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L’ARTE NEL SALENTO
A cura di Ilaria Protopapa
Arte e architettura preistorica nel Salento
Le testimonianze che vi sono nel territorio salentino riguardanti questo periodo storico sono
tantissime. Alcuni studi approfonditi affermano che in questo territorio
sono stati rinvenuti reperti di “arte parietale”, la più antica espressione
artistica dell'epoca dell' Homo Sapiens (a partire da 40.000 anni fa).
Un’altra fase del processo preistorico è rappresentata dalla struttura
sociale di tipo matriarcale, che raffigura il culto della fertilità femminile;
i manufatti delle Veneri di Parabita ne sono una prova tangibile.
Dal punto di vista dell'architettura, basta ricordare che il Salento è una
terra ricchissima di dolmen e menhir, che hanno caratterizzato il periodo
compreso tra il VI e gli inizi del V Millennio a. C.
I dolmen e i menhir sono monumenti megalitici, costruiti con pietre e macigni rozzi, destinati, nella
preistoria, a scopi funerari o religiosi.
Dolmen e menhir, considerati un tempo di origine celtica, sono stati ritrovati nell'Africa del Nord,
in Palestina, nell'India, in Corea, nel Giappone e numerosi in Scandinavia, in Danimarca, nelle isole
Britanniche, in Francia, in Spagna, in Portogallo e in Puglia.
DOLMEN
I dolmen, di cui si riportano nella scheda i principali siti,sono
formati da grosse pietre conficcate nel terreno a guisa di
pareti; un lastrone monolitico posato sopra copre la camera
sepolcrale.
I menhir sono lunghe pietre piantate verticalmente nel
terreno, puntate verso il cielo in un desiderio di verticalità
celeste, di forza assoluta; su queste pietre non sono state trovate né iscrizioni, né dipinti che
potessero aiutare l'uomo a spiegarsi la loro funzione.
Arte e architettura messapica nel Salento
Messapia, probabilmente dal greco antico mesos (in mezzo) ap (all'acqua), la terra tra i due mari:
Ionio ed Adriatico.
Le testimonianze che vi sono nel territorio salentino riguardanti questo periodo storico sono
notevoli, soprattutto dal punto di vista dell'architettura.
La civiltà messapica si stabilisce nel territorio salentino durante l'età del Ferro (X-VI sec. a.c.).
Molti paesi della provincia di Lecce devono le loro origini a questo popolo
antichissimo:,,, Rocavecchia,Vereto (Patù), Leuca, Cavallino, e la stessa,
inizialmente subordinata al più importante centro di Rudiae ( nacque a Rudiae
nel 239 a. C. Quinto Ennio, poeta insigne di Roma, fiero dell'acquistata
cittadinanza romana, ma pure orgoglioso delle proprie radici messapo-rudine),
sono solo alcune delle tante città Messapiche del Salento.
Lo Zeus di Ugento
I Messapi, originari di Creta, erano una popolazione laboriosa e coltivavano l'arte, ammiravano
molto la cultura ellenica che cercarono di imitare e che li influenzò profondamente nell'arte, nella
religione e nei costumi, favoriti sicuramente dalla frequenza degli scambi commerciali con le
colonie greche.
Un aspetto importante della vita messapica è emerso dagli scavi di Vaste, della Grotta Porcinara di
Leuca, di Oria e di S. Pancrazio, dove in vasi di bronzo, sono state ritrovate monete d'argento. Negli
anni sessanta e settanta sono venute alla luce epigrafi a Lecce, Ugento, Oria e nella grotta di Roca
vecchia. Le testimonianze si configurano in:
- Vasi di ceramica dipinta. I vasi messapici vennero in primo luogo decorati principalmente con
forme geometriche come cerchi, quadrati, rombi, linee, svastiche e simili. Più tardi vennero
introdotti, sotto influenza greca, anche i meandri. Come tipologie venivano utilizzati principalmente
quello della olla e soprattutto della trozzella.
- Bronzi. In particolare, ricordiamo lo “Zeus di Ugento” e il “Vaso in bronzo (olpe) con tesoro di
Basta”, quest’ultimo rinvenuto a Vaste nel 1989. Lo Zeus di Ugento è una statua ritrovata nel 1961,
che rappresenta non solo la testimonianza che i Messapi adottarono immagini greche, ma costituisce
la migliore espressione della bronzistica della Magna Grecia e forse di tutta la Grecia del periodo
arcaico. Fatta risalire al 530 a.C., la statua rientra nella produzione dell’arte tarantina e ne è il
simbolo,se da alcuni particolari sembra che ci siano elementi ugentini nella sua fattura.
Non è da escludere, inoltre, che si tratti di una rappresentazione di Zeus Kataibates, il dio protettore
degli Iapigi che secondo la tradizione aveva folgorato i Tarantini, puniti per aver commesso empietà
durante la presa di Carbina (Carovigno). Oggi si trova presso ilMuseo Archeologico Nazionale di
Tarantouna copia in quello diUgento.
- Pittura funeraria. Le tombe messapiche sono di tre tipologie: a fossa (scavate direttamente nella
pietra tenera e coperte da un lastrone), a semicamera e a camera. Le tombe a camera messapiche
(IV-II secolo a.C.), appartengono al ceto aristocratico e hanno un vestibolo esterno chiamato
dromos, cui si accede da una scala intagliata nella roccia, ed una camera funeraria interamente
affrescata la cui porta di accesso è chiusa da battenti monolitici in alcuni casi accostati, in altri
ruotanti su cardini. Gli affreschi riproducono gli elementi decorativi che erano presenti nelle
abitazioni (lastre marmoree, elementi vegetali, festoni, o anche la travatura lignea presente sul
soffitto)
- Corredi funerari. Nelle tombe maschili troviamo oggetti che alludono ai tre principali aspetti del
mondo virile: il 'banchetto', o meglio il consumo del vino (il cratere, usato per miscelare acqua e
vino, l' oinochoe per mescere, il boccaletto per attingere, lo skyphose il kantharos per bere), la
“palestra” (strigile) e la “guerra” (punte di lance, cinturoni, elmi e sperone). Nelle tombe femminili
troviamo sin dai corredi più antichi la, accompagnata a partire dal IV secolo da altri elementi
esclusivamente femminili quali i gioielli e vasi/contenitori di unguenti, olii profumati e profumi
(lekythoie unguentari) ed da un telaio a forma tronco piramidale..
La Magna Grecia nel Salento
La Magna Grecia (in latino: Graecia, in greco, :Μεγάλη Ἑλλάς/Megálē Hellàs) è l'area geografia
italiana meridionale a partire dall'VIII secolo a.C.
