Dal neo-barocco al postumano: l`arte senza confini di Matthew
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Dal neo-barocco al postumano: l`arte senza confini di Matthew
n. 5 Dicembre 2012/Febbraio 2013 Dal neo-barocco al postumano: l'arte senza confini di Matthew Barney di Stefania Taddeo L'espressione artistica nel Novecento è stata una cartina di tornasole su cui si sono riflesse tendenze culturali e antropologiche, fenomeni sociologici, progressi, mutamenti e turbamenti di un momento storico fremente sotto tutti i punti di vista. Rivoluzioni sociali e tecnologiche che si accompagnano a nuove problematiche ma anche nuovi orizzonti. L'era del postmoderno esalta il concetto di melting pot immettendo l'individuo in un contesto brulicante di esperienze estreme, possibilità di oltrepassare i limiti e visioni futuristiche. L'individuo è al centro, come essere ma soprattutto come corpo. Il corpo risponde alle ansie del nuovo millennio, e lo fa assimilando modi e forme espressive. Da ciò deriva la ripresa del dato sensazionalistico nell'arte; sensuoso, meraviglioso e tensione all'eccesso, sono queste le caratteristiche del modo in cui l'arte si relaziona con la vita, abbandona l'astrazione pura quanto la registrazione pedissequa del reale [fig. 1]. Questo modo di interpretare la realtà, intervenendo su essa con mezzi specifici, artistici ed extra-artistici, permette di inquadrare Matthew Barney in una tendenza novecentesca definita età neobarocca. Comprendere la ripresa della maniera barocca nel Novecento e nel primo decennio del Duemila significa innanzitutto considerare il contesto storico, sociale e culturale che rientra nell'accezione del termine e che ha determinato, ieri come oggi, un’esperienza di crisi epocale. L'età barocca si riferisce ad un arco temporale che abbraccia tutto il Seicento fino alla prima metà del Settecento; etimologicamente deriva dalla parola portoghese barroco, una perla non sferica e quindi imperfetta, o ancora, secondo la filosofia aristotelica, indica un sillogismo, un ragionamento poco chiaro. «Quando parliamo di età del Barocco», afferma Eduardo Cicelyn, «ci riferiamo a una lunga stagione della storia dell'arte densa di contrasti e di contraddizioni, 1 durante la quale non si esprime uno stile unico, e anzi si presentano tendenze disomogenee, se non opposte le une alle altre».1 A introdurre la terminologia nel campo dell'arte contemporanea è stato Omar Calabrese nel suo libro L'età neobarocca e oggi si continua ad usare questo appellativo per indicare tendenze artistiche, sociali e culturali del nostro tempo, l'era del postmoderno, l'era dei continui cambiamenti, di disarmonie e contaminazioni, l'era delle nuove tecnologie, della genetica, dello spettacolare integrato e della globalizzazione. L'artista manierista prima, e barocco poi, esprime questo fermento di nuove energie, tentando di stabilire un contatto con il reale a partire dall'esperienza, da ciò, appunto, il sensazionale è nell'arte barocca del Seicento e di oggi insieme al bisogno di esprimere con l'arte e nell'arte la frammentarietà della società e una cultura plurale prodotta dai mezzi di comunicazione di massa. Il curatore britannico Norman Rosenthal individua in Rinascimento e Barocco (1888) di Wölfflin una convincente esposizione del concetto di barocco in cui sono evidenti i fattori comuni alla nostra epoca, Wöllflin scrive: «il Barocco vuole rapirci con la forza del suo impatto, immediato e travolgente (...) L'impatto fugace del Barocco è potente ma ben presto ci lascia con un senso di desolazione: non trasmette un sentimento di felicità, ma di incompiutezza e di insoddisfazione, di inquietudine piuttosto che di appagamento».2 Inserendosi in questo filone, Barney si appropria dei mezzi e dei contenuti dell'epoca, e ci restituisce un'opera il cui significato è