Dimmi chi erano i Beatles... Gli incontri letterari
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Dimmi chi erano i Beatles... Gli incontri letterari
9 febbraio2001 BIOGRAFIE vitamine recensioniletterarie,cinematograficheeletterarie acuradiPaoloBoschi t LIBRI AA.VV, Per gioco, a c. di M.C. Cicala (Sellerio) In alcuni casi antologizzare è un’arte, come dimostra la docente napoletana di filosofia Maria Caterina Cicala in Per gioco, un volume uscito di recente per i tipi della Sellerio e da lei stessa curato. Come suggerisce il titolo, si tratta di un libro dedicato appunto al gioco, ma proposto attraverso un taglio strano ed intrigante: quarantanove personaggi entrati nella storia si ricordano e ci raccontano il loro gioco preferito d’infanzia, estratto ad hoc dalle pagine dei loro diari, memorie, ricordi ed autobiografie. Dalla prospettiva del gioco infantile ritrovato questo scarno volumetto di neanche centocinquanta pagine sa offrire molte emozioni e non poche curiosità. Il motivo è indotto, ovviamente, dalla scelta dei protagonisti, che spesso disattendono con i loro ricordi infantili l’immagine universalmente nota che hanno lasciato di sé, perché viene automatico, leggendo, pensare alla loro vita. In rapida successione può così capitarci di leggere di Napoleone che si dipinge come estraniato rispetto ai coetanei ma più rapido di loro nei processi mentali, di Anna Frank che scrive ad un’amica della sua propensione narrativa, della passione di Stendhal per le smorfie, di S.ta Teresa d’Avila che gioca alle monachine, di Malcolm X che gioca ai dadi, della vocazione attoriale di Goldoni, di Churchill che si diverte con i soldatini, o infine del Dalai Lama in cerca dell’illuminazione. E la lista potrebbe continuare con Rousseau e Benjamin Franklin, Darwin e Kierkegaard, Jung e Freud, Tolstoj e Stevenson, Nietzsche e Einstein, Doris Lessing e Frank McCourt. Un libro utile anche per ricordare ai lettori la propria percezione infantile del gioco, magari dimenticata, da ritrovare sulla scia di tanti illustri esempi. ANGELICA TINTORI, Michael Crichton. Medici, dinosauri & Co. (Puntozero) Versatilità, elasticità e fantasia: sono le doti principali di Michael Crichton, scrittore di successo nonché medico, regista, produttore e sceneggiatore, come emerge nella sintetica ma esaustiva monografia a lui dedicata da Angelica Tintori, giovane sceneggiatrice (delle serie a fumetti “Legs Weaver” e “Nathan Never”) e traduttrice milanese. Michael Crichton. Medici, dinosauri & Co. è strutturato secondo una tripartizione tra letteratura, cinema e TV, ovvero le tre attività principali dello scrittore di Chicago, senza trascurare le immancabili note biografiche: classe 1942, Crichton ha frequentato medicina ad Harward per poi lavorare come ricercatore in California, e si è dedicato integralmente alla letteratura dopo Andromeda (1969), il suo primo best seller, dedicato al tema della vita in altre galassie. In seguito Crichton si è saputo destreggiare tra le tematiche più diverse, mostrando una dirompente verve narrativa: l’avventura a sfondo tecnologico-misterioso nel notevole Congo come pure nel recente Timeline, l’ingegneria genetica in Jurassic Park e nel sequel Il mondo perduto, il thriller “abissale” in Sfera ed il thriller finanziario in Sol Levante, infine il tema delle molestie sessuali in ambito professionale in Rivelazioni. Nella bibliografia crichtoniana trovano spazio anche il saggio La vita elettronica, l’intrigante autobiografia Viaggi e la raccolta di racconti Casi d’emergenza (1970), da cui negli anni Novanta è stato tratto “ER”, serial televisivo di successo mondiale al quale l’autrice di questa monografia ha dedicato un ampio capitolo. Nel volume trova spazio anche un’accurata analisi dei numerosi romanzi dell’autore americano finiti su celluloide e delle sue (non esaltanti) prove registiche. L’ultima frontiera sperimentata da Crichton è quella dei giochi interattivi, con la fondazione nel 1999 dei Timeline Studios. t FILM WHAT WOMEN WANT, regia di Nancy Meyers, con Mel Gibson, Helen Hunt, Marisa Tomei, Alan Alda; commedia; Usa; C. Ma