Medioevo Afghanistan - Rappresentanza Permanente Nato

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Medioevo Afghanistan - Rappresentanza Permanente Nato
PRIMO PIANO
Nel villaggio di Jabar,
un gruppo di donne
davanti ai resti della
casa distrutta da un
bombardamento Usa.
Sotto: truppe talebane
a Ghazni, nel sud
dell’Afghanistan. In basso:
l’inviato di “Repubblica”
Daniele Mastrogiacomo.
A sinistra: poliziotti afgani
accanto a un’autobomba
esplosa sulla strada che
da Kabul porta a Longar
Medioevo Afghanistan
Sequestri. Imboscate. Autobombe. Corruzione. Bande criminali di
ogni tipo. E la ricostruzione civile sembra ogni giorno più difficile
an McNeill, generale a quattro stelle degli Stati Uniti, da
poche settimane comandante di tutte le truppe della Nato in Afghanistan (32
mila soldati), non ha perso
tempo dopo il suo insediamento nel quartier generale della missione
Isaf della Nato a Kabul. Ai comandanti sul
campo delle cinque regioni in cui è stato di-
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viso il Paese McNeill ha chiarito: «Noi non
ci fermiamo neanche un giorno in attesa
della primavera-estate e dell’offensiva annunciata dai talebani». Tattica chiarita con
le stesse parole anche in un incontro con
“L’espresso” sabato 24 febbraio, in un ufficio tutto legno e iper riscaldato.
Il generale americano ha mantenuto la parola. Dieci giorni dopo, all’alba di martedì 6 marzo, è scattata l’Operazione Achil-
le, 4 mila e 500 uomini tra soldati americani, inglesi, canadesi supportati da aerei
ed elicotteri, accompagnati anche da alcuni reparti del neonato esercito afgano, la
struttura militare su cui la Nato conta in
tempi medio brevi per aumentare la sicurezza nel Paese. Epicentro di Achille, Kandahar, nel sud del Paese, dove non passa
giorno in cui non ci sia un attacco dei talebani o un contrattacco della Nato. ScaraL’espresso
Foto: M. Sadeq - AP / Lapresse,
R. Maqbool - AP / Lapresse, V. de Viguerie - WPN / Neri
di Antonio Carlucci da Kabul
mucce o vere battaglie condite spesso da
autobomba e trappole esplosive. Con i talebani che vanno e vengono liberamente
dal Pakistan, che da un mese occupano la
cittadina di Musa Qala e che mantengono
le posizioni con tenacia perché nel Sud c’è
il loro tesoro: le migliaia di ettari di coltivazioni di papavero da oppio.
La sicurezza non è garantita per nessuno
nel sud dell’Afghanistan. Tanto
che l’inviato di “Repubblica”
Daniele Mastrogiacono è finito
nelle mani dei talebani mentre
faceva il suo lavoro sulla strada
che da Kandahar porta a Lashkar Gash dove Emergency ha
il suo ospedale. Con Mastrogia15 marzo 2007
como sono stati rapiti anche il suo interprete e l’autista (due afgani): tutti e tre sarebbero nelle mani del mullah Dadullah, capo
talebano di quattro province che fanno
perno su Helmand. Con l’Operazione
Achille in corso, dunque con una situazione ancora più complicata per i movimenti
e i contatti, è partita la macchina politica e
diplomatica che ha come obiettivo la libe-
razione di Mastrogiacomo e degli afgani.
La prima partita che si gioca oggi in Afghanistan è quella di consentire ai quasi
30 milioni di abitanti di riprendere una
vita in pace e in sicurezza. Senza questa
non c’è neanche la possibilità di fare piani a medio termine per la ricostruzione.
Ci sono luoghi più o meno tranquilli, ma
è l’intero Afghanistan che si può trasformare improvvisamente in una trappola.
Per i militari come per i civili. L’ultimo
mese è cominciato con l’attacco notturno
ad alcune postazioni militari Usa vicino
ai confini con il Pakistan ed è finito con
l’autobomba contro un convoglio americano cui è seguita una reazione armata
che ha fatto strage di civili e un bom-
Una grande manifestazione
allo stadio per chiedere
l’amnistia totale. Anche
per i criminali di guerra
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militari dei 37 paesi della
coalizione. Ma quanti
problemi ci sono da risolvere. Uno per tutti: accadeva regolarmente che i
soldati andassero ogni
tanto a casa, a decine, se
non centinaia di chilometri dalle loro caserme per
portare alle famiglie una
parte della loro paga. Poi
sparivano, per settimane:
un po’ per gli inesistenti
mezzi di trasporto, un po’
perché arrivati al villaggio
c’erano altri lavori da fare.
