Giorgio Sinigaglia - Le Montagne Divertenti

Transcript

Giorgio Sinigaglia - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
N°34 - AUTUNNO 2015 - EURO 5
Racconti
José Arcadio Buendía
Rifugi
I 90 anni del rifugio
Luigi Mambretti
Alpi Orobie
Due giorni attorno al
monte Gleno
Approfondimenti
La “diga schiantata” del
Gleno
Val Grosina
Dal Sassalbo alla vetta
Sperella
Val Masino
La traversata dei Corni
Bruciati da pra Isio
Valmalenco
Alta Via: 5a tappa, dal
lago Palù alla Marinelli
Orobie
Passeggiata da Faedo a
San Bernardo
Valchiavenna
Da Chiavenna al lago
del Grillo
Alta Valtellina
Monte Varadega
Valtellinesi nel
Mondo
Mosca-Pechino in treno
Natura
Migrazioni: in volo sulle
Alpi
Inoltre
Ricette della nonna,
foto dei lettori, giochi...
Giorgio Sinigaglia
Un lampo nei cieli della val Grosina
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VAL MASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
Beno
Vorrei dedicare questo numero della rivista a Marco Gianatti.
Unendo un impegno e un altruismo esemplari, Marco è riuscito, tra le altre attività di volontariato, a ideare e organizzare
indimenticabili momenti di aggregazione incentrati sulla corsa e ambientati nel versante retico valtellinese: un connubio tra
sport e natura che ha invitato molti a scoprire il territorio e ad affezionarsi alle bellezze dei nostri paesi.
Ora che un incidente sul lavoro se l'è portato via, non posso fare altro che ringraziarlo a nome di tutti quelli che come me
hanno beneficiato della sua creatività e della sua tenacia, augurandomi che presto qualcuno possa raccogliere il testimone
che ha lasciato.
2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
Editoriale: alba al lago di Malghera (26 settembre 2014, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
In copertina: il pizzo Tresero specchiato nel lago della Manzina (15 settembre 2014, foto Beno - www.clickalps.com).
Editoriale
LE
MONTAGNE
DIVERTENTI
Ultima
di copertina:
la chiesa di San Bernardo in val di Rezzalo (17 ottobre 2014, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com).
3
Speciali
lpinismo
peciali
E
R
scursionismo
ubriche
O
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
A
S
0
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Editore
Beno
Direttore responsabile
Enrico Benedetti
38
78
Giorgio Sinigaglia (1875-1898)
Alpi Orobie
Valmalenco
Anello del Gleno (m 2883)
Alta Via: 5a tappa (lago Palù - Marinelli)
18
52
92
Realizzazione grafica
10
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Roberto Moiola
I
Redazione
Racconti inediti di Antonio Boscacci
Approfondimenti
Versante Orobico
Esploratore e illustratore della val Grosina
Beno
Revisore di bozze
Valtellinesi nel mondo
Mosca - Pechino in treno
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
A
La “diga schiantata” del Gleno
Natura
Passeggiata a Faedo
Migrazioni: in volo sulle Alpi
13
José Arcadio Buendía
10
Avis Comunale Sondrio, Marco Bettomè, famiglia Aldo
Balatti, famiglia Piero Melazzini, Diego De Paoli, Giorgio
Colombo, Enrico Minotti, Michele Comi, Luciano
Benedetti, Franco Monteforte, la Tipografia Bonazzi, gli
edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli
sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti
quelli che ho dimenticato di citare.
8
Si ringraziano inoltre
12
Anna Triberti, Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Carlo
Nani, Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Fabio Pusterla,
Giacomo Meneghello, Giovanni Rovedatti, Jacopo Rigotti,
Katia Ballatti, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini,
Luisa Piganzoli, Marco Santin, Marino Amonini, Mario
Sertori, Matteo Tarabini, Maurizio Torri, Nicola Giana,
Raffaele Occhi, Roberto Dioli (Caspoc'), Roberto Ganassa,
Sergio Scuffi, Valentina Regonesi, Vittorio Vaninetti.
R
Hanno inoltre collaborato a questo numero:
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380138
Sassalbo (m 2862) - Sperella (m 3075)
Approfondimenti
Rubriche
Chiesa di San Bernardo - gli affreschi
Le foto dei lettori
14
Val Grosina
Rifugio Luigi Mambretti
2
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
90 anni
10
Contatti, informazioni e merchandising
2
registra il tuo indirizzo email su
www.lemontagnedivertenti.com
56
Per ricevere la nostra newsletter:
26
Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio
M
Stampa
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Valchiavenna
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in segreteria).
Lago del Grillo (m 1960)
4
4
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costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
M
Abbonamenti per l’Italia
Giochi
Soluzioni del n. 33 e concorsi del n. 34
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
Prossimo numero
Versante Retico
Alta Valtellina
Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097)
Cosa portare con sé
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Varadega (m 2635)
6
Escursioni di più giorni
14
4
11
LE MONTAGNE DIVERTENTI 64
4
35
S
21 dicembre 2015
O
Arretrati
Le ricette della nonna
Mac: minestra tipica della val Gerola
Sommario
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
Ausserferrera
3062
2115
Mulegns
3279
3378
Lago d
i Lei
Madesimo
Bivio
St. Moritz
Campodolcino
Maloja
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
3183
Mera
Pizzo Galleggione
3107
CHIAVENNA
Prata
104
Camportaccio
Somaggia
ra
T. Code
3032
Postalesio
Berbenno
Castione
Colorina
Tartano
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
Ornica
LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio
Foppolo
Carona
Mezzoldo
Cùsio
Piazzatorre
Valtorta
Pasturo
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Cassiglio
Olmo
al Brembo
T. V
enin
a
T. Livrio
Albaredo
Pizzo Campaggio
2503
Adda
Tresenda
Arigna
Carona
Aprica
Còrteno
Autunno 2015
Mazzo
Vilminore
Colere
Villa
Pizzo Camino
2492
52 Alpi Orobie
114
Vione
Passo del Tonale
1883
Monte Fumo
3418
Monte Carè Alto
3462
Saviore
Alta Via: 5a tappa
(Eliana e Nemo Canetta)
Passeggiata a Faedo
(Gioia Zenoni)
104Valchiavenna
Lago del Grillo (m 1960)
(Luciano Bruseghini - Sergio Scuffi)
114 Alta Valtellina
Capo
di Ponte
LE MONTAGNE DIVERTENTI 78 Valmalenco
Valle
Làveno
Corni Bruciati
(m 2958 - m 3114 m 3097)
92 Versante Orobico
Adamello
3554
Berzo
Paisco
64 Versante Retico
(Beno)
Ponte
di Legno
Edolo
Garda
(Raffaele Occhi)
(Beno)
Sonico
Concarena
2549
100
Incudine
Monno
Cortenedolo
Punta San Matteo
3678
Passo di Gavia
2618
La “diga schiantata”
del Gleno
Sassalbo (m 2862) Sperella (m 3075)
Pezzo
Pezzo
Monte Serottini
2967
Vezza
d'Oglio
Palone del Torsolazzo
2670
Schilpario
Anello del Gleno (m 2883)
56 Val Grosina
Forni
Corno
corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Malonno
Pizzo di Coca Monte Torena
2911
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo di Redorta
Loveno
38
3039
Monte Gleno
Pizzo del Diavolo
2883
Valbondione
di Tenda
Passo del Vivione
2914
52
1828
Gromo
Fumero
Sondalo
Passo dell'Aprica
Pizzo di Rodes
Gandellino
Monte Confinale
3370
Le Prese
Tovo
Lovero
Sernio
TIRANO
Bianzone
Teglio
Monte Cevedale
3769
Santa Caterina
(Marino Amonini)
38 Alpi Orobie
frana
di val Pola
Adda
26
2829
Branzi
Roncorbello
Monte Masuccio
2816
Gran Zebrù
3851
Cepina
Grosotto
Brusio
Ponte in Valt.
92
Albosaggia
Caiolo
Tremenico
Premana
SONDRIO
Boirolo
BORMIO
Grosio
Chiuro
Sirta
Talamona
Bema
3136
Tresivio
MORBEGNO
Bellagio
6
Bùglio
Ardenno
Torre
di S. Maria
Malghera
Fonta
na
Caspano
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Dervio
Cevo
3323
Le Prese
Vetta di Ron
T. Mallero
2845
Verceia
3114
64
Pizzo Scalino
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
56
Poschiavo
T. Va
l
Cima del Desenigo
Monte Legnone
2610
Lago
di Como
Primolo
T. Caldenno
Còlico
Monte Disgrazia
Bagni
3678
di Masino
Pizzo Ligoncio
San Martino Corni Bruciati
San Carlo
Ortles
3905
San Antonio
Valdisotto
Cima di Saoseo
3264
Eita
78
Sasso Nero
2917
3378
Novate
Mezzola
Lago
di Mezzola
Chiareggio
Cima di Castello
o
T. Masin
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
Dongo
3308
La Rösa
i
od
Lag chiavo
Pos
2459
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
Vicosoprano
Cima Piazzi
3439
4049
Passo del Muretto
2562
Bondo
Passo del Bernina
2323
Oga
Rifugio Luigi Mambretti
(Beno)
Bagni di Bormio
Premadio
T. Roasco
Gordona
Soglio
Castasegna
Prosto
Mese
Piz Palù
Pizzo Bernina 3906
Casaccia
Isolaccia
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
T.
La
nte
rna
Fraciscio
Passo dello Stelvio
2757
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Solda
Solda
Giogo di Santa Maria
2503
Trepalle
Pianazzo
Pizzo Quadro
3013
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Mera
3209
Livigno
3057
Cresta
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
26 Alpi Orobie
Stelvio
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3159
Inn
Montechiaro
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Julia
Curtegns 1864
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
Pizzo Tambò
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Monte Re di Castello
2889
Monte Varadega (m 2635)
(Eliana e Nemo Canetta)
Niardo
Niardo
© Beno
© Beno
2010/2015
2011 - riproduzione
- riproduzione
vietata
vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche, tempistiche e mappe
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del
percorso, tra cui dislivello positivo, tempo di percorrenza e difficoltà. Nella pagina a fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Nelle
schede sintetiche alla voce "dettagli" viene indicata la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche fornite nel testo descrittivo sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Con dislivello si sintende il dislivello positivo.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica,
permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario più consono alle proprie capacità.
Nelle mappe, perlopiù realizzate con scala 1:50000, sono rappresentati: dorsali delle montagne, passi, vette, torrenti,
laghi, ghiacciai, zone abitate, chiese, rifugi e strade carrozzabili. Per chiarezza non sono disegnati i sentieri, ma, in rosso, il
solo itinerario descritto nell'articolo. Altri colori indicano eventuali varianti.
se la linea dell'itinerario è continua significa che questo si svolge su sentiero bollato o comunque evidente;
il tratteggio invece indica che si è al di fuori dei sentieri o su tracce poco evidenti. Il percorrimento di tali rotte è
riservato ad alpinisti ed escursionisti esperti.
Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o
addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la
camporella, anche per le coppiette meno esperte.
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
1 - Se non vi sono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3,5 km/h su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare
l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Assolutamente sicuro
Bello
Basta stare un po’ attenti
Imperdibile
FATICA
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ORE DI PERCORRENZA
Anche per uomini larva
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Un massacro
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
DISLIVELLO IN SALITA
meno di 4 ore
meno di 800 metri
dalle 4 alle 9 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 9 alle 13 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 13 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
È meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
temerari e dopati.
È richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
È consigliabile una guida.
Valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica ed esperienza
alpinistica. Servono
sprezzo del pericolo
e, soprattutto, barbe
lunghe e incolte.
Speciali
Giorgio Sinigaglia
Esploratore e illustratore della val Grosina, Giorgio Sinigaglia è considerato
uno dei maggiori conoscitori di quelle montagne, sebbene il destino non gli
abbia concesso che 23 anni di vita.
Raffaele Occhi
10
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giorgio Sinigaglia (1875-1898)
11
Personaggi
Speciali
INCONTRO A EITA
on c’era nessuno ad Eita
a salutarci, e la porta del
rifugio era saldamente chiusa. Una
donna venne presto in nostro aiuto, e
riuscì a farci capire che eravamo attesi.
Ma niente provviste, niente vino;
null’altro che nude pareti!! Tuttavia,
due ore più tardi, udimmo delle grida
gioiose, e poco dopo apparve il Signor
Sinigaglia in persona, seguito da numerose “portatrici” (poiché gli uomini della
valle in estate emigrano), che trasportavano viveri e bevande d’ogni eccellente
qualità».
Così quell’autorità alpinistica che
fu il reverendo William Augustus
Brevoort Coolidge (New York 1850 Grindelwald 1926) ricordò l’incontro
con «il Signor Sinigaglia, che molto
gentilmente era venuto ad Eita apposta
per incontrarmi [...] ma nessuno di noi
sapeva che questo nostro primo incontro
sarebbe stato anche il nostro ultimo su
questa terra».
Quell’abboccamento dell’estate del
1897 col grande «eremita di Grindelwald», arrivato a Eita da Zernez via
Livigno con la sua fedele guida Christian Almer il giovane, la dice lunga
sui larghi orizzonti della breve quanto
intensa carriera alpinistica di Giorgio
Sinigaglia. I suoi studi sulla val Grosina
lo videro in corrispondenza, oltre che
con Coolidge, con altri illustri alpinisti, sia italiani che stranieri, fra i quali
Cederna, Ronchetti e Ghisi, Freshfield
e Prielmayer, Darmstädter e Schumann, Blodig e Purtscheller.
Sinigaglia aveva con sé, come guide,
Antonio Baroni e Pietro Rinaldi.
Con Coolidge, che stava compilando una “Climbers’ Guide” di quella
regione, intendeva compiere alcune
ascensioni, ma a causa del vento impetuoso dovettero inizialmente rimandarle restandosene tappati nel rifugio
(la cosiddetta Casa d’Eita, costruita
dalla fabbriceria di Grosio con un
sussidio della Sezione di Milano),
uscendone solo di rado per prendere
una boccata d’aria sul piazzale davanti
alla chiesa; tuttavia - appuntò - «non
potei oltremodo lamentarmene, perché
avevo diversi argomenti da discutere col
reverendo, ed inoltre tanto lui quanto
Almer sono una carissima e brillante
compagnia».
In quei giorni, con tanti personaggi
Casa e chiesa di Eita (disegno di G. Gugliermina
tratto da due fotografie di Giorgio Sinigaglia e
riportato sul Bollettino del CAI del 1897).
In copertina di questo articolo: Giorgio
Sinigaglia e il Santuario della Madonna del
Muschio di Malghera ritratti in un acquerello di
Kim Sommerschield (www.sommerschield.it)
che unisce passato e presente.
La torre campanaria, infatti, risale al 1910, ben
dopo la morte di Sinigaglia, ma come il giovane
esploratore è presto diventata uno dei simboli
della valle.
«N
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI dai più diversi idiomi - inglese, tedesco,
italiano, bergamasco, grosino - la Casa
d’Eita doveva esser una sorta di Babele
fra i monti. Infatti, «nella capanna
s’udivano tutte le lingue vive e morte (con
un prete arrivato il sabato sera, il latino
fu una grande risorsa), compreso il pretto
bergamasco del bravo “Toni” che se la
cavava del resto abbastanza bene con un
po’ di francese. Gran parte del tempo fu
però dedicato a preparativi culinari, e ne
fa fede un “menu” firmato da Coolidge e
da me, sul libro dei visitatori».
Si approfittò pure della sosta per fare
un po’ di fotografie, una delle quali
(vedi pag. 14 - rarità rinvenuta fra le
carte del conte Lurani Cernuschi,
l’esploratore della val Masino) ritrae
Sinigaglia e Coolidge, e dietro di loro
Baroni e Almer, mentre stanno esaminando una carta topografica; fu probabilmente scattata da Pietro Rinaldi e
porta la data del 30 luglio 1897.
Il giorno successivo, cessato il vento,
la giornata non poteva esser più bella;
risalirono tutti insieme la val Vermolera
e dal lago Spalmo - «grazioso laghetto,
dall’azzurro scurissimo delle sue acque» raggiunsero il colle di Lago Spalmo, «il
più importante del gruppo omonimo, che
sin dall’altro anno aspiravo raggiungere,
e che avevo tentato invano nello scorso
inverno».
Mentre Coolidge, piuttosto stanco in
quanto reduce da una grave malattia,
preferì tornare a Eita per la medesima
via, Sinigaglia con Baroni e Rinaldi
scese il ripido ghiacciato versante
settentrionale del colle con la sua larga
crepaccia terminale (la “bergsrunde”
come lui la chiamò), per poi risalire
alla cima Orientale di Lago Spalmo
che toccarono a ora ormai avanzata.
«Capita raramente - scrisse - di trovarsi
sopra una vetta elevata verso sera: è uno
degli spettacoli più maestosi e, oso dire,
commoventi che si possano godere. E una
festa di colori in tutte le più vaghe delicate sfumature, e le vette s’ergono sino in
lontananza con una nitidezza che, specie
all’estate, non è dato avere nelle altre ore
del giorno».
Era ormai notte quando rientrarono a Eita, dov’erano tutti in grande
agitazione; quando finalmente arrivarono, Coolidge accolse Sinigaglia stringendogli la mano con un: «Vi credevo
perduto, completamente perduto!»
Autunno 2015
LA RIVELAZIONE DELLA VAL
GROSINA
ocio della Sezione di Milano
del CAI dal 1894, così come
della Sezione Valtellinese (ma pure del
DuÖAV di Monaco) Giorgio Sinigaglia aveva messo piede per la prima
volta in val Grosina, ventunenne,
nell’inverno del 1896. Lo spunto per
andarla a conoscere, «approfittando
degli ultimi giorni di carnevale», gliel’aveva dato il bell’articolo di Antonio
Cederna pubblicato sul Bollettino
del CAI del 18911, che «già da tempo
m’incitava a visitare quella regione
ancor quasi sconosciuta agli alpinisti».
A Grosio, raggiunta «dopo cinque
ore di ferrovia e sei di diligenza», s’incontrò all’albergo Gilardi con Battista
Confortola, la nota guida di Valfurva
ingaggiata per l’occasione, e «col portatore Rinaldi, brav’uomo e bel carattere».
I tre, cui si è aggregato «l’asino di
Rinaldi, carico dei sacchi e delle provviste», partono per Eita ma, inoltratisi nella valle, «il sentiero in alcuni
S
1 - Antonio Cederna, Val Grosina. Cenni topografici
e turistici in Bollettino del CAI, 1891, p. 78-97;
http://bit.ly/1WFr2dc
LE MONTAGNE DIVERTENTI punti incominciava ad essere ricoperto
di ghiaccio. L’asino scivolava... e per un
momento vidi tutte le provviste in fondo
al torrente. Lo rialzammo, ma non
voleva più procedere. Sin allora aveva
faticato per noi, ora toccò a noi lavorare
per lui e scavargli i gradini nel ghiaccio...
ed era comico il vedere con quale attenzione e prudenza l’intelligente bestia
posava le zampe negli scalini»!
Ad ogni buon conto, per Sinigaglia la val Grosina fu una rivelazione.
«Il panorama d’inverno, colle vette ed i
versanti a nord ricoperti di neve, destava
veramente meraviglia, come pure ci
sorprendeva l’attività che regnava nella
valle popolatissima. Ad ogni istante s’incontravano sulla mulattiera uomini e
donne, queste nel loro pittoresco costume,
e bestiame e carretti carichi di legno e
fieno».
Sinigaglia aveva un programma
ambizioso: Sasso di Conca, discesa per
la vedretta di Dosdé, capanna Dosdé,
cime di Lago Spalmo e ritorno a Eita.
Ma il diavolo ci mise lo zampino…
e il giorno dopo una nebbia fittissima
li costrinse a restar tappati nel rifugio,
non senza fare «onore all’ottimo vino di
cui Gilardi tiene provvista la capanna».
Ma Sinigaglia non si diede per vinto e
disse a Confortola: «Io non ho assolutamente voglia di tornarmene a Milano
colle pive nel sacco. Domani, qualunque
sia il tempo, tenteremo l’ascensione del
Sasso di Conca. Alla cresta ci condurrà
Rinaldi anche colla nebbia, perché
pratico dei luoghi. Raggiunta che essa sia,
la seguiremo... finché non vi sarà più da
salire, prova evidente che saremo giunti
in cima. Andremo su in un sacco e torneremo giù in un baule, ma almeno, come
diceva il povero Carrel, “nous mettrons
la montagne dans notre poche” 2 ».
E così il giorno dopo raggiunsero
la vetta del Sasso di Conca, senza
trovar traccia di precedenti ascensioni.
Mentre salivano lungo la cresta sud,
«ad un tratto un colpo di vento spazzò
la nebbia sopra di noi, e lì davanti
nell’azzurro del cielo vedemmo spiccare
la nostra punta illuminata dai raggi del
sole. Un grido di entusiasmo proruppe
dai nostri petti. Girando lo sguardo una
moltitudine di vette si delineavano con
quella nitidezza che solo nell’inverno è
dato di ammirare… Ma ciò che sopratutto m’interessava erano i monti della
Val Grosina: ne rimasi incantato».
CLIMBING REMINISCENCES IN
THE DOLOMITES
iorgio Sinigaglia, nato a
Milano nel 1875, aveva
cominciato i suoi giri fra le Alpi a 14
anni, sotto l’ègida del cugino Leone
Sinigaglia, quando, con la guida
Antonio Baroni di Sussia e il portatore Ravaglia di Fiumenero, aprirono
una via nuova al Redorta nelle Orobie
per la parete est.
Il cugino, quel Leone Sinigaglia noto musicista ebreo torinese, allievo
di Dvoràk e amico di Brahms e di
Maler - che vide morire la sua guida
G
2 - Misuriamo la montagna nella nostra tasca.
Giorgio Sinigaglia (1875-1898)
13
Personaggi
Speciali
Barbaria, Tobia Menardi, Pietro
Dimai - «arrampicatore sicuro ed
elegantissimo» - e Arcangelo Dibona.
Le Dolomiti, scrisse Giorgio Sinigaglia, «hanno per me il merito, soprattutto, di offrire delle scalate brevi, è
vero, ma che ti assorbono completamente, al punto che neppur un istante
la mente può volgersi ad altro che alla
tecnica, alla voluttà dell’arrampicare».
IL FASCINO DELL’ARRAMPICATA
l fascino dell’arrampicata e le
figure di quelle grandi guide
dolomitiche gli rimasero nel cuore;
qualche anno dopo, precursore con i
suoi scritti dello sviluppo alpinistico
delle Grigne, scriveva: «Questa zona
vicinissima a Milano, e quindi molto
frequentata, è la miglior palestra per
roccia che si possa desiderare... Con
un Bettega o un Dimai ed un paio di
“kletterschuhe” si potrebbero provare a
poche ore da Milano, su per le pareti e
gli arditi pinnacoli delle due Grigne, le
più intense e deliziose emozioni che una
scalata dolomitica possa dare».
La Grigna meridionale l’aveva
salita per la prima volta d’inverno, nel
febbraio 1896, e l’estate successiva ne
fece la prima traversata da Ballabio
a Mandello, lungo quella cresta che
prese da lui il nome di “cresta Sinigaglia”. Lo troviamo poi al Grignone,
al Resegone, al Cornizzolo, al San
Martino e, saltando sull’altro ramo
del lago, nelle Prealpi Comasche
sopra Livo.
L’anno precedente, Sinigaglia era
stato in Engadina dove agli inizi di
agosto aveva fatto la prima ascensione della parete sud-est del piz
Lagrev con Johann Eggenberger,
scendendo in tempo per il pranzo
alla table d’hôte di Sils-Maria. Ancora
con Eggenberger e suo fratello
Andrea (ahimè, «dalla tariffa elevatissima») andò a pernottare alla capanna
del Forno e il giorno successivo
raggiunsero il Sissone e il Disgrazia;
scesero quindi in val di Mello e, non
trovando alloggio né ai Bagni di
Masino né a San Martino, conclusero
le loro fatiche a notte fatta - l’ultimo
tratto in carrozza - ad Ardenno.
Poi, nella seconda metà d’agosto,
si portò nel gruppo del monte Rosa,
dove realizzò la traversata del colle
delle Loccie da Alagna a Macugnaga.
I
Casa di Eita. Sinigaglia e Coolidge stanno esaminando una carta topografica; dietro di loro Baroni e
Almer.Immagine presumibilmente scattata da Pietro Rinaldi, unico del gruppo non ritratto in foto
(30 luglio 1897, archivio Francesco Lurani).
Jean Antoine Carrel (il “Bersagliere”)
al ritorno da un drammatico tentativo al Cervino, era stato «il primo
italiano di vaglia - così C.E. Engel
nella sua Storia dell’Alpinismo - ad
affrontare le Dolomiti»; e proprio
grazie a lui Giorgio Sinigaglia ebbe
la fortuna di compiere nel 1893 una
bella serie di scalate intorno a Cortina
d’Ampezzo, che il cugino musicista
descrisse poi con maestria nei suoi
Ricordi alpini delle Dolomiti (vennero
pure tradotti e pubblicati in inglese
nel volume Climbing reminiscences in
the Dolomites).
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI Salirono il Pelmo, il Becco di
Mezzodì, l’Antelao e il Cristallo, poi
le Tofane, la Dreischusterspitze (cima
Tre Scarperi) e l’Elferkofel (cima
Undici); allo Zwölfer (Croda dei
Toni), nel risalire un camino Giorgio
«s’era cacciato in un buco e impigliato talmente, che ci volle del bello e
del buono perché ne uscisse, stirandosi
maledettamente per tutti i versi»!
Nelle varie ascensioni, oltre al
portatore
della
Valtournanche
Charles Gorret - scelto da Leone
Sinigaglia - , li accompagnarono le
migliori guide di Cortina: Giovanni
Autunno 2015
NELLE ALPI DI VAL GROSINA
Sinigaglia aveva dunque un curriculum di tutto rispetto quando nel
febbraio 1896 salì il Sasso di Conca.
Da allora, tutte le sue energie si
concentrarono sulle Alpi di val
Grosina, come ebbe a chiamare quel
gruppo montuoso in accordo con
Coolidge e Maximilian von Prielmayer. «Io ne rimasi talmente ammirato, che in febbraio dalla cima del
Sasso di Conca destinavo, abbandonando altri progetti di ascensioni in
gruppi altrettanto classici quanto conosciuti, di compiere la mia campagna
alpina in questa valle pittoresca».
Il 1° agosto dello stesso anno eccolo
dunque lasciare Milano per Eita,
dove trascorse 25 giorni, caratterizzati purtroppo da un «tempo orribile,
quale i vecchi della valle non ricordavano il simile»; tanto che l’anno
successivo, quando tornò in valle
dove dopo tanto secco s’auspicava
l’arrivo della pioggia, al suo apparire
i grosini smisero le preghiere: Sinigaglia era infatti considerato “foriero di
pioggia”, e non sbagliarono!
Ciononostante non sprecò il suo
tempo, ma ne approfittò per meglio
conoscere la gente e le sue usanze.
«Nelle lunghe ore di pioggia - ricorda
- mi compiacevo a conversare con quei
bravi montanari, e rimanevo sorpreso
della franchezza e verità di tante loro
risposte improntate di una certa filosofia… Certo vi sono ancora molte
superstizioni, specie nelle donne. Per
citarne una, me ne passeggiavo un
giorno colla mia macchina fotografica, e visto un gruppo di donne che
lavavano della biancheria, m’offersi
di ritrattarle. Non l’avessi mai fatto!
Una di esse cominciò ad urlare e, con
mia gran meraviglia afferrò perfino un
bastone, come per impedirmi di avanzare ... inutile aggiungere che l’istantanea la feci ugualmente. Seppi poi
essere opinione lassù che il nascituro
di una donna fotografata, deve essere o
scemo o storpio».
Senza dilungarci in un arido elenco
delle ascensioni compiute da Sinigaglia nella sua esplorazione sistematica delle Alpi di val Grosina, per le
quali si rimanda ai Bollettini del CAI,
facciamo solo un cenno ad alcune
delle sue prime più significative.
La vergine «Punta 3139 del
LE MONTAGNE DIVERTENTI Colle di lago Spalmo, versante S. Da sx: Almer, Coolidge, Sinigaglia e Baroni
(31 luglio 1897, immagine tratta dal Bollettino del CAI del 1898).
Redasco», che s’era messo in testa
di vincere quando l’aveva ammirata dal Sasso di Conca d’inverno e
che, «elegante ed esilissima, dal Pizzo
Matto si presenta sotto l’aspetto di una
“Aiguille”, ricordando senza esagerazione, come già dissi, il classico Dente
del Gigante», Sinigaglia la vinse con
Krapacher, guida di Premadio, la
vigilia di ferragosto del 1896: giunti
in vetta, la battezzò col nome gentile
di punta Maria, stappando per l’occasione una bottiglia di Asti spumante.
C’era poi quell’«elegante guglia che
proprio in faccia alla capanna [Dosdé]
s’eleva sopra il Lago Negro fra il Ricolda
ed il Dosso del Sabbione». Sinigaglia si
meraviglia di «come a nessun alpinista
sia mai venuto in mente di provarsi
a questa vetta, che si presenta snella e
tentatrice anche dall’opposta Val di
Sacco»; e allora ci si prova lui, arrampicandosi «superlativamente felice» in
maniche di camicia su quelle calde
e solide rocce che, quasi dandogli la
sensazione di trovarsi ancora nelle
Dolomiti, gli offrono «tutte le delizie
che un alpinista può desiderare».
Quella punta non aveva un nome,
e dal momento che domina il lago
Negro, la battezzò - col benestare di
Coolidge e Prielmayer - Corno di
Lago Negro. Sicuramente Sinigaglia non aveva pensieri superstiziosi,
quando vi costruì con Rinaldi il suo
tredicesimo ometto su una vetta
della val Grosina. Sta di fatto che
però, superstizione o meno, durante
la discesa per altra via un lastrone
smosso dalla corda lo colpì a una
spalla e sul braccio, per fortuna senza
gravi conseguenze se non un grande
spavento!
Del Sasso Maurigno, quello «splendido bastione di roccie che chiude a nord
la Val Grosina» e su cui con Rinaldi
costruì un «immane uomo di pietra», a
Sinigaglia è attribuita la “prima ascensione turistica”. Avvicinandoci poi
alla Piazzi, eccoci a quel caratteristico
dente roccioso della cresta di Verva,
il più elevato, che salì per primo con
Rinaldi nel 1897; dente roccioso al
quale il Regio Istituto Geografico
Militare, accogliendo una petizione
firmata da molti abitanti della valle
su proposta del colonnello Prielmayer
ed appoggiata dalla Sezione di Milano
del CAI, diede il nome ufficiale di
Corno Sinigaglia.
La val Grosina l’aveva così stregato
che più volte vi si recò anche nella
stagione invernale come quando, ad
esempio, nel marzo 1897 fece un
infruttuoso tentativo al colle di Lago
Spalmo con le guide Enrico Schenatti e Pietro Rinaldi, ritirandosi in
tempo per vedere, il giorno dopo, «i
Giorgio Sinigaglia (1875-1898)
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LE MONTAGNE DIVERTENTI pini enormi trasportati come piume nel
fondo della valle dalla potente onda
d’aria spostata prima ancora che la
valanga stessa fosse visibile!», e per fare
infine «onore ad un lauto pranzo offertomi con somma cortesia dal canonico
di Grosio il rev. Don Discacciati».
A quelle montagne dedicò una bella
monografia - Nelle Alpi di Val Grosina
- che, pubblicata sui Bollettini del
CAI del 18973 e del 18984 (rimasta
purtroppo incompiuta per la costiera
delle Sperelle e del Teo), fu premiata
con medaglia d’oro dalla Sezione di
Milano del CAI.
Era un invito alla valle, «un caldo
appello ch’io rivolgo ai colleghi» a visitare quei luoghi ed a farli conoscere,
sulla scia di un’ormai consolidata
tradizione che voleva il CAI promotore non solo dell’attività alpinistica e
scientifica fra le montagne, ma anche
della conoscenza e dello sviluppo
turistico delle regioni alpine. Come
scrisse l’allora presidente del CAI
Milano Antonio Cederna nel presentarne, postuma, la seconda parte, si
tratta di un lavoro «robusto e pregevole
[...] che conferma nell’Autore la qualità
di appassionato alpinista e di intelligente esploratore di monti». Quelle
pagine - piacevoli récits d’ascension (di
tono minore tuttavia rispetto ai lirici
Ricordi del cugino Leone) - hanno
per noi, oggi, il pregio dell’interesse
storico e documentario, fornendoci
non solo uno spaccato sull’esplorazione alpinistica, ma anche un’immagine della valle di oltre cent’anni fa,
con l’incontro tra la gente, le guide e
gli alpinisti all’epoca dei pionieri.
Ecco l’albergatore di Grosio sig.
Luigi Gilardi, del quale Sinigaglia
fa «pubblica lode per la premura ed
inappuntabilità con cui disimpegnò
il servizio dei viveri e per la ormai
così rara moderazione nei prezzi».
Ecco le grosine «dai begli occhi» e le
belle «matèle» a cui fare gli auguri
di Natale, o addirittura le donne al
torrente «che estraevano la sabbia fina
per preparare la calce»...
Ci sono poi le sue guide: Battista
Confortola di Valfurva, «il tipo
3 - Giorgio Sinigaglia, Nelle Alpi di Val Grosina
(prima parte), Bollettino del CAI, 1897, p. 157-217;
http://bit.ly/1UTzFiv
4 - Giorgio Sinigaglia, Nelle Alpi di Val Grosina
(seconda parte), Bollettino del CAI, 1898, p. 1-26;
http://bit.ly/1EDgobQ
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI perfetto della guida alpina, sobrio e
non chiacchierone», Giuseppe Krapacher (detto Todeschìn) di Premadio,
che viene a raggiungerlo a Eita (dopo
aver «passato la notte sulla montagna
senza riuscire ad inforcare il Passo di
Verva») per andare a vincere insieme
il pizzo Matto e la punta Maria del
Redasco, o ancora il simpaticissimo
Enrico Schenatti di Chiesa in Valmalenco, con cui tentò più volte la Torre
Centrale del Redasco («lontana somiglianza colla Kleine Zinne», battezzata poi punta Elsa dai primi salitori
Ongania e Facetti) e il Toni Baroni
dal viso raggiante dopo la vittoriosa
traversata del colle di Lago Spalmo.
Infine, nella sua modestia, il fedele e
assiduo compagno Pietro Rinaldi di
Grosio, il quale «ha le migliori doti
per formare una buona guida», e che
proprio gli scritti di Sinigaglia contribuirono a far conoscere nella cerchia
degli alpinisti.
A quegli anni risale anche l’amicizia
di Sinigaglia col barone Maximilian
von Prielmayer, che pure pubblicò
una monografia sulla val Grosina
nella Zeitschrift del 1897. Alla morte
di Sinigaglia, Prielmayer lo ricordò
in un breve necrologio sulle Mittheilungen: «quel giovane entusiasta,
gentile e modesto, le cui maniere del
resto conquistarono tutti quelli che lo
conobbero».
Nelle sue pagine troviamo poi
Antonio Facetti, «alpinista provetto
senza guide» che con Sinigaglia e
Rinaldi salì i Sassi Rossi, il Sasso di
Conca e la cima Piazzi nell’estate
del 1896, e infine Antonio Cederna
incontrato però non in val Grosina,
bensì nella sua casa di San Bernardo
sopra Ponte Valtellina, dove Sinigaglia fu ospite alcuni giorni durante il
rientro a Milano.
Della val Grosina ebbe pure ad
apprezzare anche l’intimità dei rifugi
come la capanna Dosdé («Come si
stava bene alla sera nel minuscolo
locale, ben riscaldato, che serve di
cucina. Nulla dà un’ aria più calda
e confortevole negli alti rifugi alpini
quanto la rivestitura in legno»), ma
pure, alla Casa d’Eita, «tutte le comodità non disgiunte da grande modicità
dei prezzi. Infine, montanari simpatici,
e graziosi profili di splendide montanare, cosa volete di più?»
INVERNO 1897
a breve parabola alpinistica di
Sinigaglia ebbe il suo canto
del cigno nell’inverno del 1897,
pochi mesi prima della morte; il 22
dicembre, approfittando del fatto che
già si trovava in Valtellina per motivi
di studio col prof. Luigi Brugnatelli
dell’Università di Pavia5 compì la
prima ascensione della punta nord
dei Sassi Rossi. «In mancanza di
bottiglie... vuote, misi il mio biglietto
da visita in una fessura della roccia,
segnandone la posizione con quattro
sassi accatastati. Ma non era solo una
presa di possesso, era uno scongiuro, quel
minuscolo ometto, il quattordicesimo
che costruivo sulle Alpi di Val Grosina!».
Quando scrisse quelle righe, quello
scongiuro, chissà, forse sentiva già
dentro di sé il senso della caducità
della vita. La primavera successiva si
ammalò di tifo, e quando sembrava
essere ormai fuori pericolo, invece se
ne andò: era il 30 aprile 1898. Non
aveva che 23 anni.
La sua figura venne ricordata in val
Grosina dapprima con una lapide tra
San Giacomo e Fusino, che fu però
distrutta dalle intemperie, quindi con
un cippo in marmo bianco (insieme
al nome di Carlo Riva) collocato sul
piazzale dinanzi alla Casa d’Eita, che
venne inaugurato il 23 agosto 1903
alla presenza del padre, cav. Prospero
Sinigaglia.
Più recentemente, nel centenario
della morte, sulla parete laterale
esterna sinistra della chiesa è stato
collocato un medaglione in legno col
suo viso in bassorilievo.
L
5 - Quell’anno si era iscritto alla facoltà di scienze
naturali, abbandonando gli studi matematici al Politecnico di Milano.
Il medaglione dedicato a Giorgio Sinigaglia presso
la chiesa di Eita (11.08.2015, foto Raffaele Occhi).
Giorgio Sinigaglia (1875-1898)
17
Racconti inediti
di Antonio Boscacci
Racconti
Speciali
Disegni e introduzione Luisa Angelici
chierare con Massimino Rossetti.
I due parlano di tante cose: di
Macondo, di musica, di animali e di
personaggi.
Le parole scorrono, scivolano, rotolano dall’uno all’altro, per associazioni, per contrasti, per ricordare.
Molti sono i riferimenti a Cent’anni
di solitudine, molti sono i pensieri di
Massimino Rossetti che riempiono
l’aria e sospendono il tempo.
Le stagioni passano, come i giorni e
le ore, ma i due sono sempre lì, nonostante la pioggia, la neve, il freddo e il
caldo. E sarebbero ancora lì, seduti sulla
panca sotto il nocciolo se non fosse arrivata Ursula, la moglie di José Arcadio
Buendía a prenderlo e portarselo via.
L'ambientazione del racconto non
è casuale: Antonio, infatti, passava
molte ore nel campo all’Agneda,
a partire dalla primavera, quando
cominciavano i lavori di aratura fino
all’autunno, quando anche il granoturco e le ultime zucche erano stati
raccolti e portati a casa. Amava coltivare i fiori: gladioli, tageti giganti,
zinnie, astri e dalie, ma anche leggere
Antonio Boscacci sotto il nocciolo nell'orto all'Agneda (22 giugno 2011, foto Luisa Angelici).
e pensare, sempre seduto all’ombra
del grande nocciolo. Quando arrivavano i suoi fratelli, il Giovanni, l’Elvira, il Roberto o mia sorella Ornella,
Antonio interrompeva la lettura per
fare due chiacchiere: con lui qualsiasi
conversazione non era mai banale.
A qualsiasi ora del giorno si andasse
nel campo, Antonio era là a dare un
consiglio, a risolvere un problema, a
dare la caccia alle limacce o a tenere
lontani i corvi.
C’è sempre la sua sedia sotto il
nocciolo, all’ombra, ma nessuno si
ferma più a chiacchierare.
José Arcadio Buendía
Antonio Boscacci
C
on questo racconto che non
parla di arrampicata, Antonio
ci fa precipitare nel mondo magico
di Cent’anni di solitudine, romanzo di
Gabriel García Márquez1, pubblicato
in Italia da Feltrinelli nel 1968.
Non so che effetto possa fare oggi
la lettura di Cent’anni di solitudine su
una ragazza di 20 anni. Per una come
me, che veniva dalla lettura di romanzi
di autori come Pratolini, Bassani,
Pavese, Fenoglio, scrittori italiani del
‘900 che hanno raccontato l’Italia e il
dramma degli italiani prima e dopo la
Seconda Guerra Mondiale, l’incontro
1 - Gabriel García Márquez (Aracataca, Colombia
1927 - Città del Messico 2014) scrittore, giornalista
e saggista, Premio Nobel per la letteratura nel 1982
è tra i maggiori scrittori in lingua spagnola, la cui
opera ha dato grande impulso alla letteratura latinoamericana.
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI con la letteratura sudamericana è stato
travolgente.
Dal realismo della letteratura
italiana a quello magico di Márquez
il salto è davvero enorme: tutto può
succedere nelle storie dei personaggi
di Macondo, cittadina della Colombia
che José Arcadio Buendía, capostipite di una famiglia di sette generazioni, fonda alla fine del XIX secolo,
tutto può succedere perché la narrazione non pone barriere tra la realtà,
la magia, il sogno e nemmeno tra il
mondo dei vivi e quello dei morti.
