UCRAINA: Le Femen, storia di una presa per il culo

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UCRAINA: Le Femen, storia di una presa per il culo
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UCRAINA: Le Femen, storia di una presa per il culo
Posted 10 febbraio 2014 in Al Femminile, Ucraina with 8 Comments
di Matteo Zola
Tutti conoscono le Femen, collettivo ucraino che si definisce femminista e che ha deciso di usare,
quale strategia di protesta, le tette. Il seno nudo sarebbe, secondo le attiviste, uno strumento per
rovesciare l’immagine del corpo della donna, denudato dalla società dei consumi e quindi consumato
a sua volta. Esibirlo volontariamente sarebbe quindi una sorta di riappropriazione del corpo nudo,
veicolo di dissenso e non più passivo oggetto di commercio.
Ma c’è un’altra storia, che cercheremo in parte di raccontare, che testimonia come il fare commercio
del proprio corpo sia, per le Femen, una precisa strategia di marketing a fini tutt’altro che politici.
Non interessa quindi discutere in questa sede del femminismo contemporaneo, invero piuttosto
sconosciuto ai molti che ancora pensano alle suffragette di inizio secolo scorso o alle lotte degli anni
Settanta: quello che si vuole mostrare è come le Femen siano un prodotto realizzato in vitro, frutto
dell’opportunismo di alcuni personaggi che hanno saputo intercettare, nell’ultimo volgere storia
ucraina, i cambiamenti politici e i flussi di denaro.
I soldi delle Femen
Il volto più noto del movimento è Inna Shevchenko, ventitré anni appena, dal 2013 vive a Parigi
grazie all‘asilo politico concessole dalla Francia. La sua biografia ufficiale la vuole laureata in
giornalismo a Kiev; presto caduta sulla via di Damasco della Rivoluzione Arancione che le apre gli
occhi sulla realtà della società ucraina; quindi attivista senza macchia fino a che le troppe minacce
ricevute la convincono a espatriare verso la Francia dove, in breve tempo, ottiene l’asilo. La sorella
Alexandra (Sasha) è una delle leader del movimento, meno nota della sorella è lei a tenere i cordoni
della borsa.
A svelare alcuni retroscena delle Femen è stata Daryna Chyzh, giornalista del canale “1+1” che si è
infiltrata all’interno del movimento raccontandone di cotte e di crude. Come riportato da
Massimiliano Di Pasquale sul Corriere Nazionale, “ogni attivista percepirebbe 1000 euro al mese, i
dipendenti della sede di Kiev, da dove si coordinano le varie iniziative, riceverebbero stipendi pari a
2500 euro mensili. L’affitto dell’ufficio nella capitale ammonterebbe invece a 2000 euro al mese. Il
costo della spedizione parigina [una delle trasferte del movimento], pari a 1000 euro al giorno per
dimostrante, dice di un’organizzazione che può beneficiare di regolari e cospicui finanziamenti”.
Già, ma chi fornisce questi finanziamenti? La Chyzh ha dichiarato di aver visto più volte Alexandra
Shevchenko in compagnia di Helmut Geier, ricco proprietario di una casa di produzione tedesca
specializzata in musica elettronica, di Beate Schober, milionaria bavarese attiva prima nel campo
delle compagnie aeree, poi degli hotel di lusso, e di Jed Sunden, uomo d’affari americano fondatore
del giornale in lingua inglese Kyiv Post. I tre sarebbero tra i finanziatori del movimento. Niente di
male, anche se la presenza di imprenditori di quel calibro, attivi nel campo del commercio e
dell’informazione, qualche dubbio lo solleva. Che le Femen siano una specie di brand?
Anna Hutsol, prima delle Femen la falce e martello
C’è poi una Femen che non tutti conoscono, che non mostra il seno per protesta e che evita di uscire
allo scoperto: è Anna Hutsol, fondatrice del movimento, la “faccia nascosta delle Femen“ come
scrisse Le Monde. E’ lei il personaggio più interessante. Nel libro autobiografico “Femen”, scritto
con le sorelle Schevchenko ed edito, non a caso, in Francia, racconta del suo incontro con quello che
sarebbe diventato “l’ideologo del gruppo”, Viktor Sviatski. I due si incontrano all’inizio degli anni
Duemila in un circolo politico giovanile d’ispirazione neomarxista (evidentemente l’ardore
atlantista nelle Femen è nato dopo…) e costruiscono un affiatamento che li porterà, nel 2005, a
fondare un’associazione studentesca che appoggia il Partito Comunista nella persona di Olga
Ivanovna Ugrak, anonima candidata alle elezioni municipali di quell’anno per la città
di Khmelnytskyï, dove Anna Hutsol è nata. I due cercano una sponda politica: sono svegli e hanno
voglia di fare carriera, usano i mezzi che hanno a disposizione. Salgono però sul carro sbagliato. Il
partito prende appena il 3% dei voti, per i comunisti non è più aria, e anche Hutsol e Sviatski si
mettono alla ricerca di nuovi referenti.