cosa vogliono davvero le donne dagli uomini? Di certo non ne ha la minima idea Nick Marshall, prototipo del macho americano: quarant’anni e rotti ben portati, separato con figlia, impenitente donnaiolo e, soprattutto, pubblicitario sulla cresta dell’onda. Il problema è che negli ultimi anni la tendenza del mercato è cambiata e, in termini consumistici, le donne sono diventate il classico ago della bilancia: così l’agenzia di Nick, invece di promuoverlo nuovo direttore creativo, assume la rampante Darcy Maguire, bionda in carriera con due gambe da sballo che il protagonista non manca di notare da subito, insieme ai nuovi prodotti su cui l’agenzia dovrà puntare: smalti da unghie, rossetti, reggiseni, collant, ceretta depilatoria e così via. Nick decide di provarli su se stesso, sottoponendosi ad una full immersion nell’immaginario femminile: la prospettiva muliebre continua a sfuggirgli, almeno fino a quando una scossa elettrica lo tramortisce trasformandolo nell’unico uomo capace di intercettare i pensieri più intimi del gentil sesso. Nick si sveglia e “sente” i taciti commenti della domestica, della (concupiscente) portiera del suo palazzo, della bella barista (inavvicinabile perché fragile), dell’inserviente del suo ufficio (aspirante suicida), e di tutte le donne che incrociano la sua strada. Dopo la shock iniziale, il protagonista decide di servirsi della scomoda capacità per riconquistarsi il posto denigrando Darcy, e finendo fatalmente per innamorarsene. What women want è una vivace commedia sentimentale a tratti esilarante, dotata di un discreto ritmo, con un cast in forma ed una sola idea originale di base: la frammentazione del maschilismo a partire da una situazione estraniante. Mel Gibson diverte e affascina come di consueto, incanta ballando con Frank Sinatra in sottofondo ed appare a suo agio con la sua prima commedia ufficiale. L’ULTIMO BACIO, regia di Gabriele Muccino, con Stefano Accorsi, Giovanna Mezzogiorno, Stefania Sandrelli, Claudio Santamaria; commedia; Italia; C. La locandina de L’ultimo bacio, terzo lungometraggio firmato dal giovane regista romano Gabriele Muccino (ancora una commedia dopo Ecco fatto e Come te nessuno mai), promette “La storia di tut- te le storie d’amore”: arrivati ai titoli di coda gli spettatori si accorgeranno che l’impegno è stato mantenuto in pieno, e non tanto perché la storia centrale nell’ambito del multiforme plot può dirsi eccezionale, unica o mai vista prima, quanto perché, invece, l’obiettivo del regista ci avrà portato in modo sapiente e calibrato ad attraversare le più diverse tipologie amorose spostandosi ad arte a cogliere i complessi turbamenti ed i desideri latenti dei protagonisti. Perché dentro L’ultimo bacio, soprattutto relativamente alle storie d’amore della generazione di (quasi) adulti d’inizio millennio, i trentenni di oggi insomma, troviamo in rapida rassegna praticamente tutte le categorie: la coppia fresca di nozze e d’illusioni, la coppia già sposata con figlio (e disillusa), la coppia in attesa del primo erede, il ragazzo lasciato male dall’amata (insensibile ma non troppo), il donnaiolo impenitente che cambia ragazza ogni sera, la ragazzina al primo vero amore. Dato che la vita non è solo gioventù problematica o naïve, Muccino (in veste di autore e sceneggiatore) ha aggiunto a contrappeso anche una coppia livin’ ed a Voodoo man, pericolosamente indirizzata verso intensità soul: bastano un piano e due voci per creare un alone di irrefrenabile magia che ti risucchia inesorabilmente in una musica senza tempo. La sensazione di spaesamento spazio-temporale aumenta con il banjo di Song of the pipelayer e con la strumentale per piano L’esprit de James (composizione originale di Henry Butler). Da segnalare anche What man have done, ancora sapientemente ritmata dal solo piano, un pezzo che presenta una prodigiosa alchimia tra le voci dei due autori in un insostenibile crescendo di malinconia. Nella chiusa finale, la tradizionale Why don’t you live so god can use you? si arriva al minimo bagaglio strumentale possibile – canto di Butler e controcanto