Il lettore passa da un livello all’altro
senza rendersene conto perché tutto
appare naturale e ovvio.
Il realismo magico di Márquez non
è fantasy, tanto di moda oggi, dove ciò
che accade fa parte di una realtà paral-
lela, costruita dallo scrittore secondo
regole che lui stesso fissa all’inizio, ma
è uno stile che ci rende familiari e reali
anche eventi che sono impossibili.
E allora può succedere di vedere
Remedios la bella (una delle tante
protagoniste di Cent’anni di solitudine) salire in cielo aggrappata a un
lenzuolo mentre saluta le sue amiche
con la mano o di seguire la sepoltura
di Pilar Ternera, senza bara, seduta
sulla sua altalena.
Le immagini suscitano stupore, non
perché sono frutto della fantasia, ma
per la loro bellezza poetica.
Ma cosa ci fa José Arcadio Buendía
nell’orto all’Agneda, località a est di
Sondrio compresa tra la tangenziale e
la ferrovia?
Arcadio Buendía è venuto a chiacAutunno 2015
M
assimino Rossetti lasciò che
dal campanile gli arrivassero i
rintocchi delle 8. Allora prese la borsa
con il libro, il vino e un po’ di pane,
chiuse la porta di casa, sistemò lo
zerbino, aprì il cancelletto di ferro e,
senza fretta, come era solito fare, scese
lungo la via.
Nella piazzetta salutò la Ines Pelizzatti che tornava a casa dalla messa e,
infilandosi tra un’automobile e l’altra,
si diresse verso il cimitero. Passando lì
davanti, salutò suo padre che se n’era
andato una decina di anni prima,
attraversò la strada e prese la via dei
prati, verso l’Adda.
Il suo orto all’Agneda, un grande
orto con una recinzione alta e robusta,
nonostante gli anni, era lì a due passi
dal fiume.
Girò la chiave, tolse il lucchetto
dalla catena e lo sistemò dietro il
LE MONTAGNE DIVERTENTI José Arcadio Buendía
19
Racconti
Speciali
cancello, come faceva ogni mattina da
parecchi anni.
E, come ogni mattina, si avviò
verso la grande panca, che stava sotto
il nocciolo e sulla quale, dopo averla
ripulita dallo sporco strisciando il
fianco della mano, si sedeva di solito
per leggere.
José Arcadio Buendía lo stava
aspettando.
- Ciao, Massimino.
- Ciao, José Arcadio.
Scambiati i saluti, Massimino
Rossetti tolse dalla borsa il vino, lo
mise all’ombra dietro la casetta degli
attrezzi e si sedette con il libro in
mano.
- Oggi finiamo, vero?
Gli chiese José Arcadio con una
certa trepidazione.
- Sì, questo è l’ultimo capitolo.
Poi tolse la cartolina che segnava
il punto dove erano arrivati la sera
precedente e si mise a leggere.
Pilar Ternera morì sull’altalena di
liana, una notte di festa, controllando
l’entrata del suo paradiso. In accordo
alle sue ultime volontà la seppellirono
senza bara, seduta sulla sua altalena che
venne calata con corde di pita da otto
uomini in un enorme buco, scavato al
centro della pista da ballo ...
Dopo 15 minuti, scandendo le
parole una ad una, terminò la lettura.
... perché le stirpi condannate a
cent’anni di solitudine non avevano una
seconda opportunità sulla terra.
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI Massimino chiuse il libro e lo
appoggiò sulla panca e, rivolgendosi a
José Arcadio, gli chiese:
- Tu che c’eri, raccontami di
Melquíades e delle pergamene.
- Non ho molto da aggiungere a
quello che abbiamo letto. Forse potrei
dirti qualcosa di più su Macondo.
Iniziarono così.
A mezzogiorno stavano discutendo
degli zingari e delle calamite.
Poi passarono alle lenti che José
Arcadio avrebbe voluto usare come
arma da guerra e Massimino gli
spiegò che già a Siracusa, al tempo
delle colonie greche, Archimede aveva
usato gli specchi per bruciare le navi
nemiche che attaccavano la città.
Così José Arcadio volle sapere di
Archimede e chi fossero i nemici e
che ci facessero i greci in Sicilia e che
cosa fosse un'isola e se Siracusa assomigliasse a Macondo e mille altre
cose, tanto che si dimenticarono di
mangiare e proseguirono a chiacchierare fino a sera.
Ma neppure la sera spense il loro
discutere e così la notte li sorprese a
parlare e la luna li accompagnò fino al
mattino.
Il giorno dopo proseguirono e gli
argomenti, anziché venire a mancare
con il passare delle ore, diventarono
sempre più numerosi. La sera del
secondo giorno stavano discutendo
con tanta animazione che pareva avessero appena iniziato.
La moglie di Massimino, non
vedendolo rincasare la sera prima,
era venuta a cercarlo, ma lui le aveva
risposto di non preoccuparsi che era
questione di poco.
Passarono i giorni e loro continuarono a discutere.
Gli unici momenti nei quali la
discussione si interrompeva erano
quelli utilizzati per bere o per andare
a pisciare.
All’inizio la cosa attirò la curiosità
della gente, soprattutto di quelli che
passavano da quelle parti per portare
a spasso i loro cani. Ci fu anche un
articolo su un giornale locale. Un
breve annuncio alla televisione fece sì
che, per qualche giorno, un gruppo di
curiosi venne a vedere quello che stava
succedendo.
Erano momenti fastidiosi per José
Arcadio e Massimino, soprattutto
perché non potevano andare a pisciare
in pace e dovevano sempre nascondersi dietro gli alberi.
Però la curiosità della gente a poco
a poco venne meno e di lì a qualche
settimana nessuno venne più a
disturbarli.
Guardandosi in faccia tutti i giorni,
loro non si accorsero di quanto stessero cambiando.
Ma quelli che venivano a trovarli o
passavano ogni tanto davanti a loro
per prendere le verdure dell’orto,
videro con chiarezza quanti e quanto
profondi fossero quei cambiamenti.
Avevano i capelli bianchi tanto
lunghi che ormai si intrecciavano con
la barba.
Se non fosse stato poi per gli indumenti che ogni tanto venivano loro
portati e per le giacche impermeabili
che furono loro fornite per difendersi
dalla pioggia, sarebbero restati a discutere in maniche di camicia.
Non c’era nulla che sembrava scalfire il loro fisico.
Quando pioveva si bagnavano e
quando c’era il sole si asciugavano.
Non avevano tempo né per
dormire, né per mangiare.
Solo per bere e per andare a pisciare.
Non pisciavano sempre nello stesso
posto.
- Per non indispettire la terra, aveva
detto un giorno José Arcadio.
Qualche volta, quelli che passavano
per prendere le verdure o per fare
qualche lavoro nell’orto, si fermavano
a chiacchierare con loro.
Solo allora interrompevano la
discussione per ascoltare quello che
Autunno 2015
gli altri avevano da dire. Però erano
di solito cose di poco conto. Le
domande dei curiosi riguardavano per
lo più il sole, la pioggia, il vento e i
temporali.
Ma anche se per loro erano faccende
da poco, rispondevano sempre con
cortesia, cortesia che sembrava,
almeno le prime volte, contenere un
leggero rimpianto.
Qualcuno pensò anche di aver individuato le cause di questo rimpianto,
pensando che erano ormai prigionieri
della gabbia che loro stessi si erano
costruita. Ma non era così, perché,
come disse una sera Massimino
parlando con il dottor Zappalà, che
ogni tanto si fermava a chiacchierare
con loro dopo aver raccolto le verdure:
- L’unico rimpianto che abbiamo è
quello di non aver cominciato prima
questa interessantissima discussione.
Il dottor Oreste Zappalà per un
certo tempo aveva pensato che i due
fossero pazzi, ma era una lettura
sbagliata, perché sia José Arcadio
che Massimino erano nel pieno delle
loro facoltà mentali, come non mai
era capitato loro di essere nella lunga
vita che avevano vissuto fino a quel
momento.
Tra l’altro, i loro sensi si erano fatti
così acuti che, quando lessero questo
pensiero nella mente del dottore, gli
spiegarono con pazienza e con molta
attenzione, che raggomitolare il filo
della propria storia non solo non era
folle, ma era cosa che tutti avrebbero
dovuto fare almeno una volta nella
loro vita.
pesavano e come erano grandi e come
avesse fatto a fare le squame.
Allora José Arcadio frugò nella tasca
sinistra dei pantaloni e ne estrasse
una pezzuola stropicciata. La aprì
sulla panca e un piccolo pesce d’oro,
colpito dal sole, diede un guizzo così
forte con la coda che cadde tra l’erba.
José Arcadio lo prese con cura tra le
mani, lo infilò in un cordoncino e lo
mise al collo del ragazzo.
Questo è un pesciolino di
Macondo.
Ci volle qualche minuto perché
Pietro, rimasto a bocca aperta e senza
parole, riuscisse finalmente a dire:
- Grazie, è bellissimo.
Poi, rivolgendosi alla mamma che
stava in quel momento entrando
nell’orto, urlò:
- Mamma, José Arcadio mi ha
regalato un pesciolino tutto d’oro, un
pesciolino di Macondo.
IL PESCIOLINO D’ORO
LA NEVE
Ancor più gentili erano con i
bambini che passavano.
Qualche volta li venivano a trovare i
nipoti di Massimino.
Erano una dozzina.
Il più piccolo, Pietro Rossetti, che
aveva da poco compiuto dieci anni,
si sedeva di solito in mezzo a loro
sulla panca e, ora all’uno, ora all’altro,
faceva delle domande così curiose
e strane che spesso Massimino e
José Arcadio non erano in grado di
rispondere.
Un giorno, rivolgendosi a José
Arcadio, gli chiese se lui avesse mai
costruito dei pesciolini d’oro e quanto
A parte questi brevi momenti di
intervallo, la discussione coinvolgeva
entrambi con grande partecipazione
emotiva.
Verso la fine del mese di agosto
José Arcadio e Massimino dovettero
risolvere un piccolo problema legato
alla posizione della panca. Fu infatti
in quel periodo che cominciarono a
cadere le prime nocciole. All’inizio fu
una cosa da niente, perché le nocciole
erano poche e cadevano qua e là.
Poi il bombardamento si intensificò
e sul finire della prima settimana di
settembre dovettero mettersi in testa
un robusto cappello per ripararsi da
LE MONTAGNE DIVERTENTI quella scarica di piccoli proiettili che
cadevano dall’alto.
La discussione continuò per tutto il
mese.
Poi venne ottobre e, passata la
prima metà di novembre, arrivò anche
la neve. Leggera e soffice, fatta di
grandi farfalle bianche che ricoprirono
ogni cosa.
José Arcadio e Massimino non
parvero per niente preoccuparsi di
questo ulteriore disagio.
Spazzarono regolarmente la neve
dalla panca e mantennero i piccoli
sentieri che li portavano qua e là a
pisciare nell’orto.
Nemmeno quando la neve cadde
più abbondante si impensierirono.
Continuarono a spazzare la panca e
a calpestare i viottoli.
La neve superò l’altezza della panca
e diventò alta quasi quanto loro.
Era davvero curioso osservarli in
quella buca bianca, discutere tutto il
giorno interrompendosi ogni tanto
solo per schiacciare la neve, pulire la
panca, bere o per andare a pisciare.
Ma di che cosa discutevano ancora
così animatamente?
In quel periodo stavano esaminando
il rapporto tra Petra Cotes e Aureliano Secondo. E naturalmente non
poterono fare a meno di parlare di
Fernanda del Carpio.
Si accorsero che era Natale perché
videro una gigantesca cometa, accesa
sopra il campanile della chiesa di San
Giorgio.
- È Natale, disse Massimino.
- Che differenza con Macondo,
rispose José Arcadio, senza le comete
e la neve.
José Arcadio Buendía
21
Racconti
Speciali
- Quante cose ci sono da conoscere,
disse Massimino.
Visto che i loro capelli e la loro
barba si erano ormai confusi e arruffati, non fu una operazione facile
quella del taglio.
Quando le forbici della moglie di
Massimino ebbero terminato quel
complesso lavoro e loro si guardarono
nello specchio ovale che era appeso a
fianco dell’entrata della casetta degli
attrezzi, ebbero un moto di sorpresa e
José Arcadio disse:
- Sembriamo due galline spennate.
E non aveva tutti i torti.
LA MUSICA
Questo li spinse a parlare della neve.
Nonostante la prima neve fosse
caduta da settimane, nonostante
fossero circondati dalla neve e vivessero in mezzo a una montagna bianca,
si accorsero in quel momento che
della neve non avevano mai parlato.
Così Massimino, prendendola un
po’ alla larga, chiese a José Arcadio
della neve.
- Che vuoi che ti dica della neve,
rispose lui. A Macondo la neve non
è mai arrivata, ma in compenso la
pioggia sì.
I TOPI
Il nocciolo, che si era ornato per
tutto l’inverno dei gialli amenti
maschili, iniziò a liberare fiotti di
polline e Massimino fece conoscere
a José Arcadio i rossi e minuscoli
fiori femmina, che avrebbero dovuto
accoglierli.
Verso la fine del mese la pianta
cominciò a mettere le prime foglie e
con le prime foglie tornarono anche
gli uccelli. Qualcuno di loro era
venuto a trovare i due vecchi durante
l’inverno, ma erano comparse rare.
Più frequenti furono invece le visite di
alcuni topolini che abitavano sotto la
casetta degli attrezzi.
22
LE MONTAGNE DIVERTENTI José Arcadio e Massimino si accorsero di loro perché videro le loro orme
impresse nella neve.
All’inizio rimanevano rintanati fino
a sera e uscivano solo di notte.
Poi i topi si abituarono alla loro
presenza e iniziarono a passare davanti
a loro e a percorrere su e giù i sentieri
nella neve senza alcun timore.
Uno di loro, che aveva una curiosa
macchia di pelo bianco intorno all’occhio destro, si fece tanto audace che
salì sulla panca e si lasciò accarezzare
da José Arcadio.
- Il topo è come l’uomo, ma più
giudizioso e saggio, disse lui, grattandogli la piccola testa con un dito.
- Forse sono degli angeli travestiti, azzardò Massimino, mandati a
controllare la nostra stupidità.
Proprio in quel momento la loro
attenzione fu attirata dal canto di un
merlo che si era appollaiato su un
ramo del nocciolo sopra di loro.
- Quando gli zingari arrivarono a
Macondo, disse José Arcadio, raccontarono che mai e poi mai avrebbero
saputo trovare quel villaggio circondato da foreste e paludi, se non avessero seguito il canto degli uccelli. A
quel tempo ogni casa era piena di
uccelli che cantavano tutto il giorno.
Uno spettacolo straordinario.
Passò la primavera e anche l’estate.
La conversazione, che di quando
in quando sembrava affievolirsi e
spegnersi, riprendeva invece ogni
volta con nuovo vigore ed era capace
di raggiungere punte di vigore e di
passione davvero inimmaginabili.
Come quando si misero a discutere
di musica.
Questo successe perché Ottilia, la
sorella maggiore del piccolo Pietro, si
presentò un pomeriggio con un flauto
e, con il loro permesso, si sedette sulla
panca e suonò con grande talento e
partecipazione If Love’s a sweet Passion
di Henry Purcell e, dello stesso autore
Hornpipe Wells Humor.
Quando se ne andò, José Arcadio
chiese a Massimino, quale fosse la
sua musica preferita e lui rispose che
la musica gli piaceva tutta, ma che
era particolarmente innamorato della
musica di Verdi e soprattutto del
Rigoletto, che era la più bella delle sue
opere.
José Arcadio, come fosse stato
morsicato da un serpente corallo, urlò
che era una cosa da pazzi anche solo
pensarlo.
- La migliore opera di Verdi è
l’Aida.
Dopo questa affermazione perentoria iniziò una lunga disquisizione
sulla raffinatezza dell’orchestrazione,
sull’eleganza delle danze e sulla
sapiente ambientazione esotica ...
E iniziò a cantare con voce potente.
Si fece Radames in Se quel guerrier
io fossi. Fu Aida nel Ritorna vincitor.
Diventò il coro nella Gloria
all’Egitto.
Autunno 2015
Ridiventò Aida in O cieli azzurri.
Amneris e il coro dei sacerdoti in
Ohimé! ... morir mi sento.
E infine Radames e Aida nella Fatal
pietra sovra me si chiuse.
Massimino ascoltò con pazienza
fino alla fine questa lunghissima sua
esibizione poi, con molta calma disse:
- Basterebbe che io ti citassi, Si
vendetta, tremenda vendetta. Ma voglio
fare di più.
Così si trasformò nel Duca di
Mantova e cantò La donna è mobile.
Quasi fosse stato colpito da una
fucilata, José Arcadio se ne stette zitto
per qualche istante poi, come se tutto
il suo ardore operistico fosse improvvisamente sbollito, affermò che forse
era vero, perché anche Pietro Crespi e
Stravinskij la pensavano così.
REMEDIOS LA BELLA
Da quel momento ricominciarono a parlare con più tranquillità e,
quando le prime nocciole caddero di
nuovo dall’albero, presero il vecchio
cappello e se lo rimisero in testa.
I sentieri che usavano per andare
a pisciare si irradiavano a raggiera
dalla panca sulla quale stavano
seduti. All’inizio avevano provato a
stabilire una specie di programma
per quel loro via vai quotidiano. Il
lunedì in fondo al primo sentiero,
il martedì al termine del secondo
e così via. Poi persero il conto dei
giorni e decisero che ognuno era
libero di andare dove più gli piaceva
andare, senza nessun ordine e nessun
programma.
Però ognuno di loro aveva un
posto preferito per pisciare.
Massimino dietro la grande pianta
di rabarbaro, alla quale toglieva i
lunghi e grossi steli dei fiori, affinché
si sviluppassero meglio le foglie.
José Arcadio invece preferiva i grandi ciuffi delle dalie che
erano di tre tipi. Due, le rosse e le
bianche, crescevano numerose, ma
erano piccole, le altre, viola, erano
invece gigantesche ed eleganti, ma
non riuscivano a reggersi quando
pioveva, perché si riempivano di
acqua. Così, spesso, José Arcadio,
intanto che pisciava, le scuoteva
con dolcezza e, svuotandole dalla
pioggia, quelle si raddrizzavano
LE MONTAGNE DIVERTENTI e tornavano alla loro precedente
eleganza.
Venne di nuovo l’autunno e alla
fine di ottobre arrivò anche la prima
neve.
Cotti dal sole e dalle intemperie,
quasi diventati parte della panca
sulla quale erano seduti, furono
sorpresi dall’inverno e dal Natale.
- È Natale, disse José Arcadio,
vedendo che avevano acceso la
cometa sul campanile di San
Giorgio.
- Inizia un anno nuovo, osservò
Massimino, quando esplosero i
fuochi di Capodanno.
In quel momento José Arcadio
stava parlando di Remedios la bella e
del fatto che tanto era bella, quanto
sembrava stupida e incapace.
- Ma ci prendeva tutti per il culo,
ne sono sicuro. Perché altrimenti
non se ne sarebbe andata in cielo
trascinandosi dietro le lenzuola e
soprattutto, prima di sparire in alto,
non ci avrebbe salutato con la mano.
- Le azioni delle donne sono spesso
difficili da interpretare, sentenziò
Massimino.
Questo fu il pretesto per riprendere la conversazione che languiva
da qualche minuto e per infilarsi nei
labirinti della psiche femminile.
Iniziarono da Eva e, dopo oltre
due mesi, stavano ancora discutendo
della Madonna e della sua verginità.
GLENN GOULD
Fu proprio in quel periodo che ricevettero una visita.
Giunse inaspettato, attraversando i
prati coperti da oltre mezzo metro di
neve, Glenn Gould1.
Ancor prima che arrivasse alla panca
seguendo il sentiero tracciato tra i
meli, José Arcadio lo riconobbe.
- Ciao Glenn.
- Ciao José Arcadio.
Massimino, che non lo aveva mai
incontrato di persona, sapeva però
molte cose di lui e delle sue interpretazioni e possedeva anche il suo primo
album uscito per la Columbia con le
Variazioni Goldberg.
- Pensa, disse José Arcadio rivolgendosi a Massimino, che lo conosco dal
suo primo concerto. Perché lo tenne
a Macondo quando non aveva che 13
anni ed era scappato dalla sua casa di
Toronto.
- È vero, rispose Gould. Ci ho
ripensato per tutta la vita. Quello è
stato l’unico concerto nel quale mi
sono divertito. Ricordo ancora quanto
dovette lavorare Pietro Crespi per
1 - Glenn Gould (Toronto, 1932 - Toronto 1982),
pianista, clavicembalista e organista oltre che compositore. Dotato di una grandissima tecnica pianistica e di una sensibilità straordinaria è stato uno dei
più grandi interpreti del ‘900. Celebre la sua interpretazione delle Variazioni Goldberg di J.S.Bach.
Nel 1964 si esibì per l’ultima volta di fronte a un
pubblico, quindi continuò la sua attività dedicandosi solo alle registrazioni in studio.
José Arcadio Buendía
23
Speciali
preparare il pianoforte e che all’inizio la gente non voleva avvicinarsi.
Poi, alla fine del concerto, mi hanno
sommerso di applausi e grida e tutti
mi volevano toccare e baciare e sono
dovuto scappare sul mulo di Esmeralda e mi sono rifugiato con lei nella
casa di Petra Cotes. Siamo restati lì
rinchiusi per tre giorni e per tre giorni
Esmeralda si è presa cura di me. Sai
cosa voglio dire. E si rivolse a José
Arcadio.
- Certo, perché ho conosciuto e
apprezzato le virtù delle ragazze di
Macondo molto prima di te. Quando
ti cospargono il corpo di papaia e poi
ti sfiorano con la lingua ...
- Proprio così, e per tre giorni di
seguito, proseguì Gould e alla fine ero
così stremato che non mi si muoveva
più nemmeno per pisciare.
Si interruppe per qualche secondo,
emozionato dal ricordo di Esmeralda,
poi riprese:
- In tutti i concerti che sono venuti
dopo, non hanno fatto altro che
umiliarmi e farmi sentire come una
specie di scimmia ammaestrata.
Glenn Gould si
fermò lì con
loro per
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI quattro giorni e in quei quattro giorni
parlarono solo di musica.
Allora venne fuori la competenza
di Massimino che discusse con
Glenn dell’arte della fuga di Bach, di
Beethoven, di Strauss, della quinta di
Sibelius, delle composizioni per piano
di Schoenberg e di Boulez e, naturalmente, delle Variazioni Goldberg di
Bach.
Il tempo passò così in fretta che
nemmeno si accorsero che era nevicato e che la neve aveva richiuso il
sentiero tra i meli.
Alla fine del quarto giorno, dopo
aver pregato José Arcadio di salutare
Esmeralda, se mai l’avesse di nuovo
incontrata, Glenn Gould si alzò dalla
panca e, affondando fino al ginocchio, attraversò i prati e si diresse
verso la città.
I MAGGIOLINI
La conversazione riprese con la
musica e poi si infilò per sentieri
imprevedibili e inattesi. Sbuffi colorati
di polline annunciarono dal nocciolo
la fine dell’inverno e l’arrivo della
primavera.
Poi, quasi senza che se ne accorgessero, l’albero si riempì di foglie.
- Questa è la primavera, disse
Massimino.
Ma quella fu una primavera strana.
Un pomeriggio, che stavano discutendo di preti e di fede, sentirono
sopra la loro testa un ronzio e pensarono che fosse una cetonia che passava
tra le foglie del nocciolo, con quel suo
volare un po’ pesante e sgraziato. Poi
però il ronzio si fece più forte e non
poterono non guardare verso l’alto per
vedere da chi fosse causato.
Erano alcuni maggiolini che, con
grande confusione, svolacchiavano
qua e là intorno al nocciolo.
Il giorno dopo il ronzio aumentò a
tal punto che dovettero aumentare il
tono della loro voce per sentire quello
che si dicevano.
Verso sera, quando si alzarono dalla
panca per andare a pisciare, videro
uno spettacolo che non avevano mai
visto.
Migliaia di maggiolini ronzavano
intorno al nocciolo volando in una
gigantesca confusione. Osservando
meglio però, scoprirono che quella
che a loro sembrava solo un muoversi
caotico e casuale, era invece una vera
e propria danza, regolata da leggi che
forse a loro due sfuggivano, ma che
per i maggiolini sembravano molto
chiare.
Si aggrappavano alle foglie tenere
del nocciolo e le divoravano con
grande frenesia e nello stesso tempo
non perdevano di vista il loro compito
riproduttivo e si accoppiavano a
centinaia.
Era uno spettacolo fantastico.
Il maschio, avvinghiato strettamente alla femmina, non la mollava
nemmeno quando questa si spostava
o cadeva anzi, nell’entusiasmo dell’accoppiamento e nell’eccitazione del
momento, la stringeva ancora di più.
Il giorno dopo i maggiolini erano
diventati una sterminata moltitudine.
Si pose allora un piccolo problema
perché migliaia di minuscoli escrementi si misero a piovere dall’alto con
grande intensità e bisognò ricorrere al
cappello per proteggersi la testa.
Ogni tanto qualche maggiolino
moriva, forse stremato per il troppo
ardore amatorio, e finiva per terra o
sul cappello.
Più volte dovettero spazzare la
panca dalle caccole e dai maggiolini
Autunno 2015
morti e, in qualche caso, toglierseli di
dosso, appiccicati alla barba, ai capelli
e ai vestiti.
Dopo 10 giorni, di quella frenetica attività non rimase più nulla. I
maggiolini erano tutti morti.
Mangiare, accoppiarsi, morire.
Avevano fatto ciò per cui stavano
al mondo e, così com’erano venuti,
se ne andarono. Di tutti questi coleotteri rimasero sparse per terra solo
le loro elitre marroni coriacee, ornate
di robusti solchi longitudinali, oltre
a piccole porzioni del loro addome
nero.
Null’altro.
- Siamo anche noi dei maggiolini,
disse Massimino rivolgendosi a José
Arcadio.
- Ti piacerebbe esserlo, dì la verità,
rispose José Arcadio. Di tutto questo
ti importa soprattutto il fatto che
scopino per una settimana di seguito.
Però dopo, sono talmente stremati,
che non ce la fanno più e muoiono.
Un’abbuffata di sesso, una volta sola e
via, chi s’è visto s’è visto.
Prostrato dalla voracità dei maggiolini, il nocciolo aveva perso quasi tutte
le foglie.
Ma di lì a poco ne spuntarono di
nuove e ben presto i segni del passaggio
di quell’orda famelica non si videro più
e tutto ritornò come prima.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alla fine di giugno José Arcadio e
Massimino avevano già dimenticato i
maggiolini e ripresero le loro abituali
discussioni.
URSULA
Venne settembre, quindi di nuovo
l’inverno.
Al nuovo inverno seguì la primavera, una nuova estate, un nuovo
autunno.
Venne ancora la neve e loro la
spazzarono dalla panca e la pestarono
per rendere percorribili i sentieri dove
andavano a pisciare.
Una mattina, mentre José Arcadio
stava spiegando che cosa fosse un
combattimento di galli, chi fosse
Prudencio Aguilar e come lo avesse
ucciso trafiggendogli la gola con la
lancia di suo nonno già esperta di
sangue, Massimino si vide riflesso
nello specchio appeso accanto alla
porta della casetta degli attrezzi e
disse:
- Cosa vuoi, il tempo passa per tutti.
In quel preciso momento José
Arcadio capì che Massimino non lo
ascoltava più e che qualcosa di nuovo
e definitivo stava per accadere.
Di lì a poco infatti, sentirono il
rumore del cancello dell’orto che si
apriva e videro avanzare verso di loro,
lungo il sentiero tra i meli, una donna
avvolta in un grande scialle viola.
José Arcadio la riconobbe.
Era la sua donna, la sua sposa, la
madre di tutti i Buendía.
- Ciao Ursula.
- Ciao José Arcadio.
- Sei venuta a prendermi?
- Sono venuta a prenderti.
Allora José Arcadio si alzò, le diede
la mano e si incamminò con lei verso
il fondo dell’orto.
Ma, prima ancora di raggiungere
il campo del granoturco, avevano già
lasciato la terra e salivano in cielo.
Massimino li osservò salire, poi si
sedette sulla panca e si rese conto per
la prima volta del tempo trascorso.
La loro conversazione era durata
quattro anni, undici mesi e due
giorni.
Come le piogge di Macondo.
José Arcadio Buendía
25
90
°
Speciali
Alpi Orobie
Rifugio Mambretti
Luigi Mambretti precipitò venerdì 7 settembre 1923 mentre stava scalando la via Bonomi alla
punta di Scais. Il CAI Sezione Valtellinese decise di realizzare e dedicargli un rifugio in alta val
Caronno che andasse a sostituire la vecchia capanna Guicciardi, posta appena sopra le case di
Scais e per questa sua ubicazione di scarsa utilità pratica. Il progetto fu redatto dall'ingegner
Giulio Carugo, che dirigeva i lavori di costruzione degli impianti idroelettrici della Falck, e fu
realizzato in soli due mesi: il 20 settembre 1925, 90 anni fa, avvenne l'inaugurazione.
26
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
L'inaugurazione
del rifugio
Luigi Mambretti
(20 settembre 1925, foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it).
Marino Amonini
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Rifugio Luigi Mambretti (m 2004)
27
Rifugi
Speciali
Il rifugio Luigi Mambretti è situato su un dosso panoramico a m 2004 in alta val Caronno (cerchiato in giallo) e ha sostituito la vecchia e poco
strategica capanna Guicciardi (m 1549, cerchiata in rosso), divenuta in seguito abitazione privata. In questa immagine del 1902 si vedono ancora
le case di Scais, che verranno sommerse dalla diga realizzata tra il 1935 e il 1939. Sullo sfondo da sx: il pizzo Biorco, il pizzo degli Uomini,
il pizzo di Scotes, la bifida cima di Caronno che - assieme alla cima del Lupo, al pizzo di Porola e alla punta di Scais - fa da coronamento al
ghiacciaio di Porola. All'estrema dx il pizzo della Brunone (foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese).
N
el Centenario del conflitto
che lo vide protagonista e
nel 90° di inaugurazione del rifugio
a lui dedicato, vogliamo ricordare la figura di Luigi Mambretti,
Sottotenente del 5°Alpini, brillante
bancario poi, e infine sfortunato
alpinista con uno smisurato amore
per la montagna.
LUIGI MAMBRETTI
Nacque a Delebio il 18 novembre
1897, da Alessandro Mambretti e
Marietta Bernasconi.
Nel paese della bassa valle crebbe,
frequentò la scuola elementare,
quindi si trasferì a Sondrio, presso
l’Istituto dei Salesiani. Nel capoluogo
frequentò il ginnasio1 per diplomarsi
successivamente ragioniere al Regio
Istituto Tecnico di Sondrio nel 1915;
457° diplomato dall’autorevole istituto fondato nel 1865.
1 - Dal 1859 al 1923 l'istruzione in Italia era regolamentata dalla legge Casati che prevedeva 4 anni di
elementari a cui, eventualmente, ne seguivano 5 di
ginnasio.
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI Fu un giovane aitante e forte;
alcuni compaesani lo ricordano, con
qualsiasi condizione di tempo, effettuare il giro dei maggenghi orobici
sparsi in val Lesina e sulle alture di
Delebio.
Un allenamento per potersi misurare poi sulle vette, sua grande
passione.
Il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in
guerra. La propaganda e l’interventismo fecero presa sull’audace diciottenne; come lui furono numerosi
coloro che si arruolarono nell’esercito.
Basta scorrere l’elenco dei suoi 23
compagni di studi diplomati nello
stesso anno per trovarvi:
• Balzarini Felice (classe 1895) di
Silver (Sud America), Tenente del 5°
Alpini.
• Bertolini Giuseppe (classe 1897) di
Morbegno, soldato volontario nel
14° Fanteria.
• Butti Fortunato (classe 1896) di
Valmadrera (CO), Sottotenente
mitragliere al 5° Alpini.
• Rota Antonio (classe 1897) di
Sondrio, Tenente del 5° Alpini.
• Dallari Bruno (classe 1895) di
Caprino Veronese, Ufficiale del
Regio Esercito.
I primi quattro morirono su vari
fronti durante il conflitto. Sicuramente anche altri compagni di Luigi
vestirono il grigioverde e combatterono al fronte; tra essi Mario Pizzala
(classe 1896) di Sondrio.
Questi, dopo il conflitto, fu tra i
promotori della costituzione dell’Associazione Nazionale Alpini, ricoprendo il ruolo di Presidente della
Sezione ANA Valtellinese di Sondrio.
Dal foglio matricolare di Luigi
si può tratteggiare in parte il suo
percorso militare.
“Soldato di leva di prima categoria,
classe 1897, distretto di Lecco” e lasciato
in congedo illimitato - li 2 giugno 1916.
Chiamato alle armi e non giunto
perché lasciato in congedo illimitato
provvisorio sino all’inizio del Corso per
la nomina Sottotenente di complemento
presso la Scuola Militare di Caserta
N°21 Circolare 545 del Giornale MiliAutunno 2015
tare 1916 - li 22 settembre 1916.
Giunto alle armi in seguito ad
ammissione al Corso sopraindicato, li
30 settembre 1916.
Tale nella Scuola Militare di Caserta
Aspirante Ufficiale di complemento nel
Deposito 6° Reggimento Alpini D.M. li 11 marzo 1917.
Giunto in territorio dichiarato in
stato di guerra - li 18 marzo 1917.
Sottotenente di Complemento nel
5° Reggimento Alpini con anzianità
20 maggio 1917 con riserva di anzianità relativa per Com. Supremo - li
29 giugno 1917.
Confermata la promozione suddetta a
Sottotenente di Complemento D. S. - li
15 luglio 1917.”
Sempre dal foglio matricolare si
apprende che il Sottotenente Luigi
Mambretti era alto 1 metro e 69 centimetri e aveva una circonferenza toracica di 88 centimetri, capelli castani e
lisci, naso greco, mento giusto, occhi
castani e colorito roseo.
Dalla stampa dell’epoca si apprendono altri elementi del vissuto
militare.
Su La Valtellina del 14 luglio 1917
nel trafiletto dal titolo Delebio Combattenti che si fanno onore si legge:
“Né dimenticheremo un alto elogio
e caldi auguri di sollecita guarigione
al concittadino Sig. Luigi Mambretti
sottotenente del 5° alpini per la ferita di
recente riportata sul monte Tresentino.”
In altro numero si apprende:
“Mambretti Luigi, valoroso ufficiale
combattente, reduce dai mille rischi
della durissima guerra, ferito nell’epica offensiva dell’Ortigara (1917),
fatto prigioniero a Castelgomberto il 5
dicembre 1917, ritornò nella Valtellina
natia, fidente nella vita ed innamorato
delle più sane ed elette manifestazioni
dello spirito.”
Luigi Mambretti figura tra i 25
prigionieri della bassa valle internati
in Austria, ai quali vennero inviati
regolarmente pacchi con pane e generi
di conforto, tramite il Comitato
Assistenza Civile di Delebio presieduto dalla nobile figura del dottor
Giacomo Brisa.
Al termine del conflitto, Luigi
Mambretti trovò impiego nel capoluogo come ragioniere alla Banca
Popolare di Sondrio, dove intraprese
una brillante carriera.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Luigi Mambretti in tenuta militare (archivio Giorgio Colombo).
LO SFORTUNATO EPILOGO
La tragedia era in agguato e lo
colpì nell’ambiente a lui più caro:
la montagna. Accadde sulle Orobie,
dove si era recato per scalare la punta
di Scais assieme al suo giovane collega
della Banca Popolare di Sondrio Pier
Abbondio Melazzini2.
Ancora esaminando il foglio matricolare si osserva un timbro che recita:
2 - Pier Abbondio Melazzini (1904-1934), padre di
Piero Melazzini, attuale Presidente Onorario della
Banca Popolare di Sondrio.
“Parificato li 22 settembre 1923” e sotto
“Morto nel comune di Piateda come
da atto di morte inscritto al N° 16 del
registro degli atti di morte del suddetto
Comune li 7 settembre 1923.”
Si apprende così che alle 14:30 dell' 8
settembre in quel comune si presentarono davanti al sindaco Angelo Corradini e al segretario Emanuele Tavelli
i signori Pasquale Balbini e Angelo
Caprinali a denunciare la morte di
Luigi Mambretti a mezzogiorno del
giorno precedente.
Rifugio Luigi Mambretti (m 2004)
29
Rifugi
Speciali
Luigi Bombardieri e Luigi Mambretti sventolano il tricolore in vetta al Disgrazia, accompagnati
dalla mitica guida alpina Anselmo Fiorelli (19 agosto 1923, foto archivio Colombo).
Si racconta che la salma dello sventurato alpinista fu trasportata con il
campac' dai Taloni di Agneda fino
alla centrale di Vedello per essere poi
condotta al piano.
Ulteriori particolari dell'incidente
si ricavano dal periodico La Valtellina
dell' 8 settembre 1923.
“La catastrofe alpina che è costata
la vita alla giovane e promettente
esistenza del sig. Mambretti rag. Luigi
si ricostruisce così:
Il rag. Mambretti col collega rag.
Melazzini erano partiti nel pomeriggio
di giovedì per compiere l’ascensione della
punta Scais. Dopo aver pernottato nelle
baite del piano dello Scais, nel mattino di
venerdì iniziarono la salita, sbagliando
la strada, prendendo cioè la difficile via
Bonomi invece della solita via Baroni.
Pare che il povero Mambretti abbia
messo un piede in fallo e sia scivolato
per 300 metri in un ripido canalone,
fracassandosi.
Al compagno Melazzini che assistè
atterrito alla tragica scomparsa del
Mambretti, e nell’impossibilità materiale di portare soccorsi, non rimase che
compiere la strada del ritorno e giunto
al primo posto telefonico dell’impresa di
30
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Venina, chiese aiuti. Accorsero subito
l’ing. Carugo e vari uomini addetti ai
lavori idroelettrici i quali accompagnati
dal signor Melazzini rintracciarono
il corpo del povero Mambretti ormai
esanime, che fu poi raccolto e trasportato,
nella serata, al piano.”
La disgrazia ebbe vasta eco in paese e
nel capoluogo; la notorietà dei protagonisti, il ruolo professionale, umano ed
alpinistico suscitò un vasto cordoglio.
Ancora su La Valtellina del 10
settembre 1923 si legge sotto il titolo
In morte di Mambretti Rag. Luigi:
“Nessuno vuole ancora credere al tragico
fatto. La folgore che percosse ancora una
volta l’ottima famiglia Mambretti, ed
i vecchi genitori, i quali non han più
lagrime per piangere, sorpassa ogni
sopportazione umana. Mambretti Luigi,
valoroso ufficiale combattente, reduce dai
mille rischi della durissima guerra.
Credente in Dio, cercava Dio nei
purissimi contatti che solo dànno gli
eccelsi silenzi delle Alpi maestose. Egli
non conosceva difficoltà e colla montagna
aveva preso una confidenza tale da
non paventare le più riposte insidie,
obliate sotto il fascino incantatore. E la
montagna lo uccise, mentre a Lui sorride-
vano le migliori soddisfazioni della vita.
Di ingegno pronto, vivace e di una
modestia impareggiabile, salì assai presto
nell’estimazione dei cittadini di Sondrio,
nell’occasione di un celebre processo, in
cui il valore della Sua perizia contabile
assunse nella piena integrità.
Fu in Bulgaria e se l’affetto paterno
non lo avesse indotto a ritornare, il
compianto Mambretti avrebbe affermato
all’estero e per rapide ascese, il Suo grande
ingegno a la Sua tenace volontà.
Assunto da circa un anno quale Segretario della Direzione della Banca Popolare, si era subito acquistata la fiducia
del Consiglio di Amministrazione per
la prontezza dell’ingegno, la grande Sua
attività e pervicacia negli affari, e certamente nel nostro massimo Istituto di
Credito avrebbe fatto rapida carriera.
Non si può perciò pensare senza raccapriccio alla Sua tragica fine. Ieri pieno di
salute, il compianto Mambretti passava
serio e meditativo fra gli amici, atteggiando tratto tratto il suo sguardo, sfavillante di energia, in un sorriso bonario.
Ora, questa promettente giovinezza
non è più. Stroncato a 26 anni, giace
nel solitario cimitero della sua Delebio,
mentre alla Sua tomba pregano i vecchi
genitori ed i famigliari inconsolabili.
Cospargiamo il suo avello di stelle alpine
germogliate dalla montagna, di quella
montagna che Egli amò con fede di idealista e di credente, nonostante dovesse
esserLe crudelmente fatale. Alla Sua
Memoria incontaminata e pura, vada il
reverente omaggio della nostra angosciata
rievocazione. Ebi”
Al profondo cordoglio seguì subito
l’azione: partì una sottoscrizione in
sua memoria con beneficiario l’Asilo
Infantile di Delebio.
Tra i primi sottoscrittori il padre
Alessandro, il consiglio di amministrazione e i colleghi della Banca Popolare
di Sondrio, la direzione delle A.F.L.
Falck di Piateda e la fidanzata di Luigi
Mambretti, Maria Vaninetti.
