Flondar 1917 - Pico Cavalieri

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Flondar 1917 - Pico Cavalieri
Flondar 1917
Bruno Pisa
425a compagnia mitragliatrici
Comune di Ferrara
Documentazione Storica
Ass. Ricerche Storiche “Pico Cavalieri”- Ferrara
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Flondar 1917
Bruno Pisa
425a compagnia mitragliatrici
a cura di
Stefano Chierici
In collaborazione con
Enrico Trevisani
Comune di Ferrara
Documentazione Storica
Associazione Ricerche Storiche “Pico Cavalieri”
Ferrara
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Distintivo in tessuto per mitragliere S. Etienne
Distintivo in tessuto per mitragliere
Distintivo in tessuto per berretto di ufficiale mitragliere
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PREMESSA
Per il secondo anno consecutivo, nel corso delle manifestazioni
celebrative del 4 Novembre, viene presentata una pubblicazione
dedicata ad un Caduto ferrarese. Alla monografia su Dante Tumaini,
realizzata lo scorso anno, fa ora seguito la biografia del Sottotenente
Bruno Pisa (1897 – 1917), studente di giurisprudenza la cui vita fu
crudelemente spezzata in battaglia.
Anche in questo frangente riteniamo che bene si presti una
considerazione già da noi esposta nella nota introduttiva al
precedente opuscolo: “Proiettati all’interno di una conflagrazione di
immani dimensioni, gli episodi individuali offrono la percezione di
microcosmi costantemente densi di incognite”.
Il toccante sacrificio di Bruno Pisa (esponente di una prestigiosa
famiglia ferrarese) viene qui descritto attraverso i documenti di un
interessante fondo archivistico conservato presso l’Associazione di
Ricerche Storiche “Pico Cavalieri” di Ferrara che, da alcuni anni,
svolge una fruttuosa opera di collaborazione con il Centro di
Documentazione Storica del Comune di Ferrara, soprattutto sulle
tematiche legate alla Grande Guerra.
I durissimi combattimenti dell’agosto 1917, sintetizzati al termine
dell’opera biografica, contribuiscono a contestualizzare la più ampia
e tragica realtà di guerra nella quale venne coinvolto questo giovane
militare ferrarese.
Confidiamo vivamente che la storia di vita di Bruno Pisa possa
offrire alle nuove generazioni spunti per una nuova e consasapevole
cultura di pace.
Gian Paolo Borghi
Centro di Documentazione Storica
del Comune di Ferrara
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L’undicesima battaglia: schieramento italiano il 10 agosto 1917
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Bruno Pisa
Il fondo Bruno Pisa, che trova collocazione negli archivi
della Associazione di Ricerche Storiche “Pico Cavalieri” di Ferrara, è
costituito da molteplici documenti e quotidiani tra cui una
fitta corrispondenza intercorsa tra il padre, i colleghi ufficiali e
i parenti di Bruno Pisa nel periodo immediatamente
successivo alla sua morte. Tra i documenti sono purtroppo
presenti solamente alcune lettere scritte da Bruno Pisa; il
fondo risulta comunque di notevole interesse storico in
quanto permette di comprendere pienamente il carattere, gli
ideali della persona e gli
avvenimenti che lo hanno
condotto alla morte. Il
fondo comprende inoltre
alcuni negativi e fotografie
inedite, la medaglia d’argento
al
valore
militare,
i
documenti
relativi
alla
concessione della medaglia
d’argento e della Croce al
Merito di Guerra a Bruno
Pisa e della medaglia di
gratitudine nazionale alla
madre.
La lettura dei documenti
e dei quotidiani appartenenti
al fondo non solo permette
di seguire passo a passo fino
Bruno Pisa bambino nella casa
di famiglia
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agli anni ’20 la tragedia della famiglia per la morte del giovane
Pisa, ma presenta il quadro delle relazioni di parentela e
amicizia che legavano la famiglia Pisa ad alcune delle famiglie
più influenti e facoltose citate spesso nella storia ferrarese.
Possiamo ricordare tra queste la famiglia Ravenna, la famiglia
Minerbi, la famiglia Hirsch, la famiglia Finzi e il noto
ingegnere ed urbanista Ciro Contini.
