UN EtRUsco A PERAchoRA. A PRoPosIto dELLA GEmmA IscRIttA

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UN EtRUsco A PERAchoRA. A PRoPosIto dELLA GEmmA IscRIttA
Un etrusco a Perachora.
a proposito della gemma iscritta già Evans
col suicidio di Aiace
(Con la tav. XLIV f.t.)
Poco prima della sua immatura scomparsa Mauro Cristofani ha messo nel dovuto rilievo l’importanza ‘storica’ di un’iscrizione vascolare etrusca da poco resa nota, rinvenuta tra
le ceramiche del santuario di Aphaia a Egina conservate a Monaco di Baviera 1. Scriveva in
proposito: «se non andiamo errati è questa la prima iscrizione etrusca nota da un santuario
della Grecia», dato che, aggiungeva, «da tempo ho escluso l’etruscità di una didascalia apposta su una gemma insulare proveniente da Perachora» 2. È a questa supposta didascalia
e alla sua controversa definizione linguistica che è dedicato il mio intervento.
La gemma, concordemente classificata dagli specialisti come un prodotto per l’appunto insulare, ‘melio’, databile nella seconda metà e più probabilmente alla fine del VII
secolo, ha il pregio non solo di essere l’unica iscritta tra le quasi 400 della sua classe, ma
anche di offrire una delle più antiche raffigurazioni del suicidio di Aiace (tav. XLIV a) 3.
Si comprende pertanto l’interesse suscitato in un esperto amatore quale è stato Sir Arthur
Evans (1851-1941), che l’ha acquistata prima del 1920, quando ne è apparsa una prima
fugace menzione a stampa, e verosimilmente dopo il 1905, data della vendita parigina,
anonima, della precedente collezione di glittica messa insieme dall’archeologo 4. La menzione della gemma, accompagnata dall’indicazione della provenienza («it was found at
Peraia near Corinth», località entrata nella letteratura col nome di di Perachora grazie
agli scavi inglesi del 1930-1933, che portarono alla scoperta del santuario di Hera Akraia
coi suoi ricchi depositi votivi) 5, si deve al giovanissimo Beazley, che riprodusse anche un
apografo tipografico della minuscola iscrizione, ingrandita e sinistrorsa come appariva
nell’impronta, leggibile come NANIFAS 6.
Cristofani 1993 (ripreso in Cristofani 1996, pp. 54-57, fig. 16). Cfr. anche Colonna 1993, p. 50 sg.
(= Colonna, Italia, p. 343).
1
Il riferimento è a Cristofani 1979, pp. 157-159, fig.1.
2
Boardman 1970, pp. 121 sg., 136, tav. 264. Sul tema, assai amato in Etruria: Beazley, EVP, pp. 137-141;
Bruni 1986; Bruni 1991, p. 45 sg., n. 3; Krauskopf 1995, p. 27; Maggiani 1999; Torelli 2002, p. 130 sg.
3
Pierres gravées, Paris 1905 (citato in Boardman 1970, p. 454: non vidi).
4
EAA VI, 1965, p. 31 sg. (L. Banti); EAA, Suppl. 1970, pp. 606-608 (L. Beschi); EAA, II Suppl., IV,
1996, p. 303 sg. (R. A. Tomlison). La provenienza della gemma è stata in seguito confermata dal suo possessore (Evans 1938, n. 38: non vidi ).
5
Beazley 1920, p. 38.
6
216
G. Colonna
Acquistata poco dopo la morte dell’Evans, nel 1942, dal Metropolitan Museum di
New York, assieme a una scelta di altri esemplari della sua collezione, la gemma è stata
subito pubblicata da Gisela M. A. Richter 7. A suo avviso l’iscrizione «is probably to be
read HAHIVAS = Ajax», anche se «the two aspirates are introduced without apparent
reason». La lettura alternativa NANIVAS è da lei considerata improbabile, nonostante
il possibile collegamento con nomi di donne quali le più o meno celebri Nanno e Nannion, perché «this leaves the digamma unaccounted for». Giudizio ripetuto quasi parola
per parola, nei successivi interventi della studiosa, anteriori al 1960 8.