Dopo l’Egeo, tra l'VIII secolo a.C., genti di civiltà greca (mercanti, contadini, allevatori, artigiani)
comparvero nella parte meridionale dell'Italia (le attuali, Calabria Puglia) nell'ambito di un flusso
migratorio da singole città antiche, motivato sia dall'interesse per lo sviluppo delle attività
commerciali, che da tensioni sociali dovute all'incremento della popolazione a cui la magra
produzione agricola nella madre patria non riusciva a dare sostentamento. Queste genti, giunte sulle
coste Italiche, fondarono diverse città qual i Metapontion, poi Rhegion.
Per i discendenti delle genti greche stabilitesi nella Penisola italiana, questo fu il periodo in cui fu
raggiunta la massima ricchezza economica, a cui s'aggiunse lo splendore in campo culturale ed
artistico, avendo seguito l'evoluzione della Civiltà Greca, in letteratura, filosofia e arte.
Come conseguenza di questa realtà di grande splendore, le zone colonizzate nella penisola italiana,
ci sono state tramandate col nome di Magna Grecia (Megàle Hellàs): un nome che volle
testimoniare l'orgoglio per aver dato vita, lontano dalla Grecia, ad una comunità di Greci che aveva
raggiunto così alti livelli in campo sociale, culturale ed economico, da poter essere considerata, in
confronto, più grande della stessa madrepatria. Basti menzionare due grandi filosi e scienziati:
Pitagora e Archimede. Dunque verso il III secolo a.C., si cominciò a definire le colonie greche
dell'Italia meridionale come facenti parte della Magna Grecia (Megàle Hellàs). Riferimento che si
presume sia stato coniato nelle colonie stesse, per mostrare la loro grandezza in relazione alla
vecchia Grecia. Il termine Magna Grecia si riferisce quindi alle popolazioni e civiltà, piuttosto che
ad un'entità territoriale e politica.
Di seguito, sono riportate le più rilevanti colonie greche presenti in Puglia.
Famosissima colonia greca era Taranto, Taras o Tarentum, come era denominata al tempo dei
romani, la cui fondazione si narra esser stata opera di coloni greci provenienti da Sparta. Taranto
sarà una delle colonie greche più importanti e fiorenti dell’area pugliese e di tutta la Magna Grecia
in generale, e le sue mire espansionistiche nell’entroterra causeranno non pochi attriti con le
popolazioni italiche insediatesi in Salento, in particolare la civiltà messapica. La fortuna di
Taranto, come del resto delle colonie greche, terminò con il sopraggiungere dei Romani, che
proprio in territorio salentino ingaggiarono una delle più terribili guerre della loro epoca
repubblicana contro le mire espansionistiche di Cartagine.
Tra il VI e il V secolo a.C. il raggio di colonizzazione della Taranto magno-greca si fa più ampio,
andando a ricomprendere contrade poste a distanza
di alcune decine di km dalla città. In queste località
si erigono fattorie, piccole necropoli e templi rurali.
Alcune di queste località hanno tramandato il nome
originario (es. la masseria Misicuri in agro di
Carosino, anticamente Mesochoron, la masseria
Calèra inglobata nella attuale Monacizzo).
La fontana grecoromana di Gallipoli
nel Salento.
Le ondate ripetute di popolazioni greche che si
stanziarono nel Salento furono numerose per tutto il
corso dell’epoca antica, dai Cretesi, primi
dominatori incontrastati del Mediterraneo orientale, fino a Bizantini, perciò la storia del Salento è
strettamente legata a quella della non lontana Grecia.
In Salento i greci fondarono moltissime città, e molte ancora oggi conservano nel loro nome, il
ricordo dell’antica origine: Gallipoli, per esempio, che deriva il suo nome dal greco “kale polis”
che vuol dire “città bella”, o ancora Santa Maria di Leuca, dove “Leuca” è una derivazione dal
greco “lefkos” che significa “bianco”, oppure Leiukòs, che significa “luce”.
Ancora oggi, una minoranza di lingua greca è presente in Salento, parlata da circa 30.000 persone
su un territorio di una decina di comuni racchiusi nella denominazione di Grecia Salentina. Gli
storici però sono convinti che tale presenza non si possa fa risalire all’epoca delle colonie greche
quanto piuttosto a successive migrazioni di popolazioni di origine greca durante il Medioevo.
Nel Museo nazionale della Magna Grecia, sito a Taranto, sono presenti mosaici di età grecoromana, terrecotte, antefisse, corredi funerari vascolari, ceramica attica a figure nere, ceramica di
Gnathia. Un particolare settore è dedicato ai famosissimi ori e argenti del VI-VII sec. a. C.
In particolare, vi è una sezione dedicata alla società tarantina di età greco-romana. Il Museo
Nazionale cittadino deve in gran parte della sua ricchezza a 2500 tombe (foto in basso), che
risalgono al saccheggiamento che Roma opera nella città, distruggendola e strappandola dalle mani
di Annibale.
Un'altra risorsa presente nel museo è rappresentata dagli ori. Collane, orecchini, anelli, diademi,
monili (foto in basso) rivelano tecniche di lavorazione che già 2300 anni fa
avevano poco da invidiare a quelle odierne.
Non tutti sono stati rinvenuti a Taranto, anzi alcuni tra i più ricchi provengono
dalla tomba della fanciulla di Canosa.
Ma la sala degli ori mostra anche il pezzo più pregiato fra le statue: il cosiddetto
Zeus di Ugento, un bronzo trovato appunto nella vicina Ugento. Si ritiene opera
di un artista tarantino di quella scuola magno-greca visitata da maestri
provenienti dalla terra-madre. Venne anche il più noto di tutti, il famoso
Lisippo, ad abbellire una città tanto ricca di statue, tanto maestosa e regale da
fare la meraviglia dei conquistatori romani.
Collane Magna Grecia
L'altro pezzo forte della sezione statuaria è la Testa di Afrodite (325 a. C.), altera ed elegante
E poi il delicatissimo e morbido Corpo di Ninfa, il manto leggero che cade sui fianchi
E il giovane Dioniso (foto in basso), dalla linea ondulata del corpo, come voleva la scuola di
Prassitele. Non c'era marmo sul posto e allora lo facevano arrivare dalla Grecia.
Forse le piccole terrecotte figurate, esposte a centinaia, non reggono al confronto di tanta
monumentalità. Ma trasmettono un senso di familiarità, e soprattutto colpisce la loro grazia.
Il Museo provinciale "Sigismondo Castromediano" è un museo
archeologico di Lecce. E' il più antico museo della Puglia, voluto nel 1868
dal duca Sigismondo Castromediano, patriota e archeologo del XIX
secolo. Ricco di antichissimi reperti provenienti da tutto il Salento.
Nel museo sono presenti alcuni reperti che illustrano i grandi temi della
civiltà greca e magno greca: il simposio con gli straordinari vasi in bronzo
e lo strumentario per mescere il vino. Inoltre, vi sono anche oggetti di uso
quotidiano: personale, di infanzia, per l’arte della tessitura, di guerra e il
sacro con gli ex voto dedicati alle divinità che facevano parte del pantheon
messapico, ad imitazione e parziale assimilazione di quello greco. Infine,
vi sono le immagini dei miti e dei riti raccontate sui vasi importati dalla
Grecia o prodotti nelle officine locali con la tecnica delle figure rosse e
sovra dipintura.