Bruno Pisa (Sottotenente nella 425a compagnia
mitragliatrici del gruppo mitragliatrici divisionali, 28a
Divisione, XIII° C. d’Armata, IIIa armata) nato a Ferrara il 29
Ottobre 1897 e studente della facoltà di giurisprudenza di
Al Corso Allievi Ufficiali a Caserta
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Ferrara, era uno dei quattro figli di Luigi Pisa (industriale in
articoli in ferro con depositi a Ferrara e Bologna), e Graziella
Pisa-Ravenna. La famiglia, formata da padre, madre e dai figli
Bruno, Gilberto, Manlio e Vittorina Pisa risiedeva in Ferrara a
palazzo Mosti in Corso Vittorio Emanuele 37 (oggi Corso
Ercole I d’Este), l’attuale sede della facoltà di Giurisprudenza.
Dei tre figli maschi anche Gilberto era militare durante la
prima guerra mondiale, come soldato di artiglieria da
montagna.
Durante una pausa al Corso Allievi Ufficiali
La lettera più significativa e che permette di comprendere
lo stato d’animo, i pensieri e gli ideali è quella scritta da Bruno
Pisa al Sottotenente Pietro Pisa (Ospedale da campo 0102, 27a
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Divisione, Ia Armata) il 14 settembre 1916 alla vigilia della sua
partenza per la Scuola Allievi ufficiali di Caserta. Nella parte
finale dello scritto, dopo il resoconto della vacanza dello
scrivente, è possibile comprendere le motivazioni che
spingono Bruno Pisa ad inoltrare i documenti per i corsi
allievi ufficiali, in contrasto con la famiglia che lo sollecitava
ad arruolarsi come volontario di artiglieria, condizione militare
ritenuta più sicura della fanteria.
Corso Allievi Ufficiali a Caserta
Dalle sue parole traspare chiaramente il senso del dovere e
gli ideali di giovane studente che non desidera la guerra e i
dolori che può provocare alla sua famiglia, ma che sente di
non potersene sottrarre: ”… la mia coscienza mi diceva che incontro
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a qualsiasi pericolo o dolore io fossi andato, quello era il mio dovere e non
potevo venire a transazioni o a mezze vie. La Patria domandava che chi
ha una certa cultura si offra come allievo ufficiale, ed io mi sono offerto.
Gli studenti di legge vanno in fanteria ed io andrò in fanteria.”.
Il 1° Ottobre 1916 Bruno Pisa entrò nella scuola allievi
ufficiali di Caserta da cui ne uscì con il grado di aspirante
ufficiale il 10 marzo 1917 e fu assegnato al 49° Reggimento
Fanteria fino al 20 maggio 1917. Con la nomina a
sottotenente fu destinato alla 425a compagnia mitragliatrici del
gruppo compagnie mitragliatrici divisionali della 28a divisione
con sede a Ronchi di Monfalcone.
Tra le cartoline in franchigia appartenenti al fondo sono
da segnalare quelle inviate dalla zona di guerra il 23 luglio
1917 dal tenente Arturo Minerbi a Luigi Pisa (padre di Bruno)
per informarlo del buono stato di salute del figlio, incontrato
a Ronchi, dove la 425a cmp. svolge servizio contraereo con
mitragliatrici S. Etienne (fornite all’esercito italiano dalla
Francia) e quella inviata dalla zona di guerra il 16 agosto 1917
(quindi dalla prima linea per l’undicesima battaglia
dell’Isonzo) dal cap. Giuseppe Brocchi comandante la 425a
compagnia mitragliatrici a Luigi Pisa per ringraziarlo del
biglietto di elogio ricevuto per aver inoltrato al comando di
divisione la domanda di promozione di Bruno.
Mostrine per mitraglieri (St.Etienne: blu e bianco, Fiat: rosso e
bianco)
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L’ultima corrispondenza intercorsa tra Bruno Pisa e la
famiglia è costituita dalla cartolina postale spedita dal padre il
giorno 21 agosto, il giorno precedente la morte di Bruno. La
cartolina riporta anche l’indirizzo in zona di guerra cancellato
da righe rosse e una sovrascritta “morto” sempre in rosso. Dal
testo si capisce che in una precedente lettera di Bruno erano
contenute esortazioni alla famiglia a mantenersi serena
nonostante l’inizio delle operazioni della undicesima battaglia
dell’Isonzo: “Ricevo la tua del 18: è il giorno in cui si è iniziata la
nostra grandiosa azione che deve riuscire una delle nostre più gloriose
pagine militari - .. tutti i nostri auguri al nostro grande esercito!. Leggo
con piacere le tue esortazioni alla calma e le prendo alla lettera fiducioso
nella tua notoria sincerità. Mi meraviglia che dopo il nostro incontro tu
sia rimasto senza nostre notizie, scrivo regolarmente tutti i giorni e vi
deve essere un difetto di funzionamento presso le poste divisionali. …”.
