Nozze nei campi. Il matrimonio tra le displaced persons
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Nozze nei campi. Il matrimonio tra le displaced persons
Nozze nei campi. Il matrimonio tra le displaced persons nella Germania del secondo dopoguerra* Silvia Salvatici Premessa D.M. e K.S. (nei documenti i loro nomi non sono mai riportati per intero) si incontrano in Germania subito dopo il crollo del III Reich. Entrambi sono stati costretti ad abbandonare l’Ucraina orientale durante la guerra e dal maggio del ’45 entrano a far parte di quei sette milioni di displaced persons (DPs) a cui gli Alleati e la prima agenzia delle Nazioni Unite (la United Nations Relief and Rehabilitation Administration, Unrra) si propongono di garantire la propria assistenza, in attesa del loro ritorno nei paesi di origine 1. D.M. e K.S. scelgono di vivere in coppia la quotidianità dei campi e di condividere i progetti per il futuro che la loro condizione di displaced consente. Insieme riescono a sfuggire al rimpatrio, imposto dalle autorità anglo-americane ai cittadini sovietici anche contro la loro volontà 2. L’imbroglio a cui ricorrono per rimanere uniti sotto la tutela alleata è duplice: tengono nascosta la propria provenienza e affermano di essere marito e moglie, pur non avendo ufficializzato la loro unione attraverso il matrimonio. Nel 1947 hanno un figlio, che grazie alla finzione dei genitori non va ad accrescere la lunga lista dei bambini illegittimi presenti tra la popolazione profuga, ma viene registrato come primogenito della coppia. In realtà quest’ultima potrebbe ormai regolarizzare la propria posizione, visto che già dall’estate del ’46 – quando quasi tutti i cittadini sovietici sono già stati consegnati alle autorità di Mosca – non si ricorre più al rimpatrio forzato, dunque il rilascio dei documenti necessari da parte del governo sovietico non dovrebbe avere temibili controindicazioni. Infatti la normativa alleata stabilisce che l’unione matrimoniale dei DPs debba avvenire di fronte all’ufficiale di stato civile tedesco e nel rispetto della legislazione locale, secondo la quale tutti i cittadini stranieri sono tenuti a presentare un certificato in cui le autorità del paese di provenienza dichiarano che non esistono impedimenti legali (come l’avere già una moglie o un marito) per il convolamento a nozze delle persone in questione 3. Non 1 Lo status di displaced persons viene riconosciuto a “tutti i civili che si trovano fuori dai confini del proprio paese per motivi legati alla guerra”; le autorità militari alleate sono responsabili delle sorti di questi profughi solo nel caso in cui essi provengano da paesi appartenenti alle Nazioni Unite, mentre la gestione di coloro che sono arrivati da paesi nemici o ex nemici viene fatta ricadere sulle autorità tedesche. Su questi aspetti e più in generale sulle vicende delle displaced persons nella Germania occupata rimando al mio Senza casa e senza paese. Profughi europei nel secondo dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 2008. 2 Cfr. Mark R. Elliott, Pawns of Yalta. Soviet refugees and America’s role in their repatriation, UrbanaLondon, University of Illinois Press, 1982 e S. Salvatici, Senza casa e senza paese, cit. pp. 174-188. 3 Norme analoghe regolano il matrimonio fra DPs nella zona britannica e in quella americana, nella quale si trovano D.M. e K.S. Per le disposizioni britanniche si veda la corrispondenza fra l’ufficio legale della Control Commission for Germany (CCG) e gli ufficiali operativi sul territorio in The National Archives, sappiamo se per D.M. e K.S. sussistano impedimenti legali, ma certo per la coppia ucraina risulta più semplice proseguire nell’inganno, che ormai si è insinuato con successo negli ingranaggi burocratici dai quali è regolata l’amministrazione dei campi. Nell’autunno del 1948 a D.M. viene diagnosticata la tubercolosi. Non è un caso che la sua malattia sia identificata proprio adesso: la famigliola intende lasciare la Germania attraverso i programmi di emigrazione promossi su vasta scala dall’International Refugee Organization (che dal ’47 ha sostituito l’Unrra) 4, e probabilmente sono gli accurati esami medici a cui vengono sottoposti i potenziali migranti a fare luce sullo stato di salute del padre. A questo punto trasferirsi tutti insieme altrove risulta impossibile, perché nessun paese è disposto ad accettare un malato di TBC. La coppia decide che l’unico modo per non essere costretti ad abbandonare del tutto il proprio progetto migratorio è quello di svelare la finzione e tornare a essere due singoli individui. D.M. e K.S. comunicano alle autorità militari di non essersi mai sposati legalmente. Le loro firme in calce a una simile dichiarazione da un lato cancellano di colpo il valore formale di un matrimonio mai celebrato, dall’altro sintetizzano la necessità di mettere