dialogo tra hr e linea: idee e azioni per essere (più) strategici

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DIALOGO TRA HR E LINEA:
IDEE E AZIONI PER ESSERE
(PIÙ) STRATEGICI
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a cura di dino ruta
[email protected]
HANNO PARTECIPATO AL FORUM:
GIORGIO COLOMBO Direttore Personale e Organizzazione Gruppo Edison
GIUSEPPE DONAGEMMA Executive Vice President Nokia Siemens Networks
MARCO LAZZONI Amministratore Delegato Volvo Italia
LUCA VALERII Direttore Risorse Umane Microsoft
LA PROFESSIONE DI CHI OPERA NELLA FUNZIONE HUMAN RESOURCES (HR) STA VIVENDO UNA PROFONDA FASE DI RIPENSAMENTO DEI PROPRI OBIETTIVI E DELLE PROPRIE MODALITÀ DI
FUNZIONAMENTO, ALLA LUCE DELLE RECENTI SFIDE MANAGERIALI CHE L’ANDAMENTO ECONOMICO STA IMPONENDO E DEI PRINCIPALI CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI DELLA SOCIETÀ TRA EFFETTO
“AGEING” E AVANZATA DELLA GENERAZIONE DEI MILLENNIALS.
LA DISCIPLINA DEL MANAGEMENT È IMPEGNATA A COSTRUIRE
PROCESSI IN GRADO DI PIANIFICARE LE AZIONI ORGANIZZATIVE. UN’AZIENDA, INFATTI, SI PUÒ DEFINIRE BEN GESTITA DAL
PUNTO DI VISTA MANAGERIALE QUANDO HA UN BUON LIVELLO
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Professore di Gestione
Strategica delle Risorse Umane,
SDA Bocconi
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di formalizzazione. La funzione HR ha visto negli ultimi
anni un forte accento sul tema della formalizzazione dei
processi HR, consolidando un modello di gestione a supporto delle altre direzioni aziendali. Il processo è un grande alleato del management, perché permette di mettere ordine, di rendere più eque e trasparenti alcune decisioni.
Inoltre, lavorare nelle direzioni HR era inizialmente una
prerogativa di esperti in grado di conoscere e interpretare
i tratti salienti di una persona; l’avvento
dei processi ha dato ampio spazio di inserimento a profili variegati impegnati in
procedure volte a elaborare e processare
dati generati dalle persone e dai fabbisogni aziendali. Tuttavia, come tutto ciò che
formalizza e dispone, il processo, se interpretato come fine e non più come
mezzo, può generare disfunzioni. In ambito HR questo rischio è ancor più ingente se consideriamo l’impatto che può
avere su persone, comportamenti e risultati. Avere processi HR ben descritti e
funzionanti non sempre è garanzia di una buona qualità
di gestione e sviluppo delle persone in azienda. In alcuni
casi, l’eccessiva enfasi sulla formalizzazione ha fatto perdere di vista la finalità e il ruolo della direzione HR, di garante e allenatore di una forza lavoro che deve essere in
grado di sfidare e battere la concorrenza. Se il processo ha
rappresentato un momento di maturità della funzione
HR, superando il paradigma che la funzione HR si occupa soltanto di gestire i casi ad personam, adesso il management è alla ricerca di qualcosa in più. L’obiettivo manageriale è costruire un sistema HR che nel suo complesso
sia in grado di valorizzare al meglio le proprie persone.
Questa nuova esigenza è spesso richiamata con il nome di
business partner o di gestione strategica del personale.