La lettera termina riportando alcune notizie ricevute il 20
Bruno Pisa Aspirante Ufficiale
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agosto sulla buona salute e sull’appetito di Gilberto Pisa
impegnato nell’istruzione delle truppe.
Gli avvenimenti che portarono alla morte di Bruno Pisa ci
vengono spiegati in una lettera scritta dal ten. Gino Cavalieri,
ufficiale presso il comando della 28a divisione indirizzata
all’amico avv. Felice Ravenna, zio di Bruno Pisa
presumibilmente (manca la data) negli ultimi giorni d’agosto.
Lo scritto riporta in dettaglio gli avvenimenti del 21 e 22
agosto e consente di capire l’esatto svolgersi dei fatti
precedenti e seguenti la morte: “… nei giorni precedenti alla morte
il povero Bruno appartenne sempre alla 425a comp. e non mutò di comp.
finchè non vi era azione (il testo viene riportato senza modifiche)
effettivamente la sua comp. aveva qui (Ronchi di Monfalcone) un
servizio antiaereo ed egli vi era partecipe. Il 16 e il 17 che precedettero la
partenza per la linea Bruno era allegro e calmissimo. Le due sere
suddette ci radunammo fra amici alla sede della comp. brindando alla
vittoria. La sera del 17 egli si portò ad una quota diversa dalla quota
ove io mi recai per il combattimento, la mia essendo più dominante, la
sua più a valle. Il 18 vi fu azione prevalente di artiglieria e fummo tutti
battutissimi da tiri violenti. Anche la sua comp. ebbe perdite. Bruno si
era separato da me con un bacio ed un ricordo a Ferrara. Il 19, il 20 e il
21 la comp. fu quasi di riserva; il 21 si portò più avanti e partecipò a(l)
combattimento d’arme propria.Vi fu qualche perdita dolorosa fra cui
quella del com.te la 419a ten. Pistilli. Bruno era tranquillo e sereno. Il
22 alle II ricevette la posta in linea e ne parve contento. Così mi ha
riferito il capitano. Verso le 13 la sua comp. fu comandata a rinforzare
le truppe di assalto di una quota contestata. Doveva attraversare in pieno
giorno e sotto intensissimo fuoco (una) zona scoperta. Bruno alla testa
dei suoi compiè sereno e benone il tragitto. Giunto al luogo di
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assegnazione la sua sezione fu investita da raffiche violente. Allora egli
tranquillissimo volle sporgersi dalla trincea per vedere come andava il
proprio tiro e per regolarsi sulla provenienza del tiro nemico. Fu così che
cadde, immediatamente, colpito a morte. La rivoltella che teneva in mano
pure gli fu spezzata da una scheggia di proiettile tanto che una mano era
sanguinante, ma già la pallottola di mitragliatrice austriaca lo aveva
ucciso”.
“…. Ella può immaginare la difficoltà del recupero. Perché il povero
Bruno morì all’assalto in quota appena occupata dai nostri sotto fuoco
micidialissimo. Furon dei suoi pietosi soldati che portaron la salma
alquanto indietro anche sperando sul momento che il loro ufficiale fosse
solo ferito. Invece morì senza soffrire sul colpo per pallottola di
mitragliatrice al cuore. Fu adagiato nel camminamento e lasciato là.
Saputo della sua morte, addoloratissimo, sapendo anche del bene che il
suo capitano gli voleva mandai ad avvertire che volevo assolutamente che
il cadavere “a qualunque costo” fosse portato in paese per il
seppellimento. Che avrei inviato cassa e portaferiti. Il capitano mi fece
sapere che avrebbe esaudito il mio desiderio ma che i camminamenti
erano affollati e il trasporto pericoloso ed in zona scoperta. Replicai che si
poteva eseguire di notte e che mandavo per il recupero. Ottenni in tal
modo il ritorno….”. Bruno Pisa venne seppellito nel cimitero di
Ronchi di Monfalcone. La lettera prosegue fornendo alcune
informazioni sull’attendente di Bruno, definita persona non
meritevole e che “non si portò bene” in combattimento.