Arte e Architettura romana nel Salento
Il passaggio dalla città messapica a quella romana non sembra segnato da eventi traumatici o
distruttivi, ma avviene gradualmente nel corso del I secolo a.C. Nel tessuto urbano messapico
vengono quindi inserite le strutture tipiche della città romana.
Come città romana Lecce prende il nome di Lupiae. Quando Lupiae
municipio romano, dopo la Guerra Sociale (89 a.C.), le necropoli
vengono spostate all’esterno del circuito murario, come tipico delle
consuetudini romane.
È in età augustea che avviene la grande trasformazione urbanistica della
città.
Vengono costruiti il teatro e l’anfiteatro e, nell’area dell’attuale Duomo,
ildella città. Quattro capitelli ionici in marmo documentano infatti la
presenza di un grande edificio templare, posizionato tra questa piazza e
il teatro romano.
Afrodite
Oltre a queste strutture negli ultimi anni sono venute alla luce le Terme
Pubbliche, nell’area prospiciente la Chiesa di Santa Chiara, una struttura templare, forse dedicata ad
Iside, nella zona del teatro, sotto Palazzo Vernazza, e un’area artigianale in Piazzetta
Castromediano.
In Sant'Oronzo visibili i resti dell’Anfiteatro il massimo edificio teatrale conservato in Puglia. È
datato ad età augustea con rifacimenti sotto l'imperatore Adriano. Venne messo alla luce negli anni
Trenta del Novecento, nell’ambito del culto per l’Impero Romano di età fascista. Solo un terzo della
struttura venne scavato in quanto il resto è collocato sotto la Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
L’anfiteatro era collocato come d’uso ai margini della città, in una posizione di cerniera tra l’abitato
e il territorio. In parte venne scavato il banco roccioso sottostante, così da reimpiegare nella
costruzione le pietre cavate. Resta solo la ima cavea. Sotto alla cavea passavano due corridoi, uno
centrale anulare per gli spettatori, con numerosi accessi dal porticato, ed un altro di servizio.
Il podium, muro che divide l’area dalla cavea, era decorato da rilievi in marmo che rappresentano le
venationes che avvenivano all’interno della struttura. Troviamo rappresentati cacciatori, gladiatori,
bestie e animali di varia natura: cani, lepri, tori, cervi, lupi, cinghiali, pantere, leoni, orsi, e perfino
un elefante e un rinoceronte.
Oltre all’Anfiteatro, a Lecce vi è anche, il teatro, un monumento di epoca romana situato nel centro
storico. Di incerta datazione, il teatro è assegnato al periodo augusteo. Esso fu scoperto casualmente
nel 1929; aveva un diametro esterno di 40 m, un’orchestra semicircolare e un’ampia scena. Anche il
teatro è in parte scavato nella roccia sottostante, da cui è ricavata la scena ancora in luce.
L'orchestra, conservata nella sua originale pavimentazione a grandi lastre regolari di pietra,
terminava con tre larghi gradini, riservati ai personaggi più autorevoli della città romana. Nel
proscenio si notano il canale destinato ad accogliere il sipario e molti incavi, probabilmente
utilizzati per le impalcature degli scenari in legno. La scaenae frons essere decorata da nicchie con
statue riproducenti prototipi di età classica o ellenistica: sono stati
rinvenuti frammenti di un Ares, di un’Artemide, di un’Amazzone,
di un’Athena, di uno Zeus, oltre a un clipeo con l’immagine di
Roma, pertinente probabilmente ad una statua di Augusto che era
collocata al centro del fronte scena (i reperti provenienti dallo
scavo sono conservati al Museo Provinciale "Sigismondo
Castromediano" di Lecce.
In Castromediano sono venuti alla luce, durante la
ristrutturazione della piazza, alcune strutture connesse con varie
fasi della storia della città. Ad età romana vanno ascritti i resti di
alcune strutture produttive pertinenti alla lavorazione dell’olio (frantoio e cisterna), del II-I secolo
a.C. Questo rinvenimento permette di collocare in quest’area il quartiere artigianale della città
romana.
Un’ultima testimonianza dell’insediamento romano nel Salento è una delle colonne terminali della
Via Appia. Precedentemente sita a Brindisi , crollò nel 1528, è visibile la sola base e
successivamente fu donata alla città di Lecce dove oggi forma parte della colonna di Sant’Oronzo.
Arte e Architettura bizantina nel Salento
La civiltà bizantina ha segnato profondamente il territorio salentino permeando per lungo tempo la
cultura di questo territorio, anche oltre il periodo di influenza diretta. Infatti, scomparsa la
Bisanzio politica e militare dalla Terra d'Otranto, non scomparve però l'arte bizantina, così come
non scomparve tutto quanto di "bizantino" esprimeva la vita quotidiana. "Bisanzio" continuava a
durare nel Salento anche durante la dominazione normanno - sveva, nell'XI secolo.
L’arte bizantina si è espressa nel Salento in più forme, ma in modo particolare all'interno di
chiese e cripte le quali (soprattutto le seconde) possono ancora essere visitate nei territori delle
province di Brindisi, Taranto e Lecce.
Le chiese bizantine nel Salento sono una delle testimonianze più importanti della lunga
dominazione che vi fu sull'area del Salento da parte dell'Impero bizantino. Esse furono anche il
frutto dell'attività di monaci basiliani assai presenti nei territori della Puglia e della Calabria, regioni
più volte contese fra l'Impero Bizantino e Goti, Longobardi, Normanni, Saraceni.
Una tra le bellezze artistiche bizantine è rappresentata dalla Chiesa
di S. Pietro ad Otranto ), una costruzione che risale al periodo tra la
fine del IX e l'inizio del X sec. La chiesa, che sorge sulla parte più
alta della città, presenta una pianta a croce greca, 3 navate sorrette
da 8 bellissime colonne ed è sormontata da una piccola cupola. Poco
resta degli affreschi, realizzati in più fasi, che adornavano questo
piccolo tempio, tuttavia, nella navata sinistra si possono ammirare le
scene evangeliche della “Lavanda dei piedi” e della “Ultima Cena”
datate al X sec.
Sempre alla ricerca delle testimonianze della pittura bizantina ci possiamo spostare a Muro
Leccese per visitare la Chiesa di S. Marina , isolata a pochi passi da un menhir fu costruita nel IX
sec. appena fuori le mura che tagliavano di traverso l'antica via Salentina. La chiesa è in un' unica
navata rettangolare, coperta da una volta a botte divisa da pesanti archi in tre singolare importanza
di questa chiesa bizantina è data dal fatto che essa contiene il più antico ciclo di affreschi sulla vita
di San Nicola di Myra in tutto l'arco mediterraneo; di estremo interesse, anche un affresco
raffigurante l'Ascensione del Cristo confrontabile con affreschi francesi del XII sec. a confermare le
penetrazioni culturali occidentali nell'ambito figurativo pugliese.
