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Azienda Pubblica 3.2009 Teoria ed esperienze di management Rivista trimestrale anno XXII numero 3 luglio • settembre 2009 Sommario Editoriale Elio Borgonovi, Giovanni Valotti Riforme istituzionali e management: un’alleanza per il cambiamento 403 Saggi Raffaele Adinolfi La qualità nella formazione. Un’indagine sulle determinanti 409 Luigi Lepore Efficienza, efficacia ed equità nell’amministrazione della giustizia 429 Cinzia Raimondi Programmazione delle politiche pubbliche e bilancio dello Stato: esperienze e metodologie di valutazione 449 Esperienze innovative Antonio D. Barretta, Patrizio Monfardini Utilizzo e vantaggi del bilancio sociale in sanità: analisi di un caso aziendale 481 Vincenzo F. Cavaliere, Dario Rosini, Daria Sarti Antonio Sofi Verso un approccio evolutivo allo sviluppo delle competenze nei processi di formazione. Un caso di studio 505 Alessandro Sancino L’esercizio dello spoil system nella governance dell’ente locale: alcuni casi a confronto 531 Fonti di approfondimento Spoglio riviste 559 In libreria 561 Nell’articolo “La governance delle società per azioni, dei servizi pubblici locali: attualità e prospettive”, di Paolo Ricci e Tiziana Landi, pubblicato nelle Esperienze Innovative del n. 2/2009 di Azienda Pubblica, per un errore di cui la Redazione si scusa con gli autori e i lettori, nel § 3, sottoparagrafo La governance delle società dei servizi e loro accountability, dopo il periodo “A queste relazioni potrebbero [...] normalmente svolta dai partiti” manca il seguente passaggio: 401 Az.Pubb 3.09.indd 401 14-01-2010 16:55:26 Direttore responsabile Paolo Maggioli Direttore Elio Borgonovi Condirettore Renato Mele Coordinatore editoriale Nicola Bellé [email protected] Comitato Editoriale Luca Brusati Alessandro Capocchi Enrico Guarini Marco Ferretti Andrea Francesconi Rosalba Martone Filosa Antonio Nisio Daniela Preite Massimo Sargiacomo Ileana Steccolini Segreteria di redazione Silvia Tanno Comitato scientifico (riportato nell’ultima pagina) Redazione Milano 20136 Via Röntgen, 1 Tel. 02-5836.2600/5297 Fax 02-5836.2598 [email protected] Comitato di indirizzo Luca Anselmi Elio Borgonovi Ferdinando Canaletti Renato Mele Marcella Mulazzani Riccardo Mussari Gianfranco Rebora Collaborazioni Per l’invio di articoli e comunicati si prega di far riferimento al seguente indirizzo e-mail: [email protected] oppure Redazione Azienda Pubblica, Università Bocconi, via Röntgen, 1 – 20136 Milano Tutti i diritti riservati è vietata la riproduzione, anche parziale, del materiale pubblicato senza autorizzazione dell’Editore. 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Per la prima volta in una legge dello Stato si usa il termine, inglese, di performance e questo non è, dal punto di vista culturale, un piccolo passo in avanti. Si esplicitano il concetto di ciclo di gestione della performance e le fasi che lo caratterizzano, secondo uno schema logico di base per i manuali di management ma sconosciuto, nei fatti, a molti enti. Si precisano gli ambiti di misurazione della performance e si introduce l’obbligo di valutazione della stessa, con riferimento alle amministrazioni e ai singoli individui. Si prevede la redazione e la pubblicazione di un apposito rapporto sulla performance. Insomma, si pone il risultato al centro delle preoccupazioni delle amministrazioni pubbliche, il che non è male. Ancora più importante è la grande enfasi attribuita dalla riforma al tema della trasparenza. Ciascuna amministrazione deve predisporre un programma triennale per la trasparenza, è definito l’obbligo di pubblicazione, sul sito istituzionale, di tutte le informazioni relative alle nomine, alla performance, ai trattamenti retributivi e all’uso effettivo dei sistemi incentivanti. Anche questo sembra un passo avanti importante e in linea con le necessità. Non da ultimo, viene molto enfatizzato il tema della meritocrazia. Si ipotizzano distribuzioni maggiormente differenziate delle valutazioni individuali e si introducono meccanismi premianti articolati, di natura monetaria e non monetaria. Sullo sfondo c’è però anche dell’altro: il riordino della disciplina della dirigenza pubblica, nella direzione di rafforzarne sia l’ambito di autonomia che le connesse responsabilità; il ridisegno degli organi di controllo, attraverso l’attivazione di un nuovo organismo centrale e la rilettura delle funzioni e delle responsabilità di quelli operanti all’interno delle singole amministrazioni; infine, un ripensamento del sistema delle relazioni sindacali, nel tentativo di meglio delineare l’ambito più appropriato della contrattazione. Anche su questi piani, si può sostenere che le innovazioni introdotte siano un utile contributo alla creazione di condizioni di sviluppo degli enti. Ma la nuova riforma rappresenta, soprattutto, un segnale politico importante. Dopo anni di colpevole disattenzione, la stessa riporta ai primi posti dell’agenda della modernizzazione del Paese il cambiamento delle amministrazioni pubbliche. È questo un segnale importante, una sferzata agli enti, un richiamo alle loro responsabilità, che appariva necessario. Stupisce, per contro, la reazione, spesso di grande preoccupazione e di spiazzamento. In fondo i principi tracciati dalla riforma sono, quasi per definizione, giusti e condivisibili. Gli enti evoluti non hanno nulla da temere, stanno già facendo molte delle cose previste, in alcuni casi sono addirittura più avanti. Addirittura, gli stessi possono trovare nella riforma un “alleato” per portare avanti, con ancora maggiore determinazione, i processi di cambiamento da tempo intrapresi. 1 Tratto dal libro di G. Valotti (2009), Fannulloni si diventa, Milano: Egea. 403 Az.Pubb 3.09.indd 403 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:02 Editoriale All’estremo opposto, le amministrazioni pubbliche più arretrate si diano, finalmente, da fare. Per queste la riforma può rappresentare l’innesco di un percorso di miglioramento che, evidentemente, non hanno avuto sin’ora la forza di intraprendere da sole. Se funzionerà, lo vedremo. Anche la riforma, come le amministrazioni, è chiamata alla prova dei risultati. Serve un po’ di tempo e poi potremo giudicare gli effetti prodotti sulle singole amministrazioni e sul settore pubblico nell’insieme. Quello che non deve succedere è che gli enti si disperdano in cavillose e infinite discussioni sull’interpretazione del dettato normativo. I principi sono chiari, non è nei dettagli che ci si deve perdere. Inoltre, è importante che le amministrazioni non sovraccarichino di responsabilità la riforma: l’attuazione della stessa e la trasformazione vera delle organizzazioni, ancora una volta, è in gran parte nelle loro mani. Soprattutto, la nuova stagione di riforme può essere finalmente l’occasione per saldare virtuosamente tra di loro l’approccio giuridico-istituzionale e quello manageriale. Secondo l’approccio istituzionale, infatti, la riforma delle pubbliche amministrazioni transita da un riassetto complessivo dei poteri e delle funzioni dei diversi livelli di governo e, al tempo stesso, si fonda su di un adeguamento generale del quadro delle regole di sistema. Il veicolo del cambiamento è, in questo caso, rappresentato principalmente da una modifica delle norme che si propone di indurre una trasformazione delle funzioni, delle responsabilità formali e dei processi amministrativi dei diversi enti pubblici. L’approccio manageriale, al contrario, considera la norma come un vincolo o una condizione di contesto rispetto allo sviluppo di processi evolutivi fortemente centrati sull’esercizio responsabile di autonomia da parte delle singole amministrazioni. Il veicolo del cambiamento è, di conseguenza, principalmente rappresentato da un adeguamento dei modelli di gestione e delle competenze professionali che si propone di migliorare la capacità di valorizzazione delle risorse amministrate e di perseguimento dei fini istituzionali. Si tratta, evidentemente, di prospettive e chiavi di lettura dei processi di cambiamento differenziate ma, al tempo stesso, sempre più complementari. Il pieno dispiegarsi del management all’interno del settore pubblico presuppone, infatti, una serie di condizioni che solo le riforme sul piano istituzionale possono garantire. Tra le più rilevanti si possono ricordare: a) il miglioramento della qualità del quadro giuridico complessivo, attraverso un processo di semplificazione e coordinamento della legislazione vigente che sia in grado di assicurare, al minimo, il requisito essenziale della certezza del diritto e, più compiutamente, non costituisca un ostacolo al perseguimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza degli enti; b) una chiara definizione delle competenze facenti capo ai diversi livelli di governo, nonché degli eventuali gradi di libertà connessi, tale da consentire la definizione della mission e dei confini dell’intervento dei singoli enti; c) il ridisegno del sistema di relazioni all’interno del settore pubblico, sia di natura amministrativa che finanziaria, al fine di garantire al tempo stesso una migliore responsabilizzazione dei singoli enti rispetto ai risultati da produrre e il superamento di complessi processi decisionali interistituzionali; ciò significa un ripensamento dei meccanismi di finanziamento e di salvaguardia degli equilibri economico-finanziari degli enti, un adeguamento delle modalità di programmazione, indirizzo e controllo, la previsione di forme flessibili di confronto e condivisione delle risorse tra gli enti, la definizione di tempi certi per l’assunzione delle decisioni; d) l’adeguamento dei principi e dei sistemi di responsabilizzazione degli enti e di coloro che, pro-tempore, ne assumono le funzioni di governo e gestione; rientrano Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 404 404 12-01-2010 16:35:02 Editoriale in questa prospettiva la revisione del sistema dei controlli nella direzione di una maggiore enfasi su aspetti sostanziali, rispetto a quelli relativi alla semplice correttezza amministrativa, della disciplina delle responsabilità dell’amministratore e del dipendente pubblico, del sistema degli incentivi e delle sanzioni collegati alle performance realizzate dagli enti; e) infine, la qualificazione del quadro competitivo all’interno del quale si esercitano le funzioni pubbliche, attraverso la definizione del ruolo da riconoscere al mercato e al libero dispiegarsi della concorrenza, piuttosto che a politiche di più o meno restrittiva regolamentazione. È altrettanto vero, in senso opposto, che la qualità e l’efficacia delle riforme istituzionali risultano essere fortemente influenzate dall’apporto del management. Ciò vale almeno dai seguenti punti di vista: a) l’approccio e le discipline manageriali hanno svolto e possono svolgere in prospettiva un ruolo rilevante nel processo di messa a fuoco dei principi cardine e delle linee guida dei processi di riforma; concetti ormai consolidati, come quelli di efficacia, efficienza, economicità, sono entrati nell’“agenda del riformatore” proprio grazie all’influenza del management; in un percorso più avanzato di innovazione dell’intervento pubblico, le istanze di decentramento e sussidiarietà proprie delle riforme istituzionali, trovano conferma e ispirazione nei principi di autonomia e responsabilizzazione, cooperazione e integrazione, propri dell’approccio manageriale; in altri termini, e questo vale nell’esperienza dei principali Paesi industrializzati, il management può al tempo stesso contribuire alla definizione dei principi ispiratori delle riforme istituzionali e garantire un contributo attivo e propositivo per la concreta progettazione delle stesse; b) è tipico, inoltre, del management, il governo della fase attuativa delle riforme, tradizionale aspetto di crisi dei processi di cambiamento dei sistemi complessi, in particolare pubblici; in questo senso diviene fondamentale la capacità di andare oltre la fase progettuale e di formalizzazione del disegno di riforma; l’approccio manageriale fornisce, da questo punto di vista, un contributo essenziale nelle diverse fasi concatenate di definizione delle modalità e dei tempi di attuazione delle riforme, di verifica sull’effettivo grado di realizzazione dei programmi, di analisi e valutazione delle difficoltà attuative e di eventuale rimozione degli ostacoli emergenti, di valutazione dei risultati prodotti attraverso i processi di riforma, di elaborazione di ipotesi evolutive dei percorsi di riforma alla luce degli esiti delle diverse fasi di attuazione degli stessi; c) non da ultimo, il management, garantisce la funzionalità e l’efficacia delle riforme in atto, fornendo un contributo determinante al miglioramento delle modalità di gestione e sviluppo dei singoli enti pubblici; ciò rappresenta evidentemente una condizione essenziale affinché le riforme istituzionali e degli assetti complessivi di sistema si traducano in processi amministrativi e servizi in grado di generare valore finale per il cittadino. Non si ritiene quindi utile, nella sostanza, ricercare un “primato” tra riforme istituzionali e riforme manageriali nel contributo fornito al miglioramento del settore pubblico. Tanto meno convince l’ipotesi di autosufficienza di uno dei due piani di intervento. Eppure, non va sottovalutato, i due approcci spesso appaiono tra di loro non in sintonia ed espressione di idee, valori guida, modi di interpretare i problemi, molto distanti e a volte addirittura contrapposti. Nei sostenitori delle riforme istituzionali emerge così, talora, la non piena comprensione del management correttamente inteso e l’identificazione dello stesso con logiche e metodologie dell’impresa privata, combinato con una sorta di sfiducia in merito all’apporto effettivo dello stesso al cambiamento delle amministrazioni pubbliche. Viceversa, i fautori delle riforme manageriali, rischiano spesso di sottovalutare le necessarie coerenze e condizioni istituzionali per sostenere i processi di trasformazione degli enti e del settore pubblico nel suo insieme. È proprio, allora, il superamento di queste visioni parziali e semplificate e la capacità di 405 Az.Pubb 3.09.indd 405 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:03 Editoriale ricondurre a sintesi approcci in realtà complementari, che può determinare la qualità, l’effettività e l’efficacia finale dei processi di riforma intrapresi. Soprattutto, riforme istituzionali e manageriali, sempre più si devono confrontare con i complessi problemi della gestione del cambiamento. I processi di modernizzazione del settore pubblico, infatti, per quanto innovativi e rigorosi sul piano dell’impostazione e delle scelte di fondo, si sono, di fatto, scontrati con assetti fortemente consolidati di poteri, funzioni e responsabilità. Velleitaria, e quindi inefficace, appare l’ipotesi di una trasformazione delle amministrazioni pubbliche guidata dal centro, in applicazione di un disegno di riforma generale che i diversi enti si vedrebbero costretti ad applicare, grazie anche all’impiego di metodi coercitivi e sanzionatori. Molti sono, al riguardo, gli esempi di difesa delle tradizionali burocrazie, nel pieno rispetto formale degli indirizzi di cambiamento definiti a livello di sistema. La piena applicazione delle riforme istituzionali al contrario richiede, come sopra delineato, trasformazioni radicali nei modelli di funzionamento e nelle logiche di gestione degli enti, in buona parte dipendenti dall’autonoma iniziativa degli stessi, per quanto quest’ultima possa essere stimolata e orientata da progetti evolutivi più generali di sistema. Assume, di conseguenza, grande rilievo il tema del change management, ovvero la capacità di messa a fuoco di una strategia di cambiamento, del settore pubblico nel suo insieme e dei diversi enti che lo compongono, che sia in grado di mettere concretamente in atto le innovazioni progettate, superando le forme di resistenza tipiche di qualunque assetto consolidato. Da questo punto di vista il contributo delle discipline manageriali appare quanto mai rilevante, in considerazione del fatto che l’oggetto di studio e analisi delle stesse riguarda, in buona sostanza, proprio le organizzazioni “in azione”. La chiave di lettura del management consente quindi di indagare nel merito l’evoluzione, o la staticità, delle amministrazioni pubbliche al modificarsi delle condizioni di contesto e in attuazione dei processi di riforma. Una precisa e strutturata analisi delle leve effettive e potenziali del cambiamento, delle principali forme di inerzia organizzativa, del comportamento atteso ed effettivo dei principali attori in gioco, del quadro dei vincoli esistenti e delle condizioni di relativa rimozione, delle possibili fasi e dei tempi dei processi evolutivi, rappresentano spesso elementi determinanti dell’efficacia e della qualità delle riforme attivate. Al tempo stesso appare rilevante l’apporto fornito dalle discipline manageriali in merito all’analisi sistematica, e di regola comparata a livello nazionale e internazionale, dei processi di riforma realizzati o in corso di svolgimento. Emerge in questo, spesso, il distacco tra cambiamenti annunciati e trasformazioni reali, combinato con elementi di valutazione dei risultati conseguiti e degli effetti prodotti e con analisi degli aspetti di maggiore criticità o al contrario successo, degli interventi attivati. Tutte dimensioni che possono rappresentare un input fondamentale per l’adattamento dei processi di riforma in essere. Infine, lo sviluppo del management all’interno del settore pubblico può contribuire alla formazione di nuove abilità e professionalità essenziali alla gestione dei processi di cambiamento. Imprenditorialità, propensione al rischio, capacità di gestire l’incertezza, esercizio della leadership, capacità di coinvolgimento, innovatività, orientamento al risultato, competenza gestionale, sono solo alcuni dei tratti che con maggiore frequenza vengono al riguardo richiamati. Tutto ciò può indubbiamente favorire l’affermazione di un nuovo sistema di valori all’interno del settore pubblico, capace di combinare il perseguimento delle finalità istituzionali e le istanze di equità e legalità dell’intervento, con una nuova tensione al cambiamento e all’assunzione Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 406 406 12-01-2010 16:35:03 Editoriale delle correlate responsabilità. Sono questi i presupposti per una significativa trasformazione della cultura organizzativa degli enti pubblici, ideale saldatura tra i disegni di riforma di sistema, i processi di innovazione all’interno degli enti e i comportamenti di coloro che, nei fatti, devono dare sostanza a quanto progettato. Su questo piano ancora pesano, a riprova del rilievo dei percorsi di cambiamento manageriale, le distanze tra amministrazioni più evolute, in grado di valorizzare appieno il potenziale di miglioramento delle riforme ed enti più arretrati, spesso incapaci di coglierne le opportunità. È importante che, nell’ambito del processo di riforma complessiva del settore pubblico, si consideri questo aspetto al fine di favorire dinamiche di propagazione delle migliori pratiche ed esperienze. In questa direzione vanno, ad esempio, le comunità di pratica o i network professionali recentemente attivati a sostegno dei disegni di cambiamento delle amministrazioni pubbliche in molti Paesi. Ciò potrà, infatti, consentire la piena affermazione di una nuova visione del settore pubblico e dei modelli di amministrazione, in linea con gli indirizzi e le scelte dei riformatori, ma al tempo stesso in grado di permeare le decisioni e i comportamenti operativi dei soggetti attuatori. 407 Az.Pubb 3.09.indd 407 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione La qualità nella formazione. Un’indagine sulle determinanti Raffaele Adinolfi Assegnista di ricerca presso l’Università degli studi di Salerno Sommario: 1. Introduzione. 2. Disegno di ricerca e metodologia. 3. Sviluppo del questionario. 4. Individuazione del campione e somministrazione del questionario. 5. Analisi dei dati. 6. Conclusioni. Il lavoro mira a comprendere quali sono, nella percezione degli allievi, le caratteristiche ritenute essenziali per definire la qualità di un percorso formativo. L’obiettivo è quello di migliorare la comprensione delle scelte operate dagli studenti e di fornire utili spunti a chi opera nel settore della progettazione di corsi di alta formazione. Le riflessioni proposte si basano su un’indagine empirica quantitativa condotta su un campione di studenti iscritti a master e a corsi di alta formazione. The work aims to understand students’ perception about the characteristics deemed essential to define the quality of a course. The objective is to improve understanding of the students’ choices and provide useful insights for those engaged in the higher education courses’ design. The ideas proposed are based on quantitative empirical survey conducted on a sample of students enrolled in master and advanced training courses. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno – Università degli Studi del Sannio, giugno 2008 e ha ricevuto una menzione speciale dalla Commissione per il best paper award. Parole chiave: qualità dei servizi – alta formazione – valutazione della formazione Key words: service quality – high education – training evaluation 409 Az.Pubb 3.09.indd 409 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione 1. Introduzione L’avvento della rivoluzione digitale e dell’economia globalizzata e postfordista hanno reso più importante il ruolo del sapere e hanno determinato condizioni per le quali è essenziale che le conoscenze e abilità debbano essere diffuse tra tutta la forza lavoro. La conoscenza è divenuta il fattore chiave per la competitività delle imprese e dei sistemi Paese. L’aumento delle componenti immateriali spiega la maggior parte del Pil di tutti i Paesi industrializzati. è convinzione diffusa che un incremento del prodotto nazionale di un Paese, così come un’istruzione di migliore qualità contribuisca allo sviluppo individuale delle persone, ad una crescita economica sostenibile, alla coesione sociale e alla creazione di posti di lavoro più numerosi e migliori. Il tema della qualità, pertanto, è, e continuerà ad essere, centrale nel dibattito sul funzionamento dei sistemi di istruzione e formazione. Non è semplice definire la qualità. Ci sono due grandi scuole di pensiero che affrontano in maniera differente la tematica della qualità: la prima privilegia il lato dell’offerta (supply-side approach), la seconda attribuisce maggior rilievo alle attese del consumatore (consumer approach). Con il primo approccio la qualità viene considerata come dipendente dalla capacità delle organizzazioni di definire, misurare, valutare e monitorare determinati standard di qualità. I principi di tale modello risalgono alle scuole di Deming (1986) e Juran (1989). Sebbene né Deming né Juran abbiano affrontato il tema della qualità dell’istruzione, la loro filosofia è evidente nelle scelte adottate dalle istituzioni formative occidentali, soprattutto di matrice anglosassone (Ryland, King, 1992), che privilegiano un approccio manageriale di tipo top-down, definiscono specifici e quantificabili obiettivi annuali, enfatizzano tecniche di valutazione quantitative e, infine, individuano nell’efficienza economica il principale obiettivo organizzativo. Con il secondo approccio la definizione della qualità privilegia il lato della domanda. La qualità è funzione delle percezioni, delle attese e delle valutazioni dei consumatori (Lewis, Blooms, 1983; Gronroos, 1984; Parasuraman et al., 1985; Smith, 1995). In tale filone di studi si inserisce la presente ricerca che presenta un’analisi sulle determinanti di qualità nell’istruzione e formazione superiore così come percepite dai partecipanti prima e dopo le attività corsuali. L’obiettivo è quello di definire i fattori che secondo i partecipanti influiscono maggiormente sulla qualità dei corsi di istruzione e formazione. (1) 1 La ricerca è stata realizzata con la collaborazione di alcuni dirigenti e funzionari della Regione Campania in servizio sia presso il Consiglio regionale che presso le sedi provinciali degli Stap (Settore tecnico amministrativo provinciale). Agli stessi va il ringraziamento per la gentile collaborazione. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 410 410 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione 2. Disegno di ricerca e metodologia La ricerca si è articolata in tre fasi: - sviluppo del questionario: • focus groups • interviste in profondità • esame della letteratura - individuazione del campione e somministrazione del questionario: • individuazione del campione • somministrazione del questionario prima dell’avvio delle attività formative • somministrazione del questionario al termine delle attività corsuali - analisi dei dati: • valutazione di affidabilità • domande di ricerca e discussione dei risultati 3. Sviluppo del questionario Dopo una preliminare ricognizione della letteratura si è deciso di indagare il tema della qualità attraverso un’analisi dell’importanza che gli allievi attribuiscono ai differenti aspetti che caratterizzano un percorso formativo. Il questionario è stato definito attraverso un processo articolato in tre fasi: in primo luogo sono stati organizzati dei focus groups per acquisire sulla problematica un’ampia panoramica iniziale; successivamente, e sulla base di quanto emerso nel primo step, sono state realizzate alcune interviste in profondità; infine, le indicazioni ottenute sono state confrontate con i principali lavori di ricerca rinvenuti nella letteratura nazionale e internazionale anche per rendere i risultati sostanzialmente comparabili. In tal modo si è addivenuti al questionario definitivo. Focus groups Sono stati organizzati due focus groups costituiti da studenti ammessi a partecipare a corsi di master universitari e non e studenti ammessi ad altri corsi di formazione finanziati dalla Regione Campania. (2) Il primo gruppo caratterizzato da studenti non residenti nei luoghi di fruizione del corso (di seguito definiti studenti fuori sede), il secondo composto da studenti residenti nei luoghi di frequenza del corso (in prosieguo studenti residenti). I membri dei due gruppi sono stati selezionati, in questa fase della ricerca, secondo un criterio di convenienza e disponibilità. In particolare i nominativi degli 2 Si noti che il finanziamento della Regione Campania è stato realizzato con la tecnica dei voucher erogati dopo la partecipazione e frequenza al corso. Pertanto il finanziamento, giunto a posteriori, non ha influito sulle scelte dei partecipanti. 411 Az.Pubb 3.09.indd 411 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione studenti residenti sono stati individuati tra gli iscritti a corsi di alta formazione finanziati dalla Regione Campania, il focus group dei ‘fuori sede’ è stato organizzato anche con la collaborazione di alcuni enti di formazione attuatori di corsi di alta formazione finanziati dal Miur nell’ambito del Pon Ricerca scientifica tecnologica e alta formazione Ob. 1, misura 3.6. L’ampiezza dei focus group è conforme alle principali prescrizioni e raccomandazioni metodologiche della letteratura (Morgan, 1988; Malhotra, 1993). In particolare il gruppo dei residenti era costituito da 12 unità mentre quello dei ‘fuori sede’ era composto da 8 persone. Va sottolineato che di norma sono auspicabili due o più gruppi di riflessione per gli studi e le indagini esplorative su fenomeni per i quali esistono poche o nessuna informazione. Nella nostra ricerca, un solo gruppo di riflessione per tipologia (residenti e fuori sede) è stato ritenuto sufficiente vista la disponibilità di letteratura sulla tematica indagata. Il protocollo di conduzione dei gruppi prevedeva un preliminare chiarimento sulla natura della ricerca e sulle modalità di trattamento dei dati e una rassicurazione sulla garanzia dell’anonimato. Inoltre, è stato chiarito che le discussioni sarebbero state audio-registrate e trascritte senza consentire l’identificazione degli studenti. Ai focus group ha presenziato anche un osservatore (non partecipante alla discussione) che, separatamente e indipendentemente dal conduttore, prendeva nota dei temi emersi dalla discussione, della loro frequenza e del loro ordine. Al termine è stata elaborata una matrice comune di identificazione delle variabili. Per questa ricerca si è ritenuto più opportuno adottare il metodo sopra illustrato – basato sui principi generali adottati da Miglia e Huberman (1984) – rispetto all’analisi etnografica computerizzata. Interviste in profondità Il ricorso alla metodologia dei focus group è utile per ottenere un’ampia panoramica iniziale su una situazione complessa. Tuttavia, è difficile ottenere significative e raffinate riflessioni personali sia a causa del tempo limitato sia a causa della tendenza all’omologazione di gruppo. Per tale ragione, si è ritenuto opportuno realizzare anche una serie di interviste in profondità utilizzando le informazioni emerse durante i focus group. Queste interviste hanno riguardato sia gli studenti fuori sede che quelli residenti non essendoci, in letteratura, ricerche specifiche sui due differenti gruppi. Al fine di ottenere informazioni più utili possibile sui fattori percepiti come rilevanti per la definizione del livello qualitativo del corso di formazione, si è deciso di intervistare gli studenti che avevano appena superato le prove di selezione per l’ammissione a dei master universitari e non. La dimensione del campione per le interviste in profondità non è stata predeterminata; essa è stata collegata alla completezza dei dati e delle informazioni acquisite e alla disponibilità di allievi. Dopo 14 interviste si è ritenuto che le informazioni acquisite fossero sufficienti. Sono state realizzate Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 412 412 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione 8 interviste a studenti di sesso femminile e sei a studenti di sesso maschile. Al termine di ogni intervista è stata preparata una relazione sui risultati emersi e sugli item considerati rilevanti per la valutazione qualitativa dei corsi di formazione che si accingevano a seguire. Esame della letteratura Le indicazioni ottenute nelle precedenti fasi sono state confrontate con quelle di analoghe ricerche riscontrate in letteratura. Tra le principali ricerche analizzate si sottolineano, per affinità metodologiche, quelle riportate nei contributi di Conant et al. (1985), Kellaris J.J. e Kellaris W.K (1988), Ryland e King (1992), Lapidus e Brown (1993), mentre approcci e finalità differenti caratterizzano i lavori di Swiierczek e Carmichael (1985), Williams (1989), Kaplan e Norton (1993 e 1996), Kirkpatrick (1983 e 1994), Quaglino (1992), Kotler e Fox (1995), Amietta (1996), Baccarani (1998), Butera (1998), Cafferata (1999), Mele e Popoli (1999), Ferrara (2001), Varaldo (2001), CNVSU (rapporti annuali sullo stato delle Università 2000-2004), Rebora (2002), Borgonovi (2003), Boldizzoni (2004), Mussari (2004), Boldizzoni e Nacamulli (2005). Va sottolineato che gli autori nazionali prediligono approcci d’indagine differenti da quello seguito nel presente lavoro di ricerca. Infatti nella letteratura italiana sono più frequenti i contributi di tipo teorico-qualitativo e le indagini quantitative esistenti analizzano l’andamento degli indicatori di qualità definiti dagli autori oppure con indagini di customer satisfaction esaminano i giudizi sulla qualità forniti a posteriori dagli allievi. Il presente lavoro, invece, mira a comprendere quali sono, nella percezione degli allievi, gli elementi ritenuti essenziali per definire la qualità di un percorso formativo sia prima che il corso sia erogato sia dopo aver fruito dell’attività didattica. Tali informazioni sono fondamentali per comprendere le scelte operate dagli studenti, inoltre consentono di individuare gli elementi di qualità su cui concentrare le indagini di customer satisfaction. Il principale limite dell’approccio è che l’analisi si limita a fornire informazioni utili per comprendere solo il gradimento degli allievi, ossia solo il livello I della scala di Kirkpatrick (3) (1983, 1994). Nessuna informazione è fornita sui livelli superiori: su quanto la formazione influisce effettivamente sulle competenze degli allievi, su quanto la formazione determina miglioramenti delle prestazioni lavorative e infine su quanto la formazione influisce sugli eventuali risultati conseguiti dalle organizzazioni in cui sono inseriti gli allievi. (4) 3 Il modello di Kirkpatrick individua 4 livelli su cui impatta la formazione e che occorre misurare per valutare l’efficacia di un’attività formativa: il livello della reazione (gradimento dell’allievo), quello delle competenze, quello delle prestazioni ed infine quello dei risultati. 4 L’approccio di Kirkpatrick riguarda la valutazione della formazione vista dal lato dell’azienda che eroga direttamente attività formative nei confronti dei propri dipendenti o sostiene costi per consentire loro la partecipazione ad attività formative esterne. A ben vedere, tuttavia, il modello di Kirkpatrck è estendibile a tutte le attività educative, basta considerare i miglioramenti nelle competenze, prestazioni e risultati dei singoli visti come cittadini. 413 Az.Pubb 3.09.indd 413 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione Gli indicatori di qualità emersi nelle fasi di focus group e nelle interviste in profondità sono stati, laddove possibile, adattati in modo da renderli comparabili con quelli riscontrati nelle ricerche internazionali caratterizzate da analoghe metodologie e in particolare con le ricerche di Ryland e King (1992) e Lapidus e Brown (1993). Ciò ha reso possibili ulteriori spunti di verifica, comparazione e riflessione. In totale sono state individuate 26 variabili ritenute pertinenti e significative per la definizione e determinazione della qualità così come percepita dagli studenti: 1. contenuti del corso; 2. corpo docente; 3. imparzialità nelle valutazioni; 4. capacità di stimolo intellettivo; 5. varietà delle tematiche affrontate; 6. accessibilità e disponibilità dei docenti; 7. piccola dimensione delle classi; 8. orario delle lezioni; 9. materiale didattico; 10. coordinamento tra docenti e programmi didattici; 11. gradevolezza dell’ambiente fisico; 12. rispetto delle norme di sicurezza; 13. raggiungibilità della sede; 14. rispetto delle norme sanitarie; 15. disponibilità di parcheggio; 16. servizi bar e di ristorazione; 17. attività socio-culturali parallele; 18. disponibilità di biblioteca e banche dati; 19. laboratori informatici; 20. guida dello studente; 21. pubblicizzazione degli obiettivi formativi e orientamento in ingresso; 22. test intermedi di autovalutazione; 23. servizi per il placement; 24. riconoscimento dei crediti formativi e universitari; 25. stage; 26. reputazione dell’istituto educativo. Per comprendere l’importanza attribuita dagli studenti a ciascuno dei 26 item è stato sviluppato un questionario caratterizzato dall’utilizzazione di una scala di Likert a sette punti con le seguenti polarità (1 = non importante, 7 = molto importante). Ad esempio: Item 1. I contenuti del corso sono... 1 2 3 4 5 6 7. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 414 414 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione 4. Individuazione del campione e somministrazione del questionario Il campione è stato estratto tra tutti i partecipanti, distinti tra in sede e fuori sede, a corsi di master e alta formazione realizzati in Campania e finanziati dalla Regione Campania nell’ambito del Por 2000-2006 e dal Miur nell’ambito del Pon Ricerca scientifica tecnologica e alta formazione Ob. 1, misura 3.6. L’attività di collaborazione e sensibilizzazione di alcuni dirigenti e funzionari della Regione Campania, alcuni in servizio presso il Consiglio regionale e la Giunta e altri presso i Settori tecnici amministrativi provinciali, ha permesso il coinvolgimento attivo degli enti di formazione coinvolti i cui responsabili hanno garantito l’attività di raccolta e somministrazione dei questionari. Ciò ha permesso di avere un missing pari a 0, ossia di non avere perdita di dati. Il questionario è stato somministrato a un totale di 400 studenti di cui 302 residenti e 98 fuori sede. Le caratteristiche quali-quantitative del campione sono riportate nella tabella 1. Tabella 1 – Caratteristiche quali-quantitative del campione descrizione n. età media deviazione standard dell’età Iscritti a corsi di alta formazione post laurea mis.3.6 in sede 88 28.34 2.94 Iscritti a corsi di alta formazione post laurea mis.3.6 fuori sede 33 27.68 3.12 Iscritti a master universitari finanziati dalla Regione Campania in sede 84 27.23 3.02 Iscritti a master universitari finanziati dalla Regione Campania fuori sede 31 27.91 4.26 Iscritti a master non universitari finanziati dalla Regione Campania in sede 76 27.12 5.16 Iscritti a master non universitari finanziati dalla Regione Campania fuori sede 22 27.43 5.87 Altri corsi di formazione finanziati dalla Regione Campania in sede 54 25.38 7.13 Altri corsi di formazione finanziati dalla Regione Campania fuori sede 12 26.19 6.98 Va sottolineato che, a differenza delle altre ricerche presenti in letteratura, il questionario è stato somministrato agli stessi allievi due volte: la prima durante le selezioni al corso e prima dell’avvio delle attività formative; la seconda volta al termine delle attività corsuali, di norma dopo circa un anno. 415 Az.Pubb 3.09.indd 415 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione In questo modo è stato anche possibile verificare eventuali modifiche nelle percezioni degli allievi sui fattori che influenzano la qualità. 5. Analisi dei dati L’analisi statistica, sulla base delle correlazioni tra le risposte, ha consentito l’individuazione di 4 fattori (‘variabili latenti’ ) nominati: • insegnamento; • struttura; • orientamento; • riconoscimento/occupabilità. L’analisi fattoriale ha così sintetizzato i 26 item in 4 nuove variabili (o fattori) e ne ha calcolato i valori associandoli a ciascun rispondente. L’affidabilità dei dati è stata valutata mediante determinazione del valore alpha di Cronbach. (5) Il valore calcolato è pari a 0,889, ossia ben superiore al limite minimo 0,60 prescritto dalla letteratura Malhotra (1993). Ciò conferma la bontà dell’elaborazione. Dall’analisi è emerso che le comunalità per l’item 14 (rispetto delle norme sanitarie) sono state particolarmente basse, ciò suggerisce che questa voce può essere considerata estranea tra le variabili (Tachnichnick, Fidell, 1989). è stato eseguito pertanto il test alpha di Cronbach per valutare l’affidabilità del set di dati con e senza l’inclusione della variabile 14; è emerso che l’attendibilità del set di dati aumentava eliminando la variabile 14. Si è deciso, pertanto, di eliminare l’item 14 e di ri-analizzare i dati. Il risultato finale dell’analisi fattoriale con l’indicazione semantica dei fattori individuati è mostrato nella tabella 2 (cfr. tabella 2). In tutti i casi i valori ottenuti per i singoli item in corrispondenza del fattore cui sono stati assegnati sono quelli più elevati. Unica eccezione è costituita dall’item 12 (rispetto delle norme di sicurezza) che fornisce valori leggermente più elevati in corrispondenza del fattore 1 (insegnamento) rispetto al fattore 2 (struttura). Ciononostante si è comunque deciso di attribuire l’item 12 (rispetto delle norme di sicurezza) al fattore 2 (struttura) vista la sua maggiore inerenza (semantica) e preso atto della bassa significatività della differenza, contenuta entro l’1%. L’analisi dei quattro fattori ha mostrato che essi hanno tutti un autovalore maggiore di uno e che il raggruppamento fattoriale effettuato spiega 5 Il coefficiente alpha di Cronbach sintetizza l’attendibilità di un test. Tale coefficiente descrive la coerenza interna di raggruppamenti di item; elevati valori di alpha indicano che i soggetti esaminati esprimono un atteggiamento coerente riguardo a ciascun item appartenente a ciascuna dimensione. La verifica della coerenza interna di ogni subtest permette non solo di approfondire lo studio e la definizione della struttura fattoriale, ma anche di conoscere e definire la validità di costrutto della scala. In questo senso i ricercatori, nell’applicabilità alle scale likert di questa tecnica, sono concordi nell’adottare il valore di alpha=.60 come riferimento di un livello appena accettabile di coerenza interna e di adeguatezza di costrutto del test costruito. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 416 416 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione Tabella 2 – Risultati finali dell’analisi fattoriale Item Fattore 1: Insegnamento 1 0,65242 2 0,68342 3 0,67644 4 0,50012 5 0,49981 6 0,61210 7 0,52101 8 0,58142 9 0,71221 10 0,48323 Fattore 2: Struttura 11 0,49877 12 0,45354 13 0,72321 15 0,78221 16 0,61553 17 0,76002 18 0,70012 19 0,72022 Fattore 3: Riconoscimento Occupabilità Fattore 4: Orientamento 20 0,62001 21 0,61123 22 0,66544 23 0,61987 24 0,76112 25 0,88778 26 0,87322 il 56,89% della variabilità complessiva, come indicato nella tabella 3. In sostanza la riduzione dalle 26 variabili iniziali alle 4 variabili latenti individuate non ha determinato una significativa perdita di informazioni. Si conferma, pertanto, la validità concettuale dello strumento statistico utilizzato 417 Az.Pubb 3.09.indd 417 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:03 Saggi La qualità nell’alta formazione (analisi fattoriale ortogonale VARIMAX). D’altra parte il risultato è in linea con un analogo studio condotto in Usa da Ryland e King (1992) su studenti di programmi MBA e in cui una simile analisi fattoriale spiegava circa il 52% della varianza complessiva. Tabella 3 – Risultati dell’analisi fattoriale - Questionari di inizio corso item autovalore varianza spiegata 1 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 6,89 29,89% 2 11, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 19 2,81 13,41% 3 23, 24, 25, 26 1,78 8,32% 4 20, 21, 22 1,20 5,27% fattore Domande di ricerca e discussione dei risultati Una volta verificata la solidità della struttura di dati ottenuta, si è testata la validità di alcune ipotesi di ricerca riguardanti l’ordine di importanza attribuito ai diversi fattori di qualità dai diversi gruppi di studenti. In particolare l’analisi ha riguardato le differenze esistenti tra il gruppo degli studenti di master e di corsi di alta formazione e il gruppo di studenti di altre tipologie di corsi e le differenze esistenti tra studenti residenti e studenti fuori sede. Infine lo stesso procedimento di analisi è stato realizzato per i questionari compilati al termine delle attività corsuali. In tal modo si è cercato di comprendere se la partecipazione a un corso di formazione/master influisca sulle variabili ritenute determinanti per giudicare la qualità di un corso. (6) Ritenendo che il fattore “struttura” potesse influire maggiormente sulle due tipologie residenti/fuori sede si è deciso di valutare i dati in un primo momento escludendo il fattore “struttura” e considerando la seguente: ipotesi 1: sia gli studenti residenti che i fuori sede ritengono che per definire la qualità di un percorso formativo i fattori assumano importanza nel seguente ordine: 1° insegnamento, 2° riconoscimento/occupabilità, 3° orientamento. Per verificare tale ipotesi si è condotta un’analisi della varianza (Anova) ad effetti fissi ad una via con successiva analisi delle medie prima per il gruppo dei residenti poi per il gruppo dei fuori sede. Per il gruppo dei residenti il test F2,602=232,12 con p=<0,001 e l’analisi delle medie riportate nella tabella 4 confermano la validità dell’ipotesi 1. 6 Le ipotesi di ricerca sono state elaborate anche in considerazione di analoghi studi, richiamati nel testo, condotti in Usa su studenti americani di programmi MBA. Tali studi, tuttavia non prevedevano una doppia rilevazione (pre e post-corsuale); ne deriva che i risultati di ricerca confrontabili sono quelli relativi alle ipotesi 1, 2, 3 e 5. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 418 418 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione Tabella 4 – Medie e deviazioni standard dei fattori di qualità (popolazione n=302 studenti residenti) fattori di qualità medie deviazione standard Insegnamento 6,11 0,89 Riconoscimento/occupabilità 5,66 1,02 Orientamento 3,79 0,96 Anche per il gruppo dei non residenti il test F2,194=40,02 con p=<0,001 e l’analisi delle medie riportate nella tabella 5 confermano la validità dell’ipotesi 1. Tabella 5 – Medie e deviazioni standard dei fattori di qualità (popolazione n=98 studenti fuori sede) fattori di qualità medie deviazione standard Insegnamento 6,16 0,76 Riconoscimento/occupabilità 5,59 0,98 Orientamento 3,86 1,21 In entrambi i casi dunque i fattori di qualità sono ordinati nello stesso modo sia dagli studenti residenti che dai fuori sede e precisamente: insegnamento, riconoscimento/occupabilità, orientamento. Risulta pertanto verificata l’ipotesi 1. A questo punto la stessa analisi, pur se limitata agli studenti di corsi master e di alta formazione, (7) distinta per residenza o meno nei luoghi di fruizione del corso, è stata condotta inserendo anche il fattore “struttura” per verificare la seguente: ipotesi 2: per i corsi di alta formazione gli studenti fuori sede attribuiscono al fattore “struttura” un ordine di importanza differente. Per il gruppo dei residenti il test F2,494=198,22 con p=<0,001 e l’analisi delle medie riportate nella tabella 6 indicano che i fattori assumono il seguente ordine di importanza: 1° insegnamento, 2° riconoscimento/occupabilità, 3° struttura, 4° orientamento. 7 Per questa domanda di ricerca si è preferito esporre i risultati limitatamente al gruppo degli studenti di master e corsi di alta formazione. Tuttavia il lettore sappia che applicando l’analisi all’intero campione si è pervenuti allo stesso risultato. 419 Az.Pubb 3.09.indd 419 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione Tabella 6 – Medie e deviazioni standard dei fattori di qualità (popolazione n=248 studenti di corsi di alta formazione residenti) fattori di qualità medie deviazione standard Insegnamento 6,15 0,87 Riconoscimento/occupabilità 5,78 0,98 Struttura 4,02 1,15 Orientamento 3,73 1,01 Per il gruppo degli studenti fuori sede il test F2,172=39,32 con p=<0,001 e l’analisi delle medie riportate nella tabella 7 indicano che i fattori assumono il seguente ordine di importanza: 1° insegnamento, 2° riconoscimento / occupabilità, 3° struttura, 4° orientamento. Tabella 7 – Medie e deviazioni standard dei fattori di qualità (popolazione n=86 studenti di corsi di alta formazione fuori sede) fattori di qualità medie deviazione standard Insegnamento 6,19 0,82 Riconoscimento/occupabilità 5,71 1,01 Struttura 4,18 1,27 Orientamento 3,65 1,12 Dal confronto dei dati riportati nelle tabelle 6 e 7 emerge che l’ipotesi 2 non è confermata. In particolare gli studenti residenti e quelli fuori sede attribuiscono ai fattori di qualità lo stesso ordine di importanza ossia: 1° insegnamento, 2° riconoscimento/occupabilità, 3° struttura, 4° orientamento. Va sottolineato che il risultato si discosta da quanto emerso nelle ricerche condotte in Usa da Ryland e King (1992) e da Lapidus e Brown (2003) dove il fattore struttura assumeva un ruolo e un’importanza maggiore per gli studenti fuori sede. Va altresì evidenziato che il valore medio attribuito al fattore struttura dagli studenti residenti è sostanzialmente analogo a quello attribuito dai fuori sede. Nel primo caso il valore osservato è pari a 4,02 mentre nel secondo è pari a 4,18. Si è verificato, quindi, che per i residenti e i fuori sede non solo l’ordine di importanza attribuito ai quattro fattori è lo stesso, ma anche il valore assoluto dell’importanza attribuita al fattore struttura non cambia in modo sensibile. L’ipotesi 3 che è stata oggetto di indagine è la seguente: l’ordine di importanza dei fattori di qualità non differisce tra gli iscritti alle diverse tipologie di corsi. La questione è stata esaminata con un’analisi della varianza Anova conAzienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 420 420 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione siderando il tipo di corso come variabile tra i gruppi e i fattori di qualità (insegnamento, riconoscimento/occupabilità, struttura, orientamento) come variabilità all’interno dei gruppi. Il risultato indica una sostanziale invariabilità dell’importanza attribuita ai fattori di qualità all’interno dei differenti gruppi di studenti con conferma dell’ipotesi 3. Nella seconda fase di analisi lo studio ha esaminato le risposte ai questionari compilati al termine delle attività corsuali dagli stessi partecipanti ai corsi di formazione per testare la validità delle seguenti ulteriori ipotesi di ricerca: Ipotesi 4: l’analisi fattoriale condotta sui questionari compilati a fine corso conserva la sua robustezza iniziale. Ipotesi 5: l’importanza attribuita al fattore struttura è influenzata dalla caratteristica della residenzialità o meno degli studenti. Ipotesi 6: l’importanza attribuita ai quattro fattori di qualità resta invariata a fine corso così come il relativo ordine. L’ipotesi 4 è stata testata con la stessa metodologia seguita per i questionari compilati a inizio corso ma con definizione a priori (ossia prima dell’elaborazione statistica) del numero dei fattori latenti (4) e dell’associazione agli specifici item. Il valore alpha di Cronbach è pari a 0,631. Tale dato è inferiore a quello calcolato nella precedente analisi (pari a 0,889) ma è comunque appena superiore al limite minimo prescritto dalla letteratura (pari a 0,60). Tuttavia il raggruppamento degli item nei quattro fattori latenti fornisce risultati differenti. In primo luogo va sottolineato che l’analisi fattoriale nei quattro fattori spiega solo il 45,23% della variabilità complessiva, come indicato in dettaglio nella tabella 8. Quindi la riduzione dalle 26 variabili iniziali alle 4 variabili latenti individuate comporta, in questo caso, una maggiore perdita di informazioni. Non è possibile confrontare il dato con analoghe ricerche non essendoci ricerche del genere in letteratura. Tabella 8 – Risultati dell’analisi fattoriale – Questionari di fine corso item varianza spiegata 1 fattore 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 22,13% 2 11, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 19 11,02% 3 23, 24, 25, 26 7,91% 4 20, 21, 22 4,17% Sebbene i dati conservino una significatività statistica, anche se più limitata, si ritiene che l’ipotesi 4 non sia pienamente confermata. Infatti, è evidente 421 Az.Pubb 3.09.indd 421 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione che nelle risposte di fine corso è cambiata la percezione degli allievi rispetto all’importanza dei fattori di qualità. Probabilmente l’esperienza corsuale, positiva o negativa, ha influito sulle valutazioni dei partecipanti. Per tentare di comprendere i motivi dei cambiamenti riscontrati, i dati relativi alle due osservazioni sono stati confrontati. In particolare sono state calcolate le medie osservate per i 4 fattori latenti prima e dopo l’intervento formativo (tabella 9); successivamente sono state riportate su un grafico le medie osservate per ciascun item prima e dopo l’intervento formativo. Tabella 9 – Valore medio complessivo attribuito ai 4 fattori latenti prima e dopo le attività corsuali Valore medio attribuito prima del corso Valore medio attribuito dopo il corso Insegnamento (item 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10) 6,15 6,05 Riconoscimento/occupabilità (item 11, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 19) 5,78 5,41 Struttura (item 23, 24, 25, 26) 4,02 5,12 Orientamento (item 20, 21, 22) 3,73 3,65 Dall’analisi dei valori risulta che mentre l’importanza attribuita ai fattori “insegnamento” e “orientamento” rimane pressocché costante, l’importanza mediamente attribuita al fattore “riconoscimento/occupabilità” diminuisce leggermente passando da 5,78 a 5,41. Aumenta, invece, in maniera considerevole, l’importanza attribuita al fattore “struttura” che passa da 4,02 a 5,12. Da una lettura incrociata dei dati dei questionari con alcune interviste a campione, svolte a posteriori, è risultato che gli allievi hanno la tendenza, dopo le attività corsuali, ad attribuire un maggior valore di importanza agli item per i quali sono rimasti insoddisfatti durante il corso. (8) La figura 1, letta in tal senso, fornisce indicazioni circa la soddisfazione sia dei singoli item che dei macrofattori. Limitando l’analisi solo agli item per i quali sono rilevanti le differenze di importanza attribuite dagli allievi prima e dopo il corso si può osservare che esiste una differenza notevole per l’item 25 (stage) che da un’importanza media di 5,21 fa registrare, dopo le attività corsuali, un incremento fino a 6,21. 