a repentaglio quattro lunghi anni di vita in comune per non rinunciare all’opportunità di assicurare a se stessi e alla propria famiglia una nuova esistenza. Dall’ottobre del ’49 lei torna a essere ufficialmente nubile e fa domanda per i programmi di resettlement che assumono donne sole in qualità di domestiche, inservienti, operaie; lui prende in affidamento il bambino e viene annoverato fra gli hard core, ovvero i DPs che hanno assai poche possibilità di trovare una sistemazione fuori dalla Germania, soprattutto per le loro ridotte capacità di lavoro. Certamente nutrono entrambi la speranza che questo mutamento del proprio status costituisca la premessa di una separazione soltanto temporanea, destinata a concludersi con il ricongiungimento del padre e del figlio alla madre stabilitasi in Canada, in Australia o negli Stati Uniti. Le cose, però, vanno diversamente. I tempi per una possibile emigrazione di K.S. si protraggono e nella primavera del 1950 la donna – che formalmente è tornata ad essere nubile, ma di fatto continua ad avere una normale vita di coppia – è in attesa del secondo figlio. La gravidanza, che le analisi mediche effettuate nell’iter di selezione cercano di identificare fin dai primi mesi, è motivo di esclusione dal resettlement, così come in seguito lo è il neonato di cui K.S. risulta unica genitrice. Le speranze di emigrare si sono dissolte e la coppia ucraina sceglie infine di ufficializzare la propria Kew, Richmond, UK, (TNA), FO 1052/267, Administration policy: DP’s all nations vol. II 1945 – 46. La normativa statunitense in materia di matrimonio è invece esplicitata nel memorandum riepilogativo fatto circolare dall’Omgus nel settembre del 1947; National Archives and Records Administration, College Park, Maryland, Usa (NARA), Omgus, Records of the CAD, PW & DP Branch, 319.1 Reports Congressional Committee, box 176 RG 260. 4 Sulla conclusione del mandato dell’Unrra e l’istituzione dell’IRO cfr. Kim Salomon, Refugees in the Cold War. Toward a New International Refugee Regime in the Early Postwar Era, Lund, Lund University Press, 1991, pp. 36-41. condizione familiare: nel giugno del 1951 D.M. e K.S. si sposano, e poco dopo il loro secondogenito viene registrato come figlio legittimo dei due coniugi 5. La procedura per il matrimonio tra DPs si è ormai semplificata, la certificazione dell’assenza di impedimenti formali nei paesi di provenienza non è più necessaria, i due ucraini adesso possono diventare marito e moglie presentandosi davanti alle autorità tedesche con i soli documenti rilasciati dall’IRO 6. Ma la consacrazione della loro unione di fronte alla legge sembra coincidere con la consapevolezza che il progetto a lungo condiviso di lasciarsi alle spalle la condizione di displaced diventando cittadini di un nuovo paese è definitivamente naufragato. La storia di D. M. e K. S. ci offre un esempio delle possibili difficoltà con le quali le nuove famiglie costituitesi all’interno dei campi sono costrette a confrontarsi. Gli studi hanno messo in evidenza che nel dopoguerra lo spazio domestico diventa “un rifugio rispetto all’esperienza del conflitto e all’angoscia postbellica” 7; il nuovo attaccamento alla famiglia si manifesta diffusamente in tutti i paesi occidentali, ma tra le displaced persons è particolarmente evidente. La storica americana Atina Grossmann ha descritto con straordinaria efficacia il baby boom tra i sopravvissuti alla Shoah – che, com’è noto, costituiscono un gruppo specifico dei displaced – e ha sottolineato che per gli ebrei “la fertilità e la maternità costituiscono un modo per ricostruire la propria identità”, esse “offrono uno strumento per stabilire un nuovo ordine e un significato simbolico della ‘home’, anche e soprattutto nei campi profughi” 8. Tuttavia – con la sola eccezione delle ricerche di Grossmann sugli ebrei – i percorsi compiuti dalla rapida costruzione di nuove famiglie all’interno dei centri collettivi abitati dai displaced restano ancora largamente inesplorati. In che modo la ricerca di intimità familiare e domesticità coesistono con il governo alleato dei campi, con la 5 La storia dei due profughi ucraini è narrata in un documento riepilogativo con il quale si vuole offrire un esempio specifico degli effetti che i programmi di resettlement possono avere sulla popolazione dei campi, Archives Nationales, Paris (AN), AJ/43/806 Zone américaine d’Allemagne, 31/13 Conséquences sociologique de la vie de réfugiés, 1947-1951. 