A Poggiardo, una testimonianza bizantina è rappresentata
dalla Cripta di S. Maria, degli Angeli, una delle suggestive
chiese-cripte ipogee che caratterizzano l'area di terra salentina
attorno a Otranto. Sorta intorno al Mille, dopo un lungo
periodo di attività di culto, nel secolo XV cominciò ad essere
trascurata e ad andare, inevitabilmente, in disuso. Nel 1929,
venne riscoperta e gli affreschi furono staccati e restaurati. Gli
affreschi restaurati, oggi custoditi nel moderno museo nella villa comunale in Piazza G. Episcopo,
appaiono simili nel trattamento delle fisionomia a quelli della cripta di S.Biagio a S.Vito dei
Normanni.
Oltre agli affreschi si può anche visitare l'antica Cripta con le pregevoli copie in Via Don Minzoni.
Altre importanti testimonianze bizantine le troviamo a Vaste nella Cripta dei SS.
Stefani scavata intorno all’anno mille, divisa in tre navate absidali corrispondenti alle tre aperture
del prospetto, delimitate da due file di tre pilastri ciascuna a sezione quadrangolare, collegate tra di
loro, nella parte superiore, mediante archi. La cripta dei SS. Stefani può considerarsi "una vera
pinacoteca". Conteneva in origine oltre 50 affreschi, dipinti nell’arco di almeno cinque secoli (XI –
XV). Purtroppo, per l’incuria e i vandalismi, circa una ventina si presentano quasi totalmente abrasi
e distrutti o in gran parte scrostati e irriconoscibili. Si può, comunque, ammirare una scena della
Visione di S.Giovanni di altissima qualità artistica.
A Carpignano troviamo la Cripta di S. Marina e Cristina,
splendido esempio di chiesa rupestre a doppia navata
biabsidata. Vi si accede attraverso due ampie scalinate. La
cripta è divisa in due navate secondo una struttura che
caratterizza il rito tra il X e l'inizio dell'XI sec. L'affresco più
antico, risalente al 959 d.C., è il Cristo Pantocratore del
gruppo dovuto al pittore Teofilatto, come si può leggere nella
lunga iscrizione dedicatoria. Posto nell'abside principale, il
Cristo è fiancheggiato dalle figure dell’Annunciazione:
l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Maria. Nell’absidiola sinistra il Cristo in Trono appartenente a un
gruppo di affreschi del pittore Eustazio, con a fianco la Vergine col Bambino. Tale composizione,
come conferma la data dell'iscrizione, risale al 1020. Attorno al XIII sec. risalirebbe il trittico
affrescato sull'unico pilastro tufaceo rimasto: S. Teodoro, S. Nicola e S. Cristina.
Ad Ugento si può visitare la Cripta del Crocifisso. Questa chiesetta, scavata nella roccia tufacea è
ubicata a circa un chilometro nord dal centro urbano, sulla strada Ugento-Casarano (foto al lato). Si
accede mediante una porta a nord, cui fa seguito una scalinata che porta verso il vano ipogeo,
situato a circa tre metri sotto il piano di calpestio esterno. In questo, sono presenti due colonne poste
lateralmente, sormontate da un capitello in stile dorico. Caratteristico il soffitto decorato con motivi
circolari e stellari rossi e neri su fondo chiaro e scudi rosso-crociati, interpretati dagli studiosi come
stemmi dei Templari, a conferma dei già documentati legami tra gli ordini della Terra Santa e la
Puglia. Sulle pareti un'Annunciazione e una Madonna con Bambino (XIII-XIV sec.).
A Nardò troviamo la Chiesa Rupestre di S. Antonio Abate, che sorge lungo la dorsale delle Murge
salentine in cui compaiono, tra le altre, splendide raffigurazioni dei santi cavalieri Giorgio e
Demetrio (XIII sec.).
Infine, a Gallipoli si può visitare le Chiese di S. Mauro e
di S. Salvatore Quest’ultima presenta una divisione interna
in tre navate; degli affreschi originari, che un tempo
ricoprivano interamente le pareti, non è rimasto quasi
niente; si intravedono solo, nell'abside, quattro figure di
Santi vescovi con dei cartigli in mano, analoghi a quelli
presenti in San Mauro, e, al di sopra, tracce quasi
illeggibili di una scena sacra. La chiesa di S. Mauro, presenta una stretta analogia con quella di San
Salvatore, con la medesima divisione interna in tre navate; in origine, aveva tre altari, rivolti ad
oriente, come in tutte le chiese di rito greco, e presentava la distinzione tra bema enaos, evidenziata
da un gradino oggi distrutto. Un tempo era interamente affrescata, oggi si conservano solo gli
affreschi della nicchia absidale e della soprastante parete lunettata, anch'essi pertinenti gli ambienti
monastici greci
Dalla fine del Cinquecento, molte testimonianze dell’arte bizantina (ma anche di quella romanica)
furono distrutte per far posto alla costruzione di edifici religiosi di stile barocco nel nuovo spirito
religioso della Controriforma. Questo aspetto spiega ancora come mai le testimonianze rimaste sino
ad oggi dell’arte bizantina nel Salento si ritrovano soprattutto in cripte e ipogei. In altri casi, come
ad esempio per le chiese rupestri in provincia di Taranto, si è cercato di spiegarne l’altissima
frequenza con l’altissima instabilità del territorio conteso fra Arabi, Bizantini, Normanni “che
spinsero gli abitanti a preferire l’insediamento rupestre, difficile da scoprire nel contesto naturale”.
Arte e Architettura romanica nel Salento
Il romanico pugliese è quella cultura che si sviluppò in Puglia tra l'XI e la prima metà del XIII
secolo, soprattutto in architettura, scultura e nell'arte del mosaico.
I porti pugliesi erano frequentati dai pellegrini diretti in Terrasanta e furono anche il punto di
partenza per molti partecipanti alla Prima crociata nel 1090. Il gran flusso di persone determinò la
ricezione di una grande varietà di influssi culturali che si manifestò anche nella produzione artistica
successiva.
Il romanico "normanno" pugliese è l'antecedente più immediato
dell'arte che si sviluppò alla corte di Federico II nel XIII secolo,
che tramite il movimento di artisti (come Nicola Pisano) portò
al rinnovamento artistico innestato in Toscana e da qui in tutta
Italia.
Il Romanico del Salento riserva non poche sorprese, con
tantissime testimonianze sul territorio. Un esempio importante
di romanico nel Salento è la cattedrale di Otranto edificata sui
resti di una domus romana, di un villaggio messapico e di un
tempio paleocristiano.
