e di impegnarsi per realizzarli, di
pensare e riflettere sulle cose con la propria testa, hanno potuto inoltre “conoscere meglio
gli altri” e un pochino anche se stessi.
Quello che del laboratorio hanno più apprezzato è stata la possibilità di confrontarsi,
di parlare con i compagni, di potersi esprimere e ascoltare diversi punti di vista, scoprendo
così che timori, dubbi e fatiche degli altri sono molto simili ai propri. Alla domanda “Cosa
hai imparato dagli altri?” quasi tutti hanno risposto di aver potuto capire meglio sé stessi e
gli altri, così da dichiarare che “non bisogna avere pregiudizi”, né “giudicare senza
conoscere bene una persona” e che “non tutti pensano la stessa cosa”.
In tutte e tre le classi, alcuni ragazzi hanno ammesso di aver trovato difficile fare delle
scelte, benché si trattasse di scelte simulate, inserite nel contesto giocoso del “facciamo
come se…” e prive di reali conseguenze. Anche se la maggior parte dei ragazzi nel
Pag. 146 di 195
questionario ha dichiarato di non avere incontrato alcuna difficoltà, di fronte al genio della
lampada ed ancora di più davanti al re moltissimi di loro sono rimasti muti ed è stato
necessario l’incoraggiamento e l’aiuto della conduttrice per dare loro un po’ di parola, a
volte “presa a prestito” dal vicino di banco o da una frase detta da qualcuno. Questo
testimonia in modo evidente la necessità di quella educazione del desiderio di cui si è
parlato al termine del secondo capitolo, affinché i ragazzi imparino prima a desiderare e a
scegliere, per poi poter decidere e agire di conseguenza.
Dal punto di vista delle insegnanti, basandosi sulle risposte da loro fornite nel
questionario, il laboratorio è stato un’opportunità per conoscere meglio i ragazzi,
scoprendone lati che nel quotidiano scolastico restano nascosti.
Infine, per la conduttrice l’esperienza vissuta è stata stimolante, istruttiva e molto
interessante, sia come concretizzazione di teorie, ipotesi e idee, sia come possibilità di
apprendere dalla pratica. Come già detto, dal materiale emerso e forse ancor più
dall’osservare i ragazzi ragionare, confrontarsi, agire, è stato possibile constatare i tratti, le
caratteristiche di questo particolare stadio della vita che è la preadolescenza, così come si
delinea nell’attuale contesto storico e culturale. Oltre al bisogno di esprimersi e di essere
ascoltati, i ragazzi hanno dato prova di saper ascoltare se interessati, soprattutto se si
affrontano argomenti che sentono importanti per sé stessi. Posti di fronte alla richiesta di
immaginare alternative alla realtà, di esprimere i propri sogni, hanno rivelato un panorama
piuttosto banale e piatto, privo di idee e spunti originali. Forse questo aspetto è un po’
fisiologico nella preadolescenza, dove i sogni infantili del bambino non trovano più posto e
ancora non c’è il materiale adatto a costruire le aspirazioni del giovane adulto. Tuttavia lo
stimolo a sentire il vuoto lasciato da questa mancanza ed il desiderio di riempirlo sono
necessari per scongiurare il pericolo, oggi più che mai reale, che sia qualcuno dall’esterno
a riempirlo.
Dal punto di vista pratico, l’esperienza di progettare e realizzare un percorso
laboratoriale ha permesso di verificare ipotesi di lavoro e scelte metodologiche, che si sono
rivelate adeguate allo scopo.
Anche se la scelta di proporre delle fiabe è stata criticata da qualche ragazzo, che si è
sentito trattato “da bambino”, è stato sufficiente introdurne l’esposizione con un commento
sulla storia delle fiabe, su come nel passato non fossero riservate solo ai bambini, per
tranquillizzare i più orgogliosi. Il racconto di Saramago, testo non facilissimo e non scritto
appositamente per i ragazzi, è stato letto quasi integralmente e, nonostante non fosse
Pag. 147 di 195
brevissimo, in tutte le classi è stato ascoltato con attenzione e partecipazione. Tuttavia i
momenti più efficaci e importanti sono stati quelli della produzione personale, attraverso la
compilazione delle schede e nel confronto verbale.
Il tempo a disposizione per i singoli incontri era adeguato, in quanto un tempo più
lungo sarebbe stato dispersivo. Tuttavia avere la possibilità di realizzare ancora almeno
altri due incontri sarebbe stato utile per approfondire alcuni aspetti e lasciare maturare le
idee nei ragazzi con più calma. Volendo riproporre questo laboratorio in altre classi,
sarebbe opportuno tenere presenti alcuni aspetti che potrebbero renderlo ancora più
efficace. Si potrebbe introdurre la possibilità di svolgere alcune attività in piccoli gruppi e
creare le condizioni affinché i ragazzi possano scrivere i loro pensieri senza chiacchierare
troppo e influenzarsi a vicenda. È molto importante il modo in cui le attività vengono
presentate: la spiegazione deve essere esauriente ma semplice, meglio astenersi dal fare
esempi o limitarli al massimo, per evitare la tentazione nei ragazzi di seguirli
pedestremente, evitando fatica e paura di “sbagliare”. Bisogna tenere conto che tutto
quanto viene letto o proposto dal conduttore influenzerà il flusso di pensieri degli alunni.
Per esempio l’avere scritto il messaggio nella bottiglia da usare in caso di un possibile
naufragio ha fatto si che nei sacchi dei bagagli molti ragazzi mettessero cibo, fogli per
scrivere messaggi o altri oggetti utili per la sopravvivenza.
Possiamo quindi concludere che nei limiti del tempo e delle risorse a disposizione il
laboratorio è riuscito a raggiungere i risultati prefissati. Non si tratta di prodotti tangibili o
di esiti immediati, ma sono stati forniti stimoli e gettati semi. Un piccolo contributo ad un
processo educativo che si auspica lavori sempre per aiutare i ragazzi ad esprimere se stessi,
a “tirar fuori” le proprie potenzialità e capacità e ad imparare ad usarle al meglio, sia per
sé, per la propria realizzazione personale, che per la crescita ed il positivo sviluppo della
società, della cultura e dell’umanità di cui fanno parte.
Pag. 148 di 195
ALLEGATO A – SCHEMA DEL DIARIO DEGLI INCONTRI
Subito dopo la conclusione di ciascun incontro la conduttrice ha compilato una scheda
in cui ha registrato come si era svolto l’incontro stesso, i principali avvenimenti, il
materiale emerso durante le attività svolte con i ragazzi, le proprie sensazioni ed
impressioni, eventuali idee e suggerimenti utili per gli incontri successivi.
Lo schema base di tale scheda era il seguente:
Scuola e classe
Titolo e Data dell’incontro
Diario
Basato sull’osservazione oggettiva dei ragazzi e delle situazioni.
Descrizione di:
- attività svolte
- clima interno alla classe
- livello di partecipazione dei ragazzi
- modalità di interazione dei ragazzi tra loro
- modalità di interazione dei ragazzi con la conduttrice
Materiale emerso
Descrizione del materiale emerso durante le attività e nel corso dei dibattiti, con
distinzione tra il contributo dei ragazzi e quello delle ragazze, basata sull’analisi delle
schede da loro compilate in aula e sul diario compilato dalla conduttrice stessa.
Note della conduttrice
Basate sull’osservazione delle proprie sensazioni ed riflessioni:
- impressioni sull’andamento dell’incontro
- sensazioni ed eventuali intuizioni
- appunti, note, considerazioni utili per la successiva valutazione del laboratorio
- appunti, note, considerazioni utili per la programmazione degli incontri successivi.
Pag. 149 di 195
ALLEGATO B – TABELLE MATERIALE EMERSO
Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° T
PRIMO INCONTRO – Martedì 8 Novembre 2011
Scheda “pergamena” (messaggio nella bottiglia)
20 ragazzi presenti, 2 ragazzi assenti
M/
F
Dico di me…
Aspetto Carat
fisico
-tere
Senti
menti
F
Neutro
P
F
P
P
P
F
Neutro
P
P
P
P
P
P
P
P
P
P
P
F
F
F
F
F
M
P/N
Neutro
M
Neutro
P
M
Neutro
P
M
Neutro
P
M
Neutro
P
M
Varie
Determinata,
ama leggere
Creativa,
ama le storie
“amorose”
Sport, arte e
matematica
Curiosa
Onesta
Intelligente
-
-
-
-
P
P
Troppo
buona
-
-
-
-
-
P
P
P
-
Karate
Sincera
P
P
P
P
P
P
M
I miei compagni dicono di me…
Aspetto Carat Senti
Varie
fisico
-tere menti
Si adatta a
luoghi e lavori diversi
Bravo a
suonare
Karate,
internet
P
P
P
M
Neutro
P
M
Neutro
P
M
Neutro
P
P
M
Neutro
P/N
P
M
N
P/N
P
P
Cucina
Sport, musica, cucina
Cucina,
manualità,
intelligente
Sicuro si sé,
coraggioso,
tranquillo
Sport, recita,
dice battute
P
Sa adattarsi
alle persone
Sport, ottimo amico
Si impegna
per
migliorare
Tenace
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
P
Dice battute,
bravo nelle
relazioni
P
Sensibile,
tenace
Tenace,
all’antica
P
P
P
-
Pag. 150 di 195
-
Risata
contagiosa
Rispettoso,
cerca di
superare i
suoi limiti
Si interessa
alle persone
Ragionevole
-
-
Promessa
ricompensa
SI
SI
SECONDO INCONTRO – Martedì 15 Novembre 2011
Scheda “Facciamo i bagagli” Consegnate al termine del primo incontro e compilate a casa
L’hanno messo nei bagagli:
Person.