8 La tematica è oggetto di una specifica ed estesa ricerca appena avviata e finalizzata a verificare l’esistenza di una relazione tra il grado di soddisfazione dichiarato dall’allievo e la variazione nella percezione di importanza dei fattori qualità. Se tale ipotesi fosse confermata si fornirebbe al management di istituzioni educative uno strumento (il confronto dell’importanza attribuita ai fattori di qualità prima e dopo le attività corsuali) utile per corroborare o meno eventuali indagini dirette di customer satisfaction realizzate. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 422 422 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione Anche l’importanza dei “contenuti” (item 1) registra un incremento di valore (seppur più modesto) passando da 6,41 a 6,78 così come l’item 10 (coordinamento tra docenti e programmi didattici) che passa da 6,24 a 6,44. Degno di nota è il fatto che, a eccezione dell’item 17 “previsione di attività socio-culturali parallele”, tutti gli item del macrofattore “struttura” presentano un sensibile incremento di importanza/insoddisfazione. Il fattore “struttura”, nel suo complesso, prima delle attività corsuali viene caratterizzato da un valore di importanza media percepita pari a 4,02, mentre al termine delle attività corsuali esso presenta un valore pari a 5,12. Il fattore “struttura” è quindi caratterizzato da una modesta considerazione prima delle attività corsuali e assume maggior rilievo dopo le attività corsuali. Figura 1 Valore medio attribuito agli item prima e dopo il corso Valore medio 7 4 1 Item Items Valore medio prima Valore medio dopo Per verificare le ipotesi 5 e 6 si sono confrontate, e riportate nella tabella10, le medie distinte per i due gruppi di studenti e per i quattro fattori latenti (cfr. tabella 10). Dall’analisi della tabella emerge, a differenza di quanto avviene per gli studenti americani di programmi MBA indagati da Ryland e King (1992) e da Lapidus e Brown (2003), che il requisito di residenza o meno non influisce in modo significativo sull’attribuzione di una rilevanza diversa al fattore “struttura”. L’ipotesi 5, pertanto, non risulta confermata. Infine con riferimento all’ultima ipotesi valgono le considerazioni già anticipate: l’ordine di importanza attribuito ai quattro fattori di qualità non muta prima e dopo il corso, tuttavia mentre il fattore riconoscimento/occupabilità è caratterizzato da un lieve decremento aumenta sensibilmente l’importanza attribuita al fattore struttura. L’ipotesi 6, pertanto, appare parzialmente verificata. 423 Az.Pubb 3.09.indd 423 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione Tabella 10 – Valore medio complessivo attribuito ai 4 fattori latenti dopo le attività corsuali distinto per la caratteristica di residenza o meno degli allievi Valore medio attribuito dopo il corso Intera popolazione n=400 Valore medio attribuito dopo il corso Residenti N=302 Valore medio attribuito dopo il corso Fuori sede N=98 Insegnamento (item 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10) 6,05 6,02 6,15 Riconoscimento/occupabilità (item 11, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 19) 5,41 5,43 5,35 Struttura (item 23, 24, 25, 26) 5,12 5,06 5,31 Orientamento (item 20, 21, 22) 3,65 3,68 3,56 6. Conclusioni Diversi sono gli elementi che influiscono sulla definizione e sulla percezione di qualità da parte degli allievi. Lo studio ha consentito l’individuazione di 26 item per la definizione della qualità percepita dagli allievi e ha evidenziato che gli stessi possono essere ricondotti a 4 macrofattori denominati: insegnamento; orientamento; riconoscimento/occupabilità; struttura. La ricerca dimostra che esiste un ordine di importanza ben definito tra i quattro fattori di qualità che prescinde sia dalla tipologia dell’attività formativa, sia dalla residenza o meno nei luoghi di fruizione del corso. Infatti sia per il gruppo degli studenti residenti che per i fuori sede l’ordine di importanza attribuito ai fattori è lo stesso. Il fattore ritenuto più importante è l’insegnamento. Questo fattore oltre ad avere un valore medio rilevante consente di raggruppare 10 item (contenuti del corso, corpo docente, imparzialità nelle valutazioni, capacità di stimolo intellettivo, varietà delle tematiche affrontate, accessibilità e disponibilità dei docenti, piccola dimensione delle classi, orario delle lezioni, materiale didattico, coordinamento tra docenti e programmi didattici) e di spiegare circa il 30% della varianza complessiva. Seguono in ordine di importanza i fattori: riconoscimento/ occupabilità (servizi per il placement, riconoscimento dei crediti formativi e universitari, stage, reputazione dell’istituto educativo); struttura (gradevolezza dell’ambiente fisico, laboratori informatici, raggiungibilità della sede, rispetto delle norme sanitarie, disponibilità di parcheggio, servizi bar e di ristorazione, attività socio culturali parallele, disponibilità di biblioteca e banche dati, rispetto delle norme di sicurezza) e orientamento (guida dello studente, pubblicizzazione degli obiettivi formativi orientamento in ingresso, test intermedi di autovalutazione). Contrariamente a quanto constatato in altri studi condotti su allievi di Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 424 424 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione master americani il fattore struttura ha un’importanza più o meno simile tra studenti residenti e fuori sede e un rilievo inferiore al fattore riconoscimento/ occupabilità. Ciò probabilmente deriva dal fatto che il parametro struttura in America afferisce a un campus universitario e quindi incide molto sulla qualità della vita degli allievi mentre in Italia riguarda esclusivamente la sede della struttura educativa. Sempre in relazione al parametro struttura va sottolineato come nelle valutazioni post corsuali esso acquisisce un’importanza molto maggiore. Ciò denota alti livelli di insoddisfazione negli allievi. In sostanza, per dirla alle Hertzberg, sembra che il fattore struttura sia dal punto di vista motivazionale un fattore igienico. Esso infatti non influisce in maniera rilevante sulle scelte dell’allievo, bensì – laddove non soddisfatto – determina un alto livello di demotivazione e frustrazione. Altri item qualitativi che presentano le stesse caratteristiche igieniche sono risultati lo stage, i contenuti del corso e il coordinamento tra docenti e programmi. Per tutti questi item la percezione di importanza è cresciuta dopo lo svolgimento delle attività corsuali. La ricerca fornisce utili spunti a chi opera nel settore della progettazione di master e di corsi di alta formazione e a chi si occupa della promozione dei relativi progetti formativi. In particolare si può senza dubbio sostenere che gli elementi motivazionali su cui far leva nei programmi promozionali sono la qualità dell’insegnamento, il riconoscimento dei crediti e dei titoli rilasciati, la reputazione dell’istituzione erogante e i servizi connessi al placement. Nelle scelte degli allievi, infatti, assumono un peso molto minore le caratteristiche strutturali del soggetto erogante e i servizi di orientamento e autovalutazione. In tema di progettazione delle attività didattiche particolare attenzione va dedicata ai contenuti del corso per i quali è sovente richiesta una maggior concretezza e coerenza con la pratica lavorativa e una minore connotazione teorica. Altro elemento cruciale appare il coordinamento didattico tra i vari docenti. Anche l’aspetto strutturale non va sottovalutato. Se esso non sembra influire in fase di scelta, ossia prima delle attività corsuali, lo stesso fattore, se non soddisfatto, può pregiudicare il gradimento dell’allievo e, nel lungo periodo, influire negativamente sulla reputazione dell’istituzione educativa. In tal senso va assecondata e sostenuta la rigidità e severità, di sovente criticata, adottata dalla Regione Campania nella gestione del processo di accreditamento degli enti formativi. Riferimenti bibliografici Adinolfi R. (2007), La gestione manageriale dei processi di istruzione e formazione, Padova: Cedam. Amietta P. L., Amietta F. (a cura di) (1996), Valutare la formazione, Milano: Unicopli. Baccarani C. 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Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 426 426 12-01-2010 16:35:04 Saggi La qualità nell’alta formazione Kotler P., Fox K.F.A. (a cura di) (1985), Strategic Marketing for Educational Institutions, NJ: Prentice-Hall. Lapidus R.S., Brown J.J (a cura di) (1993), “Assessing satisfaction with the university experience: an international perspective”, Journal of Consumer Satisfaction, Dissatisfaction and Complaining Behaviour, 6, pp. 187-195. Larson R.E. (1985) “The value in Education”, Training, 22,1,92. Malhotra Nk. (1993), Marketing Research: an applied orientation, NJ: Prentice-Hall. Marton F. (1981) “Phenomenography - describing conceptions of the world around us”, Instructional Science, 10, pp. 177-200. Mele R., Popoli P. (1999), “La valutazione ed il controllo di gestione nelle Aziende Università”, Economia Pubblica, n. 1. Mussari R. (2004), “Formazione, conoscenze ed innovazione manageriale nelle amministrazioni pubbliche: prime considerazioni” in Aa. Vv. 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Williams, Overseas Students in Australia, Canberra: IDP. 427 Az.Pubb 3.09.indd 427 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:04 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia Efficienza, efficacia ed equità nell’amministrazione della giustizia Luigi Lepore Ricercatore di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Napoli Parthenope - Dipartimento di Studi Aziendali Sommario: 1. Premessa. 2. Un approccio economico aziendale per lo studio del sistema giudiziario. 3. Le performance del sistema giudiziario italiano e i fattori determinanti. 4. Sistemi operativi e modelli amministrativi innovativi nelle amministrazioni della giustizia: la Gestione per obiettivi e il Court Management. 5. Conclusioni. L’amministrazione della giustizia in Italia, coerentemente all’evoluzione in senso aziendale della pubblica amministrazione, è stata caratterizzata negli ultimi anni da rilevanti processi di riforma che hanno avuto come filo conduttore la ricerca dell’efficienza e dell’efficacia. Sono state sperimentate nelle amministrazioni della giustizia: un maggiore decentramento nei processi decisionali; un aumento del grado di autonomia e responsabilizzazione in capo ai dirigenti amministrativi; l’orientamento all’economicità dell’azione e il contestuale avvio di logiche gestionali innovative (Court Management – Management by Objectives); nonché strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati. In tale direzione può risultare interessante il focus di osservazione della dottrina economico-aziendale alla qualificazione delle peculiarità delle dimensioni dell’economicità e dell’equità, nonché dei caratteri d’aziendalità nel sistema giudiziario. In the last few years Justice Administration has had very interesting changes within public administration in Italy; for this reason, judicial institutions consider new public management systems applying the effectiveness and efficiency principles. In this perspective, it would be interesting to analyze the different and typical aspects of economy and equity in judicial system, its innovations (Court Management - Management by Objectives) also in international contest. Parole chiave: sistema giudiziario – economicità – Court Management Key words: Judicial System – effectiveness – Court Management 429 Az.Pubb 3.09.indd 429 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia 1. Premessa L’amministrazione della giustizia, negli ultimi anni, ha assunto una crescente centralità politica, economica e sociale. Al pari di altri servizi pubblici di interesse collettivo, servizi giudiziari efficienti ed efficaci, oltre che equi, possono rappresentare un fattore critico essenziale per il progresso economico-sociale del Paese. Gli stessi, difatti, nella misura in cui garantiscono diritti di proprietà e certezza del diritto per la definizione dei contratti, contribuiscono a creare opportunità di sviluppo alle imprese, disponibilità del credito, propensione all’investimento nel capitale di rischio e capacità di attrarre capitali dall’estero (Shleifer et al., 1996; Zingales et al.,1999; Masciandaro et al., 2000; Bianco, Giacomelli, 2004). La consapevolezza della rilevanza dei servizi di cui si dice, congiuntamente alle performance sistematicamente poco soddisfacenti delle amministrazioni giudiziarie italiane, (1) sembra essere alla base del processo di riforma in senso aziendale che da qualche anno coinvolge il sistema giudiziario (Sg) del nostro Paese. (2) Coerentemente a quanto accaduto in altri comparti della pubblica amministrazione (p.a.), il processo di cambiamento ha quale filo conduttore la ricerca dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità. Sono stati sperimentati, a tal proposito, nelle amministrazioni del sistema principi organizzativi e logiche gestionali innovative che ne valorizzano, appunto, l’aspetto aziendale. Nel quadro delineato, l’obiettivo che il presente studio si è posto è quello di compiere, attraverso una lente di tipo economico-aziendale, (3) una prima analisi esplorativa delle amministrazioni giudiziarie in Italia, nonché del processo di modernizzazione in atto. L’analisi è stata diretta, da un lato, a definire e specificare la dimensione economica degli istituti pubblici indagati e, dall’altro, ad analizzare e proporre best practice gestionali e organizzative di ispirazione manageriale che possano agevolare il recupero di più elevati margini di funzionalità. (4) Quanto a quest’ultimo punto, nella parte finale del lavoro, si è provato a: 1 Per un approfondimento in merito alle performance si veda Cepej (2006, 2008); World Bank (2007, 2008); Mef (2007). Per amministrazioni giudiziarie in questo lavoro s’intendono: il ministero (amministrazione centrale), i tribunali e i penitenziari (amministrazioni periferiche). 2 In campo internazionale il processo a cui si fa riferimento viene identificato spesso con il termine “managerializzazione” (Pollitt, 1993), ovvero nel caso italiano “aziendalizzazione” (Anselmi, 1995). 3 L’economia aziendale sviluppa conoscenze riferite ad un aspetto parziale dei fenomeni concreti, facendo sue conoscenze che costituiscono il patrimonio conoscitivo di altre discipline. Come tutti i sistemi pubblici, anche il Sg è oggetto di studio potenziale di scienze differenti, ognuna della quali ha lo scopo di approfondirne determinati aspetti. Le scienze aziendali studiano “i processi economici interni degli enti/istituti, nei quali si articola il sistema pubblico, le loro relazioni economiche con altri soggetti esterni, le condizioni, i principi, i criteri, gli strumenti per perseguire l’equilibrio economico” (Borgonovi, 2005: p. 5). 4 Tali considerazioni sono state svolte con la consapevolezza che qualsiasi tentativo di innovazione che presti scarsa attenzione alle specificità della realtà innovata fondandosi “sull’illusione di poter trasferire regole da un sistema a un altro […], (può solo) determinare un peggioramento dell’amministrazione o lasciarla inalterata” (Borgonovi, 2005: p. 189). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 430 430 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia - indagare la soluzione del Management by Objectives utilizzata nel ministero della giustizia italiano, al fine di verificarne l’estendibilità alle amministrazioni periferiche del Sg; - delineare alcuni tratti salienti di un modello di amministrazione dei tribunali utilizzato nel contesto statunitense (Court Management), per verificarne l’eventuale replicabilità ai tribunali italiani. In merito alla metodologia di ricerca, lo studio è stato condotto attraverso l’analisi delle fonti istituzionali e della normativa in materia, avvalendosi della ricognizione della letteratura internazionale sui Sg (Judicial Administration), nonché attraverso la realizzazione di interviste semi-strutturate ad alcuni dirigenti di tribunali. La dottrina economico-aziendale italiana, nonostante le accresciute attese del “bisogno giustizia” espresse dalle diverse categorie di stakeholder, ha manifestato, finora, un limitato interessamento. Si è registrato, invece, il prevalere di studi a matrice giuridica e socio-politica, rilevanti, ma non esaustivi della complessità del Sg. Tali studi, infatti, si sono dimostrati in parte inefficaci ad offrire risposte ai mali endemici e alle gravi inefficienze di cui il sistema soffre. (5) Si crea, quindi, uno spazio per un proficuo confronto con la metodologia e le peculiarità di analisi delle scienze aziendali, nell’ottica di introdurre, come accaduto in altri comparti della p.a., logiche di economicità e modelli di gestione che contribuiscono a realizzare obiettivi comuni di equità, garanzia e tutela democratica di tutti gli stakeholder. Diversamente da quanto accaduto nel nostro Paese, all’estero già da svariati anni si vanno diffondendo studi di matrice manageriale che hanno ad oggetto l’amministrazione della giustizia (Prison/Court Management). Questi studi si sono sviluppati in Paesi quali gli Usa, il Canada, ma negli ultimi anni cominciano ad attrarre l’attenzione anche di studiosi europei, in particolare in quei Paesi ove è stato avviato un processo di sviluppo del Sg in senso manageriale (Fabri, 2006). è il caso dei Paesi Bassi, della Svizzera, del Regno Unito. 2. Un approccio economico aziendale per lo studio del sistema giudiziario La funzione istituzionale di un Sg può essere individuata nella produzione di servizi finalizzati a garantire l’esercizio del potere giudiziario, il quale si compendia nel dare attuazione, in maniera equa, al comando legislativo, 5 L’eccessiva durata dei procedimenti, causa delle numerose sentenze di condanna che l’Italia riceve dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e il disumano sovraffollamento delle carceri sono soltanto alcuni dei sintomi che mettono in evidenza lo “stato di sofferenza” e la poca efficienza del Sg italiano. In generale, l’efficienza indica il rapporto tra risultati ottenuti e risorse impiegate per ottenerli. “Che tale rapporto nel caso della giustizia italiana sia insoddisfacente è noto […]. Meno chiara è la diagnosi che spiega il perché di un rendimento così poco soddisfacente dell’intero sistema” (Zan, 2004, p. 63). 431 Az.Pubb 3.09.indd 431 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia al fine di garantire — attraverso la tutela giuridica, l’ordine pubblico e la certezza del diritto — l’ordinato svolgimento della vita di relazione e un clima di stabilità e sicurezza sociale. La scomposizione della complessiva attività di erogazione dei servizi giudiziari consente di enucleare le attività specifiche poste in essere da ciascuna delle istituzioni coinvolte: • l’attività di “pianificazione strategica” (assegnazione di obiettivi, risorse e responsabilità) che compete al ministero; • la “amministrazione” della giustizia (funzione giudicante o requirente-investigativa) che è affidata ai tribunali; • l’attività “esecutiva” della giustizia (esecuzione della pena e riabilitazione dei colpevoli) che è affidata ai penitenziari. In maniera più intensa rispetto al passato, oggi, utenti, politici e altri stakeholder manifestano la consapevolezza che le attività del Sg debbano essere intese come un servizio da rendere alla collettività, un servizio pubblico “la cui efficienza può e deve essere misurata, così come la sua utilità e il suo costo, senza che questa valutazione sia considerata inappropriata perché riferita ad una funzione sovrana” (Mirabelli, 2005, p. 6). L’economicità, in effetti, assurge a principio che guida le scelte d’azienda, tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico. Conseguenza diretta dell’orientamento all’economicità è la necessità che in ogni amministrazione giudiziaria si tenda a massimizzare il risultato differenziale tra il valore generato e la ricchezza consumata nell’ambito delle combinazioni aziendali. La funzione economico-sociale di qualsivoglia azienda del settore pubblico è stata interpretata, in tal modo, come processo di “creazione di valore pubblico” (Moore, 1995; Borgonovi, 2001). Nell’ambito del complessivo processo di modernizzazione che negli ultimi decenni ha posto l’economicità di gestione fra le priorità delle amministrazioni pubbliche, il Sg rappresenta probabilmente il comparto che si è mosso con maggiore lentezza. Lo stesso infatti è rimasto immune, per molti anni e in buona parte dei Paesi occidentali, alle riforme del New Public Management. In merito a quanto si dice, c’è da fare, tuttavia, sin d’ora un’importante precisazione: il ritardo nel processo di managerializzazione è un fenomeno che riguarda i Sg europei, e, a dire il vero, neanche tutti. In Svizzera, per esempio, da diversi anni è stato avviato un ambizioso progetto di revisione della complessiva organizzazione giudiziaria, il cui obiettivo esplicito è quello di orientare le amministrazioni alla qualità dei servizi, all’economicità e alla soddisfazione dell’utente. Oltreoceano, invece, il processo ha preso avvio ormai da decenni. (6) Recentemente, comunque, anche nel nostro Paese sembra assistersi ad un’inversione di tendenza. Alcu6 Per un approfondimento si veda Tobin (1997). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 432 432 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia ne innovazioni normative, infatti, sembrano aver dato avvio ad un processo di modernizzazione anche nelle amministrazioni giudiziarie, generando il nostro interessamento per un’analisi delle stesse nella prospettiva delle scienze economico-aziendali. La possibilità di formulare ipotesi di analisi aziendale appare, in effetti, coerente con la concezione di azienda intesa quale “ordine economico dell’istituto” (Masini, 1970). Considerando, infatti, che in qualsivoglia istituto della p.a. ha luogo, fra le altre, un’attività economica volta alla realizzazione di certe finalità, è possibile enucleare l’azienda, intesa quale “ordine strettamente economico dell’istituto; questa astrazione (però) deve essere opportunamente vincolata agli altri caratteri dell’istituto, ad esempio sociali, etici, religiosi, politici” (Masini, 1970, p. 13). In questo senso, il riconoscimento nelle amministrazioni del Sg dei caratteri aziendali e la conseguente realizzazione di analisi che ne seguono la logica, è compatibile con il perseguimento di finalità istituzionali di carattere non economico. La prospettiva di analisi economico-aziendale focalizza la dimensione economica degli istituti del Sg, senza tra l’altro, trascurare gli aspetti politici, sociali, rieducativi, assistenziali, in generale, non economici che ne caratterizzano l’attività. In questa prospettiva, i tribunali, i penitenziari, così come il ministero danno luogo, fra le altre, ad attività economiche strumentali e complementari rispetto alla realizzazione del fine complessivo che il Sg persegue, ossia la soddisfazione del “bisogno giustizia” inteso come “tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini in base al principio dell’eguaglianza di tutti dinanzi alla legge” (Mariani Marini, 2005, p. 99). L’approccio economico-aziendale allo studio del Sg, oltre che possibile, appare dunque di notevole utilità, lo stesso invero può fornire un contributo propositivo e interpretativo rilevante dei fenomeni innovativi cui il legislatore ha dato avvio per orientare l’amministrazione della giustizia all’economicità, almeno in misura pari a quanto accaduto per altri comparti della p.a. L’economicità, cui sopra si faceva riferimento, rappresenta uno dei fondamentali caratteri di aziendalità, i quali sono oggetto di un rilevante e ampio dibattito fra gli studiosi sin dalle fondamenta delle scienze aziendali. Negli anni recenti, tale dibattito è giunto a individuare, con una visione di sintesi, nella coordinazione sistemica, nella durabilità e nella autonomia i requisiti comuni della fenomenologia aziendale. (7) Nell’ambito di questo lavoro, diviene rilevante provare a contestualizzare il dibattito rispetto alla realtà considerata, cercando di chiarire le conseguenze sui caratteri di aziendalità del processo di modernizzazione in atto. Nella tabella 1 sono indicati alcuni dei provvedimenti che hanno interessato il settore nella dimensione considerata. 7 Cfr. Viganò (2000). 433 Az.Pubb 3.09.indd 433 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia Tabella – 1 Alcune riforme legislative nel settore della giustizia D.lgs. 286/1999 D.lgs. 300/1999 d.P.R. 55/2001 D.lgs. 240/2006 prevede l’introduzione nella p.a. di strumenti di tipo manageriale adeguati a verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa (controllo strategico, gestionale, amministrativo-contabile e valutazione della dirigenza) crea le premesse per una sistematizzazione strutturale ed una riorganizzazione delle attività e dei compiti del Ministero della giustizia stabilisce che il Ministero della giustizia si articoli in dipartimenti costituiti per assicurare l’esercizio organico ed integrato delle funzioni provvede all’individuazione delle competenze dei magistrati capo e dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari, nonché al decentramento su base regionale di alcune competenze del Ministero (istituzione di direzioni regionali e interregionali) Come è evidente, l’azione di riforma ha agito su diverse “leve” (Meneguzzo, 1997) del processo di “aziendalizzazione” delle strutture giudiziarie, sperimentando nelle stesse: • un maggiore decentramento dei poteri e delle responsabilità ministeriali di definizione delle politiche e dell’amministrazione della giustizia; • un aumento del grado di autonomia e responsabilizzazione dei dirigenti amministrativi delle varie istituzioni; • l’orientamento all’economicità e il contestuale avvio di logiche gestionali innovative; • strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi e dei risultati dell’attività svolta. Il complessivo intervento di rinnovamento del Sg può essere collocato, a ben vedere, nell’ambito di quel processo di ridimensionamento e trasformazione in senso aziendale che ha coinvolto, negli ultimi anni, diverse burocrazie pubbliche, trasformandole in organizzazioni decentrate, caratterizzate da maggiore autonomia gestionale e operativa, orientamento all’utente e all’economicità. La figura 1 fornisce una rappresentazione sintetica della nuova configurazione del Sg. (8) 8 La rappresentazione non include il CSM, non essendo tale istituzione oggetto del presente studio, e si limita ad esplicitare i “collegamenti funzionali” fra il ministero e le amministrazioni periferiche. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 434 434 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia Figura 1 – La nuova configurazione del sistema giudiziario Al fine di garantire l’orientamento all’economicità delle istituzioni coinvolte nel Sg, la composizione a sistema tra le decisioni assunte dagli organi di governo e dal management, tra le operazioni di gestione, tra il sistema delle decisioni e quello delle operazioni, tra le risorse impiegate, tra le forze interne e dell’ambiente, costituisce una prima fondamentale condizione. La coordinazione sistemica è infatti fonte dell’equilibrio economico, della durabilità e, quindi, della capacita di operare in condizioni d’autonomia decisionale e finanziaria. (9) Un penitenziario come un tribunale, un dipartimento ministeriale come l’intero ministero, sono chiamati dunque a realizzare le proprie finalità ispirando la loro azione all’economicità, a tal fine diviene necessario comporre a sistema beni, persone, fenomeni e decisioni coinvolte nello svolgimento delle attività istituzionali. Per garantire l’esecuzione della pena e la riabilitazione dei colpevoli, un penitenziario sviluppa relazioni reciproche di scambio di servizi ad alto valore sociale con una pluralità di organismi pubblici e privati (Della Porta, 2006). Sistemi di relazioni analoghi sono generati anche dai tribunali nell’esercizio della funzione giudicante e requirente. I rapporti suddetti si sviluppano, tuttavia, in un contesto di autonomia relativa, nel senso che l’orientamento all’economicità e quindi la ricerca dell’equilibrio economico si sviluppa in un campo d’azione limitato (Farneti, 1994). Un 9 L’autonomia finanziaria può essere intesa in senso non assoluto, ossia come capacità dell’istituto di realizzare le proprie finalità senza l’esigenza imperativa di copertura perdurante da parte del vertice ministeriale. Cfr. Masini, (1970). 435 Az.Pubb 3.09.indd 435 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia istituto di pena, un tribunale, non può allo stato attuale esercitare liberamente la propria potestà decisionale in merito all’assetto organizzativo, in merito alla scelta delle aziende presso cui approvvigionarsi, così come non potrà selezionare autonomamente il personale, dovendo uniformarsi, invece, alle prescrizioni normative. Le considerazioni svolte consentono di dedurre dunque che, probabilmente, il grado di autonomia decisionale negli istituti del Sg è ancora modesto perché si possano conseguire condizioni di equilibrio economico, attraverso l’orientamento dell’azione all’economicità. Quanto all’equilibrio economico, è evidente che nelle aziende di erogazione del settore pubblico lo stesso debba intendersi come capacità di generare utilità in misura almeno pari alla ricchezza sacrificata nelle combinazioni produttive, (10) soddisfacendo adeguatamente nel tempo le istanze di tutti i portatori di interesse (equilibrio economico propriamente detto). Come sottolineato dalla dottrina, infatti, in queste realtà, l’equilibrio economico non può essere inteso semplicemente come capacità di generare afflussi di risorse superiori al deflusso delle stesse (equilibrio minimo) (Farneti, 2002). (11) La concezione ampia di equilibrio economico cui si fa riferimento sembra “racchiudere” in sé un altro principio guida dell’amministrazione di risorse pubbliche, ossia l’equità nell’allocazione delle stesse e, quindi, nell’erogazione dei servizi di interesse collettivo. (12) In tal senso, “l’economicità contiene al proprio interno la socialità, rappresentandone un’estensione logica, nell’ottica del soddisfacimento degli interessi della pluralità di stakeholder che guardano, con diverse attese, all’azienda” (Landriani, 2006, p. 213). (13) 10 Il riferimento al concetto di utilità in luogo di quello di ricchezza svela importanti problematiche di tipo valutativo riferite alle performance delle amministrazioni del Sg. L’equilibrio economico, infatti, pur manifestandosi in valori monetari non si esaurisce in questi: alcune dimensioni dell’agire sfuggono al metro monetario e richiedono misuratori di natura diversa, spesso di tipo qualitativo, capaci di apprezzare l’utilità creata. 11 Come sottolinea Ferrara (1994), è necessario che l’azienda si dimostri in grado di soddisfare, in maniera continuativa, gli interessi di tutti gli stakeholder ricercando un bilanciamento fra gli stessi. In mancanza di tale capacità, può risultare infatti compromesso, nel lungo termine, l’equilibrio economico aziendale. A tal proposito si veda anche Mariniello (2000). 12 Meneguzzo (2005), riferendosi ad un’accezione nuova di public governance precisa che, nella stessa, in luogo dei tradizionali riferimenti all’efficienza e all’efficacia, si fanno avanti concetti come etica, equità, accountability. Del concetto di equità può essere immediatamente percepita l’ambiguità, in dipendenza del suo stretto collegamento con profili diversi, che sono morali, etici, filosofici, sociologici e che precedono e accompagnano il suo riconoscimento quale categoria rilevante negli studi di matrice economico-aziendale. Ne deriva l’idoneità dell’indagine sulla stessa ad essere influenzata dall’ideologia dell’interprete e dalla sua disciplina di riferimento. Da ciò discende che ogni tentativo di definizione risulta caratterizzato necessariamente da incertezza e varietà. In questo lavoro l’equità è intesa secondo un’accezione ampia, ossia come condizione di allocazione delle risorse e corrispondente erogazione di servizi che garantiscano opportune condizioni d’accesso e trattamento a tutta la collettività, soddisfacendo in modo generale i bisogni. Riprendendo una definizione di Aristotele (riferita all’equità del giudizio, ma estremamente utile anche al nostro caso), equità è sinonimo di giustizia, in altre parole l’equità risulta caratterizzata dalla copresenza di uguaglianza e singolarità, è proprio quest’ultima che consente all’azione della p.a. di raggiungere quel vertice di giustizia che non è nella generalità, ma come diceva appunto Aristotele nell’equità che adatta l’universalità ai vari casi. 13 Deidda Gagliardo (2002, pp. 18 ss.) in riferimento allo scopo istituzionale delle p.a., rappresentato dal soddisfacimento dei bisogni dei diversi portatori di interessi, fa riferimento alla Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 436 436 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia Una concezione di equilibrio quale quella considerata agevola il superamento del tipico trade-off tra equità sociale ed efficienza economica che presidia le scelte pubbliche. In questi termini l’equità delle amministrazioni del Sg si traduce nella capacità delle stesse di generare una rete di servizi di qualità su tutto il territorio nazionale capace di annullare, o almeno ridurre, le “posizioni di svantaggio socio-economico” presenti nella società, attivando un recupero e una promozione delle classi svantaggiate, quindi, migliori condizioni di eguaglianza, garanzia e tutela democratica degli stakeholder. Quest’approccio precisa meglio il ruolo della socialità nell’ambito dell’equilibrio economico, chiarendo che la stessa riguarda le modalità di redistribuzione, in chiave perequativa, del valore prodotto dalle istituzioni giudiziarie. Va precisato però che, in tutte quelle situazioni, invero non rare nella realtà della p.a. italiana, in cui un orientamento miope alla socialità impedisce l’autonoma copertura dei costi, si determinano conseguenze negative per l’equilibrio economico. In tali condizioni diviene difficile garantire servizi efficienti ed efficaci, per cui la finalità sociale risulterà compromettere la stessa funzionalità aziendale e le possibilità di sopravvivenza autonoma dell’istituto, danneggiando a quel punto, di fatto, proprio quelle categorie più deboli cui erano rivolte le sue azioni. Dalle considerazioni svolte deriva la necessità di un orientamento alla socialità non svincolato dall’economicità intesa in senso stretto. 3. Le performance del sistema giudiziario italiano e i fattori determinanti Il processo di cambiamento del Sg, come anticipato, sembra trovare la propria origine nella rilevanza economico-sociale dei servizi giudiziari e nelle performance sistematicamente poco soddisfacenti delle istituzioni cui è affidata l’erogazione degli stessi. Quanto alle performance, ai fini del presente lavoro, può risultare utile fare qualche breve accenno, al fine di agevolare l’individuazione dei fattori determinanti delle stesse e, dunque, delle spinte endogene ed esogene all’origine del processo di cambiamento. L’analisi dei problemi di funzionalità del Sg sembra essere, in effetti, una necessità se si ha l’obiettivo non solo di tracciare la situazione esistente, bensì anche l’ambizione di offrire elementi utili per individuare possibili linee d’intervento necessarie a superare, o quanto meno correggere, le criticità che compromettono l’efficienza delle amministrazioni giudiziarie. Operare un confronto fra Sg di diversi Paesi, al fine di avere una misura delle performance delle amministrazioni coinvolte, non è cosa agevole. La disponibilità di dati varia notevolmente da un Paese all’altro, in alcuni neanche esistono statistiche ufficiali delle risorse impiegate e dei servizi socialità accanto all’economicità. Matacena (1990, p. 179), a riguardo, parla di economicità sociale raggiunta nel rispetto del vincolo dell’economicità aziendale. Ferrero (1980, pp. 108109) definisce la socialità come sollecitudine a perseguire il bene comune e afferma che la stessa è naturalmente presente nei “soggetti pubblici”. 437 Az.Pubb 3.09.indd 437 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia prodotti; inoltre, quand’anche le fonti disponibili fornissero dati completi e sufficientemente attendibili, l’utilizzazione potrebbe risultare preclusa dalle differenze esistenti in termini di organizzazione del sistema, ripartizione delle competenze e dei servizi, regole di funzionamento processuali, ecc. Pur mancando statistiche ufficiali precise e dettagliate utili per il benchmarking, comunque, che il livello di efficienza delle nostre amministrazioni della giustizia sia insoddisfacente si evince chiaramente non solo dalla crescente disaffezione degli utenti, ma anche da studi di diversa matrice che negli ultimi anni hanno avuto ad oggetto aspetti diversi, parziali, ma comunque importanti, del sistema indagato (Fabri, 1994 e 2006; Masciandaro et al., 2000; Marchesi, 2003; Zan, 2004; Bruti Liberati et al. 2005). Questi studi, nonché i recenti confronti internazionali realizzati dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CepeJ) e dalla Banca mondiale, (14) indicano che l’amministrazione giudiziaria in Italia è più inefficiente non soltanto di quella dei maggiori Paesi industrializzati, ma anche di molti di quelli di recente industrializzazione o in via di sviluppo. Solo a titolo di esempio si consideri che, adoperando come parametro di riferimento la tempestività di risoluzione dei procedimenti, (15) gli studi disponibili evidenziano che i tempi necessari per la risoluzione delle controversie nel nostro Paese sono di gran lunga superiori a quelli di molte Nazioni europee: il tempo necessario in Italia per concludere una causa di licenziamento in primo grado nel 2004 era pari a 696 giorni, quasi triplo rispetto a quello del Portogallo e della Finlandia, più che doppio rispetto a quello della Francia e quasi nove volte il tempo necessario in Spagna. Quanto alle risorse finanziarie utilizzate, c’è da rilevare che dai dati presentati nel Libro verde sulla spesa pubblica (MEF, 2007) risulta evidente come, nel confronto internazionale, la spesa del Sg in Italia non è affatto bassa. Nel 2004, per esempio, la spesa per tribunali e procure è pari a 67 euro per abitante e risulta superiore a quella del Regno Unito, della Spagna, della Svezia, dell’Irlanda, della Francia, della Finlandia e della Danimarca. Quella dell’Olanda si attesta ad un livello molto vicino a quello italiano. Più elevata risulta, invece, soltanto quella della Germania. Nel corso degli anni, inoltre, l’ammontare delle risorse finanziarie a disposizione del Sg è aumentato, mantenendosi negli stessi rapporti con quella degli altri Paesi europei. Lo stesso trend crescente si è registrato anche per le risorse umane: i magistrati in servizio sono aumentati del 15% circa. Nonostante l’incremento nella dotazione di risorse, non si sono registrati tuttavia gli auspicati recuperi di efficienza: il numero 14 Cfr. Cepej (2006, 2008); World Bank (2007, 2008); Mef (2007). 15 Il tempo medio di risoluzione dei procedimenti rappresenta solo una delle dimensioni della complessiva performance di un Sg. Si tratta di un indice di efficienza al quale andrebbero affiancati altri capaci di valutare, per esempio, l’economicità nell’impiego delle risorse, oppure indicatori di efficacia misuratori delle possibilità di accesso ai servizi giudiziari. Nel contesto statunitense, e più di recente in qualche Paese europeo, si vanno diffondendo sistemi di misurazione delle performance che fanno ampio uso di indicatore di tipo quanti-qualitativo. Un esempio è rappresentato dal CourTools statunitense. Per un approfondimento vedi Ostrom et al. (2008). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 438 438 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia dei procedimenti pendenti (backlog of cases) non è affatto diminuito, anzi il tasso di crescita è risultato in continua ascesa, così come la durata media dei processi. I dati presentati all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 mettono in evidenza una situazione preoccupante: sono quasi cinque milioni e mezzo i procedimenti civili pendenti, più di tre milioni quelli penali. Come risulta evidente, dunque, la domanda di giustizia insoddisfatta è estremamente rilevante. Ciò che è ancor più rilevante, comunque, è che il numero di procedimenti sopravvenuti ogni anno (nuova domanda di giustizia) supera quasi sistematicamente quelli esauriti nell’anno (domanda di servizi giudiziari soddisfatta), incrementando regolarmente lo stock di procedimenti pendenti. Di quanto si è brevemente scritto sopra in merito alle performance del Sg, ciò che più interessa in questa sede, è che, nel confronto internazionale, le amministrazioni giudiziarie italiane risultano disporre di un ammontare di risorse umane e finanziarie non inferiore, e talvolta superiore, a Paesi che mostrano performance migliori. Fra le cause di crisi del Sg italiano, dunque, sembra non potersi annoverare, almeno in maniera esclusiva, la carenza di risorse. Deve, invece, considerarsi con maggiore attenzione l’ipotesi che alla base delle performance deludenti vi siano determinate caratteristiche strutturali e organizzative delle amministrazioni della giustizia, le quali determinano l’impossibilità, o talvolta l’incapacità, di gestire le risorse in maniera razionale. Ciò potrebbe dipendere, per esempio, dalla scarsa integrazione presente nel sistema, la quale impedisce la necessaria comunicazione e il coordinamento inter-istituzionale (Tobin, 1997). Un ruolo importante può essere giocato dalla presenza di modelli organizzativi inadeguati, che spesso “ingessano” le strutture (Fabri, 1991; Zan, 2006); dalle logiche burocratiche che guidano il comportamento degli individui, orientandolo al rispetto delle norme e delle prassi consolidate, anche quando inefficienti, più che al conseguimento del risultato; dalla limitata autonomia gestionale, organizzativa e finanziaria di cui dispongono le singole amministrazioni, la quale impedisce talvolta l’assunzione di decisioni rivolte al conseguimento dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità. Fra le cause di cui si dice si può annoverare inoltre la prevalenza nel Sg di strumenti di controllo focalizzati su verifiche formali più che sostanziali o, ancora, la carenza di competenze di natura manageriale. (16) L’importanza di queste conoscenze diviene tanto più evidente quanto più il lavoro dei magistrati si arricchisce di incombenze amministrative e gestionali, ossia di funzioni extragiudiziali — definibili di amministrazione per la giurisdizione — che richiedono logiche di svolgimento e strumenti di gestione differenti da quelli tipici dell’amministrazione della giurisdizione che è invece la tipica attività giurisdizionale. 16 “C’è molto di più nell’amministrazione del tribunale di quanto si impari nelle facoltà di legge […]. Il management è come il diritto, una professione, ed è tanto inappropriato per un manager provare a trattare una causa quanto è per un giurista – senza il beneficio di un lungo addestramento – dirigere efficacemente un’organizzazione complessa qual è un tribunale” (Gallas, 1968, p. 334). 439 Az.Pubb 3.09.indd 439 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia Fra le determinanti delle performance si deve includere, infine, anche la dimensione, a volte troppo modesta, dei tribunali che impedisce di sfruttare eventuali economie di scala (Antonelli, Marchesi, 1999). 