Fu consacrata al culto il primo agosto 1088 durante il
papato di Urbano II. Al suo interno conserva un
importante mosaico pavimentale
eseguito, tra il 1163 e il 1166, dal monaco
basiliano Pantaleone.
La cattedrale è la più grande tra tutte le Chiese di Puglia,
con i suoi 54 metri di lunghezza e 25 di larghezza. Le
memorie dell'assedio che subì nel 1480 ad opera dei
turchi guidati da Solimano il Magnifico rivivono proprio nella Cattedrale che conserva le reliquie
dei martiri. Rappresentativa è la Cappella dei Martiri con le ossa e gli scheletri degli 800 trucidati in
teche di vetro.
Altre influenze si riscontrano nella chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo a Lecce (1180).
Arte e Architettura gotica nel Salento
Lo stile gotico non è propriamente quello predominante nel Salento, anzi, le testimonianze di questo
stile artistico ed architettonico sono piuttosto scarse.
A Nardo sono notevoli: la Cattedrale romanico-gotica , fondata nel 1090, ma rifatta nel secolo XIII,
il cui interno è a tre navate divise da archi gotici a sinistra e romanici a destra. Custodisce
notevoli affreschi e un antico crocifisso nero di legno di cedro.
Il Monastero di San Nicola di Casole, del quale ci sono pochi e mal messi resti, situato a sud di
Otranto, si pensa che avesse diverse caratteristiche di stile gotico, come si evince peraltro dagli
elementi architettonici che si possono vedere nei ruderi della struttura. Inoltre un esempio di
espressione artistica tardo-gotica lo troviamo nel ciclo degli
affreschi della Basilica Pontificia di Santa Caterina
d'Alessandria a Galatina.
Lo stile della Basilica Orsiniana
(perchè commissionata in parte,
sopratutto nel ciclo degli affreschi
dalla famiglia Orsini del Balzo) è
costituito da una strana e rara
commistione di elementi in stile
Romanico ed elementi in stile Gotico, i quali si fondono senza essere
alterati dando come risultato una delle opere architettoniche più interessanti dell'Italia meridionale,
sia dal punto di vista architettonico che artistico.
Anche la Cattedrale di Otranto, presenta alcuni elementi di stile gotico. La facciata, presenta un
doppio spiovente, con un rosone rinascimentale a 16 raggi con trafori gotici di forma circolare con
transenne che convergono secondo lo stile gotico-arabo della fine del quattrocento.
Arte e Architettura barocca nel Salento
Nel Barocco Leccese la materia prima utilizzata dagli
architetti fu la pietra leccese, ossia una pietra tufacea
estratta nelle cave della provincia, in grado di essere
scolpita e lavorata finemente e di resistere bene agli
agenti atmosferici. L’uso di questa pietra caratterizza il
barocco leccese. Questa forma artistica e architettonica si
è sviluppata tra la fine del 1500 e la prima metà del 1700
ed è caratterizzata da sgargianti decorazioni con motivi
floreali e putti oltre che figure mitologiche poste ad
abbellire le facciate degli edifici. Gli architetti più
importanti che svilupparono questa forma artistica
furono Giuseppe Zimbalo (1617-1710) e Giuseppe Cino Palazzo del Governo (Convento dei Celestini) Lecce
(1644-1722).
Arte e Architettura del settecento nel Salento
Un esempio di masseria
nella località di Lecce
Nel settecento la corrente illuministica invade Lecce. Questo segna il sorgere di numerose scuole di
matematica e di diritto, affinché venisse approfondita la coscienza politica dei leccesi: questo le
attribuisce il prestigio di centro culturale più grande del territorio salentino.
Dopo l'abolizione del feudalesimo, vi fu anche nel Salento la suddivisione e redistribuzione dei
latifondi e delle terre demaniali ai contadini che avevano lavorato queste terre. Nacque così in
questo
periodo una nuova classe sociale di piccola-media borghesia legata sostanzialmente all'agricoltura.
Le Masserie e i Casini di Campagna del Salento sono costruzioni che fungono da testimonianza
molto importante della civiltà contadina ma soprattutto della nobiltà locale che abitava in campagna
proprietari di grandi latifondi che amministravano dalle loro nobili tenute immerse nel cuore della
campagna salentina.
Arte e Architettura dell’ottocento nel Salento
Verso la fine dell’800 anche nel Salento vi furono numerose
famiglie nobili vicine al pensiero della Belle Epoque che
riuscirono a fare fortuna con le banche, il commercio, ma
anche con le libere professioni che andavano via via sempre
più diffondendosi come notai, avvocati, architetti, ingegneri.
A questo periodo e soprattutto a questa cerchia di facoltosi si
devono le numerose ville eclettiche ed orientaleggianti
presenti nel Salento, soprattutto a Santa Cesarea Terme (su
tutte palazzo Sticchi con la sua maestosa cupola); A Lecce e
lungo la costa in prossimità dei centri balneari come Santa
Caterina, Santa Cesarea e Santa Maria di Leuca si trova la
maggiore concentrazione di questi edifici.
Villa Raffaella - S.Cesarea Terme
Nell'area del Salento l'applicazione dello stile eclettico alla villa rappresenta, per la sua estensione,
una zona privilegiata per l'osservazione del fenomeno architettonico. Il differenziarsi, sul piano
teorico, della progettazione della abitazione urbana, più restrittiva in termini di decorazione perché
legata alle esigenze del disegno della città, rispetto alla
villa, cui si concede la massima disponibilità all'utilizzo
di repertori ornamentali diversi, può spiegare la vastità
del fenomeno salentino. Sono stati, infatti, gli stessi
trattatisti a stabilire che l'esercizio della fantasia dovesse
essere circoscritto all'abitazione posta al di fuori del
territorio urbano.
Villa Sticchi s. Cesarea Terme
L'eclettismo salentino sembra evitare edifici pubblici, amministrativi o commerciali per
manifestarsi con notevole varietà formale nel tipo della "villa". Il termine è da intendere
nell'accezione più vasta e completa, includendo residenze suburbane stabilmente abitate, stagionali
dimore di campagna e case di vacanza estiva sparse lungo la costa salentina.
Il rinato interesse per lo stile dell'abitazione, anche se relativamente alla villa, si impone,
parallelamente alla riconsiderazione di quelle tradizioni locali sulle quali, spesso, erano confluite le
questioni di identità storica e sociale legate alla ricerca di uno stile per il presente. In territorio
salentino, il recupero o in alcuni casi il perdurare di una
tradizione costruttiva vernacolare se, apparentemente,
sembra in contrasto all'utilizzo di uno stile moresco o
cinese, è in realtà ad esso strettamente connessa. Questo
perché spesso l'ordine distributivo ed in genere l'intera
planimetria delle ville si modella su una tipologia di
consolidata tradizione, vale a dire la casa a corte leccese.