sempre sfuggente ed enigmatico, perché si cela dietro l'accumulo, barocco appunto, di metafore, allusioni e citazioni, per creare una struttura tematica polisemica; segni e simboli proliferano, lo spettatore deve interpretare ciò che vede e legare insieme i vari elementi seguendo rapporti non di consequenzialità narrativa, ma scoprendo e percorrendo le possibili chiavi di lettura. Già dalle prime opere Barney esplicita un’estetica fondata sull'ibridazione; sport, spettacolo, droghe, omicidi, starlette, rock, ogni elemento parla di un mondo, quel mondo che già come principio costitutivo originario percepisce come indefinibile, in costante mutamento e in equilibrio instabile, questo è il principio di indeterminatezza causato dal continuo oscillare tra Situation e Condition, tra l'impulso primitivo all'azione e il momento di elaborazione in cui tale materia grezza primaria viene disciplinata e quindi indirizzata verso la costituzione definitiva di qualcosa. Il Path - Percorso - di Barney cortocircuita, e la Production, la fase finale di realizzazione compiuta, non avviene mai. L'idea nasce, si sviluppa, ma invece di venire elaborata resta invischiata in una trama densa di emozioni, sentimenti e interferenze esterne che la riplasmano continuamente non lasciandole prendere una forma definita. 2 Abilità sportiva, sforzo fisico, sessualità, azione rituale, il tutto esibito in forma performativa. A partire già dal Field Dressing (1989) nell'arte di Barney le tematiche si fondono e confondono. Il football e le sue regole dal TRANSEXUALISproject (1991) a OTTOshaft (1992) al Cremaster 4 (1994) scandiscono la sequenza narrativa quasi commentando metaforicamente lo svolgersi degli eventi intrecciandosi con un’onnipresente tematica sessuale. Mitologia celtica, come ritorno alle origini, e storia americana degli anni Trenta fanno eco all'esigenza di raccontare un personale percorso di crescita che diventa paradigma dell'evolversi della civiltà, in Drawing Restraint 7 (1993) come nel Cremaster 3 (2002) . Mormonismo e principi massonici, dottrine improntate all'autodisciplina e al rispetto della gerarchia si scontrano con la hybris della società contemporanea. L'atmosfera patinata del mondo dello sport e della moda, delle icone del cinema e del regno delle drag queen acuisce il contrasto nel momento del passaggio alla cronaca nera, e così le ballerine ammiccanti del Cremaster 1 (1995) ci lasciano con sorrisi smaglianti sul volto che si spengono nell'aria cupa e nei toni forti del rock del Cremaster 2 (1999) che introduce il momento di rottura dell'equilibrio, la narrazione dell'omicidio di Gary Gilmore.3 Lo stesso linguaggio in Matthew Barney assume una morfologia variegata e sfaccettata. «Barney visual language is protean: drawing and film united to engender photography and sculpture, which, in turn, produce more drawing and film, in an incestuous intermingling of materials that defies any hierarchy of artistic mediums».4 Così Nancy Spector, curatore del Guggenheim Museum di New York, si esprime a proposito del Cremaster Cycle. La commistione di generi caratterizza lo stile espressivo dell'artista americano, ma è soprattutto a livello dei mezzi espressivi utilizzati che la sua produzione artistica risulta difficilmente inquadrabile in uno stile unico e definito. Video performance, videoarte o semplice registrazione di un atto? Dagli anni '60 con la smaterializzazione dell'opera d'arte nasce l'arte video come adeguamento alle nuove tecnologie visive esplorando le possibilità del mezzo nella costruzione e nell'accostamento delle immagini. Dagli anni '80 il video incorpora il cinema sperimentale e d'avanguardia e Barney si inserisce in questo clima, in cui nelle sperimentazioni video convergono sintesi delle arti, performance, e l'uso del corpo che entra in scena anche in relazione alla dimensione temporale e allo spazio che occupa. Quella di Barney si potrebbe, quindi, intendere come performance ripresa in video come la definisce Valentina Valentini, «...