Lo `spirito` imitativo dell`onomatopea

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Lo `spirito` imitativo dell`onomatopea
Ilaria Barontini
Lo ‘spirito’ imitativo dell’onomatopea1
La natura ascoltata da un musicista non può che suggerire
un’idea musicale… un tema.
Gianfrancesco Malipiero
…bisbiglio, balbettìo, gargarismo, trillo, tintinnìo, sibilo, sussurro, … ci sono parole che,
con il loro ‘suono’, suggeriscono un rumore, un effetto, un significato, imitandolo
fonicamente: sono le onomatopee, e più precisamente le onomatopee secondarie (o voci
onomatopeiche) che hanno un rapporto con impressioni acustiche e sfruttano certi fonemi
(i suoni che formano le parole) o gruppi di fonemi a scopo imitativo. Le primarie, o
onomatopee in senso proprio, sono invece quelle che riproducono immediatamente,
direttamente, il suono o il rumore: cucù, miao, drin, chicchirichì, din don, muuh, …
Gridi, suoni e rumori offrono non più che uno spunto a tali parole, perché i mezzi fonici
della lingua sono in grado di riprodurli solo approssimativamente; anzi, nelle diverse
lingue, si hanno esiti spesso divergenti.2
Le onomatopee primarie e secondarie costituiscono, insieme alle rime, alle assonanze,
alle allitterazioni, al ritmo, …, gran parte del livello fonico, ovvero il tessuto sonoro della
poesia.
…
sentivo un fru fru tra le fratte:
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù.
(da L’Assiuolo di Pascoli)
→ onomatopea primaria
→ onomatopea secondaria
→ onomatopea secondaria
→ onomatopea primaria
Nei versi di Pascoli allitterazioni e onomatopee (primarie e secondarie) si rafforzano a
vicenda ed esprimono con chiarezza e immediatezza immagini e sensazioni; esse
caratterizzano il suo simbolismo fonico, in cui al linguaggio ‘grammaticale’ se ne intreccia
un altro ‘speciale’, istintivo, che deriva dal mondo della natura, delle cose, degli animali. Il
1
Il presente saggio è tratto, col consenso dell’Editore, da: Ilaria Barontini, Musica e umorismo. Itinerari di ascolto nella
musica ‘seria’ (ma non troppo) con un’escursione nella musica ‘leggera’ (ma non troppo), ETS, Pisa 2009 (cfr.
http://www.edizioniets.com/view-Collana.asp?Col=Musica%20e%20Didattica). Il volume è corredato da un CD-ROM con
scritti di approfondimento, esempi audio e materiali video.
2
Ad esempio, il chicchirichì della nostra lingua diventa in Spagna quiqueriqui [kikeriki], in Germania kikeriki, mentre in
Francia coquerico [kokericò] e in inglese cockadoodledoo.
poeta riesce a cogliere spontaneamente l’essenza segreta di questi suoni, dà loro forma e
li collega a sensazioni e a stati d’animo. Come osserva Pagnini (1982), «il linguaggio della
poesia si distingue dal linguaggio naturale perché canta».
L’onomatopea permette quindi di formare parole, attraverso un processo di imitazione dei
suoni che suggerisce ad esempio il rumore del treno, i tuoni del temporale, il correre dei
cavalli.
Fin da piccoli, associamo suoni a cose, oggetti, animali: per tanti di noi il cane, all’inizio, è
stato sicuramente un «bau», il treno un «ciuf ciuf», l’acqua il «bombo», i soldi i «dindi», …
Anche crescendo continuiamo a fare associazioni, non solo tra il significante e il
significato, ma anche di significanti tra loro (ad esempio, la parola succube –
etimologicamente derivata da covare – ha subito l’influsso di succhiare: il rapporto di
fonestesia3 è a volte più vitale di quello etimologico).
I fonemi suggeriscono spesso sensazioni, immagini, forme: la /r/ è ruvida, aspra e
associabile al movimento, la /l/ è liquida, levigata, la /s/ sibilante, la /e/ ha un suono chiaro,
la /a/ si associa a qualcosa di largo, la /i/, al contrario, a qualcosa di piccolo o di appuntito
e può rendere l’idea della luce o anche un rumore tenue e/o acuto, la /u/ il senso del cupo,
del tenebroso, … La potenzialità espressiva dei suoni si esprime però sempre nel contesto
e nella collaborazione tra l’elemento fonico (phoné) e il significato (semantiké), «sicché
difficilmente si può dare una autonomia del significante che giunga a iconizzare
astrattamente i puri valori fonologici della lingua». (Marchese 1997)
Anche il ‘linguaggio’ musicale, come quello poetico, fa largo uso dell’onomatopea,
imitando fatti extramusicali (suoni naturali o artificiali, versi di animali, rumori, …) per
mezzo di voci e/o strumenti.