Tuttavia non è ancora facile per chi ricerca e lavora in ambito HR comprendere quali siano le priorità e gli orientamenti di una simile azione: un focus sulle persone da gestire, sui processi o altro; un orientamento nei confronti
della linea di tipo consulenziale o di alleanza e partnership, e così via. In questa prospettiva e considerando l’evoluzione del sistema economico internazionale di questi ultimi mesi, è opportuno chiedersi quali aspettative abbia il
management nei confronti di chi lavora nella funzione
HR e viceversa. Ogni momento di crescita parte dal confronto e tendenzialmente da una prospettiva vicina ma
esterna. A tal fine è stata organizzata una tavola rotonda
presso SDA Bocconi School of Management, con il supporto di AIDP (Associazione per le Direzioni del Persona1
le), avente l’obiettivo di stimolare il confronto e il dialogo
tra management HR e di linea. In particolare, sono state
realizzate due interviste in parallelo, a un direttore HR e a
un direttore di linea, seguendo una traccia di interviste simile, sebbene con alcune interessanti differenze. Le loro
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Processi HR ben descritti e
funzionanti non sempre sono
garanzia di una buona qualità
di gestione e sviluppo delle
persone in azienda
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risposte ci permetteranno di cogliere alcuni spunti di riflessione e pervenire ad alcune conclusioni sul tema.
I primi intervistati sono Marco Lazzoni (Amministratore
Delegato Volvo Italia) e Luca Valerii (Direttore Risorse
Umane Microsoft).
Secondo lei, quale altra diversa professione può
meglio descrivere il ruolo dell’HR? Perché?
LAZZONI Dividerei la risposta in due parti: che
cos’è e cosa dovrebbe essere. Non sarò generoso.
Faccio una premessa, non ce l’ho con l’HR, ce l’ho con
tutti noi, quindi non siamo in contrapposizione. Il problema è che il modello di impresa è in crisi, come tante
altre cose, quindi è il ruolo del manager in generale che
dovremmo discutere, naturalmente con una prospettiva
HR. Ritengo che l’allenatore sia una buona metafora,
come anche un professore in un campus universitario.
Una specie di Socrate che pone domande più che dare risposte, e che aiuta le persone con questa tecnica a trova-
1. Tale incontro è stato organizzato grazie al prezioso contributo di Andrea
Orlandini, direttore Risorse Umane Sisal e coordinatore regionale AIDP
Lombardia e Rosanna Cella, executive coach ed esperta di leadership
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VALERII Intanto devo mostrare un po’ di orgoglio
di appartenenza. Motivo di questo orgoglio è che
si tratta di una professione che include tante professioni.
Io, durante la mia giornata, svolgo numerose attività: il
coach, l’allenatore, il politico, il diplomatico, il gestore, il
tecnico, e questo è il vero fascino di questo mestiere. Un
aspetto che accomuna un po’ tutte queste professioni è
l’approccio di tipo consulenziale. Mi capita a volte di
guardarmi allo specchio, virtualmente, e di immaginare
che io sia come un medico, uno psicologo, che ha un rapporto con il cliente simile a quello tra medico e paziente:
di dover capire il problema, di dover capire anche la persona che ha quel problema, e di trovare una soluzione
che in quel contesto è quella giusta.
Qual è il processo HR più importante, secondo lei,
e per quali ragioni?
LAZZONI È difficile fare una classifica. Se devo sceglierne uno, probabilmente la selezione. La selezione perché è importante rispetto al cambiamento, cioè la direzione strategica che l’azienda vuole prendere, e credo sia
più un’arte che una tecnica. E non credo che si stia facendo un grandissimo lavoro oggi. Benché coinvolto in questo
processo, mi rendo conto di quanto sia difficile vedere le
persone nel profondo, saperle giudicare, quando il punto di
partenza è un CV con standard europeo, ossia un tentativo
di incasellare una persona in un formato preconfezionato.
VALERII Avrei potuto indicare anch’io la selezione,
che è molto importante, ma voglio citare un processo meno tradizionale e più moderno: quello che noi
chiamiamo il succession planning, ossia la gestione dei
piani di successione, che include anche l’eccellenza di un
processo di selezione sia interna sia esterna. Da noi è iniziato come un processo poco compreso, trattato con sufficienza e con scarsa percezione del livello di strategicità
e di potenza. Elimina i tempi di attesa quando l’opportunità si viene a creare, ma anche permette di pianificare lo
sviluppo, la formazione, in base ai gap identificati in que-
sti piani di successione. È uno strumento nuovo ma
molto strategico, soprattutto se fatto bene. Noi lo abbiamo adottato con prudenza e dopo qualche anno ne abbiamo colto il grande impatto; in questo momento l’80% dei
ruoli manageriali e di leadership che vengono aperti, vengono chiusi grazie a questo processo eliminando attese e
tempi morti, preparando l’organizzazione e i talenti interni a una crescita programmata.