Preziose sono le notizie e le fotografie relative alla sepoltura
di Bruno nel cimitero di Ronchi, e alle pratiche molto
complesse affinché la famiglia potesse ottenerne l’esumazione
e il trasferimento in altra località.
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La lettera scritta dal capitano Brocche (comandante la
compagnia di Bruno) da quota 145 il 24 agosto al ten.
Cavalieri ci permette anche di sapere l’iscrizione presente sulla
tomba di Bruno Pisa: “questo tumulo provvisorio racchiude la salma
gloriosa del sottotenente mitragliere Bruno Pisa di Luigi da Ferrara che
immolò diciannovenne la giovane vita per una più grande Italia sulle
alture di Flondar il 22 agosto 1917. 29 Ottobre 1917”.
Altre lettere scritte nel mese di settembre sempre dal ten.
Gino Cavalieri all’avv. Felice Ravenna, contengono i dettagli
relativi al viaggio a Ronchi dell’avv. Ravenna e di Luigi Pisa
per ottenere i documenti e il necessario all’esumazione della
salma e al trasporto in altro cimitero. Tra i problemi più
rilevanti del viaggio a Ronchi il tenente Cavalieri presenta
quelli relativi al percorso Cervignano-Ronchi; durante la
guerra era previsto solamente un treno al giorno, e i 15 km.
potevano essere percorsi solamente a piedi o su un mezzo
militare, non essendo disponibile alcun mezzo di trasporto
civile.
Nel mese di ottobre 1917 Luigi Pisa e l’avv. Ravenna
compiono il viaggio a Ronchi per l’esumazione, la posa del
corpo all’interno della cassa di zinco (necessaria per il
trasporto nel cimitero israelitico di Ferrara) e la successiva
inumazione in attesa dei permessi necessari alla traslazione.
Le molteplici lettere di condoglianze e di disponibilità ad
occuparsi della sepoltura di Bruno Pisa pervenute ai Pisa da
amici e parenti, consentono al lettore di capire quanto fosse
forte in queste persone il desiderio di alleviare le sofferenze
della famiglia; tra queste è possibile citare quella di Giorgio
Pisa (cugino di Luigi e sergente di sussistenza presso la XIIa
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Divisione), oppure quella scritta da Gino Ravenna
(Ambulanza chirurgica d’Armata n° 6) all’avv. Felice Ravenna,
che in data 1 settembre scrivono dalla zona di guerra.
Il 30 agosto perviene a Luigi Pisa un biglietto molto
commovente di condoglianze del ten. Provenzali dell’VIII°
Corpo d’Armata reparto allievi ufficiali, amico di Bruno, che
scrive dalla zona di guerra.
Bruno Pisa (il primo da destra) al Corso Allievi Ufficiali
Sempre il 30 agosto 1917 Il Rettore dell’Università di
Ferrara comunica a Luigi Pisa che al figlio verrà conferita la
laurea ad honorem.
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Sul Vessillo Israelitico, rivista bimensile, datata 15-31
agosto 1917, viene tracciata la figura di Bruno Pisa come
“....appena ventenne, e forse non ancora, aveva troncati, a mezzo, alla
nostra Università, gli studi di legge, per rispondere all’appello della
Patria e lo aveva fatto con schietto e giovanile entusiasmo noncurando di
cercare…. Comode vie di scampo, come forse avrebbe potuto fare: la sua
fede …. era assoluta ….
Il 10 dicembre 1917 viene conferita a Bruno Pisa e ad altri
studenti di giurisprudenza morti al fronte, la laurea ad
honorem; anche in questa occasione, nelle poche righe che
accompagnano la notizia sulla Gazzetta Ferrarese dell’11
dicembre 1917, vengono esaltate le sue doti di tenacia e
volontà.
Un documento che porta il lettore a riflettere non solo
sugli avvenimenti della guerra, ma anche su quelli successivi, è
il giornale Il fascio datato 25 agosto 1918 e indirizzato ad un
personaggio ferrarese molto noto, il ten. Italo Balbo, 7° Regg.