La svolta nazional-popolare
Igor Bekrut è un torbido uomo d’affari asceso al potere e alla ricchezza in quel turbolento periodo
che segnò la fine dell’Unione Sovietica, quando le privatizzazioni “allegre” imposte dal nuovo corso
capitalista portarono fiumi di denaro nelle tasche di rampanti criminali in doppiopetto. Bekrut
sbarca in Ucraina con alle spalle i capitali delle sue banche in Kazakhstan e in Russia fonda un partito,
Grande Ucraina, di chiara ispirazione nazionalista. Dice di ammirare la “dittatura democratica”
del suo amico Putin, cui si ispira, e partecipa a incontri con leader dell’estrema destra russa e ucraina.
Hutsol e Sviatski trasformano la vecchia associazione studentesta neomarxista in un gruppo di
supporto a Grande Ucraina, dal nome “Nuova Etica”. Sviatski sarà tra gli organizzatori di alcune
manifestazioni del partito che sventola vessilli di Bandera, controversa figura del nazionalismo
ucraino che collaborò coi nazisti, e i colori rossobruni dei nazionalisti ucraini (gli stessi che oggi
caratterizzano Svoboda). E Anna Hutsol? Non sappiamo molto, se non che fu la leader di “Nuova
Etica” e che si fece immortalare, nel 2008, durante una manifestazione anti-Nato (nella foto).
La svolta “euro-atlantica”. Opportunismo all’ucraina
Insomma, la fondatrice e l’ideologo delle Femen non sono, come si vuol far credere, i figli della
Rivoluzione Arancione. Anzi, nel miscuglio ideologico nazional-comunista, essi esprimono una
aperta posizione anti-occidentale. Tutto legittimo, per carità. Ma assai poco coerente con le scelte fatte
di lì a poco.
Femen viene infatti fondato proprio nel 2008 dalla stessa Hutsol e fa sorridere, per la poca grazia
con cui è espressa nel manifesto del gruppo, la volontà di “formare un quadro nazionale di
femminilità, maternità e bellezza, basandosi sull’esperienza del movimento delle donne euroatlantiche“. Dove quel “euro-atlantiche” sembra ficcato a forza e qualche malizioso potrebbe vederci
l’intenzione di cercare nuovi partner politici dopo i falliti tentativi con comunisti e nazionalisti. Dal
2008 Femen si distingue per l’aperta critica al regime di Yanukhovich, al maschilismo della
società ucraina, al conservatorismo patriarcale della Chiesa ortodossa. Durante gli europei di
calcio il gruppo guadagna la ribalta anche dei giornalisti più disattenti diventando presto un fenomeno
mediatico. Le loro manifestazioni a seno nudo hanno fatto il giro del mondo. Finalmente la coppia di
faccendieri Hutsol-Sviatski riesce a centrare l’obiettivo.
Sviatski, il volto patriarcale delle Femen
Il ruolo di Viktor Sviatski in seno al movimento è stato a lungo un segreto. Ci è voluto il
documentario della regista australiana Ketty Green, L’Ucraina non è un bordello, presentato a
Venezia lo scorso 2013, per svelare il ruolo di Sviatski: molto più che un ideologo, un pubblicitario,
uno che ha saputo fare del movimento un brand, ma anche uno che si distingue per maschilismo in
quello che dovrebbe essere un gruppo femminista. È lui quello che ha capito che mostrare le tette
avrebbe reso parecchi soldi. Ma Sviatski, per quanto sovrappeso, tette non ne ha. In accordo con la
Hutsol si è messo a girare per l’Ucraina in cerca di ragazze da reclutare e, in certa misura, da
indottrinare. Ovviamente solo ragazze belle, alla faccia del femminismo.