4. Sistemi operativi e modelli amministrativi innovativi nelle amministrazioni della giustizia: la gestione per obiettivi e il Court Management La possibilità paventata sopra che le performance non esaltanti del Sg siano correlabili, in qualche misura, a disfunzioni organizzative e gestionali presenti nelle singole amministrazioni rende particolarmente interessante l’analisi di modelli e logiche di gestione sperimentate nel contesto nazionale e in quello internazionale per fronteggiare disfunzioni analoghe. Esempi di rilievo, in questo senso, sono rappresentati dalla Gestione per Obiettivi (GpO) che da qualche anno viene utilizzata nel Ministero della giustizia italiano e dal Court Management statunitense. Quello realizzato nel ministero rappresenta un rinnovamento radicale del modello gestionale: da una logica di amministrazione e controllo di tipo giuridico-formale che focalizza esclusivamente l’esecuzione dei compiti e delle procedure si passa, progressivamente, ad una logica di tipo manageriale che focalizza il risultato, in termini sia di output che di outcome. La portata innovativa è evidente se si pensa che le amministrazioni centrali dello Stato hanno sempre avuto a disposizione sistemi di programmazione e controllo caratterizzati da un approccio prettamente burocratico. Contrariamente a quanto accadeva in passato, il nuovo modello gestionale fa largo uso delle informazioni sulle performance nei processi decisionali di definizione delle strategie, degli obiettivi e dei programmi da realizzare, nonché nei sistemi d’incentivazione del personale. Nella fase di pianificazione si provvede alla declinazione della mission istituzionale in strategie e alla successiva definizione degli obiettivi di livello strategico, i quali con cadenza annuale vengono formalizzati nella Direttiva generale sull’attività amministrativa e sulla gestione. Si tratta di obiettivi generali quali la riduzione del debito giudiziario, la valorizzazione delle risorse umane, la formazione e responsabilizzazione della dirigenza, l’orientamento ai risultati. Nella fase successiva, gli obiettivi strategici vengono declinati in obiettivi operativi misurabili e assegnabili ai diversi dipartimenti. Questi provvedono a definire i Programmi esecutivi d’azione (Pea) che descrivono il modo in cui i risultati programmati verranno perseguiti. Si tratta di programmi e interventi che riguardano gli investimenti tecnologici, la contabilità economica, il project financing, l’ottimizzazione dell’impiego delle risorse, il perfezionamento dei sistemi di controllo gestionale, ecc. Nella fase operativa i dirigenti hanno un certo margine di autonomia per garantirne la realizzazione e nella fase del controllo rispondono del grado di realizzazione dei risultati. Nonostante l’importante innovazione introdotta, i risultati ottenuti finora Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 440 440 12-01-2010 16:35:05 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia in termini di obiettivi realizzati non sono incoraggianti. Sebbene, infatti, alla fine del 2006 ogni dipartimento avesse realizzato mediamente più del 65% dei propri Pea, gli obiettivi non possono dirsi raggiunti. Lo stesso è accaduto anche nel 2005 e l’anno prima ancora. Gli obiettivi formalizzati nelle direttive ministeriali cioè sono stati realizzati solo parzialmente. Questo risultato, probabilmente, è conseguenza del forte radicamento della cultura burocratica e della renitenza al cambiamento tipica delle amministrazioni dello Stato — la quale impedisce di interiorizzare le nuove logiche di gestione — ma anche dello scarso legame di causalità che sembra legare i processi in cui devono impegnarsi i soggetti (Pea) e i risultati che si vogliono ottenere. Nel definire i programmi attraverso cui si persegue il risultato, “il management deve assicurarsi che esista un rapporto causa-effetto tra i processi e i risultati” (Anthony, Young, 2002, p. 446). Le considerazioni svolte consentono di dedurre che, allo stato attuale, la GpO può considerarsi uno strumento gestionale le cui logiche devono considerarsi acquisite solo parzialmente nell’amministrazione centrale del Sg. Probabilmente l’innovazione è destinata a produrre i suoi effetti in un arco temporale medio-lungo, parallelamente alla diffusione di una cultura nuova che, coinvolgendo tutti gli attori del Sg, consenta un impianto efficace dei principi, delle logiche e degli schemi di ragionamento propri dell’economia aziendale. Un significativo passo avanti potrebbe essere compiuto, inoltre, legando meglio i Pea con gli obiettivi strategici e trasferendo progressivamente tali logiche, nonché altre tecniche e strumenti manageriali, dal centro verso le amministrazioni periferiche (tribunali), poiché anche a questo livello si avverte, sempre più intensa, la necessità di modelli e strumenti operativi capaci di consentire un orientamento più efficace ai risultati e all’efficienza. Nella direzione delineata di diffusione delle logiche manageriali verso la “periferia” del Sg si è mosso il legislatore statunitense. Negli Usa, infatti, il dibattito sulla necessità di recuperare margini di efficienza nell’amministrazione della giustizia tende a focalizzarsi ormai da anni e con intensità crescente sul profilo organizzativo e manageriale dei tribunali. Questo dibattito ha avuto origine negli anni settanta, quando diversi studiosi (Oglesby, Gallas, 1971; Friesen, 1971) cominciarono a mettere in evidenza le peculiarità e la complessità del sistema dei tribunali nell’ambito delle istituzioni preposte all’erogazione del “servizio giustizia”, e auspicarono l’implementazione nelle stesse di modelli di management che potessero garantirne l’efficacia e l’efficienza (Court Management). Quello che gli studiosi proponevano rappresenta un approccio gestionale nuovo che, facendo leva sulla professionalizzazione degli attori e sull’attribuzione alle singole istituzioni di maggiori margini di autonomia gestionale e organizzativa, pone in primo piano le esigenze di recupero dell’economicità, di gestione razionale delle risorse, nonché di orientamento ai risultati. Nel contesto di cui si dice, l’innovazione del Court Management è stata messa in opera già sul finire degli anni Sessanta, generando quasi da subito 441 Az.Pubb 3.09.indd 441 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:06 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia importanti miglioramenti nelle performance delle singole istituzioni. Un ruolo di rilievo in questo processo di recupero dell’efficienza deve essere riconosciuto probabilmente all’introduzione della figura nuova del Court Manager (Oglesby, Gallas, 1971). L’ingresso di abilità e conoscenze manageriali accanto a quelle tipiche di natura giuridica, infatti, deve riconoscersi come forte elemento di stimolo di tutto il processo di riforma realizzatosi sino ad oggi (Tobin, 1997; Baar, 1999; Steelman, 2000). Dalle soluzioni adottate nei diversi Stati americani emergono concezioni diverse del ruolo del Court Manager, il che impedisce di tracciare un profilo unitario della figura. Con una visione di sintesi, comunque, è possibile individuare tre diverse concezioni: quella del giudice-amministratore fondata sull’idea che i giudici possono essere amministrati soltanto da giudici. In tal caso il giudice assume a sé, come unico vertice gerarchico, le funzioni amministrative e quelle giurisdizionali; la concezione del Court Manager esterno, specialista in management, secondo la quale il presidente del tribunale viene sgravato dei compiti amministrativi e si limita a garantire la sorveglianza generale, si crea in questo caso una duplice linea gerarchica nell’ambito del tribunale; la concezione del giudice responsabile che assume un ruolo attivo nella gestione amministrativa, pur affidando una funzione di supporto ad un Court Administrator. Si tratta di un giurista con formazione manageriale che viene collocato in posizione di staff al giudice. I modelli elaborati dalla dottrina e dalla pratica statunitense hanno ispirato discussioni dottrinali anche in altri Paesi. In Germania, per esempio, è emerso che la concezione americana del Court Manager non è adatta al contesto tedesco. Si ritiene invece necessario rafforzare le competenze di gestione e d’organizzazione in seno ai tribunali e si auspica che la professionalizzazione dei magistrati, dei giuristi e del personale amministrativo avvenga quanto prima (Groother, 1999, pp. 458-462). Anche in Inghilterra e in altri Paesi sono stati avviati processi di riforma per l’introduzione di soluzioni innovative ispirate al Court & Case Management. In Olanda per esempio si è provveduto alla creazione di una unità organizzativa nuova, il comitato direttivo della corte, di cui fanno parte il dirigente amministrativo, il giudice-manager della sezione e altri soggetti. Con la creazione di tale unità e una serie di altre innovazioni viene incrementata l’autonomia finanziaria e gestionale dei tribunali, vengono individuate specifiche responsabilità e definiti criteri e sistemi di misura delle performance. Quanto al nostro Paese, diverse analisi hanno evidenziato l’insufficiente livello di efficacia dei tribunali, mettendo in luce, “una carenza generalizzata di management e di utilizzo sistematico di metodologie di gestione” (Zan, 2004, p. 184). In virtù di ciò, sulla scia di quanto accaduto all’estero, stampa, politica e studiosi si interrogano sempre più spesso sulle possibili soluzioni da adottare per un recupero di efficienza: si è cominciato così anche in Italia a discutere di Court Management. Il d.lgs. 240/2006, infatti, proprio al fine di migliorare l’efficienza ha provato a realizzare nel tribunale una sorta di lean organization fondata sul principio dell’identificazione e Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 442 442 12-01-2010 16:35:06 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia separazione di ruoli amministrativi (manageriali) e professionali (giurisdizionali). In pratica, viene operata una distinzione tra l’amministrazione della giurisdizione e l’amministrazione per la giurisdizione. In merito alla prima, vengono precisate le funzioni del magistrato capo del tribunale a cui viene riconosciuta la titolarità e la rappresentanza dell’ufficio, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura. In merito alla seconda, viene riconosciuto il ruolo del dirigente amministrativo, in particolare a questi viene attribuita maggiore autonomia e responsabilità nella gestione del personale, delle risorse finanziarie e di quelle strumentali attribuite all’ufficio. Egli è l’unico soggetto competente ad adottare provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, anche se questa gestione, così come quella delle risorse umane, non è libera nel fine, il dirigente deve infatti tenere conto degli indirizzi espressi dall’amministrazione centrale, nonché del programma annuale redatto in accordo col magistrato capo. Lo stesso è personalmente responsabile delle spese ordinate e della regolarità dei pagamenti disposti e ha poi l’onere di trasmettere ogni sei mesi al direttore regionale o interregionale competente l’elenco delle spese sostenute nel semestre, per il controllo sulla regolare attuazione dei programmi. Il rafforzamento del ruolo della dirigenza amministrativa dei tribunali, seppur estremamente rilevante, potrebbe non essere sufficiente per il raggiungimento degli obiettivi che hanno ispirato la riforma. Nelle organizzazioni con nucleo operativo professionale, infatti, spesso, a causa di problemi legati all’impostazione culturale, diviene particolarmente complessa l’introduzione di principi e tecniche manageriali, nonostante le evidenze empiriche le rendano necessarie. “Le priorità dei professionisti di solito sono considerate più importanti dei problemi di carattere finanziario o amministrativo, le organizzazioni professionali sembrano aver bisogno di metodi e tecniche di gestione innovative: la ricerca scientifica spreca denaro, il sistema giudiziario è caratterizzato da una storica carenza di management, [...], ma rispondere a questa esigenza è più facile a dirsi che a farsi” (Kickert, 2001, pp. 135-150). Il legislatore italiano, in effetti, ha incontrato varie difficoltà nel creare due linee gerarchiche separate all’interno dei tribunali e nell’ispirarsi alla soluzione del Court Management. Si tratta di ostacoli che trovano la loro origine prevalentemente nel timore dei magistrati di vedere compromessa la propria indipendenza, che è indipendenza nei confronti delle parti in conflitto, degli altri organi del settore pubblico, delle influenze e dei rapporti di potere di qualsiasi tipo, oltre che nei confronti della classe dirigenziale non togata. Fondandosi, infatti, sul principio dell’indipendenza del potere giudiziario (artt. 104 e 101 della Costituzione) la giustizia rivendica uno statuto particolare rispetto alle altre p.a. Da ciò sembra discendere che ogni possibile revisione organizzativa e gestionale dei tribunali, per mostrarsi efficace, deve necessariamente, agire tenendo 443 Az.Pubb 3.09.indd 443 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:06 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia in debita considerazione, oltre che tutte le peculiarità del Sg, gli effetti prodotti su tale indipendenza. (17) 5. Conclusioni Il processo innovativo che ha coinvolto gli istituti del Sg italiano, ispirandosi ad una valorizzazione dell’aspetto aziendale degli stessi, ad oggi, può dirsi solo parzialmente avviato. L’azione di riforma ha agito soltanto su alcune “leve” del processo di “aziendalizzazione” della strutture. Come delineato sinteticamente nelle pagine precedenti, quelli realizzati devono essere considerati comunque interventi importanti nella direzione considerata, nonostante sia mancata, finora, l’azione efficace su una delle “leve” principali del processo suddetto, ossia l’attribuzione di sufficienti ambiti di autonomia alle istituzioni coinvolte. Il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico di autonomia patrimoniale, economico-finanziaria, oltre che gestionale, è da considerarsi, infatti, presupposto indispensabile perché possano realizzarsi gli auspicati recuperi di efficienza ed economicità e possa parlarsi di autonomia in senso economico-aziendale. L’assenza di autonomia — in tutte quelle realtà ove i livelli di servizio erogato sono imposti dall’esterno, come le modalità organizzative e le scelte gestionali — può far venir meno, a ben vedere, il connotato stesso di azienda (Zangrandi, 2003). Da ciò potrebbe dipendere quella scarsa applicazione della teoria aziendale all’amministrazione della giustizia, ovvero l’interesse ancora moderato che la nostra comunità scientifica dedica al tema, cui si faceva accenno nelle prime pagine del lavoro. I temi della responsabilizzazione e dell’orientamento all’economicità, che hanno ispirato e guidato il processo di “modernizzazione”, richiamano immediatamente quello dell’autonomia. Alla richiesta di comportamenti virtuosi e responsabili da parte delle strutture del Sg si contrappone immediatamente una connessa esigenza, per le stesse, di autonomia, almeno amministrativa e gestionale. La mancanza, o comunque un grado insufficiente della stessa, impedisce le valutazioni di responsabilità. Non si può essere ritenuti responsabili di un insuccesso se nella gestione di un’attività non si ha la possibilità di modificare il percorso dell’azione così come potrebbero suggerire il modificarsi delle condizioni esterne e interne (Mele, 1997). Autonomia e responsabilità rappresentano dunque un binomio inscindibile, nel senso che non c’è autonomia che conduca all’economicità senza responsabilizzazione, così come non c’è possibilità di attribuire responsabilità per comportamenti anti-economici se non si concede un sufficiente margine di autonomia nel disegno e nella realizzazione dell’azione. A ben vedere però affinché 17 All’estero, in quelle realtà che da tempo hanno sperimentato soluzioni manageriali per la gestione dei tribunali, il problema viene risolto affermando la necessaria compresenza di indipendenza e accountability, nell’ottica della salvaguardia dell’interesse collettivo. Cfr. Bathelder (1998). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 444 444 12-01-2010 16:35:06 Saggi Performance nell’amministrazione della giustizia autonomia e responsabilità agevolino gli auspicati recuperi di efficienza, risulta necessaria un’adeguata attività di controllo per apprezzare l’operato di ogni centro autonomo di responsabilità, i risultati conseguiti e le risorse utilizzate. Senza una funzione di controllo, autonomia e responsabilizzazione rimarrebbero probabilmente incapaci di migliorare le performance nel Sg come in ogni altro comparto pubblico. L’ipotesi di base dunque è che le istituzioni giudiziarie, al fine di essere indirizzate all’economicità e alla durabilità, dovrebbero essere gestite in condizioni di autonomia e responsabilità, impiegando adeguati strumenti manageriali a supporto dei processi decisionali e di controllo. Un suggerimento di proseguire in questa direzione sembra venire dalle esperienze di innovazione in senso manageriale sperimentate in contesti quale quello statunitense, ove l’attribuzione alle istituzioni giudiziarie di maggiori margini di discrezionalità, la responsabilizzazione di soggetti e strutture e l’utilizzo di strumenti di programmazione e controllo di tipo manageriale sembrano essere all’origine del recupero di maggiori margini di economicità ed efficienza. Le considerazioni avanzate e le esperienze analizzate inducono, dunque, a riflettere in merito al grado di autonomia di cui dispongono le istituzioni del nostro Sg. Un grado modesto della stessa può fare da ostacolo alla durabilità, all’economicità e all’equilibrio economico dell’azienda. L’autonomia può intendersi, infatti, come adeguato grado di libertà degli organi di governo aziendali nell’assunzione di decisioni “economicamente convenienti” e quindi rivolte al conseguimento delle altre condizioni di aziendalità (Ferraris Franceschi, 2005). Lo studio condotto ha realizzato un’analisi conoscitiva del Sg italiano, ponendolo sotto osservazione con ottica aziendale e mettendo in evidenza best practices eventualmente replicabili. L’analisi si è presentata, oltre che complessa, quanto mai ampia e variegata, pertanto si rimanda a necessari approfondimenti successivi. Le prospettive di ricerca che il presente studio dischiude presentano difatti particolare interesse: il rilievo economicosociale dei servizi giudiziari, da un lato, e le inefficienze di cui il sistema di erogazione soffre, dall’altro, creano lo spazio per un percorso conoscitivo degno di approfondimento e studio analogo a quello che è stato condotto per altri comparti della p.a. 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Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 448 448 12-01-2010 16:35:06 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Programmazione delle politiche pubbliche e bilancio dello Stato: esperienze e metodologie di valutazione Cinzia Raimondi Dottore di ricerca in Economia e gestione delle aziende pubbliche, presso l’Università Tor Vergata, Roma – Consigliere del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica S ommario : 1. Breve introduzione. 2. La programmazione delle politiche pubbliche nazionali e il dialogo con le istituzioni comunitarie. 3. Gli effetti del processo di integrazione europea sul ciclo evolutivo della decisione nazionale di bilancio. 4. La definizione delle politiche pubbliche nel bilancio dello Stato: l’individuazione delle missioni e dei programmi. 5. Dalla programmazione alla valutazione delle politiche pubbliche: l’individuazione degli indicatori di performance e il rafforzamento della capacità di giudizio. Il processo di integrazione europea ha determinato una serie di effetti diretti sulla programmazione delle politiche pubbliche nazionali, in particolare su quella di bilancio. In Italia, il “ciclo evolutivo” del bilancio si è arricchito di nuovi documenti di programmazione direttamente collegati agli orientamenti comunitari in materia di politiche economiche e occupazionali e di politiche di coesione territoriale. Anche la struttura del bilancio di previsione ha subito degli adattamenti, visualizzando ora in modo più chiaro le risorse assegnate per le “grandi priorità”, le missioni dello Stato, le politiche pubbliche. Questo cambiamento impone una riflessione sulla necessità di adottare nuove metodologie e ulteriori strumenti di analisi per valutare gli effetti di ogni singola politica nel suo complesso, non solo dei singoli programmi che ne danno attuazione. Tale riflessione impegna, prima di tutto, il Governo e il Parlamento. The process of European integration has led to a series of direct effects on the programming national public policies, in particular on the budget. In Italy, the cycle evolutionary of the budget is enriched with new programming documents directly related to the Community guidelines in the field of economic and employment policies and policies of territorial cohesion. Also the structure of the budget has suffered of adjustments, displaying now more clearly the resources allocated for the major priorities, the missions of the State, public policies. This change requires a reflection on the need to adopt new methodologies and further analysis tools to assess the effects of each single policy in a whole, not only of individual programs that they are implementing. This reflection undertakes, first of all, the Government and Parliament. Parole chiave: ciclo di bilancio – missioni – rendicontazione – valutazione Key words: budget cycle – missions – reporting – evaluation 449 Az.Pubb 3.09.indd 449 Azienda Pubblica 3.2009 14-01-2010 16:55:27 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi 1. Breve introduzione Il processo di integrazione comunitaria determina effetti diretti sulle politiche pubbliche nazionali, condizionandone sia la fase di programmazione che quella di successiva valutazione degli effetti. In Italia, con particolare riferimento alla decisione nazionale di bilancio, è possibile registrare due distinti fenomeni. In primo luogo, il tradizionale “ciclo evolutivo” del bilancio dello Stato si è arricchito di documenti programmatici strettamente correlati agli orientamenti comunitari in materia di equilibri macroeconomici e Patto di stabilità e crescita, politica economica e occupazionale, politica di coesione territoriale. In secondo luogo, la struttura stessa del bilancio di previsione si sta progressivamente orientando, grazie ad alcune più recenti riforme, verso una maggiore rappresentatività delle politiche pubbliche e una più attenta destinazione “funzionale” della spesa. Tali cambiamenti determinano una serie di conseguenze sul piano pratico. La prima è data dalla necessità di rafforzare il collegamento tra la fase di programmazione economica e quella di pianificazione strategica dei Ministeri, attraverso un maggiore raccordo tra stanziamenti di bilancio/ programmi/assetti organizzativi. Tale raccordo presuppone l’esistenza di efficaci sistemi di budgeting performance oriented capaci di verificare se e in che modo i responsabili delle strutture amministrative statali realizzino gli obiettivi prefissati in sede di programmazione. La seconda conseguenza è rappresentata dalla necessità di compiere un passo ulteriore, sperimentando tecniche di valutazione non più solo dei singoli programmi ma delle stesse politiche di cui sono parte integrante. Si tratta di una valutazione che opera a livello “macro”, si inserisce nel c.d. policy cycle e presuppone l’esistenza di una relazione di accountability istituzionale tra Governo e Parlamento. Tale relazione, se correttamente intesa, ha la capacità di affidare al Parlamento una innovativa ed essenziale funzione di oversighting. Obiettivo del presente studio è quello di analizzare le innovazioni introdotte nel “ciclo evolutivo” del bilancio di previsione e successivamente verificare se sussistano i presupposti per potere avviare una riflessione sulla implementazione di un modello di valutazione delle politiche pubbliche. A questo fine, il lavoro si articola in più paragrafi: il § 2 è dedicato ad una breve analisi di contesto sul ciclo di programmazione delle politiche pubbliche; il § 3 analizza le conseguenze che il processo di integrazione europea ha determinato sulla decisione nazionale di bilancio ampliando il numero e la portata dei documenti di programmazione economico-finanziaria; il § 4 approfondisce gli aspetti legati alla nuova struttura del bilancio, maggiormente orientata alle linee di policy e sempre più caratterizzata da una scissione tra il bilancio per la decisione parlamentare e il bilancio per la Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 450 450 12-01-2010 16:35:06 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche gestione amministrativa; infine, il § 5 individua alcuni presupposti da cui partire per sviluppare e implementare un vero e proprio modello di valutazione delle politiche pubbliche. 2. La programmazione delle politiche pubbliche nazionali e il dialogo con le istituzioni comunitarie Una politica pubblica può essere definita come “un insieme di decisioni interrelate, prese da un attore politico o da un gruppo di attori, sulla selezione di obiettivi e di mezzi atti al loro raggiungimento all’interno di una situazione specifica su cui gli attori hanno, in linea di principio, il potere di prendere tali decisioni” (Jenkins, 1978). Le politiche pubbliche sono dunque il risultato delle scelte dei Governi sia rispetto alle priorità fissate in un generale programma di azione, sia rispetto agli effetti da esse attesi. Questa attività di policy making diviene oggetto di specifica e accurata misurazione e valutazione. Nell’attività di selezione delle priorità di azione rispetto alle politiche pubbliche, i Governi percorrono un processo decisionale che vede alternarsi una sequenza di fasi alle quali partecipano più attori e che vanno dalla definizione dell’agenda, alla formulazione della politica, alla scelta delle strategie, alla attuazione degli obiettivi, alla valutazione degli effetti prodotti. Tale processo, meglio noto come policy cycle, è tendenzialmente orientato alla soluzione di problemi (problem solving) che i Governi selezionano all’interno della c.d. agenda setting (Jenkins, 1978; Dye, 1972, p. 2; Howlett, Ramesh, 2003; Jones, 1984, p. 77; Cobb, Elder, 1972, p. 85; Lippi, 2008, p. 15). Nel passaggio dall’una all’altra fase del policy cycle, è decisivo il ruolo dei diversi attori che vi prendono parte, gli interessi da essi perseguiti e l’impatto delle loro idee sulle azioni. La selezione degli interventi e la definizione degli obiettivi da parte dei Governi, coinvolge numerosi attori che, tendenzialmente portatori di interessi simili o divergenti, interagiscono reciprocamente per il raggiungimento di risultati ottimali nei diversi ambiti di policy. In Italia, limitando l’analisi ai soli attori istituzionali che partecipano alla costruzione delle politiche pubbliche, in una forma di governo parlamentare come quella delineata dalla nostra Costituzione, i soggetti che tradizionalmente esercitano il potere di direzione politica, sono il Parlamento e il Governo, collegati tra loro dal rapporto di fiducia (art. 94 Cost.). (1) Dal momento della votazione della fiducia da parte di ciascuna Camera (art. 94, comma 2 Cost.), infatti, il programma di Governo (2) si trasforma in indirizzo politico e il Parlamento diventa partecipe del potere di direzione 1 Su questi aspetti di carattere istituzionale si veda, in particolare, Barbera, Fusaro (2002, pp. 173 ss.) e Martines et al. (2005). 2 Secondo l’art. 3, comma 2, lett. a) della legge 23 agosto 1988, n. 400, le dichiarazioni relative all’indirizzo politico, agli impegni programmatici e alle questioni su cui il Governo chiede la fiducia, sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. 451 Az.Pubb 3.09.indd 451 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:06 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi politica, manifestando non tanto un “assenso ma un consenso” (Martines et al., 2005, p. 10). Tale rapporto si conferma e si consolida anche nelle fasi successive di concreta attuazione del programma, attraverso l’approvazione di leggi di indirizzo politico o atti del Governo volti alla implementazione del programma stesso. In questa attività, il Governo promuove, elabora, mette a punto e, in parte direttamente realizza le politiche pubbliche e cioè i programmi di azione che ha selezionato in base alle proprie scelte e per determinate finalità e per il quale ha ricevuto la fiducia iniziale del Parlamento. Il suo ruolo si esprime attraverso la progettazione delle linee generali, l’individuazione degli strumenti di intervento, l’individuazione dei soggetti cui affidare l’ulteriore definizione dei progetti e/o la realizzazione di essi, l’analisi di fattibilità che misuri il rapporto tra risorse organizzative e risorse finanziarie disponibili, la predisposizione delle basi giuridiche per l’attuazione del programma da realizzare, la disponibilità delle risorse, l’assistenza di altri soggetti pubblici e/o privati per la realizzazione del programma, il controllo della gestione dei progetti, l’analisi finale dei risultati ottenuti e il riavvio di un nuovo ciclo progettuale. Nell’attuale scenario istituzionale, caratterizzato dalla appartenenza dell’Italia all’Unione europea e dal progressivo riconoscimento di maggiori spazi di autonomia ai livelli istituzionali sub statali, si amplia il numero dei soggetti istituzionali che concorrono alla definizione delle politiche pubbliche nazionali o che comunque ne influenzano la programmazione. Il tradizionale circuito decisionale del policy maker si “allarga”, creando spazi nuovi di dialogo e confronto tra soggetti appartenenti a livelli istituzionali diversi: “verso il basso”, con le regioni, “verso l’alto”, con le istituzioni europee. Con particolare riferimento agli equilibri macroeconomici, per esempio, il legislatore europeo (e le politiche da esso definite) ha previsto, nel Trattato di Maastricht e nella disciplina sul Patto di stabilità e crescita così come riformata nel 2005, vincoli stringenti sui livelli del debito pubblico e dell’indebitamento netto degli Stati membri, agendo su due livelli: sui governi nazionali, sui quali ricade l’onere di comunicare alla Commissione europea l’andamento dei principali saldi di bilancio; ma anche sugli altri governi territoriali presenti in ciascuno Stato membro, corresponsabili, insieme ai governi centrali, del rispetto dei parametri macroeconomici fissati dall’Unione europea. La politica nazionale di bilancio a salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica, così come fissati dall’Unione europea, è espressione della maggiore “interconnessione” tra livelli di governo appartenenti a ordinamenti diversi e rappresenta un interessante caso di studio. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 452 452 12-01-2010 16:35:07 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche 3. Gli effetti del processo di integrazione europea sul ciclo evolutivo della decisione nazionale di bilancio La decisione di bilancio, così come definita dall’art. 81 e dalla legislazione ordinaria di attuazione, (3) si è nel tempo arricchita di tutta una serie di atti legislativi (prima la legge pluriennale di bilancio, poi la legge finanziaria, e infine, i c.d. collegati) e documenti programmatici attraverso i quali si sviluppa il c.d. ciclo evolutivo del bilancio, così come illustrato nella tabella 1 (Monorchio, Mottura, 2004, p. 117 e ss.). Tale ciclo evolutivo prende avvio, nel mese di marzo, con la presentazione in Parlamento da parte del Governo della Relazione sulla situazione economica del Paese e con la contestuale circolare della Ragioneria generale dello Stato con cui sono individuati, per tutti i Ministeri, i principi sui quali impostare le previsioni di bilancio. Quindi si sviluppa attraverso una fase di programmazione di medio termine che culmina, nel mese di luglio, con la presentazione alle Camere, e la relativa approvazione, del Documento di programmazione economica e finanziaria; prosegue, nel mese di settembre, con la fase di adattamento delle grandezze finanziarie agli obiettivi programmatici secondo quanto stabilito nella Relazione previsionale e programmatica e nei disegni di legge di bilancio e finanziaria; giunge a compimento con l’autorizzazione alla gestione finanziaria da parte del Parlamento che approva i disegni di legge entro il 31 dicembre; prosegue ancora con l’adeguamento alle previsioni iniziali e la presentazione e l’approvazione della legge di assestamento; si conclude con la valutazione ex post degli obiettivi raggiunti e conseguiti durante la gestione e l’approvazione della legge sul Rendiconto generale dello Stato. Tra l’una e l’altra fase del ciclo, tuttavia, proprio in conseguenza del processo di integrazione comunitaria, si inseriscono documenti che il Governo è tenuto a presentare al Parlamento prima e alle istituzioni comunitarie poi, al fine di “render conto” dello stato e dell’andamento di alcune politiche pubbliche nazionali fortemente condizionate dalle decisioni comunitarie e, al tempo stesso, correlate alle decisioni di finanza pubblica. Tra queste, in particolare, la politica di bilancio e il rispetto del Patto di stabilità e crescita, la politica economica e occupazionale e il rilancio della Strategia di Lisbona, la politica di coesione territoriale e l’attuazione degli Orientamenti strategici della Comunità per la coesione. Il fitto intreccio tra politiche pubbliche nazionali e comunitarie trova ulteriore conferma nella iniziativa di riforma dei principali documenti di bilancio contenuta nel progetto di legge di iniziativa parlamentare, attualmente in discussione alla Camera dei deputati. (4) Tale riforma, infatti, oltre ad introdurre meccanismi di monitoraggio 3 Sugli aspetti legati all’art. 81 Cost. e alla sua attuazione si veda Aa.Vv. (1993); Barettoni Arleri (a cura di) (1989); Onida, (1969); Salvemini (a cura di), (2003); Lupo (2007). 4 A.C. 2555, legge di contabilità e finanza pubblica”, XVI legislatura. 453 Az.Pubb 3.09.indd 453 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:07 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi parlamentare della spesa pubblica e a rafforzarne gli strumenti di controllo e di valutazione, interviene sul ciclo e sui tempi di presentazione dei principali documenti di programmazione economico-finanziaria, rendendoli maggiormente coerenti con le decisioni comunitarie. A questo fine, oltre a fissare in un triennio il periodo minimo di programmazione, sostituisce all’attuale Relazione sulla situazione economica del Paese la Relazione sull’economia e la finanza pubblica, al Documento di programmazione economico-finanziaria la Decisione di finanza pubblica e alla legge finanziaria la legge di stabilità, che si limita alla correzione dei conti pubblici. Accanto alla legge di stabilità, la legge di bilancio diviene lo strumento di allocazione e gestione delle risorse secondo una rinnovata impostazione maggiormente orientata alle politiche pubbliche. Politica di bilancio e Patto di stabilità e crescita L’art. 3, comma 4-bis della legge n. 468/1978, introdotto dall’art. 2 della legge 208/1999, prevede che, nel mese di dicembre, il Governo presenti in Parlamento una nota informativa che illustri le eventuali variazioni nelle previsioni degli indicatori macroeconomici e dei saldi di finanza pubblica rispetto a quanto indicato nel Documento di programmazione economico finanziaria approvato nel mese di luglio. Contestualmente, il Governo, in base a quanto stabilito dal Regolamento comunitario n. 1466/1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche, presenta alla Commissione europea, entro il 1° dicembre, il Programma di stabilità che il Consiglio economico e finanziario (Ecofin) discute e approva nel mese di febbraio. Tale Programma, nel rispetto dei limiti contenuti nell’art. 1 del Protocollo sui disavanzi eccessivi, (5) deve indicare: l’obiettivo del saldo di bilancio di medio periodo, l’evoluzione dei saldi annuali, le ipotesi sull’andamento delle principali varabili economiche che influenzano il raggiungimento dell’obiettivo e il grado di reattività dei saldi di finanza pubblica, l’impatto dei provvedimenti di finanza pubblica sui saldi di bilancio e sul rapporto tra debito e prodotto interno lordo. La presentazione della nota informativa al Parlamento e del Programma di stabilità alla Commissione europea, si inserisce nel ciclo evolutivo del bilancio per effetto dell’appartenenza dell’Italia all’Unione monetaria a partire dal 1999. Essa è temporalmente fissata nel mese di dicembre per consentire alle istituzioni comunitarie di verificare lo stato della finanza pubblica degli Stati membri, prima del Consiglio europeo di primavera che delinea le prospettive finanziarie dell’Unione europea per il medio e lungo periodo. Dunque, l’insieme delle regole fiscali che governano la disciplina di 5 In relazione al 3% del rapporto fra disavanzo pubblico e prodotto interno lordo e in relazione al 60% del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 454 454 12-01-2010 16:35:07 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche bilancio si “allarga”, si estende oltre la Costituzione e la legislazione ordinaria, fino a comprendere la Procedura dei disavanzi eccessivi contenuta nel Protocollo al Trattato di Maastricht e nel Patto di stabilità e crescita disciplinato da due distinti regolamenti comunitari e risoluzioni. (6) A questi ultimi è rinviata la puntuale descrizione dei tempi e delle modalità operative delle procedure che regolano l’osservanza dei vincoli di bilancio fissati dall’Unione europea. Tali vincoli esterni, essenza delle competenze esclusive dell’Unione in materia di politica monetaria, condizionano e regolano, al tempo stesso, la politica nazionale di bilancio. Anche la riforma del Patto di stabilità e crescita approvata dal Consiglio europeo del 22 - 23 marzo 2005 e disciplinata da due nuovi regolamenti, (7) pur introducendo degli elementi di maggiore flessibilità per facilitare il rispetto dei parametri di finanza pubblica originariamente fissati da Maastricht, riafferma la validità dei due valori nominali di riferimento come parametri e limiti alla decisione nazionale di bilancio. Decisione che, con le ultime modifiche apportate alla legge n. 468/1978 dalla legge n. 208/1999, ha scandito le sue fasi secondo termini nuovi e più aderenti alle regole e alle scadenze stesse imposte dall’Unione europea. Politica economica e occupazionale e attuazione della Strategia di Lisbona Entro il 15 ottobre l’Italia, così come gli altri Stati membri appartenenti all’Unione monetaria, presenta alla Commissione europea e, a partire dal 2006, anche al Parlamento nazionale (Decaro, 2007), un Rapporto che dia conto dello stato di attuazione della Strategia di Lisbona. Tale Strategia, adottata per la prima volta dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000, e successivamente rilanciata nel 2005, (8) si propone di creare le condizioni affinché l’economia europea divenga più competitiva a livello globale, soprattutto grazie al raggiungimento di migliori livelli di occupazione e innovazione in ciascun Paese membro. Questi obiettivi sono stati incorporati all’interno di una più ampia e stringente procedura di programmazione comunitaria contenuta nelle Integrated Broad Economic Policy Guidelines (Integrated BEPGs), di durata triennale, elaborate dal Consiglio europeo di primavera del 2006, aggiornate di anno in anno e vincolanti per gli Stati membri. Tali vincoli hanno il loro presupposto nel rispetto dei parametri contenuti nel Patto di stabilità e 6 Reg. Cons. nn. 1466 e 1467 del 1997 e Risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam del 7 luglio 1997, n. 97/C 236/01. 7 Sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 22 – 23 marzo 2005, sono stati emanati i due regolamenti di modifica della procedura di sorveglianza sui disavanzi eccessivi: Reg. Cons. nn. 1055 e 1056 del 2005. 8 Il ciclo del nuovo processo di Lisbona, è descritto nel Rapporto Kok (European Commission, Facing the Challenge The Lisbon strategy for growth and employement, Report from the High Level Group chaired by Wim Kok, novembre 2004), fatto proprio dalla Commissione il 3 febbraio 2005 e approvato dal Consiglio europeo di primavera. 455 Az.Pubb 3.09.indd 455 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:07 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi crescita che determina la condizione di appartenenza degli Stati all’Unione monetaria; ma, al tempo stesso, trovano il loro fondamento giuridico nella generale azione di coordinamento dell’Unione europea in materia di politica economica e occupazionale così come ribadita dal Trattato di Lisbona (artt. 5 e 121 Tuef). (9) Sulla base degli orientamenti comunitari, infatti, gli Stati membri sono tenuti a presentare, un Piano nazionale di riforma, un Rapporto sullo stato di attuazione del Piano, una griglia di valutazione degli obiettivi raggiunti sulla base di adeguati indicatori di misurazione, sottoposti, nel mese di novembre alla c.d. country examination da parte delle istituzioni comunitarie. Le valutazioni dell’Unione europea si inseriscono all’interno della più ampia azione di sorveglianza sulla coerenza delle politiche economiche nazionali con gli indirizzi di massima fissati dal Consiglio europeo e si traducono, solo in caso di scostamento, in vere e proprie raccomandazioni (cfr. tabella 1). (10) A partire dal 2006, i Piani non hanno più natura esclusivamente programmatica (forward looking) ma espongono anche una valutazione delle riforme attuate (backward looking) per la realizzazione delle politiche descritte nel Piano dell’anno precedente. Nel rispetto di questi adempimenti, l’Italia ha presentato nell’ottobre del 2005, nella fase di transizione tra la vecchia e la nuova Strategia di Lisbona, il Piano per la crescita e l’occupazione 2005-2008 (Pico), anticipato nelle sue linee guida nel Dpef 2006-2009. Nel 2006 ha quindi presentato il Primo rapporto sullo stato di attuazione del Programma nazionale delle riforme, che, aggiornando il Piano elaborato l’anno precedente, ne ha confermato gli obiettivi: migliorare il funzionamento del mercato, incoraggiare la ricerca; accrescere la partecipazione femminile; conciliare la tutela dell’ambiente con lo sviluppo. Il Rapporto italiano è stato valutato positivamente dalla Commissione europea e, successivamente il Consiglio europeo, nel marzo 2007, dopo aver riconosciuto all’Italia il raggiungimento di numerosi progressi per l’attuazione della Strategia, ha esposto le proprie raccomandazioni. (11) La novità più rilevante dei diversi Rapporti presentati, dunque, risiede nel tentativo di contribuire alla costruzione, all’interno del ciclo evolutivo del bilancio, di un approccio integrato del processo di coordinamento della politica economica e occupazionale, capace, in primo luogo, di “connettere” e rendere coerenti gli obiettivi posti dalla programmazione comunitaria con gli obiettivi strategici nazionali e, in secondo luogo, di monitorare e successivamente valutarne gli effetti. 9 Su questi aspetti si veda Manzella (2008), p 273 e ss. 10 Cfr. art. 121 Tuef. 11 Il Rapporto è stato quindi aggiornato e presentato alla Commissione europea nel 2007 (Secondo Rapporto sullo stato di attuazione della Strategia di Lisbona, 23 ottobre 2007) e nel 2008 (Terzo rapporto sullo stato di attuazione della Strategia di Lisbona, 6 novembre 2008) per le successive valutazioni. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 456 456 12-01-2010 16:35:07 Az.Pubb 3.09.indd 457 Camera e Senato Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Luglio (30) Agosto (31) Settembre (30) Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Giugno (30) Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Maggio (31) Giugno (30) Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Marzo (31) Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Febbraio (28) Giugno (30) SOGGETTI TEMPI 457 Ddl di bilancio (annuale e pluriennale) a legislazione vigente, d.d.l. finanziaria Relazione trimestrale di cassa Votazione di due distinte Risoluzioni per il Dpef Progetto di bilancio di assestamento Rendiconto generale dello Stato Documento di programmazione economico finanziaria Prima Relazione sulla gestione di cassa del settore pubblico allargato Relazione sulla situazione economica del Paese (*) Relazione sulla gestione di cassa del settore pubblico allargato DOCUMENTI CONTABILI Tabella 1 – Le fasi del ciclo di bilancio Presentazione al Parlamento dei principali documenti di bilancio Si dà conto della consistenza dei residui Nelle risoluzioni sono indicati, per ciascun anno coperto dal Dpef, i saldi di riferimento Viene presentato al Parlamento e si riferisce all’esercizio in corso. contiene le previsioni definitive, sia in termini di impegni e di accertamenti che di cassa. Deve essere approvato con legge Viene presentato al Parlamento. Si articola in un Conto del Bilancio e in un Conto del patrimonio e si riferisce alla gestione dell’anno precedente. Deve essere approvato con legge Viene presentato al Parlamento. Individua gli obiettivi, esposti in valori assoluti e in rapporto al Pil, per le principali grandezze di finanza pubblica Viene presentata dal Ministro delle finanze al Parlamento Viene presentata al Parlamento. Illustra l’andamento dell’economia italiana nell’anno precedente e aggiorna sulle previsioni per l’esercizio in corso Viene presentata dal Ministro delle finanze al Parlamento CONTENUTI/ATTI FORMALI Segue Artt. 1-bis, comma 1, lett. b), 2, 4, 11, l. 468/1978 Art. 30, comma 2, l. 468/1978 Art. 3, l. 468/1978 Art. 118-bis Reg. Camera Art. 125-bis Reg. Senato Art. 17, l. 468/1978 Artt. 21 e 23, l. 468/1978 Artt. 1-bis, comma 1 lett. a), 3, l. 468/1978 Art. 30, comma 2 , l. 468/1978 Art. 30, comma 1, l. 468/1978 Art. 30, comma 1, l. 468/1978 RIFERIMENTO NORMATIVO Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:07 Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 458 Governo Dicembre (31) Rapporto annuale sugli interventi nelle aree sottoutilizzate Legge di bilancio annuale e pluriennale e legge finanziaria Programma di stabilità Terza Relazione trimestrale di cassa Circolare per la predisposizione del Rendiconto generale dell’anno in corso Disegni di legge collegati Rapporto sulle riforme economiche Relazione previsionale e programmatica DOCUMENTI CONTABILI Inviata in Parlamento. Contiene gli strumenti di sviluppo territoriale alla luce delle tendenze congiunturali e strutturali Approvazione Viene presentato all’Unione europea e, se necessario, viene inviata al Parlamento una Nota informativa da discutere Presentazione al Parlamento Contiene gli adempimenti per la rendicontazione finale di tutte le entrate e di tutte le spese dell’esercizio in corso Provvedimenti del Governo su politiche di settore Stato di attuazione della Strategia di Lisbona. Documento assorbito a partire dal 2005 nel PICO, e nel 2006 nel PNR (**) Viene presentata al Parlamento. Espone il quadro economico e di finanza pubblica coerente con il d.d.l. finanziaria CONTENUTI/ATTI FORMALI Art. 15, comma 5, l. 468/1978 Art. 81 Cost., art. 1, l. 468/1978 Reg. Cons. Ue n. 1466/97; Reg. Cons. Ue n. 1055/2005; Reg. Cons. Ue n. 1056/2005. Art. 3, comma 4-bis, l. 468/1978 Art. 30, comma 2, l. 468/1978 Art. 23, comma 2, l. 468/1978 Art. 1-bis, comma 1 , lett. c), l. 468/1978 Consiglio europeo, Community Lisbon Programme: technical implementation Report, 2006, october 2006 Art. 15, l. 468/1978 RIFERIMENTO NORMATIVO Note: (*) Per prassi, insieme alla relazione il Governo in alcuni casi ha scelto di presentare al Parlamento l’Aggiornamento delle previsioni per l’anno in corso (AGGRPP) e la Relazione trimestrale di cassa. (**) Il Pico è il Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione. Ha sostituito il Rapporto sulle riforme economiche a partire da 2005. Tale Rapporto era previsto dalle disposizioni comunitarie del 1998. A partire dal 2006, a seguito del rilancio della Strategia di Lisbona, il Pico è stato sostituito dal Piano nazionale di Riforma (Pnr). Parlamento Dicembre (31) Ragioneria generale dello Stato Novembre (15) Governo Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Novembre (15) Dicembre (1°) Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Ottobre (15) Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Governo/Ministro dell’economia e delle finanze Settembre (30) Novembre (30) SOGGETTI TEMPI Segue Tabella 1 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi 458 12-01-2010 16:35:07 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche L’influenza della programmazione economica comunitaria sugli equilibri finanziari nazionali è illustrata nella figura 1. Figura 1 – Il coordinamento delle politiche economiche Processo di sorveglianza multilaterale Vigilanza sul rispetto del Patto di stabilità e crescita Strategia di Lisbona Integrated Broad Economic Policy Guidelines (BEPGs) EQUILIBRI ECONOMICI E FINANZIARI NAZIONALI ciclo del bilancio (gennaio – dicembre) Programma di stabilità (febbraio) Rapporto sulle riforme economiche (fino al 2004) Piano per innovazione, crescita e occupazione (nel 2005) Piano nazionale di riforma (dal 2006) VALUTAZIONI DELLA COMMISSIONE EUROPEA E DEL CONSIGLIO Politica di coesione territoriale e attuazione degli Orientamenti strategici della Comunità per la coesione L’art. 15, comma 5 della legge 468/1978, come modificato dall’art. 51 comma 1-quater del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, prevede che, entro il 31 dicembre, il Governo, attraverso il Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, presenti al Parlamento, a completamento della Relazione previsionale e programmatica, e quindi all’interno del ciclo evolutivo del bilancio, il c.d. Rapporto annuale sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate del Paese, in cui sono documentati gli strumenti di sviluppo territoriale alla luce delle tendenze economiche congiunturali e strutturali, le prospettive di breve e medio termine dei diversi territori del Paese, le risorse finanziarie pubbliche in conto capitale impiegate per lo sviluppo e lo stato di attuazione delle politiche adottate. Anche in questo caso, come in quelli precedenti, il Rapporto presentato annualmente dal Governo si inserisce all’interno di un più ampio disegno di programmazione che vede coinvolte, in momenti diversi, istituzioni comunitarie e istituzioni nazionali. In particolare, il Rapporto deve dare conto, non solo dell’utilizzo 459 Az.Pubb 3.09.indd 459 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:07 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi delle risorse nazionali destinate allo sviluppo territoriale, ma anche di quelle comunitarie erogate sulla base della programmazione dei fondi c.d. “strutturali”. Le istituzioni comunitarie, infatti, sulla base delle linee generali di politica economica, definiscono le linee di programmazione dei fondi strutturali destinati alle azioni di sviluppo territoriale. Dopo il primo e il secondo ciclo di programmazione, (12) l’Unione europea, nel 2006, ha definito, con propri regolamenti, la nuova cornice normativa di riferimento per la ripartizione, nel periodo 2007-2013, tra i diversi Paesi membri, delle risorse contenute nei fondi comunitari destinati a questi interventi (Fondo europeo di sviluppo regionale, FESR, Fondo sociale europeo, FSE e Fondo di coesione). (13) A corredo di questa nuova cornice, l’Unione europea ha definito anche i nuovi orientamenti in materia di c.d. “aiuti di Stato a finalità regionale” di cui gli Stati membri devono tenere conto in sede di programmazione e in sede di rendicontazione sullo stato di attuazione delle politiche di sviluppo e coesione. (14) L’Italia, sulla base della nuova disciplina comunitaria, in coerenza con gli “Orientamenti strategici della Comunità per la coesione” e nel quadro dei grandi orientamenti di politica economica (Gope) e della strategia europea per l’occupazione (Seo), (15) ha elaborato il “Quadro strategico nazionale 2007-2013” (di seguito QSN), successivamente approvato dalla Commissione europea. (16) Il QSN, contiene l’analisi delle priorità strategiche delle politiche nazionali coordinate anche a livello regionale, l’elenco dei programmi operativi di attuazione a carattere regionale (Por) e nazionale (Pon) con i relativi piani di finanziamento, le valutazioni ex ante dei programmi operativi, gli indicatori economici consuntivi regionali che giustificano le scelte di allocazione delle risorse. Tale modello di programmazione nazionale dei fondi comunitari 20072013 è impostato secondo una metodologia innovativa che identifica nel QSN la sede di programmazione unitaria delle risorse nazionali e comunitarie destinate alle azioni di sviluppo territoriale (cfr. figura 1). (17) 12 Rispettivamente 1994-1999 e 2000-2006. 13 I criteri per la ripartizione dei fondi sono definiti nel Regolamento (Ce) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006 che ha abrogato le norme che regolavano la disciplina della precedente programmazione 2000-2006 (Regolamento (Ce) n. 1260/1999). 14 La Commissione europea ha approvato, con la decisione 8 novembre del 2007, la c.d. “Carta degli aiuti 2007-2013”, riferita alle agevolazioni per specifiche porzioni del territorio nazionale. Per l’Italia è stato approvato il documento “Aiuto di Stato n. 324/2007” con cui si definiscono le aree in cui si applicano le disposizioni riguardanti il contributo pubblico massimo concedibile per regimi di agevolazione finanziaria. 15 Gli orientamenti strategici comunitari in materia di coesione sono stati approvati con la Decisione del Consiglio Ce 702/2006 del 6 ottobre 2006; i grandi orientamenti di politica economica (Gope) per il periodo 2005-2008, sono contenuti nella raccomandazione del Consiglio Ce 601/2005 del 12 luglio 2005; la Strategia europea per l’occupazione (Seo) è contenuta nella decisione del Consiglio europeo Ce 600/2005 del 12 luglio 2005. 