Oggetto
Basket
Bici
Bussola
Calcolatrice
Cannocchiale
Cartina geografica
Cellulare/telefono
Chitarra
Cibo, acqua
Coltellino
Computer
Coraggio
Cuscino, coperta, sacco a
pelo
Diario di viaggio
F
M
Interes.
F
M
F
M
1
1
2
1
3
2
3
7
1
1
4
2
6
1
1
1
6
2
5
2
1
1
1
1
1
2
(F/I) perché adoro ascoltare la musica
5
1
(M/P) Perché mi serve a sopravvivere
(M/P) senza non potrei vivere
(M/P) cibo
(M/P) l’acqua per vivere
(M/P) sono indispensabili per vivere
(F/?) per vivere
(F/P) perché senza non si può vivere
(M/I) ha un significato affettivo
2
4
Libro/libri
Macchina fotografica
Medicine
1
Musica/mp3
1
Quaderni/fogli/penne/diari
o
F
Perché…
1
Foto/album foto
Occhiali da sole
Orecchini
Orologio
Pallone
M
Scolast.
Di cui,
come +
importa
nte:
(M/P) perché sono le persone che mi
appoggeranno sempre e che mi vogliono
bene.
1
3
5
1
1
1
7
(F/I) mp3, perché mi fa star bene con la
musica
6
1
1
1
4
1
9
9
4
Pag. 151 di 195
3
(M/S) con la bottiglia, perché se mi
perdo posso chiedere aiuto
(M/S) per prendere appunti
(F/S) così potrei scrivere a persone
lontane
(F/S) per annotare quello che si fa nel
corso della giornata
(F/S) perché voglio disegnare i luoghi
che incontrerò
(F/S) per scrivere
(M/I) perché posso scrivere ciò che
immagino
Scarpe da ballo
1
Soldi
Trucchi
TV
Vestiti, biancheria, scarpe
Videogiochi
Zaino
1
1
2
6
6
(F/I) perché per me ballare è una cosa
essenziale
1
1
1
2
4
Scheda “La lampada di Aladino”
21 ragazzi presenti, 1 assente (10 femmine e 11 maschi)
Desiderio
Andare a Dubai/fare un viaggio/viaggiare nel mondo
Andare bene a scuola
Avere il dono di curare le persone e Aiutare le razze
animali in via di estinzione
Avere tanti amici
Avere un robot (che faccia le cose al posto mio)
Avere una bella vita senza complicazioni
Avere una casa in cui vivere con gli amici
Avere una fabbrica di cioccolato
Capire cosa pensano veramente le persone
Conoscere i miei idoli/conoscere le persone famose che
preferisco
Dare cibo a tutti i poveri nel mondo/eliminare povertà
Diventare famoso
Diventare ricco
Diventare un avvocato di successo
Diventare un calciatore (di seria A)
Diventare una brava ballerina
Eliminare la gelosia
Essere bella e con un buon carattere/essere simpatico
Essere totalmente indipendente (fare quello che voglio)
Non perdere gli amici
Pace in famiglia e nel mondo
Pace nel mondo/l’uguaglianza
Pace nella mia famiglia
Parlare tutte le lingue del mondo per essere uguale a tutti
Rimanere nella storia per avere fatto qualcosa
Riuscire bene a scuola senza studiare
Visitare altri pianeti/andare nello spazio
Vivere per l’eternità con un animo “pulito” e buono
Voglio la mia vita così perché le cose importanti le ho
già
Voglio la mia vita così senza cambiamenti (voglio
costruire il mio futuro da solo/a)
Volare per un giorno/avere le ali
Pag. 152 di 195
F
1
1
M
3
Scelto per primo
F
M
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
5
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
3
1
1
1
1
2
1
1
1
1
2
1
5
2
1
1
1
4
1
3
1
1
2
1
1
1
Vorrei la giustizia nel mondo
1
Pag. 153 di 195
1
TERZO INCONTRO – Martedì 22 Novembre 2011
Scheda “il re”
20 ragazzi presenti: 9 femmine e 11 maschi (assenti 1 ragazzo e 1 ragazza)
Richiesta
Abitazioni per il popolo
Andare a Miami/andare a Dubai/viaggiare/viaggio in Argentina/soldi per
viaggiare/motocicletta e tenda per girare il mondo/macchina velocissima per
viaggiare e trovare posti nuovi e trovare l’amore
Casa grande per divertirsi
Cibo
Famiglia più unita/soldi per aiutare la famiglia
Il castello del re
I-phone
Organo a canne super
Soldi per me
Terreno e due macchine
Una Ferrari
Villa per dare feste ogni giorno per far divertire tutti
F
Metodo di persuasione usato
Argomentazione
Argomentazione e scambio
Offerta servigi o baratto
Ricatto
F
4
1
3
1
Pag. 154 di 195
5
1
M
1
3
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
M
4
3
3
1
Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° V
PRIMO INCONTRO – Giovedì 3 Novembre 2011
Scheda “pergamena” (messaggio nella bottiglia)
21 ragazzi presenti, 1 ragazza assente
M/
F
F
F
Dico di me…
Aspetto Carat
fisico
-tere
N
P
N
P/N
F
F
Neutro
Neutro
Usa sempre
la sua testa
P
Sognatrice,
una persona
come le altre
Neutro
P/N
F
P
Gioca a
pallavolo
P
P
Sa far ridere,
confortare
P
P
Intelligente
P
P
F
Neutro
M
M
Neutro
P
M
P
M
P
P
M
M
Intelligente
P
P
F
F
P
P
F
F
P
Varie
Timida, ama
pensare
P
F
F
Senti
menti
P
Neutro
P
M
P
M
P/N
M
P
P
I miei compagni dicono di me…
Aspetto Carat Senti
Varie
fisico
-tere menti
P
P
P
P
E’ una brava
P
P
P
ballerina
Intelligente,
P
P
brava a
studiare
-
-
-
P
P
P
P
P
P
Indipendente, sportiva
-
-
-
-
P
P
P
P/N
P
P
-
-
-
-
-
-
-
SI
P
P
P
P
Corre veloce
e sa nuotare
Intelligente
indipendente
E’ forte, è
un ginnasta
SI
Nuota bene
Soffre a
stare solo
Un po’
introverso
Cucina, ama
l’avventura
Audace,
bravo con i
videogiochi
Promessa
ricompensa
P
SI
P
P
SI
N
-
-
-
-
-
-
-
-
P
P
P
Pag. 155 di 195
SECONDO INCONTRO – Giovedì 10 Novembre 2011
Scheda “Facciamo i bagagli” Consegnate al termine del primo incontro e compilate a casa
Un ragazzo non ha indicato il “bagaglio” più importante
Un ragazzo ha indicato gli stessi oggetti nel sacco della vita personale e in quello degli
interessi. Li ho segnati nel primo.
L’hanno messo nei bagagli:
Oggetto
Amici
Armadio/bagno
Letto/camera da letto
Armi
Barca/gommone
/bussola/bottiglia
Bibbia
Cartina/mappamondo
Casa mia
Cellulare/telefono/carica
batterie/ricariche
Person.
F M
1
8
F
M
1
(M/P) Perché mi sentirei solo
2
1
1
3
(F/I)In caso la barca dovesse fare un
incidente
1
1
1
2
5
1
Computer
4
Crema
Cuscino con foto amica
del cuore
Diario (personale)
Disegni (i miei)
Film e lettore DVD
Fornelli, padelle
1
Foto della mia infanzia
1
Foto di classe e dediche
amici
Interes.
F M
Perché…
1
1
Cibo, frigorifero pieno e
acqua
Collana/bracciale di mio
padre
Scolast.