L’uso della violenza psicologica nel gruppo è ammesso dalla stessa Inna Shevcenko che però ritiene
“utile” il metodo di Sviatski in quanto “ci ha dato l’opportunità di capire che cosa il patriarcato: le
donne sono schiave del sesso, la violenza viene esercitata contro di loro nelle case. Ha anche fatto
capire come gli uomini possono essere bastardi”. E quasi a giustificarsi: “Noi siamo ucraine, non
conosciamo altro che la società patriarcale, la accettiamo”. Secondo la regista Ketty Green, “Sviatski
è le Femen” e le ragazze sono “vittime di una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale si
sentono legate a Sviatski malgrado lui rappresenti la società maschilista che credono di combattere a
seno nudo”.
Femen, un uso commerciale del corpo della donna
Il femminismo, quindi, è una balla. Una scelta dettata dall’opportunismo, un modo per nascondere il
fatto che le tette al vento sono quello sono: un uso commerciale del corpo della donna. Il
femminismo serve solo come specchietto per le allodole. Sviatski ha capito che le belle ragazze, a
seno nudo, portano soldi. Non ci voleva un genio del marketing, è vero. Ma Sviatski ha saputo dare al
movimento una parvenza politica.
Ora Sviatski non fa più parte del movimento, assicura da Parigi la “rifugiata” Inna Shevcenko.
Formalmente non ne ha mai fatto parte, però. Nel luglio scorso “l’ideologo delle Femen” è stato
duramente pestato a Kiev. Ignoti sono entrati negli uffici delle Femen – ma non ne faceva più parte?
– e gli hanno spaccato naso e fracassato la mascella. Perché? Nessuno lo sa, e da quel momento
Sviatski è tornato nell’ombra. Forse avrà pestato i calli a qualcuno di importante in quel sottobosco di
affari torbidi che è la Kiev dell’era Yanukovich. Quel che sorprende è l’assenza del movimento dal
grande palcoscenico delle proteste di Kiev durante le scorse settimane. Sì, certo, hanno orinato su una
foto di Yanukovich a Parigi ma erano, appunto, a Parigi, salotto d’Europa, mentre in cantina si faceva
(o si giocava) la Rivoluzione. Ma la politica alle Femen non interessa, e le tette sono buone per ogni
stagione.
—Foto Reuters / Alvaro Canovas
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Tags: alexandra schevcenko, anna hutsol, daryna chyzh, femen, femminismo, inna schevcenko,
matteo zola, viktor sviatski Categories: Al Femminile, Ucraina
8 Comments
1.
Mianomo Negravas02-10-2014
Anche se l’intera operazione fosse progettata e finanziata interamente dalla Coca Cola ciò non
toglie che sia stata utile a indurre delle riflessioni
Rispondi
Sara Bersani02-17-2014
Quale parte di questo paragrafo (o, se è per questo, di tutto l’articolo) non riesci a capire ?
“Femen viene infatti fondato proprio nel 2008 dalla stessa Hutsol e fa sorridere, per la
poca grazia con cui è espressa nel manifesto del gruppo, la volontà di “formare un quadro
nazionale di femminilità, maternità e bellezza, basandosi sull’esperienza del movimento
delle donne euro-atlantiche“. Dove quel “euro-atlantiche” sembra ficcato a forza e
qualche malizioso potrebbe vederci l’intenzione di cercare nuovi partner politici dopo i
falliti tentativi con comunisti e nazionalisti. Dal 2008 Femen si distingue per l’aperta
critica al regime di Yanukhovich, al maschilismo della società ucraina, al
conservatorismo patriarcale della Chiesa ortodossa. Durante gli europei di calcio il
gruppo guadagna la ribalta anche dei giornalisti più disattenti diventando presto un
fenomeno mediatico. Le loro manifestazioni a seno nudo hanno fatto il giro del mondo.
Finalmente la coppia di faccendieri Hutsol-Sviatski riesce a centrare l’obiettivo.
Sviatski, il volto patriarcale delle Femen
Il ruolo di Viktor Sviatski in seno al movimento è stato a lungo un segreto. Ci è voluto il
documentario della regista australiana Ketty Green, L’Ucraina non è un bordello,
presentato a Venezia lo scorso 2013, per svelare il ruolo di Sviatski: molto più che un
ideologo, un pubblicitario, uno che ha saputo fare del movimento un brand, ma anche uno
che si distingue per maschilismo in quello che dovrebbe essere un gruppo femminista. È
lui quello che ha capito che mostrare le tette avrebbe reso parecchi soldi. Ma Sviatski, per
quanto sovrappeso, tette non ne ha. In accordo con la Hutsol si è messo a girare per
l’Ucraina in cerca di ragazze da reclutare e, in certa misura, da indottrinare. Ovviamente
solo ragazze belle, alla faccia del femminismo.