In quale misura il suo HR può dare un contributo
sul tema della produttività aziendale nel suo contesto?
LAZZONI La produttività può avere più definizioni. Io mi sorprendo quando vedo trattare l’argomento riferito a durata e numero delle pause. Oggi in Europa abbiamo davanti tre grandi emergenze. La prima riguarda il collasso dell’economia, che ha reso tutti noi
molto più poveri, e quindi c’è un problema di ricchezza.
Poi un collasso del sistema valoriale della società in generale, perché non c’è più un sistema di aggregazione sociale. Anche la famiglia purtroppo diventa meno importante. Ne è testimone il numero dei divorzi, per esempio.
La società esterna ha molte meno certezze, e queste incertezze vengono trasferite anche in azienda. Infine abbiamo il problema della concorrenza dei paesi emergenti. L’Europa e le aziende occidentali in genere hanno solo
una speranza, quella di usare la testa e di essere creative
e innovative. Gli HR devono vivere con regole del gioco
diverse. Noi, per esempio, abbiamo il mito della standardizzazione per mettere ordine e controllare. Questa è la
cultura delle nostre aziende. Ma come si fa ad essere
creativi con tutto questo controllo? L’HR in tutto ciò è un
regolatore fondamentale. È l’HR che deve porre in termini strategici questo elemento alla direzione aziendale. Bisogna creare il contesto. L’impresa oggi è ancora disegnata sulla fabbrica, invece deve essere impostata sull’università, sul campus. Questo è il passaggio paradigmatico
che dobbiamo fare, e questo è il lavoro che deve fare l’HR.
Secondo lei cosa può fare il top management in
tema di gestione delle persone al fine di rendere
l’azienda più competitiva?
VALERII Innanzitutto capire quanto valore abbia
una buona gestione delle persone nel rendere
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re la rotta. Che cos’è oggi è meglio non dirlo perché potrebbe sembrare anche un po’ offensivo, noi tutti siamo
ormai una macchina burocratica: siamo bravissimi ad
amministrare il quotidiano, ma lavoriamo, a mio giudizio, in una prospettiva che certamente non è strategica.
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l’azienda competitiva. Perché se lo capiscono tutti e poi
tutti agiscono di conseguenza (due cose diverse) si riesce
a valorizzare il capitale umano. Per fare ciò bisogna essere bravi leader, bravi manager, preparati, che conoscono le
leve della motivazione, che si pongono nell’ottica delle
persone e tentano di risolvere i loro problemi anziché
ostacolarle, come a volte accade, e perciò capiscono quanto il fattore umano sia il primo fattore di
vantaggio competitivo. Oggi non sono
più le tecnologie che fanno la differenza,
e lo dico io che lavoro in Microsoft. Sono
le persone. Sembrerà un cliché, ma avere
una persona di talento e motivata è diverso che avere una persona con poco talento e meno voglia. Tutto questo richiede
una managerialità da coltivare e sviluppare, in un contesto in cui ciascun manager si mette in gioco nell’essere valutato.
netico ma anche di benessere personale. La seconda dimensione è l’intelligenza. L’intelligenza è multidimensionale e si divide fondamentalmente in razionale ed
emozionale. Fino a qualche tempo fa avrei detto che
conta più la prima della seconda, mentre oggi dico con
certezza che l’intelligenza emozionale è più importante.
Credo sia necessario selezionare persone intelligenti per
L’obiettivo manageriale
è costruire un sistema HR
che sia in grado, nel suo
complesso, di valorizzare
al meglio le proprie persone
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Entriamo un po’ nel dettaglio di questo tema dei “capi”, e di questo alibi che ci troviamo ad affrontare: noi costruiamo processi perfetti,
ma se poi i capi non fanno il loro dovere l’azienda
non riesce a raggiungere quei livelli di produttività
di cui si parlava prima. Proviamo a fare una riflessione: i capi non lo capiscono, non lo vogliono capire, o non riescono, per una serie di elementi personali, culturali e psicologici, a fare questo mestiere di coach?