«Abbiamo deciso di aprire
una quarantina di sportelli nelle caserme per favorire il trasferimento dei soldi alle famiglie a costo zero. Così, abbiamo ottenuto anche il risultato di
creare istituzioni finanziarie nei villaggi più sperduti», racconta il generale
Durbin.
Costruire un esercito, oggi
composto da oltre 30 mila
effettivi (l’obiettivo è di disporre di 82 mila uomini) in grado di garantire livelli decenti di sicurezza, significa
anche cominciare a pensare alla riduzione
del contingente militare straniero e destinare maggiori investimenti alla ricostruzione
del Paese. Offre un esempio di quante risorse potrebbero liberarsi Daan Everts, olandese, rappresentante della Nato in Afghanistan: «Oggi un soldato del contingente
Isaf costa 5 mila dollari al mese, escludendo gli equipaggiamenti militari e i costi della logistica per mantenerlo in questo Paese.
Un soldato afgano costa soltanto 100 dol-
Gli integralisti fanno
propaganda con
volantini che minacciano
chi aiuta gli americani
lari». Creare una nuova polizia è impresa
da far tremare i polsi a chiunque. Primo
problema, la corruzione. Essendo lo stipendio medio di un poliziotto intorno ai 70
dollari al mese, l’abitudine era (ed è ancora) quella di arrotondarlo nei modi più svariati e illegali. Il cattivo esempio arrivava
regolarmente dai gradi più alti, i quali taglieggiavano innanzitutto i loro sottoposti.
Come? Fino a poco tempo fa lo stipendio
dei poliziotti passava per la mani dei capi.
I quali trattenevano per se stessi 10 dollari
su 70, mentre altri 7 dollari restavano nel-
Siamo cresciuti a pane e Kalashnikov
Parla Humaira Haq Mal. E spiega il cammino difficile verso la normalità
Humaira Haq Mal
fa parte della Loya
Jirga della provincia
del Maidan Wardak.
Per alcuni aspetti si dichiara
soddisfatta della situazione della
sua zona. Racconta: «Il processo
di transizione verso la democrazia
procede abbastanza bene
perché in questa area c’è
il supporto degli afgani. Inoltre
si è riuscito a stabilire un’intesa
proficua tra le istituzioni nascenti
e il sistema di direzione tribale,
il consiglio degli anziani e
la Loya Jirga di cui fanno parte
oltre a me anche altre donne».
I diritti umani sono ancora un
grande problema in Afghanistan:
«L’unico modo di garantirli sempre
di più, a cominciare dalle donne
che sono le prime vittime di
chi non rispetta le regole, passa
attraverso il rafforzamento
del governo centrale».
Di problemi da risolvere
ce ne sono tanti: «Non
ci sono abbastanza scuole
per le bambine e non esistono
scuole superiori: chi può e vuole
continuare gli studi deve andare
fin nella capitale». Anche
l’informazione è un problema:
«Nella nostra provincia non
c’è né radio, né televisione».
Hunaira Haq Mal denuncia
anche la totale mancanza
di ambulatori, persino nella città
più grande, a Maidan Shahar:
le autorità hanno deciso di non
investire contando sulla relativa
vicinanza di Kabul.
Quando le si chiede quale
sia lo stato della corruzione,
Humaira allarga le braccia:
«Che vi aspettate, che tutto
finisca nel giro di una notte?
Le ultime tre-quattro generazioni
di afgani sono cresciute con
la guerra, non sanno cosa vuol
dire una società civile, che pensa
solo al proprio sviluppo».
Humaira segnala infine un
problema che se non affrontato
in tempo può complicare la
crescita delle istituzioni appena
nate. E riguarda le Ong. «Si rischia
che molti afgani non vogliano più
lavorare per il governo
a livello locale perché
lo stesso mestiere
che conoscono,
l’autista, il contabile,
l’infermiere, viene
retribuito molto
di più se lo fanno per
le Organizzazioni non
governative che stanno
aiutando il mio Paese
a riprendere la strada
della normalità».
Foto: R. Maqbool - AP / Lapresse (2), R. Gul - AP / Lapresse, Antonio Carlucci
bardamento dal risultato analogo.