IL RIFUGIO MAMBRETTI
Le Orobie di Piateda, costellate di
vette che richiamavano illustri frequentazioni, mancavano di un adeguato
punto di appoggio. Dopo l’insuccesso
del rifugio Enrico Guicciardi, eretto
dal CAI Sezione Valtellinese nel 1898
poco sopra le case di Scais e dismesso
pochi anni dopo perchè sito a una
Autunno 2015
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Inaugurazione del rifugio Mambretti (20 settembre 1925, foto Mario Merlini). Nell'immagine sono riconoscibili:
1. Eugenio Rigamonti (detto Ciaparàt), 2. Alfredo Corti (1880-1973), 3. Giovanni Bonomi (guida alpina, 1860-1939), 4. Jone Merlini,
5. Giancarlo Messa, 6. Giulio Messa, 7. Rinaldo Piazzi (avvocato e presidente del CAI Sezione Valtellinese, ha promosso Bortolo Bonomi a guida
alpina il 1 gennaio 1925), 8. don Lorenzo Giacomelli (parroco di Piateda), 9. Maria Vaninetti (fidanzata di Luigi Mambretti), 10. Giuseppe
Ceciliani, 11. Emanuele Fransci, 12. Luigi Soldarelli, 13. Giuseppe Mazza di Delebio, 14. Helen Hamilton (1880-1976, moglie di Alfredo Corti),
15. Linneo Corti (1853-1942, medico condotto di Tresivio e padre di Alfredo Corti), 16 e 17. le figlie di Alfredo Corti: Adda (1917-1998) e Rosetta
(1916, unica persona ancora in vita tra quelle ritratte in questa fotografia), 18. Luigi Bombardieri (1900-1957, alla data dello scatto consigliere
della Sezione Valtellinese del CAI), 19. Giuseppe Mazza.
quota troppo bassa e in una posizione poco strategica per gli alpinisti,
si colse l’opportunità di edificare una
nuova struttura più in alto da dedicare
al Mambretti. Per questa fu scelto un
dosso panoramico a m 2004 in alta val
Caronno, proprio ai piedi delle vette
maggiori del gruppo.
Il CAI poté contare sulle preziose
risorse e collaborazioni degli amici e
dei colleghi di Mambretti, oltre che
sulle A.F.L. Falck che misero a disposizione impianti di trasporto, materiali e
maestranze in ausilio ai lavori in quota.
A settembre del 1925 la sottoscrizione per l’erigenda capanna aveva
raccolto la considerevole cifra di
6773,90 lire3 (nell’elenco figurano
personaggi del calibro di Pietro Sigismund, Rinaldo Piazzi, Giacomo Brisa,
Antonio Camozzi, Giancarlo Messa e
società come le Ferrovie Alta Valtellina).
3 - Il costo complessivo fu di 21 527 lire.
LE MONTAGNE DIVERTENTI L’INAUGURAZIONE
I lavori, iniziati nell'estate 1925,
furono portati a termine in circa
2 mesi e il 20 settembre 1925 fu
fissata l’inaugurazione del rifugio.
Interessante
il
programma:
“ore 5 partenza in automobile da
Sondrio, ore 8:30 Santa Messa in
Agneda, ore 11:30 arrivo al rifugio
e merenda al sacco, ore 13 inaugurazione e benedizione del rifugio; ritorno
previsto a Sondrio alle 19:30”. Altrettanto interessante la cronaca dell’evento riportato su La Valtellina del 26
settembre 1925:
“L’alba incomincia a diffondere le
sue prime, tenue luci, e già la mulattiera della Val Venina brulica di comitive: nel mattino silenzioso non si sente
che il ritmo cadenzato e pesante degli
scarponi ferrati e il brontolio sommerso
del torrente, che sale dal basso. Il cielo
accenna a rabbonirsi e ci mostra un largo
sprazzo di sereno laggiù sopra Vedello.
Alle otto siamo già ad Agneda; l’umile
chiesetta raccoglie un istante gli amanti
della montagna per una pratica pia e
religiosa: Don Giacomelli, Prevosto di
Piateda, celebra la S. Messa in suffragio
del nostro povero amico. Davanti a
questa stessa chiesetta Egli passava due
anni fa pieno di vita e con propositi
audaci per non più rivederla nel triste
ritorno. Finita la mesta funzione, sacchi
in ispalla e di nuovo in cammino. Dopo
il pittoresco e ridente piano di Agneda
eccoci alle prese con la dura salita che
adduce alla conca di Scais: è, però, così
pittoresca anch’essa, che compensa largamente le nostre fatiche.
In testa, il comm. Piazzi, nostro venerando Presidente, guida la schiera con
passo agile e svelto, nonostante i suoi
settantadue anni, e con un pesante sacco
sulle spalle.
Il cielo è tornato ad imbronciarsi e
fa sembrare tanto tetra la bella conca di
Scais: il Pizzo del Salto, tutto avvolto
Rifugio Luigi Mambretti (m 2004)
31
Rifugi
Speciali
da nubi, ha un aspetto più arcigno del
solito.
Ancora una breve salita fra i larici
e poi sbuchiamo nell’ampio piano di
Caronno, le ultime, povere baite della
Valle. La vista di un lungo tratto di
strada piano... strappa a parecchi un
sospiro di vero sollievo; ma si tratta
di un sollievo di breve durata, perché
oltre questa conca ci attende una lunga
salita, la più aspra della giornata, su
per quello sperone che sbarra la valle.
Siamo ormai, tutti trafelati alla
sommità dell’erta valletta, quando
l’improvviso apparire di un tricolore
che poco lontano emerge dall’alto d’un
pennone ci annuncia la vicinanza della
Capanna.
Ancora pochi passi ed ecco la nostra
piccola casetta profilarsi su di uno
sfondo veramente superbo. La posizione
non poteva proprio essere migliore.
Posta quasi a cavaliere di uno sperone
che la montagna spinge avanti a sbarrare la valle, domina un ambiente
quanto mai selvaggio ed imponente.
Di fronte si elevano con nere pareti
arditissime le punte esili del P. Medasc;
verso sud l’occhio abbraccia tutta
l’ampia testata della valle, coronata da
una maestosa barriera di vette, prima
fra tutte per arditezza di forme e per
altezza la Punta di Scais. Ma oggi l’arcigna ha sempre tenuto il capo nascosto
in un fitto velo di nubi.
La folla degli alpinisti dopo una
visita all’interno della capanna si
dispone tutt’intorno per una rapida
colazione; è ormai mezzogiorno.
Finalmente
possiamo
trovarci
tutt’assieme!
Ce ne sono di tutte le età: dalle
graziose bimbette del Prof. Alfredo
Corti e dal piccolo Giulio Messa ai
più settuagenari dott. Linneo Corti di
Tresivio e comm. Piazzi ed all’ottantenne Dott. Alessandro Rossi, il primo
Italiano che ardì scalare il Disgrazia.
Eccole là, queste tre belle figure di
alpinisti, freschi e sorridenti come se
avessero fatto una breve passeggiata
invece d’una marcia lunga e faticosa:
monito ed esempio a tutti noi giovani.
Anche il sesso gentile é rappresentato
da un gruppo veramente notevole di
signore e di signorine: ad esse va rivolto
un elogio sincero.
Alle 13 precise dopo la benedizione
della Capanna e della lapide che
32
LE MONTAGNE DIVERTENTI sull’album dei visitatori: in breve sono
circa cento firme.
Lieti dell’ottima riuscita di questa
bella cerimonia, formuliamo fervido
l’augurio che la locale Sezione del
C.A.I. e dell’U.O.E.I. portino frequentemente comitive così numerose fra
questi monti tanto belli e così ingiustamente trascurati.
Ed a quanti saliranno a visitare la
nostra piccola casetta una raccomandazione che viene dal più profondo
del cuore: non la danneggino, la lascino
sempre linda e pulita come la troveranno
e soprattutto non ne imbrattino i muri
con iscrizioni di nessuna sorte. Se non
altro, si ricordino che è dedicata alla
memoria di un Caduto, che nutriva un
vero culto per la montagna. [...]
A fatto compiuto la Sezione Valtellinese del C.A.I. sente ancora il dovere
di ringraziare tutti coloro ai quali va
il grande merito dell’opera inaugurata: l’ing. Carlo Mina che tra l’altro
offrì gratuitamente le teleferiche per il
trasporto dei materiali fino a Vedello,
il sig. Vaninetti Attilio di Delebio il
quale offrì a prezzo di favore il legname
lavorato, e quanti altri si interessarono
fattivamente per la bella riuscita.”
ricorda Luigi Mambretti, Don Giacomelli prende per primo la parola,
rievocando degnamente la bella figura
cristiana dell’Estinto e portando l’adesione dei R. Padri Salesiani che ne
furono gli educatori.
Anche il comm. Piazzi, Presidente
della Sez. Valtellinese del C.A.I.,
rievoca con parole commosse la figura
del compianto Amico ricordandone le
magnifiche doti di ingegno, di cuore,
di alpinista; accenna brevemente alla
storia del nuovo Rifugio sorto per
voto di amici del povero Mambretti e
ringrazia cordialmente gli intervenuti e
quanti cooperarono in vario modo alla
realizzazione del sogno.
Interpretando l’animo di tutti gli
alpinisti valtellinesi, ringrazia in modo
speciale l’ing. Giulio Carugo, che con
disinteresse ed amore tutto ha curato
dal progetto all’esecuzione, chiudendo
in modo così degno una pia opera di
bontà, iniziata nel fatale settembre
coll’organizzare, dirigere la squadra di
soccorso: come segno di questa gratitudine, è ben lieto di consegnargli
pubblicamente il distintivo di socio
benemerito della nostra Sezione, decretatogli all’unanimità dal Consiglio.
Dopo brevi parole del Vice-Presidente
prof. Pansera, che legge pure le numerose
adesioni, Arnaldo Sertoli, Sindaco di
Delebio, ringrazia la Sezione Valtellinese del C.A.I. a nome della Famiglia e
degli amici; con nobili parole tratteggia
il generoso e retto carattere di cittadino
e combattente di Luigi Mambretti che
lo rendeva così caro e stimato a quanti
lo avvicinavano.
La breve, austera cerimonia è finita.
La brava guida Bonomi, che ieri
accompagnò i famigliari sul luogo della
sciagura per porvi una croce, distribuisce ai presenti il the ed i biscotti offerti
della Sezione. Poi, prima di prendere
la via del ritorno, tutti passano alla
capanna ad apporre la propria firma
Autunno 2015
LA MAMBRETTI OGGI
Pur avendo ricevuto qualche
aggiunta e miglioria, come il locale
invernale sul lato orientale inaugurato nel settembre del 1984, il rifugio
Mambretti è giunto a noi mantenendo la sua struttura e la sua vocazione originaria di avamposto per la
visita alle più alte vette delle Orobie.
Si tratta di cime e vallate selvagge che,
dopo l'epoca d'oro dell'alpinismo
pionieristico, sono rimaste escluse,
forse più per mancanza di promozione che di attrattive, dalle rotte
principali del turismo d'alta quota.
Il rifugio, data la scarsa frequentazione dell'area, non viene gestito e
per poterne usufruire bisogna chiedere le chiavi al CAI Sezione Valtellinese Sondrio (tel. 0342/214.300).
La struttura al suo interno è molto
confortevole. Si sviluppa su due
livelli: al piano inferiore ha tavolo,
cucina e stufa a legna, mentre al
piano superiore vi è il reparto notte in
grado di alloggiare 25 ospiti. Lo spartano ma provvidenziale bivacco invernale è costituito da un piccolo locale
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Luigi Mambretti. Da sinistra: pizzo degli Uomini, pizzo di Scotes, punta di Scais e pizzo
della Brunone (29 maggio 2015, foto Marino Amonini).
con ingresso autonomo posto sul lato
E dell'edificio, proprio accanto ad
una piccola fontana. Il bivacco offre
un letto a castello con materassi e
coperte.
La manutenzione e la cura della
Mambretti è in gran parte da ascrivere agli uomini e alle loro infaticabili
mogli che negli anni sono stati nominati Ispettori da parte della Sezione
Valtellinese del CAI di Sondrio,
proprietaria della struttura.
A loro va la più viva gratitudine:
• Pietro Meago e Marta
(dal 1972 al 1984);
• Giuseppe Scieghi e Anni
(dal 1985 al 1989);
• Giuseppe Valsecchi e Lina
(dal 1990 al 2012);
• Luigi Colombera e Donata
(dal 2013).
LA GITA ALLA MAMBRETTI
La gita alla capanna Mambretti
richiede circa 2 ore e mezza di
cammino ed è adatta a ogni escursionista, in quanto si svolge su sentieri
ben segnalati e privi di pericoli
oggettivi.
Nel periodo invernale le ripide coste
erbose che circondano il rifugio sono
foriere di grosse valanghe; bisogna
pertanto percorrerle solo con neve
ben assestata.
n auto, alla fine della tangenziale
di Sondrio (direzione Tirano),
prima del passaggio a livello, svoltiamo a dx e seguiamo la strada
provinciale fino a Busteggia; al
I
primo semaforo prendiamo la stradina sulla dx che sale a Pam per poi
ricongiungersi all'arteria principale
per Piateda-Piateda Alta. Dopo circa
7 km da Sondrio siamo al bivio in
località Mon. Seguiamo (cartelli) sulla
dx la carrozzabile che si inoltra in val
Venina fino alla centrale di Vedello
(m 1032, 6 km), quindi guidiamo
per altri 2,5 km (strada recentemente
asfaltata) fino al paesino di Agneda.
A metà della piana seguente si trova
una zona attrezzata per pic-nic e il
divieto di transito per i mezzi non
autorizzati.
Abbandoniamo qui l'auto e ci
incamminiamo verso il fondo della
piana. Una strada, a tratti cementata,
sale con vari tornanti in direzione
E. Ce ne separiamo al ponte della
Padella, grazie al quale ci portiamo in
dx idrografica del torrente Caronno
proprio sopra a suggestive marmitte
dei Giganti. Il sentiero conduce
per un fitto bosco al coronamento
della diga di Scais (m 1494, casa dei
guardiani). Dopo averne costeggiato la sponda settentrionale, prendiamo la via bollata che tra boschi e
pascoli dalle case di Scais (ore 1:15),
passa per l'ex rifugio Guicciardi e
sbuca nella piana dell'alpe Caronno
(m 1612). Un paio di ponticelli e, con
molti tornanti, rimontiamo la costola
che improvvisamente interrompe la
val Caronno. Quando il bosco lascia il
posto ai pascoli, in breve guadagniamo
il poggio che ospita la capanna
Mambretti (m 2004, ore 1:15).
Rifugio Luigi Mambretti (m 2004)
33
Escursioni di più giorni
Cosa portare con sé
Beno
John Harlin III ai piedi dei Sassi Rossi durante il percorrimento integrale del
perimetro della Svizzera. Aveva con sé uno zaino da più di 20 kg con tutto
l'occorrente per bivaccare all'aperto, mangiare, bere, oltre all' attrezzatura alpinistica
e alle apparecchiature multimediali per redarre in tempo reale gli articoli sulla sua
avventura (28 luglio 2011, foto Beno).
U
na gita che prevede almeno un
pernottamento in quota dove
non vi è un rifugio custodito, necessita un'attenta scelta dell'attrezzatura da portare con sé. Pur cercando
di limitare il peso dello zaino, non
si deve dimenticare nulla di indispensabile e forse concedersi anche
qualcosa di superfluo che però possa
rendere più piacevole l'avventura.
Per decidere se portare tenda, sacco
a pelo, materassino, corda, piccozza,
ramponi, fornelletto e kit per cucinare, tante o poche bevande... occorre
innanzitutto studiare a tavolino l'itinerario per capire le situazioni che si
andranno ad affrontare.
D
ate le troppe variabili in gioco, se
volessimo affrontare in maniera
esaustiva l'argomento non basterebbe
scrivere un libro. Mi limiterò perciò,
fornendo consigli di pronto utilizzo per
le gite che proponiamo, a ripetere con
voi i ragionamenti fatti nel momento
di preparare lo zaino per l'anello del
Gleno, la faticosa uscita di 2 giorni
raccontata nell'articolo a pagina 38,
che prevede un bivacco a m 2450 senza
alcuna struttura a cui appoggiarsi. L'atLE MONTAGNE DIVERTENTI trezzatura fotografica professionale,
indispensabile per il mio lavoro,
costituisce quei 3 kg (minimo) in più
che piegano la schiena di tutti i fotografi di montagna.
Se si è in gruppo è evidente che
alcune cose (tipo vestiti, materassino, sacco a pelo, occhiali da sole,
frontalino, bastoncini telescopici,
casco, imbraco, ramponi, ...) sono
personali, cioè ognuno deve avere le
sue, altre (tipo crema da sole, fornelletto, pentolame, zucchero, accendino, attrezzatura fotografica, cartina
e talvolta piccozza, corda e protezioni...) possono essere condivise e
talvolta usate anche a turno, quindi è
sufficiente che le porti solamente una
persona. I più allenati, in una gestione
responsabile e bilanciata della logistica, dovrebbero farsi carico degli
zaini più gravosi, colmando il divario
di prestazioni fisiche con una zavorra
fatta in primo luogo di oggetti condivisi o per tutto il gruppo; quindi, se
ciò non fosse sufficiente, facendosi
carico anche di parte degli effetti
personali di chi ha meno energie da
spendere.
Lo zaino deve essere di gran-
dezza adeguata. Si devono evitare
zainoni semi-vuoti il cui contenuto
si muove in continuazione perché
non compattato, oppure troppo
piccoli, pieni zeppi e con mille cose
legate fuori alla benemeglio. Tutto
ciò che è appeso esternamente, oltre a
sbilanciare e a incastrarsi nei passaggi
stretti, è esposto agli agenti atmosferici. Per una gita di più giorni
lo zaino - anche di chi viaggia più
leggero - deve avere capacità superiore
ai 35 litri, con buoni spallacci, una
cinghia per affrancarlo in vita e una
sul petto. Trovo utilissima una tasca o
una rete esterna dove mettere thermos
o borraccia, cosicché per bere non si
debba tutte le volte aprire la sacca.
Ma torniamo ai preparativi per
l'anello del Gleno. Nella tabella che
segue sono elencati gli oggetti che
abbiamo portato con noi e i ragionamenti fatti al momento della scelta.
I pesi indicati sono quelli dell'attrezzatura in mio possesso. Non possiedo
nulla di ultraleggero e supercostoso,
anche perché tante volte i grammi in
meno prosciugano le riserve auree e,
per di più, compromettono la funzionalità dell'oggetto.
Escursioni di più giorni: cosa portare con sé
35
ho nel parco macchine 2 compatte a ottica fissa ,attualmente
l'unica tipologia di mezzi in grado di realizzare immagini
di qualità paragonabile alla K3: una Ricoh GR (peso 245
alpini
g, sensore APS-C da 16 Mpx, ottica daConsigli
18,3 mm f/2.8
che
equivale a 28 mm nel pieno formato) e una mostruosa Sigma
(sensore Foveon X3 da 46 Mpx e ottica 30mm f/2.8, equivalente a 45mm nel pieno formato, in meno di 500 grammi
di peso), che pur se di scomodo e limitato utilizzo, regala
foto con colori e dettagli strabilianti, in buona luce persino
migliori della K3 (ne è un esempio la foto di copertina di
questo numero de LMD).
Speciali
COSA PORTARE
PESO
OGNI QUANTE
PERSONE
COME MAI?
pantaloni, calzettoni, maglietta, maglia lunga, scarponi non
troppo duri
2,5 kg
1
Questi sono i vestiti che avevamo addosso alla partenza, avvenuta in una fresca mattina di giugno.Sconsiglio le scarpe
da ginnastica, innanzitutto perché la rugiada del mattino le
inzupperebbe d'acqua dopo pochi passi, poi perché il piede è
comunque più al sicuro e protetto in una calzatura robusta e
impermeabile.
pantaloni, maglietta e calze
di ricambio, maglia pesante,
guscio impermeabile, pile, berretta, fascetta, guanti, poncho
o sacco dell'immondizia per
coprire lo zaino
2,5 kg
1
borraccia di metallo o thermos- 1,3 ÷ 1,7 kg
da almeno 1 litro, piena
1
sacco a pelo, materassino e
frontalino
1
1,7 ÷ 2,5 kg
Lungo il percorso l'acqua è di facile reperimento, per cui
basta un contenitore da un litro. Visto che abbiamo intenzione di preparare il tè alla sera meglio evitare di versarle in
recipienti di plastica. Inoltre il meteo mette freddo, per cui
una tazza di roba calda fa sempre piacere.
Kit per la notte. Il sacco a pelo deve avere una temperatura
di comfort non superiore a 0°C per dormire sonni tranquilli
sopra i m 2000. Il materassino, sufficientemente spesso, è
indispensabile perché se il sacco a pelo si bagna o è a contatto
col terreno perde le proprietà isolanti.
0,6 kg
1
Praticamente indispensabili quando si è molto carichi per
non distruggersi le ginocchia sotto il peso dello zaino e per
facilitare l'equilibrio.
tazzina di plastica capiente,
cucchiaio di metallo
0,1 kg
1
Altrimenti non c'è verso di mangiare la minestra bollente!
scarpe da ginnastica
0,5 kg
1
Opzionali. Servono per lasciare asciugare gli scarponi o per
tornare di corsa a prendere la macchina.
cibo personale: pane, dolci,
salumi, formaggio, cioccolato,
frutta secca …
1,5 kg
1
Anche qui va a gusti. Vi consiglio tuttavia di propendere
per alimenti sani e genuini piuttosto che passare 2 giorni a
sgranocchiare barrette e bere gel gusto detersivo per i piatti.
La frutta fresca è ottima, tuttavia si schiaccia facilmente
e quindi andrà consumata nei primi frangenti della gita.
Preferite i cibi non confezionati con troppi involucri sia per
una questione di coscienza ecologica che per non portare
troppa immondizia nello zaino.
attrezzatura fotografica
professionale: 1 reflex con 2
obiettivi e piccolo cavalletto
3 kg
1 per tutto il
gruppo
È il kit base del fotografo. Io, che utilizzo una Pentax K3, di
solito porto una lente luminosa tuttofare, tipo il Sigma 1770 mm f/2.8-4, accompagnata da una seconda più specifica.
Un grandangolo spinto, tipo il Sigma 8-16mm, se immagino
di voler riprendere azioni molto ravvicinate con una buona
fetta di panorama o di trovarmi spesso ai piedi di pareti
molto grandi; oppure il Pentax 50-135 mm f/2.8 nel caso
voglia fotografare animali o soggetti molto distanti, come
vette, laghi o rifugi che si trovano in altre vallate. Il cavalletto
è indispensabile per le foto notturne e una notte all'aperto è
una ghiotta occasione per farne.
attrezzatura fotografica
compatta
0,3 ÷ 0,5 kg
1 per tutto il
gruppo
Spesso capita che portando la sola reflex non si abbia il
tempo o lo spazio d'azione necessari per toglierla dallo zaino
e fare foto che documentino certi dettagli della gita. Facendo
questa 2 giorni per proporla all'interno de LMD ho preferito
attrezzare uno dei miei compagni con una macchina leggera
ma di qualità da tenere sempre a tracollo.
N.B. Quando si sceglie una fotocamera compatta per farne un
uso professionale non si deve scendere a compromessi di qualità dell'immagine o si rimarrà delusi dei risultati. Io pertanto
ho nel parco macchine 2 compatte a ottica fissa, attualmente
l'unica tipologia di mezzi in grado di realizzare foto di qualità
paragonabile alla K3: una Ricoh GR (peso 245 g, sensore
APS-C da 16 Mpx, ottica da 18,3 mm f/2.8 che equivale a
28 mm nel pieno formato) e una mostruosa Sigma DP2 Merrill
(sensore Foveon X3 da 46 Mpx e ottica 30mm f/2.8, equivalente a 45mm nel pieno formato, in meno di 500 grammi
di peso), che pur se di scomodo e limitato utilizzo, regala
foto con colori e dettagli strabilianti, in buona Autunno
luce persino
2015
migliori della K3.
LE MONTAGNE DIVERTENTI 2,8 ÷ 3,5 kg
2-3
È vero: se si è sicuri del bel tempo, si può anche dormire
all'addiaccio, ma si deve essere temprati a farlo e si deve
possedere un sacco a pelo che non teme l'umido. Inoltre il
vento può rendere difficoltoso cucinare, per cui se non si
ha la certezza di un riparo anche solo di fortuna la tenda è
d'obbligo. Nel nostro campo base ai piedi del il Gleno non
c'è alcun ricovero.
fornelletto con 1-2 ricariche,
pentola con coperchio, accendino, coltello pieghevole
1,3 kg
3-4
Se si vuole bere qualcosa di caldo e avere il conforto di una
buona minestra alla sera. Portare una pentola da almeno 1
litro e riempirla con le vettovaglie per ottimizzare lo spazio.
piccozza
0, 5 kg
3-4
La gita non prevede ghiacciai, ma solo brevi tratti su neve.
Nell'ipotesi questi siano ghiacciati o duri abbiamo deciso di
portare una piccozza ogni 3-4 persone per eventualmente
scalinare, risparmiandoci così i ramponi.
corda da 20 m
1 kg
3-4
Non ci sono tratti alpinistici, ma un'eventuale rampa gelata
senza ramponi può rendere prudente uno spezzone di corda
da tenere con le mani per sicurezza.
cartina, cibo comune (zucchero 1 kg
½ kg, bustine di tè, minestra
liofilizzata), fazzoletti di carta,
cerotti, saponetta, spugna per
pulire la pentola e crema solare
3-4
Qui va a gusti. Unica raccomandazione quella di non
esagerare con le provviste.
È il normale e indispensabile vestiario per una gita di più
giorni. Abbiamo evitato le ghette in quanto i tratti innevati
sono davvero pochi.
bastoncini telescopici
36
tenda max 3 posti
Lo zaino1 affardellato pesa tra i
20 kg (quello che contiene anche tutta
la roba in comune) e 8÷9 kg (quello
1 - Ho usato uno zaino da 50 litri di buona fattura
e con schienale rinforzato che vuoto pesa 1,5 kg.
di chi si fa carico solo della propria).
Tenete conto inoltre che tra vestiti,
scarponi e bastoncini si ha addosso un
carico aggiuntivo di circa 3 kg.
Nella tasca superiore io metto di
Distendere l'attrezzatura su un piano è utilissimo per controllare se c'è tutto, ma anche per
preparare correttamente lo zaino: gli oggetti pesanti, affinchè non sbilancino, vanno inseriti
in posizione centrale, quelli leggeri più esterni, ricordandosi però di tenere in alto ciò che è di
utilizzo più immediato o frequente, come la macchina fotografica o le bevande.
LE MONTAGNE DIVERTENTI solito coltello, un documento di identità e un po' di soldi, fazzoletti di
carta e occhiali da sole. Questa non
va riempita eccessivamente o preme la
testa in avanti riducendo la visuale.
C'è stato tutto! Il fardello pesa circa 20 kg. Consiglio
di provare lo zaino prima di partire per regolare la
distribuzione del carico e la lunghezza degli spallacci
qualora non ottimali.
Escursioni di più giorni: cosa portare con sé
37
Speciali
Alpi Orobie
Anello del Gleno
La splendida escursione di due giorni, con partenza in val Belviso e arrivo a Bondone,
ha come baricentro il monte Gleno, vetta panoramica a ridosso del confine tra
le province di Sondrio e di Bergamo, e molte attrattive: nella verdeggiante valle
del Gleno si trovano i resti di una diga malcostruita che quasi cent'anni fa crollò
mietendo centinaia di vittime; dai laghi di val Cerviera, in lontananza, si può
ammirare l'altissima cascata del Serio, e, prima di rientrare in Valtellina, incontare
il grande lago artificiale del Barbellino e il cupo lago della Malgina.
Beno
38
Diga del Gleno. Come un monito per le generazioni future, è stato lasciato ciò che rimane dello sbarramento che crollò il 1 dicembre 1923 facendo
3
uscire
6 milioni di m
d'acqua che
Beno). 2015
Autunno
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
dilavarono la val di Scalve distruggendo paesi e causando centinaia di morti (20 giugno 2015, foto
LE MONTAGNE DIVERTENTI Anello del Gleno
39
Alpinismo
Alpi Orobie
Monte Demignone
(2583)
Cima di Belviso
(2632)
Passo di Venano
Passo di Belviso
(2328)
(2518)
Cima del Tróbio
(2865)
Monte Costone
anticima E del Gleno
(2833)
(2852)
Malga Pila
Il tracciato di salita al passo di Belviso visto dalla sponda orientale del lago di Belviso (20 giugno 2015, foto Beno).
Nella mappa a fianco è anche indicata la numerazione dei sentieri seguiti durante l'itinerario. Le bandierine segnano il punto di cambio numerazione.
BELLEZZA
Partenza: palazzina Falck in località ponte Frera
(m 1381).
Itinerario
FATICA
PERICOLOSITÀ
automobilistico: per compiere
questo anello, se non si dispone di compagno di
gita performante o facilmente riducibile in schiavitù
che corra da Bondone a Ponte Frera (13 km) per
recuperare l'auto, è necessario prevedere 2 vetture.
Una da lasciare a Bondone, una a Ponte Frera.
SONDRIO-BONDONE: dalla rotonda alla fine della
tangenziale di Sondrio (E), proseguire sulla SS 38
in direzione Tirano. Dopo 11 km, in località San
Giacomo di Teglio, prendere a dx e attraversare il
fiume Adda, quindi seguire sempre per Carona. La
strada sale tortuosa per 11,2 km finchè, sul tornante
sinistrorso appena oltre il cartello della frazione Moia,
si trova l'indicazione per Bondone. In breve si è al
paesino (1,7 km). Parcheggiare nelle apposite aree di
fronte alla chiesa (23,9 km da Sondrio).
BONDONE-PONTE FRERA: lasciata una vettura a
Bondone, con la seconda tornare al bivio sopra la
Moia (0,8 km) e scendere per la via appena percorsa
(sx) fino a Monegatti (1,5 km). Qui c'è un trivio.
Seguire a dx (E) per l'Aprica. Dopo 4 km si arriva
a Ponte Ganda, dove c'è la centrale idroelettrica.
Prima della centrale si diparte sulla dx la stradina
con indicazioni per val Belviso – diga di Frera. La
carrozzabile risale con pendenza limitata la valle fino
a San Paolo, dov'è il rifugio Cristina, poi si fa un po’
più ripida e, con alcuni tornanti, giunge alla palazzina
Falck (7 km, 13 km da Bondone). Parcheggio in loco
sul lato sx della carrabile o appena al di là del vicino
ponte Frera, nei pressi della bacheca del Parco delle
Orobie Valtellinesi.
Itinerario
sintetico:
I GIORNO: Ponte Frera (m 1381) - malga Pila
(m 2006) - passo di Belviso (m 2516) - baita Alta di
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Gleno (2091) - baita di Mezzo (m 1820) - baita Bassa
di Gleno (m 1557) - ex diga del Gleno (m 1523) - baita
Bassa di Gleno (m 1557) - baita di Mezzo (m 1820) baita Alta di Gleno (2091) - campo base (m 2350) monte Gleno (m 2883) - campo base (m 2350).
II GIORNO: campo base (m 2350) - passo di Bondione
(m 2680) - laghetti di val Cerviera (m 2321) - lago di
Barbellino (m 1900) - lago di Malgina (m 2333) - passo
di Bondone (m 2720) - baita Cantarena (m 2074) baita Monte Basso (m 1560) - Bondone (m 1217).
Tempo
previsto:
I GIORNO: 10 ore e mezza
II GIORNO: 8 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: scarponi, bastoncini
telescopici, ramponi e piccozza utili in caso di neve,
vestiti pesanti per la notte. Per il bivacco si consiglia,
oltre ai viveri: tenda, sacco a pelo (almeno 0°C di
comfort), materassino, fornelletto, pentolino con
coperchio, thermos e stoviglie da bivacco.
Difficoltà e dislivello: 3 su 6
I GIORNO: + 2550 m / - 1550 m
II GIORNO: +1100 m / - 2300 m.
Dettagli: Alpinistica facile la salita al monte Gleno
(ripidi canali di sfasciumi, roccette con passi di I+ e un
breve tratto di cresta). Per il resto EE, trattandosi di
una gita su sentieri generalmente ben segnalati e solo
in alcune occasioni esposti. Non mancano però tratti
un po' incerti come la discesa dal passo di Bondone a
Cantarena. In caso di neve o rocce bagnate prestare
molta attenzione sia alla salita al Gleno che al
passo di Bondione dalla valle del Gleno, oltre a non
sottovalutare i ripidi canali di salita e discesa dal passo
di Bondone.
Mappe (servono entrambe):
- Kompass n. 94 - Edolo-Aprica, 1:50.000 + Kompass n. 104 - Foppolo - Val Seriana, 1:50.000.
Anello del Gleno
41
Alpinismo
Monte Gleno
(2883)
Pizzo dei Tre Confini
(2824)
anticima E
(2852)
Passo di Bondione
(2680)
Passo di Belviso
(2518)
campo base
La diga ad arco a gravità a doppia curvatura di Frera, alta 130 metri, dà vita al lago di Belviso dalla
capacità di 50 milioni di m3. Per approfondimenti si veda LMD n.31 (22 giugno 2013, foto Beno).
Passo di Belviso
(2516)
Baita Alta del
Gleno
Malga Pila
Il sentiero che dal lago di Belviso sale al passo di Belviso dai pressi della malga Pila. Fino a m 2200
questo coincide con quello per il rifugio Tagliaferri (20 giugno 2011, foto Beno).
I GIORNO
mattina e, con gli zaini ben
carichi, muoviamo i primi
passi1 dalla palazzina Falck scendendo
verso il greto asciutto del torrente e
che attraversiamo su un ponticello.
La strada piega a dx e si avvolge in
tornanti prendendo quota nell'abetaia
animata dalle sculture di legno che
Andrea Fanchi ha ricavato dai ceppi
degli alberi tagliati durante la pulizia
del bosco2. Dal coronamento della
diga la carrozzabile si inoltra in val
Belviso pianeggiando sopra la sponda
orientale del grande lago artificiale.
La vegetazione è fitta a tal punto da
celare il paesaggio e rendere monotona la prima mezz'ora di marcia.
Una lapide bianca all'improvviso ci
ricorda che un tempo qui circolavano
liberamente le auto e che non c'erano
piante sulle scarpate che scendono al
lago. Fu così che nel 1974 per una
1 - Questo primo tratto di itinerario segue i segnavia del sentiero n.312.
2 - Si veda Marino Amonini, Boschi animati, LMD
n. 25 - Estate 2013, pagg. 50-55
È
42
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta valle del Gleno. Indicati in rosso i tracciati per passo di Bondione e per il passo di Belviso, in giallo quello per la vetta del Gleno. Con “campo base” si
intende il ripiano a m 2350 dove abbiamo pernottato. Ripresa effettuata dalla vetta del pizzo Tornello (20 giugno 2015, foto Beno).
manovra sbagliata una vettura precipitò e la famiglia che vi era a bordo
morì annegata.
Superato il ponte sopra le turbolente e copiose acque del torrente della
val di Campo, la strada piega a dx e,
appena oltre l'incrocio con la pista
malga di Campo e malga Demignone,
passa accanto a un edificio3, per prose3 - Ora caccia di casa della riserva, l'edificio fu
costruito per essere una latteria comunitaria a cui
doveva affluire, tramite le teleferiche realizzate ad
hoc, il latte di tutti gli alpeggi della val Belviso. In
seguito alla morte in un incidente stradale dei promotori, il progetto rimase incompiuto.
Autunno 2015
guire in testa al lago di Belviso. Al di
là del ponte sul torrente Belviso, la
strada piega a sx e, poco dopo, accosta
la baita di quota m 1514 (Raìs de
Pila). Saliamo (S) paralleli al torrente
in sx idrografica. Il bosco, diradato
anche dalle frequenti slavine, lascia
spazio a piccoli arbusti e pascoli poco
utilizzati. Superati una serie di corsi
d'acqua, arriviamo al termine della
carrozzabile dove troviamo la partenza
della teleferica per malga Pila e un
ponticello. Il sentiero, dapprima su
pascoli, entrato nel fitto degli ontani
LE MONTAGNE DIVERTENTI si fa più tortuoso, per poi traversare
a NO sotto la barra rocciosa delle
Gronde di Pila e raggiunge le strette
risvolte delle Scale di Pila. Sbuchiamo
sulla conca che ospita malga Pila
(m 2006, ore 1:50). Le baite si
trovano poco lontane alla nostra dx,
ma non le raggiungiamo. Pieghiamo
invece a sx e seguiamo la comoda
traccia e i segnavia che si spingono a
S, poi SE, lambendo rocce montonate tra rododendri e chiazze d'erba.
Siamo sul medesimo sentiero che
porta al passo di Venano e al rifugio
Tagliaferri. Intuiamo il passo di
Belviso in alto a dx, massima depressione tra la cima di Belviso e l'anticima
orientale del monte Gleno. Raggiungiamo l'apposito cartello segnavia non
lontano dalla rampa finale per il passo
Venano per deviare a dx (SO) per il
passo di Belviso. Scavalcati alcuni
dossi rocciosi, oltre una conca, la via
si impenna (neve a inizio stagione)
e siamo senza difficoltà al passo di
Belviso (m 2516, ore 1:40), da cui
la vista si apre immediatamente
sull'alta valle del Gleno. Piante
Anello del Gleno
43
Alpinismo
d'alto fusto non se ne vedono, segno
che l'attività delle mandrie, unita a
quella valanghiva, non permette agli
alberi di svilupparsi. Dalla mappa
deduciamo che la valle è costituita
da quattro ripiani pascolivi separati
da altrettanti gradoni. Nel piano
inferiore, che si attesta attorno ai
m 1550, sul ciglio sospeso della
valle vi è l'ex diga del Gleno, prima
meta di giornata. Oltre, chiaramente
visibile pure da qui in tutta la sua
bellezza, s'alza verso il cielo l'imponente e candido versante N della
Presolana, la più famosa cima della
val di Scalve.
Arretrando con lo sguardo, studio
l'anfiteatro sommitale della valle del
Gleno. È diviso in due settori dal
crinale che scende dalla cima di
Belviso. La porzione occidentale, in
cui ci troviamo, è quella dominata
dalla dirupata parete S del monte
Gleno4 e dalle sue ancelle Glenino5
(come qualcuno ne ha battezzato
l'anticima NE) e pizzo Tre Confini6.
Sulla cui cresta S di quest'ultimo si trova l'incisione del passo
di Bondione, che attraverseremo
domattina.
Da N soffia vento gelido. Le Alpi
Retiche hanno un compatto cappello
di nubi, sintomo di bufere di neve e
freddo. Benché domani sia il primo
giorno d'estate, i fiocchi cadono pure
qui e ci costringono a cercare un po'
di riparo sul versante scalvino del
passo mentre ci rifocilliamo.
Ci abbassiamo ripidamente nella
valle7 (SO) per una scarpata di detriti.
Quando la pendenza s'ammorbidisce,
i magri pascoli d'alta quota prendono il posto delle pietraie. Seguitiamo a perder quota fino all'ometto
di pietra costruito in corrispondenza del crocevia dei sentieri n. 410
(Bueggio - lago del Gleno - passo di
Belviso) e n. 321 (unisce i rifugi Curò
4 - Su questo versante corre la più facile via di salita
alla montagna.
5 - L'anticima orientale del monte Gleno, detta Glenino (m 2852), è un punto orografico molto importante in quanto si trova al convergere di val Belviso,
val di Scalve e valle del Trobio. I suoi fianchi sono
pertanto collocati rispettivamente nel bacino
dell'Adda, dell'Oglio e del Serio.
6 - Il toponimo deriva dal fatto che un tempo sulla
vetta si incontravano i territori di tre comuni: Vilminore, Lizzola e Bondione, questi ultimi due
aggregati dal 1927 con Fiumenero per costituire il
comune di Valbondione.
7 - In questo tratto si sovrappongono il sentiero n.
321 e il n. 410.
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie
Valle del Gleno. Le cascatelle ai piedi del promontorio dove si trovano i ruderi dell'ex rifugio
Bissolati, distrutto da una valanga nel 1925 (20 giugno 2015, foto Beno).
Cavalli al pascolo al cospetto della diga del Gleno. In secondo piano è il monte Ferrante, dove si
trovano anche delle piste da sci (20 giugno 2015, foto Beno).
anticima E del Gleno
(2852)
Cascate nei pressi della scala dei Sulegà. La valle del Gleno è estremamente ricca di acque
(20 giugno 2015, foto Carlo Nani).
e Tagliaferri).
Poco più a O, su un dossello erboso
a m 2350, individuiamo il punto
dove allestire il nostro campo base.
L'ubicazione è strategica in quanto
siamo all'incrocio tra gli itinerari
previsti per oggi (discesa alla diga
del Gleno e salita al monte Gleno
per il versante S) e la salita al passo
di Bondione prevista per domattina.
Montate le tende, vi lasciamo tutto il
superfluo e ripartiamo.
Inizialmente traversiamo a sx (E)
per aggirare una barra rocciosa.
Tornati sulla perpendicolare delle
nostre tende insistiamo a O fino a
incontrare il muro in pietra che deli-
mita i pascoli8 dell'isolata baita Alta
di Gleno (m 2091), un minuscolo
avamposto con muri in pietra e calce
e tetto in lamiera. Guardando dentro
capiamo che dormire in tenda è più
comodo, ma in caso di maltempo
estremo qualche sicurezza la offrirebbe
anche questo spartano manufatto.