Alpini, Batt. Pieve di Cadore – Reparto Arditi – Zona di
Guerra, in cui compare un articolo scritto dallo stesso Balbo,
per commemorare la morte dell’amico Bruno Pisa, di cui
sottolinea la fede, l’orgoglio e l’ideale mazziniano.
Nel documento di commemorazione letto al Circolo
ferrarese di Cultura Israelitica il 22 ottobre 1919, viene
presentato Bruno Pisa come “… l’Ebreo orfano dell’Idea di
Divinità. Per Lui questa idea si era disciolta in tanti dei suoi elementi,
di cui ognuno stava per sé stesso: famiglia, Patria, amicizia, dovere – e
che Egli, intendendo potenti in sé, chiamava istinto….”.
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Il 13 ottobre 1918 il Ministero della Guerra conferisce a
Bruno Pisa la medaglia d’argento al valore militare, e il 3
marzo 1920 la Croce al merito di guerra.
Fino al termine della guerra e ancora per tutti gli anni ’20,
la famiglia Pisa fece molte donazioni, in particolare al
Comitato di Preparazione e Organizzazione Civile di Ferrara,
al Patronato provinciale per gli orfani dei contadini ferraresi
morti in guerra e all’Opera Pia degli Ospizi Marini e Montani
(Ospizio Ferrarese di Lizzano Belvedere).
Il 4 settembre 1918 tramite le Opere Federate di
Assistenza e Propaganda, vennero assegnate dalla famiglia
Pisa tre cartelle di prestito, di lire 100 cadauna, a tre militari
meritevoli, della sezione comandata da Bruno Pisa: Filippo
Spirito, Girolamo Panarello e Angelo Balcerini.
I resti mortali del Sottotenente Bruno Pisa, dopo la
traslazione avvenuta al termine della guerra dal cimitero di
Ronchi di Monfalcone, riposano presso il cimitero Israelitico
di Ferrara nella tomba di famiglia.
Mostrina per mitraglieri di reparto autonomo
divisionale mitraglieri Fiat (blu, rosso e bianco)
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Lettera apparsa sul giornale “il Fascio” di Ferrara del 25 agosto
1918 scritta dal ten. Italo Balbo
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La 28a Divisione e i combattimenti dell’agosto 1917
(Undicesima battaglia dell’Isonzo)
Il 15 luglio 1917 il gen. Cadorna (Comandante Supremo
dell’esercito italiano) fissò per il mese successivo l’inizio della
nuova offensiva, che avendo come teatro principale la zona
del medio e basso corso del fiume Isonzo e la zona carsica,
prese il nome di undicesima battaglia dell’Isonzo. Gli obiettivi
principali individuati furono i seguenti:
- attacco risolutivo: alla testa di ponte di Tolmino, lungo il
fronte del medio e basso Isonzo e sull’altopiano della
Bainsizza;
- attacco sull’intero fronte carsico tendente alla conquista della
linea monte Stol-Trstelj, linea Voiscica-Krapenka-SeloBrestovica, conquista del monte Hermada.
La IIIa armata disponeva per l’attacco di 6 Corpi d’armata,
di cui il XIII° Corpo d’Armata (gen. Sailer) nella zona di
Monfalcone e del monte Hermada. Lungo il fronte isontino
era schierata anche la IIa armata, che con la IIIa formava un
colosso di ben 608 battaglioni, circa i due terzi dell’intero
esercito italiano.
Il XIII° Corpo d’Armata era composto dalle seguenti
unità:
- 33a Divisione di fanteria: brt. Mantova e Padova;
- 28a Divisione di fanteria (magg. gen. Parola): IIa brt.
(Brigata) Bersaglieri e brt. Murge;
- 34a Divisione di fanteria: brt. Salerno e Catanzaro;
- 45a Divisione di fanteria, a disposizione dell’Armata nella
zona di Villa Vicentina: brt. Toscana e Arezzo.
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- Alle dirette dipendenze del XIII° Corpo d’armata: XXVIIIa
brt. di marcia, I° gruppo sqn. cav. Piamente Reale.