VALERII Come in tutti i mestieri ci sono i capi più
capaci e quelli meno capaci. Non è questione di
comprensione, ma di attitudine e di allenamento. Volendo fare un po’ di autocritica, a volte capita che l’HR
si concentri troppo sullo strumento, senza verificare se
esso sia o meno utilizzabile nel concreto. Nel caso in cui
uno strumento non funzioni, l’HR deve preoccuparsi di
cambiarlo.
Quali sono le tre metriche strategiche che si usano
nella sua azienda in tema di risorse umane?
LAZZONI Una è l’energia. Fondamentalmente
ognuno deve essere una batteria che genera energia, e più sei in alto nella scala organizzativa, più energia devi generare. E credo che l’energia sia un fatto ge4
fare il bene della propria impresa. La terza dimensione
fondamentale è la trasparenza, e quindi l’etica, e quindi
la credibilità. Per essere credibili bisogna avere dei valori ed essere consistenti. Queste misure si possono misurare solo in parte. Noi, come molte imprese, adottiamo
degli assessment per valutare i manager e, in certi casi, manager che hanno passato brillantemente questi processi,
poi si sono rivelati delle grandi delusioni. Quindi, in un
mondo che è ormai totalmente scientifico, diventa difficile ammettere un’incapacità di misurare dimensioni così
importanti, ma di fatto è così. Abbiamo delle metriche,
ma che esse possano filtrare ciò che vogliamo è un altro
discorso.
Si parla di HR Business Partner. In concreto, come
si traduce nella vita di tutti i giorni nel suo contesto?
VALERII In primis vorrei dare un po’ più di dignità
a tutto ciò che non c’entra con il lavoro di HR Business Partner ma che fa parte della funzione HR, come
l’amministrazione, il payroll e tutta la parte amministrativa che non viene mai citata, ma il cui funzionamento è
imprescindibile per dare credibilità all’altra parte. Il ruolo
del capo del personale è anche quello di fare in modo che
questa parte venga valorizzata. Il ruolo dell’HR Business
Partner, quando tutto il resto funziona, è quello di fare un
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passo in più, di capire avvicinandosi al business come
dare valore aggiunto, attraverso la conoscenza delle strategie, delle persone, del management, della direzione e
degli strumenti propri dell’HR. È quindi come un consulente che si mantiene un passo indietro, esterno all’azienda, in modo da poter vedere e affrontare i problemi da un
punto di vista differente. Non è giusto l’HR troppo dentro
al business, ma nemmeno l’HR che non
conosce il business e le sue dinamiche.
situazione. L’HR deve aiutarmi in questo. Il cambiamento in azienda non può partire dal commerciale o dalla
produzione. Il cambiamento parte dal capo azienda e dall’HR, ed è per questo che l’HR ha un ruolo strategico.
Quindi l’HR deve portare ogni giorno un mattone da
smontare, per demolire l’azienda con intelligenza e trasparenza, per portare al cambiamento.
Il cambiamento non può partire
dal commerciale o dalla
produzione, ma dal capo
azienda e dall’HR che per questo
ha un ruolo strategico
LAZZONI Nella mia percezione,
abbastanza. Anche se non ho dati
oggettivi, anche perché è difficile quantificare il tempo dedicato all’HR. Per me
gli incontri più produttivi e ricchi con il
mio HR avvengono nella pausa caffè o
durante un pranzo. Perché l’idea nasce
in quei momenti, non quando ti metti a tavolino a pensare. Quindi il tempo non è mai abbastanza.
Perché è così difficile per un HR descrivere il proprio mestiere?
VALERII Io condivido gli obiettivi HR con tutti i
manager, perché non li presento come obiettivi
HR ma come priorità per le persone. Anche perché poi
questi obiettivi non li realizzo io, ma tutti i manager in
Microsoft. La difficoltà della comprensione di questo mestiere è dovuta soprattutto a due fattori: è un mestiere che
sta evolvendo rapidamente anche grazie all’impatto della
tecnologia, ed è materia talmente vasta, tra mestieri generalisti e specialisti, che diventa difficile comprenderla.