di Harris, ritmo a battimani –: in soli due minuti, per chi non l’avesse capito, i due bluesmen ci spiegano il segreto di questo disco, ovvero l’essenzialità del buon vecchio blues che arriva dritto alla corteccia cerebrale passando per il cuore. È Vu-du menz, e non deluderà gli appassionati del genere. ultracinquantenne in crisi d’identità e senza dialogo, lo spettro della morte incombente di un genitore, ed infine un punto di fuga mobile verso il quale parte del cast è irresistibilmente attratto come palliativo (o cura) dalla rigida griglia di monotonia che pare ingabbiare i rapporti affettivi a qualunque livello. L’incastro delle variopinte storie de L’ultimo bacio è intrigante e versatile sotto il profilo dei registri: dal comico al melodrammatico, dal drammatico al sentimentale, sempre affrontati con certosina precisione d’intassellamento nella storia. Un grande film, che conferma il limpido talento di Gabriele Muccino. t MUSICA COREY HARRIS & HENRY BUTLER, Vu-du menz [Alligator] Ad appena un anno dal gradevole Greens from the garden Corey Harris torna in coppia con il maturo pianista Henry Butler firmando Vu-du menz, una prodigiosa miscela di brani originali, covers e pezzi tradizionali per complessive quindici canzoni. È un album acustico che nasce all’insegna della semplicità: soltanto voce, chitarra (o banjo) e piano, nient’altro, neanche l’ombra di una percussione. L’attacco è morbido e allegro con Let ‘em roll, brano archetipico del profondo Sud degli States. A ruota segue un bel cambio d’atmosfera con la malinconia tutta “blu” di If I was your man, che precede la soave Sugar daddy, zuccherosa e ricca di venature cajun. Dopo arriva There’s no substitute for love, tutta giocata sul versante pianistico, e più spostata sul rhythm’n’blues. Subito dopo la voce strascicata di Henry Butler con King cotton ci porta tra le piantagioni di cotone della Virginia. Già che ci sono Harris & Butler ci propongono anche l’irresistibile groove di Mullberry row, prima di passare alle deliziose Down home I libri sono cortesemente offerti dalla libreria SEEBER, Via Tornabuoni 70/r, Firenze − Tel. 055215697 I dischi sono gentilmente offerti da GHOST, Piazza delle Cure 16/r, Firenze – Tel. 055570040 Le note che girano intorno pagina precedente È uscito di recente un volume da cui nessun vero ammiratore dei Beatles potrà prescindere: la monumentale Beatles Anthology, una vera enciclopedia del mitico quartetto di Liverpool, una vera Bibbia del settore, supervisionata dall’attenta regia di Paul McCartney, che ha coinvolto nel progetto anche George Harrison e Ringo Starr, oltre a Yoko Ono, la vedova di John Lennon, ucciso nel 1980 dal gesto sconsiderato di un fan impazzito nel marciapiede del Dakota Building a New York, ultima dimora dell’ex Beatle. Questo volume dovrebbe mettere (solo negli intenti, naturalmente) la parola fine ai tanti dubbi sollevati ad arte dalle centinaia di biografie dedicate ai Fab Four dal 1970 (anno del loro scioglimento) fino ad oggi: probabilmente del gruppo si continuerà comunque a scrivere, ma almeno questo zibaldone di ricordi ed immagini sarà sempre lì a ricordare a tutti la versione ufficiale dei superstiti della rock band più famosa del secolo scorso. A far esplodere la beatlemania fu l’unione alchemica di Paul McCartney (basso e voce solista) e John Lennon (chitarra e voce solista) in cabina di composizione, unita al virtuosismo di George Harrison (chitarra) ed alla simpatica normalità di Ringo Starr (batteria): dal 1970 in poi fu palese, dalle rispettive carriere individuali, che i quattro baronetti come solisti non erano all’altezza della continuità artistica dimostrata come gruppo. I Beatles, nel periodo centrale della loro storia, furono infatti straordinariamente RADIOHEAD, Kid A [Emi] La direzione musicale dei Radiohead, stando a Kid A, quarto album di studio della band di Oxford, appare quanto mai al largo rispetto alle normali rotte commerciali. Già con il precedente Ok computer si intuiva che il gruppo di Thom Yorke cercava il proprio esclusivo sound: Kid A ancora non dimostra che l’abbiano