6 Già dal settembre 1948 i militari possono imporre alle autorità locali di celebrare i matrimoni fra i displaced senza la certificazione dei paesi di origine nei casi in cui si ritenga che ottenerla è troppo difficile; si veda il memorandum dell’IRO su Marriage and Divorce in AN, AJ/43/822 Zone américaine d’Allemagne 34/2 Documents concernant les camps de la zone américaine 37 Archives de la Reinhardt Kaserne à Neu Ulm, 1947-1951. A partire dall’inizio del 1950 è sufficiente presentare agli ufficiali di stato civile tedeschi l’attestazione di idoneità al matrimonio rilasciata dall’IRO, secondo le disposizioni della Allied High Commission Law, riportate nella circolare del BAOR del mese di Aprile; AN, AJ/43/795 Zone britannique d’Allemagne. Volume III, chapitres 44 à 46. 7 Mark Mazower, Le ombre dell’Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo, Milano, Garzanti, 2005, (ed. or. London, 1998). 8 Atina Grossmann, Victims, Villains, and Survivors: Gendered Perceptions and Self-Perceptions of Jewish Displaced Persons in Occupied Postwar Germany, “Journal of the History of Sexuality”, n. 1-2, 2002, p. 308 and p. 309; della stessa autrice si veda anche Jews, Germans, and Allies. Close Encounters in Occupied Germany, Princeton and Oxford, Princeton University Press, 2007, pp. 184-236. Si matrimony fra displaced ebrei si veda inoltre Angelika Königseder and Juliane Wetzel, Waiting for Hope: Jewish Displaced Persons in Post-World War II Germany, Evanston, Ill. : Northwestern University Press, 2001, pp. 196-197. politica del rimpatrio e con procedure per il resettlement? Qual è il ruolo giocato dalla ri/definizione di una dimensione domestica nella ri/costruzione delle appartenenze nazionali dei diversi gruppi di profughi? Quali ostacoli devono affrontare le nuove coppie per conquistare una nuova patria, emigrando dalla Germania postbellica? In altre parole: come si combinano e si determinano reciprocamente l’esperienza del displacement e la formazione di nuove famiglie tra la popolazione profuga? Nelle pagine che seguono cercherò di affrontare le questioni sollevate da questi interrogativi, concentrando l’attenzione sui matrimoni fra DPs. Matrimoni illegittimi o matrimoni di convenienza? Nell’aprile del 1945 l’operatrice dell’Unrra Muriel Gardner partecipa alla cerimonia di inaugurazione della chiesa cattolica che gli abitanti polacchi del campo di Hanau hanno allestito nelle settimane precedenti. Subito dopo la celebrazione della messa, il leader della comunità polacca prega Mrs Gardner di “chiedere in prestito” il sacerdote dall’esercito americano anche per il sabato successivo, perché ci sono molti uomini e donne che desiderano sposarsi. Per giustificare la propria richiesta, egli spiega alla rappresentante dell’agenzia delle Nazioni Unite che molte coppie si sono costituite già nei campi di lavoro nazisti, che si contano numerosi bambini illegittimi e che molte delle donne attualmente conviventi con i loro partner intendono “regolarizzare” la propria posizione. Il rappresentante dei DPs polacchi chiede anche se l’operatrice dell’Unrra può procurarsi un qualunque tipo di stoffa bianca, per gli abiti nuziali delle donne pronte ad andare all’altare. Naturalmente Muriel Gardner – che probabilmente non ha ricevuto alcuna istruzione su eventuali “matrimoni d’emergenza” durante il corso di preparazione predisposto dall’organizzazione per la quale lavora e a cui ha partecipato prima di arrivare in Germania – guarda con favore alla “regolarizzazione” delle coppie polacche. Tuttavia “non [riesce] a immaginare se stessa mentre va dal maggiore Americano, ancora in guerra, per chiedergli della stoffa bianca per fabbricare abiti da sposa”. Dunque Mrs Gardner si impegna solo a far tornare il sacerdote e, dietro specifica richiesta del leader, promette anche di essere presente alla cerimonia. Una settimana più tardi 45 spose si presentano in chiesa e ognuna di loro indossa un lungo abito bianco. L’operatrice dell’Unrra nota che i vestiti non sono cuciti bene, la maggior parte sono solo appuntati; tuttavia ai suoi occhi la cerimonia risulta complessivamente impressionante e la donna si spinge a supporre che i DPs siano riusciti a trovare il tessuto bianco dai tedeschi che vivono nei dintorni del campo. Sebbene il prete cerchi di accelerare i tempi il più possibile, la celebrazione di tutti i 45 matrimoni dura per più di tre ore. A questo punto Mrs Gardner decide di fare del suo meglio per ottenere un sacerdote che risieda stabilmente ad Hanau 9. 9 Imperial War Museum (IWM), Sound Archive, interview to Muriel Gardner, 18519/5. Nei mesi successivi le celebrazioni di matrimoni collettivi si verificano in tutta la Germania occupata, all’interno di chiese o sinagoghe allestite nei campi 10. L’elevata percentuale di matrimoni è dovuta non solo all’unione delle coppie che si sono formate sotto il nazismo, ma anche agli incontri che hanno avuto luogo all’interno dei centri collettivi dopo l’arrivo degli Alleati. Come uno dei profughi ricorderà molti anni più tardi, “le persone si incontrano e dopo cinque minuti si chiedono ‘sei sposato?’” 