Su di uno schema spaziale che rimane in molti casi
costante, si innestano bizzarrie decorative di diversa
ascendenza stilistica ma sempre supportate da materiali
locali, come la pietra leccese, che concorrono a
favorire
una
declinazione
tutta
regionale
dell'eclettismo.
Villa Licci De Francesco Leuca
Arte e Architettura contemporanea nel Salento
La provincia di Lecce venne interessata durante il ventennio fascista da una importante attività di
costruzione di edifici statali. Edifici scolastici in primis (su volere del Duce infatti si volle costruire
una rete capillare di scuole in modo da poter abbattere la piaga dell'analfabetismo che era molto
forte all'inizio del secolo) ogni centro di una certa importanza doveva avere le sue scuole; musei,
palazzi del governo cittadino, edifici istituzionali come tribunali, istituti, caserme e così via, senza
dimenticare la faraonica opera dell'Acquedotto Pugliese con la sua Scalinata Monumentale a
termine della rete situata a Santa Maria di Leuca, che collega il porto al piazzale del Santuario de
Finibus Terrae.
Oltre alle opere civili volute dallo stato, anche numerose società private soprattutto Compagnie di
Assicurazioni e Banche edificarono i loro palazzi nei centri più
popolosi del Salento.
Un'opera architettonica contemporanea, che ha fatto conoscere il
centro di Parabita e con esso
tutto il Salento al mondo intero è sicuramente il Cimitero
Monumentale, esempio pregevole di Architettura Moderna,
realizzato dallo studio G.R.A.U. di Roma e presente su tutte le
riviste di architettura moderna. Iniziato nel 1972 e finito nel
1982, su progetto dell'Architetto Dr. Paola Chiatante, per la sua
Cimitero monumentale di Parabita
costruzione sono state sfruttate a pieno le caratteristiche
morfologiche del terreno fatte di pendii e dislivelli tipici del crinale della serra salentina
Arte e Architettura della civiltà rurale nel Salento
Di particolare rilevanza è nel Salento la civiltà rurale, quel processo cioè di metodi e tecniche
tradizionali e manufatti ed opere materiali, che hanno caratterizzato e ancora distinguono per certi
aspetti il fenomeno antropico naturalistico del territorio e della storia delle sue popolazioni.
La civiltà rurale inizia ancor prima delle fondazioni delle città e si configura come fenomeno
tribale, come fenomeno rappresentato dalla famiglia o da gruppi di famiglie che, a contatto con la
terra di sussistenza, hanno elaborato e trasmesso un ethos sociale e religioso e nello stesso tempo
tecniche lavorative e costruttive che hanno attraversato i secoli e sono giunte fino a noi nelle
strutture architettoniche e utensili-manifatturiere che ancora si conservano.
Bisogna sottolineare l’originalità e l’originarietà di questa civiltà e delle sue realizzazioni, nei
confronti delle susseguenti civilizzazioni, quella messapica e quella greco-romana
La società contadina primitiva, cioè la posizione di queste nostre popolazioni rurali di cacciatori,
pastori, agricoltori, non venne turbata né trasformata dalla comparsa della civiltà messapica
urbana, anch'essa arretrata che in minima parte, e solo nelle vicinanze della città medesima, si
ebbe qualche lieve trasformazione, ma rimase quasi identica ed incontaminata verso il resto delle
campagne più lontane. Né c'è da pensare che con l'arrivo dei Romani, in questa nostra remota
contrada, le cose siano molto cambiate, ma questi si limitarono a contatti molto labili, istituendo
solo presidii militari nelle nostre campagne” (fr. , L.Ponzi, Monumenti della civiltà contadina nel
Capo di Leuca, pag. 7, Congedo Ed., 1981 Galatina).
Si può quindi affermare che gran parte della popolazione rurale arcaica del Salento primitivo
vivesse in modo autonomo e giustapposto per certi versi già intorno all’ottavo secolo a.C con le
altre forme di civiltà compresenti e coeve.
Nel primo millennio cristiano, invece, si verificò una trasformazione di questa civiltà rurale, quando
i contadini della Iapigia meridionale
vennero a contatto con i Basiliani, i quali, cacciati dall’Oriente a causa delle persecuzioni
iconoclaste, si stabilirono nel basso Salento verso il 700 d.C., si insediarono numerosi nelle strutture
rupestri del territorio rurale e naturalistico della terrà salentina e si determinò un processo che vide
il costituirsi di una civiltà rurale sorta dalla fusione con quella urbana dei Basiliani che durò fino
all’XI secolo d.C.
“ Si può quindi parlare di una civiltà rupestre fusa ad una civiltà contadina del luogo, non solo nel
campo religioso, per cui noi troviamo sparsi, per le nostre campagne, costruzioni di tipo laicale,
come vie, frantoi sotterranei, molini, palmenti, pozzi e cisterne ed altre costruzioni rurali non
religiose” (cfr. L. Ponzi, Monumenti della civiltà contadina nel Capo di Leuca, pag. 8, Congedo
Ed., 1981 Galatina).
Il processo di trasformazione e di progresso cambiò ulteriormente con la dominazione normanna,
con la quale si instaura da una parte un sistema di tipo feudale, che è rimasto quasi indenne fino agli
inizi del XX secolo, dall’altra la trasformazione e l’affinamento delle tecniche lavorative e delle
forme economiche e sociali di pura sussistenza. In questo nuovo paradigma, in cui si registra un
processo lento ma progressivo forme arretrate di attività “esplicate da gruppi umani cioè dalla
famiglia patriarcale”, che conserva forme e metodi tradizionale di rapporto con la terra e con il
modus vivendi del tempo.
Ciò nonostante lo sbocco o l’innesto della civiltà contadina tradizionale verso la civiltà urbana del
medioevo fu certamente lenta, ma progressiva e feconda.
“Quegli uomini formarono una società articolata dal punto di vista socio-economico e religioso,
crearono delle aree urbane più rispondenti alle condizioni sociali raggiunte, istituirono insediamenti
urbani nell'ambito dell'assetto territoriale come elementi di laicale, umano e rurale, dove troviamo
strade, frantoi, molini, magazzini, impianti artigianali, pozzi, cisterne, canalizzazioni per la raccolta
delle acque, ricoveri per bestiame, derrate alimentari ed attrezzi agricoli. Le abitazioni cambiano, il
contadino non batte più la messe sulla nuda terra ma crea l'aia ed altre costruzioni rurali adibite alla
bisogna”. (cfr L.Ponzi, Monumenti della civiltà contadina nel Capo di Leuca, pag. 9, Congedo Ed.,
1981 Galatina). gioioso e quasi panico con la terra, nutrice e serva della provvidenza che
distribuisce agli uomini di ciò che è necessario per vivere, ed anche se le forme economico-sociali
erano di conservazione e di pura sussistenza e soddisfacimento dei bisogni elementari
dell’individuo e della famiglia, quella caratterizzazione appunto tribale di cui accennavamo, con
l’avvento della civiltà normanna e con il contatto sempre più vasto e variegato della civiltà urbana e
dei rapporti di interdipendenza che questa comportava, si verifica un rinnovamento delle tecniche di
lavorazione e delle connesse forme architettoniche e utensili.