La presa di posizione della Richter, pur venendo da un’archeologa priva di una specifica competenza epigrafica e linguistica, ha di fatto condizionato fino ad oggi l’intero
sviluppo della ricerca. Decisiva al riguardo è stata l’approvazione da parte dell’autorevole
epigrafista Lilian Jeffery, che nel 1961 ha accolto senza riserve nel suo manuale la lettura privilegiata dalla studiosa americana, dandone la trascrizione «  (= A )» 9.
Nel contempo la Stessa ha però rilevato che il chet aperto con la traversa obliqua non
è greco ma «typical of the Etruscan script», e solo a partire dall’età tardo-arcaica, e che
anche «the abnormal version of the name looks Etruscan», confessando tuttavia di non
saper spiegare come mai esso sia stato inciso sulla gemma a tanta distanza cronologica
dalla raffigurazione dell’eroe 10. Alla tesi della didascalia greca è venuta così a sovrapporsi quella della didascalia etrusca.
Recepita favorevolmente dalla Richter 11 e, con particolare convinzione, da John
Boardman, che non ha esitato a parlare di «an Etruscan in Greece» 12 e di «a dedication
bought and inscribed locally by a visitor from the west», ossia dall’Etruria 13, la tesi etrusca ha tenuto il campo fino a che nel 1979 Cristofani non l’ha fortemente ridimensionata,
osservando a ragione che, contrariamente all’opinione della Jeffery, il chet aperto «è praticamente ignoto all’etrusco» e che il segno in questione è piuttosto un ny etrusco, avente
la forma assunta a partire dall’età tardo-arcaica, ossia dall’età attribuita al supposto chet
dalla Jeffery 14. Cristofani giudica la lettura nanivas «assai più plausibile epigraficamente» dell’altra, ma tuttavia non ritiene di doverla accettare perché «non è congruente con
l’immagine [scil. di Aiace]». E a conclusione del suo intervento, dopo aver esperito un
disperato tentativo di salvare a ogni costo la menzione dell’eroe (con l’insostenibile ipotesi che i due ny di nanivas fungano da interpunzione sillabica), Cristofani avanza quei
dubbi sull’autenticità dell’iscrizione, che nel 1994 ritengo abbiano contribuito in misu-
Richter 1942, n. 14, con fig.
7
Richter 1953, p. 156; Richter 1956, p. 4, n. 13, tav. III (il digamma è qui trascritto tipograficamente con F, come sarà anche in Richter 1968).
8
Jeffery 1961, p. 322.
9
Ibidem. Nella seconda edizione ampliata del libro a cura di A. W. Johnston questi si limita a citare
senza commento l’intervento di Cristofani di cui a nota 2 ( Jeffery - Johnston 1990, p. 470).
10
11
Richter 1968, p. 40, n. 57.
12
13
14
Boardman 1963, p. 49 sg., nota 1.
Boardman 1970, p. 122 (la gemma a p. 136, tav. 264).
Cfr. nota 2.
Un etrusco a Perachora
217
ra determinante, pur senza essere rievocati, nel fargli escludere perentoriamente la sua
etruscità 15. Dopo di lui non mi consta che altri si siano pronunciati o comunque siano
ritornati sull’argomento 16.
In conclusione i dati che emergono da questa disamina della questione sono: 1. la
gemma è greca e si data al più tardi intorno al 600 a.C.; 2. l’iscrizione è stata aggiunta
al più presto alla fine del VI secolo 17 e, se autentica, come tutto fa ritenere, non è greca ma etrusca; 3. la lettura corretta dell’iscrizione è quella presupposta già dall’apografo
pubblicato nel 1920 dal Beazley: nanivas (tav. XLIV b).