11. Nel 1946, di nuovo ad Hanau, il responsabile del magazzino dell’Unrra si trova nella medesima situazione affrontata da Muriel Gardner un anno prima. Questa volta a mancare sono 40 abiti scuri per gli sposi e ancora una volta gli abitanti del campo se li procurano “[ripulendo] le famiglie tedesche della zona” 12. I profughi cercano di seguire fedelmente la tradizione dei riti matrimoniali nonostante le loro misere condizioni di vita; gli studi hanno messo in evidenza il ruolo giocato dall’esperienza dei campi nel rafforzamento delle identità dei singoli gruppi nazionali 13 – polacchi, baltici, ucraini, ebrei – e le ricorrenti celebrazioni collettive di matrimoni probabilmente contribuiscono alla ri/definizione di un patrimonio culturale condiviso all’interno di essi. Tuttavia i riti religiosi diventano una cerimonia pubblica non solo grazie alla partecipazione di tutta la comunità di una medesima nazionalità residente in un determinato centro collettivo, ma anche grazie alla presenza dei rappresentanti dell’Unrra. Come abbiamo visto attraverso la storia raccontata da Muriel Gardner gli operatori dell’agenzia delle Nazioni Unite non sono semplicemente invitati alla cerimonia, la loro presenza è in qualche modo richiesta formalmente dai leader dei campi, perché sembra conferire alla celebrazione la legittimazione ufficiale di cui i matrimoni hanno bisogno. Generalmente il personale dell’Unrra considera positivamente le nozze fra DPs, poiché da un lato esse sembrano costituire un’utile esercizio nel rafforzamento dei legami comunitari all’interno dei centri collettivi, dall’altro provvedono alla “regolarizzazione” dello status di molte coppie che “vivono ancora nel concubinato”. La 10 Si veda per esempio i due rapporti Report on Displaced Persons Installation, 30 June 1945, NARA, Omgus, Records of the CAD, PW & DP Branch, 319.1 Reports, Liaison Officers, box 176 RG 260 e Visit to Assembly Center at Bensheim, 6 June 1945 in NARA, DPs Branch, Shaef G-5 Division, Visits-Mr. Ernst, box 49 RG 331. 11 Mark Wyman, DPs. Europe’s Displaced Persons, 1945-1951, Ithaca and London, Cornell University Press, 1998 [1st edition 1989], p. 111. 12 Ibidem. 13 Cfr. Milda Danys, DP Lithuanian Immigration to Canada after the Second World War, Toronto: Multicultural History Society of Ontario, 1986; Marta Dyczok, The Grand Alliance and Ukrainian Refugees, NY: St Martin Press, 2000; Anna D. Jaroszyńska-Kirchmann, The Exile Mission. The Polish Political Diaspora and Polish Americans, 1939-1956, Athens: Ohio University Press, 2004; Wsevolod W. Isajiw, Yury Boshyk, Roman Senkus (eds), The Refugee Experience: Ukrainian Displaced Persons after World War II, Edmonton: Canadian Institute of Ukrainian Studies, University of Alberta, 1992. Come Atina Grossmann ha messo in evidenza, la storiografia ha presentato l’esperienza dei DPs ebrei come parte della storia del sionismo e ha posto una specifica enfasi sul ruolo giocato dai sopravvissuti alla shoah nella fondazione dello stato di Israele; cfr. Atina Grossmann, Jews, Germans, and Allies. Close Encounters in Occupied Germany, cit., pp. 6-7. consacrazione delle unioni è dunque giudicata come uno strumento capace di contrastare quella corruzione morale dei profughi che secondo gli operatori dell’Unrra e le autorità militari si manifesta attraverso la perdita della vocazione materna tra le donne, i comportamenti “spregiudicati” e “selvaggi” dei bambini, l’emergere diffuso di costumi “incivili” 14. Il costituirsi di nuove famiglie è ratificato dalle autorità religiose, dall’approvazione dei leader delle comunità nazionali e dal paternalismo dell’Unrra, ma nella maggior parte dei casi è privo di ogni forma di riconoscimento legale. Secondo la normativa dei governi militari alleati i matrimoni fra displaced persons devono essere celebrati dall’ufficiale di stato civile e in conformità con la legislazione locale, secondo la quale tutti gli stranieri devono presentare un certificato rilasciato dalle autorità del proprio paese di origine nel quale si dichiari che non esistono impedimenti legali al loro matrimonio 15. Alcuni dei militari operativi sul territorio sono dell’opinione che “i matrimoni [religiosi] debbano essere incoraggiati, anziché lasciare che le persone vivano al di fuori di ogni legame coniugale” 16, tuttavia gli esperti legali sia del governo militare britannico sia di quello americano mettono in guardia i responsabili dei campi contro “i matrimoni non autorizzati”. Nei centri collettivi le centinaia di unioni consacrate dal rito religioso sono giudicate come tappe di un positivo processo di regolarizzazione dello status dei profughi, mentre negli Headquarters vengono considerate azioni illegali praticate su vasta scala. Da parte loro i displaced probabilmente non sono desiderosi di vedere la costituzione delle loro nuove famiglie sancita dalle autorità locali, ovvero dai rappresentanti di quel paese che essi ritengono responsabile della distruzione delle