F M
Di cui,
come +
importa
nte:
6
4
2
3
1
1
1
3
1
1
1
1
1
5
2
2
1
2
(F/I) Per sentire tutte le persone a cui
tengo
(F/P) perché posso chiamare e fare le
foto
(M/P) l’acqua perché è indispensabile
per vivere
(M/I) Il depuratore per l’acqua così
posso prendere l’acqua dal mare e
depurarla
(M/I) Computer con connessione a
internet illimitata perché è più utile
(M/P e I) Perché voglio scrivere un
libro riguardante il nostro viaggio
(F/P) puoi contattare tutti –
connettermi a facebook
1
1
1
1
1
2
Pag. 156 di 195
(F/P) mi ritraggono nei momenti più
belli della mia vita
Foto famiglia
Fumetti
La mia tartaruga/ghe
Libro ricette
Libro/libri
Macchina fotografica
/videocamera
Materie prime
Materie scolastiche varie
4
2
1
1
1
4
3
1
1
4
1
(F/I) Per intrappolare i momenti più
importanti
1
(F/I) se devo proprio scegliere, l’mp3
perché senza musica mi sento triste
1
1
2
Orologio
Palestra
Pallone/palla
Peluche preferito/pupazzi
Penna/portapenne
Quaderni/fogli
Razzo segnalatore
/lampada solare
Scarpe
Scarpe e varie danza
1
2
1
5
3
1
2
1
(M/I) Perché amo il basket
1
(M/P) senza soldi non posso fare
niente
5
6
5
5
2
1
1
1
3
Soldi
1
Strumenti musicali
Televisione
2
Videogiochi
Zaino (vuoto)/cartella
1
2
Musica/CD/radio
Vestiti
2
(M/P) per non soffrire di nostalgia
(F/P) così sarei lontana solo
fisicamente ma non con il cuore
(F/P) così se mi dovesse succedere
qualcosa mentre sono via posso
volgere l’ultimo sguardo alle persone a
me più care
1
1
4
3
3
(F/P) Perché senza i vestiti non ti puoi
vestire
1
2
6
1
1
Scheda “La lampada di Aladino”
20 ragazzi presenti, 2 ragazze assenti
Scelto per primo
Desiderio
Avere una bella automobile
Avere tutti gli oggetti della Microsoft
Avere un peluche che costa 319 euro
Avere la vista a raggi X
Avere una casa “enorme”
Avere i fantagenitori
Che si sistemasse la situazione in Italia
Dimenticare una persona
Diventare Dio
Diventare il miglior calciatore/giocatore di basket/ballerina
Diventare ingegnere informatico
Diventare pilota di elicotteri
Diventare una star e andare a vivere a new york
Diventre direttore generale della Microsoft
Eliminare guerre e povertà/pace nel mondo/aiutare altri
Pag. 157 di 195
F
M
1
1
F
M
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
2
1
1
1
1
1
1
7
1
2
1
4
Essere brava a scuola
Essere immortale
Essere una brava persona
Essere uno jedi
Fermare il tempo/rimanere bambina
Incontrare il mio cantante/attore/scrittore preferito
Non affezionarsi alle persone sbagliate
Pace nella mia famiglia
Potersi teletrasportare
Realizzare tutti i miei sogni
Ricchezza/benessere
Ritrovare e decodificare il manoscritto della Divina Commedia
Saper respirare sott’acqua
Saper volare
Stare con i miei amici
Suonare nella mia band preferita o come il musicista
Trovare persone con cui essere felice
Usare il 100% del mio cervello
Viaggiare
Viaggiare nel tempo
1
2
1
2
1
1
1
1
1
3
1
2
1
1
1
3
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
TERZO INCONTRO – Giovedì 17 Novembre 2011
Scheda “il re”
21 ragazzi presenti, 1 ragazzo assente
2 ragazzi hanno cambiato il finale dopo aver ascoltato quello dei compagni. Ho tenuto
conto del primo finale scritto.
Un solo ragazzo ha parlato degli studi, chiedendo 2700 euro al mese di cui 600 euro per gli
studi ed il resto per sé e per la famiglia.
Richiesta
Armatura con spada e scudo
Biglietto vincente della lotteria
Conoscere/sposare il figlio del re
Il trono
La base spaziale della NASA
Materasso morbido per dormite spettacolari
Motorino/macchina
Ricchezze
Tablet della Apple
Un enorme negozio di scarpe
Vivere in Germania
F
Metodo di persuasione usato
Argomentazione
Insistenza/sfinimento
Minaccia (torture, solletico, morte, bomba nel castello)
Offerta servigi o baratto
Per sfinimento e offerta servigi
Ricatto (svelare segreti del re o perdere il trono o essere un peso)
F
3
2
Pag. 158 di 195
M
2
1
3
1
1
1
2
4
1
1
1
3
2
3
3
M
1
1
4
1
1
Scuola Palmieri di Torino - Classe 3° Z
PRIMO INCONTRO – Mercoledì 9 Novembre 2011
Scheda “pergamena” (messaggio nella bottiglia)
18 ragazzi presenti, 2 ragazze assenti
M/
F
F
Dico di me…
Aspetto Carat
fisico
-tere
Senti
menti
I miei compagni dicono di me…
Aspetto Carat Senti
Varie
fisico
-tere menti
Varie
Disegnare,
senso dello
orientamento
Neutro
-
-
-
Sa ascoltare
Risata contagiosa, buona
amica,onesta
F
P
P
P
P
F
P
P
P
P
F
P
P
P
P
-
-
-
-
-
-
-
-
P
P
P
F
P
P
F
P
P
M
Manualità
fine,
parrucchiere
M
M
Neutro
M
Neutro
M
Neutro
M
M
Ha la barba
(ha 15 anni)
Uomo
sportivo
P
Neutro
P
M
P
M
P
M
Neutro
P
M
P
P
M
Curiosa,
ottimista
Trova cose
positive in
ogni
avvenimento
Sport, forza
fisica,
matematica
P
P
-
-
-
P
P
Sorriso
contagioso
Buona
memoria, sa
ascoltare
-
P
P
P
Simpatico
Alto,
robusto,
onesto
Simpatico,
sport
Forte,
coraggioso,
cucina
Intelligente,
sportivo
Modesto,
cucina
Agile, nuota
bene
-
-
-
P
P
P
P
Carnagione
scura
-
-
-
P
P
P
Pag. 159 di 195
SI
Onesto,
tranne che
nello sport!
Forte
fisicamente,
rispetta chi
lo rispetta
Forte, alto
-
Promessa
ricompensa
SI
SI
SECONDO INCONTRO – Mercoledì 16 Novembre 2011
Scheda “Facciamo i bagagli” Consegnate al termine del primo incontro e compilate a casa
Un ragazzo non ha indicato l’oggetto più importante.
Un ragazzo non ha inserito nessun oggetto nel sacco degli interessi.
Un ragazzo non ha inserito nessun oggetto nel sacco degli interessi e non ha scelto
l’oggetto più importante.
L’hanno messo nei bagagli:
Oggetto
Autografi Juve
Canna da pesca
Cappello
Person.
F M
1
Foto/album foto, ricordi
1
M
1
(F/S) perché in questo modo non
perdo mail la rotta
2
(F/?) perché non posso farne a meno e
lo posso usare per molte cose: foto,
musica, gioco, comunicare
(F/I) per foto, musica e immagini
2
1
4
2
2
1
4
1
4
1
2
2
2
1
7
9
1
1
(F/P) me l’ha regalato mia mamma
(M/P-S) penna e bottiglie per inviare
messaggi
1
3
Fucile da caccia
Fumetti
Lavagna, gesso,banchi
Lettere
F
1
Carte da gioco
Chitarra
Collana, cavigliera,
orecchini
Computer
Costruzioni (lego)
Cuscino, coperta
Diario segreto
Fogli, penne, quaderni,
diario
Forbici
Interes.
F M
Perché…
1
Carta geografica
Cellulare, telefono
Scolast.
F M
Di cui,
come +
importa
nte:
3
(F/P) perché non mi farà mai
dimenticare i momenti più belli della
mia vita
1
1
1
1
2
Libro/libri
Macchina fotografica
1
1
1
Musica
1
3
Occhiali da sole
Padella
1
2
5
6
4
2
2
1
7
1
1
1
Pag. 160 di 195
2
(F/P)per me sono importanti ed è un
ricordo molto speciale
(M/I) per rilassarmi nel tempo libero
(F/I) vorrei ricordare il viaggio
(F/I) perché la musica mi rassicura e
mi emoziona
(M/I) non riesco a stare senza sentire
le canzoni
(M/I) IPOD, perché posso farci di tutto
Palla, racchetta da tennis
Piscina gonfiabile
Portafortuna
Profilattici
Pupazzo
Radio
Regali
Riviste
Sedia
Televisione
Trucchi, specchio, piastra
per capelli, gel, profumo
Vestiti, indumenti, scarpe
Vino, alcolici
Z.B.
Zaino
1
1
7
4
(M/I) per me è una cosa molto
importante
(M/I) è l’oggetto che mi rappresenta di
più e mi piace giocare col pallone
(M/I) non riesco a stare senza calciare
il pallone
(M/I) perché così posso giocare
2
1
(M/P) per restare sempre informato
1
1
2
2
1
2
2
1
1
3
2
2
1
1
1
3
2
Scheda “La lampada di Aladino”
19 ragazzi presenti: 8 ragazze e 11 ragazzi
Un ragazzo ha espresso solo due desideri e non ha scelto il preferito.