Un gap da colmare è sicuramente il fatto che l’HR non è
capito dai giovani, che non vogliono fare l’HR perché non
sanno cosa sia. Per loro è difficile capirne il fascino. Dobbiamo comunicare meglio ciò che facciamo, partendo
dalle università.
Una richiesta che vorrebbe fare al suo HR?
LAZZONI Chiederei di essere un grande motore
di cambiamento per l’azienda. In azienda abbiamo allo stesso tempo necessità di ordine e di ribaltare la
Una richiesta che vorrebbe fare al suo amministratore delegato?
VALERII L’approccio di lungo periodo. In un momento come questo può sembrare controintuitivo. La durata in ruolo media degli amministratori delegati si è dimezzata in questi anni, da dieci a cinque anni. E
per fare crescere i frutti di un lavoro ci vogliono ben più
di cinque anni. Quindi un AD deve essere capace di
scommettere su qualcosa di cui molto probabilmente
non vedrà mai i risultati. E oggi è anche molto più difficile prendersi dei rischi.
La seconda coppia intervistata è formata da Giorgio Colombo (Direttore Personale e Organizzazione Gruppo Edison) e Giuseppe Donagemma (Executive Vice President
Nokia Siemens Networks).
Secondo lei, quale personaggio storico o di fantasia può meglio descrivere il ruolo dell’HR? Perché?
DONAGEMMA Ho scelto un personaggio di fantasia: il grillo parlante di Pinocchio. Perché è l’alter
ego emozionale di Pinocchio, cioè quella parte di Pinocchio che gli permette di andare nella direzione giusta e di
non lasciarsi prendere dall’impeto, facendogli così pren5
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Quanto del suo tempo dedica al
suo HR manager? È sufficiente?
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dere la decisione giusta, magari dopo aver sbagliato. Inoltre è un personaggio tenace, che raggiunge il suo fine nonostante le difficoltà.
COLOMBO Ne ho due, uno storico e uno di fantasia. Quello storico è il Cardinale Richelieu, un personaggio geniale, duro, diplomatico. Lui rappresenta un
po’ il tipo di capo del personale al quale associo molti dei
tratti di quando ho cominciato questo mestiere molti
anni fa, quando il capo del personale era più odiato che
amato. Il personaggio di fantasia rappresenta un po’ il
ponte tra i vecchi capi del personale e quelli moderni,
l’evoluzione del ruolo oggi. È un minotauro moderno,
fatto di tre componenti: un orecchio sensibile, un cuore
generoso e pelle di rinoceronte.
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Qual è il processo HR più difficile da implementare efficacemente e quindi da far funzionare correttamente in azienda? Per quali ragioni?
DONAGEMMA La gestione e la crescita dei talenti
in azienda. Primo perché non esiste uno standard,
e poi perché è difficile identificare i talenti, inquadrarli in
un determinato schema e trovare il giusto sviluppo delle
loro competenze in modo che il talento porti del valore
all’azienda. Il terzo motivo è il tempo: i manager non ne
hanno molto e quindi tendono a non dedicarne a sufficienza a questo processo,
che non porta a risultati immediati. Investire sui talenti significa investire sul
lungo termine. Un ultimo motivo politico è il seguente: nel momento in cui tu
esponi un talento e gli dai la possibilità
di sviluppo, qualcuno poi te lo porta via.
In questo caso è necessaria maturità
aziendale per capire che è una risorsa
per tutta l’azienda, e non solo di una
specifica funzione.
sione di lungo periodo, del coraggio, un equilibrio, un’intelligenza sociale e capacità di convincere gli altri, competenze che in ogni caso devono appartenere alla funzione
HR nel suo complesso. Il secondo processo è la valutazione, feedback e sviluppo delle persone. Per farlo funzionare bene ci sarebbe bisogno di oggettività, trasparenza,
coerenza ed equità. Proprio per questo è tremendamente
difficile applicarlo. È necessario prendersi delle responsabilità, nei confronti sia delle persone sia dell’azienda.
Cosa auspica che le persone che lavorano nella
funzione HR facciano al fine di rendere l’azienda
più competitiva?