trovato, ma conferma che una ricerca purista come la loro nel mondo dello showbiz non può risultare che drammatica. E non a caso l’album è essenziale (al limite estremo della spezzatura, o del silenzio), sperimentale (e come potrebbe essere altrimenti?), spesso ombroso e tormentato. In tale visione d’insieme non stupisce affatto che nella track list del disco (di dieci pezzi complessivi) non compaia l’ombra di un potenziale singolo, anche perché Kid A dà l’impressione di essere un concept intuitivo fin dal primo ascolto: nelle orecchie (ed in testa) non resta un refrain, resta una sensazione di disagio, di ricerca non ultimata, di qualcosa di non detto, di non finito. L’album è notevole dal punto di vista della composizione musicale: basta pensare, tanto per fare un esempio, alla straniante quadro sonoro offerto da The national anthem, che sembra partire come rock gotico per poi lasciarsi andare ad improvvisazioni quasi jazzistiche, con un fil rouge interno di tormento e malinconia che lo collega al resto dell’album, dall’apripista Everything in its right place fino alla conclusiva Motion picture soundtrack. La voce di Yorke, che spesso resta sullo sfondo, equiparata alla ricca tramatura musicale, raggiunge talvolta incredibili vette di lirismo, come succede nella dolcissima How to disappear completely, in Optimistic o nella splendida Morning bell. Insomma, c’è di che spiazzare anche i fans storici, passibili di sopraffazione alla generalizzata atmosfera dark di Kid A, dove Yorke e compagni puntano dritti all’arte con la A maiuscola, senza compromessi di sorta. OSSERVATORIOMUSICALE In ambito musicale il 2001 è decisamente iniziato sotto il segno dei Beatles che, con la raccolta antologica dei loro 27 numeri uno (1, appunto), continuano a dominare imperterriti le classifiche discografiche di tutto il mondo, avviandosi a diventare l’album più venduto di tutti i tempi (che per adesso continua ad essere Thriller di Michael Jackson). I Fab Four imperversano incontrastati in Usa, tanto per cominciare (e sono sempre primi anche in Italia): negli States a ridosso del mitico quartetto di Liverpool insegue il redivivo Shaggy con Hotshot, davanti alla miscellanea Now 5, ai Creed con Human day, ai Limp Bizkit di Chocolate starfish…ed a Sade con Lovers Rock. In America il singolo più gettonato è ancora Independent woman delle Destiny’s Child: le incalzano It Dimmi chi erano i Beatles... wasn’t me di Shaggy e He loves u not dei Dream. Curiosamente i Beatles perdono posizioni proprio in patria: dopo svariate settimane di indiscussa supremazia 1 è stato superato da un’altra antologia, i Greatest Hits dei Texas – che, nonostante il nome, sono scozzesi – e dai Limp Bizkit, che iniziano a sfondare anche nel vecchio continente. A ridosso del terzetto di testa seguono a ruota i giovani Coldplay con Parachutes, Dido con Angel (uscito da una vita) ed il suo pigmalione Eminem, con l’ormai noto Marhall Mathers LP. I tre singoli più venduti nel Regno Unito sono Rollin’ dei Limp Bizkit, Touch me di Rui Da Silva (featuring Cassandra) e Love don’t cost a thing, il primo singolo estratto dal nuovo album di Jennifer Lopez, J.Lo, che si annuncia come uno dei nuovi feno- meni di mercato. Proprio la canzone della splendida Jennifer guida la relativa classifica dei singoli in Italia, davanti a Goodnight moon degli Shivaree ed a Io sono Francesco (firmato Tricarico). Quanto agli album in Italia dietro a 1 la musica nazionale resiste con Esco di rado…del vecchio Celentano e Stilelibero di Eros Ramazzotti, seguono poi gli ultimi U2 e la raccolta di Lenny Kravitz. Il singolo più gettonato a livello europeo è ancora Stan di Eminem (che ha iniziato una discussa serie di concerti in questo periodo) davanti a Jennifer Lopez. Eminem continua ad andar forte anche sul fronte degli album: dietro 1 c’è lui, davanti a Madonna, Enya, Anastacia, Kravitz, U2, Robbie Williams, Limp Bizkit e Sade. prolifici, capaci di pubblicare 45 giri a getto continuo (è loro il doppio A-Side Penny Lane/Strawberry field forever, il più famoso in ambito pop) ed album in costante crescita creativa (ben 13, tra i quali il cosiddetto White Album del 1968, doppio), con i picchi dello sperimentale Revolver (1966), del leggendario Sgt. Pepper and Lonely Hearts Club Band (1967) e del malinconico epilogo di Abbey Road (1969). I quattro di Liverpool furono prolifici ed anche versatili, dato che nello stesso periodo trovarono il tempo per girare due stralunati film di Richard Lester (nel 1964 e nel 1965), produrre lo psichedelico cartoon Yellow Submarine (del 1969, con relativa colonna sonora) ed il primo esperimento di videoclip televisivo (Magical Mistery Tour, del 1967): ed anche per suonare dal vivo, non a caso furono il primo gruppo ad esibirsi negli stadi (epocale il concerto allo Shea Stadium) ed a ritirarsi dalle scene (nel 1966) per dedicarsi esclusivamente al lavoro in studio. Nella Beatles Anthology ritroviamo tutto questo raccontato con dovizia di particolari e molte curiosità inedite dalla voce stessa dei tre protagonisti superstiti e dei loro più stretti collaboratori (dal produttore George Martin al portavoce Mal Evans fino al manager Neil Aspinall), mentre la “voce” di John Lennon è stata ricostruita con lunghe ricerche da fonti da tutto il pianeta. Si comincia con i quattro scarafaggi che si presentano e raccontano la loro infanzia poi, anno dopo anno, il mito passa in rassegna se stesso in un’entusiasmante cavalcata di oltre 360 pagine ed innumerevoli foto raccolte dagli archivi della Emi e da quelli personali dei quattro. C’è tutto, proprio tutto: l’infanzia a Liverpool, la gavetta ad Amburgo, l’apprendistato al Cavern, la scoperta delle droghe, l’incontro con Bob Dylan e quello con Elvis Presley, la realizzazione di Sgt. Pepper, il mitico concerto sui tetti della Apple e, ovviamente, il mistero dello scioglimento, che ha finito per cristallizzare il mito dei Beatles, per sempre. THE BEATLES, The Beatles Anthology, Milano, Rizzoli, 2000; pp. 368 LEGGEREPERNONDIMENTICARE P.B. Gli incontri letterari all’ Innocenti A partire dal 1995 “Leggere per non dimenticare” ha portato a Firenze alcuni tra i personaggi più prestigiosi della scena culturale italiana. Gli incontri letterari della sesta edizione della fortunata iniziativa culturale sono cominciati lo scorso 11 ottobre e si concluderanno il 23 maggio del prossimo anno. Sempre invariata la cadenza settimanale degli appuntamenti, rigorosamente ad ingresso libero: dopo la prima sessione presso la Biblioteca Comunale Centrale di Firenze, da febbraio il palcoscenico del ciclo d’incontri si sposterà al Salone Brunelleschi dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, ogni mercoledì alle 17.30. Tema di riflessione privilegiato della nuova serie di “Leggere per non dimenticare” è il tempo: sarà questo il leitmotiv di collegamento tra gli autori che prenderanno parte all’iniziativa ed i libri presentati al suo interno. Dopo gli appuntamenti dal giorno di S. Valentino dove di scena è stato il tempo della bottega nella pittura tra Medioevo e Rinascimento e Giorgio Bonsanti ha parlato del volume Giotto. Bilancio critico di sessant’anni di studi (edito da Giunti nel 2000) e del catalogo Beato Angelico (pubblicato per i tipi della Octavo nel 1998).Il 21 febbraio sarà la volta di Domenico Starnone, che presenterà Via Gemito (edito da Feltrinelli lo scorso anno), il romanzo di un figlio che, volendo dimenticare il padre, finisce per renderlo un personaggio memorabile. A chiudere gli incontri di febbraio sarà Ugo Cornia, mercoledì 28, con Sulla felicità ad oltranza (pubblicato da Sellerio nel 1999): un tragitto temporale sospeso tra la dimensione onirica e la desolazione che, percorrendo nuovi itinerari, finisce per ridefinire quelli passati. Il primo incontro del mese di marzo, in programma mercoledì 7, è con Claudio Piersanti, che presenterà al pubblico fiorentino L’appeso (edito da Feltrinelli nel 2000): un protagonista alla continua ricerca di una via d’uscita, un passato spietato coincidente con un ombroso periodo della storia italiana. Per i prossimi incontri di “Leggere per non dimenticare” l’appuntamento è al numero di febbraio. P.B P.B. pagina successiva