Scelto per primo
Desiderio
Andare a Londra
Arrivare all’età di 30 anni e non invecchiare più
Avere altre quattro braccia
Avere successo al liceo e nel lavoro
Avere un cane
Avere un futuro felice e diventare ciò che desidero/ Riuscire a
realizzarmi da grande/vivere bene
Avere una bella ragazza come Belen
Avere una lavagna
Che i cani parlassero
Che l’uomo potesse volare/saper volare
Che le persone non si uccidano più a vicenda
Che non ci fosse la scuola
Che tutti si aiutassero a vicenda
Che vengano cancellate le ingiustizie/uguaglianza tra i popoli
Comprare una bella villa
Comprare una Ferrari
Desidero poter viaggiare sempre
Diminuire le guerre nel mondo/pace nel mondo
Diventare un playboy
Eliminare barriere tra maschi e femmine
Essere giocatore professionista (calciatore)
Essere immortale
Essere l’uomo più intelligente del mondo
Essere un grande caccia tesori
Essere una brava archeologa
Fare lo stilista
Pag. 161 di 195
F
1
M
F
1
M
1
1
1
2
2
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
2
2
1
1
2
2
1
2
1
1
4
2
1
1
2
1
2
1
1
1
1
1
Fare un cammino dignitoso
Fare un viaggio in un paese lontano
Fare una partita a calcio col calciatore preferito
Guadagnare molti soldi/essere il più ricco del mondo
Io e il mio cantante immortale/io e le persone care diventare
immortali
Mantenere un’amicizia speciale negli anni
Poter diventare invisibile
Sapere tutte le lingue
Viaggiare in tutto il mondo
1
1
1
1
1
3
2
1
1
2
3
1
1
2
TERZO INCONTRO – Mercoledì 22 Novembre 2011
Scheda “il re”
19 ragazzi presenti: 8 femmine e 11 maschi
Due ragazzi non hanno scritto il dialogo col re.
Richiesta
Cane
Casa con campi di grano/ fattoria vicino al mare/Villa
Conoscere Ligabue/Venditti
Essere personal trainer di una squadra di football americana/squadra di
calcio
Nave per cercare tesori
Più campi da calcio in città
Posto di lavoro come cacciatore
Soldi
Viaggio in America/conoscere nuove terre/viaggiare/mongolfiera Aereo
con pilota/yatch/casa a New York(per vedere posti nuovi)
F
1
1
Metodo di persuasione usato
Argomentazione
Argomentazione e servigi
Insistenza
Offerta servigi o baratto (di cui 2 ragazze offrono i racconti dei loro viaggi)
Ricatto e servigi
F
Pag. 162 di 195
6
4
3
1
M
2
2
2
1
1
1
1
1
M
3
4
2
ALLEGATO C – SCHEDE DI VALUTAZIONE
Scheda di valutazione alunni
In viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta
Laboratorio di orientamento narrativo
Scuola
Classe
Le domande
Le tue risposte
Cosa hai imparato da
questo laboratorio?
Hai incontrato delle
difficoltà? Quali?
Cosa ti è piaciuto di
meno?
Cosa ti è piaciuto di più?
Pag. 163 di 195
Cosa hai imparato dagli
altri? Puoi fare degli
esempi?
Pag. 164 di 195
Scheda di valutazione professore
In viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta
Laboratorio di orientamento narrativo
Scuola
Classe
Grazie per la collaborazione!
1) Pensa che il laboratorio sia stato utile per i ragazzi?
SI
Perché?
NO
Perché?
2) Pensa che il laboratorio sia stato coinvolgente per i ragazzi?
SI
Perché?
NO
Perché?
3) Ritiene che alcuni ragazzi possano essersi sentiti esclusi?
SI
Perché?
NO
Perché?
4) Ritiene che alcuni ragazzi possano essersi sentiti a disagio?
SI
Perché?
NO
Perché?
4) Prendere parte agli incontri è stato per Lei interessante?
SI
Perché?
Pag. 165 di 195
NO
Perché?
5) Ritiene che la conduzione del laboratorio sia stata adeguata?
SI
Perché?
NO
Perché?
6) Quali ritiene siano stati gli eventuali punti deboli, le carenze del laboratorio?
7) Quali invece gli eventuali punti di forza?
8) Cosa suggerirebbe per rendere più utile o più interessante il laboratorio?
Eventuali note aggiuntive…
Pag. 166 di 195
Pag. 167 di 195
ALLEGATO D – IL LIBRETTO
Pag. 168 di 195
Ci prepariamo per partire…
Un uomo cerca ragazzi e ragazze per formare un equipaggio e andare con la
sua barca alla ricerca dell’Isola Sconosciuta… vorresti partire con loro?
Cosa vorresti fare sulla nave?
Per prima cosa scriviamo un messaggio sulla
pergamena: in caso di naufragio potremo
inserirlo in una bottiglia da affidare alle onde.
Ci servirà per chiedere aiuto!
Ora prepariamo i bagagli!
Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che
Peter finalmente capì. La gente lo considerava difficile
perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare
questo dava fastidio. L’altro problema era che gli
piaceva starsene da solo. Non sempre naturalmente.
Nemmeno tutti i giorni. Ma per lo più gli piaceva
prendersi un’ora per stare tranquillo in qualche posto,
che so, nella sua stanza, oppure al parco. Gli piaceva
stare da solo, e pensare i suoi pensieri.
Ian McEwan, L’inventore di sogni
Pag. 169 di 195
Pag. 170 di 195
Pag. 171 di 195
Pag. 172 di 195
… ma dove stiamo andando?…
Abbiamo parlato di un’isola sconosciuta… ma come sarà
quest’isola? Come la immaginiamo e come sarà davvero?
Ognuno di noi ha una sua propria, personale, unica, isola
sconosciuta…
L’isola che non c’è – Edoardo Bennato
Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all'isola che non c'è.
Forse questo ti sembrerà strano
ma la ragione
ti ha un po' preso la mano
ed ora sei quasi convinto che
non può esistere un'isola che non c'è
E a pensarci, che pazzia
è una favola, è solo fantasia
e chi è saggio, chi è maturo lo sa
non può esistere nella realtà!....
Son d'accordo con voi
non esiste una terra
dove non ci son santi né eroi
e se non ci son ladri
se non c'è mai la guerra
forse è proprio l'isola
che non c'è. che non c'è
Son d'accordo con voi
niente ladri e gendarmi
ma che razza di isola è?
Niente odio e violenza
né soldati né armi
forse è proprio l'isola
che non c'è.... che non c'è
Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all'isola che non c'è.
E ti prendono in giro
se continui a cercarla
ma non darti per vinto perché
chi ci ha già rinunciato
e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te
E non è un'invenzione
e neanche un gioco di parole
se ci credi ti basta perché
poi la strada la trovi da te
Pag. 173 di 195
Tutti noi abbiamo dei desideri che vorremmo
realizzare. Per farlo ci impegniamo ogni
giorno, a volte con gioia ed entusiasmo, a
volte con fatica. Nei momenti più difficili
l’aiuto di qualcuno che ci vuol bene e che ha
più esperienza di noi può essere prezioso.
Sarebbe bello avere la lampada magica e un genio
pronto ad esaudire i nostri desideri!
Eppure nessun genio potrà mai regalarci la gioia e
la soddisfazione che si prova quando con impegno
e fatica raggiungiamo una meta che ci eravamo
prefissati.
Se riusciamo a conquistare la vetta della montagna scalandola con scarponi e
piccozza, allora la montagna sarà anche un po’ nostra. L’avremo conquistata,
appunto. Se arriviamo in cima con un elicottero… beh, il panorama è comunque
molto bello, ma la montagna non la conosciamo.
“- Come possiamo fare qualcosa di impossibile? –
- Con entusiasmo. –“
Paulo Coelho, Monte Cinque
Pag. 174 di 195
Immagina di aver trovato la magica lampada di Aladino!
L’hai strofinata e di fronte a te c’è il famoso genio: esprimi I TUOI TRE
DESIDERI!
ATTENZIONE! Il genio non ti può esaudire se chiedi di:
- resuscitare i morti
- costringere qualcuno a fare cose o provare sentimenti che non sono suoi
- uccidere
Pag. 175 di 195
Pag. 176 di 195
…in viaggio…
Siamo pronti per partire! I bagagli sono pronti e l’isola ci
aspetta!
L’isola non trovata - Francesco GuccINI
Ma bella più di tutte è l’isola non trovata,
quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino
il Re del Portogallo
con firma suggellata e bulla del pontefice
in gotico Latino.
Il Re di Spagna fece vela cercando l’isola incantata,
però quell’isola non c’era, e mai nessuno l’ha trovata.
Svanì di prua dalla galea, come un’idea;
come una splendida utopia
è andata via
e non tornerà mai più.
Le antiche carte dei corsari portano un segno misterioso,
ne parlan piano i marinari con un timor superstizioso.
Nessuno sa se c’è davvero od è un pensiero;
se a volte il vento ne ha il profumo
è come il fumo che non prendi mai!
Appare a volte avvolta di foschia,
magica e bella,
ma se il pilota avanza,
su mari misteriosi è già volata via,
tingendosi d’azzurro,
color di lontananza.
Pag. 177 di 195
Un uomo cerca ragazzi e ragazze per formare un equipaggio e andare con la
sua barca alla ricerca dell’Isola Sconosciuta… ascoltiamo la storia di
quest’uomo: leggiamo insieme Il racconto dell’isola sconosciuta di Josè
Saramago.
Un uomo andò a bussare
alla porta del re e gli disse,
Datemi una barca.
Pag. 178 di 195
L’Isola Sconosciuta prese infine il mare, alla ricerca di sé stessa
C’è un tempo in cui credi che il sogno dell’isola riguardi un approdo, e un
altro in cui scopri che è invece partenza.
IL RE
Se fosse il tuo turno alla “porta delle petizioni”, cosa chiederesti al re?
Scrivi un breve racconto o dialogo in cui parli delle difficoltà che credi di
poter incontrare, le obiezioni che credi il re solleverà e come pensi di
convincerlo a darti quello che desideri.