Il 18 agosto iniziò l’azione dell’undicesima battaglia
dell’isonzo. L’obiettivo monte Hermada fu assegnato al XIII°
Corpo d’Armata. Secondo i piani la sua conquista prevedeva
un’azione da svolgersi in due
tempi:
dapprima
occupazione delle quote 247,
208, 199, 165 e dell’abitato di
Duino; quindi avvolgimento
da
sud
del
bastione
montuoso.
Alle ore 5 e 33 minuti il
XIII°
Corpo
d’Armata
assaltò la posizione Flondar.
Nel giro di pochi minuti
l’intero altipiano carsico si
trasformò nuovamente in un
inferno.
Ovunque
gli
avversari si incunearono
nelle opposte posizioni.
Medaglia al Valor Militare Dalla Punta Sdobba pesanti
cannoni da marina italiani
concessa a Bruno Pisa
colpivano inesorabilmente il
settore meridionale del fronte: l’Hermada e le vie di
comunicazione
Il 19 gli italiani attaccarono l’Hermada che si ergeva
davanti a loro; il XIII° Corpo d’Armata si portò sotto
Medeazza e alle porte di San Giovanni. Gli austriaci si
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difesero accanitamente e fino a sera gli attacchi non
cessarono. Reggimenti su reggimenti di fanti si lanciarono
contro la posizione del Flondar, lottando con rabbiosa tenacia
per pochi metri di terreno fra i due tunnel ferroviari di S.
Giovanni.
A quota 146/147, un punto oggi del confine italo-slavo,
gli austriaci riuscirono in parte a resistere. Alcune caverne
furono prese dagli italiani; il ten. Col. Franek al comando di
un’unità austriaca tornò al contrattacco e liberò alcuni
prigionieri austriaci rinchiusi nelle caverne, per poi cedere
Carta topografica della zona del fronte carsico
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nuovamente il terreno conquistato.
La Brigata Murge ricevette l’ordine di spostarsi
gradualmente in avanti su quota 100 per occupare le trincee
presidiate dalla IIa Brigata bersaglieri che si spostò su quota
130. Il 259° conquistò la quota 145, ma la posizione presa dal
fuoco d’infilata dovette essere abbandonata. I fanti della
Brigata Murge ripiegarono su quota 130 rafforzandola.
La IIa Brigata bersaglieri iniziò l’azione, un nutrito tiro
nemico e un incendio sui rovesci di quota 100 provocarono
molte perdite, venne ferito anche il comandante del 7°
Reggimento. Il XXXIII° batt. conquistò quota 130 e proseguì
su quota 145; il X batt. si impadronì del Flondar e concorse
all’attacco di quota 145; il VII° e XXXIX° batt. inviati di
rincalzo per sostenere l’azione furono obbligati dal fuoco
nemico a sostare su quota 130; mentre il X° e XLIV° furono
costretti a ripiegare. Nel pomeriggio l’11° Reggimento
rinforzato da un battaglione della Murge rinnovò l’attacco.
All’alba del 20 agosto gli italiani rinnovarono gli attacchi.
Nel terreno antistante l’Hermada il combattimento divampò
feroce tra le linee difensive. All’urto italiano gli austriaci
risposero con un arretramento che a tratti raggiunse i 2 km.
Le truppe delle Brigate Padova e Murge (28a Divisione) in
zona Flondar riconquistarono le quote 146 e 145 nord; gli
austriaci replicarono immediatamente con un contrattacco.
Infine gli italiani sfondarono la linea a.u. e la oltrepassarono,
ma alle loro spalle l’altura a quota 146 non era ancora
“sgombra” da nidi di resistenza austriaca. Così descrive questi
attacchi la Relazione Ufficiale austriaca: “gli italiani attaccarono
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con il coraggio della disperazione… ed invero essi non lasciarono
intentata alcun mezzo per ottenere il loro scopo…”.
Per la IIa Brigata bersaglieri la lotta si svolse con alterne
vicende su quota 145 e nel pomeriggio venne occupata la
selletta del Flondar
Alle 8 di mattino del 20 agosto il generale Cadorna
interviene per ammonire il comando della IIIa Armata, dando
istruzioni di proseguire l’azione solamente qualora si profilino
concreti successi. L’azione contro l’Hermada continuò per
tutto il giorno e la mattina del giorno successivo. Il terreno
conquistato quel giorno dagli italiani si rivelò di modeste
proporzioni; fatta eccezione per il settore meridionale
l’attacco italiano si era bloccato. Le tre divisioni impiegate per
il raggiungimento di questo obiettivo riuscirono ad ottenere
risultati positivi nella zona del Flondar, con l’occupazione del
villaggio di Medeazza, ma furono quasi subito annullati da
violenti contrattacchi nemici; la linea italiana si attestò, quindi,
ad un centinaio di metri dall’abitato di San Giovanni di
Duino.