Nel settore agricolo si passa dall’aratro arretrato a vomere simmetrico (la furca) che nel solcare la
terra andava poco in profondità, all’aratro dissimmetrico munito di ruota (aratino). Si instaurarono
forme di compostaggio per la produzione e la conservazione del letame organico utile alla
concimazione dei campi. E per questo si sviluppò e incrementò l’allevamento del bestiame (pecore
e capre, mucche, buoi, maiali, asini, cavalli, muli), per la cui custodia furono costruite le curti. Si
instaurarono anche forme di rotazione agraria che consentiva una maggiore produzione di prodotti
agricoli resa necessaria dall’economia di commercializzazione che l’urbanizzazione incipiente ma
progressiva del tempo comportava.
Pertanto si registra un avanzamento e un progressivo superamento della civiltà arretrata, verso
forme più moderne ed efficaci. Anche se non vengono meno le forme rozze e primitive legate ai
processi e procedure produttive di una società familiare e patriarcale. Ma l’utilità di tecniche e
forme produttive nuove non possono essere sottovalutate e vengono sempre più assunte
particolarmente nei modi e nelle forme di costruzione delle case e delle strutture rurali del tempo e
dell’allevamento e della lavorazione e sfruttamento dei prodotti della terra.
Di questa evoluzione e fenomeno storico ci restano e convivono con la nostra modernità opere e
strutture materiali. Esse sono un segno di evidenza e di vitalità storica di quest’antica civiltà rurale
salentina e ci fanno vedere la vita sociale e l’organizzazione di un tempo che rimane inalterato e
fecondo nella memoria di questa terra.
1 MURI A SECCO
Le prime costruzioni rurali che da tempi remoti e che ancora caratterizzano le campagne del
Salento, in particolare del Basso Salento sono i muri a secco.
Il Salento è una terra carsica bruciata dal sole che abbonda di materiale pietroso. Assoggettare
questa terra è stato per i contadini un compito
durissimo; per renderla coltivabile è stato necessario
”ripulirla” dalle pietre che sono state così
accumulate (specchie) o messe ai bordi dei campi,
fungendo come limite del campo stesso. Il cumulo
ha poi assunto un aspetto definito con forma e
dimensione, diventando un elemento caratteristico
della campagna salentina, al punto da richiedere una
persona specializzata nella sua costruzione, “lu
paritaru”.
2. PAJARE- TRUDDHI E CASEDDHE
Le maestose costruzioni trulliformi che punteggiano il paesaggio salentino sono tra le più sacre
testimonianze della civiltà contadina. Isolate o in coppia, di forma conica o quadrata, la tecnica
costruttiva a secco si è tramandata di padre in figlio. Le costruzioni a secco (dette furni o pajàre)
rappresentano l’ultima fase dell’evoluzione della capanna preistorica. All’inizio la capanna era
realizzata solo con rami e frasche; poi seguì una fase in
cui fu realizzato il perimetro in pietra e la copertura con
tronchi e frasche, per approdare poi ad un’ultima fase con
costruzioni interamente in pietra. E’ possibile distinguere
due tipi di furni: i semplici ripari per la pioggia o la calura
estiva e per depositare gli attrezzi agricoli; i furni grandi o
pagghiare che fungevano anche da abitazione.
Nel primo caso la costruzione è semplice; le pietre
vengono sistemate ad incastro formando delle
circonferenze il cui raggio si restringe sempre più, fino a Pajara
chiudere il trullo (truddhru) con una sola grande pietra
(chiànca). Nel caso dei furni grandi, la tecnica costruttiva è più complessa; in questo caso vengono
realizzate due murature, una interna e una esterna, che creano così un’intercapedine colmata poi con
pietrame e terra. In questo caso veniva realizzata anche una scala esterna che portava al tetto,
utilizzato per far essiccare al sole i prodotti della terra. L’ingresso ai furni è basso ed è l’unico
elemento che ha maggiormente risentito di cambiamenti col passare del tempo; all’inizio si
presentava con due elementi verticali come stipiti e uno orizzontale come architrave.
Successivamente, quest’ultimo è stato sostituito prima da due blocchi monolitici che richiamano il
triangolo di scarico e poi da un piccolo arco.
3 LE SPASE, LE LITTERE, LI FURNEDDHI
Le spase e le littere erano piattaforme di pietre, di modeste dimensioni, costruite per mettere ad
essiccare i fichi; lu furneddhu serviva per infornare gli stessi, dando una determinata cottura onde
assicurarne una buona conservazione. Quasi sempre il piccolo forno era addossato al trullo, con
esso formando una costruzione complessa, aveva la stessa forma del trullo, ma assumeva
dimensioni minori ed era egualmente costruito con pietre a secco. re e raccogliere le acque piovane
per costituire una riserva cui attingere durante l'anno, oppure, nel caso di cisterne localizzate nei
pressi di masserie o di frantoi, per il tempo necessario allo svolgimento delle attività produttive.
La cisterna riceveva l’acqua piovana dalla pavimentazione della sua stessa volta, nella quale si
apriva la bocca, mentre, in determinati casi, dal campo stesso, specie trovandosi questo in lieve
pendio.
5 LE AIE
L’Aia di forma circolare era delimitata da pesanti massi, battuta e levigata con cura. Si trovano
anche Aie antiche su fondo naturale, su roccia pianeggiante levigata dagli elementi atmosferici,
delimitate da grossi massi, che per lungo tempo videro i nostri contadini battere con lunga pertica
biforcuta sotto il sole. Troviamo aie più moderne per l’epoca di allora, pavimentate in malta battuta.
Le aie venivano usate per la trebbiatura, l'attività conclusiva del raccolto consistente nella
separazione della granella del frumento e degli altri cereali dalla paglia e dalla pula, sottoprodotto
derivante della lavorazione dei cereali.
6 LI PUDDHARI
Costruzioni molto caratteristiche ed esteticamente rilevanti sono i Puddhari o pollai. Costruiti quasi
sempre intorno all’aia, che, oltre ad essere la
costruzione sopra descritta, viene anche denominato
così il fondo di terreno del contadino.
Stabilito il luogo dove doveva sorgere, la funzione del
pollaio doveva ritenersi esclusivamente connessa ad
attività di allevamento, spesso unita agli interessi
dell’agricoltura. Le dimensioni di tali costruzioni sono
modeste, come è modesta la loro funzione. Furono
certamente i costruttori di trulli ad innalzare questi
piccoli capolavori, all’inizio di un’epoca nuova, di quel tempo La diffusione dei pollai non è
uniforme in tutto il territorio, ma questo può essere diviso in due parti: una orientale ed una
occidentale. Nella parte orientale vi è una massima densità di diffusione con costruzioni a forma
circolare, mentre scarsi sono quelli a forma prismatica; nella parte occidentale invece vi sono rari
esemplari a forma circolare e quasi tutti a forma prismatica.