Già nell’antica Grecia troviamo il concetto di mìmesis, cioè l’imitazione di eventi
extramusicali, rappresentata attraverso la mimica e la danza. Nella musica europea, dal
Trecento in poi, troviamo varie forme onomatopeiche, legate all’imitazione di
-
fenomeni naturali (temporali, burrasche, vento, …);
battaglie (effetti di fanfara, fragore di combattimento, clangore di spade, scalpitìo di
cavalli, esultanza della vittoria, …);
animali (canti d’uccelli, versi di animali e/o loro andature, che diventano materiale
musicale);
fatti sonori, collegati a eventi particolari (trombe e corni di battaglia o caccia, scene
pastorali o di mercato).
Nel XIV secolo fa la sua comparsa una forma vocale: la caccia4; nelle cacce italiane e
francesi (chasse), oltre all’imitazione onomatopeica, è presente anche il procedimento
tecnico dell’imitazione (canone), per cui le voci sembrano inseguirsi. Le cacce presentano
un particolare gusto per le descrizioni musicali, in cui – nel Cinquecento – sarà maestro
Janequin (caccia, pesca, tempesta, rumori della strada, canto degli uccelli, dispute,
battaglie5, incendi). L’influenza della scrittura di Janequin, molto forte sui suoi
contemporanei, si esercitò anche sui madrigalisti italiani.
3
Il termine è coniato da J. R. Firth nel 1930: «fonema o gruppo di fonemi con associazioni semantiche riconoscibili
dovute alla ripetuta comparizione in parole di significato affine». (in Grew 1994)
4
Il termine caccia, oltre ad alludere alle voci che si cacciano l’una con l’altra, indica l’argomento venatorio e, per
metafora, il corteggiamento amoroso.
5
Nella dedica del suo Siège de Metz a Francesco di Guisa, Janequin scrive: «Ho preparato una battaglia servendomi
di canti e suoni il più possibile vicini alla viva voce, con parole di uomini che impartiscono ordini, squilli di trombe e di
chiarine, scoppi di cannoni e di artiglierie e altre cose tipiche di una battaglia». (Janequin, in de Candé 1980)
In Italia in particolare, la musica rivelerà, anche nei secoli successivi, tranne che nel
Romanticismo6, la cui poetica rifugge dal realismo, i caratteri di freschezza e di spirito, che
lasciano intendere una tendenza ad abbandonarsi alla ‘facile vena’. L’uso delle
onomatopee musicali, dalle cacce trecentesche a Nella vecchia fattoria o all’Opus number
Zoo di Berio, serve anche ad evocare l’aspetto divertente della realtà, adatto ad ospitare
vivaci fantasie musicali, senza mascherare il lato ridicolo o spiritoso degli avvenimenti;
penserà la musica a ridare dignità artistica perfino ai ‘rumori’.
La Tabella delle onomatopee (cfr. CD, file n. 28), sicuramente incompleta, vuole segnalare
alcune composizioni7 che, nei secoli, hanno fatto uso di suoni onomatopeici, anche se non
tutti con fini comici, umoristici o caricaturali; in ogni caso si tratta di usare l’onomatopea
non per descrivere o riprodurre ‘alla lettera’, ma per afferrare uno stimolo ed estrinsecarlo
fantasticamente. È inoltre curioso notare come la colonna delle onomatopee zoologiche
sia di gran lunga più nutrita delle altre e come al suo interno sia stato il canto degli uccelli
(in particolare quello dell’usignolo!) ad avere ispirato maggiormente la fantasia dei
compositori; al secondo posto i rumori e gli effetti legati alla vita quotidiana (treno,
campane, ‘cicalamento’ delle donne, …) e anche l’imitazione di strumenti musicali fatta
con altri strumenti; è anche divertente osservare come nei secoli le onomatopee si sono
sempre ‘infiltrate’ nella musica di stili e luoghi diversi, ad arricchire di ‘effetti speciali’ le più
disparate tavolozze sonore.
Nel CD
Tabella delle onomatopee (file n. 28)
Seguono le schede allegate:
- scheda 1: Adriano Banchieri, Capricciata e Contrappunto bestiale alla mente (cfr. anche
File audio n. 1 “Fa la la”
- scheda 2: Gioacchino Rossini, Duetto buffo di due gatti (cfr. anche file audio nn. 2
“Adagio”, 3 “Andantino” e 4 “Allegretto”)
- scheda 3: Ascolto e… imito
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Nel XIX secolo, l’onomatopea descrittiva diviene assai circoscritta, proprio per la concezione della musica, legata
all’‘indicibile’ e al ‘fantastico’, ben lontani da descrizioni intelligibili e traducibili. Se vi era un’ispirazione ‘materiale’,
questa, tramite i suoni, doveva realizzarsi in una più alta espressione, intraducibile dalla parola e dall’immagine, capace
di cogliere poeticamente stati d’animo e sensazioni. Gli elementi extramusicali sono pertanto solo uno spunto, un
mediatore tra ideale e reale.
7
Nella tabella non sono presenti canzoni popolari tradizionali e di musica leggera: per questo si rimanda al
Dizionarietto, file n. 29 del CD.