Riprendiamo la discesa, con le
cascate del torrente che rumoreggiano
alla nostra dx. A m 2050 siamo sul
ciglio di una nuova barra rocciosa, che
superiamo grazie alla cengia obliqua
che va da O a E, localmente chiamata
8 - Nel dialetto valtellinese, come in quello bergamasco, il recinto realizzato con muretti di pietra a
secco è detto bàrech.
Autunno 2015
Monte Gleno
(2883)
Il versante settentrionale del monte Gleno e l’ultimo tratto di salita visti dalla cima del Trobio
(5 aprile 2008, foto Giovanni Rovedatti).
scala dei Sulegà.
Sul promontorio alla nostra sx
(E) vediamo le rovine dell'ex rifugio
Bissolati9 (m 1953), inaugurato
nell'estate del 1922 e distrutto da una
valanga già nella primavera del 1925.
Passati sulla sx idrografica del Povo,
le pendenze scemano e percorriamo
l'ampio ripiano pascolivo che ospita
la baita di Mezzo (m 1820). Si tratta
di un fabbricato in buono stato con
muratura di pietra con calce e tetto in
lamier. Consta di due corpi: uno per
9 - Il rifugio fu voluto e costruito dalla sezione CAI
di Cremona e dedicato alla memoria di Leonida Bissolati (1857-1920), importante politico italiano e
appassionato alpinista.
LE MONTAGNE DIVERTENTI le persone e uno per gli animali.
Arriviamo al margine della piana
passando ai piedi del costone chiamato Montefiore, che in questa
stagione dà piena ragione del toponimo sfoggiando il suo abito più colorato. C'è un nuovo gradino della valle.
Al contrario degli altri si è lasciato
scalfire dal torrente che vi ha scavato
un largo solco e alcune marmitte dei
giganti. Lo percorriamo notando
scorci sempre più ampi sul lago e la
diga del Gleno. Lo scheletro del muro
squarciato nel mezzo è reso ancor più
terrificante dal contrasto con la paradisiaca piana verdeggiante e puntinata da animali che lo precede e con
la possente barriera di calcare della
Presolana sullo sfondo.
Sceso un dosso con vari tornantini, passiamo accanto alla baita Bassa
di Gleno (m 1557), recentemente
ristrutturata.
Ci sono mucche, asini10 e cavalli,
mentre in lontananza centinaia di
pecore brucano le più impervie coste
che sovrastano la conca dove si trova
anche un ristoro per i turisti. Il nostro
obbiettivo è il muraglione della diga
del Gleno (m 1523, ore 2:15), per
poterne apprezzarne le dimensioni
da vicino, verificare se effettivamente
la malta che lo costituisce è di scarsa
qualità e, specialmente, vedere cosa
c'è a valle di questo sbarramento.
L'ispezione ci lascia sbigottiti: è incredibile come si sia potuto realizzare
un manufatto tanto approssimativo prorpio sopra una valle abitata.
Purtroppo in questo mondo il buonsenso inizia a palesarsi solo dopo i più
grandi disastri!
Dopo aver effettuato il periplo
del lago in senso antiorario, riprendiamo il sentiero n. 410 e torniamo al
campo base (m 2350, ore 2:30).
Da qui per la vetta del Gleno
occorre puntare dritti a N fino alla
base della parete S della montagna11.
La si attacca piuttosto a dx (E) nei
pressi dello sbocco di un grosso
canale, talvolta ancora colmo di
neve a stagione inoltrata. Ometti di
pietra, segni di passaggio e radi bolli
rossi guidano per lo scoseso versante
che alterna tratti di roccia (I+) a faticosi macereti. Da ultimo la traccia
si porta decisamente sulla sx e sbuca
sul colletto del Gleno, sella detritica tra Gleno e Glenino. Ci affacciamo così sulla conca del Trobio,
che ospita quattro brandelli ricoperti di detrito, residui del grande
ghiacciaio del Trobio, unitario fino
al 1947. Una breve cresta di roccia
nera, lubrica e friabile (I+), conduce
alla croce di vetta del monte Gleno12
10 - Alcuni di questi vengono usati dai pastori per
trasportare a valle i formaggi.
11 - Si può anche per un tratto appoggiarsi al sentiero n.410 e poi piegare a sx (masso con indicazioni).
12 - La prima salita alpinistica al monte Gleno fu il
22 agosto 1873 (probabilmente fu già raggiunto
prima dai cacciatori di camosci) e porta il nome di
Douglas Freshfield, con l'ausilio della guida di Chamonix Francois Dévouassoud e in compagnia dei
signori Charles Comyns Tucker e Thomas Carson.
Anello del Gleno
45
Alpinismo
(m 2883, ore 1:15), da cui si ha un
fantastico panorama. Impressionante
è la vista sul severo e scuro pizzo
Recastello (m 2888), un complesso
di torri che ne fa una delle poche
montagne delle Orobie dalle forme
dolomitiche. Le altre cime che limitano il bacino del Trobio, procedendo
in senso antiorario, sono: pizzo dei
Tre Confini, Gleno, Glenino, cima
del Trobio, monte Costone e pizzo
Strinato. Traversarli tutti per cresta,
impresa compiuta per la prima volta
da Alfredo Corti e G. Bava il 14 luglio
1928, è una faccenda piuttosto lunga
e a tratti non banale.
Ben più comodo è invece il ritorno
al campo base (m 2350, ore 1).
La notte, nonostante il vento insistente, trascorre serena, almeno per
chi è equipaggiato a dovere. Quelli in
tenda col sacco a pelo caldo o quelli
fuori sotto le stelle13 con sacco ultra
performante dormono come angioletti, mentre chi è in tenda col sacco
a pelo da spiaggia o fuori con mezzi
tanto costosi quanto inefficienti
(consapevoli che avrebbe ottenuto
maggior isolamento termico avvolgendosi direttamente nelle banconote
spese)14 conta i secondi che mancano
al sorgere del sole!
II GIORNO
L'alba è anticipata da un certo
profumino di caffè, ma io son troppo
comodo nel mio giaciglio per andare a
vedere di cosa si tratti. Per fortuna tra
noi, uomini duri che dormon sotto le
stelle, qualcuno è solo felice di poter
uscire dal freddo del suo bozzolo
e correre verso la tenda-bar delle
ragazze per lasciarsi andare a violenze
e saccheggi.
Il bottino è una tazza della preziosa
bevanda, il cui sapore molto si avvi13 - Date le previsioni meteo favorevoli, in tre
abbiamo dormito all'addiaccio per risparmiare il
peso di una tenda. Avevamo comunque la garanzia
di 2 tende in cui ripararci in caso di pioggia e in cui,
comunque, stare a cucinare.
14 - Il costo del sacco a pelo non è assolutamente
proporzionale alle sue proprietà, ma generalmente
solo al marchio! Prima di acquistare bisogna informarsi con qualcuno che già possiede quel modello
per non prendersi grosse fregature. Le temperature
indicate si riferiscono sempre a condizioni ideali,
cioè senza vento e con sacco non inumidito (da questo punto di vista le imbottiture sintetiche sono nettamente più performanti della piuma). Prima di
un'uscita impegnativa il materiale va testato in giardino o sul balcone di casa, dove, qualora se ne appurasse l'inefficacia, ci si può subito riparare nel proprio letto!
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie
Passo di Bondione
(2680)
2672
Il tracciato per il passo di Bondione visto dal campo Base. Il muro di rocce basali può essere
affrontato sia lungo il sentiero che accanto al greto del torrente (21 giugno 2015, foto Beno).
In discesa dal passo di Bondione verso la valle Seriana. Indicato il tracciato del sentiero 321
(21 giugno 2015, foto Beno).
Oltre le catene e il primo ruscello ha inizio un traverso a tratti esposto lungo il ciglio sospeso della
valle. Fare attenzione con terreno gelato (21 giugno 2015, foto Beno).
Lungo l'aerea cresta che unisce il pizzo dei Tre Confini, indicato con un pallino, e il monte Cimone
(21 giugno 2015, foto Beno).
Verso il passo di Bondione. Sullo sfondo il pizzo Tornello (21 giugno 2015, foto Beno).
Autunno 2015
Si smonta dalla cresta e si scende verso i laghi di val Cerviera (21 giugno 2015, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI cina al brodo di cottura delle verze,
ma che ci desta dal sonno. In men che
non si dica l'accampamento15 viene
fagogitato dagli zaini tornati pieni e
pesanti.
Dal campo base (m 2350) puntiamo
a NO. In tale direzione vediamo un
ripiano sospeso su una barra di rocce,
la cui altezza diminuisce da sx verso
dx. Alla sua estremità orientale, nel
punto più basso, si trova una fascia
di rocce giallastre: lì passa il sentiero
n. 321. Vi giungiamo per magri
pascoli e pietraie cosparse di grandi
blocchi. Ci arrampichiamo sulle
roccette a dx di un ruscelletto (tratti
con catene), che guadiamo poco più
in alto. Ha quindi inizio un lungo
traverso (SO) non lontano dal ciglio
nel vallone sospeso ai piedi del pizzo
dei Tre Confini. La via bollata16,
talvolta stretta ed esposta, se gelata,
va affrontata con molta prudenza.
Presto gli spazi si ampliano e pianeggiamo sui pascoli verso O, per piegare
a dx (NNO) e salire il vallone sulla dx
orografica. In alto c'è un branco di
stambecchi dalle corna imponenti che
pare non essere per nulla turbato dalla
nostra presenza. Un traverso (dx) alla
base di una fascia di rocce ci porta ai
piedi del breve canalino per il passo
di Bondione (m 2680, ore 0:50).
Salutiamo la valle del Gleno,
entrando nella valle di Bondione.
Niente più pascoli, ma pietraie e
chiazze di neve che calpestiamo nella
breve discesa che ci porta ai piedi
della quota 2672, quindi a rimontare e percorrere la panoramica cresta
SO del pizzo dei Tre Confini verso il
monte Cimone. Dallo spartiacque la
vista sulla dentatura delle Alpi Orobie
è ampia e insolita: da buoni valtellinesi, infatti, siam soliti riconoscerle
solo dall'altro versante. Sotto di noi
(N) si apre l'isolata val Cerviera,
chiusa tra monte Cimone, pizzo dei
Tre Confini e pizzo Recastello. Al
cospetto del monte Cimone si trova
un nutrito gruppo di specchi d'acqua
15 - Un consiglio nel riporre tende e sacchi a pelo
nelle apposite borse è quello di non piegarli ordinatamente, ma di inserirli direttamente stropicciati:
questa tecnica, che può apparire grezza, è bensì più
veloce e l'unica praticabile con vento forte. Inoltre
evita il formarsi di sacche d'aria che, spesso, danno
l'impressione che la borsa sia troppo piccola per il
contenuto.
16 - I sentieri n. 321 e n. 321 var. sono segnati in
maniera del tutto inesatta sulla mappa Kompass.
Anello del Gleno
47
Alpinismo
Alpi Orobie
Laghetti di val
Cerviera
Le Alpi Orobie dal testone di quota m 2561. Sopra i laghetti di val Cerviera, a sx e non indicato, è il monte Cimone. Il tracciato in rosso è
quello più semplice per scendere al lago del Barbellino passando per i laghetti (21 giugno 2015, foto Beno).
multiformi, i laghetti di val Cerviera,
posti su un altopiano a m 2300.
Separandoci dal sentiero n.321 per il
rifugio Curò17, insistiamo sulla cresta
(sentiero n.321 var.) per altri 250 m
fino al testone di quota m 2561, oltre
il quale smontiamo sulla dx. Divalliamo per detriti e rocce lisciate fino a
raggiungere i laghetti di val Cerviera
(m 2321, ore 1)18. Dal margine NO
dell'altopiano ci affacciamo sulla val
Seriana. Di fronte a noi un modesto
rigagnolo si getta da un'alta barra
di rocce a m 1750, superando con
un triplice salto un dislivello di ben
315 m. Il rigagnolo non è altro che ciò
che rimane del fiume Serio dopo che
nel novembre del 1931 fu completata
la diga del Barbellino19 che, assieme
alla vicina diga di val Morta, immagazzina tutto il flusso idrico dell'alta
val Seriana. Da questa prospettiva
osserviamo il muraglione di entrambe
le opere idrauliche, quando all'improvviso suona una sirena e, dopo
poco, la portata del fiume diviene
di 5 m3/s. Stiamo assistendo da una
loggia riservata all'apertura delle
17 - Il sentiero 321 smonta dalla cresta tra le quote
m 2646 e m 2581 e scende nella valle del Corno
(uno dei rami superiori della val Cerviera).
18 - Quota CTR. Da questo punto si genera anche
la breve dorsale diretta a NO che divide la valle del
Corno (dx) dall'altopiano dei laghi di val Cerviera.
19 - Il lago artificiale del Barbellino arriva a contenere fino a 18,5 milioni di metri cubi d'acqua ed è
per dimensioni il più grande delle Orobie bergamasche e il secondo delle Orobie dietro al lago di Belviso (50 milioni di m3).
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il pizzo Recastello riflesso in uno dei laghetti di val Cerviera. Con precipitazioni abbondanti
se ne possono contare una ventina (21 giugno 2015, foto Beno).
Autunno 2015
Laghetti di val Cerviera. Sullo sfondo è indicato il tracciato dal lago della Malgina al passo di
Bondone (21 giugno 2015, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Anello del Gleno
49
Alpinismo
cascate del Serio20, attrazione turistica
di grande richiamo e importanza per
la valle, che ha luogo 5 volte l'anno
da giugno a ottobre21. Un turbinio
d'acque si scatena giù per le rocce
accompagnato da un grande fragore
che impressiona anche da questa
distanza. Il tutto dura mezz'ora,
giusto il tempo per riversare a valle
quasi 10 mila m3 di acqua e colmare
di stupore gli occhi dei molti accorsi.
Puntiamo a SE22, circa in direzione del pizzo dei Tre Confini, e
compiendo un arco grossomodo
pianeggiante nella valle del Corno
andiamo a riprendere il sentiero
n.321 appena al di là del torrente
principale. Oltre alcune cascatelle la
valle del Corno diventa val Cerviera,
incassata fra i contrafforti di monte
Verme e pizzo Recastello. Una
comoda discesa e presto ci immettiamo sulla strada militare (segnavia
n. 308) che sovrasta l'azzurro lago
del Barbellino (m 1900 ca., ore 1).
Riprendiamo la salita (ENE, dx),
ben alti sopra il lago fino a superare
la valle del Trobio ed entrare nell'angusto tratto di val Seriana che separa
le ampie conche del lago artificiale e
di quello naturale del Barbellino.
A circa m 2050, poco a monte
dello sbocco della val Malgina, sulla
sx vi è il ponte sul Serio che segna
l'inizio del buon sentiero che sale
la val Malgina e porta al lago della
Malgina (m 2333, ore 1:15). Di
forma circolare e dal colore cupo, è
incassato in una conca la cui unica
apertura, posta verso S, incornicia la
parete N del pizzo Recastello. Qui
confluiscono il vallone che culmina
con il pizzo del Diavolo della Malgina
e il pizzo Cavrel a occidente e quello
che scende tra la cima di Malgina e il
Corno di Bondone e che ci condurrà
al passo di Bondone.
Imbocchiamo pertanto il sentiero
poco marcato che s'inerpica tra pietraie
e rocce a NE del lago. Tralasciata sulla
dx la traccia per il lac Gelt, spendiamo
20 - Le cascate del Serio sono le più alte d'Italia e le
seconde in Europa.
21 - Aperture rimanenti per il 2015: domenica 20
settembre e domenica 11 ottobre dalle 11:00 alle
11:30.
22 - La traccia di sentiero che scende direttamente
dall'altipiano dei laghi verso NE, l'unica indicata su
Kompass, è cosa più da capre che da cristiani in
quanto si svolge su una ripida costola d'erba e rocce
marce.
50
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie
Nel cupo lago della Malgina si specchia la severa parete N del pizzo Recastello, che sulla dx è
solcata da un canale nevoso adatto allo sci ripido (21 giugno 2015, foto Beno).
L'apertura delle cascate del Serio, che coi loro 315 m suddivisi in tre salti consecutivi sono le più alte
d'Italia e le seconde d'Europa (21 giugno 2015, foto Beno).
In discesa sul versante valtellinese del passo di Bondone. La neve velocizza non poco l'operazione di
"ritorno a baita" (21 giugno 2015, foto Beno).
Il lago del Barbellino e, al centro, il pizzo di Coca (21 giugno 2015, foto Beno).
Sulle rive del lago Selù (28 agosto 2014, foto Beno).
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI le nostre ultime energie per guadagnar
quota sui ripidissimi e instabili ghiaioni del canalone che scende direttamente dallo stretto intaglio del passo
di Bondone (m 2720, ore 1).
Rieccoci in Valtellina! Scivoliamo
sulla neve fino alla conca a N del
passo, dove vi sono i resti del ghiacciaio di Bondone Inferiore, per insistere verso N fino al termine del
pianoro sassoso che ne segue.
Il sentiero bollato n. 31623 procede
a sx (NO) in direzione della cima del
Baitlin, ai piedi della quale piega a dx
(NE) e poi ancora a sx (NO) fino a
toccare il lago di Selù (m 2264). La
discesa continua su un tracciato finalmente evidente tra pascoli e rocce
levigate in direzione E, poi NE.
Giunti alla baita dell’alpe Cantarena (m 2074, ore 0:30), divalliamo (NE). Purtroppo il percorso è
invaso da erba e maross fino alle baite
dell’alpe Monte Basso (m 1560,
ore 1), dove ci immettiamo sulla
strada sterrata (sx). Come recita
lo scioglilingua, sulla sx del primo
tornante destrorso in sx idrografica
si stacca il sentiero che rapidamente
ci porta all'edicola del Parco, dalla
quale, grazie alla carrozzabile, terminiamo le nostre fatiche (Bondone,
m 1217, ore 0:50).
23 - Senza seguire il sentiero segnalato, che tra l'altro non è di facilissima individuazione, si può più
velocemente raggiungere Cantarena piegando a dx
per ghiaioni, salti di roccia e infine pascoli, sempre
sulla dx idrografica.
La chiesa di Bondone, capolinea della gita.
Anello del Gleno
51
Approfondimenti
Alpi Orobie
Due braccia della diga del Gleno. A dx
il tampone e i sovrastanti piloni che
cedettero lasciando rovinare a valle 6
milioni di metri cubi d'acqua (1923,
foto storica tratta da G.S. Pedersoli, Il
disastro del Gleno, 1998)
Lo squarcio nella diga del Gleno visto dal suo coronamento (20 giugno 2015, foto Beno).
La “diga schiantata” del Gleno
una tragedia annunciata
«P
er quanto i giornali faranno
e diranno, non riusciranno
mai a dare anche solo una pallida
idea ai loro lettori dall’enormità del
disastro che ha colpito per prima la
nostra Valle di Scalve.
È stato un enorme, spaventoso, indescrivibile cataclisma; è stata – per usare la
frase stessa d’un testimone della tremenda
scena – una montagna d’acqua che s’era
staccata dal Gleno e che con spaventosa
velocità e immane fragore, si è rovesciata
nella sottostante vallata, tutto schiantando e tutto travolgendo… Io, che pur
sono un giornalista con parecchi anni
sulla groppa e che di disgrazie e di disastri, per ragioni professionali, ne ho pur
visto e descritti parecchi, mai ho visto
né udito altra cosa simile». Così scrisse
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI l’inviato dell’Eco di Bergamo il giorno
successivo al crollo della diga, avvenuto
il 1° dicembre 1923 di prima mattina.
Morte e devastazione fin giù in val
Camonica: le vittime accertate furono
356, con i dispersi si arrivò a più di
500. Ma com’era potuta accadere una
simile tragedia?
LA CONCESSIONE, IL PROGETTO E
I LAVORI DELLA DIGA
Nei primi decenni del ‘900, quando
lo sviluppo industriale necessitava
sempre più di energia elettrica, vi fu
una corsa allo sfruttamento delle forze
idrauliche montane a cui le Orobie, con
la loro elevata piovosità, ben si prestavano; e così nel 1907 venne chiesta
la concessione per la derivazione dei
Raffaele Occhi
torrenti Povo e Nembo, da invasare in
un bacino artificiale al piano di Gleno,
nel comune di Vilminore di Scalve
(BG). Pochi anni dopo, la concessione
passò dallo svizzero Giacomo Trümpy
all’ing. Giuseppe Gmür di Bergamo,
finché nel 1916 venne rilevata dalla
ditta Galeazzo Viganò di Ponte Albiate
in comune di Triuggio (MI), proprietaria di importanti industrie cotoniere.
Il progetto della diga, a gravità, venne
affidato all’ing. Gmür e, ancor prima
che fosse completato, nel 1917 la ditta
Viganò notificò l’inizio dei lavori al
Genio Civile di Bergamo, il quale
subordinò l’assenso alla consegna del
progetto esecutivo, che fu presentato
nel maggio 1919. Ai primi di luglio
iniziarono i lavori.
Autunno 2015
Bueggio e la valle del Povo dal coronamento della diga del Gleno (20 giugno 2015, foto Beno).
Dapprima venne realizzata la chiusura della gola del Povo con un
tampone a gravità, e impostate le
fondamenta dello sbarramento; poi,
alla morte dell’ing. Gmür nel 1920,
gli subentrò l’ing. Santangelo che, su
sollecitazione della ditta Viganò, rielaborò il progetto prospettando, in luogo
dell’originaria tipologia a gravità, il
completamento della diga con un più
economico sistema ad archi multipli
inclinati, sostenuti da piloni in calcestruzzo alti quasi 30 metri, che vennero
realizzati appoggiandoli direttamente
sul tampone di fondo e sulle rocce
laterali.
Man mano che la diga veniva
costruita, l’acqua era trattenuta nel
lago che si andava formando così da
LE MONTAGNE DIVERTENTI cominciare subito la produzione di
energia elettrica.
Il 1° novembre 1921 la ditta Viganò
assunse quale guardiadiga Francesco
Morzenti di Teveno (frazione del
comune di Vilminore), che fu l’unico
testimone oculare del crollo della diga.
Nella deposizione che fece dopo il disastro, oltre a descrivere quanto successe
la mattina del 1° dicembre 1923, riferì
altri fatti e circostanze durante i lavori.
«Tutti gli operai in luogo – così la sua
testimonianza – dicevano che col sig.
Viganò gli ingegneri non potevano fare
quello che essi volevano e prescrivevano. La sabbia e la ghiaia preparata coi
frantoi era fornita direttamente dalla
ditta Viganò, come pure il cemento,
la calce, il ferro, il legname e ogni altro
materiale. Ho sentito dire che la qualità
del cemento variava sempre e non era
sempre buona; che la sabbia non era
lavata o troppo grossa, che la ghiaia
era pure troppo grossa. Detti lamenti
erano fatti anche all’impresa.
La calce di Triangla fu usata, ed in
modo unico e esclusivo, nella costruzione del basamento della diga a
gravità, sul quale vennero poi impostati i piloni ad archi multipli. Anche
oggi detta calce in quella muratura del
basamento si vede spappolarsi come
farina. Nel 1921, quando io andai sul
Gleno, non so se ne sia stata adoperata mista col cemento, ma non posso
escluderlo».
Il 22 ottobre 1923, a seguito delle
abbondanti precipitazioni, avvenne
La tragedia del Gleno
53
Speciali
Approfondimenti
Alpi Orobie
45 minuti di orrore
Il 1° dicembre 1923 sei milioni di metri cubi d'acqua, fango e detriti
precipitarono a valle dopo il crollo della diga del Gleno (m 1523),
dirigendosi verso il lago d'Iseo. Nella mappa a fianco è illustrata
la traettoria della piena e sono indicati i principali centri abitati
coinvolti nel disastro (grafica Matteo Gianatti).
Bueggio, il primo paese travolto dalla piena, fu letteralmente
cancellato (ci è stato riferito che solo pochi anni fa è stata rinvenuta
da un pescatore la campana della chiesa nel letto del Povo).
La frana d'acqua, con un flusso stimato di 15000 m3/s, preceduta da
un tremendo spostamento d'aria, distrusse quindi le centrali di Povo
e di Valbona, il ponte Formello e il santuario di Colere. Raggiunse in
seguito l'abitato di Dezzo, anch'esso devastato.
Quindi l'acqua formò una sorta di lago nella stretta gola della via
Mala, rallentando il suo impeto. Questa circostanza preservò l'abitato
di Angolo, rimasto praticamente intatto, mentre vennero spazzati via
la centrale elettrica e il cimitero di Mazzunno.
La corsa continuò verso l'abitato di Gorzone, quindi verso Boario
e Corna di Darfo, seguendo il corso del torrente Dezzo e mietendo
numerose vittime al suo passaggio. Quarantacinque minuti dopo
il crollo della diga l'acqua raggiunse il lago d'Iseo, trasportandovi
anche molti cadaveri.
Le vittime accertate furono 356, ma se ne stimano 500. Curioso è che
Alfredo Corti nella Guida dei Monti d'Italia. Alpi Orobie del 1956
parli di ben “ottocento vittime”, più del doppio delle stime ufficiali.
Pianta della diga del Gleno. In rosso la sezione crollata.
il primo riempimento completo del
bacino, con l’entrata in funzione degli
sfioratori che scaricavano con violenza
fino a 12 m3/s. A quel punto le perdite
attraverso le murature e la roccia alla
base della diga, che già in precedenza
si erano manifestate senza che si procedesse a svuotare il bacino per tamponarle, si fecero sempre più rilevanti,
talune sgorgando con violenza in
forma di zampillo.
Ci fu un sopralluogo da parte del
sig. Viganò col progettista ing. Santangelo, e gli ingegneri del Genio Civile,
che nemmeno si portarono alla base
della diga per verificare le perdite. «Io
pensai che quella gente non si curava
di nulla», osservò il Morzenti. Del
resto, quando già in precedenza aveva
chiesto se, viste le fughe d’acqua, non
fosse il caso di aprire la saracinesca di
fondo, il Viganò gli aveva risposto:
«Non sai che io ho costruita la diga per
tenervi dentro l’acqua non per lasciarla
andare?»
IL CROLLO
1° dicembre 1923, ore 7. Il guardiadiga Francesco Morzenti ha appena
«aperta l’acqua alla Centrale come da
telefonata fattami» e sta ritornando
alla baracca, quando sente un tremore
sotto i piedi. «Non si vedeva bene,
perché era ancora quasi buio. Alzai
la testa e vidi nella testata a valle del
pilone (uno dei più alti) una striscia
nera che dallo sperone saliva in alto
in modo tortuoso… una crepatura in
fondo larga circa tre dita e che salendo
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI si allargava. Ebbi l’impressione che essa
si allargasse continuamente… Scappai
subito verso la mia baracca per telefonare l’allarme alla Centrale… Appena
girato lo sperone di roccia sentii come
un urto dietro la schiena che mi
sospinse. Mi voltai e vidi che il pilone
nel quale avevo verificato la crepatura si apriva a metà a destra e metà
a sinistra lungo detta crepatura e che
gli archi ad essa appoggiati lo seguivano. Nel contempo l’acqua irruppe
violenta al punto che non toccava la
roccia per lungo tratto e faceva buio
sotto di essa… Il bacino si svuotò in
circa 12-15 minuti. La diga era lunga
260 metri, larga alla base 15-20 metri.
La parte rovinata è di 80-82 metri, e
cioè dove i piloni erano più alti e dove
alla base esistevano le maggiori fughe
d’acqua».
Un’onda gigantesca di circa sei
milioni di metri cubi si riversò verso
valle attraverso lo squarcio centrale
della diga, percorrendo la valle del
Povo prima e quella del Dezzo poi,
fino a morire in val Camonica e nel
lago d’Iseo. Preceduta da un violento
spostamento d’aria e ingrossata di
massi, detriti e legname, lasciò morte e
distruzione dietro di sé, sommergendo,
asportando e ricoprendo di fango case,
chiese, strade, ponti, officine, centrali,
industrie a Bueggio, Azzone, Colere
e poi giù giù ad Angolo e Boario;
a Dezzo, quando l’acqua investì la
fonderia di ghisa, ci fu una vera e
propria esplosione.
Dopo i primi soccorsi, la visita del
Re e l’apertura dell’inchiesta giudiziaria, si attivò una catena di solidarietà
con i sopravvissuti, non solo in Italia
ma anche all’estero dov’erano emigrati
molti abitanti della valle. Esclusa la
fantasiosa dichiarazione di un detenuto che il crollo fosse dovuto a un
attentato, il processo del 1927 stabilì
che nella costruzione della diga si era
proceduto «con negligenza ed imperizia», condannando quindi il proprietario dell’impianto, sig. Viganò, e il
progettista, ing. Santangelo, a tre anni
e quattro mesi di reclusione più una
pena pecuniaria, oltre al risarcimento
dei danni causati; la stessa sentenza
dichiarava poi che due anni, così come
la pena pecuniaria, erano condonati1.
Due giorni e mezzo di reclusione,
dunque, per ogni vittima del disastro!
Dopo l’onda assassina, uno schiaffo
ai sopravvissuti, ai più deboli, agli
indifesi.
Davvero la ricerca del profitto ad
ogni costo deve venir prima di tutto?
A ricordare quella tragedia dimenticata, a dar voce alle vittime e ai sopravvissuti (ma non dimentichiamoci i più
recenti Vajont e Stava) c’è oggi la voce
del Bepi, il cantante di Rovetta, che ha
voluto intitolare una sua canzone, e il
relativo album, Gleno; così come c’è
Davide Sorlini, attore e regista bolognese originario di Vilminore, col suo
spettacolo teatrale Gleneide.
1 - Le principali notizie di questo pezzo sono tratte
dal libro di Giacomo Sebastiano Pedersoli, Il disastro
del Gleno, Edizioni Toroselle, Pian Camuno 1998.
Autunno 2015
Escursionisti al cospetto di un pilastro della diga (foto Beno).
La diga del Gleno vista da S (20 giugno 2015, foto Carlo Nani).
LE MONTAGNE DIVERTENTI La tragedia del Gleno
55
Alpinismo
Val Grosina
Sassalbo-Sperella
Una giornata d'autunno è l'occasione ideale per andare a cavalcare la simpatica cresta
che divide la val di Sacco dalla valle di Poschiavo, toccando le panoramiche vette di
Sassalbo (m 2862), cima di Rosso (m 2858) e vetta Sperella (m 3075), senza peraltro
lasciarsi sfuggire la visita ad alcuni dei rinomati laghetti alpini della val
Grosina. È una gita in ambiente piuttosto isolato, dal carattere
quasi esplorativo, dove il soffio del vento par
confondersi con le voci dei pionieri
dell'apinismo.
Beno
La costiera Sassalbo-Sperella specchiata nell'appartato lago
del Drago (25 settembre 2014, foto Roberto Ganassa).
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dal Sassalbo alla vetta Sperella
57
Alpinismo
Alta Valtellina
Alba all'alpe di Malghera. Sullo
sfondo, tra le nubi, la cima Viola
(22 settembre 2014, foto Beno).
Lago di Malghera. Sulla sponda
NO è il bivacco di Malghera
(22 settembre 2014, foto Beno).
2841
Forcola di Rosso
(2672)
Cima di Rosso
(2858)
Bocch. dell'Orso
(2781)
2991
Lago dei
Laghetti
Biv. di Malghera
La parte visibile della gita dal lago di Malghera
(22 settembre 2014, foto Beno).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Malghera (m 1960).
Itinerario automobilistico: dalla chiesa
parrocchiale di San Giuseppe all'ingresso di Grosio
si entra nel paese e lo si attraversa fino a trovare e
seguire le indicazioni sulla sx per la val Grosina. La
via asfaltata prende quota verso Ravoledo offrendo
ampia visuale su Grosio. Dopo vari tornanti, si
taglia a mezza costa fino a Fusino, dove si prende
la deviazione per Malghera (sx - distributore
automatico del biglietto di accesso giornaliero - costo
3 euro). Attraversato il Roasco appena sotto la diga
(ponte, m 1163), la strada asfaltata penetra in val
Grosina Occidentale e avvicina vari nuclei (Presacce,
Ortesei, Sacco). Un tratto pianeggiante anticipa il
guado sul torrente che scende dalla val Pedruna e i
ripidi tornanti asfaltati con bella vista sull'imponente
cascata del Roasco Occidentale. Oltre le baite di Pirla
si è in breve a Malghera (m 1936, 18 km da Grosio).
Si può lasciare l'auto nel parcheggio che precede la
chiesa della Madonna del Muschio (m 1960).
Itinerario sintetico: Malghera (m 1960) - lago di
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago del Drago a m 2588
(22 settembre 2014, foto Beno).
Malghera (m 2316) - lago dei laghetti (m 2426) - lago
del Drago (m 2588) - Sassalbo (m 2862) - forcola di
Rosso (m 2672) - cima di Rosso (m 2858) - bocchetta
dell'Orso (m 2781) - vetta Sperella (m 3075) - laghetti
della Sperella - baita di quota m 2340 - Malghera
(m 1960).
Tempo di percorrenza previsto: 9-10 ore.
Attrezzatura richiesta: casco, imbraco, cordini,
qualche friend o dado, corda (30 m).
Difficoltà: 4- su 6.
Dislivello in salita: 1450 metri ca.
Dettagli: PD+. Gita su creste piuttosto lunga
con passi fino al III+. I tratti più impegnativi sono
quello che dalla forcola di Rosso sale alla cima di
Rosso e da quello che va dalla bocchetta dell'Orso
alla quota 2991, dov'è un passaggio piuttosto
esposto. Le rocce sono di consistenza variabile.
mappe: - Kompass n. 96, Bormio-Livigno, 1:50000;
- Cartografia escursionistica della C.M. di Tirano
foglio 1 - Val Grosina, 1:25000
Autunno 2015
Il Sassalbo dalla sua anticima E
(22 settembre 2014, foto Beno).
I
ncalzato dal vento gelido, lascio il
caldo abitacolo dell'auto parcheggiata nei pressi del ristoro di Malghera
(m 1960). Guidato dai cartelli
imbocco la stradicciola che s'inoltra
nella valle di Malghera (SO) appena
sulla sx idrografica. Le pendenze,
inizialmente moderate, crescono
con decisione al termine della pista
carreggiabile, dove si trova un'opera
idraulica. Attraversato il torrente, con
qualche tornante il sentiero supera
il gradone per la piana pascoliva che
ospita il bivacco1 e il tondeggiante
lago di Malghera (m 2316, ore 1).
Il sole accenna una timida alba e
1 - Il bivacco di Malghera è una piccola struttura in
muratura che può ospitare 4 persone. Ha tavolo,
stufa e legna.
LE MONTAGNE DIVERTENTI lancia fendenti di luce che filtrano tra
le nubi. Tutto diventa dorato e il lago,
posto al limite meridionale della piana,
in pochi minuti varia da un tono cupo
al suo caratteristico e brillante blu.
Appena a N del lago, in posizione
leggermente rialzata, si trova il bivacco
di Malghera, una minuscola casetta in
pietra. Guardando a O noto il ruscello
che scende da un ripiano ai piedi del
fianco orientale dell'anticima orientale del Sassalbo e va a unirsi all'emissario del lago di Malghera quasi
in fondo alla piana. Camminando
accanto al ruscello (O) rimonto il
gradone tra erba e roccette (non c'è
sentiero), attraverso il piccolo altipiano (O) e passeggio tra gli eriofori
che ornano le sponde del laghetto
dei Laghetti (m 2426, ore 0:20)
così chiamato perchè in questa zona
quando le piogge sono abbondanti
nascono miriadi di piccole pozze. Sul
pizzo Matto e sulla cima Viola nevica,
e anche qui qualche fiocco si confonde
coi batuffoli degli eriofori che il vento
fa carambolare in aria.
Pianeggio in direzione SSE fino al
costone che divide l'anfiteatro dove
mi trovo dalla vallecola detritica per il
passo di Malghera.
Non essendo necessario raggiungere il passo, risalgo tra erba e sassi la
spalla (SO, dx) che presto si innesta
sulla cresta di confine e mi regala un
esteso panorama sulla val Poschiavo.
A m 2588, in una conca rocciosa che
tanto assomiglia a un cratere, si trova il
Dal Sassalbo alla vetta Sperella
59
Alpinismo
Alta Valtellina
Corn dal Sulcun
(2514)
Monte Combolo
(2902)
Corno dei Marci
(2805)
Pizzo Calino
(3022)
Pizzo Scalino
(3323)
Pizzo Painale
(3248)
Pizzo Canciano
(3103)
Monte Disgrazia
(3678)
Corni Bruciati
(3114-3097)
Pizzo Zupò
(3996)
Cima di Caspoggio
(3136)
Sasso Moro
(3108)
Piz Varuna
(3453)
Belleviste
Pizzo Palù
(3902)
Piz d'Arlas
(3375)
Lago Bianco
Lago
di
Posc
hiavo
Panorama sulla valle di Poschiavo dal Sassalbo (22 settembre 2014, foto Beno).
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60
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
tondeggiate lago del Drago, nelle cui
acque la leggenda colloca una creatura
alata sputafuoco che emerge durante i
temporali, una sorta di monito a non
andare in montagna col cattivo tempo.
Questo lago era particolarmente caro
a Duilio Strambini2 (1947-1978), la
giovane guida alpina di Grosio a cui
si deve la rinascita dell'alpinismo in
val Grosina negli anni '70 e la cui aura
è avvertibile da chi si trova a scalare
queste montagne tornate solitarie.
Riprendo a salire la scura cresta SE
dell'anticima E (m 2841) del Sassalbo.
Questa elevazione, posta sulla linea di
confine, si vede anche da Malghera, al
contrario del punto culminante della
montagna, che è 21 m più alto e interamente in territorio elvetico.
Oltre una sella (questo passaggio
su CNS è indicato come passo di
Rovano), la dorsale s'impenna. Piego
a sx e, seguendo una esile traccia,
attraverso i pendii che mi portano nel
2 - Vd. Raffaele Occhi, Duilio Strambini il sorriso
della val Grosina, LMD n.18 Autunno 2011, pp.
12-35.
LE MONTAGNE DIVERTENTI mezzo di un canale detritico.
Lo risalgo, un po' intimorito da uno
stambecco che mi guarda dall'alto
e forse mi vuole scagliare addosso
qualche pietra.
100 metri di dislivello ed eccomi
sulla cresta frastagliata e lunga circa
400 metri che collega le due vette del
Sassalbo. Qui mi dirigo a sx (O) sull'irregolare filo roccioso (passi di I e II
grado) finchè, alla depressione ai piedi
del testone sommitale biancastro, intercetto la traccia che si snoda sul suo
versante meridionale e, senza alcuna
difficoltà, mi conduce alla grande
croce di vetta del Sassalbo3 (m 2862,
ore 1:45).
Il panorama è grandioso: si vede
tutta la valle di Poschiavo, dal lago di
Poschiavo al lago Bianco. Pennacchi di
neve si sollevano dalle creste dei pizzi
Palù, dove Eolo sta dando esemplari
prove di forza.
Al ritorno decido di non aggirare la
vetta, ma di seguire integralmente la
3 - Il toponimo è legato alle bianche rocce calcaree
della vetta, ben visibile dalla valle di Poschiavo.
cresta verso E. Nella parte iniziale ci
sono alcuni passi di II+ un po' aerei, ma
la roccia calcarea è affidabile. Giunto
non molto distante dall'anticima orientale del Sassalbo, smonto a sx (N)
dove, correndo giù per una vallecola di
detriti, perdo quota e arrivo alla forcola
di Rosso (m 2672, ore 0:45).
Oggi sono proprio fiacco. Lo
capisco perché le soste per bere, far
foto e studiare il tragitto abbondano
sulla strada degli scoppiati!
A N si alza la cresta meridionale
della cima di Rosso, alla cui dx c'è una
parete solcata da un canale.
Pianeggiando verso dx evito la
cresta e mi porto sul conoide detritico
allo sbocco del canale, quindi metto il
timone verso l'alto e mi introduco nel
solco. Chissà se si esce.
L'ambiente è piuttosto tetro e il
pericolo di caduta pietre effettivo. Ma
almeno qui non c'è vento!
Dopo poco il colatoio si biforca.
Scelgo il ramo di dx che si fa via via
più ripido. Alla successiva biforcazione vado a sx e il solco diviene vertiDal Sassalbo alla vetta Sperella
61
Alpinismo
Alta Valtellina
2841
Sassalbo
(2862)
Anticima e cima del Sassalbo dalla forcola di Rosso. Indicato l'itinerario di discesa che si attiene
fedelmente alla cresta (22 settembre 2014, foto Beno).
Vetta Sperella
(3075)
2991
Cima di Rosso
(2858)
Forcola di Rosso
(2672)
Bocch. dell'Orso
(2781)
L'itinerario dalla forcola di Rosso alla vetta Sperella. Il triangolo giallo indica il passaggio difficile
per la quota m 2991. Tratteggiata la via di discesa dalla Sperella (22 settembre 2014, foto Beno).
Il Sassalbo (a dx) visto dalla quota m 2991 della cresta S della vetta Sperella.
A sx è il lago di Malghera, mentre, piccolino e al centro dell'immagine, è il lago del Drago
(22 settembre 2014, foto Beno).
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI cale e strettissimo.
Gli appigli sono sempre buoni, la
roccia è alquanto fredda.