La capitale Kabul non fa eccezione, nonostante misure di sicurezza impressionanti,
intorno al quartiere generale dell’Isaf, alle
ambasciate, al palazzo del presidente afgano Hamid Karzai. Jalalabad Street, il lungo rettilineo che dal centro di Kabul si dirige a est verso l’omonima città, è una fotografia dettagliata della situazione afgana. L’asfalto c’è solo in alcuni tratti, è trafficato da ogni genere di veicoli militari e civili, alterna confusi mercati, lunghe fila di
baracche e case fatte con mattoni di fango,
qui e là svettano alcuni capannoni industriali come solitari funghi. Ma, soprattutto, è considerata la strada più pericolosa
della capitale, quella dove i talebani potrebbero apparire all’improvviso per una
imboscata di quelle che segnano tutti i
giorni la vita dell’Afghanistan: una trappola esplosiva nascosta in una bicicletta o
in un carretto. Meno probabile l’ipotesi di
un commando che si espone al contatto diretto con i militari Nato. Poco prima di lasciare definitivamente Kabul s’incontra
uno degli obiettivi più appetiti dagli insorti: il complesso dove si addestra il nuovo
esercito dell’Afghanistan.
«Per dare maggiore sicurezza bisogna impegnarsi a fondo per costruire due istituzioni: l’esercito e la polizia», spiega il generale americano Robert Durbin che ha l’incarico di ricostruire la struttura della sicurezza per l’intero Paese: «L’esercito non esisteva più, è tutto da costruire. La polizia, invece, è da riformare e bisogna farlo bene e
in fretta perché rappresenta il volto del
nuovo governo afgano per le strade e nei
villaggi più remoti». Un lavoro per nulla facile per il quale viene investito un miliardo
di dollari l’anno: l’obiettivo è fare in modo
che soldati e poliziotti afgani siano in grado di svolgere le mansioni oggi assegnate ai
le mani del vicecapo locale. Così il poliziotto pensava subito a come rifarsi su qualcun
altro, ovvero sul cittadino comune che lui
dovrebbe proteggere.
Se Kabul è il laboratorio centrale dove tra
mille errori, contraddizioni e incertezze si
sta cercando la strada per traghettare nel
Ventunesimo secolo un Paese che prima i
sovietici, poi la guerra civile infine i talebani avevano riportato al Medioevo,
mettersi in viaggio all’interno dell’Afghanistan offre immediatamente la prova di
quanto titanica sia l’impresa cominciata
nel 2001 con la cacciata dei seguaci di
Osama Bin Laden. E appare chiaro che le
polemiche intorno all’interrogativo se la
missione sia di guerra o di pace, di rapina
coloniale o di ricostruzione, sono fondate su dogmi assai lontani dalla realtà afgana. A Gardèz, per esempio, città di media grandezza a 120 chilometri a sud-est
di Kabul, oggi convivono il riconoscimento dei diritti delle bambine e la negazione dei diritti delle donne: sono state
costruite e aperte nuove scuole femminili (dei sei milioni di studenti, due sono di
sesso femminile), ma per le strade della
città non si vedono donne adulte, neanUn uomo che ha
perso una gamba
su una mina e,
accanto, Humaira
Haq Mal. In alto:
soldati Usa sparano
dalla base di Orgun.
A destra: attentato
a Barayekab e,
sotto, un soldato
inglese di pattuglia
a Kabul
che al mercato e neanche imprigionate nel
celeste del burka.
A Maidan Shahr, 50 chilometri a sud-ovest
della capitale, Abdul Jabbar Naeemi, il governatore della provincia di Maidan Wardak (un milione di abitanti), rivendica come risultato degno di nota la totale scomparsa dal suo territorio delle coltivazioni di
papavero da oppio, la pianta che ha fornito nel 2005 una produzione totale di 4 mila e 100 tonnellate di oppio basico, ovvero
il 90 per cento della produzione mondiale.
Com’è accaduto? Racconta Naeemi: «Dal
giorno in cui mi sono insediato, per due
lunghi mesi nel mio ufficio non si è affacciato nessuno. Allora sono andato a parlare con tutti i capi mujaheddin e con gli anziani dei villaggi per far capire loro che dovevamo lavorare tutti insieme per ricostruire il nostro Paese. Hanno accettato e alla
prima riunione eravamo in quasi 500 persone. Ho detto chiaro che l’oppio era non
soltanto vietato dalla Costituzione, ma che
era contro i nostri interessi. Giorno dopo
giorno ho convinto tutti».