16 La Commissione europea si è espressa preliminarmente il 13 luglio 2007. Il Cipe ha approvato il QSN con la delibera 147 del 2007 a seguito della quale è intervenuta la decisione definitiva della Commissione CCI 2007 IT/ 16/ 1/UNS. 17 Tale modello trova il suo fondamento nella legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 460 460 12-01-2010 16:35:08 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Secondo questa metodologia unitaria di programmazione, il Comitato di programmazione economico-finanziaria (Cipe), con la delibera n. 166/2007, (18) ha approvato le assegnazioni delle risorse nazionali stanziate dalla legge finanziaria del 2007 e, più in generale, le strategie di programmazione che dovranno adottare sia le amministrazioni centrali che quelle regionali. (19) Questa modalità di programmazione unitaria e integrata, che rinvia, nello stesso tempo, a documenti comunitari, nazionali e regionali, richiede momenti di forte coordinamento con la politica di bilancio, di monitoraggio, di rendicontazione e di valutazione della capacità di realizzazione degli impegni assunti dalle singole amministrazioni e di verifica dei risultati conseguiti. In questa direzione il Rapporto che il Governo presenta a fine anno, prima dell’avvio della nuova programmazione comunitaria di medio e lungo periodo, rappresenta un valido esempio di “raccordo”. 4. La definizione delle politiche pubbliche nel bilancio dello Stato: l’individuazione delle missioni e dei programmi L’influenza delle decisioni assunte a livello comunitario sul ciclo evolutivo del bilancio nazionale, si riflettono non solo, come appena dimostrato, sull’ampliamento del numero dei documenti di programmazione economica in esso contenuti, ma anche sulla struttura stessa del bilancio dello Stato. Ancora una volta su impulso dell’Unione europea, che per prima ha definito un quadro unitario di regole contabili finalizzate ad una maggiore destinazione funzionale della spesa, (20) continuano ad essere segnalate anche in Italia una serie di criticità legate alla scarsa rappresentatività del documento di bilancio rispetto alle politiche pubbliche. La scarsa significatività della discussione e della decisione parlamentare sui singoli stati di previsione della spesa e dell’entrata di cui esso è composto hanno indotto ad una riflessione, sin dalla VIII legislatura, sul ruolo del bilancio dello Stato finalizzata ad una sua più forte caratterizzazione come strumento di definizione e attuazione delle politiche pubbliche (Carabba, 1998; Colombini, 1985; Buscema, 1985). 18 Con la delibera n. 77/2005 il Cipe ha approvato le “Linee guida per l’impostazione del Quadro strategico nazionale”; con la delibera n. 174/2006 ha approvato “Il Quadro strategico nazionale” e il relativo allegato concernente “La politica regionale nazionale del Fas nell’ambito della programmazione unitaria della politica regionale per il 2007-2013. 19 Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, la delibera fissa alcuni principi generali della programmazione strategica unitaria richiedendo sia alle amministrazioni centrali che a quelle regionali di predisporre appositi documenti unitari di programmazione per delineare la propria strategia unitaria di politica regionale, territoriale e settoriale in relazione a tutte le fonti di finanziamento (nazionali e comunitarie). Tali documenti, denominati Documenti unitari di programmazione (Dup) per le amministrazioni regionali e Documenti unitari di strategia specifica (Duss) per le amministrazioni centrali, definiscono ed esplicitano le modalità di conseguimento degli obiettivi generali di politica regionale e delle priorità del QSN. 20 Il c.d. sistema Sec ’95 (Sistema europeo dei conti). Sul punto si veda Corte dei Conti (2000). 461 Az.Pubb 3.09.indd 461 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:08 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi Tale orientamento rappresenta la filosofia di fondo della riforma del 1997 approvata nel corso della XIII legislatura, che, in coerenza con gli orientamenti comunitari, si è posta diversi obiettivi: la semplificazione della decisione parlamentare di bilancio aggregando gli oltre 6000 preesistenti capitoli in unità di voto semplificate e omogenee, (21) denominate unità previsionali di base; l’individuazione, anche se solo a fini conoscitivi, delle “funzioni obiettivo” dello Stato, equivalenti alle politiche pubbliche nazionali; la responsabilizzazione dell’apparato burocratico, collegando le unità previsionali di base alle strutture amministrative autorizzate alla loro gestione e denominate centri di responsabilità amministrativa; conseguentemente, la distinzione di un bilancio per la gestione, affidato ai centri di responsabilità dei diversi ministeri, da un bilancio per la decisione, oggetto di discussione e approvazione parlamentare attraverso il voto sulle unità previsionali di base. Accanto a questi obiettivi, la legge n. 94/1997 ha rafforzato anche il rapporto tra la programmazione economica sviluppata all’interno del ciclo evolutivo del bilancio e la sua concreta attuazione operativa all’interno dell’amministrazione: prima attraverso la definizione di obiettivi e poi con il successivo raggiungimento di risultati. A questo fine è stato meglio definito il contenuto delle note preliminari al bilancio che, allegate a ciascuno stato di previsione della spesa dei Ministeri, hanno la funzione di illustrare i criteri utilizzati per la formulazione delle previsioni coerentemente con i parametri già indicati nel Dpef, nel mese di luglio. (22) Tuttavia, a distanza di circa dieci anni dalla legge di riforma del ’97, l’esperienza applicativa ha favorito l’avvio di un nuovo e intenso dibattito sulla necessità di rafforzare la valutazione e l’analisi delle politiche pubbliche, partendo da una riqualificazione della spesa pubblica e quindi di una diversa utilizzazione del bilancio dello Stato. Nel corso della XV legislatura, la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) ha avviato un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali affidato al Ministro dell’economia, rafforzando, al tempo stesso, le attività e gli strumenti di analisi e monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica anche a livello parlamentare. (23) I primi risultati di questo programma sono contenuti nel Libro verde sulla spesa pubblica, che individua i ministeri “pilota” ( 24) oggetto di revisione delle politi- 21 Per una illustrazione dettagliata degli aspetti della riforma si vedano: Borgonovi, Canaletti (1998); Pacifico (1998); Canaletti (1998); D’Alessio (1998). 22 Art. 2 della legge n. 468/1978. 23 L’art. 1, comma 474 della legge 296/2006 ha istituito la Commissione tecnica per la finanza pubblica, l’art. 1 comma 476 della legge 296/2006 ha istituito il Servizio studi della Ragioneria generale dello Stato; l’art. 1 comma 481 della legge 297/2006 ha previsto l’istituzione, all’interno delle Commissioni bilancio di Camera e Senato, di un Comitato permanente per il monitoraggio della finanza pubblica. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 462 462 12-01-2010 16:35:08 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche che di spesa. A questa prima istruttoria è seguita una prima ipotesi di riclassificazione del bilancio dello Stato elaborata dal Governo (25) e la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri sulle modalità di presentazione del bilancio e della legge finanziaria. (26) Il 1° ottobre 2007 il bilancio dello Stato è stato presentato in Parlamento secondo una nuova impostazione che, lasciando totalmente inalterato il quadro normativo vigente, mantenendo l’analisi della spesa a seconda dell’aspetto funzionale (funzioni obiettivo), di quello contabile (unità previsionali di base) e di quello organizzativo (centri di responsabilità amministrativa), porta a pieno compimento gli obiettivi di fondo che avevano ispirato la riforma del 1997. Quest’ultima ha stabilito un collegamento più forte tra l’unità di voto in Parlamento (unità previsionale di base) e la struttura amministrativa incaricata della gestione delle rispettive risorse (centro di responsabilità amministrativa), ma la riforma veicolata in occasione della presentazione del bilancio dello Stato per il 2008, compie un passo ulteriore. La novità è quella di aver costruito degli aggregati contabili capaci di dare anche informazioni al Parlamento sulle finalità che il Governo intende perseguire in determinati settori sulla base delle risorse previste e programmate. Tali aggregati, infatti, che comprendono le diverse categorie di spesa, sono direttamente collegate ai programmi che con esse si intendono realizzare. Le tabelle 2, 3 e 4 mettono a confronto la struttura dello stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno nel bilancio per il 1998 (anno in cui è entrata in vigore la riforma del 1997) con quella per il 2009. Dal confronto appare evidente come nel primo caso sia possibile individuare con chiarezza le strutture amministrative responsabili ma non le finalità della spesa pubblica. Viceversa, nel secondo caso, la sequenza Missione, Programma, Macroaggregato, Centro di responsabilità, fornisce ulteriori informazioni: chi gestisce le risorse (Centro di responsabilità), con quali risorse (Macroaggregati) e per fare cosa (Programma) (cfr. tabella 2). In questo senso viene privilegiato, rispetto al passato, il contenuto funzionale della spesa, rendendo più stringente il legame tra “risorse stanziate e azioni perseguite” (27) e visualizzando in modo chiaro e leggibile le scelte pubbliche, sia con riferimento alla quantificazione delle risorse che con riferimento alla loro destinazione rispetto al programma di governo (cfr. tabelle 3 e 4). La nuova articolazione del bilancio di previsione dello Stato per la deci24 I Ministeri “pilota”sono: giustizia, interni, istruzione, infrastrutture e trasporti. 25 Circolare del Presidente del Consiglio dei ministri del giugno 2007. 26 Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 luglio 2007. 27 Nota introduttiva alla lettura del Bilancio dello Stato per Missioni e Programmi, Ragioneria Generale dello Stato, Servizio studi Dipartimentale, ottobre 2007, p. 5. 463 Az.Pubb 3.09.indd 463 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:08 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi Tabella 2 – Estratto dal Bilancio di previsione dello Stato per l’anno 1998: stato di previsione del Ministero dell’Interno Centri di responsabilità amministrativa Unità di voto (UPB) Spese 1. 1.1.1.0 1.1.2.1 GABINETTO E UFFICI DI DIRETTA COLLABORAZIONE ALL’OPERA DEL MINISTRO Spese correnti FUNZIONAMENTO INTERVENTI Servizio informazioni e sicurezza democratica 2. AMMINISTRAZIONE GENERALE E AFFARI DEL PERSONALE 2.1 Spese correnti FUNZIONAMENTO 2.1.1.0 INTERVENTI Contributi ad enti ed altri organismi Accordi ed organismi internazionali Altri interventi enti locali Progetto finalizzati 2.1.2.1 2.1.2.2 2.1.2.3 2.1.2.4 2.1.3.1 2.2.1.1 TRATTAMENTI DI QUIESCENZA, INTEGRATIVI E SOSTITUIVI Indennità 2.2 Spese in conto capitale INVESTIMENTI Informatica di servizio 1. AMMINISTRAZIONE CIVILE 2. PROTEZIONE CIVILE E SERVIZI ANTINCENDI 3. SERVIZI CIVILI 4. AFFARI DEI CULTI 5. PUBBLICA SICUREZZA sione parlamentare è ancorata all’art. 4, comma 2, lett. a) della legge 94/1997 che, nel ripartire le spese per funzioni obiettivo stabilisce che le stesse “siano individuate con riguardo all’esigenza di definire le politiche pubbliche di settore e di misurarne il prodotto delle attività amministrative, ove possibile anche in termini di servizi resi ai cittadini”. Tuttavia, tale ripartizione delle spese per funzioni obiettivo, è stata fino ad ora interpretata come esercizio sperimentale a contenuto meramente informativo: in allegato alla legge del bilancio annuale di previsione, infatti, veniva collocata una tabella contenente una ripartizione della spesa complessiva suddivisa per funzioni obiettivo, basata sui primi quattro livelli della classificazione funzionale della spesa adottata a livello europeo. (28) Il quarto livello della classificazione era rappresentato Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 464 464 12-01-2010 16:35:08 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Tabella 3 – Estratto dal Bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2009: stato di previsione del Ministero dell’interno Unità di voto (UPB) Missione Programma Macroaggregato Centro di responsabilità amministrativa 2. RELAZIONI FINANZIARIE CON LE AUTONOMIE TERRITORIALI 2.2. Interventi, servizi e supporto alle autonomie territoriali 2.2.1 2.2.2 FUNZIONAMENTO Dipartimento per gli affari interni e territoriali INTERVENTI Dipartimento per gli affari interni e territoriali 2.2.6 INVESTIMENTI Dipartimento per gli affari interni e territoriali Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione Civile e per le risorse strumentali e finanziarie Tabella 4 – Rielaborazione dal Bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2009: stato di previsione del Ministero dell’interno, riepilogo missioni (7) e programmi (15) Missione Programmi Amministrazione generale e supporto alla rappresentanza generale di governo e dello Stato sul territorio Rappresentanza generale di Governo e dello Stato sul territorio Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali Interventi, servizi e supporto alle autonomie territoriali Trasferimenti a carattere generale ad enti locali Ordine pubblico e sicurezza Sicurezza democratica Contrasto al crimine, tutela all’ordine e alla sicurezza pubblica Servizio permanente dell’Arma dei Carabinieri per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica Pianificazione e coordinamento Forze di Polizia Soccorso civile Organizzazione e gestione del sistema nazionale di difesa civile Prevenzione del rischio e soccorso pubblico Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti Garanzia dei diritti e interventi per lo sviluppo della coesione sociale Gestione flussi migratori Rapporti con le confessioni religiose Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche Indirizzo politico Servizi e affari generali per le amministrazioni di competenza Fondi da ripartire Fondi da assegnare 465 Az.Pubb 3.09.indd 465 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:08 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi dalle c.d. missioni istituzionali, tendenziale espressione delle principali politiche pubbliche del Paese. Tuttavia, tale analisi risultava poco efficace, sia per la scarsa capacità di raccordo con le classificazioni contabili utilizzate nel bilancio di previsione oggetto dell’approvazione parlamentare, sia per la mancanza di imputazione alle missioni istituzionali così identificate delle corrispettive risorse finanziarie. La riforma contenuta nel disegno di legge del bilancio annuale di previsione per il 2008 ha perfezionato questa impostazione introducendo, nella parte relativa alle spese dello Stato, aggregati contabili maggiormente raccordabili con la classificazione europea ed espressione di una più accurata analisi funzionale della spesa. Tali aggregati sono rappresentati dalle Missioni e dai Programmi: le prime, 34 sia nel bilancio di previsione per il 2008 che nel bilancio di previsione per il 2009, (29) esprimono “le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa pubblica”e rappresentano le “grandi finalità” dello Stato. È possibile che alcune missioni istituzionali siano affidate alla responsabilità di più Ministeri. Per una puntuale individuazione delle Missioni contenute nel bilancio per il 2008 e per la rispettiva percentuale di assorbimento della spesa si veda la tabella 5. I Programmi, 168 nel bilancio di previsione per il 2008 e 163 nel bilancio di previsione per il 2009, nei quali si articolano le Missioni, hanno il loro fondamento normativo nell’art. 2, comma 2 della legge 468 del 1978 (come modificato dalla legge n. 94 del 1997), sono “aggregati omogenei di attività svolte all’interno di ogni singolo Ministero, allo scopo di perseguire obiettivi ben definiti nell’ambito delle finalità istituzionali, riconosciute dal Dicastero competente” e come tali esclusivi, salvo rare eccezioni, a ciascuna amministrazione. Essi rappresentano l’asse centrale della nuova classificazione e indicano i risultati da perseguire in termini di impatto dell’azione pubblica su cittadini e territorio. Ciascun programma si sviluppa poi in un insieme di sottostanti attività (azioni) che ogni amministrazione pone in essere per il raggiungimento delle proprie finalità. (30) 28 Il sistema di classificazione funzionale della spesa previsto dal Sistema europeo dei conti Sec ’95 è il sistema Cofog (classification of functions of government). Esso prevede quattro distinte articolazioni della spesa: il primo è rappresentato dalle Divisioni, il secondo dai Gruppi, il terzo dalle Classi e il quarto dalle Missioni. 29 Rispetto al bilancio per il 2008, i Programmi hanno subito delle modificazioni nel numero e nella denominazione sia per le intervenute modifiche legislative alla struttura organizzativa del Governo (cfr. decreto legge 16 maggio 2008, n. 85), sia per la più puntuale valutazione e consapevolezza delle attività svolte dalle singole amministrazioni. In particolare, le modifiche hanno interessato il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero dell’interno, il Ministero dei beni e delle attività culturali, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 466 466 12-01-2010 16:35:08 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Tabella 5 – La ripartizione del bilancio dello Stato per Missioni. Stanziamenti per il 2008 Stanziamenti del bilancio di previsione per il 2008, in milioni di euro (compresa la II Nota di variazione) Stanziamenti in % sul totale del bilancio di previsione 2008 (compresa la II Nota di variazione) 112,792 23,55 Debito pubblico 78.231 16,33 Politiche previdenziali 98.559 14,31 Istruzione scolastica 41.583 8,68 L’Italia e l’Europa nel mondo 27.205 5,68 Diritti sociali e solidarietà sociale 24.234 5,06 Fondi da ripartire 19.961 4,17 Difesa e sicurezza del territorio 19.008 3,97 Diritto alla mobilità 10.514 2,19 Ordine pubblico e sicurezza 9.321 1,95 Politiche finanziarie e di bilancio 8.920 1,86 Istruzione universitaria 8.760 1,83 Giustizia 7.268 1,52 Sviluppo e riequilibrio territoriale 5.489 1,15 Competitività e sviluppo imprese 4.433 0,93 Ricerca e Innovazione 4.060 0,85 Infrastrutture pubbliche e logistica 3.914 0,82 Soccorso civile 3.755 0,78 Politiche del lavoro 3.624 0,76 Organi costituzionali 3.334 0,70 Servizi generali amministrazioni 2.830 0,59 Sviluppo sostenibile 1.665 0,35 Tutela beni culturali 1.633 0,34 Immigrazione 1.486 0,31 Agricoltura e pesca 1.364 0,28 Comunicazioni 1.354 0,28 Casa e assetto urbanistico Missioni Relazioni autonomie locali 1.060 0,22 Giovani e sport 958 0,20 Tutela della salute 881 0,18 Amministrazione generale del territorio 352 0,07 Commercio internazionale 268 0,06 Turismo 113 0,02 Energia e fonti energetiche 59 0,01 Regolazione dei mercati 16 0,00 467 Az.Pubb 3.09.indd 467 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:08 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi Il sistema di classificazione della spesa, pur muovendosi entro la cornice normativa della legge n. 94/1997, aggiunge il Macroaggregato alla ripartizione per funzioni obiettivo, unità previsionali di base e capitoli. I Macroaggregati corrispondono alle Unità previsionali di base, vale a dire alle unità di voto parlamentari, ma a differenza di queste ultime, sono corredati da indicazioni di maggior dettaglio sulla spesa ad essi imputabile. Gli allegati tecnici degli stati di previsione della spesa di ogni Ministero, infatti, devono indicare i contenuti di ciascuna unità previsionale di base, esplicitando la missione da gestire, i programmi da sviluppare e le diverse categorie di spesa da sostenere (Macroaggregati). Inoltre, lo stato di previsione di ogni Ministero presenta una Scheda di analisi per ciascun programma che contiene specifiche informazioni contabili relative alla Missione di riferimento, alla distinzione delle diverse tipologie di spesa e ai sottostanti capitoli rilevanti per la gestione. (31) Ogni Macroaggregato, dunque, grazie alle numerose informazioni contenute negli allegati agli stati di previsione, evidenzia, per ciascun programma, le diverse tipologie di spesa ad esso attribuite suddividendole in tre voci: spese predeterminate per legge (c.d. fattori legislativi) e cioè le spese obbligatorie a carattere rigido previste da disposizioni normative che quantificano specificamente lo stanziamento da inserire in bilancio; oneri inderogabili, e cioè le spese obbligatorie previste da disposizioni normative che non quantificano lo stanziamento da inserire in bilancio; spese discrezionali che rappresentano gli stanziamenti non prefissati dalla legge. Solo a fini conoscitivi, ma non ai fini della decisione parlamentare, ai diversi Macroaggregati sono collegati anche i Centri di responsabilità amministrativa, e cioè le corrispondenti strutture amministrative a cui è affidato l’insieme organico delle risorse necessarie per realizzare i programmi (art. 1 del d.lgs. 279/1997). Il Macroaggregato, dunque, coincidendo con le Unità previsionali di base e quindi oggetto di approvazione, è una ripartizione che consente al Parlamento di individuare più agevolmente l’entità delle spese che il Governo intende sostenere per raggiungere determinati obiettivi (programmi). Al tempo stesso, restando ancorato anche ai Centri di responsabilità amministrativa identifica anche i soggetti responsabili delle rispettive azioni. La figura 2 illustra i tre livelli di classificazione della spesa (funzionale e contabile) attualmente esistenti, evidenziando e distinguendo il livello oggetto di approvazione parlamentare. Sulla base di questa ripartizione, ciascuno dei 18 stati di previsione della spesa del bilancio di previsione (32) è preceduto dalla nota preliminare, la cui funzione di raccordo tra programmazione economica e pianificazione 30 Per ogni Ministero esistono due programmi trasversali in cui sono allocate le spese “indi rette” non attribuibili ex ante a Programmi specifici e le spese di “indirizzo politico” collegati entrambi alla corrispondente Missione “Servizi istituzionali e generali”. 31 Cfr. Circolare del Mef del 5 giugno 2007. 32 Sulla base delle nuove articolazioni, il bilancio di previsione sottoposto all’esame e all’ap- Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 468 468 12-01-2010 16:35:08 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche strategica è stata ulteriormente valorizzata a sviluppata in occasione della predisposizione del bilancio di previsione per il 2008 e per il 2009. (33) La nuova ripartizione funzionale della spesa non incide sul sistema di classificazione delle entrate così come ridefinito a suo tempo dalla legge n. 94 del 1997 (cfr. figura 2). (34) 5. Dalla programmazione alla valutazione delle politiche Figura 2 – I livelli di classificazione della spesa pubbliche: l’individuazione degli indicatori di performance e il rafforzamento della capacità di giudizio La struttura del bilancio dello Stato così come illustrata, lascia inalterata la distinzione tra bilancio per la decisione, collegato alla ripartizione funzionale delle spese per missioni e programmi e alla classificazione contabile per unità previsionali di base e macroaggregati sulla quale si basa il voto provazione del Parlamento resta strutturato nel modo che segue: Elenco di tutte le unità previsionali di base del bilancio distinte per i vari Ministeri; Quadro generale riassuntivo del bilancio di competenza; Quadro generale riassuntivo del bilancio di cassa; Quadro generale riassuntivo del bilancio triennale a legislazione vigente; Quadro generale riassuntivo del bilancio triennale delle aziende autonome; Quadro generale riassuntivo pluriennale programmatico; Allegato tecnico: stati di previsione: 1 per l’entrata e 18 per la spesa di ciascun Ministero (tabelle). Ogni stato di previsione è corredato da numerosi “elenchi”, “riassunti”, “riepiloghi” e “tavole” che hanno l’obiettivo di facilitare e migliorare la lettura dei dati da parte del Parlamento. 33 Sul ruolo e sulla standardizzazione delle note preliminari si veda la circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 21/2008. 34 La classificazione dell’entrata, avvicinata anch’essa alla classificazione basata sui criteri del sistema europeo dei conti, è strutturata su quattro livelli: il primo livello (titoli) rappresentato 469 Az.Pubb 3.09.indd 469 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:09 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi parlamentare, e bilancio per la gestione, articolato in capitoli e affidato ai responsabili delle strutture amministrative dei Ministeri. Tale distinzione, caratterizzata da un maggiore orientamento delle previsioni di spesa alle politiche pubbliche e agli obiettivi da esse perseguiti, conduce, al tempo stesso, ad un collegamento più forte tra la fase di programmazione economica, avviata con la presentazione del Dpef e sviluppata nel bilancio di previsione (annuale e pluriennale), nella legge finanziaria e nelle leggi collegate, e la fase di pianificazione strategica. (35) Quest’ultima ha inizio dal momento in cui i Ministri emanano la direttiva generale, strumento di raccordo tra la fase di indirizzo e quella gestionale. A questo proposito, il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (c.d. testo unico sul pubblico impiego) definisce il riparto di competenze tra organi di indirizzo politico e organi di gestione amministrativa, attribuendo ai Ministri la competenza ad individuare, entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, obiettivi, priorità, piani e programmi affidati alla responsabilità gestionale dei dirigenti. (36) Tali istruzioni, impartite e concordate con i dirigenti delle burocrazie ministeriali, sono contenute nella direttiva di inizio anno. La direttiva annuale del Ministro, infatti, secondo quanto previsto dall’art. 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (in materia di riordino e potenziamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche), costituisce il documento base per la programmazione e la definizione degli obiettivi delle unità dirigenziali di primo livello, individuando i principali risultati da realizzare. I dirigenti, a loro volta, attraverso la diretta gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compiono, sulla base dei programmi loro affidati, tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, con autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. (37) Contestualmente all’attribuzione degli obiettivi, dei piani e dei programdalle entrate tributarie, extratributarie, alienazione e ammortamento dei beni, riscossione prestiti e accensione prestiti, il secondo livello (natura) rappresentato dalle entrate correnti e non ricorrenti, il terzo livello (specie) relativo ai tributi, e il quarto livello (unità di voto) per le attività e i proventi. Solo il quarto livello delle entrate è oggetto di approvazione parlamentare. 35 Per processo di pianificazione strategica si intende la organizzazione, la partecipazio ne, la creazione di idee capaci di guidare gli interventi di un’azienda (pubblica o privata), la formazione di coalizioni capaci di implementare le strategie. Il process strategy (Mintzberg, Ahstrand, Lampel, 1998), il processual model of decision making (Barzelay, 2001) o activity based view of strategizing (Johnson, Melin, Whittington, 2003) sono sorretti da una logica di fondo che consente all’azienda pubblica di determinare un susseguirsi coordinato di scelte dettate da valutazioni di carattere generale per il raggiungimento di determinati obiettivi. Su questa definizione si veda Borgonovi (2002), p. 281 e ss. Più specificamente, sugli strumenti di programmazione nelle amministrazioni pubbliche si veda Castelnuovo (2002). 36 Artt. 4 e 14 del d.lgs.165/2001. 37 Accanto alle direttive annuali, a partire dal 2001, si è consolidata la prassi secondo la quale il Presidente del Consiglio dei ministri emana la c.d. “meta direttiva” ai Ministri con la quale vengono impartire indicazioni circa le modalità di predisposizione delle direttive annuali, e quindi di individuazione degli obiettivi e di misurazione dei risultati sulla base di specifici indicatori. Si veda, da ultimo, la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2007. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 470 470 12-01-2010 16:35:09 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche mi, il Ministro assegna a ciascun ufficio di livello dirigenziale generale una “quota parte” del bilancio dell’amministrazione. L’attribuzione di obiettivi e di risorse alle strutture amministrative consolidano lo stretto e necessario rapporto che intercorre tra la programmazione economica generale e la pianificazione strategica, contribuendo alla costruzione di un sistema di performance budgeting. (38) La pianificazione, infatti, non è altro che la traduzione operativa del programma di governo attraverso le direttive dei diversi Ministri. Essa, infatti, assume un rilevo strategico in quanto strettamente collegata alle priorità politiche definite nel programma di Governo opportunamente declinate in obiettivi macro (strategici) e obiettivi micro (operativi). Nell’esperienza applicativa, un impulso decisivo verso un maggiore collegamento tra la fase di programmazione e quella di pianificazione è dato da due circostanze. La prima è la istituzione di un Comitato tecnico scientifico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (39) a cui è stato affidato il compito di supportare il Presidente del Consiglio dei ministri nell’attuazione del programma di governo attraverso la pianificazione strategica dei Ministeri. A questo fine, il Comitato promuove l’utilizzo di metodologie e strumenti per la pianificazione strategica delle amministrazioni dello Stato e elabora metodologie e strumenti per assicurare e migliorare il collegamento tra obiettivi strategici e allocazione delle risorse. Può anche elaborare proposte per la progressiva integrazione tra il processo di formazione del bilancio e il processo di pianificazione strategica delle amministrazioni dello Stato. La seconda circostanza è l’instaurazione della prassi, ormai consolidata e fondata sul presupposto normativo contenuto nell’art. 8 del d.lgs. 286/1999, di emanazione delle c.d.”meta direttive” da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri contenenti istruzioni sulla predisposizione, metodologicamente uniforme, delle direttive dei Ministri. A partire dal 2001, i Rapporti del Comitato e le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri (40) segnalano le criticità del processo di programmazione/pianificazione e individuano possibili soluzioni: alla eccessiva eterogeneità della metodologia di predisposizione delle direttive propongono un modello uniforme di individuazione, all’interno di una griglia comune, di missioni, obiettivi e progetti; alla scarsa attività di misurazione dei risultati suggeriscono una serie di indicatori di performance; alla debole capacità 38 Sul performance budgeting, si veda tra i più recenti: OECD (2008); Rubin (2008); Young (2003); Robinson (2007); sui principi del PB si veda Gao, United States General Accounting Office (1997); sulle riforme dei sistemi di budgeting nel settore pubblico si veda in particolare, per l’analisi del caso italiano, Mussari (2005), p. 139 e ss. 39 Dapprima istituito dall’art. 7 del d.lgs. 286/1999 e successivamente riordinato con il d.P.R. 12 dicembre 2006, n. 315. 40 Le meta direttive emanate sino ad ora sono 5: 12 dicembre 2000, 15 novembre 2001, 8 novembre 2002, 27 dicembre 2004, 12 marzo 2007; i Rapporti elaborati dal Comitato sono 4 : Rapporto del maggio 2001; Rapporto di gennaio 2003, Rapporto di aprile 2004; Rapporto di marzo 2006 (fine XV legislatura). 471 Az.Pubb 3.09.indd 471 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:09 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi di selezionare priorità contrappongono un approccio basato su uno più stretto collegamento con le risorse finanziarie del bilancio di previsione approvato dal Parlamento. In particolare, l’ultima direttiva del 12 marzo 2007, coerente con il più ampio processo di revisione della spesa pubblica avviato all’inizio della XV legislatura e conclusosi con la predisposizione del bilancio di previsione dello Stato per missioni e programmi, invita ad un rafforzamento del c.d. “ciclo integrato di pianificazione strategica e programmazione economico finanziaria” e suggerisce la scansione del processo in diverse fasi: la fase di definizione delle priorità politiche da parte dei Ministri (nel mese di marzo); la fase di elaborazione della prima proposta di obiettivi e della predisposizione della prima nota preliminare (nel mese di maggio/luglio); la fase di aggiornamento della proposta di obiettivi strategici e dei relativi piani di azione (nel mese di settembre); la fase di emanazione della direttiva annuale da parte del Ministro (entro dieci giorni dalla pubblicazione del bilancio dello Stato). In questa catena procedimentale le note preliminari riaffermano, rafforzandolo, il loro ruolo strategico. In esse devono essere indicati gli obiettivi che le amministrazioni intendono perseguire con riferimento ai livelli di servizi e di interventi, e gli indicatori di efficienza per valutare i risultati. Le note, dunque, assolvono la funzione di fornire elementi conoscitivi utili alla comprensione dei criteri di determinazione sottostanti alle previsioni di spesa inserite nelle proposte di bilancio. Tali criteri, inoltre, si basano sulla relazione strumentale che unisce le risorse agli obiettivi e che vede le prime stabilite in funzione dei secondi, una volta definiti i livelli attesi di efficienza. In sostanza, le note preliminari hanno il compito di sintetizzare e anticipare i contenuti programmatici dei successivi atti di indirizzo ministeriali emanati a seguito della approvazione del bilancio dello Stato entro il 31 dicembre. (41) La valenza delle note preliminari all’interno del processo di programmazione/pianificazione è stata di recente evidenziata in occasione della predisposizione del bilancio di previsione dello Stato per il 2009. In questa occasione, infatti, l’Ispettorato della Ragioneria generale dello Stato ha elaborato un sistema di acquisizione automatizzata delle note preliminari secondo lo schema cronologico individuato dalla meta direttiva del 2007 e sulla base di una struttura “tipo” così articolata: quadro di riferimento complessivo e breve descrizione delle priorità politiche dell’amministrazione; illustrazione degli stanziamenti complessivamente previsti e distinti per missione, programma e obiettivi; descrizione di eventuali fabbisogni di personale in relazione ai programmi esposti; scheda per ciascun programma, contenente indicazioni relative agli obiettivi, ai centri di responsabilità coinvolti e agli indicatori di performance per la misurazione dei risultati. A questo fine, per 41 Più specificamente sul ruolo delle note preliminari si veda Mussari (2002), p. 72 e ss. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 472 472 12-01-2010 16:35:09 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche qualificare meglio il contenuto di tali indicatori e dettare criteri omogenei per la loro individuazione e applicazione agli obiettivi, sono state seguite le indicazioni della “meta direttiva”. La tabella 6 illustra la tipologia degli indicatori utilizzati nella predisposizione delle note preliminari. Lo stretto collegamento tra le note preliminari, il bilancio di previsione (programmazione economico-finanziaria) e le direttive (pianificazione strategica), così come ribadito anche in occasione di quest’ultima sessione di bilancio, rafforzano un ciclo decisionale che ha inizio con la predisposizione dei principali documenti di bilancio da parte del Governo, si snoda nella “sessione parlamentare” e si conclude con il monitoraggio sull’attuazione degli obiettivi definiti nelle direttive e, più in generale, sulla valutazione delle politiche pubbliche di cui sono espressione. La valutazione delle politiche pubbliche, infatti, è un’attività di analisi sistematica condotta con i metodi della ricerca empirica, volta a formulare giudizi sulla definizione e deliberazione dei programmi, sulla loro attuazione ed efficacia. (42) Attraverso questa attività diviene possibile confrontare, con procedure rigorose e codificate, i risultati raggiunti dal Governo rispetto agli obiettivi da esso predeterminati (Vedung, 1997). In questo ciclo (policy cycle), che si apre con la programmazione e si conclude con la verifica dei risultati raggiunti per ciascuna politica pubblica, il Governo e il Parlamento si confrontano. Tale confronto, che richiede la disponibilità, l’attendibilità, la comprensibilità, l’accessibilità, la diffusione e la distribuzione delle informazioni, instaura tra Governo e Parlamento una relazione di accountability istituzionale connotata da un’attività di “resa del conto” cui dovrebbe seguire un feedback sottoforma di giudizio (Steccolini, 2003). Su ciò che il Governo intende realizzare, e quindi sull’attuazione del programma di governo, il Parlamento, infatti, svolge una delicata funzione di controllo (Lupo, 2007, p. 72). Si tratta di una funzione di vigilanza o sorveglianza (oversight) (Lippi, 2007, p. 89) sull’azione dell’esecutivo che necessita di un supporto tecnico conoscitivo propedeutico alla formulazione di giudizi empiricamente fondati. In questa direzione, la Corte dei conti, che in base all’art. 100 Cost. esercita la forma più significativa di “controllo successivo” sulla gestione del bilancio dello Stato, a partire dagli anni ’70, ha tentato di sperimentare, proprio in occasione della presentazione al Parlamento della relazione che accompagna il giudizio di parificazione sul Rendiconto generale dello Stato, forme di valutazione delle politiche per singoli comparti. E tuttavia, la scarsa attenzione politica e parlamentare verso il Rendiconto generale dello Stato, non ha consentito ulteriori sviluppi in questa direzione, 42 Sul collegamento tra valutazione delle politiche pubbliche e strategia si vedano Chelimsky (1989); Lindblom (1980); Wildavsky (1979). 473 Az.Pubb 3.09.indd 473 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:09 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi determinando una occasione mancata. Al fine di rafforzare questa fase di verifica e di riscontro dei risultati raggiunti, la legge finanziaria per il 2008 (43) ha stabilito che entro il 15 giugno di ogni anno, ogni Ministero debba trasmettere alle Camere, per l’esame delle competenti Commissioni, una relazione sullo stato della spesa dei rispettivi ministeri che dia conto dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione in relazione ai programmi e alle missioni realizzate. Le relazioni sullo stato della spesa, che contengono gli esiti delle attività di reporting compiute all’interno delle strutture ministeriali, divengono oggetto di riflessione ed esame parlamentare per verificare la coerenza delle attività svolte rispetto al programma di Governo sul quale il Parlamento ha dato il proprio consenso. Un’analisi complessiva della spesa delle amministrazioni pubbliche compiuta dalla Ragioneria generale dello Stato (44) secondo quanto stabilito dalla legge finanziaria per il 2008, (45) evidenzia ancora molte rigidità nella gestione del bilancio e un consistente scostamento tra stanziamenti iniziali e impegni. Tuttavia, la stessa analisi segnala anche una maggiore attenzione al processo di verifica a consuntivo attraverso la individuazione di obiettivi stabili negli anni e la selezione di indicatori adeguati alla misurazione dei servizi erogati o degli interventi realizzati. Una maggiore attenzione verso la fase di monitoraggio e di successiva valutazione delle politiche pubbliche si riflette anche e soprattutto nel momento della elaborazione del Rendiconto generale dello Stato. Anche in questa occasione, infatti, la stessa legge finanziaria, (46) ha previsto che la Corte dei conti, nella presentazione della relazione annuale al Parlamento sul Rendiconto generale dello Stato, esprima valutazioni di sua competenza sullo stato della spesa e sull’efficienza della pubbliche amministrazioni, tenendo conto della nuova classificazione del bilancio per missioni e per programmi. Si tratta dunque di prime sperimentazioni dalle quali occorrerebbe partire per formulare una strategia complessiva di valutazione delle politiche pubbliche in Parlamento. Analogamente a quanto sta facendo il Parlamento francese che, alla luce della più recente riforma costituzionale, ha voluto rafforzare la sua funzione di controllo e valutazione sull’operato del Governo. (47) 43 Art. 3, comma 68 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. 44 Cfr. Ministero dell’economia e della finanze, Rapporto sulla spesa della amministrazioni centrali dello Stato, 2009, disponibile sul sito www.tesoro.it. 45 Art. 3, comma 67 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. 46 Art. 3, commi 70 e 71 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. 47 LOI constitutionnelle n. 2008-724 du 23 juillet 2008. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 474 474 12-01-2010 16:35:10 Az.Pubb 3.09.indd 475 475 _____________ Indicatori di risultato intermedio (output) Consentono di quantificare il volume di attività svolto dall’amministrazione, anche se non esprimono i risultati di tale attività. Non vanno quindi confusi con gli indicatori di risultato intermedio (output). Non sempre infatti ad un aumento del volume di attività corrisponde un aumento di volume di output. __________________________________ è il volume dei prodotti e dei servizi erogati dall’amministrazione, non vanno confusi con gli indicatori di volume di attività. La misurazione degli output presenta criticità particolari nella pubblica amministrazione, essendo costituiti prevalentemente non da beni ma da servizi, per i quali, a differenza del settore privato, non si dispone nemmeno del prezzo di vendita come elemento di misurazione e valutazione. Rappresentano le risorse finanziarie, umane o strumentali di cui l’amministrazione dispone per svolgere i suoi compiti. Indicatori di input Indicatori di volume di attività Rappresentano i bisogni e le istanze dei portatori di interesse con cui interagisce l’amministrazione, una parte dei quali andranno a costituire un impegno che l’amministrazione cercherà di soddisfare. Possono essere indicatori qualitativi o quantitativi. Indicatori di bisogno COSA MISURANO Rappresentano il contesto di riferimento in cui si muove l’amministrazione, la misura dell’ambiente in cui essa va ad agire. (*) Indicatori di scenario TIPI DI INDICATORE Tabella 6 – Tipologia di indicatori EFFICACIA/EFFICIENZA _________________ Efficacia gestionale o sociale Possono essere utili per misurare l’efficacia gestionale In combinazione con gli indicatori di output o di outcome misurano l’efficienza gestionale In combinazione con gli indicatori di output o di out come misurano l’efficacia sociale -- ESEMPI Segue Esempi: • Il numero di pratiche “lavorate” indica il volume di attività, il numero di pratiche “licenziate” è l’output • Il numero di km percorsi dai mezzi pubblici è un indicatore di volume di attività, il tasso di utilizzo dei mezzi pubblici è un indicatore di output Numero di addetti ad una certa data, numero di uffici, dotazione di autovetture, HW, … Domanda di sicurezza, di integrazione, di a accoglienza, …. Incidenza della popolazione immigrata sul totale popolazione, tasso di disoccupazione, composizione della popolazione per fascia di età, … Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:10 COSA MISURANO Esprimono l’impatto che l’azione dell’amministrazione, insieme ad altri enti e a fattori esterni, produce sulla collettività (o sulla parte dei portatori di interesse della collettività – stakeholder – con cui interagisce l’amministrazione) e sull’ambiente. Tali indicatori sono i più difficili da calcolare, perché hanno bisogno di un orizzonte temporale medio-lungo e perché sono caratterizzati da forti interdipendenze con sistemi esterni: l’azione dell’amministrazione, infatti, è solo una delle determinanti dell’impatto complessivo generale (**) Indicano l’avanzamento della spesa prevista per la realizzazione dell’obiettivo o dell’intervento (input “finanziari”). Sono un indicatore di quella che può essere definita come efficacia di spesa. Esprimono il risultato intermedio – output – rapportato alle risorse umane o strumentali – input – o finanziarie impiegate per raggiungerlo. Sono i classici indicatori di efficienza. Esprimono il grado di avanzamento fisico dell’obiettivo o dell’intervento rispetto a quanto atteso. Possono essere misurati rispetto agli input, agli output o agli outcome. Sono un indicatore sintetico di efficacia gestionale. TIPI DI INDICATORE Indicatori di risultato finale o di impatto (outcome) Indicatori di realizzazione finanziaria Indicatori di risultato unitario Indicatori di realizzazione fisica Segue Tabella 6 Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 476 Efficacia gestionale Efficienza gestionale o finanziaria Efficacia finanziaria Servono, da soli o in combinazione con gli indicatori di bisogno, per misurare l’efficacia sociale EFFICACIA/EFFICIENZA Segue % di avanzamento dell’obiettivo rispetto ai risultati finali attesi espressi in termini di mezzi impiegati, beni e servizi prodotti o risultati attesi Numero di pratiche per impiegato; spese di manutenzione degli immobili per metro quadro % di avanzamento rispetto alla spesa prevista Numero di cittadini raggiunti da un nuovo servizio; riduzione % dei disservizi lamentati dalla cittadinanza; % di riduzione dei reati sul territorio; risultato di campagne innovative… ESEMPI Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi 476 12-01-2010 16:35:10 Az.Pubb 3.09.indd 477 477 EFFICACIA/EFFICIENZA Efficacia gestionale o Efficacia sociale Efficacia gestionale ESEMPI Grado di soddisfazione dell’utenza Evasione delle pratiche arretrate entro l’anno (si-no); apertura di nuovi sportelli al cittadino (si-no); … Note: (*) Circolare del Ministero dell’economia e della finanze, Dipartimento RGS, 28 aprile 2006, n. 18 e Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2007 e allegate Linee Guida. (**)Per misurare ad es. l’impatto di una campagna di informazione e di formazione per la prevenzione della obesità infantile svolta dal Ministero della salute occorrerebbe aspettare anni, raccogliere le informazioni e indagare il fenomeno per capire quanta parte del risultato è derivato da altri fattori esterni all’azione dell’amministrazione. Indicano il raggiungimento di certi risultati non misurabili in forma quantitativa ma su cui si può esprimere un generico giudizio qualitativo. Sono un indicatore estremamente semplificato delle efficacia gestionale o dell’efficacia sociale. Indicatori puramente qualitativi (alto/medio/basso) COSA MISURANO Indicano se sono stati raggiunti o meno certi risultati che ci si era premesso di raggiungere, in relazione ai quali non è possibile effettuare una misurazione quantitativa né esprimere un giudizio qualitativo. Sono un indicatore estremamente semplificato di efficacia gestionale. Indicatori binari (sì/no) TIPI DI INDICATORE Segue Tabella 6 Saggi Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:10 Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche Saggi Riferimenti bibliografici Aa.Vv. (1993), Le sentenze della Corte costituzionale e l’art. 81, u.c., della Costituzione, Milano: Giuffrè. Barbera A., Fusaro C. (2002), Corso di diritto pubblico, Bologna: Il Mulino. Barettoni Arleri (a cura di) (1989), Dizionario di contabilità pubblica, Milano. Borgonovi E. (2002), Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Milano: Egea. Borgonovi E., Canaletti F. (1998), Il nuovo bilancio dello Stato, Azienda pubblica, 3. Buscema S. (1985), “La riforma del bilancio dello Stato”, (relazione al Convegno Riforma del bilancio dello Stato, organizzato dall’ISLE, 5 giugno 1984), Rassegna Parlamentare, marzo, fasc. 1, pp. 83-102. Canaletti F. 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Barretta Professore associato presso il Dipartimento di Studi Aziendali e Sociali dell’Università degli Studi di Siena Patrizio Monfardini Professore a contratto presso il dipartimento di Studi Aziendali e Sociali dell’Università degli Studi di Siena Sommario: 1. Introduzione. 2. I vantaggi della rendicontazione sociale: analisi della dottrina. 3. L’analisi empirica sull’Asl Alfa. 4. Discussioni e conclusioni. In Italia, numerose aziende e amministrazioni pubbliche, tra cui quelle sanitarie, fanno ricorso a nuove forme di rendicontazione dei risultati, tra le quali il bilancio sociale rappresenta senza dubbio lo strumento più diffuso e studiato. Sebbene non manchino studi sul bilancio sociale redatto dalle aziende sanitarie pubbliche, l’effettivo ruolo riconosciuto a tale strumento e l’esistenza nella realtà dei vantaggi che la dottrina gli attribuisce appaiono poco indagati. Mediante un approccio di ricerca multi-metodo, il presente contributo offre un’analisi approfondita di una significativa esperienza di rendicontazione sociale di un’azienda sanitaria locale per comprendere il concreto utilizzo del bilancio sociale da parte dei principali portatori di interessi interni ed esterni e la capacità di questo di offrire i vantaggi sia di rendicontazione che gestionali attribuitigli dalla dottrina. In the last few years many public sector organisations in Italy, including health care trusts, have begun to adopt new forms of reporting their results, among which Social Reports are without doubt the most widely used and studied. Although several authors have analysed Social Reports produced by health care organisations, full comprehension of their effective role and capacity to achieve the advantages attributed to them by the literature is still lacking. Following a multiple methods approach, this article offers an in-depth analysis of an important of Social Report drafted by a local health care trust, with the aim of clarifying the real motivations for drafting it and testing its capacity to deliver the advantages attributed to it. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno - Università degli Studi del Sannio, giugno 2008 Sebbene il presente contributo sia frutto di una ricerca congiunta, sono da attribuire ad Antonio D. Barretta i §§ 1, 4 e la parte della metodologia della ricerca inclusa nel § 3. A Patrizio Monfardini sono riferibili il § 2 e le restanti parti del § 3 Parole chiave: bilancio sociale – case study – azienda sanitaria locale Key words: social statement – case study – local health-care trust 481 Az.Pubb 3.09.indd 481 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:10 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità 1. Introduzione In Italia, le aziende e le amministrazioni pubbliche fanno sempre più ricorso a nuove forme di rendicontazione dei risultati aziendali (Guarini, 2002; Hinna, 2004; Marcuccio, Steccolini, 2005). In particolare, fra le forme emergenti, il bilancio sociale (BS) sembra essere lo strumento più diffuso (Farneti, Pozzoli, 2005). Il BS, analogamente agli altri strumenti di rendicontazione sociale, è solitamente considerato un documento dalle numerose potenzialità di carattere sia informativo che gestionale. La letteratura si è soffermata sui vantaggi derivanti dall’adozione di strumenti di rendicontazione sociale (Tanese, 2004; Rogate, Tarquini, 2004; Mazzoleni, 2005). Al BS si attribuisce la capacità non solo di ridurre il gap comunicativo fra pubblica amministrazione e collettività, ma anche di rendere conto sulle molteplici dimensioni della performance maggiormente significative per le organizzazioni operanti in ambito pubblico, in particolare quella sociale (Bartocci, 2003; Hinna, 2004). Inoltre, in prospettiva manageriale interna il BS può essere impiegato per esplicitare la strategia aziendale giustificando le decisioni assunte e rafforzando il senso di appartenenza (Bartocci, 2003; Tanese, 2004). Sebbene non manchino studi sul BS redatto dalle aziende sanitarie pubbliche (Vagnoni, 2001; Alesani et al., 2005; Borgonovi, 2005; Alesani et al., 2006; Luison et al., 2007; Tieghi, Gigli, 2007), tuttavia, l’effettiva capacità di tale strumento di raggiungere i vantaggi che gli vengono riconosciuti dalla letteratura costituisce una tematica poco indagata. Lo studio del ruolo assegnato e dell’uso fatto del BS nelle aziende sanitarie risulta interessante sia per la rilevanza sociale della loro operatività che per le numerose criticità ascrivibili ai processi di rendicontazione tradizionale impiegati in tali organizzazioni (riguardo a queste ultime si vedano Anessi Pessina, 2002 e Ellwood, 2006) che gli strumenti di rendicontazione sociale dovrebbero consentire di superare. Il presente studio si basa su un’analisi approfondita di una significativa esperienza di BS condotta da un’azienda sanitaria locale (Asl) che denomineremo Alfa, per garantirne l’anonimato. Alfa è una delle aziende sanitarie pubbliche italiane che da più anni redige continuativamente il BS. Oltre che per la longevità dell’esperienza, il caso in oggetto è stato selezionato perché il BS dell’Asl Alfa risulta particolarmente curato nei contenuti tanto che per questo motivo è stato premiato in competizioni di livello nazionale. Per tali motivi, l’esperienza di rendicontazione sociale scelta rappresenta, adottando la denominazione di Yin (1994, p. 38), un critical case, ovvero, in essa ricorrono due delle più importanti circostanze identificate in dottrina affinché il BS possa essere impiegato e produrre effetti significativi: la longevità e la presenza di contenuti curati. Infatti, secondo Hinna (2004) un’esperienza di rendicontazione longeva ha superato l’effetto “moda” e appare, pertanto, più consolidata. Reiterando nel tempo i processi di rendicontazione si generano risparmi di costi, incremento di esperienza Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 482 482 12-01-2010 16:35:10 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità e miglioramento nella legittimazione (Tanese, 2004). Con riferimento agli aspetti inerenti al contenuto, un BS curato e leggibile è più probabile che venga utilizzato (Tanese, 2004; Rogate, Tarquini, 2004). Lo studio ha fatto ricorso a un approccio di ricerca multi-metodo in quanto è ricorso sia alla tecnica delle interviste semi-strutturate che a quella dei focus group di feed-back. La presente ricerca si è posta l’obiettivo di verificare la reale capacità di un’esperienza di rendicontazione consolidata e curata di raggiungere le finalità ad essa attribuite dalla letteratura, ovvero, migliorare l’accountability nei confronti dei diversi stakeholder e accrescere, all’interno dell’organizzazione, la consapevolezza della mission aziendale e della sua declinazione in strategie e piani operativi. Tale obiettivo è stato perseguito mediante lo studio del concreto utilizzo del BS da parte dei portatori di interessi sia interni che esterni all’azienda considerata. Nel prosieguo si presenterà un breve excursus dei contributi in tema di rendicontazione sociale con particolare attenzione ai vantaggi che questi attribuiscono all’adozione del BS. Nel paragrafo tre si presenterà l’analisi empirica riguardante il caso dell’azienda Alfa. Infine, il lavoro si chiuderà con la discussione critica sulle evidenze emerse dal caso di studio. 2. I vantaggi della rendicontazione sociale: analisi della dottrina Da quasi un trentennio, il tema della rendicontazione sociale delle aziende viene ampiamente dibattuto dalla dottrina, per mezzo di contributi di carattere teorico-normativo e indagini empiriche (Ingram, 1978; Ullmann, 1985; Tinker et al., 1991; Gray et al., 1995, Mathews, 1997, Parker 2002; Guthrie, Abeseykera, 2006; Spence, 2007). La dottrina ha cercato di motivare il diffondersi di queste pratiche, spesso non imposte da alcun vincolo normativo, facendo riferimento ai vantaggi cui dovrebbero condurre (O’Dwyer, 2002; Tanese, 2004; Farneti, Guthrie, 2008). Questi ultimi riguardano non soltanto l’ambito della comunicazione aziendale nei confronti dei diversi portatori di interesse, ma anche il profilo gestionale interno (Rogate, Tarquini, 2004). Con riferimento al primo, la rendicontazione sociale costituisce innanzitutto la risposta ad un’esigenza di accountability che le aziende avvertono nei confronti di tutti i loro portatori di interessi (Gray et al. 1988; Mathews, 1997; Gray et al., 1997; Burritt, Welsch, 1997a e 1997b; Adams, 2002; Parker, 2002; Deegan, 2002; Guarini, 2002; Farneti, Pozzoli, 2005; Mattei et al., 2007). Tale necessità di rendere conto consegue da obblighi di natura morale per i quali la preoccupazione per le conseguenze dei comportamenti aziendali sull’ambiente e la società in genere devono essere attentamente analizzati e giustificati (Lehman, 1995 e 2001). Altri studiosi rilevano, inoltre, l’inadeguatezza della tradizionale rendicontazione economico-finanziaria a rappresentare le performance di natura sociale che necessitano di misure 483 Az.Pubb 3.09.indd 483 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:10 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità e strumenti ad hoc (Gray, 1992 e 2005; Burritt, Welsch, 1997a; Guthrie et al., 2005). Inoltre, le pratiche di rendicontazione sociale consentono di avere una migliore gestione del rapporto tra l’azienda e i suoi stakeholder (Guthrie-Parker, 1990; Livesey, Kearins, 2002; Tanese, 2004). In particolare, il BS costituisce un utile strumento di partecipazione ai processi decisionali (Bartocci, 2003; Mazzoleni, 2005). Secondo la prospettiva gestionale interna, la rendicontazione sociale permette agli stakeholder interni all’azienda di comprendere la mission aziendale e la sua declinazione in strategie e piani operativi (Giusepponi, 2003; Bartocci, 2003; Hinna, 2004). Ciò contribuisce da un lato ad accrescere la consapevolezza di quali siano gli obiettivi e le finalità dell’azione amministrativa all’interno dell’azienda pubblica, e dall’altro a sviluppare un senso di appartenenza all’organizzazione di appartenenza (Tanese, 2004). I vantaggi della rendicontazione sociale cui si è fatto riferimento acquistano un significato particolare in ambito pubblico. In tale contesto, la relazione con i portatori di interesse, soprattutto quando rappresentati dalla collettività amministrata, risente della rilevanza democratica del rapporto medesimo e la necessità di gestione del rapporto con gli stakeholder si accentua per il fatto che si tratta di organizzazioni ad elevato impatto sociale, strutturalmente costruite sul pubblico consenso (Gibson, Guthrie, 1995; Burritt, Welsch, 1997a e 1997b; Frost, Seamer, 2002). Anche le aziende sanitarie pubbliche negli ultimi anni hanno iniziato a sperimentare pratiche di rendicontazione extra-contabile. Sulla scorta di tale diffusione, la dottrina, ritenendo i vantaggi della rendicontazione sociale in ambito sanitario simili a quelli tipici di altri contesti pubblici, ha trattato sia dei modelli di BS applicati dalla prassi (Alesani et al., 2005; Alesani et al., 2006; Lazzini et al., 2007; Gigli, 2007; Luison et al., 2007) che del contenuto dei documenti di rendicontazione sociale più adatti all’ambito delle aziende sanitarie pubbliche (Van Peursem et al., 1995; Van Peursem, 1999; Vagnoni, 2001; Borgonovi, 2005; Wynn, Williams, 2005). Il presente lavoro intende indagare il tema della rendicontazione sociale nell’ambito delle aziende sanitarie pubbliche da un punto di vista ad oggi poco considerato dalla dottrina. Da un lato, infatti, si ripromette di comprendere il ruolo assegnato a tali strumenti sia da coloro che li predispongono che dai destinatari e, dall’altro, si prefigge di approfondire quale sia la capacità dei documenti di rendicontazione sociale di raggiungere i vantaggi attribuitigli dalla dottrina nei confronti dei destinatari interni ed esterni all’azienda considerata. Infatti, a fronte delle accennate valenze attribuite agli strumenti di rendicontazione sociale, mancano studi empirici inerenti al loro effettivo impiego, nonché, evidenze sugli eventuali benefici che la rendicontazione sociale dovrebbe consentire di ottenere (Guthrie et al., 1995; Guthrie, Abeysekera, 2006; Spence, 2007). Dai risultati di tale indagine possono desumersi considerazioni sia di carattere teorico che operativo. Da un lato, infatti, il presente lavoro fornisce un contributo per chiarire se Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 484 484 12-01-2010 16:35:10 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità il BS e gli altri strumenti di rendicontazione sociale, oggi assai di moda sia nel dibattito teorico che nella prassi, possano rappresentare una pratica in grado di durare nel tempo, perché utile ai destinatari delle informazioni. In secondo luogo, le eventuali criticità in termini di disallineamento tra le aspettative degli stakeholder interni ed esterni e l’apporto offerto dal documento redatto che l’analisi mettesse in evidenza, potrebbero costituire spunto per indicazioni a carattere normativo volte al miglioramento delle pratiche di redazione e di diffusione dei documenti di rendicontazione sociale. 3. L’analisi empirica sull’Asl Alfa In questo paragrafo verranno presentati i risultati dell’analisi empirica avente ad oggetto l’Asl Alfa. Questi verranno preceduti da una breve descrizione delle caratteristiche generali dell’Asl Alfa, da un’illustrazione della metodologia adottata nella ricerca e da una sintetica panoramica sull’evoluzione dei contenuti del BS dell’Asl Alfa. Infine, facendo riferimento al materiale raccolto durante delle interviste semi-strutturate e un focus group, approfondiremo ruolo, finalità, destinatari e uso del BS oggetto di questa analisi. Le prime tre prospettive accennate consentono di comprendere il livello di consapevolezza dei diversi portatori di interesse rispetto allo strumento oggetto di indagine. La capacità di questo di conseguire i vantaggi che gli vengono attribuiti dipende, all’interno di uno specifico contesto, da un lato dalla conoscenza che ne hanno i suoi destinatari e dall’altro dalla chiarezza con cui questo viene costruito rispetto alle sue finalità. Infine, mediante la quarta prospettiva di indagine si può comprendere se e in che misura il BS può raggiungere gli scopi per i quali è stato predisposto. L’Asl Alfa: caratteristiche aziendali e di contesto L’Asl Alfa, il cui finanziamento regionale di oltre un miliardo di euro rappresenta circa un quarto del fondo sanitario regionale, costituisce l’azienda sanitaria locale di maggiori dimensioni della regione di appartenenza. L’azienda impiega quasi 7.000 dipendenti e dispone di oltre 800 medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. La popolazione assistita è di circa 850.000 cittadini. L’Asl Alfa gestisce 6 presidi ospedalieri che dispongono complessivamente di circa 1.100 posti-letto. Opera su un territorio vasto su cui insistono oltre trenta comuni. In tutte le zone-distretto in cui si articola il territorio di appartenenza sono stati costituiti dei consorzi cui partecipa oltre l’Asl Alfa i comuni delle diverse zone. La finalità di tali consorzi è la promozione dell’integrazione socio-sanitaria per mezzo della programmazione congiunta delle attività sociali, sanitarie e socio-sanitarie da realizzarsi per migliorare le condizioni di salute dei cittadini. L’Asl Alfa fa parte di un network di altre aziende sanitarie pubbliche la cui costituzione è stata voluta dall’amministrazione regionale di appartenenza. Scopo del network in oggetto è quello di promuovere iniziative di collaborazione 485 Az.Pubb 3.09.indd 485 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:10 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità interorganizzativa che consentano razionalizzazioni nell’utilizzo delle risorse e un miglioramento delle performance di efficacia. L’entità del finanziamento regionale, la numerosità dei soggetti assistiti, l’ingente numero di dipendenti e soggetti convenzionati, i complessi e numerosi rapporti interorganizzativi siglati in accordi formalizzati con altre aziende sanitarie pubbliche e con i comuni che insistono nel territorio di competenza dell’Asl Alfa necessitano di continui e complessi flussi informativi da e verso l’azienda con vari stakeholder. Anche per tali caratteristiche aziendali e di contesto il caso di studio scelto appare adatto ad approfondire l’oggetto di studio di questo contributo. La metodologia della ricerca L’analisi empirica è stata realizzata mediante interviste non strutturate rivolte sia a stakeholder interni che esterni dell’Asl Alfa. Nel primo gruppo sono stati intervisti 14 soggetti fra cui il direttore generale, il direttore amministrativo, il direttore sanitario, coloro i quali operano nell’unità operativa responsabile della predisposizione del BS e 8 direttori di dipartimento. I soggetti interpellati sono le persone che hanno fortemente voluto l’introduzione del BS (nella fattispecie il top management) e alcuni dei responsabili di strutture organizzative coinvolti nella sua redazione. Fra i portatori di interessi esterni sono stati intervistati 7 soggetti fra cui 2 esponenti dell’amministrazione regionale, il presidente di un’associazione di volontariato, il direttore di un’organizzazione partner dell’Asl Alfa nell’erogazione dei servizi sociosanitari e 3 fornitori. Gli intervistati sono stati identificati richiedendo la disponibilità per un colloquio a tutti i soggetti esterni cui l’azienda invia il BS e con i quali ha relazioni frequenti. Per un maggior dettaglio delle figure intervistate si rimanda all’allegato 1 di questo scritto. Le interviste sono state realizzate impiegando dei questionari-traccia riportati nell’allegato 2. Sebbene, i questionari-traccia utilizzati fossero differenziati per tipologia di soggetto intervistato, ovvero tra stakeholder interni ed esterni, tuttavia, presentavano una comune strutturazione. Infatti, le sezioni principali in cui è possibile suddividere i quesiti inerenti al BS attengono alla funzione del documento, alle motivazioni per la sua redazione, all’identificazione dei principali destinatari e al suo utilizzo. Le interviste si sono svolte fra il 9 luglio 2007 e il 15 dicembre 2007. Queste sono state realizzate tutte nella sede di lavoro degli intervistati. L’intervista è stata gestita in modo tale da garantire la massima libertà di espressione all’intervistato. Ciò è stato garantito riducendo al massimo le interruzioni dell’intervistatore ed evitando di ripercorrere rigorosamente l’ordine degli argomenti contenuti nel questionario-traccia laddove l’intervistato seguiva un suo percorso logico che comunque toccava tutti gli argomenti da affrontare. Tutte le interviste sono state trascritte e indicizzate, ovvero, organizzate per tematiche rilevanti. Complessivamente le informazioni raccolte tramite le interviste (della durata complessiva di 20 ore circa) coAzienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 486 486 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità struiscono una base dati di 50.000 parole. Poiché, come noto, il principale limite dei questionari con domanda aperta è costituito dal fatto che non si può procedere ad un’immediata analisi quantitativa delle risposte, a causa della loro disomogeneità, si è proceduto a classificarle entro uno schema standardizzato. In altre parole, si è costruita la cosiddetta matrice-dati la quale consente la codificazione delle risposte, ovvero, le classifica in un numero limitato di categorie (Corbetta, 1999). Il risultato del processo di codificazione menzionato ha consentito di proporre, per le domande più rilevanti, delle sintesi delle risposte fornite dagli intervistati (si vedano le tabelle da 1 a 3). Il 6 marzo 2008, mediante la tecnica del focus group di feedback (Bloor et al., 2001) i risultati preliminari dell’indagine sono stati presentati ad un gruppo costituito da un campione di intervistati al fine di verificare la qualità dei risultati ottenuti e di ottenere elementi interpretativi aggiuntivi. Costruzione ed evoluzione del BS nell’Asl Alfa L’Asl Alfa redige il BS ininterrottamente dal 2003, rappresentando, quindi, uno tra gli esempi più longevi nel panorama italiano. Il documento ha subito nel corso degli anni un’evoluzione sia con riferimento ai suoi contenuti che rispetto alla forma e allo stesso processo di redazione. Dalla prima sperimentazione, infatti, il contenuto è stato progressivamente ampliato e poi successivamente focalizzato sui diversi portatori di interesse. L’ultima edizione riferita al 2005 e pubblicata nel 2006 è un documento abbastanza corposo in termini di pagine (più di 160), in cui a tutte le principali subunità organizzative è stato fornito spazio per descrivere brevemente i propri risultati e attività. Il BS 2005 è corredato da sezioni che riguardano l’azienda nella sua interezza, con particolare riferimento al suo capitale intellettuale, alla performance economica e ai progetti speciali portati avanti nell’ambito della responsabilità sociale. Il rendiconto delle attività svolte è organizzato in modo da richiamare le fasi della vita di ogni individuo così da enfatizzare il ruolo dell’Asl dalla nascita di ogni persona fino alla terza età. L’ufficio Progetti speciali, inserito nell’area Amministrazione e finanza è responsabile della raccolta delle informazioni e dell’elaborazione del documento. La predisposizione del BS avviene per mezzo di una logica partecipata che coinvolge i vertici delle strutture (denominate Dipartimenti) nella redazione dei paragrafi riguardanti le attività e i risultati raggiunti da ognuno di loro. Tale coinvolgimento prevede l’invio a tutte le strutture di una scheda da compilare al fine di rendere sufficientemente omogenei i contenuti inerenti alle diverse strutture interne. Inoltre, è previsto il coinvolgimento del Comitato di partecipazione, espressione delle principali organizzazioni e associazioni di volontariato e più in generale del terzo settore, a cui viene presentato il documento prima della sua definitiva approvazione per consentirne modifiche e integrazioni. Il Comitato di partecipazione prende parte ai processi decisionali aziendali per il miglioramento dei servizi all’utenza e 487 Az.Pubb 3.09.indd 487 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità svolge un ruolo di tutela degli interessi dei cittadini. Il processo di redazione risulta pertanto aperto sia alla partecipazione da parte dei responsabili delle strutture della Asl, ai quali è richiesto lo sforzo di raccolta e predisposizione delle informazioni da rendicontare, sia ai commenti e alle integrazioni proposte dagli stakeholder esterni riuniti nel Comitato di partecipazione. La condivisione del documento, facilitata dalle procedure appena descritte è coerente con quanto suggerito sia dagli standard di rendicontazione che dalla letteratura (Rogate, Tarquini, 2004). Il BS è stato redatto avendo come riferimenti metodologici gli standard italiani del Gruppo di studio per il bilancio sociale e la Direttiva sulla rendicontazione sociale nelle amministrazioni pubbliche (Linee guida del Ministero per la funzione pubblica del 16 marzo 2006). La principale novità dell’ultima edizione è stata la pubblicazione di due versioni del BS differenti per ampiezza e forma. Al tradizionale volume stampato in più di duemila copie e disponibile sul sito web dell’Asl, è stata associata una brochure (stampata in circa ventimila copie) con l’intento di diffondere i principali dati del BS. Inoltre, la pubblicazione del BS è stata resa nota attraverso l’affissione di manifesti informativi in tutta l’area di competenza dell’Asl Alfa. Quasi un centinaio di copie del volume sono state inviate a soggetti indicati come “VIP” ma scarsamente collegati all’attività dell’Asl Alfa (ad esempio, presidenti e amministratori delegati delle principali imprese industriali italiane che non possiedono alcun rapporto economico con l’azienda). Il BS 2005 è stato premiato come miglior progetto di rendicontazione sociale nell’ambito di un’importante manifestazione nazionale. Il BS dell’Asl Alfa Lo studio del caso dell’Asl Alfa è strutturato in quattro sezioni. La prima sezione ha ad oggetto la visione del BS degli intervistati, la seconda indaga le motivazioni della redazione del BS, nella terza si analizzano i destinatari del documento e, infine, nella quarta sezione il focus è posto sull’utilizzo che gli intervistati dichiarano di fare del BS dell’Asl Alfa. Il livello di conoscenza del BS La prima domanda posta agli intervistati ha inteso indagare il grado di conoscenza dello strumento del BS. Per molti soggetti, sia interni che esterni all’azienda, l’introduzione del BS nell’Asl Alfa ha rappresentato l’unica esperienza di contatto con tale strumento. L’analisi delle risposte fornite evidenzia rilevanti differenze tra i soggetti intervistati, sintomo di una disomogeneità di preparazione sul tema. Se da un lato i vertici dell’azienda e la struttura amministrativa interna responsabile della redazione del BS (vertici aziendali e Ufficio progetti speciali) dimostrano di possederne un’approfondita conoscenza teorica e pratica, Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 488 488 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità dall’altro lato gli altri intervistati, sia interni che esterni all’azienda, ne hanno un’idea vaga e confusa, che li induce, talvolta, a confondere il BS con il bilancio d’esercizio. Tra coloro che non sono stati in grado di fornire una definizione chiara e compiuta del BS rientrano anche alcuni responsabili dei dipartimenti sanitari coinvolti nel processo di redazione del documento in quanto incaricati di fornire annualmente le informazioni utili a descrivere l’operatività della subunità organizzativa che dirigono. La concezione di BS prevalente nel primo gruppo di intervistati (vertici aziendali e Ufficio progetti speciali) è quella di uno strumento di comunicazione non limitato alla componente economico-finanziaria. La frase che segue, appartenente ad un componente della direzione aziendale, ben sintetizza tale visione: “[il BS è] strumento di conoscenza dell’azienda non tanto per gli aspetti economico finanziari ma per quelli di gestione interna. [Il BS] pone in rilievo le esperienze fatte nel corso di quell’anno piuttosto che nell’anno successivo e così via […] Io lo vedo come l’azienda che si apre a farsi conoscere all’esterno anche per gli aspetti più legati al lavoro, alle metodologie […] alla soluzione dei problemi, un passo in avanti verso la trasparenza” (DSS). L’idea di BS prevalente nel secondo gruppo di intervistati è quella di uno strumento di comunicazione di cui però si forniscono definizioni molto meno precise quando non addirittura confuse. “Per me il bilancio sociale è una serie di numeri che magari per me sono male interpretabili […] Come idea per me il bilancio mette a confronto le entrate con le uscite” (DD2) “Credo che sia una sintesi del lavoro svolto” (SE5) “Io di bilancio conosco quello economico” (DD4) L’assoluta mancanza di formazione sul tema della rendicontazione sociale in generale e del BS in particolare, emersa chiaramente in tutte le interviste, potrebbe spiegare sia l’incertezza nell’offrire chiare definizioni del BS che il fraintendimento con altri documenti di rendicontazione contabile. Anche tutti i soggetti esterni intervistati hanno confermato di non aver mai ricevuto in generale e dall’Asl Alfa in particolare, alcuna formazione sul BS. Pertanto, il basso livello di consapevolezza dello strumento e delle sue potenzialità sembra costituire una delle cause per cui il BS in esame non ha avuto la possibilità di esprimere il suo ruolo. Le finalità della redazione del BS Dalle interviste è emerso che l’azienda Alfa redige il BS per ottenere due 489 Az.Pubb 3.09.indd 489 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità scopi principali, ovvero, rendere conto ad un novero più ampio di portatori di interessi (accountability) e gestire i rapporti tra l’azienda e i suoi stakeholder prestando maggiore attenzione ai profili di reputazione. Entrambi sono riferibili alla prospettiva esterna menzionata in precedenza. Non emerge dalle interviste una specifica attenzione alla capacità informativa interna né ai possibili benefici di carattere manageriale che la dottrina attribuisce al BS. Tuttavia, le risposte fornite a questa sezione del questionario hanno evidenziato una diversità di vedute tra i soggetti che hanno voluto il BS o che ne sono responsabili della redazione, rispetto ai soggetti esterni all’azienda e a coloro che, seppure appartenenti all’organizzazione, sono stati coinvolti solo parzialmente nella predisposizione. Tabella 1 – Finalità della redazione del BS Per quali finalità il BS viene redatto? Vertici aziendali Direttori di dipartimento Ufficio progetti speciali Stakeholder esterni Totale FA FR FA FR FA FR FA FR FA FR Accountability 2 (50%) 2 (28%) 2 (67%) 2 (28%) 8 (38%) Reputazione 1 (25%) 3 (43%) 0 (0%) 3 (43%) 7 (34%) Entrambi 1 (25%) 0 (0%) 1 (33%) 1 (15%) 3 (14%) Non risponde 0 (0%) 2 (28%) 0 (0%) 1 (15%) 3 (14%) 4 (100%) 7 (100%) 3 (100%) 7 (100%) 21 (100%) Totale FA: frequenze assolute FR: frequenze relative Come mostra la tabella 1, i soggetti che hanno voluto il BS o che sono responsabili della sua redazione dichiarano che tale documento è stato redatto per fini di accountability nei confronti soprattutto degli utenti. Ciò risponde all’esigenza morale di trasparenza verso i destinatari principali dell’attività di un’azienda sanitaria che opera utilizzando un significativo ammontare di risorse pubbliche. In particolare, il 50% dei componenti il vertice della Asl e il 67% degli intervistati dell’Ufficio progetti speciali considera l’accountability il fine principale che motiva la redazione del BS. I direttori di dipartimento e gli stakeholder esterni appaiono più propensi a ritenere che il BS dell’azienda costituisca uno strumento di marketing che può mostrare anche informazioni e dati di ridotta affidabilità ma di sicuro impatto in termini di reputazione. La tabella 1 evidenzia che per il 43% sia dei direttori di dipartimento intervistati che per gli stakeholder esterni è la gestione del profilo reputazionale, ovvero dell’immagine aziendale, il fine prevalente del BS dell’Asl Alfa. Tale posizione è ben rappresentata dalla seguente affermazione: Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 490 490 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità “La prima ragione per cui si fa il BS è per l’immagine all’esterno” (SE2) Tutti i soggetti interni dichiarano che il BS è stato redatto per espressa volontà del Direttore generale e che a tale figura si deve l’introduzione di tale documento. “Il direttore generale, fin dall’inizio, è stato un grande sostenitore dell’idea del bilancio sociale. Perché è partita, come dappertutto, in tutti gli enti, in tutte le aziende, dal niente. […] Il direttore generale appoggiò subito questa cosa, quindi il suo sostegno c’è sempre stato, anzi, negli anni è cresciuto” (SI2) “L’impulso a questo cambiamento viene dal direttore generale […] Io mi sono accodato quando sono arrivato” (DA) La scarsa confidenza con il BS dimostrata dal personale sanitario intervistato non solo implica una minore percezione di utilità dello strumento ma anche una serie di critiche allo stesso e al modo in cui è stato predisposto. In tal senso, la seguente affermazione di uno degli intervistati appare significativa: “Per bilancio sociale si intende quel libro che ci viene consegnato ogni anno con grandi cerimonie da parte del direttore generale e che noi lasciamo sul comodino? È quello il bilancio sociale?” (DD6) Dalle interviste emerge dunque la predominante vocazione esterna dello strumento. Inoltre, la rendicontazione sociale dell’azienda appare essere motivata da ragioni di natura morale ma anche dalla necessità di accrescere la reputazione aziendale. I destinatari del BS Una larga maggioranza degli intervistati sia interni che esterni all’Asl Alfa ritiene che il BS sia in prevalenza rivolto a soggetti esterni all’azienda sanitaria piuttosto che alle strutture organizzative che la compongono. Tuttavia, come mostra la tabella 2, ci sono alcune differenze di vedute (cfr. tabella 2). Il 50% dei componenti il vertice aziendale considera il BS strumento di comunicazione universale e, pertanto, destinato a tutti gli stakeholder sia interni che esterni all’azienda. “È fondamentale che noi, in varie forme, riusciamo a comunicare a tutti gli stakeholder cosa si fa e, quindi, che si rendiconti come si spendono i soldi dei contribuenti e ciò non solo agli organi istituzionali, ma un po’ a tutti. Poi, alle singole categorie, e quindi i dipendenti, le associazioni, 491 Az.Pubb 3.09.indd 491 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità Tabella 2 – Destinatari del BS Chi sono i destinatari del BS? Vertici aziendali Direttori di dipartimento Ufficio progetti speciali Stakeholder esterni Totale FA FR FA FR FA FR FA FR FA FR Esterni alla Asl 2 (50%) 5 (70%) 0 (0%) 3 (43%) 10 (48%) Interni alla Asl 0 (0%) 1 (15%) 0 (0%) 0 (0%) 1 (5%) Entrambi 2 (50%) 1 (15%) 2 (67%) 2 (28%) 7 (34%) Non risponde 0 (0%) 0 (0%) 1 (33%) 2 (28%) 3 (14%) 4 (100%) 7 (100%) 3 (100%) 7 (100%) 21 (100%) Totale i malati, rappresentati o da se stessi o dalle loro associazioni, i comuni, i fornitori…” (DG) Similmente due componenti su tre dell’Ufficio progetti speciali sono della stessa opinione. Solo il 28% degli stakeholder esterni considera il BS rivolto sia a soggetti interni che esterni. Alcuni soggetti esterni intervistati hanno precisato che il destinatario del BS è costituito dagli interlocutori appartenenti alle associazioni di rappresentanza dei cittadini che possiedono un adeguato livello di conoscenza delle attività di un’Asl. Il singolo cittadino viene considerato non interessato né in grado di apprezzare la ricchezza di informazioni contenute nel BS. “Non è per il cittadino normale… questo (il BS) è per i gruppi organizzati, voglio dire è per le associazioni” (DS) La percezione abbastanza diffusa tra i soggetti esterni intervistati che lo strumento sia adatto per contenuti e linguaggio più alle organizzazioni e alle associazioni che ai singoli cittadini appare non allineata all’idea di BS come strumento di comunicazione universale della Direzione aziendale. La ragione per cui diversi intervistati non considerano il BS uno strumento di comunicazione valido per un vasto pubblico è connessa con la dimensione del documento, i contenuti tecnici e il linguaggio specialistico in esso contenuti. “Questo è un bilancio sociale molto lungo […] Se vogliamo aprirlo ai cittadini allora deve essere fatto alla stessa stregua dei settimanali, dei giornali […] Insomma in modo più divulgativo […] bisogna cercare di confezionare cose che escano dall’ambiente tecnico” (DD4) Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 492 492 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità La critica che emerge nasce, come abbiamo avuto modo di segnalare in precedenza, anche dalla percezione dell’assenza di un destinatario condiviso per il BS. In questo senso gli intervistati avvertono un certo livello di autoreferenzialità dello strumento che li allontana dall’utilizzo dello stesso. La scelta dell’Asl Alfa di predisporre anche una versione breve del BS può essere letta nell’ottica di fornire informazioni differenziate ai vari interlocutori fornendo un dettaglio e un livello di complessità comunicativa più rispondenti alle competenze e aspettative dei destinatari. Utilizzo del BS e analisi dei vantaggi della rendicontazione sociale La maggior parte degli intervistati, sia interni che esterni all’azienda, ha dichiarato di non utilizzare il BS. Una ristretta minoranza ha sostenuto di utilizzarlo soltanto in maniera episodica. La tabella 3 mostra le frequenze delle risposte a tale quesito. Tabella 3 – Utilizzo del BS Utilizza il BS? Vertici aziendali Direttori di dipartimento Ufficio progetti speciali Stakeholder esterni Totale FA FR FA FR FA FR FA FR FA FR Sì 0 (0%) 1 (15%) 0 (0%) 1 (15%) 2 (10%) No 2 (50%) 5 (70%) 1 (33%) 6 (85%) 14 (67%) Non risponde Totale 2 (50%) 1 (15%) 2 (67%) 0 (0%) 5 (24%) 4 (100%) 7 (100%) 3 (100%) 7 (100%) 21 (100%) Il 67% del totale degli intervistati afferma di non utilizzare il BS, mentre soltanto il 10% (ovvero 2 soggetti su 21) dichiarano di farne uso nella propria attività lavorativa. Come testimonia la frase che segue, che ben rappresenta il pensiero di numerosi intervistati, i soggetti interni hanno, spesso, dimostrato un atteggiamento di indifferenza verso lo strumento. “Io l’ho messo lì come quando le banche danno quei bei libri di arte” (DD2). Il mancato utilizzo degli stakeholder interni dello strumento è stato motivato dagli stessi per mezzo del convincimento che il BS sia destinato all’esterno. Allo stesso tempo, altri intervistati interni dichiarano che molte delle informazioni che questo contiene sono ottenibili, qualora di interesse, in 493 Az.Pubb 3.09.indd 493 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità modo ancora più tempestivo, attraverso il sistema di controllo di gestione dell’azienda. La fase seguente del direttore sanitario illustra chiaramente il rapporto esistente tra il sistema di controllo di gestione e il BS: “I dati che io metto nel bilancio sociale sono i dati che io ho nel monitoraggio mensile, per cui non ho bisogno del bilancio sociale […] Mensilmente con i capi dipartimento mi ritrovo, si riguarda l’attività, si riguardano i costi quindi io ho già l’andamento” (DS) Anche la maggior parte degli stakeholder esterni hanno dichiarato di non usarlo per acquisire informazioni riguardanti l’azienda preferendo ricorrere invece ai canali diretti rappresentati dal personale dell’Asl. “Non lo utilizzo, per i miei rapporti con l’Asl faccio riferimento a conoscenze interne che ho” (SE6) Il mancato o molto limitato utilizzo del BS ne inibisce le potenzialità con riferimento ai vantaggi espressi in precedenza, dal momento che se il documento non viene letto difficilmente può soddisfare il fabbisogno di informazioni interno ed esterno. Similmente, appare dalle interviste che il sistema di programmazione e controllo interno sia sufficientemente in grado di fornire informazioni agli operatori. Traspare infine qualche riserva sull’affidabilità delle informazioni contenute nel BS. “Sono venuti fuori lì nel bilancio sociale certi dati che noi a volte avevamo difficoltà a trovare, si vede che all’interno dell’azienda il sistema li ha costruiti per farli vedere” (SE7) “Ci sono delle differenze tra la realtà tecnica descritta dal BS e quella reale” (SE5) 4. Discussione e conclusioni Dalla precedente analisi empirica possono trarsi alcune considerazioni sui vantaggi identificati dalla letteratura in merito alla redazione del BS. In particolare, è utile chiedersi perché un’esperienza di rendicontazione sociale longeva e che ottiene riconoscimenti prestigiosi da parte di esperti del settore produca un documento poco letto e quasi inutilizzato. Innanzitutto, l’analisi del caso ha evidenziato un forte livello di autoreferenzialità del BS predisposto dall’Asl Alfa, che ne impedisce o quanto meno inibisce le potenzialità informative per i portatori di interesse interni ed esterni, oltre che le possibilità di impiego come strumento manageriale. Diversi fattori, emersi dalle interviste e confermati nel focus group di feedback confermano quanto affermato. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 494 494 12-01-2010 16:35:11 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità Tutti gli interlocutori interni hanno precisato che il BS è stato redatto e pubblicato principalmente per volontà del direttore generale. Tale forte sponsorship ha generato sia effetti positivi che negativi. Infatti, da un lato la volontà e l’interesse del vertice sono assolutamente necessari per la realizzazione di uno strumento come il BS la cui redazione è volontaria e costosa (Hinna, 2004; Rogate, Tarquini, 2004). Dall’altro lato, la spinta alla redazione da parte del vertice sembra essere stata avvertita da alcuni come un’imposizione che ha ostacolato un’adeguata condivisione interna. La condivisione costituisce una caratteristica di estrema importanza soprattutto in contesti, come quelli delle aziende sanitarie, in cui i professionisti godono di un’ampia autonomia (Abernethy, Stoelwinder, 1995). Nel caso indagato, emerge che la mancanza di condivisione ha avuto un duplice effetto sugli stakeholder interni. Mentre la componente amministrativa, probabilmente più consapevole delle finalità e delle potenzialità dello strumento, ne ha supportato la redazione, la componente medica ha, invece, dimostrato indifferenza per il progetto. Inoltre, la costante attenzione al tema della rendicontazione sociale proveniente dal vertice aziendale ha comportato un grande interesse ai profili formali, estetici e di visibilità riguardanti il BS. Infatti, il documento possiede una veste grafica estremamente curata in cui abbondano fotografie e immagini. Inoltre, numerose copie sono inviate a diverse personalità e ad attori istituzionali che non possiedono alcun rapporto con l’Asl Alfa. Si può osservare che tali caratteristiche inerenti alla cura degli aspetti formali non necessariamente migliorano l’efficacia del BS come strumento di accountability e di gestione dei rapporti con gli stakeholder in prospettiva sia interna che esterna. Il linguaggio impiegato e la tipologia di informazioni raccolte nel BS possono giocare un ruolo chiave affinché la rendicontazione sociale risulti efficace (Neu et al., 1998; Gray, 2005). Ad ogni tipologia di destinatario dovrebbe corrispondere una selezione di informazioni e, soprattutto, un registro linguistico differenziato. Dalle interviste è emersa una non chiara individuazione dei destinatari e conseguentemente si è generata insoddisfazione per il linguaggio adottato. Benché il BS dell’Asl Alfa comprenda un novero abbastanza ampio di informazioni di natura qualitativa molte di queste possiedono natura tecnica anche di notevole complessità. In particolare, in ambito sanitario l’oggetto della rendicontazione, nonostante ogni possibile sforzo di semplificazione linguistica, implica l’impiego di una terminologia medica non sempre comprensibile ai non addetti ai lavori. Pertanto, la soluzione di predisporre una versione più sintetica del BS da distribuire in maniera capillare appare condivisibile e possibilmente da sfruttare maggiormente. Merita un sintetico commento anche l’assoluta mancanza di formazione sulla rendicontazione sociale sia all’interno che all’esterno dell’azienda. La carenza di formazione ha effetti negativi sui soggetti interni che, non comprendendo le finalità dello sforzo loro richiesto, tendono ad avvertire il BS come l’ennesimo adempimento burocratico. La dottrina sul tema della 495 Az.Pubb 3.09.indd 495 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:12 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità rendicontazione sociale è concorde nel considerare la partecipazione dei diversi portatori di interesse fondamentale per ottenere una rendicontazione sociale di qualità (O’Dwyer et al., 2005; Gray, 2005; Rogate, Tarquini, 2004). La formazione diviene indispensabile prerequisito al coinvolgimento consapevole dei soggetti invitati a partecipare alla redazione del documento. La formazione è utile anche nei confronti degli stakeholder esterni, soprattutto quando si tratti di associazioni rappresentanti interessi di soggetti più deboli. Poiché tali soggetti prendono parte al processo di rendicontazione sociale, necessitano di una formazione, anche minima, non solo in quanto potenziali utilizzatori del BS ma come attori della sua redazione. Gli effetti dell’assenza di formazione appaiono evidenti: gli stakeholder esterni possiedono una percezione del BS non coerente con le finalità per le quali la direzione aziendale ne ha previsto la redazione. Da ciò consegue il mancato utilizzo dello strumento. Anche il personale medico coinvolto nella redazione non conoscendo le finalità e le potenzialità del BS non lo utilizza. A ciò si può aggiungere che nel caso indagato, molte informazioni sono disponibili per il personale interno interessato, grazie alla presenza di un sistema di controllo di gestione efficace, in grado cioè di produrre i dati desiderati in modo tempestivo. Il BS, in questo senso, rischia di rappresentare soltanto una fonte che duplica le medesime informazioni ma con minore tempestività. In prospettiva esterna, poiché il BS è strumento di grande flessibilità sia rispetto alla forma utilizzabile che al contenuto non vincolato da alcuna norma, questo può essere adattato alle necessità informative degli stakeholder designati in modo da svolgere efficacemente il ruolo di strumento di accountability e di gestione della reputazione aziendale (Neu et al., 1998; Oliver, 1991). Tuttavia, affinché tali funzioni si realizzino concretamente occorre che sussistano delle condizioni riferibili più che al documento in sé al processo attraverso cui si giunge alla sua redazione (Hinna, 2004). Ciò significa, in altri termini, che l’effettivo utilizzo del BS da parte degli stakeholder dipende non soltanto dalle caratteristiche strutturali del documento, ovvero dall’adeguatezza della forma e del contenuto rispetto ai destinatari designati, ma anche dal processo di redazione e quindi dal coinvolgimento dei portatori di interesse e dalla loro formazione sul tema nonché dalle modalità di distribuzione del documento (Owen et al., 2001; Hinna, 2001). Quando nel processo di rendicontazione sociale si evidenziano carenze negli elementi appena citati, sopraggiunge il rischio di predisporre un documento che diviene più una sorta di esercizio stilistico per i soli esperti di rendicontazione sociale che uno strumento di comunicazione che si rivolge ad un numero ampio di portatori di interessi. Ciò è emerso, nel caso indagato, non soltanto dalla disillusione che traspare in alcune interviste circa l’utilità e l’affidabilità delle informazioni contenute nel BS, ma anche dallo scarso utilizzo di tale documento. Benché non generalizzabili, le evidenze emerse dal caso studiato aprono nuove prospettive per ulteriori approfondimenti di ricerca. In una fase in Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 496 496 12-01-2010 16:35:12 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità cui un numero crescente di aziende, pubbliche e private, predispongono il BS per i propri stakeholder, potrebbe essere utile riflettere sull’opportunità di sviluppare un approccio di tipo demand driven reporting, cioè una rendicontazione guidata, nelle sue forme e nei suoi contenuti dalle richieste proveniente dai diversi portatori di interesse (O’Dwyer et al., 2005; Owen et al., 2001), che potrebbe affiancarsi o addirittura sostituirsi al più tradizionale approccio di supply driven reporting. Se si applicasse quest’ultima metodologia sarebbero le aziende a decidere quali informazioni presentare e a quali destinatari. Per quanto fin qui evidenziato si ritiene che gli studi sulla modellizzazione degli strumenti di rendicontazione sociale così come i processi di coinvolgimento degli stakeholder (Owen et al., 2001; Alesani et al., 2005; Alesani et al., 2006) debbano acquisire nuovo interesse. 497 Az.Pubb 3.09.indd 497 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:12 Az.Pubb 3.09.indd 498 Azienda Pubblica 3.2009 SE5 SE6 SE7 21 Presidente dell’associazione di volontariato Delta Manager dell’azienda fornitrice Sigma Direttore dell’organizzazione Gamma partner nell’erogazione dei servizi socio-sanitari Totale SE4 SE3 Manager dell’azienda fornitrice Delta Stakeholder Esterni SE2 Responsabile Area Comunicazione – Direzione politiche della salute dell’amministrazione regionale Manager dell’azienda fornitrice Omega SE1 SI2 Funzionario Ufficio progetti speciali Responsabile Area Finanziamenti – Direzione politiche della salute dell’amministrazione regionale SI1 Responsabile della formazione SI3 DD7 Responsabile Dipartimento Urgenza Funzionario Ufficio progetti speciali DD6 Ufficio Progetti Speciali DD5 DD4 Responsabile Dipartimento Diagnostica per immagini Responsabile Dipartimento Chirurgia DD3 Responsabile Dipartimento del Farmaco Responsabile Dipartimento della Prevenzione DD2 Responsabile Dipartimento Materno-infantile Direttori di Dipartimento DD1 Responsabile Dipartimento Servizi finanziari DS DSS Direttore servizi sociali Direttore sanitario Vertici aziendali DA Sigla DG Gruppo Direttore amministrativo intervistato Direttore generale Soggetto Appendice 1 – I soggetti intervistati 9 luglio 2007 intervista 15 dicembre 2007 6 novembre 2007 6 novembre 2007 30 ottobre 2007 30 ottobre 2007 16 ottobre 2007 2 ottobre 2007 30 maggio 2007 30 maggio 2007 18 luglio 2007 18 luglio 2007 18 luglio 2007 18 luglio 2007 13 settembre 2007 13 settembre 2007 13 settembre 2007 30 maggio 2007 10 ottobre 2007 1 ottobre 2007 11 aprile 2007 Data 1,120 minuti 60 minuti 28 minuti 45 minuti 25 minuti 40 minuti 55 minuti 40 minuti 75 minuti 70 minuti 60 minuti 40 minuti 65 minuti 65 minuti 45 minuti 70 minuti 65 minuti 60 minuti 40 minuti 59 minuti 65 minuti 48 minuti Durata Il bilancio sociale in sanità Esperienze innovative 498 12-01-2010 16:35:12 Esperienze innovative Il bilancio sociale in sanità Appendice 2 – Il questionario traccia impiegato nelle interviste 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Cosa è per lei il bilancio sociale? Per quali finalità ritiene che l’Asl Alfa rediga il BS? Chi sono i destinatari del BS dell’Asl Alfa? Ricopre un ruolo nella redazione del bilancio sociale dell’Asl Alfa? Quale? Ha mai ricevuto formazione sul tema del bilancio sociale? Ha letto il bilancio sociale dell’Asl Alfa? Se sì, quali parti ha letto in particolare? Perché? Se ha letto il bilancio sociale, ha osservato delle differenze tra i contenuti nelle varie edizioni? Nelle varie edizioni del bilancio sociale dell’Asl Alfa, che giudizio esprime alla modifica dei contenuti? 8. Ritiene che il bilancio sociale presenti dei contenuti che necessitano di ulteriore approfondimento? Ritiene che il bilancio sociale presenti attualmente carenze? Se sì, quali? 9. Utilizza le informazioni proposte dal bilancio sociale nelle relazioni con l’Asl Alfa? Come? Quali infor mazioni in particolare? Se sì, quali informazioni presentate dal documento sono maggiormente rilevanti per tali rapporti? (domanda rivolta ai soli stakeholder esterni) 10. Ritiene che la redazione del bilancio sociale abbia avuto degli effetti su tali rapporti? Se sì, quali? (domanda rivolta ai soli stakeholder esterni) 11. Utilizza le informazioni proposte dal bilancio sociale per lo svolgimento del suo lavoro? Se sì, come? Se si, quali informazioni in particolare? (domanda rivolta ai soli stakeholder interni) 12. Utilizza il bilancio sociale nei rapporti con gli interlocutori interni/esterni? Se sì, quali informazioni presenti nel documento sono maggiormente rilevanti per tali rapporti? (domanda rivolta ai soli stakeholder interni) 13. Ritiene che la redazione del bilancio sociale abbia avuto un effetto su tali rapporti? Se sì, quali? (domanda rivolta ai soli stakeholder interni) Riferimenti bibliografici Abernethy M.A., Stoelwinder J.U. (1995), “The Role of Professional Control in the Management of Complex Organizations”, Accounting, Organizations & Society, 20 (1), pp. 1-17. Adams C.A. 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Cavaliere Professore associato di Organizzazione Aziendale presso il Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università degli Studi di Firenze Dario Rosini Docente a contratto di Organizzazione delle Aziende Pubbliche presso il Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università degli Studi di Firenze Daria Sarti Dottore di ricerca in Economia e Gestione dei Sistemi Locali, ricercatrice di Organizzazione Aziendale, Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università degli Studi di Firenze Antonio Sofi Dottore di ricerca in Sociologia della comunicazione, Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia dell’Università degli Studi di Firenze Sommario: 1. Introduzione. 2. Aspetti teorico-concettuali di riferimento: conoscenza, apprendimento e formazione. 3. Sviluppo organizzativo e cambiamento culturale. 4. Le competenze come riferimento delle politiche di gestione e sviluppo delle risorse umane. 5. Un’analisi politico-istituzionale dell’organizzazione oggetto d’indagine. 6. L’analisi empirica e la matrice di sviluppo delle competenze. 