pag.2 - ITIS "Luigi di Savoia"

Transcript

pag.2 - ITIS "Luigi di Savoia"
(da pag 1)
Estratto dell’intervento di Padre Bruno Forte in occasione
dell’incontro con circa 400 studenti dell’ITIS “Luigi di Savoia” di Chieti
Bene, ragazzi, sono molto contento di questo incontro con voi.
Come dicevo al preside, l’anno scorso ho incontrato le nostre
parrocchie: 157 su tutto il territorio. Quest’anno ho dato la
priorità all’incontro con le scuole superiori. Ne ho incontrate
già tre. Ed è veramente molto bello il dialogo semplice, fraterno che possiamo costruire insieme. E’ un’esperienza che ho
fatto molte volte in passato. Sapete, fino al giugno del 2004 io
ero professore di Teologia. Questo significa che buona parte
della mia vita l’ho spesa accanto ai giovani e camminando
con loro. Un ricordo molto caro che ho è quello di una trasmissione in onda su Rai Tre - non so se l’avete mai vista - si
chiamava “Il Grillo”. Io ed altri teologi andavamo in alcuni
Licei di varie regioni d’Italia: i ragazzi avevano letto i libri
che avevamo scritto e ci ponevano tante domande. Ed erano degli incontri di una grande verità, di una grande libertà.
Io non sono venuto tra voi come maestro, sono venuto come
compagno di strada, per pensare con voi. E allora vorrei dirvi
qualcosa per introdurre il nostro dialogo che si svolgerà insieme anche con Francesco Ricci. (Sapete, il nostro sindaco
viene da un’esperienza di volontariato molto bella. Lui e la
moglie hanno realizzato una specie d’ospedale in Africa e le
motivazioni di questa scelta sono state motivazioni d’amore; hanno operato nel volontariato vincenziano ispirandosi al
Santo della Carità che era appunto San Vincenzo de Paoli.)
Che cosa desidero dirvi innanzitutto? Che mi aspetto da voi
delle domande belle, perché vedete, ragazzi, nella vita la cosa
più difficile non è dare delle risposte ma porre delle vere domande. Molte volte noi poniamo domande che non interessano nessuno o che non cambiano il cuore dell’uomo. Ecco, io
credo che ciò che conta è cercare di capire quali sono le vere
domande, quelle su cui vale la pena di impegnarsi e se necessario persino soffrire. Ebbene, la domanda più bella di tutte
quelle che ognuno di noi porta nel profondo del cuore - anche
se a volte cerchiamo di evadere, di sfuggire - è la domanda
del dolore.
Perché il dolore nel mondo? Perché la morte?
La vita è così bella: ci riempie il cuore. Noi siamo felici di
vivere, io sono felice di vivere e quello che ho di veramente
giovane è l’entusiasmo nel farlo. Vi assicuro, ragazzi, io sono
un innamorato: di Dio, della Vita, e sento che è bello ogni
giorno ricominciare perché ho qualcuno d’amare.
Ecco, la vera grande domanda allora è: perché il dolore? Perché la morte? Qual è il senso di tutto questo?
Ora, questa domanda sul senso della vita, della storia, del dolore è quella a cui dobbiamo dare una risposta se vogliamo capire
perché impegnarci. E allora io vorrei accennare a tre orizzonti
nei quali si colloca il senso della nostra esistenza. Il primo orizzonte è da dove veniamo: qual è l’origine del Tutto?
E’ una domanda immensa, alla quale io dò una risposta semplicissima: all’inizio di tutto c’è un dono, c’è l’amore. La vita non
ce la siamo dati noi stessi: ci è stata donata.
Uno scrittore libanese afferma che quando si ama si deve dire
che si è nel cuore di Dio. Questa è la verità, ragazzi.
All’inizio di tutto non ci siamo noi, all’inizio di tutto c’è un
amore più grande, più antico. Noi siamo come bimbi nel grembo di una mamma. Voi sapete certamente che il principio dell’epoca moderna è legato a quella che viene chiamata la svolta
di Cartesio. Cartesio è il filosofo del “Cogito ergo sum” cioè
“Penso dunque esisto”. Ecco, noi dobbiamo cambiare questa
frase, perché non è vero che è così. Se fosse così, saremmo noi
all’inizio di tutto, mentre invece la vita ci è stata donata. Allora
la frase da dire è piuttosto “Cogitor ergo sum”, cioè “Io esisto
perché sono pensato”. “Amor ergo sum”, ”Esisto perché sono
amato”. Ecco il primo punto che tenevo a mettere in luce. Ma
naturalmente quando si risponde alla domanda “da dove veniamo”, non si può non domandarsi anche “dove andiamo”. Qual
è la meta di tutto questo, qual è il senso, l’orizzonte che unifica
le nostre scelte, i nostri cammini?
Anche qui la mia risposta è l’amore. Noi veniamo da un dono,
noi andiamo verso un dono. Per coloro che credono, questo
amore è Dio-Tutto in tutto: è la vita che vince la morte. E’ quella vita alla quale il nostro cuore ci rimanda.
Quando una volta a Firenze è stato proiettato il film “La vita è
bella”, presenti tanti giovani, anche sacerdoti, uno ha chiesto
a Benigni “Ma tu ci credi in Dio?” Lui ha risposto “Esisto io,
volete che non esista Lui!”; come a dire che il nostro bisogno
di amare e di essere amati è in qualche modo questa nostra
nostalgia del totalmente Altro.
Il senso della vita, quello che ci è davanti non è il nulla, non è
la morte, ma è Dio, la vita.
In un certo senso, e questo lo dico in napoletano (sapete che
sono napoletano? E per dirla fino in fondo, sembra che quando
Dio creò il mondo fece Napoli ed il suo golfo talmente belli
che, per riparare il torto al resto dell’umanità, creò i napoletani.
Ma questo lo possono dire solo i napoletani, mi raccomando!)
usando una frase che è un proverbio antico amato anche da
sant’Alfonso: ”Se po’ campà senza sapè pecchè, ma non se po’
campà senza sapè pe’ chi”.
Il senso della vita non è qualcosa, il senso della vita è qualcuno.
Se tu quando ti alzi al mattino non hai nessuno da amare, la
(segue a pag 3)
2