(ben organizzata, diretta e pensata nel senso che l'atto performativo è a sé stante ma non totalizzante)»5 ma, al 3 tempo stesso avvicinabile anche al cinema d'artista «...la cui densità e ridondanza tematica narcotizza la dimensione linguistica-espressiva...».6 Collocandosi in una posizione intermedia l'arte di Barney aggiunge alla frammentazione e alle interruzioni irrazionali un complesso sistema di segni e riferimenti che accentuano sia la dimensione onirica del cinema d'artista sia l'impronta concettuale delle video performance. Le possibilità di esplorare l’arte di Matthew Barney sono diverse e molteplici. L’ibridazione non è solo principio organizzativo ma è anche un tema cardine che abbraccia l'intero iter creativo che ruota attorno all'uomo, in particolare in quanto corpo, attorno all'idea di trasformare, immaginare nuovi orizzonti di significazione del corpo, sondarne limiti e possibilità, «Ed il corpo diviene la zona di confine dell'identità, di ibridazione fra l'io e l'altro, fra una cultura e l'altra, fra il reale e il virtuale, (…) Ed è l'identità il nuovo campo d'azione dell'arte».7 Dai tentativi di superamento dei caratteri che definiscono il concetto di umano della fase transumana si ridisegna il quadro della società contemporanea, dell'arte di oggi in cui i soggetti corporei si adattano e riflettono il caos presente; il corpo è ora modificabile e malleabile, non è più un limite ma un nuovo territorio da esplorare e l'identità si trasforma insieme ad esso soprattutto con le sperimentazioni estreme di un mondo in cui ormai tecnologico e biologico si fondono, in cui l'inorganico viene incorporato dall'organico, in cui l'umano si apre alla contaminazione con la macchina. Si parte dalla Body Art , dalle esperienze estreme degli anni '70, da Bruce Nauman, Vito Acconci, Chris Burden, e si arriva al Manifesto Cyborg (1985) di Donna Haraway e alla sua metafora della condizione umana dominata dal dualismo: uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente. Passando attraverso l'arte trasgressiva e provocatrice di Orlan, le sperimentazioni d’innesto tecnologico di Stelarc le indagini sulla carne e il corpo di Jana Sterbak e Janine Antoni, arriviamo alla confusione di identità, materia e forma di Matthew Barney. The Fairies in Cremaster 4 sono figure androgine, The Laughton Candidate [fig. 2] ha delle protuberanze protesiche in silicone, nelle prime sperimentazioni artistiche protagonista è un corpo che diventa tutt'uno con la vaselina; ma, dove l'estetica postumana dello sconfinamento del biologico nel tecnologico, della confusione di naturale e artificiale, si esprime in maniera più significativa è in The Entered Novitiate, ovvero la campionessa paralimpica Aimee Mullins [fig. 3]. Perfetta sintesi tra corpo naturale e sintetico, Aimee Mullins convive fin dall'età di un anno con delle protesi dalle ginocchia in giù; superamento della natura e adattamento alle nuove tecnologie, l'atleta e modella corrisponde al cyborg di cui parlava la Haraway così come 4 anche la figura di The Entered Apprentice, punito per aver tentato di oltrepassare i propri limiti, subisce l'inserimento di un residuo di materiale meccanico all'interno della cavità orale. Al contatto con l'inorganico, però, il sistema organico collassa, finché assimila il corpo estraneo, espia la sua colpa e ciò gli permette di proseguire e di evolversi, esattamente come accade nella contesto socio-culturale attuale. Ma nell'era postumana c'è anche un altro confronto fondamentale, quello con il regno animale. Da sempre l'animale è oggetto di un rapporto con l'umano, è il primo elemento di alterità con cui l'uomo si sia