Dopo un salto non proprio banale
(III+) mi ritrovo nella parte alta della
parete, decisamente più facile, che mi
accompagna in cresta. Una groppa di
sfasciumi fa da sipario allo striminzito ometto di vetta (cima di Rosso,
m 2858, ore 0:45).
Il versante settentrionale del monte
è una ganda dove gli animali hanno
disegnato i loro sentieri. Pure la
cresta di confine non oppone particolare resistenza se scesa per toccare
l'intaglio della bocchetta dell'Orso
(m 2781, ore 0:20). Questo valico
è anche chiamato bocchetta di Oss del
Mort, in quanto qui fu trovato uno
scheletro umano.
Nuova sosta per bere. Pietraie
tutt'intorno a me. Assolate quelle
italiane, buie e coperte di verglass
quelle svizzere. Il vento, che un po' s'è
placato, è ancora piuttosto fastidioso.
Ha ora inizio la lunga cresta S della
vetta Sperella, ultima cima della mia
gita. Da questa dorsale pare esser
passato Renzo Lardelli, a cui è attribuita la prima salita segnalata della
vetta nel 1901. Sembra tuttavia che
già nel 1880 Bartolomeo Sassella,
quindi nel 1884 il topografo Vincenzo
Palmarocchi vi fossero giunti, pur
senza ufficializzare la cosa.
La cresta che sto andando a percorrere si presenta irta di spuntoni e salti
e deve essere ben poco frequentata,
dato che pure Renato Armelloni nel
redarre la Guida dei monti d'Italia4 mi
dà l'idea di non aver trovato nessuno
che la conoscesse, riducendosi perciò
a ipotizzare una difficoltà probabile
PD/AD.
Mi attengo al filo, appoggiandomi
appena a sx o dx dello spartiacque
per evitare di scalare proprio tutte le
guglie. Le difficoltà sono contenute
finchè la dorsale non piega decisamente a sx. Grazie a una strettissima
ed esposta cengia rocciosa (4 m)
traverso sul versante svizzero stando
4 metri sotto il filo, poi trovo uno
sperone (III+) che mi riporta in cresta.
La guerra finisce e presto sono
sulla quota m 2991 (ore 0:40), a E
della quale scende in val di Sacco una
4 - Guida dei monti d'Italia. Alpi Retiche, CAI-TCI,
San Donato Milanese 1997.
Autunno 2015
dorsale secondaria ben dentellata.
Appoggiandomi per lo più al lato
sx, insisto sullo spartiacque italo-svizzero e perdo quota fino a una placconata di una decina di metri.
Le fessure che la incidono ne agevolano il superamento e con esso il mio
arrivo alla selletta di m 2932.
Riprendo l'arrampicata su rocce
rotte, blocchi e brevi paretine talora di
roccia discreta (passi di II).
Mi affido sempre alla Svizzera per
evitare guai, anche se tale versante
è marcio e dirupato. Raggiunto il
punto nodale dove si saldano la cresta
S da cui provengo, quella ONO e
la E, prendo quest'ultima e in breve
sono sulla vetta Sperella (m 3075,
ore 1:15). Il panorama è molto esteso.
È affascinante specialmente la vista sui
tre laghetti azzurri del Teo, nonché
sulla vetta omonima, una delle più
note delle regione con la sua acuta
forma piramidale.
Dopo un vano tentativo di scendere
lungo la cresta E senza corda e per
rocce gelate (l'alto pilastro terminale
offre passi fino al IV grado, aggirabili solo per vertiginosi canali di rocce
marce), mi convinco a cercare la via
più semplice e torno al punto nodale
a O della vetta. Pochi metri verso sx
(S) e sono a un intaglio: qui precipita a SE un canale di rottami che,
pur presentando un paio di brevi salti
rocciosi (III), mi lascia scendere nella
valle della Sperella.
Segue una pietraia
rossiccia che si sbiadisce e si adagia
sempre più fino al bordo dell'anfiteatro, dove brillano due laghetti dalle
acque gelide.
Al margine della conca, una rampa
d'erba e macereti (stare a dx) digrada
nella valle compresa tra la cresta E
della vetta Sperella e il prolungamento
della dorsale NO della cima di Rosso.
Ne raggiungo il fondo dove si legge
chiaramente un antico cordolo morenico. Lo seguo per poi piegare a dx in
leggera salita e raggiungere il testone
panoramico di quota m 2441 (discontinue tracce di sentiero).
Mi affaccio e, in direzione di
Malghera, noto un alpeggio abbandonato con baitello (m 2340). Vi giungo
per pascoli, quindi (NE poi E) una
traccia sempre più marcata mi porta
a intercettare il sentiero per Malghera
(m 1960, ore 3:15).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Vetta Sperella
(3075)
La vetta Sperella dalla quota m 2991. Indicate la via di salita per la cresta SO e di discesa per
la valle della Sperella (22 settembre 2014, foto Beno).
Vetta Sperella
(3075)
2932
Vie di salita e di discesa dalla vetta della Sperella viste dai pressi del laghetto superiore della valle
della Sperella (22 settembre 2014, foto Beno).
Le ultime luci del giorno a Malghera. Sullo sfondo la cima di Saoseo (22 settembre 2014, foto Beno).
Dal Sassalbo alla vetta Sperella
63
Alpinismo
Versante retico
Corni Bruciati
Tre possenti torri rossastre emergono dalla cresta meridionale del monte Disgrazia.
Sono i Corni Bruciati, fiere e isolate montagne scarsamente visitate nonostante siano
ottimi punti di vedetta sulle cime e le valli circostanti. Salirvi è un privilegio riservato agli
amanti dell'alpinismo esplorativo, in quanto richiede intuito per scovare la linea giusta e
dimestichezza con l'alta montagna e la roccia.
L'anello che vi proponiamo ha inizio a pra Isio e consente, dopo un lungo avvicinamento
per creste estremamente panoramiche, di toccare tutte e tre le elevazioni,
mantenendosi sempre in quota.
Beno
La punta SO dei Corni Bruciati vista dalla cresta SO
della
(30 giugno
2015, foto
LECentrale
MONTAGNE
DIVERTENTI
Beno).
64 punta
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097)
65
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Versante Retico
Una nota leggenda vuole che il Disgrazia (che allora si chiamava pizzo Bello) e i Corni
Bruciati fossero un tempo montagne verdi e rigogliose, ma la mancanza d'altruismo di
un pastore del luogo, che non offrì cibo e ricovero a un viandante bisognoso, scatenò l'ira
del Signore che si celava dietro a quelle umili e mortali sembianze. Le montagne di Preda
Rossa furono arse dal fuoco divino e il Disgrazia coperto dai ghiacci. I pastori di Buglio e
di Berbenno dovettero così accontentarsi di pascoli più modesti e il toponimo pizzo Bello
fu attribuito a una cima ben più bassa, scampata agli eventi.
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Due notevoli faggi segnano l'accesso agli ampi pascoli di pra Isio. Quello ritratto in fotografia, è inserito nell'elenco degli alberi monumentali della
Provincia di Sondrio: alto 7 metri, ha il tronco ritorto e il suo ombrello ha oltre 6 metri di diametro (14 ottobre 2010, foto Marino Amonini).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Partenza: pra Isio (m 1661).
Itinerario automobilistico: dall'uscita della
tangenziale di Sondrio si segue la SS38 in direzione
Morbegno. Dopo 5 km, appena al di là del ponte
sul torrente Caldenno, si svolta a dx (cartello) in
direzione Postalesio e si sale per 2 km. Al 5° tornante
(destrorso), ci si immette a sx sulla SP14 che scende
in direzione Berbenno-Polaggia. Al semaforo (1,2 km,
cartello di ingresso in Polaggia) si prende sulla dx via
Medera fino al suo termine (600 m). All'incrocio si va
a dx in salita in via Nuova. Dopo 3 tornanti, nei pressi
di una piazzetta con fontana in pietra, vi è un trivio.
Si svolta a dx in salita (curva praticamente a gomito
- indicazioni per Gaggio di Polaggia e Caldenno) e si
prende quota sulla strada asfaltata. Superato il Gaggio
di Polaggia (17 km da Sondrio) il fondo stradale
diventa cementato fino ai pascoli di pra Isio, in cima
ai quali, al limite di transitabilità consentita, si trova un
ampio parcheggio sterrato (22 km da Sondrio).
Itinerario
sintetico: pra Isio (m 1661) - Poggio
del Cavallo (m 2557) - pizzo Bello (m 2743) bocchetta di Preda Rossa (m 2851) - Corni Bruciati
punta SO (m 2958) - punta Centrale (m 3114) - punta
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI NE (m 3097) - ghiacciaio di Postalesio - alpe Palù
(m 2099) - Ai Ciaz (m 1896) - Caldenno (m 1738) pra Isio (m 1661).
Tempo previsto: 13-14 ore.
Attrezzatura richiesta: corda (30 m), imbraco,
fettucce, casco e scarponi. Ramponi e piccozza in
caso di neve residua in quota e nei canaloni.
Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / oltre 2300 m
in salita.
Dettagli: Alpinistica AD. Itinerario piuttosto
lungo in cui le parti alpinistiche sono concentrate
nella traversata dei Corni Bruciati ( la punta SO è
la più impegnativa). Si incontrano passi su roccia,
a volte molto friabile, fino al III+ e sono richiesti
intuito ed esperienza per individuare le giuste linee,
specialmente in discesa. Il resto della gita è EE e si
svolge solo in minima parte su sentieri segnalati. In
caso di rocce sporche di neve o bagnate difficoltà e
tempi di percorrenza aumentano notevolmente.
Mappe:
- Kompass n.93 - Bernina-Sondrio, 1:50000
- CNS n.278 - Monte Disgrazia, 1:50000
Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097)
67
Alpinismo
Versante Retico
S
eguendo l'eco della leggenda
dei Corni Bruciati abbiamo
disegnato un itinerario ad anello
che porta nel cuore del gruppo dopo
aver percorso la panoramica cresta
che limita a O la valle di Caldenno.
Meta intermedia è la cima del pizzo
Bello, da cui si gode un'esaustiva
vista sulle tre aspre cime, a prima
vista quasi inviolabili.
2313
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI 2698
Corni Bruciati
(3114 - 3097)
Fop
Alpe Palù
Q
uando, dopo un lungo e ripido
tratto nel bosco, sbuchiamo
col muso del Panda sui pascoli di pra
Isio, sono due grossi faggi a darci il
benvenuto. Il primo si trova all'interno di un tornante sinistrorso, il
secondo appena sopra, cinto da una
palizzata per evitare che colui che ha
resistito per secoli agli eventi possa
essere danneggiato da una retromarcia
incauta. Man mano saliamo il panorama si amplia, regalando un quadro
d'insieme sulle Alpi Orobie.
La luce radente dell'alba, dopo aver
sfiorato i fili d'erba dorati dalla siccità,
scappa dall'altro lato della val Finale.
Lì vi sono le baite di pra Maslino,
disposte su un dosso pelato come la
testa di un frate e dominato dagli ampi
fianchi della cima del Desenigo.
Le piccole case di pra Isio sono
state ristrutturate con gusto e grosse
fontane puntinano la radura, in cima
alla quale, quasi con un senso di liberazione, ci sbarazziamo dell'auto in un
ampio parcheggio (m 1661).
Percorriamo a ritroso per qualche
metro la strada fatta in auto, quindi
imbocchiamo la pista sterrata che
si diparte sulla dx (O) e attraversa la
parte alta dei pascoli sopra una baita
isolata e una grande fontana. Poco
cammino e c'è un bivio con indicazioni: a sx si va a pra Maslino, a dx
è la rotabile per "Caldenno sentiero
alto". Seguiamo quest'ultima in salita
e, dopo una fascia alberata, siamo a
una radura sullo spartiacque tra valle
Finale e valle di Caldenno. La strada
termina dove nasce il sentiero alto per
Caldenno. Lo ignoriamo e insistiamo
sulla dorsale. Una traccia, a volte poco
evidente, prende rapidamente quota.
Poco oltre i m 1900, l'accostamento
di una fontana ricavata da un tronco
con delle panche e della legna tagliata
pronta per attivare un fuoco di cottura,
costituiscono una sorta di area pic-nic.
Poggio del Cavallo
(2557)
Pra Isio
Caldenno
Il mosaico di muretti dei pascoli di Caldenno e la dorsale che da pra Isio si allunga verso N fino alle cime dei Corni Bruciati, in fondo a dx. Indicata
la parte visibile della salita da pra Isio alla quota 2698 (13 settembre 2014, foto Roberto Ganassa).
Il monte Disgrazia e il passo di Caldenno visti dalla quota m 2313. Al centro dell'immagine è
il ghiacciaio di Cassandra Est, il maggiore degli elementi in cui si è smembrato il ghiacciaio di
Cassandra. Nel 2007 misurava 23 ha, dopo aver perso in 17 anni, come attesta I ghiacciai della
Lombardia. Evoluzione e attualità, oltre metà della sua superficie (5 agosto 2015, foto Beno).
Poco sotto, spezzoni di rete indicano
che qui i pastori montano una cinta
provvisoria dove radunano le capre per
la transumanza autunnale.
Sempre sul crinale, oltre l'incrocio
col sentiero Gabriele (cartello), ci
portiamo al limite della vegetazione e presto raggiungiamo la quota
m 2313. A N sono la conca che
ospita il bivacco Ai Fop (m 2250)1 e
la larga e verdeggiante sella del passo
di Caldenno, sopra cui il fianco SE
1 - Costruito dal "Consorzio d’Alpe di Prato Isio e
Valle Caldenno" è sempre aperto. Offre stufa a
legna, stoviglie, fornelletto e illuminazione a gas. È
in grado di ospitare una decina di persone (fonte:
www.paesidivaltellina.it).
Il bivacco, che non è segnalato sulle mappe in commercio, è punto d'appoggio strategico per la traversata dall'alpe Vignone al rifugio Bosio.
del monte Disgrazia sfoggia rocce
rosse vestite coi brandelli del ghiacciaio della Cassandra. Alla sua sx già si
vedono i Corni Bruciati. Voltandoci a
E una spettacolare trama di muretti in
pietra dona agli estesi pascoli dell'alpe
Cadenno2 l'aspetto di un mosaico,
mentre a S la dentatura delle Orobie
si mostra in tutta la sua estensione, dal
Legnone al passo dell'Aprica.
La cresta piega a sx sorretta da due
scoscesi fianchi foderati di visega3.
Senza via obbligata, proseguiamo
2 - I pascoli, un tempo divisi tra le varie frazioni di
Polaggia, oggi sono gestiti dal locale consorzio,
mentre le baite sono di proprietà privata.
3 - La Festuca varia, volgarmente chiamata erba visega
o paiùn, è una pianta erbacea perenne molto diffusa
sulle Alpi e nota soprattutto per la sua scivolosità.
Autunno 2015
Dalla quota m 2698 sguardo sulla cresta che sale dal Poggio del Cavallo (5 agosto 2015, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI a NO fino a una depressione, dove
intercettiamo il sentiero che sale dai
Fop e si dirige in val Finale. Da qui in
avanti le capre hanno fatto un ottimo
lavoro, mantenendo ben chiara col
loro passaggio la traccia che prosegue
in cresta verso NO. Non vi sono grosse
difficoltà, ma si deve stare attenti a
non scivolare.
Al confluire del nostro crinale con
quello proveniente (SO) dal dosso di
Piviana e quello ondulato che digrada
(NE) dal pizzo Bello, un grande
ometto orna la panoramica cima
del Poggio del Cavallo (m 2557,
ore 2:15), ubicata al convergere delle
valli Finale, di Vignone e di Caldenno.
Prendiamo la traccia che corre a
NE seguendo grossomodo il crinale.
Toccati i testoni di quota m 2605 e
m 2648, siamo alla croce di legno della
quota m 2698, anticima orientale del
pizzo Bello.
Vedo una lunga lista di nomi sulla
targa commemorativa in rame affissa
in alto sul montante. Considerate le
usanze tipiche delle nostre vallate,
dove in cima alle montagne si ricordano le persone scomparse, mi vien
da pensare che quella croce sia lì per
piangere le conseguenze di una battaglia o di una grossa slavina, i soli eventi
in grado di mietere tante vittime. Mi
avvicino incuriosito a leggere e scopro
che l'elenco dei defunti (Buffon,
Zambrotta, Cannavaro ...) non è altro
che la formazione della nazionale di
calcio italiana! Una targa poco leggibile
affissa con quattro viti sotto la traversa,
Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097)
69
Alpinismo
R N I
C O
B R U C I A T I
Punta Centrale
(3114)
Punta NE
(3097)
Bocchetta Settentrionale
(2980)
Punta SO
(2958)
Bocchetta di Preda Rossa
(2851)
Pizzo Bello
(2743)
Poggio del Cavallo
(2557)
VA
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D
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VI
NE
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VA
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LE
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GN
I Corni Bruciati visti da SE. Indicata anche la parte
visibile dell'itinerario descritto in questo articolo
(28
2007, foto Mario Sertori).
LE MONTAGNE DIVERTENTI 70ottobre
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097)
71
Alpinismo
celebra infatti la conquista della Coppa
del Mondo in Germania nel 2006
e ci fa scoppiare a ridere. Risolto il
mistero, porto lo sguardo più lontano:
Ardenno, Talamona e Morbegno
sembrano malriusciti motivi decorativi
del tappeto verde srotolato ai piedi del
monte Legnone.
Ruotiamo il timone a NO. Oltre una
selletta le tracce spariscono. Tenendoci
a sx appena sotto la cresta saliamo gli
ultimi ripidi metri per il pizzo Bello
(m 2743, ore 1). La vetta è spostata
poco a SO del punto d'incontro tra
valle di Caldenno, valle di Vignone e
valle di Scermendone, dove scorgiamo
l'omonimo laghetto e alcuni escursionisti che da lì si stanno incamminando
verso il passo di Scermendone.
Le tre punte dei Corni Bruciati sono
davanti a noi. La punta SO, alla nostra
sx, sembra una pala dentellata; decisamente più bassa delle altre, è però la più
complessa e pericolosa da scalare. Più
a dx, all'incrocio tra le creste che dividono la valle di Scermendone, quella
di Preda Rossa e quella di Caldenno,
s'alza la piramidale punta Centrale, la
maggiore, che una profonda breccia
separa dalla massiccia e trapezioidale
punta NE. Il circo compreso tra queste
due e la modesta cima di Postalesio
ospita il piccolo ghiacciaio di val Postalesio, dichiarato estinto - ingiustamente
come molti altri - nel 1957, quindi riaccreditato dalle campagne glaciologiche
degli anni '90 (superficie stimata nel
2007 di 0,3 ha).
Scendiamo dal pizzo Bello
per la cresta occidentale,
di cui percorriamo solo
un breve tratto prima
di divallare direttamente per la erta e
franosa pietraia
sulla dx che
in
men
che non
72
LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Retico
si dica ci accompagna ai piedi del
roccioso
versante
settentrionale.
Compiendo un ampio arco in senso
antiorario passiamo prima ai piedi
della parete N della montagna, quindi
dell'impervio fianco occidentale della
turrita dorsale che digrada verso il
passo di Scermendone (m 2595)4.
Ai piedi del passo, insistiamo nel
tracciare il nostro arco fino a raggiungere il conoide di rottami rossastri ai
piedi della bocchetta di Preda Rossa,
che guadagniamo dopo una faticosa
salita su terreno instabile (m 2851,
ore 1:15).
Da qui la punta SO dei Corni
Bruciati è a dir poco terrificante5. Un
basamento di rocce scistose e verdastre
sorregge il rossastro edificio sommitale.
4 - Il sentiero bollato si abbassa sempre lungo la cresta O, ma poi compie un giro più ampio e perciò
l'abbiamo evitato. Chi si ritiene soddisfatto e vuole
chiudere qui la gita senza affrontare tratti alpinistici,
può ora raggiungere il passo di Scermendone e da lì
rientrare a pra Isio in circa 2 ore e mezzo percorrendo la valle di Caldenno per via segnalata.
5 - Detta anche punta di Preda
Rossa, viene descritta da Aldo
Bonacossa nella Guida dei Monti
d'Italia. Masino Bregaglia
Disgrazia, del 1936 come “di
bell'aspetto e di non facilissima
salita. Rocce poco buone”. Fu
toccata per la prima volta da
Angelo e Romano Calegari
con Antonio Balabio il
19 luglio 1911 per lo spigolo NNO. Antonio morì
pochi giorni dopo precipitando dal pizzo Torrone Orientale.
Una tormentata cresta si staglia nel
cielo. Il fianco NO del monte precipita, intercalando lisci ripiani con netti
strapiombi, nel selvaggio canalone che
s'affonda nel più elevato piano pascolivo della valle di Preda Rossa. L'idea
che l'anno scorso il Caspoc' abbia
affrontato questa cima d'inverno
cercando nuovi ingaggi per i suoi sci
certo non tranquillizza né me né Gioia,
che decide di rimanere al passo e fare la
fotografa.
Dopo un breve spuntino in cui
muovo più gli occhi alla ricerca dei
passaggi che la bocca per azzannare
panini, senza il peso
dello zaino mi
avvio
(SO)
verso la piramidale anticima E e la
raggiungo (passi di II e III) scavalcando
vari
risalti dell'a-
ereo spartiacque. La roccia ha consistenza estremamente variabile: soda e
ruvida o liscia e friabile, tant'è che gli
appigli vanno testati tutti. Con facilità
scendo alla breccia tra anticima e cima,
dove una fascia di grandi blocchi accatastati mi accompagna dove lo spigolo
si impenna. Volendo evitare guai, non
lo affronto direttamente, ma traverso a
dx per una cengia e dopo aver superato un paio di placchette fessurate mi trovo nel mezzo della
parete NO. Attraverso le
grandi placconate (I/
II) ai piedi dell'e-
dificio sommitale (attenti al detrito
e a non trovarvi qui quando piove!)
fin quando sulla sx si delinea un colatoio che raggiunge la cresta a sx di una
esile fiamma di roccia. Inizio a salire in
quella direzione, ma presto mi accorgo
che è troppo verticale e marcio. Piego
perciò ancora a sx (E) su una placca
verdastra piuttosto insidiosa (III+)
al di là della quale arrampico senza
troppi patimenti verso il cielo (II+) e
metto i piedi sul vertiginoso dente di
roccia che costituisce il pinto culminante della punta SO dei Corni
Bruciati (m 2958, ore 1).
Il ritorno alla bocchetta di Preda
Rossa (m 2851, ore 0:45) è decisamente più veloce dell'andata in quanto
ho ben memorizzato i passaggi.
Dopo aver pianeggiato per qualche
metro (E), imbocchiamo l'evidente
canale (N, sx) che s'impenna verso
la cresta SO della punta Centrale dei
Corni Bruciati6.
Senza percorso obbligato (passi
di II+, roccia friabile) guadagniamo la dorsale nei pressi
di una breccia. Da qui ci sono
6 - Il 27 agosto 1881 Francesco Lurani,
Antonio Baroni e Pietro Scetti furono i
primi salitori della punta Centrale dei
Corni Bruciati. Sfruttarono la cresta SO.
La punta SO dei Corni Bruciati vista dalla bocchetta
di Preda Rossa. Indicato il più semplice tracciato per
raggiungere la vetta (5 agosto 2015, foto Gioia Zenoni).
Alpinismo
varie possibilità per arrivare in vetta:
noi scegliamo la linea più elegante,
quella che ricalca fedelmente il filo di
cresta. La maggiore difficolta è data
da una successione di fessura obliqua,
muro, camino (10 m, III, cordini in
loco), oltre la quale il crinale spiana
e dopo un paio di risalti ci regala la
punta Centrale dei Corni Bruciati
(m 3114, ore 1). Siamo una ventina
di metri a O della dorsale principale e troviamo un ricovero in pietra
e una piccola Madonnina di metallo
bruciacchiata dai fulmini.
Il panorama è amplissimo. In basso
a O si vedono i residui dei ghiacciai
del Corni Bruciati7 e, dall'altra parte
della valle di Preda Rossa, il rifugio
Ponti sovrastato dalle sagome affilate delle vette di val Masino. A N è il
Disgrazia coi ghiacciai di Preda Rossa
e Cassandra, più che dimezzati negli
ultimi 25 anni. In lontananza si distinguono la maggior parte delle cime del
gruppo del Bernina, quindi a E quelle
dello Scalino-Painale, di val Grosina,
dell'Ortles- Cevedale e dell'Adamello.
Scesi nella sella a E della vetta,
pieghiamo a sx e ci gettiamo in un
ripido e sfasciumato canalone tributario del vallone a O della breccia tra
la punta Centrale e quella NE8, detta
7 - Su AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, HOEPLI, Milano 2011 vengono
censiti ben 5 ghiacciai che gravitano attorno ai
Corni Bruciati per una superficie complessiva stimata nel 2007 di 4,9 ha.
8 - Il 30 giugno abbiamo verificato che è percorribile anche l'alto pilastro che scende direttamente a
N della punta Centrale, ma si incontrano difficoltà
di IV grado.
Versante Retico
Omino dalle gambe storte in vetta alla punta SO (5 agosto 2015, foto Gioia Zenoni).
In vetta alla punta Centrale. In basso la punta SO (30 giugno 2015, foto Roberto Dioli).
Punta Centrale
Punta NE
(3114)
(3097)
Bocch. Settentrionale
(2980)
Lungo le ruvide rocce della cresta SO della punta Centrale dei Corni Bruciati. Il toponimo è legato al
colore rossastro del serpentino che costituisce queste montagne, dovuto all' alterazione in limonite
dei minerali di ferro in esso contenuti (5 agosto 2015, foto Beno).
Bocchetta di Preda Rossa
(2851)
La traversata dei Corni Bruciati vista dalla valle di Preda Rossa. Il canale che discende dalla
bocchetta Settentrionale è innevato anche a stagione inoltrata e, date le pendenze, può richiedere
l'uso dei ramponi (3 settembre 2013, foto Mario Sertori).
bocchetta Settentrionale.
La parte alta del canale è coperta
di detrito e a ogni passo precipitano
a valle massi di ogni dimensione.
Più sotto invece la roccia diventa
compatta, ma dopo un breve pianerottolo, anche verticale.
Ci spostiamo così a sx (O)9 dove un
sistema di cenge ci permette, disarrampicando, di raggiungere il selvaggio
e ripido valloncello, spesso innevato
fino a stagione inoltrata, che divide
la punta Centrale da quella NE e che
culmina alla bocchetta Settentrionale10
(m 2980 ca.). Siamo circa 50 m più
bassi del passo.
La sponda dx del valloncello è costituita da un'alta e difficile barra di
rocce, per cui è meglio non affrontarla. Così ci abbassiamo verso la
valle di Preda Rossa finchè il muro
sulla dx lascia spazio a una rampa
(m 2800 ca.) che ci consente, senza
troppe difficoltà, di portarci nel cuore
del versante nord-occidentale della
punta NE su una specie di sella detritica (m 2850 ca.).
Riprende la salita, che richiede
9 - Tenendosi invece presso la cresta spartiacque tra
la valle di Caldenno e quella di Preda Rossa vi sono
2 altre possibilità: raggiungere per il filo di cresta la
bocchetta Settetrionale (passi di III e un passo di IV
su roccia cattiva), oppure, continuando a disarrampicare circa 20 metri a sx del filo si incontra un
chiodo con cordino. Qui, con una calata di 12 metri,
si atterra su un pianerottolo da cui si accede ad un
colatoio molto marcio (dx) che sfocia nel canale tra
punta Centrale e punta NE.
10 - In caso si fosse fatto tardi, raggiunta la bocchetta Settentrionale, che si trova proprio a ridosso
dei contrafforti della punta NE, si può scendere per
un facile canale al ghiacciaio di val Postalesio e da
qui rientrare a pra Isio evitando la punta NE e qualsiasi ulteriore difficoltà.
Il tramonto dalla punta Centrale dei Corni Bruciati (30 settembre 2009, foto Beno).
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097)
75
Alpinismo
un po' di fantasia nell'inventarsi un
percorso tra cenge, placche e pianerottoli sino alla cresta sommitale (II/II+
max). Un breve tratto sull'aereo filo in
direzione N e siamo sulla punta NE
dei Corni Bruciati (m 3097, ore 2).
Questa vetta si trova alla convergenza tra la valle di Preda Rossa, la
valle di Airale e quella di Caldenno.
Il divisorio tra le ultime due, in particolare, è costituito dalla dorsale secondaria irta di torri, che va (ESE) al
passo di Caldenno e da cui si eleva la
cima di Postalesio. La vista sul monte
Disgrazia e sui suoi ghiacciai è molto
dettagliata, specialmente se ci si porta
un po' più a N lungo la cresta.
Ripercorsi pochi metri sulla cresta
(S), smontiamo (ESE, sx) verso la valle
di Caldenno sfruttando il sistema di
cenge e ripiani che corre sotto la cresta
ESE e ci porta al canalone di roccia e
detriti che s'abbassa sul ghiacciaio di
val Postalesio. Nella parte inferiore il
fondo del canale diviene di pietrisco e
possiamo farci scivolare fino al minuscolo ghiacciaio di val Postalesio
(m 2800, ore 0:45), attraversarlo (SE)
e superare la strozzatura con alcuni
salti di roccia al di sotto della soglia
sospesa del circo glaciale. In questo
corridoio il torrentello emette i suoi
primi vagiti prima di sbucare assieme
a noi in un ampio conoide detritico.
Divalliamo inizialmente lungo la linea
di massima pendenza, per poi virare a
sx (E) per ganda, quindi prati, fino a
intercettare il comodo sentiero proveniente dal passo di Caldenno11.
Rapidamente
ci
allontaniamo
dall'ampio anfiteatro che costituisce la
testa della valle di Caldenno e, scivolando sulla sx del torrente, percorriamo l'ampio pianoro dell'alpe Palù
(m 2099), in fondo al quale si trovano
due vecchie baite addossate a un masso
e, sulla dx del torrente, il baitone di
recente ristrutturazione utilizzato dai
pastori. Nei paraggi, si contano moltei
mucche al pascolo di varie razze,
pezzature e colori, oltre a qualche
cavallo12. Una mucca e un vitellino
marroni, entrambi con una bizzarra
fascia bianca che fa il giro completo del
11 - Il sentiero è segnalato, ma i bolli sono radi e
talvolta scoloriti.
12 - I pascoli della valle di Caldenno sono caricati
dall’azienda Bertolini Claudio con 99 capi bovini, 3
equini e alcune capre.
76
LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Retico
Punta NE
(3097)
Alpe Palù e Corni Bruciati (30 settembre 2009, foto Beno).
Il tracciato per salire la punta NE dal suo versante occidentale e scendere da quello orientale, visto
dalla punta Centrale dei Corni Bruciati (30 giugno 2015, foto Beno).
Punta Centrale
(3114)
Bocch. di
Preda Rossa
(2851)
La forma a U della valle di Caldenno, assieme alla presenza di rocce montonate e di varie soglie,
ne conferma l'origine glaciale (31 luglio 2014, foto Gioia Zenoni).
Punta NE
(3097)
Cima di Postalesio
(2995)
La traversata dei Corni Bruciati vista dall'anticima E del pizzo Bello (5 agosto 2015, foto Beno).
Autunno 2015
Caldenno si trova sulla soglia sospesa dell'alta valle di Caldenno (31 luglio 2014, foto Nicola Giana).
LE MONTAGNE DIVERTENTI ventre, ci corrono incontro, mentre,
per non finire a mollo coi piedi nell'acquitrino, saltiamo da una zolla d'erba
all'altra13. Oltre il lungo muro a secco
che segna i confini dell'alpe, il sentiero
scende ai pascoli dell'alpe Caldenno14,
da annoverarsi, come sostiene Dario
Benetti, tra gli esempi più significativi di
insediamenti di quota sul versante retico
della media Valtellina.
A m 1696 incontriamo la baita
isolata di Ciaz, capolinea della carrozzabile. Poco sotto guadiamo il torrente
e, seguendo la pista sterrata, attraversiamo i vari gruppi di baite dell'alpe
Caldenno. Edifici in pietra, in genere
di due piani e ristrutturati con gusto.
Ora sono quasi tutte baite vacanza,
ma l'utilizzo tradizionale prevedeva al
piano terra la stalla per le mucche e
un locale per i maiali, mentre il primo
piano era dedicato sia alle attività casearie che domestiche. Sull'idrografica
opposta, a m 1900, si trova la chiesetta di Santa Margherita. Probabilmente di inizio Cinquecento, viene
menzionata dal vescovo Ninguarda
nel 1589 durante la sua visita pastorale
nella provincia. Qui, oggi come allora,
si celebra una sola messa all'anno: il
20 luglio durante la festa dell'alpe.
Saziata la nostra curiosità di nuclei
rurali, riprendiamo la carrozzabile che
entra nel fitto bosco e in 20 minuti ci
riporta a pra Isio (m 1600, ore 2:45).
13 - Il toponimo Palù si riferisce all'aspetto paludoso di quest'altipiano.
14 - Il sentiero tiene la sx idrografica, sebbene le
mappe lo segnino dall'altra parte.
Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097)
77
Escursionismo
5
Alta Via della Valmalenco
5 tappa
a
Dal lago Palù al rifugio Marinelli-Bombardieri, dai
boschi di conifere al cuore ghiacciato del gruppo del
Bernina, passando per l'alpe Musella, il rifugio Carate
e la bocchetta delle Forbici, vera e propria porta per
l'alta montagna.
Eliana e Nemo Canetta
Il pizzo Bernina, il 4000 più a E delle Alpi e l’unico di Lombardia,
visto dal sentiero che dal rifugio Carate porta al rifugio Marinelli.
Lungo la spalla S del Bernina si vedono, spruzzate di neve, la nuova
e la vecchia
capanna Marco
e Rosa (9 settembre 2010, foto Beno).
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
78
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (V tappa)
79
Escursionismo
Valmalenco
Chiunque per la prima volta nella vita valichi la bocchetta delle Forbici (m 2664)
provenendo dal vicino rifugio Carate (m 2636) non può che rimanere esterrefatto
alla vista improvvisa e ravvicinata dei ghiacciai e delle alte vette del gruppo
del Bernina. È incredibile come, in pochi passi, si venga catapultati da scenari
verdeggianti direttamente nel capitolo dell'altissima montagna, all'interno di quel
libro d'emozioni che è l’Alta Via della Valmalenco!
Capolinea del tracciato è il rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813), il più grande di
Lombardia e il più alto toccato delle 8 tappe dell'Alta Via.
Sassa di Fora
(3366)
Gruppo delle Tremogge
Piz Glüschaint
(3594)
Monte Scerscen
(3971)
Pizzo Roseg
(3936)
Pizzo Sella
(3511)
Bocch. delle Forbici
Rif. Carate
n
ce
rs
e
c
Va
ll
ed
iS
Buchèl del Torno
A. Campolungo
A. Musella
A. Campascio
Lago di Campo
Moro
Dos di Vet
A. Campagneda
Franscia
A. Prabello
La prima parte della V tappa dell’Alta Via della Valmalenco vista dal passo degli Ometti, valico posto a m 2836 sulla cresta SO del pizzo Scalino. Col
tratteggio sono indicate la variante d’accesso da Franscia e quella di tappa per la valle dello Scerscen (1 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: rifugio Palù (m 1965).
Varianti d'accesso: il rifugio Palù è raggiungibile
a piedi da San Giuseppe, esattamente dal piazzale
antistante il rifugio Sasso Nero (m 1506), a cui si
arriva da Sondrio prendendo la SP15 della Valmalenco.
A Chiesa (12 km) scegliere la biforcazione occidentale
(sx) della valle. Dopo diversi tornanti (5 km) si arriva
a San Giuseppe, da cui si seguono le indicazioni per il
rifugio Sasso Nero e la seggiovia del Palù fino all’ampio
piazzale sterrato. Seguendo la strada, o risalendo
le piste da sci, giungiamo ai Barchi (m 1698), dove
sorge il rifugio omonimo. Si prosegue salendo lungo
la pista da sci che passa a N del rifugio, poi, dopo
poco cammino, si prende la mulattiera che si stacca
sulla sx. Salendo dolcemente in un verdeggiante
bosco di abeti e larici, con alcuni tornanti e diversi
falsopiani, ci si affaccia alla conca che ospita il lago
Palù. A cinque minuti, in posizione rialzata sopra la
sponda N, è il rifugio Palù (m 1965, ore 1:20).
Altro modo per intercettare la 5a tappa dell’Alta Via è
quello di partire dal nucleo di case a O di Frascia (Dossi
di Franscia, m 1565), percorrere l’antica mulattiera
segnalata che attraversa i nuclei di Fontane ed Orsera,
per piegare a dx al di sopra delle balze rocciose fino a
guadagnare i prati del dos di Vet (m 1855, ore 0:45).
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Itinerario sintetico: rifugio Palù (m 1965) - alpe
Roggione (m 2009) - buchèl del Torno (m 2222) dos di Vet (m 1855) - alpe Campascio (m 1847) alpe Musella (m 2021) - rifugio Carate (m 2636) bocchetta delle Forbici (m 2664) - lago di Musella
(m 2616) - rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813).
Tempo previsto: 6 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2+ su 6, 1400 m in salita
e 600 m in discesa (sviluppo 12 km).
Dettagli: EE. Escursione su sentieri segnalati
(n. 301-305) da bandierine bianco-rosse e dai
triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. Oltre il
rifugio Carate si entra in ambienti di alta montagna,
per cui occorre essere adeguatamente attrezzati.
Possibilità di neve anche a stagione inoltrata.
Mappe:
- Comunità Montana Valtellina di Sondrio,
Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000;
- Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco,
1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne
Divertenti.
Alta Via della Valmalenco (V tappa)
81
Escursionismo
Valmalenco
Monte Scerscen
Cappuccio di Neve (3971)
Monte delle Forbici
(2910)
(3875)
di Musella
Cime
(3094) (3088)
(3092)
3767
Bocch. delle Forbici
Rif. Carate
Lago e rifugio Palù
(21 ottobre 2014, foto Beno).
Alpe Roggione
(1 novembre 2014, foto L. Bruseghini).
A. Musella
Dos di Vet
Verso il buchel del Torno
(1 novembre 2014, foto L. Bruseghini).
Campascio. A sx il vallone dello
Scerscen, al centro il monte delle
Forbici (12.7.15, foto Bruseghini).
La valle di Musella dal dos Sciaresa. Indicato il tracciato alpe Musella - bocchetta delle Forbici (16 ottobre 2013, foto Beno).
D
al rifugio Palù (m 1965)
saliamo alla sovrastante alpe
Roggione (m 2009). Trascurato il
sentiero per l’alpe Sasso Nero (4a tappa
dell’AV), continuiamo in un bosco
di pini e larici via via più rado, che
lasciano spazio a mughi e rododendri.
Il sentiero continua a zig zag in una
stretta valletta, cosparsa di blocchi di
serpentino franati dalle sovrastanti
pendici del Sasso Nero. Per un erto
canale usciamo sull’ampia spianata del
buchèl del Torno (m 2222, ore 0:45).
Dalla sella andiamo verso dx, più
o meno paralleli all’impianto di risalita che porta nel canale ove transita
la pista da sci. In tal modo, lasciando
sulla dx il turrito monte Roggione,
raggiungiamo verso m 2050 la pista
forestale che seguiamo in discesa sino
alla stazione della seggiovia che dal dos
di Vet porta al monte Motta. Pochi
metri più sotto incontriamo l’importante mulattiera che univa Tornadri e
l’alpeggio di Musella.
Qui si può osservare il tetto dell’antico rifugio Scerscen (m 1831), la cui
struttura risale al 1930 ed è chiusa da
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI tempo. Il dos di Vet era il maggengo
alla quota più elevata della Valmalenco, un dosso con pascoli caricato da
genti della contrada Vetto di Lanzada;
da qui in una mezz’ora è agevole scendere, prima per mulattiera poi per
stradelle, alla località di Franscia ove
si incontra la carrozzabile Lanzada Campo Moro.
Noi invece imbocchiamo l’antica
mulattiera diretta verso settentrione,
non senza osservare il sottosante
vallone ove scorre il torrente Scerscen e gli antistanti roccioni boscosi
che limitano alcune gole, un tempo
percorse dalle acque, di aspetto quanto
mai pittoresco. In tal modo giungiamo a un ponte sul torrente Scerscen oltre il quale è l’ampio pianoro
dell’alpe Campascio, parzialmente
rovinato dall’alluvione del 1987 e
modificato pure da recenti lavori per la
costruzione di una centralina idroelettrica. Facendo attenzione alle segnaletiche, nei pressi di un edificio isolato
(m 1828), pieghiamo nettamente a dx
(NE), risalendo con vari tornanti una
costa boscosa e guadagnando la piana
dell’alpe Musella (m 2021, ore 3).
La piana è di chiara origine glaciale:
qui il ghiacciaio compreso nel circo tra
monte delle Forbici e cime di Musella
andava a confluire nell’enorme ghiacciaio dello Scerscen. L’amena e tranquilla località è dominata dal monte
delle Forbici (noto localmente come
Bar Olt: il montone alto) cui seguono
la bocchetta delle Forbici, le cime
di Musella e la cima di Caspoggio;
mentre a ENE la verdeggiante conca
è dominata dalle torri del Sasso Moro.