DONAGEMMA Dovrebbero essere parte della strategia aziendale. Quindi formare un team unico,
con i medesimi obiettivi e una condivisione della visione
per il futuro, degli obiettivi a breve e lungo termine, e capire quali sono i mezzi per raggiungerli. Un HR manager deve essere parte integrante di un management team
per riuscire ad assorbire tutte queste informazioni, che
poi gli serviranno nello svolgimento delle attività quotidiane. Nello specifico, quello che mi aspetto è la capacità
di costruire un team vincente, con le giuste capacità e
motivazioni. Poi aiutare ad avere un’organizzazione snella e semplice. Tendiamo ad avere aziende sempre più
Aziende sempre più complesse
bloccano l’innovazione:
le persone annegano tra processi
e attività interne e non riescono
a creare novità
COLOMBO Le relazioni industriali. Sono sempre
più difficili da implementare efficacemente, perché richiedono competenze di base che si stanno perdendo e non si insegnano più. Richiedono oggi anche una capacità di lettura del contesto aziendale, interno ed esterno, tremendamente più complesso, articolato, eterogeneo in termini di stakeholder, che impone di avere una vi-
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complesse. Questo blocca l’innovazione: le persone annegano tra i processi e le attività interne, e non hanno la
possibilità di portare novità in azienda. Infine, lo sviluppo delle competenze, in tutti gli ambiti: vendite, operations, staff. Ognuno deve avere il proprio sviluppo di
competenze per fare in modo che la strategia aziendale
venga raggiunta.
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COLOMBO La prima esigenza è lavorare sull’engagement delle persone: lavorare sulle loro ansie,
sulle loro insicurezze, sui loro bisogni, per avere tutti
coinvolti nel progetto aziendale “on board”. Seconda priorità è aiutare l’azienda a trovare le risorse per investire sui
giovani. A partire dalla costruzione delle loro competenze di mestiere – quindi la formazione professionale di
mestiere –, di una nuova cultura sul lavoro, quindi di
educazione, e poi attraverso la capacità di trasferire esperienze e valori tra generazioni diverse. Bisogna però lavorare anche al di fuori dell’azienda, ripensando al ruolo
dell’HR, partendo dai giovani e dal mondo della scuola.
C’è bisogno di sviluppare un progetto formativo e educativo dei giovani tra famiglia, scuola e impresa. L’HR può
fare molto in questa direzione.
Si parla di HR Business Partner: ci può indicare le
principali modalità di lavoro tra HR e linea affinché
ciò possa avvenire in concreto e quotidianamente?
DONAGEMMA La prima modalità è quella di dare
una responsabilità diretta all’HR manager, delegando, in modo che non sia solo un consulente esterno
che esprime delle opinioni, altrimenti il team non lo accetterebbe. La seconda modalità è il management review
process. Cioè tutto quel processo che serve a snellire l’organizzazione e quindi a diminuire i costi, a sviluppare i
talenti, al succession planning. E tutto ciò è puramente demandato all’HR.
Quali sono, secondo la sua esperienza, i due principali alibi del top management e del management di linea in generale in merito alle difficoltà di
gestire il personale?
COLOMBO L’alibi principale della linea riguarda
la responsabilità della gestione delle persone: la
responsabilità è solo dell’HR o dell’azienda. Un secondo
alibi è quello del “vorrei ma non posso”: non ho piena delega, non ho piena autonomia, non ho le risorse o il budget per svolgere una certa attività. L’HR deve rispondere,
da un lato, aiutando il management ad acquisire coscienza e consapevolezza di ruolo e capacità manageriali; dall’altro evitando di cadere nella tentazione di sostituirsi al
management nella gestione delle persone. È importante,
dal punto di vista dell’HR, delegare al management senza
aver paura di dover rinunciare a nessuna attività, competenza o ruolo. Delega non vuol dire rinuncia. A volte la
linea non è pronta per svolgere questo ruolo, e in questi
casi l’HR può dare un grande valore. Non dobbiamo però
pensare di perdere autorevolezza nel caso contrario, forse
solo un po’ di autorità, ma questa non serve alle nostre
aziende.
Qual è il confine tra business ed etica? Quale
ruolo ha la funzione HR?