loro vite di un tempo. Soprattutto i DPs certamente non desiderano avere contatti con le autorità dei loro paesi di provenienza, che possono fare pressione per ottenere il loro rimpatrio. Nel corso del tempo vengono individuati dei casi nei quali si può derogare alle condizioni richieste dalla normativa tedesca. In primo luogo si procede in questa direzione per i Baltici – i cui paesi d’origine non esistono più come stati indipendenti – che 14 Si veda a questo proposito Tara Zahra, No Place Like Home? Displaced Children and the Rehabilitation of Europe, paper presentato in occasione del III Balzan Workshop Displacement and Replacement in the Aftermath of War, 1944-1948 (18-19 September 2006, Birkbeck College, London) e della stessa autrice Lost Children: Displaced Children and the Rehabilitation of Europe, «Journal of Modern History» (in corso di pubblicazione, marzo 2009). 15 Per la zona Britannica si veda il paragrafo Marriages del Working Paper Number One for the History of I.R.O., AN, AJ43/439 History of the British Zone of Germany; per la zona Americana si veda il Memorandum emesso dall’Office of Military Government for Germany – United States (Omgus) nel September 1947; NARA, Omgus, Records of the CAD, PW & DP Branch, 319.1 Reports Congressional Committee, box 176 RG 260. 16 HQ 30 Corps District, DP Marriage, 5 Jan ’46, TNA, FO 1052/267 Administration policy: DP’s all nations vol. II 1945 – 46. sono assimilati agli apolidi e vengono dispensati dall’obbligo di presentare il certificato di “non impedimento” 17. Tuttavia le nuove regole emanate dalle autorità militari e l’introduzione di possibili eccezioni non mettono fine alla celebrazione dei matrimoni attraverso il solo rito religioso, e tre anni dopo la fine della guerra le forze di occupazione ribadiscono che tali matrimoni sono “nulli e che gli ecclesiastici da cui sono consacrati commettono un atto criminale e possono essere oggetto di azioni legali” 18. Il problema diventa grave quando le operazioni di rimpatrio si sono ormai esaurite e per risolvere la questione dei profughi della guerra gli Alleati ricorrono al resettlement, cioè alla sistemazione degli abitanti dei campi nei paesi occidentali con i quali si è concordato il loro impiego in determinate attività economiche (dalle miniere del Belgio alle aziende agricole degli Stati Uniti). Le famiglie displaced possono emigrare solo se sono legalmente riconosciute, altrimenti gli uomini hanno la possibilità di lasciare la Germania come singoli individui, mentre nella maggior parte dei casi le madri sole con figli illegittimi sono rifiutate dai possibili paesi “di accoglienza”: i “matrimoni non autorizzati” influiscono diversamente sui progetti per il futuro di uomini e donne. Il riconoscimento legale dei matrimoni che i DPs hanno celebrato di fronte alle autorità religiose appare dunque urgente per ridurre il più possibile i cosiddetti hard core, cioè quel “residuo di popolazione profuga” che i processi di selezione dei paesi di arrivo lasciano dietro di sé. Le autorità militari e l’IRO si rendono conto che è necessario facilitare la registrazione dei matrimoni civili tra i DPs. Secondo la nuova normativa, in vigore dal 1948, il certificato di “non impedimento” può essere rilasciato dagli operatori dell’IRO in tutti quei casi in cui è troppo difficile ottenerlo dai rappresentanti dei paesi di origine delle persone in questione 19. Tuttavia molte coppie continuano a non essere in regola e di conseguenza vengono escluse dal resettlement, come nel caso di Georges Kanins e Alide Bandenieks. Georges e Alide sono entrambi lettoni, si sono incontrati in Germania e hanno un bambino di un anno, Juris. Georges ha lasciato sua moglie in Lettonia quando ha lasciato il paese e da allora non ha più avuto contatti con lei. Ha presentato negli uffici dell’IRO una lettera che sostiene di aver ricevuto da un amico, nella quale si afferma che sua moglie è deceduta; tuttavia gli operatori dell’ONU non hanno giudicato questo documento sufficiente per rilasciare il certificato di “non impedimento” richiesto dalle autorità 17 Legal Division, Main HQ, Control Commission for Germany (Be), Marriage of Non-German Nationals – Position in the Civil Law, 16th February 1946, TNA, FO 1052/267 Administration policy: DP’s all nations vol. II 1945 – 46. 18 CCG/PCIRO Joint Instruction n. 42, Marriages of Displaced Persons, TNA, FO 1052/499 PWDP/Iro instructions 1948-1949. 