confrontato, ed è per questo che spesso è stata utilizzata l'ibridazione uomo-animale come vero e proprio doppio, si usa l'animale per identificare metaforicamente caratteristiche o proprietà dell'individuo o di una popolazione. È la tendenza alla zoomimesi che Roberto Marchesini definisce ispirazione teriomorfo-mediata.8 L'uomo ha da sempre subito il fascino della forma animale ma, nel Novecento, prevalentemente in senso negativo; il terrifico, il mostruoso, il diverso, qualcosa che spaventa per il semplice motivo di essere altro da noi. In Barney la presenza di personaggi teriomorfi è indicativa di una volontà di rappresentare il meraviglioso contemporaneo attraverso il meraviglioso animale passato, però, al filtro del processo articolato di rimaneggiamento della zoopoiesi: l'utilizzo della forma animale modificata tramite particolari modelli interpretativi. È quello che accade con The Laughton Candidate in Cremaster 4, figura metà uomo e metà capra, in questo caso il modello di riferimento è la pecora Laughton o ad esempio le figure dei Satiri in Drawing Restraint 7 [fig. 4]. Anche in questo caso, però, l'espressione più significativa di tale tendenza è Aimee Mullins; nel Cremaster 3 avviene la sua trasformazione, quasi totale, in ghepardo, le sue protesi alle gambe, infatti, sono ispirate proprio alle zampe del ghepardo e ciò ovviamente rafforza l'identificazione con l'animale [fig. 5]. La donna ghepardo è inoltre una predatrice, quindi è il momento della lotta contro la ferocia degli istinti primitivi, quegli impulsi che l'uomo deve sedare per poter continuare il suo cammino. Attraverso il corpo metamorfico, i corpi mostruosi, deformati, tecnicizzati, «...Barney sembra porre delle domande rispetto alla soggettività umana ridotta alla posizione metabolica della passività (…) propone corpi di cui ci sfuggono caratteristiche e carattere, presenta un universo che ha le morfologie di una dimensione psichica alterata, aliena, ansiogena...».9 Mutazioni e alterazioni confluiscono quindi nell'arte, un'arte che fa proprie le contaminazioni, diventa luogo di incontro, luogo ibrido per eccellenza dove trovano spazio tendenze e tensioni della cultura contemporanea. 5 IMMAGINI 1. The Giant, Cremaster Cycle, Cremaster 5, 1997. 2. The Laughton, Candidate, Cremaster Cycle, Cremaster 4, 1994. 3. Aimee Mullins, atleta e modella statunitense. 4. Satiri, Drawing Restraint 7, 1993. 5. The Enetred Novitiate, Cremaster Cycle, Cremaster 3, 2002. 1. Eduardo Cicelyn, “La cosa Barok”, in Eduardo Cicelyn e Mario Codognato (a cura di), Barok. Arte, Scienza, Fede e Tecnologia nell'età contemporanea, Mondadori Electa, Milano, 2009. 2. Norman Rosenthal, “Il XXI secolo come il XVII secolo: una nuova epoca barocca?”, in Eduardo Cicelyn e Mario Codognato (a cura di), Barok. Arte, Scienza, Fede e Tecnologia nell'età contemporanea, Mondadori Electa, Milano, 2009. 3. La vicenda di Gary Gilmore fece scalpore perché la sua fu la prima esecuzione dalla reintroduzione della pena di morte negli Stati Uniti, ma soprattutto perché lui scelse la fucilazione per rispettare la legge Mormone del Blood Atonement secondo cui il sangue si lava solo versando altro sangue. 4. Nancy Spector, Matthew Barney: The Cremaster Cycle, Guggenheim Museum Pubblications, New York, 2002. 5. Valentina Valentini, “Cremaster, un monumento alla forma merce”, in Antonio Fasolo, Matthew Barney, Cremaster Cycle, Bulzoni, Roma, 2009, p. 14. 6. Ibidem 7. Francesca Alfano Miglietti, Identità mutanti. Dalla piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee, Bruno Mondadori, Milano, 2008, p. 44. 8. Roberto Marchesini, Post-Human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2002, p. 106. 9. Francesca Alfani Miglietti, Nessun tempo, nessun corpo... Arte, Azioni, Reazioni e Conversazioni, Skira, Ginevra-Milano, 2001, p. 173. 6