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Sergio Bevilacqua
Gynandromakia
LIBRO PRIMO
L’amore di Mairéad
IBUC 2011
Cap2-continuazione
Alla sinistra della soprelevazione, s’apriva una biblioteca colma di libri di storia, atlanti
storico-geografici e testi d’economia (Smith e Ricardo, Marx, Keynes e altri), politica (Machiavelli
e Cicerone, Montesquieu e Kojeve, Lenin e Carl Schmitt, Hobbes e Hannah Arendt), letteratura
(tutti i grandi classici, in pregevoli edizioni). Uno spazio specifico era dedicato ai libri di spionaggio
(l’antica serie di Ian Fleming dedicata alle avventure dell’agente britannico 007 James Bond, che
aveva emozionato mezzo XX secolo d’occidente, l’implicita critica di John Le Carré, Ken Follett) e
ai polizieschi (la serie di Maigret di Simenon, il primissimo Dupin di E. A. Poe, Sherlock Holmes di
A. Conan Doyle, Marlowe di Raymond Chandler, poi Rex Stout, Edgard Wallace, Patricia
Cornwell…).
Alla destra della scrivania, di fronte alla biblioteca, chiuso da un altro portale dipinto, vi era
l’accesso alla sua abitazione. Esso dava sull’imponente salone, da cui partiva l’ampio corridoio che,
passando accanto a sala da pranzo e cucine, raggiungeva le camere.
Ogni passo massaggiava la pianta dei piedi di Sylvia, mentre attraversava lo studio per
raggiungere i suoi appartamenti privati. Alle pareti, lunghe come nelle più grandi sale del Louvre,
brillava il lucido degli olii di pittori impressionisti, Monet, Rousseau, Degas, Manet, giunti
all’Empire dieci anni prima dal Musèe d’Orsay di Parigi, insieme alle femmine emigrate a causa
della separazione continentale.
La scultura della Nike, i quadri dei maestri impressionisti… Certo, gli oggetti cantavano di
Sylvia, ma ciò che ormai da anni le dava felicità rientrando in casa erano i capelli rossi, gli occhi
verde erba, il visetto colmo di efelidi e lo splendido cervello di quella dolce ragazza che rispondeva
al nome di Mairéad, la “sua” Mairéad Sweeney…
Intiepidita dal fuoco del grande camino in pietra serena, Mairéad era, come sempre a
quell’ora, intenta a lavorare ai suoi studi avvolta dalla musica.
Da fuori, Sylvia udiva le voci di basso e soprano che s’intrecciavano in uno dei duetti de “La
serva padrona” di Pergolesi e attraversò piano il portale d’entrata, per farle una sorpresa.
Sotto la luce delle abatjour, Mairéad era sdraiata sul tappeto tra i divani color panna:
appoggiata sul fianco, digitava veloce al portatile come seguendo l’incedere allegro di quelle
cantate settecentesche. La circondavano libri aperti, semiaperti e chiusi, di politica, economia,
geografia e tanti d’astronomia, sua passione e hobby. Sentendo un fruscio, sollevò il capo,
raccogliendo i capelli con entrambe le mani dietro alla nuca, e illuminò lo sguardo: “Sylviamore!”
disse ridendo, “Ti ho visto!”
“Solo tu…” le rispose Sylvia, come le voci liriche nell’aria, guardandola e sorridendo a sua
volta mentre attraversava con calma il salotto. La raggiunse, le passò una mano sul capo e sussurrò,
insieme al basso ma con note più alte: “Solo tu mi fai goder…”.
Conquistata, Mairéad rise di più.
Sylvia buttò per terra le Chanel che aveva in mano e strascicò con grazia i piedi sul tappeto,
per togliere dalle piante la polvere di quella passeggiata scalza. Guardò Mairéad con amore e si
lasciò cadere su un divano con un sospiro musicale, lì vicino alla sua rossa.