La generale riluttanza ad accogliere tale lettura nasce dal preconcetto che l’iscrizione
sia una didascalia e che quindi debba necessariamente comunicare il nome di Aiace. Ma
si tratta appunto di un preconcetto. È noto che sulle gemme greche arcaiche non compaiono didascalie di alcun genere ma solo, e raramente, iscrizioni di possesso, per lo più
consistenti nel nudo nome del proprietario (al genitivo), oppure, ancor più raramente e
con assai minore evidenza grafica, firme, per lo più col solo nome dell’artista (al nominativo) 18. E anche sulle gemme etrusche, in cui al contrario le didascalie sono frequenti, compare talvolta al loro posto, anche in epoca tardo-arcaica, il nome (gentilizio) del
proprietario, al genitivo (per es. Tarnas) o al nominativo (per es. Metna) 19.
È quindi pienamente legittimo presumere che l’iscrizione della gemma di Perachora sia un’iscrizione di possesso, fatta apporre intorno al 500 a.C. o poco dopo da un
mercante etrusco, che ne era divenuto proprietario e, usandola come sigillo personale,
intendeva rendere più esplicita e inequivoca la sua funzione distintiva. Il che era tanto
più necessario per chi frequentava terre straniere, dove il solo ‘emblema’, anche se accompagnato oralmente da motivazioni pseudogenealogiche 20, di norma non doveva essere sufficiente a identificare il proprietario (non è probabilmente un caso che la citata
gemma di inizio V secolo col nome di un membro della gens cerite dei Tarchna sia stata rinvenuta non a Caere o nei suoi pressi ma nella lontana Perugia) 21. Per dare credito
all’ipotesi occorre tuttavia verificare che effettivamente l’iscrizione consista in un nome
etrusco di persona al genitivo.
In proposito va detto che il nome *Naniva, gen. Nanivas, pur non risultando finora
15
Cfr. nota 1.
Nel LIMC (Touchefeu 1981, p. 329, n. 110) è riportata senza commento la trascrizione HAHIFAS
della Richter. Eloquente in proposito è il silenzio di Gras 1985, che pure saluta il graffito  dell’Agorà di Atene come «une preuve archéologique de la présence d’Étrusques en Grèce à la fin de l’époque archaïque» (p. 680). Altrimenti ci si è allineati alla sentenza di non etruscità emessa da Cristofani (Naso 2006a,
p. 330 sg., nota 27).
16
La forma del ny è quella, con aste di pari lunghezza e traversa quasi a metà altezza della seconda asta,
che compare nelle Lamine di Pyrgi (circa 510 a.C.).
17
Boardman 1970, p. 141 («no Archaic gems label or describe the device»); Guarducci 1975, pp. 353356, fig. 122 sg.; 517-525, figg. 208-214; Zazoff 1983, p. 102.
18
Rix, ET Pe G.3 e Cl G.4. Per Metna cfr. il gentilizio Metena (Pe 1.790).
19
Come fa intuire l’iscrizione di una stele felsinea con la raffigurazione proprio del suicidio di Aiace
(Maggiani 1999).
20
21
Sulle rare occorrenze del gentilizio fuori di Caere: Morandi Tarabella 2004, p. 525.