Pag. 179 di 195
Pag. 180 di 195
“Dopo che ebbe riflettuto tutto il giorno e tutta la notte seguente, prese una
decisione irrevocabile. Appena spuntò il sole si mise in marcia, passo dopo
passo, lenta ma inarrestabile.”
Tranquilla Piepesante, in Michael Ende ,
Fiabe e favole
“Si, a volte si naufraga strada facendo, ma, se mi dovesse capitare, dovreste
scrivere negli annali del porto qual è stato il punto in cui sono arrivato, Volete
dire che, quanto ad arrivare, si arriva sempre, Non sareste chi siete se già non
lo sapeste.”
Il racconto dell’isola sconosciuta di Josè Saramago
Pag. 181 di 195
BIBLIOGRAFIA
Testi
Ainsworth Mary, 1967, Infancy in Uganda: infant care and the growth of love, Baltimore,
Johns Hopkins University Press
Ainsworth Mary, 1991, Attachment and other affectional bonds across the life cycle, in
Parkes C. M., Stevenson-Hinde J., Marris P. (e cura di), Attachment across the life cycle, New
York, Routledge, pagg. 33-51
Allegra Antonio, 2005, Dopo l'anima. Locke e la discussione sull’identità personale alle
origini del pensiero moderno, Roma, Studium
Allen Joseph P., Land Deborah, 1999, Attachment in adolescence, in Cassidy J., Shaver P.R.
(a cura di), Handbook of attachment, New York, Guilford Press
Amerio Piero, 2000, Psicologia di comunità, Bologna, Il Mulino
Arace Angelica, 2001, Identità insicure: attaccamento e rappresentazione di sé in
adolescenza, in Giani Gallino, 2001, pagg. 71-91
Arace Angelica, Attaccamenti, separazioni, perdite, 2006, Milano, Unicopli
Armsden Gay C., Greenberg Mark T., 1987, The inventory of Parent and Peer Attachment:
Individual differences and their relationship to psychological well-being in adolescence, in
“Journal of Youth and Adolescence”, 16, pagg. 427-454
Arseth Annie K., Kroger Jane, Martinussen Monica, Marcia James E., 2009, Meta-analytic
studies of identity status and the relational issues of attachment and intimacy, in “Identity:
An International Journal of Theory and Research”, 1, pagg.1-32
Bandura Albert (a cura di), 2009, Il senso di autoefficacia: aspettative su di sé e azione,
Gardolo, Erickson
Bandura Albert, 1986, Social Foundations of Thought and Action: a social cognitive theory,
Englewood Cliffs (NJ), Prentice Hall
Bandura Albert, 1997, Self-Efficacy. The exercise of Control, New York, Freeman &
Company
Bariaud Françoise, Rodriguez-Tomè Hector, 1994, La conscience de grandir, in Bolognini
Monique, Plancherel Bernard, Nùnez Rafael, Bettschart Walter (a cura di), Preadolescence.
Théorie, recherche et clinique, Paris, ESF, pagg. 57-72
Batini Federico (a cura di), 2005, Manuale per orientatori, Trento, Erickson
Batini Federico, Del Sarto Gabriel, 2005, Narrazioni di narrazioni, Trento, Erickson
Pag. 182 di 195
Batini Federico, Giusti Simone (a cura di), 2010, Imparare dalle narrazioni, Milano, Unicopli
Batini Federico, Giusti Simone, 2008, L'orientamento narrativo a scuola. Lavorare sulle
competenze per l'orientamento dalla scuola dell'infanzia all'educazione degli adulti, Trento,
Erickson
Batini Federico, Giusti Simone, Del Sarto Gabriele, 2007, Narrazione e invenzione. Manuale
di lettura e scrittura creativa, Trento, Erickson
Batini Federico, Zaccaria Renato (a cura di), 2000, Per un orientamento narrativo, Milano,
FrancoAngeli
Batini Federico, Zaccaria Renato, 2002, Foto dal futuro, Civitella in Val di Chiana, Arezzo,
Zona Editrice (collana Sinergika)
Bellamìo Dante, Cicciarelli Elisabetta, Scandella Ornella, Vimercati Marilena, 2002, La
scuola che orienta. Percorsi, ruoli, strumenti, Milano, La Nuova Italia
Benasayag Miguel, Del Rey Angélique, 2007, Éloge du conflit, La Paris, Découverte (trad. it.
2008, Elogio del conflitto, Milano Feltrinelli
Benedetto Pierre, 1987, Intérêts, maturitè vocationelle et choix des études, in “LOrentation
Scolaire et Professionnelle”, 16, n. 3, pagg. 193-206
Bettleheim Bruno, 2008, Il mondo incantato, Milano, Feltrinelli
Blos Peter, 1962, On adolescence: a psychoanalitic interpretation, New York, Free Press
(trad. it. 1971, L’adolescenza in una prospettiva psicoanalitica, Milano, Angeli)
Bosma Harke A., 1985, Identity development in adolescence. Coping with commitments, tesi
di dottorato non pubblicata, University of Groningen
Bosma Harke A., Graafsma Tobi L.G., Grotevant Harold D., de Levita David J. (a cura di),
1994, Identity and development. An interdisciplinary approach, Thousand Oaks, Sage, pagg.
67-80
Bowlby John, 1983, Attaccamento e perdita. 1: L'attaccamento alla madre, Torino,
Boringhieri (ed. or. 1969)
Bowlby John, 1983, Attaccamento e perdita. 2: La separazione dalla madre, Torino,
Boringhieri (ed. or. 1973)
Bowlby John, 1983, Attaccamento e perdita. 3: La perdita della madre, Torino, Boringhieri
(ed. or. 1980)
Bowlby John, 1989, Una base sicura, Milano, Cortina (ed. or. 1988)
Bowlby John, 1998, A secure base. Clinical applications of attachment theory, London,
Tavistock -Routledge
Bowling Joanne K., Harry Potter e la pietra filosofale, 2002, Salani Editore
Pag. 183 di 195
Breckler Steven J., Greenwald Anthony G., 1986, Motivational facets of self, in Higgins E.T.,
Sorrentino R.M. (a cura di), Handbook of motivation and cognition. Foundation of social
behaviour, New York, The Guilford Press, vol. I, pagg. 145-161
Bronfenbrenner Urie, 1979, The ecology of Human Development: Experiment by Nature and
Design, Cambridge, Mass., Harvard University Press (trad. it. 1986, Ecologia dello sviluppo
umano, Bologna, Il Mulino).
Bruner Jerome S., 1986, Actual Minds, Possible Worlds, Cambridge, Harvard University
press (trad. it. 1988, La mente a più dimensioni, Bari, Laterza)
Bruner Jerome S., 1990, Acts of Meaning, Cambridge, Harvard University press
(trad. it. 1992, La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Torino, Bollati
Boringhieri)
Bruner Jerome S., 1996, The culture of education, Cambridge, Harvard University Press (trad.
it. 1997, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli)
Buist Kirsten L., Deković Maja, Meeus Wim, van Aken Marcel A.G., 2002, Developmental
patterns in adolescent attachment to mother, father and sibling, in “Journal of Youth and
Adolescence”, 31 (3), pagg. 167-176
Campbell Jennifer D., 1990, Self-esteem and clarity of the self concepì, in Baumeister R.F.,
The self in Social Psychology, Philadelphia, Psychology Press, pagg. 223-239
Cassidy Jude, Shaver Philip R. (a cura di), 2002, Manuale dell’attaccamento. Teoria, ricerca
e applicazioni cliniche, Roma, Fioriti
Castelli Cristina (a cura di), 2002, Orientamento in età evolutiva, Milano, FrancoAngeli
Cole Michael, 1996, Cultural Psychology: a once e future discipline, Cambridge, Harvard
University press (trad. it. 2004, Psicologia culturale: una disciplina del passato e del futuro,
Roma, Carlo Amore)
Coleman John C., 1974, Relationships in adolescence, London, Routledge
Coleman John C., Hendry Leo, 1990, The nature of adolescence, London, Routledge, tad. it.
1992, La natura dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino
Cooley Charls Horton, 1902, Humane nature and social order, New York, Charles
Scribener’s Sons
Crittenden Patricia M., 1994, Nuove prospettive sull’attaccamento, Milano, Guerrini
Crocetti Elisabetta, Rubini Monica, Palmonari Augusto, 2008, Attaccamento ai genitori e ai
pari come fonte di benessere sociale, “Psicologia della salute”, 2, pagg. 63-79
Cross Susan E., Markus Hazel R., 1991, Possible self across the life span, in “Human
Development”, 34, pagg. 230-255
Pag. 184 di 195
Csikszentmihalyi Mihaly, 1993, The evolving self: A psychology for the third millennium,
New
York, HarperCollins
D’Alessio Maria, Laghi Fiorenzo, Pallini Susanna, 2005, L’orientamento nella scuola media.