Oggi l’alpe Musella1 è costituita oltre
che da alcune baite, da una chiesetta
e da due rifugi. In ordine, provenendo
da Campascio, incontriamo il rifugio
Alpe Musella2, quindi, in posizione
1 - L’alpe Musella e l’alpe Campascio vengono
attualmente utilizzate dall’azienda agricola dei fratelli Antonio e Mario Nana di Lanzada; complessivamente sono caricati 35 capi bovini, 62 tra capre e
pecore e 2 cavalli, tutti di loro proprietà.
2 - Il rifugio Alpe Musella è di propietà e gestito da
Daniele Mitta dal 1987. È aperto dal 1 giugno al 30
settembre. Offre 80 posti letto, suddivisi fra stanze
fino a 6 letti (dotati di lenzuola) e una camerata da
15 letti. Tra le specialità più rinomate della sua
cucina vi sono polenta e cervo o spezzatino con i
funghi. Tel. 347.7938825.
Su alcune mappe, tra cui la CTR, i nomi dei due
rifugi sono invertiti.
Alta Via della Valmalenco (V tappa)
83
Escursionismo
leggermente rialzata, il rifugio Mitta3,
entrambi aperti solo nella stagione
estiva e sprovvisti di locale invernale.
I rifugi hanno senza dubbio vissuto la
loro stagione d’oro quando per salire
in Marinelli non c’era altro modo che
partire da Tornadri a piedi. Ora che
quel tipo di utenza non c’è più, sono la
buona cucina, il poco cammino necessario per raggiungerli da Campo Moro
e la tranquillità dell’ambiente adatto
alle famiglie a costituire una grande
fonte di richiamo turistico.
Traversiamo ora il ripiano verso
NE in direzione del Sasso Moro, per
iniziare un tratto piuttosto faticoso,
i famigerati Sette Sospiri. Si tratta di
una serie di gobbe di sfasciumi e magri
pascoli su cui il sentiero si contorce
con infiniti zigzag e mette alla prova
anche l’escursionista più allenato.
Queste gobbe sono antichi dossi morenici di un rock glacier ormai stabilizzato (rock glacier fossile), residuato del
ghiacciaio della valle di Musella.
Superato il primo Sospiro, lasciamo
sulla dx alcune baite isolate e
continuiamo verso N in un valloncello, poi su una costa sinché verso i
m 2200 intersechiamo il frequentato
sentiero che proviene da Campo Moro
e dall’omonima diga e che costituisce
l’accesso normale, nonché più rapido,
ai rifugi Carate e Marinelli. Superiamo
un altro paio di balze ormai sovrastati
dalla imponente cresta delle cime di
Musella che sbarrano a N la conca
che stiamo risalendo. La mulattiera, a
tratti ripida e un po’ faticosa, zigzaga
sugli ultimi dossi raggiungendo l’agognato rifugio Carate Brianza (m 2636,
ore 1:45).
Dal rifugio Carate in meno di
5 minuti siamo alla bocchetta delle
Forbici (m 2664), considerata uno
dei luoghi mitici delle Alpi, ove la vista
si apre d’improvviso sulla grandiosa
teoria di cime del gruppo del Bernina,
che sino a questo momento era stata
nascosta dal monte delle Forbici e dalle
cime di Musella. Si narra che quando
Damiano Marinelli toccò la bocchetta,
i montanari malenchi che erano con
3 - Il rifugio Cesare Mitta, di proprietà di Francesca,
Marco e Giuseppina Dell’Avo è gestito da Francesca
Dell’Avo dal 1996. Aperto dal 15 giugno al 15 settembre, offre 35 posti letto suddivisi in stanze da 2,
3 e 4 letti dotati di lenzuola.
Tra le specialità della cucina vi è il brasato della
signora Giuseppina. Tel. 0342.452579 348.5990790
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco
Il rifugio Alpe Musella (5 giugno 2014, foto Beno). Fu costruito negli anni ‘20 da Giacomo Mitta
insieme al figlio Filippo e condotto con l’aiuto delle due sorelle Maria e Flavia. A questi seguì
Rosa, zia dell’attuale gestore Daniele Mitta, bisnipote di Giacomo. Ora che non è più tappa
obbligata per chi vuole raggiungere il cuore del gruppo del Bernina, il pubblico del rifugio è
perlopiù costituito da gitanti che amano associare una breve camminata a un ottimo pranzo.
L’albergo Musella (23 agosto 1914, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese), chiamato anche capanna Eugenia (inf. Michele Comi), sorgeva dove
ora è il rifugio Cesare Mitta (5 giugno 2014, foto Beno). La struttura fu costruita prima della Grande Guerra, per essere gestita dalle sorelle Mitta. In
seguito ad una catastrofica slavina scesa dal Sasso Moro che la distrusse nel 1917, fu ricostruita nel 1920 e intitolata a Cesare Mitta, storico gestore
d’inizio ‘900 della capanna Marinelli. Il rifugio Cesare Mitta è oggi frequentato soprattutto da famiglie per soggiorni di una settimana, ma non
mancano gli avventori per il pranzo.
L’alpe Musella e le cime di Musella (12 luglio 2013, foto Roberto Ganassa).
Il rifugio Carate Brianza e il Sasso Moro (14 luglio 2015, foto Roberto Ganassa). Di proprietà dell’omonima sezione del CAI, è una costruzione in
pietra a due piani con veranda eretta nel 1927 in sostituzione della vecchia capanna delle Forbici. È gestito da Francesca Vanotti e ha conduzione
famigliare. Aperto dal 1 luglio al 15 settembre, viene in genere utilizzato come punto di appoggio per la salita al rifugio Marinelli e, più raramente,
viene sfruttato per le ascensioni e le traversate sulle montagne circostanti. Ha 24 posti letto, 35 posti pranzo all’interno a cui se ne aggiungono altri
30 nella veranda esterna. Nei periodi di chiusura offre locale invernale. Tel. 0342.452560 - 338.3878416.
Ai piedi del quarto dei sette Sospiri (12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (V tappa)
85
Escursionismo
Valmalenco
La Sella
(3584-3564)
Monte Scerscen
(3971)
Pizzo Roseg
(3936)
Pizzo Sella
(3511)
Pizzo Bernina
(4049)
Passo Sella
(3259)
io dello Scerscen Sup.
Ghiaccia
Ghiacciaio d
ello
Scers
cen
Inf
.
Rif. Marinelli
Lago di Musella
I gruppi del Bernina e del Sella - Glüschaint si riflettono nel lago delle Forbici, incastonato in una pietraia poco lontana dal passo omonimo
(12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
lui non seppero indicargli i nomi delle
vette che improvvisamente si ergevano
all’orizzonte, a loro sconosciute.
Un tempo alla bocchetta delle Forbici
ci si teneva alti sul versante occidentale
delle cime di Musella per un sentiero
abbastanza esposto che portava al
monumento degli Alpini, ove ci si
affacciava, ancora una volta all’improvviso, alla conca della vedretta di
Caspoggio, tranquillo ghiacciaio che si
andava a traversare per guadagnare poi
l’ultimo tratto di sentiero che portava al
rifugio Marinelli. Ora le modificazioni
glaciali hanno reso sconveniente questo
itinerario e il sentiero per il monumento degli Alpini è stato così sostanzialmente dimenticato. Noi scendiamo
leggermente verso NNO, lasciando a sx
il pittoresco laghetto delle Forbici, ove
centinaia di fotografi hanno immortalato le acque in cui si specchiano i
giganti del Bernina. Per una serie di
dossi petrosi e di campi di neve, che
resistono sino a tarda stagione, si aggirano le pendici dello spuntone roccioso
ove è il monumento degli Alpini e
poco oltre, si accosta il verdognolo
lago di Musella. Tra le rocce montonate si trova il cippo con i resti dell’elicottero “Samba 23” che ricordano la
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giuseppe Della Rodolfa, gestore del rifugio Marinelli, impegnato nella complessa traversata cime di Musella - cima di Caspoggio. Sullo sfondo il poggio
del rifugio e il gruppo del Bernina. Indicati il tracciato e la variante (tratteggiata) della V tappa (20 luglio 2013, foto Beno).
VARIANTE. ALPE MUSELLA-VALLONE DELLO SCERSCEN-CIMITERO DEGLI ALPINI-RIFUGIO
MARINELLI BOMBARDIERI
I contrafforti che reggono il poggio del rifugio Marinelli visti dal versante opposto della valle di
Caspoggio (14 luglio 2015, foto Roberto Ganassa).
disgrazia del 1957 in cui perirono il
pilota, Maggiore Secondino Pagano, e
Luigi Bombardieri. Era uno dei primi
voli sperimentali sull’uso dell’elicottero in montagna: la pala del rotore
urtò fatalmente il cavo della teleferica
che collegava il rifugio col monumento
degli Alpini scavalcando la vedretta di
Caspoggio (ai tempi il ghiacciaio occupava l’intero vallone sotto la Marinelli).
Superati con ponticelli i rami dell’e-
missario della vedretta di Caspoggio,
ormai ritiratasi nella conca sottostante
l’omonima bocchetta4, ci portiamo
sotto la possente bastionata che
sostiene il terrazzo del rifugio Marinelli. La costeggiamo verso dx per poi
4 - Il grande ghiacciaio di Caspoggio, che un tempo
occupava l’intera valle, dagli anni ‘70 si è smembrato in due elementi, di cui l’occidentale, battezzato ghiacciaio delle Cime di Musella, è andato via
via sparendo, anche a causa del detrito che lo ha
ricoperto.
Autunno 2015
Il rifugio Marinelli-Bombardieri. Ubicato su un poggio panoramico a m 2813 e con 210 posti letto è
il più grande di Lombardia (14 luglio 2015, foto Roberto Ganassa).
rimontare (sx) con molte risvolte il
pendio detritico che conduce alla spianata su cui poggia il grande fabbricato
(rifugio Marinelli - Bombardieri,
m 2813, ore 1:15).
Inaugurato nel 1880 con il nome di
rifugio Scerscen, due anni più tardi fu
rinominato Marinelli in onore del suo
ideatore, Damiano Marinelli, travolto
nel 1881 da una slavina sull’immane
parete E del monte Rosa. Con lui
LE MONTAGNE DIVERTENTI morirono Ferdinand Imseng e Battista
Pedranzini, mentre unico superstite fu
il portatore Alessandro Corsi.
L’articolata struttura che vediamo
oggi è il risultato di numerosi ampliamenti che fanno sì che oggi il rifugio,
di proprietà della sezione Valtellinese
del CAI, possa ospitare 210 persone5.
5 - Il rifugio Marinelli-Bombardieri è aperto da giugno a settembre (e ad aprile-maggio nella stagione
dello scialpinismo) ed è gestito dal 2009 dalla guida
Questa variante, di notevole interesse mineralogico, naturalistico
e storico, tocca il celebre monumento degli Alpini, per decenni
dimenticato sul fondo del vallone
dello Scerscen. Pur incrementando
di poco il dislivello, richiede 2
ore di marcia in più rispetto alla
tappa canonica, causa il notevole
sviluppo.
Dall’alpe Musella (m 2021),
imbocchiamo verso O un sentierino a mezza costa che contorna lo
sperone meridionale del monte delle
Forbici e, con una serie di saliscendi,
entra nel vallone dello Scerscen che
qui appare come una spaccatura tra
alpina Giuseppe Della Rodolfa.
Nei periodi di chiusura, offre un confortevole locale
invernale in grado di ospitare 14 persone.
Il rifugio è utilizzato sia dagli escursionisti, sia dagli
alpinisti diretti perlopiù sul pizzo Bernina, sia da
semplici golosi che salgono per gustarsi un pranzo o
una cena in quota.
Contatti: [email protected]
tel: 0342.511577 - 347.5200146.
Per l’approfondimento relativo al rifugio Marinelli
rimandiamo alla VI tappa dell’Alta Via che verrà
trattata nel n.36 - Primavera 2016.
Alta Via della Valmalenco (V tappa)
87
Escursionismo
Le ex-miniere di amianto del vallone dello Scerscen, tra le più rinomate della Valmalenco
in quanto vi si trovavano filamenti lunghi anche 2 m (14 luglio 2015, foto R. Ganassa).
Valmalenco
Il ponte sul torrente Scerscen nei pressi delle miniere di
amianto (20 agosto 2008, foto Beno).
Nel vallone dello Scerscen al cospetto della lingua del ghiacciaio dello Scerscen Superiore
(17 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).
6 - Vedi Eliana e Nemo Canetta, Alta Via della Valmalenco 4a tappa, LMD n.33 - Estate 2015, pagg.
64-75.
La ripida salita dal vallone dello Scerscen al rifugio Marinelli - Bombardieri. Sullo sfondo il monte Scerscen (17 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini).
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
le rocce del Sasso Nero e del monte
delle Forbici. Facendo attenzione alle
segnaletiche, sfruttiamo una serie di
ponticelli in legno che permettono
di oltrepassare il tratto più selvaggio
e impressionante delle gole, giungendo così all’imbocco delle prime
cave di amianto, il cui materiale era
trasportato a spalla sino a Tornadri.
La principale di queste appare come
la facciata di una casa incastonata
nella parete sul lato orografico sx del
vallone. In zona sono numerosi ed
interessanti i resti dell’estrazione del
minerale. Nelle discariche con un po’
di fortuna si possono trovare demantoidi, serpentino, fibre di amianto e
abbondante magnetite, sia in masserelle grigio ferro che in bei cristalli
cubici.
Un massiccio ponte di legno ci
porta sul versante opposto del vallone
che risaliamo così sull’orografica dx,
toccando le miserrime abitazioni
dell’alpe Scerscen dall’aspetto quanto
mai primitivo di antichi ricoveri sotto
roccia. Qui è particolarmente impressionante costatare come i pascoli
circostanti siano improvvisamente
ricoperti dal morenico recente risalente all’ultima fase della Piccola Età
Glaciale (1850-1860).
Si desume perciò come i pascoli
del già misero alpeggio siano stati
distrutti dai ghiacci nella loro avanzata
ai primi dell’ ‘800. Continuiamo
più ripidamente sino a una sella
(m 2400 ca.), vera porta d’accesso
alla parte superiore del vallone dello
Scerscen, dominata dagli omonimi
ghiacciai Inferiore e Superiore.
Dalla sella deviando verso E,
possiamo raggiungere in pochi
minuti la croce del cimitero degli
Alpini (m 2312), in posizione panoramica centrale rispetto ai massicci
circostanti. Tornati sul sentiero, dopo
poco incrociamo la variante della
IV tappa6; da qui alla Marinelli gli
itinerari si sovrappongono. Con un
ampio e interessante arco da sx a dx ci
teniamo sotto le lingue della vedretta
di Scerscen Superiore, per guadagnare
infine grazie a una cengia/canale il
rifugio Marinelli - Bombardieri
(m 2813, ore 5).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (V tappa)
89
Approfondimenti
Valmalenco
Per ricordare la morte degli Alpini venne eretto un monumento accanto al vecchio sentiero che
portava alla capanna Marinelli (agosto 1926, foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it).
1917
gli alpini in valmalenco
N
ella primavera del 1917 la
Grande Guerra stendeva le sue
ombre ormai da quasi tre anni su larga
parte dell’Europa centro meridionale,
dal canale della Manica ai Balcani,
dalla valle del Reno sino alle pianure
polacche. L’Italia, entrata nel conflitto
nel 1915, era ormai anch’essa presa nel
tragico meccanismo e pure la Valtellina era stata dichiarata zona di guerra;
infatti si combatteva dallo Stelvio al
Gavia in quello che all’epoca fu definito il più alto fronte del conflitto. Ma
non solo: anche la complessa frontiera
tra la provincia di Sondrio e il Canton
Grigioni era costantemente monitorata nel timore che gli austro-tedeschi,
attraverso l’Engadina, scendessero su
90
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il piccolo cimitero nel vallone di Scerscen dove vennero sepolti i 16 Alpini travolti da una valanga
durante un trasferimento il 2 aprile 1917. In secondo piano si notano la lingua del ghiacciaio
di Scerscen Inferiore a sx e di Scercen Superiore a dx (agosto 1926, foto Alfredo Corti - CAI sez.
Valtellinese).
Eliana e Nemo Canetta
Tirano, Sondrio e Chiavenna evitando
le nostre difese in alta Valtellina. Il
risultato sarebbe stato catastrofico e
perfino Milano, già all’epoca metropoli industriale, sarebbe stata minacciata. Fu proprio per questo che
sin dal 1916 anche in Valmalenco
vennero istituiti dei piccoli ma agguerriti presidi, formati da elementi scelti
tra Alpini e Finanzieri. Queste poche
forze avevano il compito di controllare
i confini e, ove necessario, di realizzare
una prima difesa mentre il grosso delle
forze italiane sarebbe affluita in zona.
Forse fu proprio anche per questo
che nel cuore del gruppo del Bernina
venne posizionata al rifugio Marinelli
una importante scuola di sci alpino.
In tal modo si ottennero due risultati: addestrare i nostri soldati della
montagna in ambiente glaciale simile
a quello dell’Ortles-Cevedale e dell’Adamello, già fronti di guerra, ma pure
tenere presidiato un rifugio in posizione strategica centrale rispetto a
tutto il gruppo.
l 1° aprile 1917 il Capitano Davide
Valsecchi, esperto alpinista e
comandante del corso sciatori, decise
di interrompere ogni collegamento
col fondovalle a causa del maltempo.
Lo stesso giorno una valanga si staccò
dal Sasso Moro e si abbattè sull’albergo Musella, dove alloggiavano 28
Alpini. I sopravvissuti e i feriti leggeri,
scavando tra le macerie e le montagne
I
Autunno 2015
di neve, riuscirono a trarre parecchi
feriti dalle rovine. Si contarono, però,
8 morti, a cui si aggiunse un ulteriore
decesso tra i feriti. Nel frattempo il
caporale Parolini scese di volata con
gli sci a Tornadri, ove era un altro
presidio e dove giungevano più facili
collegamenti da Chiesa e Sondrio. La
macchina dei soccorsi reagì prontamente e parecchie personalità risalirono sino a Musella per constatare i
danni1.
1 - Il 4 aprile giunse perfino il Generale Lepore,
comandante del settore difensivo Mera Adda, col
compito di stilare un preciso rapporto per il Generale Mambretti, comandante di tutte le forze che
difendevano sul nostro versante la frontiera italo
elvetica (OAFN: Osservazione Avanzata Frontiera
Nord). Si consideri che ai tempi i Generali non si
muovevano in elicottero come oggi ma, come tutti,
LE MONTAGNE DIVERTENTI P
urtroppo il 2 aprile avvenne
una seconda e più grave
disgrazia. Il Capitano Valsecchi,
fidando in un miglioramento del
tempo, si mise in moto con una
quarantina di Alpini scelti tra i
migliori per scendere dalla Marinelli fino a Musella2. Ma una nuova
valanga, staccatasi dai fianchi della
cima Occidentale di Musella, si
abbattè sul gruppo che stava risalendo i pendii verso la bocchetta
delle Forbici. 16 sciatori vennero
presi in pieno, sparendo sotto metri
e metri della bianca coltre. Nonostante l’arrivo di rinforzi, non vi fu
niente da fare e solo successivamente
gli sventurati vennero ricomposti nel
vicino cimitero3.
Dopo decenni di abbandono,
il cimitero degli Alpini è stato
recentemente restaurato dal gruppo
di Lanzada dell’ANA Valtellina ed
è visitabile scostandosi di poco dal
tracciato della variante della V tappa
dell’Alta Via della Valmalenco.
il Generale Lepore dovette salire nella neve da Tornadri sino a Musella.
2 - Altre fonti riportano invece che gli Alpini stavano salendo alla Marinelli, ipotesi che ci pare dover
scartare visto quanto accaduto il giorno prima
all’alpe Musella.
3 - La stampa locale non riporta notizia dell’accaduto, anzi La Provincia e il Corriere della Valtellina
presentano ampi spazi bianchi con la scritta “censura”.
Alta Via della Valmalenco (V tappa)
91
Versante Orobico
Passeggiata a Faedo
Gioia Zenoni
Dal Piano alla chiesa di San Bernardo passando per i Gaggi, splendido
agglomerato di case in pietra di origine medievale, e rientrando dopo
aver visitato le rovine del Mulino dei Galli, maggengo abbandonato
sul fondo della val Venina e di cui sia il nome che l'aspetto evocano
un alone di mistero.
Gioia Zenoni
LE MONTAGNE DIVERTENTI La chiesa di San Bernardo a Faedo,
punto più elevato di questa escursione
(27 gennaio 2015,
foto Beno).
Passeggiata
a Faedo
93
Escursionismo
Versante Orobico
Punta della Pèssa
(2472)
Dos Bilì
Pizzo Grò
(2653)
Le Piàne
Legnomàrcio
Motta di Scàis
(2416)
Pizzo Rondénino
(2747)
Campiòlo
San Giàcomo
Gàggio
San Bernàrdo
Ca di Giùgni
va
l
Ve
nì
Gaggi
na
Gianbonàsco
Crap de la Furscèla
Martìni
San Carlo
Scenìni
Ferüda
Bustéggia
Balzarìni
Bordìghi
Rónchi
Piàno
Faedo visto da Montagna in Valtellina. Indicati parte dell'itinerario descritto e la corretta accentazione dei toponimi (8 giugno 2015, foto Beno).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: Faedo, frazione Piano (m 300).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si
imbocca la tangenziale in direzione Tirano e, appena
dopo il passaggio a livello, si svolta a sinistra per
Faedo. Entrati in paese (località Piano), si seguono
le indicazioni per la sala polifunzionale comunale in
località Fumagalli, ubicata in prossimità dello sbocco
della val Venina. Nel parcheggio di fronte ad essa
si lascia l’automobile. La partenza può anche essere
facilmente raggiunta da Sondrio a piedi o in bici
attraverso il sentiero Valtellina (solo 4 km).
Itinerario
sintetico: Piano (m 300) - Feruda
(m 337) - Scenini (m 465) - San Carlo (m 557) -
Gaggi (m 779) - San Bernardo (m 1052) - Gaggi
(m 779) - Mulino dei Galli (m 640) - Martini
(m 553) - Scenini (m 465) - Piano (m 300).
Tempo previsto: 4 ore visite escluse.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 750 m in salita.
Dettagli: E/EE. Escursione su sentieri segnalati
anche se, nel tratto Gaggi - Mulino dei Galli - Martini
sono maltenuti.
Mappe:
- Kompass n.93 - Bernina-Sondrio, 1:50000
http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
F
inalmente si parte all’esplorazione minuta del paesaggio che
scorgiamo ogni mattina dalla nostra
finestra di casa a Montagna in Valtellina! Sono molto curiosa di scoprire
cosa c’è in mezzo a tutto quel verde
punteggiato qua e là di bianco e di
grigio sulle pendici del Dosso della
Croce. Lì, partendo dal profondo
solco della val Venina e stretto tra i
comuni di Albosaggia, Montagna in
Valtellina, Piateda e Sondrio, si trova
Faedo Valtellino1.
1 - Con una superficie di 4,8 km2 Faedo è al 74°
posto per estensione tra i 78 comuni della provincia
di Sondrio e con 568 abitanti al 62° per popolazione
(fonte ISTAT).
LE MONTAGNE DIVERTENTI L
asciamo l'auto di fronte al centro
sportivo al Piano di Faedo
(m 300) e giriamo intorno al centro
ittico (E poi S, poi SO), fino a intercettare il sentiero che con una breve
salita ci conduce al primo tornante
destrorso della strada asfaltata (SP 20).
La seguiamo e in breve raggiungiamo
la località Feruda (m 337, ore 0:10).
Prima di entrare nell'abitato, 80 m
circa dopo il cartello, prendiamo la
stradina asfaltata sulla sx. Saliamo fino
a intercettare una traversa. Andiamo
a dx e dopo pochi metri ha inizio un
sentiero acciottolato sulla sx2. Grazie
ad esso prendiamo quota addentrandoci nel fitto del bosco dove vecchi
muri a secco testimoniano l'antica
cura del versante della montagna.
Questa via, oggi in certi tratti invasa
dalle spine, anche dopo la costruzione della carrozzabile (1909) è stata
per molti anni l'arteria principale
che connetteva le frazioni Scenini,
Martini e San Carlo col Piano, in
quanto le automobili erano davvero
poche e la gente si spostava a piedi.
Allo sbocco del sentiero sulla SP 20,
un bel lavatoio con tetto a capriate in
legno segnala l’arrivo nella contrada
2 - Nell'intersezione con l'asse stradale le bretelle
sentieristiche principali del comune di Faedo sono
evidenziate con una breve rampa cementata e
acciottolata.
Passeggiata a Faedo
95
Escursionismo
Scenini (m 465, ore 0:25). Passeggiando fra le case, scorgiamo un’anteprima della meta più alta del nostro
giro, la chiesa di San Bernardo, dipinta
sul muro di una casa. Andiamo anche
a caccia di un bell’esemplare di torchio
a ruota, con caspio di legno e una
grande vite in ferro incastrata in un
massiccio basamento di pietra. Non
è facile vederne in giro, perchè sono
quasi tutti stati smantellati: abbiamo
letto di lui nella tesi di laurea scritta
da due giovani architetti negli anni
Novanta3 e lo troviamo imboccando
la stradina che dal lavatoio scende tra
le case in direzione ONO.
Torniamo quindi sui nostri passi e
prendiamo il sentiero che sale a E del
lavatoio. Ci addentriamo nel bosco
pregustando le castagne che potremo
raccogliere a ottobre. Il sentiero attraversa la strada asfaltata, poi, quando la
incontriamo nuovamente la percorriamo (dx) fino a raggiungere il centro
di Faedo, sul dosso un tempo noto
come Piazzo Maggiore, dove svetta la
secentesca chiesa parrocchiale di San
Carlo Borromeo (m 557, ore 0:20)
che dà il nome alla contrada. Restaurata a inizio Novecento, si accompagna a un oratorio e a un piccolo
cimitero sul lato S del dosso, quello
da cui scendiamo una scalinata e
dopo qualche metro verso sx imbocchiamo (dx) la strada a transito limitato per i Gaggi. Dopo 500 metri ha
inizio un sentiero sulla sx che taglia il
lungo tornante della rotabile, a cui ci
ricongiungiamo dopo aver toccato il
casone isolato di recente ristrutturazione al margine della piccola radura
di Gianbonasco.
Ritrovata la carrozzabile sterrata
(sx) raggiungiamo l’antica contrada
dei Gaggi (m 779, ore 0:35)4, spettacolarmente piantata su un poggio
roccioso che domina una placida
piana erbosa vertiginosamente affacciata sulla val Venina.
Poche sono le case di cui si
compone, addossate l’una all’altra.
Secoli fa doveva essere un luogo forti3 - Giordano Caprari e Luca De Paoli, Segni di storia, cultura, religione architettura, arte, nella gente di
Faedo Valtellino e nel suo territorio con le radici verso
il futuro, Sondrio 2006.
4 - Qui si può giungere più ripidamente proseguendo un poco a E dell'imbocco della strada San
Carlo - Gaggi fino a un lavatoio, a dx del quale ha
inizio la mulattiera diretta per Gaggi.
96
LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Orobico
Il grande lavatoio in contrada Scenini (7 giugno 2015, foto Beno).
Gaggi, caratteristico nucleo di origine medievale (7 giugno 2015, foto Beno).
ficato, data anche la sua posizione
altamente strategica. In particolare,
l’edificio che ci dà il benvenuto ora trasformato in un’agiata dimora
estiva - mantiene alcune caratteristiche edilizie originarie, richiamando
moltissimo l’aspetto di una torre: gli
spigoli sono in bugnato e in alcuni
tratti di muratura si riconoscono
i conci disposti a spina di pesce,
secondo una tecnica antica. Dalla
nicchia ricavata nel corpo di fabbrica
addossato alla torre, una Madonna
con Bambino di fattura piuttosto
recente guarda benevola il viandante.
Alcune case sono state ristrutturate, altre ci invitano a fare un tuffo
indietro nel tempo, immaginando un
via vai di donne che, scendendo le
scalette in pietra, andavano a cuocere
il pane nel forno di cui restano i
ruderi della cupola, a porre i formaggi
nel crotto o a prender l'acqua, che
qui scarseggia, al pozzo5. E la lavanderia? Come ci ha confermato Diego
De Paoli, memoria storica di questi
luoghi, era davvero scomoda: bisognava mettere panni sporchi e sapone
nel gerlo e scendere fino al Mulino
dei Galli per trovare un flusso d'acqua
adeguato a quella mansione. Poi,
con pazienza, le donne stendevano
il bucato sui sassi in riva al torrente
Venina aspettando fossero asciutti e
Edifici ristrutturati di Gaggi (7 giugno 2015, foto Beno).
5 - La fontana nel centro del nucleo è un'opera di
recente fattura e l'acqua viene captata piuttosto lontano da Gaggi. Il pozzo, fondo 4-5 m, è posto vicino
all'attuale parcheggio in una zona che ha assunto il
toponimo di Górgola per il rumore dell'acqua che lì
risorge dalle viscere della terra.
così più leggeri da trasportare.
Lasciamo quest’angolo di paradiso per riprendere il sentiero ben
segnalato che ripido sale a ridosso del
crinale bosco fino a San Bernardo
(m 1052, ore 0:45).
Arrivati nell’ampio terrazzo erboso,
distinguiamo più nuclei di case:
quello in prossimità della chiesa,
Balzarini, Caprari, Mais, Stefani. Il
maggengo è ora abitato solo in estate,
quando i suoi prati vengono sfalciati e
i bambini in villeggiatura giocano fra
le balle di fieno.
Un tempo, invece, la popolazione di
Faedo era distribuita principalmente
fra questa contrada e i Gaggi: le due
località si trovavano lungo una rotta
commerciale che collegava il versante
bergamasco delle Orobie con i porti
fluviali di Faedo e Albosaggia e che,
fino al Cinquecento, veniva utilizzata
soprattutto per il commercio del ferro
estratto nell’alta val Venina6.
Solo a partire dal secolo successivo la gente iniziò ad abbassarsi
verso i nuclei prossimi al fondovalle,
popolando in particolare San Carlo,
mentre San Bernardo venne gradualmente abbandonata, diventando un
insediamento stagionale.
Davanti a noi è il Crap del Diàul,
masso erratico che ospita un monumento ai caduti collocato dall’Associazione Nazionale Alpini di Faedo.
6 - Per un’escursione ai forni fusori del ferro in val
Venina, si può prendere spunto da: Luciano Bruseghini, Pizzo del Diavolo di Tenda, LMD n.22 Autunno 2012, p. 97.
Autunno 2015
La chiesa che troviamo alla nostra
dx è dedicata ai santi Bernardo
Abate e Maria Maddalena e risale al
Quattrocento, epoca in cui dipendeva dalla parrocchia di San Giorgio
a Montagna. Siccome raggiungere
la chiesa sull’altro versante della
valle era eccessivamente faticoso, gli
abitanti di San Bernardo e dei Gaggi
(circa 350 anime) approfittarono di
un periodo di relativa floridezza per
costruirsi una propria chiesa!
Per due secoli - fino alla edificazione
di San Carlo Borromeo e alla costituzione, nel 1629, di una parrocchia
indipendente da Montagna - questa
fu la chiesa principale di Faedo.
Passiamo sotto il bel portale in pietra
decorata, datato 1545, ed entriamo
per una visita. I numerosi rifacimenti
LE MONTAGNE DIVERTENTI a cui la chiesa è stata sottoposta nel
corso dei secoli non impediscono
di apprezzarne l’architettura molto
semplice, d’origine medievale, ad aula
unica con copertura a capriate (recentemente restaurata) e conclusa da un
catino absidale. Sotto diversi strati di
intonaco stesi nel corso dei secoli per
la manutenzione delle pareti, i recenti
restauri hanno svelato dei bellissimi
affreschi7.
Alla nostra sx riconosciamo la quattrocentesca Ultima Cena e, più avanti,
la figura di San Rocco, protettore dalla
peste e unico affresco mai coperto
dalle intonacature. Datato da un’i7 - Per un approfondimento sulla storia della chiesa
e sugli affreschi, vd. Massimo Romeri, San Bernardo
a Faedo, Annuario CAI Valtellinese 2011, pp. 130131; sugli aspetti tecnici del restauro, vd.
www.sanbernardodifaedo.it/restauro.html
scrizione al 1568, è attribuito a Luigi
Valloni, pittore originario di Albosaggia e attivo nella media Valtellina,
spesso in collaborazione con Cipriano
Valorsa8.
Nell’abside e sul lato dx della chiesa
i restauratori hanno messo in luce altri
affreschi realizzati nella prima metà
del Cinquecento: è incredibile come
questa piccola chiesa, lontana dai
grandi centri abitati moderni e apparentemente spoglia, possa racchiudere
centocinquant’anni di storia dell’arte
valtellinese, quasi fosse un catalogo!
Sappiamo che il progetto di
restauro non finisce qui, ma prevede
anche la sistemazione della pavimentazione e della facciata, oltre a scavi
archeologici.
Tornati ai Gaggi (m 779, ore 0:35)
per la via di salita, attraversiamo il
grande prato in direzione S, mirando
a raggiungere l’affaccio sulla val
Venina, dove incontriamo il sentiero
che conduce al Mulino dei Galli.
Il sentiero di discesa va affrontato con prudenza, dal momento che
taglia un versante molto scosceso e in
alcuni tratti piuttostro stretto. Nonostante questa primavera sia stato pulito
e ripristinato, erba alta, rami e spine
l'hanno rioccupato per la mancanza
di manutenzione e talvolta risultano
davvero fastidiosi. Con un lungo
traverso in discesa (S) divalliamo
immergendoci sempre più nel fitto
bosco con brevi tregue di luce in corrispondenza di alcune grigie pietraie9.
Quasi nel fondovalle, il sentiero
piega bruscamente a sx (N, cartello),
riscendendo la valle e accostandosi
infine al torrente, che proprio in
località Mulino dei Galli (m 640,
ore 0:50) crea delle piccole, ma spettacolari forre, parzialmente occultate
da una vegetazione rigogliosa.
Esploriamo i ruderi di quello
che anticamente era un maggengo
dotato di stalle, fienili, casel del lac’
10
e alcuni impianti artigianali, fra
8 - Per una breve panoramica sul pittore grosino vd.
Gioia Zenoni, Cipriano Valorsa, LMD Autunno
2010 n. 14, pagg. 93-97.
9 - Questi tratti, in cui la mulattiera è stata ricavata
accomodando con cura i massi, sono ben visibili
dalla sponda opposta della valle dove corre la carrozzabile che da Mon sale a Vedello.
10 - Sotto un grande masso che forma una specie di
grotta si trova una sorgente d'acqua che veniva utilizzata sia per conservare il latte, che come fonte di
acqua potabile.
Passeggiata a Faedo
97
Escursionismo
Versante Orobico
cui un mulino, come indicato non
solo dal toponimo, ma anche dalla
presenza di una macina in pietra11 per
i cereali che qui convergevano dalle
contrade di Faedo. Ci divertiamo a
immaginare l’aspetto di questi edifici
quando ancora erano in piedi, deducendone le caratteristiche dai pochi
indizi sopravvissuti: generalmente
a due piani, interamente costruiti a
secco, con pietre più grandi e squadrate disposte sia agli angoli sia come
architravi sopra le aperture (porte e
finestre). In diversi casi i muri sfruttano rocce affioranti e massi erratici;
i buchi nelle pareti segnalano l’altezza
del pavimento in legno del piano
superiore, posato su travi e ora scomparso. L’accesso al piano superiore
avveniva, talvolta, dall’esterno, come
testimoniano le scalette in pietra.
La luce filtra fra gli alberi e fa brillare di un verde intenso il muschio
che anno dopo anno sta ricoprendo
tutto: non ci stupiremmo di vedere
un folletto uscire da un riparo e
saltellare fra le pietre che invadono il
viottolo.
Un centinaio di metri a valle, sotto
il sentiero, si trova un secondo nucleo
di ruderi. Fatta la nostra consueta
ispezione, proseguiamo (N) a mezzacosta tra vari saliscendi sulla via del
rientro, uscendo dal bosco e raggiungendo, sempre più alti sulle forre del
Venina, una zona più brulla e arida,
in cui il nostro olfatto è punto dai
sentori caratteristici della macchia
mediterranea. All’uscita della val
Venina la vista si apre finalmente sulla
Valtellina, regalando scorci molto
panoramici su Montagna, Poggiridenti e Tresivio, ma soprattutto sul
terrazzo di Vermaglio, situato sul lato
opposto della val Venina nel comune
di Piateda: la dolce regolarità dei prati
e dei filari di vigne contrasta con le
pareti scoscese e affilate che precipitano verso il torrente12.
A ridosso dello sbocco della valle,
dove si trova il testone roccioso chiamato crap de la Furscèla, inizia una
discesa più decisa su una mulattiera
i cui passaggi più ripidi sono stati
11 - Il mulino, come testimonia Diego De Paoli,
negli anni '30 era già in disuso.
12 - Poco più dentro nella valle, si può ammirare il
disarmante spettacolo di una vallecola, il valgél di
Can, in cui vengono scaricati abusivamente elettrodomestici e rifiuti.
98
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI San Bernardo dopo il primo taglio del fieno (7 giugno 2015, foto Beno).
Lungo il sentiero che da Gaggi scende al Mulino dei Galli (7 giugno 2015, foto Beno).
Tra le rovine del Mulino dei Galli (7 giugno 2015, foto Beno).
agevolati con scalinate di pietra: si
tratta certamente di uno dei tratti più
suggestivi del percorso.
Raggiungiamo le case di Martini
(m 553, ore 0:35), a valle di una
conca con prati e colture protetta da
un poggio che chiude la vista verso
il fondovalle, dando l’impressione di
essere isolati dal mondo.
Da qui, a malincuore, prendiamo la
strada asfaltata che con qualche curva
ci fa ritrovare, poco prima del cartello
d'ingresso alla contrada Scenini, il
sentiero di salita. Lo seguiamo fino al
Piano (m 300, ore 0:20).
Passeggiata a Faedo
99
Approfondimenti
Versante Orobico
Ricordi di gioventù a Faedo
intervista a diego de paoli
Redoch
Gioia Zenoni
Centrale di Vedello
San Bartolomeo
Fienili la Pensa
Molinari
La val Venina oggi vista all'incirca dalla medesima posizione (2015, foto Marino Amonini).
Significativa immagine della val Venina negli anni '20. In basso
a dx si vedono i prati e le baite di Molinari. Sulla dx idrografica
del torrente è la vecchia mulattiera della val Venina che Diego
percorreva con la madre quando portava la frutta sul cantiere
della diga di Scais. Quella in alto sulla sx non è la strada
carrozzabile per Vedello, ma la decauville che penetra nella valle
in piano dal Gaggio di Piateda (1920, foto archivio Amonini).
D
iego De Paoli, figlio di Lazzaro,
classe 1929, è un falegname in
pensione e vive in contrada Scenini. I
suoi ricordi di gioventù offrono uno
spaccato della vita a Faedo prima
che il boom del secondo dopoguerra
stravolgesse le usanze di una comunità perennemente in movimento fra
gli alti pascoli orobici e il fondovalle
valtellinese.
Quali sono i suoi ricordi di
ragazzino?
«Fino ai 18-19 anni, prima di partire
per il militare, mi sono occupato
assieme a mio fratello dell’allevamento
degli animali di famiglia. Avevamo le
mucche e abitavamo a Scenini, anche
se per portarle al pascolo dovevamo
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI trascorrere dei periodi dell’anno in
altre località.
Alle cinque del mattino, d’inverno,
si scendeva a mungere le vacche al
Piano, dove c’erano le stalle e dove i
prati erano ben tenuti per lo sfalcio; la
mulattiera passava attraverso i terrazzamenti con i frutteti, i vigneti e i campi
coltivati con i cereali. Dato il clima,
insolitamente favorevole per la sponda
orobica, si faceva la doppia coltura:
prima la segale poi, quando la si raccoglieva a luglio, si metteva il furmentùn,
esattamente come a Teglio.
Ora non si riesce più a immaginare
quel paesaggio. È tutto inboschito e,
mentre prima dalla finestra di casa
vedevo i prati del Piano, ora gli alberi
nascondono addirittura Sondrio!
Diego De Paoli, classe 1929, memoria storica del Mulino dei Galli (14 agosto 2015, foto Beno).
Finito l'inverno, dove andavate
con le mucche?
Verso maggio ci si spostava in quota
per trovare il pascolo per le bestie:
nel corso dell’estate si passava prima
ai Gaggi, poi al Mulino dei Galli e
infine si raggiungevano gli alpeggi
delle vallate di Ambria, per poi invertire il percorso in autunno. Qualche
famiglia di Faedo invece caricava in
Valmalenco.
Come dobbiamo immaginarci il
Mulino dei Galli?
Era un maggengo con prati e stalle,
molto più aperto e certamente meno
isolato di oggi, visto che la vecchia
strada per Vedello passava sul lato
opposto della valle pochi metri più in
Autunno 2015
alto. Era un insediamento stagionale:
nessuno ci viveva tutto l’anno e non
so nemmeno se qualcuno l’abbia mai
fatto. C'è chi veniva qui addirittura
in villeggiatura d’estate a cercare un
po' di fresco. Le donne scendevano
da Gaggi per lavare i panni dato che
lassù l'acqua scarseggiava.
Io al Mulino dei Galli ci sono praticamente nato. Oltre alla mia, c’erano
altre due-tre famiglie, ognuna con la
sua baita: al piano inferiore si ricoveravano gli animali, in quello superiore
si dormiva sdraiati sul mucchio del
fieno. Facevamo formaggi e li conservavamo nel casel del lac’ che sta sotto
un roccione con annessa sorgente. Lì
andavamo anche a prendere l’acqua
da bere.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Quando ha iniziato ad andare in
rovina il maggengo?