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G. Colonna
altrimenti attestato in etrusco, non è affatto estraneo o incompatibile con l’onomasticon
di quella lingua. E ciò anche a prescindere dal mitico re pelasgo Nanas, considerato da
Ellanico il primo re dei Tirreni / Etruschi, e dal Nanos prima nemico e poi alleato di Enea
secondo Licofrone, identificato dagli scoliasti con Odisseo 22. Risultano infatti a tutt’oggi attestati epigraficamente 23 non solo, in età recente, gli antroponimi Nanuś (gen., AS
4.5) e Nan[- - -](Tarquinia, ThLE, III suppl., p. 42), ma anche, in età tardo-arcaica, l’appellativo (?) nana nel Piombo di Chiusi (REE 1992, n. 34), la didascalia Nana su un’anfora attica a figure rosse forse da Chiusi 24, gli antroponimi Nan[- - -] su un bucchero da
Capua (CIE 8641) e Nanisiei (femm.) in una tomba dipinta di Tarquinia 25, nonché in
età alto-arcaica Nanes (gen.) a Pontecagnano (CIE 8866). Vi sono inoltre testimonianze epigrafiche e letterarie del gentilizio Nannius/Naneius/Nanneius, latinizzazione di un
etr. *Nanie, né manca un’attestazione di Nanuvius, da cui è forse lecito risalire proprio
al nostro *Naniva 26.
Entro questa non grande, ma nemmeno esigua famiglia onomastica, cui certamente
a buon diritto appartiene, il nome *NanV-va si distingue perché formato con un suffisso,
-va, inatteso rispetto ai ben più comuni -ie (*NanV-ie) e -sie (*NanV-sie). È da escludere
che si tratti dell’esito fonetico, condizionato dalla vocale palatale precedente, del noto
suffisso - va del plurale, perché tale suffisso pertiene solo ai nomi di oggetti inanimati,
come ha ben visto L. Agostiniani 27. Occorre invece prendere in considerazione la successiva proposta dello stesso Agostiniani di ‘riesumare’ il suffisso aggettivale -va 28, di cui a
suo tempo H. Rix aveva negato l’esistenza 29. In realtà, lasciando da parte il caso incerto
di marunu va 30, si possono addurre a favore della proposta per l’età recente gli appellativi nacna vs. nacnuva/nacnva 31, zaru (TC 38) vs. *zarva (loc. zarve) 32, forse ati vs. ativu
(Vc 1.17) 33, per l’età arcaica gli appellativi *aisar, possibile variante di aiser 34, vs. aizaruva (AT 0.1) e *heram- (cfr. herama va) vs. *heramva (loc. heramve, Cr.4.4) 35. Che il suf-
Hellan. apud Dion. Hal., ant. I 28, 3; Lykophr. 1242-1244. Cfr. Briquel 1984, pp. 149-168.
22
Le iscrizioni sono di seguito citate, ove possibile, con la sigla di provenienza e la numerazione di
Rix, ET I-II.
23
24
Graffita in Etruria accanto a una raffigurazione del re Mida (Colonna 1987, p. 42, figg. 8-9 = CoItalia, p. 284 sg.).
lonna,
25
La tomba Cardarelli, del 510-500 a.C. (REE 1999, n. 14; Morandi Tarabella 2004, p. 327 sg.).
Cfr. Schulze, ZGLE, pp. 192, 424, 426 (iscrizioni tutte provenienti dall’Italia centrale).
26
27
28
Agostiniani 1993, pp. 34-39.
Agostiniani 1997, p. 9.
Rix 1981, pp. 114-116.
29
30
Contestato credo a ragione da Adiego 2006, p. 201.
31
Pfiffig, ES, pp. 95 e 297. V. ora Agostiniani 2007, p. 93 sg., che ritiene nacna una «variante innovativa» invece che la forma base.
32
Agostiniani 1997, loc. cit.
Cfr. Wylin 2000, p. 283 (agg. “materno”). Diversamente Pfiffig 1969, p. 166 (diminutivo di ati ).
33
Eruibile dalle glosse TLE 803 a-b.
34
Colonna 1991, p. 212 sg. (= Colonna, Italia, p. 2286 sg.).