7. Conclusioni. L’articolo pone l’attenzione sui modelli di competenza quale strumento innovativo nell’ambito delle politiche di gestione del personale pubblico e sviluppa il tema con riferimento al personale di supporto agli organi politici del Consiglio regionale della Toscana. A fronte di ruoli non precisamente delineati, sistemi di reclutamento di tipo fiduciario e strutture spesso numericamente piccole, il dipendente delle strutture di supporto agli organi politici necessita di competenze complesse, che interessano più di un’area professionale. Tramite un approccio di tipo induttivo si è pertanto elaborato uno strumento idoneo per progettare interventi formativi ad hoc basati sui gap di competenze individuali. This article focuses on competency models as a tool for innovation in the field of public personnel management policy and develops the topic with respect to support staff of the political bodies of the Tuscan Regional Council. Facing roles that are not clearly defined, recruitment systems based on trust and organisational units that are often numerically small, support staff of political bodies require complex competences involving multiple professional fields. By means of an inductive approach, a suitable instrument has been proposed for training interventions based on gap analysis of individual competencies. Gli autori ringraziano gli anonimi referee per i suggerimenti e le indicazioni proposte Parole chiave: gestione risorse umane – competenze – formazione Key words: human resources management – competencies – training 505 Az.Pubb 3.09.indd 505 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:12 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo 1. Introduzione Nella pratica concreta delle pubbliche amministrazioni italiane si rileva un crescente interesse verso processi di riorganizzazione orientati al miglioramento delle funzioni pubbliche e alla qualità del servizio attraverso la definizione di interventi operativi volti alla condivisione di conoscenze, allo sviluppo delle professionalità e alla diffusione di pratiche “di valore” per il sistema e le risorse umane. Le richieste degli utenti e della collettività impongono alle organizzazioni, e agli attori organizzativi in particolare, comportamenti sempre meno prescrittivi e standardizzati che richiedono soluzioni innovative coerenti con il disegno di un sistema flessibile di ruoli organizzativi e con logiche di analisi dei bisogni di sviluppo professionale e di apprendimento orientate al presidio dell’intero patrimonio di competenze dell’individuo. Dal punto di vista del funzionamento organizzativo la costruzione di una cultura innovativa in merito alla gestione e sviluppo della risorsa umana appare una “questione” urgente e non più eludibile e rimane una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per consentire alle organizzazioni pubbliche di presidiare efficacemente la loro performance e di sviluppare nelle risorse umane comportamenti coerenti con i contesti di riferimento. Muovendo da queste considerazioni il presente lavoro propone una riflessione concettuale e metodologica conseguente ad una sperimentazione avviata all’interno del Consiglio regionale della Toscana (CRT) avente per oggetto l’adozione di una logica innovativa di gestione dinamica del sistema delle competenze che consideri anche la dimensione del ruolo organizzativo. L’obiettivo dell’analisi è stato di tipo sperimentale-applicativo. In particolare adottando la metodologia della ricerca-intervento si è evidenziato come, in contesti pervasi da cambiamento e complessità, i ruoli organizzativi e soprattutto i processi di sviluppo e formazione possono essere definiti in modo efficace attraverso l’utilizzo di sistemi di competenza dinamici di tipo induttivo piuttosto che attraverso gli approcci “tradizionali”. Questi ultimi si caratterizzano per l’adozione di una logica efficientista al “problema” di gestione delle risorse umane (Gru) qualificandosi in particolare da un lato per la loro staticità, nel senso di non includere meccanismi di evoluzione del modello al mutare delle condizioni organizzative e ambientali, e dall’altro per essere meno rispondenti a un approccio strategico alla Gru sia in termini di integrazione orizzontale dei sistemi operativi sia in termini di integrazione verticale con la strategia. L’esperienza riportata nell’articolo vuole rappresentare anche una riflessione metodologica sugli approcci all’analisi dei bisogni di apprendimento. La ricerca è stata impostata in maniera tale da individuare ed esplicitare sia i profili di ruolo che, per ciascuno degli stessi, i tipi di gap di competenza rilevabili ai fini dello sviluppo individuale e le relative strategie di apprendimento. In quest’ottica si presenta anche uno strumento di analisi dei bisogni di formazione (la matrice di sviluppo delle competenze) che vuole rispondere alle esigenze sopra evidenziate in una Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 506 506 12-01-2010 16:35:12 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo logica olistica. L’analisi ha inoltre condotto ad evidenziare alcune riflessioni di natura conoscitiva circa la rilevanza che riveste l’adozione di metodologie partecipative di tipo induttivo sui processi di cambiamento culturale. L’oggetto di indagine della ricerca è costituito dal personale di supporto agli organi politici del Consiglio regionale della Toscana (CRT) che sono figure critiche per il funzionamento dello stesso con funzioni di affiancamento agli organi politici per le attività di tipo tecnico-amministrativo e di relazione con l’interno e l’esterno della struttura. L’articolo si sviluppa partendo dagli aspetti teorico-concettuali alla base della ricerca che fanno riferimento agli approcci che analizzano la relazione conoscenza organizzativa-performance. Nel terzo paragrafo viene poi affrontato il tema dello sviluppo organizzativo come cambiamento culturale e in quello successivo si giustifica, dal punto di vista concettuale, la scelta dello “strumento” delle competenze in coerenza con gli obiettivi dell’analisi. Prima di affrontare l’analisi empirica, presentata nel sesto paragrafo, si delinea brevemente anche il contesto politico-istituzionale di riferimento e il profilo oggetto dell’indagine. Nelle conclusioni si è cercato di evidenziare la “portata innovativa” dell’analisi svolta e si propongono alcune riflessioni utili ad orientare le organizzazioni verso approcci dinamici e sistemici ai modelli di competenza oltre a richiamare l’attenzione dei ricercatori, ma anche degli operatori aziendali, su alcune questioni aperte relativamente alle logiche di implementazione dei modelli di competenza. 2. Aspetti teorico-concettuali di riferimento: conoscenza, apprendimento e formazione Negli ultimi anni la speculazione teorica nell’ambito dello sviluppo organizzativo ha mostrato una crescente attenzione verso la variabile cognitiva. L’indirizzo di riflessione si è arricchito in virtù di una mutata consapevolezza delle variabili di natura intangibile che, nel contesto dell’economia attuale, vengono considerate determinanti al fine del perseguimento di una azione organizzativa efficace. La prospettiva di riferimento qui accreditata è quella che sostiene il particolare valore assunto dalla conoscenza organizzativa che diviene la prima e più importante determinante della performance dei sistemi aziendali (Spender, 1996; Grant, 1996; Davenport, Prousak, 1998). Secondo la visione accolta, dunque, la generazione di valore a livello organizzativo e la sua sostenibilità — nel tempo e nello spazio — risultano altamente correlate a pratiche di governo formalizzato della conoscenza dirette alla sua produzione, conservazione e al suo sviluppo. Diviene perciò centrale parlare di apprendimento organizzativo definito come quel processo dinamico di rinnovamento attraverso cui le organizzazioni sviluppano la propria base cognitiva a supporto della loro azione e rendono altresì possibile la definizione e il presidio delle proprie competenze distintive. Nella 507 Az.Pubb 3.09.indd 507 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo prospettiva comportamentista una organizzazione impara “se, attraverso la rielaborazione di informazioni, il set dei suoi potenziali comportamenti viene modificato…” (Huber, 1991, p. 89). Afferma, poi, lo stesso autore che: “una organizzazione impara se una delle sue unità acquisisce conoscenze che essa riconosce essere potenzialmente utili per l’organizzazione” (p. 89). Si evidenzia, in questo processo, il ruolo sostanziale giocato dagli individui e dalle loro mappe mentali. È attraverso queste che – sulla base del contesto e del ruolo organizzativo interpretato (Boyatzis, 1982) – i soggetti intuiscono le informazioni e interpretano i loro compiti e le loro azioni (Bontis et al., 2002; Crossan et al., 1999). L’individuo, dunque, si colloca al centro del ciclo dell’apprendimento organizzativo, svolgendo un ruolo di facilitatore rispetto al recepimento di nuove conoscenze e al contempo rivestendo una posizione centrale nei processi di risoluzione di problemi, di innovazione e dunque in buona sostanza interpretando un ruolo di “rottura delle routine consolidate” in una ottica di “disapprendimento” (Leonard, Barton, 1992). Sulla base delle considerazioni fin qui addotte, rappresenta una evidenza inconfutabile il fatto che le organizzazioni apprendano a partire da e tramite gli individui che le compongono. L’individuo costituisce il locus primario della creatività, del cambiamento e del miglioramento e quindi, più in generale, dell’apprendimento organizzativo. Pertanto, la considerazione del soggetto quale fulcro del ciclo dell’apprendimento e al contempo perno dell’azione organizzativa (March, Olsen, 1975), richiama la necessità, da parte delle Direzioni aziendali, di presidiare attraverso opportune pratiche formali di gestione il “sistema organizzato di risorse individuali” (Cavaliere, 2002). Quanto detto, sembra essere tanto più vero per organizzazioni, quale quella analizzata, che presentano un carattere prevalentemente people intensive e in cui risulta necessaria una sempre maggiore attenzione alla dimensione micro-organizzativa. Ciò si sostanzia in interventi di “disegno” organizzativo volti a favorire l’efficienza, attraverso la riduzione dei costi di coordinamento, e lo sviluppo del capitale umano, attraverso soluzioni di gestione delle persone coerenti con il concetto di organizzazione che apprende. Matura, pertanto, l’attenzione ai processi formativi in quanto strumenti deputati alla crescita del bagaglio cognitivo individuale e mediatori primari nel governo delle conoscenze organizzative (Lado, Willson, 1994). È nota l’evidenza che l’accumulo pregresso di conoscenze facilita nuovi processi di apprendimento, in quanto le “conoscenze accumulate incrementano sia la capacità di apprendere nuove conoscenze […] che la capacità di richiamarle alla memoria e usarle” (Cohen, Levinthal, 1990, p. 129). Contestualmente, bassi livelli di formazione possono condurre ad una riduzione dei livelli di conoscenza dei lavoratori e questo, nell’ambito del ciclo iterativo dell’apprendimento organizzativo, può portare ad una progressiva inibizione dello stesso. Ciò è ancor più vero per contesti caratterizzati dalla presenza di ruoli ad alta professionalità, in cui lo strumento progettuale atto a garantire un Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 508 508 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo efficace coordinamento, e una più generale efficienza organizzativa, è proprio rappresentato dalla definizione di appositi programmi orientati allo sviluppo di conoscenze, competenze e comportamenti (Mintzberg, 1996). Gli interventi di formazione, costruiti ad hoc, rappresentano, dunque, strumenti che operano come fonti di stimolo e di guida per i processi di sviluppo organizzativo in quanto in grado di dare origine alle condizioni e alle occasioni atte a facilitare l’innesto di circoli virtuosi di apprendimento. 3. Sviluppo organizzativo e cambiamento culturale Nei processi di sviluppo organizzativo finalizzati alla creazione di valore emergono due aspetti particolarmente rilevanti. Il primo richiama il concetto di “efficacia sociale” (Rebora, 1987) definita in relazione alle finalità proprie delle organizzazioni pubbliche, finalità connesse in genere al benessere e allo sviluppo economico e sociale di una comunità. Il secondo, strettamente collegato al primo, richiede di concentrare le attenzioni non solo sulla ottimizzazione nell’allocazione di risorse utilizzate nei processi di trasformazione degli input in output quanto sulla seconda funzione di produzione propria delle organizzazioni pubbliche, quella attraverso cui gli output generati si rivelano effettivamente in grado di produrre valore. In un sistema economico e istituzionale, caratterizzato da risorse illimitate e valutazioni di indifferenza sui possibili risultati dell’azione organizzativa, il problema della progettazione organizzativa e della scelta dei sistemi di Gru probabilmente non assumerebbe valenza strategica (Grandori, 1995). In realtà la scarsità di risorse rende critico non solo il problema della loro allocazione e combinazione ai fini della generazione di valore ma, considerato il carattere people intensive, evidenzia come il presidio dell’economicità sia strettamente dipendente dal contributo del fattore umano che diviene il vero fattore strategico. In altre parole l’efficacia e l’efficienza dell’azione politica e amministrativa è influenzata dai “comportamenti produttivi” dei soggetti (singoli o gruppi) che, a vario titolo, operano all’interno dell’amministrazione. Ciò porta a sottolineare l’importanza della gestione delle competenze e della performance delle persone in un’ottica di sviluppo e richiede un cambiamento culturale che consideri la performance di sistema funzione anche della capacità dell’individuo di autoregolarsi. In questa prospettiva il tradizionale concetto di controllo, spesso a torto considerato come il principale garante dell’efficacia e dell’efficienza organizzativa, perde gran parte del suo fascino. Anche i recenti orientamenti dottrinali che auspicano l’introduzione di meccanismi economico-aziendali, come ad esempio quelli tipici del controllo di gestione, considerati fattori di stimolo al cambiamento e garanti dell’efficacia e dell’efficienza organizzativa sembrano paradossalmente avere ottenuto l’effetto di amplificare le distorsioni tipiche dell’approccio gerarchico-burocratico generando demotivazione, inerzia all’azione e inadeguatezza dei risultati ottenuti. 509 Az.Pubb 3.09.indd 509 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo Il passaggio chiave della trasformazione culturale è da rinvenire nello sviluppo di approcci all’organizzazione che recuperano la dimensione soggettiva pur all’interno dei vincoli oggettivi che il quadro normativo e ambientale presenta (figura 1). È l’analisi degli elementi causali della performance che acquista significato e interesse per la ricerca scientifica e per la pratica. L’efficacia organizzativa può essere interpretata come il frutto di un processo dinamico di interpretazione del ruolo da parte dei lavoratori che genera comportamenti efficaci all’interno di un determinato contesto. Figura 1 – Performance e sviluppo organizzativo SISTEMA DINAMICO DI RISORSE INDIVIDUALI RIDEFINIZIONE FORMAZIONE ASPETTATIVE DI RUOLO SVILUPPO ORGANIZZATIVO GAP DI COMPETENZA LEGENDA Origine della performance Feedback di sviluppo EFFICACIA ORGANIZZATIVA sollecitazioni valore ambiente esterno Il concetto di ruolo organizzativo, che la letteratura propone, è molto utile in quanto aiuta a mettere in relazione e ad integrare il comportamento individuale con gli aspetti organizzativi perché considera che i lavoratori hanno la “libertà di agire” e, allo stesso tempo, sono socialmente vincolati (Gross et al., 1964). Il sistema dinamico di risorse individuali (attitudini, motivazioni, conoscenze, competenze, ecc.) influenza le modalità con le quali il ruolo è “interpretato” (Mintzberg, 1973). Gli attori organizzativi, quindi possono, e di fatto lo fanno, interpretare gli stessi ruoli in maniera differente. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 510 510 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo 4. Le competenze come riferimento delle politiche di gestione e sviluppo delle risorse umane Sebbene recentemente, quello della gestione delle risorse umane, sia stato un ambito attraversato da intense riforme, dobbiamo osservare ancora una scarsa sensibilità verso la valorizzazione delle competenze e dei processi di apprendimento. Decenni di cultura tipicamente amministrativa continuano a rappresentare spesso un vincolo per i processi di cambiamento e di ammodernamento “imposti” dalle normative e richiesti soprattutto dalle evoluzioni dei contesti economici. è facile osservare che le organizzazioni pubbliche avranno sempre un “problema” di gestione della “produttività” della risorsa umana che rappresenta la principale fonte di costo oltre che la principale componente della qualità e della quantità delle prestazioni fornite. Si pongono, quindi, forti e rinnovate esigenze di mettere a punto modelli interpretativi e strumenti applicativi che siano in grado di innescare e supportare i processi di modernizzazione amministrativa, di sviluppo e riqualificazione professionale (Cavaliere, Rosini, 2002). Riteniamo che i modelli di competenza consentano di rispondere a molte delle problematiche legate alle risorse umane in quanto permettono di impostare in maniera integrata, dinamica e flessibile i sistemi di gestione e sviluppo delle persone definendo un unico anche se non rigido framework in grado di fare evolvere il focus di riferimento dai compiti-attività ai comportamenti. Le finalità dei sistemi di Gru basati sulle competenze sono collegate prevalentemente alla esigenza delle direzioni di gestire al meglio il rapporto individuo-organizzazione ridefinitosi anche sulla base dei cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro. In generale, nel pubblico impiego è possibile sostenere che il “contratto” tra dipendente e organizzazione si esprimeva, e forse ancora si esprime, in un rapporto di scambio certo, definito e regolamentato sia nei compiti che nella contropartita economico-sociale. Oggi, invece, la “sicurezza” di un lavoro qualificante richiama la così detta employability (Kanter, 1989). La consapevolezza che il lavoro attuale consentirà alla persona di svilupparsi e di aumentare le proprie opportunità professionali future sembra essere la strada organizzativamente e individualmente più efficace. Da quanto detto consegue che gli individui dovrebbero costantemente tenere aggiornate le proprie capacità e conoscenze e imparare ad imparare, e che l’organizzazione dovrebbe stimolare e supportare i processi di sviluppo e di apprendimento. Si rafforza quindi l’idea della necessità di un approccio nella gestione strategica delle risorse umane che riesca a coniugare i bisogni di apprendimento e le aspettative dell’individuo con quelli dell’organizzazione. Tale approccio a nostro avviso trova nei modelli di competenza un naturale punto di riferimento. 511 Az.Pubb 3.09.indd 511 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo La competenza individuale Le abilità, così come le conoscenze, le motivazioni, rappresentano alcune delle determinanti del comportamento individuale orientato alla soluzione di situazioni problematiche. È importante distinguere questi elementi dai compiti e dalle funzioni. Le prime sono aspetti della persona che consentono di dimostrare la propria competenza, gli altri, invece, sono riferiti al lavoro e definiscono aspetti in cui il titolare del ruolo deve risultare competente. Negli ultimi anni il concetto di competenza individuale è stato sicuramente uno degli argomenti più dibattuti dagli studiosi di management e dagli operatori economici sia pubblici che privati. Partendo dai lavori seminali di matrice psicologica di McClelland (1973) e Boyatzis (1982), successivamente approfonditi e operativizzati anche dagli Spencer (1993), si sono succeduti una varietà di approcci, modelli e ricerche empiriche che hanno definito e adottato significati diversi di competenza. Le competenze esistono in quanto vi è un comportamento competente contestualizzato nel ruolo che produce risultati efficaci. La competenza è quindi definita come un insieme di fattori personali (attitudini, abilità, conoscenze, ecc.) che attivati da specifiche situazioni producono comportamenti efficaci (Boyatzis, 1982; Spencer, 1993). In questo lavoro la competenza individuale viene considerata nella sua relazione con la prestazione in un determinato contesto sociale e lavorativo. Essa quindi, risulta molto utile come strumento interpretativo di quella parte della performance che viene definita di contesto (Rebora, 1999). Ciò, a nostro avviso, appare di particolare interesse ai fini della nostra analisi, in quanto anche per il personale di supporto agli organi del CRT, vale la considerazione che la performance di contesto è più rilevante rispetto a quella di compito, sia per la natura del lavoro e sia perché le unità organizzative sono esposte a processi continui di cambiamento, molto più intensi rispetto ad altre unità organizzative delle pubblica amministrazione (Rebora, 1999). A ciò si aggiunga il fatto che le unità oggetto della nostra analisi, operano in strutture che presentano ambiguità e sovrapposizioni di ruolo, permeabilità nei confini sia micro che macro organizzativi, forte contenuto relazionale della prestazione. 5. Un’analisi politico-istituzionale dell’organizzazione oggetto d’indagine Al fine di comprendere le problematiche e le particolarità del caso che presenteremo nel prossimo paragrafo è utile delineare brevemente un quadro del contesto di riferimento. Quando parliamo di strutture di supporto agli organi politici del CRT intendiamo fare riferimento agli uffici di segreteria di cui dispongono il Presidente e gli altri componenti dell’ufficio di presidenza, nonché alle strutture speciali di segreteria di cui sono dotati i gruppi consiliari che vengono a Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 512 512 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo costituirsi ad ogni inizio legislatura. Al momento dell’indagine presso il CRT erano attivi 9 gruppi consiliari espressione delle forze politiche elette. (1) È utile distinguere, all’interno delle strutture speciali di supporto, tra le strutture speciali di supporto agli organi di direzione politica del CRT (segreterie dell’ufficio di presidenza) e le strutture speciali di segreteria dei gruppi consiliari. Ogni gruppo consiliare ha un numero di dipendenti della struttura di supporto proporzionale al numero dei consiglieri che aderiscono al gruppo. Complessivamente, al momento della ricerca, la dimensione della struttura era di 76 dipendenti. I dipendenti svolgono funzioni di affiancamento agli organi di direzione politica e ai gruppi consiliari per le attività di segreteria, di organizzazione, di comunicazione, di assistenza giuridico-amministrativa, per le attività di relazioni interne ed esterne alla struttura regionale, caratterizzandosi come vera e propria cinghia di trasmissione tra livello politico e struttura operativa e burocratica. Le strutture di supporto, previste nello Statuto vigente, sono organi indispensabili per la vita politica del CRT. Essi hanno un’importanza strategica e un impatto diretto anche sulla vita organizzativa e sugli uffici dell’intera struttura consiliare. Il personale che lavora in queste strutture presenta alcune specificità interessanti ai fini della nostra analisi. Tali specificità influiscono sui contenuti del ruolo e sulle competenze osservate. Il primo dato da segnalare è il sistema di reclutamento che è di tipo personale. Il rapporto di lavoro si instaura in base ad una relazione fiduciaria, a chiamata diretta, con l’amministratore regionale. Il dipendente delle strutture speciali di supporto può essere reclutato da un ruolo regionale, da altri enti della p.a. o anche dal settore privato. Il tipo di contratto è spesso a tempo determinato, può durare per l’intera legislatura ed è rinnovabile. A parte i dipendenti provenienti dal ruolo regionale, la maggioranza è scelta tra soggetti estranei alla p.a., spesso dal settore privato. Le strutture speciali di supporto sono spesso numericamente piccole. Questo genera ruoli despecializzati. Il dipendente (tranne nei casi di strutture più grandi) presenta competenze trasversali e complesse, che interessano sempre più di un’area professionale. Alcuni dei dipendenti di queste strutture, soprattutto in quelle numericamente più consistenti, possono assolvere il ruolo di appoggio e consulenza ad un singolo consigliere, altri, invece, sono adibiti ad attività di segreteria, di ricerca e redazione di documenti, altri ancora ad attività di comunicazione e organizzazione della struttura di appartenenza. In tal modo si evidenziano situazioni di consulenza ad personam e di supporto all’attività del gruppo o della segreteria. Una specificità della figura in questione è quindi quella di ritrovarsi in una condizione di ambivalenza che spesso può essere presente anche nella storia personale 1 L’indagine è stata sviluppata nel corso del 2004 e si è conclusa nel 2005. Recentemente, nel 2009, il gruppo di ricerca ha effettuato un follow-up del progetto con la Formazione attraverso interviste dirette per valutarne l’impatto organizzativo e lo “stato di avanzamento” del progetto. 513 Az.Pubb 3.09.indd 513 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo di un singolo dipendente, prima assegnato ad un singolo consigliere e poi a funzioni organizzative, e viceversa. Inoltre i due ruoli sono a volte coesistenti e contemporanei. Un’ulteriore particolarità è rintracciabile proprio nella natura del contesto lavorativo il quale ha comunque, anche nei casi di profili e funzioni più professionali, una valenza e una sostanza politica. Lavorare all’interno delle strutture di supporto, nella maggioranza dei casi, comporta anche un’adesione politico-ideologica al gruppo di riferimento. La valenza e il portato politico dell’attività dei dipendenti delle strutture di supporto ha come conseguenza quella di condurre a non poche ambiguità nella definizione del loro profilo professionale, che rimane, in molti casi, a metà tra un’attività meramente politica e una professionale. Un profilo che si delinea, inoltre, come bloccato a metà tra il “volontariato” politico e l’esercizio di una professione, e che rende particolarmente difficile fissare punti fermi nella definizione dei ruoli e delle loro funzioni. Queste particolarità aprono il campo alla necessità di studiarne le competenze possedute e quelle necessarie, sia dal punto di vista dei dipendenti, sia da quello dei loro “datori di lavoro”: i consiglieri. Cogliendo spunto da questa affermazione vale la pena sottolineare, in una logica di analisi dei processi organizzativi, come i consiglieri oltre al ruolo di “datore di lavoro” ricoprano anche quello di clienti interni esclusivi (o quasi) per i lavoratori oggetto di indagine. Da questo punto di vista, che sembra decisamente il più importante, il valore da loro creato va a beneficio indirettamente della cittadinanza attraverso il lavoro e la figura dei gruppi, dei consiglieri di riferimento e, in ultima analisi, del Consiglio tutto. Tuttavia essi nella loro attività di supporto si trovano spesso, in virtù del loro ruolo di gestori del social network del singolo consigliere o del gruppo di riferimento, anche a dover soddisfare in maniera diretta esigenze informative e di sostegno che provengono dal territorio; svolgono quindi anche un’attività diretta di servizio a favore della cittadinanza che si esplica soprattutto nel dare ascolto ai problemi della popolazione e nel porli all’attenzione del consigliere e/o del gruppo di appartenenza nei tempi e nei modi più opportuni. Delineate le specificità che legano questi “soggetti” all’organizzazione in questione, sembra abbastanza condivisibile l’idea di investire sullo sviluppo delle competenze di queste risorse perché da una parte tali investimenti assicurano il presidio dell’efficacia e dell’efficienza organizzativa, dall’altra essi dovrebbero consentire al sistema di formalizzare conoscenze e pratiche a livello di organizzazione, che potrebbero rappresentare dei punti di riferimento significativi per l’interpretazione più efficace dei ruoli. 6. L’analisi empirica e la matrice di sviluppo delle competenze L’analisi empirica parte dalla constatazione che il comportamento di ruolo delle singole risorse umane determina il successo o l’insuccesso dell’azione organizzativa. A tal fine, riveste importanza critica il sistema dinamico di Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 514 514 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo risorse individuali posseduto e potenziale (conoscenze, abilità, attitudini, motivazioni, esperienze, ecc.) e in particolare la competenza. Nell’ottica dello sviluppo organizzativo le competenze individuali possono essere potenziate mediante adeguati interventi formativi che pongono il problema dell’individuazione di una metodologia utile a definirne contenuti mirati sia rispetto ai profili di ruolo sia rispetto alla tipologia dei gap di competenza oggetto di interventi. La definizione di un modello di competenze per la figura del personale di supporto al CRT, nasce dalla volontà dell’ufficio formazione di investire su figure professionali non direttamente dipendenti dalla struttura della Regione con l’obiettivo da un lato di definire un percorso di sviluppo per garantire un servizio qualitativamente migliore e dall’altro di supportare processi di employability. La realtà ha presentato al gruppo di ricerca una serie di difficoltà oggettive ai fini della realizzazione del percorso formativo competency-based che possono essere sintetizzate nelle seguenti: •l’assenza di un sistema formalizzato di ruoli e mansioni; •le peculiarità della figura non solo sotto il punto di vista dell’inquadramento ma anche in termini di contratto psicologico; •lo scetticismo del sistema rispetto a qualsiasi tentativo di formalizzazione in quanto ciò poteva rappresentare il presupposto di un processo che limitava l’autonomia decisionale; •l’assenza di dipendenza gerarchica delle strutture di supporto al CRT rispetto all’ufficio formazione che, in questo caso, si proponeva come promotore dei processi di sviluppo. Un’ulteriore difficoltà è stata rinvenuta nell’atteggiamento di diffidenza del personale verso gli interventi formativi. Ciò è conseguente alla mancanza di una tipizzazione dei precedenti processi di formazione che avevano seguito la logica top down individuando contenuti e modalità formative a volte disancorate dalle necessità reali. In tale contesto si poneva il problema di individuare uno strumento concettuale che fosse in grado di definire i profili professionali e i fabbisogni formativi in modo mirato e appropriato rispetto allo specifico contesto. La scelta di adottare un approccio competency modelling di tipo induttivo (personalizzato) è sembrata, a nostro avviso, quella più coerente in quanto in grado da un lato di mitigare le resistenze culturali e dall’altro di integrare le aspettative organizzative e individuali. La scelta dello strumento del competency modeling ha permesso di realizzare una “competence description” per il ruolo sottoposto ad analisi e al contempo di determinare i gap formativi a partire dai quali si sono proposti successivamente i moduli formativi. Una preventiva analisi condotta dal team di ricerca ha evidenziato la presenza di quattro diversi ruoli: gestionale, specialistico, di supporto e di 515 Az.Pubb 3.09.indd 515 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo comunicazione. Tale prima evidenza è emersa, sulla base di cinque interviste individuali realizzate con i capi gruppo e venti interviste realizzate direttamente con i titolari di ruolo, di cui sette condotte con la tecnica del focus group e tredici con la tecnica dell’incidente critico (Flanagan, 1954). La definizione del modello ha quindi seguito un approccio di tipo induttivo: a partire dai comportamenti posti in essere si sono evidenziati gli attributi comportamentali che sono stati raggruppati in competenze. Tali competenze sono andate a definire un primo dizionario specifico rispetto alla realtà di riferimento composto da 28 competenze. Si è quindi provveduto alla somministrazione di un questionario strutturato in cui si richiedeva ai dipendenti di indicare per ciascuno degli indicatori comportamentali, in una scala di preferenza pentenaria a valori crescenti per intensità, il grado di possesso personale e l’importanza attribuita ai fini dell’efficacia di ruolo. Il questionario è stato inviato ai settantasei titolari e il tasso di risposta è stato del 60% circa (n = 45). Sulla base di una ulteriore rielaborazione che aggregava indicatori significativamente correlati si è costruito il dizionario definitivo composto da venti competenze (tabella 1). Tabella 1 – Il dizionario definitivo delle competenze A) Tensione al risultato B) Spirito d’iniziativa COMPETENZE DI REALIZZAZIONE C) Ricerca e selezione delle informazioni utili D) Gestione del tempo e delle attività E) Sensibilità interpersonale COMPETENZE DI ASSISTENZA E SERVIZIO F) Orientamento al “cliente” G) Logica di processo H) Autorevolezza e influenza I) Consapevolezza dell’organizzazione COMPETENZE DI RELAZIONE L) Lavoro di gruppo e cooperazione M) Capacità di mediare COMPETENZE DI COMUNICAZIONE N) Expertise di comunicazione mediatica O) Pensiero analitico COMPETENZE COGNITIVE P) Pensiero concettuale Q) Expertise politico-istituzionale e social network EXPERTISE TECNICA R) Expertise informatica S) Expertise giuridico-amministrativa T) Flessibilità COMPETENZE DI EFFICACIA PERSONALE U) Etica V) Fiducia in sé Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 516 516 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo Profilo soggettivo e oggettivo del ruolo Prima di analizzare gli aspetti legati alle competenze è utile delineare il profilo dei rispondenti. Essi hanno una età media di circa 38 anni con un grado di scolarità abbastanza elevato (il 36% ha una laurea, il 48% il diploma di scuola superiore, il 7% è anche iscritto ad albi professionali). Il 53% dei dipendenti è di sesso femminile. Ciò fa pensare che in questa struttura ci sia una reale pari opportunità di accesso. Riguardo ai ruoli ricoperti la composizione è quella evidenziata nella tabella 2. Tabella 2 – I ruoli individuati Operatori Ruolo % Responsabili segreteria gruppo consiliare Responsabili segreteria ufficio di presidenza RUOLO GESTIONALE 22% Addetto segreteria gruppo consiliare Addetto segreteria ufficio di presidenza Altro RUOLO DI SUPPORTO 56% Addetto stampa Addetto comunicazione RUOLO DI COMUNICAZIONE 11% Addetto settore giuridico legislativo Addetto ai servizi amministrativi RUOLO SPECIALISTICO 11% dei rispondenti L’anzianità media in ruolo è di circa 5 anni e circa il 60% degli intervistati ha un’anzianità non superiore alla durata delle legislatura in corso. Il rapporto di impiego è per il 60% a tempo pieno e indeterminato e per il 40% è a tempo determinato di cui il 20% full-time e l’altro 20% part-time. Gran parte degli intervistati ritengono che sia necessario almeno un anno di esperienza per comprendere a pieno le dinamiche del proprio lavoro. In materia di esperienze lavorative precedenti, appaiono interessanti tanto le esperienze lavorative esterne alla p.a. vantate dal 76% degli intervistati quanto il fatto che il 38% di loro ha ricoperto in passato cariche politiche e/o sindacali. Relativamente ampio risulta il grado di autonomia decisionale considerato che il 70% degli intervistati ritiene di dare un significativo contributo alla definizione delle strategie organizzative e il 25% afferma addirittura di avere ampi margini di libertà e autonomia rispetto alle linee guida delineate dal consigliere di riferimento. All’interno di questo contesto occorre sottolineare però che solo il 22% degli intervistati di fronte a situazioni critiche agisce in autonomia (senza aspettare indicazioni dal consigliere o dal responsabile di segreteria). Gli intervistati sembrano poi confermarsi come veri e propri “gestori del social network” del consigliere o del gruppo di riferimento. In effetti una percentuale significativa che va dal 48% al 76% ha contatti almeno settimanali con i cittadini, i consiglieri di altri gruppi e segreterie, gli organi di stampa, le segreterie dei partiti di riferimento e gli organi politici locali. 517 Az.Pubb 3.09.indd 517 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo Risultano invece molto basse le frequenze di contatto con le associazioni di categoria. Infine, vale la pena accennare quanto emerso dal punto di vista dell’analisi motivazionale. Il primo aspetto che sembra influenzare positivamente la quantità e qualità dell’energia messa in campo nello svolgimento del proprio lavoro è la corrispondenza percepita tra le proprie risorse individuali e il lavoro svolto: emerge infatti che ben il 74% degli intervistati si sentono complessivamente adeguati al lavoro che svolgono. Un altro elemento estremamente interessante riguarda il fatto che la motivazione d’ingresso prevalente è la passione per la politica (per quasi il 60% degli intervistati). In ultima analisi si nota che solo un terzo dei dipendenti ritiene che le proprie potenzialità siano valorizzate in maniera adeguata e, dal punto di vista della “scelta di partecipare” (Bergami, 2002), la motivazione prevalente fa riferimento alle opportunità di sviluppo, di carriera e di acquisizione di maggiore responsabilità e autonomia. Analisi delle competenze e fabbisogni formativi: la matrice di sviluppo delle competenze Il questionario sulle competenze ha consentito di raccogliere dati relativi alla percezione che i singoli titolari di ruolo hanno circa il livello di possesso e di importanza delle venti competenze del modello. La profondità del possesso e l’importanza sono state valutate su una scala pentenaria a valori crescenti. Un dato di rilievo che è emerso fa riferimento al livello di differenziazione dei modelli per i ruoli analizzati. Tali differenziazioni riguardano sia i contenuti che l’intensità con cui si manifesta la competenza (cfr. tabella 3). Per questioni di sinteticità non entriamo nel merito dei singoli modelli. Rileviamo solo che tre competenze sono “trasversali”: “Sensibilità interpersonale”, “Orientamento al cliente” ed “Etica”. L’adozione di un approccio induttivo consente di individuare e definire i contenuti della competenza ad hoc rispetto al ruolo e al contesto. Il contributo delle politiche di sviluppo delle risorse umane alla generazione di valore dipenderà quindi dalla capacità di considerare e gestire tali differenziazioni. La definizione dei piani di sviluppo ha considerato due dimensioni: i gap formativi (differenza relativa tra livello di possesso e di importanza) e l’importanza riconosciuta alle singole competenze. Tali dimensioni sono state rappresentate in una matrice che abbiamo definito matrice di sviluppo delle competenze. È sulla base di tale rappresentazione che ci siamo proposti di definire, a partire dal portafoglio di competenze emerse, gli interventi di sviluppo. La matrice presenta nei quadranti a sinistra le competenze che in termini di valore di intensità sono risultate inferiori alla media e nei quadranti a destra le competenze “chiave”. Nello specifico il quadrante 1 rappresenta quelle competenze che Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 518 518 12-01-2010 16:35:13 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo Tabella 3 – Modelli di competenza emersi – dimensione “possesso” (valori percepiti superiori alla media) Ruolo di comunicazione Ruolo di gestione Ruolo di supporto Ruolo specialistico Competenze Risultato Spirito di Iniziativa Ricerca e selezione di Informazioni Gestione del tempo Sensibilità interpersonale Orientamento al cliente Logica di processo Autorevolezza e influenza Consapevolezza dell’organizzazione Lavoro di gruppo Capacità di mediare Expertise di comunicazione mediatica Pensiero analitico Pensiero concettuale Expertise politico-istituzionale e social net. Expertise informatica Expertise giuridico amministrativa Flessibilità Fiducia in sé Etica potrebbero essere assimilate a delle risorse preziose ma che necessitano di essere raffinate (le definiamo convenzionalmente “pepite”). Il quadrante 2 mostra le competenze assimilabili a risorse preziose e già raffinate (le definiamo “gioielli”). Nel quadrante 3 si collocano le competenze che pur avendo bassa importanza risultano sufficientemente sviluppate (le definiamo “gingilli”). Infine, il quadrante 4 mostra le competenze che sono risultate di scarso “valore” che definiamo “pietre”. La figura 2 rappresenta un’applicazione della matrice di sviluppo al modello generale. 519 Az.Pubb 3.09.indd 519 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo Gap formativo Figura 2 – Matrice di sviluppo delle competenze (analisi cross-roles) Importanza Legenda: cfr. tabella 1 Al di là delle considerazioni di merito che l’analisi dei singoli quadranti può suscitare, in questa sede si vuole proporre una riflessione di carattere concettuale e metodologico. In generale, gli interventi formativi tendono a focalizzarsi su quelle competenze che presentano gap negativi tra livello di possesso e livello richiesto dal ruolo (importanza nel nostro caso), tralasciando di fatto un insieme di “risorse” che incidono comunque sulla prestazione individuale e di sistema. In tal senso si segue una logica tipica della one best way che, a nostro avviso, non solo genera soluzioni inefficaci ma anche incoerenti con i contesti moderni. Di contro, partendo proprio dalla matrice delle competenze, è possibile adottare una prospettiva olistica e strategica che consente di definire, a nostro avviso, un approccio innovativo al problema dello sviluppo individuale e organizzativo competency-based. L’assunto fondamentale dell’approccio qui proposto, considera la performance funzione di tutte le competenze agite, comprese quelle che hanno bassa importanza (“pietre” e “gingilli”). In un’ottica di sviluppo organizzativo le politiche di gestione delle risorse umane dovrebbero considerare tutti i comportamenti organizzativi (di successo e non) e individuare le azioni appropriate (compresi anche i processi di disapprendimento) per migliorare la performance di sistema in funzione anche del ciclo di vita delle competenze rispetto alle dinamiche di contesto ambientale. Elevati livelli di performance, infatti, si raggiungono applicando specifiche azioni di successo ma anche riducendo e riorientando quelle inefficaci e inefficienti (Cavaliere, Sarti, 2005). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 520 520 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo I tradizionali approcci alle competenze sembrano, invece, sottovalutare questo problema in quanto tendono a focalizzarsi quasi esclusivamente sulle competenze di successo. Il framework concettuale proposto trova nella matrice di sviluppo delle competenze il suo strumento applicativo. Per ognuna delle aree di competenza individuate è possibile immaginare politiche di gestione delle risorse umane guidate da logiche decisionali e obiettivi differenti. Il primo quadrante evidenzia la situazione che classicamente le organizzazioni tendono a definire nella progettazione degli interventi formativi. Da un lato vengono definite le priorità per gli obiettivi di ruolo e dall’altro le priorità in termini di scostamenti tra situazione reale e desiderata. La logica adottata è quella di sviluppo in un’ottica tradizionale. Gli interventi di sviluppo dovranno avere come obiettivo quello di migliorare il livello di competenza del personale per “avvicinarlo” il più possibile alla situazione desiderata nella convinzione che il miglioramento della prestazione sia funzione delle competenze obiettivo. Il secondo quadrante presenta una situazione che teoricamente non dovrebbe richiedere interventi di sviluppo. Tali competenze, invece, necessitano di essere presidiate e monitorate al fine di mantenerne il livello di competitività ed evitare processi di “annacquamento” del capitale intellettuale. La logica da adottare è quindi quella del presidio. Gli interventi di sviluppo dovranno tendere da un lato a rafforzare tali competenze e dall’altro a monitorarle per comprendere quando la modifica delle condizioni di contesto richiederanno il cambiamento dei comportamenti al fine di favorire la flessibilità organizzativa e soluzioni più efficaci. Il terzo quadrante richiede al soggetto decisore creatività e innovazione nel processo decisionale relativo allo sviluppo delle competenze. Se da un lato infatti le competenze sono sufficientemente sviluppate e agite dagli attori organizzativi, dall’altro esse emergono come scarsamente rilevanti. Se la direzione adottasse un approccio fortemente razionale al problema quest’area, come anche la quarta (scarsa importanza ed elevato gap) non dovrebbe essere oggetto di attenzione. Almeno due elementi ci inducono a pensare che tale approccio potrebbe essere messo in discussione. Il primo fa riferimento al fatto che la performance si ottiene anche attraverso interventi volti a riorientare i comportamenti inefficaci. In questo senso i processi di sviluppo potrebbero avere come strategia quella di generare disapprendimento (terzo quadrante). Il secondo degli elementi, comprende anche le riflessioni relative al quarto quadrante, considera la possibilità che la prospettiva del titolare di ruolo sia limitata e non interpreti lo sviluppo delle competenze in una visione prospettica e di sistema (Cavaliere, Sarti, 2005). Da qui la necessità di adottare la “logica del dubbio” che richiede valutazioni a forte connotazione soggettiva di tipo scettico, valutazioni in cui l’intuito e la capacità previsionale della dirigenza si affiancano a quelle dei titolari di ruolo. In particolare il quarto quadrante (scarsa importanza ed elevato gap) richiederebbe l’adozione di una strategia di verifica delle 521 Az.Pubb 3.09.indd 521 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo criticità ed eventuale indottrinamento (Mintzberg, 1996). L’applicazione della matrice di sviluppo delle competenze ai singoli ruoli genera “configurazioni di sviluppo” differenziate (tabella 4). L’adozione di una logica olistica suggerisce di adottare interventi di sviluppo modulari e multimetodo che rendano possibili percorsi di fatto personalizzati. Si tratta in sostanza di disegnare contenuti che prevedano diversi livelli o scale di intensità per ogni singola competenza e differenti metodologie in funzione della natura delle competenze e degli obiettivi di apprendimento. Ciò richiede un cambiamento culturale significativo negli approcci alla formazione (cfr. tabella 4). Nel CRT l’applicazione del sistema delle competenze non è ad oggi ancora realizzata, se non in misura parziale; questo per ragioni riconducibili alla criticità del periodo temporale nel quale si è conclusa la ricerca-intervento (il termine della scorsa legislatura) e soprattutto per nuove, diverse e urgenti esigenze maturate che hanno portato l’Ufficio Formazione a dover “distogliere” l’attenzione dal progetto in oggetto, per concentrarsi, invece, su interventi mirati allo sviluppo di altri profili professionali: in particolare di front-line e dirigenziali. Dal 2005, il personale di supporto ai consiglieri è stato coinvolto in iniziative formative, da un lato concentrate prevalentemente sull’approfondimento e aggiornamento di competenze di carattere tecnico in particolar modo sulla sicurezza e gestione dei dati: si tratta di competenze tecniche di soglia considerate necessarie e indispensabili allo svolgimento del ruolo; dall’altro lato è stata promossa una iniziativa coerente con le indicazioni emerse dal progetto intervento attraverso un percorso di “introduzione all’ambiente” dei neo-assunti e adottata con il fine specifico di favorire la conoscenza delle fonti informative disponibili e sviluppare capacità individuali per la loro sistematizzazione. Rispetto agli altri interventi formativi l’iniziativa ha avuto grande riscontro in termini di soddisfazione dei partecipanti e di risultati ai fini del miglioramento del lavoro del titolare di ruolo. Sulla base di alcune recenti disposizioni del legislatore regionale, (2) si può ipotizzare che la valorizzazione del personale assegnato alle strutture di supporto del CRT possa essere attuata in un prossimo futuro, in particolare dalla prossima legislatura, ripartendo anche dal modello di riferimento emerso nella prima fase della ricerca e sulla base di opportune verifiche di coerenza. In definitiva, il modello individuato, a cavallo fra la dimensione di ruolo e quella di competenze, si presenta a quattro anni di distanza ancora valido, mostrando una elevata coerenza rispetto alla odierna realtà organizzativa. Possiamo affermare dunque che la modalità di analisi adottata ha prodotto 2 La legge regionale 4/2008 attribuisce una maggiore autonomia legislativa al Consiglio regionale. Il relativo regolamento interno di organizzazione del CRT dà rilievo, prima mai dato, ai temi della formazione continua anche a favore del personale delle strutture di supporto agli organi politici e istituzionali del Consiglio. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 522 522 12-01-2010 16:35:14 Az.Pubb 3.09.indd 523 Ruolo Specialistico Ruolo Gestione Ruolo Comunicazione Strategia Correlata 523 Risultato Spirito d’iniziativa Expertise giuridico-amministrativa Risultato Spirito di iniziativa Capacità di mediare Pensiero concettuale Pensiero analitico Expertise politico-istituzionale Expertise informatica Sviluppo Pepite Ricerca e selezione delle informazioni utili Sensibilità interpersonale Consapevolezza dell’organizzazione Expertise di comunicazione mediatica Pensiero analitico Expertise informatica Etica Fiducia in sé Gestione del tempo Sensibilità interpersonale Orientamento al cliente Consapevolezza dell’organizzazione Pensiero analitico Flessibilità Etica Risultato Spirito d’iniziativa Ricerca e selezione informazioni utili Gestione del tempo e delle attività Orientamento al cliente Expertise di comunicazione mediatica Flessibilità Presidio Gioielli Tabella 4 – Configurazioni di sviluppo: ruoli, competenze e strategie gestionali Orientamento al cliente Expertise politico-istituzionale Ricerca e selezione delle informazioni Expertise giuridico-amministrativa Sensibilità interpersonale Etica Fiducia in sé Disapprendimento Gingilli Gestione del tempo Logica di processo Autorevolezza Lavoro di gruppo Capacità di mediare Pensiero concettuale Flessibilità Segue Logica di processo Autorevolezza Lavoro di gruppo Expertise di comunicazione mediatica Expertise politico istituzionale Expertise informatica Fiducia in sé Logica di processo Autorevolezza Consapevolezza dell’organizzazione Lavoro di gruppo Capacità di mediare Pensiero concettuale Expertise giuridico-amministrativa Verifica della criticità e indottrinamento Pietre Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:14 Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 524 Ruolo Supporto Segue Tabella 4 Ricerca e selezione delle informazioni utili Expertise giuridico-amministrativa Pepite Risultato Gestione del tempo Sensibilità interpersonale Orientamento al cliente Consapevolezza dell’organizzazione Capacità di mediare Expertise informatica Flessibilità Etica Gioielli Spirito di iniziativa Logica di processo Lavoro di gruppo Gingilli Autorevolezza e influenza Expertise di comunicazione mediatica Pensiero analitico Pensiero concettuale Expertise politico-istituzionale Fiducia in sé Pietre Il modello delle competenze: un approccio evolutivo Esperienze innovative 524 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo un risultato che, a livello di framework di riferimento, è riuscito a travalicare uno dei limiti sostanziali dei modelli di competenze: ovvero la staticità e il rischio di rapida obsolescenza. 