In Mairéad il sangue irlandese non si nascondeva per niente. Sotto la luce soffusa delle
lampade e del fuoco del camino, indossava un’ampia camicia maschile in oxford azzurro semiaperta
con le maniche rimboccate, che lasciava scoperta la pelle bianca delle gambe e delle braccia e il
décolleté, ornato di alcuni vezzosi nei.
Mairéad lasciò passare qualche istante e, come per riprendere il filo di un discorso non
finito, disse espirando: “Sai Sylvia, dopo quanto ci siamo dette ieri sera…” S’interruppe, con un
sorriso ingenuo, per sgranchirsi le ossa fini come fanno i gatti, allungando le braccia e le gambe
dritte ed estendendo i piedi fino a trovarsi completamente sdraiata supina sul tappeto, lì davanti a
Sylvia. Poi fece come per concentrarsi, tirò gli occhi verde erba e, guardando in alto il soffitto a
cassettoni dipinti, riprese a parlarle: “…Dopo i discorsi di ieri sera sull’evoluzione del nostro
mondo di donne… I tanti interrogativi riguardo al futuro, l’incedere della mutazione…” Stette un
attimo in quella posizione, il tempo di scaricare la tensione della schiena sul pavimento e, con un
armonioso colpo di reni, si sollevò a sedere a gambe incrociate proprio davanti alla sua Sylvia
offrendole la faccetta da brava ragazza costellata d’efelidi.
Sempre curiosa di lei, Sylvia la osservava con una dolcezza piena di sottintesi, mezza distesa
sull’ampio divano con le braccia nude aperte e abbandonate.
“Sì, insomma…” continuò Mairéad, muovendo la mano nell’aria e fissandola a tratti. “Mi
sembrerebbe utile approfondire quanto succede in Umania, a centocinquantanni dal distacco di
Africa e Oceania… I risultati dei loro esperimenti politici…”
Sylvia la conosceva bene: le esitazioni che mostrava significavano che Mairéad aveva in
mente qualcosa di preciso, non essendo né insicura di carattere né impreparata… Le fece un cenno
con le labbra e con gli occhi, come d’incoraggiamento.
Nonostante gli atteggiamenti, la rossa non aveva alcun bisogno di conferme: i suoi primi
ventinove anni, dei centoquaranta d’attesa di vita di una donna gynekiana, erano stati spesi molto
bene. Giornalista e scrittrice, Mairéad Sweeney aveva ottenuto la palma di più importante
storiografa ed era in breve divenuta il punto di riferimento della coscienza sociologica dello Stato
delle Donne. Benché i prodigi della sua intelligenza fossero conosciuti da anni in Gynekia, le
piaceva sempre tanto essere trattata da enfant prodige… E Sylvia era maestra nel farlo.
La quiete di quel crepuscolo dava il senso familiare del calore, ideale dopo una giornata di
lavoro. Intanto Pergolesi aveva lasciato a un Bach discreto il compito di arricchire quell’atmosfera.
“Dunque, dolce…” insisté Sylvia, sottovoce. “Hai qualche riflessione acuta da
comunicarmi?” e col piede le carezzò il ginocchio.
Come Glenn Gould appoggiava le dita sui tasti del piano, usandolo da clavicembalo nella
“Variazione Goldberg”, così Mairéad appoggiava le dita sul dorso del piede di Sylvia. E, guardando
a mezz’aria, rispose: “Credo che sarebbe molto utile se andassi a vedere da vicino cosa succede in
Umania, in Grandafrica o in Grandoceania… Soprattutto in Grandoceania e in particolare in
Australia: lì, gli uomini e le donne hanno continuato a vivere insieme come se la gynandromakia
non fosse mai successa e mostrano dati di disagio bassissimi. Il nostro progetto, il progetto del
Rispetto Organico, il matriarcato come soluzione per l’umanità, non è mai stato considerato in
quella parte di Umania, e le cose vanno avanti ugualmente, sembra piuttosto bene…”
“Hai ragione, Maire. L’avevo notato anch’io: la qualità della vita degli oceanici è da anni in
continua crescita…” rispose Sylvia, sempre carezzandola, nell’atmosfera ovattata del salotto. “In
Australia il matriarcato è stato proibito, considerato anti-umano, alla stessa stregua del patriarcato.