Gli attacchi del 20 agosto rinnovati su tutto il fronte, non
ottennero risultati di rilievo, se non per la Brigata Lazio con
l’occupazione di quota 241 a nord-est di Selo e per le Brigate
Padova e Murge.
Il 21 agosto le truppe italiane furono di nuovo all’attacco.
Presso il XIII° Corpo, dopo un iniziale successo, la Brigata
Mantova fu imbrigliata nel vallone di Brestovica dal fuoco
dell’artiglieria austro-ungarica proveniente dal monte
Hermata, mentre il resto della 33a Divisione non riuscì a
procedere lungo la propria direttice di attacco. Fu gettata
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anche la 45a Divisione nell’inferno della battaglia per tentare
di avvolgere il monte Hermada, ma anche questa volta tutto
fu vano.
La Brigata Murge riprese la sua avanzata occupando la
quota 175, mentre i reparti della 33a div. si affermarono su
quota 146 bis, ma un violento contrattacco costrinse i fanti a
ripiegare. Il nemico occupò la quota 146 dilagando nella
selletta del Flondar e minacciando anche quota 130 con
l’intento di rioccupare la vecchia linea, tagliando la ritirata alle
truppe italiane. Il pronto intervento della brt. ristabilì la
situazione, i fanti di slancio occuparono anche quota 175, ma
incuneatisi troppo nelle linee avversarie dovettero ripiegare su
quota 145. In serata i reparti del 260°, approfittando
dell’incertezza e della stanchezza nemica si lanciarono
nuovamente su quota 175 occupandola di sorpresa.
Il generale Cadorna, recatosi alle ore 16 al comando della
IIIa Armata sul monte S. Michele, ordinò di sospendere la
battaglia, ma nonostante le precise istruzioni la necessità di
operare il consolidamento delle posizioni raggiunte fece
proseguire i combattimenti. Nella galleria ferroviaria di quota
40 i fanti italiani catturarono circa 200 prigionieri.
Alle ore 22.00 il Comando Supremo considerò conclusa
la prima fase dell’offensiva.
Il giorno seguente (22 agosto) gli attacchi italiani verso
l’Hermada non cessarono, ma la difficoltà di mantenere il
fronte raggiunto si manifestò in modo preoccupante. Si
effettuarono ancora attacchi locali per consolidare le posizioni
raggiunte soprattutto sull’altura di Flondar davanti
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all’Hermada dove i reiterati tentativi di stabilirsi
definitivamente fallirono uno dopo l’altro.
La sera del 23 agosto il fuoco dell’artiglieria cessò
d’improvviso.
La Brigata Murge perse in queste azioni 44 ufficiali e 1.612
uomini. Nella notte fra il 23 ed il 24 agosto venne sostituita
trasferendosi a Robbia.
Il 24 la IIa Brigata bersaglieri si trasferì fra San Paolo e
Pieris. Perdite, 37 ufficiali e 2.500 uomini.
Il monte Hermada
Il monte Hermada, dall’apparenza insignificante, per chi
osserva la carta topografica ai giorni nostri, era in guerra un
pilastro di importanza fondamentale del fronte isontino, in
quanto bloccava la via di accesso alla città di Trieste,
obbiettivo italiano propagandistico forse più che strategico e
rimasto in mano austriaca fino alla fine della guerra.
Il nome di Hermada come quello di Carso risuonava
sempre in modo triste tra i soldati inviati al fronte; infatti se
la sorte era avversa a chi combatteva sui monti, il destino più
orribile veniva riservato ai combattenti sul Carso. L’ordine di
prendere posizione lungo il basso corso dell’Isonzo poteva
essere considerato molto simile ad una condanna a morte. Il
fronte davanti a Trieste era un vero inferno e il suo principale
bastione, l’Hermada, continuava a mietere decine di migliaia
di vite umane.