7. Conclusioni L’analisi illustrata in questo scritto ha lo scopo di proporre una riflessione metodologica e concettuale attorno ad uno dei temi “nuovi” posti all’attenzione della gestione delle risorse umane nella pubblica amministrazione: le competenze. Partendo da un’esperienza empirica di applicazione della metodologia delle competenze di tipo induttivo all’analisi e descrizione del ruolo e alla analisi dei bisogni formativi, l’articolo arriva a proporre un approccio che cerca di superare alcuni dei limiti strutturali di queste pratiche innovative che se adottate con una logica efficientista e fortemente razionale corrono il rischio di generare rigidità organizzativa. Il contributo propone un framework metodologico che vede i modelli di competenza in un’ottica evolutiva fondata su una logica olistica, dinamica e induttiva. Alla base della proposta c’è una sostanziale presa d’atto del superamento della tradizionale “oggettivazione” burocratica del lavoratore nella posizione ricoperta e nella qualifica funzionale rivestita. Anche nel settore pubblico c’è sempre maggiore consapevolezza del fatto che, oltre alla posizione ricoperta, si debba tener conto della persona relativamente a quello che sa fare, alle informazioni e alle relazioni che è in grado di apportare all’organizzazione, alle sue competenze e alla capacità di apprendere. La questione non è di poco conto se si pensa che a seconda dell’impostazione prevalente bisogna definire in maniera completamente diversa le scelte di programmazione del personale: selezione, formazione, valutazione, carriera e retribuzione, ecc. (Costa, 1997). A noi sembra che si possano proporre alcuni elementi di riflessione utili ad orientare le organizzazioni pubbliche verso l’adozione di sistemi di competenza e allo stesso tempo richiamare alcune questioni aperte che non possono essere tralasciate. È utile partire dall’esperienza presentata in questo lavoro tenendo in considerazione una duplice prospettiva di osservazione. Da un lato, si considera l’efficacia dell’intervento in termini di contributo che esso ha “prodotto” rispetto allo sviluppo culturale dell’organizzazione con particolare riferimento alla Funzione del personale; in secondo luogo, viene valutata, al di là di una effettiva implementazione non ancora integralmente realizzata a causa di “ritardi fisiologici”, la validità attuale del modello realizzato. Dal punto di vista del contributo all’arricchimento culturale, sulla base delle testimonianze raccolte dai responsabili dell’Ufficio formazione, l’esperienza del progetto-intervento, cui gli stessi avevano partecipato in qualità di membri del gruppo di ricerca, ha fornito loro l’occasione di acquisire una crescente consapevolezza sullo strumento delle competenze 525 Az.Pubb 3.09.indd 525 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo quale metodo induttivo idoneo ad impostare politiche orientate a “mettere al centro le persone” coinvolgendole e rendendole attori attivi e partecipi della progettazione del loro processo di crescita. Lo sviluppo in termini di know-how, in relazione alla costruzione dei modelli di competenze, ha altresì fornito ai responsabili della Formazione spunti di riflessione proficui al fine di progettare e impostare in autonomia progetti destinati allo sviluppo di competenze organizzative per altre figure professionali. Tali considerazioni devono poi essere viste alla luce della elevata mutevolezza e incertezza che caratterizza il contesto. La strutturazione degli organi di supporto — ovvero il disegno della singola unità organizzativa di riferimento (gruppo politico) — risulta, infatti, influenzata dalla elevata variabilità delle compagini politiche e dalla personalità dei diversi leader (capo gruppo). In altre parole ci troviamo in un contesto organizzativo in cui, fra le variabili di progettazione organizzativa che maggiormente influenzano il disegno della struttura, la figura del leader risulta determinante. Al contempo, contingenze esterne all’organizzazione, ma interne al mondo politico, producono numerosi e frequenti mutamenti in termini di composizione e ridisegno dell’unità organizzativa (gruppo politico) a causa del frequente mutare dei raggruppamenti. (3) La convinzione maturata è che il “sistema delle competenze”, presentato nel presente lavoro e governato da una logica che mette al centro il sistema dei ruoli e il loro contenuto in un’ottica dinamica, rappresenti un framework di riferimento utile nel tempo alla Direzione del personale di una pubblica amministrazione. che se legata ad uno strumento “statico” corre il rischio di generare un investimento a rapida obsolescenza. Dal punto di vista dei processi di innovazione nella pubblica amministrazione, le competenze possono condurre a percorsi evolutivi dei sistemi di Gru purché si adottino logiche differenti dai modelli tradizionali recuperando la dimensione sistemica e soggettiva della gestione delle risorse umane e valorizzando il contributo dell’individuo nei processi di generazione del valore con una logica dell’orientamento al “cliente” interno. Un ulteriore aspetto da mettere in evidenza è la logica “ad hoc” e induttiva che dovrebbe guidare l’applicazione di tali approcci ai fini di una migliore integrazione con il contesto sociale e tecnologico. Rispetto a quelli “deduttivi” e “generici” i modelli di competenza di tipo induttivo e taylor-made (“ad hoc”) presentano il vantaggio di cogliere le specificità del contesto, di coinvolgere attivamente gli attori organizzativi, di rilevare i valori e la cultura propria dell’organizzazione e di utilizzare un linguaggio condiviso. In questo senso quindi, tendono ad essere percepiti come meno estranei al sistema (o imposti dalla direzione). Per altri versi richiedono una cultura disponibile al cambiamento e aperta ai processi di sperimen3 Un esempio è stato, recentemente, la creazione del maxigruppo composto da esponenti della Margherita e dei DS che si è accorpato in un unico gruppo politico. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 526 526 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Il modello delle competenze: un approccio evolutivo tazione oltre che un investimento maggiore in termini di tempi e di risorse. Nel caso che qui viene proposto l’approccio utilizzato ha prodotto una crescita culturale dell’organizzazione, favorendo un processo di apprendimento organizzativo che ha portato l’organizzazione a modificare i propri comportamenti verso una maggior consapevolezza della “partecipazione delle persone” al loro sviluppo; dall’altro ha fornito un sistema di gestione delle competenze, e non un mero “modello di competenze”, che ad oggi, a quattro anni di distanza, si dimostra ancora un valido supporto da cui partire per impostare un processo formativo. In generale, l’adozione di questi modelli pone anche, a nostro avviso, almeno due questioni aperte legate alla loro reale natura di innovazione e alla loro pretesa di essere strumento che consente il superamento degli approcci organizzativi tradizionali alla Gru. Sotto questo punto di vista riteniamo che il problema sia relativo non già allo strumento in sé, quanto alla logica con cui possono essere progettati e implementati tali sistemi. Limitando le nostre osservazioni all’indagine proposta appare chiaro che se la logica di progettazione degli interventi di sviluppo è di tipo tradizionale anche i modelli di competenza rappresentano un’innovazione mascherata (Masino, 2005), un elemento di continuità piuttosto che un’innovazione vera e propria. Continuando su questo piano appare difficile allora considerarli come modelli post-tayloristici, anzi il rischio è che essi rappresentino strumenti di omologazione dei comportamenti individuali verso presunte best practice dell’agire individuale. A noi pare che questi rischi siano reali e che possano generare problemi per i livelli di efficienza ed efficacia delle nostre pubbliche amministrazioni. Occorre dunque affrontare l’implementazione di queste pratiche “innovative” con cautela e disincanto, non facendosi prendere da mode momentanee o ancora peggio dal desiderio di imitare pratiche “esterne” senza valutarne l’effettiva coerenza e applicabilità rispetto al contesto. 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La governance dell’ente locale è stata profondamente modificata da diverse riforme, tra le quali alcune hanno previsto l’introduzione di logiche di spoil system. In questa prospettiva, il presente lavoro si propone di contribuire al fabbisogno di evidenze empiriche, indagando il livello e le modalità di applicazione dello spoil system negli enti locali. Dallo studio dei casi presentati emerge una crescente applicazione dello spoil system all’esterno dell’ente locale e uno scarso utilizzo all’interno come sistema per modificare gli equilibri organizzativi in ottica premiante e responsabilizzante. In conclusione, vengono discusse alcune implicazioni e accennate alcune possibili traiettorie evolutive delle modalità di applicazione dello spoil system negli enti locali. Italian local governments have been recently affected by different kinds of reforms; in particular, there is a growing need for understanding the effects of the introduction of the spoil system. In this perspective, with a multiple case study approach, the paper aims at analyzing the application of the spoil system in Italian local governments. Empirical evidences show a frequent application of the spoil system outside local governments as opposed to a low use of the spoil system inside local governments as an organizational tool to promote higher accountability and managers’ responsiveness. Finally, some implications and some further perspectives on the spoil system evolution in Italian local governments are discussed. L’articolo è una elaborazione del paper presentato al III Workshop Nazionale di Azienda Pubblica Governare e programmare: l’azienda pubblica tra innovazione e sviluppo al servizio del cittadino e del Paese, Università di Salerno - Università degli Studi del Sannio, giugno 2008 L’autore desidera ringraziare i partecipanti alla sessione parallela e i referee per i preziosi suggerimenti forniti Parole chiave: spoil system – enti locali – politica e management Key words: spoil system – local governments – politics and administration 531 Az.Pubb 3.09.indd 531 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale 1. Introduzione Il presente lavoro si propone di studiare l’applicazione dello spoil system negli enti locali. A questo riguardo, si precisa che l’accezione qui intesa di spoil system prende a riferimento non solo ciò che concerne le modalità di attribuzione degli “incarichi dirigenziali”, ma in generale la “nomina” da parte della componente politica (sindaco, giunta, consiglio) di persone sia all’interno dell’ente locale, sia nelle aziende partecipate dallo stesso. La rilevanza di tale tema trae origine, tra le altre cose, dal fatto che alcuni fenomeni — come ad esempio l’introduzione da un lato di logiche manageriali e dall’altro lato di norme che hanno esteso gli spazi di autonomia circa la nomina fiduciaria di alcuni soggetti (ad es. Anselmi, 1997; Borgonovi, 2004a), l’evoluzione dell’ente locale verso una configurazione organizzativa a rete (ad es. Longo, 2005; Meneguzzo, Cepiku, 2008), l’affermarsi di un numero crescente di partnership pubblico-privato (Zuffada, 2000; 2006), l’allargamento del portafoglio di funzioni e servizi dell’ente locale (Valotti, 2000), il processo di “municipal corporatization” in atto in molti enti locali (Grossi, Reichard, 2008), — hanno favorito e ampliato notevolmente le modalità e i luoghi dell’esercizio del potere di nomina di alcune figure chiave (Payne, Skelcher, 1997; Van Thiel, 2008; Vibert, 2007), facendo dunque divenire questo aspetto uno tra i più decisivi nell’esercizio della funzione di governo aziendale dell’ente locale capogruppo. Dal punto di vista concettuale, l’introduzione del potere di nomina o di attribuzione degli incarichi dirigenziali da parte della componente politica si colloca nel più ampio percorso, iniziato negli enti locali con la l. 142/1990, (1) che ha portato a ridefinire il rapporto tra politica e management nelle amministrazioni pubbliche, assegnando alla prima un compito di indirizzo e controllo e al management la piena responsabilità e autonomia nella gestione (2) (Longo, 1994). A questo proposito, la letteratura ha prodotto alcune riflessioni teoriche proponendo alcune chiavi interpretative per spiegare le modalità applicative dello spoil system (ad es. Amado, 2001; Carboni, 2008; Civicum, 2005; Del Vecchio, 2001; D’Alessio, 2007; Endrici, 2001; Van Thiel, 2008), sebbene con riferimento agli enti locali non siano disponibili delle analisi empiriche che analizzino con una prospettiva olistica tutte le figure organizzative per cui è stato applicato lo spoil system all’interno di un ente locale. 1 La legge 142/1990, all’art. 51, comma 2, per la prima volta sanciva esplicitamente negli enti locali la distinzione tra politica e gestione precisando che “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge o lo statuto non riservino espressamente agli organi di governo dell’ente”. Successivamente, tale principio è stato esteso dal d.lgs. 29/1993 a tutte le pubbliche amministrazioni. 2 Sull’evoluzione intervenuta negli anni novanta nel rapporto tra politica e management negli enti locali così si esprime Longo (1994: p. 112): “Per province e comuni il livello istituzionale politico registra la chiara delimitazione dei propri compiti e una traslazione del baricentro di potere verso il sindaco e la Giunta, ottenendo però il potere di nominare dirigenti di fiducia: vi è quindi una contrazione del ruolo diretto del livello istituzionale e una estensione del suo ruolo indiretto di indirizzo e controllo attraverso la scelta del management”. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 532 532 12-01-2010 16:35:14 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale In quest’ottica, con un approccio di tipo deduttivo-induttivo (Ferraris Franceschi, 1978, p. 221; Masini, 1979, pp. X-XII; Zappa, 1956, p. 76) e attraverso un metodo di ricerca basato sullo studio multiplo di caso (Yin, 1994), l’obiettivo del presente lavoro è quello di presentare dei dati al fine di contribuire a soddisfare il crescente fabbisogno di evidenze empiriche e di contribuire ad una prima possibile sistematizzazione teorica delle modalità di applicazione dello spoil system negli enti locali, posizionando i diversi casi analizzati in una matrice elaborata a partire da alcune dimensioni rilevanti enucleate sulla base di un quadro teorico di riferimento (Amado, 2001; Borgonovi, 2002; Borgonovi, 2004b, pp. 236-239; Heinelt, Hlepas, 2006; Jacobsen, 2006; Longo, 1994; Mouritzen, Svara, 2002; Panozzo, 2006; Rebora, 1983; Sapelli, 2005; Svara, 2001, p. 179; Tichelar, Watts, 2000). Nello specifico, si procede attraverso il seguente percorso logico: nel secondo paragrafo viene analizzata – con particolare riferimento al livello locale – la letteratura sulla relazione tra politica e management nella governance delle amministrazioni pubbliche; nel terzo paragrafo viene illustrata la metodologia della ricerca qui presentata; nel quarto paragrafo vengono riportati, discussi e sistematizzati i principali risultati della ricerca, mentre nel quinto e ultimo paragrafo vengono formulate alcune considerazioni conclusive. 2. La relazione tra politica e management nella governance delle amministrazioni pubbliche: analisi della letteratura Il management pubblico non può essere adeguatamente compreso senza far riferimento alle relazioni cruciali che esistono tra management e politica (Pollitt, Bouckaert, 2002, p. 183). La relazione tra politica e management nella governance delle amministrazioni pubbliche è indubbiamente – fin dagli scritti di Wilson (1887) e Weber (1947) – uno tra i più importanti e dibattuti temi analizzati dalla letteratura, sia di “public administration”, sia di altre discipline (3) (ad es. Alesina, Tabellini, 2008; Howlett, Ramesh, 2003, pp. 23-52). A questo riguardo, al fine di sistematizzare logicamente la review della letteratura effettuata, si possono distinguere almeno tre grandi ambiti di discussione su cui si sono concentrati gli studiosi (cfr. tabella 1). 3 Si precisa che la review della letteratura è stata qui limitata solo ai contributi riconducibili al filone degli studi di public administration e/o public management e che tutti i lavori citati nella tabella 1 sono poi puntualmente richiamati uno ad uno nel seguito della trattazione. 533 Az.Pubb 3.09.indd 533 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale Tabella 1 – I filoni individuati nella review della letteratura 1) “analisi ontologica” attraverso differenti modalità interpretative (deduttive e/o induttive), di quella che è (approccio positivista) e/o dovrebbe essere (approccio normativo) “la combinazione ottimale tra politica e management all’interno della governance democratica delle amministrazioni pubbliche” (ad es. Aberbach et al., 1981; Aberbach et al., 1988; Del Vecchio, 2001; Dunn, Legge Jr., 2002; Jacobsen, 2006; Hansen, Ejersbo, 2002; Montjoy, Watson, 1995; Nalbandian, 2006; Overeem, 2005; Peters, 1987; Svara, 1998;1999a;1999b; 2006; Wheeland, 2000; Yang, Holzer, 2005) 2) “analisi indiretta” della relazione tra politica e management attraverso lo studio delle implicazioni che alcune riforme (istituzionali e gestionali) hanno avuto sull’evoluzione del ruolo della componente politica e manageriale nella governance delle amministrazioni pubbliche (ad es. Anselmi, 1997; 2005; Borgonovi, 2004a; Caperchione, Pezzani, 2000; Cristofoli, Valotti, 2007; Cristofoli et al. 2007; Grossi, 2005; Grossi, Reichard, 2008; Hinna, 2009; Liguori et al., 2009; Mussari, 1996; Payne, Skelcher, 1997; Rebora, 1999; Schedler, 2003; Schedler, Finger, 2008; Valotti, 2000) 3) “analisi puntuale” della relazione tra politica e management attraverso lo studio specifico di alcuni aspetti (ad es. le differenti politiche del personale adottate in alcuni Stati) tramite cui essa stessa è stata operativamente interpretata e declinata (ad es. Borgonovi, 2004b; Carboni, 2008; Cotta et al., 2004; Del Vecchio, 2001; Hutchroft, 2001; Ongaro, 2002; Rebora, Ruffini, 2001; Zuffada, 1999; Vandelli, 2000) Con riferimento al primo ambito, (4) si possono individuare – pur con sfumature differenti – due idealtipi principali (Svara, 1999a; Wheeland, 2000) tramite cui è stata spiegata e discussa la relazione tra politica e management nelle amministrazioni pubbliche: orthodox dichotomy model e complementarity model. In estrema sintesi, punto cardine del primo modello (orthodox dichotomy) sarebbe la dicotomia tra politica e management, secondo la quale spetterebbe rigidamente alla componente politica la definizione degli obiettivi aziendali e delle politiche pubbliche, mentre al management la neutrale, ma efficiente ed efficace messa in atto di tutte le azioni volte all’implementazione delle policies e al raggiungimento degli obiettivi aziendali (Svara, 1998, p. 52): in sostanza, questo modello si fonda su una concezione di isolamento del management da tutte quelle attività che non sono meramente amministrative (mission formulation & policy decisions), e viceversa della componente politica da quelle che non sarebbero tipicamente politiche (administration & management). In quest’ottica, Overeem (2005) ha sostenuto l’urgenza della necessità di riscoprire l’importanza di questo modello, in quanto l’unico in grado di riaffermare chiaramente il valore della neutralità del management dalle interferenze politiche. Alcuni studiosi hanno tuttavia espresso delle riserve sulla visione ortodossa della dicotomia tra politica e management, sostenendone una 4 Per meglio inquadrare l’orizzonte in cui si inserisce la letteratura, è utile precisare che gran parte dei contributi citati in questo primo filone fanno principalmente riferimento al contesto istituzionale locale degli Stati Uniti: a questo proposito, viene presentata nell’appendice una breve descrizione sulle principali forme di governo locale presenti negli Stati Uniti (MayorCouncil e Council-Manager). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 534 534 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale versione intermedia, secondo cui, pur persistendo una totale autonomia del management nell’implementazione dei servizi e delle politiche pubbliche, sarebbe concesso e anzi necessario che il management compartecipi nel processo di scelta politica sulle diverse opzioni di policy (Montjoy, Watson, 1995, p. 237). La prospettiva dicotomica è stata inoltre – sia sulla base di evidenze empiriche (ad es. Aberbach et al.,1981; Dunn, Legge Jr., 2002; Hansen, Ejersbo, 2002; Jacobsen, 2006; Svara, 1999b; 2006), sia dal punto di vista teorico-deduttivo (ad es. Nalbandian, 2006; Svara,1998) — profondamente rivisitata e reinterpretata a favore della definizione di un secondo modello (complementarity model) in cui il rapporto tra politica e management viene invece concepito e descritto attraverso i caratteri dell’interdipendenza e della complementarietà (Svara, 1999a, p. 676), tali per cui, sia il processo di policy making, sia l’azione manageriale, vedrebbero in realtà degli ampi spazi di intersezione e di influenza reciproca tra politica e management, essendo la concettualizzazione stessa della distinzione tra politica e management piuttosto da imperniarsi sulla diversità delle forme di legittimazione dei due ambiti (Del Vecchio, 2001, p. 151). Questa impostazione fornirebbe quindi una più larga e complessa analisi del ruolo del management, teorizzando, soprattutto a livello locale, (5) l’esigenza di una vera e propria partnership tra componente politica e management per rispondere efficacemente ai bisogni della comunità amministrata (Nalbandian, 2006). Particolarmente interessanti sono inoltre i cinque idealtipi elaborati da Peters (1987) per descrivere lungo un continuum le diverse possibili configurazioni della relazione tra politici e dirigenza: a) subordinazione gerarchica della dirigenza alla politica; b) consociazione, intesa come separazione dei ruoli, ma forte coesione, obiettivi e logiche d’azione comuni; c) consociazione funzionale, intesa come collaborazione limitata a settori specifici; d) competizione, dove i dirigenti e i politici competono e sono avversari per le diverse competenze che hanno; e) governo dei burocrati, dove i dirigenti dominano il processo decisionale e i politici tendono a svolgere una funzione solo di ratifica. In ogni caso, come evidenziato da Yang e Holzer (2005) con riferimento al suo impatto sull’etica amministrativa, ciò che sembra certo è che di fatto la relazione tra politica e management si evolve dinamicamente e viene in parte rimodellata da situazioni nuove (sia istituzionali, sia ambientali) che si verificano nel corso del tempo. Il lavoro di Yang e Holzer ci consente dunque di introdurre il secondo filone di letteratura prima evidenziato, che ha prevalentemente descritto con una prospettiva indiretta, proprio come alcune riforme abbiano in parte (ri) modificato il ruolo della politica e del management nelle amministrazioni pubbliche. In particolare, si fa riferimento a contributi che hanno descritto a) come alcune riforme ispirate al New Public Management abbiano avuto 5 “The study of, city management is the study of how politics and administration intersect” (Nalbandian, 2006, p. 1049). 535 Az.Pubb 3.09.indd 535 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale delle implicazioni sul comportamento della componente politica nella governance delle amministrazioni pubbliche (ad es. Caperchione, Pezzani, 2000; Cristofoli et al., 2008; Hinna, 2009; Liguori et al., 2009; Schedler, 2003) e contribuito a favorire la trasformazione — sebbene ancora in una fase di transizione (Cristofoli et al., 2007) – dei burocrati in manager, dando a questi ultimi piena autonomia nella gestione e nel perseguimento degli obiettivi aziendali, chiarendo definitivamente il ruolo unico di indirizzo e controllo strategico della componente politica (ad es. Mussari, 1996); b) come alcuni recenti interventi istituzionali – ad esempio nel contesto italiano – abbiano riorientato la relazione tra politica e management, prevedendo ad esempio la possibilità per la componente politica di intervenire sull’organizzazione nominando fiduciariamente alcune figure manageriali (ad es. Anselmi, 1997; Borgonovi, 2004a; Rebora, 1999; Valotti, 2000); c) come i fenomeni di “municipal corporatization” (Grossi, Reichard, 2008) e l’evoluzione verso una forma ad holding (Anselmi, 2005; Grossi, 2005) stiano aprendo all’interno del gruppo pubblico locale un nuovo spazio in cui si esplicita con particolare intensità – e forse con un relativo minore grado di accountability (Payne, Skelcher, 1997) – la relazione tra politica e management (ad es. Cristofoli, Valotti, 2007; Schedler, Finger, 2008). Da ultimo, nel terzo filone precedentemente richiamato, si possono invece individuare alcuni contributi che hanno analizzato taluni aspetti in cui la dissimile concezione nell’interpretazione del rapporto tra politica e management ha portato ad una diversa cultura amministrativa e allo sviluppo di differenti modelli istituzionali e organizzativi (Hutchroft, 2001, p. 39): si fa ad esempio riferimento al cosiddetto modello francese e al modello americano (Cotta et al., 2004, p. 414), i quali vengono sovente indicati come rispettive pietre angolari dei meccanismi di selezione della dirigenza pubblica, attraverso da un lato il metodo del merit system (modello francese) e dall’altro lato attraverso il sistema dello spoil system (modello statunitense). A questo proposito, proprio nel contesto italiano, il dibattito (6) tra gli operatori e gli accademici sull’evoluzione delle politiche del personale nelle amministrazioni pubbliche (Rebora, Ruffini, 2001), sull’utilizzo dello spoil system come strumento di “public corporate governance” per favorire una maggiore integrazione organizzativa tra politica e management (Zuffada, 1999; Carboni, 2008) e sulla preferibilità del merit system o dello spoil system (Borgonovi, 2004b, pp. 236-239; Del Vecchio, 2001) è stato particolarmente ricco di contributi. In ogni caso, anche ai fini di meglio inquadrare lo sfondo entro cui si collocano le considerazioni esposte nei paragrafi 6 Si fa ad esempio riferimento ad una serie di articoli presenti su www.lavoce.info e www. astridonline.it tra i quali si evidenziano: (la voce.info) F. Bassanini, “Il dibattito sullo spoils system. Una risposta a la voce.info”, 12 novembre 2002; S. Cassese, “Come funziona lo spoils system all’italiana”, 12 novembre 2002; P. Cerbo, “Ragioni e problemi dello spoils system”, 12 novembre 2002; D. Checchi, P. Garibaldi, “Lo spoils system italiano è efficiente?”, 12 novembre 2002; M. Clarich, “Spoil system solo per pochi”, 27 febbraio 2006; C. D’Orta, “Uno stop allo spoils system”, 21 maggio 2007; (astridonline) F. Merloni, “Verso una maggiore delimitazione dello spoil system?”. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 536 536 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale successivi, è bene precisare come si possa complessivamente individuare una sorta di via italiana allo spoil system (Vandelli, 2000, p. 1211), che affonda peraltro le sue radici in una cultura amministrativa altrettanto peculiare, caratterizzata da “una originale miscellanea di logiche manageriali e di logiche della tradizionale cultura legalista di tipo Rechtsstaat propria della tradizione napoleonica” (Ongaro, 2002, p. 77). 3. Metodologia della ricerca Come sopra precisato, la presente ricerca si pone l’obiettivo di indagare con un approccio deduttivo-induttivo (7) (Ferraris Franceschi, 1978, p. 221; Masini, 1979, pp. X-XII; Zappa, 1956, p. 76) le modalità di esercizio dello spoil system nella governance dell’ ente locale. In particolare, la domanda di ricerca che viene esplorata è la seguente: “qual è il livello e la modalità di applicazione dello spoil system negli enti locali?”. Per rispondere alla domanda di ricerca, similmente ad altri studi che hanno investigato l’applicazione dello spoil system (Amado, 2001), si è scelto di adottare una strategia di ricerca basata sullo studio multiplo di caso. La decisione di condurre uno studio multiplo di caso trova origine dalla valutazione congiunta tra oggetto di studio (spoil system), tipologia di domanda di ricerca e punti di forza di questo metodo di ricerca: in tal senso, proprio le caratteristiche di preferibilità della strategia di ricerca tramite lo studio di casi — la quale può ritenersi maggiormente opportuna quando le domande di ricerca sono di tipo how and why, quando il ricercatore ha poco controllo sugli eventi, quando si stanno indagando nuove aree di ricerca (Eisenhardt, 1989, p. 532), quando il focus è su fenomeni contemporanei inseriti in contesti di vita reale e quando i confini tra fenomeno studiato e contesto non sono chiaramente evidenti (Yin, 1999, p. 1) – sono sembrate particolarmente coerenti con la natura del fenomeno qui studiato. La scelta dei casi da studiare è avvenuta attraverso due passaggi consequenziali (Patton, 2002). In primo luogo, la popolazione è stata ristretta sulla base di tre criteri di inclusione: a) l’appartenenza a comuni di dimensione omogenea tra quelli ricompresi generalmente nella classe dei comuni di media dimensione, b) l’appartenenza ad aree geografiche differenti (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole) e c) la presenza di 7 “La dottrina nostra, se vorrà cogliere nella realtà delle aziende tutto quanto è sistematico, coerente, duraturo, tutto quanto non è isolato, contingente, fugace, potrà con efficacia animare gli orientamenti della pratica e illuminarne gli indirizzi. E potrà dalla pratica trarre gli elementi di un’assidua revisione, gli stimoli a nuove sistemazioni, che non più si attardino su posizioni da troppo tempo superate dalla vita che urge con le sue incalzanti necessità, con le sue mete sempre rinnovate” (Zappa, 1956, p. 76); “L’economia aziendale è strettamente legata ad andamenti concreti, a fenomeni o manifestazioni reali che costituiscono l’oggetto intorno al quale deve lavorare per realizzare il suo duplice compito conoscitivo e normativo. D’altra parte il suo ruolo essenziale consiste in un continuo processo di astrazione dalla realtà alla teoria” (Ferraris Franceschi, 1978, p. 22); “La bontà delle teorie deve essere verificata alla luce della “realtà degli accadimenti”, contemperando i presupposti teorici con la ricerca sul campo” (Masini, 1979, pp. X – XII). 537 Az.Pubb 3.09.indd 537 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale sindaci eletti da almeno un anno. In seconda istanza, coerentemente con i criteri appena esposti e sulla base della disponibilità a partecipare alla ricerca, i casi sono stati individuati con un approccio di replicazione logica (Yin, 1999, p. 51) nei comuni di Foligno, Vigevano, Faenza e Chieti, le cui principali caratteristiche sono riassunte nella tabella 2. Tabella 2 – Casi analizzati Comune di Foligno (PG) Popolazione Comune di Comune di Vigevano (PV) Faenza (RA) Comune di Chieti (CH) 54.557 abitanti 59.802 abitanti 55.258 abitanti 55.613 abitanti Area geografica Centro Nord-Ovest Nord-Est Sud Coalizione politica Centro-sx Centro-dx Centro-sx Centro-sx Volume delle entrate (preventivo 2007) € 91.1 mln € 75.3 mln € 97.7 mln € 100.6 mln Numero dirigenti (escluso SG e/o DG) 11 8 10 8 Numero dipendenti (di cui a t. det.) 421 (45) 489 (22) 398 (13) 399 (31) Consorzi 4 4 2 2 Aziende Speciali 0 1 0 1 Istituzioni 0 1 0 1 Società di capitali 9 5 18 5 Agenzie 0 0 2 1 Fondazioni 1 2 5 0 I quattro casi analizzati sono stati scelti in aree geografiche differenti nel tentativo di valutare l’esistenza in contesti diversi di eventuali similitudini o differenze nel livello e nelle modalità di applicazione dello spoil system; similmente, la dimensione omogenea è stata individuata come criterio per Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 538 538 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale cercare di indagare quanto enti locali di dimensione simile (8) giungano potenzialmente a livelli di applicazione dello spoil system differenti; infine, il criterio di privilegiare sindaci eletti da almeno un anno è stato scelto per evitare di analizzare casi in cui sindaci appena eletti non avessero eventualmente potuto ancora esercitare a pieno le prerogative organizzative in tema di spoil system. I dati sono stati raccolti e aggiornati — durante i primi dieci mesi dell’anno 2008 – attraverso differenti tecniche di raccolta: a) “analisi desk” dei principali documenti organizzativi e contabili degli enti locali analizzati e dei soggetti partecipati dagli stessi; b) interviste dirette della durata media di circa un’ora, effettuate con due questionari differenziati di tipo semistrutturato rivolti per ogni ente locale analizzato al sindaco e al presidente del consiglio comunale; c) interviste con un questionario semi strutturato (alcune telefoniche e altre dirette) effettuate a seconda della struttura organizzativa dei casi analizzati con manager appartenenti al settore/servizio direzione generale e/o “gestione società partecipate”. (9) Utilizzando la tassonomia di Yin (1999, p. 4) la ricerca qui presentata si può definire sia di natura descrittiva che esplorativa: la natura descrittiva fa riferimento alla mappatura della tipologia di figure verso cui è stato applicato lo spoil system, mentre la natura esplorativa riguarda lo studio del processo decisionale tramite cui è stato esercitato lo spoil system. Naturalmente, lo studio multiplo di caso presenta dei limiti: pertanto, si precisa che i risultati di questa ricerca si caratterizzano non per la loro generalizzabilità all’universo degli enti locali, in quanto si propongono piuttosto di fornire delle evidenze empiriche volte a confermare, espandere e/o (ri) formulare le proposizioni teoriche da cui si è partiti (Yin, 1999, p. 10). (10) 4. L’esercizio dello spoil system nella governance dell’ente locale: ambiti e modalità di applicazione Il livello di applicazione dello spoil system Come anticipato precedentemente, l’applicazione dello spoil system negli enti locali riguarda ambiti e figure diverse: nella tabella 3 sono 8 Si è deciso di privilegiare enti di dimensione simile perché per ruoli organizzativi (ex art. 1,10 Tuel) sono previste delle soglie massime per l’esercizio delle prerogative di spoil system, che variano in proporzione a parametri (la dotazione organica) i quali dipendono anche dalla dimensione dell’ente. 9 Si è deciso di intervistare anche il presidente del Consiglio comunale ed i manager appartenenti al settore/servizio direzione generale e/o “gestione società partecipate” principalmente per due ragioni: nel primo caso per verificare il livello di vincolarietà degli indirizzi e dei criteri per la nomina e la designazione dei rappresentanti del comune presso enti, aziende ed istituzioni definiti dal Consiglio comunale (ex art. 42, comma m), Tuel), mentre nel secondo caso per cercare di indagare più specificatamente come vengono di fatto mantenute le relazioni di accountability e di indirizzo e controllo strategico tra ente locale e rappresentanti dello stesso nelle aziende partecipate. 10 “Case studies, like experiments, are generalizable to theoretical propositions and not to populations or universes. In this sense, the case study, like the experiment, does not represent a sample, and the investigator’s goal is to expand and generalize theories (analytic generalization) and not to enumerate frequencies (statistical generalization)” (Yin, 1999, p. 10). 539 Az.Pubb 3.09.indd 539 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale stati pertanto ricostruiti una serie di soggetti la cui nomina o introduzione è derivata dalle scelte organizzative compiute dagli organi di governo dell’ente locale. (11) Tabella 3 – Gli ambiti di applicazione dello spoil system Comune di Foligno Comune di Vigevano Comune di Faenza Comune di Chieti Direttore generale 1 0 0 1 Difensore civico 1 1 0 1 Numero dirigenti esterni assunti con contratto a tempo determinato ex art. 110 Tuel 0 3 1 2 Numero contratti di alta specializzazione ex art. 110 Tuel 0 2 1 0 1(*) 1 1 6 Collaboratori esterni con contratto a tempo determinato ex art. 90 Tuel Nucleo di Valutazione (membri esterni) Membri consiglio di amministrazione nominati in rappresentanza dell’ente nelle aziende partecipate di primo livello Numero incarichi dirigenziali cambiati durante il mandato 2 2 2 2 12 29 8 13 1 1 3 3 Note: (*) Nel Comune di Foligno ogni gruppo consiliare ha una autonoma potenzialità di spesa per personale esterno di tipo co.co.co.: complessivamente, la sommatoria dei monti orari assegnati a ciascun gruppo consiliare corrispondono ad una spesa riconducibile a quella di un collaboratore a tempo pieno con contratto a tempo determinato ex art. 90 del Tuel. Per ciò che concerne l’introduzione della figura del direttore generale, (12) solo i Comuni di Foligno e di Chieti hanno fatto ricorso a questa figura; negli altri due casi dove non è prevista la presenza del direttore generale, non è 11 Per individuare il livello di applicazione dello spoil system, sono stati ricostruiti in ogni caso analizzato tutte le figure organizzative dell’ente locale la cui nomina o introduzione – sia dopo procedure di selezione ad evidenza pubblica che attraverso una nomina di tipo fiduciario e/o discrezionale – è avvenuta per scelta da parte degli organi di governo dell’ente locale (sindaco, Giunta, Consiglio). Si precisa che non sono stati considerati nell’analisi il segretario generale ed i revisori in quanto figure obbligatorie e rispondenti a requisiti formali (ad es. iscrizione all’albo), sebbene questi siano comunque introdotti dalla componente politica (nomina del sindaco nel primo caso, elezione da parte del Consiglio comunale nel secondo caso). Per ciò che concerne “l’esterno dell’ente locale” è stato invece ricostruito il numero di consiglieri di amministrazione effettivamente nominati dal sindaco – direttamente o indirettamente tramite l’assemblea dei soci – nelle aziende partecipate di primo livello. Anche qui si precisa che, essendo il presente lavoro rivolto precipuamente allo studio dell’esercizio dello spoil system nella governance dell’ente locale, l’analisi delle nomine effettuate del sindaco “all’esterno dell’ente locale” è stata limitata ai soli consiglieri di amministrazione. Non sono state pertanto prese in considerazione le eventuale ulteriori nomine da parte del sindaco degli organi di controllo delle aziende partecipate di primo livello (ad es. Collegio dei revisori o membri del Collegio sindacale), dipendendo quest’ultimo aspetto dalle diverse possibili forme giuridiche delle stesse: ad esempio nel caso della s.r.l. il codice civile non dispone l’obbligatorietà della presenza di un organo interno di controllo (art. 2477), mentre lo è per la s.p.a. 12 In Italia i comuni che possono nominare formalmente il direttore generale sono quelli con Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 540 540 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale comunque stata assegnata in aggiunta al segretario generale la funzione di direzione generale. In tre casi su quattro è previsto un difensore civico specifico per il comune che lo ha istituito; il Comune di Faenza (13) si avvale invece degli uffici del difensore civico della Provincia di Ravenna. Sono stati inoltre presi in considerazione il numero di dirigenti esterni e di “alte specializzazioni” introdotti nell’ente ai sensi delle facoltà previste dall’art. 110 del Testo unico degli enti locali (14) (d’ora in poi Tuel), nonché il numero di collaboratori esterni assunti con contratto a tempo determinato a supporto agli organi di direzione politica ai sensi dell’art. 90 del Tuel (15): si può notare come i comuni che hanno fatto un maggiore utilizzo delle due fattispecie previste sono quelli di Vigevano (ex art. 110) e Chieti (ex art. 90); il Comune di Foligno non ha invece usufruito delle facoltà previste dall’art. 110 del Tuel. Con riferimento ai dipendenti di supporto agli organi di direzione politica (ex art. 90) è utile riportare come – secondo i dati relativi al censimento del 2007 sul personale di tutti gli enti locali italiani – questi siano aumentati del 65% dal 2004 al 2007. In tutti i comuni è stato attivato un nucleo di valutazione composto da tre membri, e in ogni caso la composizione è fatta da due membri esterni più il segretario (o direttore); in nessuno dei casi analizzati il nucleo di valutazione opera in forma associata in più comuni, situazione che si verifica nel 17% dei 5143 enti locali che hanno dichiarato di aver attivato tale organo (Fonte: “Censimento 2007 del personale degli enti locali”). I numeri più consistenti riguardano comunque la nomina di rappresentanti dell’ente nei consigli di amministrazione delle aziende partecipate: in tal senso, si precisa che è stato conteggiato il numero di consiglieri di amministrazione designati, già considerando le misure previste dalla legge finanziaria 2007. (16) Anche qui è utile inquadrare i risultati riportati in un contesto complessivo che vede la crescita del 5.9% del numero di società più di 15.000 abitanti, mentre i comuni più piccoli, per poterlo nominare, devono consorziarsi al fine di raggiungere tale soglia. Secondo i dati di una ricerca di Forum Pa (2007) i comuni che hanno introdotto la figura del “direttore generale puro” a fianco di quella del segretario generale sono 143 (20,3%); altri 262 (37,2%) comuni hanno esplicitamente conferito la funzione di direttore generale al segretario generale; i restanti 299 (42,4%) municipi aventi più di 15.000 abitanti non hanno modificato la propria struttura di vertice, prevedendo invece solo il segretario generale. 13 A questo proposito si precisa che, – sebbene concretamente i cittadini di Faenza possano rivolgersi comunque ad un Difensore civico –, ai fini della misurazione del livello di applicazione dello spoil system è stato considerato un valore pari a zero. 14 “Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato”; “I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della Provincia in carica” (art. 110, Tuel: commi 1 e 3). 15 “Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della Giunta o degli assessori, per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell’ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato” (art. 90, Tuel, comma 1). 16 I commi dal 725 al 730 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 hanno infatti introdotto un limite al numero dei componenti dei consigli di amministrazione delle società partecipate da Comuni e Province: in particolare, è stato stabilito che il consiglio di amministrazione 541 Az.Pubb 3.09.indd 541 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale partecipate dagli enti locali nel periodo 2003-2005, per un totale di circa 22.809 consiglieri d’amministrazione impiegati, dei quali il 31.5% svolge tale ruolo in due o più società (Unioncamere, 2008). Un altro dato interessante riguarda il numero di incarichi dirigenziali cambiati durante il mandato amministrativo del sindaco: a questo proposito, si specifica che in tutti i casi sono stati cambiati gli incarichi dirigenziali solo a fronte della vacanza dell’incarico a causa del pensionamento della persona che lo ricopriva precedentemente; solo nel caso del comune di Chieti, peraltro l’unico in cui si è verificato un cambio di coalizione politica nella guida dell’ente, dei tre incarichi dirigenziali cambiati uno è stato tolto e riassegnato ad un altro soggetto. Emerge dunque come l’intento del legislatore di incentivare e responsabilizzare la componente politica ad un uso premiante e dinamico dell’attribuzione degli incarichi dirigenziali sia in realtà stata interpretato in modo statico, sebbene sia da considerare che in due casi (Vigevano e Faenza) su quattro il sindaco sia al secondo mandato e come in un caso (Foligno) provenga da una coalizione politica dello stesso orientamento di quello precedente. Tabella 4 – Il livello di applicazione dello spoil system Numero totale di figure introdotte dalla componente politica INDICE DI COMPOSIZIONE DELLO SPOIL SYSTEM: Figure operanti all’interno dell’ente locale/Figure operanti all’esterno dell’ente locale Comune di Foligno Comune di Vigevano Comune di Faenza Comune di Chieti 17 38 13 25 0,4 (5/12) 0,3 (9/29) 0,6 (5/8) 0,9 (12/13) Nella tabella 4 viene invece riassunto il numero complessivo di persone per le quali è stato applicato lo spoil system; inoltre, al fine di porre in evidenza quante di queste abbiano riguardato l’interno dell’ente locale e quante l’esterno, è stato calcolato un indice, denominato indice di composizione dello spoil system, il cui valore è stato ottenuto dalla divisione tra persone che operano “all’interno” dell’ente locale e persone che operano “all’esterno”: come si evince dalla tabella, in tutti i casi risulta un’applicazione maggiore dello spoil system all’esterno dell’ente locale. delle società partecipate totalmente da enti locali (anche in via indiretta) può essere costituito al massimo da tre o cinque componenti, a seconda dell’ammontare di capitale sociale. Nelle società miste invece è stato fissato un limite al numero dei componenti del consiglio di amministrazione designati dai soci pubblici locali, che non può essere superiore a cinque (Montemurro, 2007, pp. 59-60). Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 542 542 12-01-2010 16:35:15 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale Si consideri che l’applicazione dello spoil system all’esterno dell’ente locale assumerebbe valori ancora più grandi se si considerasse anche le figure nominate negli organi di controllo delle aziende partecipate di primo livello, così come l’ulteriore allungamento della catena di nomine fiduciarie nei soggetti partecipati dalle stesse aziende partecipate di primo livello. Le modalità di applicazione dello spoil system L’analisi della modalità di applicazione dello spoil system negli enti locali ha invece preso in considerazione il processo decisionale tramite cui la componente politica ha esercitato lo spoil system: in particolare, tale analisi ha riguardato solo quelle nomine, o effettuate senza procedure selettive ad evidenza pubblica, o di soggetti cui non erano esplicitamente richiesti, né dalla legge, né dai regolamenti degli enti locali, dei misurabili prerequisiti di tipo professionale; lo studio della modalità di applicazione dello spoil system è stato dunque focalizzato solo su quelle nomine di tipo esclusivamente discrezionale e fiduciario in cui il potere decisionale della componente politica è massimo. (17) In particolare vengono analizzati i fattori ritenuti più importanti nella scelta delle persone da nominare, il grado di apertura e competitività del processo di selezione delle persone da nominare, il grado di prescrittività degli indirizzi e dei criteri definiti dal Consiglio comunale per la nomina e la designazione dei rappresentanti del comune presso enti, aziende e istituzioni, nonché il grado di influenza che esercitano i vari attori sul potere di nomina del sindaco. Per quanto riguarda i requisiti individuati come i più importanti per la scelta delle persone da nominare, in tutti i casi è emersa una sostanziale omogeneità nel privilegiare le competenze professionali rispetto al rapporto di fiduciarietà e alla condivisione della linea politica, sebbene sia stato osservato nelle interviste effettuate una sorta di comportamento reattivo (Bailey, 1995) da parte dei sindaci intervistati volto a privilegiare la risposta ritenuta probabilmente più accettabile da parte del ricercatore. Infatti, altre interviste con altri soggetti hanno invece evidenziato un trend opposto, il quale può ben essere rappresentato dalle parole di un dirigente intervistato: “è ovvio che i sindaci tendano a dichiarare che nominano solo persone particolarmente competenti, tuttavia, in verità, la cosa più importante non è 17 Nello specifico, lo studio delle modalità di applicazione ha quindi riguardato le modalità di nomina del direttore generale (qualora presente), dei membri del Nucleo di valutazione (solo nel caso in cui nel regolamento di funzionamento del N.d.V. non fosse previsto per la nomina il possesso di misurabili prerequisiti di tipo professionale) e dei consiglieri di amministrazione nominati dal sindaco nelle aziende partecipate di primo livello. 