Il calcestruzzo Auto-Riparante

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Il calcestruzzo Auto-Riparante
Il calcestruzzo Auto-Riparante
Self-Healing Concrete
Dr. Sandro Moro, Responsabile Laboratorio Tecnologico, BASF Construction Chemicals Italia
Introduzione
La necessità di utilizzare calcestruzzi più durevoli è una peculiarità che oggi giorno è sempre
più sentita tra gli addetti ai lavori grazie anche alla nascita di nuove norme/raccomandazioni
nazionali ed internazionali.
La durabilità del calcestruzzo è principalmente legata al rapporto acqua/cemento: più basso è
questo, più alta è la sua resistenza agli attacchi chimico-fisici a cui le armature potrebbero
essere soggette. Tale parametro comunque non è il solo responsabile della durabilità
dell’opera: la stessa progettazione, la messa in opera e la successiva stagionatura sono
altrettanto importanti per le caratteristiche di vita utile della struttura.
Se le armature si degradano, è necessario un intervento massivo che comporta investimenti in
termini di tempo, di energia ed ovviamente di denaro, quindi perché non pensare ad un
materiali che ha la capacità di auto ripararsi? I primi esperimenti in tal senso furono condotti
negli Stati Uniti negli anni ’90, introducendo nel calcestruzzo fibre cave contenenti resine che
in caso di formazione di fessurazioni si rompevano liberando i componenti interni che
reagendo (tra loro o con le sostanze chimiche presenti nella matrice cementizia) indurivano
nella fessura sigillandola: nacque così il concetto di Self-Healing.
Tipologie e meccanismi
La parola “Selh-Healing” racchiude in se diversi significati, in quanto ne esistono due
tipologie: il self-healing autogeno, ed il self-healing autonomo.
Il primo tipo avviene senza introdurre alcun composto volontariamente, in quanto il
fenomeno accade naturalmente attraverso differenti meccanismi d’azione, il più delle volte
combinati tra loro:
a) Formazione di calcio carbonato dall’idrossido di calcio e l’anidride carbonica disciolta
nell’acqua
b) Riempimento della fessura tramite impurità presenti nell’acqua
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c) Formazione di composti solidi derivanti dall’idratazione di cemento rimasto anidro o di
costituenti a carattere idraulico (cenere volante, loppa d’altoforno, …)
d) Espansione del gel di cemento
Ref. Schlangen E. Fracture mechanics. CT5146 Lecture Notes. In: Hua X. Selfhealing of Engineered
Cementitious Composites (ECC) in concrete repair system. Master thesis, Delft University of Technology;
2010
Le foto dimostrano come la formazione di cristalli di carbonato di calcio riempiono la fessura
dando un’apparente monoliticità a tutto il materiale: dopo l’innesco della fessura (a), se il
conglomerato viene maturato in condizioni di cicli bagnato/asciutto, la cristallizzazione
avviene progressivamente nel giro di 28 giorni (b) fino alla sua completa sigillatura dopo 60
giorni (c)
(a)
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(b)
(c)
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Il self-healing autonomo invece è caratterizzato dall’introduzione nella matrice cementizia di
composti specifici adibiti alla sigillatura delle fessure quando innescate da eventi esterni:
generalmente la ricerca si orienta sull’utilizzo di capsule contenenti agenti in polvere (come
leganti, espansivi o agenti di cristallizzazione), oppure resine mono o bi-componenti. Il
meccanismo d’azione dei primi è una simulazione del self-healing autogeno, indotto appunto
da composti volontariamente introdotti, mentre nel secondo caso si ha una vera e propria
polimerizzazione delle resine. Una menzione particolare per questa categoria è l’utilizzo di
batteri resistenti all’ambiente alcalino del calcestruzzo che opportunamente alimentati
producono carbonato di calcio insolubile nelle fessure.
Spore di batteri al microscopio elettronico (Self-Healing Concrete - INGENIA ISSUE 46 MARCH 2011)
La ricerca che affianca microbiologi e ingegneri civili presso l’Università di Delft (Olanda)
procede alacremente, e ci si aspetta che un’applicazione reale possa essere fattibile entro il
prossimo quinquennio.
Vantaggi
La sigillatura delle fessure non è solo un risultato che permette di proteggere le armature
dalla corrosione: in particolari casi riscontrati soprattutto nel sistema autonomo, i composti
che si formano nelle fessure rendono monolitico il conglomerato a tal punto che se sottoposto
nuovamente a fessurazione, le aperture si formano in punti diversi dalle precedenti. Quindi il
fenomeno non è di sola sigillatura, ma anche di ristabilizzazione parziale o totale delle
proprietà meccaniche. Questo fatto permetterebbe quindi al progettista di garantire le
prestazioni strutturali per una vita utile di esercizio simile a quella di una struttura che deve
subire una manutenzione ordinaria e programmata nel tempo. K. Van Breugel (2005)
schematizza il concetto comparando qualitativamente il tempo ed il costo di costruzione e
manutenzione dell’opera: utilizzando un calcestruzzo ordinario (A), la sua manutenzione
dovrà essere programmata più volte rispetto ad un calcestruzzo di più alta qualità (B), di
conseguenza il suo costo da inizialmente inferiore crescerà e supererà nel tempo il costo
complessivo del tipo (B) cui necessiterà di una manutenzione più dilatata.
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Impiegando invece un calcestruzzo “auto-riparante”, il costo iniziale potrebbe essere più
elevato anche del tipo (B), ma non avendo ipoteticamente bisogno di nessun intervento
successivo per la sua manutenzione, il costo complessivo potrebbe essere più vantaggioso.
Problematiche
Il calcestruzzo auto-riparante potrebbe essere la nuova frontiera del mondo delle costruzioni,
ma la ricerca è ancora indirizzata nelle risoluzioni di problemi chiave per lo sviluppo di questa
tecnologia. I composti responsabili del self-healing autogeno riducono la loro presenza nel
tempo, in quanto si consumano via via in altre reazioni: il cemento ed i composti a reazione
idraulica latente comunque continuano a reagire con l’umidità presente nelle porosità, e lo
stesso idrossido di calcio viene carbonatato nell’atmosfera in cui si trova, quindi sono
limitatamente disponibili per sigillare una possibile fessurazione.
I processi di formazione delle capsule come involucro per contenere le sostante auto-riparanti
sono attualmente in fase di sviluppo, ma garantire che le capsule resistano alla stessa
mescolazione, che abbiano un adesione alla matrice cementizia tale da permettere la propria
apertura e non un distaccamento dalla stessa e permettere di alloggiare un sistema bicomponente, che i batteri vengano continuamente alimentati per la produzione di carbonato
di calcio in modo da sigillare la fessura, non sono sicuramente cose facili.
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Conclusioni
Il calcestruzzo auto-riparante o auto-rigenerante è un argomento affascinante che potrebbe
rivoluzionare il mondo delle costruzioni. Molte attività fervono nei centri di ricerca
universitari atte a sviluppare meccanismi tali da essere industrialmente fattibili ed
economicamente competitivi, grazie anche al contributo delle industrie. Attualmente le
soluzioni rese note dai ricercatori non hanno le capacità tecniche di ottemperare ad una
durabilità dell’opera totale, ma i passi da gigante fatti negli ultimi possono solo prevedere che
questo giorno non è così lontano.
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