19 Si veda il memorandum su Marriage and Divorce in AN, AJ43/822 Zone américaine d’Allemagne 34/2 Documents concernant les camps de la zone américaine 37 Archives de la Reinhardt Kaserne à Neu Ulm, 1947-1951 e il paragrafo Marriages del Working Paper Number One for the History of I.R.O., AN, AJ43/439 History of the British Zone of Germany. tedesche. Nell’ottobre del 1949 Georges e Alide vengono ancora annoverati fra le coppie non sposate e dunque “parte degli hard core” 20. Preoccupata di imbarcare il maggior numero di profughi possibile, nel marzo 1950 la Allied High Commission for Germany procede a una sorta di amnistia: tutti i matrimoni tra displaced persons “celebrati tra l’8 Maggio 1945 e il 1° Agosto 1948 […] secondo il rito previsto dalla religione” vengono riconosciuti come matrimoni civili a tutti gli effetti, previa la loro registrazione all’Ufficio Centrale del Registro ad Amburgo 21. Le autorità militari, dunque, semplificano le procedure per il matrimonio civile fra DPs, spinti dall’urgenza del resettlement. Nello stesso tempo le nuove coppie formatesi tra i profughi devono conformarsi alle prescrizioni della legge, poiché i legami stretti fra uomini e donne all’interno dei campi, sebbene suggellati dalla condivisione del displacement, non sono riconosciuti come costitutivi di per sé di una nuova famiglia. Matrimoni misti Tra la popolazione profuga non tutte le nuove coppie si costituiscono all’interno della medesima comunità nazionale. Sebbene la memoria collettiva della vita nei campi si sia successivamente concentrata sui “matrimoni endogamici”, le coppie miste non sono affatto inusuali. Già nell’estate del 1945 gli Headquarters del 30 Corps Districts britannico sollevano la questione delle donne sovietiche sposate con uomini di nazionalità diversa, e chiedono delle linee guida per quanto riguarda i matrimoni internazionali. In questo caso il problema principale consiste nello stabilire se queste donne devono essere considerate ancora russe (e dunque se devono essere rimpatriate) oppure no 22. Circa un anno più tardi la questione delle coppie miste viene sollevata di nuovo, ma questa volta non riguarda più i cittadini sovietici (il cui rimpatrio, in ogni caso, è già stato in larga misura compiuto). Gli Headquarters del 30 Corps Districts dichiarano di “ricevere frequenti richieste di autorizzazione per matrimoni tra DPs e Tedeschi oppure fra DPs di nazionalità diverse”. Il Generale di Corpo d’Armata J. Kirby porta l’esempio di ragazzo polacco che ha recentemente sposato una ragazza baltica, la cerimonia è stata condotta dal cappellano militare polacco e la 20 Office of Public Information, International Refugee Organization. The Hard Core. Selection of Typical Histories, Geneva, October 1949, p. 19. 21 Allied High Commission for Germany, Law on Legal Position of Displaced and Refugees, part II article VI, AN, AJ43/795 Zone britannique d’Allemagne. Volume III, chapitres 44 à 46; Louise W. Holborn, L’Organisation Internationale pour les Réfugiés. Agence spécialisée des Nations Unies 1946-1952, Paris, Presses Universitaires de France, 1955, pp. 225-226. 22 In base Guide to Soviet Repatriation Problems, emessa dalla Prisoners of War & Displaced Persons (PW&DPs) Division della CCG (Be) tutte le donne sovietiche che hanno sposato un uomo di diversa nazionalità devono presentarsi presso gli uffici del governo militare, al quale spetta risolvere il problema secondo le disposizioni legislative dei paesi da cui provengono i mariti delle donne in questione; TNA, FO 1052/260, Repatriation Policy Russians I 1945-46. coppia “desidera che il matrimonio sia legalizzato” 23. Nei casi di matrimoni misti il riconoscimento legale delle unioni viene probabilmente considerato più importante – rispetto alle altre unioni celebrate con cerimonie religiose – dagli stessi DPs. Infatti da un lato le coppie miste non possono contare sull’approvazione di una comunità nazionale, dall’altro la mancanza della registrazione ufficiale del matrimonio può compromettere il loro futuro. I militari britannici, per esempio, possono tornare in patria con le loro mogli straniere soltanto se il matrimonio è stato riconosciuto legalmente. Tuttavia il rilascio del certificato di “non impedimento” per la sposa può richiedere molto tempo e i soldati che si trovano nell’impossibilità di lasciare la Germania con le donne straniere sposate con rito religioso si appellano al governo militare inglese perché risolva la loro imbarazzante situazione 24. Per loro la soluzione migliore sarebbe portare con sé le fidanzate incontrate nei campi e celebrare le nozze sul suolo britannico; nel febbraio del 1946 il governo militare stabilisce che tutti i cittadini maschi della Gran Bretagna possono consegnare alle loro partner una dichiarazione nella quale si impegnano formalmente a sposarle una volta appena sbarcati in patria. Presentando questa dichiarazione le donne straniere che risiedono nella Germania occupata possono ottenere il visto per l’Inghilterra e rimanere lì per due mesi: se trascorso questo periodo di tempo non sono ancora convolate a nozze “può essere decretata la loro deportazione” 25. Una simile procedura consente alle donne profughe di seguire o di raggiungere i fidanzati d’oltremanica incontrati nei campi: in questi casi il matrimonio implica un attraversamento dei confini della propria comunità nazionale, ma nello stesso tempo consente alle spose displaced di lasciare la Germania e di conquistare una nuova patria attraverso la costruzione di una nuova famiglia. Le autorità militari sottolineano fermamente che le disposizioni relative ai matrimoni fra donne straniere e cittadini inglesi non riguardano “le donne di nazionalità tedesca, alle quali non è consentito entrare in Gran Bretagna” 26. I matrimoni misti che coinvolgono la popolazione tedesca rappresentano dei casi particolarmente complicati che – come emerge anche dalle già citate affermazioni degli Headquarters del 30 Corps Districts – riguardano anche le displaced persons. Non esistono statistiche su questo fenomeno, ma la formazione di coppie tra abitanti dei campi e donne tedesche non sembra essere affatto inusuale. Possiamo supporre che essa sia dovuta a una più alta percentuale di maschi tra i DPs, anche se probabilmente non riguarda tutte le comunità 23 HQ 30 Corps District, DP Marriages, 9 April 1946, in TNA, FO 1052/267 Administration policy: DP’s all nations vol. II 1945 – 46. 24 Si veda per esempio il caso del sergente J. Williams e di Marta Bialkowska in TNA, FO 1052/267 Administration policy: DP’s all nations vol. II 1945 – 46. 25 Office of the Deputy Military Governor, Marriage in the U.K. between Alien Women and British Subjects, 22nd February 1946, TNA, FO 1052/267 Administration policy: DP’s all nations vol. II 1945 – 46. 26 Ibidem. nazionali nello stesso modo: purtroppo non ci sono informazioni specifiche sui matrimoni misti tra i Polacchi, i Baltici o gli Ucraini. Tuttavia le autorità militari sono abbastanza preoccupate della frequenza delle nozze fra i displaced e le donne tedesche e cercano di contrastare le conseguenze di questo fenomeno. Nel luglio 1946 il governo militare americano affronta la questione della separazione tra i profughi (che risiedono nei centri collettivi) e le loro mogli tedesche (alle quali non è consentito trasferirsi nei centri collettivi). Secondo le autorità statunitensi questa separazione in alcuni casi induce le displaced persons ad abbandonare le proprie famiglie 27; di conseguenza va ad accrescersi il numero delle madri sole e dei bambini illegittimi tra la popolazione tedesca, già afflitta da gravi problemi economici e sociali. Questa è probabilmente una delle ragioni per cui pochi mesi più tardi si stabilisce – sia nella zona americana sia in quella britannica – che se uno dei coniugi ha ottenuto lo status di displaced i suoi parenti più stretti possono richiedere l’assistenza dell’Unrra 28. Attraverso il loro matrimonio con i profughi, le donne tedesche possono dunque trasferirsi nei campi, i cui confini appaiono più permeabili di quanto le autorità militari desiderino. Anche i confini dei diversi gruppi nazionali che costituiscono la popolazione displaced risultano permeabili, perché possono essere attraversati perfino da donne che appartengono alla nazione nemica per eccellenza. Proprio questi attraversamenti sembrano esortare a una rivisitazione dell’approccio proposto da numerosi studi, che hanno messo in evidenza esclusivamente il ruolo giocato dall’esperienza dei campi nel rafforzamento delle identità nazionali dei DPs. I governi militari si rendono conto molto presto che i provvedimenti presi in merito alle mogli tedesche dei DPs possono avere delle controindicazioni. In primo luogo perché il matrimonio consente alle donne di ricevere l’assistenza dell’Unrra, ma non conferisce loro automaticamente la cittadinanza del marito. I paesi dai quali provengono i profughi decidono di volta in volta, ma solitamente respingono le richieste presentate dalle donne tedesche e non consentono loro neppure di seguire il marito in caso di rimpatrio. Di conseguenza i matrimoni tra donne del posto e uomini displaced finiscono per ostacolare i programmi di rimpatrio; secondo il sondaggio condotto dagli americani nell’inverno del 1947, il 15% degli intervistati hanno dichiarato di non voler tornare nei propri luoghi di origine perché non vogliono separarsi dalle loro mogli tedesche 29. L’effetto negativo dei matrimoni misti sul rimpatrio allarma le autorità militari, e i britannici temono che i provvedimenti presi “per motivi umanitari” possano generare l’abitudine di ricorrere a dei “matrimoni di convenienza”. I documenti non forniscono dettagli sui vantaggi che marito e moglie 27 Office of Military Government for Germany (U.S.), Prisoner of War and Displaced Persons Division, Marriages of Displaced Persons with Germans, 24 Juky 1946, in NARA, Omgus, Records of the CAD, PW & DP Branch, 383.7 Displaced Persons (General), box 167 RG 260. 