Già quando ero piccolo c’erano
alcuni edifici fatiscenti. Il mulino non
l'ho mai visto funzionare. Il colpo definitivo è arrivato negli anni Sessanta in
seguito alla costruzione della nuova
strada Mon-Vedello, quella su in alto
che percorriamo anche oggi. Durante i
lavori, infatti, l'incauto uso delle mine
aveva fatto precipitare a valle massi che
hanno danneggiato le costruzioni del
Mulino dei Galli, mai più riparate,
anche perchè non vi era più interesse
nel farlo dato che la pastorizia e l'agricoltura erano state sostituite da altri
tipi di mestieri.
Noi siamo stati gli ultimi a caricare
quel maggengo.
Lei ha fatto in tempo a vedere
la costruzione della diga di Scais
(1936-1939). Cosa ricorda?
Ero davvero piccolo. Ricordo che con
la mamma si partiva il mattino presto
da Scenini con il gerlo pieno di pere e
di pesche raccolte nei nostri campi e,
dopo una tappa intermedia al Mulino
dei Galli, le si andava a vendere agli
operai dei cantieri della diga. Questi ne
erano molto golosi, come del resto gli
abitanti delle varie contrade alte e dei
maggenghi di Piateda, in quanto lì non
vi erano alberi da frutto. Le sbranavano
in un sol colpo, ingurgitando addirittura il picciolo!
La frutta era una delle ricchezze del
nostro paese e il suo commercio generava un certo benessere.
Intervista a Diego De Paoli
101
Escursionismo
Approfondimenti
C hiesa
di
S an B ernardo
il restauro degli affreschi
1
2
3
4
L'Ultima Cena, affresco quattrocentesco che decora la parete N della chiesa di San Bernardo a Faedo (2015, foto Beno).
Nella pagina a fianco: 1- Arco Trionfale, Madonna con Bambino (2015, foto Anna Triberti); 2- San Rocco (2015, foto Beno);
3- L'abside durante l'operazione di restauro (2015, foto Anna Triberti); 4- Abside, il volto di San Bernardo (2015, foto Anna Triberti).
P
er un restauratore, riportare alla
luce una pittura è sicuramente
una delle operazioni più spettacolari
ed esaltanti: in questa chiesa la rimozione degli intonaci superficiali e delle
imbiancature più recenti ha fatto
emergere testi pittorici antichi di cui
non si conservava memoria. Riscoprire la forma di un viso, una figura di
grande bellezza e qualità, o un intero
ciclo, ripaga ampiamente delle difficoltà e della grande attenzione che
l’intervento richiede.
Il restauro degli affreschi - da me
seguito e tutt’ora in corso sotto la direzione dell’architetto Luca De Paoli - è
stato avviato con il sostegno dell’Associazione Amici di Faedo nel 2010, due
anni dopo aver verificato con saggi
stratigrafici la presenza di affreschi
antichi.
Il primo intervento è stato effettuato
sulla parete nord della chiesa, dove si è
messa in luce l’Ultima Cena. L’affresco
è stato quindi pulito, consolidato con
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI Anna Triberti
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI stuccature e sottoposto a interventi di
ritocco pittorico per garantirne una
migliore conservazione e una buona
leggibilità.
Lo studio del dipinto ha permesso
di datarlo alla prima metà del Quattrocento: per la Valtellina, si tratta di
un’epoca di transiti di uomini e idee
particolarmente felice dal punto di
vista artistico, ma di cui ci sono giunte
rare testimonianze. Da qui la preziosità di quest’opera, che spicca per
qualità esecutiva fra gli affreschi della
nostra valle.
L’anonimo pittore di San Bernardo
ha una formazione tardogotica tipicamente lombarda: possiamo notare le
figure allungate, dai dolci lineamenti
tratteggiati con linee fluide ed eleganti,
disposte intorno ad una tavola definita
con dovizia di particolari.
In questa Ultima Cena è rappresentato il momento, narrato nel Vangelo
di Giovanni, in cui Gesù porge a
Giuda un pezzo di pane intinto nel
vino, individuando nell’apostolo colui
che lo tradirà.
È un’iconografia che si è diffusa
nell’arco alpino nel XV secolo: per fare
solo qualche esempio, la troviamo a
San Barnaba a Villa di Chiavenna, alla
chiesa vegia di Piazzalunga ad Arbedo-Castione in Ticino, a Santa Marta
a Oggebbio sul lago Maggiore.
I lavori del 2011 hanno permesso
di scoprire un ciclo di affreschi che
il bresciano Vincenzo de Barberis,
autore anche del polittico dell’Assunta in San Vittore a Caiolo, realizzò
intorno al 1530 in occasione di un
restauro della chiesa.
Sotto un arco trionfale vi è una
Vergine con Bambino in trono,
mentre nel catino absidale si riconoscono un monumentale Cristo
circondato dal Tetramorfo – cioè
dai simboli dei quattro evangelisti –
derivato dall’Apocalisse di Giovanni,
e i santi Bernardo da Chiaravalle e
Antonio Abate.
Gli affreschi della chiesa di San Bernardo
103
Escursionismo
Valchiavenna
Lago del Grillo
Itinerario Luciano Bruseghini, approfondimenti Sergio Scuffi
Il piccolo lago del Grillo. Sullo
sfondo il pizzo Galleggione
(19 giugno 2011, foto Vittorio
LE MONTAGNE DIVERTENTI 104 - www.clickalps.com).
Vaninetti
Autunno 2015
Sui ripidi fianchi delle montagne che circondano Chiavenna è difficile che l'acqua
possa frenare la sua corsa verso il basso. Ma non è sempre così: alle pendici nordoccidentali della Corna di Garzone, appena a ENE del testone alberato del Mottaccio,
una piccola conca è riuscita a far nascere la pozza battezzata lago del Mottaccio e
oggi conosciuta come lago del Grillo. Il nuovo toponimo, sebbene più simpatico, è un
po' improprio, in quanto ereditato dal più lontano pizzo del Grillo. Questi a sua volta
lo aveva preso dall'alpe del Grillo, luogo che già Guido Silvestri nella Guida dei monti
d'Italia. Alpi Retiche del 1911 segnalava non esser più presente sulle mappe.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lago del Grillo
105
Escursionismo
Valchiavenna
4
Monte Cónco
(2902)
Cima di Codéra
(2757)
Monte Gruf
(2936)
Pizzo del Grillo
(2190)
Pizzo di Prata
(2727)
Monte Beléniga
Punta di Schiesóne
(2639)
(2560)
Monte Matra
Corna di Garzoné
(2206)
(2430)
Punta Buzzètti
(2580)
ore di cammino e 1800 metri di dislivello non sono sufficienti a smorzare l'affetto che gli
abitanti di Chiavenna hanno verso il piccolo lago del Grillo, ma certo bastano a renderlo
poco frequentato sebbene l'itinerario per raggiungerlo permetta di fare un viaggio nel passato
e scoprire un'area della Valchiavenna dove un tempo gli alpeggi, oggi in stato di completo
abbandono, fiorivano e fornivano sussistenza a numerose famiglie.
Il Mottàccio
Alpe Prato del Cónto
Alpe Damìno
Alpe Pescéda
VA
LS
CH
IE
SÓ
NE
Alpe Quarantapàn
Uschióne
Alpe Madréa
BELLEZZA
Belvedére
Deserto
Stazione
Pratogiano
FATICA
Partenza: stazione di Chiavenna (m 333).
Itinerario automobilistico: raggiunta
Chiavenna per la SS 36, parcheggiare nei pressi
della stazione ferroviaria, o per levarsi l'impiccio
dell'auto, utilizzare direttamente il treno.
Itinerario
PERICOLOSITÀ
-
(m 333) - Uschione (m 832) - alpe Pesceda
(m 1313) - prato del Conto (m 1434) - bivacco
Scarlonzöö (m 1703) - lago del Grillo (m 1960) alpe Tecciali (m 1575) - alpe Damino (m 1320) Uschione (m 832) - stazione di Chiavenna (m 333).
F
106
LE MONTAGNE DIVERTENTI Chiavenna e le sue montagne viste da Dalò.
Il lago del Grillo è nascosto dietro il testone
alberato del Mottaccio (10 maggio 2007,
foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
Autunno 2015
sintetico: stazione di Chiavenna
accia rivolta alla stazione ferroviaria di Chiavenna (m 333),
andiamo a sx verso Pratogiano (piazzale con grandi platani dove il sabato
si tiene il mercato). Oltre una curva
verso dx, costeggiamo tutto il lato
corto della piazza (Giuseppe Garibaldi) e giungiamo nella zona dei
Crotti di Pratogiano, quindi, nei pressi
del ristorante Crotto Ombra svoltiamo
a dx (cartelli segnaletici - seguire per
Uschione) e prendiamo via Al Tiglio.
Pianeggiamo per un breve tratto lungo
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 7 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1800 m.
Dettagli: EE. Escursione piuttosto lunga. Sentieri
segnalati, ma con bolli radi e non sempre facili da
ritrovare dopo l'attaversamento di contrade e
alpeggi.
Mappe:
- Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia,
1:50000
una strada acciottolata, poi imbocchiamo sulla sx una viuzza in salita
(indicazioni sentiero n. 12). Accanto
al cancello dell’ostello Deserto1, sulla
sx i cartelli ci avviano (sx) nel bosco
di castagni su una bella mulattiera a
gradoni con fondo in selciato2. Dopo
1 - La struttura di 4 piani e quasi 3 mila metri quadri, ex Istituto Don Guanella (orfanotrofio, seminario, collegio e convitto), dal 2004 è stata destinata
a ostello.
2 - Accanto al cancello del Deserto, fino a pochi anni
fa, si trovava la stazione di partenza della teleferica
che serviva Uschione e che ora è stata soppiantata
pochi minuti di salita tra enormi
macigni di serpentino e pietra ollare,
sbuchiamo sul poggio panoramico
dei prati del Belvedere3, da cui con lo
sguardo si domina Chiavenna e le tre
valli che vi confluiscono. Al margine
dalla strada, come conferma Aldo Balatti. La mulattiera, invece, sarebbe stata costruita nella prima
metà dell’Ottocento durante la dominazione
austriaca. I più attenti hanno contato 2853 gradini
da Chiavenna a Uschione.
3 - Fin qui il tracciato coincide con quello della storica gara di corsa in montagna a staffetta "Le Marmitte dei Giganti", che quest'anno si svolgerà il 20
settembre.
Lago del Grillo
107
Escursionismo
Valchiavenna
Chiavenna dal Belvedere (foto Sergio Scuffi).
dei prati del Belvedere, la facciata di un
vecchio fabbricato mostra un dipinto
che raffigura lo stemma dei Fagetti, una
delle famiglie originarie di Uschione.
Attorno al dipinto, e all’immagine di
un bambino (il Pedoscìn) nascosto fra i
rami di un albero, ora non più visibile, è
nata anche una leggenda, che vorrebbe
il piccolo in balia di due streghe decise
ad ingrassarlo e mangiarselo: storia a
lieto fine, visto che il protagonista riesce
a scamparla, facendo anche fare una
brutta fine alle megere.
Riprendiamo il cammino ed
entriamo nell'ombroso bosco di latifoglie. Transitiamo a fianco di un’edicola votiva con le raffigurazioni della
Madonna, di San Giuseppe e di Cristo
in croce (m 550). È datata 1864 ed è
molto ben conservata, grazie soprattutto al restauro del 2005.
Il tracciato sfiora grossi massi precipitati a valle in tempi remoti e ora
ricoperti di muschio e bassa vegetazione. Incrociamo diversi terrazzamenti abbandonati su cui si sono
insediati differenti tipi di albero.
Piacevole è trovare una solitaria
fontanella incassata sotto una roccia
e da cui sgorga della buonissima
acqua fresca che ci salverà dall’arsura
soprattutto al ritorno. A m 800 dal
sentiero principale si diparte verso sx
una traccia, indicata da un cartello
in legno, che conduce alla chiesa di
108
LE MONTAGNE DIVERTENTI Mont del Diàol. Sullo sfondo pizzo Parandone e pizzo Alto (18 luglio 2015, foto Bruseghini).
La scalinata che sbuca sui prati del Belvedere (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Uschione (10 aprile 2010, foto Roberto Moiola).
Quarantapan (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Pesceda (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Uschione. Al momento la ignoriamo,
ma ci tornerà utile al rientro. Insistiamo perciò lungo la scalinata in
pietra e in breve arriviamo al nucleo
di Uschione4 (m 832, ore 1:15,
2.5 km), arroccato su una terrazza
a SE di Chiavenna, a monte dell’aspro versante disegnato da boschi e
roccioni di serpentino. Uschione è la
principale frazione di Chiavenna ed
è formata da tre contrade che prendono il nome delle principali famiglie
che vi abitavano: Zarucchi, il primo
che incontriamo arrivando dal basso,
Pighetti, con la secentesca chiesetta
dedicata all’Ascensione, e Nesossi, da
cui proseguiamo la nostra escursione.
Fino al 1872 il borgo apparteneva
a Prata Camportaccio. Era abitato
tutto l’anno, oggi invece nei mesi più
freddi si svuota completamente. La
sua popolazione era così numerosa
che nel 1813 vi venne istituita una
vice-parrocchia dipendente da Chiavenna, proclamata poi parrocchia nel
1886 dal vescovo Pietro Carsana. Qui
fu parroco il leggendario prete-alpinista don Giuseppe Buzzetti, il
primo, probabilmente, a salire la
temibilissima parete N del pizzo di
Prata, in solitaria. Don Buzzetti scom4 - Uschione è raggiungibile con una strada carrozzabile che sale da Prata Camportaccio lambendo la
bella località di Lòttano, fino alla sbarra che solo i
proprietari possono oltrepassare. Lasciata l’auto,
occorrono solo 10 minuti a piedi.
Lago del Grillo
109
Escursionismo
parve misteriosamente nel luglio del
1934: fu visto l'ultima volta sul crinale
che separa la val Porcellizzo dall’alta
val Codera, mentre rincasava per celebrare la messa domenicale dopo aver
scalato la punta Torelli.
Dopo esserci dissetati alla fontana
in pietra, seguiamo la segnaletica che
ci indirizza a E verso il parcheggio
sopra l’abitato. Da qui inizia un
sentierino erboso che sale per la
massima pendenza fino a sbucare al
mónt del diàol, modesta piana con
ruderi fatiscenti aventi alle spalle
rampe di prati.
Entrati nel bosco, riprendiamo
la salita. Non molto e il tracciato
pianeggia, attraversa un ruscelletto
che scorre ai piedi di un enorme
masso. Ancora un altro breve ripido
tratto e giungiamo a una seconda
radura dove l’erba è appena stata
sfalciata e sono coltivate delle piccole
piante da frutto protette con reti
dall’attacco dei famelici ungulati.
Rientrati nel bosco, guadagniamo
rapidamente quota con dei tornantini emergendo su un ampio pendio
pascolivo dove baite in parte diroccate si alternano ad altre risistemate:
alpe Quarantapan (m 1200). Avanziamo tra radi alberi fino ad avvistare
tre casupole (sulla prima di colore
rosa ci sono le indicazioni per l’alpe
Damino che toccheremo in discesa):
preannunciano la panoramica alpe
Pesceda (m 1313, ore 1:15, 2 km).
Da qui si gode una visione spettacolare sulle vette della sponda destra
idrografica della Bregaglia italiana.
A farci compagnia un gruppetto di
asini che stanchi di pascolare e sfiniti
dalla cappa sahariana se ne stanno in
panciolle all’ombra di un maso.
Attraversato tutto l’alpeggio verso
SE, rientriamo nel bosco. La vegetazione si modifica: le latifoglie
lasciano spazio alle aghifoglie, con
gli abeti che si elevano sopra tutti.
La traccia è flebile ma continua e i
segnali biancorossi sono ben visibili
sui massi e sui tronchi. Dopo poco
i campanacci delle mucche ci preannunciano la conquista della tappa
successiva: una conca bucolica dove
i bovini pascolano placidi: prato del
Conto5 (m 1434, ore 0:20, 0.9 km).
5 - Erroneamente indicato come "Prato del Conte"
sulle mappe e sui cartelli in loco.
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valchiavenna
Il minuscolo lago del Grillo in un periodo di secca (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Il bivacco Scarlonzöö (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Costeggiamo una caratteristica baita
in pietra, di recente ristrutturazione,
e ignoriamo la traccia che si stacca
verso dx e conduce alle alpi Primalfieno e Tecciali. Raggiungiamo
invece a sx una grande costruzione
più datata. Qui troviamo una spina
dell’acqua: bisogna rifornirsi perché
è l’ultimo punto dove c’è dell’ottima
acqua fresca.
L’ascesa prosegue ripida accompagnata da un vistoso tubo grigio
che rifornisce d’acqua l’avamposto
appena oltrepassato. Dopo un tranquillo tratto pianeggiante verso E,
raggiungiamo un ruscello che, come
scopriremo in seguito, proviene dal
lago del Grillo. Un’ulteriore rampa
ci conduce a una modesta spianata
nel bosco dove sorge un edificio
isolato, il bivacco Scarlonzöö
(m 1703, ore 0:40, 0.9 km). Nel
seminterrato c’è una stalletta dove
una solitaria pecora nera se ne sta
nascosta: secondo me si è sistemata
per bene vista l’abbondanza di cibo e
beveraggio. Al piano rialzato invece
si trova un ambiente minimalista6,
sempre aperto, con brande e materassi e una piccola stufa a legna: è
un ricovero semplice ma provvidenziale in caso di maltempo improvviso. Un tempo Scarlonzöö era un
piccolo alpeggio, utilizzato per circa
15 giorni da chi caricava l’alpe prato
6 - Venendo a mancare una regolare manutenzione,
lo stabile oggi, per quanto ancora utilizzabile,
mostra i segni dell’abbandono.
del Conto. Questo fino agli anni
’50/’60. Successivamente rimase
abbandonato, fin quando la vecchia
cascina cadente è stata risistemata
con rifacimento del tetto (lamiere
al posto delle originarie piòte) e del
pavimento. Il lavoro è stato eseguito
nel 1974/75 da un gruppo di volontari del Consorzio Alpe Conte, con
lo scopo di fornire un punto di
rifugio per la notte a escursionisti,
cacciatori, cercatori di funghi.
Riprendiamo la marcia verso dx
fino a un poco esteso pascolo. Qui
il sentiero si inerpica su per una
vallettina cosparsa di pianticelle di
mirtillo che ci forniscono un’ottima
razione di zuccheri! Riattraversiamo
un paio di volte il rigagnolo finché
non scompare sotto una pietraia e
in breve sbuchiamo nella conca che
ospita il piccolo lago del Grillo
(m 1960, ore 0:30, 1 km).
Nelle sue limpide acque verdi
nuotano una miriade di girini, ma si
sviluppano anche migliaia di zanzare
che provvedono immediatamente
a nutrirsi del nostro sangue. Non si
scorgono né immissari né emissari: il
lago è sicuramente alimentato dalle
precipitazioni nevose che ricoprono
l’ampio pendio sovrastante che
precipita dalla Corna di Garzonedo
(m 2430) e da qualche sorgente
sotterranea.
Rifocillati e riposati ci incamminiamo seguendo la traccia che
ci conduce su un piccolo dosso: la
Autunno 2015
La parete N del pizzo di Prata dall'alpe Mottaccio (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini).
nostra “Cima Coppi” di giornata a
m 2000.
Fiancheggiamo ruderi di antiche
baite e iniziamo la discesa che in
breve ci porta all’alpe Mottaccio
(m 1928), da cui si gode una superlativa vista della verticale e rocciosa
parete N del pizzo di Prata.
Il sentiero affianca un baitone e si
immette nuovamente nel bosco, tra i
larici, perdendo quota rapidamente.
Lungo tutto il periplo è un alternarsi di balconate prative, dove si
ergono diroccate abitazioni, e di
boscaglia che va pian piano prendendo il sopravvento sui coltivi per
l’incuria dell’uomo.
Al secondo spiazzo che incrociamo non ci deve fuorviare il sentieLE MONTAGNE DIVERTENTI rino che scende a sx, ma dobbiamo
puntare all’evidente ometto in pietra
con bollo bianco sulla dx.
Costeggiamo il nucleo abbandonato di Tecciali (m 1575, ore 1,
2.2 km) caratterizzato da morbidi
pascoli delimitati da muretti di sassi
e continuiamo ad abbassarci. All’improvviso tra le piante appare una
grossa costruzione a cui ne seguono
altre due minori: alpe Primalfieno. Da qui la traccia si fa incerta
e i segnavia radi. Bisogna prestare
massima attenzione: dopo un tratto
in diagonale verso dx, ne segue un
altro a sx e poi uno lungo la massima
pendenza che permette di sbucare
all’alpe Damino (m 1320, ore 0:30,
1.6 km).
Usciamo dal bosco, bassi rispetto
alle tre baite ristrutturate e, come
cammelli che hanno appena attraversato il deserto, ci abbeveriamo
dal tubo sgorgante l’agognata acqua!
Reidratati, riprendiamo la marcia.
Anche in questo tratto la segnaletica
non è delle migliori. Pianeggiamo
brevemente verso NE, poi evanescenti solchi nel pascolo ci fanno
perdere velocemente quota in direzione NO. Alla nostra dx appare, per
breve tratto, il pizzo Damino, riconoscibile dalla croce di vetta.
Al limitare del prato ritroviamo
i bolli segnaletici: pieghiamo a sx
(per non perdersi bisogna puntare al
baitello nel bosco in basso a sx) e ci
affrettiamo lungo il sentiero sinuoso,
inizialmente stretto, poi man mano
sempre più ampio, agevolato ogni
tanto da scale in pietra, fino a un
cartello segnaletico in legno appeso
ad un albero che ci orienta verso
Uschione. Con un rapido tragitto
arriviamo nei pressi di un roccione
panoramico. Un'altra picchiata e
scopriamo una zona molto particolare, ricca di costruzioni in parte
interrate e in parte ricoperte di
massi, dove vengono conservati al
fresco gli alimenti (localmente sono
conosciute come crotti Valcóndria).
Attraversata la strada asfaltata
in breve perveniamo ad Uschione
(m 832, ore 1, 2.4 km).
Decidiamo di fare una deviazione
per dare un’occhiata alla contrada
Pighetti (Pighétt) dove sorge la chiesa
dedicata all’Ascensione, costruita
nel 1609 ed ampliata fra il 1891 ed
il 1893. Sul vicino campanile dal
colore rosa spento troviamo una
targa datata 1877 con un verso di
Giovanni Bertacchi, “Sonèe, campan
vütem in del viagg, de vicenda in
vicenda e d'ora in ora”. Oltre alle
case mirabilmente ristrutturate,
una particolarità di Uschione è la
presenza di molte piante di amarene.
Con un veloce zig-zag nel bosco
raggiungiamo l’ampia mulattiera
percorsa in mattinata e in un batter
d’occhio rieccoci a Chiavenna
(m 333, ore 0:30, 2.2 km) accolti
da una calura e da un’umidità pazzesche: quanto si stava bene al laghetto
del Grillo, a parte le zanzare!
Lago del Grillo
111
Approfondimenti
Valchiavenna
Intorno a, Uschione
un mosaico di appunti fotografie e poesie
Sergio Scuffi
M
IST
ER
IO
SE
CA
SC
A
lle prese con il taglio di un grosso castagno. La foto, degli inizi del Novecento, è stata utilizzata per realizzare una cartolina. I personaggi, evidentemente messi in posa dal fotografo, rappresentano bene, oltre all’abbigliamento di un tempo, una delle occupazioni
fondamentali per la vita rurale: la preparazione delle scorte di legna per riscaldare gli ambienti durante i lunghi inverni. Il lavoro
occupava tutti gli adulti, e spesso le famiglie si aiutavano a vicenda. Non poteva mancare una benedizione da parte del parroco (archivio famiglia Balatti).
AT
E
L
a dirupata parete nord del pizzo di Prata talvolta scarica imponenti cascate che sembrano originarsi dal nulla. Il fenomeno, alquanto
curioso da osservare, è legato al fatto che le compatte rocce metamorfiche che formano la montagna permettono raramente all'acqua di
infiltrarsi al suo interno. Questo può accadere solo in presenza di ampie fratture, con la conseguente formazione di sorgenti temporanee
più a valle dove queste fratture si estinguono. Il fenomeno, tipico degli ambienti carsici, raramente può essere osservato anche in altri contesti
geologici, proprio come qui sul pizzo di Prata.
Gran parte delle cascate visibili nell'immagine è la conseguenza del ruscellamento superficiale dell'acqua in seguito a un temporale estivo o alla
fusione della neve ancora presente in quota e nei canali, ma alcune di esse sembrano nascere quasi dal nulla, lasciando ipotizzare la presenza
di queste spettacolari sorgenti (8 giugno 2015, foto Katia Balatti, commento a cura di Riccardo Scotti).
U
na vecchia cartolina della collana curata dal C4 (Circolo culturale collezionistico Chiavenna); riporta questa
poesia trascritta da Marco Sartori su dettatura del poeta contadino Giovanni Nesossi, detto Giovanin Saiotola:
Sulla montagna di Chiavenna a settentrione
trovasi un paese chiamato Uschione,
ed è circondato da cedui e da pinete
e il suo progresso sta nella quiete
Trovasi a Uschione una signorina
che di nome chiamasi Zarucchi Gina
ella si dedica all'istruzion religiosa
ed è grande scrittrice di versi di prosa.
D
O Cogoledo che il nome tuo diffondi
perchè i natali a Colombo tu hai dato,
anche Uschione è un paese di gloria
perché di Gina sarà scritta la storia.
A
a sx Aldo Balatti, don Pierino Pellegrini con ali Crotti di Valcondria: da sx Aldo Balatti, con zia (ànda) Caterina e zia Docuni bambini e Franca Silvani. Un tempo le famimenica (Dumenghìn), poi Nina Pighetti e i genitori di Aldo: Enrica Pighetti e
glie risiedevano a Uschione per lunghi periodi;
Amerigo Balatti (Americo). Una delle donne in primo piano tiene in evidenza
la chiesa, oltre ad essere sede del culto e della devozione il val, strumento molto utilizzato durante la battitura delle castagne - risorsa alipopolare, costituiva anche un irrinunciabile luogo di mentare fondamentale in tempi non troppo remoti -, per ripulire il frutto dai residui
aggregazione (1964, archivio famiglia Balatti).
dei gusci frantumati (1965, foto archivio famiglia Balatti).
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Intorno a Uschione
113
Escursionismo
Alta Valtellina
Alta Valtellina
Monte Varadega
Il monte Varadega (m 2635) si trova nell'area del Mortirolo, a
E di Grosio e Grosotto e al confine tra le province di Sondrio
e di Brescia. È una vetta di facile accesso, dal vastissimo
panorama e completamente fortificata. A distanza di
un secolo, mantiene ancora quasi intatti i segni degli
immani lavori che si
svolsero a ridosso della
Prima Guerra Mondiale.
Eliana e Nemo Canetta
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: ponte di quota 1949.
Itinerario automobilistico: da Tirano si segue
la SS 38 dello Stelvio verso Bormio sino all’uscita di
Grosio, ove la si abbandona e si segue per Grosio.
Traversato Grosio si supera l’Adda e poco dopo si è
al bivio segnalato per il passo del Mortirolo. Si lascia
allora la vecchia statale che prosegue per Sondalo,
imboccando, a dx, la strada per il passo. Si sale così
con numerosissime svolte, trascurando i bivi che
portano ai vari maggenghi della zona. In breve si è
alla Madonna di Pompei (m 1423), da dove si ha
un bellissimo panorama su tutta la media Valtellina e
la costiera orobica. La strada asfaltata e abbastanza
comoda continua sino ad immettersi a m 1572 nella
tortuosissima carrozzabile che sale direttamente
da Mazzo Valtellina. La si segue verso monte in
un bel bosco e per il Pian di Cop si sbuca al passo
della Foppa (m 1852), valico automobilistico non
lungi e da tutti confuso col vero passo del Mortirolo
(m 1896), che si apre più a E sulla cresta spartiacque
ed è solo pedonale. Entrati in territorio bresciano,
ci si immette nella lunga carrozzabile militare,
anch’essa ampia e asfaltata, che proviene dal passo
dell’Aprica e scende a Monno. In breve si è a NE
all’albergo Alto (m 1825), dove c'è un bivio. Si va a
sx in piano (si tratta di una vecchia strada militare) e
si aggira il costone meridionale del monte Resverde
A
chi dall’area del Mortirolo
spinge lo sguardo verso N, il
monte Varadega (localmente noto
anche come Valradega) appare come
una massa rocciosa irta di torri. È il
punto terminale della cresta rocciosa
che, presa origine dal passo di Gavia,
costituisce il gruppo Sobretta-Pietra
Rossa. Più a S del monte Varadega
l’ambiente, prima aspro e talora non
facile, cede ai grandi dossi boscosi ed
Sguardo sulla Valtellina dalla grande grotta
artificiale del monte Varadega (1 ottobre 2013,
LE MONTAGNE DIVERTENTI foto 114
Giacomo Meneghello).
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI per penetrare nel bosco nella valle di Varadega. Poco
oltre si è al bivio della stradetta militare che andremo
a percorrere e al ponte di m 1949, nei cui pressi è
possibile parcheggiare (37 km).
Sebbene più tortuoso, è possibile accedere alla zona
percorrendo tutta la strada militare del Mortirolo
dall’Aprica (31 km dal passo dell'Aprica).
Itinerario
sintetico: ponte di quota m 1949
- casere del Comune (m 2011) - bivio per il passo
di Varadega (m 2275) - bivio per la Tornantissima
(m 2490 ca.) - vette del monte Varadega (m 2634
e m 2635).
Tempo previsto: 5 ore e mezza per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo,
consigliati gli scarponi (a inizio di stagione possibilità
di incontrare tratti innevati).
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 700 metri.
Dettagli: E/EE. Escursione su strade militari e
sentieri segnalati. Brevi tratti esposti.
Mappe:
- Kompass n. 96 - Bormio Livigno Valtellina,
1:50.000;
- Multigraphic - Carta dei sentieri e rifugi. Alpi
Retiche-Gruppo dell’Adamello, 1:25.000.
erbosi della costiera del Mortirolo, che
terminerà parecchi chilometri dopo il
passo dell’Aprica.
Il monte Varadega, al di là di questa
sua caratteristica geografica, rappresenta pure lo spalto sud-orientale
della cosiddetta Stretta di Grosio e
come tale è sempre stato di grande
importanza strategica nella difesa
della media Valtellina. Ovvio quindi
che durante la Grande Guerra fosse
possentemente fortificato e fosse stata
realizzata addirittura una stradella
per accedervi. Infatti una sua perdita
avrebbe compromesso la difesa della
stretta di Grosio, permettendo agli
austriaci di dilagare verso Tirano e
verso il Mortirolo che, a sua volta, era
un valico di rilevanza strategica notevole tra Valtellina e Valcamonica.
La salita al Varadega si compie lungo
la stradella militare ampia e facile per
Monte Varadega (m 2634 - m 2635)
115
Escursionismo
Pizzo Alto alla Croce
(2501)
Monte Varadéga
(2635)
I Dossóni
(2910)
Cime di Gròm
(2773)
Alta Valtellina
Il gruppo del monte Serottini dalla contrada di Sotto a Sernio (30 novembre 2012, foto Beno).
Verso la cima del monte Varadega (30 novembre 2012, foto Beno).
qualche chilometro, poi più stretta,
infine accidentata e talora esposta,
tanto da richiedere una buona sicurezza di piede. In compenso si potrà
entrare in contatto, a pochi chilometri
dalle carrozzabili del Mortirolo, con
la realtà di una vetta alpina completamente fortificata che, a distanza di un
secolo, mantiene ancora quasi intatti
i segni degli immani lavori di quegli
anni.
ITINERARIO
D
al ponte di quota m 1949 si
percorre verso nord (cartello
indicatore) la vecchia stradella militare per circa 3 km, ancor oggi percorribile da mezzi fuoristrada, ma chiusa
al traffico privato. In breve si è alle
casere del Comune (m 2011), dalle
quali sulla dx (NNE) si diparte un
tracciato che raggiunge il nucleo risistemato di Pollavia, sotto le immani
rupi delle cime di Grom. La stradella,
dal fondo un po’ sconnesso, continua
lungo il fondo della val di Varadega
in un ambiente ormai d’alta quota.
Superato il cippo del primo chilometro, si continua a mezza costa e,
dopo un paio di tornanti, si distacca
verso NE il tracciato segnalato che
porta verso il Dosso Alto e il monte
Serottini. Poco oltre si è al secondo
cippo miliare; la strada compie
un’ampia curva e raggiunge un panoramico dosso non lungi dal passo di
Varadega, cui accede una recente pista
carrozzabile. Nei dintorni sono alcune
116
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sulla stradella militare. Sullo sfondo il Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello).
La Valtellina dalla mulattiera militare per la vetta del Varadega (28 agosto 2010, foto Meneghello).
Autunno 2015
Lungo la mulattiera militare per la vetta del Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello).
LE MONTAGNE DIVERTENTI caratteristiche grandi doline.
Poco oltre la strada si restringe
improvvisamente ed eccoci al terzo
chilometro (ore 1). Sopra di noi
il monte Varadega appare come un
castello roccioso di accesso apparentemente non facile. L’agevole mulattiera, che ha preso ormai il posto
della stradella, risale il pendio di un
ampio dosso oltre il quale è l’indicazione per il sottostante, non visibile,
rifugio Croce dell’Alpe (generalmente
chiuso). In molti tratti la mulattiera è perfettamente conservata,
esempio pregevole dell’abilità dell’ingegneria militare del tempo. Poco
oltre la quota m 2430, tocchiamo
il piede della cresta SO del monte
Varadega che ci appare turrita e insidiosa. La mulattiera, in questo tratto
ridotta a un sentierino, taglia allora il
versante occidentale del monte Varadega portandosi a m 2490 ca. sotto
le prime rocce della cresta NO della
cima. Qui è un importante bivio,
poiché dal basso proviene la cosiddetta
Strada del Varadega che, iniziando in
località Il Baitone (m 1428), sale con
infiniti zigzag, prima nel bosco poi
tra gande e magri pascoli, a incrociare
il nostro percorso. Come indica un
cartello, questa strada è l'impegnativa discesa ciclistica detta Tornantissima. Trascuratala, prendiamo quota
con due tornanti un po’ danneggiati
per poi proseguire verso SE, al piede
delle rocce della cresta NO. La mulattiera, qua e là invasa dal pietrame
ma nel complesso in buone condiMonte Varadega (m 2634 - m 2635)
117
Escursionismo
Alta Valtellina
L'estesissimo panorama su Valcamonica e Valtellina che si ha dalla vetta del Varadega (1 ottobre 2013, foto Giacomo Meneghello).
zioni, sale così a uno stretto intaglio della cresta SO, ove ci si affaccia
nuovamente alla valle di Varadega. Il
versante di ripidi canaloni rocciosi,
che la mulattiera militare percorre a
mezza costa, richiede un minimo di
attenzione. Guadagniamo così ripidamente una prima selletta per portarci,
quasi in piano, a un secondo intaglio
sotto la vetta occidentale e più alta
del Varadega (m 2634 e 60 cm, che
viene approssimata a m 2635). Poco
sotto è una grande grotta artificiale
oggi utilizzata come rifugio ombroso
dalle capre. Superato un gendarme,
la mulattiera è rovinata da una frana,
oltre la quale si è all’ampia sella tra la
quota 2635 e la torreggiante 2634,1
(approssimata a m 2634 è la vetta
minore). Alla sella sono i resti di
una trincea danneggiata, dalla quale
si gode una vista impressionante sul
sottostante Canton de l’Ors. Segue
una scaletta in pietra, assai ben
conservata, che accede alla galleria che
traversa da parte a parte la vetta orientale. Il traforo è alto circa 2 m e altrettanto largo e, dopo una dozzina di
metri rettilinei, sfocia in una camera
di combattimento di 3 m per 2 m.
Chi volesse raggiungere le vette del
monte Varadega, potrà dalla sella con
trincea salire per un canale, intasato di
grandi blocchi che richiedono un po’
di ginnastica, alla vetta maggiore del
118
LE MONTAGNE DIVERTENTI monte Varadega (m 2635, ore 3). La
punta più bassa viene invece raggiunta
preferibilmente dallo sbocco orientale
della galleria che l'attraversa.
Dalle vette del Varadega il panorama è vastissimo, molto esaustivo
specialmente in direzione delle vicine
Alpi di val Grosina e dell’Adamello.
Il ritorno avviene per la via dell'andata e richiede 2 ore abbondanti.
Tracciati e fortificazioni sulla vetta del Varadega (foto e grafica Canetta).
La vetta SO, la maggiore, del monte Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello).
Salendo alla galleria che traversa la vetta orientale (2015 e 1997, foto Nemo Canetta).
La valle di Varadega dal monte Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello).
Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI VARIANTE
La dorsale NO conserva tra i suoi
anfratti i resti di parecchie trincee e
di altre opere difensive realizzate all’epoca. Il percorso dell'intero filo di
cresta è più facile di quel che sembra,
ma richiede assenza di vertigini e
qualche passo d’arrampicata. In tal
modo si possono raggiungere alcuni
manufatti ancora perfettamente
conservati, nonché incrociare i resti
di sentierini militari che collegavano
le trincee con la mulattiera principale.
Sotto l’anticima conviene scendere per
uno di questi sentierini e, con qualche
cautela, riguadagnare il tracciato principale non lungi dalla prima selletta.
È pure possibile però per grandi
blocchi raggiungere l’anticima e da
questa continuare per il crestone sino
alla quota m 2635 (questa variante
richiede 1 ora in più di percorso con
difficoltà EE).
Monte Varadega (m 2634 - m 2635)
119
Rubriche
Mosca-Pechino
in treno
9289 km di lunghezza, 168 ore di viaggio, 7 fusi orari: questa è la
Transiberiana, la linea ferroviaria più lunga del mondo. Costruita tra il
1891 e il 1916 per volere dello Zar Alessandro III, connette Mosca con
Vladivostok attraversando tutto il continente asiatico.
Appena dopo il lago Bajkal, a 5700 km di treno da Mosca, vi
è la cittadina di Ulan Ude, da cui si diparte verso sud la ferrovia
Transmongolica. Costruita tra il 1947 e il 1961, attraversa la Mongolia
e raggiunge Ulanqab, dove si salda alla rete centrale cinese.
È perciò possibile, con un articolato tragitto di 7858 km che si appoggia
a Transiberiana, Transmongolica e rete cinese, andare in treno dalla
capitale russa a quella cinese.
Testi e foto Valentina Regonesi.
120
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Convoglio della Transmongolica nel deserto dei Gobi (18 agosto 2014).
Mosca-Pechino in treno
121
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Mosca - Pechino passando per la Mongolia. Il tutto in 26 giorni.
Questo è il viaggio che abbiamo programmato, cercando di far combaciare le coincidenze
dei treni e di scegliere in anticipo quali città visitare.
Pianificare prima di partire è stato indispensabile, perchè, al contrario di quanto molti
credono, la Transiberiana non è una linea ferroviaria a biglietto unico, ma una rete su cui
viaggiano numerosi tipi di treno che effettuano molte fermate e con diverse destinazioni.
Inoltre, particolarità davvero interessante, in tutta la Russia i treni osservano il fuso
orario di Mosca: il biglietto del treno e le stazioni segnano l’orario della capitale, per
cui è facile confondersi! Con due cellulari a disposizione, uno l'abbiamo così destinato a
ricordarci costantemente l’orario moscovita.
MOSCA
Arriviamo a Mosca con l'aereo in
un caldissimo pomeriggio di fine
luglio: l’aria è pesante ma l’eccitazione per l’inizio del viaggio è tale
da far sopportare anche il caldo
più umido. La città ci regala subito
la magia serale della piazza Rossa,
dove la cattedrale di San Basilio
da una parte, i palazzi del Cremlino e i magazzini GUM dall’altra,
tutti magnificamente illuminati, ci
lasciano a bocca aperta. La sensazione è di trovarsi in un posto
davvero speciale. Nei successivi due
giorni Mosca si confermerà una
meta turistica di notevole interesse:
il mausoleo di Lenin, la cattedrale di
Cristo Salvatore, il museo dei Gulag
e il nuovo quartiere Ottobre Rosso.
MOSCA - IRKUTSK
Mercoledì sera, finalmente, si
parte. Il fascino della Transiberiana
122
LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI è quello di essere un viaggio nel
viaggio: si parte, si arriva e si riparte,
e ogni volta è come se fosse la prima.
Una nuova tappa, un nuovo paese,
una nuova lingua e un nuovo fuso
orario.
Mosca. La cattedrale di San Basilio, costruita tra il 1555 e il 1561 (28 luglio 2014).
Mosca-Pechino in treno
123
Rubriche
Irkutsk. Tipica casa in legno (3 agosto 2014).
Il treno n.63 è pronto al binario 2
della stazione moscovita di Yaroslavsky. Appartiene alle ferrovie
Mongole, così come mongoli sono
il personale e la maggior parte dei
passeggeri, lavoratori che rientrano a
casa carichi di beni per i loro famigliari o commercianti che trasportano le loro merci fino alla capitale
Ulan Bator. Turisti pochi, silenziosi
ed emozionati per il viaggio che li
attende.