35
Un etrusco a Perachora
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fisso sia stato attivo anche nei confronti di nomi propri sembra provato per l’età arcaica
dal teonimo Turan vs. *Turan(n)uva (loc. Turan(n)uve, Cr 0.4), per l’età recente dal teonimo Man (REE 1999, n. 33) vs. il poleonimo Man va- 36/ lat. Mantua, e dagli antroponimi Faltu/Haltu 37 vs. Haltuva (Sp 2.93) 38/ Haltva (Ad 2.4) 39, *Lau /s- vs. Lau va (Ad
2.48, lettura Pellegrini), cui ora si aggiungono i citati Nana/Nane/Nanu vs. *Naniva. È
una documentazione scarsa, ma nel complesso abbastanza sicura, restituita, per quanto
riguarda l’onomastica, soprattutto dalla periferica Etruria padana 40.
Circa la funzione del suffisso -va, vi sono indizi che non sia stata diversa da quella
degli assai più comuni suffissi di appartenenza -na e -ra, formatori di gentilizi. Per il primo è significativo il parallelo istituibile tra Haltu-va/Halt-va e il gentilizio Haltu-na (Cl
1.1772-1774) /Halt-na (Vs 1.292), così come tra Lau -va e i gentilizi Laus-n[ (Cr 1.57) e
Lau (i )-ni (Cl 1.1317, Vt 2.19, Sp 2.72) (< *Lau (i )-na-ie) 41. Per il secondo si può citare il parallelo tra Man -va e il gentilizio teoforico *Man (u)-ra-ie (REE 1991, n. 77), cui
si affianca il poleonimo latino Mantura(num).
In conclusione può dirsi praticamente certo che la forma *Naniva della gemma di
Perachora sia un nome etrusco di persona, probabilmente usato in funzione di gentilizio. Il caso è affatto simmetrico a quello del kantharos etrusco di bucchero dedicato in
età di non molto anteriore nello stesso santuario da un corinzio di nome Nearchos 42.
Grazie al nostro Naniva il dossier degli etruschi presenti in età arcaica sul suolo greco si
arricchisce di una seconda testimonianza diretta, dopo quella purtroppo mutila di Egina 43. Entrambe vengono da santuari, com’era da aspettarsi, e da santuari intensamente
frequentati dagli emporoi, a differenza di quelli panellenici, anche perché situati significativamente sui due opposti versanti, occidentale e orientale, del crocevia marittimo e
terrestre rappresentato in ogni epoca dall’Istmo.
Quanto alla provenienza di questi ‘ospiti’ etruschi in terra greca, qualche indicazio Derivato direttamente dal teonimo, senza necessità di far intervenire le forme non attestate *Man u
(de Simone 1992, che inventa una dea *Man u-ia; Cristofani 1995, p. 105) o *Man e (cfr. nota 40).
36
37
Rix, Cognomen, p. 158; Cl 1.657, 1.1775, 1.2577 (Haltu); REE 2203, n. 76 (Faltu).
Agostiniani 1997, loc. cit. (nota 28). L’iscrizione mi kuripeś haltuva si compone a mio avviso di due
enunciati, nel secondo dei quali vi è ellissi del verbo: “io (sono) di Kuripe, Haltuva (mi ha donato)”.
38
39
Intendo mi haltva, diversamente da Rix 1981, p. 114, come “io (sono) Haltva”: dichiarazione di identità significante il possesso dell’oggetto su cui è iscritta (cfr. Colonna 1983 = Colonna, Italia, p. 1853 sg.).
Si può forse aggiungere il nome della ‘nuova’ Marzabotto, rifondata con un piano ortogonale, *Kainua, se da *Kainu-va, con *Kainu imprestito dal greco  (scil. ), alla pari di lat. Caenon (Liv. II
63, 6), come da me recentemente sostenuto (Colonna 2005, p. 319: le soluzioni alternative per questo poleo­
nimo e per quello di Mantova, avanzate ibidem, nota 13, non sono più da me condivise).
40
Dove la scrittura - i- denoterà l’aspetto palatale della sibilante (Rix 1984, p. 221, § 21).
41
42
von Hase 1997, p. 317 sg., fig. 24:1, con bibl.; Naso 2006b, p. 364 sg., nota 43.