DONAGEMMA Il confine per me non esiste, perché l’etica deve essere parte integrante delle attività quotidiane in azienda, come nella vita. La mia è
un’azienda nordica, in cui il senso dell’etica è molto forte.
In più, dopo la fusione con Siemens, e lo scandalo tangenti, è stato addirittura inasprito il codice etico all’interno dell’azienda. Per cui il confine non esiste, anzi, forse
noi siamo andati persino troppo in là. Il ruolo dell’HR diventa fondamentale nell’implementazione del codice
etico, e nel far rispettare il codice da tutti i manager, dato
che le persone prendono come esempio proprio i comportamenti dei manager.
COLOMBO Non ci dovrebbe essere un confine tra
business ed etica. Purtroppo, però, una mancanza
di etica nel business è evidente, soprattutto negli ultimi
anni. È auspicabile che questa crisi ci insegni qualcosa da
questo punto di vista. L’etica va di pari passo con l’esempio, ed è tanto più efficace, o devastante, tanto più l’esempio è dato da persone con responsabilità gerarchiche importanti nell’azienda. Sarebbe già un grande passo avanti se tutte le persone ai vertici aziendali riuscissero a far
coincidere il concetto di esempio con quello di coscienza
delle proprie azioni e di responsabilità, dentro e fuori
l’azienda. L’HR non deve dimenticarsi mai, quando prende delle decisioni, soprattutto quelle più difficili, che l’impatto di queste decisioni si riversa sempre su persone e
progetti di vita, e non soltanto sulla fortuna delle aziende. Non è facile mantenere coscienza, responsabilità e
coerenza etica per chi fa HR, soprattutto quando ci si
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Se le venisse chiesto di focalizzarsi su due sole
priorità nei prossimi dodici mesi, quali sono quelle sulle quali sceglierebbe di investire tempo e risorse? Per quali ragioni?
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trova a gestire situazioni oggettivamente molto complesse e momenti critici. Il capo del personale è condannato
a vivere il paradosso di essere sempre ovunque in azienda, parlare con tutti, ma di rimanere in fondo una persona terribilmente sola con se stessa.
Una richiesta che vorrebbe fare al suo HR?
DONAGEMMA Una è allenare le persone al cambiamento, e velocemente. Poi chiederei di avere
disponibili subito e in ogni momento almeno due talenti da inserire nel succession planning in ogni posizione
aziendale.
Una richiesta che vorrebbe fare al suo AD?
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COLOMBO Prima di tutto vorrei essere coinvolto nelle decisioni e nella progettazione della crescita dell’azienda, e dedicare tempo a sufficienza per
inserire nella dimensione di crescita dell’azienda anche
una dimensione di crescita delle persone. Quindi una
people strategy insieme a una strategia di business. Raramente ho visto nei business plan una parte che parli
di people strategy, se non sotto forma di numeri e di
costi. L’altra richiesta è di ascoltare il proprio HR, senza
però usarlo da scudo e nemmeno da mero braccio esecutivo al suo servizio. Un buon HR può aiutare molto
i manager nell’affermare la propria leadership ma – attenzione – può anche minarne le fondamenta, se vuole.
delle persone? E gli uomini di management in che
modo possono aiutare gli HR e se stessi a creare
ambienti di questo genere?
DONAGEMMA È chiaro che, nella gestione dei talenti, molto dipende dal contesto in cui si trovano.
Ma anche i diversi manager adottano criteri diversi per
valutare le persone. Il ruolo dell’HR, in questo caso, deve
eliminare queste differenze rendendo il processo il più
oggettivo possibile.
VALERII I talenti non sono mai talenti in senso assoluto. Tutto è molto contestualizzato alla cultura,
alla fase che sta attraversando l’azienda, agli obiettivi che
si pone, alle competenze che ricerca. La ricerca dei talenti è quindi molto difficile, anche considerando che il
mondo cambia molto velocemente, e con esso le esigenze delle imprese.
I processi hanno aiutato molto la legittimazione
della funzione HR, ma in realtà poi hanno generato un profilo di competenze di chi lavora in questa
funzione che non sempre aiuta l’azienda a essere
competitiva. Quale riflessione è possibile fare?