543 Az.Pubb 3.09.indd 543 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale sempre la qualità del curriculum, ma essere sponsorizzati da qualche gruppo politico o personalità politica influente” (Intervista n. 7). Per analizzare il grado di apertura e competitività del processo di selezione delle persone da nominare è stato preso in considerazione l’eventuale utilizzo di azioni ad evidenza pubblica (pubblicazione su giornali e sito internet, consultazione con associazioni e altri stakeholder locali, eventuale presenza di una commissione nomine ecc.) per pubblicizzare la possibilità di candidarsi per posizioni per cui è possibile utilizzare lo spoil system. A questo riguardo, sebbene in alcuni casi esista già una certa forma di pubblicizzazione delle candidature, in ognuna delle interviste effettuate è emerso un medio-basso grado di apertura e competitività, da controbilanciare però con la comune espressa intenzione di “aumentare, attraverso diversi canali, la reale trasparenza e conoscenza sulle nomine da effettuare dei rappresentanti dell’ente locale nelle aziende partecipate” (Intervista n. 11). Approfondendo l’analisi è interessante segnalare come a fronte di un livello tendenzialmente simile di apertura e competitività del processo di selezione delle persone da nominare, le interviste abbiano tuttavia fatto emergere differenti modalità di interpretazione del concetto stesso di apertura e competitività del processo di selezione, come ad abbozzare una sorta di effetto geografico dipendente dalle differenti culture organizzative e sociali esistenti. Infatti, a Foligno (centro) e a Chieti (sud) si è registrato un più ridotto interesse per l’apertura e la competitività del processo di selezione, quasi ad evidenziare una cultura sociale maggiormente predisposta ad accettare una prassi partitocratica, temperata però da un livello di attenzione pubblica e di controllo sociale su chi poi viene effettivamente nominato decisamente più alta che negli altri casi: “certo, possiamo dire che il processo di nomina dovrebbe essere aperto a tutti, ma in realtà decidono i partiti, anche se, ormai c’è una sorta di curiosità sociale e di attenzione incrociata di tutte le forze politiche, che a fronte di un processo nebuloso, si arriva comunque ad un esito del processo di selezione spesso soddisfacente, in quanto si può dire che vengano in ogni caso scelte persone di qualità” (Intervista n. 13) A Vigevano è invece emersa un’interpretazione che potremmo definire efficientista e decisionista di quello che dovrebbe essere il grado di apertura e competitività del processo di selezione: “ai vincitori vanno le spoglie, così dice lo spoil system. Quindi, chi governa deve poter decidere autonomamente come meglio crede. Quello che conta è che poi i risultati arrivino” (Intervista n. 1). A Faenza, sembra invece emergere un’interpretazione di un processo di selezione che dovrebbe idealmente tendere alla democraticità: “stiamo provando a rendere il processo di nomina più aperto. È spesso vero che nominiamo persone dal curriculum impeccabile; il punto è che, Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 544 544 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale altrettanto spesso, può capitare di ricevere candidature da persone con dei curriculum parimenti interessanti, ma che non vengono scelte perché non hanno connessioni con chi poi ha effettivo potere decisionale. Dovremmo trovare un modo per tutelare anche loro.” (Intervista n. 9) Dal punto di vista della formalizzazione del processo decisionale, l’analisi della delibera di indirizzo del Consiglio comunale mostra, anche qui in ogni Comune, un’elevata genericità e un basso grado di prescrittività nella definizione dei criteri per la nomina (box 1). Box 1 – Analisi della tipologia di criteri definiti dalle delibere di indirizzo dei Consigli comunali Foligno: “Criterio della comprovata competenza: documentati doti di capacità tecnica-amministrativa, di coordinamento e di promozione delle attività, valutabili attraverso curriculum vitae”; “Criterio della professionalità: soggetto capace di determinare, sulla base delle indicazioni del Comune, obiettivi e funzioni generali di impresa”; ”Sganciamento da logiche di appartenenza affinché la propria azione sia ispirata a criteri di oggettività e di trasparenza finalizzate al bene comune e non ad interessi personali, professionali o di gruppo; “Assenza di vincoli associativi che possano condizionare l’espressione delle specifiche funzioni assegnate”. Vigevano: “Possedere comprovata onorabilità ed essere persona nota per comportamenti eticamente corretti e tali da corrispondere alle caratteristiche di servizio per l’interesse pubblico”; “Possedere una formazione professionale adeguata all’incarico e comprovata esperienza specifica acquisita, presentando dettagliato curriculum”; “Ove prevista rappresentanza per i gruppi di minoranza, il sindaco nomina scegliendo tra una rosa di nominativi indicati dai gruppi stessi nel numero massimo di tre”. Faenza: “I rappresentanti del Comune debbono essere scelti fra persone dotate di riconosciuta competenza, professionalità, rappresentatività delle diverse realtà economiche, tecnico-scientifiche, sociali e culturali, di indiscussa probità. La professionalità e la competenza sono comprovate da relativo curriculum”; “Dovrà essere assicurata, di norma, la presenza di entrambi i sessi e sarà promossa ed assicurata adeguata di rappresenti femminili presso enti, aziende ed istituzioni”. Chieti: “Il possesso di particolare competenza tecnica o amministrativa per studi compiuti e almeno del titolo di studio di scuola media superiore, oppure aver avuto funzioni presso aziende pubbliche o private almeno a livello impiegatizio, oppure aver ricoperto uffici pubblici per almeno un triennio”. A questo riguardo, le interviste effettuate con i presidenti dei Consigli comunali hanno confermato che la delibera non sembra svolgere una reale funzione di strumento di indirizzo, essendo piuttosto per lo più interpretata da parte del Consiglio comunale come un mero adempimento da assolvere. In generale, come confermato dalla letteratura (ad es. Denters, 2006), la relazione tra Consiglio e Giunta affiora come uno degli aspetti più problematici nella governance dell’ente locale: dalle interviste scaturisce infatti inequivocabilmente il sostanziale spiazzamento del ruolo del Consiglio, il quale, oltre ad esercitare “un debole e spesso solo formale indirizzo per la 545 Az.Pubb 3.09.indd 545 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale nomina dei rappresentanti dell’ente locale” (Intervista n. 5), pare ancora maggiormente faticare nel mantenere una relazione di accountability dal punto di vista della valutazione dell’operato delle persone nominate, nonché dal punto di vista della conoscenza dei risultati gestionali e del grado di tutela dell’interesse pubblico nelle modalità di erogazione dei servizi da parte dei soggetti partecipati. L’analisi degli attori che maggiormente influiscono nelle decisioni inerenti le varie nomine mostra invece una maggiore dispersione nei casi analizzati. In un caso (Vigevano) il processo di nomina pare caratterizzarsi da tutti gli intervistati “per un’indubbia forte centralità del ruolo del sindaco” (Intervista n. 6), mentre a Chieti e Faenza emerge un significativo ruolo degli equilibri politici (di Giunta o di Consiglio) che vedono nel primo caso “una sorta di lotta tra intenzioni del sindaco e bilanciamento con le volontà di tutte le forze politiche” (intervista n. 14) e nel secondo caso “una grande considerazione degli equilibri consiliari” (intervista n. 8). A Foligno sembra invece emergere una situazione molto più destrutturata dove nessun attore pare dominante e dove a seconda delle figure per cui viene applicato lo spoil system diversi attori possono giocare un ruolo decisivo nell’influire sulla decisione finale del sindaco. Discussione Dopo aver evidenziato alcune risultanze emerse, coerentemente con un approccio deduttivo-induttivo (Ferraris Franceschi, 1978, p. 221; Masini, 1979, pp. X-XII; Zappa, 1956, p. 76) e al fine di sistematizzare teoricamente le dimensioni indagate negli studi di caso (Eisenhardt, 1989), viene ora presentata una matrice che propone differenti potenziali modelli di applicazione dello spoil system negli enti locali. Inoltre, la matrice illustra il posizionamento dei case study rispetto alle dimensioni ricostruite attraverso l’analisi della letteratura (Amado, 2001; Borgonovi, 2002; Borgonovi, 2004b, pp. 236-239; Heinelt, Hlepas, 2006; Jacobsen, 2006; Longo, 1994; Mouritzen, Svara, 2002; Panozzo, 2006; Rebora, 1983; Sapelli, 2005; Svara, 2001, p. 179; Tichelar, Watts, 2000). Innanzitutto, è bene precisare che la decisione di spiegare lo studio delle modalità di applicazione dello spoil system attraverso una matrice qualitativa trae riferimento dai lavori di Borgonovi (2004b, pp. 236-239), Elcock (2008) e Heinelt, Hlepas (2006), i quali hanno similmente spiegato attraverso l’uso di matrici qualitative alcuni aspetti della relazione tra politica e management nelle amministrazioni pubbliche. La matrice 1 illustra il posizionamento di sei modelli di spoil system rispetto a due dimensioni: • il grado di formalità, apertura e competitività del processo di selezione; • il livello di concentrazione della struttura del potere locale per la scelta Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 546 546 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale delle persone da nominare: quest’ultima dimensione è stata rielaborata a partire da Longo (1994, p. 95). (18) I sei modelli proposti possono intendersi come diverse tipologie di comportamento politico, che può essere definito come “l’insieme degli atteggiamenti, dello stile di gestione del potere, del modo di rapportarsi con le altre componenti dell’amministrazione e con quelle della società esterna, che sono propri della leadership politica dell’istituto pubblico locale, in particolare di coloro che detengono la responsabilità ultima dell’amministrazione e del suo governo” (Rebora, 1983, p. 199). Un basso grado di formalità, apertura e competitività del processo di selezione e un basso livello di concentrazione della struttura del potere locale identificano il modello – la cui definizione prende spunto da un lavoro di Jacobsen (2006, p. 305) – del “contingency spoil system”: il basso livello di concentrazione della struttura del potere e l‘elevata chiusura e informalità del processo decisionale (Tichelar, Watts, 2000) fanno emergere una metodologia di scelta delle persone da nominare in cui nessun attore è dominante e in cui, a seconda del contesto e della tipologia di nomina da esercitare, differenti attori (ad es. direttore generale, assessore al bilancio, presidente del consiglio d’amministrazione uscente) possono avere la meglio nell’influenza sulla decisione finale. Un basso grado di formalità, apertura e competitività del processo di selezione con il crescere della concentrazione della struttura del potere locale origina invece i modelli dello spoil system dei partiti municipali (Sapelli, 2005, p. 16; Heinelt, Hlepas, 2006, p. 25) e del sindaco forte (Mouritzen, Svara, 2002, p. 58): a fronte di un contingency spoil system in cui il potere è diffuso o destrutturato nei network informali dell’organizzazione (De Toni et al., 2007), qui la concentrazione del potere politico cresce fino a strutturarsi nei rapporti di forza dei partiti politici locali (spoil system dei partiti municipali), oppure fino a culminare al livello massimo di concentrazione nello spoil system del sindaco forte. Nel quadrante in alto a destra della matrice, un elevato grado di concentrazione della struttura del potere locale e un elevato grado di formalità, apertura e competitività del processo di selezione originano il modello dello “spoil system come luogo dei tecnici d’area” (Longo, 1994, p. 103): la formalità e l’apertura del processo decisionale acuiscono l’elevato grado di concentrazione del potere politico, generando una sorta di controllo incrociato sulle nomine da effettuare, con l’effetto di produrre una competizione verso l’alto che indurrebbe sì la nomina di professionisti, ma comunque vicini al potere politico concentrato. 18 Longo (1994, p. 95) definisce come “struttura del potere nelle pubbliche amministrazioni locali la composizione, i meccanismi di selezione, la distribuzione delle responsabilità e delle autonomie della classe politica e della dirigenza”; nello specifico qui si considera il livello di concentrazione della struttura di potere. 547 Az.Pubb 3.09.indd 547 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale Sempre nella parte alta della matrice, al decrescere del livello di concentrazione del potere politico si trova il comportamento politico che definisce il modello dello spoil system del legislatore: tale modello identificherebbe la situazione che ha probabilmente ispirato alcuni interventi del legislatore (ad es. l. 127/1997), secondo cui la scelta delle persone da nominare è, in un’ottica di crescente responsabilizzazione, sì delegata alla componente politica, ma comunque all’interno di meccanismi aperti e formalizzati di controllo democratico. Quest’ultimo modello evoca peraltro in parte la tipologia con cui Svara (2001, p. 179) ha descritto la situazione di “una illuminata complementarietà” nella relazione tra politica e management, la quale sarebbe caratterizzata da un alto grado di controllo della componente politica accompagnato ad un alto grado di indipendenza delle persone nominate, in un contesto in cui il rispetto delle diverse razionalità, sfere d’azione e competenze garantirebbe una profonda legittimazione reciproca. Quanto descritto dall’autore si troverebbe idealmente a metà via tra il modello dello spoil system del legislatore e il modello dello spoil system accountable e competitivo, con un basso livello di concentrazione della struttura del potere locale e un alto grado di formalità, apertura e competitività del processo di selezione. Il modello dello spoil system accountable e competitivo trae spunto da Amado (2001), Borgonovi (2002, p. 369) e da Panozzo (2007): in particolare, quest’ultimo autore ipotizza come possibile traiettoria evolutiva nel rapporto tra politica e management nell’ente locale quella di “democratizzare” alcune funzioni civiche, come ad esempio quella del direttore generale. In tal senso, nella matrice si parla di spoil system accountable e competitivo come potenziale modello di applicazione dello spoil system che scaturirebbe in un contesto ad alta formalità, apertura e competizione del processo di selezione e a basso livello di concentrazione della struttura del potere locale. Naturalmente, i modelli di applicazione individuati sono soltanto teorici; in quest’ottica, sulla base delle risultanze e coerentemente con un approccio interpretativo (Yanow, Schwartz-Shea, 2006) (19), i casi analizzati sono stati poi posizionati nella matrice 1. In particolare il Comune di Vigevano si caratterizza per la presenza principale dei tratti del modello del sindaco forte; il Comune di Chieti si colloca sostanzialmente a metà tra il modello dello spoil system dei partiti municipali e del sindaco forte; il Comune di Faenza si colloca anche lui tra il modello dei partiti municipali e il del modello del sindaco forte sebbene con una maggiore accentuazione verso il primo; il Comune di Foligno è l’unico che presenta dei tratti tipici del modello “contingency” e si colloca tra questo modello e il modello dei partiti municipali, seppure comunque leggermente più orientato verso quest’ultimo. 19 Si precisa che la definizione e la collocazione dei casi analizzati nella matrice non prevede alcun giudizio sulla preferibilità dell’uno o dell’altro comportamento politico, in quanto nel presente lavoro si vuole semplicemente, con un orientamento esclusivamente di tipo positivo, tentativamente rappresentare le modalità di applicazione dello spoil system, senza fornire quindi alcun tipo di valutazione di carattere normativo. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 548 548 14-01-2010 16:55:27 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale Matrice 1 – I modelli di applicazione dello spoil system Alto Spoil system accountable e competitivo Spoil system del legislatore GRADO DI FORMALITà, APERTURA E COMPETITIVITA’ DEL PROCESSO DI SELEZIONE Spoil system come luogo dei tecnici d’area Faenza Chieti Foligno Contingency spoil system Vigevano Spoil system dei partiti municipali Lo spoil system del sindaco forte Basso Basso Alto LIVELLO DI CONCENTRAZIONE DELLA STRUTTURA DEL POTERE LOCALE La collocazione verticale dipende invece dal grado di formalità, apertura e competitività del processo di selezione: sebbene a diverse altezze, si noti come nessun caso si collochi nella parte alta della matrice, confermando dunque come relativamente a questa dimensione d’analisi le modalità di applicazione dello spoil system nei casi analizzati siano lontane da quelle teoricamente previste/auspicate dal legislatore. 5. Considerazioni conclusive Lo studio ha analizzato l’applicazione dello spoil system confrontando i casi di quattro enti locali di dimensioni omogenee. In particolare, è emerso come ogni ente locale abbia interpretato lo spoil system attraverso livelli e modalità di applicazione differenti; tuttavia, vi sono anche degli aspetti che accomunano i casi analizzati, tra cui si possono individuare: 549 Az.Pubb 3.09.indd 549 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale • la crescente rilevanza dell’applicazione dello spoil system all’esterno dell’ente locale, testimoniata in tutti i casi dalla presenza di un indice di misurazione del rapporto tra figure introdotte all’interno dell’ente locale e figure introdotte all’esterno dell’ente locale con valore inferiore all’unità; • la spiccata politicizzazione del processo decisionale, in particolare per la nomina di alcune figure come i consiglieri di amministrazione delle aziende partecipate, rinvenibile nei casi analizzati dal consistente grado di concentrazione della struttura del potere locale (Longo, 1994, p. 95) e dal basso livello di formalità, apertura e competitività del processo di selezione delle persone da nominare; • lo scarso utilizzo dello spoil system come sistema per modificare all’interno dell’ente locale gli equilibri organizzativi in ottica premiante e responsabilizzante, evidenziato dall’uso sostanzialmente statico dell’istituto degli incarichi dirigenziali. Dallo studio effettuato è inoltre emerso in ogni caso analizzato una interpretazione frammentata dello spoil system e una difficoltà nel ricostruire tutte le figure per cui è stato utilizzato tale strumento, ponendo in luce come non sembri essere ancora stata pienamente interiorizzata né la logica sottesa, né i tempi del ciclo amministrativo entro cui dovrebbe segnatamente trovare particolare utilizzo lo spoil system (ad es. all’inizio del mandato amministrativo). Un ulteriore aspetto particolarmente interessante rinvenuto nella ricerca è l’esistenza di una sorta di differente interpretazione su come debba essere esercitato lo spoil system a seconda della collocazione geografica dei casi analizzati, sebbene tale risultanza necessiti evidentemente di ulteriori approfondimenti e ricerche. Coerentemente con le caratteristiche della strategia di ricerca tramite case study, tali risultanze ci consentono quindi di confermare, espandere e/o (ri) formulare le proposizioni teoriche da cui si è partiti (Yin, 1999, p. 10). A questo proposito si possono svolgere almeno due ordini di considerazioni. In primo luogo, è indubbio come la crescente diffusione di soluzioni gestionali esterne all’ente locale ne stia profondamente modificando la governance (Grossi, 2005). In questa prospettiva, la rilevanza delle funzioni svolte nelle aziende parte del gruppo municipale (20) fa affiorare la crescente esigenza di ripensare questo nuovo spazio strategico – spesso in penombra (Seidman, 1999) – che si è creato nella relazione tra politica e management: se da un lato si pone con forza la questione di favorire complessivamente un maggior livello di accountability sulle nomine da effettuare (Civicum, 2005), e più in generale di un maggiore livello di accountability democratica (Payne, Skelcher, 1997; Behn, 1998), di man20 A tal proposito Del Vecchio (2001, p. 27) sottolinea come “l’inserimento dell’azienda composta pubblica in tali aggregati interaziendali pone non facili problemi di tipo interpretativo, con riguardo, ad esempio, alle complesse relazioni tra finalità e soggetti istituzionali dell’aggregato e finalità e soggetti istituzionali della azienda”. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 550 550 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale dato fiduciario (ad es. Steccolini, 2004, p. 60) e/o di risultato del gruppo pubblico (ad es. Guarini, 2003, p. 99), dall’altro lato si impone la necessità di riverificare e forse superare definitivamente la visione della scelta degli amministratori da parte dei responsabili politici “come uno dei modi per ricondurre al circuito della responsabilità politica aree dell’amministrazione che vengono organizzate in modo separato” (Endrici, 2001, p. 149). In tal senso, anche in ottica prospettica, la forte rilevanza che assume e assumerà il ruolo di consigliere di amministrazione delle società partecipate – dalla cui gestione probabilmente passerà sempre maggiormente l’erogazione di servizi pubblici – sembra sempre più richiedere la necessità di riaffermare anche la natura manageriale e l’implicazione aziendale di questo ruolo (Cristofoli, Valotti, 2008). A questo riguardo, pure ai fini dell’avvio di un reale mercato del management pubblico, diventerà cruciale considerare l’opportunità di promuovere interventi mirati, volti a favorire l’applicazione dello spoil system verso i modelli prima presentati come “spoil system del legislatore” e “spoil system accountable e competitivo”. (21) Infatti, il processo di nomina sembra sempre più necessitare di un ripensamento e di una ridefinizione (cfr. Civicum, 2005; Gilardoni, 2006) e dovrebbe prevedere modalità, forme e momenti di confronto con soggetti diversi da quelli che hanno il potere di nomina e che sono portatori degli interessi della collettività (Borgonovi 2002, p. 369; Oecd, 2005); similmente, allargare l’ampiezza della potenziale base di selezione da cui attingere le eventuali persone da nominare diventa un aspetto fondamentale che impatta finanche su questioni democratiche, etiche, nonché di efficienza di un sistema locale nell’attrarre e reclutare al servizio della collettività i migliori talenti di cui dispone. La seconda considerazione concerne il ruolo della cultura aziendale: in quest’ottica, come è emerso dai casi, le opportunità insite nell’applicazione dello spoil system potranno essere valorizzate solo se questo verrà realmente concepito e interpretato come uno strumento per attuare concretamente i principi aziendali dell’autonomia e della responsabilizzazione del management. Infatti, come tutti gli strumenti organizzativi, la loro efficacia dipende non tanto dallo strumento in sé, quanto piuttosto dai comportamenti delle persone che poi effettivamente utilizzano tali strumenti, i quali sono a loro volta influenzati dal sistema dei valori della cultura organizzativa (Borgonovi, 2004, p. 15); in questo senso, è indubbio che ciò che rende accettabile la discrezionalità politica nella scelta delle persone chiamate a ricoprire alcuni ruoli di responsabilità è l’effettivo utilizzo di meccanismi di valutazione e controllo che possano assicurare la responsabilizzazione manageriale (Del Vecchio, 2001, p. 163). A tal fine, sembra cruciale un forte investimento per la formazione negli enti locali di una cultura di tipo aziendale. Inoltre, appare necessario riprogettare le modalità di relazione tra politica e management (Borgonovi, 2002, p. 367) alla luce di una razionalità non solo istituzionale-giuridica, ma anche azien21 Interessante a questo proposito pare essere l’iniziativa posta in essere nel 2009 da ANDIGEL (Associazione Nazionale dei direttori Generali degli enti locali) circa il processo di accreditamento dei direttori generali, fondato sulla verifica da parte di un ente terzo dell’adeguatezza delle competenze maturate da coloro che vogliano ambire ad essere nominati direttori generali dai sindaci interessati ad attivare questo ruolo. 551 Az.Pubb 3.09.indd 551 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:16 Esperienze innovative Lo spoil system nella governance locale dale (Del Vecchio, 2001, p. 141). In tal senso future ricerche – specialmente di tipo comparativo – saranno indispensabili per aumentare la base empirica disponibile e studiare fenomeni ad oggi poco esplorati, quali la relazione tra tipologia di cultura amministrativa e organizzativa e modalità di applicazione dello spoil system. 6. Appendice Box 2 – Le forme di governo locale negli Stati Uniti: un breve inquadramento Negli Stati Uniti le forme di governo locale più diffuse sono quella del Council-Manager e del Mayor-Council. In particolare il 49% delle municipalità adotta la forma del Council-Manager, il 43,5% delle municipalità si fonda sul modello del Mayor-Council, mentre le restanti municipalità hanno adottato il modello Commission o quello del Town Meeting. La forma del Mayor-Council è quella più antica e più vicina al modello di governo federale. Secondo questo modello il Sindaco e il Consiglio vengono eletti dai cittadini: il primo è a capo del governo della città e i suoi compiti variano da quelli cerimoniali a quelli di gestione complessiva della municipalità, includendo la nomina e licenziamento dei “department heads” e la predisposizione del budget; il Consiglio annovera invece tra le sue principali funzioni l’approvazione del budget e delle ordinanze, l’imposizione dei tributi ecc. La forma del Council-Manager si caratterizza invece proprio per la presenza di un city manager nominato dal Consiglio. Tale forma, affermatasi dai primi anni del ventesimo secolo, è in crescente diffusione, in particolar modo nelle città di maggiori dimensioni: nel 2008 il 62% delle città con più di 50.000 abitanti era amministrata da un city manager. La prima grande città che adottò tale forma di governo fu Staunton (Virginia) nel 1908. Il modello del Council-Manager è inoltre presente in molte nazioni di cultura anglosassone (Australia, Canada, UK e Irlanda) e non (Olanda, Cile, Honduras, Brasile). I compiti del city manager sono molto vasti e riguardano l’elaborazione del budget, la nomina dei dirigenti, la gestione del personale, l’ampio supporto fornito al Consiglio nella definizione della strategia, degli obiettivi e delle policy funzionali al loro raggiungimento ecc. Il Consiglio si occupa dell’approvazione del budget, determina il livello delle tasse e si concentra principalmente sulla visione politica e sulla strategia; nomina il city manager a maggioranza e sempre a maggioranza, pur nel rispetto dello statuto e dei regolamenti, può risolvere in qualunque momento il rapporto di lavoro con il city manager qualora non sia soddisfatto del suo operato. (Per un approfondimento vedi “The Municipal Year Book 2008”, ICMA, International City/County Management Association, Washington, D.C.). 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L’analisi dei dati di bilancio dei relativi ai Comuni italiani del campione: ricadute ed effetti del Patto di Stabilità Interno. 1.4. Interpretazione degli effetti del Patto di Stabilità Interno sulle politiche di indebitamento ed investimento e sulla gestione degli enti locali coinvolti. 2. Le differenti impostazioni del Patto di stabilità interno e i riflessi sulla gestione degli enti locali di F. Amatucci. 2.1. Le dinamiche competitive e le nuove strategie delle amministrazioni pubbliche. 2.2. Il Patto di Stabilità Interno e i riflessi sulla gestione degli enti locali. Le regole fino al 2008. 2.3. Le modifiche derivanti dal D.L. 112/08 e s.m.i. e il nuovo sistema di vincoli per gli enti locali. 2.4. Analisi delle principali criticità e delle possibili strategie per gli enti locali nella gestione del patrimonio immobiliare. 3. Un confronto internazionale: come altri Paesi europei hanno declinato il Patto di stabilità interno di A.F. Pattaro, E. Caperchione e A. Sancino. 3.1. I Patti Interni di Stabilità in Europa. 3.2. I Patti Interni di Stabilità: analisi di alcuni casi. 4. La nozione di investimento ed indebitamento nelle disposizioni normative riguardanti gli enti locali di E. D’Aristotile. 4.1. Il concetto di investimento nelle disposizioni normative. 4.2. La nozione attuale di investimento nella normativa vigente. 4.3. La nozione di indebitamento nelle disposizioni normative. 4.4. Conclusioni. 5. Le fonti proprie per il finanziamento degli investimenti di E. D’Aristotile. 5.1. Introduzione. 5.2. La nozione attuale di investimento nella normativa vigente. 5.3. Le fonti proprie di finanziamento: autofinanziamento e sue configurazioni. 5.4. Entrate correnti. 5.5. Entrate proprie in conto capitale. 6. Le emissioni obbligazionarie singole e in pool di T. Fiorita e V. Vecchi. 6.1. Introduzione. 6.2. Le emissioni in pool. 6.3. Analisi del mercato delle emissioni obbligazionarie locali in Italia. 7. Il project finance per il finanziamento degli investimenti pubblici di V. Vecchi. 7.1. Introduzione. 7.2. Il mercato italiano. 7.3. Caratteristiche tecniche dello strumento. 7.4. Il project finance per gli investimenti pubblici. 561 Az.Pubb 3.09.indd 561 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:17 Fonti di approfondimento In libreria 7.5. Una classificazione delle operazioni di project finance e le forme di supporto pubblico. 7.6. La gestione dei rischi. 7.7. Le criticità. La pubblica amministrazione come Project Manager. 7.8. Indicazioni per gli operatori privati. 8. Le fasi procedurali del project finance nell’attuale contesto normativo (alla luce del decreto legislativo 11 settembre 2008, n.152). Quali spazi per gli istituti di credito? di F. Amatucci. 8.1. Modelli giuridici applicati al project finance. 8.2. Le fasi procedurali nell’attuale contesto normativo. 8.3. Project finance, attraverso la figura del Promotore. 8.4. Project finance, attraverso la procedura tradizionale (senza promotore). 8.5. Caratteristiche dell’operazione di project finance e problemi aperti. 8.6. Emissione obbligazionaria. 8.7. Il ruolo degli istituti di credito nel nuovo quadro normativo. 9. Le principali criticità derivanti dall’applicazione del project finance in Italia di F. Amatucci. 9.1. Difficoltà di applicazione del project finance. 9.2. Il project finance nei settori indagati: aspetti di criticità e possibili soluzione. 9.3. Il modello di analisi e le principali criticità emerse. 10. Prospettive di applicazione del project finance in Italia. di V. Vecchi. 10.1. Quali azioni per il project finance in Italia. 11. Il leasing immobiliare per la realizzazione di investimenti pubblici di F. Amatucci. 11.1. Premessa. 11.2. I soggetti coinvolti. 11.3. Le tipologie di leasing. 11.4. Il leasing immobiliare in costruendo: principali caratteristiche. 11.5. Il leasing immobiliare in costruendo. Il quadro giuridico di riferimento. La procedura di gara. 11.6. La contabilizzazione del leasing nel bilancio pubblico: approcci a confronto. 11.7. Il trattamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto del leasing pubblico. 11.8. Il mercato del leasing immobiliare in costruendo in Italia. 12. La realizzazione di investimenti pubblici: Leasing o project finance? di F. Amatucci e V. Vecchi. 12.1. Un modello di confronto tra i due strumenti. 12.2. La valutazione comparata dei vantaggi e delle criticità. 12.3. Conclusioni. 13. La valorizzazione del patrimonio come leva di finanziamento degli investimenti di F. Amatucci. 13.1. Il contesto di riferimento 13.2. L’identificazione, l’incentivazione e la selezione del patrimonio: la due diligence immobiliare. 13.3. I criteri di valutazione del patrimonio immobiliare. 13.4. Gli strumenti di valorizzazione previsti all’interno del quadro normativo italiano. L’articolo 58 del d.l. 112/08. 13.5. La selezione delle politiche di intervento: la Matrice delle strategie del patrimonio immobiliare. 13.6. Le strategie di valorizzazione patrimoniale. 13.7. Prospettive di valorizzazione del patrimonio. 14. I finanziamenti comunitari di V. Vecchi. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 562 562 12-01-2010 16:35:17 Fonti di approfondimento In libreria 14.1. I fondi strutturali e i fondi settoriali. 14.2. L’approccio strategico ai finanziamenti comunitari. 14.3. Le condizioni di accesso ai finanziamenti comunitari da parte delle pubbliche amministrazioni. 14.4. I risultati di una indagine su un campione di uffici Europa di Province e Comuni. 15. Un modello di riferimento per la revisione del Patto di stabilità interno di E. Guarini. 15.1. Il Patto di stabilità interno come sistema operativo di programmazione e controllo. 15.2. Le linee di cambiamento. 16. Un patto per la sostenibilità della finanza locale di F. Amatucci e V. Vecchi. 16.1. Le sei regole del Patto. 16.2. I “pallottolieri” delle scelte finanziarie dell’ente locale. 16.3. La “cassetta” degli attrezzi. Federico Buttera, Bruno Dente (a cura di) Change management nelle pubbliche amministrazioni: una proposta Milano: Francoangeli, 2009 pp. 352, € 39,00 ISBN 13: 9788856811810 Indice del volume: Svolgimento e organizzazione del progetto. Prefazione, Renato Brunetta. Capitolo 1. Conclusioni e raccomandazioni. Sommario delle proposte, di Federico Butera, Bruno Dente. 1.1. La stagione delle riforme trascorse: un bilancio. 1.2. Un programma di cambiamento delle amministrazioni dello Stato: perché e come. 1.3. Il programma nazionale e i progetti di cambiamento nelle amministrazioni dello Stato. 1.4. Il modello istituzionale: verso le Agenzie Esecutive. 1.5. La struttura di governo del programma. Capitolo 2. I programmi di diffusione e promozione dell’innovazione sostenuti dal Dipartimento della Funzione Pubblica Giancarlo Vecchi. 2.1. Gli interventi del Dipartimento della Funzione Pubblica per la promozione della modernizzazione amministrativa e la diffusione delle innovazioni nel settore pubblico. 2.2. L’evoluzione dei programmi sviluppati dall’UIPA; Cantieri. 2.3. Per un’amministrazione di qualità. 2.4. Altre iniziative di rilievo promosse dal DFP: il progetto Governance. 2.5. Conclusioni. Capitolo 3. Le esperienze internazionali. 3.1. L’esperienza del Regno Unito: il progetto Next Steps, di Michela Arnaboldi. 3.2. Il programma Usa per il Reinventing Government, di Gloria Sciarpa. 3.4. I progetti di riforma dello Stato in Francia, di Nadia Piraino. Capitolo 4. Casi di cambiamento organizzativo. 4.1. Cambiamento organizzativo e cambiamento istituzionale nell’amministrazione finanziaria: Dagli Uffici unici delle Entrate all’Agenzia delle Entrate, di Federico Butera, Maurizio Carbognin. 4.2. L’innovazione amministrativa per il policy change. Il caso del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione, di Erica Melloni, Gabriele Pasqui. Capitolo 5. La rea- 563 Az.Pubb 3.09.indd 563 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:17 Fonti di approfondimento In libreria lizzazione delle politiche trasversali. 5.1. La parabola dei controlli interni nelle amministrazioni dello Stato, di Bruno Dente, Nadia Piraino,; Giorgio De Michelis. 5.2. L’informatica, di Maurizio Carbognin. 5.3. Politiche del personale, contrattazione collettiva e innovazione amministrativa. Bibliografia. Gli autori. La collana. La Fondazione Irso. Paul DiMaggio, Organizzare la cultura Novità Imprenditoria, istituzioni e beni culturali Bologna: il Mulino, 2009 pp. 280, € 26,00 Daniela Pillitu La partecipazione civica alla creazione del valore pubblico Milano: Francoangeli, 2009 pp. 184, € 23,00 ISBN 13: 9788856813326 Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 564 Indice del volume: Presentazione. Introduzione. 1. Struttura di mercato, processo creativo e “popular culture”. 2. L’imprenditorialità culturale. nella Boston di fine Ottocento (1): la creazione di una base organizzativa per l’alta cultura in America. 3. L’imprenditorialità culturale. nella Boston di fine Ottocento (2): le classificazioni e il “framing” dell’arte americana. 4. Confini culturali e cambiamento sociale: il modello dell’alta cultura nel teatro, nell’opera e nella danza. 5. Struttura sociale, istituzioni e beni culturali. 6. La classificazione dei generi artistici. Riferimenti bibliografici. Indice del volume: Premessa. Capitolo 1. Il framework teorico di riferimento. 1.1. Il New Public Management. 1.2. L’economia aziendale. 1.3. Le teorie sui rapporti e scambi organizzativi ed interorganizzativi. Capitolo 2. Il controllo manageriale come strumento di governance dei processi di creazione di valore pubblico. 2.1. Il concetto di valore in economia aziendale. 2.2. Il valore pubblico. 2.3. Il processo di creazione del valore pubblico. 2.4. La governance nel settore pubblico. 2.5. Il controllo manageriale inter-organizzativo come strumento di governance pubblica. 2.6. L’e-governance. 2.7. La participation balanced scorecard. Capitolo 3. I processi decisionali politici inclusivi. 3.1. I processi decisionali politici. 3.2. La partecipazione civica alla formulazione delle politiche. 3.3. I livelli ed i metodi di partecipazione. 3.4. Il controllo manageriale dei processi decisionali inclusivi. 3.5. L’e-democracy. Capitolo 4. La coproduzione dei servizi pubblici. 4.1. Il concetto di coproduzione. 4.2. Le tipologie di coproduzione. 4.3. Il cittadino coproduttore. 4.4. Il controllo manageriale della coproduzione. 4.5. La coproduzione nei servizi comunali. Capitolo 5. La valutazione partecipativa ed i processi di feedback. 5.1. Alcune considerazioni sulla valutazio- 564 12-01-2010 16:35:17 Fonti di approfondimento In libreria ne. 5.2. La misurazione del valore pubblico. 5.3. Nuove forme di valutazione e controllo sociale. 5.4. Il controllo manageriale della valutazione partecipativa. 5.5. Il feedback correttivo: il Citizen Relationship Management (CRM). 5.6. Le strategie e gli incentivi alla partecipazione civica. 5.7. Considerazione conclusive. Bibliografia. Sitologia. Gianfranco Sabattini Welfare state. Nascita, evoluzione e crisi Le prospettive di riforma Milano: Francoangeli, 2009 pp. 224, € 39,00 ISBN 13: 9788856812886 Indice del volume: Prefazione, di Gianfranco Sabattini. Capitolo 1. Introduzione. 1.1. L’evoluzione del concetto di povertà. 1.2. La crisi dei sistemi di sicurezza sociale e l’allargamento del numero dei poveri. 1.3. Flessibilità del mercato del lavoro e sicurezza sociale. 1.4. I costi sociali della flessibilità del mercato del lavoro. 1.5. Bassa produttività della forza lavoro e libertà di licenziamento. 1.6. Il dibattito in Italia sulla libertà di licenziamento. 1.7. L’idea di reddito di cittadinanza. 1.8. Reddito di cittadinanza e conflitto sociale. 1.9. La determinazione del livello del reddito di cittadinanza. 1.10. Le garanzie reali e istituzionali del rispetto della dignità dell’uomo. Capitolo 2. Welfare state: nascita e sua evoluzione. 2.1. Il ruolo e la funzione del settore pubblico nella teoria economica. 2.2. Le diverse caratterizzazioni del ruolo e della funzione del settore pubblico protettivo. 2.3. L’affievolimento della protezione sociale delle famiglie e il problema delle distribuzioni intragenerazionale (e intergenerazionale) del prodotto sociale. 2.4. La costituzione e l’evoluzione dei modelli di welfare state e la loro logica di funzionamento. 2.5. Le forme di copertura dei rischi sociali, le procedure di finanziamento e i metodi di gestione delle risorse accantonate. 2.6. Il vincolo dell’equilibrio attuariale. 2.7. Gli automatismi di ridistribuzione del prodotto sociale con popolazione e durata della vita media variabili. 2.8. L’allargamento dei modelli di welfare state. 2.9. L’impatto negativo della globalizzazione sul funzionamento dei modelli di welfare state. 2.10. La processualizzazione della politica pubblica e la dinamica organizzativa dei modelli di welfare state. Capitolo 3. Il sistema di welfare state italiano. 3.1. Struttura della spesa per la protezione sociale in Italia. 3.2. Aspetti storici, economici e istituzionali del welfare state italiano. 3.3. Procedure per il calcolo della 565 Az.Pubb 3.09.indd 565 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:17 Fonti di approfondimento In libreria pensione. 3.4. Le forme di previdenza complementare. Capitolo 4. Teoria della cittadinanza e prospettive di riforma del welfare state. 4.1. Il welfare state e la performance del sistema economico. 4.2. L’evoluzione della posizione del consumo e della natura della disoccupazione nella teoria economica. 4.3. Le prospettive di riforma dei modelli organizzativi standard dei sistemi di welfare state. 4.4. L’obiettivo di un politica pubblica innovativa e il ruolo strumentale del concetto di cittadinanza. 4.5. Il reddito di cittadinanza e il ricupero della funzione del consumo. 4.6. La non univoca giustificazione del reddito di cittadinanza. 4.7. Osservazioni conclusive. Capitolo 5. La natura del reddito di cittadinanza. 5.1. Teoria economica e istituzionalismo. 5.2. Reddito di cittadinanza e sussidio di disoccupazione. 5.3. L’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza e la welfare society. 5.4. Reddito di cittadinanza e soddisfazione differenziata degli stati di bisogno. 5.5. Le implicazioni del consumo autoregolato del reddito di cittadinanza. 5.6. Le altre proposte di istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza riconducibili al modello di J.M. Meade. 5.7. Le altre proposte di istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza riconducibili al modello di D. Purdy. 5.7. Il superamento dell’etica del lavoro. Capitolo 6. Le implicazioni organizzative dell’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza. 6.1. L’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza e la ristrutturazione dei modelli organizzativi standard del welfare stare. 6.2. La correlazione tra il reddito di cittadinanza e la possibilità di scelta tra le opportunità lavorative alternative esistenti. 6.3. La debolezza delle critiche all’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza. 6.4. Il problema della determinazione del livello del reddito di cittadinanza in funzione di età e salute. 6.5. L’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza e l’allargamento della solidarietà sociale. 6.7. L’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza e la riorganizzazione delle istituzioni capitalistiche. 6.8. L’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza e il ruolo delle istituzioni rappresentative della forza lavoro. 6.9. L’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza e la protezione della “vecchiaia”. Bibliografia. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 566 566 12-01-2010 16:35:17 Fonti di approfondimento Giovanni Valotti Fannulloni si diventa Una cura per una burocrazia malata Milano: Ed. Università Bocconi, Collana Itinerari, 2009 pp. 160, € 15,00 EAN 9788883501494 In libreria Indice del volume: Prefazione e ringraziamenti. 1. Campioni e fannulloni, ma il problema sta nel mezzo. Preludio. Fannulloni si diventa. Ma il problema sta nel mezzo. Non tutto il mondo è paese, ma bisogna conoscere il mondo. 2. Il triangolo delle Bermuda del dipendente pubblico. La grande beffa. Il triangolo delle Bermuda. Anche responsabili si diventa. 3. Da burocrati a manager: una riforma a metà. Metamorfosi di una classe dirigente. Ripartire dalle fondamenta. Servi dello Stato, della politica o dei cittadini? La fatica di gestire i collaboratori. 4. PA pride: un grande progetto per una burocrazia malata. Un grande progetto, che faccia sognare. Non accontentarsi dei medi. Riscoprire il gusto del lavoro e allevare i talenti. Premiare, premiare, premiare: solo chi se lo merita. L’ importanza di farsi giudicare. 5. La cura c’è, se il malato vuole curarsi. Amministrazioni con la pressione bassa: sui risultati. Agire sui parametri vitali: ma quando un ente è in buona salute? I «principi attivi» della modernizzazione: misurazione, trasparenza e meritocrazia. La cura (1): fare poche cose, con le persone giuste, esposte alla concorrenza, vera o simulata che sia La cura (2): rivoluzionare i modelli organizzativi e gli organici. La cura (3): trasformare i burocrati in manager. La cura (4): svecchiare il linguaggio e comunicare... all’ interno. La cura (5): il pubblico a braccetto con il privato. La cura (6): più politica e meno politicizzazione. 6. E la prognosi? Resta riservata. All’orizzonte, una nuova riforma. E se le riforme hanno dei limiti speriamo nel management... quello buono. La prognosi? Resta riservat. Appendice. Uno sguardo sul mondo, di Nicola Bellè. 567 Az.Pubb 3.09.indd 567 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:17 Note per gli autori Azienda Pubblica: note per gli autori Condizioni essenziali per la considerazione dei manoscritti, l’ammissione al referaggio e la pubblicazione La pubblicazione di contributi su Azienda Pubblica avviene sulla base della seguente procedura: 1) i contributi, della lunghezza indicativa di 40.000 battute, devono essere inviati alla Segreteria in formato word completo di tabelle, figure, note, bibliografia e rispondenti alle norme redazionali. È richiesta l’indicazione di un autore di riferimento, al quale saranno trasmesse tutte le comunicazioni successive. 2) I contributi sono sottoposti al vaglio del Comitato di redazione che, accertatane la conformità con lo scopo della rivista e i requisiti richiesti, li invia, assieme alla scheda di referaggio (vedi allegato), in forma anonima a due dei referee ufficiali della Rivista e contestualmente richiede l’impegno da parte degli Autori stessi a non proporre il contributo per altre pubblicazioni per la durata di tutto il processo di valutazione. 3) Le osservazioni dei referee vengono inviate in forma anonima agli Autori con la richiesta delle revisioni indicate. 4) La nuova stesura, con lettera degli Autori ai referee in cui si precisino l’entità e le ragioni delle modifiche operate, viene valutata dal Direttore (Editor) Scientifico e, in caso di dubbi residui, sottoposta agli stessi referee iniziali per un giudizio definitivo (o eventuale richiesta di ulteriore modifica). 5) Ottenuta la valutazione definitiva, l’articolo viene accettato per la pubblicazione con la richiesta agli Autori di predisporre un abstract e parole chiave in italiano, inglese e francese (per l’inserimento in un database di EGPA European Group of Public Administration). Non saranno considerati ed ammessi al referaggio i contributi che non rispettano le seguenti condizioni: – i manoscritti sottoposti ad Azienda Pubblica non devono essere già stati pubblicati o essere stati presentati per la considerazione presso altre riviste; – i manoscritti devono rispettare gli standard di struttura, abstract, note, tabelle, riferimenti bibliografici precisati di seguito. Gli autori sono invitati a rispettare le richieste relative alla forma e allo stile per minimizzare ritardi e necessità di revisione. Inoltre, deve essere evitato ogni riferimento che possa consentire un loro riconoscimento diretto o indiretto ed assicurare così un corretto processo di referaggio. Invio dei contributi I contributi devono essere presentati alla rivista presso: Redazione Azienda Pubblica Istituto di Pubblica Amministrazione e sanità, Università L. Bocconi, IPAS – Via Röntgen, 1 – 20136 Milano e-mail: [email protected] Formato e stile carattere: arial 12 - margini: 3x3x3x3 La prima pagina: deve indicare 1) il titolo 2) i nomi degli autori, 3) i loro titoli e le istituzioni di appartenenza, 4) l’indicazione dell’autore che curerà la corrispondenza e il suo indirizzo completo, 5) eventuali ringraziamenti. La seconda pagina: deve contenere 1) il titolo, 2) l’abstract in italiano, in inglese e francese (massimo 10 righe), 3) le parole chiave in italiano, inglese e francese (fino ad un massimo di tre) e 4) il Sommario. 569 Az.Pubb 3.09.indd 569 Azienda Pubblica 3.2009 12-01-2010 16:35:18 Note per gli autori Nella terza pagina: dopo la ripetizione del titolo, dovrebbe iniziare l’articolo. La struttura del testo si articola in: Titolo del testo, Titoli numerati di Paragrafi (es. 1. Introduzione). Non è prevista un’articolazione in sottoparagrafi (es. 1.1, 1.2, ecc.). Sono invece ammessi “sottotitoli” in corsivo non numerati. Si richiede il sommario iniziale. Lunghezza: il contributo si intende di circa 40.000 caratteri (conteggio parole di word). I contributi che si discostano in maniera significativa da questi standard non saranno ammessi al referaggio. Note: le note si intendono a pié di pagina e devono essere identificate da un numero cardinale. Il numero delle note e la lunghezza di ciascuna nota devono essere ridotti al minimo indispensabile in modo da favorire la snellezza del testo. Si consiglia di non inserire nelle note citazioni o riferimenti bibliografici. È responsabilità dell’autore adeguare l’assetto delle note agli standard della rivista. Tabelle e figure: figure e tabelle devono essere numerate e avere didascalia, vanno richiamate nel testo e riportate in file separato. Si ricorda che la rivista è in bianco e nero. Non saranno accettate figure a colori. Riferimenti bibliografici: i riferimenti bibliografici devono limitarsi a quelli espressamente citati nel testo. In particolare, la rivista utilizza, per le citazioni nel testo, il sistema autore-data. La citazione nel testo prevede la seguente forma: (Rossi, 1997: pp. 345-347). Per contributi con più di due autori, si usi la forma (Rossi et al. 1997: pp. 345-347). Per citazioni multiple dello stesso autore e nello stesso anno, far seguire a, b, c, ecc. all’anno. Nei riferimenti bibliografici, in coerenza con il sistema autore-data, i riferimenti devono essere riportati a fine testo nella seguente forma: Monografie Brunetti G. (1979), Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Milano: Franco Angeli. Pubblicazioni con più autori Bruns W.J., Kaplan R.S. (a cura di) (1987), Accounting and Management: Field Study Perspectives, Boston, MA: Harvard Business School Press. Saggi in pubblicazioni Kaplan R.S. (1985), “Accounting lag: the obsolescence of cost accounting systems”, in K. Clark, C. Lorenze (a cura di), Technology and Productivity: the Uneasy Alliance, Boston, MA: Harvard Business School Press, pp. 195-226. Articoli in riviste Meneguzzo M., Della Piana B. (2002) “Knowledge management e p.a. Conciliare l’inconcilibaile?”, Azienda pubblica, 4-5, pp. 489-512. Rapporti/Atti OECD (1999), Principle of corporate Governance, Paris: OECD. Non pubblicati Zito A. (1994), “Epistemic communities in European policy-making”, Ph.D. dissertation, Department of Political Science, University of Pittsburgh. Stile e forma: si richiede uno stile lineare e scorrevole e il testo inviato deve essere già stato sottoposto al controllo ortografico. È raccomandato l’utilizzo della forma impersonale. Azienda Pubblica 3.2009 Az.Pubb 3.09.indd 570 570 12-01-2010 16:35:18