Manuale teorico pratico per insegnanti, psicologi e pedagogisti, Roma, Edizioni Carlo
Amore
De Grada Eraldo, 1988, L’attribuzione causale: teorie classiche e sviluppi recenti, Bologna, Il
Mulino
De Luca Erri, 1997, Alzaia, Milano, Feltrinelli
De Pieri Severino, 2000, Orientamento educativo e accompagnamento vocazionale, Leumann
Rivoli, Elledici
Deaux Kay, Reid Anne, Mizrahi Kim, Cottine Dave, 1999, Connecting the person to the
social: the functions of social identification, in Tyler T.R., Kramen R.M., John O.P. (a cura
di), The psychology of social self, Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates Publishers,
pagg. 91-113
Deci Edward L., Ryan Richard, 1985, Intrinsic motivation and self-determination in human
behaviour, New York, Plenum
Del Rey Angélique, 2009, La scuola delle competenze: la costruzione dell’uomo e della
società, in Magnoni U., Venera A. (a cura di), 2009
Dunkel Curt S., 2000, Possibile selves as a mechanism for identity exploration, in “Journal of
Adolescence”, 23, pagg. 519-529.
Dupont Jean-Blaise, Leresche G., 1981, Définition et mesure des valeurs professionnelles
chez les futurs bacheliers in “Bulletin de psychologie”, 35 (8–10), N°355, 449-471
Edwards Ward, Phillips Lawrence D., 1964, Man as transducer for probabilities in Bayesian
command and control system, in Bryan G.L., Shelly M.W. (a cura di), Human judgment and
optimality, New York, Wiley
Eliot Thomas S., 1984, Quattro quartetti, Milano, Garzanti
Elton Mayo, 1933, The Human Problems of an Industrial Civilization, New York, Viking
Press
Ende Michael, 2004, Fiabe e favole, Milano, Mondadori
Erikson Erik H., 1950, Childood and society, New York, Norton (trad. it. 1968, Infanzia e
società, Roma, Armando)
Erikson Erik H., 1968, Identity youth and crisis, New York, Norton & C. (trad. it. 1974,
Gioventù e crisi d’identità, Roma, Armando)
Pag. 185 di 195
Erikson Erik H., 1982, The life cycle completed. A review, New York, Rikan Interprises (trad.
it. 1984, I cicli della vita. Continuità e mutamenti, Roma, Armando editore
Evangelista Leonardo, 2002, L’orientamento come educazione alla vita e l’orientamento
formativo. Reperibile sul sito www.orientamento.it all’indirizzo
http://www.orientamento.it/orientamento/2c.htm
Evangelista Leonardo, 2009, Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della
vita. Reperibile sul sito www.orientamento.it all’indirizzo
http://www.orientamento.it/orientamento/7g.htm
Fermani Alessandra, Crocetti Elisabetta, Pojaghi Barbara, Meeus Wim, 2010, Rapporto con
la famiglia e sviluppo del concetto di sé in adolescenza, in “Età evolutiva”, 97, pagg. 21-23
Festinger L., 1957, A theory of Cognitive Dissonance, Evanston (IL), Row-Peterson (trad. it.
1978, Teoria della dissonanza cognitive, Milano, Franco Angeli
Fiske Susan T., Taylor Sheila. E., 1991, Social Cognition, New York, McGraw-Hill, 2° ed.
Ford Martin E., 1992, Motivating humans: goals emotions and personal agency belief,
Newbury Park, Sage
Forsterling Friedric, 2001, Attribution: an introduction to theories, reseach, and applications,
Hove, Psychology Press
Franzese Sergio, 2000, L’uomo indeterminato: saggio su William James, Roma, D’Anselmi
Franzese Sergio, 2010, Darwinismo e pragmatismo. E altri studi su William James, Udine,
Mimesis
Freddi Cesare, 2005, La funzione del gruppo in adolescenza. Il gruppo di pari, terapeutico e
di classe. I seminari di Area G, Milano, Franco Angeli
Freud Anna, 1936, Das Ich und Abwehrmechanismen, Vienna, Internationaler
Psychoanalytischer Verlag (trad. it. 1967, L’io e I meccanismi di difesa, Firenze, Martinelli)
Freud Sigmund, 1905, Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, Leipzig e Wien, Freanz
Deuticke (trad. it. 1970, Tre saggi sulla teoria sessual in Freud.S., Opere 1900-1905, vol. IV,
Torino, Boringhieri)
Gemelli Agostino, 1943, La psicologia a servizio dell’orientamento professionale nelle
scuole, Bologna, Zanichelli
Giani Gallino Tilde, 2001, L’altra adolescenza, Torino, Bollati Boringhieri
Ginzberg Eli, Ginsburg Sol W., Axelroad Sidney, Herma John L., 1951, Occupational
choice: An Approach to a General Theory, New York, Columbia University Press
Giugni Guido, 1994, La dimensione pedagogica dell’orientamento in “Orientamento
scolastico e professionale”, 1-2, pagg. 15-28
Pag. 186 di 195
Giugni Guido, 1997, Formazione e ruolo degli insegnanti nelle attività di orientamento in
“Orientamento scolastico e professionale”, 3, pagg. 193-199
Goble Frank G., 2004, The Third Force: The Psychology of Abraham Maslow, Chapel Hill
(NC), Maurice Bassett
Goffman Erving, 1963, Behaviour in Public Places. Notes on the Social Organization of
Gatherings, Glencoe, The Free Press (trad. it., 1971, Il comportamento in pubblico, Torino,
Einaudi)
Goffman Erving, 1971, Relations in Public: Microstudies of the Public Order, New York,
Basic Books (trad. it. 2008, Relazioni in pubblico, Milano Bompiani)
Gordon Chad, 1968, Self-conception: configuration and content, in Gordon C., Gergen K.J.,
The self in social interaction, New York, John Wiley and Sons
Greenwald Anthony G.,1980, The totalitarian Ego. Fabrication and revision of personal
history, in “American Psychologist”, 35, pp. 603-618
Greenwood John D., 1994, Realism, identity and emotion, London, Sage
Groppo Mario, Ornaghi Veronica, Grazzani Ilaria, Carruba Letizia, 1999, La psicologia
culturale di Bruner: aspetti teorici ed empirici, Milano, Cortina
Hall Stanley G., 1904, Adolescence, New York, Appleton
Harter Susan, 1990, Self and identity development, in Feldman S.S., Elliot G.R. (a cura di), At
the threshold. The developing adolescent, Cambridge, Harvard University Press, pagg. 352387
Heider Fritz, 1958, The psychology of Interpersonal Relation, New York, Wiley (trad. it.
1972, Psicologia delle relazioni interpersonali, Bologna, Il Mulino)
Hewstone Miles, 1989, Teoria dell’attribuzione: estensioni sociali e funzionali, Bologna, Il
Mulino
Higgins T., Klein R.L., Strauman T.J., 1987, Self-discrepancies theory: a psychological
model for distinguishing among different aspects of depression and anxiety, in “Social
cognition”, 3, pagg. 51-76
Hogg Michael A., Abrams Dominic, 1993, Towards a single-process uncertainty-reduction
model of social motivation groups, in Hogg M. A., Abrams D. (a cura di), Group motivation:
social psychological perspectives, London, Harvester Wheatsheaf. Pagg. 173-190
Hollingshead August B., 1949, Elmtown’s youth, New York, Wiley
Holmes Jeremy , 1994, La teoria dell'attaccamento: John Bowlby e la sua scuola, Milano,
Cortina
Inghilleri Paolo, 2009, Psicologia culturale, Milano, Raffaello Cortina editore
Pag. 187 di 195
Isfol (a cura di G. Di Francesco), 1998, Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie
e strumenti di lavoro, Milano, Franco Angeli
Isfol (a cura di Grimaldi A.), 2003, Profili professionali per l’orientamento: la proposta Isfol,
Milano, FrancoAngeli
Isfol (a cura di Grimaldi Anna e Del Cimmuto Angelo), 2006, Funzioni, competenze, profili e
percorsi formativi nell’orientamento: un quaderno ad uso degli operatori, Roma, Isfol
Isfol (a cura di Grimaldi Anna), 2011, Rapporto orientamento 2010: l'offerta e la domanda di
orientamento in Italia, Roma, Isfol. Reperibile sul sito: www.isfol.it all’indirizzo
http://www.isfol.it/DocEditor/test/File/2011/Isfol_Convegno_Rapporto_Orientamento_Grimaldi_26maggio2011
.pdf
Jack Zipes, 2005, Inventare e raccontare storie, Trento, Erickson (ed. orig. 1995)
James William, 1890, Principles of psychiology, New York, Holt (trad. it. 1901, Principii di
psicologia, Milano, SEL)
Janis Irving L., Mann Leon, 1977, Decision making: A psychological analysis of conflict,
choice, and commitment, New York, The Free Press
Janis Irving L., Mann, Leon, 1977, Decision making: a psychological analysis of conflict,
choice, and commitment. New York, Free Press
Kelley Harold H., 1967, Attribution Theory in Social Psychology, in Levine D. (a cura di),
Nebraska Symposium on Motivation, Lincoln, University of Nebraska Press, vol. XV, pagg.
192-240
Kernis Michael H., Brockner Joel, Frankel Bruce S., 1989, Self-esteem and reactions to
failure: the mediatine role of overgeneralization, in “Journal of Personality and Social
Psychology, 57, pagg. 707-714
Kihlstrom John F., Cantor Nancy, 1984, Mental representation of the self in Berkowitz L.