.7.PALUMMARI
I palummari sono caratteristiche costruzioni, erette nei giardini o nelle campagne, chiamate proprio
“colombaie” (in dialetto palummari), contenenti all’interno centinaia di cellette con funzioni di
“case” per i pennuti, che in quei siti solevano puntualmente ritirarsi per covare le uova, per allevare
i piccoli e per dormire. Si tratta di caratteristici alloggi per
allevamento di piccioni, che i contadini usavano per curare
volentieri gli allevamenti dei piccioni.
Le colombaie ospitavano centinaia di piccioni e erano
costruzioni a sè stanti, isolate e mai connesse ad altra
costruzione rurale, erette al solo scopo dell’allevamento di questi volatili. Si ergono isolate nella
campagna come torri, in alto ornate con merli e fregi, per lo più di forma cilindrica, altre
quadrangolari.
8. APIARI
Si tratta di un certo numero di arnie dette ucche d’api, formate
ciascuna da un concio di tufo cavo, dalla forma di parallelepipedo
rettangolo, della profondità di circa 75 cm e con due aperture
all’estremità. Essi sono costituiti da un certo numero di arnie.
L’apiario è situato in un luogo adatto, riparato dalla pioggia e dal
vento e spesso i grandi apiari erano tenuti in speciali recinti chiusi
detti curtali, perché non venissero saccheggiati da estranei.
9. LU PARMENTU
Si tratta di una piccola costruzione in tufi, spesso con
volta a botte di dimensioni variabili ma sempre
modeste. Lu parmentu o palmento veniva utilizzato
come officina per la lavorazione dell’uva e la
produzione del vino. Ancora oggi si trovano, sparsi
per la campagna, ruderi di piccoli palmenti per la
lavorazione delle uve.
10. LU TRAPPITU
Struttura molto importante e diffusa nel Salento per la lavorazione delle ulive e produzione
dell’olio, principale prodotto della terra.
Un tempo buona parte del sottosuolo era scavato e questo sia per la friabilità della roccia, sia per la
necessità di ricreare un ambiente secco e caldo per facilitare il distacco dell'olio dalla pasta
macinata delle olive.
In questi antri, creati nel sottosuolo, avevano sede i frantoi ipogei, chiamati nei termini locali
trappiti.
Si rileva la vasca di frantumazione delle olive con al suo
centro girava la "PETRA TE TRAPPITU", che era un
blocco unico di pietra a forma cilindrica che, usata
verticalmente sulla pista circolare ricavata nella vasca di
frantumazione, serviva allo schiacciamento delle olive.
Poi abbiamo "LU CONZU" che è il torchio grande ed era composto dalla madre vite su cui scorreva
lu "SANTU TUNATU" che era di soli un blocco unico di legno e rappresentando la "testa" della
pressione aveva avuto questo nome in onore del Santo protettore di questa parte del corpo umano.
Però il nome di detto attrezzo, si dice abbia anche un altro significato, infatti, sul gioco dei doppi
significati del termine, pare avesse questo nome in quanto nell'atto della pressione ed al contatto
della madrevite, il pezzo cigolava come se tuonasse (in vernacolo si usa il termine "scattava") e da
qui il secondo significato del nome.
Sotto di lui la chiancula che era una panchetta di legno posta sopra i fisculi ed utilizzata al loro
schiacciamento sotto la pressione della vite del torchio.
A volte succedeva che i fisculi sotto la pressione spanciassero perciò si usava la bardasciola che era
una leva di legno con la quale il nachiru cercava di raddrizzare la colonna dei fisculi, usandola a
mo' di leva.
Il derfinu, invece era un blocco pesante di pietra dura, posto alla base del torchio ed affondato nel
terreno, che, nella parte superiore, era solcato da un canale circolare interrotto da un piccolo varco
nella parte anteriore, varco che serviva a far scorrere quanto spremuto nell'ancilu.
"L'Ancilu" era una sorta di pila in pietra, internamente cilindrica, nella quale convogliava la
spremitura dei torchi, e con al fondo un foro di comunicazione con una cisterna detta nfiernu.
L'Ancilu" era una sorta di pila in pietra, internamente cilindrica, nella quale convogliava la
spremitura dei torchi, e con al fondo un foro di comunicazione con una cisterna detta nfiernu.
11.LE MASSARIE
Il termine massaria indica una fattoria spesso fortificata circondato da terreno agricolo molto
diffusa nel sud Italia e in maniera particolare in Puglia. La masseria ripropone lo schema della casa
con corte agricola di tradizione mediterranea;
di questa ha in comune quasi sempre il
recinto, costituito da un muro alto e
fortificato, e un unico ampio spazio centrale
(corte o cortile) anche con funzione di aia, su
cui si affacciano gli ingressi dei vari edifici di
residenza e lavoro. Nelle masserie più recenti
il perimetro fortificato è meno evidente e il
recinto è più ampio. Infatti le masserie hanno
avuto molte trasformazioni nel tempo,
soprattutto tra il XIX e il XX sec., per
adeguarle al gusto e alle esigenze dei
proprietari per cui non sempre vi sono
Masseria
leggibili le forme originali, e a volte sono
state trasformate in ville di residenza estiva dai proprietari più recenti, trasferendo altrove i locali di
Masseria
lavoro e di residenza del personale agricolo. Le poche aperture e finestre rivolte verso l'esterno sono
sormontate dalle "Caditoie", aperture poste sui muri perimetrali del tetto dalla cui "bocca"si
facevano cadere pietre e altri materiali pesanti
che cercavano d'impedire l'accesso all'interno
dei locali. Una porta grande d'ingresso sbarrata
da un robusto portone permetteva l'accesso al
grande cortile anche alle carrozze e ai carriaggi
da trasporto. In genere una parte dell'edificio a
scopo abitativo aveva uno o più piani alti nei
quali abitava il "padrone" e la sua famiglia. I
piani bassi erano adibiti all'uso abitativo dei
contadini e come depositi delle provviste.
All'interno del cortile vi erano anche le stalle per
i cavalli o per i muli nonché i locali per polli,
conigli e volatili vari di allevamento. Altri locali servivano per il deposito degli attrezzi da lavoro e
come ricovero di cavalli.
Da alcuni anni si assiste al recupero di alcune di queste masserie storiche che vengono ristrutturate
per adibirle ad agriturismi e a Bed & breakfast. In tal modo si raggiunge anche l'importante
obiettivo di garantire la salvaguardia e la conservazione di tali storici monumenti.