COLOMBO La standardizzazione è in certi casi
imprescindibile, soprattutto nelle grandi imprese.
Il rischio è che ci si innamori troppo dietro gli standard.
Raramente si vede nei business
plan una parte che parli di
people strategy, se non sotto
forma di numeri e costi
Le interviste hanno permesso di
raccogliere una serie di spunti interessanti che ci hanno consentito di
allontanarci dal focus sui processi
HR, affrontando temi più legati alla
dimensione umana e di leadership
della funzione HR. Un’ulteriore riflessione merita il tema della cultura organizzativa. Nel mondo HR c’è molta attenzione alla ricerca di persone che abbiano la capacità di aiutare l’organizzazione a migliorare la performance. Tuttavia il contesto organizzativo può
deprimere un talento così come esaltare un soggetto normale. Gli HR cosa possono fare per creare un ambiente ideale che favorisca lo sviluppo
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Nel mondo di oggi gli standard non creano vantaggi competitivi, alla fine sono le persone che fanno la differenza.
E anche le persone devono essere viste con una logica
non influenzata dal rispetto di metriche di processo. È
necessario recuperare un umanesimo organizzativo dentro le aziende, che guardi al di là della dimensione quantitativa di performance delle persone.
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La tavola rotonda e il confronto con gli esperti hanno
chiarito che il direttore del personale, oggi più che mai, è
impegnato a essere il garante del valore delle persone e
dell’organizzazione, non il garante del funzionamento
dei processi, soprattutto in situazioni di emergenza e di
crisi. Le ultime riflessioni sono state dedicate al ruolo
della formazione e delle business school, in particolare a
quanto SDA Bocconi sta facendo in
tema di crescita e sviluppo della funzione HR. In linea con i canoni internazionali, la scuola ha definito un modello di
competenze HR che delinea un profilo
moderno e strategico di chi è protagonista in tema di persone e personale. Il
modello vede al centro il concetto di
“credibilità della funzione HR”, intesa
come la capacità di generare fiducia
negli attori interni ed esterni al contesto
organizzativo. Questo deve attuarsi partendo naturalmente dalla conoscenza
delle tecniche in tema di risorse umane, elemento necessario ma non sufficiente per essere credibili. Ogni processo HR necessita di una contaminazione e integrazione con altre discipline al fine di guidare le persone a
un’azione organizzativa efficace e sostenibile per l’impresa. Le altre macrocompetenze HR da allenare sono: la gestione delle relazioni con i clienti interni (i collaboratori)
e indirettamente con i clienti esterni all’azienda (gli effettivi acquirenti dei prodotti/servizi); la conoscenza del
modello di business dell’impresa; l’ascolto e l’analisi
degli interessi e delle esigenze degli stakeholder, interlocutori fondamentali nella logica della responsabilità sociale di impresa; l’utilizzo delle più evolute tecnologie di
comunicazione; l’orientamento a adottare logiche avan-
focus>forum
zate di misurazione dei principali comportamenti e delle
prestazioni organizzative.
Il focus attuale non sono soltanto “persone” e “processi”, ma anche e soprattutto “relazioni”. Gli HR manager si allenano sempre più a costruire e rafforzare relazioni strategiche interne ed esterne, progettando come
le persone oggi e domani possono contribuire a gene-
rare valore. Non si diventa strategici perché si siede a
un tavolo decisionale, si gestisce potere o si implementano processi con finalità operative. Si diventa (più)
strategici se il dialogo tra HR e linea è continuo, costruttivo e convergente verso la costruzione di un bene
comune: il valore d’impresa. L’azienda è una squadra
spesso composta da molteplici squadre che giocano
tutte la stessa competizione alla ricerca di essere migliori dei concorrenti. All’HR il compito di essere allenatore e giocatore nella gestione delle persone, con la
gratificante responsabilità di essere il principale artefice nella definizione del modello culturale organizzativo, unica vera e inimitabile risorsa strategica di valore
delle imprese, oggi più che mai. π
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Credibilità della funzione HR
significa capacità di generare
fiducia negli attori interni
ed esterni al contesto
organizzativo