Una terza testimonianza diretta (a differenza del graffito dall’Agorà di cui a nota 16, su cui anche
Colonna 1993, p. 51, fig. 5), relativa questa volta a una donna, potrebbe vedersi nel graffito  pure
dall’Agorà, risalente alla seconda metà del VII sec. (Cristofani 1993, p. 161 sg., fig. 2, con bibl.), ove si ammetta la dittografia 〈〉  (allora etr. Ataias, gen. femm.: cfr. Cr 2.41 e Fe 2.15; per esempi arcaici di
dittografia nell’epigrafia etrusca: Ar 0.1; Ar 1.17; Vs 1.299; REE 1991, n. 12; CIE 8850, ecc.). Per l’interpretazione in senso etrusco cenno già in Colonna 1996, p. 171.
43
220
G. Colonna
ne può ricavarsi dagli usi grafici rivelati dalle iscrizioni, di cui quella miniaturistica di
Perachora, incisa da un esperto gemmario, verosimilmente è stata fatta apporre in Etruria. L’impiego del sigma per rendere il morfema del genitivo consente in questo caso di
escludere a priori l’Etruria settentrionale e padana, anche se proprio a Felsina c’era a
quanto pare chi pretendeva di discendere da Aiace Telamonio 44. Un’ulteriore delimitazione è consentita dalla grafia delle due occorrenze di alpha, che per la traversa ascendente riporta nel VI-V secolo a Caere, Veio e l’Etruria campana 45. Dovendosi logicamente
privilegiare un centro marittimo, e non dei minori, restano in predicato Caere e Pontecagnano, città quest’ultima che si raccomanda per aver restituito, come si è detto, la più
antica attestazione del nome Nane, assente a Caere nonostante l’assai maggiore consistenza del corpus, oltre che per la ‘perifericità’, condivisa con l’Etruria padana, richiesta
dal suo derivato *Naniva 46. Anche del resto nel caso dell’iscrizione di Egina l’unica lettera utilizzabile per circoscrivere la provenienza del suo autore, il pi col secondo tratto
piuttosto lungo che tende a flettersi in punta, riporta a Vulci ma anche alla Campania 47,
e forse, direi, nuovamente a Pontecagnano 48. Ma si tratta soltanto di ipotesi.
Giovanni Colonna
R i f e r i m e n t i b i b l i o g r a f i c i
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44
Maggiani 1999, p. 162 sg.
Con la parziale eccezione di Fratte di Salerno (Colonna 1994, p. 360).
45
E al tempo stesso, aggiungerei, per la contiguità a un celebre Heraion, quello del Sele (ascritto da
Plinio il Vecchio, III 5, 70, all’ager Picentinus, anche perché considerato più antico di Poseidonia). Contiguità che potrebbe avere influito sulla sosta del Nostro nell’Heraion di Perachora, l’unico esistente nei pressi
dell’Istmo.
46
Cristofani 1993, p. 160.
47
Dove la forma è frequente (CIE 8828, 8841, 8844, 8851, 8854; REE 2002, n. 87), così come l’inversione della sequenza prenome-gentilizio (REE 2002, n. 87, con lista di esempi), se il nome dell’iscrizione di
Egina era bimembre. Per l’integrazione di quel che ne resta Cristofani propone Pl(avte), ma sono possibili,
restando in età arcaica, anche Pl(aise/a), frequente a Genova (Colonna 2004, pp. 301 sg., 304), coi suoi derivati, Pl(ecu) e derivati, *Pl(inie) da cui Pl(eniunas), attestato a Pompei (REE 1999, n. 49).
48
Un etrusco a Perachora
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Tav. XLIV studi etruschi lxxiii
Colonna - Un
etrusco a
a
b
a) Impronta della gemma già della coll. Evans (da Cristofani 1979, fig. 1) (scala circa
6 : 1); b) Apografo dell’iscrizione della gemma già Evans (dis. S. Barberini).
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