Siamo in seconda classe, cuccetta
a quattro posti, ma solo i nostri
due sono occupati. Sarà così per
tutto il viaggio, con un misto di
felicità e rammarico: la comodità
della cuccetta “riservata” è un po’
appannata dalla scarsa possibilità
di un contatto umano con i locali.
Il viaggio in treno dura 4 giorni e 4
notti: il treno fa numerose fermate,
e spesso si può scendere a sgranchirsi le gambe o acquistare qualcosa da mangiare. Le tanto celebrate
“babuske”, donne locali che vendono
cibi fatti in casa al passaggio dei
treni, oggi sono state quasi totalmente sostituite da moderni chioschi con prodotti confezionati.
Nonostante le scorte valtellinesi, ci
adattiamo subito alle abitudini che
osserviamo sul treno e iniziamo a
pasteggiare con i noodle liofilizzati,
spaghetti cinesi che possiamo far
rinvenire grazie all’acqua bollente
fornita in ogni vagone dal “samovar”,
un grosso boiler a carbone sempre in
funzione che ci garantisce caffè e tè
caldi per tutto il viaggio.
La vita in treno è tutt’altro che
noiosa, e con il passare del tempo
e dei fusi orari si viene a creare
124
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo
Il lago Bajkal presso l'isola di Olkhon. Le acque sono tanto limpide
da consentire di vedere fino a 40 metri di profondità (5 agosto 2014).
una situazione di estraniazione dal
mondo circostante: si dorme e si
mangia in qualsiasi orario, seguendo
a volte il fuso di Mosca, altre quello
locale. Fuori il paesaggio è abbastanza monotono: estessime foreste
di betulle tipiche della taiga e rare
tracce di antropizzazione. La lettura
piacevolmente ci accompagna per
tutto il viaggio.
IRKUTSK E LAGO BAJKAL
Arriviamo a Irkutsk, in Siberia,
sulle rive del lago Bajkal, dopo
4 giorni di viaggio, 5153 km e
aver toccato molte città importanti
come Perm, Ekaterinburg, Omsk e
Novosibirsk.
Irkutsk, che conta quasi 600 mila
abitanti, ha tradizionali case di legno
dalle imposte finemente intagliate e
dipinte di vari colori.
La città è però solo una tappa di
passaggio: la nostra meta è il lago
Bajkal. Divenuto nel 1996 Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO,
è il lago più profondo del mondo
(1600 metri) e anche quello con
il volume maggiore1: si stima che
contenga circa il 20% delle riserve
d'acqua dolce del pianeta, se nel
conteggio si escludono i ghiacciai e
le calotte polari. Inoltre il Bajkal è
luogo di pellegrinaggio per il culto
sciamanico in quanto ritenuto uno
dei cinque punti energetici principali del pianeta.
Abbandoniamo così per qualche
giorno la Transiberiana e ci dirigiamo
all'isola di Olkhon, meta turistica
di molti siberiani che considerano
1 - Ha un volume di 23,6 milioni di metri cubi cioè
oltre 1000 volte il lago di Como!
questo enorme lago proprio come
un mare. Khuzhir, l’unico centro
abitato dell’isola, è un agglomerato
di casette di recente sviluppo dovuto
al crescente afflusso di turisti dalla
Transiberiana: fino a poco tempo
fa, infatti, non c’erano né acqua
corrente né elettricità, e ancora oggi
il telefono cellulare prende solo in
un punto ben preciso del paese.
La principale attività sull’isola è
la gita giornaliera a capo Khoboy.
Truppe di camioncini, residuati
bellici sovietici, imbarcano decine di
turisti per portarli alla roccia sciamanica sul versante nord dell’isola: foto
di rito, pranzo e rientro in serata.
Per un contrattempo tecnico non
riusciamo a fare l’escursione, ma ci
godiamo comunque l’isola prendendo il sole in spiaggia (in bikini,
in Siberia) e concludendo la giornata
con una bella sauna russa.
Torniamo a Irkutsk il giorno
seguente e riprendiamo il nostro
viaggio in treno per affrontare il
tratto da tutti definito il più suggestivo della Transiberiana: la costa del
lago Bajkal fino a Ulan Ude, capitale
della Repubblica autonoma della
Buriazia. Avendo letto entusiastiche
recensioni sulle vedute mozzafiato
dal treno, che ci hanno fatto faticosamente prenotare posti finestrino
dalla parte sinistra della carrozza,
attendiamo questo momento sin da
prima della partenza: il paesaggio
deve essere davvero spettacolare.
Rimarrà purtroppo per sempre
un mistero: sarà l'unico giorno di
maltempo in tutto il viaggio con
pioggia incessante e nebbia fitta!
Autunno 2015
Ulan Ude, piazza centrale. La grande statua raffigurante la testa di
Lenin (8 agosto 2014).
BURIAZIA
Entriamo in Buriazia in serata. È
una tappa insolita per i turisti della
Transiberiana, e anche noi l'abbiamo
scelta più per la curiosità del nome
che per un reale interesse. La popolazione dei Buriati, stimata in oltre
430 mila persone, è la più grande
minoranza etnica della Siberia. Le
loro caratteristiche somatiche, i loro
usi e costumi e le influenze linguistiche ne evidenziano l'origine
mongola. Ulan Ude, la capitale, è
una bella cittadina di oltre 350 mila
abitanti e molto curata, la cui attrazione principale è l’enorme statua
raffigurante la testa di Lenin, a detta
di tutti la più grande del mondo. In
effetti è notevole, e richiama decisamente l’attenzione in quanto posizionata al centro della piazza principale.
Non solo: è meta di novelli sposi per
le foto di rito dopo la cerimonia.
Capitiamo proprio in un giorno di
sposalizi e la sfilata di vestiti bianchi,
veli e damigelle diventa un vero e
proprio spettacolo.
Avendo solo un giorno a disposizione, decidiamo di affidarci a una
guida locale per visitare un villaggio
appena fuori la capitale dove vive
un gruppo di cosiddetti “vecchi
credenti”. Si tratta di una piccola
parte di popolazione che porta avanti
ancora oggi le tradizioni religiose e
culturali precedenti lo scisma della
Chiesa russa del 1666. Veniamo
introdotti in un mondo affascinante,
dove possiamo assaggiare i loro cibi
e visitare le pittoresche abitazioni di
legno colorate. Conosciamo anche
un gruppo di ospiti proveniente dalla
Jacuzia, un’altra repubblica autonoma
della Federazione. Sono russi, come
del resto i Buriati, ma le influenze
dell’Asia più orientale si fanno notare:
occhi azzurri ma a mandorla. Visto il
clima di grande amicizia, veniamo
coinvolti nella rappresentazione di
un vecchio rito di matrimonio: vestiti
e agghindati di tutto punto, diventiamo i protagonisti di una cerimonia nuziale dei “vecchi credenti”.
Lo spettacolo è divertentissimo sia
La statua di Gengis Khan si trova a 54 km dalla capitale presso la riva
del fiume Tuul Gol. È orientata verso est in direzione del luogo di
nascita del condottiero mongolo (10 agosto 2014).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Buriazia. Tipica casa in legno (9 agosto 2014).
per i Buriati che per gli ospiti Jacuti e
noi torniamo a casa con un album di
finte nozze unico al mondo!
MONGOLIA
Entrati in Mongolia veniamo
colpiti dalla maestosità dei paesaggi:
sconfinate distese2 e un cielo merlato
da nuvole basse. Dall’Italia abbiamo
già prenotato un tour guidato in
fuoristrada di 5 giorni: una sosta
piuttosto lunga dal viaggio in treno,
ma in realtà brevissima se paragonata
alla vastità del territorio mongolo.
Prima però visitiamo la capitale
Ulan Bator, una città dalla doppia
faccia: moderna e decadente, con
grattacieli di vetro in centro, alti
palazzoni figli di una smodata speculazione edilizia, e tende di nomadi
nella cerchia periferica. È l’unico
grande centro urbano del paese3, e
2 - La Mongolia , che ha una superficie pari a 5 volte
l'Italia, è il paese al mondo con la più bassa densità
di abitanti: 1,75 ogni km2.
3 - Ha una popolazione di 1 milione e 200 mila abitanti che rappresenta oltre 1/3 di quella nazionale.
Inaugurata nel settembre 2008, è opera dello scultore D. Erdenebileg e
dell'architetto J. Enkhjargal. Di acciaio, pesa 250 tonnellate ed è costata
4,1 milioni di dollari (10 agosto 2014).
Mosca-Pechino in treno
125
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Ger, tipica abitazione dei pastori nomadi della Mongolia (15 agosto 2014).
nel tempo ha accolto le famiglie di
pastori nomadi che hanno visto nella
capitale una migliore occasione di vita,
considerate soprattutto le difficoltà
legate al clima rigido dei mesi invernali4. La città ha ancora molto bisogno
di crescere e di trovare una sua identità dopo la Rivoluzione Democratica
del 1990 che, oltre a portare la democrazia, ha di fatto segnato l'ingresso del
paese nell'economia di mercato.
Chi più di tutti rese grande la
Mongolia è Genghis Khan (11621227), il condottiero che creò l'impero
più vasto della storia5. In suo onore è
stata eretta nel 2008, 54 km fuori Ulan
Bator, un’enorme statua di acciaio raffigurante l’eroe a cavallo. È alta 30 metri
e poggia su un edificio circolare alto
10 metri. Durante la visita, entriamo
nella statua e saliamo fino alla testa del
cavallo, eccezionale punto panoramico.
L’11 agosto 2014 inizia il tour
4 - A Ulan Bator la temperatura minima media nel
mese di gennaio è -25°C.
5 - L'Impero mongolo arrivò a coprire quasi 1/4
delle terre emerse e assoggettò oltre 100 milioni di
persone.
Cammelli nel deserto del Gobi (7 agosto 2014).
126
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pechino, l'ingresso della Città Proibita (19 agosto 2014).
All'interno della ger (15 agosto 2014).
guidato che in 5 giorni, macinando
chilometri su chilometri, ci porterà a
visitare la parte sud del vastissimo territorio mongolo.
Insieme alla nostra interprete e al
nostro autista ci dirigiamo verso ovest
e poi verso sud seguendo labili piste
che l'occhio non esperto faticherebbe
persino a distinguere.
Dagli ampi pascoli verdi, il paesaggio
si trasforma e la vegetazione si fa
sempre più brulla, fino ad arrivare alla
sabbia del deserto dei Gobi. Attraversiamo spazi immensi, pressoché
disabitati, dove la presenza umana è
riconoscibile dalle tende dei pastori che
distano tra loro anche decine di chilometri. Si chiamano yurte, o ger, e sono
vere e proprie abitazioni mobili dotate
di una grande stufa al centro, che serve
sia per scaldare che per cucinare, e
arredate come una vera e propria casa
(compresa l’immancabile TV). I pastori
nomadi le spostano, smontandole, 2-4
volte l’anno, per consentire ai propri
animali il giusto ricambio di pascolo.
Alloggiamo in queste strutture per l'in-
tero tour. Un ambiente spartano, senza
servizi igienici, ma fuor dubbio il più
genuino tra quelli incontrati in questo
viaggio. I giorni passano veloci, visitando templi buddisti, siti naturali e le
dune del Gobi: paesaggi incontaminati
di una bellezza mozzafiato.
Rientrati a Ulan Bator ci attende
l’ultimo tratto di Transmongolica.
Il percorso non è lungo, ma per una
bizzarria risalente a tempi antichi,
passiamo mezza nottata nella cinese
Erenhot, a ridosso del confine, per il
cambio dei carrelli del treno: le ferrovie
cinesi, infatti, hanno uno scartamento
da 1435 mm, rispetto ai 1520 mm
di quelle mongole e russe, per cui
veniamo letteralmente sollevati vagone
per vagone e muniti di nuove ruote.
Giunti a Ulanqab ci immettiamo
sulla rete centrale cinese che ci porta
a Pechino. L'arrivo nella capitale è
traumatico: dagli spazi aperti e silenziosi della Mongolia veniamo catapultati in una megalopoli pullulante
di persone, automobili, biciclette e
smog, con un tasso di umidità pros-
Formazioni rocciose nel deserto del Gobi (10 agosto 2014).
Autunno 2015
simo al 100%. Restiamo comunque
affascinati da questa città che sembra
non avere confini, tanto grandi sono le
sue vie e labirintici i suoi vecchi vicoli.
Visitiamo la Città Proibita, ovvero il
palazzo imperiale delle dinastie Ming
e Qing, e piazza Tienanmen, dove si
trova il mausoleo di Mao Tse-tung.
Nonostante la magnificenza di questi
monumenti, siamo però sfiancati
dal caldo e dalla quantità di persone
attorno a noi: ci rifugiamo allora nei
mercati di quartiere famosi per i cibi
di strada per stomaci forti. Cavallette,
scorpioni e ogni altro genere di insetto
vengono offerti a turisti disgustati, ma
ormai tutto fa parte di una recita conosciuta da entrambe le parti.
Con un ultimo sforzo ci rechiamo
a Xi’an, sempre in treno, a visitare il
famoso “esercito di terracotta”. Si tratta
di migliaia di statue di soldati e cavalli
sepolte sotto terra in grandi camere
funerarie per oltre 2000 anni e ritrovate per caso nel 1974 da un contadino
cinese durante lo scavo di un pozzo.
Le statue dei guerrieri, di cui ad oggi
L'esercito di terracotta (20 agosto 2014).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pechino. Stuzzichini allo scorpione (19 agosto 2014).
ne sono state rinvenute e restaurate
circa 500, sono tutte a grandezza naturale, con fisionomie diverse, vestiti ed
equipaggiati per combattere. Questa
scoperta ha portato alla luce un vero e
proprio tesoro nascosto, e ancora oggi
si continua a scavare con la convinzione che nelle aree circostanti vi siano
altre parti dell’esercito e, molto più
in profondità e protetto da fiumi di
solfato di mercurio, il sepolcro dell’imperatore Qin Shi Huang (260-210
a.C.). Ne restiamo davvero affascinati:
la fattura delle statue è pregiatissima,
e la loro quantità e disposizione ordinata lasciano senza parole.
Xi’an, dal canto suo, si mostra come
una bella città con evidenti influenze
arabe, trovandosi al termine orientale
della Via della Seta. Ancora oggi la
Grande Moschea è un punto d’attrazione, non solo per turisti, ma anche
per i fedeli musulmani, e l’eredità
multiculturale si può sentire anche nei
cibi di strada e nelle merci del grande
mercato coperto.
Rientrati a Pechino non ci resta
che visitare l’opera più nota della
Cina: la Grande Muraglia. Vi accediamo in un punto non particolarmente turistico, a 3 ore dalla capitale.
Serve la seggiovia per salirvi e, una
volta iniziato, il percorso è una vera
e propria scalata su queste enormi,
lunghissime e sinuose mura, che
seguono il crinale della montagna
per oltre 8000 chilometri6. Voluta
e iniziata nel 215 a.C. dall’imperatore Qin Shi Huang per fermare le
incursioni dei popoli confinanti, e in
particolare dei mongoli, oggi la muraglia, benché Patrimonio dell'Umanità
dell'UNESCO dal 1987, inserita nel
2007 tra le 7 meraviglie del mondo
moderno, ristrutturata in molti punti
turistici, ha parecchi tratti che versano
in rovina, vandalizzati e/o decadenti.
La nostra avventura partita da
Mosca 26 giorni fa termina qui, nella
parte orientale dell’Asia, dopo un
percorso che il treno ci ha fatto assaporare appieno con la giusta lentezza.
6 - Recenti misurazioni stimano la muraglia lunga
oltre 21000 km.
La Grande Muraglia cinese (22 agosto 2014).
Mosca-Pechino in treno
127
M
Rubriche
D
igrazioni
urante la stagione autunnale è
facile essere testimoni di spettacolari passaggi di stormi di uccelli
migratori provenienti dalla Scandinavia, dalla Russia settentrionale e
dall’Europa orientale intenti ad aggirare le Alpi o ad attraversarle, per
svernare nell’area del Mediterraneo
o in Africa. I solchi vallivi e i valichi
alpini risultano essere i percorsi
in volo sulle alpi
Alessandra Morgillo
prediletti perché a minor costo energetico in presenza di tale rilevante
barriera geografica e rappresentano,
dunque, luoghi di elevata concentrazione dei migratori. I più importanti valichi alpini in Lombardia
sono distribuiti a quote comprese fra
m 700 e m 1800. In linea generale
si possono individuare due vie principali, una orientale, che riguarda
i valichi rivolti verso il Trentino e
una nord-occidentale dalla Svizzera verso il passo dello Spluga. I
due flussi migratori si incrociano in
corrispondenza del versante meridionale delle Orobie, dove in passato
esisteva un’altissima concentrazione
di impianti di cattura, tuttora ricordati in tantissimi toponimi delle valli
bresciane e bergamasche.
Il fenicottero (Phoenicopterus) è tra le specie migratorie osservabili in Italia, sempre più minacciate dalla perdita di habitat dovuta al consumo
Autunno 2015
di territorio
all’inquinamento
(4 gennaio
LEeMONTAGNE
DIVERTENTI
2015, foto Marco Santin - www.marcosantin.500px.com).
128
LE MONTAGNE DIVERTENTI Migrazioni
129
Rubriche
1
R
ondini (Hirundo rustica),
fringuelli (Fringilla coelebs),
codirossi (Phoenicurus phoenicurus),
storni (Sturnus vulgaris), averle (gen.
Lanius), allodole (Alauda arvensis),
verzellini (Serinus canarius serinus),
tortore (Streptopelia turtur), capinere (Sylvia atricapilla) e moltissime
altre specie migratrici solcano il cielo
alpino, spinte dall’istinto a percorrere migliaia e migliaia di chilometri,
attraversando l’immensa distesa del
Mediterraneo e il deserto del Sahara
per raggiungere località a sud del
mondo dove un clima mite e accogliente garantirà loro abbondanza di
risorse per tutto il lungo inverno.
C’è chi affronta questo viaggio
lunghissimo e ricco di insidie in
grandi stormi, spesso in formazione
aerodinamica a “V” dove gli individui
più esperti si alternano alla guida,
ma, tra tutti i migratori, sono i viaggiatori solitari ad affascinare di più,
specialmente i giovani di poche settimane che, senza esperienza alcuna né
compagni di viaggio, si avventurano
verso luoghi che non hanno mai visto
prima. Tra i primi a partire vi sono gli
adulti del cuculo (Cuculus canorus)
che per aver affidato le proprie uova
alle cure di altri uccelli possono
volgere senza preoccupazioni verso i
quartieri di svernamento e i rondoni
(Apus apus) che viaggiano molto velocemente perché non si fermano mai a
riposare e già a metà agosto in molti
hanno raggiunto l’Africa centrale.
Talvolta è possibile effettuare anche
qualche fortunato avvistamento,
come il rarissimo piviere tortolino
130
LE MONTAGNE DIVERTENTI (Charadrius morinellus), che sosta sulle
nostre montagne solo qualche giorno
durante la sua migrazione autunnale.
Uccello limicolo dalle lunghe zampe
giallastre, appartenente alla famiglia
dei trampolieri, con una apertura
alare di circa 60 cm per una lunghezza
di 20 cm. Il piumaggio si caratterizza
per una colorazione olivastra, che si
fa più scura sul dorso, mentre il capo
appare nero con la classica macchia
bianca tra gli occhi e il collo, una sorta
di grosso sopracciglio bianco-crema
esteso fin sulla nuca, che si congiunge
con quello del lato opposto a formare
una "V" molto caratteristica.
Nidifica nella tundra artica, in
Scozia,
Scandinavia
settentrionale sino all’estremità orientale
della Siberia, ma anche in zone artico-alpine, tra i m 2000 e i m 2500,
purchè siano presenti praterie sommitali rocciose con vegetazione bassa e
discontinua, ad elevate disponibilità
di cibo (insetti). Queste condizioni
tipiche delle zone artiche, ovvero
mancanza di vegetazione unita ad
ampia presenza di insetti, si verificano in pochissimi siti italiani, tra cui
le montagne che circondano Livigno
e in una piccola area sui monti della
Maiella in Abruzzo.
Le aree riproduttive vengono
raggiunte solitamente a maggio,
non appena la neve concede spazio a
qualche chiazza di verde. L’estate artica
è molto breve e tutto avviene in fretta,
sfruttando le lunghissime giornate
delle alte latitudini e la grande disponibilità alimentare, i pulcini crescono
in fretta e già a fine luglio sono in
2
grado di volare; iniziano, quindi, a
prepararsi per la migrazione che li
porterà soprattutto in Africa settentrionale e in Medio Oriente, mentre
solo qualche esemplare svernerà in
Italia. A fine settembre la migrazione si
avvia a conclusione: i tortolini hanno
raggiunto le aree di svernamento ove
rimarranno per sei lunghi mesi, in
attesa di ripartire per il Nord.
All’interno delle strategie migratorie esiste una grande varietà di
comportamenti, con una vasta serie
di situazioni intermedie tra specie
che
compiono
periodicamente
lunghi viaggi in determinati periodi
e con rotte costanti, come le rondini
(Hirundo rustica), emblema stesso
della migrazione, e altre specie rigorosamente stanziali. In molti casi da
una stagione all’altra si verificano solo
movimenti altitudinali, come fanno
molti uccelli montani, tra cui ad
esempio il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) o il picchio muraiolo
(Tichodroma muraria), che in inverno
si spostano regolarmente verso le valli.
Esistono poi casi particolari, come
le specie irruttive, cioè che compiono
delle vere e proprie irruzioni, trasferendosi in modo imprevedibile e irregolare, anche a distanza di anni, in
seguito ad eventi climatici straordinari o a fattori legati alla disponibilità
alimentare. Così inverni particolarmente freddi in Siberia possono determinare l’arrivo nelle nostre vallate
alpine dello splendido beccofrusone
(Bombycilla garrulus), o altre specie
che si nutrono di bacche e semi e
che sono, quindi, strettamente legate
Autunno 2015
3
alla produttività dei boschi, possono
compiere ogni tanto delle vere e
proprie invasioni, come è solito fare il
crociere (Loxia curvirostra).
1- Durante il periodo invernale, la
popolazione del crociere (Loxia
curvirostra) aumenta nei boschi di conifere
alpini grazie alle migrazioni dal nord verso
l’Europa centrale (5 giugno 2009, foto
Jacopo Rigotti). Questa e altre immagini,
oltre alle schede dettagliate degli animali
delle Alpi, sono presenti su Alpi Selvagge,
disponibile nei migliori punti vendita e su
shop.clickalps.com.
2- Il cuculo (Cuculus canorus) è uno dei
migratori più precoci perché non ha
bisogno di perdere tempo nell’allevamento
della prole, affidata alle inconsapevoli
specie di cui è parassita. Gli adulti lasciano
l’Europa già a luglio mentre i giovani
affronteranno il lungo viaggio fino
all’Africa settentrionale da soli un mese
dopo i loro genitori. Alcuni scienziati
ritengono che questi uccelli possano
attraversare il Mediterraneo e il deserto
del Sahara in un unico volo di 3000 km (18
marzo 2013, foto Jacopo Rigotti).
4
3- Il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus)
è un corvide che come molti altri uccelli
alpini in autunno compie movimenti
altitudinali, scendono dalle alte quote
verso le zone più confortevoli di fondo
valle (24 giugno 2012, foto Alessandra
Morgillo).
4- Il picchio muraiolo (Tichodroma muraria)
è così chiamato perché è solito trascorrere
gli inverni rigidi sui muri delle torri e dei
campanili dei centri abitati montani e in
alcuni casi può decidere di sfuggire alle
giornate più fredde rifugiandosi nelle città
(23 febbraio 2013, foto Jacopo Rigotti).
5- Il piviere tortolino (Charadrius morinellus)
è un avvistamento molto raro perché
è di passaggio sulle nostre Alpi. Sosta
solo qualche giorno nelle praterie ricche
di insetti d’alta quota per rifocillarsi
prima di riprendere il suo grande viaggio
migratorio verso Sud (30 luglio 2013, foto
Jacopo Rigotti).
LE MONTAGNE DIVERTENTI 5
Migrazioni
131
IL MIGLIOR FOTOGRAFO
LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
1
Bagni di Masino (26 ottobre 2013, foto Simona Rizzi).
Recensione (a cura di Beno)
Il fotografo - Simona Rizzi
La scelta della miglior fotografia per questo numero autunnale è stata ardua,
in quanto abbiamo avuto molti concorrenti che hanno presentato scatti ben
eseguiti e con soggetti molto significativi.
Così la mia decisione è stata condizionata da fattori soggettivi. La stavano per
spuntare le splendide capre orobiche di Cristiano Perlini, ma imponendomi di
non cedere alla mia caprofilia, ho premiato la composizione più rappresentativa
dell'autunno valtellinese, ovvero la fiabesca faggeta dei Bagni di Masino ritratta da
Simona Rizzi. Nell'immagine le foglie morenti vanno a posarsi sui vari pianerottoli
rocciosi e sul serpentone della strada asfaltata, non riuscendo a fermarsi sulle
facce più scoscese dei massi. Queste pertanto mostrano la loro brillante pelliccia
di muschio verde, inespugnabile anche dal freddo più intenso.
La mancanza di fogliame nel centro della carreggiata mi suggerisce che lungo la
giornata ci sia stato un intenso traffico veicolare e l'inquadratura, effettuata nella
direzione di San Martino, sembra sussurrare: "Finalmente se ne sono andati tutti",
perlomeno dietro a quel grosso masso che rappresenta la porta per il magico
mondo dei Bagni di Masino.
Valtellinese, nata nel 1976, ho cominciato a
fotografare da una dozzina d'anni, grazie alla
diffusione delle macchine digitali.
Una passione, quella per la fotografia, nata con
l'amore per i viaggi e il desiderio di prolungarli
anche dopo il rientro; così uno scatto diventa
memoria e ricordo dei luoghi visitati e delle
esperienze vissute, da conservare e condividere.
Poco importa se il viaggio mi conduce
oltreoceano, in una capitale europea o a pochi
chilometri da casa, tra boschi, paesini, alpeggi e
vigne della mia bella Valtellina. Vicini o lontani,
paesaggi, città, natura e animali sono i miei
soggetti preferiti.
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
- una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di
Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected].
- una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo
email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come
il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente, uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione
degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Pure la grandezza di pubblicazione
non è proporzionale al peso del salame "di casa" inviatoci, ma rispecchia solo criteri di grafica. Non si accettano fotomontaggi.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
2
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1 ➣ Svizzera - Giovanni, Marialuisa e Chiara presso lo Stellisee sopra Zermatt con vista sul Cervino (m 4478) (13 luglio 2015).
2 ➣ Alpi Orobie - Monte Culino: Fabrizio e Alessandro, vincitori del superconcorso del numero 32 de LMD (26 giugno 2015).
3 ➣ Alto Lario - Gabriele, Patrizia e Patrizia, Fabio, Lucia, Diego, Mauro, Angelo al 30° anniversario del bivacco Ledù (17 maggio 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
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Sud Africa - Ginevra ed Emma ricordano gli albori de LMD in un safari a Madikwe (28-29 giugno 2015).
Valle delle Cartiere (BS)- Alessandra, Gioia e Valentina cercano refrigerio nel torrente Toscolano (19 luglio 2015).
Croazia - Stefano, Gabriele e la nazionale italiana di skiroll in occasione della coppa del mondo a Oroslavje (12 luglio 2015).
Alpi Retiche - Il sogno di una famiglia: Eliana, Olio e Poty in vetta al pizzo Badile! (4 luglio 2015).
Perù - Dopo sette lunghissimi anni "hoy voy a verte de nuevo" e porto LMD a Machu Picchu! (24 giugno 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI 11
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9 ➣ Morbegno - Francesca e Marco hanno pronunciato il fatidico sì (20 giugno 2015).
10 ➣Monte Bianco - Patty, Sergio, Graziana, Eugenio, Lorena, Silvio e gli Arcangeli raggiungono la punta Helbronner (m 3462) con la nuova funivia Sky Way Monte Bianco, inaugurata il 23 giugno 2015 e che sale ruotando di 360° (26 giugno 2015).
11 ➣Dolomiti - Adamo e Cristian al cospetto delle torri del Vajolet in val di Fassa (19 giugno 2015).
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12 ➣Sardegna - Luca e Tommaso in vacanza a Capo Pecora (13 luglio 2015).
13 ➣Bianzone - Pranzo "Da Marisa" alla Bratta (19 luglio 2015).
14 ➣Alpi Orobie - Gianmario e Federico al bivacco Corti in val d'Arigna (28 giugno 2015).
15 ➣Alpi Orobie - Mario, Alessandro, Viviana, Franco, Norma, Agnese e Rita presso il lago di Pisa in val Belviso (21 giugno 2015).
16 ➣Norvegia - Caterina, Alessandra, Luciano, Vanessa, Clementina e Cesare al lago di Hornindalsvatnet, il più profondo d'Europa (9-6-15).
17 ➣Valchiavenna - Gli "Amici dell'Angeloga" davanti alla baita di Angelo, Pinuccia, Elena e Simone (21 giugno 2015).
18 ➣Valmalenco - I ragazzi del Grest di Mossini, Sant'Anna, Triangia e Torre ai piedi del pizzo Scalino (m 3323) durante una lunga escursione nella valle di Campagneda (18 giugno 2015).
19 ➣Alpi Orobie - "Paolo and friends" hanno raggiunto con la joelette e LMD la cima della Rosetta (19 luglio 2015).
20 ➣Alta Valtellina - Don Romano e i ragazzi delle scuole medie e superiori di Grosotto al rifugio Pizzini-Frattola (m 2706) in val Cedèc (3 luglio 2015).
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21 ➣Baviera - Rosa Pedruzzi con Ismaele e Emanuela Bassi in visita al castello di Neuschwanstein (5 aprile 2015).
22 ➣Bassa Valtellina - Paolo Ligari in volo sopra il Legnone (24 giugno 2015).
23 ➣Valchiavenna - Ragazzi di prima media e animatori presso la baita della parrocchia di Chiavenna a San Sisto (30 giugno 2015).
24 ➣Valmalenco - Federico e Ilaria leggono LMD in val Sissone (5 luglio 2015).
25 ➣Camogli - Aldo alle prese con una mega frittura di mare e montagne dentro una super padella alla sagra del pesce (10-05-2015).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
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26 ➣Alpi Orobie - I 40 amici reduci della 17a edizione della "Notturna alla croce di Talamona" (26 giugno 2015).
27 ➣Monte Resegone - Il gruppo Maistracc di Parè (CO) vincitore del 50° "Assalto al Resegone" (5 luglio 2015).
28 ➣Alpi Orobie - La "Terza tendata dei Diavoli Rossi" del GS CSI Morbegno località Arale in val Tartano (27 giugno 2015).
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29 ➣Spagna - Anche nell'azzurro mare di Son Saura, Giuly e Lory sognano "Montagne divertenti"! (13 luglio 2015).
30 ➣Austria - Da Salisburgo a Vienna, Simona, Giuseppe, Cecco e una mucca! (1 maggio 2015).
31 ➣Tenerife - Matteo e Francesca sul Teide, la montagna più alta della Spagna (m 3718) (16 maggio 2015).
32 ➣Monte Cervino - Paolo Pedrazzoli in vetta alla "Gran Becca" nel 150° anniversario della sua conquista (9 luglio 2015).
33 ➣Turchia - Remo e i soci ornitologi insieme alla guida Andrea presso il paesino di Sivrikaya (10 giugno 2015).
34 ➣Tibet - Gabriella e Mario col gruppo di "Avventure nel mondo" a Lhasa davanti al monastero del Potala (25 aprile 2015).
35 ➣Alpi Orobie - Piercarla, Gianluca e Alessandra presso la diga di Frera che origina il lago di Belviso (27 giugno 2015).
36 ➣Livorno - Due giovanissimi lettori, Riccardo e Gioele, al golfo di Baratti (30 giugno 2015).
37 ➣Alpi Retiche - Soci e simpatizzanti della sezione AVIS di Poggiridenti all’alpe Rogneda (26 luglio 2015).
38 ➣Salento - Alberto e Marcella e i loro amici di San Foca (17 maggio 2015).
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Le foto dei lettori
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Le foto dei lettori
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Monte Bianco (16 luglio 2015).
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Ortles, l'arrivo in vetta (1 luglio 2015).
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Solda (1 luglio 2015).
Lidia, Elisa e Marco (16 luglio 2015).
39 ➣Valchiavenna - Matteo e Silvia a Savogno in compagnia di don Guanella nel centenario della sua scomparsa (20 giugno 2015).
40 ➣Cipro - Monsignor Francesco Abbiati con parrocchiani e amici di Albosaggia al sito archeologico di Kourion (18 aprile 2015).
41 ➣Torre di Santa Maria - Agnese Folatti, classe 1915, come ogni estate lascia Milano per tornare nella sua Valmalenco (12-07-2015).
42 ➣Abruzzo - Un bel gruppo di scarponi, con "sciurete", approdano a L'Aquila per l'88° Adunata Nazionale (17 maggio 2015).
43 ➣Valchiavenna- Eliana e Cristina ai piedi del piz Ledü (2 giugno 2015).
44 ➣Kenya - Maurizio Piganzoli porta LMD nel villaggio di Pisikischio (13 gennaio 2015).
45 ➣Marco De Gasperi - L'1 luglio e il 16 luglio 2015 l'amico Marco De Gasperi, classe 1977 di Bormio, 6 volte campione del mondo di
corsa in montagna e skyrunner di livello internazionale, ha stabilito due primati cronometrici di salita e discesa in velocità a dir poco
strabilianti. Rispettivamente dell'Ortles (m 3906) da Solda (m 1960) passando per il rifugio Payer e la via normale in 2h 36' e del monte
Bianco (m 4810) da Courmayeur (m 1060) per il rifugio Gonella e la via degli Italiani in 6 ore e 43 minuti.
Queste performance di assoluto rilievo rientrano in un progetto chiamato "boymountaindreams" (www.boymountaindreams.com)
attraverso il quale Marco porta a compimento quello che era forse la sua più forte vocazione sin da bambino: salire e ridiscendere il
più velocemente possibile le vette dei suoi sogni. Due ascese differenti come lunghezza, rischi e difficoltà, tanto che l'Ortles è servito
quasi a preparare mentalmente e convincere Marco che il record del monte Bianco, che apparteneva da 20 anni a Fabio Meraldi, fosse
attaccabile nonostante le condizioni quasi proibitive del ghiacciaio che mai come quest'anno è provato dal grande caldo (Meraldi di
suo aveva dovuto batter traccia in salita a causa di una recente nevicata).
Missione compiuta, seppur di poco più di un minuto. Questa prestazione, da un lato ha confermato le straordinarie capacità di Marco,
dall'altro ha ricordato a tutti l'indiscutibile talento di Meraldi, anch'egli valtellinese e uno dei più grandi scialpinisti e skyrunner di tutti i
tempi (testo e fotografie Giacomo Meneghello).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI 43
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
Le foto dei lettori
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soluzioni del n.33
Vincitori e
vinti
Ma 'n
gh'el?
Il taroccone
Giochi
Non
Si tratta di una primordiale lavatrice a
manovella (foto Luigi Bontempi).
I vincitori sono:
1. Chicco Gottifredi di Dubino
2. Angela Vanotti di Torre di Santa Maria
Hanno inoltre indovinato: Francesco
Fanchetti, Antonietta, Bruna Fiorina,
Pio Bergomi, Marco e Bianca Fiorina,
tra questi sono stati estratti Francesco
Fanchetti, Bruna Fiorina e Pio Bergomi
per gli altri premi.
me ne vogliano gli
amici della val d'Arigna,
ma in preda a un delirio di
Photoshop ho eliminato
ben 3 contrade e spostato
una vetta. Sapete dirmi
quali?
Ai 2 più veloci a dare la
risposta dalle ore 21:00
del 3 ottobre 2015 la
giacca Mello's Full ripid
(vedi pag. 60).
Tra tutti gli altri che
avranno indovinato entro le
ore 22 dello stesso giorno
verranno estratti
3 fortunati a cui andranno
la fascetta estiva LMD
+ il volume "Il Versante
retico. Da Cima di Granda
al Monte Combolo".
Scrivete le vostre risposte
su
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi/
Ma 'n gh'el?
I cugnùset?
Si tratta della chiesa di Sant'Andrea a Civo. Sullo sfondo
la possente mole del monte Legnone (9 novembre 2011,
foto Beno).
Un
rifugio del 1921 e uno inaugurato 117
anni fa e quasi subito dismesso (ora baita
privata). Li sapete riconoscere?
Ai 2 più veloci dalle ore 21:00 del 2
ottobre 2015 la giacca Mello's Full ripid
(vedi pag. 60).
Tra tutti quelli che avranno indovinato
entro le ore 22 verranno estratti altri 3
fortunati a cui andrà la maglietta LMD +
il volume "L'alta via della Valmalenco".
I vincitori sono:
1. Sergio Proh di Mossini
2. Simone Civati di Teglio
Hanno inoltre indovinato: Chicco, Ivan Andreoli, Ivano,
Mauro, Simone, Francesco Fanchetti, Marco, Antonietta,
Silvaba, Enzo Andreoli, Paola Civati, Marina Berti,
Mario Civati, Alessandra Cavada, Marco Del Piano,
Cristian Moretti.
Tra questi sono stati estratti Francesco Fanchetti, Mario
Civati e Alessandra Cavada per gli altri premi.
Scrivete le vostre risposte su
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi/
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
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Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
Mac: minestra tipica
della val Gerola
Luisa Piganzoli
ALPI SELVAGGE
le montagne e i loro animali
Le Alpi: vette maestose e paesaggi d’alta quota dove la natura e l’alpinismo
si incontrano.
Nato da un’idea di Roberto Moiola e Jacopo Rigotti, con le foto sorprendenti
del team ClickAlps e i testi brillanti di Beno e della naturalista Alessandra
Morgillo, questo volume presenta le 24 cime più importanti dell’arco alpino
e l’animale simbolo associato ad ognuna di esse.
Castagne (foto Roberto Moiola).
T
ra i più apprezzati frutti dell'autunno vi sono le castagne,
storicamente considerate una salvezza
alimentare per le genti delle campagne.
La coltura del castagno, attività tradizionale delle vallate alpine, nonostante la nascita di sagre e iniziative
ad essa dedicate, sta vivendo una fase
di declino. L'abbandono delle selve
è legato sia al trend negativo dell'agricoltura e della cura dei territori
di montagna, che a problematiche
fitosanitarie: un parassita, il cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus, detto vespa cinese),
partendo dal Cuneese nel 2002, ha
attaccato tutte le aree castanicole
italiane trasformando le gemme dei
castagni in palle (galle) in cui si sviluppano e di cui si nutrono le sue larve. I
dati asseriscono che nel 2011 si è perso
l'80% della produzione nazionale e che
la maggior parte delle castagne consu-
146
LE MONTAGNE DIVERTENTI mate in Italia non è italiana.
Recentemente è iniziata una sistematica e costosa lotta biologica utilizzando un insetto antagonista, il
Torymus sinensis, parassita della vespa
che in 6-7 anni, dove introdotto, è in
grado di far rientrare il problema.
La castagna, come ben sapevano i
nostri avi che tanta cura quanta gelosia
avevano delle loro selve, è un alimento
sano e dall'alto potere nutritivo. Fresca
ha un contenuto d'acqua del 50%
circa (secca del 10%), fornisce 2000
kcal/kg (secca 3500 kcal/kg), fibre,
glucidi zuccherini e amilacei, proteine
di qualità, una bassa percentuale di
grassi (30 g ogni kg), un buon quantitativo di potassio e altri sali minerali
come magnesio, calcio, zolfo e fosforo.
È inoltre ricca di vitamine idrosolubili
come B1, B2, PP, C e principi attivi
grazie ai quali potrete rendere scoppiettanti le vostre serate!
Q
uesta ricetta, tipica delle
vallate orobiche valtellinesi
e in particolare della val Gerola,
è stata proposta alla Sagra della
castagna di Rasura.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
• 300 g di castagne secche
bianche sgusciate
• 1 litro di latte intero
• 8 manciate di riso
• burro
• sale
PRAPARAZIONE
Cuocere bene le castagne con poco
sale e acqua facendo sì che rimanga
un po' di acqua di cottura.
Aggiungere il latte e portare il tutto
a ebollizione, quindi versare il riso.
Una volta pronta la minestra, mettere
una fettina di burro e sale quanto
basta. Non mangiare bollente.
Autunno 2015
3 diverse copertine
solo 20€
nei migliori punti vendita
e su shop.clickalps.com
con le foto di Roberto Moiola, Jacopo Rigotti, Beno, Vittorio Vaninetti, Giacomo Meneghello,
Roberto Ganassa, Francesco Vaninetti, Alberto Locatelli, Fabio Vivalda, Maurizio Lancini,
Walter Dell’Armellina, Marco Bottigelli, Stefano Caldera, Paolo Bolla, Francesco Sisti, Luca Gino e Giordano Bertocchi
L'alta montagna dà un senso di distacco
dalle preoccupazioni del mondo, come se
noi portassimo lassù solo la parte migliore
dell'animo nostro.
Bruno Credaro (1893-1969)
LE MONTAGNE DIVERTENTI 149