Ma in questa provincia alla dichiarata ri-
duzione a zero delle coltivazioni di oppio fa
da contrappeso una discreta attività dei talebani. Persino di propaganda. Solo pochi
giorni fa hanno distribuito tra gli abitanti
un minaccioso manifesto firmato Califfato
islamico dell’Afghanistan. Si legge: «Dovete tenere lontani i vostri bambini dagli americani e dai loro collaboratori, l’esercito nazionale afgano e la polizia nazionale afgana. Non guidate le loro auto. E la notte, durante gli attacchi dei combattenti per la libertà, non uscite dalle vostre case. E non fate la spia per conto degli americani. Chi non
osserva le nostre disposizioni, sarà trattato
con severità e sarà responsabile delle punizioni che riceverà».
L’Afghanistan offre oggi mille prospettive
diverse, a seconda del punto in cui ci si trova. Guardando ai cinque anni trascorsi dalla cacciata dei talebani gli elementi positivi
non mancano. Soprattutto di miglioramento delle condizioni di vita in una nazione dove la mortalità infantile è del 160 per
mille (in Italia del 4,4 per mille) e dove l’attesa media di vita è di 43 anni (in Italia di
79 anni): dall’8 all’83 per cento la popo43
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Foto: Antonio Carlucci, D. Guttenfelder - AP / Lapresse
Un gruppo di reclute dell’esercito afgano.
Accanto: soldati italiani a Kabul
lazione che ha accesso alla medicina di base; da 1,2 a 6 milioni di ragazzi e ragazze
che ogni giorno vanno a scuola; da 189 a
299 dollari il reddito lordo pro capite in soli tre anni; 304 milioni di dollari di tasse riscossi dallo Stato, un segno che le istituzioni primarie cominciano a funzionare.
Basta spostarsi un poco per guardare un
Afghanistan diverso. Quello dei signori
della guerra e dell’oppio. Che si sono manifestati pubblicamente venerdì 23 febbraio allo stadio Ghazi di Kabul, il complesso
sportivo che nell’era talebana era diventato il luogo delle punizioni pubbliche. Lo
stadio si è riempito di quasi 15 mila persone per reclamare a gran voce l’amnistia generale. Per ore la folla ha condito gli interventi degli oratori con slogan contro gli
Stati Uniti e, soprattutto, contro Malalai
Joya, la più giovane deputata del parlamento afgano, che solo pochi giorni prima
aveva tuonato, tra sberleffi e aperte minacce di stupro, contro coloro che «vogliono
fare leggi a favore dei signori della guerra e
dei criminali e contro i diritti del popolo
dell’Afghanistan».
Sul palco degli oratori c’erano alcuni beneficiari di rango dell’eventuale amnistia, finora bloccata dal tiepido no del presidente
Hamid Karzai. Signori della guerra (e qualche volta anche signori dell’oppio) che siedono in Parlamento, hanno posti di governo o sono stati scelti da Karzai per incarichi delicatissimi: i due vice presidenti dell’Afghanistan, Karim Khalili e Ahmad Zia
Masoud, il ministro dell’Energia Ismail
Khan, quello dei Rifugiati Ustad Akbar, il
consigliere anziano del presidente Qasim
Fahim e il suo capo di gabinetto Abdul Rashid Dostum, il potente deputato di Kabul
Abdul Rab Rasul Sayaf, sul quale pesano i
70 mila civili morti a Kabul durante la guerra civile. Resisterà Karzai alle pressioni che
vogliono un colpo di spugna? La legge rischia di cancellare non solo i crimini contro
l’umanità commessi dai potenti di oggi nei
30 anni di guerra che hanno distrutto l’Afghanistan, ma manderà nell’oblio persino i
crimini commessi dall’attendente di Osama
Bin Laden, il mullah Mohammad Omar. n
L’espresso 15 marzo 2007
Scuole contro
i talebani
La missione italiana punta su piccole e grandi opere.
E, più dei terroristi, teme la malavita organizzata
di Antonio Carlucci da Herat
M
aria Martucci è un tenente
della riserva dell’Esercito italiano. Fino a qualche tempo
fa, da architetto civile, si occupava in Campania di sanità.
Da qualche mese, ha reindossato la mimetica, gli anfibi, il giubbotto antiproiettile,
l’elmetto (e quando esce dalla base è sempre armata) e segue gli stessi problemi a Herat, città dell’Afghanistan occidentale che
insieme all’intera regione è stata affidata all’Italia. Il tenente Martucci ha seguito da vicino il completamento di un poliambulatorio nel villaggio di Jeghartan (121 mila dollari), di una scuola femminile a Jeebrail
(quasi 200 mila dollari) e il completamento in corso dell’unico ospedale pediatrico
dell’intera regione ovest dell’Afghanistan
(320 mila dollari).