28 Material for “Weekly Information Bullettin”, 16 August 1946, NARA, Omgus, Records of the CAD, PW & DP Branch, 383-7 DP General, box 168 RG 260 29 NARA, Omgus, Records of the CAD, PW & DP Branch, 061.2 Survey, UNDP, box 149 RG 260. otterrebbero attraverso questi “matrimoni di convenienza”, tuttavia probabilmente ci si riferisce da un lato alle migliori condizioni di vita di cui le donne tedesche possono godere all’interno dei campi, dall’altro al fatto che i DPs sposati con donne tedesche possono aggiungere una ulteriore e inconfutabile motivazione al loro rifiuto del rimpatrio 30. Proprio con lo scopo di prevenire i “matrimoni di convenienza” il governo militare britannico introduce dei limiti temporali all’applicazione della normativa. Le mogli tedesche possono richiedere l’assistenza dell’Unrra solo se si sono sposate con un displaced prima del 17 maggio 1947: nessun matrimonio celebrato dopo questa data può consentire alle cittadine tedesche di acquisire lo status di DP. Un simile provvedimento – successivamente introdotto anche nella zona americana – ribadisce il significato dei confini dei campi come limiti (territoriali, sociali e culturali) entro i quali i profughi possono costruire le loro nuove famiglie. Le mogli tedesche appaiono come un potenziale ostacolo anche per il resettlement dei DPs, in particolare all’inizio, quando la maggior parte dell’emigrazione è diretta verso paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Belgio) che non accolgono individui della nazione nemica durante la guerra da poco terminata 31. Dal 1948 le coppie miste possono essere più facilmente accettate in Australia o negli Stati Uniti 32; tuttavia anche dopo l’avvio dei programmi intercontinentali gli operatori dell’IRO impegnati nell’amministrazione della Reinhardt Kaserne, a Neu-Ulm, mettono in evidenza che una parte dei molti DPs che hanno sposato donne tedesche “ignorano le loro responsabilità e lasciano il paese senza preoccuparsi dei loro figli” 33. In tutti questi casi le famiglie costituite nella Germania postbellica finiscono per avere una durata soltanto temporanea e i DPs possono progettare nuovi matrimoni come cittadini di una nuova patria. Conclusioni Tra la popolazione displaced il matrimonio e la formazione delle famiglie acquisiscono tratti specifici. In primo luogo esse si fondano sui sentimenti e sulle emozioni – l’amore e il bisogno di sconfiggere la solitudine dovuta alla condizione di profughi, per esempio – più che sul riconoscimento legale. In secondo luogo – come ci ricorda la storia di D. M. e K. S. – le unioni tra DPs sono instabili e flessibili, poiché devono adattarsi ai continui mutamenti dei percorsi del 30 Si veda la corrispondenza fra la Legal Division, la PW & DP Division e gli Headquarters della CCG in TNA, FO 1052/462, DPs: legal, 1946-1948. 31 Nel 1947 circa 100.000 DPs sono emigrati in Great Britain, France and Belgium; cfr. International Refugee Organization, Statistical report. With 43 months summary, Office of Statistics and Operational Reports – Headquarters Geneva, April 1950, p. 28. 32 Nel 1948 più del 40% dei DPs emigrati dalla Germania si sono stabiliti in Australia, Stati Uniti e Canada, ibidem. 33 Illegitimate children of DPs & Germans, AN, AJ43/822 Zone américaine d’Allemagne 34/2 Documents concernant les camps de la zone américaine 37 Archives de la Reinhardt Kaserne à Neu Ulm, 1947-1951. displacement (il rimpatrio o l’emigrazione, ma anche i trasferimenti da un campo all’altro o il reclutamento nei diversi programmi di lavoro 34) e vengono ostacolate dallo scarto tra famiglia reale e famiglia legale. Infine, la formazione di nuove coppie e di nuove famiglie attraversa i confini sia dei campi sia delle comunità nazionali: la ricostruzione di una dimensione familiare e domestica non necessariamente coincide con un rafforzamento del legame di appartenenza alla patria che i profughi hanno perduto. Questo complesso profilo dei matrimoni displaced entra in conflitto con il processo di “regolarizzazione” delle unioni, che le autorità militari considerano prioritario nell’amministrazione dei campi. Proprio questo processo di “regolarizzazione” va a costituire uno dei cardini anche dei programmi di resettlement e diventa un requisito essenziale perché i profughi possano essere ammessi in quei paesi occidentali dove “l’età dell’oro del matrimonio” – basata sulla lunga durata delle unioni, sulla domesticità femminile e sul riconoscimento congiunto della convivenza da parte delle autorità religiose e delle leggi dello stato – sta per raggiungere il suo culmine 35. * La versione inglese di questo saggio è stata pubblicata in D. Ceserani, J. Reinisch, J.D. Steinert (eds), Landscape After Battle, Vallentine Mitchell Publishers, London, 2010. 34 Su questi aspetti devo rimandare ancora al mio Senza casa e senza paese, cit., pp. 202-229. Cfr. Daniela Lombardi, Storia del matrimonio. Dal medioevo a oggi, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 242248. 35