Questo rilievo, alto 323 metri sul livello del mare, è oggi
una delle mete preferite dai gitanti triestini. Da Sistiana una
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larga mulattiera di guerra consente di raggiungere la sua
sommità, deturpata da un piccolo posto di guardia. Il
panorama è comunque meraviglioso, e consente di capire con
precisione le direttrici e le fasi delle offensive italiane, che per
quasi tre anni tentarono di sfondare il fronte austro-ungarico
in direzione di Trieste e Lubijana.
A sud e a sud-ovest si vede a pochi chilometri di distanza
il mare Adriatico e dietro il golfo di Panzano la foce
dell’Isonzo, chiamata dagli italiani Punta Sdobba. In questa
La 245esima compagnia verso la prima linea
zona lagunare, intersecata da numerosi canali, erano schierati
durante la prima guerra mondiale alcune centinaia di pezzi
d’artiglieria, anche dei massimo calibri, che montati su basi
fisse o pontoni galleggianti costituivano una vera spina nel
fianco dei difensori dell’Hermada, per la difficoltà di essere
neutralizzate dal fuoco austriaco. Gran parte dei colpi sparati
dall’artiglieria a.u. in direzione di Punta Sdobba cadeva infatti
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nelle acque dei canali e delle zone paludose, risultando
inefficaci.
Oltre alla quota 323 della cima anche altre posizioni
circostanti la dorsale dell’Hermada risultano note per i violenti
scontri avvenuti durante la grande guerra, come quota 208 di
Medeazza, quota 199 e le quote 145, 146 e 147 delle alture di
Flondar dove ha trovato la morte il S.ten. Bruno Pisa.
Percorrendo oggi la strada costiera che da Duino e
Sistiana porta a Trieste, è possibile scoprire che questa fascia
di terreno carsico in prossimità del mare fu teatro di vicende
spaventose. Per il possesso di Duino si combattè con estremo
accanimento. La larga dorsale dell’Hermada, che si estende
verso quello che fu definito “l’inferno di Doberdò”, sbarrava
la via agli italiani, che per raggiungere Trieste sacrificarono nel
corso delle varie battaglie innumerevoli divisioni. Basti
pensare che nella sola undicesima battaglia dell’Isonzo
(battaglia in cui muore Bruno Pisa), combattuta tra Tolmino e
il mare, ossia su un fronte di 36 chilometri, le perdite italiane
ammontarono a 18.974 morti, 89.173 feriti e 35.187 dispersi
(compresi i prigionieri) per un totale di 143.174 uomini,
mentre quelle austriache furono sensibilmente inferiori e
quantificate in circa 110.000 uomini, e tutto questo nel corso
di un’offensiva durata soltanto 10 giorni. La violenza della
battaglia risulta ancor più evidente dai rapporti dell’artiglieria
austriaca, che segnalò la perdita del 38% delle sue bocche da
fuoco per l’eccessivo logoramento. Nell’alternarsi di attacchi e
contrattacchi, si disintegrarono da entrambe le parti
reggimenti e divisioni. L’Hermada fu conquistato più volte
dagli italiani, ma subito dopo ripreso a seguito della reazione
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della difesa, e restò
sino alla fine della
guerra
in
mano
austriaca.
Lo scrittore Fritz
Weber,
allora
comandante di una
batteria
schierata
sull’Hermada
ha
scritto,
riferendosi
all’undicesima
battaglia dell’Isonzo,
che la visione dei
battaglioni decimati
che tornavano dalla
battaglia
faceva
sorgere nel cuore un
Bruno Pisa non ancora soldato
desiderio di pace ben
più forte e genuino di quello invocato da scrittori
antimilitaristi o da retori sentimentali. Soltanto chi vedeva un
simile spettacolo poteva comprendere e ricordare per sempre
il calvario di quegli uomini e la loro sofferenza.
Si ringraziono per la collaborazione gli amici: Massimo Moretti,
Daniele Marini e Donato Bragatto dell’Associazione Ricerche Storiche
“Pico Cavalieri” di Ferrara.
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Altre pubblicazioni:
Dante Tumaini “un soldato tra tanti”
a cura di Enrico Trevisani
Ferrara 2000
Cartografica Artigiana – Ferrara
Ottobre 2001
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