(ed.), Advances in experimental and social psychology, New York, Academic Press, vol. 17,
pagg. 2-48
Kihlstrom John F., Cantor Nancy, Albright Jeanne Sumi, Chew Beverly R., Klein Stanley B.,
Niedenthal Paula M., 1988, Information processing and study of the self in Berkowitz L. (ed.),
Advances in experimental and social psychology, New York, Academic Press, vol. 21, pagg.
145-178
Kroger Jane, 1992, Intrapsychic dimension of identity during late adolescence, in Adams
G.R., Gullotta T.P., Montemayor R. (a cura di), Adolescent identity formation, Newbury Park
(CA), Sage, pagg. 122-144
Laible Deborah J., Carlo Gustavo, Raffaelli Marcela, 2000, The differential relations of
parent and peer attachment to adolescent adjustment, in “Journal of Youth and Adolescence”,
29 (1), pagg. 45-59
Pag. 188 di 195
Lazarus Richard S., 1966, Psychological stress and the coping process, New York, Mc GrawHill
Lazarus Richard S., 1974, Cognitive and Coping Process in Emotion, in Weiner B.(a cura di),
Cognitive Views of Human Motivation, New York, Academic Press
Leon Antoine, 1957, Psycopédagogie de l’orentation professionnelle, Paris, Puf
Lewis Catherine,1981, How adolescents approach decisions: Changes over grades seven and
twelve and policy implications, in “Child Development”, 52, pagg. 538-544
Locke John, 1688, An Essay Concerning Human Understanding (trad. it. 1971, Saggio
sull’intelletto umano, Torino, Utet)
Lutte Gérard, 1987, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Bologna, Il Mulino
Maggiolini Alio, 1997, Counseling a scuola, Milano, Franco Angeli
Magnoni Umberto, Venera Anna maria (a cura di), 2009, Preadolescenza. Il diritto di abitare
la terra di mezzo, Milano, Franco Angeli
Main Mary, Kaplan Nancy, Cassidy Jude, 1985, Security in infancy, Childhood and
Adulthood: a move to the level of Representation, in Bretherton I., Waters E. (a cura di),
Growing Points of Attachment Theory and Research, Monographs of The Society for
Research in Child Developmental, Serial No. 209, 50, pagg. 66-104
Malagodi Togliatti Marisa, Lubrano Lavadera Anna, 2002, Dinamiche relazionali e ciclo di
vita della famiglia, Bologna, Il Mulino
Mancinelli Maria Rosaria, 1993, Immagine di sé e preferenze professionali in “Contributi del
Dipartimento di psicologia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore”, Milano, Pubblicazioni
dell'ISU
Mancinelli Maria Rosaria, 2002, L’orientamento dalla A alla Z, Milano, V&P università
Mancinelli Maria Rosaria, 2005, Orientare nella scuola del preadolescente. Percorsi e
strumenti, Brescia, La scuola
Mancinelli Maria Rosaria, 2008, Tecniche d'immaginazione per l'orientamento e la
formazione, Milano, Franco Angeli
Mancini Tiziana, 1996, Stati d’identità e sentimento d’identità nella preadolescenza, tesi di
dottorato non pubblicata, Università di Bologna
Mancini Tiziana, 1997, Identità come “processo” e come “prodotto” nella preadolescenza.
Dall’identificazione alla ricerca dell’identità, verso la ricostruzione del sentimento d’identità,
in Zani B., Pombeni M.L. (a cura di), L’adolescenza: bisogni soggettivi e risorse sociali,
Cesena, Il ponte vecchio, pagg. 245-251
Mancini Tiziana, 1999, Preadolescenza e processi di formazione dell’identità, in “Rassegna
di psicologia”, I, pagg. 57-88
Pag. 189 di 195
Mancini Tiziana, 2001, Sé e identità, Roma, Carocci
Mann Leon, 2000, Stili decisionali degli adolescenti: la procrastinazione, in Soresi S. (a cura
di), 2000, pagg. 67-79
Mann Leon, Beswick Gery, Allouache Pierre, Ivey Mary, 1989, Decision Workshops for the
Improvement of Decision-Making Skills and Confidence, in “Journal of Counselling and
Development”, 67, pagg. 478-481
Marcia James E., 1966, Development and validation of ego-identity status, in “Journal of
Personality and Social Psychology”, 3, pagg. 551-558
Marcia James E., 1980, Identity in adolescence, in Adelson A., Handbook of adolescent
psychology, New York, John Wiley & Sons, pagg. 159-187
Marcia James E., 1993, The identity status approach to ego identity, in Marcia J.E., Waterman
A.S., Matteson D.R., Archer S.L., Orlofsky J.L. (a cura di), Ego identity status. A handbook
for social research, New York, Springer-Verlag, pagg. 3-21
Marcia James E., 1994, The empirical study to ego identity, in Bosma H.A., Graafsma T.L.G.,
Grotevant H.D., de Levita D.J. (a cura di), pagg. 67-80
Mariani Anna, 2008, Ragazzi forti, ragazzi fragili. Educare alla consapevolezza e
all’autodeterminazione, in “Animazione Sociale”, 227, pagg. 72-83
Markus Hazel R., 1977, Self-schemata and processing information about the self, in “Journal
of Personality and Social Psychology”, 35, pagg. 63-78
Markus Hazel R., Kitayama Shinobu, 1991, Culture and the Self: Implication for Cognition,
Emotion, and Motivation, in “Psychological Review”, 98 (2), pagg. 224-253
Markus Hazel R., Nurius Paula, 1986, Possible selves, in “American Psychologist”, 41, pagg.
954-969
Markus Hazel R., Wurf Elissa, 1987, The dynamic self-concept: a social psychological
perspective, in “Annual Review of Psychology”, 38, pagg. 299-337.
Marocco Muttini Chiara, 2007, Preadolscenza. La vera crisi, Torino, Centro Scientifico
Editore
Marostica Flavia, 2009, Orientamento: risorse normative (e non solo), in “Rivista
dell’istruzione. Scuola e autonomie locali”, n. 2 (luglio-agosto). Reperibile sul sito
www.orientamentoirreer.it all’indirizzo
http://www.orientamentoirreer.it/materiali/materiali/orientamento/Pagine%20da%20Istruzione
%204_0998Marostica.pdf
Marshall J. Cohen, 1982, Charles Horton Cooley and the Social Self in American Thought,
New York, Garland Publishing
Maslow Abraham, 1954, Motivation and personality, New York, Harper
Pag. 190 di 195
McEwan Ian, 1994, L’inventore dei sogni, Torino, Einaudi
Mead George Herbert, 1934, Mind, self and society, Chicago, University of Chicago Press
(trad. it. 1972, Mente, sè e società, Firenze, Giunti Barbera)
Mead Margaret, 1928, Coming age in Samoa, New York, William Morrow (trad. it. 1964,
L’adolescente in una società primitiva, Firenze, Giunti Barbera)
Meeus Wim, Deković Maja, 1995, Identity development, parental and peer support in
adolescence: result of national Dutch survey, in “Adolescence”, 30, pagg. 931-944
Montuschi Ferdinando, Palmonari Augusto, 2006, Nuovi adolescenti: dalla conoscenza
all’incontro, Bologna, EDB
Moscovici Serge, 1961, La psychanalyse, son image et son public, Paris, PUF
Moscovici Serge, 2005, Le rappresentazioni sociali, Bologna, Il mulino
Naville Pierre, 1945, Theorie de l’orientation professionnelle, Paris, Gallimard
Noom Marc J., Deković Maja, Meeus Wim, 1999, Autonomy, attachment and psychosocial
adjustment during adolescence: a double-edge sword, in “Journal of Adolescence”, 22, pagg.
771-783
Nota Laura, 2001, Gli stili e le competenze decisionali di un gruppo di adolescenti, in “Pretti
del 3° Congresso Nazione di Orientamento alla scelta: ricerche, formazione, applicazioni”,
Padova 25-27 ottobre.
Nota Laura, Soresi Salvatore, 2000, Autoefficacia nelle scelte. La visione sociocognitiva
dell'orientamento, Firenze, Giunti
Palmonari Augusto (a cura di), 1993, Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino
Palmonari Augusto, 2001, Gli adolescenti, Bologna, Il Mulino
Parsons Frank, 1909, Choosing a vocation, Boston, Houghton Mifflin
Patrizia Farello, Ferruccio Bianchi, 2007, Laboratorio dell’autobiografia, Trento, Erickson
Paulo Coelho, 1998, Monte Cinque, Milano, Bompiani
Pennac Daniel, 2008, Diario di scuola, Milano, Feltrinelli
Pennebacker James W., 1997, Opening up: the healing power of expressing e motion, New
York, Guilford Press (trad. it. 2004, Scrivi cosa ti dice il cuore: autoriflessione e crescita
personale attraverso la scrittura di sé, Trento, Erickson)
Petruccelli Filippo, 2005, Psicologia dell'orientamento. Ambiti teorici e campi applicativi,
Milano, Franco Angeli
Pag. 191 di 195
Petruccelli Filippo, D’Amario Barbara, Giordano Valentina, 2011, La scelta formativa:
attitudini, competenze e motivazioni. Interventi, percorsi e ricerche, Milano, Franco Angeli
Piaget Jean, 2000, Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Torino,
Einaudi
Pollo Mario, 1995, Il disagio giovanile nella società complessa, in “L’animazione con gruppi
di adolescenti, Quaderni di Animazione e Formazione”, Torino, EGA, pagg. 16-22
Pombeni Maria Luisa, 1990, Orientamento scolastico e professionale. Un approccio sociopsicologico, Bologna, Il mulino
Proust Marcel, 2005, Alla ricerca del tempo perduto, Milano, Mondadori
Rheinberg Falko, 1997, Psicologia della motivazione, Bologna, Il Mulino
Rice Kenneth G., Attachment in adolescence: a narrative and meta-analytic review, in
“Journal of Youth and Adolescence”, 19 (5), pagg. 511-538
Riconda Giuseppe, 1999, Invito al pensiero di William James, Milano, Mursia
Rodari Gianni, 1992, Scuola di fantasia, Roma, Editori Riuniti
Rogers Carl R., 1970, Psicoterapia e relazioni umane: teoria e pratica della terapia non
direttiva, Torino, Boringhieri
Rogers Carl R., 1982, Terapia centrata sul cliente, Giunti, Firenze
Rossi Bruno, Fabbri Loretta, 2005, Identità e narrazione. Pedagogia e didattica
dell’orientamento, in Batini F. (a cura di), 2005.