In effetti anche noi sappiamo quanto è difficile: nemmeno i nostri maschi l’hanno vissuto bene…” e
fece un mezzo sorriso, amaro, tra le dolci note di Bach. “Appena hanno potuto se ne sono andati e
non c’è stato nulla da fare…” Si stirò in un mezzo sbadiglio, durante il quale disse: “Nemmeno la
forza!” e, distendendosi, cercò una maggiore vicinanza con la sua rossa.
Mairéad, pur felice dei gesti affettuosi di Sylvia che era stanca di politica e pronta per le
carezze, le chiese ancora un po’ di pazienza. Così le disse: “Sylvia, non potremo mai più riproporre
la violenza estrema che abbiamo vissuto nell’ultimo secolo… L’opposizione non ne vuole più
sapere di guerra, di tutto quel sangue e anche tra noi molte sono ormai pacifiste... Capire la via
australiana potrebbe esserci utilissimo: mi basterebbe qualche mese per avere il quadro completo
della situazione…”
Sylvia sorrise: mentre si avvicinava lentamente col viso a lei, la guardava negli occhi verde
erba con una luce che ricordava il cielo stellato. Rifletté un momento, si morse il labbro inferiore
coi denti candidi e disse, vincendo lo scoppiettare di un tronco nel camino: “Certo mi mancheresti,
Maire. Ma se fosse solo per qualche mese, potresti fare avanti e indietro tra New York e Sydney…
In effetti sapere come vanno davvero le cose in Australia potrebbe essere strategico per il futuro di
Gynekia: capire i loro esperimenti politici, i loro equilibri sociali… E quando sarai là, con le tute
potremmo stare vicine ugualmente. Non ti sembra che Françoise Bernardini abbia fatto un lavoro
straordinario, con l’ultima release? Tutti i sensi perfetti, siamo al 99,5 %… È proprio come fare
l’amore dal vivo, vero?”
“Era già efficace prima, ma così è davvero speciale…” rispose Mairéad, con aria maliziosa.
“Françoise è bravissima…” confermò Sylvia, e distolse un attimo gli occhi da lei per
guardare il fuoco.
Come giunta alla fine di un’operazione aritmetica, glieli ripuntò subito addosso: “Credo che
tu abbia proprio ragione. È importante andare in Australia e capire. Sei sempre la mia genietta…” e
le carezzò piano il collo, nella luce rosata dell’abatjour.
Mairéad s’appoggiò soddisfatta con l’ascella all’imbottitura della seduta e abbandonò il capo
di lunghi capelli rossi sul braccio, lasciando che la mano incontrasse la spalla della bruna.
L’opportunità che l’astuta Sylvia aveva intuito nella missione proposta da Mairéad non era
soltanto quella scientifica. Lei era a capo dei Servizi Segreti e doveva dosare le informazioni che
dava, se necessario anche alla compagna della sua vita. Mairéad non doveva sapere che Gynekia era
lanciata in un’aggressione ad Androlandia, in una strategia definitiva per ridare slancio all’umanità
matriarcale e alla specie homo sapiens contro le sue mutazioni foemina sapiens, incombente nelle
lesbiche di Gynekia e homo æternus, affermatasi in Androlandia. Per questi motivi il virus d’amore
e le sue conseguenze erano materia esclusiva del Gotha di Gynekia: soltanto le quattro del Governo
potevano sapere dell’enorme confusione che stavano per seminare nello Stato degli Uomini e nel
mondo. E, in vista di un nuovo ordine globale, sia in caso di successo del virus d’amore sia nella
malaugurata eventualità del suo fallimento, era assolutamente rilevante sapere ciò che avrebbero
fatto gli Umani. Dunque, quel viaggio sarebbe stato utilissimo tanto alla pace quanto alla guerra:
anche perché non si sa mai dove può portare, una guerra…
Bach nell’aria, Mairéad continuava a carezzare la spalla a Sylvia e lei la testa, infilando le
dita tra i suoi lunghi capelli ondulati. Sylvia mostrava di essere davvero triste per quella possibile
lontananza e guardava la sua Mairéad proprio come a lei piaceva, quasi come una madre che manda
la figlia a vivere in un qualificato campus universitario, ma lontano da lei. Si morse ancora il labbro
inferiore aguzzandole lo sguardo addosso (un gesto che Mairéad adorava!) e, come forzando la sua
convenienza, le disse con tono maternamente deciso: “Secondo me dovresti partire al più presto...”