Antonio Santoro è un colonnello del Genio
in missione in Afghanistan. Mercoledì 28
febbraio ha fatto l’ultima ricognizione in
elicottero nei pressi di Shindand, 200 chilometri a sud di Herat dove gli italiani cominceranno presto la costruzione di un
ponte del valore di 800 mila euro per consentire alle popolazioni locali di collegare
due aree dove muoversi è difficile a causa
di un fiume che spesso ha delle piene improvvise e pericolose. Gli italiani hanno de-
ciso di utilizzare un sistema in cui non c’è
bisogno di tecnologia avanzata (da pagare
fuori dall’Afghanistan). Hanno riunito la
shura locale degli anziani e dei capi villaggio e hanno ottenuto la disponibilità di
quasi 500 lavoratori. Che significa per la
zona un doppio guadagno: oltre al ponte,
un lavoro e un reddito temporaneo per la
popolazione locale.
Ecco il lavoro svolto da due dei mille militari italiani spediti nella regione ovest dell’Afghanistan (gli altri 900 sono nell’area
di Kabul). L’immagine dell’italiano brava
gente è spesso lo stereotipo obbligato delle
missioni di peacekeeping tricolori, ma contiene sempre un fondo di verità. Certo gli
italiani non dispongono di mezzi in grado
di cambiare dal giorno alla notte la situazione della regione. Ma di soldi, nell’area
ne sono stati investiti parecchi. A cominciare dai fondi del ministero della Difesa con
il programma Cimic (2.5 milioni di euro nel
2005, 5,3 milioni nel 2006), per continuare con quelli della cooperazione del ministero degli Esteri e per finire con quelli che
arrivano dai donatori internazionali. «Il
successo pieno della missione», dice il colonnello Filippo Ferrandu che dirige il locale Provincial Reconstruction Team, «arriverà quando i Prt saranno composti da
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Dall’oppio alla morfina
una maggioranza di civili». Oggi sono solComprare con fondi pubblici italiani l’oppio di produzione afgana,
tanto sei i non militari, uno inviato dalla
per trasformarlo in morfina e codeina utilizzabili nelle terapie del dolore: è la
Farnesina, altri cinque dalla Cooperazioproposta di Rifondazione, Verdi e Rosa nel pugno, con l’obiettivo di combattere il traffico
ne. Una presenza quasi insignificante.
di droga e di offrire ai produttori di papavero - il 50 per cento del Pil afgano è legato a questa
coltura - un’alternativa ai circuiti dell’illegalità. Il progetto ha però destato critiche. Le abbiamo
Il contingente italiano può lavorare in un
girate a uno dei promotori, Gennaro Migliore, capogruppo di Rifondazione alla Camera.
clima di relativa sicurezza. «La situazione
Massimo D’Alema è apparso interessato, ma ha obiettato che l’Italia non potrebbe acquistare
appare più stabile rispetto a quella di altre
l’oppio poiché «la sua produzione è illegale per il governo afgano».
province dell’Afghanistan», dice il genera«Non proponiamo di scendere a patti con talebani e signori della guerra, ma una
le Antonio Satta, comandante della regiosperimentazione con piccoli produttori, concordata con il governo di Kabul, cercando
ne Ovest: «In quest’area più che un probledi avviare nello stesso Afghanistan la trasformazione in morfina e codeina, e quindi di offrire
ma di talebani ideologicamente identificaanche un’occasione di sviluppo. Si tratta anche di evitare un grave errore politico, la saldatura
ti, ci sono problemi di insorti legati al crifra talebani e contadini senza alternative, che fornisce ai primi una base di consenso».
mine organizzato». In ogni caso la sicurezL’ex direttore dell’ufficio Onu per il controllo della droga, Pino Arlacchi,
za di Camp Arena, la base dove oltre agli
sostiene che la domanda di farmaci antidolore è già ampiamente soddisfatta.
italiani c’è un nutrito gruppo di militari
«Non sono dello stesso parere né l’Oms né il Senlis Council. I due terzi di questi farmaci sono
spagnoli, viene al primo posto nei pensieri
utilizzati in pochi paesi occidentali: bisogna estendere il loro uso anche nei paesi poveri ».
del generale Satta e dell’invisibile esercito
Sempre secondo Arlacchi, l’effetto della proposta sarebbe di far aumentare i prezzi
di uomini che curano questo problema. Ma
sul mercato illegale, rendendolo sempre più interessante per i contadini.
le sorprese sono possibili, come la biciclet«La politica di Arlacchi all’Onu, quella delle eradicazioni, è stata fallimentare,
ta bomba fatta esplodere domenica 4 marcome dimostra la crescita a dismisura del traffico illegale. Il totale delle eradicazioni
zo sulla strada che dalla base porta dritta
non ha superato i 6 mila ettari, a fronte della triplicazione delle superfici coltivate
nel cuore di Herat. Altri problemi ci sono
a papavero. Non sono stati penalizzati i narcotrafficanti bensì i contadini».