Rotter Julian B., 1954, Social learning and clinical psychology, New York, Prentice-Hall
Rotter Julian B., 1966, Generalized expectancies for internal versus external control of
reinforcement, in “Psychological Monographs”, 80 (1), (numero interno 609
Rotter Julian B., 1990, Internal versus external control of reinforcement: a case history of a
variable, in “American Psychologist”, 45, pagg. 489-493
San Martini Pietro, Zavattini Giulio Cesare, Ronconi Silvia, 2009, L’inventario per
l’attaccamento ai genitori e ai pari (IPPA: Inventory of Parent and Peer Attachment).
Un’indagine psicometria su un campione italiano di adolescenti, in “Giornale italiano di
psicologia”, 1, pagg. 199-225
Saramago Josè, 1998, Il racconto dell’isola sconosciuta, Torino, Einaudi
Sbattella Fabio, 2002, Decisioni e scelte evolutive, in Castelli C. (a cura di), 2002
Seiffe-Krenke Inge, 1990, Developmental processes in self-concept and coping behaviour, in
Bosma Harke A., Jackson Sandy (a cura di), Coping and self-concept in adolescence, New
York, Springer-Verlag, pagg.49-68
Pag. 192 di 195
Seiffge-Krenke Inge, 1984, Problemwältigung im Jugendalter, tesi di dottorato non
pubblicata, Giessen
Semi Giovanni, 2010, L’osservazione partecipante, Bologna, Il Mulino
Sherif Muzaafer, Sherif Carolyn W. , 1964, Reference groups exploration into conformity and
deviation of adolescents, New York, Harper & Row
Sica Luigia Simona, 2006, Adolescenti tra esplorazione e trasgressione: la formazione
dell'identità in contesti normativi e non normativi, tesi di dottorato non pubblicata, Università
degli Studi di Napoli Federico II
Simeone Domenico, 2004, La consulenza educativa. Dimensione pedagogica della relazione
d’aiuto, Milano, V&P università
Simon Herbert A., 1981, The Science of the artificial, Cambridge, Mit Press, trad. it. 1988, Le
scienze dell’artificiale, Bologna, Il Mulino
Smorti Andrea, 1994, Il sè narrativo. Costruzione di storie e sviluppo della conoscenza
sociale, Firenze, Giunti
Smorti Andrea, 2007, Come le narrazioni trasformano il pensiero, Contributo al convegno
“Le storie siamo noi 2007”, pubblicato sul sito www.pratika.net (Materiale prodotto da
Associazione Pratika©)
Soresi Salvatore (a cura di), 2000, Orientamenti per l'orientamento: ricerche e applicazioni
dell’orientamento scolastico-professionale, Firenze, Giunti
Soresi Salvatore, Nota Laura, Ferrari Lea, 2006, Goffer la formazione al decision- making,
reperibile sul sito http://items.giuntios.it
Speltini Giuseppina, 1993, Dall’infanzia all’adolescenza: pubertà e sviluppo fisico, in
Palmonari Augusto (a cura di), Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, pagg. 75105
Spence Donald P., 1982, Narrative Truth and Historical Truth: Meaning and Interpretation
in Psychoanalysis, New York, W.W.Norton, (trad. it. 1987, Verità storica e verità narrativa:
significato e interpretazione in psicoanalisi, Firenze, Martinelli)
Stryker Sheldon, 1987, Identity theory: development and extentions, in Yardley K., Honnes T.
(a cura di), Self and identity: psychological perspectives, Chichester, John Wiley and Sons,
pagg. 83-103
Super Donald Edwin, 1957, The psychologyof careers, New York, Harper
Tajfel H., 1981, Human groups and social categories, Cambridge, Cambridge University
Press (trad. It. 1995, Gruppi umani e categorie sociali, Bologna, Il Mulino)
Taylor Sheila. E., 1982, The availability bias in social perception and interaction, in
Kahneman D., Slovic P., Tversky A. (a cura di), Judgment under uncertainty: Heuristics and
biases, New York, Cambridge University Press, pagg. 190–200
Pag. 193 di 195
Thoits Peggy A., 1991, Identity structures and psychological well-being: gender and marital
status comparison, unpublished manuscript, Varderbilt University
Thornton Bill, Ryckman Richard M., 1991, Relationship between physical attractiveness,
physical effectiveness, and self-esteem: a cross-sectional analysis among adolescents, in
Journal of Adolescence”, 14, pagg. 85-98
Tilly Charles, 2007, Perché? La logica nascosta delle nostre azioni quotidiane, Milano,
Rizzoli
Tonolo Giorgio, 1999, Adolescenza e identità, Bologna, Il Mulino
Triandis Harry C., 1989, The self and social behavior in differing cultural contexts in “
Psychological Review”, 96 (3), pagg. 506–520
Turner John C., 1987, A self-categorization theory, in Turner J.C., Hogg M., Oakes P.J.,
Reicher S.D., Wetherell M.S. (a cura di), Rediscovering the social group, New York,
Blackwell, pagg. 42-67
Tversky Amos, Kahneman Daniel, 1974, Judgement under uncertainty : heuristics and
biases, in “Science”, 185, pagg. 1124-1131
Valentino Merletti Rita, 1998, Raccontar Storie, Milano, Mondadori
Varani Andrea (a cura di), 2006, Cercare e cercarsi - Vol. 2 Percorsi didattici e educativi di
autorientamento per la scuola secondaria di primo grado, Trento, Erickson
Verlato Maria L., 2011, Identità alla deriva. Vuoto di sé e vuoto di relazione nel tempo del
“tutti connessi”, Molfetta (BA), La meridiana
Viglietti Mario, 1988, Orientamento. Una modalità educativa permanente, Torino, SEI
Viglietti Mario, 1995, Educazione alla scelta. Una guida operativo-pratica, Torino, SEI
Vivona Jeanine M., 2000, Parental attachment styles of late adolescents: Qualities of
attachment relationships and consequences foe adjustment, in “Journal of Counceling
Psychology”, 47 (3), pagg. 316-329
Vygotskij Lev Semenovič, 2009, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori,
Firenze, Giunti
Vygotskij Lev Semenovič, 2010, Lo sviluppo psichico del bambino, Roma, Editori riuniti
university press
Wallace-Brouscious A., Serafica F.C., Osipow S.H., 1994, Adolescen career development:
relationship to self-concept and identity status, in “Journal of Research on Adolescence”, 4,
pagg. 127-149
Weiner Bernard, 1979, A theory of motivation for some classroom experiences, in “Journal of
Educational Psychology”, 71, pagg. 3-25
Pag. 194 di 195
Weiner Bernard, 1986, An Attributional Theory of Motivation and Emotion, New York,
Springer
Wentzel Kathryn R., 1999, Social Motivational Processes and Interpersonal Relationships:
Implications for Understanding Motivation at school, in “Journal of Educational
Psychology”, 91, pagg. 76-97
Wurf Elissa, Markus Hazel, 1991, Possible selves and the psychology of personal growth, in
Ozer D.J., Healy J.M., Stewart A.J. (a cura di), Perspectives in personality: Self and emotion,
Greenwich (CT), JAI Press, vol. 3a, pagg. 39-62.
Zamperini Adriano, 1993, Modelli di causalità. Introduzione alla teoria dell’attribuzione con
glossario dei concetti chiave, Milano, Giuffrè
Zanniello Giuseppe (a cura di), 1992, L’orientamento nella scuola media: come insegnare
agli alunni ad autorientarsi, Palermo, Palumbo
Zipes Jack, 2005, Inventare e raccontare storie, Trento, Erickson
Siti Internet
http://eur-lex.europa.eu/it/index.htm
http://www.provincia.torino.it/fidati/orientarsi
it.wikipedia.org
www.camera.it
www.comune.torino.it/servizieducativi
www.edscuola.it
www.indire.it
www.isfol.it
www.istruzione.it
www.mediaxp.it/formazioneformatori
www.orientamento.it
www.pratika.net
www.professioneorientamento.it
www.psico.unifi.it
www.psicopedagogie.it
www.psicopedagogika.it
www.sbn.it
www.treccani.it
Pag. 195 di 195