Poi aggiunse con voce istituzionale: “Lasciami solo il tempo per prendere i doverosi accordi
diplomatici e rassicurare il governo oceanico sulla natura solo scientifica della tua missione. La
nostra forza è tale che comunque non potranno negarsi… e fingeranno di credere a tutto quello che
diciamo!” Da cinica stratega poi pensò: “Anche il tempo necessario per liberare un poco il percorso,
togliendo dai piedi quel fastidioso Murer capo dei servizi segreti grandoceanici, che potrebbe capire
troppo…” E le ripeté : “Credo che potrai partire nel giro di quattro o cinque giorni…”
Con un salto di felicità, Mairéad si buttò sul divano, accanto e un poco sopra Sylvia e,
sfiorandola col viso dalle mille efelidi, le sussurrò all’orecchio: “Quanto mi amo, amandoti,
Sylvia…” Poi la baciò sulla bocca, carezzandole la guancia con le dita morbide e naturali.
La bruna rispose, intensa: “Quanto mi amo io, amando te…”
Mentre note di paradiso, luci soffuse e lievi profumi di fuoco di legna le coccolavano, in un
abbraccio pieno di miele Sylvia sussurrò a Mairéad: “Quando tornerai, poi, dovremo pensare al
nostro futuro... Vorrei tanto dare una svolta alla nostra vita…”
Mairéad le rispose, anch’essa in un sussurro: “Lo so, lo so… Anche io vorrei tanto, lo sai…
Ora sono proprio pronta a ricevere i tuoi geni uniti ai miei, sai Sylvia? Darti il mio ventre… I
piaceri della riproduzione… Finalmente! Il godimento della nostra natura femminile… Non è per
quello che lavoriamo, amore? È un diritto e un dovere la costruzione della zigote, della nostra
zigote…” S’accucciò di più sul seno di Sylvia e, guardandola con lo sguardo sognante, le carezzò la
fronte scostandole la frangia corvina. Quindi aggiunse: “Che bella cosa! Studiare i nostri patrimoni
genetici, scegliere uno per uno i geni che renderanno la nostra bambina una creatura nostra, del
nostro amore e della nostra fantasia…”
“I tuoi capelli…” disse Sylvia, sfiorandoli a occhi socchiusi.
“Le tue mani…” rispose Mairéad, baciandole.
“I tuoi occhi verde erba…”
“I tuoi seni…”
Abbandonata sopra la spalla della più potente di Gynekia, Mairéad faceva scorrere l’indice
dalla fronte alle labbra carnose di Sylvia e respirava il suo profumo agrodolce al muschio bianco…
Non ne aveva altro da opporre, solo quello naturale della sua pelle.
Una cosa, però, non capiva: come mai s’era trovata ad esplodere di felicità per
l’approvazione di quella missione in Umania. Non le era mai successo, così! Aveva sentito qualcosa
di talmente forte e irrazionale, come un richiamo del destino…
Mentre si coccolavano, tra sogni di futuro e pensieri di lontananza, morbide come gatte, le
ore passavano e scoccava mezzanotte, a New York.
Le sei del mattino, a Londra.