Paolo Forcellini
stati negli ultimi mesi nella Zeerko Valley
con una serie di omicidi a
Un paracadutista italiano
per le strade di Herat. In alto:
sfondo tribale per il controllo
il capogruppo di Rifondazione
del territorio. E più recenteGennaro Migliore
mente, nell’ultima settimana
un centro di rieducazione per
di febbraio, la temperatura è
i minori e una prigione femsalita a Farah, la città più meminile. E poi le necessità più
ridionale della regione Ovest,
elementari, come l’acqua:
con un paio di attentati ai poogni volta che è possibile vieliziotti afgani: è il risultato
ne scavato un pozzo in un vilnon voluto dell’Operazione
laggio, cercando di dotarlo
Medusa condotta dalla Nato
anche di una pompa elettrinel Sud tra dicembre 2006 e
ca. Per contrastare le culture
gennaio 2007 per allontanare
di oppio i militari italiani
i talebani dall’area di Kanstanno seguendo due strade:
dahr (si sono spostati in altre
consegnando ai contadini seregioni).
mi di zafferano, prodotto
Nel quadriennio 2002-2005
con un mercato sicuro, e dil’Italia ha speso per la ricostribuendo un totale di 185
struzione in Afghanistan 178
mila alberi da frutta a chi demilioni di dollari: il 42 per
cide di lasciar perdere il pacento per la ricostruzione del
L’obiettivo è un’azione capillare
pavero.
sistema giudiziario e per la
Uno dei progetti più aplotta ai trafficanti di oppio; il che porti benefici anche nei
29 per la sanità; il 17 per le villaggi più sperduti in montagna prezzati è quello delle scuole. Il Prt di Herat ha lanciaemergenze impreviste, il 10
per le infrastrutture, il 2 per l’educazione. zio nei centri più grandi poi a macchia ver- to il programma “Una scuola per ogni
distretto”: spesa di 2,4 milioni di euro.
Il lavoro che ora comincia a essere visibile so i villaggi più sperduti.
è quello portato avanti dal Prt di Herat. Ma quello che gli afgani sembrano apprez- Con l’accordo preventivo delle autorità
Con i fondi di donatori internazionali zare di più sono le iniziative, anche picco- afgane vengono scelti i villaggi dove co(giapponesi, sauditi, Banca di sviluppo del- le, che vengono realizzate e consegnate al- struirle: cinque sono state già consegnal’Asia) è iniziato il lavoro di ristrutturazio- la popolazione in un periodo relativamen- te, altre sette sono nelle fase finale per
ne degli aeroporti della regione ovest per fa- te breve. «Non ci sono risorse per fare tut- l’anno scolastico che si apre alla metà di
cilitare i movimenti (in Afghanistan c’è una to e così bisogna scegliere», spiega il gene- marzo. Dice il colonnello Ferrando:
sola strada asfaltata per il 90 per cento del- rale Satta. La sicurezza per cominciare, che «Otterremo importanti risultati se oltre
la sua lunghezza ed è il cosiddetto Ring significa aiutare la polizia afgana con mez- a costruire la scuola, la riforniamo di
l’anello che collega le cinque regioni del zi concreti, dalle divise alle motociclette o tutto quanto serve per la didattica e conPaese). Sono state individuate le zone di svi- con l’addestramento per la custodia alle trolliamo anche che ci siano gli inseluppo che in fasi successive saranno coper- frontiere nel quale sono impegnati alcuni gnanti. Questo è il vero inizio della trante da investimenti in infrastrutture, all’ini- uomini della Guardia di Finanza. Oppure sizione verso un futuro migliore». n
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15 marzo 2007 L’espresso
Foto: Antonio Carlucci, Tania - A3
Avviare coltivazioni controllate per produrre farmaci antidolore.
Gennaro Migliore spiega il senso della sua proposta-choc