L’uso della violenza psicologica nel gruppo è ammesso dalla stessa Inna Shevcenko che
però ritiene “utile” il metodo di Sviatski in quanto “ci ha dato l’opportunità di capire che
cosa il patriarcato: le donne sono schiave del sesso, la violenza viene esercitata contro di
loro nelle case. Ha anche fatto capire come gli uomini possono essere bastardi”. E quasi a
giustificarsi: “Noi siamo ucraine, non conosciamo altro che la società patriarcale, la
accettiamo”. Secondo la regista Ketty Green, “Sviatski è le Femen” e le ragazze sono
“vittime di una sorta di sindrome di Stoccolma per la quale si sentono legate a Sviatski
malgrado lui rappresenti la società maschilista che credono di combattere a seno nudo” ”
Ancora vieni a parlare di riflessioni ?
Rispondi
2.
Girello Destrorsi02-10-2014
Se una persona ha bisogno di vedere delle tette per riflettere, be’, forse non ha tutta questa gran
capacità di riflessione in fin dei conti….
Rispondi
3.
haso02-11-2014
Semmai sono servite per banalizzare le riflessioni
Rispondi
4.
Gummo04-29-2014
il documentario di Daryna Chyzh è forzato e si basa su dati sbagliati, le Femen percepiscono
600 euro al mese e ricevono finanziamenti attraverso paypal e dai membri del gruppo, è un
movimento che ha usato il fenomeno della globalizzazione e del marketing per estendersi,
quindi dire “chi” le manovra è un pò come dire “chi” manovra internet.
Il resto degli interrogativi esposti sull’articolo sono assolutamente condivisibili.
Inna Shevchenko qualche settimana fa ha annunciato la sua volontà di allontanarsi dal
movimento per dedicarsi alla vita politica in Ucraina. Io credo sia un pò vacuo dare sentenze
politiche al movimento in questo momento, visto che solo recentemente, proprio verso la metà
del 2013 il movimento ha cominciato a farsi conoscere davvero.
Credo che FEMEN non debba essere visto come un movimento politico ma piuttosto come un
movimento di protesta (è quel che è). In questo articolo infatti non si parla delle loro proteste e
ciò che hanno scatenato nel mondo. Se poi si considerano le loro proteste inutili è leggittima
ogni critica, ma di fatto ciò che fanno è protestare e di femministe scazzottate da un gruppo di
cattolici che protestano contro i matrimoni gay o da nazional-socialisti francesi che augurano il
loro rogo di fronte al monumento di Giovanna d’Arco, non ne abbiamo viste negli ultimi
decenni di questa “europa”.
Le provocazioni di FEMEN, di fatto funzionano, rivelano un’umanità degradante che spesso si
nasconde dietro la pretesa di appartenere a una possibilità democratica, ma che di fatto è
intollerante o addirittura violenta con chi protesta per l’estensione dei diritti civili o
semplicemente per salvaguardare la dignità del corpo. Perchè è di questo che si tratta.
Quelle tette hanno dei messaggi.
Rispondi
5.
Luca05-26-2014
se lo dici tu che c’è un messaggio…guarda caso però da quando è scoppiato il caos in Ucraina
queste sono sparite….A parte che combattere l’immagine dell’Ucraina come centro della
prostituzione andando in piazza nude è una cosa già ridicola di per se (per quanto visivamente
molto meglio delle patetiche femministe occidentali), dove sono oggi queste paladine dei
diritti?
Rispondi
6.
«La libertà? Impedire a Papa Francesco di parlare» | Lo Sai11-14-2014
[...] Viktor Sviatski, come ha ammesso lui stesso) che le pagano (1000 euro al giorno) e le
sottomettono, come è stato dimostrato. Una Femen ha ammesso che verso il maschio-padrone
Sviatski c’è una dipendenza maniacale: [...]
Rispondi
7.
Giulia Innocenzi: «la libertà? Impedire a Papa Francesco di parlare» | Informare per
Resistere11-14-2014
[...] Sviatski, come ha ammesso lui stesso) che le pagano (1000 euro al giorno) e le
sottomettono, come è stato dimostrato. Una Femen ha ammesso che verso il maschio-padrone
Sviatski c’è una dipendenza [...]
Rispondi
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